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PROGETTO DI STRUTTURE LA RIPARTIZIONE DEI CARICHI NEGLI EDIFICI Paolacci Fabrizio Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Ingegneria

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   PROGETTO DI STRUTTURE LA RIPARTIZIONE DEI CARICHI NEGLI EDIFICI  

   Paolacci Fabrizio Università degli Studi Roma Tre    

 

 

Facoltà di Ingegneria   

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INDICE 

 

1. Introduzione 

2. La ripartizione dei carichi verticali 

2.1. La ripartizione dei carichi verticali sulle travi 

2.1.1. Il metodo delle aree di influenza 

2.1.2. Il comportamento a piastra del solaio 

2.2. La ripartizione dei carichi verticali sui pilastri 

2.2.1. Modelli isostatici: Il metodo delle aree di influenza 

2.2.2. Modelli iperstatici: trave continua 

2.2.3. Modelli iperstatici: il telaio parziale e totale 

2.2.4. L’influenza della deformabilità assiale dei pilastri 

3. La ripartizione dei carichi orizzontali 

3.1. Introduzione 

3.2. Il comportamento delle strutture piane 

3.2.1. Gli schemi strutturali tipici 

3.2.2. Le strutture intelaiate 

3.2.2.1. I sistemi a ritti pendolari (strutture in acciaio) 

3.2.2.2. I sistemi MRF (shear‐type, travi deformabili, etc..) 

3.2.3. Il comportamento delle pareti 

3.2.3.1. Le pareti piene 

3.2.3.2. Le pareti con aperture (metodi analitici e numerici) 

3.2.4. I sistemi telaio‐parete 

3.3. Il comportamento delle strutture tridimensionali 

3.3.1. La ripartizione delle azioni orizzontali in edifici monopiano ad elementi discreti 

3.3.2. La disposizione in pianta degli elementi irrigidenti 

3.3.3. La modellazione dei nuclei scale e ascensori 

 

 

 

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1. Introduzione  

Il progetto di edifici con struttura intelaiata, come quello illustrato in figura 1 si articola in 

diverse fasi, ognuna delle quali ha un peso relativo differente.  

Particolarmente  importante  è  la  fase  iniziale  del  progetto,  ossia  l’ideazione  della 

struttura,  la quale è caratterizzata da un alto grado di soggettività da parte del progettista. 

Infatti, egli deve necessariamente interpretare le esigenze funzionali e tradurle in una maglia 

strutturale  dal  buon  funzionamento  statico  e  che  sia  contemporaneamente  in  grado  di 

realizzare la forma pensata per l’edificio. 

 

Figura 1.1 – La maglia strutturale di un

edificio in c.a. e i percorsi di carico

Figura 2.1 – Effetto torsionale in un

edificio

 

La  scelta  degli  elementi  e  della  loro  disposizione  all’interno  della  maglia  strutturale 

dipende da molteplici fattori (tipologia delle azioni esterne, materiali costituenti gli elementi 

strutturali, vincoli architettonici, etc…). Tale scelta ha una  influenza diretta sul percorso dei 

carichi  all’interno  della  struttura.  Per  tale motivo  è  opportuno  che  il  progettista  sia  ben 

consapevole  delle  conseguenze  sul  buon  funzionamento  statico  della  struttura  che  una 

disposizione di elementi ha rispetto ad un altra.  

Ad  esempio,  la  parete  presente  nella  struttura  di  figura  1  rappresenta,  come  si  può 

facilmente  intuire, un aiuto nei confronti delle azioni orizzontali  in direzione trasversale,  in 

quanto la sua elevata rigidezza permette di assorbirne una elevata quantità, a vantaggio dei 

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pilastri,  che  conseguentemente  vengono  meno  sollecitati.  Di  contro,  la  sua  posizione 

eccentrica potrebbe  costituire un peggioramento delle  condizioni dei pilastri  lontani dalla 

parete rispetto al caso in cui la parete non ci fosse. Infatti poiché la parete costituisce, come 

verrà  meglio  spiegato  in  seguito,    un  attrattore  per  le  reazioni  strutturali  orizzontali 

dell’edificio,  l’eccentricità  tra azioni e  le  reazioni orizzontali produce, oltre alla  traslazione, 

una  torsione  dell’edificio  con  un  possibile  incremento  di  sollecitazioni  nei  pilastri  lontani 

dalla parete. 

E’  chiaro  dunque  che  la  scelta  degli  elementi  e  della  loro  disposizione  in  pianta  e  in 

elevazione  di  un  edificio  deve  essere  attentamente  valutata  alla  luce  delle  possibili 

conseguenze che essa può avere sulla sicurezza strutturale. 

In  quanto  segue  si  vogliono  illustrare  alcuni  principi  guida  sulla  scelta  di  modelli 

semplificati,  utilizzando  come mezzo  espositivo  quello  dei  percorsi  di  carico,  che  risulta 

particolarmente efficace, a parere dello scrivente, per stimolare  i progettisti ad una scelta 

più ragionata e consapevole della struttura, che oggi viene purtroppo sostituita dall’illusione 

che  i  programmi  di  calcolo  possano  rendere  superflue  alcune  necessarie  operazioni 

progettuali.  

Occorre aggiungere che la normativa attuale prevede una necessaria verifica dei modelli 

di  calcolo  che  risulta essere particolarmente agevolata nel  caso  siano ben  chiare  le  scelte 

strutturali  e  le  relative  conseguenze. A  tal  proposito,  lo  studio  presentato  nel  seguito  ha 

come ulteriore obiettivo proprio quello di fornire indicazioni sul comportamento strutturale 

con l’ausilio di modelli semplici che possano essere facilmente utilizzati per la validazione del 

calcolo strutturale realizzato mediante calcolatore elettronico. 

Per  comodità  espositiva  verrà  dapprima  trattato  il  caso  della  ripartizione  dei  carichi 

verticali, per poi proseguire  con  il  tema della  ripartizione dei  carichi orizzontali,  al  fine di 

suggerire opportune scelte sulla disposizione in elevazione e in pianta di pilastri, pareti, setti 

e nuclei scale e ascensore.  

 

   

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2. La ripartizione dei carichi verticali  

Una struttura è generalmente destinata al trasferimento delle azioni esterne al terreno 

sul quale è  fondata. Un categoria di carichi particolarmente  rilevante,  in quanto di natura 

quasi permanente, è quella dei carichi verticali, in genere rappresentati dai pesi propri degli 

elementi  strutturali  (solai,  travi,  pilastri,  etc…)  o  da  carichi  variabili  che  dipendono  dalla 

destinazione d’uso dell’edificio (civile abitazione, scale, balconi, etc…). 

Le modalità con la quale i carichi verticali si distribuiscono all’interno della struttura sono 

legate alla seguente catena di ripartizione: 

 

 

 

Infatti il solaio è il primo elemento con il quale i carichi verticali interagiscono. Si pensi ad 

esempio  al  peso  dei  sovraccarichi  accidentali,  come  il  peso  delle  persone  o  il  peso  dei 

tramezzi.  

 Figura 2.1 ‐ Catena di ripartizione dei carichi verticali 

 

Infatti il solaio è il primo elemento con il quale i carichi verticali interagiscono. Si pensi ad 

esempio  al  peso  dei  sovraccarichi  accidentali,  come  il  peso  delle  persone  o  il  peso  dei 

tramezzi che poggiano sull’estradosso del solaio.  

Analizziamo ora la prima parte della catena: solaio‐travi. I carichi che agiscono sul solaio 

sono  generalmente  di  natura  distribuita,  spesso  superficiale  o  lineare,  anche  se  non 

SOLAIO                       TRAVI                  PILASTRI,SETTI                         FONDAZIONI

SOLAIO

TRAVE 

PILASTRO 

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mancano esempi di carichi concentrati. Occorre valutare la modalità di trasferimento di tali 

carichi sulle travi.  

Un  approccio  spesso  seguito  in  sede  di  progetto  è  quello  così  detto  della  larghezza 

d’influenza delle travi. In pratica si immagina che il peso distribuito sulla superficie del solaio 

si trasferisca alle travi proporzionalmente ad una larghezza pari alla somma delle due semi‐

luci del solaio che interagisce con la trave, Figura 2.2. In tal modo il carico sulle travi è ancora 

distribuito, anche se linearmente. 

 Figura 2.2 – Pianta di un impalcato in c.a. ‐ Luce d’influenza di una trave 

 

Tale approccio è giustificato dall’ipotesi di  comportamento monodirezionale del  solaio 

(vedi figura 2.1) sulla base della quale si immagina che la singola campata scarichi in misura 

eguale il proprio peso sulle travi di appoggio. 

Il  modello  di  calcolo  che  è  associato  al  metodo  appena  illustrato  è  quello  di  trave 

semplicemente  appoggiata.  Le  singole  campate  del  solaio,  pensato  a  comportamento 

monodimensionale, vengono schematizzate come travi semplicemente appoggiate.  

 

L1

L2

L=(L1+ L2)/2

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Figura 2.3 – Il modello associato al metodo della larghezza d’influenza (modello isostatico) 

 

Gli  appoggi  sono  rappresentati  dalle  travi,  considerate  evidentemente  indeformabili, 

essendo gli appoggi bilaterali. 

Con  riferimento  ad  un metro  di  larghezza  di  solaio,  il  peso  ad  esso  attribuibile  è  pari 

proprio  al  peso  per  unità  di  superficie  p.  Le  reazioni  agli  appoggi  costituiscono  il  carico 

trasferito dal solaio alle travi. Così ad esempio,  l’appoggio  intermedio avrà una reazione, a 

metro lineare pari a  

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che  corrisponde  proprio  al  peso  distribuito  linearmente  calcolabile  col metodo  della 

larghezza d’influenza.  

Il metodo  della  luce  d’influenza  delle  travi  presenta  delle  evidenti  limitazioni  legate 

essenzialmente a due fattori: 

 

a) Il comportamento del solaio è bidimensionale 

b) Il  modello  ad  esso  associato  non  è  del  tutto  soddisfacente  per  il  fatto  che 

l’interazione flessionale tra solaio e travi viene del tutto trascurata. 

 

Per  ovviare  a  questi  inconvenienti,  pur mantenendo  viva  l’ipotesi  di  comportamento 

monodimensionale  del  solaio,    si  può  arricchire  il  modello  di  figura  4  introducendo  la 

continuità  flessionale  del  solaio.  Il modello  più  semplice  che  risponde  a  tali  requisiti  è  il 

modello di trave continua.  

 Figura 2.3 – Il modello di trave continua del solaio (modello iperstatico) 

 

pt

p

pt

p

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Per semplicità, facciamo riferimento al caso di figura 2.2,  immaginando che  le campate 

del solaio adiacente la trave abbiano ugual luce pari ad L. In tal caso il modello degenera in 

un modello di trave  incastro‐appoggio. La reazione strutturale pt ossia  il carico  linearmente 

distribuito da attribuire alla  trave è  in  tal caso pari a 1.25 pL, con un  incremento del 25% 

rispetto  al  risultato  ottenibile  col metodo  della  larghezza  d’influenza  secondo  il  quale  il 

carico distribuito sulla trave varrebbe invece pL. 

Al contrario, sugli appoggi di estremità il carico da attribuire alla trave viene sottostimato 

rispetto al metodo della larghezza d’influenza, essendo la reazione verticale pari a 0.375 pL. 

Il  modello  di  trave  continua,  stante  l’indeformabilità  verticale  delle  travi,  modifica 

fortemente  la  distribuzione  del  carico  verticale  dal  solaio  alla  trave,  della  quale  occorre 

valutarne  l’attendibilità. A  tale  scopo  si può  affinare  il modello  introducendo un ulteriore 

modifica per tener conto della corretta interazione tra solaio e travi di bordo.  

Le  travi,  come  noto,  possiedono  una  rigidezza  torsionale  elevata  che  potrebbe 

influenzare  la  distribuzione  del  taglio  nel  solaio  e  conseguentemente  la  ripartizione  dei 

carichi sulle travi. 

Consideriamo ancora  il modello di  figura 2.3. Modifichiamolo  introducendo  la rigidezza 

torsionale kt delle travi di bordo rappresentata da molle rotazionali di rigidezza kt (figura 6). 

 

 

 

Figura 6 – Modifica del modello di trave continua del solaio  

 

Se  la  rigidezza  kt  fosse  infinita,  il modello  degenererebbe  in  due  travi  doppiamente 

incastrate,  le  quali  dal  punto  di  vista  della  reazione  strutturale  sugli  appoggi  sarebbero 

equivalenti al modello di trave appoggiata.  

In  realtà  la  rigidezza  torsionale  è  finita  e  il  modello  presenta  un  comportamento 

intermedio  tra quello di  trave  incastro‐appoggio e quello di  trave doppiamente  incastrata. 

Ciò  che  accade  è  che  la  reazione  dell’appoggio  interno  diminuisce  rispetto  al modello  di 

figura 5, mentre  la reazione agli appoggi d’estremità aumenta. Maggiore è  la rigidezza kt e 

pkt

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maggiore  e  la  somiglianza  del  modello  così  modificato  con  il  metodo  della  larghezza 

d’influenza.  

Dal punto della ripartizione dei carichi tale modello intermedio dovrebbe rappresentare 

una  soluzione  non  troppo  lontana  da  quella  reale,  che  evidentemente  risente  di  ulteriori 

fattori fin qui trascurati, come ad esempio il comportamento bidimensionale del solaio. 

 

 Figura 7 – Comportamento bidimensionale di un solaio 

 

Il  comportamento  a  piastra  del  solaio  produce  infatti  una  ulteriore  variazione  della 

distribuzione dei carichi tra solaio e travi.  

Infatti, in tal caso la ripartizione dei carichi segue la forma indicata in figura 8. 

 

 Figura 8 – Comportamento a piastra del solaio: ripartizione dei carichi  

 

Il carico pt da considerare ripartito sulle travi è evidentemente non costante ma variabile 

linearmente. Occorre però osservare che il valore massimo del carico distribuito sulle travi è 

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pari  a  quello  suggerito  dai modelli monodimensionali.  Dunque  l’errore  che  si  commette 

nell’uso di modelli di travi piuttosto che di modelli di piastra è a favore di sicurezza. Per tale 

motivo  l’uso dei modelli  semplici  come quelli monodimensionali è ancora molto diffuso e 

l’approssimazione del metodo della larghezza d’influenza è più che accettabile. 

Il  ragionamento  fin ora  seguito può essere  ripetuto anche per  la parte della  catena di 

ripartizione dei carichi fra travi e pilastri. 

Consideriamo infatti un generico telaio piano appartenete alla struttura di figura 3, e per 

semplicità si considerino le luci eguali. 

 

 

 

Figura 8 – Modello del Telaio e ripartizione secondo il metodo della larghezza d’influenza  

 

Il metodo della larghezza d’influenza prevede anche in questo caso un modello isostatico 

che è  rappresentato  in  figura 8. Le  travi  sono appoggiate ai pilastri ai quali  trasmettono  il 

carico in proporzione alla loro luce L. Ad esempio per il pilastro centrale lo sforzo normale al 

piano terra varrà 

 

 

 

Un modello  più  raffinato  prevede  la  continuità  delle  travi  per  la  quale  il modello  di 

riferimento è quello di trave continua su più appoggi, rappresentati dai pilastri, considerati 

indeformabili assialmente. 

Come per  il  caso di  ripartizione  solaio‐trave,  lo  sforzo assiale del pilastro  centrale alla 

base dell’edificio è incrementato del 25% rispetto a quanto previsto dal modello isostatico 

L L

p2

p1

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 11 

 

 

1.25  

 

mentre per i pilastri laterali lo sforzo normale è diminuito del 25% 

 

, 0.375  

 

Il modello di  trave  continua potrebbe  cadere  in difetto nel  caso di  campate di piccola 

luce che alterano sensibilmente la distribuzione dei carichi sui vincoli. Ad esempio la trave di 

figura  9,  per  il  fatto  che  ha  la  campata  di  sinistra molto  più  piccola  di  quella  di  destra 

presenta una reazione nel pilastro di sinistra di segno negativo. Tale risultato mostra come 

l’utilizzo del modello di trave continua non è sempre fisicamente accettabile. 

Per  rendere  il  modello  più  realistico  si  osservi  che  il  forte  impegno  rotazionale 

dell’estremità di sinistra della trave dovrebbe in realtà impegnare flessionalmente il pilastro, 

che nel modello di trave continua è soggetto solo a sforzo normale. 

 

 Figura 9 – Modello di trave continua con campata piccola 

 

Ad esempio per una luce di sinistra pari a 2 metri e una luce di destra pari 6 m e un carico 

di 20 kN/m il momento flettente e le reazioni agli appoggi sono indicati in figura 10. Da essa 

si evince come gli sforzi normali sui pilastri centrale e di sinistra siano evidentemente valutati 

in maniera errata.  

Momento Flettente Taglio Reazioni Vincolari

Figura 10 – Diagrammi e reazioni di una trave con campata piccola

 

pt

p

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 12 

 

In virtù di  tale osservazione, un modello più  raffinato del precedente potrebbe essere 

quello illustrato in figura 11, (modello a telaio parziale), nel quale si tiene anche conto della 

rigidezza  flessionale dei pilastri. Esso deriva dall’osservazione dell’andamento dei momenti 

flettenti sull’intero telaio, e in particolare dei punti di nullo dei momenti flettenti sui pilastri, 

nei quali il vincolo di continuità può essere sostituito da una cerniera. 

 

Figura 11 – Modello a telaio parziale

 

Con riferimento all’esempio precedente aggiungendo anche la porzione di pilastri che va 

dal punto di nullo del momento al nodo trave‐pilastro, si può osservare come la valutazione 

dello sforzo normale sui pilastri diventi più ragionevole (Figura 12).  

 

Momento Flettente Taglio Sforzo Normale

Figura 12 – Caratteristiche della sollecitazione del telaio parziale

Ciò è  confermato dai  risultati  sul modello  completo del  telaio mostrati  in  figura 13. Si 

evince  inoltre come  le sollecitazioni sulle travi risultano essere più attendibili del modello a 

trave continua. 

 

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Momento Flettente Taglio Sforzo Normale

Figura 13 – Caratteristiche della sollecitazione del telaio completo

 

In presenza di telai con un numero elevato di campate, le zone centrali sono quelle per le 

quali  il modello di trave continua può ritenersi ancora sufficientemente accurato, sia per  la 

valutazione  delle  caratteristiche  della  sollecitazione  delle  travi,  sia  per  la  ripartizione  dei 

carichi  verticali  sui  pilastri,  per  la quale  anche  il metodo della  lunghezza  di’influenza  può 

essere proficuamente utilizzato. L’attendibilità dei modelli più semplici si perde solamente 

nelle  zone di estremità delle  travi. Ad esempio  la Figura 14 mostra  i  risultati  in  termini di 

sollecitazioni  di  un  telaio  a  2  piani  con  altezza  interpiano  di  3 m  e  10  campate  di  6 m 

ciascuna. Le  travi  sono  sollecitate da un carico uniformemente  ripartito di 20 kN/m. Nelle 

campate centrali i risultati sono sostanzialmente in accordo con quelli di una trave continua 

con 10 campate, mentre divergono nelle zone di estremità. 

 

Momento Flettente Sforzo normale

Figura 14 – Telaio a molte campate - caratteristiche della sollecitazione  

I  risultati  fin qui esposti possono essere estesi anche a  telai con un numero elevato di 

piani con l’avvertenza che le maggiori deviazioni si avranno nel primo e nell’ultimo piano per 

la  presenza  di  vincoli  che  alterano  la  distribuzione  delle  sollecitazioni:  l’incastro  in 

fondazione sposta  il punto di nullo del momento sul pilastro verso  il basso per cui  i pilastri 

del primo piano risultano più deformabili di quelli dei piani intermedi dove invece il punto di 

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 14 

 

nullo del momento è posto generalmente a metà altezza del pilastro; a causa dell’assenza 

del pilastro del piano superiore l’ultimo piano presenta anch’esso vincoli meno rigidi di quelli 

dei piani  intermedi. Un esempio è  illustrato  in  figura 15 dove è  illustrato  l’andamento del 

momento flettente per il telaio di figura 13 ma ora con 10 piani.  

Ultimi due piani

Piani intermedi

Primi due piani

Figura 15 – Telaio a molti piani - caratteristiche

della sollecitazione  

Le  precedenti  osservazioni  possono  essere  infine  estese  anche  al  caso  di  telai 

tridimensionali in quanto la rigidezza torsionale delle travi, generalmente non molto elevata, 

non è  in grado di  influenzare  in maniera rilevante  il comportamento  flessionale dei singoli 

telai, che si deformano sostanzialmente ognuno indipendentemente dall’altro.  

 

Figura 16 – Metodo delle aree d’influenza per la determinazione dello sorzo normale nei pilastri

Ppij=peso pilastro Wij = peso piano n=numero piani

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 15 

 

In  particolare,  per  la  valutazione  dello    sforzo  normale  nei  pilastri  è  ancora  valido  il 

metodo  delle  lunghezze  d’influenza,  denominato  nel  caso  specifico  “metodo  delle  aree 

d’influenza”  in  quanto  riguarda  più  travi  che  convergono  nel  pilastro  e  dunque  un’area 

piuttosto  che  una  lunghezza.  La  figura  16 mostra  come  valutare  l’area  d’influenza  di  un 

pilastro. 

Da  quanto  esposto  fin  ora  si  può  possono  trarre  alcune  significative  conclusioni 

sull’utilizzo di metodi e modelli  semplificati per una corretta valutazione delle modalità di 

ripartizione dei carichi verticali tra gli elementi resistenti di una struttura: 

 

1) Il metodo  delle  zone  d’influenza  è  generalmente  accettabile  per  la  valutazione  dello 

sforzo normale nei pilastri, almeno  in fase di predimensionamento, sia nel caso di telai 

piani che nel caso di  telai  tridimensionali. Occorre però modificare  la zona d’influenza 

nelle zone terminali dei telai e in particolare nei pilastri di bordo e nei pilastri adiacenti. 

Alcuni  autori  hanno  suggerito  coefficienti  correttivi  delle  aree  di  influenza  per  tener 

conto  di  una  corretta  distribuzione  dei  carichi  verticali  tra  solai  e  travi  e  tra  travi  e 

pilastri.  

In particolare per una corretta valutazione delle aree d’influenza dei pilastri Mihelbradt 

et al. (BIBLIO) suggeriscono di adottare i seguenti coefficienti. 

 

Tabella 1. Coefficienti correttivi delle aree d’influenza 

Pilastro Coefficiente

interno 1

di bordo 0.9

primo dopo quello di bordo 1.1

d’angolo 0.8

 

2) E’ possibile utilizzare  il modello di trave continua per  la valutazione delle sollecitazioni 

nei solai a patto di apportare opportune modifiche nei vincoli di estremità in maniera da 

tener conto delle condizioni di bordo che modificano la distribuzione delle sollecitazioni 

negli  elementi.  Generalmente  è  sufficiente  applicare  un  momento  negli  appoggi  di 

bordo pari  a pL2/(20÷24)  al modello di  trave  continua  (p,  L=luce  e  carico  campata di 

bordo) per ottenere risultati attendibili. 

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 16 

 

3) Per la valutazione delle sollecitazione nelle travi è possibile utilizzare il modello di trave 

continua,  anche  se  il  modello  di  telaio  parziale  è  da  preferire,  in  quanto  mette 

automaticamente  in  conto  l’influenza  della  deformabilità  flessionale  dei  piastri  sulle 

sollecitazione della trave.  

4) La  costruzione di modelli di  telaio  parziale dipende da una  corretta  valutazione dalla 

distanza  tra  il nodo  trave‐pilastro e  il punto di nullo del momento. Tale distanza può 

essere  scelta pari ad h/2 per  le  travi dei piani  intermedi, mentre per  il piano primo e 

ultimo  deve  essere  necessariamente  aumentata. Una misura  ragionevole  può  essere 

assunta è pari a 2/3h. 

 

   

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 17 

 

3. La ripartizione dei carichi orizzontali  

Un  edificio  è  caratterizzato  da  una  “struttura  portante“  il  cui modello  di  calcolo  da 

adottare  per  la  valutazione  delle  sollecitazioni  dipende  dal  grado  di  accuratezza  richiesta 

all’analisi.  

Con  particolare  riferimento  agli  effetti  dei  carichi  orizzontali  su  edifici  intelaiati  sono 

possibili 3 livelli di modellazione via via più sofisticati: 

 

Modello monodimensionale 

La  struttura  viene  sostituita  da  un  elemento  di  trave monodimensionale  sul  quale  a 

diverse altezze  (rappresentati  i diversi piani)  sono applicate  le  forze esterne  (orizzontali e 

verticali). Un modello così fatto può essere utilizzato per avere un’idea sulla risposta globale 

del sistema come ad esempio gli spostamenti di piano e tagli di piano. Esso non può essere 

utilizzato nel caso ci fosse l’esigenza di valutare le sollecitazioni dei singoli elementi. 

                 

Figura 17 – Modelli monodimensionale 

Modello bidimensionale (2D) 

Se  l’edificio presenta un  comportamento di  tipo  simmetrico  l’analisi della  sua  risposta 

può essere ridotta all’analisi della risposta di alcuni suoi elementi. Nello schema di struttura 

intelaiata si sceglie generalmente un telaio piano nella direzione di sollecitazione. 

Tale modello,  pur  nella  sua  semplicità,  permette  di  avere  un  certo  grado  di  dettaglio 

delle  sollecitazioni  dei  singoli  elementi  strutturali  sufficiente  per  valutare  la  sicurezza 

strutturale. I modelli bidimensionali sono stati così diffusi che alcuni autori in passato hanno 

   spostamento

taglio di base 

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 18 

 

proposto  metodi  di  soluzione  ad  hoc  (per  la  verità  assai  laboriosi  ma  efficaci)  per 

comportamento lineare delle membrature.  

 

 Figura 18 – Modello bidimensionale 

Con  l’avvento  del  calcolo  automatico  delle  strutture  questi modelli  sono  stati  e  sono 

tuttora  utilizzati  anche  per  la  valutazione  della  risposta  di  telai  a  comportamento  non 

lineare. 

 

Modello tridimensionale (3D) 

E’ di  fatto  il modello più  accurato. Permette di modellare  il  comportamento di  edifici 

anche estremamente  irregolari,  sia  in pianta  sia  in elevazione. Si  consideri ad esempio un 

edificio  con  la  pianta  indicata  in  seguito.  Se  si  applicassero  delle  forze  orizzontali  si  può 

immaginare facilmente la presenza di un rotazione del generico piano, questo per l’evidente 

differenza di comportamento dei telai di sinistra da quelli di destra (i primi sono più rigidi e 

quindi si deformano in misura minore).  

 Figura 18 – Modello Tridimensionale 

sollecitazione

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 19 

 

Per  la  valutazione  delle  forze  che  competono  ai  singoli  telai,  non  è  però  sufficiente 

distribuire  l’azione  esterna  in  funzione  della  rigidezza  globale  dei  telai  stessi, ma  occorre 

necessariamente  adottare  un  modello  trdimensionale,  che  metta  in  conto  anche 

l’accoppiamento roto‐traslazionale dell’edificio. 

Nei  paragrafi  successivi  verranno  analizzate  le  modalità  di  ripartizione  dei  carichi 

orizzontali  tra  gli  elementi  di  una  struttura  intelaiata,  in  presenza  o  meno  di  elementi 

irrigidenti quali pareti, nuclei ascensore, utilizzando  sia modelli piani che  tridimensionali e 

mettendo  in  luce  il  ruolo  dei  singoli  elementi.  L’intento  è  quello  di  suggerire  alcune 

raccomandazioni  sulla  disposizione  in  pianta  e  in  elevazione  degli  elementi  per  un 

comportamento strutturale più favorevole nei confronti delle azioni orizzontali. 

 

3.1. Il comportamento delle strutture piane   

(introduzione sulle tipologie di telai piano)

3.1.1. Il comportamento delle strutture intelaiate piane  

(discussione sul comportamento di telai a ritti pendolari di telai MRF (shear-type e non) e di strutture miste pareti-telaio

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 20 

 

3.1.2. il comportamento delle pareti (introduzione)

3.1.2.1. il comportamento delle pareti piene  (comportamento a mensola, la modellazione semplificata e la modellazione agli elementi

finiti, effetto tira e spingi nelle pareti)

3.1.2.2. il comportamento delle pareti con aperture 

3.1.2.2.1. pareti con trasversi infinitamente rigidi 

3.1.2.2.2. pareti con trasversi infinitamente deformabili  

3.1.2.2.3. pareti con trasversi a deformazione finita  

(IL METODO DELLE MENSOLE COMPOSTE, LA MODELLAZIONE AGLI ELEMENTI FINITI) 

 

 

   

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 21 

 

3.2. IL COMPORTAMENTO DELLE STRUTTURE 

TRIDIMENSIONALI  Come già si è avuto occasione di osservare gli edifici reali possono presentare un

comportamento strutturale che per sua natura di presta ad essere meglio rappresentato da

modelli tridimensionali piuttosto che da modelli piani. Il caso della valutazione delle

sollecitazioni dovute ad azioni orizzontali agenti sugli edifici intelaiati è un caso tipico che per

il suo enorme interesse, soprattutto nel campo delle azioni sismiche e del vento, è bene trattare

in maniera approfondita, mettendo in luce gli aspetti che riguardano la corretta disposizione

in pianta e in elevazione degli elementi strutturali (travi, pilastri, setti, nuclei, etc..) all’interno di

un edificio.

Nei paragrafi precedenti si è già avuto occasione di analizzare il comportamento statico

di strutture piane sotto azioni orizzontali. Per capire i concetti base legati all’estensione del

problema a tre dimensioni, viene dapprima analizzato il problema della ripartizione delle

forze orizzontali in edifici mono piano, costituiti da elementi distinti (pilastri, pareti, nuclei etc..)

collegati tra loro da un solaio rigido. Vengono poi forniti dei criteri di massima sulla

distribuzione in pianta degli elementi irrigidenti (pareti, nuclei ascensore)

Infine viene analizzato il caso di edifici a più piani e vengono fornite alcune indicazioni

sulla modellazione con l’aiuto di programmi agli elementi finiti oggi sempre più diffusi e

utilizzati dai professionisti.

3.2.1. La ripartizione delle azioni orizzontali in edifici 

monopiano ad elementi discreti 

Si consideri un edificio monopiano costituito da elementi distinti collegati tra loro da un solaio

rigido nel proprio piano, soggetto ad una coppia di forze orizzontali Fx e Fy. Le componenti di

spostamento sufficienti a descrivere il moto del solaio sono ovviamente 3: traslazione lungo x

(Sx), traslazione lungo y (Sy) e rotazione (θ). Il sistema di riferimento sia quello indicato in

figura 1 (O, x,y) rispetto al quale gli n elementi di supporto siano caratterizzato ognuno da un

sistema di assi locali (0’,1,2) ruotato dell’angolo αi (figura 2).

Il sistema è ovviamente iperstatico essendo il numero delle componenti di forza incognite

maggiori delle componenti di spostamento. Per la soluzione deve essere necessariamente

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 22 

 

impiegato anche il legame costitutivo dei singoli elementi che immaginiamo sia di tipo elastico

lineare. Ogni elementi è dunque caratterizzato da una rigidezza lungo l’asse locale 1 (k1i),

una rigidezza lungo l’asse locale 2 (k2i) ed eventualmente una rigidezza torsionale (kθi).

Per la soluzione del problema si può applicare indifferentemente il metodo delle forze o

degli spostamenti. Il metodo degli spostamenti è nel caso specifico più conveniente, essendo le

incognite cinematiche solamente 3.

Figura xxx – Edificio monopiano Figura xxx – Sistema di coordinate locali

Si applichi quindi una componente di spostamento di piano alla volta e si esprimano le

equazioni di equilibrio del piano nelle tre direzioni in funzione degli spostamenti. Ne risulta un

sistema algebrico di 3 equazioni lineari in 3 incognite (Sx,  Sy,θ) che si può risolvere in forma

chiusa.

Si applichi dapprima lo spostamento Sx al piano. Le reazioni dell’i-mo elemento, nel

sistema globale, il cui significato è facilmente desumibile dalle figure xxx, sono esprimibili

come segue:

, , (1)

, , (2)

, , , , , (3)

Figura xxx – Componenti locali di spostamento Figura xxx – Componenti locali di forza

x

y

0 xi

yi

Sx

Sy

θ

x

y

0

α

21

xi

yi

x

y

0

α

21

xi

yi Sx

Sxcosαi

Sxsinαi

x

y

0

α

21

xi

yi

k1i Sxcosαi

k2i Sxsinαi

Rxx,i

Rxy,i

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 23 

 

Infatti, lo spostamento Sx  provoca le componenti di spostamento locale indicate in figura

xxx. Di conseguenza le forze lungo gli assi locali saranno quelle indicate in figura xxx, le cui

componenti lungo gli assi globali X e Y sono proprio quelle indicate nelle equazioni (1) (2).

L’equilibrio alla rotazione rispetto all’origine degli assi globali produce dell’equazione (3).

Analogamente applicando una traslazione lungo l’asse Y, Sy si avranno le seguenti

componenti di forza nel riferimento globale:

, , (4)

, , (5)

, , , , , (6)

Figura xxx – Componenti locali di spostamento Figura xxx – Componenti locali di forza

Le rigidezze lungo gli assi x e y sono indicate con i simboli Kxx,i e Kyy,i mentre la rigidezza

roto-rotazionale lungo l’asse x e y sono indicate con i simboli Kxy,i e Kyx,i dove il primo simbolo

indica la componente di spostamento e il secondo la direzione della rigidezza. Si noti

l’uguaglianza delle rigidezze roto-traslazionali:

Kxy,i = Kyx,i 

Analogamente a quanto prima effettuato, applichiamo una rotazione rigida al piano ed

esprimiamo le componenti di forza dell’i-mo elemento in funzione della rotazione stessa.

Tenendo conto del vincolo di rigidità del piano l’i-mo elemento subirà gli spostamenti Sxi=θyi

ed Syi=­θxi. Di conseguenza le equazioni che si ottengono sono le seguenti:

, , , , , , (7)

, , , , , , (8)

, , , (9)

x

y

0

α

21

xi

yi

SySysinαi

Sycosαi

x

y

0

α

21

xi

yi

k1i Sycosαik2i Sxsinαi

Ryx,i

Ryy,i

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 24 

 

La rigidezza torsionale del singolo elemento è stata indicata con il simbolo Kθθ,i ed è

generalmente trascurabile, a meno che non si tratti di elementi ad elevata rigidezza

torsionale, come ad esempio i vani ascensori, per i quali non è lecito trascurarla.

Le equazioni di equilibrio dell’edificio nelle tra direzioni si possono quindi esprimere, per

ogni direzione principale, come la somma delle componenti nelle medesima direzione dovute

alle tre componenti di spostamento:

∑ , ∑ , ∑ , (10)

∑ , ∑ , ∑ , (11)

∑ , ∑ , ∑ , (12)

Le precedenti possono essere espresse in forma più compatta utilizzando la notazione

matriciale:

ossia (12)

dove i termini sulla diagonale principale della matrice di rigidezza K sono i termini di

rigidezza diretti mentre fuori dalla diagonale sia hanno i termini legati all’accoppiamento

roto-torsionale. Il caso che più comunemente si incontra nella pratica progettuale è quello per

il quale gli assi locali degli elementi coincidono con gli assi cartesiani globali di riferimenti

(sistema α=0) (Figura xxxx).

Figura xxx – Sistema α=0 e posizione del centro di rigidezza

In tal caso la matrice di rigidezza K del sistema si semplifica essendo nulle le rigidezze

miste Kxy e Kyx..

x

y y’

x’CR

ycrxcr

0

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 25 

 

Infatti, ricordando la definizione di rigidezza mista si ottiene:

 

, 0 (13)

Il sistema in forma matriciale assume quindi al forma semplificata seguente

∑ , 0 ∑ ,

0 ∑ , ∑ ,

∑ , ∑ , ∑ , ,

(14)

In tali condizioni, applicando uno spostamento Sx=1, il sistema risponderà con il seguente

sistema di reazioni strutturali nelle tre direzioni principali:

0

,

In presenza di un sistema semplice come quello di figura xxx la sola traslazione produce

anche una componente di momento, rispetto all’origine degli assi. E’ovvio chiedersi dove

occorre traslare il sistema di riferimento affinché tale componente si annulli, ossia determinare

sistema di riferimento per il quale il momento statico delle rigidezze si annulli. L’origine di tale

sistema è detto centro delle rigidezze indicato in figura xxx con il simbolo CR, le cui

coordinate sono le seguenti:

∑∑ ,

∑∑ (15)

Passando al nuovo sistema di riferimento la matrice di rigidezza diventa diagonale e il

sistema di equazioni si disaccoppia:

0 00 00 0

(16)

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 26 

 

La soluzione del sistema è immediata:

∑ , ∑ ,

∑ , , (17)

Le componenti di spostamento dei singoli elementi si trovano ricordando che sussiste il

vincolo di rigidità cinematica del piano che li collega, esprimibile attraverso le relazioni

seguenti:

Dalle precedenti si ricavano infine le reazioni strutturali dei singoli elementi:

Sostituendo le espressioni degli spostamenti del piano rigido si ottengono le forze nelle

due direzioni principali dell’elemento i-mo:

,∑ ,

,∑ , ,

(18)

,∑ ,

,∑ , ,

(19)

Si noti l’analogia con l’espressione della formula di Navier per la presso-flessione di travi

di De Saint Venant. Esse suggeriscono che per aumentare la rigidezza torsionale della

struttura occorre disporre gli elementi il più lontano possibile dal centro delle rigidezze, senza

però che quest’ultimo subisca spostamenti. In genere è sufficiente disporre gli elementi preposti

a sopportare i carichi orizzontali nella periferia dell’edificio. Situazioni particolari possono

invece richiedere uno studio ad hoc della posizione in pianta degli elementi.

Esempio xxx: Si consideri l’edificio monopiano indicato nella figura seguente. Essendo gli

elementi resistenti delle pareti, di spessore s=16 cm si ha che k2<<k1 e dunque si può

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 27 

 

adottare la semplificazione per la quale k2 può essere considerato trascurabile. Una seconda

semplificazione è quella di trascurare la deformazione a taglio. Un terza semplificazione è

quella di considerare le pareti incastrate a terra e libere di ruotare in sommità, in quanto si

ritiene che il solaio non sia in grado di contrastare la rotazione in sommità degli elementi.

Figura xx – Pianta dell’edificio analizzato

Sotto tali ipotesi la rigidezza flessionale del singolo pannello è pari a ki=3EJ/H3. Essendo i

pannelli alti H=4.5 m e realizzati in calcestruzzo armato con modulo elastico Ec=310000 MPa

le rigidezze valgono:

3 3 31000 16 50012

450 170.000

3 3 31000 16 30012

450 36.740

Poiché il sistema possiede un asse di simmetria parallelo all’asse X il centro delle rigidezza

il l’ordinata del centro di rigidezza CR è nota e pari a yCR=2.5 m. Rimane da determinare la

posizione del centro di rigidezza rispetto all’asse Y. Ricordando la definizione di centro di

rigidezza la sua ascissa avrà l’espressione:

∑∑

0 3 113

143 4.67

La forza F applicata al sistema sia pari a 1000 kN e sia posizionata a 7.5 m dal setto 1.

La sua posizione rispetto al centro delle rigidezze risulta quindi pari a 2.83 m. Riportando la

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 28 

 

forza al CR le componenti di forza esterne sono costituite da una forza F=1000 kN e da un

momento M0=2830 kNm.

Di conseguenza le componenti di forza longitudinale delle singole pareti varranno:

,

∑ ,

,

∑ , ,

1003 4.20 4.67 137

,

∑ ,

,

∑ , ,

1003 4.20 1.67 263

,

∑ ,

,

∑ , ,

1003 4.20 6.33 600

La somma di tali reazioni deve essere pari alla forza F. Le reazioni degli elementi 4 e 5

deve invece costituire necessariamente una coppia:

,

∑ ,

,

∑ , ,0 4.2 2.5 105

,

∑ ,

,

∑ , ,0 4.2 2.5 105

La forza esterna F viene quindi ripartita tra gli elementi dell’edificio secondo lo schema

indicato nella figura seguente.

Figura xx – Ripartizione delle forze orizzontali

   

137 kN263 kN 600 kN

105kN

105kN

2630 kNm

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 29 

 

3.2.2. La disposizione in pianta degli elementi irrigidenti 

Le formule 18 e 19 ricordano come già detto le formule per la valutazione delle tensioni in

travi presso-inflesse. Ne discende, che conviene aumentare il momento d’inerzia delle

rigidezze disponendo gli elementi sulla periferia. La disposizione degli elementi secondo gli

assi globali di riferimento permette inoltre l’immediata diagonalizzazione della matrice di

rigidezza e una immediata visione del comportamento strutturale lungo gli assi principali

dell’edificio

Non è però raro incontrare situazioni nelle quali non è così chiaro il comportamento sotto le

azioni orizzontali. Ad esempio la figura seguente mostra una situazione, certamente non rara,

nella quale non è immediata la ricerca della disposizione ottimale degli elementi. Ci si chiede

pertanto se esistono delle direzioni principali rispetto alle quale conviene orientare gli

elementi per ottenere una risposta strutturale più vantaggiosa dell’edificio rispetto alle

sollecitazioni torcenti.

Figura xxx – Direzioni principali di un edificio

La ricerca delle direzioni principali può essere fatta cercando quel sistema di riferimento

che diagonalizza la matrice di rigidezza. Esistono molte tecniche di diagonalizzazione di

matrici, che si basano su opportuni cambi di base (BIBLIO). Una volta determinate le direzioni

principali si possono esprimere i momenti d’inerzia rispetto ad esse e si può così costruire

l’ellisse centrale d’inerzia delle rigidezze. Ciò permette di valutare la direzione di maggior

debolezza dell’edificio, ed eventualmente suggerire interventi di irrigidimento proprio in

quella direzione.

Per comprendere meglio dal punto di vista fisco il problema della determinazione delle

direzioni principali di un edificio monopiano si può procedere come segue. Una volta valutato

il centro delle rigidezze esso può essere considerato l’origine del sistema di riferimento

α

xk yk

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 30 

 

principale in quanto alcuni termini fuori la diagonale si annullano, come già osservato in

precedenza. Per la determinazione delle direzioni principali che annullano gli altri termini

della matrice di rigidezza si può far riferimento alla sottomatrice 2x2 della matrice di

rigidezza stessa interpretandola come un tensore simmetrico del 1° ordine.

00

0 0 (20)

Come noto tutti tensori simmetrici del 1° ordine hanno alcune proprietà importanti, una

delle quali è quella di possedere 2 direzioni principali tra loro ortogonali, il cui angolo

d’inclinazione α può essere determinato con la relazione seguente (BIBLIO):

(21)

Una volta valutato l’angolo d’inclinazione è possibile determinare anche le rigidezze

principali dell’edificio, al fine di valutare se si è in presenza o meno di una direzione debole

nei confronti delle azioni orizzontali.

Esistono criteri consolidati per la disposizione di elementi in pianta che derivano

essenzialmente dall’esperienza in campo sismico.

Prima fra tutti è quello della regolarità strutturale, dalla quale derivano i criteri di

semplicità strutturale e di simmetria. Quest’ultima garantisce evidentemente un buon

comportamento rispetto a qualsiasi direzione di provenienza delle forze esterne, mentre la

semplicità strutturale garantisce al progettista la piena consapevolezza dei percorsi di carico

per una corretta disposizione degli elementi resistenti. Inoltre la modellazione, l’analisi, il

dimensionamento, la definizione dei dettagli, sono soggetti a minori incertezze e la previsione

del comportamento della struttura risulta più affidabile.

Un ulteriore importante criterio è quello di garantire un buon comportamento torsionale.

Disposizioni molto eccentriche possono indurre eccessivi spostamenti in elementi lontani dal

centro di rigidezza. Ad esempio un nucleo ascensore disposto come in figura indurrebbe

elevati spostamenti nei pilastri di bordo.

Occorre evitare anche situazioni a scarso comportamento torcente, un esempio delle quali

è riportato in figura xxx. La zona piu scura indica il luogo dei punti all’interno dei quali se

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 31 

 

ricadesse la risultante delle forze esterne si avrebbe un ridotto apporto torcente dell’edificio

per l’annullarsi dei contribuiti di alcuni dei suoi elementi.

Figura xxxx- Disposizione eccentrica del nucleo

ascensore

Figura xxx – Configurazione a scarso

comportamento alle sollecitazioni torcenti

Un ulteriore criterio, quasi sempre rispettato, è quello dell’iperstaticità del sistema. Ciò

garantisce il buon funzionamento del sistema di controventamento orizzontale, anche in

presenza di rottura prematura di alcuni elementi, al contrario di configurazioni isostatiche per

le quali potrebbero non esserci risorse sufficienti per contrastare sollecitazioni torcenti in fase

post-elastica.

Occorre inoltre porre molta attenzione a situazioni nelle quali il sistema pure essendo

iperstatico, a causa della particolare disposizione degli elementi esso diventa degenere. Un

esempio è quello indicato in figura xx. Il sistema è degenere poiché dal punto di vista

cinematico esiste un centro di rotazione che rende labile il sistema che non è in grado di

equilibrare il momento torcente esterno M=F ×d.

Figura xxx – Sistema di controventamento labile

CR

Spost.eccessivo

Centro di Rotazione

Fd

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 32 

 

Nel caso di edifici multipiano la situazione diventa evidentemente più complessa rispetto a

quanto fin ora esposto, anche se alcuni dei concetti prima illustrati possono essere ritenuti

ancora validi.

Figura xxx – edificio regolare Figura xxx – telaio multipiano

shear-type

Figura xxx – edificio

irregolare in altezza

Nell’ipotesi di piani rigidi il sistema di equazioni che governa la statica del sistema è simile

a quello degli edifici monopiano (vedi eq. 12). Si può in particolare individuare per il piano i-

mo una terna di incognite cinematiche Sxi,  Syi,  θi e scrivere le equazioni di equilibrio nelle tre

direzioni (X, Y, θ), giungendo così al sistema lineare seguente:

……

…. .

ovvero (22)

La matrice di rigidezza K è generalmente piena ed è costituita da blocchi di matrici sulla

diagonale principale che rappresentano le matrici di rigidezza dei singoli piani. Le matrici

fuori dalla diagonale principale rappresentano gli elementi di interazione tra un piano e

l’altro.

…. .

… … … … … (23)

Baricentri allineati Baricentri disallineati

Sxi

Syiθi

X

Y

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 33 

 

Nel caso di edifici regolari in pianta e in elevazione, per i quali i centri di rigidezza dei

singoli piani risultano essere allineati (Figura XXX), le direzioni principali rimangono anch’esse

inalterate, sicché la forma della matrice, con riferimento al centro delle rigidezze di ciascun

piano, assume la forma seguente:

0 00 00 0

0 00 00 0

0 0 . .0 0 . .0 0 . .

0 00 00 0

0 00 00 0

0 0 . .0 0 . .0 0 . .

0 00 00. .

0. . . .

0 00 00. .

0. . . .

0 0 . .0 0 . .0. .

0. .

. .… .

(24)

Gli elementi contrassegnati da una x sono gli elementi non nulli, gli elementi contrassegnati

da un sono elementi nulli solo nel caso di edifici con telai tipo shear-type. In tal caso infatti,

la struttura della matrice K si semplifica in quanto la propagazione delle interazioni tra i piani

è limitata dall’ipotesi di travi infinitamente rigide.

La soluzione del sistema è molto semplice in quanto esso si disaccoppia in tre sistemi

indipendenti dai quali possibile ricavare le incognite cinematiche:

(25)

(26)

(27)

dove le matrici Ki contengono gli elementi associati alla componente di spostamento i=x,y,θ.

In casi più generali, quando le condizioni di regolarità strutturale vengono meno, è possibile

che le direzioni principali non esistano. E’ il caso ad esempio dell’edificio di figura xxx nel

quale l’ultimo piano è di dimensioni ridotte. Ciò comporta un disallineamento dei centri di

rigidezza con conseguente impossibilità di determinare direzioni principali univoche per l’intero

edificio.

In tal caso per la soluzione è necessario ricorrere a programmi ad hoc o programmi agli

elementi finiti con i quali è possibile modellare configurazioni strutturali del tutto generali.

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3.2.3.

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34 

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 35 

 

Nuclei scale e ascensori presentano in genere delle aperture, anche se discontinue lungo

l’altezza, e un modesto spessore delle pareti (dell’ordine di 15-20 cm).

Rispetto a quanto illustrato precedentemente c’è la necessità di aggiungere alcune

informazioni sulla modellazione di tali elementi, così che si possa correttamente tener conto

nell’edificio del loro contributo irrigidente.

Figura xxx- Esempio di nucleo scale e differenti livelli di modellazione

Un esempio di nucleo scala è illustrato in figura xxx. Un primo livello di modellazione è

rappresentato in figura xxx (a). Esso è realizzato mediante elementi monodimensionali. Ogni

tratto di parete viene modellato con un elemento trave la cui sezione è pari alla sezione della

parete stessa. In maniera analoga i trasversi vengono modellati con elementi trave con sezione

trasversale di altezza pari a quella del trasverso e spessore pari allo spessore della parete.

Tali elementi vengono poi collegati tra loro mediante tratti rigidi (rigid-link), così come già

illustrato nel caso delle pareti. I setti vengono infine considerati incastrati a terra, anche se la

realizzazione fisica di tale vincolo richiede particolare attenzione (BIBLIO).

Figura xxx – Imposizione della congruenza

dello spostamento verticale Figura xxx – Trasferimento delle tensioni di

taglio nello spigolo

(a) (b) (c) (d)

Piano rigido 

Parete 

Stessospostamento verticale 

Rigid‐link 

τ

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 36 

 

Modelli più raffinati fanno uso di elementi finiti di piastra-lastra che permettono di

simulare sia il comportamento nei confronti delle azioni verticali (comportamento a lastra) che

delle azioni orizzontali (comportamento a piastra). Tre esempi di modelli via via più raffinati

sono quelli illustrati in figura xxx b) c) e d). Il modello b) prevede che le pareti siano

modellate con elementi finiti rettangolari piani a 4 o 8 nodi mentre i trasversi sono modellati

con bielle equivalenti in grado di simulare sia il comportamento flessionale sia il

comportamento a taglio.

Figura xxx – elementi di piastra a 8 nodi e campi di spostamento

La figura xxx illustra il modello a bielle equivalenti di un trasverso. Le bielle orizzontali di

area Ah simulano le forze interne (compressione e trazione) legate alla flessione mentre le

bielle inclinate simulano il comportamento a taglio (BIBLIO).

Figura xxx – Modello a bielle equivalenti del trasverso

Per la componente flessionale è sufficiente eguagliare la rigidezza flessione del trasverso

con quella del modello a bielle (momento d’inerzia rispetto al centro del trasverso) per

ottenere l’area Ah.

2 2 12

In maniera del tutto analoga si ottiene l’area delle bielle inclinate.

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37 

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N

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k

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Trave

 

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 38 

 

Per elementi a sezione aperta è conveniente che le rigidezze traslazionali nelle due

direzioni principali siano riferite al centro di torsione della sezione. L’effetto torsionale potrà

essere determinato successivamente, una volta note le forze sull’elemento. Il centro di torsione

di una sezione è quel punto nel quale è possibile applicare la forza di taglio, senza che nella

sezione nasca alcuna sollecitazione di torsione.

A titolo d’esempio si consideri il nucleo irrigidente di figura xxx costituito da 3 setti posti

ad U del quale si vuole calcolare il centro di torsione.

Figura xxx – Geometria nucleo Figura xxx – Forze interne del nucleo

Il centro di torsione Ct si valuta facilmente applicando la sua definizione. Per valutarne

l’ascissa, ad esempio, si immagini di spostare la risultante delle forze verticali dal centro di

torsione Ct al setto verticale. Per effetto di questo spostamento il sistema di forze sarà

composto dalla medesima risultante verticale V, ma con in più una coppia Q h.

Per ovvi motivi di equivalenza statica la distanza d dal setto verticale, alla quale si trova il

centro di torsione Ct, si trova imponendo la seguente identità:

(xx)

La forza orizzontale Q si valuta integrando lo scorrimento nel singolo tratto orizzontale,

espresso mediante la formulazione approssimata di Jourawsky:

Q τtdξ tdξ ξt dξ (xx)

h

b

d

GCt GV

Q

Q

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 39 

 

In maniera del tutto analoga si può esprimere la risultate dello scorrimento verticale V,

integrando cioè il prodotto τ t su tratto verticale di lunghezza h:

V 2 τtdξ tdξ bt ξt dξ (xx)

Con le espressioni precedenti è possibile esprimere d in funzione delle caratteristiche

geometriche della sezione, in particolare la lunghezza dei singoli tratti:

(xx)

Infine è possibile valutare la distanza del centro di torsione dal baricentro del nucleo

sommando la distanza d alla distanza dG tra il setto verticale e il baricentro G. C’è da

aggiungere che qualora esista un asse di simmetria, il centro di torsione è sicuramente

posizionato su di esso. Se la sezione è a doppio asse di simmetria il centro di torsione coincide

con il baricentro.

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 40 

 

A titolo d’esempio si consideri un edificio ad un piano composto da un nucleo irrigidente e

tre pareti poste in pianta come illustrato in figura xxx. L’edificio è realizzato su una griglia 7.5

m x 7.5 m e i setti sono di spessore costante pari a 0.2 m. Ogni parete ha un momento

d’inerzia longitudinale pari a 7,03 m4, mentre il nucleo irrigidente ha un momento d’inerzia

lungo x pari a 28.13 m4 e un momento d’inerzia lungo y pari a 49.22 m4. La rigidezza

torsionale propria del nucleo irrigidente si considera trascurabile visto che la sezione è di tipo

aperto a spessore sottile.

Figura xxx – Esempio di edificio con nucleo ascensore

CR

GCT

F=1000 kN

y Y’

X

X’

(1)

(2)(4)

(3)

3.21 2.50

4.29

11.2512.00

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 41 

 

Il centro delle rigidezze CR dell’edificio è posizionato nel punto di coordinate:

XCR 11.66 m YCR 12.00 m

La tabella seguente mostra i dettagli relativi al loro calcolo.

Esso è stato valutato con riferimento al centro di torsione CR del nucleo irrigidente per

tener conto del solo contributo statico alla traslazione del nucleo. Il centro di torsione si trova

con la formula ricavata precedentemente:

2 33.21

A questo punto è possibile calcolare le forze nei singoli elementi:

Elemento  Forza Fxj traslazione 

Forza Fyj traslazione

Forza Fxj Rotazione

Forza Fyj Rotazione 

Forza totale lungo X 

Forza totale lungo Y 

1  0  777,8  ‐44.89  ‐773.00  ‐44.89  4.89 

2  0  0  44.89  0  44.89  0 

3  0  111,09  0  386.50  0  497.59 

4  0  111,09  0  386.50  0  497.59 

Somma  0        0  1000 

Le forze applicate nel baricentro del nucleo lungo X ed Y, possono essere successivamente

riportate al suo baricentro per determinare anche gli effetti della torsione. Nota la distanza d

il momento torcente sarà pari a Mt Fy d xG 256.32 kNm.

Controvento Iyj xj Iy . xj Ixj yj Ix . yj1 49,22 4,29 211,15 28,13 11,25 316,462 0,00 26,25 0,00 7,03 15,00 105,453 7,03 37,50 263,63 0,00 3,75 0,004 7,03 37,50 263,63 0,00 18,75 0,00

somma 63,28 738,40 35,16 421,91