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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE Corso di laurea magistrale in Lingua e Cultura italiane per stranieri TITOLO DELLA TESI: PROGETTO DI RICERCA VOLTO A DELINEARE L’ATTIVITÀ PROFESSIONALE DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE IRLANDESI CONTEMPORANEE: INDAGINE SULLE DINAMICHE DELLA CONVERSAZIONE TRIADICA INTERPRETE-OPERATORE SANITARIO-PAZIENTE Tesi di laurea in Lingua Inglese (LM) Relatrice: Presentato da: Prof.ssa Mette Rudvin Daniele Boni Correlatrice: Prof.ssa Mary Phelan SESSIONE II Anno accademico: 2011/2012

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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE

Corso di laurea magistrale in Lingua e Cultura italiane per stranieri

TITOLO DELLA TESI:

PROGETTO DI RICERCA VOLTO A DELINEARE L’ATTIVITÀ

PROFESSIONALE DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ NELLE

STRUTTURE OSPEDALIERE IRLANDESI CONTEMPORANEE:

INDAGINE SULLE DINAMICHE DELLA CONVERSAZIONE

TRIADICA INTERPRETE-OPERATORE SANITARIO-PAZIENTE

Tesi di laurea in Lingua Inglese (LM)

Relatrice: Presentato da:

Prof.ssa Mette Rudvin Daniele Boni

Correlatrice:

Prof.ssa Mary Phelan

SESSIONE II

Anno accademico: 2011/2012

1

Alla mia famiglia

2

INDICE

1. CAPITOLO I – Introduzione .......................................................................... 5

1.1 Definizione del concetto d’interpretazione ........................................ 6

1.2 Storia ed evoluzione dell’interprete di comunità ............................... 9

1.3 Interpretariato di conferenza e di comunità ..................................... 14

2. CAPITOLO II – Ruolo dell’interprete di comunità .................................... 17

2.1 Visibilità ed invisibilità nella comunicazione triadica ..................... 19

2.2 Caso di studio: Inventario del ruolo interpersonale

dell’interprete ......................................................... 22

2.3 I partecipanti all’evento mediato .................................................... 25

2.3.1 Agenzie d’interpretariato .......................................... 26

2.4 Dinamiche relazionali fra i partecipanti all’evento mediato ............. 29

3. CAPITOLO III – L’interprete di comunità in ambito medico .................... 33

3.1 La relazione medico-paziente ......................................................... 36

3.2 Consultazione medica: tre modalità d’interrogazione ...................... 39

3.3 Caso di studio: analisi comparativa della consultazione

diadica e triadica medico-paziente .................................................. 42

4. CAPITOLO IV – Accessibilità delle strutture sanitarie in Irlanda............. 49

4.1 Interpretariato nelle istituzioni pubbliche: le politiche

linguistiche ..................................................................................... 50

4.2 Interpreti formali e pazienti con LEP .............................................. 52

4.3 Mediazione linguistica informale .................................................... 54

4.4 Diverse modalità di mediazione a distanza ...................................... 55

4.4.1 Mediazioni telefoniche .............................................. 56

4.4.2 Interpretazione a distanza e Videoconferenze ............ 58

3

5. CAPITOLO V – Codici etici a confronto ..................................................... 62

5.1 I codici etici: un tema controverso .................................................. 62

5.2 Medical interpreting: due codici americani ..................................... 67

5.2.1 Massachusetts medical interpreting association

standards of practice ................................................. 67

5.2.2 California standards for healthcare interpreters:

Ethical Principles, Protocols, and Guidance

on Roles & Intervention ............................................ 70

6. CAPITOLO VI – Assistenza linguistica in Irlanda: aspetto giuridico ........ 78

6.1 Organizzazione delle Nazione Unite: convenzioni e trattati............. 80

6.2 Alcune direttive dell’Unione Europea in materia

di discriminazione .......................................................................... 83

6.3 Diritto alla non discriminazione: la Costituzione irlandese .............. 86

7. CAPITOLO VII – Caso di studio: l’attività dell’interprete di comunità

nelle strutture ospedaliere irlandesi ............................... 90

7.1 Modalità di raccolta dei dati: fonti dirette ed indirette ..................... 91

7.2 Le interviste.................................................................................... 93

7.2.1 Interprete A: lingua Spagnola e Portoghese .............. 93

7.2.2 Interprete B: lingua Spagnola, Portoghese,

Francese............................................... 96

7.2.3 Interprete C: lingua Cinese ....................................... 99

7.2.4 Interprete D: lingua Rumena .................................. 100

7.2.5 Interprete E: lingua Polacca I ................................. 102

7.2.6 Interprete F: lingua Polacca II ............................... 104

7.2.7 Interprete G lingua Croata ..................................... 106

7.2.8 Interprete H: lingua Araba ..................................... 109

8. CAPITOLO VIII – Conclusioni .................................................................. 112

Ringraziamenti ........................................................................................................ 117

4

Bibliografia ............................................................................................................. 118

Sitografia ................................................................................................................. 122

Appendici:

Appendice A – Questionnarie ................................................................................... 123

Appendice B – Informed consent form for Interpreters ............................................. 124

Appendice C – ITIA code of ethics for community interpreters ................................ 126

Appendice D – Code of practice and professional ethics........................................... 131

5

CAPITOLO I

INTRODUZIONE

“Power differentials have always been in place between communicating individuals,

and many times they have been determined by language use.” (Angelelli, 2004:8)

La figura dell’interprete nella storia ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale

all’interno di ogni società avanzata. Grazie ad esso si sono potuti costruire ponti

comunicativi fra molteplici civiltà ponendo le basi per una fitta rete di relazioni

commerciali, sociali e culturali. Sin dai tempi dell’antica Grecia e dell’Impero Romano

gli interpreti vengono tenuti in grande considerazione, se ne loda la capacità di compiere

molteplici funzioni allo stesso tempo, nonché l’essere artefici di efficaci transazioni

commerciali e di fruttuosi rapporti diplomatici (Pӧchhacker and Shlesinger 2002:19).

Dal 1492 al 1518 questa figura assume un ruolo cruciale nella colonizzazione spagnola

delle Americhe. L’importanza di un’efficace comunicazione con le popolazioni native

appare lampante a Colombo, che spesso si avvale di interpreti nativi americani a cui

viene insegnata, con sistemi spesso discutibili, la lingua e la cultura spagnola. Viene

riportato come lo stesso Cortés utilizzasse ben tre interpreti nativi per dialogare con le

popolazioni della penisola dello Yucatan. I documenti asseriscono come Cortés si

rivolgesse in spagnolo al primo interprete che, a sua volta, traduceva in lingua Maya ad

un secondo. Quest’ultimo poi riproponeva il messaggio nella varietà linguistica della

popolazione locale. Il terzo interprete svolgeva così unicamente funzione di controllo

della precisione e correttezza del messaggio tradotto dai due interpreti, dialogando

unicamente con Cortés (Bastin in Baker 2001:506). Il conquistatore spagnolo ricopre

una posizione dominante nell’evento mediato, preoccupandosi di controllare il suo

andamento ed i contenuti. Questa testimonianza dimostra come le prime forme di

interpretariato avvenissero fra individui che non condividevano lo stesso status sociale.

Tale fenomeno, che talvolta può essere riscontrato anche in età contemporanea, conduce

così ad una differenziazione del potere esercitato da ciascun partecipante all’evento

mediato.

Con la formazione dei tribunali nel 1563 l’attività degli interpreti ottiene lo status di

professione. Vengono creati regolamenti per decretarne il salario in base al numero di

domande da tradurre, e definirne le condizioni lavorative. Nel XX secolo la figura

6

dell’interprete diventa ancora una volta centrale. Con i processi di Norimberga (1945-

1946) in conclusione del secondo conflitto mondiale, la necessità di formare un numero

maggiore di interpreti diventa impellente, cosicché l’interpretariato inizia ad essere

inserito all’interno dei percorsi accademici. Diverse Università in Europa, Asia,

America, Africa e Oceania iniziano così a proporre corsi di laurea e percorsi di studio

specifici per tale disciplina. Le esigenze comunicative venutesi a creare in un panorama

mondiale sempre più interconnesso hanno evidenziato il bisogno di interpreti che

potessero permettere un’efficace comunicazione fra Capi di stato che non condividono

la stessa lingua. L’impiego di interpreti in contesti internazionali ha fatto sì che

molteplici corsi universitari fossero dedicati all’interpretariato in sede di conferenza

(conference interpreting) piuttosto che in quello di comunità (community interpreting).

Con la fine del XX secolo e l’inizio del XXI fatti come l’11 Settembre 2001 ed i

conflitti in Kosovo e Macedonia hanno messo in evidenza la necessità

dell’insegnamento di lingue come l’arabo ed il persiano, ritenute fino a quel momento

minoritarie (Angelelli, 2004:11). Come sottolinea Angelelli l’interpretariato entra così

nel mondo accademico per fini squisitamente pragmatici piuttosto che come mero

oggetto di studio. Motivo per cui i principi su cui oggi si basa questa disciplina sono il

risultato di esperienze empiriche piuttosto che di una ricerca vera e propria.

1.1 Definizione del concetto d’interpretazione

L’interpretazione, intesa come conversione orale da una lingua all’altra, viene

generalmente considerata come una branca della traduzione. Sebbene queste due

discipline siano strettamente vicine fra loro, presentano caratteristiche molto diverse.

Numerosi autori hanno definito la traduzione con un processo di conversione da una

lingua ad un’altra della parola scritta, altri con interpretazione hanno fatto riferimento al

processo di traduzione delle produzioni orali dei parlanti. La differenza del mezzo con

cui avviene la conversione interlinguistica è il tratto distintivo più evidente che

caratterizza questa disciplina, tuttavia non è la sola. Definendo il concetto

d’interpretazione è necessario tenere in considerazione la sua rapida realizzazione,

sottolineando il fatto che lo scambio comunicativo fra i parlanti avviene in un

determinato momento, in base alle modalità scelte dall’interprete. A questo fine Otto

Kade (1968) propone d’andare oltre la tradizionale differenziazione di queste due

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discipline, sottolineando come il concetto d’immediatezza sia una caratteristica

peculiare che le contraddistingue. Ciò implica che la produzione orale nella lingua

d’origine venga presentata una sola volta, cosicché non può essere rivista o ripetuta,

inoltre, la conversione di tale produzione nella lingua d’arrivo è soggetta alla pressione

del tempo, limitando così la possibilità di revisione e di correzione. Lo stesso

Pӧchhacker sostiene questa posizione, affermando che: “Interpreting is a form of

Translation in which a first and final rendition in another language is produced on the

basis of a one-time presentation of an utterance in a source text” (Pӧchhacker, 2004a).

La natura immediata dell’interpretazione fa sì che l’interprete debba possedere ottime

capacità d’ascolto e memorizzazione. Allo stesso modo deve essere in grado di

convertire il testo comunicato dalla lingua d’origine in quella d’arrivo e viceversa,

presupponendo così un’elevata preparazione linguistica e culturale.

Hale (1997: 10) sottolinea come diversi contesti lavorativi possono influenzare le

modalità d’interpretazione ed il tipo d’interazione adottate dagli interpreti. In

conferenze internazionali, tramite un supporto multimediale (cuffie e talvolta monitor),

gli enunciati vengono tradotti in modo simultaneo (simultaneous mode) e la tipologia

interazionale è monologica. In tribunali (escludendo però il contesto italiano) o in

contesti meno formali dove l’interprete non utilizza cuffie, l’interpretazione può essere

svolta tramite traduzione simultanea sussurrata (simultaneous whispering o chuchotage)

mantenendo tuttavia inalterata la sua monologicità. Tramite la modalità consecutiva di

lunga durata (long consecutive mode), che spesso viene impiegata durante brevi sessioni

informali o durante piccole conferenze, l’interprete può riportare in modo monologico

fino a cinque minuti di discorso. Per quel che riguarda l’interpretazione all’interno di

organi pubblici quali ospedali, tribunali, stazioni di polizia e centri d’accoglienza, si fa

ricorso alla modalità consecutiva di breve durata (short consecutive mode) sotto forma

di dialogo. L’interprete si ritrova a gestire la comunicazione fra due persone che non

parlano la stessa lingua, i cui turni di parola sono relativamente brevi. Scenario che

come si vedrà nel corso di questa trattazione caratterizza l’attività dell’interprete di

comunità.

Analizzando le caratteristiche dell’interpretazione (Hale, 2007), diversi studiosi si

sono interrogati sul ruolo ricoperto dal concetto di “fedeltà” (faithfulness), sia

all’interno della stessa disciplina che in quella della traduzione. L’approccio adottato da

8

Wadensjӧ non si concentra sulle modalità di resa del significato nella lingua d’arrivo,

ma piuttosto mette in evidenza come sia l’intervento dell’interprete che quello del

traduttore implica un certo apporto creativo nei confronti del testo originale: “An act of

translating is in practice performed by a specific “I”, speaking or writing on behalf of a

substantial other” (Wadensjӧ, 1998:41). La questione legata alle modalità di

interpretazione/traduzione, più o meno fedele (faithful) al testo originale ed al suo

significato, porta così a dovere scegliere fra un’interpretazione/traduzione più letterale

ed una più pragmatica volta verso la lingua d’arrivo. Tale dilemma sembra arrivare ad

un punto di svolta al sopraggiungere del concetto d’equivalenza (Hermans, 1995), che

molti autori individuano come il principale obiettivo da perseguire. Nida ne individua

due tipologie: l’equivalenza formale (formal equivalence) e l’equivalenza dinamica

(dynamic equivalence). La prima si concentra sul contenuto e sulla forma del messaggio

originale, mentre la seconda si dedica a ciò che viene definito come “the principle of

equivalent effect” (Nida,1964:159), principio basato sulla capacità

dell’interpretazione/traduzione d’ottenere il medesimo impatto sul pubblico d’arrivo che

il testo originale avrebbe ottenuto su quello di partenza. Altri, come Catford (1965),

parlano d’equivalenza formale e d’equivalenza testuale. Allo stesso modo Rabin e

House sostengono come l’obiettivo primario di un traduttore sia quello di riportare nella

lingua d’arrivo lo stesso significato presente nel testo originale, dove l’equivalenza

pragmatica dovrebbe essere privilegiata rispetto a quella semantica (Rabin, 1958:123).

“In translation, it is always necessary to aim at equivalence of pragmatic meaning, if

necessary at the expense of semantic equivalence. Pragmatic meaning thus overrides

semantic meaning. We may therefore consider a translation to be primarily a pragmatic

reconstruction of its source text” (House, 1977:28)

Le molteplici definizioni che nel corso degli anni sono state applicate al concetto

d’equivalenza testimoniano come sia stato analizzato da differenti punti di vista,

diventando uno dei principali temi di studio sulla traduzione (translation studies), così

come l’interrogativo sulla possibilità di raggiungere la totale equivalenza fra testo di

partenza e testo d’arrivo (Jakobson, 1959).

9

L’interpretazione non può essere considerata una semplice attività meccanica basata

sulla conversione da un codice ad un altro (code switching), in quanto la sua natura fa sì

che si debba tenere conto dell’effetto che la traduzione avrà sui partecipanti allo

scambio comunicativo. L’intervento più o meno “visibile” dell’interprete nella

conversazione fa sì che venga considerato parte attiva (Wadensjӧ, 1998). Soprattutto per

quel che riguarda l’interpretariato di comunità, il testo finale prodotto rappresenta il

risultato della somma dell’intervento dei parlanti e dell’interprete, cosicché si parla di

costruzione triadica del discorso e della conversazione (Hale, 1997: 12), in cui i concetti

espressi in una data lingua vengono elaborati nel corso dell’interazione fra i parlanti e

l’interprete stesso (Wadensjӧ, 1998).

“[…] In a dialogue, each turn from one speaker will prompt a response or a

reaction from the other speaker. In a dialogue interpreting situation, each

turn is processed through the interpreter, who, even when attempting to be

fully accurate to the original, is a different person […] and will inevitably

bring to the interaction his or her own person – a third participant. Different

interpreters will produce different renditions […] which may trigger

different reactions in the participants […]” (Hale, 1997: 12)

L’interpretazione può essere considerata un vero e proprio processo in cui la

comprensione, la conversione e la trasmissione del testo finale sono le tappe principali

(Hale, 1997: 14). Pӧchhacker (2004a: 119) sottolinea come la comprensione non è un

processo passivo ma è profondamente legata al bagaglio conoscitivo di ciascun

individuo. Ciò implica che l’elaborazione di nuove informazioni mette in atto una serie

di meccanismi mentali volti a relazionare le nuove informazioni con le altre già

possedute.

1.2 Storia ed evoluzione dell’interprete di comunità

Secondo Chesher (1997: 278) il termine community interpreting, che nel corso di

questa trattazione sarà tradotto con interprete di comunità, viene per la prima volta

utilizzato in Australia a partire dal 1970, accompagnato da altre denominazioni come

“ethnic communities” o “community health”. Solamente all’inizio del 1980 arriva in

10

Europa, dove nella denominazione anglosassone più comune prende il nome di

“community interpreting”, preferito a denominazioni come “ad-hoc interpreting” o

“cultural interpreting” (cf. Roberts 1997: 8). Tuttavia in Inghilterra il temine è sostituito

con “public service interpreting” (cf. Longley 1984; Shackman 1984).

Generalmente, l’interprete di comunità viene impiegato all’interno di organi istituzionali

dove i fornitori di servizi pubblici (service provider) ed i clienti non condividono la

stessa lingua. A differenza dell’interpretazione svolta per favorire i rapporti

internazionali fra paesi, come può essere una conferenza, il community interpreting ha

lo scopo di facilitare la comunicazione fra due entità sociali che rappresentano culture

differenti fra loro.

Il termine community interpreting continua ad essere oggetto di numerosi dibattiti fra

ricercatori ed interpreti. La ricerca conduce spesso alla formazione di categorie

all’interno dello stesso ambito per descrivere i fenomeni che vengono presi in

considerazione. Snell-Hornby sostiene che “the tendency to categorise is innate in man

and essential to all scientific development” (1988:26). Lo stesso concetto

d’interpretazione è oggetto di questa categorizzazione, si veda ad esempio la

differenziazione fra interpretazione simultanea e consecutiva, dove le modalità di

svolgimento diventano parametro di confronto fra le due (Slevsky, 1982 in Alexieva,

1997). Allo stesso modo Mason (2000) distingue l’attività dell’interprete in due

principali filoni: il conference interpreting ed il community ineterpreting, utilizzando il

contesto situazionale come variabile differenziante. Per questa ragione, sovente con

community interpreting si intendono tipologie d’interpretazione differenti: talvolta

generali, altre più specifiche e settoriali. In alcuni paesi il termine fa riferimento ad

interpreti ad hoc non qualificati, spesso volontari (Dueñas Gonzàles et al., 1991); altri

come Pӧchhacker (1999) fanno riferimento all’attività dell’interprete all’interno della

sanità o dell’assistenza pubblica, sottolineando come:

“In the most general sense, community interpreting refers to interpreting in

institutional settings of a given society in which public service providers and

individual clients do not speak the same language […]. Community

interpreting facilitates communication within a social entity (society) that

includes culturally different sub-groups. […] 'community' refers to both the

11

(mainstream) society as such and its constituent sub-community (ethnic or

indigenous community, linguistic minority, etc.) […]” (Pӧchhacker,

1999:126-7)

Gentile (1997) e Roberts (1997) sostengono come l’uso di un singolo termine possa

aiutare maggiormente a evitare divisioni all’interno della stessa disciplina. La posizione

assunta da Mikkelson (1996: 126) rafforza tale principio, aggiungendo come la

categorizzazione terminologica all’interno dello stesso ambito ha spesso fatto sì che

alcune sue parti si distanziassero ritenendosi più prestigiose, indebolendo così l’intero

settore. E’ il caso del differente status professionale che viene riscontrato fra conference

interpreting e community interpreting, e court interpreting da ad hoc interpreting.

Mikkelson fornisce tale definizione di interprete di comunità: “[…] community

interpreters provide services for residents of a community, as opposed to diplomats,

conference delegates, or professionals travelling abroad to conduct business […] “

(Mikkelson, 1996: 127-7, original emphasis). Gentile, tuttavia, usa il termine liaison

interpreting piuttosto che community interpreting, definendolo come “[…] the name

given to the genre of interpreting where the interpreting is performed in two language

directions by the same person.” (Gentile et al., 1996: 17), mantenendone tuttavia

inalterato il significato. La posizione assunta da Roberts tende a raggruppare sotto il

nome di community interpreting ciò che da altri viene definito come liaison interpreting

o escort interpreting, sottolineando come è possibile averne più tipologie:

Public service interpreting

Medical interpreting

Legal interpreting

La questione legata alla denominazione ed al significato di community interpreting è

quindi oggetto di opinioni talvolta molto divergenti fra loro. Per questa ragione, ai fini

della trattazione di questo progetto di tesi, nei capitoli successivi con tale termine si farà

riferimento a qualsiasi tipo d’interpretazione fra parlanti appartenenti alla comunità di

un singolo stato. Cosicché la principale categorizzazione che sarà tenuta in

considerazione sarà quella fra community interpreting e conference interpreting.

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Sebbene il termine community interpreting sia di costituzione relativamente recente

Roberts afferma come in realtà tale pratica rappresenta la forma più antica di

interpretazione. A differenza del conference interpreting, che compare solamente nella

prima metà del XX secolo, si sottolinea come in realtà vi siano testimonianze di

community interpreting sin dai primi incontri fra differenti gruppi linguistici. Già nel

1534 (Delisle, 1977: 5-14) in Canada viene registrato un primo episodio in cui

l’esploratore francese Jacques Cartier rapì due irochesi1 per insegnare loro la propria

lingua, in modo che potessero fare da interpreti fra i coloni e gli abitanti nativi. Sempre

in Canada, nel XVII secolo vi sono testimonianze di coloni francesi che avvicinatisi alla

lingua ed alla cultura delle popolazioni locali fungevano da interpreti e da diplomatici.

Arrivando al XX secolo, Pӧchhacker vede nell’Australia il pioniere di questa nuova

forma d’interpretazione. Alla fine del secondo conflitto mondiale il continente

australiano conosce una forte immigrazione da parte di persone per lo più non

anglofone, cosicché il loro numero si andò a sommare a quello degli Aborigeni,

trasformando il continente in un insieme eterogeneo di lingue ed etnie. Chesher fa

notare come già a partire dal 1970 il governo Australiano inizia a dedicare particolare

attenzione ai servizi di supporto linguistico, fenomeno che viene attribuito anche alla

crescente influenza politica delle comunità di migranti, oltre che ad una maggiore

sensibilizzazione verso il multiculturalismo ed il multilinguismo (cf. Chesher 1997:

282ff). Dopo alcuni anni in cui l’utilizzo di interpeti ad hoc2 è stato preponderante, nel

1973 il Dipartimento dell’Immigrazione attiva un servizio di supporto linguistico

telefonico (telephone interpreter service), nel Nuovo Galles del Sud si crea un gruppo

di 27 interpreti da impiegare in 17 ospedali di Sidney. Da tale progetto dedicato alle

strutture sanitarie nasce così il New South Wales Healthcare Interpreter Service che

mette a disposizione un gruppo di più di cento interpreti attivi per tutto l’arco della

giornata (cf. Chesher 1997: 286).

L’Australia, oltre ad essere uno dei primi paesi a fornire una diffusione capillare di

interpreti nelle strutture ospedaliere, contribuisce a creare nuovi standard e sistemi di

accreditamento. Tramite la National Accreditation Authority for Translators and

Interpreters (NAATI, 1977) viene fatta una distinzione fra quattro tipologie d’interprete:

1 Popolazione nordamericana originariamente stanziata tra gli attuali Stati Uniti e il Canada 2 Familiari o personale bilingue non formalmente preparato

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1) interprete para-professionale (paraprofessional interpreter); 2) interprete

(interpreter); 3) interprete di conferenza (conference interpreter); 4) senior conference

interpreter. Tale sistema di monitoraggio della qualità dei servizi di mediazione

linguistica presenti sul territorio australiano fa riferimento a tutte le tipologie

d’interpretazione e di traduzione, compreso il linguaggio dei segni. La figura

dell’interprete di comunità viene fatta rientrare nella categoria di “interprete”,

delineando così, per la prima volta, le competenze richieste e gli standard professionali

a cui attenersi (cf. Bell, 1997). E’ bene sottolineare come tale regolamentazione sia stata

voluta e guidata da autorità statali, in quanto la prima associazione professionale di

interpreti, AUSIT (association of interpreters and translators) si forma solamente nel

1987.

Pӧchhacker afferma come in Europa la diffusione e la regolamentazione della

professione dell’interprete di comunità presentano caratteristiche differenti rispetto al

caso australiano. Sebbene paesi come Francia e Olanda negli ultimi anni abbiano fornito

una qualche forma di supporto linguistico all’interno delle strutture sanitarie o

d’assistenza, altri come Germania, Austria e Spagna sono solo all’inizio per quanto

riguarda la regolamentazione di tale figura professionale. Nel corso della trattazione si

potrà vedere come anche l’Irlanda, sebbene negli ultimi anni abbia conosciuto

un’ingente flusso migratorio, non sia ancora in grado di fornire un’efficace provvisione

di interpreti qualificati all’interno delle strutture sanitarie. La Svezia è uno dei paesi

europei pionieri nella creazione di percorsi di training dedicati alla professione

dell’interprete di comunità, per lo più sotto forma di brevi corsi gestiti da associazioni

volontarie. La Gran Bretagna, a sua volta, grazie all’Institute of Linguists, nel 1994 crea

il Registro degli interpreti dedicati al servizio pubblico (Register of Public Service

Interpreters) allo scopo di raccogliere i nominativi di tutti gli interpreti di comunità

free-lance specializzati nel settore legale e sanitario (cf. Ostarhild 1996).

Questo tentativo di uniformare gli standard professionali riguardanti i diversi ambiti

d’impiego dell’interprete di comunità si rivela differente rispetto l’approccio adottato

dagli Stai Uniti, dove si dedica maggiore attenzione all’attività dell’interprete nel settore

giuridico. Tale mancanza da parte dell’autorità statale conduce così diverse associazioni

professionali, Massachusetts Medical Interpreters Association (MMIA) e la California

14

Healthcare Interpreters, ad attivarsi per regolamentare l’attività dell’interprete di

comunità in ambito sanitario.

1.3 Interpretariato di conferenza e di comunità

All’interno della società organi istituzionali sanitari, legali, dei servizi sociali e altri

hanno spesso bisogno d’interagire con persone non udenti o migranti che non

condividono lo stesso codice linguistico. Per questa ragione la diversità degli ambiti in

cui il community interpreting può trovare applicazione rende questo servizio molto

complesso da descrivere in ogni sua parte, in quanto le variabili coinvolte sono spesso

molteplici. Oggigiorno il community interpreting tende sempre di più a specializzarsi su

un determinato settore, si parla di “court interpreting” o “healthcare interpreting” (anche

definito “medical interpreting”), tuttavia per la maggior parte continua a mantenere le

propria identità di pratica sfruttabile in molteplici settori.

La valenza professionale dell’interpretariato di comunità è stata sovente oggetto di

dibattito fra gli studiosi di tale disciplina. González, Vásquez, and Mikkelson (1991),

nel loro Fundamentals of Court Interpretation, affermano che il “Community

interpreting refers to any interpretation provided by non-professional interpreters.”

(1991: 29). Questa nuova tipologia d’interprete talvolta viene considerata non

professionale, amatoriale, che quindi è da distinguere dagli interpreti professionisti che

lavorano nei tribunali, negli ospedali, nelle conferenze ecc. Pӧchhacker sottolinea come

lo status professionale di un’attività è tuttavia fortemente legato al grado di

certificazioni che ogni singolo individuo ottiene, e dall’esistenza di regolamenti che

forniscano precisi standard a cui attenersi. La pluralità e la variabilità degli elementi che

influenzano l’interprete di comunità sono d’ostacolo al raggiungimento di tali obiettivi.

In un contesto in cui organi pubblici debbano comunicare con migranti o persone non

udenti spesso viene considerato inevitabile che si faccia sovente ricorso ad “interpreti

naturali”, quali familiari o amici, diminuendo così la necessità di ricorrere ad interpreti

veri e propri. Lo stesso gran numero di interpreti di comunità non qualificati porta ad

una bassa considerazione all’interno del campo della mediazione linguistica.

L’evoluzione del community interpreting dall’essere considerata un’occupazione ad una

professione dipende da una serie di fattori che coinvolgono più settori della società. Si

sottolinea come tale passaggio sia legato alla volontà degli organi pubblici di creare le

15

condizioni per la provvisione di interpreti di comunità tramite agenzie specializzate.

Sebbene spesso “[…] economic considerations prevail over (underdefined) legal

provisions and integrationist policies, the fuzzy boundary between professional and

amateur interpreting is likely to shift in favor of the latter.” (Pӧchhacker, 1999:125).

Il cosiddetto interpretariato di conferenza (conference interpreting), più recente

rispetto all’interpretariato di comunità (community interpreting), sembra godere di una

maggiore considerazione professionale nell’ambito della mediazione linguistica. Come

ha ricordato Pӧchhacker la mancanza di regolamentazioni che gestiscono l’attività del

secondo è uno dei motivi che sono alla base di tale considerazione. Sebbene una delle

principali differenze fra conference interpreting e community interpreting risieda nel

fatto che la prima si svolge fra parlanti provenienti da paesi e comunità eterogenee, Hale

sottolinea come siano altrettanto differenti le modalità con cui le sessioni di mediazione

vengono svolte. L’interpretazione in sede di conferenza viene svolta in modo

simultaneo, grazie all’aiuto di strumenti multimediali che vengono forniti agli interpreti,

mentre l’interprete di comunità opera in modo consecutivo. A seconda della situazione,

tuttavia, quest’ultimo può avvalersi della modalità simultanea o di traduzione a vista

(sight interpreting) (Nicholls, 1992). Il livello di formalità è un altro fattore

differenziante, cosicché i registri linguistici adottati risultano diversi. In sede di

conferenza gli interpreti sono portati ad utilizzare un registro linguistico formale o semi-

formale, mentre quello utilizzato dall’interprete di comunità può subire variazioni a

seconda della situazione o dell’ambito lavorativo in cui viene impiegato. Un’altra

importante differenze riguarda il livello di precisione (accuracy) delle due forme

d’interpretazione. Mentre nel conference interpreting viene privilegiato il contenuto di

un discorso piuttosto che la forma (Shlesinger 2000: 7), nel community interpreting

risulta altrettanto importante prestare attenzione alla modalità con cui vengono

trasmesse le informazioni (Tebble, 1999; Berk-Seligson, 1990/2002; Hale, 2004).

Gentile sottolinea come il community interpreting (o liaison interpreting) si basa su

“the physical proximity of the interpreter and clients; an information gap between the

clients; a likely status differential between the clients; the necessity to interpret into both

language directions; working as an individual and not as part of a team.” (Gentile et al.,

1996:18).

16

Tabella riportante le principali differenze fra Conference interpreting e

Community interpreting. (Hale, 2007)

Conference interpreting Community interpreting

Registro linguistico Formale o semi-formale Varia dal meno formale al

più formale

Direzionalità del

linguaggio

Unidirezionale Bidirezionale

Locazione dell’interprete Non in prossimità dei

clienti (isolato nella cabina)

Forte prossimità con i

clienti

Modalità

d’interpretazione

Simultanea Consecutiva (in alcuni casi

simultanea, o sight

translation)

Conseguenza per errori

d’interpretazione

Non molto gravi Potenzialmente gravi

Livello di precisione

richiesta

Media Alta

Status dei clienti Spesso professionisti Differente estrazione

sociale

Numero d’interpreti Diversi (lavoro di gruppo) Uno

17

CAPITOLO II

IL RUOLO DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ

Il ruolo dell’interprete di comunità rappresenta un tema su cui si è molto discusso

cercando di delinearne la fisionomia. L’interprete viene spesso rappresentato come colui

che offre un servizio (provider of service) o come produttore di testo (producer of text).

Sovente gli viene attribuito un ruolo passivo e neutrale all’interno della conversazione

triadica, considerato un mero strumento, un “mezzo” tramite il quale i partecipanti

primari possono comunicare e convertire messaggi da una lingua all’altra (Wadensjӧ,

1997: 36). Morris riferendosi al ruolo dell’interprete nell’ambito legale parla di

convertitore linguistico (language switching) definendo il suo intervento come “un male

necessario” (cf. Herbert, 1952: 4). Wadensjӧ prende distanza da tali concezioni e

sottolinea la multifunzionalità del ruolo ricoperto dall’interprete, precisando come tale

figura contribuisca alla costruzione del significato, considerando il discorso come

un’attività (talk as activity) piuttosto che come semplice testo (talk as text).

Angelelli sostiene come la definizione di nuovi schemi che possano aiutare a

rinnovare la percezione del ruolo dell’interprete di comunità è spesso ostacolata dal

difficile dialogo fra ricerca e teoria. Per questa ragione si propone d’analizzare l’attività

dell’interprete facendo riferimento a studi svolti nel campo delle scienze sociali. I

principi inseriti nella teoria sociale di Bourdieu offrirebbero la possibilità di vedere

l’interprete di comunità come un agente istituzionale, la cui condotta è influenzata dal

contesto. Allo stesso modo, facendo riferimento alla linguistica antropologica di Hymes,

si evidenzierebbe come l’interprete partecipi attivamente nella costruzione del

significato durante la conversazione (Angelelli, 2004). Nel Code of ethics for

Community interpreters redatto dall’ITIA, che in seguito sarà preso in esame, il ruolo

primario dell’interprete viene identificato col facilitare la comunicazione fra due

soggetti che non parlano la stessa lingua: “The primary aim of the community

interpreter should be to facilitate communication between two persons who do not

speak the same language”3; non si fa tuttavia preciso riferimento al comportamento che

l’interprete di comunità dovrebbe tenere.

3 ITIA, Code of ethics for Community Interpreters

18

Riferendosi alla conversazione triadica fra medico, paziente ed interprete Meyer

(1998) sottolinea come il ruolo attivo di quest’ultimo può essere riscontrato nel

supporto fornito ai due partecipanti primari riproducendo gli enunciati nella lingua

d’arrivo ed organizzando i turni di parola (turn-taking). Nello stesso contesto

situazionale Leanza (2008) individua quattro possibili ruoli che l’interprete di comunità

può ricoprire: 1) agente di sistema (system agent), dove si occupa di trasmettere al

paziente il contenuto principale del discorso del medico, tendendo ad eliminare o

appianare possibili differenze culturali; 2) agente di comunità (community agent), dove

si comunica al medico il contenuto del discorso del paziente; 3) agente d’integrazione

(integration agent), dove si cerca di creare la situazione ottimale per la negoziazione del

significato fra operatore sanitario e paziente; 4) agente linguistico (linguistic agent),

dove l’interprete di comunità mantiene una posizione imparziale nella mediazione,

intervenendo unicamente a livello della lingua.

Getzels4 (1958) teorizza come spesso la considerazione che l’interprete ha del

proprio ruolo, definita come “dimensione ideografica”, sia differente rispetto alle

aspettative che gli organi istituzionali hanno nei suoi confronti, facendo riferimento alla

“dimensione nomotetica”. Goffman (1961) divide la concezione del concetto di ruolo in

tre categorie. La prima è rappresentata dal “ruolo normativo”, definito come l’insieme

di idee astratte legate allo svolgimento di una certa attività. La seconda è il “ruolo

tipico”, che viene determinato dalla varietà di scenari in cui ci si trova ad operare.

L’ultima è la “performance del ruolo”, basato sullo stile e le modalità d’azione di colui

che svolge l’attività. A tale proposito Greenhalgh (2006) sottolinea come il ruolo

ricoperto dall’interprete di comunità sia spesso oggetto a restrizioni determinate da

protocolli presenti all’interno dell’ambito istituzionale, cosicché la sua percezione e

concezione sia piuttosto eterogenea. A questo fine nel prossimo paragrafo si prenderà in

considerazione una tematica che è profondamente legata al ruolo dell’interprete: la

questione legata alla visibilità o invisibilità durante la comunicazione triadica.

4 Getzels, J., W. (1958) Administration as a social process , In Gentile e al. (1996:31), Chicago:

University of Chicago

19

2.1 Visibilità ed invisibilità nella comunicazione triadica

L’attività dell’interprete di comunità durante la mediazione interlinguistica può

essere molto complessa. Si è potuto verificare come l’ambito lavorativo sovente

richieda differenti performance facendo sì che spesso le aspettative degli organi

istituzionali differiscano dalla percezione che ogni singolo interprete ha del proprio

ruolo. Tuttavia, la maggior parte delle associazioni professionali, tramite la stesura di

codici etici, auspica che la condotta dell’interprete durante lo scambio comunicativo sia

completamente neutrale ed invisibile ai partecipanti primari alla conversazione. Sebbene

la ricerca nel campo dell’interpretazione si sia sempre concentrata maggiormente sui

processi cognitivi legati all’elaborazione delle informazioni da parte dell’interprete,

negli ultimi anni si è potuto notare un cambio di tendenza, dove la possibilità

d’interazione di quest’ultimo è divenuta centrale. L’interprete inizia ad essere

considerato come un “essere sociale” soggetto e partecipante all’evento comunicativo,

che può essere influenzato dall’ambito lavorativo in cui si ritrova ad operare. Nuovi

studi sulle gestione dei turni di parola e sull’interpretazione faccia a faccia (face-to-face

interpreting) mettono in evidenza il ruolo attivo che ricopre della conversazione

(Belanger, 2003; Berk-Seligson, 1990; Metzger, 1999; Roy, 2000; Wadensjӧ, 1995 and

1998). Alla luce di queste ricerche Angelelli (2004) ritiene necessario rivisitare il

concetto di “invisibilità” dell’interprete, in quanto non può più essere considerato una

presenza nascosta ai partecipanti che si limita alla mera conversione da una lingua

all’altra. Secondo Wadensjӧ (1998: 66) il concetto d’invisibilità trattato da molti codici

etici presupporrebbe il considerare l’interprete come “persona presente, ma

effettivamente trattata come assente”. Il concetto di visibilità presuppone così che

nell’analisi delle abilità possedute dall’interprete non si presti attenzione unicamente

alla capacità di commutazione linguistica, in quanto egli contribuisce alla costruzione

del discorso e ne condivide la responsabilità nella negoziazione del significato. Citando

le parole di Angelelli (2004) si può affermare che l’interprete non è trasparente ma

opaco, persona che oltre a essere visibile agli interlocutori è portatore di un bagaglio

culturale che può influenzare la direzione della comunicazione. Ne consegue che,

secondo quello che viene definito “modello della visibilità”, questa non sia riscontrabile

unicamente dalla sola presenza fisica, ma anche dal processo di cooperazione attiva con

20

i partecipanti alla conversazione (Angelelli, 2004), oltre che nello svolgersi delle

seguenti azioni (Angelelli, 2004):

introduzione o posizionamento del proprio “io” come parte dell’evento

comunicativo (divenendo co-partecipante e co-costruttore)

fissazione di norme comunicative (come la gestione dei turni di parola) e

controllo del traffico delle informazioni

parafrasi o spiegazione di termini e concetti

spostamento del messaggio su e giù lungo la scala dei registri linguistici

filtrazione delle informazioni

schieramento con uno dei partecipanti

Si sottolinea come la visibilità, o opacità dell’interprete di comunità, continua

tuttavia ad essere sovente messa in ombra dal concetto di “invisibilità”. Una delle cause

che secondo Roy (1993 in Pӧchhacker and Shlesinger 2002) si trovano alla base di tale

tendenza è la modalità adottata dagli interpreti professionisti per definire se stessi ed il

proprio ruolo. Il ricorso alla metafora del condotto (channel), della macchina (machine),

del telefono (telephone), della finestra (window) o del ponte (bridge), perpetua l’idea di

un interprete passivo che esegue un’azione meccanica. Angelelli sostiene come queste

considerazioni siano fortemente influenzate dalla concettualizzazione dell’interprete

come “fantasma” (Kopscinscki 1994, in Pӧchhacker and Shlesinger 2002) dove la

precisione nella resa del significato diventa l’aspetto principale a cui prestare attenzione.

Parafrasando Wadensjӧ (1998:8) tale concezione:

“It assumes no interaction between interpreter and speakers, no interaction

between speakers among themselves unless through the interpreter, and that

interpreting can indeed happen in a social vacuum, since it overlooks social

and cultural factors brought by the interpreter and the parties to the

interaction. […] the interpreter is seen as a language modem.” (Angelelli,

2004: 20)

21

La tensione che viene individuata fra i principi contenuti nei codici etici promossi

dalle associazioni professionali e la loro reale applicazione pone diversi interrogativi

che li mettono in discussione. A questo fine Wadensjӧ afferma come sovente gli

interpreti affermano di rispettare alla lettera tali codici, ma poi nella performance

quotidiana vengono smentiti:

“The uncompromising defence of the ”just translating” model should

perhaps be understood as the interpreters voicing the credo of an

occupational group. As is the case with other so-called liberal professions,

the individual practitioner is responsible before her or his colleagues. The

single member either belongs to the association of professionals and accepts

his norms, or is excluded and will be grouped among the non-serious

performers or amateurs. Yet, when experienced interpreters account for

concrete instances of interpreting, it is obvious that they are well aware of

the fact that interpreting involves a complexity of activity.” (Wadensjӧ,

1998:285-286)

Si può notare come la persistenza del “mito dell’invisibilità” sia profondamente legata

alla definizione dello status di ciascun interprete. L’accostarsi ad una serie di norme, di

codici di condotta, può dunque fare la differenza fra essere considerati professionisti o

amatori. La rottura di questo schema, o “cerchio chiuso” (closed circle), consentirebbe

così alla disciplina di progredire e migliorarsi (Angelelli 2004).

Al fine di verificare il potere interazionale dell’interprete all’interno della

comunicazione, Berk-Seligson (1988) negli Stati Unita simula un processo in un aula di

tribunale dove una giuria fittizia avrebbe dovuto ascoltare il resoconto di un unico

testimone tramite la traduzione di due differenti interpreti professionisti. Lo scopo

dell’esperimento era verificare l’impatto che le due interpretazioni avrebbero avuto sui

membri delle giuria. Come risultato si ottenne che le interpretazione fornite

provocarono differenti reazioni, mettendo in evidenza la non invisibilità dell’interprete,

e la peculiarità di ciascuna interretazione.

22

2.2 Caso di studio: Inventario del ruolo interpersonale dell’interprete

Al fine della nostra trattazione si ritiene utile riportare di seguito un progetto di

ricerca condotto da Angelelli in cui si elabora un inventario del ruolo interpersonale

dell’interprete (IPRI: Interpreter’s Interpersonal Role Inventory) allo scopo di

analizzare la percezione del ruolo dell’interprete nella comunicazione transculturale. In

modo particolare la ricerca mira a verificare l’atteggiamento degli interpreti nei

confronti della visibilità ed invisibilità in diversi ambiti lavorativi. A questo fine

vengono individuate cinque variabili ritenute caratteristiche della visibilità (Angelelli,

2004: 50):

1) Alignment with the parties

2) Establishing trust with/ facilitating mutual respect between the parties

3) Communicating affect as well as message

4) Explaining cultural gaps/ interpret culture as well as language

5) Establishing communication rules during the conversation

L’elaborazione dell’IPRI è il frutto dello studio che ha coinvolto 293 interpreti fra

U.S.A., Canada e Messico tenendo in considerazione ogni contesto e combinazione

linguistica nell’ambito dell’interpretazione di conferenza, dell’interpretazione di

comunità (ambito sanitario e legale) e dell’interpretazione telefonica. A questo fine i

principali interrogativi a cui si è tentato di fornire risposta sono:

1) Se esiste una relazione fra il bagaglio culturale e l’appartenenza sociale

dell’interprete e la sua percezione della visibilità, tenendo in considerazione

cinque variabili indipendenti: età, educazione, genere, reddito e

identificazione col gruppo dominante o subordinato

2) Come interpreti operanti in diversi ambiti percepiscono e gestiscono il

continuum visibilità/invisibilità, dove la variabile indipendente è

rappresentata dal contesto lavorativo (setting)

3) Se interpreti operanti in diversi contesti lavorativi percepiscono lo stesso

ruolo in modo diverso

23

Un primo dato che può essere preso in considerazione da questo studio è il livello di

partecipazione degli interpreti, in quanto su 967 questionari IPRI inviati solamente 293

sono stati compilati. Tramite le testimonianze raccolte Angelelli arriva alla conclusione

che gli interpreti non percepiscono il proprio ruolo come totalmente invisibile,

sottolineando come in linea generale non si limitano unicamente a trasmettere il

messaggio, ma contribuiscono direttamente alla costruzione della fiducia e il rispetto

reciproco fra i partecipanti, riempiendo i gap culturali e talvolta schierandosi con una

delle parti coinvolte nella conversazione. Allo stesso tempo si è riscontrato come ogni

settore sia caratterizzato da un diverso grado di visibilità cosicché spesso il

posizionamento dell’interprete rispetto al continuum visibilità/invisibilità tende a

dipendere dall’ambito lavorativo. In particolare buona parte degli interpreti impiegati in

contesti sanitari considerano il proprio ruolo più visibile rispetto ad interpreti di

conferenza o legali, in quanto il contatto con i partecipanti primari è più diretto. Di

seguito si riporteranno le risposte di alcuni interpreti che risultano interessanti

(Angelelli, 2004: 78):

1) “Our work is serious, and we must be respectful no matter what. Of course we

can have feelings – we are human – but we keep them to ourselves. We are not

participants; we are channeling other people’s words and feeling and give our all

to do so” (Interprete di conferenza, membro AIIC, U.S.)

L’interprete in questione afferma con forza come la propria condotta debba essere

assolutamente neutrale a prescindere dall’influenza di qualsiasi elemento esterno o

interno alla conversazione. Si può notare come ci sia un forte contrasto fra etica e

professione, richiamando il discorso legato al “ruolo normativo” ed alla “ performance

del ruolo”. La visione dell’interprete come mero condotto che non può essere

annoverato fra i partecipanti alla conversazione sembra essere ben radicata,

sottolineando come la capacità di essere neutrale si possa acquisire unicamente con

l’esperienza ed il duro lavoro. La neutralità e l’invisibilità vengono considerate

l’obiettivo principale che ogni interprete professionista dovrebbe possedere per definirsi

tale. L’atteggiamento dell’interprete nei confronti della visibilità/invisibilità in questo

caso diventa determinante per definirne lo status di professionista o meno.

Un’altra risposta che merita di essere riportata è la seguente (Angelelli, 2008:79):

24

2) “[…] many of the questions are not applicable to my experience as conference

interpreter. I can see myself giving very different answers with respect to a

community interpreting situation. I am not sure that the two are really

comparable communication situation.” (interprete di conferenza, membro AIIC,

Canada)

Questa risposta tende ad evidenziare come le dinamiche di diversi contesti situazionali

sono profondamente diverse, tanto che si afferma che il ruolo dell’interprete di

conferenza è differente rispetto a quello dell’interprete di comunità. Si riconosce che le

opinioni potrebbero variare in base al cappello che un interprete sta indossando in quel

momento. Inoltre, sottolineando la difficile comparazione dei due contesti di

comunicazione si smentisce la metafora del “condotto”, che al contrario afferma che

tutti gli eventi mediati sono uguali.

3) “From the questions you ask I suppose your study does not apply to conference

interpreters who are in booth and almost never interact with their clients […] A

professional interpreter has to be neutral. His job is to facilitate communication.

Nothing else […]” (interprete di conferenza, membro AIIC, U.S.)

Dalle risposte prese in considerazione si può notare come gli interpreti sostengono che

le domande del sondaggio condotto non fossero applicabili ad interpreti di conferenza

come loro, in quanto non interagiscono direttamente con i clienti. L’operare dall’interno

della cabina di traduzione sembra escluderli dalla comunicazione, tant’è che non si

percepiscono come partecipanti allo scambio comunicativo. Tuttavia, nella terza

risposta l’interprete sembra contraddirsi affermando che il compito dell’interprete è

quello di facilitare la comunicazione (Angelelli, 2004: 80)

I dati raccolti tramite l’IPRI dimostrano come la visibilità sia una caratteristica

dell’attività di ogni interprete in ogni contesto lavorativo, non escludendo nemmeno

l’interpretazione di conferenza, la cui natura monologica potrebbe fare supporre ad una

sua totale invisibilità. Si è dimostrato come gli interpreti si percepiscano visibili tanto

nell’interazione faccia a faccia che in quella telefonica. Infine si è potuto appurare come

l’appartenenza sociale e il bagaglio culturale dell’interprete possono influenzare la

percezione del proprio ruolo. In linea a tale principio, facendo riferimento alla

25

formazione ed al training dei nuovi interpreti, si ritiene maggiormente educativo

l’insegnare a gestire la mediazione in modo attivo piuttosto che promuovere il “mito

dell’invisibilità”. Si ritiene dunque importante fornire agli studenti strumenti che

permettano loro di comprendere appieno il proprio ruolo, gestendo criticamente gli

aspetti positivi e negativi legati al continuum visibilità/invisibilità, al fine d’offrire ai

partecipanti allo scambio comunicativo una performance di qualità.

2.3 I partecipanti all’evento mediato

Analizzando le caratteristiche della comunicazione mediata dall’interprete di

comunità in vari contesti, è necessario delineare le caratteristiche dei partecipanti ed

analizzarne le relazioni. A questo fine si prenderanno in considerazione i partecipanti

primari, l’interprete di comunità e l’istituzione che offre il servizio. Inoltre, ci si

occuperà d’analizzare il ruolo ricoperto dalle agenzie d’interpretariato nella

comunicazione triadica, quarto partecipante che Ozolins (2007) definisce “terzo cliente”

(third client) dell’interprete.

Con il termine “partecipanti primari” generalmente si indicano il rappresentante

dell’istituzione di riferimento e la persona che gli si rivolge per ottenere un determinato

servizio (generalmente utente straniero). Entrambi possono essere definiti come i

principali clienti con i quali l’interprete di comunità è a stretto contatto, tant’è che

spesso la mediazione è condotta faccia a faccia (soprattutto in ambito medico-sanitario e

legale). Roy (1997) sottolinea come i partecipanti primari non siano solo dei parlanti

attivi, ma anche ascoltatori attivi, che contribuiscono alla negoziazione del significato

veicolato. Spesso la loro comunicazione non avviene unicamente tramite la lingua

parlata da ciascun partecipante, che naturalmente è diversa, ma anche da una serie di

convenzioni automatiche ed inconsce che sono associate al proprio linguaggio. Tali usi

linguistici possono palesarsi nelle modalità con cui si inizia o si conclude un discorso;

nella percezione dei turni di parola o nei segnali di comprensione o non comprensione.

Al fine d’analizzare i rapporti fra i partecipanti all’evento mediato può essere utile

fare riferimento al concetto di “gestione del potere” (power management) teorizzato da

Merlini, facendo riferimento al grado d’influenza che ciascuna parte può avere nella

conduzione dell’interazione e nei confronti delle altre parti coinvolte.

26

“'Power is not a very satisfactory technical term, but its everyday usage will

be adequate to get us going. Let us say that power is the ability of people

and institutions to control the behaviour and material lives of others. […] It

is also a very general concept: an abstraction picking out one feature in an

indefinitely large number of very diverse kinds of relationship. When we

talk about power we may be referring to relationships between parents and

children, employers and employees, doctors and patients, a government and

its subjects, and so on. […] These power relationships are not natural and

objective; they are artificial, socially constructed intersubjective realities.”

(Merlini, 1985: 61)

Si afferma come la differente distribuzione del “potere” non è egualitaria fra le parti.

Gentile e alt. (1996: 19) sostengono che fattori come l’eredità culturale, l’esperienza di

vita e lo status relativo di ciascun partecipante possono influenzarne le relazioni di

potere. Per questa ragione il rapporto fra il rappresentante di un’istituzione ed il cliente

straniero è caratterizzata da una forte asimmetria per quel che riguarda il potere

interazionale esercitato (inteso come la possibilità di fare domande o dare spiegazioni),

in quando esistono norme socialmente e culturalmente radicate che determinano a priori

lo svolgimento di tale conversazione. L’interprete di comunità viene individuato come il

terzo partecipante all’evento mediato. Secondo Shackman (1984: 18) quest’ultimo ha il

compito di ovviare alle barriere linguistiche e culturali presenti fra i partecipanti

primari, cosicché la comunicazione abbia esito positivo. Il potere o l’influenza che

l’interprete di comunità potrebbe esercitare sulle parti è quindi notevole, riconfermando

il concetto d’interazione teorizzato da Wadensjӧ.

2.3.1 Agenzie d’interpretariato

“Interpreting agencies are crucial in determining outcomes in community

interpreting, but have been little studied. […] We identify problematic

issues for both parties in agencies' relations with interpreters: agencies vary

in their expectations of interpreters, their own work practices, and

engagement in professional issues; interpreters vary in their own required

business practices and professionalism, and the ability to see the agency as

27

their client. Agencies also crucially set expectations of end-user clients who

purchase language services.” (Ozolins, 2007: 121)

All’interno di questo breve estratto redatto da Ozolins in sede della quarta conferenza

di Critical Link si mette in evidenza come le agenzie d’interpretariato giochino un ruolo

fondamentale nella professione dell’interprete di comunità. Questi organi vengono

definiti come “terzo cliente” dell’interprete (Ozolins, 2007: 121), in quanto le relazioni

che si instaurano fra questi due soggetti possono influenzare l’evento mediato, cosicché

nella maggior parte dei casi possono essere considerate effettivi partecipanti. In paesi

come l’Australia, la Svezia e l’Irlanda, la maggior parte degli interpreti sono lavoratori

free-lance che sovente ottengono gli incarichi lavorativi tramite tali agenzie, benché

alcuni siano impiegati a tempo pieno all’interno delle strutture istituzionali (Ozolins

1998; Niska 2004). Il bisogno di fornire un servizio di mediazione linguistica a tutta la

comunità ha condotto negli ultimi anni alla formazione di numerose agenzie di questo

tipo, soprattutto private. Tuttavia sul mercato si possono individuare anche agenzie di

comunità o governative no profit, oltre ad alcune che si occupano solamente di un

determinato ambito istituzionale (ad esempio quello sanitario o legale); altre ancora,

offrono servizi d’interpretariato a comunità linguistiche particolari (come può essere

l’interpretazione del linguaggio dei segni). Si sottolinea come il ruolo ricoperto da tali

agenzie abbia ricevuto poca attenzione da parte della letteratura del settore, per questa

ragione si è ritenuto importante analizzarne le funzioni ricoperte e le relazioni che si

instaurano con gli altri partecipanti allo scambio comunicativo. A questo proposito, di

seguito si prenderanno in considerazione i rapporti che queste ultime instaurano con gli

interpreti e le istituzioni, e quale ruolo ricoprono nella mediazione fra queste due figure.

Ozolins (2007) mette in evidenza come il rapporto professionale fra agenzie di

interpretariato ed interpreti è spesso complicato dalla grande variabilità della qualità,

della professionalità, e della competenza degli stessi interpreti presenti sul mercato,

nonché dalla mancata chiarezza nella definizione dei rispettivi ruoli. Dal punto di vista

delle agenzie, comportamenti legati alla puntualità dell’interprete (come l’arrivare in

ritardo o il congedarsi frettolosamente da un incarico), l’atteggiamento troppo servile

nei loro confronti, ed il seguire codici etici totalmente idiosincratici fra loro, ne possono

compromettere il rapporto con l’istituzione, aumentando così il rischio di essere

28

considerate poco professionali. Il problema legato all’eterogeneità delle performance

degli interpreti impiegati risiede soprattutto nell’impossibilità di monitorare e

identificare eventuali condotte non professionali. Ad eccezione di contesti in cui

l’interprete di comunità svolge la propria attività in pubblico, da cui possono scaturire

feedback più o meno positivi, la supposta professionalità dell’interprete viene a basarsi

sulla fiducia.

Dal punto di vista degli interpreti si evidenzia la mancanza di precise linee guida che

regolino la loro relazione con l’agenzia. All’interno dei codici etici nella maggior parte

dei casi tale tematica non viene presa in considerazione, dedicandosi prevalentemente ai

due clienti primari dell’interprete: ovvero l’istituzione e la persona richiedente il

servizio. Per questa ragione si afferma che:

“the absence in these codes of any reference to agencies leaves a dangerous

“black hole”: all interpreters have (at least) two clients – the two parties they

are interpreting for, but not all interpreters understand they also often have a

third client - the agency through which they obtain work.” (Ozolins 2007:

124).

Si afferma come gli interpreti debbano iniziare a vedere nell’agenzia un terzo cliente

con cui cooperare in modo da migliorare la qualità del servizio offerto all’istituzione.

Esse, difatti, oltre a rappresentare la loro fonte di reddito, spesso sono i referenti a cui

rivolgersi in caso di difficoltà riscontrate nel corso della mediazione. Si evidenzia,

tuttavia, come spesso accordi o piani d’assistenza fra agenzia ed istituzione vengano

stipulati senza che l’interprete possa fare valere la propria figura professionale (anche a

seguito di problemi riscontrati durante l’evento mediato, generalmente l’istituzione si

rivolge all’agenzia piuttosto che all’interprete), avendo pesanti ripercussioni a livello di

retribuzione di quest’ultimi. Ozolins dedicandosi alle dinamiche legate al rapporto

agenzia, istituzione ed interprete ribadisce come vi sia la necessità di una stretta

collaborazione fra queste figure, in modo da creare un circolo virtuoso che permetta

d’offrire un servizio professionale di qualità, ribadendo come le tematiche legate

all’agenzia d’interpretariato dovrebbero essere oggetto di ulteriori studi e trovare il

proprio spazio all’interno dei codici etici.

29

2.4 Dinamiche relazionali fra i partecipanti all’evento mediato

“The productive study of dialogue presupposes […] a more profound

investigation of the forms used in reported speech, since these forms reflects

basic and constant tendencies in the active reception of other speakers’

speech, and it is this reception […] that is fundamental also for dialogue.”

(Voloshinov 1986: 117)

Nelle pagine precedenti si è potuto notare come il differente potere interazionale dei

partecipanti possa influenzare fortemente l’esito della mediazione. Allo stesso modo si è

sottolineato come gli interlocutori, sia come parlanti che come ascoltatori, ricoprono un

ruolo attivo nella conversazione mettendone in evidenza la natura dialogica (Wadansjӧ

1998: 87). Al fine di comprendere quali fattori sociali e culturali siano alla base di tali

relazioni di potere fra i partecipanti nella comunicazione triadica si farà riferimento al

concetto di participation framework teorizzato da Goffman (1981). Secondo tale

modello l’organizzazione dell’interazione orale fra più parlanti è frutto della continua

valutazione e rivalutazione dello “status di partecipazione” (status of participation),

ovvero dal ruolo ricoperto da colui che parla o che ascolta che viene riscontrato in ogni

turno di parola. La sostanza e la progressione dell’interazione, così come la posizione

assunta dai partecipanti nello scambio comunicativo, dipendono così dal rapporto che si

instaura fra gli interlocutori stessi a seconda degli enunciati prodotti e attraverso un

continuo cambio di “allineamento” (footing) nel corso della conversazione. Si sottolinea

come le modalità con cui ogni individuo prende parte all’interazione sono strettamente

legate alla percezione del proprio ruolo e di quello degli altri partecipanti coinvolti,

cosicché persino il modo di parlare e di ascoltare può variare. All’interno del testo Form

of Talk, Goffman si riferisce al concetto di “participation framework” in questi termini:

“When a word is spoken, all those who happen to be in perceptual range of

the event will have some sort of participation status relative to it. […] If one

starts with a particular individual in the act of speaking, one can describe the

role or function of all the several members of the encompassing social

gathering from this point of reference […]. The relation of any one such

member to this utterance can be called his “participation status” relative to

30

it, and that of all the persons in the gathering the “participation framework”

for that moment of speech.” (Goffman 1981)

Lo studio dell’allineamento assunto dagli individui coinvolti nell’interazione triadica

offre la possibilità di comprendere le dinamiche relazionali che si instaurano fra

partecipanti primari ed interprete. Al fine d’analizzare il cosiddetto footing vengono così

presi in considerazione il “formato di produzione” (modalità di creazione degli

enunciati da parte dei parlanti) ed il “formato di partecipazione” (modalità con cui gli

enunciati vengono recepiti).

Tramite il production format, Goffman ritiene che l’enunciatore può assumere il ruolo

di:

1) Animatore (animator): rappresenta il parlante che produce l’enunciato.

Metaforicamente considerato la “scatola sonora” da cui esso deriva

2) Autore (author): rappresenta il parlante che elabora il contenuto degli enunciati

in base a ciò che si vuole esprimere

3) Principale (principal): non rappresenta semplicemente il parlante che produce

l’enunciato, ma è piuttosto l’autorità o l’individuo la cui posizione è stabilita

dalle parole che proferisce

Si sottolinea come la distribuzione della responsabilità enunciativa sia cruciale per

determinare quale di questi ruoli il parlante stia ricoprendo, cosicché solamente nel caso

non affidasse a nessun altro la responsabilità del proprio enunciato potrebbe essere

considerato simultaneamente animatore, autore e principale. Allo stesso modo tramite

il “formato di partecipazione” si individuano diverse tipologie di ascoltatori.

Seguendo le orme del concetto di participation framework, Wadensjӧ (1998:92)

cerca di completare tale modello tramite un’analisi più approfondita delle modalità di

ascolto dell’enunciato. Il “formato di produzione” viene così sostituito dal “formato di

ricezione” (reception format) comprendente tre modalità d’ascolto e la successiva

reazione all’enunciato:

31

1) Reporter: individuo che ascolta per poi ripetere gli enunciati sentiti. Non si

assume tuttavia nessuna responsabilità (corrispettivo di “animatore”)

2) Responder: individuo che ascolta per poi esprimere il proprio enunciato come

partecipante primario (corrispettivo del “principale”)

3) Recapitulator: individuo che ascolta per poi ripetere gli enunciati sentiti

assumendosi tuttavia la responsabilità della loro elaborazione (corrispettivo di

“autore”)

Prendendo parte all’interazione faccia a faccia gli interpreti devono spesso variare il

proprio modo di parlare ed ascoltare, cosicché il loro status di partecipazione dipende

sia dagli enunciati proferiti dai partecipanti primari che dalle proprie scelta personali.

Interagendo come reporter l’interprete si limiterebbe a ricoprire il ruolo di “animatore”,

riportando meccanicamente gli enunciati proferiti da un altro parlante (l’interprete

agisce come mero condotto). Se al contrario lo si considera parte attiva della

conversazione triadica, la responsabilità di comporre una nuova versione dell’enunciato

fa sì che l’interprete assuma il ruolo di recapitulator interagendo così sia come “attore”

che come “animatore”. L’interprete generalmente non ricopre il ruolo di responder,

quindi da “principale”, spesso svolto dai partecipanti primari all’evento mediato.

Interagire dunque significa valutare continuamente le relazioni che si instaurano fra i

partecipanti all’evento mediato e gli enunciati che vengono proferiti, cosicché il

participation framework è costantemente oggetto di negoziazione (Wadensjӧ 1998:93).

Il passaggio alla concezione d’interpretazione basata sulla visione dialogica della

lingua e del suo impiego rappresenta un punto si svolta importante per l’analisi delle

dinamiche relazionali che hanno luogo nell’evento mediato. Si vogliono dunque

prendere le distanze dal modello monologico che promuove la metafora del “condotto”,

secondo cui il significato delle parole e degli enunciati sono unicamente il risultato

dell’intenzione e delle strategie impiegate del parlante. Dove gli individui presenti

durante lo scambio comunicativo sono considerati meri recipienti pronti ad accogliere le

informazioni comunicate: “It is as if, while creating meaning, the individual speaker is

thought away from her interactional context and thought into a social vacuum”.

(Wadensjӧ 1998:8)

32

Al contrario, secondo Wadensjӧ l’approccio dialogico permette di considerare il

significato come il prodotto dell’interazione fra i partecipanti alla conversazione. Tale

modello offre quindi la possibilità d’analizzare le molteplici funzioni ricoperte dalle

parole e dagli enunciati a seconda del contesto sociale in cui sono utilizzate e da chi

sono proferite.

Speaker language A Interpreter Speaker language B

A B

Figura 1. L’interprete invisibile (adapted from AIIC 2002; Seleskovitch and Lederer 1989; and Weber

1984)

Figura 2. L’interprete come co-costruttore del discorso (adapted from Berk-Seligson 1990; Metzger

1999; Roy 2000; and Wadensjӧ 1998)

Interlocutor A

Interpreter

Interlocutor B

33

CAPITOLO III

L’INTERPRETE DI COMUNITÀ IN AMBITO MEDICO

“Liaison interpreting is a profession where, like medicine, teaching and the

law, the client’s welfare is usually affected directly. This is not only because

most liaison interpreting takes place in the context of other profession as

medicine, […] but also because interpreting has its own particular kinds of

knowledge, skills and practices with require particular ethical

considerations. […] because liaison interpreting takes place in the context of

so many other professional institutional settings, ethical conflicts often arise

for the interpreter.” (Gentile et al., 1996: 57)

Fra i vari contesti istituzionali in cui viene impiegato l’interpretariato di comunità (o

liaison interpreting), l’ambito medico rappresenta uno dei principali settori, insieme a

quello legale. Come si è accennato all’inizio di questa trattazione è nel campo sanitario

che la provvisione del servizio offerto dall’interprete di comunità muove i primi passi

tramite la formazione dell’Hospital Interpreter Service (NGS, Australia 1974). Fra i

ricercatori, tuttavia, la rilevanza dello studio dell’attività dell’interprete nel contesto

medico-sanitario non viene inizialmente considerata tale da meritare un’attività di

ricerca specifica. E’ solo nel 1995 che in Canada, tramite la prima conferenza di Critical

link, che tale ambito d’applicazione d’interpretariato viene portato a livello

internazionale dando vita ad una serie di nuovi studi e ricerche. In particolar modo si è

iniziato a prestare attenzione all’interpretazione in reparti dedicati alla salute mentale

dei pazienti (mental health interpreting). Al riguardo un primo caso di studio viene

condotto da Price (1975), dove viene eseguita un’analisi qualitativa di diverse sedute

psichiatriche fra pazienti indostani e medici anglofoni tramite il supporto di tre

interpreti.

Quando si parla d’interpretariato nel settore sanitario, definito come health care

interpreting o medical interpreting, si fa riferimento a diversi contesti: ospedali

pubblici, cliniche private, o qualsiasi tipo di consultazione con altri professionisti

sanitari come fisioterapisti, dietologi, medici di base ecc. La comunicazione mediata in

ambito sanitario è divenuta oggetto d’analisi di molteplici studiosi del settore, fra i quali

34

Wadensjö (1992) è una delle prime ricercatrici che si focalizzano sulle dinamiche della

conversazione medico-paziente tramite la mediazione dell’interprete (interpreter-

mediated medical encounters), basandosi sulla visione dialogica del discorso (Wadensjö

1998, in Pöchhacker 2004: 79). Allo stesso modo, Bolden (2000) prendendo in esame

alcune consultazioni fra medici anglofoni e pazienti russofoni, ha potuto evidenziare

come l’interprete ricopre un ruolo attivo nella mediazione medica, essendo orientato ad

ottenere informazioni medicalmente rilevanti dai pazienti per poi comunicarle

all’operatore sanitario. Al riguardo Davidson (2000) afferma che:

“[…] interpreters do not act merely as machines of semantic conversion, but rather as

active participants in the diagnostic process, aligning with healthcare providers, and

thus acting as gatekeepers (2001) for the recent immigrants for whom they interpret.”

Da questi studi si può notare come i dati empirici raccolti in merito alla condotta

dell’interprete in ambito sanitario sono in forte discordanza rispetto ai principi prescritti

all’interno dei codici etici. Al fine d’individuare le ragioni che si trovano alla base di

questa discrepanza, Angelelli (2004) ipotizza come questa mancanza sia dovuta

principalmente a tre fattori:

1) Numero esiguo di ricercatori

2) Difficoltà nella raccolta dei dati

3) Mancanza d’attenzione nei confronti delle evidenze scientifiche riscontrate

Angelelli (2004) evidenzia come la ricerca empirica possa colmare il divario creatosi

fra teoria e pratica all’interno del settore dell’interpretariato. La necessità di una

capillare diffusione dei risultati delle nuove ricerche in ambito sanitario viene così

considerata fondamentale per portare ad una maggiore conoscenza e consapevolezza di

sé e del proprio ruolo fra gli interpreti e gli stessi operatori sanitari. Si sottolinea tuttavia

come reperire informazioni dalle strutture ospedaliere spesso si rivela arduo, e allo

stesso modo risulta complesso entrare in contatto con i pazienti al fine d’ottenere

feedback sul servizio ricevuto. L’attenzione è volta anche agli istituti di formazione ed

al training condotto dagli aspiranti interpreti. Sebbene il training costituisca una parte

fondamentale della loro formazione, si sottolinea come esso debba fondarsi su basi

35

conoscitive teoriche ben consolidate, cercando di non trascurare elementi importanti per

privilegiare l’aspetto pratico della professione. Si afferma come la formazione/training

fornita dagli istituti educativi ha la possibilità di incentivare e rafforzare il rapporto fra

ricercatori ed interpreti professionisti cosicché i dati raccolti possano permeare la teoria

e la pratica quotidiana:

“Action research conducted in partnership between a researcher and a practitioner could

be a perfect solution. Institute of higher education need to take a lead in promoting this

interaction.” (Angelelli 2004)

I percorsi formativi dedicati alla formazione di interpreti di comunità presenti in Europa

e negli Stati Uniti sono tuttavia limitati e comunque pochi sono i corsi dedicati ad un

singolo ambito lavorativo, come può essere quello del healthcare interpreting. Si è

potuto dimostrare come le stesse modalità di valutazione degli studenti spesso si

concentrano unicamente su abilità cognitive e linguistiche (capacità di memorizzazione,

conoscenza della lingua, uso di terminologia specifica, conoscenza dei principi etici)

dando per scontato elementi come la neutralità, l’imparzialità ed il ruolo ricoperto

dall’interprete. Questi principi dovrebbero essere oggetto d’attenta analisi e discussione

al fine di sviluppare nei futuri interpreti uno spirito critico che gli permetta di muoversi

in modo professionale nel futuro contesto lavorativo. (Angelelli 2004)

Le associazioni professionali come l’Associazione irlandese traduttori ed interpreti

(ITIA) ricoprono un ruolo certamente importante nel fissare standard qualitativi a cui

ciascun interprete di comunità professionista dovrebbe attenersi. Se è vero, tuttavia, che

i ricercatori del settore hanno il dovere di diffondere le proprie ricerche al di fuori degli

ambienti accademici, allo stesso modo esse hanno il compito di stabilire un dialogo con

tali ricerche. Si ribadisce come lo spirito prescrittivo che permea molti codici etici oggi

in circolazione dovrebbe lasciare spazio ad un approccio più descrittivo, dove il ruolo

dell’interprete contestualizzato in ciascun ambito lavorativo diventi centrale. La

contestualizzazione, intesa come luogo fisico in cui l’interprete si ritrova ad operare,

diventa quindi cruciale nel determinarne il comportamento. Un maggiore dialogo fra

associazioni professionali e ricerca eviterebbe dunque la promozione di modelli di

condotta astratti, spesso non applicabili alla realtà quotidiana, facendo sì che il ruolo

36

dell’interprete di comunità sia definito in base alle necessità che caratterizzano ogni

ambito lavorativo. Il rapporto fra teoria e pratica nella branca dell’interpretariato di

comunità è quindi una questione molto complessa e allo stesso tempo controversa. Gli

istituti di formazione, le associazioni professionali, i ricercatori e gli stessi interpreti che

svolgono la professione sul campo sono quindi i principali attori responsabili della

qualità di tale rapporto. Alla ricerca empirica e ai ricercatori viene affidato il compito di

diffondere le nuove evidenze appurate in modo da riuscire a riconciliare il lato teorico e

pratico del settore, in modo da potere migliorare la performance dell’interprete nel

corso dell’evento mediato.

3.1 La relazione medico-paziente

“Every human relationship involves a connectedness between individuals, which is

molded by both verbal and non-verbal communicative processes. Without

communication, successful relationships would not be possible. […] even poor

relationships depend greatly on communicative processes between individuals.”

(Angelelli 2004: 15)

L’evento mediato in un contesto sanitario presuppone l’instaurazione di determinate

dinamiche relazionali fra partecipanti primari (operatore sanitario e paziente) e

l’interprete che possono influenzare fortemente la conversazione. Sebbene nello scorso

capitolo si sia parlato dei “rapporti di potere” che si instaurano fra i soggetti che

prendono parte alla comunicazione triadica, di seguito si cercherà d’analizzare in

maniera più approfondita le relazioni che legano medico e paziente nella comunicazione

diadica ed in quella triadica (mediata da interprete), e quali ripercussioni possono avere

sulla compilazione della diagnosi.

Dati empirici dimostrano come una buona comunicazione fra operatore sanitario (o

healthcare provider, HCP) e paziente conduce ad una maggiore precisione della

diagnosi, aumentando la probabilità d’avere effetti positivi sulla salute mentale e fisica

del paziente (Rosenberg, Lussier, and Beaudoin 1997). Prendendo in considerazione il

rapporto fra HCP e paziente Angelelli (2004) distingue il termine “interazione”

(interaction) da “relazione” (relationship), sottolineando la loro non interscambiabilità.

Mentre la prima nozione identifica le variabili oggettivamente osservabili durante lo

37

scambio comunicativo: status dei partecipanti, turni di parola, conduzione della

conversazione; la seconda prende in considerazione elementi più soggettivi: come la

premura, la preoccupazione, il rispetto e la compassione; variabili che per natura sono

difficili da osservare e quantificare oggettivamente (Zoppi and Epstein 2002). Frey

(1998) sottolinea come l’instaurazione di una buona relazione empatica fra HCP e

paziente sovente porta ad una diminuzione della preoccupazione di quest’ultimo, e ad

una maggiore predisposizione a seguire i consigli dell’operatore sanitario. Il fatto che il

paziente sia considerato come un partecipante attivo nell’incontro medico, piuttosto che

un semplice individuo che descrive i propri sintomi, secondo Adler (2002) presenta

molteplici aspetti positivi:

1) Anamnesi complete e accurate

2) Diagnosi più precise

3) Prescrizioni mirate di farmaci

4) Diminuzione del rischio di mancato consenso informato

Engel (1988) identifica nel “dialogo” il requisito principale su cui si basa la relazione

fra HCP e paziente:

“To appreciate relationship and dialogue as requirements for scientific study

in the clinical setting highlights the natural confluence of the human and the

scientific in the clinical encounter itself. […] For the patient, to feel

understood by the physician means more than just feeling that the physician

understands intellectually […] what the patient is reporting […]. […] that

the physician display understanding about the patient as a person, as a

fellow human being, and about he is experiencing, and what the

circumstances of his life are.” (Engel 1988:124-5)

Il modello proposto da Engel si concentra sulla figura del paziente (patient-centered

encounter) come essere umano e parte attiva al dialogo col HCP, rientrando in quella

categoria che Roter (2002) definisce medicina relazionale (relationship-centered

medicine). A questo proposito si afferma come l’incontro medico basato sulla centralità

della “relazione” fra HCP e paziente ha la possibilità di essere: 1) medicalmente

38

funzionale: agevolando la visita medica; 2) informativo: permettendo un migliore

scambio comunicativo fra HCP e paziente; 3) facilitante: offrendo la possibilità di

indagare sulle motivazioni che hanno spinto il paziente a richiedere un consulto medico;

4) ricettivo: nei confronti dello stato emotivo del paziente; 5) partecipativo: facendo sì

che il paziente sia in grado di prendere decisioni consapevoli riguardanti i trattamenti

medici da mettere in atto. E’ bene sottolineare, tuttavia, come questa teoria sia basata su

una cultura prettamente occidentale (relazione egualitaria medico-paziente), cosicché la

sua applicazione potrebbe risultare complessa in altri contesti culturali.

Sebbene la comunicazione fra HCP e paziente sia basata sulla comprensione

reciproca, distorsioni e fraintendimenti del significato comunicato da entrambe le parti

sono molto frequenti, anche se i due condividono la stessa lingua. La questione

naturalmente diventa più complessa quando i pazienti non parlano la lingua

dell’operatore sanitario o ne hanno una conoscenza molto limitata, facendo sì che le

regole che gestiscono lo scambio comunicativo diventino incerte (Roter 2002). La

barriera linguistica non è il solo fattore che può influenzare la relazione fra HCP e

paziente e l’esito del trattamento sanitario. Si sottolinea come la concezione e la visione

della medicina sia difatti soggettiva e dipenda fortemente da fattori culturali o legati

all’esperienza e alla percezione di ciascun individuo. La necessità di migliorare le

modalità di comunicazione e relazione fra gli HCP e minoranze etniche risulta essere un

obiettivo cruciale. Si sottolinea come:

“the most important communication skills for an HCP in the cross-cultural setting are

those that assist in patient assessment and elicitation skills to understand the patient’s

perspective of symptoms and explanatory health-belief models.” (Ferguson and Candib

2002, in Angelelli 2004:19)

Un esempio concreto di possibile difficoltà comunicativa con pazienti appartenenti a

minoranze linguistiche può essere rappresentata dalla modalità con cui le notizie

nefaste, sul proprio stato di salute, preferiscono essere ricevute, soprattutto facendo

riferimento a diagnosi potenzialmente negative per il paziente. Lee et al. (2002)

sottolineano che mentre in alcune culture i pazienti desiderano ricevere il numero

maggiore di informazioni riguardanti il proprio stato di salute e le eventuali opzioni

39

terapeutiche, in altre sebbene interessati, potrebbero non porre alcuna domanda

riguardante la diagnosi.

In materia di “relazione” Rivadeneyra et al. (2000) sottolineano come spesso

“patients in cross-linguistic encounters are likely to find their providers less friendly and

less respectful than do patients without language barriers, which is likely to reduce the

desire of these patients to seek out the same HCP to establish a trusting, professional

relationship.” Al fine di approfondire il rapporto fra HCP e pazienti in un incontro

mediato da interprete, è necessario soffermarsi sulle modalità con cui l’operatore

sanitario si rivolge al paziente al fine di stilare la diagnosi. Per questa ragione di seguito

ci si contrerà sulla significatività delle domande con cui gli HCP intervistano i propri

pazienti.

3.2 Consultazione medica: tre modalità d’interrogazione

Le modalità con cui l’operatore sanitario conduce il dialogo con il proprio paziente

risultano fondamentali al fine di fornire un’assistenza sanitaria adeguata, soprattutto nel

caso in cui tale dialogo venga mediato dall’interprete. In particolare le tecniche

d’interrogazione da parte del HCP sono state sovente oggetto di studio, considerandole

cruciali per la buona riuscita dell’interazione e la relazione fra questi due soggetti. Al

riguardo Cambridge (1999:201) afferma come “the patient may well present symptoms

unrelated to the real problems, and the diagnostic skill of the doctor relies heavily on

skilful questioning”.

Tenendo in considerazione che la tecnica o lo stile con cui una domanda viene posta

può influenzarne la risposta (Ong e al. 1995), diversi ricercatori hanno concentrato i

propri studi sull’individuazione della migliore modalità d’interrogazione per ottenere

una buona relazione interpersonale fra HCP e paziente, facilitare lo scambio di

informazioni ed attuare trattamenti medici più precisi. Di seguito si riporteranno le

principali modalità d’interrogazione:

1) Domande allusive (leading questions or tag questions)

2) Domande non allusive (non-leading questions)

3) Nessuna domanda: il paziente si esprime liberamente (broad opening technique)

40

Tramite le cosiddette “domande allusive” l’operatore sanitario cerca d’ottenere

informazioni dal paziente includendo o suggerendo parte della risposta all’interno del

quesito posto, che assume la forma di “domanda chiusa”. In questo caso la

conversazione è guidata interamente dal HCP e il paziente non assume un ruolo attivo

nella costruzione della diagnosi. Tuttavia, Harres (1998) sostiene come le domande

allusive non offrano unicamente la possibilità di ricavare maggiori informazioni dal

paziente, ma permetterebbero anche di ricevere risposte più concise in tempi più brevi.

Al contrario, i detrattori di questa modalità d’interrogazione affermano come il paziente

dovrebbe essere incluso nel processo decisionale, dandogli la percezione di avere una

qualche forma di controllo sul risultato della consultazione medica. Si sottolinea come

la struttura dell’interrogazione non dovrebbe essere rigida, cosicché la sequenza

domanda-risposta può modificarsi in base ai feedback forniti dal paziente. Per questa

ragione sembrerebbe che le “domande aperte” permettano d’individuare in maniera più

efficace il problema del paziente (Cicourel 1999:183). A differenza delle precedenti

modalità d’interrogazione, la terza lascia completa libertà di parola al paziente, cosicché

l’operatore sanitario interverrà solo al palesarsi di indizi rivelatori del disagio. Si

evidenzia come le domande che vengono poste al paziente all’inizio della consultazione

difficilmente ricevono una risposta completa. E’ possibile inoltre che la comunicazione

e la relazione fra HCP e paziente non avrà esiti soddisfacenti finché quest’ultimo non si

sentirà a proprio agio (Byrne and Long, 1976:37).

Un’altra questione che deve essere presa in considerazione riguarda la distribuzione

delle “domande” all’interno della consultazione medica. Un’egualitaria possibilità

d’interrogare il proprio interlocutore risulta spesso in una maggiore collaborazione fra

HCP e paziente, diminuendo l’asimmetria della relazione. Questa tematica interessa

fortemente il caso in cui la comunicazione fra partecipanti primari sia mediata da

interprete, dove come si è potuto vedere negli scorsi capitoli, sono coinvolte dinamiche

relazionali più complesse. Al riguardo Hale (2007) porta l’esempio delle differenze che

possono essere riscontrate fra le sequenze domanda-risposta in un contesto medico-

sanitario rispetto a quello legale, come può essere un tribunale. Nel corso di un processo

colui che pone le domande esercita un controllo assoluto sul proprio interlocutore e

sulle tematiche affrontate. In tale contesto la sequenza domanda-risposta è determinata

da procedure precise, cosicché in una conversazione fra avvocato e testimone è previsto

41

che solo il primo abbia la possibilità di porre domande. Allo stesso modo i quesiti posti

non hanno lo scopo di rilevare nuove informazioni, piuttosto si cerca di mettere in

evidenza fatti già noti che supportano la versione di una delle parti. Nella consultazione

medica la sequenza domanda-risposta non è soggetta a tali limiti, cosicché il paziente ha

la possibilità d’interrogare l’operatore sanitario ad ogni momento. Inoltre gli HCP

cercano d’ottenere nuove informazioni dal paziente prestando attenzione alle risposte

fornitegli. La partecipazione del paziente nella consultazione medica è stato spesso

oggetto di studio, soprattutto per quel che riguarda il numero di domande che vengono

poste di propria iniziativa all’operatore sanitario. Sebbene Frankel (1979) sottolinei

come l’intervento diretto del paziente all’interno della conversazione medica sia

piuttosto limitato, studi più recenti hanno dimostrato come statisticamente la

percentuale di domande poste dal paziente sia in realtà piuttosto elevata.

“The level of patient participation […] seems to be related to a number of factors,

including the patient’s personality and social background, the context of the

consultation, and the relationship between the physician and the patient. […] a low level

of patient participation leads to a sense of powerlessness, which contributes to

unsuccessful communication and inappropriate medical provision.” (Wodak, 1997)

La tecnica con cui l’HCP si rivolge al paziente risulta altrettanto rilevante. Il ricorrere

ad un linguaggio fortemente tecnico può risultare in una completa non comprensione da

parte del paziente. Allo stesso modo l’utilizzo di un linguaggio infantile può

implementare la differenza di potere fra gli interlocutori e la sensazione d’inferiorità nel

paziente. Soprattutto nel contesto in cui l’operatore sanitario e il paziente non

condividono la stessa lingua, tale uso del linguaggio renderebbe la comunicazione

molto difficile (Wodak, 1997:186). E’ bene sottolineare, d’altra parte, che in molte

culture il maggior “potere” detenuto dall’operatore sanitario viene considerato un fattore

positivo.

Wadensjö prendendo in considerazione la posizione dell’interprete rispetto a questo

tema, individua quattro modalità con cui i partecipanti primari possono interagire:

1) Modalità indiretta: i partecipanti primari si rivolgono all’interprete invece di

comunicare direttamente l’uno con l’altro

42

2) Modalità diretta: i partecipanti primari comunicano direttamente fra loro

3) Modalità simultaneamente indiretta e diretta: i partecipanti primari

comunicano in parte direttamente ed in parte indirettamente

4) Modalità neutra (no address): enunciati prodotti dai partecipanti primari che

non contengono pronomi.

Si sottolinea come l’intervento dell’interprete può avere una grossa influenza sulle

tecniche d’interrogazione adottate dal rappresentante dell’istituzione di riferimento. Per

questa ragione si ritiene come “two-language talk as a social activity implies conditions

that potentially affect the conventional function of a common questioning strategy

[…].” (Wadensjö, 1997:51)

3.3 Caso di studio: analisi comparativa della consultazione diadica e triadica

medico-paziente

Per cercare di delineare le caratteristiche dell’interazione diadica (monolingue) e

triadica (bilingue mediata da interprete) fra medico e paziente di seguito si riporterà un

progetto di ricerca condotto da Valero Garcés (2008). I dati raccolti sono tratti da

diverse registrazioni di consultazioni mediche eseguite in strutture sanitarie di Madrid,

in Spagna, e Minneapolis, Stati Uniti d’America, in cui si è cercato d’analizzare

l’interazione fra HCP e paziente in tre configurazioni:

1) Tipo 1: Medico/paziente straniero

2) Tipo 2: Medico/paziente straniero/interprete ad hoc

3) Tipo 3: Medico/paziente straniero/interprete professionista

Le registrazioni del Tipo 1 e Tipo 2 sono state eseguite in Spagna in reparti di

pediatria, ostetricia, ginecologia, medicina interna e pronto soccorso. I partecipanti

primari della consultazione sono: medici ed infermiere ispanofoni, pazienti con

qualche/nessuna conoscenza della lingua spagnola, parenti bilingui dei pazienti che

ricoprono il ruolo di interpreti improvvisati (ad hoc interpreters). Le registrazioni del

Tipo 3 sono state eseguite negli Stati Uniti: il medico ed il paziente vengono affiancati

da un interprete professionista che ha condotto un formale periodo di training

43

all’Università del Minnesota e lavorato come interprete nell’ambito sanitario per almeno

due anni. Al fine d’analizzare queste conversazioni si è fatto riferimento al modello

d’analisi del discorso istituzionale sviluppato da Drew e Heritage e agli studi

sull’interazione condotti da Wadensjö (1992). Pertanto l’analisi viene condotta

considerando veritieri tre assunti:

1) Ogni partecipante ricopre un ruolo preciso

2) Ogni contesto istituzionale presenta vincoli particolari

3) Ogni istituzione ha le proprie procedure

Il diverso grado di partecipazione del paziente alla consultazione medica può

influenzare l’ordine d’interazione, le produzioni degli interlocutori e le loro aspettative.

Cambiamenti che saranno molto più pronunciati quando il paziente non conosce la

lingua parlata dal HCP e le procedure dell’istituzione sanitaria di riferimento (Heritage

1997: 165 and Valero Garcés 2002).

Al fine della nostra trattazione saranno riportate alcune di queste registrazioni in modo

da potere prendere in esame le dinamiche relazionali concrete fra medico, paziente ed

interprete di cui si è parlato negli scorsi capitoli: assegnazione del ruolo dei partecipanti;

turni di parola; sequenze domanda-risposta; asimmetria della relazione.

Esempio 1

Contesto: Il medico (M) vuole sapere quando il paziente (P) ha intenzione di prendere

appuntamento per una visita in ospedale.

10 M: Y aqui pondrian 1003… ¿Cuando tienes que ir a la consulta?

And here it would say 1003 … When do you have to go to the appointment?

11 P: ¿Cual día?

Which day?

12 M: Sì

Yes

13 P: Yo primero hablar con jefe… Cuando descanso un día… ¿Es que tu scribi un

día… ¿Puedo así?

44

Me first speak with boss … When I rest one day … when you write one day… can

I do like that?

14 M: Es que… yo te puedo citar para verte yo… um.. Yo puedo decir cuando vienes tu

aquì… pero no cuando vas tu al hospital. Eso tiene que ser hospital quien dice

cuando vas. ¿Vale?

The thing is that … I can make an appointment to see you … um … I can say when

you come here … but not when you go to the hospital. It is hospital that says when

you go. Okay?

15 P: Sì, sì

Yes, yes.

Questo dialogo rappresenta un esempio di consultazione diadica (monolingue) fra

HCP e paziente (Tipo 1). Si può notare come sebbene il paziente si esprima con uno

spagnolo stentato nella conversazione tende ad assumere un ruolo attivo. Si può notare

come lo stesso paziente pone domande al HCP o introduce argomenti che non sono

necessariamente legati al proprio stato di salute. In particolar modo si può notare come

nel punto (13) il paziente risponde alla domanda del medico con un’altra domanda.

Questo può essere dovuto ad una mancanza di conoscenza dell’organizzazione della

struttura sanitaria, richiedendo così un chiarimento che a sua volta l’HCP provvede a

fornire.

Esempio 2

Contesto: Prendendo come riferimento le registrazioni di Tipo 1 e di Tipo 2 si è potuto

notare come sia da parte degli operatori sanitari che degli interpreti improvvisati ci sia

un tentativo di semplificare i propri enunciati. Di seguito si riporterà una registrazione

di Tipo 1.

22 M: ¿Que trabajas?

What do you work?

23 P: Hoy descanso

Today rest

24 M: Hoy descanso… ¿Que trabajas todos los días?

45

Today rest… What do you work every day?

25 P: No, dos o tres horas… siete por la mañana tres horas

No, two or three hours … seven in the morning three hours

26 M: ¿Vas a las siete y estas tres horas…?

You go at seven and you are there for three hours … ?

27 P: Yo … por la mañana desde las siete hasta las tres

Me … in the morning from seven o’clock to three o’clock.

28 M: Vas a las siete hasta las tres… O sea trabajas de siete a tres

You go from seven o’clock to three o’clock … That is to say you work from

seven to three

29 P: Sì, sì

Yes, yes

30 M: O sea 7 a.m. a 3 p.m. ((writes this on a piece of paper and shows it to P)) ¿Vale?

So, 7 a.m. to 3 p.m. Okay?

31 P: Sì, sì

Yes, yes

32 M: ¿Todos los días? ¿Menos uno o dos libres a la semana?

Every day? Except one or two days off a week?

33 P: Uno a la semana fiesta. Hoy descanso.

One a week free. Today rest.

Analizzando questa registrazione si è potuto notare che l’operatore sanitario mette in

atto una serie di strategie comunicative al fine di facilitare la comunicazione con il

paziente. Si utilizzano enunciati brevi e forme linguistiche semplificate. Allo stesso

modo si ricorre ad un lessico generico evitando termini tecnici. Talvolta si formano

enunciati grammaticalmente incorretti (22), oppure le parole del paziente vengono

riformulate (24,30). Le stesse domande che vengono poste sono dirette (sì/no),

richiedendo così una risposta semplice (26,32).

Esempio 3

Contesto: In questo esempio viene riportata una registrazione di Tipo 2 dove il medico

spiega direttamente all’interprete cosa dovrà riferire alla paziente. La conversazione

46

inizia con il medico che cerca di spiegare all’interprete ad hoc il funzionamento della

pillola anticoncezionale. In conclusione dell’estratto l’interprete riferisce la propria

traduzione alla paziente. Con (I) si indicherà l’interprete ad hoc.

88 M: Vale. ¿Usted tiene pastillas para no tener niños?

Okay. You have pills for not having babies?

89 I: Sì, sì

Yes, yes

90 M: Bueno, las pastillas disminuyen, hacen mas pequena la regla, menos sangre; ¿Lo

entiende?

Good, the pills lighten, make your period smaller, less blood. Do you understand?

91 I: Um

Uh huh

92 M: Y esto esta bien para el hierro. Esta bien. Ademas no puede tener niños, que es lo

que queremos

And this is good for her iron. It’s good. Besides she can’t have babies, which is

what we want

93 I: Vale

Okay

94 I: Sì. ((verso la moglie))

Yes. ((verso la moglie)) He will give you pills so that there won’t be much blood

and don’t catch

((verso M)) ¿Pastillas menos sangre y no coge el el niños, no? Vale

((verso M)) Pills less blood and don’t catch… babies, right? Okay.

Si può notare che l’interprete improvvisato sovente fornisce più informazioni di quelle

richieste e produce enunciati grammaticalmente incorretti, ad esempio utilizzando

diverse ripetizioni. Talvolta produce enunciati monosillabici o non risponde

immediatamente alle domande dell’operatore sanitario, rendendo lo scambio

comunicativo molto simile a quello fra medico e paziente dell’esempio 2.

47

Esempio 4

La struttura dell’interazione medico-paziente è generalmente composta da: 1) saluti

iniziali; 2) enunciazione del problema; 3) valutazione delle condizioni del paziente;

4) discussione e prescrizione del trattamento sanitario; 5) saluti di commiato (Heath

1992:237; Borrell and Carriò 1999). Si sottolinea tuttavia come alcune parti

dell’interazione medico-paziente siano caratterizzate da specifiche sequenze discorsive,

come attività di routine prodotte dai singoli partecipanti primari (Drew & Heritage

1992; Drew & Sorjonen 1997; Heritage 1995,1997). Un esempio di routine discorsiva è

rappresentata dalle sequenze domanda-risposta.

Contesto: Nel frammento di registrazione (Tipo 3) che si riporterà di seguito si

metteranno in evidenza le modalità con cui i partecipanti primari gestiscono tale

tipologia di routine. Con (Ip) si indicherà l’interprete professionista:

36 M: Well, I’m going to be giving you some medicine for you… to take.

37 Ip: Y le voy a dar medicamentos para que usted tome

And I’m going to give you some medicine for you to take

38 M: And your partner will also need to be treated

39 Ip: Y su compañero va a necesitar tratamiento

And your partner is also going to need treatment

40 P: ¿Por que mi compañero?

Why my partner?

41 Ip: And why my partner?

42 M: This is an infection that we know is passed sexually

43 Ip: Esta es una infeccion que es pasada sexualmente

This is an infection that is passed sexually

La conversazione è prevalentemente condotta dall’operatore sanitario tramite una serie

di domande dirette che vengono poste al paziente. Tuttavia si può notare come ad un

certo momento (40) la paziente interviene attivamente nella conversazione richiedendo

ulteriori spiegazioni. L’intervento dell’interprete, in questo caso professionista, si limita

a tradurre letteralmente gli enunciati dei partecipanti primari senza aggiungere nessuna

informazione aggiuntiva.

48

Mettendo a confronto tre tipologie d’incontro fra medico e paziente si è potuto

evidenziare come il Tipo 1 ed il Tipo 2 condividono la maggior parte delle strategie

comunicative: domande frequenti, ripetizioni, riformulazioni e strutture linguistiche

semplificate. Valero Garcés (2008) sottolinea come l’applicazione di tali strategie può

influenzare i turni di parola della conversazione ed i ruoli che i partecipanti assumono.

Soprattutto nelle interazioni di Tipo 1 la scarsa conoscenza della lingua e

dell’organizzazione sanitaria da parte del paziente fa sì che talvolta i ruoli subiscano

delle modifiche. Si è potuto constatare come gli interpreti ad hoc tendano ad andare

oltre il proprio ruolo d’interprete per assumere quello di sostenitore o di familiare,

utilizzando spesso la terza persona singolare. Per quel che riguarda la traduzione di

termini tecnici si è potuto notare come spesso questa venga evitata o avvenga in modo

erroneo. All’interno delle consultazioni di Tipo 3 si è potuto notare, al contrario, come

gli interpreti professionisti mantengano una condotta imparziale e usino diverse

strategie per facilitare la comunicazione fra i partecipanti primari:

1) Traduzione immediata delle domande

2) Richiesta di riformulazione in caso di difficoltà nella traduzione (terminologia

specifica o enunciati complessi)

3) Utilizzo della prima persona singolare

49

CAPITOLO IV

ACCESSIBILITÀ DELLE STRUTTURE SANITARIE IN IRLANDA

La forte immigrazione che si è riscontrata nell’ultimo ventennio ha fortemente

modificato la società irlandese determinando nuove dinamiche relazionali fra istituzioni

e società. La sua eterogeneità culturale e linguistica ha portato alla luce nuove esigenze

della popolazione: in particolar modo in ambito sanitario. Il bisogno di fornire

un’adeguata assistenza linguistica a pazienti con scarsa padronanza della lingua inglese

(LEP: limited english proficiency) si rivela essere la sfida più ardua che le aziende

ospedaliere si ritrovano così ad affrontare.

Al fine della nostra ricerca, in questo capitolo si cercherà di delineare il grado di

accessibilità delle strutture ospedaliere irlandesi da parte di pazienti con LEP, al fine di

potere fare una riflessione qualitativa sul servizio offerto. Prima di inoltrarci in questa

riflessione è necessario tuttavia definire cosa s’intende con il termine accessibilità e

quali siano le sue implicazioni. Con tale termine si fa riferimento al grado di fruibilità di

un determinato servizio da parte di un cittadino; ne consegue dunque che differenti

livelli d’accessibilità possono influenzare qualitativamente il servizio offerto dalla

struttura pubblica o privata presa in esame. L’importanza di fornire la stessa assistenza

medica a tutti i membri della società, pazienti con LEP compresi, è diventato così uno

dei temi cruciali a cui le strutture sanitarie e soprattutto il governo irlandese hanno

dovuto prestare attenzione.

“The increasing diversity in languages spoken in Ireland today means that

provision of interpreting and translating has become a pressing need if

people with low proficiency in English are to experience equality of access

and outcomes in their interaction with key Government services such as

health, justice, education and housing”5

Come ben riassume questo estratto redatto dalla National Consultative Committee on

Racism and Interculturalism (NCCRI) risalente al 2008 la necessità di offrire servizi

sanitari, giuridici e sociali fruibili in egual misura da tutta la comunità risulta centrale.

5 National Consultative Committee on Racism and Interculturalism (2008) Interpreting and Translating

services: for government service providers in Ireland

50

E’ nel 1998 che questo organismo indipendente che raggruppa organizzazioni

governative e non governative viene costituito, allo scopo di sviluppare politiche di

integrazione che promuovano il valore della diversità culturale sia a livello nazionale

che internazionale. Tuttavia dal Dicembre 2008 il NCCRI è costretto a cessare la

propria attività a causa dei tagli apportati dal governo irlandese al tempo in carica.

Durante il suo decennio d’attività, nel corso del quale è rimasto a stretto contatto con il

Ministero per l’Integrazione, ha potuto constatare come le energie e i fondi investiti in

Irlanda non siano sempre state sufficienti a garantire un servizio d’assistenza linguistica

di qualità all’interno delle proprie strutture sanitarie.

1) Per questa ragione il NCCRI sottolinea la necessità di:

Politiche d’integrazione ben precise

Standard qualitativi dei servizi ben definiti

Percorsi formativi professionalizzanti e certificanti per interpreti

Promozione del servizio verso gli utenti finali

2) L’attuazione di tali standard qualitativi permetterebbe alle istituzioni di:

Abbassare la variabilità qualitativa dei servizi

Eliminare problematiche legate alla mancanza di profilassi precise

Disporre di interpreti qualificati

Ciò che è stato osservato dal NCRRI rivela come il raggiungimento di un alto livello di

accessibilità delle strutture sanitarie sia fortemente legato ad un’azione di fissazione e

rinforzo degli standard qualitativi e al consolidamento di politiche linguistiche

appropriate. Al fine della nostra trattazione di seguito ci si dedicherà a delineare cosa si

intende con il termine “politica linguistica”, cercando di fornire un quadro della propria

applicazione nel contesto irlandese.

4.1 Interpretariato nelle istituzioni pubbliche: le politiche linguistiche

Al fine d’analizzare le politiche linguistiche adottate dalla Repubblica d’Irlanda ed il

loro impiego all’interno delle istituzioni pubbliche, è necessario prendere in

considerazione lo spazio che tale termine occupa nelle ricerche nel settore

51

dell’interpretariato e quale significato assume. Con il termine “politica linguistica”

Bugarski (1992) indica: “the policy of a society in the area of linguistic communication

– that is, the set of positions, principles and decisions reflecting that community’s

relationship to its verbal repertoire and communicative potential.” (Bugarski 1992: 18)

La definizione di politica linguistica che viene fornita da Bugarski fa riferimento ad

una serie di principi, posizioni e decisioni, che sovente trovano espressione tramite

regolamenti o linee guida che determinano lo status d’uso di una lingua ed i diritti dei

suo parlanti in un certo territorio (O’Rourke and Castillo, 2009: 34). Sulla stessa linea di

pensiero Spolky (2004) afferma come tale concetto rifletta in maniera inequivocabile

l’orientamento ideologico di una società, di un governo e delle istituzioni. Si mette in

evidenza come generalmente la cosiddetta politica linguistica viene suddivisa in due

tipologie: aperta (overt) o chiusa (covert). La politica linguistica “aperta” presuppone

che i regolamenti legati alla provvisione di supporti linguistici siano esplicitamente e

formalmente gestiti a norma di legge, permettendo ad ogni comunità linguistica di

esprimersi nella propria lingua in qualsiasi contesto istituzionale. Al contrario, la

politica linguistica “chiusa” non prevede nessuna formalizzazione giuridica della tutela

linguistica di una data comunità, cosicché ci si avvale di regolamenti impliciti ed

informali (Spolsky 2004; Ricento 2005, in Schiffman 1996). Cercando d’individuare le

principali strade percorse dai paesi in materia di provvisione di servizi pubblici

d’interpretariato (PSI: public service interpreting) Ozolins sviluppa il modello

internazionale per la valutazione della provvisione di PSI per le minoranze linguistiche

immigrate, basato su quattro possibili scenari (di seguito saranno riportati dal più

negativo a quello più positivo):

1) Totale mancanza di PSI: totale diniego da parte del governo della necessità di

fornire tale servizio

2) Presenza saltuaria di PSI: si riconosce la necessità di attivare tale servizio, ma si

ricorre ugualmente a soluzioni temporanee ad hoc

3) Presenza parziale di PSI: il servizio di PSI è presente ma non totalmente integrato

nella prassi delle istituzioni pubbliche

4) Presenza di PSI: questo diventa parte integrante dei servizi d’assistenza pubblica,

ed esistono regolamenti espliciti che ne assicurano la provvisione

52

Per fornire un quadro generale dei tratti principali delle politiche linguistiche attivate

nella Repubblica d’Irlanda si farà riferimento ad un articolo redatto da O’Rourke e

Castillo (2009), dove vengono prese in considerazione anche la Spagna e la Scozia. Al

fine della nostra trattazione tuttavia, si presterà attenzione unicamente al caso irlandese.

Un primo dato storico che avvicina l’Irlanda al tema della politica linguistica si ha negli

anni venti del XX secolo, nel momento in cui a seguito dell’ottenuta indipendenza si

tenta di ridare vita alla lingua nazionale irlandese, in un contesto dove sino a quel

momento la sola lingua ufficiale era l’inglese (O Riagàin 1997). Da questo punto di

vista la politica linguistica attuata nei confronti della lingua irlandese, quindi di

comunità autoctone non anglofone, può essere considerata tecnicamente “aperta”, in

quanto la sua tutela è prevista dall’articolo 8 della Costituzione irlandese, nominandola

prima lingua ufficiale dello Stato. Naturalmente le politiche linguistiche attuate in tale

periodo sono fortemente guidate dalla volontà di creare una propria identità come Stato

e come nazione. Ritornando ai giorni nostri, sebbene i recenti flussi migratori abbiano

messo in evidenza la necessità di creare e rafforzare i servizi di PSI del paese, le

politiche linguistiche attuate nei confronti di minoranze linguistiche non autoctone sono

piuttosto carenti, se non assenti, cosicché si può parlare di politiche linguistiche

“chiuse” (O’Rourke and Castillo 2009: 42). Utilizzando il modello di valutazione della

diffusione di PSI proposto da Ozolins si può notare come la situazione irlandese sia da

posizionare fra il primo punto della scala, dove non è prevista nessuna soluzione per la

diffusione ed il potenziamento del PSI, ed il secondo punto, in cui benché si riconosca

la necessità di tale servizio non si attivano soluzione concrete e definitive, cosicché

l’impiego di interpreti informali all’interno delle strutture istituzionali è molto

frequente.

4.2 Interpreti formali e pazienti con LEP

La maggior parte delle minoranze linguistiche in Irlanda padroneggiano i rudimenti

della lingua inglese ma molto spesso non sono in grado d’interagire efficacemente con

gli organi istituzionali: quali ospedali, scuole, stazioni di polizia, centri d’accoglienza

ecc. Il numero elevato di lingue parlate all’interno del paese (si stimano più di 210

53

lingue e dialetti6) mette in evidenza come la necessità di figure professionali che

forniscano supporto linguistico alle persone che ne facciano richiesta sia di primaria

importanza. A differenza di altri paesi, come ad esempio l’Australia, in Irlanda tuttavia

non sono previste linee guida definite che specificano quando l’interprete debba essere

interpellato ed in quali modalità. All’interno delle strutture sanitarie, nel caso si

presentasse un'evidente difficoltà comunicativa fra medico-paziente, il numero di

protocolli a cui il personale sanitario possa fare riferimento è esiguo, se non quasi del

tutto assente; ne consegue dunque che non esistono procedure standard che vengono

attivate automaticamente. La precarietà ed incertezza dell’assistenza linguistica fornita

dagli ospedali irlandesi è così oggetto di numerosi dibattiti, soprattutto per quel che

riguarda il rispetto dei diritti fondamentali dell’immigrato garantiti dalla Convenzione

Europea dei Diritti Umani, integrata a tutti gli effetti nella legislazione irlandese.

E’ fondamentale, dunque, cercare di fare luce su quali siano le modalità d’azione dei

service provider in questi frangenti:

1) Tramite quali canali vengono reperiti gli interpreti?

2) In che circostanza è previsto l’intervento dell’interprete?

3) Quanta attenzione si presta al percorso formativo dell’interprete interpellato?

4) Si ricorre mai ad interpreti improvvisati?

Le indagini condotte nel contesto irlandese hanno potuto constatare come non esista

una risposta univoca a tali quesiti, piuttosto si può parlare di tendenze generali d’azione.

Ogni struttura sanitaria, gestisce la questione in modo del tutto autonomo facendo sì che

la qualità dell’assistenza sia fortemente eterogenea sul territorio. I fondi stessi destinati

alla sanità irlandese al fine di potenziare questo servizio sono esigui, in quanto spesso

considerato di secondaria importanza rispetto alle normali pratiche mediche. La

tendenza a fare affidamento sulla mediazione linguistica dei familiari o parenti del

paziente è una pratica che tuttora è in uso, anche se negli ultimi anni la propensione a

rivolgersi ad agenzie d’interpretariato è aumentata. Ad ogni modo, il personale fornito

da tali agenzie non sempre è qualificato, cosicché la qualità del servizio proposto non è

garantita. Le modalità d’assunzione degli interpreti vengono spesso a basarsi su

6 Phelan, M. (2007) Interpreting, Translation and Public bodies in Ireland: The need for policy and

training, Letter to The Irish Times 24th October 2001

54

parametri puramente linguistici, non prestando alcuna attenzione se il candidato abbia o

meno seguito un percorso formativo professionalizzante. Questo fa sì, dunque, che

qualunque persona che sia almeno bilingue possa definirsi interprete (Phelan 2007).

4.3 Mediazione linguistica informale

Nello scorso paragrafo si è sottolineato come la tendenza a rivolgersi a familiari o

amici del paziente sia una pratica che viene spesso utilizzata all’interno delle strutture

sanitarie irlandesi. Sebbene l’avvalersi di una mediazione linguistica informale risulti

essere più pratico ed economico rispetto al contattare un’agenzia d’interpretariato è

dimostrato che nella maggior parte dei casi essa non porta a colmare il gap

comunicativo fra service provider e paziente, al contrario, talvolta la comunicazione

rischia di essere ulteriormente ostacolata e distorta. Di seguito si riporteranno alcune

ragioni per cui questa pratica viene fortemente sconsigliata:

“Informal interpreters may not be fluent in English or the other language in

which case their interpreting will be inaccurate

They may give their own version of events rather than allowing the non-English

speaker to explain his/her story

As they are not trained to interpret, they may provide a summary interpretation

where they summarize three minutes of talk in one sentence

Informal interpreters may be embarrassed by some of the material and as a result

may censor or alter information” (Phelan, 2007)

Soprattutto in ambito sanitario si può notare come il rapporto fra medico e paziente

possa essere fortemente influenzato dalla mediazione linguistica esercitata da un

familiare o da un parente. In questo caso il legame emotivo fra il paziente e l’interprete

improvvisato potrebbe sfociare in atteggiamenti di protezione nei confronti di

quest’ultimo, non riferendo così possibili diagnosi nefaste date dal medico; allo stesso

modo interi segmenti di discorso potrebbero essere eliminati causa imbarazzo o

presunta non rilevanza. La confidenzialità e il rapporto fiduciario fra medico e paziente

rappresenta un altro elemento fortemente a rischio. E’ possibile incorrere nella

situazione in cui il paziente non voglia mettere al corrente i propri parenti riguardo

55

proprie informazioni personali, privando così il medico di elementi potenzialmente

essenziali per stilare una diagnosi corretta. Allo scopo di monitorare l’effettivo impiego

di interpreti ad hoc in campo medico nel 2009 nella città di Galway (McFarlan 2009),

vengono prese in esame le consultazioni mediche di ventisei rifugiati serbo-croati e

russi, potendo così evidenziare come solo poche si avvalsero dell’assistenza di un

interprete professionista mentre l’impiego di bambini e familiari fu molto frequente. Fra

gli interpreti informali spesso utilizzati nelle strutture sanitarie irlandesi, compaiono

quindi anche i bambini. E’ frequente che figli di genitori con LEP si ritrovino a ricoprire

il ruolo d’interprete. Questa pratica, oltre a potere minare alla base la comunicazione fra

medico e paziente, può far sì che il minore sia esposto ad informazioni di cui non

dovrebbe mai venire a conoscenza. Inoltre l’essere portavoce dei propri genitori e del

medico potrebbe rappresentare fonte di stress emotivo trasformandosi in senso di colpa

per avere comunicato qualcosa di spiacevole o inconsapevolmente errato.

La carenza di interpreti formali all’interno delle strutture sanitarie fa sì che spesso si

ricorra al personale medico bilingue. Secondo le ricerche svolte da Mooney e Pettigrew,

dove si sono intervistati molti medici operanti nella sanità irlandese, il ricorso al

personale bilingue viene considerato spesso conveniente, in quanto più rapido e meno

costoso. Potere sfruttare le capacità linguistiche degli operatori sanitari risulta essere più

pratico, in quanto si può fare affidamento sulla loro preparazione medica oltre che alla

presenza in reparto anche a seguito della sessione di mediazione.

4.4 Diverse modalità di mediazione a distanza

Lo sviluppo informatico e delle telecomunicazioni ha notevolmente influenzato le

modalità di lavoro dell’interprete, creando nuovi strumenti che hanno reso possibile

fornire supporti linguistici a distanza. Al fine di fornire un quadro d’insieme di questi

strumenti innovativi ci si avvarrà degli studi condotti da S. Braun. La teleconferenza

(teleconferencing) rappresenta uno dei primi strumenti utilizzati per permettere la

comunicazione fra interlocutori senza la necessità di una compresenza fisica. Con il

termine teleconferenza Braun fa riferimento a tutte le comunicazioni interpersonali che

si svolgono in tempo reale ed in cui partecipanti sono situati in due luoghi differenti.

Vengono identificati tre tipologie di teleconferenza: audio conferenza, videoconferenza

e chat. La mediazione linguistica svolta dagli interpreti di comunità all’interno degli

56

organi pubblici, comprese le strutture sanitarie, si avvalgono soprattutto delle prime due

tipologie, per questa ragione saranno oggetto di trattazione dei prossimi due paragrafi.

4.4.1 Mediazioni telefoniche

“Telephone interpreting has been used widely in various community

interpreting settings, but it has received little attention as a distinct area of

interpreting in the growing body of interpreting studies. As telephone

interpreting is being promoted for its convenience and for the greater

availability of interpreters […]” (Lee, 2007:231-252)

La mediazione telefonica (telephone interpreting) rappresenta la forma più semplice

di audio conferenza dove l’interprete svolge la propria professione tramite un

apparecchio telefonico, senza avere la possibilità di vedere i partecipanti primari alla

conversazione, in quanto fisicamente in un altro luogo. La non visione dei partecipanti

fa si che la mediazione venga svolta in modo consecutivo, ovvero, l’interprete attenderà

che il parlante abbia concluso il proprio enunciato prima di iniziare a riprodurlo nella

lingua del ricevente. Questa tipologia di mediazione linguistica è fortemente legata

all’attività dell’interprete di comunità, in quanto offre la possibilità ai service provider

di offrire assistenza potenzialmente immediata ad immigrati o minoranze linguistiche.

Chesher et al. (Lee, 2007) hanno potuto rilevare come ci sia una carenza di letteratura

riguardante questo tipo di mediazione, in quanto molto spesso non la si considera

differente rispetto all’interpretazione sul posto: tuttavia si afferma come “an equal

proportion of interpreting occurs on site and over the phone in community interpreting”

(Lee ibid.). La stessa formazione degli interpreti spesso non prevede training o moduli

in cui si approfondiscano le dinamiche di questa tipologia di servizio.

Tramite uno studio risalente al 1999 Wadensjö ha cercato di delineare le possibili

differenze fra l’interpretazione sul posto (faccia a faccia) e quella telefonica. A tal fine

si sono prese in esame due conversazioni in cui un interprete svedese interpretava per un

parlante russofono durante un interrogatorio: nella prima essendo presente fisicamente,

ed alla seconda tramite supporto telefonico. Wadensjö ha così potuto constatare che pur

mantenendo le stesse modalità d’interrogatorio in entrambe le conversazioni,

l’interpretazione telefonica risultava meno fluida e maggiormente soggetta ad

57

interruzioni, presumibilmente per una minore tolleranza dell’interprete verso

l’overlapping speech. Un altro fattore di difficoltà viene individuato nell’impossibilità

per l’interprete di gestire le informazioni derivanti dalla comunicazione non verbale fra i

partecipanti primari: di frequente l’agente di polizia era così costretto ad interrompere la

mediazione per fornire maggiori dettagli. Tale studio dimostra come l’interpretazione

tramite apparecchio telefonico risulta essere molto complessa, in quanto l’interprete si

ritrova isolato e non ha nessun contatto visivo con le altre parti coinvolte nella

conversazione, facendo unicamente affidamento a ciò che gli viene comunicato

oralmente. Per questa ragione, le evidenze raccolte da Wadensjö farebbero supporre che

questa tipologia di mediazione potrebbe non presentare la stessa efficacia in ogni ambito

d’applicazione, soprattutto nel caso si debbano gestire conversazioni emotivamente

stressanti per il paziente/imputato.

La crescente necessità di fornire un’immediata assistenza linguistica a persone con

LEP ha condotto anche l’Irlanda ad attivare servizi di mediazione telefonica, anche se in

maniera più modesta rispetto ad altri paesi europei ed extraeuropei. La mancanza di

norme che regolino anche questo tipo di mediazione fa sì che talvolta l’interprete

chiamato si trovi in un luogo che non permette un’adeguata concentrazione e la

confidenzialità del caso potrebbe non essere tutelata. Allo stesso modo, è presente un

forte bisogno di un servizio d’assistenza linguistica telefonica attivo per l’intero arco

delle ventiquattro ore, in modo che ospedali, stazioni di polizia e servizi d’emergenza

possano ricevere supporto qualora ne facciano richiesta. Il telephone interpreting

potrebbe rappresentare un potente strumento tramite il quale il paziente prende il primo

contatto con la struttura sanitaria in caso di necessità urgente. Al momento attuale i

numeri d’emergenza attivi in Irlanda (999 per le stazioni di polizia e 112 per assistenza

medica) non forniscono nessuna assistenza linguistica nel caso in cui colui che chiama

non riesca a comunicare efficacemente in inglese: l’obiettivo primario dell’operatore

diventa individuare l’indirizzo e il numero di telefono della persona che sta chiamando,

in modo da attivare i soccorsi. Per questa ragione diverse strutture sanitarie si stanno

attivando per creare un servizio di mediazione telefonica a cui l’operatore possa

accedere in caso di necessità. Tenendo conto delle dinamiche caratterizzanti questa

tipologia di mediazione, risulterebbe utile stabilire alcune norme al fine di ottimizzare il

servizio offerto. Il fissare giornate precise in cui l’interprete sia pagato per restare a casa

58

e ricevere chiamate; dotare ogni interprete di un numero di rete fissa o cellulare a cui i

service provider possano rintracciarlo; creare un servizio attivo ventiquattro ore al

giorno, potrebbero rivelarsi soluzioni efficaci.

4.4.2 Interpretazione a distanza e Videoconferenze

Si può parlare d’interpretazione a distanza (remote interpreting) quando i

partecipanti primari si trovano nello stesso luogo, mentre l’interprete si trova altrove ed

esegue la mediazione tramite un supporto audio o audio/video. La prima applicazione

di tale strumento fu il remote conference interpreting adottata e sperimentata dalle

Istituzioni Internazionali al fine di facilitare la comunicazione fra i propri membri. In

questo contesto l’interprete operava da una stanza separata rispetto al luogo della

conferenza e aveva possibilità di comunicazione audio e video, in modo da vedere

ciascun partecipante o l’insieme dei partecipanti. Recentemente questa tecnologia sta

conoscendo una grande diffusione anche nel settore sanitario, e nel campo

dell’interpretariato di comunità. In questa caso si parla d’interpretazione a distanza

bilaterale (remote bilateral interpreting), sistema che da tempo è stato adottato da

Finlandia e Norvegia ma che in Irlanda non viene utilizzato frequentemente (spesso per

l’interpretazione del linguaggio dei segni). Sebbene il concetto d’interpretazione a

distanza coinvolga anche la videoconferenza Braun delinea due differenti scenari per

ognuno di essi7.

1) Videoconference interpreting (a)

7 Immagini tratte da: http://www.videoconference-interpreting.net

59

Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione si trovano in due luoghi

separati (esempio: tribunale/prigione) e l’interprete si trova in aula.

2) Videoconference interpreting (b)

Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione si trovano in due luoghi

separati (esempio: tribunale/prigione) e l’interprete si trova con il parlante LEP.

3) Remote interpreting

Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione si trovano nello stesso luogo,

mentre l’interprete esegue la mediazione da un luogo differente.

60

4) Videoconference + remote interpreting

Scenario in cui i partecipanti primari alla conversazione e l’interprete si trovano in

luoghi differenti

L’impiego del remote bilateral interpreting e della videoconference interpreting

negli ultimi anni è stato oggetto di diversi dibattiti. Mentre per alcuni rappresenta la

possibilità di reperire interpreti in tempi brevi e velocizzare la mediazione, per altri è

presente il rischio che tale strumento possa influenzarne negativamente la qualità,

peggiorando anche le condizioni lavorative degli stessi interpreti. Inoltre, la diffusione e

la validità di tale forma di comunicazione bilingue o multilingue viene talvolta messa in

discussione dal fatto che non è presente nessun percorso di training per preparare gli

interpreti stessi ad operare tramite supporti multimediali.

Uno studio volto ad analizzare l’efficacia di questa tecnologia in ambito sanitario è

stato condotto da Hornberger et al. (1996). A questo fine si sono messe a confronto due

tipologie di mediazione: la prima condotta simultaneamente a distanza tramite la sola

connessione audio; la seconda condotta sul posto in modo consecutivo. Nelle

mediazioni a distanza sono stati forniti microfoni e cuffie, mentre l’interprete

interpretava simultaneamente da una stanza separata. Si è potuto riscontrare che sebbene

gli interpreti impiegati preferissero lavorare sul posto, la mediazione a distanza viene

preferita dai partecipanti primari, in quanto l’interpretazione simultanea a distanza è

considerata più completa e precisa rispetto alla modalità consecutiva sul posto. La

qualità dei dati ottenuti da ricerche svolte in questo ambito spesso risultano difficili da

mettere in relazione fra loro, in quanto molte sono le variabili che caratterizzano la

mediazione operatore sanitario-paziente. In linea generale, tuttavia, la ricerca valuta

61

positivamente l’impiego di tali tecnologie, col fine di migliorare la qualità del servizio

offerto dall’interprete. In Azarmina e Wallace (2005: 144) si afferma che:

“the findings of the selected studies suggest that remote interpretation is at

least as acceptable as physically present interpretation to patients, doctors

and (to a lesser extent) interpreters themselves" and that "[r]emote

interpretation appears to be associated with levels of accuracy at least as

good as those found in physically present interpretation.” (Braun, 2006)

Sebbene in questo paragrafo si sia voluto fornire un’immagine delle diverse modalità

con cui l’interprete può avvalersi delle nuove tecnologie per condurre la mediazione,

probabilmente quella che potrebbe essere maggiormente sfruttata in un contesto

sanitario è quella in cui i partecipanti primari si trovano nello stesso luogo e l’interprete

altrove: supponendo che il medico abbia necessità di visitare fisicamente il paziente,

cosicché la condivisione dello stesso spazio fisico è necessaria. Non è possibile tuttavia

escludere a priori l’applicazione delle altre modalità elencate. La crescente richiesta

d’implementazione di tale tipologia di servizio porta così la ricerca a continuare i propri

studi al fine di migliorarne la qualità.

62

CAPITOLO V

CODICI ETICI A CONFRONTO

L’associazione irlandese traduttori ed interpreti (ITIA8) è la sola organizzazione del

paese che tutela e rappresenta gli interpreti ed i traduttori in Irlanda. Il suo scopo

primario risiede nel rivalutare le figure professionali del traduttore e dell’interprete,

sottolineando come ad alti standard qualitativi debbano corrispondere anche

riconoscimenti di egual misura da parte degli organi governativi e delle strutture

pubbliche: dalle modalità d’impiego alla remunerazione. La promozione di un servizio

di traduzione ed interpretariato di qualità viene portata avanti grazie anche alla

creazione di un archivio in linea (liberamente consultabile sul sito internet

www.translatorsassociation.ie) contenente le generalità e le competenze dei propri

membri: traduttori ed interpreti professionisti certificati. Nella lista vengono registrati,

unicamente traduttori o interpreti professionisti che abbiano superato l’ITIA

Professional Membership Examination e aderito al “Code of Practice and Professional

Ethics” e al “Code of Ethics for Community Interpreters”.

“An ITIA Certified Translator is a Professional Member of the association who

has passed the stringent ITIA Certification Examination and is approved to translate,

stamp and certify documents intended for use in a legal or official context and that

require certification […]”9

5.1 I codici etici: un tema controverso

Tramite il Code of Practice and Professional Ethics, risalente al 2005, l’ITIA si

prefigge di fissare precise norme etiche e standard qualitativi minimi a cui

l’interprete/traduttore deve attenersi. Ogni membro che entrerà a far parte

dell’associazione si impegna a rispettare questo codice ed i suoi contenuti che, come

riportato, sono soggetti alle disposizioni delle leggi della Repubblica d’Irlanda e alle

direttive dell’Unione Europea: “This Code is subject to and recognizes the provisions of

8 Fondata nel 1986 col nome The Irish translators’ association da Ann Bernard, Cormac Ó Cuilleanáin

and J.F. Deane nel 2002 viene rinominata The Irish translators’ and interpreters’ association. 9 www.translatorsassociation.ie

63

the Constitution of the Association, the laws of the Republic of Ireland and the

directives of the European Union.”10

La volontà di regolamentare la professione dell’interprete/traduttore in tutte le sue

parti è molto forte, cercando di valorizzarne l’attività tramite precisi parametri

comportamentali ed etici a cui attenersi. Di seguito si analizzeranno brevemente le

tematiche che vengono affrontate, in modo da fornire un quadro generale dei contenuti

di questo documento11

:

Professionalità (Professionalism): la professionalità dell’interprete deve

regolarne i rapporti con i partecipanti all’evento mediato; coscienza delle proprie

abilità e obbligo di rifiuto di qualsiasi incarico che vada oltre le stesse

Confidenzialità (Confidentiality): il rapporto fra i partecipanti alla mediazione e

l’interprete deve essere strettamente confidenziale

Imparzialità (Impartiality): la condotta dell’interprete deve essere imparziale; il

discorso dei partecipanti alla mediazione non deve subire modifiche, salvo

approvazione dello stesso

Condizioni lavorative (Working conditions): la documentazione e l’entità

dell’incarico affidato all’interprete dovrà essere adeguato al fine di garantire una

prestazione ottimale

Standard professionali (Professional standards): l’associazione non

riconoscerà nessun interprete/traduttore che non sia un professionista qualificato

Divergenze e dispute (Disagreements and disputes): precisi regolamenti che

regolano possibili dispute fra interprete e partecipanti primari alla mediazione

Pubblicità e remunerazione (Advertising and remuneration): gli interpreti

hanno diritto di pubblicizzare la propria attività e di pretendere un giusto

compenso

10 ITIA (2005) Code of Practice and Professional Ethics, Dublin 11 Come nel Code of Practice and Professional Ethics ci si riferisce all’interprete/traduttore, salvo

specificazioni

64

Mentre il precedente documento ha una portata generale, il Codice etico per

interpreti di comunità (Code of Ethics for Community Interpreters12) è specialmente

dedicato alla figura professionale del community interpreter che dovrà operare

all’interno di strutture istituzionali irlandesi. Il documento preso in esame cerca di

fornire linee di condotta etica e professionale a cui l’interprete dovrà attenersi, e allo

stesso tempo di cui i service provider potranno prendere visione. In un contesto dove i

regolamenti legati alla professione dell’interprete di comunità sono quasi del tutto

assenti la presenza di Codici etici a cui potere fare riferimento diventa di fondamentale

importanza. La mancata presenza di adeguati percorsi formativi, e di training, per

formare questa figura professionale fa sì che sempre più spesso il codice si faccia

portatore di regole di condotta generale che il professionista potrà seguire diminuendo

così la propria arbitrarietà: “[…] code of ethics protects the interpreter and lessens the

arbitrariness of his or her decisions by providing guidelines and standards to follow.”13

Tuttavia il carattere non normativo dello stesso lascia libertà d’adesione, affidando il

risultato della mediazione all’intelligenza di ogni singolo interprete e all’esperienza

accumulata nelle proprie esperienze lavorative. Diverse ricerche hanno dimostrato come

il rispetto dei principi etici dell’interprete sia direttamente proporzionale alle

certificazioni professionali ottenute. Le ragioni sono molteplici: l’interprete di comunità

non qualificato potrebbe non essere informato dell’esistenza di tale codice, e allo stesso

modo, qual’ora ne fosse a conoscenza potrebbe non avere le competenze per metterne in

atto i principi. Risulta quindi necessario creare percorsi formativi professionalizzanti in

cui si rifletta sulle norme etiche che un interprete di comunità dovrebbe seguire, dando

largo respiro alla consapevolezza dell’importanza e della delicatezza del proprio ruolo.

A livello mondiale esistono molteplici codici etici, tant’è che i principi presi in

considerazione risultano essere piuttosto eterogenei. Di seguito si riporteranno alcuni

12 “The original version of this code of ethics was drawn up by Esme England, Alda Gomez and Julie

Napier as an assignment for the Ethics module on the Graduate Certificate in Community Interpreting at

Dublin City University. It was later revisited by the ITIA Community Interpreting Sub Committee. The

ITIA would like to acknowledge the input of everyone involved”, ITIA, Code of ethics for Community

Interpreters 13 Hale, S. B. (2007) Community Interpreting, Basingstoke, Palgrave Macmillan, p. 103

65

dati ricavati da un sondaggio eseguito da Hale (2007) che forniscono una visione

generale dei maggiori aspetti presi in considerazione14

.

Aspect included in the codes of ethics Frequency and percentage of 16 codes

Confidentiality 81,25%

Accuracy 75%

Impartiality/conflict of interest 68,75%

Professional development 50%

Accountability/responsibility for own

performance 43,75%

Role definition 37,5%

Professional solidarity 31,25%

Working conditions 25%

Dai dati raccolti si può notare come la maggior parte dei paesi presi in esame ritengano

che aspetti come la precisione, la confidenzialità e l’imparzialità siano aspetti centrali

che dovrebbero essere inseriti all’interno di ogni codice. Ad altri, come le condizioni di

lavoro e la definizione del proprio ruolo professionale, viene dedicata minore

attenzione.

La professione dell’interprete di comunità comporta il sapere gestire situazioni ad

alto carico emozionale, motivo per cui un’adeguata formazione gli fornirebbe gli

strumenti teorici per affrontarle al meglio. L’imparzialità è sicuramente uno degli aspetti

più controversi contemplati. Non è presente, difatti, una vera e propria definizione di

tale concetto ma piuttosto si delinea una condotta a cui attenersi.

14 Tabella tratta da: S. B. Hale (2007) Community Interpreting, Basingstoke, Palgrave Macmillan. Si sono

presi in considerazione sedici codici etici di nove paesi: Australia, Austria,Canada, Colombia, Indonesia,

Irlanda, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti.

66

Si sottolinea che l’interprete di comunità ha il dovere di:

“Decline to interpret where a family or close personal or professional

relationship may affect impartiality

not impose his/her philosophical, religious or political views on any

interpretation

not offer advice or personal opinions either on own initiative or when asked

never correct erroneous facts or statements that may occur, even though the error

is obviously unintentional. Neither should s/he infer a response, that is, if the

beneficiary is asked to clarify a prior response, the interpreter should pose the

question as asked and not volunteer what he or she thought the person meant”15

Si auspica che il professionista assuma un atteggiamento imparziale allo scopo di

non influenzare in nessun modo lo svolgimento della mediazione; nel caso dovesse

insorgere un conflitto d’interessi lo si invita a declinare l’incarico. Il fatto che

l’interprete non sia d’accordo con i propri clienti non può essere considerato violazione

del codice etico, che si otterrà unicamente tramite una volontaria alterazione del

discorso originale. La questione legata all’importanza della neutralità è molto

complessa. Secondo Rudvin, difatti, di per sé non può aiutare a raggiungere la completa

equivalenza fra discorso originale e traduzione. Tuttavia, risulta necessario assumere un

atteggiamento il più possibile neutrale al fine d’esercitare una mediazione linguistica

fedele e precisa.

“ As Rudvin states, the difficulties associated with the need to remain impartial must be

acknowledged. Disagreeing or agreeing with what the parties state does not constitute

unethical behavior […]. What constitutes unethical behaviour, […] is the deliberate

alteration of an utterance to reflect interpreter’s own beliefs […]” (Hale, 2007)

Gli aspetti presi in considerazione dal codice sono strettamente correlati fra loro,

tanto che il mancato rispetto di uno porta ad influenzarne anche altri. Il legame fra

l’imparzialità e la precisione è dunque evidente. L’atteggiamento dell’interprete di

comunità nei confronti dei propri clienti risulta fondamentale per garantire la fedeltà

15 ITIA, Code of ethics for Community Interpreters

67

della mediazione, facendo sì che il messaggio originale sia tradotto in modo accurato.

Sebbene i Codici etici siano importanti Wadensjö afferma come “much more than a

code of ethics is needed in order to ensure quality of interpreting services”16

, puntando

l’attenzione sul risvolto pratico che tali documenti dovrebbero ottenere.

5.2 Medical interpreting: due codici americani

Prendendo in analisi i Codici etici redatti dall’ITIA si è potuto notare come i principi

prescritti vengano ritenuti applicabili ad ogni contesto lavorativo in cui l’interprete di

comunità dovrà operare. L’ambito di lavoro (ospedali, tribunali, stazioni di polizia,

centri d’accoglienza per migranti ecc.) sembra così essere una variabile trascurabile

nella definizione del ruolo e dei doveri dell’interprete. Al fine della nostra trattazione di

seguito saranno presi in esame alcuni Codici etici internazionali che a differenza di

quelli irlandesi si dedicano unicamente all’attività dell’interprete di comunità nel settore

sanitario. A tale scopo si analizzerà: il “Massachusetts medical interpreting association

standards of practice”, ed il “California standards for healthcare interpreters: Ethical

Principles, Protocols, and Guidance on Roles & Intervention”.

5.2.1 Massachusetts medical interpreting association standards of practice

Il Medical interpreting standards of practice viene creato dalla Massachusetts

medical interpreting association e adottato nel 1995. Questa associazione conosciuta

anche come International medical interpreting association (IMIA), fondata nel 1986

negli Stati Uniti, si pone l’obiettivo di fissare standard qualitativi adeguati al fine di

migliorare l’attività degli interpreti all’interno delle strutture sanitarie, rendendole così

accessibili a pazienti con scarsa padronanza della lingua inglese. Il codice stilato

dall’IMIA rappresenta il primo documento in cui ci si dedica alla regolamentazione

della professione d’interprete all’interno delle strutture sanitarie, andando così a

costituire un importante punto di riferimento per ogni interprete di comunità

professionista che voglia operare in tale campo.

16 Hale, S. B. (2007) Community Interpreting, Basingstoke, Palgrave Macmillan

68

Al fine di fissare standard qualitativi e operativi da applicare nel settore del healthcare

interpreting l’associazione si pone tali obiettivi:

1) Definire requisiti di formazione e qualificazione degli interpreti operanti in

contesti sanitari

2) Fissare standard e norme professionali dedicati all’interpretariato in ambito

medico

3) Promuovere il consolidamento dei servizi d’interpretariato e traduzione

professionale per mezzo delle strutture sanitarie

4) Raccogliere e diffondere informazioni riguardanti l’interpretariato in ambito

sanitario

5) Promuovere la ricerca sulla comunicazione transculturale in ambito sanitario

6) Incentivare la professione dell’interprete in ambito medico

Si può notare come le aree d’interesse trattate coprono ogni aspetto della professione

dell’interprete in campo medico-sanitario: dalla formazione, alla fissazione e diffusione

di standard qualitativi, arrivando alla promozione e sostegno della ricerca e delle

informazioni del settore fra service provider ed interpreti professionisti. Nella

prefazione viene sottolineato inoltre, come dal 2006, per volere del IMIA Board of

Directors, il documento è stato messo a disposizione gratuitamente in linea in modo da

potere essere raggiunto da un elevato pubblico di lettori. Il codice può essere

visualizzato nelle seguenti lingue: inglese, portoghese, spagnolo ed ebraico.

Al fine di fissare suddetti standard qualitativi si prendono in considerazioni tre aspetti

legati alla mediazione interlinguistica in ambito sanitario: 1) l’interpretazione

(interpreting), 2) la mediazione interculturale (cultural interface), 3) il comportamento

etico (ethical behaviour). Nella prima parte si prendono in esame le dinamiche della

conversazione triadica medico-paziente-interprete cercando di delineare quale sia il

ruolo di quest’ultimo e quali siano i propri doveri. Di seguito si riporterà un breve

riassunto dei compiti che l’interprete è tenuto ad assolvere secondo il codice proprosto

dall’IMIA:

Preparazione (Setting the stage): informare gli operatori sanitari ed il paziente

su cosa aspettarsi dall’interprete e dal ruolo che ricopre nel caso non ne siano a

69

conoscenza (ponendo particolare attenzione ai principi di precisione,

imparzialità e confidenzialità)

Interpretazione (Interpreting): interpretare e comunicare le informazioni in

maniera precisa e completa

Gestione della comunicazione (Managing the flow of communication): essere

in grado di gestire la conversazione senza che ci sia perdita di informazioni.

Gestione della conversazione triadica (Managing the triadic conversation):

essere imparziale, evitando di sostenere l’uno o l’altro partecipante alla

conversazione

L’ultimo punto verrà qui riportato integralmente in quanto merita un’ulteriore

riflessione:

“Assisting in closure activities: The responsibility of the interpreter in the

closing moments of the clinical encounter is to encourage the provider, when

necessary, to provide follow‐up instructions that the patient understands and will

therefore be likely to follow. In addition, the role of the interpreter is to make

sure that the patient is connected to the services required (including additional

interpreter services) and to promote patient self‐sufficiency, taking into

consideration the social context of the patient.”17

E’ interessante notare come i primi tre compiti facciano riferimento ad aspetti

(precisione, imparzialità, confidenzialità e completezza) ripresi successivamente da

molti codici etici. Il quarto punto, tuttavia, prevede che l’interprete si assuma le

responsabilità di verificare, in caso si presentasse il dubbio, che la comunicazione fra

operatore sanitario e paziente abbia avuto un esito positivo alla fine della sessione;

l’intervento attivo dell’interprete è quindi incoraggiato. Secondo diverse scuole di

pensiero tale responsabilità andrebbe ben oltre il ruolo dell’interprete, in quanto si

17 Massachusetts medical interpreting association (1995) Medical interpreting standards of practice

70

sostiene che spetterebbe all’operatore sanitario verificare se ciò che è stato comunicato

sia stato effettivamente compreso.

La seconda parte del codice è dedicata alle possibili difficoltà che l’interprete

potrebbe incontrare a causa di un background culturale non condiviso fra service

provider e paziente. La trasmissione di concetti che esistono nella cultura d’arrivo ma

non in quella di partenza o viceversa fa sì che l’interprete si ritrovi a dovere cercare

soluzioni che permettano ai partecipanti primari di rendersi conto di tale gap e porvi

rimedio. Nella conversazione triadica faccia a faccia, come quella che sovente avviene

in una sessione di mediazione interlinguistica in ambito sanitario, si sottolinea come

l’interprete abbia un forte potenziale d’influenzamento. Pur mantenendo la propria

imparzialità non rimane invisibile agli occhi dei partecipanti alla conversazione, che

inevitabilmente devono riporre la propria fiducia in tale figura professionale. Ne risulta

che l’interprete di comunità deve avere piena consapevolezza del proprio ruolo e degli

effetti che il proprio intervento potrebbe avere sulla conversazione e sui partecipanti

primari.

5.2.2 California standards for healthcare interpreters: Ethical Principles,

Protocols, and Guidance on Roles & Intervention

Il California standards for healthcare interpreters costituisce un altro importante

documento che va ad aumentare e diffondere la conoscenza della professione

dell’interprete in ambito medico-sanitario. Pubblicato nel 2002 ad opera della California

healthcare interpreters association (CHIA) si prefigge tale obiettivo:

“CHIA's mission is to: Increase equal access to healthcare by Developing

and promoting the healthcare interpreter profession; Advocating for

culturally and linguistically appropriate services; and Providing education

and training to healthcare professionals.”18

Tale codice fu concepito al fine di migliorare i servizi offerti dalle strutture sanitarie

dello stato della California, dove la percentuale di parlanti ispanofoni è molto elevata (il

codice è di facile accessibilità in quanto scaricabile gratuitamente dal sito

18 CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters

71

www.chiaonline.org; può essere inoltre visualizzato sia in lingua Inglese che in lingua

Spagnola). L’ambito del healthcare interpreting viene descritto come un settore a sé

stante con dinamiche proprie e del tutto particolari, pertanto si sottolinea la necessità di

mettere per iscritto norme di condotta che possano aumentare la consapevolezza degli

organi sanitari. Lo stesso titolo del codice fa preciso riferimento ai principi etici, ai

protocolli, al ruolo e alle modalità d’intervento dell’interprete professionista in tale

contesto. Al fine di delineare al meglio suddetto documento di seguito ci si dedicherà a

descriverne brevemente la struttura, evidenziando le principali tematiche trattate.

La prima delle tre sezioni che compongono il testo viene dedicata principalmente ai

principi etici che ogni interprete è tenuto a rispettare: imparzialità, confidenzialità,

integrità professionale, precisione/completezza, rispetto nei confronti delle persone e la

loro comunità, con particolare attenzione nei confronti dei possibili gap culturali. La

descrizione di ognuno di questi aspetti viene messa in relazione col contesto sanitario in

cui dovranno trovare applicazione, prendendo come punto di riferimento la

conversazione triadica medico-paziente-interprete. Un elemento peculiare ed

interessante presente in questa prima sezione è rappresentato da un capitolo dedicato

interamente al come l’interprete debba affrontare eventuali dilemmi etici, cercando di

concentrarsi sul processo decisionale.

Processo decisionale in caso di dilemma etico19

Il cosiddetto Process for ethical decision-making è uno strumento pratico che viene

fornito all’interprete al fine di riuscire a prendere una decisione ottimale al presentarsi

di un dilemma etico. Le fasi di tale processo possono essere così riassunte:

1) Ask questions to determine whether there is a problem

2) Identify and clearly state the problem, considering the ethical principles that may

apply and ranking them in applicability

3) Clarify personal values as they relate to the problem

4) Consider alternative actions, including benefits and risks

5) Decide to carry out the action chosen

19 L’esempio qui riportato è tratto integralmente dal codice California standards for healthcare

interpreters, in quanto penso sia estremamente interessante e utile al fine della ricerca che si sta

conducendo

72

6) Evaluate the outcome and consider what might be done differently next time

Il caso che qui viene portato come esempio riguarda il frangente in cui il paziente

non voglia condividere con l’operatore sanitario informazioni che potrebbero avere un

peso rilevante nella diagnosi. Tuttavia questo desiderio viene comunicato all’interprete:

“Don’t tell the doctor what I just told you!”, ponendo il dilemma di comunicare o meno

all’operatore sanitario ciò che gli è stato riferito.

Considerando che l’interprete non possiede una conoscenza medica paragonabile a

quella dell’operatore sanitario la questione diventa ancora più complessa. Quale

soluzione adottare dunque:

“Should interpreters take some action to help the provider receive this new

information or should they remain silent and maintain patient confidentiality?

If the interpreter reveals information without the patient’s approval, how will

this affect the level of trust level between interpreter and patient, or within the

patient’s community?

What if the information revealed by the patient is critical for the patient’s health

or safety and therefore important for the provider to know?

If the interpreter chooses to remain silent, will there be an impact on the

patient’s health and well-being?

On the other hand, why would an LEP patient not be entitled to withhold

information in the same way an English-proficient patient would?”20

Tali domande che coinvolgono tematiche legate alla confidenzialità, la fiducia ed il

rischio per la salute del paziente non sono tuttavia di facile risposta. La decisione

dell’interprete di comunità deve essere frutto di profonda ponderazione, valutando i

possibili rischi o benefici per il paziente, dove è necessario tenere in considerazione

ogni possibile esito. Nella tabella, che sarà riportata di seguito, si prenderanno in

considerazione le possibili scelte che si pongono davanti all’interprete in tale

circostanza, sottolineandone eventuali benefici o rischi. Si può notare come difatti il

20 CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters

73

caso portato ad esempio di dilemma etico sia oggetto di un’analisi meditata e razionale,

cercando di creare un quadro complessivo basato sulla logica dell’azione-reazione.

Tabella riportante le possibilità d’azione poste davanti all’interprete di comunità21

ACTION BENEFITS RISKS

Remain silent

(i.e., do not inform the

doctor)

Patient continues to

trust interpreter

Allows patient the

right to withhold

information in the

same way an English

speaking patient

might

Compromises the

doctor’s ability to

negotiate and

understand the

patient’s health

problem, recommend

effective treatment,

assess patient

adherence or non

adherence to

treatment

The concealed

information may be of

sufficient importance

to endanger the

patient if the

interpreter does not

intervene

Withholding

potentially important

information may

cause the interpreter

anxiety, uncertainty,

and concern for the

health and safety of

the patient

Tell the doctor Increases the

doctor’s ability to

understand the

patient’s health

problem, to

recommend and

negotiate effective

treatment options,

and to assess patient

adherence to

Patient may lose trust

in the interpreter

Community may lose

trust in interpreter if

patient communicates

dissatisfaction

through formal or

informal community

networks

21 Tratta integralmente da: CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters

74

treatment

Relieves interpreter

anxiety, uncertainty

and concern about

withholding

potentially important

information

During the

session Patient may respect

the courage of the

interpreter in raising

possibly important

concerns with

provider

May increase trust

for the

interpreter[…]

Patient may become

angry and lose trust

and respect for the

interpreter […]

Outside the

session Patient may

continue to trust

interpreter

Alerted by the

interpreter, the

provider may choose

a culturally

appropriate way to

get the patient to

discuss problems

and concerns,

thereby obtaining

more complete

information

Patient may lose trust

in the interpreter

Provider may be

unable to talk

immediately to the

patient directly and to

address any problems

or concerns, or to

obtain more

information

The concealed

information may be of

sufficient importance

to endanger the

patient if the

interpreter does not

find a way to

intervene immediately

E’ bene considerare come le tempistiche caratterizzanti la realtà professionale in

questo settore, dove l’interprete è spesso costretto a dovere prendere decisioni in tempi

brevi, siano molto ristrette. Risulta evidente, come la formazione e soprattutto il training

dell’interprete di comunità si rivelano fondamentali al fine d’ottimizzare la propria

prestazione. Diverse ricerche hanno potuto dimostrate come sovente i pazienti e gli

stessi professionisti sanitari non sono preparati a cooperare con un interprete (la sanità

75

irlandese non costituisce eccezione), in quanto talvolta il ruolo effettivo da lui ricoperto

non è noto, così come non risulta chiaro cosa aspettarsi dalla sessione di mediazione.

Al fine di garantire una cooperazione ottimale fra service provider, paziente ed

interprete la seconda sezione del documento si dedica alla definizione di tre protocolli

standard che forniscono informazioni sulle modalità con cui l’interprete opererà prima,

durante e dopo l’incontro di mediazione. All’interno del protocollo pre-sessione (Pre-

session protocol) viene affermato come in tale sede l’interprete dovrebbe comunicare al

paziente e all’operatore sanitario come si svolgerà la sessione e quale sarà il proprio

ruolo all’interno della conversazione triadica. Viene sottolineato, dunque, come tale

protocollo abbia lo scopo di gettare le basi per una buona collaborazione fra i soggetti

coinvolti rafforzandone inoltre la confidenzialità. Nel protocollo durante la sessione

(during the session protocol), diversamente, ci si occupa di delineare le modalità con

cui l’interprete dovrà facilitare la comunicazione fra service provider e paziente durante

l’incontro. E’ interessante notare come in determinate circostanze il protocollo preveda

l’intervento attivo dell’interprete all’interno della comunicazione nel caso insorgano

situazioni limite che bloccano il flusso comunicativo o creano gravi incomprensioni.

L’interprete di comunità deve così:

Indicate clearly when interpreters are speaking on their own behalf (instead of

interpreting the words of either patient or provider) when intervening for any

purpose

Consider interrupting the communication process in extreme circumstances to

privately discuss with the provider or patient issues of concern to the interpreter

that may not be openly discussed within the session […]22

Nell’ultimo protocollo post-sessione che viene preso in considerazione (post-session

protocol), ci si occupa invece della parte conclusiva dell’incontro fra operatore sanitario

e paziente. In questo frangente è dunque previsto che l’interprete verifichi che la

conversazione sia realmente conclusa, ed in caso di necessità, risolvere eventuali dubbi

dell’una o dell’altra parte. Si può notare come questa sezione dedicata alla fissazione di

standard legati alle modalità di relazione fra i partecipanti all’evento mediato faccia

22 CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters

76

sovente riferimento alla necessità di un intervento attivo dell’interprete, in tutte le fasi

qui prese in considerazione.

Il codice preso in esame individua ben quattro ruoli a cui l’interprete deve prestare la

massima attenzione e adempiere con cautela:

1) Convertitore di messaggio (message converter)

2) Chiarificatore di messaggio (message clarifier)

3) Chiarificatore culturale (cultural clarifier)

4) Supporto al paziente (patient advocate)

Si può notare come i differenti ruoli qui riportati tentano di coprire più aspetti legati alla

mediazione linguistica fra HCP e LEP, andando dal più superficiale, squisitamente

linguistico, a quello più profondo legato alla chiarificazione di eventuali incomprensioni

dovute alle differenze culturali in gioco. In particolare, è doveroso dedicare una

riflessione al quarto ruolo elencato. Di seguito se ne riporterà la definizione che viene

fornita dal documento:

“Advocacy: The American Heritage Dictionary defines “advocacy” as

“active support.” In the healthcare interpreter setting, “advocacy” is an

action taken by an interpreter intended to further the interests of, or rectify a

problem encountered by one of the parties, to the interpreting session,

usually the patient.”23

Viene sottolineato come tale supporto possa essere fornito unicamente in determinate

situazioni che potenzialmente potrebbero condurre a una qualsiasi forma di

discriminazione, ripercuotendosi sullo stato di salute del paziente. Per questa ragione il

codice lascia libertà d’iniziativa all’interprete che, basandosi sulla propria competenza

professionale ed i principi etici, può decidere d’intervenire o meno, valutando i possibili

rischi o benefici: “[…] the Patient Advocate role must remain an optional role for each

individual healthcare interpreter in light of the high skill level required and the potential

risk to both patient and interpreter.”24

23 CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters 24 CHIA (2002) California standards for healthcare interpreters

77

Sebbene il tema qui trattato sia estremamente delicato e controverso, è bene sottolineare

come tale codice faccia un tentativo di avvicinare standard di condotta teorici

dell’interprete alla realtà lavorativa quotidiana, in modo da fornire una guida che gli

permetta di gestire situazioni di particolare complessità. Tuttavia, esso è profondamente

diverso rispetto ai codici irlandesi analizzati precedentemente.

78

CAPITOLO VI

ASSISTENZA LINGUISTICA IN IRLANDA: ASPETTO GIURIDICO

In questo capitolo ci si dedicherà prettamente all’aspetto giuridico legato all’impiego

di interpreti nella sanità pubblica irlandese. Si cercherà di tracciare un percorso del

diritto legato alla non discriminazione linguistica affrontato dall’Europa in quest i ultimi

vent’anni, prendendo come riferimento alcuni atti stilati dalla stessa Unione Europea e

dalle Nazioni Unite, facendo poi un confronto con la Costituzione irlandese.

Negli ultimi dieci anni l’Irlanda ha conosciuto una forte migrazione, ragione per cui

il bisogno di interpreti in ogni settore è diventato un vero e proprio problema a cui

trovare una soluzione immediata. Il settore sanitario non è escluso da questa impellente

necessità, tant’è che la comunicazione fra professionisti sanitari e pazienti stranieri non

sempre si avvale della mediazione linguistica da parte di un interprete professionista.

Come conseguenza la qualità del servizio offerto non rispecchia alti standard qualitativi,

cosicché il paziente non sempre riceve un trattamento medico adeguato alle proprie

esigenze, talvolta con esiti disastrosi per la propria salute. Phelan (2007) afferma che i

costi che l’azienda ospedaliera dovrebbe sostenere in caso di cause legali a seguito di

diagnosi errate o qualsiasi danno legato ad un fraintendimento sarebbero tuttavia

maggiori rispetto a quelle che servirebbero per garantire al pubblico un buon servizio.

La Costituzione irlandese, a differenza di quella statunitense e dell’Irlanda del Nord,

non prevede nessuna norma che tutela il diritto di persone con LEP a ottenere il

supporto di un interprete all’interno delle strutture ospedaliere. Questa mancanza di

regolamentazione governativa fa sì che ogni ospedale affronti il problema

autonomamente senza ricevere alcun finanziamento o linea guida dallo stato. L’attuale

crisi economica in cui versa l’Irlanda allontana ulteriormente la possibilità della

costituzione di un progetto politico che promuova un sistema d’impiego di interpreti su

scala nazionale: dalla formazione/training all’impiego nel contesto ospedaliero. La

barriera linguistica che si viene a creare fra professionista sanitario ed il proprio

paziente può rendere la comunicazione incerta: al primo risulterà difficile stilare una

diagnosi corretta mentre al secondo non sempre risulterà chiaro a quali trattamenti sarà

sottoposto, andando a pregiudicare il cosiddetto consenso informato. Secondo questo

principio ogni paziente detiene il diritto ad essere informato in modo chiaro sui

79

trattamenti medici a cui sarà sottoposto, fornendogli così la possibilità di rifiuto. Per

questa ragione qualsiasi incomprensione fra medico-paziente dovuta alla mancanza di

un interprete che conduca alla violazione di suddetto principio pone le basi per una

azione legale da parte del paziente stesso.

Possibili cause di mancato consenso informato del paziente

Impossibilità di richiedere ulteriori chiarimenti riguardanti la diagnosi

Incapacità di comprendere appieno i trattamenti a cui ci si sottoporrà

Incapacità di comprendere un’eventuale prognosi

Incapacità di seguire determinate istruzioni date dal professionista sanitario

In Irlanda innumerevoli sono i fattori che evidenziano la necessità di riforme

governative che regolino la professione dell’interprete di comunità, al fine di rendere

accessibili le strutture ospedaliere a tutta la popolazione, garantendo così un servizio di

PSI di qualità. Gli stati provvisti di regolamentazione giuridica in materia presentano

una maggiore efficienza nel fornire l’assistenza di interpreti in caso di necessità. Un

esempio possono essere gli Stai Uniti d’America dove nel 2009 in California viene

approvato il Senate Bill 85325 legge che pone l’obbligo alla compagnie assicurative di

fornire interpreti professionisti a persone con scarsa padronanza della lingua inglese nel

momento in cui debbano interagire con l’ambiente sanitario.

“…This bill would impose similar requirements on the Insurance

Commissioner with respect to health insurers that contract with providers

for alternative rates of payment to ensure that insured have access to

translated materials, language assistance, and culturally competent health

care services, as appropriate [...]

[…](b) In developing the regulations, the department shall require every

health care service plan and specialized health care service plan to

implement a program to assess the needs of the subscriber population, and

25 Phelan, M., Interpreters provision in healthcare in Ireland, Dublin City University

80

to provide for translation, interpretation, and culturally competent medical

services as indicated. The regulations shall include the following:

(1) Requirements for translation of written materials, such as establishing

thresholds for particular languages or other guidelines.

(2) Standards for individual access to interpretation services and

performance requirements for interpretation services

(3) Standards and requirements to ensure the quality and availability of

translated written materials such as medical information, notices to

enrollee regarding legal rights, health education information, and

enrollment information.”26

Già dal 1964, a livello federale, nel Title VI del Civil Rights Act negli Stati Uniti si

ribadisce come tutti gli organi federali abbiano l’obbligo di fornire uguale assistenza

finanziaria a tutta la comunità diminuendo la possibilità di discriminazione; ad ogni

modo non viene ancora fatto preciso riferimento al settore sanitario e alla barriera

linguistica come possibile causa di inaccessibilità delle strutture pubbliche. “No person

in the United States shall, on the ground of race, color, or national origin, be excluded

from participation in, be denied the benefits of, or be subjected to discrimination under

any program or activity receiving Federal financial assistance.”27

Leggermente differente è il caso dell’Irlanda del Nord. All’interno del Northern

Ireland Act del 1998 compaiono voci che sottolineano il dovere degli organi pubblici a

far sì che tutti gli individui della comunità possano avere le stesse possibilità d’accesso;

voci che tuttavia non possiedono carattere vincolante. E’ interessante notare come negli

esempi riportati si faccia sovente riferimento al diritto alle pari opportunità e alla non

discriminazione su base etnica, religiosa e culturale. Non sempre tuttavia si chiama in

causa il fattore linguistico come possibile causa di esclusione sociale.

6.1 Organizzazione delle Nazione Unite: convenzioni e trattati

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) di cui l’Irlanda è entrata a far parte nel

1955 ha redatto diverse convenzioni e trattati che si interessano esplicitamente al settore

26 info.sen.ca.gov 27 www.ourdocuments.gov

81

sanitario e alla tutela del diritto a ricevere cure mediche adeguate. L’articolo 12 del

International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights entrato in vigore nel

1976 afferma il diritto a ricevere trattamenti sanitari d’alta qualità in caso di malattia,

sottolineando come sia necessario creare le condizioni che permettano di fornire

un’assistenza efficiente a tutta la comunità:

“The States Parties to the present Covenant recognize the right of everyone to the

enjoyment of the highest attainable standard of physical and mental health […]

d) The creation of conditions which would assure to all medical service and medical

attention in the event of sickness […]”28

L’attuazione dei presupposti del trattato implicherebbe un forte impegno da parte degli

organi governativi di ciascun paese aderente, insieme all’investimento d’ingenti risorse

finanziarie. E’ importante sottolineare come ciascun membro delle Nazioni Unite venga

invitato ad impegnarsi per la costituzione di organi pubblici accessibili a tutta la

comunità senza discriminazione di sorta. Per la prima volta la “lingua” viene inserita

come possibile fonte discriminatoria allo stesso livello della cultura, della religione e

dell’etnia.

“The States Parties to the present Covenant undertake to guarantee that the

rights enunciated in the present Covenant will be exercised without

discrimination of any kind as to race, colour, sex, language, religion,

political or other opinion, national or social origin, property, birth or other

status.”29

La Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione

razziale in vigore dal 1969 è una convenzione che merita anch’essa un’analisi più

approfondita. Al suo interno viene ribadito come ogni individuo abbia il diritto a non

essere discriminato sotto ogni aspetto, compresa la propria lingua:

28 International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights 29 International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights

82

“…to promote and encourage universal respect for and observance of

human rights and fundamental freedoms for all, without distinction as to

race, sex, language or religion, Considering that the Universal Declaration

of Human Rights proclaims that all human beings are born free and

equal…”30

Anch’essa s’interessa alla qualità dell’assistenza sanitaria offerta alla comunità

affermando il diritto ad una sanità pubblica, assistenza medica, sicurezza e servizi

sociali: “The right to public health, medical care, social security and social services”31

.

La Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti

ed i membri delle proprie famiglie adottata nel Dicembre 1990 ed in vigore dal 2003 si

dedica principalmente alla delineazione dei diritti fondamentali di ogni immigrato

lavoratore e della propria famiglia. Fra questi si fa esplicito riferimento all’obbligo di

fornire un’adeguata assistenza medica in caso di necessità:

“Migrant workers and members of their families shall have the right to

receive any medical care that is urgently required for the preservation of

their life or the avoidance of irreparable harm to their health on the basis of

equality of treatment with nationals of the State concerned. Such emergency

medical care shall not be refused them by reason of any irregularity with

regard to stay or employment.”32

All’interno della convenzione si prendono in considerazione anche circostanze in cui

l’immigrato debba interagire con il sistema giudiziario del paese ospitante. L’articolo

16, comma 5 afferma che: “Migrant workers and members of their families who are

arrested shall be informed at the time of arrest as far as possible in a language they

understand of the reasons for their arrest and they shall be promptly informed in a

language they understand of any charges against them.”33

L’articolo 16, comma 8:

30 International Convention on Elimination of All Forms of Racial Discrimination 31 International Convention on Elimination of All Forms of Racial Discrimination 32

International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their

Families 33 International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their

Families

83

“[...]When they attend (migrant workers) […] proceedings, they shall have the

assistance, if necessary without cost to them, of an interpreter, if they cannot understand

or speak the language used.”34

L’articolo 18, comma 3, lettera f) garantisce che in caso

di processo il migrante e la propria famiglia abbiano: “[…] free assistance of an

interpreter if they cannot understand or speak the language used in court.”35

Sebbene si faccia esplicito riferimento ai supporti linguistici che devono essere forniti

ad un migrante con scarsa padronanza della lingua del paese ospitante in contesto

giuridico, lo stesso non si può dire per quello sanitario. Nel 2009 si contano 42 stati

firmatari, tuttavia la convenzione non è ratificata da nessun membro dell’Unione

Europea, Irlanda e Italia comprese. La Repubblica d’Irlanda è tuttora uno degli stati

membri ONU che ha firmato e ratificato il Trattato internazionale sui diritti economici,

sociali e culturali e la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i

lavoratori migranti ed i membri delle proprie famiglie, tuttavia i principi tanto

caldeggiati non sono integrati nella Costituzione irlandese nella loro totalità, così come

nel caso della Costituzione italiana.

6.2 Alcune direttive dell’Unione Europea in materia di discriminazione

In questo paragrafo si prenderanno in esame alcune direttive dell’Unione Europea

dove il diritto alla non discriminazione è centrale. E’ bene sottolineare come le direttive

contenute all’interno dei trattati debbano essere adottate dagli stati membri entro un

certo arco di tempo, tuttavia non sempre vengono integrate totalmente nel loro sistema

legislativo. In particolare, all’interno della versione consolidata del trattato dell’Unione

Europea e fondante della Comunità Europea ancora una volta si esplicita che i cittadini

appartenenti all’Unione non dovranno subire discriminazione di sorta, in particolare

facendo riferimento a ragioni etniche e culturali.

“Without prejudice to the other provisions of this Treaty and within the

limits of the powers conferred by it upon the Community, the Council,

34

International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their

Families 35 International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of their

Families

84

acting unanimously on a proposal from the Commission and after consulting

the European Parliament, may take appropriate action to combat

discrimination based on sex, racial or ethnic origin, religion or belief,

disability, age or sexual orientation.”36

Entrambi i trattati prendono perlopiù in considerazione l’aspetto economico legato alla

formazione di un’Europa più unita: libera circolazione di persone e merci. L’articolo 13

sopra riportato non fa esplicito riferimento alla lingua come possibile fattore

discriminante, così come non viene citato il diritto all’assistenza di un interprete in caso

di necessità. Nel Titolo XIII, articolo 152 si prendono in considerazione le modalità su

cui si debba basare una sanità pubblica che possa fornire servizi di qualità ai membri

della comunità. Nel primo comma dell’articolo si dice:

“A high level of human health protection shall be ensured in the definition

and implementation of all Community policies and activities. Community

action, which shall complement national policies, shall be directed towards

improving public health, preventing human illness and diseases, and

obviating sources of danger to human health. Such action shall cover the

fight against the major health scourges, by promoting research into their

causes, their transmission and their prevention, as well as health information

and education.”37

Si può notare come si sottolinea il dovere, a cui ogni stato membro deve fare fronte, di

creare le condizioni necessarie al fine di garantire un servizio sanitario di alta qualità,

cercando dunque di prevenire danni alla salute umana. La sezione del trattato dedicata

alla sanità pubblica, tuttavia, non fa riferimento ad obbligo alcuno in materia di

provvisione di interpreti, facendo sì che ogni stato membro gestisca questa questione in

modo autonomo. Paradossalmente, dunque, si tutela il diritto alla libera circolazione

delle persone all’interno dei confini dell’Unione ma concretamente non si fornisce la

garanzia di un’assistenza linguistica di qualità in caso d’impellente necessità.

36 Consolidated version of the Treaty establishing the European Community, Part One, Principles, Art. 13 37 Consolidated version of the Treaty establishing the European Community, Title XIII, art. 152, comma 1

85

Naturalmente ciò non significa che gli stati membri non forniscano servizi di questo

genere, tuttavia, il nucleo del problema è costituito dal frequente basso livello

qualitativo del servizio offerto.

La legislazione più rilevante, concernente questo aspetto, è quella espressa tramite la

direttiva 2000/43/EC (Racial equality directive) del 29 Giugno 2000 emessa dal

Consiglio d’Europa. Lo scopo primario della direttiva consiste nel tutelare ciò che viene

definito come “principio di trattamento egualitario” (principle of equal treatment) dei

cittadini comunitari: “The purpose of this Directive is to lay down a framework for

combating discrimination on the grounds of racial or ethnic origin, with a view to

putting into effect in the Member States the principle of equal treatment.”38

Secondo

tale principio ogni individuo dovrà godere di un trattamento paritario in qualsiasi

contesto sociale, senza incorrere in nessuna forma di discriminazione diretta o indiretta.

“(a) direct discrimination shall be taken to occur where one person is treated less

favourably than another is, has been or would be treated in a comparable situation on

grounds of racial or ethnic origin;

(b) indirect discrimination shall be taken to occur where an apparently neutral provision,

criterion or practice would put persons of a racial or ethnic origin at a particular

disadvantage compared with other persons, unless that provision, criterion or practice is

objectively justified by a legitimate aim and the means of achieving that aim are

appropriate and necessary.”39

Nell’articolo 2 sopra riportato si fa di nuovo riferimento all’origine etnica e culturale

come possibile motivo di discriminazione. Tuttavia, viene dato un grande peso alla

necessità di rendere accessibile qualsiasi tipologia di servizio a tutti i membri della

comunità senza differenza alcuna. Stando al contenuto delle lettere a) e b) del secondo

articolo, risulta alquanto ragionevole pensare che al suo interno dovrebbe rientrare

anche il diritto a ricevere il supporto di un interprete. A maggior ragione l’articolo 3

sottolinea che la direttiva dovrà essere applicata da tutti gli organi pubblici e privati

compresi quelli sanitari: “this Directive shall apply to all persons, as regards both the

38 Council directive 2000/43/EC, Chapter I, General provisions, art. 1 39 Council directive 2000/43/EC, Chapter I, General provisions, art. 2

86

public and private sectors, including public bodies, in relation to: (e) social protection,

including social security and healthcare”40.

Nel 2009 grazie all’iniziativa del Parlamento europeo e del Consiglio viene fatta

proposta per una nuova direttiva: la direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera

(directive on patients’ rights in cross-border helathcare). Adottata nel 2011 presenta la

lingua come possibile fonte di discriminazione (non facendo tuttavia nessun riferimento

all’obbligo di provvisione di PSI) sottolineando come sia responsabilità delle autorità

dei singoli stati membri affinché la direttiva sia rispettata:

“[…]according to the general principles of equity and non discrimination, patients

should in no way be discriminated against on the basis of their sex, race, colour, ethnic

or social origin, genetic features, language, religion or belief, , political or any other

opinion, membership of a national minority, property, birth, disability, age or sexual

orientation.”41

6.3 Diritto alla non discriminazione: la Costituzione irlandese

Dopo avere passato in rassegna alcune direttive dell’Unione Europea in materia di

egualità e non discriminazione nella fruizione di servizi pubblici ora ci si dedicherà alla

Costituzione irlandese, ed in particolare come le autorità statali irlandesi gestiscono tale

diritto. Nella Costituzione irlandese non viene fatto preciso riferimento a diritti legati

alla provvisione di PSI, inoltre non tutte la direttive promosse dall’Unione Europea

vengono integrate nella legislazione nazionale. L’obbligo di provvedere un servizio di

PSI viene stipulato durante la Convenzione europea sui diritti umani da cui scaturisce lo

Human rights act (2003). Tuttavia, in questo documento si fa riferimento unicamente

all’ambito giuridico affermando che:

“Everyone charged with a criminal offence has the following minimum rights: To be

informed promptly, in a language which he understands and in detail […]. To have the

40

Council directive 2000/43/EC, Chapter I, Scope, art. 1 41 Directive of the European parliament and of the council on the application of patients' rights in cross-

border healthcare, Chapter II – Member state authorities responsible for compliance with common

principles for health care

87

free assistance of an interpreter if he cannot understand or speak the language used in

court”

L’influenza che tale atto ha avuto nel contesto irlandese può così in parte spiegare la

maggiore presenza di servizi di PSI in ambito legale rispetto a quello sanitario (Phelan

2007). Nel 2007 la Royal Irish Academy richiama l’attenzione del governo irlandese

affermando come la Repubblica d’Irlanda dovrebbe sviluppare una strategia nazionale

dedicata alle molteplici lingue presenti nel paese, sia native che straniere. Si afferma

come: “A National Advisory Body should be established to liaise with language

professionals, politicians and all stakeholders in society. This body would research the

changing linguistic needs of society, and propose a suitable language strategy” (O

Dochartaigh and Broderick 2006: 9).

All’interno dell’Equal Status Act (2000-2008) vengono inseriti solo alcuni elementi

della Direttiva 2000/43/EC, altri invece ne risultano esclusi. Il primo articolo della terza

sezione dell’atto afferma che si ha discriminazione quando:

“(a) […] a person is treated less favourably than another person is, has been or

would be treated,

(b) (i) a person who is associated with another person is treated, by virtue of that

association, less favourably than a person who is not so associated is, has

been or would be treated, and

(ii) similar treatment of that person on any of the discriminatory grounds

would, by virtue of paragraph (a), constitute discrimination […]”42

Una critica che più volte è stata mossa a questo atto risiede nella sua vaga definizione di

servizio, facendo sì che tematiche come l’accessibilità e le modalità d’assistenza

possano essere soggette ad interpretazione individuale. Di seguito si riporterà un breve

estratto della definizione di servizio contenuta nella parte I, sezione 2 dell’atto:

42 Equal status act 2000, Parte I, Terza sezione, art. 1

88

““service” means a service or facility of any nature which is available to the public

generally or a section of the public, and without prejudice to the generality of the

foregoing, includes –

(a) access to and the use of any place,

(b) facilities for - (i) banking, insurance, grants, loans, credit or financing, (ii)

entertainment, recreation or refreshment, (iii) cultural activities, or (iv) transport or

travel […]”43

Come si può notare, il settore sanitario non rientra nell’elenco delle strutture

individuate come servizio per la comunità. A livello europeo questo fatto ha causato

parecchia perplessità, in quanto la definizione non garantisce concretamente che il

diritto alla non discriminazione valga anche per le strutture sanitarie. Al fine di tutelare

il diritto ad un trattamento egualitario di ogni individuo nel 1998 viene creata l’Equality

Authority, organo indipendente che viene istituito ai sensi dell’Employment equality act

(1998) allo scopo di vigilare e denunciare possibili pratiche discriminatorie a livello dei

servizi pubblici e privati. E’ nel 2005 che quest’organismo pubblica l’Equality

Authority Equal Status Acts 2000 to 2004 and Provision of Health Services con

l’intenzione di fornire una chiave di lettura al nuovo omonimo atto. Tuttavia è bene

sottolineare come anche in questo pamphlet la lingua non venga chiamata in causa, così

come la necessità di fornire interpreti all’interno di qualsiasi settore, compreso quello

sanitario. Al fine di tutelare i cittadini con LEP che abbiano subito qualsiasi

discriminazione di sorta è stato istituito l’Equality Tribunal: organo indipendente che

offre la possibilità di citare in causa il fornitore del servizio. Ne consegue che gli organi

sanitari corrono il rischio di essere citati in causa e dovere risarcire il cliente qualora la

sua salute sia stata danneggiata da una non adeguata assistenza sanitaria. Bisogna

tuttavia considerare la possibilità che non tutti i pazienti danneggiati siano a conoscenza

di tale organo, o qualora lo fossero potrebbero non essere linguisticamente in grado di

esporre il proprio caso.

Nella Repubblica d’Irlanda il settore sanitario e quello dell’educazione sembrano

risentire maggiormente della mancanza di norme esplicite per la provvisione di servizi

43 Equal status act 2000, Parte I, Seconda sezione

89

di PSI, tuttavia, anche l’ambito legale non presenta un supporto d’interpretariato

efficiente. Si sottolinea come all’interno della società irlandese vi siano influenti figure

istituzionali come politici, giudici e media, che sovente sottovalutano la necessità di

fornire un supporto di PSI accessibile ad ogni membro della comunità, evidenziando

una non conoscenza dei meccanismi e delle tempistiche d’apprendimento di una lingua

straniera: di cui il caso del giudice che nel 2004 si espresse in questi termini in merito

alla provvisione dell’interprete per l’accusato, “absolutely ridiculous to think that

anyone living in Ireland for five years could not speak the language […]”, è una delle

tante testimonianze. (Galway advertiser, 11 January 2007, cited in Phelan op. cit.:26).

90

CAPITOLO VII

CASO DI STUDIO: L’ATTIVITÀ DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ

NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE IRLANDESI

Dopo avere passato in rassegna le principali tematiche legate alla professione

dell’interprete di comunità, questo capitolo sarà dedicato all’esposizione di una breve

ricerca di studio dedicata all’attività degli interpreti all’interno delle strutture sanitarie

della Repubblica d’Irlanda. La scelta di condurre l’indagine in questo paese è stata

dettata in parte dalla volontà di conoscere una realtà che negli ultimi decenni ha

riscontrato forti flussi migratori, avvicinandola sotto molti aspetti a quella italiana, ed in

parte dal tentativo di fornire un modesto contributo alla letteratura di ricerca in tale

contesto. Il progetto è stato condotto nella città di Dublino, presso la Dublin City

University (DCU), per un periodo di sette mesi circa (Novembre 2011-Maggio 2012)

dove si è cercato di raccogliere dati e testimonianze di interpreti operanti o che hanno

operato in passato all’interno di strutture ospedaliere irlandesi. Nella maggior parte dei

casi le informazioni sono state raccolte tramite intervista faccia a faccia lasciando

sovente libertà di parola all’interprete intervistato. Si è fatto ricorso inoltre ad un

questionario compilabile in linea in modo da raggiungere interpreti operanti in altre città

irlandesi o che per ragioni varie non fossero disponibili ad essere intervistati

personalmente. Tali metodi di ricerca hanno fornito la possibilità di non limitare l’area

d’indagine alla sola città di Dublino, estendendo l’area d’interesse alle città di Galway e

Cork. Al fine della nostra trattazione si è deciso di riportare il contenuto di ogni

intervista e questionario compilato attraverso una progressione tematica, in modo da

dare il giusto spazio ad ogni questione affrontata:

1) Presentazione dell’interprete: lingua/e di lavoro, periodo d’attività nelle strutture

ospedaliere in Irlanda

2) Analisi del percorso formativo intrapreso

3) Modalità d’ingaggio dell’interprete da parte dell’ente ospedaliero

4) Rapporto interprete di comunità e agenzie d’interpretariato: compenso, orario di

lavoro, assistenza all’insorgere di problemi con l’istituzione

91

5) Rapporto interprete di comunità e operatori sanitari: informazioni fornite

dall’istituzione sul caso da seguire, preparazione del personale sanitario a

cooperare con l’interprete

6) Posizione dell’interprete nei confronti dei Codici etici proposti dall’ITIA:

concezione del proprio ruolo all’interno della conversazione triadica

7) Posizione dell’interprete nei confronti del principio di neutralità:

visibilità/invisibilità nella comunicazione triadica

8) Rapporto fra teoria e pratica: discussione sulle possibili soluzioni per riempire il

divario creatosi all’interno di questa disciplina

9) Soluzioni che il governo irlandese dovrebbe adottare per migliorare la

professione d’interprete di comunità

10) Esperienze lavorative concrete significative al fine della trattazione

Le interviste sono sempre state concordate anticipatamente con l’interprete interessato e

si sono svolte in luoghi pubblici e non all’interno di strutture ospedaliere. Al fine di

tutelare la privacy e la vita professionale del soggetto intervistato si è creato un modulo

di consenso informato per il trattamento delle informazioni riferite in sede d’intervista,

garantendo un completo anonimato. Per questa ragione le interviste riportate in questa

sede verranno suddivise in base a un parametro prettamente legato alla lingua/e con cui

l’interprete lavora. Ad ogni incontro si è utilizzato un blocco note per prendere appunti

e, quando possibile, ci si è avvalsi di un registratore vocale per registrare la

conversazione. Naturalmente, è sempre stato domandato il permesso di registrare

suddetta conversazione, che nella maggioranza dei casi si è risolto con un assenso.

7.1 Modalità di raccolta dei dati: fonti dirette ed indirette

Nel corso della ricerca si è cercato di seguire due filoni d’indagine che potessero

fornire testimonianze dirette ed indirette dell’impiego degli interpreti di comunità

all’interno delle strutture ospedaliere irlandesi. Il primo filone, basato sulle informazioni

scaturite dalle interviste, rappresenta le fonti dirette, mentre il secondo comprende

quelle ottenute indirettamente dagli ospedali. Per questa ragione, sotto consiglio della

Prof.ssa Phelan, i contatti dei singoli interpreti sono stati reperiti sul sito web dell’ITIA

dove è stata costituita una lista di interpreti certificati operanti in Irlanda in vari contesti

92

lavorativi. Sebbene la nostra ricerca sia circoscritta al solo ambito socio-sanitario si è

deciso di contattare ogni interprete presente in suddetto elenco, in quanto si è potuto

appurare come talvolta gli ambiti d’impiego dell’interprete indicati non fossero

aggiornati. Per questa ragione, tramite posta elettronica, ad ognuno è stata inviata la

descrizione del progetto di ricerca in corso, evidenziando la necessità di raccogliere

testimonianze di esperienze lavorative d’interpretariato in ambito sanitario sul territorio

irlandese. Inoltre ad ogni interprete è stato inviato un documento contenente le

principali tematiche che sarebbero state affrontate in sede d’intervista.

In totale sono state inviate 81 mail ad 81 diversi interpreti, di cui 30 infine hanno

ottenuto risposta. Fra questi 17 hanno affermato di non avere nessuna esperienza

d’interpretariato in ambito sanitario (healthcare interpreting), sottolineando come in

prevalenza la propria professione consistesse nell’operare in contesti legali come

tribunali o stazioni di polizia, ed in servizi d’assistenza sociale di varia natura; 2 hanno

esplicitamente dichiarato di non essere interessati a prendere parte alla ricerca in nessun

modo, le ragioni tuttavia non sono state specificate; 1 ha dichiarato di avere lavorato

una volta in passato all’interno di strutture sanitarie irlandesi, sottolineando alcuni lati

negativi dell’esperienza. Al fine della nostra trattazione di seguito si riporterà

interamente la risposta fornita da suddetto interprete:

“I only worked as an interpreter in the Irish Health System on one occasion, several

years ago. It was very interesting but very poorly paid and intense, so I declined other

similar jobs that came up in that area later on. I am afraid I would not be able to provide

valid answers to many of your questions. My experience is mostly in the area of written

translation.”

Le interviste a cui ci si dedicherà nei successivi paragrafi di questo capitolo descrivono

l’attività di dieci interpreti che hanno accettato di contribuire a questa nostra ricerca

(due di questi pur avendo preso parte alla ricerca tramite la compilazione del

questionario non hanno fornito dati coerenti e significativi. Data l’incomprensibilità

delle informazioni fornite si è deciso d’escluderli dalla trattazione). La loro esperienza

lavorativa nelle strutture ospedaliere d’Irlanda ha così potuto fornire un quadro generale

delle dinamiche che coinvolgono l’interprete di comunità in tale ambito lavorativo. Il

93

loro contributo ha rimediato alla difficoltà incontrate nell’ottenere qualsiasi

informazione dalle strutture ospedaliere di Dublino, rivelatesi praticamente

inaccessibili. Di seguito verranno riportati gli ospedali pubblici e privati contattati:

1) Beaumont Hospital

2) St. Vincent’s University Hospital

3) Mater Misericordiae University Hospital

4) Rotunda Hospital

5) St. Luke Hospital

6) St. Michael Hospital

7) St. Vincent private Hospital

Fra questi solamente il Beaumont Hospital ha dichiarato di non avere nessun protocollo

attivo dedicato a pazienti con scarsa padronanza della lingua inglese ed il rapporto

interprete/operatore sanitario, mentre gli altri non hanno fornito nessuna informazione.

7.2 Le interviste

7.2.1 Interprete A: lingua Spagnola e Portoghese

La prima interprete (interprete A) che ha accettato di prendere parte al progetto di

ricerca è stata intervistata a Dublino previo appuntamento precedentemente concordato.

Il nostro incontro avviene in un bar situato nel centro della capitale irlandese. Dopo

averle illustrato personalmente lo scopo principale della mia ricerca le chiedo il

permesso di registrare la conversazione, ma lei risponde che preferirebbe di no in

quanto ha un tremendo abbassamento di voce. Mi domanda tramite quali canali ho

trovato il suo indirizzo mail, risultando alquanto sorpresa nello scoprire che i suoi dati

fossero stati inseriti in un elenco di interpreti professionisti in linea sul sito dell’ITIA.

Sorride quando le spiego di avere consultato tale elenco sotto consiglio della Prof.ssa

Phelan, in quanto in passato rivela di avere frequentato il corso dedicato alla figura

professionale dell’interprete di comunità attivato alla DCU e di averla conosciuta

personalmente. L’interprete A è originaria della Spagna e opera come interprete in

Irlanda dal 2005. Per la maggior parte viene impiegata come interprete/mediatrice dalla

lingua Spagnola a quella Inglese e viceversa ma talvolta accetta anche incarichi di

94

lingua Portoghese. Le chiedo in quali settori lavora principalmente e mi risponde che in

realtà nel corso della sua attività professionale ha avuto modo d’esercitare in ogni

ambito istituzionale: dalle stazioni di polizia (che in Irlanda prendono il nome di “Garda

stations”), alle carceri, ai tribunali ed alle strutture sanitarie. L’esperienza dell’interprete

A all’interno del settore sanitario è circoscritta ai soli ospedali di Dublino, ma afferma

di non ricordare esattamente i nomi delle strutture in cui ha operato. Le chiedo se ha

potuto riscontrare differenze fra strutture ospedaliere pubbliche e private in materia di

protocolli previsti per la fruizione dei servizi linguistici, e modalità di relazione con gli

operatori sanitari. La situazione, mi spiega, è abbastanza complessa, in quanto sovente

gli ospedali hanno delle sezioni pubbliche ed altre private, quindi all’interprete non

sempre risulta chiara la loro natura. Inoltre, spesso il trattamento del paziente è

fortemente legato alla polizza assicurativa posseduta. Afferma, dunque, di non essere in

grado di fare una distinzione qualitativa precisa fra strutture ospedaliere pubbliche e

private, ma ci tiene a sottolineare che in base alla propria esperienza la preparazione

degli operatori sanitari varia da struttura a struttura, perfino da reparto a reparto.

A questo punto dell’intervista mi è sembrato naturale richiedere un chiarimento sulle

modalità con cui l’istituzione, ovvero la struttura ospedaliera, è solita prendere contatto

con lei. L’interprete A inizia sottolineando come non sia mai stata contattata

personalmente dalle strutture ospedaliere, ma sempre dalle agenzie d’interpretariato che

diventano veri e propri intermediari fra interpreti ed ospedali. Tuttavia, precisa come per

gli interpreti che si occupano di lingue meno comuni, come possono essere quelle

Africane, la questione può essere diversa in quanto è più probabile che vengano

contattati direttamente. Afferma come le modalità di selezione degli interpreti da

impiegare nei servizi di pubblica utilità fino a pochi anni fa non tenessero conto del

percorso formativo e delle certificazioni possedute. Sottolinea che sebbene attualmente

le cose stiamo migliorando sotto questo punto di vista i corsi di formazione e di training

organizzati dalle singole agenzie d’interpretariato continuano ad essere molto pochi e

spesso inefficaci. Una volta contattata, l’interprete A mi spiega come nella maggioranza

dei casi non le venga fornita nessuna documentazione riguardante il caso clinico che

dovrà essere seguito, venendogli comunicato solamente il dove (ospedale e talvolta il

reparto) e il quando dovrà portare a termine l’incarico.

95

Rapporto interprete e personale sanitario

In base alla propria esperienza lavorativa l’interprete A ha potuto riscontrare come la

formazione e la preparazione degli operatori sanitari in materia di cooperazione con un

interprete sia piuttosto eterogenea. Mi racconta che sovente il personale ospedaliero

rimane disorientato e perplesso sentendola parlare in prima persona durante l’evento

mediato, ma ci tiene a sottolineare come non sia suo compito spiegare loro il proprio

ruolo e le modalità con cui avviene la mediazione. Altre volte, mi spiega, è capitato che

le venissero affidati compiti che non le competevano in quanto interprete: come ad

esempio il sorvegliare il paziente in attesa del medico o accompagnarlo alla farmacia

interna dell’ospedale per ritirare dei farmaci. L’interprete A ritiene che non sia suo

dovere assicurarsi che il paziente rimanga nell’ambulatorio in attesa del medico,

affermando che questo è compito del personale ospedaliero. Per questa ragione non si

farebbe mai carico di tale responsabilità. Mi confida, invece, che sebbene

l’accompagnare i pazienti a ritirare le medicine alla farmacia dell’ospedale non sia suo

dovere, di solito valuta caso per caso. Ad ogni modo spiega come in altri frangenti ha

avuto modo di collaborare con personale sanitario preparato a prendere parte all’evento

mediato. Preparazione che secondo l’interprete A è dovuta principalmente

all’esperienza accumulata nel corso della propria attività lavorativa.

Percezione del proprio ruolo

A questo punto dell’intervista cerco di capire quale sia la posizione dell’interprete A

nei confronti dei Codici etici promossi dall’ITIA e la percezione del proprio ruolo. Con

un tono di voce che non vuole lasciare spazio a dubbi afferma come un interprete abbia

il dovere di seguire rigidamente il codice etico. I principi dell’imparzialità e la

confidenzialità vengono ritenuti valori assoluti che prescindono dal contesto lavorativo.

La condotta dell’interprete deve essere neutrale, quindi invisibile ai partecipanti primari,

cosicché non si assume mai un ruolo attivo nella conversazione triadica. Solamente in

casi limite in cui il paziente comunichi l’intenzione di suicidarsi o fare del male a terzi,

l’interprete A si sente in dovere di non rispettare questi principi. Ad ogni modo, in base

alla propria esperienza lavorativa afferma come esercitare in una struttura ospedaliera

sia relativamente più semplice rispetto ad un tribunale, in quanto il rapporto con il

96

cliente è più diretto e vi sono meno vincoli formali. Ci tiene a sottolineare, tuttavia,

come nell’ambito giuridico si presti più attenzione al percorso formativo dell’interprete

e alla certificazioni possedute rispetto all’ambito socio-sanitario.

7.2.2 Interprete B: lingua Spagnola, Portoghese, Francese

L’incontro con la seconda interprete (interprete B) intervistata ha avuto luogo il

18/04/2012 a Dublino. In questo caso è stato possibile registrare la conversazione.

L’interprete B è di origine spagnola e ha lavorato come interprete di comunità in Irlanda

per un periodo di sei anni (dal 2004 al 2010) sempre nella città di Dublino. Ha operato

principalmente come mediatrice di lingua Spagnola ma le è capitato d’accettare anche

incarichi concernenti la lingua Portoghese e Francese. Attualmente, mi spiega, ha

intrapreso nuove strade professionali legate soprattutto alla traduzione e, per ragioni

personali, sono due anni che non lavora più assiduamente come interprete. Sottolinea

che di tanto in tanto continua ad accettare qualche incarico, più per passione per la

propria vecchia professione che per un concreto riscontro economico, ma assolutamente

non in ambito sanitario in quanto ritiene sia troppo stressante. Le chiedo quale sia stato

il suo percorso di formazione e lei mi rivela di avere seguito una serie di corsi

universitari in Spagna e di avere poi lavorato per un breve periodo come interprete di

conferenza (conference interpreter), poi una volta in Irlanda ha conseguito il certificato

di laurea per interpreti di comunità (Graduate certificate for community interpreting)

attivato alla DCU. Nel corso della sua esperienza lavorativa mi racconta di avere

operato soprattutto in centri d’accoglienza per immigrati ed in ospedali, in particolar

modo in reparti legati all’igiene mentale (mental health) dei pazienti. Mi spiega che

sebbene nella maggioranza dei casi venisse contattata dalle agenzie d’interpretariato in

alcuni frangenti legati alla branca dell’igiene mentale era la struttura ospedaliera a

contattarla direttamente.

Rapporto con le agenzie d’interpretariato

Parlando delle agenzie d’interpretariato mi riferisce un aneddoto che ho trovato

particolarmente interessante e utile al fine della ricerca condotta. Mi racconta come le

sia capitato di essere stata contattata telefonicamente da un’agenzia che domandava

97

disponibilità per seguire una mediazione all’interno di una struttura sanitaria di Dublino.

L’interprete B pur fornendo la propria disponibilità sottolinea tuttavia che in qualità di

professionista certificata la sua tariffa oraria avrebbe corrisposto ad un quantitativo

preciso, evidentemente più alto rispetto alle tariffe proposte dall’agenzia stessa.

Cosicché la replica che è seguita è stata: “tutti gli interpreti sono qualificati e la tariffa

oraria è standard e uguale per tutti”. Per questa ragione dichiara di avere rifiutato il

lavoro e afferma che è impossibile che tutti gli interpreti operanti in Irlanda siano

certificati, in quanto l’unico corso accademicamente abilitante presente nel paese è

quello attivato alla DCU. In realtà, dice, durante il mio periodo d’attività ho potuto

notare come alle agenzie interessasse unicamente che l’interprete reclutato parlasse una

determinata lingua a prescindere dalle certificazioni o esperienza possedute.

Considerazione dell’interprete all’interno delle strutture ospedaliere

L’interprete B spiega che lavorare come interprete di comunità all’interno delle

strutture ospedaliere è particolarmente complesso ed emotivamente stressante per

molteplici ragioni. Prima fra tutte, mi confida, è la sensazione che gli operatori sanitari

non vedano nell’interprete un professionista con cui cooperare alla pari, cosicché dal

suo punto di vista viene un po’ a mancare quel rapporto di fiducia reciproca su cui si

dovrebbe basare una collaborazione professionale. I partecipanti primari all’evento

mediato non sempre sanno cosa aspettarsi dall’intervento dell’interprete e come

comportarsi durante l’evento mediato. Dice che “è un po’ come trovarsi tra due fuochi:

da una parte il medico, dall’altra il paziente”. Sottolinea, ad esempio, come la gestione

dei turni di parola risulta essere una delle principali sfide che ha dovuto affrontare

quotidianamente, specialmente nel caso in cui più partecipanti alla conversazione

inizino a parlare contemporaneamente.

La questione legata al riconoscimento dello status professionale degli interpreti di

comunità certificati è una questione che le sta molto a cuore, motivo per cui in passato

ha collaborato alla creazione dei codici etici promossi dall’ITIA. Mi spiega che

l’obiettivo principale era quello di creare una linea guida rappresentante situazioni ideali

a cui ogni interprete avrebbe potuto fare riferimento. Naturalmente, sebbene i principi

contenuti in essi siano da rispettare è necessario calarli nella realtà lavorativa quotidiana

per evidenziarne tutte le sfumature applicative. Riferendosi in particolare al principio

98

dell’imparzialità afferma come esso sia fondamentale per la buona riuscita della

mediazione. Richiamando alla mente le teorie di Wadensjӧ ed Angelelli le chiedo se

pensa sia possibile ottenere una totale invisibilità dell’interprete nel corso dell’evento

mediato. Mi risponde che sebbene tale comportamento sia auspicabile è spesso molto

difficile raggiungere tale situazione ideale, anche se l’interprete professionista dovrebbe

concentrarsi per avvicinarsi il più possibile a tale traguardo. Dice che ad ogni modo è

pressoché inevitabile che ogni interprete, in quanto essere umano, inserisca all’interno

della propria traduzione elementi del proprio essere. Il suo intervento nella

conversazione triadica, nel caso sia minimo, non viene così considerato un tabù.

Facendo riferimento alla propria esperienza lavorativa afferma inoltre che l’avere

sempre lavorato con lingue culturalmente molto simili fra loro ha dovuto intervenire

poche volte per chiarire fraintendimenti rilevanti fra i partecipanti primari.

Formazione dell’interprete ed iniziative governative

L’interprete B afferma come la formazione ed il training sia fondamentale per

raggiungere un buon livello di competenza professionale. Tuttavia, è sua opinione che il

percorso di crescita di ogni interprete non sia mai finito e che di conseguenza richieda

costante dedizione. Personalmente mi confida di essersi resa conta che la propria

formazione non si è rivelata sufficiente a svolgere con tranquillità il proprio lavoro,

soprattutto per quel che riguarda l’uso del lessico specifico in campo medico. Colmare

questa lacuna avrebbe richiesto un dispendio di tempo e di energie che a suo dire non

avrebbero avuto un ugual riscontro economico e professionale. Le sue parole sono:

“investire tanto tempo ed energie in tal senso non ne vale la pena: non si è considerati

professionisti, i medici ti trattano come non fossi nessuno, non sei sostenuto da nessuna

associazione tranne l’ITIA. Le condizioni lavorative per un interprete professionista in

Irlanda sono molto dure.”

Mi spiega come lo stesso governo irlandese tuttora non stia facendo nulla per migliorare

le condizioni lavorative degli interpreti di comunità. Non c’è nessun sistema attivato per

valutarne la qualità del servizio offerto ed ognuno lavora autonomamente, nella

maggioranza dei casi come freelance.

99

7.2.3 Interprete C: lingua Cinese

L’interprete C è stata intervistata a Dublino il 4/05/2012 a seguito di diversi contatti

avvenuti tramite posta elettronica. Lavora come interprete di comunità in Irlanda dal

2003 e nella maggioranza dei casi offre servizi di mediazione linguistica per la

comunità cinese. La Prof.ssa Phelan la descrive come una delle migliori interpreti di

lingua Cinese presente a Dublino. Presentandosi l’interprete C mi ha offerto il suo

biglietto da visita sopra il quale erano sovrimpresse le proprie generalità, la professione

e le lingue trattate. Il tutto sia in lingua Inglese che in Cinese. Sebbene le risposte

fornite nel corso dell’intervista siano state precise e senz’altro interessanti dal punto di

vista della nostra ricerca, ho potuto notare un forte rigore nel fornire la risposta

essenziale ad assolvere la richiesta di ogni singola domanda. Atteggiamento che mi ha

indubbiamente stimolato ad affinare i quesiti posti.

Iniziamo dalla formazione e mi racconta di avere conseguito una laurea di traduzione

ed interpretariato in Cina, ed una volta arrivata in Irlanda ha frequentato diversi

laboratori di formazione e training per interpreti di comunità proposti dalla DCU. Mi

spiega che nel corso della propria esperienza lavorativa ha avuto modo d’operare in

diversi ambiti istituzionali, come stazioni di polizia, tribunali ed ospedali. Di tanto in

tanto, aggiunge, le capita di lavorare all’interno di istituti scolastici, in particolar modo

durante incontri fra genitori ed insegnanti e riunioni di varia natura. Noto con interesse

che afferma d’accettare molto raramente incarichi in ambito sanitario, in quanto il

lavoro è meno retribuito ed in più molto stressante. Per questa ragione ne approfitto per

chiederle informazioni sul compenso che generalmente le viene destinato ad ogni

incarico e tramite quali canali viene contattata dalla struttura ospedaliera. Risponde che

gli incarichi le vengono quasi sempre affidati dalle agenzie d’interpretariato, che pagano

molto poco, ovvero 18 euro all’ora senza nessuna spesa di trasporto pagata. Per questa

ragione preferirebbe essere contattata direttamente dall’istituzione cosicché da eliminare

lo scomodo intermediario. Parlando della documentazione fornita dall’agenzia sul caso

da seguire afferma che le uniche informazioni che vengono messe generalmente a suo

disposizione sono il luogo, la data dell’incontro e le generalità del paziente. Cosicché

non viene comunicato nessun dato riguardante la natura dell’incarico.

100

Preparazione del personale sanitario

Mi spiega come nel corso della propria esperienza lavorativa all’interno delle

strutture sanitarie di Dublino abbia sempre trovato personale medico preparato a

cooperare con lei e che si sia sempre sentita trattare da professionista. Sottolinea come il

suo ruolo risultasse chiaro agli operatori sanitari, che di conseguenza non le hanno mai

affidato compiti che andassero al di là delle proprie competenze in quanto interprete.

Vuole evidenziare, inoltre, come l’interprete non è assolutamente responsabile

dell’andamento della conversazione fra i partecipanti primari, cosicché non deve

intervenire in nessun caso, cercando d’essere il più invisibile possibile.

Regolamentazione della professione d’interprete

L’interprete C afferma come in Irlanda ci sia un forte bisogno di regolamenti per

gestire e tutelare gli interpreti professionisti, in quanto al momento attuale chiunque può

autodefinirsi interprete. Mi confida che sebbene i codici etici creati dall’ITIA siano di

indubbia utilità per migliorare la qualità del servizio offerto, un ruolo cruciale è

ricoperto dall’esperienza lavorativa che un interprete accumula negli anni.

Naturalmente, ribadisce che la formazione costituisce la base su cui debba poggiare tale

esperienza.

7.2.4 Interprete D: lingua Rumena

Le informazioni fornite dall’interprete D non sono state ottenute tramite intervista

faccia a faccia, bensì tramite la compilazione di un questionario inviatole via posta

elettronica. Si è dovuto ricorrere a questo strumento in quanto l’interprete in questione,

a causa di motivi di lavoro, non ha fornito la propria disponibilità ad essere intervistata

personalmente. L’interprete D è di origine rumena ed opera come interprete di comunità

in Irlanda dal Dicembre 2001. Afferma di essere una interprete professionista e nel 2009

di avere conseguito la laurea per interpreti di comunità attivata (Graduate Certificate in

Community Interpreter) alla DCU. Mi spiega che all’inizio della propria attività ha

lavorato principalmente in tribunali e per un certo periodo con l’Ufficio Nazionale

dell’Immigrazione (Garda National Immigration Bureau, GNIB), ente che si occupa del

101

controllo dei flussi d’immigrazione illegale e traffici di essere umani che prevaricano i

confini nazionali irlandesi. Attualmente opera soprattutto all’interno di scuole e strutture

sanitarie, sottolineando inoltre di avere avuto modo ci cooperare con la Health Service

Executive (HSE), associazione che gestisce ed organizza molteplici servizi sanitari

pubblici in tutta la Repubblica d’Irlanda. In base alla propria esperienza in ambito socio-

sanitario racconta che nella maggior parte dei casi viene contattata dalle agenzie

d’interpretariato, aggiungendo però che alcuni incarichi le vengono affidati direttamente

dalla struttura ospedaliera.

Influenza del contesto lavorativo sul ruolo dell’interprete

Facendo riferimento al pensiero di Angelelli secondo cui la natura di ogni ambito

lavorativo può influenzare fortemente la condotta dell’interprete che si ritrova ad

operare in esso, chiedo all’interprete D di esprimere la propria opinione nei confronti di

tale assunto. Nella pratica quotidiana, mi dice, il ruolo dell’interprete è intercambiabile

e varia in base al contesto lavorativo di riferimento. Naturalmente, la fissazione di

principi etici precisi è sicuramente utile per migliorarne lo status professionale ed

aiutarlo ad emanciparsi da un contesto in cui le “regole del gioco” sono create dalle

agenzie di traduzione che, in realtà, detengono relazioni contrattuali con la maggioranza

dei servizi sanitari d’Irlanda. Tuttavia, sebbene diverse scuole di pensiero dipingano

l’interprete come neutrale ed invisibile sottolinea come possano crearsi situazioni in cui

il proprio ruolo diventa attivo e visibile. I regolamenti della struttura ospedaliera e le

abilità interpersonali degli operatori sanitari sono elementi cruciali che determinano la

qualità della mediazione e talvolta la condotta stessa dell’interprete. Tuttavia, la propria

esperienza lavorativa ha riscontrato una forte eterogeneità nella preparazione del

personale sanitario in materia di comunicazione interlinguistica.

Interpretariato di comunità: fra teoria e pratica

Facendo riferimento al tema del divario fra teoria e pratica, trattato negli scorsi

capitoli, che interessa la disciplina dell’interpretariato di comunità vorrei riportare

integralmente ed in lingua originale l’opinione fornita dall’interprete D, in quanto credo

sia molto interessante:

102

“The theory is good for the academic world; the reality is different for each interpreter,

his/her training, experience and the work settings. The problem in my view is the lack

of knowledge of adequate medical terms and expertise by many interpreters that are

used to interpret in the healthcare.”

In questo caso vengono così toccate due grandi questioni: 1) la percezione concreta

della distanza fra mondo accademico e realtà quotidiana; 2) la necessità di una

formazione più mirata e dedicata a specifici ambiti lavorativi. L’interprete D afferma

come il corso accreditato d’interpretariato di comunità in Irlanda attivato alla DCU

rappresenta sicuramente un passo in avanti verso un riavvicinamento fra teoria e pratica.

Tuttavia, sottolinea come solamente un numero esiguo di interpreti, su centinaia attivi in

tutto il paese, hanno frequentato tale corso.

7.2.5 Interprete E: lingua Polacca I

Il primo interprete di lingua polacca (interprete E) che verrà preso qui in

considerazione ha accettato di compilare il questionario inviatogli via mail ma non di

essere intervistato personalmente. Purtroppo alcune risposte fornite si sono rivelate

piuttosto essenziali e non è stato possibile richiedere ulteriori informazioni. Per questa

ragione alcuni elementi importanti emersi dal questionario saranno riportati in modo

schematico, seguendo la struttura domanda-risposta.

L’interprete in questione ha dichiarato d’avere lavorato come interprete di comunità in

Irlanda per 7 anni (dal 2005 ad oggi, soprattutto nella città di Cork), e di avere seguito

incarichi in ogni settore istituzionale, strutture sanitarie comprese. Parlando della

propria formazione fornisce un dettagliato resoconto del proprio percorso di studi che

riporterò di seguito:

1) BA in English teaching

2) MA in English Philology

3) Post-graduate studies in translation and interpreting

103

Domande e risposte

1) Q: Generally, how are you contacted by the healthcare bodies: directly by phone,

by means of an interpreting agency etc?

A: Agencies

2) Q: Do healthcare operators give you enough information about the case you are

about to follow: information about the patient (even confidential), documents

etc?

A: I have to ask, sometimes no info.

3) Q: Have you ever found obstacles while working in the Irish healthcare system?

If so, which ones?

A: Left alone with a patient for a long time, poor pay, stress due to nature of

assignments.

4) Q: In your work experience have you found that healthcare operators are

prepared to cooperate with an interpreter? Are they aware of the complexities

linked to your role? Do they know the basics of a cross-linguistic

communication?

A: Sometimes yes, mostly no.

5) Q: Do you find the ITIA’s code of ethics useful?

A: Yes, but in practice it can be difficult to apply, does not take into account the

dynamics of human interaction.

6) Q: How do you perceive your role in the healthcare interpreting context:

neutral/active, visible/invisible? Do you think the work setting can affect these

elements?

A: Neutral and invisible. Yes, depending on expectations of health care

specialists.

7) Q: What do you think of the gap between theory and practice in the healthcare

interpreting?

A: It can be wide, but my aim is to reduce it by adhering to professional

guidelines.

8) Q: What do you think of the education of interpreters in Ireland (education and

training)?

104

9) A: There is little point as pay is very poor and training is very expensive.

Interpreting is being de-professionalised so why would anyone want to get

trained?

7.2.6 Interprete F: lingua Polacca II

La seconda interprete di lingua Polacca (interprete F) lavora e risiede nella città di

Galway. Sebbene avesse dato la propria disponibilità ad essere intervistata

personalmente, per motivi squisitamente pratici, si è deciso di condurre l’intervista

tramite videoconferenza. L’interprete F lavora in Irlanda come interprete di comunità

dal 2006 e la maggioranza delle proprie esperienze professionali sono state condotte

nella propria città di residenza. Parlando del proprio percorso formativo l’interprete ha

sottolineato d’avere conseguito:

1) DCU Graduate Certificate in Community Interpreting, Dublin

2) Postgraduate Certificate in Translation Wrocław University, Poland

3) Diploma in Translation, London City University

4) NICEM Community Interpreting Training

5) Dublin Rape Crisis Centre Interpreting in Sensitive Situations

6) Workshops with Context, Galway

7) Workshops with ITIA, Dublin

Il Briefing

L’interprete F mi spiega d’avere lavorato ovunque vi fosse la necessità di un

interprete di lingua Polacca: dagli ospedali, alle stazioni di polizia, tribunali distrettuali

e sindacali, corti d’appello. Riferendosi in particolar modo al contesto socio-sanitario

afferma come sovente gli ospedali detengano contratti con le agenzie d’interpretariato

che a loro volta inviano i propri interpreti freelance. Sottolinea come non venga quasi

mai fornita la possibilità di briefing con il personale sanitario al fine di mettere al

corrente l’interprete in merito ai dettagli del caso che sarà trattato. Mi dice che fornire

un quadro generale della natura dell’incarico e delle condizioni del paziente

immediatamente prima dell’evento mediato non permette all’interprete di prepararsi

105

adeguatamente al fine di fornire un servizio ottimale. Il principale problema legato a

questa mancanza viene individuato nella difficoltà di traduzione dei termini tecnici

legati al mondo della medicina che potrebbero emergere durante il consulto fra medico

e paziente.

L’interprete F è molto critica nei confronti della preparazione degli operatori sanitari

con cui ha avuto modo di cooperare in questi anni. Afferma che solitamente non sono a

conoscenza della natura della professione dell’interprete e del ruolo che ricopre. Per

questa ragione ha avuto modo di riscontrare diversi comportamenti che hanno messo

seriamente in difficoltà la comunicazione interprete-medico-paziente:

1) Tendenza a rivolgersi all’interprete piuttosto che direttamente al paziente

2) Tendenza a parlare velocemente ed inserire troppe informazioni in un unico

enunciato

3) Tendenza a richiedere all’interprete servizi che vanno oltre la propria

professione

Si afferma dunque che spetta all’interprete (sempre che sia qualificato e quindi in grado

di farlo) gestire la sessione di mediazione in modo da produrre un esito positivo.

Interpreti “ad hoc”

Come si è potuto leggere negli scorsi capitoli il ricorso ad interpreti improvvisati, i

cosiddetti interpreti ad hoc, è molto frequente all’interno delle strutture ospedaliere

irlandesi. Cercando di calare questo tema nella realtà lavorativa quotidiana ho trascritto

interamente l’opinione dell’interprete intervistata in quanto offre molti spunti

interessanti:

“[…] many people start working without any training, they make lots of

mistakes that affect not only patients but also display bad interpreting

practice to many healthcare professionals we work with, and those

healthcare professionals often learn about interpreting through their

experience with interpreters they meet. There have to be training first before

the practice starts, but often it is impossible to work strictly according to the

guidelines and some things have to be compromised on: e.g. it is not always

106

possible to arrange the seating in a triangle or use the first person “I”, when

you have a whole family to interpret for in front of the doctor who does not

know about interpreting in the first person […]. Of course, one thing is what

we learn and read in the Code of Ethics, another thing is how we act on the

spot, there are lots of unpredictable situations that we have to react to, make

instant wise though difficult decisions about how to behave to remain

professional: could be confidentiality issue or cultural issue for instance;

having the knowledge of the Code of Ethics definitely helps make the right

choice or decision […]. During my work I stay neutral, as invisible as I can,

I provide my voice and accurate interpretation, but I try not to interfere in

the communication between the patient and the doctor or other healthcare

professionals, these matters are often sensitive, intimate, difficult in nature, I

am there to assist not to play the major part.”

L’interprete F afferma che in Irlanda la necessità di creare più percorsi formativi

professionalizzanti per interpreti di comunità è una priorità. Al momento attuale le

agenzie d’interpretariato non attivano laboratori per migliorare le competenze dei propri

interpreti. Conclude quindi con una questa frase:

“[…] education is not appreciated, and its expensive, while in Ireland any

person from the street can come in to interpret, as long as they say they

know the two required languages. Being qualified well I make less money

than when I was starting. Qualified and educated interpreters should be on

different rates to ordinary people taking up interpreting.”

7.2.7 Interprete G: lingua Croata

L’interprete in questione (interprete G) è stata intervista in data 23/04/2012 a

Dublino. Come in altre interviste la conversazione è stata registrata ed è avvenuta in

modo privato in assenza di terzi partecipanti. Al nostro primo contatto, avvenuto via

posta elettronica, mi dice di essere interessata a prendere parte al progetto di ricerca

sottolineando però di non lavorare più come interprete di comunità da alcuni anni.

Attualmente, mi dice, si occupa principalmente di traduzioni scritte e non accetta più

107

incarichi legati alla mediazione linguistica. Le spiego che l’indagine che si sta

svolgendo non è dedicata unicamente all’attività professionale dell’interprete in Irlanda

nel momento attuale ma copre un periodo di una decina d’anni, per questa ragione la

propria testimonianza sarebbe stata utile ad arricchirne la documentazione.

All’inizio del nostro incontro mi spiega che la propria esperienza lavorativa come

interprete di comunità risale al 2001 e si è protratta fino al 2005, periodo in cui ha avuto

modo di eseguire diverse mediazioni linguistiche per la comunità croata di Dublino.

Chiedendo informazioni sul percorso formativo intrapreso scopro che ha ottenuto la

laurea in lingua inglese in Croazia, dove sottolinea erano previsti moduli dedicati

all’interpretariato, per poi conseguire un master in translation studies. Ad ogni modo,

afferma di non avere seguito nessun corso dedicato all’interpretariato di comunità

promosso dalla DCU. Durante il proprio periodo d’attività mi racconta d’avere seguito

incarichi principalmente all’interno di strutture sanitarie e solo di tanto in tanto in

tribunali o stazioni di polizia. Inoltre, spiega di avere lavorato frequentemente per

SPIRASI: fondata nel 1999 è un’organizzazione umanitaria interculturale non

governativa che si occupa di migranti richiedenti asilo, con particolare attenzione nei

confronti di rifugiati sopravvissuti a torture di ogni genere. Questa organizzazione si

prefigge così l’obiettivo di garantire il benessere psicofisico della persona e la propria

integrazione nella società irlandese.

L’assegnazione dell’incarico: la tempistica

Come avevo già avuto modo d’apprendere dalla maggioranza degli interpreti

intervistati, anche in questo caso l’agenzia d’interpretariato diventa il “terzo cliente”

(Ozolins, 2007) dell’interprete di comunità; ennesima testimonianza della fondatezza

dell’assunto di Ozolins che abbiamo potuto analizzare nel secondo capitolo di questa

trattazione. In questo frangente, tuttavia, decido di puntare l’attenzione sulla tempistica,

ovvero il preavviso con cui tale organo dà comunicazione dell’incarico da seguire

all’interprete. L’interprete G mi racconta come in base alla propria esperienza le agenzie

chiamano l’interprete semplicemente quando ne hanno la necessità, cosicché l’incarico

potrebbe avere luogo il giorno stesso così come la settimana successiva; solo raramente,

mi dice, vengono concordati anticipatamente (ed in ogni caso si parla di un paio di

giorni d’anticipo). Naturalmente, mi spiega, l’interprete può rifiutare l’incarico qualora

108

venga comunicato con insufficiente preavviso, ma sottolinea come questa tendenza

renda veramente complessa l’organizzazione della propria settimana lavorativa.

Ne approfitto così per chiedere cosa ne pensa dei contratti che solitamente vengono

firmati fra ospedali e agenzie d’interpretariato, e se non avrebbe preferito essere

contattata direttamente dalla struttura sanitaria. Mi spiega che avere un contatto diretto

con i propri clienti avrebbe molteplici vantaggi, sia in termini di

organizzazione/preparazione dell’incarico da seguire che da un punto di vista

prettamente economico. Ad ogni modo, confessa che per una struttura ospedaliera

risulta probabilmente più pratico rivolgersi ad un organo che può fornire un supporto

multilingue. Tuttavia, al fine di migliorare la qualità del servizio offerto ritiene che le

agenzie dovrebbero meglio tutelare e controllare i propri interpreti, soprattutto in fase di

selezione. Mi racconta così un episodio di un colloquio di lavoro per essere assunta da

un’agenzia. Facendo riferimento a tale incontro dice: “al momento della selezione ho

solo detto di sapere parlare croato, e per loro [l’agenzia] era già sufficiente. Non hanno

eseguito nessun controllo sui certificati che possedevo.”

Interprete: alleato del paziente?

Ho ritenuto interessante interrogare l’interprete G in merito al rapporto che s’instaura

fra la figura dell’interprete ed il paziente prima e durante l’evento mediato. In

particolare, facendo riferimento al principio del “supporto al paziente” (advocacy) da

parte dell’interprete, che come si è visto nel corso di questa trattazione è stato oggetto di

numerosi dibattiti e pareri discordanti.

Innanzitutto, l’interprete G afferma come i principi contenuti nei Codici etici, seppur

utili per l’educazione dell’interprete, rappresentano situazioni ideali piuttosto lontane

dalla realtà. Nei confronti del paziente risulta impossibile essere completamente

invisibili, la stessa presenza fisica dell’interprete lo impedisce. Inoltre, spesso il

semplice fatto di parlare la stessa lingua porta il paziente ad avvicinarsi emotivamente

all’interprete e a considerarlo suo alleato. Detto questo, sottolinea come talvolta è

necessario e giusto intervenire nella conversazione qualora insorgano fraintendimenti

importanti fra i partecipanti primari, ma considera suo dovere non “allearsi” con una

parte in particolare. Le relazioni che s’instaurano fra l’interprete ed i partecipanti

primari sono strettamente legate ed influenzate dal contesto lavorativo, seppure

109

l’interprete G afferma che la propria condotta professionale, in sé, non è mai stata

influenzata da tale fattore. Questa affermazione, mi richiama alla mente il pensiero di

Wadensjӧ secondo il quale molti interpreti a parole sostengono di seguire la stessa ligia

condotta in ogni contesto, per poi contraddirsi nella pratica quotidiana. Assunto che

pare confermato nella frase con cui l’interprete G conclude l’intervista: “ogni situazione

è diversa, spesso si agisce in base alla propria esperienza e giudizio personale.”

7.2.8 Interprete H: lingua Araba

La prima interprete di lingua Araba che ha preso parte a questo progetto ha accettato

di compilare il questionario inviatole via posta elettronica. Tuttavia, le risposte fornite si

sono rivelate molto brevi e spesso incoerenti rispetto alla domanda posta tanto da

perdere la propria significatività. Per questa ragione ho deciso di non prendere in

considerazione questi dati e di riportare invece l’intervista di un'altra interprete di lingua

Araba (interprete H) avvenuta il 9/05/2012 a Dublino e che si è rivelata estremamente

interessante.

L’interprete H è di origine algerina e lavora come interprete di comunità in Irlanda

dal 2002. Principalmente segue mediazioni linguistiche in lingua Araba e Francese in

ambito giuridico, soprattutto consulenze, ma di tanto in tanto le capita di accettare

qualche incarico nel settore sanitario. In particolare dice di avere operato nelle strutture

ospedaliere del St. James Hospital e al Balseskin Hospital di Dublino. Mi spiega come

in passato avesse intenzione di diventare avvocato e per questo motivo in Algeria ha

conseguito un Master in International law. Tuttavia, una volta arrivata in Irlanda

afferma di non avere avuto la possibilità di fare fruttare i propri studi in ambito

giuridico e per questa ragione di essersi dedicata all’interpretariato. Naturalmente, mi

spiega, opera soprattutto in ambito giuridico in quanto possiede una buona conoscenza

terminologica specifica che nel corso della sessione di mediazione si rivela sempre di

fondamentale importanza.

Percorsi di training

Parlando della propria formazione come interprete, mi racconta di avere frequentato

un corso di 12 settimane attivato alla School of Applied Linguistics and Intercultural

110

Studies all’interno della DCU e dedicato all’interpretariato di comunità. Inoltre,

attualmente lavorando spesso per SPIRASI le viene offerta la possibilità di prendere

parte a sessioni di training di 4-5 giorni ciascuna che vengono attivate quotidianamente

e sono a titolo gratuito. L’interprete H mi spiega che in tale contesto si cercano

d’affrontare problemi concreti (problem solving) che ogni interprete può incontrare nel

corso della mediazione. Tuttavia, sottolinea come non si presti particolare attenzione ad

un solo ambito lavorativo, ma tutto ha una portata molto generale.

Per quel che riguarda la propria esperienza come interprete in ambito sanitario

afferma di non avere riscontrato particolari problemi. Afferma come nella maggior parte

dei casi il personale sanitario fosse preparato a collaborare con lei. E’ abbastanza

frequente, mi spiega, che nel corso della conversazione triadica l’operatore sanitario ed

il paziente non parlino direttamente fra loro, ma tendano a comunicare con l’interprete

che poi ritrasmette il messaggio (l’interprete H non considera questo fatto un ostacolo

alla comunicazione o un problema per l’interprete). Parlando del proprio ruolo

nell’evento mediato l’interprete H sostiene che è suo dovere non intervenire in nessun

caso nella conversazione, in quanto non si ritiene responsabile del suo andamento. In

merito afferma: “I’m like a computer”, ovvero un semplice mezzo che interpreta e

ritrasmette un messaggio.

Interprete di comunità: condizioni lavorative in Irlanda

Lavorare come interprete di comunità, afferma l’interprete H, oggigiorno è molto

complesso, e con la crisi economica che ha coinvolto l’Irlanda la situazione non sembra

migliorare. Mi dice che l’interprete non ha diritti, cosicché il proprio status

professionale e le proprie condizioni lavorative non vengono tutelate a dovere. Lo stesso

rapporto con le agenzie d’interpretariato, unico tramite fra interprete e contesto

lavorativo, non viene descritto positivamente. L’interprete H dice: “agencies are more

merchant than professional, they don’t care. They are not professional”. Cercando di

motivare le ragioni di questo assunto mi spiega che nel momento in cui l’agenzia

seleziona gli interpreti non svolge controlli sulle certificazioni possedute, ma la lingua

parlata è quasi sempre l’unica variabile tenuta in considerazione. Da un punto di vista

formale all’interprete viene fatto firmare un documento denominato “confidentiality

agreement” in cui viene esplicitato cosa ci si aspetta dall’interprete e quale dovrà essere

111

la propria condotta nel contesto lavorativo. Tuttavia, sottolinea come poi in realtà non

venga fatto nessun controllo qualitativo sull’effettiva qualità del servizio offerto dai

propri interpreti. L’impossibilità d’avere un rapporto diretto con la struttura ospedaliera,

o generalmente con i propri clienti, viene considerato uno dei principali problemi legati

alla propria professione. I contratti fra agenzie e strutture sanitarie fanno sì che la

maggior parte del compenso per il servizio di mediazione venga destinato all’agenzia

stessa, cosicché solo una minima parte venga riservata all’interprete. Inoltre, anche dopo

che l’interprete ha accettato un incarico, l’agenzia si riserva di poterlo annullare in

qualsiasi momento, senza fornire alcun risarcimento. Mediamente, afferma, la tariffa

oraria con cui viene retribuita va dai 18 ai 25 euro. Mi racconta come in passato abbia

avuto modo di lavorare come interprete per un periodo d’otto messi nel Regno Unito e

di avere riscontrato una profonda differenza rispetto al contesto irlandese. Sia in ambito

giuridico che in quello sanitario ogni struttura possiede una sorta di albo contenente la

lista di interpreti che risultano, previo controllo, essere certificati venendo così chiamat i

direttamente senza intermediario alcuno. Nella fase conclusiva dell’intervista afferma

come lo stesso governo irlandese attualmente in carica sembra non prendere in

considerazione le problematiche legate alla propria professione. Finché non saranno

stabiliti dei regolamenti precisi che tutelino e controllino l’attività degli interpreti di

comunità in Irlanda le cose tenderanno a rimanere immutate, rendendo così la propria

professione frustrante.

112

CONCLUSIONI VIII

In questo nostro progetto si sono presi in considerazione molteplici aspetti legati alla

figura professionale dell’interprete di comunità. L’impianto teorico iniziale ha costituito

le fondamenta della ricerca vera e propria che, nella seconda parte del lavoro, si è

concretizzata nella raccolta di testimonianze lavorative reali fornendo un’immagine

d’insieme dell’attività degli interpreti di comunità operanti all’interno di diverse

strutture ospedaliere della Repubblica d’Irlanda. Cercando di ripercorrere questo nostro

progetto di seguito verrà proposta la sintesi dei concetti principali affrontati arrivando

poi a formulare alcune considerazioni conclusive.

Nella prima parte del nostro lavoro ci si è dedicati a descrivere il concetto

d’interpretazione ed a delineare la fisionomia della natura dell’interprete. Tramite

l’analisi ed il confronto di teorie formulate da diversi studiosi in questo campo ci siamo

allontanati dalla concezione d’interpretazione come mero atto meccanico. L’interprete

non viene più considerato un “mezzo” tramite il quale avviene la comunicazione ma al

contrario esso ne è parte attiva e contribuisce alla negoziazione del significato. Questo

assunto, che così nettamente prende le distanze da metafore meccanicistiche, ha così

portato a prendere in esame il concetto di “invisibilità” che più di ogni altra variabile

può influenzare la condotta e definire il ruolo dell’interprete stesso. Vero pomo della

discordia fra studiosi e professionisti, tale principio è stato rivisitato al punto di

promuovere l’interprete da “fantasma” a “essere sociale” soggetto e partecipante

all’evento comunicativo. Abbiamo così messo in evidenza la natura dialogica della

conversazione triadica basata sull’interazione fra tutti i partecipanti che, in base al

proprio “status di partecipazione”, forniscono un contributo del tutto personale alla

costruzione del discorso.

Proseguendo la nostra trattazione, abbiamo puntato l’attenzione sulle modalità

d’impiego dell’interprete di comunità in ambito socio-sanitario ed in particolare sulle

dinamiche relazionali che s’instaurano fra partecipanti primari e l’interprete stesso, non

dimenticando di definire tuttavia il ruolo giocato dal cosiddetto “terzo cliente

dell’interprete”, le agenzie d’interpretariato. A tal fine è risultato centrale il concetto di

“rapporto di potere” che si crea nel corso della conversazione e che coinvolge ogni

partecipante all’evento comunicativo. Seguendo questo filo conduttore, e le ricerche di

113

diversi studiosi, si è messo in evidenza come tali dinamiche possano avere un impatto

rilevante sia sull’andamento dell’evento mediato che sulla compilazione della diagnosi

finale. Circoscrivendo la nostra indagine alle strutture sanitarie d’Irlanda ci siamo poi

soffermati sul concetto di “accessibilità”, presentando una riflessione qualitativa sui

servizi offerti ai pazienti LEP, e sulle politiche linguistiche adottate dal paese. Si è

messo in evidenza come i forti flussi migratori riscontrati negli ultimi decenni abbiano

condotto a nuove dinamiche relazionali fra istituzioni e società, implicando la creazione

ed il potenziamento di servizi di PSI. Sebbene di cruciale importanza, l’impiego di

interpreti di comunità formali in tale ambito si presenta piuttosto carente, cosicché il

ricorso ad “interpreti ad hoc” si rivela una tendenza piuttosto diffusa all’interno delle

strutture sanitarie irlandesi, pregiudicando sia la qualità che il risultato dell’evento

mediato. Le stesse soluzioni adottate dagli organi governativi in materia di tutela dei

diritti delle minoranze linguistiche sono risultate spesso “chiuse” ed inefficaci ad

assolvere i bisogni di una società linguisticamente e culturalmente sempre più

eterogenea.

Nel tentativo d’approfondire il discorso legato alla regolamentazione della

professione dell’interprete di comunità in Irlanda, si è fatto riferimento poi alla “Irish

translators’ and interpreters’ association” che, come si è avuto modo d’appurare,

costituisce l’unica associazione del paese dedita alla normalizzazione e tutela di tale

professione. Tramite l’analisi dei Codici etici promossi da tale organismo abbiamo

avuto modo di mettere in evidenza i principi basilari che, in linea squisitamente teorica,

determinano il ruolo e la condotta dell’interprete professionista durante l’evento

mediato. Seguendo questo percorso ci siamo soffermati in particolar modo su tematiche

legate alle condizioni lavorative dell’interprete e, usando due Codici etici californiani

come elemento di confronto, sul processo decisionale in caso di dilemma etico.

Avvicinandoci alla conclusione della parte iniziale del nostro lavoro ci siamo

concentrati sulle azioni governative irlandesi intraprese in materia di tutela del diritto

alla non discriminazione linguistica detenuto da ogni cittadino comunitario.

Analizzando parte della Costituzione irlandese, e grazie a studi precedentemente svolti

dalla Prof.ssa Phelan, abbiamo avuto modo di confermare la mancanza di norme

specifiche che garantiscano la provvisione di servizi di PSI all’interno delle strutture

sanitarie nazionali. Allo stesso modo non tutte le direttive emanate dall’Unione

114

Europea, legate a tale diritto, vengono integrate nella legislazione irlandese. Si è così

potuto evidenziare come, in particolar modo il settore sanitario, risenta di questa

mancata tutela normativa lasciando che ogni struttura ospedaliera agisca

autonomamente.

Nella seconda parte del nostro progetto, vero cuore della ricerca, si sono riportate le

testimonianze lavorative di diversi interpreti di comunità che lavorano o hanno lavorato

nel contesto sanitario irlandese: in particolar modo nelle città di Dublino, Cork e

Galway. Abbiamo potuto osservare come sia le interviste che i questionari abbiano

rivelato esperienze lavorative eterogenee che talvolta si sono distaccate dall’impianto

teorico delineato nella prima parte del nostro lavoro. La maggior parte degli interpreti

presenti nell’elenco stilato dall’ITIA sono donne, così come coloro che hanno accettato

di prendere parte a questa nostra ricerca. Si è appurato come nella maggior parte dei casi

il proprio percorso di studi sia iniziato nel paese d’origine per poi essere proseguito in

Irlanda, sovente seguendo il corso dedicato all’interpretariato di comunità alla DCU.

Ognuna di esse/i nel corso della propria esperienza ha avuto modo di lavorare in ogni

contesto istituzionale, comprese associazioni no profit come SPIRASI, cosicché

nessuna/o è stata impiegata nel solo ambito sanitario. La struttura ospedaliera risulta

essere un contesto lavorativo piuttosto complesso, emotivamente coinvolgente e spesso

stressante, dove la delicatezza degli argomenti trattati nella sessione di mediazione ne

rendono particolarmente complessa la gestione. La qualità del rapporto interprete-

operatore sanitario-paziente è fortemente legata alla comprensione e rispetto dei

reciproci ruoli, cosa che come si è potuto provare non sempre avviene. Data la scarsa, o

del tutto assente formazione del personale sanitario in materia di cooperazione con un

interprete, l’esperienza acquisita sul campo risulta così sovente fondamentale per

comprenderne la funzione e le modalità di comunicazione nel corso dell’evento

mediato. Essere interprete di comunità in Irlanda significa offrire il proprio servizio

tramite agenzie d’interpretariato che di norma firmano contratti con le aziende

ospedaliere. Spesso noncuranti della stessa preparazione dei propri interpreti, sono

questi organi che affidano loro la maggior parte degli incarichi, sovente senza preavviso

e compensi molto bassi. Da parte loro, le strutture ospedaliere spesso non presentano

nessun protocollo che fornisca linee guida alternative, cosicché il ricorso alle agenzie

d’interpretariato è una prassi consolidata. Probabilmente, la mancanza di fiducia degli

115

operatori sanitari nei confronti della figura dell’interprete, riscontrata in più

testimonianze, potrebbe essere attribuita alla frequente collaborazione con interpreti non

certificati o ad hoc.

I Codici etici promossi dall’ITIA vengono considerati unanimemente utili al fine di

fornire una linea guida a cui ogni interprete possa fare riferimento. Tuttavia, la portata

generale dei principi in essi contenuti spesso fa sì che non riescano a trovare

applicazione concreta nella realtà, essendo incompatibili con regolamenti o procedure

interne alle strutture ospedaliere. In merito si sono potute riscontrare due correnti di

pensiero: la prima, basata sul rispetto totale dei principi prescritti dai Codici a

prescindere dal contesto lavorativo e situazionale; la seconda, invece fondata su un uso

critico di tali principi, adattandoli ad ogni situazione senza rinunciare alla propria

professionalità. Generalmente, facendo riferimento al principio di “neutralità”

dell’interprete si è potuto osservare un’istintiva propensione al sostegno della totale

invisibilità nel corso della sessione di mediazione, anche se, confermando l’assunto

iniziale di Wadensjӧ, in un secondo momento sono stati riportati esempi concreti in cui

l’interprete ha effettivamente ricoperto un ruolo attivo e visibile.

Confrontando le teorie delineate nella prima parte di questo nostro progetto di tesi

con le testimonianze raccolte sul campo, abbiamo potuto notare alcune discrepanze che

hanno evidenziato il divario presente fra teoria e pratica legate alla disciplina

dell’interpretariato di comunità, dando ulteriore conferma agli studi svolti da Angelelli.

Avendo preso in considerazione le esperienze lavorative di interpreti professionisti,

regolarmente formati e certificati, abbiamo potuto mettere in evidenza le sfumature

d’impiego che ogni principio etico può presentare. Probabilmente la formazione/training

unita all’esperienza professionale può aiutare l’interprete di comunità a trovare il giusto

percorso nel dedalo della conversazione triadica, permettendogli così di attuare scelte

ponderate e consapevoli. Abbiamo potuto desumere che ogni contesto lavorativo

presenta le proprie peculiarità, a cui ciascun interprete deve fare fronte con intelligenza

e spirito critico. Gli interpreti che si ha avuto modo di conoscere nel corso di questa

nostra ricerca hanno messo in evidenza la propria passione per questa professione e la

volontà d’affermare il proprio status di professionisti. La regolamentazione e la tutela di

questa figura professionale da parte dello Stato irlandese rappresenterebbe un grande

traguardo, che offrirebbe la possibilità di migliorare i servizi di PSI all’interno delle

116

strutture sanitarie nazionali e di fornire il giusto riconoscimento a persone che con

dedizione hanno scelto d’intraprendere questo avvincente percorso lavorativo e di vita.

117

RINGRAZIAMENTI

Concludendo questi mesi di duro lavoro vorrei innanzitutto ringraziare la Prof.ssa

Rudvin per avere destato il mio interesse per una disciplina senz’altro affascinante e per

avermi offerto la possibilità di realizzare la ricerca in Irlanda. Vorrei inoltre ringraziare

la Prof.ssa Phelan per avere accettato di seguire il mio progetto presso la DCU, e per gli

innumerevoli consigli dati in corso d’opera. Naturalmente, un doveroso ringraziamento

va a tutti gli/le interpreti che hanno accettato di prendere parte a questa ricerca, le cui

testimonianze si sono rivelate fondamentali per la sua realizzazione. Ringrazio la mia

famiglia, che mi ha donato la possibilità di portare a termine il mio percorso di studi. Il

cui consiglio ed esempio ha rappresentato, e rappresenta, il migliore insegnamento che

io possa mai ricevere. In particolare, vorrei ringraziare la mia ragazza Tania per essermi

sempre stata accanto, ed avere compreso e sostenuto il mio desiderio di mettermi alla

prova. Il cui amore e forza mi hanno aiutato a superare i momenti di difficoltà ed a

raggiungere il mio obiettivo. Per questo non posso che esserle grato, e di ritenermi un

uomo fortunato. Infine, ma non per questo meno importanti, vorrei ringraziare i miei

amici di una vita che sebbene impegnati dalla proprie attività e, alcuni come me sparsi

per l’Europa, hanno trovato il tempo d’allietare la mia permanenza in Irlanda con

innumerevoli chiamate spensierate, e divertentissime visite. Grazie a tutti.

118

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123

APPENDICE A

Questionnaire

1) How long have you been working as a community interpreter in Ireland?

2) Which Language/s do you work with?

3) What course of study have you attended to become a professional interpreter?

4) Have you been working only in hospitals or also in courts, garda station etc?

5) Have you worked in both public and private hospitals in Ireland? If so, have you

noticed any differences?

6) Generally, how are you contacted by the healthcare bodies: directly by phone, by

means of an interpreting agency etc?

7) Do healthcare operators give you enough information about the case you are

about to follow: information about the patient (even confidential), documents

etc?

8) Have you ever found obstacles while working in the Irish healthcare system? If

so, which ones?

9) In your work experience have you found that healthcare operators are prepared

to cooperate with an interpreter? Are they aware of the complexities linked to

your role? Do they know the basics of a cross-linguistic communication?

10) Do you find the ITIA’s code of ethics useful? What are the merits and limits?

11) How do you perceive your role in the healthcare interpreting context:

neutral/active, visible/invisible? Do you think the work setting can affect these

elements?

12) What do you think of the gap between theory and practice in the healthcare

interpreting?

13) What do you think of the education of interpreters in Ireland (education and

training)? What are the merits and limits?

124

APPENDICE B

Informed consent form for Interpreters

How professional Community interpreters manage communication with Limited

English Proficiency patients and what their relationship is with the Irish healthcare

system.

Researcher/Student: Daniele Boni

Course of study: Italian culture and Language for foreigners, University of Bologna

Contact at DCU: Professor Mary Phelan

Contact at UNIBO: Professor Mette Rudvin

This research aims to analyse the dynamics involved in Healthcare interpreting in

Ireland.

Participants will be asked to participate in interviews either face to face or over the

phone with the researcher, or to fill in an on-line questionnaire.

Participant – please complete the following (Circle Yes or No for each

question)

Face to face interview □ On-line Questionnaire □

1) I understand the aim of the research Yes/No

2) I have had an opportunity to ask questions and discuss this study Yes/No

3) I have received satisfactory answers to all my questions Yes/No

4) I am aware that my interview will be audiotaped Yes/No

(On-line questionnaire: questions 1,2,3)

125

I may withdraw from the Research Study at any point. There will be no penalty for

withdrawing before all stages of the Research Study have been completed.

I am aware that my name and my place of work will be kept anonymous to protect

confidentiality, which is subject to legal limitations.

I have read and understood the information in this form. My questions and concerns

have been answered by the researchers, and I have a copy of this consent form.

Therefore, I consent to take part in this research project.

Participant’s Signature:

Name in Block Capitals:

Date:

126

APPENDICE C

IRISH TRANSLATORS' AND INTERPRETERS' ASSOCIATION

ITIA CODE OF ETHICS FOR COMMUNITY INTERPRETERS

Preamble

Community Interpreters work in hospitals, garda stations, the courts, on Safe Pass

courses, driver theory tests, for social welfare, with solicitors and GPs. Without the help

of community interpreters, people with limited English could not communicate and

English speakers could not carry out their work.

This code outlines the elements which make up best practice in the profession of

community interpreting, and will serve as a guide to users of community interpreting

services as to what they may expect and to practitioners of community interpreting as to

how they should conduct themselves.

2. The role of a community interpreter The primary aim of the community interpreter should be to facilitate communication

between two persons who do not speak the same language:

Therefore a community interpreter:

should never act on behalf of the user and should never speak on behalf of

either party.

is not employed by the beneficiary and should not act as their advocate.

While a community interpreter is expected to have a general understanding of the

cultural background of both parties s/he is not a cultural expert and should be wary

when offering cultural advice.

If asked to provide a written translation of a document, a community interpreter should

refuse this task, as this is the role of a translator, and not an interpreter

127

3. Confidentiality

The mutual trust and uninhibited transfer of information essential for effective

community interpreting is dependent on confidentiality

Therefore:

Nothing said in the session will be communicated outside the session.

A community interpreter will not reveal personal information gained from work that

may lead to the identification of the parties involved.

A community interpreter will not reveal information about either party learned from

any prior meeting.

The only exception being when either party is in immediate danger.

4. Impartiality

Impartiality is essential to ensure the transfer of an undistorted message. Therefore a

community interpreter will:

disclose any prior acquaintance with either party.

decline to interpret where a family or close personal or professional relationship may

affect impartiality.

inform the beneficiaries and users prior to the communication process that everything

said during the exchange will be interpreted, even when they say something not meant

for interpretation.

not impose his/her philosophical, religious or political views on any interpretation.

not offer advice or personal opinions either on own initiative or when asked.

never correct erroneous facts or statements that may occur, even though the error is

obviously unintentional. Neither should s/he infer a response, that is, if the beneficiary

is asked to clarify a prior response, the interpreter should pose the question as asked and

not volunteer what he or she thought the person meant.

bear in mind that lengthy conversations with a speaker can lead to suspicion and

distrust of the interpreter by the other party in the communication process, thus leading

to incorrect perceptions as to his or her objectivity

128

5. Accuracy

Accuracy is essential to ensure the transfer of an undistorted message. Therefore a

community interpreter should always use direct speech, using the first person as if the

interpreter does not exist. All parties involved in the communication process should be

informed of this, so as to avoid confusion.

An exception may be made in mental health interpreting, including counseling,

psychological or psychiatric sessions and assessments, where the interpreter may choose

to use either the first or third person singular, as considered appropriate by the

community interpreter and the clinician involved in the communication process. If a

community interpreter needs to refer to him or herself, s/he should do so in the third

person as "The interpreter".

This distinction is made so as to eliminate any confusion. A community interpreter

should:

interpret in a clear voice accurately, completely and objectively everything that is

said, without adding, omitting and changing anything.

not emulate the gestures made by the speakers; they have already been seen.

emulate the inflections and intonations of the speaker, in order to reinforce the

meaning and stresses of the speaker's words.

reflect the person's way of speaking as accurately as possible. The interpreter will

therefore interpret obscenities and colloquial language and will not simplify language

used.

acknowledge and correct promptly any interpreting errors made.

If one of the parties speaks too fast or for too long, a community interpreter should stop

them as appropriate in order to interpret as accurately as possible. If a message is

unclear the interpreter will ask for repetition or rephrasing where necessary with the

knowledge of all parties. Should a serious communication problem arise between the

interpreter and one party the interpreter should bring this to the attention of the other

party.

129

6. Professional Conduct

A community interpreter is a professional and should act accordingly at all times.

Therefore, a community interpreter will:

always interpret to the best of their ability.

have a good command of both languages including specialist terminology, current

idioms and dialects.

maintain and develop their command of both languages

keep up to date with the relevant procedures of the particular area in which they are

interpreting.

participate in continued professional development.

behave in a courteous, polite and dignified manner at all times.

aim to establish a compassionate but professional relationship with beneficiaries.

be on time and prepared for all assignments.

dress appropriately for the particular assignment.

not accept any gift in return for interpreting services from either party.

charge an appropriate fee for their services dependent on experience, certification and

the nature of the assignment. Services should only be provided free of charge in

exceptional circumstances.

not make any personal gain from any information learned on an assignment.

follow the code of ethics and conduct at all times.

7. Rights of an Interpreter

The rights of a community interpreter must be respected at all times. Where possible, a

community interpreter should receive accurate and sufficient information from the user

or agency regarding the assignment, place, time as well as an indication of the duration

of the assignment at least 48 hours before the assignment is due to take place. This is so

the interpreter can prepare for the assignment. A community interpreter has the right to

withdraw from an assignment if it becomes apparent that expertise beyond their

130

technical or language competence is required, or if an interpreter has been given

incorrect information or insufficient time to prepare for an assignment.

If a community interpreter feels exploited or discriminated against during the

assignment s/he has the right to withdraw his or her services. All parties must be

advised of this decision i.e. the users as well as the agency. A community interpreter

may refuse an assignment. S/he must advise the agency in advance. Any change or

cancellation should be made known to the user or agency the day before the assignment

and failure to do so will result in the client being billed for the service. Last minute

cancellations should incur a minimum payment for the interpreter. If the parties are late,

the cost will be based on the hourly rate established in advance. The session should not

last longer than previously established without the interpreter's consent. If asked to

provide a sight translation of technical documents, a community interpreter is quite

justified in saying that unless given adequate time and without proper preparation any

translation can at best be provisional. Interpreters’ travel expenses should be

reimbursed. This includes a proper mileage rate for those travelling by car and the

reimbursement of all train, bus, Luas and Dart tickets. Payment should also be made for

time spent travelling to assignments.

131

APPENDICE D

IRISH TRANSLATORS’ & INTERPRETERS’ ASSOCIATION

CUMANN AISTRITHEOIRÍ AGUS TEANGAIRÍ NA HÉIREANN

CODE OF PRACTICE AND PROFESSIONAL ETHICS

1. Preface

1.1. This Code of Practice and Professional Ethics lays down the standards of

professionalism and integrity to which all members of the Association shall adhere with

respect to their work as translators and interpreters;

1.2. A person, upon becoming a member of the ITIA in any category of Association

membership, implicitly adheres to this Code;

1.3. In this Code, a translator is specifically that member of the profession who deals

with written text, while an interpreter deals with the spoken word;

1.4. In this Code, both cognates are taken as interchangeable save where the Code itself

indicates the specific profession.

1.5. The Code and any subsequent change to it shall be approved by the Annual General

Meeting of the Association by not less than two thirds plus one of the members of the

Association present and voting.

1.6. The Executive Committee shall have the power to enforce the provisions of this

Code under the constitution of the ITIA;

1.7. This Code is subject to and recognizes the provisions of the Constitution of the

Association, the laws of the Republic of Ireland and the directives of the European

Union.

2. Professionalism

2.1. Acceptance of an assignment shall imply a moral undertaking on the member’s part

to work with all due professionalism on it;

2.2. Members of the Association shall not accept any assignment for which they are not

qualified or where they are not in possession of the specific translation tools outlined in

the client’s job specification;

132

2.3. Members of the Association shall at all times maintain standards of work at least

commensurate with those required for admission to the ITIA;

2.4. Members of the Association shall in all cases behave in accordance with the highest

standards appropriate to a professional body;

2.5. Members of the Association shall recognize the extent of their own competence in

terms both of language and subject matter and refuse to accept, unless with the prior

knowledge of their client, any work lying outside this competence or which he or she

feels cannot properly be completed with accuracy and punctuality within the agreed

deadline

2.6. Members of the Association shall refrain from any action likely to discredit their

profession or disadvantage their colleagues, in particular plagiarism, surreptitious

subcontracting or gazumping;

2.7. Where members of the Association have sufficient knowledge of some other

language, translation/ interpretation may be made into same, subject to notifying the

client in writing or email of any possible limitations;

3. Confidentiality

3.1. By the very nature of the profession, members of the Association are privy to a

range of confidential texts and verbal information in a variety of situations where

disclosure to third parties must never be made;

3.2. Members of the Association must be discreet and confidential at all times in their

dealings with a client;

3.3. Members of the Association shall not derive gain from information they may have

acquired in the course of their work.

4. Impartiality

4.1. Members of the Association shall endeavour to the utmost of their ability to provide

a guaranteed faithful rendering of the original text which must he entirely free of their

own personal interpretation, opinion or influence;

4.2. The client's approval must be sought before making any addition or deletion which

would seriously alter the original text or interpretation;

133

4.3. Where an interpreter or translator is working in any matter relating to the law, the

client’s statements must be interpreted or translated by the idea communicated without

cultural bias in the presentation, by the avoidance of literal translation in the target

language or by giving of advice in the source language.

5. Working conditions

5.1. Translation

5.1.1. Members of the Association shall, in principle, translate into their mother tongue;

5.1.2. Members of the Association shall not append any name to the translated text other

than their own true name.

5.1.3. Members of the Association shall refuse to accept work which they believe to be

intended for illegal or dishonest purposes, or to be against the public interest;

5.1.3.1. Where such work is refused, the member shall advise the competent authorities

and/or the Executive Committee of the Association as appropriate;

5.1.4. The use of another translator's draft translation as a basis for a final work and with

his/her prior permission, or use of an intermediary translation in some other language,

must be brought to the knowledge of the client for his prior approval and must

subsequently be duly accredited.

5.2. Interpretation

5.2.1. Interpreters shall, when and where appropriate, make known to the client and to

other relevant parties the working conditions laid down in this Code of Practice and

Professional Ethics:

5.2.1.1. by supplying a copy of the Code or indicating its availability on-line;

5.2.1.2. by verbally translating the relevant Articles of the contents of the Code to a

client;

5.2.2. Interpreters shall not accept more than one assignment for the same day and time;

5.2.3. Interpreters shall not undertake, as a general rule, either open simultaneous or

whispered interpretation unless the circumstances are exceptional and the quality of

work is not impaired;

5.2.4. Interpreters shall not, as a general rule, when interpreting simultaneously, work

either alone or without a colleague being immediately available for relief;

134

5.2.5. Interpreters shall request a briefing session with their client or with other relevant

parties when and where appropriate;

5.2.6. Interpreters shall require direct sight of the speaker and the conference room and

may thus refuse to accept the use of television monitors except in the case of video

conferencing post-video interpreting;

5.2.7. Interpreters shall require the relevant working documents and texts, to be read out

at the conference or to be used in court, be sent to them in advance.

6. Professional standards

6.1. The Association does not, and will not, support translation or interpreting work

done in the Republic of Ireland into or out of any other language on behalf of a citizen

of the Republic or other nationality by:

6.1.1. amateurs;

6.1.2. children, minors, teenagers, wards of court, family members of the person;

6.1.3. undocumented non-nationals or refugees whose status in the State has not yet

been determined;

6.1.4. persons related by blood, marriage or relationship to the client;

6.1.5. students attending third level institutes or colleges;

6.1.6. in certain and specific circumstances of custom and religion, a person of the

opposite sex;

6.1.7. persons who are not members of the ITIA, the Association Internationale des

Interprètes de Conférence or a recognised or associated body of the Fédération

lnternationale des Traducteurs.