Capitolo 28 e qualcosa in più -...
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La disoccupazione
Capitolo 28 e qualcosa in più
Corso di laurea in Servizio Sociale
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Il percorso La disoccupazione
Identificare la disoccupazione
Cos’è la disoccupazione
Come si misura: indicatori del mercato del lavoro
La durata
CAUSE della disoccupazione:
Disoccupazione frizionale
Disoccupazione strutturale
salario minimo
sindacati e contrattazione collettiva
il salario di efficienza
Il mercato del lavoro in Italia
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Identificare la disoccupazione
Identificare la disoccupazione
Cos’è la disoccupazione
Come si misura: indicatori del
mercato del lavoro
La durata
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Cos’è la disoccupazione (1/2)
Il numero di disoccupati è dato dagli individui in età lavorativa che, essendo abili e disponibili a lavorare al salario corrente, non hanno un impiego.
Il tasso di disoccupazione:
Numero disoccupati/Forza lavoro
Forza lavoro = occupati + disoccupati
Occupati: coloro che hanno un lavoro retribuito
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Non è così semplice come sembra.
Alcuni individui che si definiscono disoccupati, in realtà non cercano attivamente un lavoro e dovrebbero essere considerati non partecipanti alla forza lavoro
Altri vorrebbero un lavoro ma, dopo molte ricerche infruttuose, hanno smesso di cercarlo. Questi «lavoratori scoraggiati» non sono inclusi tra i partecipanti alla forza lavoro e non sono perciò inclusi nelle statistiche sulla disoccupazione
Poiché è difficile distinguere un disoccupato da un individuo che non partecipa alla forza di lavoro perché scoraggiato, esistono altre misure che descrivono il mercato del lavoro.
Cos’è la disoccupazione (2/2)
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Come si misura la disoccupazione (1/8)
Come si misura in Italia praticamente il tasso di disoccupazione e gli altri indicatori del mercato del lavoro?
Si misura attraverso le indagini sulle forze di lavoro.
Cos’è?
Chi la conduce?
Chi viene intervistato?
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Come si misura la disoccupazione (2/8)
Il mercato del lavoro in Italia Rilevazione sulle forze di lavoro
Che cosa è La rilevazione campionaria sulle Forze di Lavoro rappresenta la principale fonte di informazione statistica sul mercato del lavoro italiano.
Le informazioni rilevate presso la popolazione costituiscono la base sulla quale vengono derivate le stime ufficiali degli occupati e delle persone in cerca di lavoro, nonché le informazioni sui principali aggregati dell'offerta di lavoro - professione, ramo di attività economica, ore lavorate, tipologia e durata dei contratti, formazione.
I dati dell'indagine sono utilizzati per analizzare anche numerosi altri fattori individuali, familiari e sociali come l'aumento della mobilità occupazionale, il cambiamento delle professioni, la crescita della partecipazione femminile ecc. che concorrono a determinare la diversa partecipazione al lavoro della popolazione adulta.
Le stime ufficiali degli occupati e dei non occupati sono prodotte e diffuse a livello nazionale e regionale, annualmente sono disponibili anche per tutte le province.
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Come si misura la disoccupazione (3/8)
Il mercato del lavoro in Italia Rilevazione sulle forze di lavoro
Chi la conduce. Il Servizio Istruzione, formazione e
lavoro della Direzione centrale delle statistiche socio-economiche dell'Istat.
Chi viene intervistato. Le famiglie e gli individui del
campione estratto.
Come vengono scelte le famiglie. Ogni famiglia viene estratta con criterio di scelta casuale dalle liste anagrafiche comunali, in modo da avere un campione statisticamente rappresentativo delle variabili oggetto d'indagine.
Numerosità campionaria. Ogni anno viene intervistato un campione di oltre 250 mila famiglie residenti in Italia (per un totale di circa 600 mila individui) distribuite in circa 1.100 comuni italiani.
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Come si misura la disoccupazione (4/8)
Indicatori del mercato del lavoro
Soffermiamoci sugli indicatori utili a descrivere il mercato del lavoro.
La popolazione è divisa in:
Attiva (o popolazione in età di lavoro): età tra 15 e 64.
Passiva: bambini e anziani.
La popolazione attiva è classificata sulla base della condizione lavorativa:
Forza lavoro
Fuori dalla forza lavoro
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Come si misura la disoccupazione (5/8)
Indicatori del mercato del lavoro
POPOLAZIONE ATTIVA
Forza lavoro: Disponibilità di lavoro nell’economia:
= occupati + disoccupati
Occupati Coloro che hanno un lavoro retribuito
Disoccupati I non occupati in cerca di lavoro
Fuori dalla forza lavoro: Non occupati non in cerca di lavoro (es. studenti a tempo pieno, casalinghe, ….), cioè individui in età lavorativa ma non nella forza lavoro.
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Dopo avere classificato ogni individuo tra occupato, disoccupato e non appartenente alla forza lavoro, si possono calcolare alcune statistiche che riassumono lo stato del mercato del lavoro.
Tasso di disoccupazione=disoccupati/Forza Lavoro
Tasso di occupazione=Occupati/Pop in età di lavoro
Tasso di attività (partecipazione)=Forza lavoro/Popolazione in età di lavoro
o specularmente
Tasso di inattività= Non Forza Lavoro in età lavorativa/Popolazione in età di lavoro
Come si misura la disoccupazione (6/8)
Indicatori del mercato del lavoro
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a/e Occupati/Pop in età
di lavoro Tasso di occupazione
c/e Forza lavoro/Pop. in
età di lavoro Tasso di attività (partecipazione)
b/c
In cerca di
occupazione/Forza
Lavoro Tasso di disoccupazione
h=d+f Fuori dalla forza lavoro
g=e+f Popolazione totale
f Popolazione non in età da lavoro (non attivi)
e=c+d Popolazione in età di lavoro (Attivi)
d In età lavorativa ma non nella forza lavoro
c=a+b Forza Lavoro
b Disoccupati (in cerca di occupazione)
a Occupati
Popolazione di 15 anni e più
Come si misura la disoccupazione (7/8)
Indicatori del mercato del lavoro – UNA SINTESI
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Come si misura la disoccupazione (8/8)
Indicatori del mercato del lavoro - un esempio
Numero occupati 22.872
Numero disoccupati 2.102
Forza lavoro= occupati + disoccupati 24.974
Popolazione in età di lavoro 39.546
Tasso di occupazione= Occupati/Pop in età di lavoro
22872/39546=57%
Tasso di disoccupazione= Disoccupati/Forza Lavoro
2102/24974=8%
Tasso di attività (partecipazione)=Forza
lavoro/Pop. in età di lavoro
24974/39546=63%
Dati al 2010, Fonte: ISTAT, Rilevazioni sulle forze di lavoro
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Esempio: Durata e disoccupazione 10 lavoratori sono disoccupati
8 per un mese e 2 per 12 mesi
Totale mesi disoccupazione: 32
Il 75% dei mesi, 24 su 32, è a carico dei 2 disoccupati di lunga data
L’interpretazione del fenomeno cambia se si prende in considerazione la durata o il numero di mesi complessivi di disoccupazione:
i disoccupati a lungo termine sono la minoranza (2 su 8), però la maggiore quantità di disoccupazione si riferisce alla disoccupazione a lungo termine (24 mesi su 32)
La durata della disoccupazione (1/2)
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Implicazioni di politica economica
La politica economica deve concentrarsi sulla disoccupazione a lungo termine, perché è quella a cui si riferisce la maggiore quantità di disoccupazione.
In questo caso, però, gli interventi devono essere mirati, poiché i disoccupati a lungo termine sono una esigua minoranza
La durata della disoccupazione (2/2)
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Cause della disoccupazione La ricerca del lavoro e la rigidità dei salari
Perché c’è disoccupazione?
Esamineremo due delle cause della disoccupazione:
la ricerca del lavoro: disoccupazione frizionale
la rigidità salariale: disoccupazione strutturale
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La disoccupazione frizionale (1/5) La ricerca del lavoro
Se il processo di ottenimento di lavoro fosse istantaneo, allora il periodo di disoccupazione sarebbe quasi nullo e il tasso di disoccupazione vicino a zero.
L’economia ha disoccupazione anche se la domanda di lavoro sarebbe sufficiente a occupare tutti i lavoratori.
La disoccupazione dovuta al tempo necessario per trovare un lavoro è detta: disoccupazione frizionale
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La disoccupazione frizionale (2/5) La ricerca del lavoro
Per trovare un lavoro occorre tempo perché:
I posti di lavoro non sono tutti uguali e anche i lavoratori sono diversi tra loro (abilità, educazione, ecc.).
Reperire informazioni sui posti di lavoro e sui lavoratori richiede tempo ed è costoso.
I posti di lavoro e i lavoratori sono distribuiti sul territorio e la mobilità geografica richiede tempo ed è costosa.
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La disoccupazione frizionale (3/5) La ricerca del lavoro
L’innovazione tecnologica cambia in continuazione la domanda di lavoro (richiede nuove competenze).
Cambiamenti settoriali: (agricoltura – industria – servizi). La domanda di lavoro cambia.
Spostamenti di attività produttive tra diverse regioni.
La variazione nella composizione della domanda di lavoro tra settori o aree diverse si chiama
spostamento intersettoriale
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Disoccupazione frizionale (4/5) Politiche economiche
Il governo può rendere più facile l’incontro tra
lavoratori e imprese attraverso gli uffici pubblici di
collocamento: forniscono informazioni sui nuovi lavori e
favoriscono l’incontro tra lavoratori e imprese.
Il governo può attivarsi per riqualificare i lavoratori
con competenze obsolete con programmi di
formazione professionale: aiutano i lavoratori delle
industrie in declino ad acquisire la professionalità richiesta
nei settori emergenti.
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Disoccupazione frizionale (5/5) Politiche economiche: i sussidi di disoccupazione
Definizione: Il governo paga al disoccupato parte
del suo precedente salario (per un periodo di
tempo limitato) dopo la perdita del lavoro.
Effetti: La disoccupazione frizionale aumenta
all’aumentare del periodo di sussidio.
Il tasso di occupazione si riduce perché il sussidio
riduce l’urgenza di trovare lavoro.
Vantaggi: I lavoratori possono cercare un lavoro
più adatto alle loro esigenze e preferenze.
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Disoccupazione strutturale (1/13) Rigidità dei salari
La seconda ragione per cui esiste disoccupazione è
la rigidità dei salari, ovvero l’incapacità dei
salari di aggiustarsi istantaneamente, facendo sì
che offerta e domanda di lavoro si eguaglino
Se il salario reale (W/P) è al di sopra del livello di
equilibrio tra D e O:
la quantità di lavoro offerta è MAGGIORE di quella
domandata;
le imprese razionano i posti di lavoro disponibili;
la disoccupazione aumenta.
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La disoccupazione strutturale (2/13) Rigidità e inefficienze del mercato del lavoro
LLO L
Salario
Consideriamo il grafico di equilibrio sul mercato del lavoro
LD
W/P
Se non esistono rigidità il salario
reale si aggiusta fino a eguagliare
domanda e offerta
L’offerta di lavoro è costante e
pari a tutto il lavoro disponibile
nell’economia
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LLO L
Salario
LD
Nell’equilibrio di mercato esiste
quindi disoccupazione
strutturale
(W/P)2
La disoccupazione strutturale (3/13) Rigidità e inefficienze del mercato del lavoro
Se il salario non è libero di aggiustarsi liberamente (per esempio, è più
alto di quello di equilibrio) non tutto il lavoro viene impiegato: l’offerta è
superiore alla domanda
Quantità di lavoratori disposti a
lavorare
Quantità di lavoratori
occupati
(W/P)1
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La disoccupazione strutturale (4/13) Le cause principali
QUINDI, vi è disoccupazione strutturale quando il salario reale corrente è più alto di quello di equilibrio per cui l’offerta di lavoro è superiore alla domanda
Perché le imprese non riducono i salari?
Leggi sul salario minimo
Sindacati e contrattazione collettiva
I salari di efficienza
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La disoccupazione strutturale (5/13)
1. Leggi sul salario minimo (1/2)
Definizione: salario minimo legale che le imprese devono corrispondere ai lavoratori
Il salario minimo è inferiore al salario medio e non si applica alla maggioranza dei lavoratori (ovvero è inferiore al salario di equilibrio).
Quindi non può essere causa del tasso di disoccupazione naturale in quanto non si applica alla maggioranza dei lavoratori.
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Tuttavia è spesso superiore al salario di equilibrio di:
lavoratori a bassa qualifica
lavoratori giovani con poca esperienza
(per cui parte della remunerazione avviene sotto forma di formazione professionale)
Un aumento del 10% del salario minimo riduce l’occupazione giovanile dell’1-3%.
ATTENZIONE: tra gli economisti c’è grande disaccordo
sull’effetto del salario minimo sulla disoccupazione
La disoccupazione strutturale (6/13) 1. Leggi sul salario minimo (2/2)
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La disoccupazione strutturale (7/13)
2. Sindacati e contrattazione collettiva (1/4)
I sindacati cercano di ottenere salari più alti possibili.
L’impresa cerca di raggiungere un accordo per evitare scioperi (che riducono la produzione, la vendita e i profitti).
Se l’azione del sindacato fa salire la retribuzione al di sopra del livello di equilibrio, la quantità di lavoro offerta aumenta e quella domandata diminuisce, facendo salire la disoccupazione: i lavoratori che riescono a mantenere l’impiego sono avvantaggiati, ma quelli che lo perdono no.
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La disoccupazione strutturale (8/13)
2. Sindacati e contrattazione collettiva (2/4)
Perché i sindacati possono cercare di ottenere salari superiori a quelli di equilibrio?
I sindacati rappresentano (e massimizzano l’utilità) degli occupati (insider).
I disoccupati preferirebbero salari inferiori che garantiscano la piena occupazione (outsider)
Conflitto tra i due gruppi di lavoratori: gli
effetti del processo di contrattazione sui salari e sull’occupazione dipendono dall’influenza di ciascun gruppo
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La disoccupazione strutturale (9/13) 2. Sindacati e contrattazione collettiva (3/4)
I lavoratori non iscritti al sindacato possono: Rimanere disoccupati e attendere di trovare
un’occupazione a retribuzione elevata;
Offrire il lavoro in imprese non sindacalizzate con salari più bassi.
Il ruolo del sindacato dipende dalle leggi che regolano l’attività sindacale e la contrattazione collettiva.
I sindacati sono un bene o un male per l’economia?
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La disoccupazione strutturale (10/13) 2. Sindacati e contrattazione collettiva (4/4)
I sindacati sono un bene o un male per l’economia?
Opinioni differenti:
(-) La presenza del sindacato comporterebbe inefficienza e iniquità inefficienza: occupazione nelle imprese sindacalizzate è più
bassa
Iniqua: vantaggio di alcuni lavoratori è pagato da altri
(+) Necessario antidoto al potere delle imprese e contributo alla produttività. Senza sindacati: salari bassi e condizioni di lavoro peggiori
I sindacati contribuiscono a soddisfare le istanze della forza lavoro e, quindi, alla produttività.
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La disoccupazione strutturale (11/13)
3. Teoria dei salari di efficienza (1/3)
È possibile che le imprese decidano volontariamente di pagare salari superiori a quelli di equilibrio?
Sì, se salari elevati aumentano la produttività e permettono di aumentare i profitti.
L’influenza dei salari sulla produttività potrebbe spiegare il fatto che le imprese non riescono a tagliare le retribuzioni anche in presenza di un eccesso di domanda di lavoro.
La riduzione dei salari, secondo questa teoria, avrebbe l’effetto di ridurre la produttività dei lavoratori e, quindi, il profitto dell’impresa.
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La disoccupazione strutturale (12/13)
3. Teoria dei salari di efficienza (2/3)
Rapporto tra salari e produttività è spiegato da diverse teorie:
Paesi in via di sviluppo: migliore retribuzione migliora lo stato di salute e di nutrizione e quindi la produttività
Riducono il “turnover” e i costi di formazione di nuovo personale
Aumentano l’impegno sul lavoro e riducono l’assenteismo.
Attirano i lavoratori migliori (selezione avversa)
Riducono i conflitti sindacali e gli scioperi.
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Conclusione:
dato che a salari più elevati corrisponde una maggiore efficienza dell’impresa, questa può trovare conveniente mantenere i salari al di sopra del livello per cui domanda e offerta si equilibrano.
A un salario superiore al livello di equilibrio corrisponde una minore occupazione e una più alta disoccupazione strutturale
La disoccupazione strutturale (13/13) 3. Teoria dei salari di efficienza (3/3)
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IL MERCATO DEL LAVORO IN
ITALIA AL TEMPO DELLA CRISI
Mercato del lavoro più debole, minore qualità dell’occupazione
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Il mercato del lavoro in Italia
I nodi di fondo del mercato del lavoro:
1. Restringimento della base occupazionale e rinuncia alla ricerca di un’occupazione
2. Difficoltà di inserimento dei giovani
3. Problema dell’occupazione femminile
4. Forti disparità territoriali
Mercato del lavoro più debole, minore qualità dell’occupazione
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Il mercato del lavoro in Italia
La riduzione dell’occupazione ha riguardato prevalentemente l’occupazione permanente a tempo pieno.
L’incremento della disoccupazione ha riguardato tutte le classi di età e le diverse aree territoriali, soprattutto il Mezzogiorno.
1. Restringimento dell’ occupazione e rinuncia alla ricerca di un’occupazione.
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Il mercato del lavoro in Italia
La caduta dell’occupazione è particolarmente significativa tra i giovani.
Segnali di disagio provengono dai giovani esclusi dal circuito formazione-lavoro: la quota dei Neet (cioè giovani che non lavorano e non studiano) è ancora in aumento ed è decisamente più elevata della media europea.
La preoccupazione intorno a queste “future generazioni” si collega soprattutto al rischio di esclusione sociale conseguente alla persistenza nella condizione di Neet.
2. I giovani
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Il mercato del lavoro in Italia
Con la crisi si è accentuata la segregazione di genere. La crisi ha ampliato i divari tra Italia e Unione europea nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro, soprattutto con riferimento alle regioni meridionali.
Il già contenuto tasso di occupazione delle donne italiane è ancora più basso per le madri. Le donne interrompono il lavoro più frequentemente degli uomini per motivi familiari, in particolare in seguito alla nascita dei figli.
L’interruzione non è sempre volontaria: nel biennio 2008-2009 circa 800 mila madri hanno dichiarato che nel corso della loro vita lavorativa, in occasione di una gravidanza, sono state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere. Tra le madri costrette a lasciare il lavoro solo quattro ogni dieci hanno ripreso l’attività. Le condizioni di vulnerabilità aumentano nel Mezzogiorno, dove la quasi totalità delle interruzioni legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dimissioni forzate.
Sempre nel Mezzogiorno le interruzioni che si trasformano in uscite prolungate dal mercato del lavoro sono molto più elevate.
3. La componente femminile
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Il mercato del lavoro in Italia
Il fenomeno del:
forte restringimento della base occupazionale
crescita del tasso di disoccupazione
allargamento dei fenomeni di scoraggiamento
esasperate difficoltà di inclusione dei giovani nel mercato del lavoro
bassa partecipazione delle donne dovuta anche ai più forti ostacoli alla conciliazione tra tempi di lavoro e di vita
sono tutti fenomeni che diventano ancora più evidenti nel Mezzogiorno
4. Mezzogiorno
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Mercato del lavoro in Italia: perché?
Perché questi risultati?
Senza crescita non ci può essere lavoro!
Alcune considerazioni sulla struttura produttiva e
sulla qualità della forza lavoro.
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Mercato del lavoro in Italia: perché?
Nel corso degli ultimi dieci anni il prodotto interno lordo è
aumentato in Italia meno del 3 per cento; del 12 in
Francia, paese europeo a noi simile per popolazione.
Il divario riflette integralmente quello della produttività
oraria: ferma in Italia, salita del 9 per cento in Francia.
Il deludente risultato italiano è uniforme sul territorio, da
Nord a Sud.
Se la produttività ristagna,
l’economia non può crescere!
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Mercato del lavoro in Italia: perché?
La nostra produttività ristagna. Perché? La struttura produttiva italiana è più frammentata e
statica di altre e le politiche pubbliche non
incoraggiano l’evoluzione di quella struttura.
Interventi nei seguenti ambiti: 1. Giustizia civile
2. Istruzione
3. Concorrenza
4. Infrastrutture
5. Efficienza della spesa pubblica
6. Mercato del lavoro: meno dualismo e partecipazione
femminile al mercato del lavoro
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Mercato del lavoro in Italia. Giustizia civile
Giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari in
primo grado supera i 1.000 giorni e colloca l’Italia al
157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate
dalla Banca Mondiale.
L’incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel
funzionamento dell’economia, oltre che di ingiustizia.
Stime della Banca d’Italia indicano che la perdita annua di
prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile
potrebbe giungere a un punto percentuale.
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Mercato del lavoro in Italia. Istruzione
Occorre investire nel sistema di istruzione con l’obiettivo
di innalzare i livelli di apprendimento, che sono tra i più
bassi nel mondo occidentale anche a parità di spesa per
studente.
Troppo ampi restano i divari interni al Paese: tra Sud e
Nord, tra scuole della stessa area, anche nella scuola
dell’obbligo.
E’ ancora basso nel confronto internazionale il numero
complessivo di laureati.
Secondo valutazioni dell’OCSE, il distacco del sistema
educativo italiano dalle migliori pratiche mondiali
potrebbe implicare a lungo andare un minor tasso di
crescita del PIL fino a un punto percentuale.
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Mercato del lavoro in Italia. Concorrenza
La concorrenza, radicata in molta parte
dell’industria, stenta a propagarsi al settore dei
servizi, specialmente quelli di pubblica utilità.
La sfida della crescita non può essere affrontata
solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente
esposti alla competizione internazionale, mentre
rendite e vantaggi monopolistici in altri settori
deprimono l’occupazione e minano la
competitività complessiva del Paese.
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Mercato del lavoro in Italia. Infrastrutture
L’Italia è indietro nella dotazione di infrastrutture rispetto
agli altri principali paesi europei, pur con una spesa
pubblica che dagli anni Ottanta al 2008 è stata maggiore
in rapporto al PIL.
Incertezza dei programmi, carenze nella valutazione dei
progetti e nella selezione delle opere, frammentazione e
sovrapposizione di competenze, inadeguatezza delle
norme sull’affidamento dei lavori e sulle verifiche degli
avanzamenti producono da noi opere meno utili e più
costose che altrove.
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Mercato del lavoro in Italia. Efficienza della spesa pubblica
I progetti finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale
vengono eseguiti in tempi quasi doppi rispetto a quelli
programmati, contro ritardi medi di un quarto in Europa,
e i costi eccedono i preventivi del 40 per cento, contro il
20 nel resto d’Europa.
Nell’alta velocità ferroviaria e nelle autostrade i costi medi
per chilometro e i tempi di realizzazione sono superiori a
quelli di Francia e Spagna, in una misura solo in parte
giustificata dalle diverse condizioni orografiche.
È necessario recuperare efficienza nella spesa, anche
per sfruttare appieno le risorse dei concessionari privati
e quelle comunitarie, che non pesano sui conti pubblici.
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Mercato del lavoro in Italia: Dualismo e Partecipazione femminile
Dualismo nel mercato del lavoro: da un lato i lavoratori in attività a
tempo indeterminato, maggiormente tutelati; dall’altro una vasta
sacca di precariato, soprattutto giovanile, con scarse tutele e
retribuzioni.
La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore
cruciale di debolezza del sistema.
Il 60 per cento dei laureati è formato da donne: conseguono il titolo in
minor tempo dei colleghi maschi, con risultati in media migliori,
sempre meno nelle tradizionali discipline umanistiche.
MA l’occupazione femminile è venti punti meno di quella maschile ed è
più bassa rispetto a quasi tutti i paesi europei, soprattutto nelle
posizioni più elevate e per le donne con figli.
Le retribuzioni sono, a parità di istruzione ed esperienza, inferiori del
10% a quelle maschili.
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Utili letture
Istat, RAPPORTO ANNUALE , La situazione
del Paese
Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, Relazione annuale.