PROFUGHI, INTERNATI, RIMASTI E DOPOGUERRA… · LAURA MATELDA PUPPINI Capitolo quarto di “ O...

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LAURA MATELDA PUPPINI Capitolo quarto di “ O Gorizia tu sei maledetta...” PROFUGHI, INTERNATI, RIMASTI E DOPOGUERRA… Addio paese bello, o dolce terra mia 1 Sui profughi … Dopo Caporetto fuggirono, come abbiamo visto, carnici, friulani , veneti dalle terre verso cui avanzavano gli austriaci. E’ un vero esodo: 503.494 persone si allontanano dalle province di Belluno, Padova, Treviso, Udine e Venezia, abbandonando casa, paese ed averi. 2 Così Antonio Cucchiaro, seminarista tolmezzino allora diciassettenne, descrive quell’ abbandono precipitoso: « Una confusione simile non lavevo mai vista! Fuggiaschi con vacche, pecore, galline, bambini che piangono, mamme che allattano, carri carichi di masserizie, autocarri e automobili che strombettano continuamente per farsi largo, soldati sbandati, ubriachi che urlano, vecchi svenuti per la stanchezza e pel digiuno, carri rovesciati, masserizie abbandonate, bimbi perduti che chiamavano le madri, donne travolte sotto i cavalli …» 3 Anna Squecco, allora diciassettenne, abbandona la casa con i genitori e la sorella Maria di 14 anni, ma salita su un treno che “porta lontano, si trova con al fianco la sola sorella. Ritroverà i genitori a fine guerra. 4 Dalla provincia di Udine scrive Giovanni Battista Zani - partirono poco più di 200.000 persone: ed ingombrarono talmente le strade che una grossa parte dell‘esercito trovò chiusa la v ia della ritirata. Aggiunge, pure, che vi erano stati « ladri e vandali» sia fra coloro che erano partiti che fra coloro che restarono. 5 Poi l’approdo in altre regioni. La situazione, stando ai testi delle interpellanze di Michele Gortani in Parlamento relative ai profughi, non è semplice per molti. Ai casi come quello di Anna Squecco, che perde i genitori, si aggiungono altre situazioni di forte disagio. Infatti si era diffusa, in alcuni paesi, l’idea che i profughi veneti fossero “ austriaci ed austriacanti”, come i sottoposti a confino; vi erano stati casi di funzionari statali che avevano trattato i profughi malamente , “come internati, vagabondi o come delinquenti, perfino rinfacciando talvolta ad essi l’esilio come una colpa”; prefetti e funzionari dipendenti dalle prefetture, dal canto loro, spesso applicavano solo le disposizioni restrittive, aggravando le condizioni dei profughi, e non erano mancati prefetti che avevano applicato le disposizioni per i profughi solo in piccola parte o le avevano arbitrariamente modificate. 6

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LAURA MATELDA PUPPINI

Capitolo quarto di “ O Gorizia tu sei maledetta...”

PROFUGHI, INTERNATI, RIMASTI E DOPOGUERRA…

Addio paese bello, o dolce terra mia1… Sui profughi …

Dopo Caporetto fuggirono, come abbiamo visto, carnici, friulani , veneti dalle terre verso cui avanzavano gli

austriaci. E’ un vero esodo: 503.494 persone si allontanano dalle province di Belluno, Padova, Treviso,

Udine e Venezia, abbandonando casa, paese ed averi.2

Così Antonio Cucchiaro, seminarista tolmezzino allora diciassettenne, descrive quell’ abbandono

precipitoso: « Una confusione simile non l‘ avevo mai vista! Fuggiaschi con vacche, pecore, galline, bambini

che piangono, mamme che allattano, carri carichi di masserizie, autocarri e automobili che strombettano

continuamente per farsi largo, soldati sbandati, ubriachi che urlano, vecchi svenuti per la stanchezza e pel

digiuno, carri rovesciati, masserizie abbandonate, bimbi perduti che chiamavano le madri, donne travolte

sotto i cavalli …»3

Anna Squecco, allora diciassettenne, abbandona la casa con i genitori e la sorella Maria di 14 anni, ma salita

su un treno che “porta lontano”, si trova con al fianco la sola sorella. Ritroverà i genitori a fine guerra.4

Dalla provincia di Udine – scrive Giovanni Battista Zani - partirono poco più di 200.000 persone: ed

ingombrarono talmente le strade che una grossa parte dell‘esercito trovò chiusa la via della ritirata.

Aggiunge, pure, che vi erano stati « ladri e vandali» sia fra coloro che erano partiti che fra coloro che

restarono. 5

Poi l’approdo in altre regioni. La situazione, stando ai testi delle interpellanze di Michele Gortani in

Parlamento relative ai profughi, non è semplice per molti. Ai casi come quello di Anna Squecco, che perde

i genitori, si aggiungono altre situazioni di forte disagio. Infatti si era diffusa, in alcuni paesi, l’idea che i

profughi veneti fossero “ austriaci ed austriacanti”, come i sottoposti a confino; vi erano stati casi di

funzionari statali che avevano trattato i profughi malamente , “come internati, vagabondi o come

delinquenti, perfino rinfacciando talvolta ad essi l’esilio come una colpa”; prefetti e funzionari dipendenti

dalle prefetture, dal canto loro, spesso applicavano solo le disposizioni restrittive, aggravando le condizioni

dei profughi, e non erano mancati prefetti che avevano applicato le disposizioni per i profughi solo in

piccola parte o le avevano arbitrariamente modificate.6

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Inoltre pareva proprio che l’Alto Commissariato per i profughi di guerra fosse stato creato come organo

senza effettivi poteri e senza responsabilità davanti al Parlamento e che venisse visto in Italia, non senza

qualche motivo, come « il simbolo della disorganizzazione caotica e della retorica inerte». 7

Altri problemi erano relativi al sussidio statale ai profughi. Chi lavorava non poteva ricevere il sussidio, che

bastava solo per alimentarsi ma non per l’ alloggio; il sussidio era stato pagato, in alcuni casi, con tale

ritardo da costringere i profughi a ricorrere agli usurai; inoltre spesso non bastava neppure per mangiare in

quanto i prezzi erano lievitati ed alcuni profughi si erano trovati « alla mercé dell’ avidità bottegaia».8

Vi erano poi stati profughi che avevano dovuto sistemarsi in alloggi privi delle più elementari norme

igieniche, altri che avevano dovuto adeguarsi a condividere locali in promiscuità, aspetto che preoccupava

dal punto di vista morale. Non dovunque i bimbi avevano potuto accedere alla scuola pubblica, spesso i

profughi si erano trovati senza alcuna assistenza sanitaria, malati e partorienti avevano dovuto arrangiarsi

e pagarsi medici e medicamenti, ed un locale non disinfettato aveva creato un’ epidemia che aveva mietuto

almeno 10 vittime.9 Nemmeno i tubercolotici erano stati separati dalla restante popolazione, e si invocava

il loro trasferimento in riviera, in luogo adatto, ove potessero ricevere adeguate cure.10

C’era chi si era trovato senza un giaciglio, chi senza mangiare a causa della fornitura viveri, concessa dallo

stato ad appaltatori che avevano lasciato poi i profughi alla fame. 11

Le interpellanze, che Gortani definisce « 50 domande, senza peli sulla lingua» suscitarono «un vespaio,

grandi ire, grandi elogi e soprattutto grandi paure » come egli scrive alla moglie.12

Però la Camera dei Deputati, secondo Michele Gortani, faceva fatica ad ascoltare , perché «vecchia,

decrepita», con tutti i limiti del « Parlamentarismo acuto», ed in mano a «conventicole e congreghe», e di

fatto agiva «all’opposto di ciò che il paese richiede».13

La situazione dei profughi veniva ben riassunta in una lettera sempre indirizzata a Maria Gentile Gortani da

Gina d’Este, probabilmente figlia o moglie del procuratore di Tolmezzo:

« Il profugo è guardato come una cosa fuori uso, per dirla in gergo militare, ed in genere trattato male.

Provi Michele a fare una scappata a San Remo, ad esempio, ed assista, non riconosciuto, al pasto che viene

somministrato ai profughi e senta un po’ da loro che musica! (…). Non solo. Le donne del luogo, quando

vogliono mettere paura ai loro piccini li minacciano di farli portar via da quelle dei profughi!»14

Accanto a questi disgraziati vi erano stati anche profughi più fortunati, come Anna e Maria Squecco, che ad

Oneglia di Imperia avevano trovato, infine, un alloggio sicuro presso una famiglia che le aveva trattate

come figlie,15 oppure la famiglia di Romano Marchetti che, durante la profuganza, aveva potuto permettersi

anche qualche breve gita.16

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E sugli internati nella prima guerra mondiale.

Accanto al problema dei profughi, vi era anche quello degli internati e confinati.

Abbiamo già incontrato Ottavio Puntil, scalpellino, emigrato in varie località della Germania, in Siberia e in

sud -America, segretario della sezione socialista di Prato Carnico e, nel 1913, presidente della Società Casa

del Popolo; Antonio Casali e Giobatta Cleva, muratori in varie località della Germania, e Giacomina Petris,

confinati a domicilio coatto ad Avezzano. Così scrive don Antonio Roia, con un certo disappunto : « Qui

avevamo cominciato il repulisti degli esseri pericolosi e sospetti e poi, non so perché, si sono fermati. I

quattro partiti ( per il confino n.d.r.) sono: Zuanutt da Bass (gambetta) il picciul da Pierie17; Mina Petris

maritata Craut18; l’anarchico di Palud di Sostasio19. Gli altri sono ora come gatte bagnate. Tutti i facinorosi

ed esaltati si stanno aspettando di giorno in giorno la visita dei R.R. Carabbinieri. »20 E non è molto tenero

detto sacerdote, neppure quando afferma che: « E’ vero che il famoso Giovanni Cleva da Bass, apostolo dei

socialisti, anziché andare al confine assegnatogli, era andato a nascondersi in uno de’ fienili pesarini

addentro nella vallata. Ma un dì avviatosi verso il paese per provvedersi non so di che, imbattesi ne’

carabinieri e ne fu bellamente ammanettato e condotto ingiù come un Cristo. Gli altri sarebbero stati

mandati nella bassa Italia.»21

Ma forse don Roia, prete allora a Forni di Sotto, non sapeva in che condizioni vivevano gli spediti al confino.

Così scrive Giovanni Procacci: «All’interno della limitazione dei diritti di libertà dei civili prevista dalle

legislazioni di guerra, l’internamento costituì un provvedimento tra i più vasti e punitivi. Ad esso ricorsero

tutti i paesi belligeranti che, allo scoppio del conflitto, chiusero le loro frontiere ed espulsero o internarono

tutti i cittadini degli Stati nemici. Con il proseguire della guerra, via via che venivano occupati territori del

nemico, altre moltitudini di civili furono trasferite lontano dai loro paesi, per essere relegate in baraccopoli

o in centri ghettizzati, se non addirittura deportate in campi di lavoro, talora a ridosso delle stesse linee del

fronte.

A fianco all’allontanamento dei sudditi nemici, ogni paese belligerante effettuò anche quello dei propri

cittadini abitanti nelle zone di operazione; l’evacuazione avvenne non solo per salvaguardarne l’incolumità,

ma anche per il timore che si potessero verificare azioni di collusione con il nemico; in questo caso

all’allontanamento seguì spesso anche l’internamento. Infine, in termini diversi a seconda dei paesi

belligeranti, l’internamento venne attuato per motivi politici: fu infatti questo il mezzo, a fianco ai

dispositivi giudiziari, attraverso cui le autorità riuscirono a mettere a tacere non solo l’opposizione pacifista

e socialista, ma anche le richieste operaie e la più generale protesta popolare.» 22

Le condizioni di vita di quanti vennero assoggettati all’internamento furono quasi sempre drammatiche,

non essendo gli internati garantiti da alcuna convenzione internazionale e quindi senza tutela; in alcuni casi

essi furono obbligati a svolgere lavori forzati e vennero sottoposti a vessazioni da parte sia delle autorità

che delle popolazioni ospitanti, oltre alle difficoltà date dalla lontananza e dallo sradicamento dall’

ambiente di vita, sollevando più volte la protesta della Croce Rossa Internazionale.

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«Anche in Italia una folla di migliaia di uomini, donne e bambini fu costretta ad abbandonare le proprie

abitazioni per essere inviata in luoghi lontani, quasi sempre privi di adeguate attrezzature di accoglienza.

Erano uomini e donne di nazionalità austriaca che abitavano in terre che erano state occupate fin dalle

prime settimane di guerra dall’esercito italiano, e Italiani che vivevano nelle contigue zone delle operazioni:

gli uni e gli altri furono allontanati dalle loro case sotto l’accusa di attività anti-italiane o sovversive e con la

motivazione di costituire pertanto un pericolo per la sicurezza nazionale e per l’ordine pubblico.»23

I colpiti da provvedimento di internamento venivano trasferiti in centri di smistamento: Novara per quanti

sarebbero stati internati al Nord, Firenze per coloro che erano stati indirizzati al Centro ed al Sud. I luoghi

scelti per il confino furono in preferenza nuclei isolati del sud o le isole di Ponza, Lipari, Favignana, Ustica,

Ventotene, Lampedusa, Sardegna, ma alcuni vennero confinati pure in centri minori della Toscana.24

La decisione di procedere con l’internamento era di competenza delle autorità militari e, in quanto misura

amministrativa di polizia, aveva effetto immediato, poteva essere attuata senza preavviso e senza che

fossero indicati agli interessati i motivi del provvedimento, ed era disposizione che si sottraeva al giudizio

della magistratura. Per finire al confino e per essere internati bastavano dei sospetti, e per poterlo fare si

riesumò una norma del codice civile del 1865 andata poi in disuso.25

«Per la sua casualità e per la immediata attuazione, - scrive Procacci - l’internamento fu la misura repressiva

più temuta dalla popolazione civile, e venne perciò usato anche come mezzo di intimidazione, per

dissuadere operai o manifestanti dal procedere nelle agitazioni; ma soprattutto esso divenne strumento di

facile repressione, per colpire gli esponenti più di rilievo del partito socialista e in generale per reprimere

coattivamente ogni opinione dissenziente per la quale non fosse possibile prefigurare una forma di

reato.»26

Il 9 dicembre 1915, Salandra scriveva a Cadorna che il numero dei civili, allontanati e internati, si avvicinava

al numero di 47.000.27 Autorità militari e prefetti, che ritenevano, a torto, di esser stati investiti di nuovi

poteri, si dettero sempre più da fare ad utilizzare la legge contro elementi ritenuti sovversivi.

«Con il progredire della guerra - scrive sempre Procacci - mentre si ridusse il numero degli internati

provenienti dai paesi occupati o dalla zona delle operazioni, l’allontanamento per motivi politici aumentò

progressivamente, raggiungendo il culmine nell’ultimo anno di guerra. »28

Inoltre « I primi allontanamenti e internamenti avvennero senza regole e sulla base di motivazioni più che

generiche, spesso in base a segnalazioni anonime o in seguito a delazioni di organismi o singoli individui.»29

E vennero internati anche sacerdoti e cattolici sospettati di esser pacifisti, a causa della posizione espressa

dal Papa Benedetto XV°, o per “disfattismo”. Così accadde che il parroco di Grancona, in provincia di

Vicenza, venisse internato per aver pronunciato la frase «la guerra sarà lunga». 30

Approfittando della situazione, vennero allontanate dal loro paese e dalla loro casa anche prostitute o

ritenute tali, donne con cognome austriaco, « persone “di dubbia moralità” o che conducevano “vita

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TESSERA PER ACQUISTO DEL PANE RILASCIATA, PER IL MESE DI MAGGIO 1918, TIMBRATA GENNAIO, A MARCO CANDIDO, DA PARTE DEL

COMUNE DI VINOVO. Documentazione su Marco Candido, in possesso del dott. Alido Candido, nipote.

equivoca e immorale”, ma anche e soprattutto numerosi militanti anarchici, membri di circoli giovanili

socialisti, amministratori comunali, esponenti sindacali» e, successivamente, lavoratori che venivano

ritenuti i promotori di scioperi nelle fabbriche o di agitazioni nelle campagne.31 E vennero internati, in

massa, durante l ‘occupazione del Trentino, Sloveni e Croati, accusati di essere troppo nazionalisti, ed ex

militari austriaci provenienti dal Russia, accusati di esser filo bolscevichi, ed altri accusati di lealismo

austriaco ma anche di essere repubblicani. 32

Infine si poteva essere licenziati, allontanati o internati anche con l’ accusa di essere “ di tiepidi sentimenti

nazionali”.33

Naturalmente i notevoli casi di confino e internamento sollevarono proteste in Parlamento. Così Turati

prese più volte posizione, in particolare a favore dei socialisti bresciani internati, e il 10 dicembre 1915,

Salandra telegrafava a Cadorna che la questione degli internati aveva assunto una seria valenza politica, e

ad essa si interessavano ormai tutti i partiti.34

Orlando, che succedette a Salandra, chiese maggiore attenzione nell’ internare, e, con l’andare avanti

della guerra, si acuirono le divergenze fra potere politico e militare per la gestione dello ordine pubblico.35

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Comunque, al termine della guerra, il potere civile sostituì del tutto quello militare, in questo ambito.

Si chiudeva così, nel 1919, la stagione dell’internamento bellico, ma non si esaurivano i

motivi politici per i quali esso era stato applicato. L’internamento per motivi politici riapparve, infatti, di lì a

pochi anni, sotto il titolo di confino di polizia, nella legislazione fascista.

Internamento femminile… e lasciarono vecchi e bambini…

Matteo Ermacora ben descrive i motivi per cui donne potevano venir internate ed anche la situazione in cui

vissero l’internamento ed il confino. Il motivo principale di internamento femminile fu l’ accusa, generica, di

“austriacantismo”, che comprendeva una vasta gamma di situazioni: relazioni parentali con austriaci; atti

ostili; propaganda anti italiana. Vi furono, poi, donne internate per contravvenzione a bandi militari; per atti

di disfattismo; per favoreggiamento della diserzione; per sovversivismo anche anarchico,36 come, credo,

accadde a Giacomina Petris. Ma vennero internate pure mogli, madri e figlie di amministratori, veterinari,

medici, gendarmi, guardie di finanza, soldati accomunati dall’ essere austriaci; ed anche maestre, ostesse,

albergatrici, levatrici, ree di essere troppo a contatto con la gente.37 E vennero internate prostitute o

sospette di esercitare la prostituzione, perché potevano creare risse e trasmettere malattie veneree, senza

tener conto del fatto che le donne spesso, si dovevano prostituire, come sempre accaduto, per necessità,38

dovendo mantenere, senza “uomini in casa” e parenti prossimi, la numerosa prole. E si prostituivano, pure,

ragazze che si dirigevano, a cercar qualche lira, verso le grandi città delle retrovie, come: Venezia, Vicenza,

Bassano, Udine, Belluno, ove speravano di trovare lavoro come domestiche, stiratrici, ambulanti, cameriere

di albergo.

In alcune località, come nei paesi della bassa Valsugana, gli internamenti erano iniziati i primi giorni

dell’occupazione italiana. Così Bortolo Marighetto veniva incaricato dai mariti di alcune donne del luogo,

internate, di chiedere al Ministero Affari Esteri il loro ritorno a casa. Si trattava di: Tonina Rachele, madre

di due figli, inviata a Marigliano di Caserta; Marighetto Ida, inviata a Terni; Rigo Natalia, madre pure lei,

internata a Firenze; Ceschini Enrica internata a Nola, sempre in provincia di Caserta; Fiorini Edvige e due

figli spediti a Terni. Il Marighetto specificava, nella lettera inviata il 3 marzo 1916 al Ministero Affari Esteri,

che «trattasi di madri di famiglia e di figli innocenti vittime che per nulla hanno a che fare con la guerra».39

I motivi di internamento, come visto, potevano essere vari.

Anna Falettig di San Leonardo di Cividale, per esempio, veniva internata a Firenze perché protestava contro

gli “operai borghesi” che occupavano i sui terreni.40

Maria D. L. di Raccolana (Udine) e Giuseppina K., di Staroselo, venivano allontanate, nel 1916, perché

la loro “attività clandestina”, cioè la pratica della prostituzione, determinava “chiassate”, “risse” e

“mancanze disciplinari” fra i soldati; Elvira S. di Padova per il timore del diffondersi di malattie celtiche, cioè

veneree.41 Nel 1917 venivano internate perché praticavano la prostituzione: Luigia T. di Cornè, e Genoveffa

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F. di Trieste, Margherita F. di Forno di Zoldo, Maddalena M. e le figlie, Luigia e Rosa di Rovereto, Cristina B.

di Cividale, e Augusta B. di Venezia.42

Maria G. e Anna V. con le figlie, furono internate perché, dopo essersi sottratte agli ordini di sgombero

delle retrovie del Piave, si prostituivano clandestinamente nei pressi di Montebelluna, nuocendo «al buon

ordine, alla disciplina e all’immagine dei numerosi reparti». Maria era vedova, Anna aveva dieci figli, tra cui

tre, di 22, 18 e 17 anni, praticavano la prostituzione per mantenersi.43

Edvige G., di origine germanica, internata in Sardegna, dichiarava alle autorità di polizia che “era costretta a

vagabondare” e ad esercitare la prostituzione a causa del magro e misero sussidio militare, e che voleva

ritornare in Germania dove, almeno, non sarebbe morta di fame.44

Invece Alma Gaspari, di Ancona, sposata a Cortina d’ Ampezzo, ostessa e moglie del proprietario di due

alberghi, che aveva già rischiato di esser internata in Austria perché ritenuta troppo filo italiana, finì poi

colpita da provvedimento di internamento da parte degli italiani, ad inizio guerra, perché aveva osato dire

che la popolazione del paese era, più o meno, tutta filo austriaca. Riuscita a evitare l’internamento grazie

all’aiuto di persone influenti, si inimicò, pare, la locale caserma dei carabinieri i quali, alla prima occasione,

cercarono comunque di rendere esecutivo, con altre motivazioni, il provvedimento.

Infine, quando Alma, esasperata, inveì contro la censura che fermava l‘ invio di lettere al marito, venne

internata a Firenze con l ‘accusa di «procurato allarme e depressione dello spirito pubblico».

La situazione della donna apparve subito durissima. Così ella scrive il 7 maggio 1917 , peraltro senza seguito

positivo, alle autorità:

«Sono italiana di nascita ma sposa ad un redento di Cortina di Ampezzo nel Cadore. I miei sentimenti di alta

Italianità sono conosciuti ovunque; sempre lavorai (...) per la causa italiana, tanto è vero che allo scoppio

della guerra mondiale fui dagli austriaci imprigionata e processata a causa di ciò. Ora trovomi qui internata

a Firenze (...) per aver io osato criticare il generale Caputo (...) per certi abusi che vengono commessi. Feci

male, lo so, ma non trovo giustificato questo provvedimento (...). La bimba deperisce di giorno in giorno

(...). Vengo a supplicare di rimpatriarmi onde salvare la mia figliola.»45

Donne vennero internate o spostate in altro luogo di internamento per aver espresso troppo apertamente

la propria opinione, anche esasperate dalle peggiorate condizioni di vita o ritenendo profondamente

ingiusto il provvedimento, spesso preso sulla base di delazioni anonime.

Così accadde ad Antonia Bosarelli di Trento, internata a Bologna e spostata a Siena; ad Agar Mandelli di

Brescia, già internata a Alessandria e trasferita a Firenze;46 a Romilda Guadagnini Dal Pez di Fiera di

Primiero, già internata a Novara nel 1915 e trasferita dapprima a Benevento e poi a Nusco, perché palesava

il suo “austriacantismo” e commentava negativamente l’arrivo delle truppe francesi. «Le autorità di polizia

sottolineavano, sulla base delle notizie di informatori, il fatto che i figli della donna, giocando nel cortile con

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gli altri bambini, concludevano le canzoni patriottiche «non già come i nostri, col grido di viva il re, ma col

grido di viva Carlo I».47

Per reato di opinione veniva internata Anna Gobbato, di Treviso, 64 anni, ostessa, arrestata e internata a

Firenze nel febbraio del 1918 perché aveva criticato le requisizioni militari di foraggi e aveva concluso il suo

discorso dicendo: « Vada a remengo il governo e chi lo protegge se venissero i tedeschi si starebbe

meglio.»48

Mantenere la corrispondenza con parenti in Austria, avere un cognome austriaco o tedesco diventavano

motivi per un sicuro internamento perché le autorità militari ritenevano che questi elementi fossero

“incompatibili” in zona avanzata di operazioni militari. Così accadde a Eugenia Fax di S. Ulderico di Tretto,

internata a Cosenza.49

Numerosi furono, inoltre, gli allontanamenti dovuti al mancato rispetto di divieti ed ordinanze ma anche

per favoreggiamento alla diserzione, reato ricorrente nei piccoli paesi veneti, dove i soldati in fuga

venivano nascosti, ospitati e dotati di abiti civili. Per questo, come “salutare esempio” e nel contempo

“severo monito”, le autorità militari ordinarono, nei primi mesi del 1918, gli internamenti di Clorinda Del

Medico di Faedo di Monte di Malo, finita a Catanzaro; di Maria Beron di Zellarino, finita a Cosenza e di Anna

Centofanti, di Vallonara.50

Vi furono, poi, casi di donne internate perché ritenute “novelle Mata Hari”51, senza prova alcuna.

«Condurre una vita dispendiosa, vestire in maniera “eccentrica”, frequentare circoli o spettacoli, per le

donne straniere diventò un pesante atto di accusa» - scrive Matteo Ermacora.52 Così, per fare solo un

esempio, Enrichetta Devinau,vedova Kant, genovese di 25 anni, istitutrice separata dal marito, veniva

sorvegliata perché vestiva “con eleganza” , faceva “vita dispendiosa” e frequentava ufficiali inglesi ed

americani, in quanto poteva essere “emissaria del nemico”.53

Caterina Eberle, suddita tedesca, commerciante, residente a Genova, veniva internata «poiché è notorio

che i tedeschi, ovunque si trovino sanno in qualsiasi modo riuscire utili alla loro patria», anche se non erano

emersi elementi specifici a suo carico. 54

Invece Alice Kuchen Hascher, giovane ungherese che viveva a Bologna dando lezioni private di lingua,

fu internata nel maggio del 1918 perché “in privato” aveva affermato che l’Italia era una “nazione di deboli”

e aveva auspicato una rapida conclusione del conflitto per poter ritornare nella “amata Ungheria”.55

Luigia Amadio veniva internata a Venezia perché moglie di un tedesco, Cecilia Holtmann a causa del suo

cognome, Elena Gerlach a Siena per frasi anti italiane pronunciate in privato, Teresa Kusher a Potenza con

l’ accusa di praticare la prostituzione vicino alle industrie. Lisa Korff, di origine russa, subì l’internamento di

fatto perché era una donna indipendente, come Olga Janutske. Infatti gli internamenti di donne potevano

reggersi anche solo sulla base di pregiudizi antifemminili e colpirono donne indipendenti ed incuranti ai

richiami, artiste di varietà, scultrici, pittrici, ballerine, pianiste, che furono guardate con sospetto, denigrate

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come “meretrici” e considerate spie.56 Fra queste vi era Irma Barbaro, artista di varietà di Dolo, internata da

Venezia a Benevento nel dicembre del 1917.57 In compenso Maria Giuliani, di Borghetto d’Avio, venne

internata a Teramo nei primi mesi del 1917 perché continuava a tenere esposto nella propria abitazione un

ritratto della defunta imperatrice Elisabetta d’Austria.58

Le condizioni di vita in cui queste donne vennero a trovarsi, furono difficilissime.

Antonia Fonzari di Grado ricordava che nelle varie stazioni di sosta, lungo il tragitto verso il luogo di

internamento, fu rinchiusa con le compagne in stalle ed altre carceri improvvisate e continuamente

minacciata dai militari; Nina Loss, albergatrice di Canal San Bovo, raccontò che il gruppo di internati di cui

faceva parte fu accolto a Verona da sassate e insulti della folla che assisteva alla loro traduzione in carcere.

Analoghe scene si verificarono a Palmanova e a Udine, città che, a causa della forte presenza di fuoriusciti

irredenti, si distinguevano per una forte ostilità contro gli internati. In alcune zone aleggiava un «clima di

isteria collettiva», ben esemplificato dal caso di Antonia Leban di Gorizia, che venne internata, da Milano

in Sardegna, perchè si recava alla stazione all’arrivo di tutti i treni colla speranza di incontrare i suoi figli. 59

Orsola Capello di Borgo Valsugana fu internata, invece, perché «quando una granata austriaca uccise

quattro persone (...) non dissimulò il suo compiacimento per l’accaduto e disse che sarebbe stata più

contenta se la granata avesse colpito coloro che desideravano gli italiani in paese.»60

Narcisa Dal Ceggio, di Scurelle in Valsugana, magazziniera nella “Famiglia cooperativa”, internata a

Castellammare di Stabia, lamentava, chiedendo di esser resa alla sua casa ed alle sue figlie, di esser stata

vittima di un’ odiosa calunnia, e di esser stata internata senza interrogatorio alcuno; Nina Loss, di Canal san

Bovo, scriveva: «Come possiamo chiamarci redenti se per noi la redenzione ci portò rovina, se i nuovi

connazionali diedero libero arbitrio di sfogare vendette e gelosie, rancori, invidie infondate?», si chiedeva

quanto sarebbe durato l’internamento, invitando le autorità ad andare altrove a cercare il barbaro, e diceva

di chiedere giustizia, non certo perdono, dato che lei non era colpevole di nulla.

Angela Scaramuzza e Antonia Fonzari di Grado, cugine, entrambe maestre, internate a Penne in provincia di

Teramo, con l’accusa di essere “austriacanti”, dopo un anno di allontanamento chiedevano, in forma

scritta, di essere restituite ai loro vecchi genitori ottantenni, dei quali erano l’unico sostegno, avendo tra

l’altro sempre vissuto una vita ritiratissima, tutta dedita allo studio ed al lavoro. Chiedevano, inoltre, di

essere ascoltate, onde poter dimostrare la rettitudine della loro esistenza e come le accuse loro mosse

fossero state frutto di pettegolezzi e maligne insinuazioni.

Fanny Livelic, originaria di Trieste, internata a Firenze in quanto domestica di una nucleo familiare

“austriacante”, lamentava di esser stata internata solo perché aveva cercato di guadagnarsi onestamente il

pane e di essersi ammalata al confino; la ventiduenne Regina Blasig di Visnievik (alto Isonzo) fu internata

con la madre a Lucca «per una frase irriverente per S. M. il re». Nella realtà ella asseriva di esser stata

interrogata dai R. Carabinieri più volte per un fatto che le era successo e che aveva avuto come

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protagonista un soldato del 43° fanteria. «Un giorno, mentre stavo lavando la biancheria per certi ufficiali –

narrava - mi si avvicinò un soldato facendomi dei scherzi illeciti, le dissi di allontanarsi con parole un po’

aspre, minacciandolo di dargli dei pugni. Con ciò mi esprimo di non aver avuto la minima intenzione di

offendere il sentimento nazionale italiano. Così pure mia mamma conferma di non aver mai parlato male

della nazione italiana». Le due donne avevano dovuto lasciare a casa cinque bambini tra i 9 e i 13 anni,

affidati alla sorella più grande, Vittoria, di 16 anni, che li manteneva con il sussidio mensile e con l’attività di

lavandaia. Ed anche Santa Pian di Chiopris denunciava di essere stata internata nelle Marche perché aveva

inveito contro il Re e l’esercito a seguito di “proposte oscene” da parte di due soldati. 61

Spesso le donne allontanate avevano dovuto lasciare senza assistenza, bambini, e pareti vecchi ed

ammalati. Per esempio Maria Ropele di Strigno, madre di tre figli, scriveva alle autorità di essere una madre

sbalzata, senza colpa, dal suo paese e di esser stata separata dai suoi bambini piccoli. Ma anche donne

rimaste a casa chiedevano il reinserimento nel nucleo abitativo dei loro uomini internati e confinati. Così

Teodolinda Colugna di Villa Vicentina, ammalata e quasi sessantenne, chiedeva, nel novembre del 1916, il

rimpatrio del marito Eugenio, internato nei pressi di Ascoli Piceno, unico uomo in una famiglia composta da

ben cinque donne e quattro bambini, che era rimasta senza «quell’aiuto materiale e morale che solo un uomo

può dare in una casa».62

La moglie di Giuseppe Daurù di Caprile, nel dicembre del 1915, scriveva un’istanza alla Regina per chiedere

il ritorno a casa del marito, internato a Novara per motivi politici. Ella lamentava di trovarsi in povertà, di

non esser in grado di provvedere al pane per i figli, e di trovarsi fuori casa a causa dei bombardamenti

nemici.

Anna Delle Nogare, madre di sette figli, scriveva invece al Comando del presidio di Schio invocando il

ritorno del marito Adolfo, internato a Teramo, e strappatole senza neppure poterlo salutare. Ella era

rimasta unica custode della casa e dei figli, ma il peso della situazione era gravissimo.63

Le lettere inviate per chiedere la grazia, dunque, non esprimevano solo il desiderio di rimpatrio ma

anche paure e preoccupazioni per il forzato abbandono dei familiari, per i luoghi di destinazione così diversi

dai paesi d’origine, per l’impossibilità di accudire i parenti ammalati, fare fronte ai lavori agricoli oppure

saldare debiti e pagare affitti, e ci offrono uno spaccato della misera vita angosciante di queste donne,

spesso vittime di denunce da parte di invidiosi, vendicativi, inviate a redimersi lontano da casa,

moralmente disprezzate, ed invitate alla sottomissione.64

Tali scritti palesano, pure, la brusca separazione dalla famiglia, l’assenza di interrogatori, gli ordini di

partenza immediati e le difficoltà del trasferimento, gli atteggiamenti violenti ed arbitrari subiti, l’arresto

come pericolose criminali, le perquisizioni delle abitazioni sotto la minaccia delle armi, le umiliazioni e le

perquisizioni personali, l’inganno dei militari che facevano loro credere in un veloce ritorno.65

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In tal senso - come ben sottolinea Matteo Ermacora - le domande di grazia, che si collocano tra la scrittura

di carattere burocratico, la scrittura privata e la supplica, racchiudono « drammatiche storie di separazione,

preoccupazioni, manifestazioni di affetto, speranze e desideri di donne e ragazze che vivevano una

MONUMENTO SULL’ ORTIGARA DEDICATO AI SOLDATI MORTI NELLA FAMOSA BATTAGLIA. IMMAGINE QUI POSTA DA LAURA MATELDA

PUPPINI A RICORDO DI TUTTE LE VITE IN QUALCHE MODO SPEZZATE DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE. Foto da pieghevole:”Sacrari militari della

prima guerra mondiale – Asiago Pasubio “ senza data e autore, edito a cura del Ministero della difesa.

situazione eccezionale lontane dai propri familiari», ma esteriorizzano anche la rabbia, l’incredulità, lo

stupore, il risentimento per le modalità di internamento e una orgogliosa rivendicazione della propria

innocenza. 66 Infine non fu raro il caso di internati ed internate che morirono a causa di malattie quali:

malaria, meningite, difterite, tubercolosi, contratte in ambienti insalubri e malsani.67

Che ci fossero stati internamenti senza motivo alcuno, era già chiaro nel primo dopoguerra se, nel febbraio

1920, l’on. Marco Ciriani68 si occupava del problema.

Egli poneva interrogazioni al Ministero della Guerra ed a quello di Grazia Giustizia e Culti, chiedendo che «

ai cittadini italiani internati durante la guerra fosse riconosciuto il diritto di far rivedere i giudizi dell’

autorità militare» e che fossero precisate «le norme per il conseguimento di quella riabilitazione che quanti

furono ingiustamente colpiti dall’ odiosissimo provvedimento dell’ internamento, ripetutamente hanno

implorato e implorano.»69

Egli si rivolgeva, poi, al Ministero della Guerra per sapere se fosse stata prevista una indennità di

risarcimento, per danni morali e materiali, per coloro che fossero risultati ingiustamente colpiti dall’

internamento, ed, in caso di risposta negativa, come si intendesse procedere per riparare ai danni stessi.70

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Quel tragico dopoguerra…

L’Italia aveva ampliato i suoi confini, ma gran parte degli italiani usciva da quella guerra più povera di prima,

e vessata da mille difficoltà. Così poteva accadere che un soldato di Tolmezzo, di servizio a Torino in un

corpo con Deposito a Palermo, avesse dovuto recarsi sino in Sicilia a ritirare il foglio di permesso e rientro

per essere infine congedato.71

E le terre liberate dagli austriaci si trovavano in situazione tragica.

« Le devastazioni superano in gravità ogni immaginazione. Tutte o quasi le case dei centri sono sfondate

dal piano terra al tetto e sono spogliate di serrande e di mobili. Effetti di biancheria e vestiario, oggetti

familiari furono quasi ovunque rubati od asportati con violenza».72 Il compattarsi della popolazione nei

paesi appariva “cosa ardua” ed autorità, sacerdoti e cooperative, dovevano lasciare in secondo piano

l’educazione per dedicarsi ad alleviare la fame. «La mia casa è diventata un magazzino», lamentava un

sacerdote, e l’opera morale si limitava a « dispensare anche una buona parola» nell’ atto di dispensare «

una veste o un barattolo di latte concentrato». 73

Don Giovanni Battista Boria, allora Economo Spirituale di Pontebba, scriveva il 9 aprile 1919 al Gortani che

aveva trovato la casa parrocchiale distrutta e si era dovuto sistemare nella sacrestia, che il paese era quasi

del tutto distrutto ed anche la chiesa. Ma non la miseranda condizione della Chiesa lo rattristava di più,

bensì « la tristissima vicenda di questa povera gente che soffre la più stretta penuria di viveri, manca di

letti, coperte, attrezzi da lavoro per por mano alla riedificazione delle case».74

Mancava il lavoro perché l’emigrazione in Austria e Germania non era più possibile; mancavano viveri,

mancavano in sintesi, come già visto, pane e lavoro. Alla gente italica nulla aveva portato la guerra, molto

aveva tolto.

I caro vita colpiva l ‘Italia, sia per la svalutazione del denaro sia per la carenza di generi alimentari.

« A livello economico un forte processo inflattivo ha inizio: la lira passa da 81 centesimi oro a 37; nel 1920

toccherà quota 18. Il costo delle merci è in media triplicato rispetto al 1914 ( e sarà quadruplicato nel ’20

quintuplicato nel ‘21 ) il salario reale resta, invece, intorno alla media del 1914. La situazione è grave anche

in Carnia e fra l’ estate e l’autunno si delinea l’inizio della grave crisi occupazionale che investirà il Friuli nel

corso dell’ anno successivo».75

Le condizioni in cui versava la Carnia, ancora occupata dagli austriaci, venivano così descritte in un

Memoriale, datato 30 giugno 1918, indirizzato da personalità locali, al Commissario Civile, a seguito di un

incontro tra i Sindaci:

« Ill. signor Commissario Civile

Tolmezzo.

Dall’odierna adunanza dei Sindaci della Carnia puossi desumere quanto segue:

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I° - Che il Commissario Civile di Tolmezzo, la cui bontà è ben nota, faccia ogni pressione presso i Superiori

Comandi ( austriaci n.d.r. ) affinché non abbiano più luogo requisizioni di animali essendo ché con quelle

già fatte tutta la Carnia venne lasciata nel più profondo abisso di miseria (…).

II°- Che il grano del Friuli possa venir acquistato col denaro e non con cambio di generi per le suaccennate

ragioni, ben inteso eliminando lo strozzinaggio praticato dai produttori e con di più che sia trasportato

gratuitamente per la ferrovia.

III° - Che per gli eventuali bisogni di mano d’ opera i comandi non abbiano più a derogare dalle disposizioni

emanate dal Comando Supremo (…) impadronendosi di cittadini inabili presi nelle loro case e sui loro lavori,

staccandoli così dai loro miseri interessi, dalla propria famiglia (…), cosicché vecchi vacillanti e troppo

giovani energie sono costretti a gravoso fondo ( nel senso di lavoro sino all’ esaurimento n.d.r. ) le cui

conseguenze fisiche e morali saranno in altro tempo testimonianza di questo trattamento.

IV° - Che vengano una buona volta pagati i buoni di requisizione rilasciati fin dal 1917, come pure gli

stipendi e le pensioni degli insegnati essendo gl interessati privi di qualsiasi fondo onde far fronte ai propri

impellenti bisogni.

V° - Che i Sacrifici cui devono sottostare i Sindaci vengano retribuiti (…) non potendo gli stessi adoperarsi in

nessuna guisa pel proprio sostentamento (…).

VI° - Che vengano allontanati da questa, resa infelice, regione i vaganti profughi del Piave, i quali, per

giunta, vengono sballottati dai Comandi stessi da un Comune all’altro caricando su camion militari caterve

di disgraziate donne e bambini piangenti che poi vengono fatti viaggiare per ore ed ore fra i più deplorevoli

disagi; ed anzi a questo proposito, meglio sarebbe far loro attraversare la Svizzera per raggiungere i loro

cari, non avendo scopo la loro trattenuta in questi luoghi di dolore.

VII° - Che in caso di eventuali requisizioni, i prodotti vengano pagati alla consegna.

(…). Letto, approvato e firmato.

Alessandro Muner, Luigi Tonini, Pietro Billiani, Monai Tommaso, Osvaldo De Santa, Sala Giuseppe, Arturo Ragher, Baschiera Giacomo, Pellizzari Antonio, Pechol Valentino, Tommaso Puicher, Giuseppe Frucco, Stroili Lorenzo, Della Pietra Arcangelo, Eugenio Durisotti, Vincenzo De Franceschi, Quaglia Giuseppe, Romano Lepre, Romanin Virginio, Gussetti Giuseppe, Romano Cristoforo, Casanova Giacomo. 76 ______________________________________________________________________________________

Nel novembre 1918, all’ indomani della vittoria, Michele Gortani riferiva alla Camera sullo stato di

desolazione in cui versava la Carnia.

___________________________________________________________________________________

« Sentirei di mancare a un dovere di coscienza – esordiva – se in nome della Carnia desolata, delle nostre

regioni martoriate, delle popolazioni oppresse e spogliate e delle schiere sofferenti degli esuli, io non

chiedessi al Governo alcune assicurazioni precise. I giornali hanno esattamente rappresentato - continuava

– la devastazione delle borgate e campagne della pianura, e descritto il martirio di Belluno e di Feltre; il

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deputato di Udine ha ieri posto dinanzi ai nostri occhi il tragico quadro della città morta: il collega Loero ci

ha parlato del Cadore languente.

Io ho il dolore di testimoniarvi che non minore è lo strazio della Carnia e di tutto il Friuli montano.

Onde susseguentisi di austriaci, bosniaci, ungheresi, germanici, hanno saccheggiate e svuotate le case dei

profughi, spogliate le case dei rimasti sino ai più umili oggetti di biancheria personale; depredato il

bestiame; sfruttati i boschi con intensità devastatrice e con taglio raso già iniziato e predisposto per l’

inverno imminente; asportate le macchine e il rame; brutalmente spezzati e rapinati senza eccezione i sacri

bronzi, ripetendo in ogni villaggio la tragica scena di Fonzaso (…).77

La gente valida costretta al lavoro o condannata all’ internamento. Donne, vecchi e fanciulli costretti a

trascinarsi con carretti a mano fino alla bassa pianura, per implorare o acquistare presso i già dispogliati

fratelli della zona produttiva, la farina (…). Le famiglie dei militari lasciate senza sussidio (…) i ricoverati dell’

ospizio di Tolmezzo espulsi per far posto agli austriaci e lasciati morire di stenti. (…).

Ma fra questa popolazione oppressa e dispogliata fu costante la resistenza, incrollabile la fede, sublime

l’eroismo.

Socialisti tesserati e sacerdoti, conservatori e democratici, autorità e popolo , vecchi e fanciulli, stretti in un

blocco solo, (…) non furono inferiori ai fratelli del Belgio nella fierezza, nel patriottismo, nello slancio per

reciproco aiuto.

La montagna era popolata da migliaia di soldati nostri (…), di prigionieri nostri o alleati sfuggiti alla

schiavitù. Ogni paese aveva i suoi. Tutti conoscevano i loro rifugi. Nessuno fu tradito mai (…), la

popolazione, benché affamata, li mantenne. (…).

Io non ripeterò, ma debbo però confermare per il Friuli montano quanto ieri disse e deplorò per Udine

l’onor. Girardini78. Aggiungerò che manca la moneta, perché dei famosi buoni della Cassa Veneta, unica

valuta lasciata dal nemico, è stata vietata l’accettazione. (…). Aggiungerò ancora che in questi stessi giorni al

Ministero dell’ Interno le disperate invocazioni del Prefetto di Udine venivano giudicate come esaltazioni di

un nevrastenico! »79

_____________________________________________________________________________________

Anche il settore industriale era andato in crisi.

“Per il Friuli – scriveva il Commissario Governativo della Camera di Commercio di Udine comm. Emilio Pico,

su un opuscolo pubblicato il 27 ottobre 1918 a Firenze80 – il problema industriale del dopoguerra sarà

duplice ed arduo: sanare, anzitutto, le piaghe profonde dell ‘invasione, provvedere poi, secondo i bisogni e

le tendenze dei nuovi tempi in armonia col riassetto economico della nazione, al ripristino o alla

trasformazione o allo sviluppo delle industrie preesistenti e alla creazione di industrie nuove. »81 Già in tale

data la Camera di Commercio di Udine sapeva che alcuni tra i maggiori stabilimenti di filatura e tessitura

della provincia erano andati distrutti, ed altri erano stati gravemente danneggiati, mentre le 36 filande di

seta a vapore si erano salvate perché avevano continuato a lavorare per l’ autorità militare; ma non sapeva

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quali fossero state le sorti di altri stabilimenti, come per esempio le 48 segherie “lavoranti tutto l’anno”

della Carnia; le fornaci di laterizi; gli opifici per la lavorazione del legno, che ammontavano a 171 nell’ intera

provincia; i molini, le officine idro- elettriche i prosciuttifici ed altre ditte alimentari. « Ci è generalmente

ignota la sorte delle altre industrie friulane - ammetteva il Commissario - consta solo che macchinari e

metalli furono asportati da molti opifici e spediti in Austria e in Germania; e vedemmo noi stessi alcuni

stabilimenti, per dura necessità di guerra, arsi dai nostri alla ritirata. E’ quindi certo che le industrie del

Friuli, nel loro complesso, domanderanno un ingente lavoro di restaurazione.» 82

Inoltre il Friuli esportava, prima dell’ inizio del conflitto, molti prodotti all’ estero: in Europa, Sud America,

in Austria, Ungheria e a Levante, in Grecia come in Turchia, per un fatturato di milioni di lire; circa 80.000

emigranti trovavano lavoro prevalentemente in Austria ed in Germania, con rimesse di 30.000.000 di lire,

che venivano spese in Friuli ed erano presenti, sul territorio, molte istituzioni cooperative: casse rurali,

assicurazioni cooperative, cooperative di lavoro, credito, consumo, sorte per venire incontro alle esigenze

della popolazione, di cui si ignorava, pure, la situazione. 83

Il 31 dicembre 1918, l’ onorevole Marco Ciriani si recava a trovare la popolazione di Meduno, suo collegio

elettorale, ed evidenziava i problemi pressanti del dopoguerra, che forse non si immaginava di tale

complessità.

Egli, nel corso dell’incontro, chiese alla popolazione del comune di pazientare, rendendosi conto che alla

liberazione dagli austriaci non era seguito « un immediato benessere economico ed alimentare», a causa,

pure, «dell’ immensità dell’ improvvisa vittoria» e « per la gravissima difficoltà dei trasporti», in particolare

ferroviari. Affermava che “necessità politica” aveva richiesto che il Governo pensasse prima alle terre

redente, e che, essendo « i magazzini di Treviso e di Vicenza (…) pienamente forniti » con il miglioramento

del trasporto ferroviario anche gli approvvigionamenti sarebbero migliorati.

Metteva poi in guardia dal ritenere la moneta veneta pari alle corone austriache, in quanto queste ultime

erano «vera moneta che ha corso internazionale» mentre la carta veneta non era « una moneta nel vero

senso della parola». L’ Austria Ungheria aveva inondato il Friuli di tale moneta, che il Governo, per bontà,

pagava, come del resto la corona austriaca, al 40% del suo valore e fino a coprire le necessità familiari.

Continuava dicendo che si riteneva che fossero circolanti, in Friuli, circa 500 milioni di moneta veneta,

troppe, secondo il Governo.

Asseriva, inoltre, che il compenso sarebbe potuto aumentare qualora si fosse verificata l’onestà di alcuni

guadagni, perché era noto che “così rapide fortune” potevano aver avuto alla loro base la speculazione con

vittime le popolazioni della montagna e della pedemontana, spinte dalla fame a scendere in pianura a

comperare alimenti, privandosi pure dell’ oro, della biancheria e dei vestiti. Inoltre si prevedeva

l’istituzione di una speciale commissione che avrebbe valutato i danni subiti ed il risarcimento spettante.

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Diceva che il Governo era a conoscenza del gravissimo problema del bestiame che, requisito dagli

austriaci, era ridotto al 10% , ma non intendeva prelevare in altre regioni d’Italia bestiame per il Friuli.

Pertanto, in attesa di un acquisto di vacche in Svizzera, la popolazione era invitata a consumare il latte

condensato.

Inoltre affermava che era previsto, entro breve tempo, l’inizio di grandi lavori nella pedemontana, che

avrebbero occupato molta mano d’opera.

Infine aveva raccomandato i suoi elettori di non inondarlo di lettere; di accettare, sulla valutazione dei

danni, le decisioni insindacabili della Commissione preposta; di comprendere che un Deputato deve avere

a cuore gli interessi della Nazione e non del suo elettorato; ed, “inneggiando alla grande vittoria”, aveva

concluso che, se la guerra aveva fatto “ vittime e disgraziati” in quattro anni, comunque, ne aveva fatti

meno che le febbri spagnole in quattro mesi, e che la guerra non era stata guerra di conquista ma « guerra

di liberazione per il trionfo dei grandi principi democratici per la libertà dei popoli».84

Da questo articolo si può evincere: la situazione di fortissimo disagio creatasi in Friuli; la posizione del

Governo, speranzoso di risolvere la situazione al più presto e, pare, impreparato ad affrontarla; il tentativo

di far passare una guerra con 660.000 morti solo fra i militari italiani, come una vittoria della democrazia

non si sa come.

FOGLIO DI CONGEDO TEMPORANEO DI MARCO CANDIDO. Documentazione su Marco Candido, in possesso del dott. Alido Candido, nipote.

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Ai primi di gennaio 1919 la situazione, comunque, era talmente critica nell’ intero Friuli, che i Deputati

locali: Girardini, Luzzatti, Morpurgo, Sandrini, Di Caporiacco, Hierschell, Ciriani, Gortani, Chiaradia, Ancona,

Rota, Alessio, Pietroboni, Marcello ed il senatore Cossis 85, assieme ad alcuni del Veneto, decisero di recarsi

a Roma , da S.E. il Primo Ministro Orlando, per discutere, presentare un memoriale e vedere quali soluzioni

intendesse proporre il governo.

I deputati fecero presente come il disastro prodotto dall’ invasione fosse ben più grande di quello del

terremoto che, da Messina ad Avezzano, aveva funestato l’Italia. I rapporti economici esistenti prima della

guerra erano stati alterati ed occorrevano dei provvedimenti urgenti per far fronte alla situazione creatasi.

Bisognava rendere possibile l’immediato rientro dei profughi, ripristinando e favorendo il trasporto

ferroviario; bisognava ricreare il tessuto industriale, parzialmente distrutto.

In un primo momento per il trasporto potevano esser utilizzate le vie d’acqua ed i porti di Lignano, Nogaro

e Grado, ed era indispensabile, mancando quasi tutto, far affluire, in Friuli e Veneto, materiali da

costruzione per riedificare i paesi.

Era importante, inoltre, rendere operativi a pieno regime gli uffici pubblici, utilizzando funzionari richiamati

o destinati alle terre già invase; aiutare, con prestiti a favore e sovvenzioni, gli enti locali; accertare, con

apposite commissioni e nel più breve tempo possibile, i danni di guerra e rimborsarli. Infatti serviva denaro

per la riparazione delle case e l’acquisto del mobilio, l’avvio dei lavori agricoli e la ripresa dei commerci.

Inoltre era necessario creare un fondo speciale per finanziare le attività agricole e produttive.

Doveva venir risolto, pure, preferibilmente in sede di accordi di pace, il problema del cambio della moneta

veneta, e quello del risarcimento dei buoni di requisizione.

Importanza primaria assumeva la ricostruzione di ponti, strade ed edifici pubblici distrutti dal nemico, e il

dare lavoro ai circa 100.000 operai che lo avevano perso con il blocco dell’ emigrazione e la chiusura, nel

1914, delle frontiere. Essi potevano esser utilizzati in lavori di riedificazione del patrimonio andato

danneggiato o perduto.

Si chiedevano inoltre immediatamente: l’ istituzione di un ufficio pubblico speciale per la ricostruzione, con

ampi poteri autonomi, a cui assegnare un fondo di almeno 500 milioni, per i provvedimenti di prima

urgenza; l’immediato pagamento dei sussidi ai profughi del Piave.

S.E. Orlando aveva espresso il suo rincrescimento per il fatto che gli aspetti legati alla vittoria gli avessero

impedito di dedicarsi maggiormente alle terre invase; aveva garantito l’ uscita, in breve tempo, di una

disposizione sulla moneta veneta; aveva affermato di essere pronto a far pagare subito i sussidi arretrati.

Ma l’impressione generale dei Deputati friulani e veneti era stata quella di aver ottenuto una risoluzione di

alcune questioni secondarie, non delle principali. 86 E, con il passare del tempo, si sarebbero accorti di non

aver ottenuto praticamente nulla. Erano importanti la vittoria, il confine orientale, ed altre quisquiglie, non

gli italiani ed i friulani, ridotti in condizioni di vita miserrime da una guerra dai più non voluta, che

chiedevano pane e lavoro.

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Ma ritorniamo ai Deputati friulani recatisi a Roma. Rientrati in Friuli, riferivano, presso il Palazzo della

Provincia, l’esito dei colloqui di fronte ad una folla di convenuti formata da rappresentanti di Comuni, di

Associazioni agricole, industriali e commerciali e di altre pubbliche istituzioni.

_____________________________________________________________________________________

Presiedeva l’ incontro il comm. Spezzotti87.

Prese la parola per primo l’onorevole Girardini che riferì sul « lungo ed ostinato lavoro svolto a Roma per

ottenere che il Governo si formasse un concetto esatto delle tristissime condizioni in cui le terre invase

furono lasciate» e le azioni svolte per cercare una soluzione immediata ai problemi del Friuli. Aggiunse che

si era giunti alle dimissioni in massa per vincere il “premeditato ritardo” nella presentazione della legge sui

risarcimenti dei danni di guerra.

Egli sottolineava, però, come a Roma non si capisse ancora l’entità del disastro.

Il Governo , a suo avviso, pensava talmente alla vittoria, alla liberazione di Trento e Trieste, alla questione

jugoslava e del confine orientale, che si era dimenticato dei friulani e delle terre invase.

Interveniva quindi l’ on. Ancona, che definiva l’ azione del Governo fiacca, debole, poco italiana.

Lamentava, inoltre, scarsa conoscenza dei fatti e riferiva che il Primo Ministro Orlando credeva che la

questione della moneta veneta fosse stata risolta con il cambio del 40% della stessa in moneta italiana sino

ad un tetto massimo di 500 lire, e non si ricordava di aver dato disposizioni per il pagamento, alle famiglie

dei militari, dei sussidi arretrati dall’ ottobre 1917.

Il problema, secondo Di Caporiacco, era, però, che mancavano i danari. E faceva notare come non si fosse

neppure proceduto ad una quantificazione della moneta veneta cartacea circolante, e dei buoni per le

requisizioni rilasciati nel tempo.

Si minacciavano nuovamente le dimissioni, rientrate in precedenza, nel caso il Primo Ministro Orlando non

avesse dato risposte soddisfacenti ai problemi sul tappeto; quindi il rappresentante dell’Associazione

Agraria Friulana e della Camera di Commercio leggevano i rispettivi ordini del giorno; singoli ed associazioni

esprimevano la loro indignazione e chiedevano…

Tra i convenuti vi era chi sosteneva che la Provincia “nostra” era considerata fuori dal mondo, chi accusava

i Deputati di non aver concluso nulla, chi ipotizzava le dimissioni di tutti gli amministratori, non sol odei

Deputati, di fronte all’ ennesimo “ nulla di fatto”.

Infine l ‘assemblea votava un ordine del giorno comune, da inviare al Governo, chiedendo sempre le stesse

cose e cioè : la ricostituzione dei pubblici uffici, provvedendo ad adeguato personale; la riattivazione delle

comunicazioni ferroviarie per merci e popolazione; il ristabilimento delle comunicazioni postali e

telegrafiche; l’emanazione di norme atte a mantenere il sussidio ai profughi anche dopo il loro rientro; lo

sgombero da parte dei militari di abitazioni private ed edifici pubblici occupati; la risoluzione del problema

della moneta veneta onde poter permettere alla popolazione l’acquisto di merci; l’emanazione, entro il 15

febbraio, del decreto sul risarcimento dei danni di guerra; la consegna alla popolazione di 200.000 bovini e

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40.000 cavalli riformati dall‘ esercito; la creazione di un apposito organo di governo di coordinamento fra gli

interventi e gli uffici preposti.

Dovendosi tornare ad incontrare i Deputati con il Primo ministro, i convenuti decidevano, infine, di indire, il

2 febbraio, una riunione plenaria delle rappresentanze politiche ed amministrative, per vedere il da farsi.88

_____________________________________________________________________________________

Il 5 febbraio, La Patria del Friuli riportava una nota firmata da C. Facchini, in cui lo stesso asseriva che era

importante sussidiare i profughi, ma ancor di più mettere la popolazione delle terre invase in «condizione di

poter lavorare e produrre». Scriveva, inoltre, che i prefetti, invitati dal Ministro ad accollarsi il compito

della ricostruzione in accordo con le Autorità Militari, non fossero, a suo avviso, competenti in materia, ed

invitava il ministro per Le Terre Liberate, Antonio Fradeletto89 a venire in Friuli in ricognizione, per constare

di persona i bisogni della popolazione. 90

L’11 febbraio 1919 Emilio Pico, Commissario Governativo della Camera di Commercio di Udine, aveva

dovuto inviare un telegramma urgente alla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato per chiedere,

almeno, il riavvio del servizio merci a collettame dei treni, cioè senza selezione dei prodotti da trasportare,

e permettendo pure quello di attrezzi rurali, macchinari agricoli e materie prime per la ricostruzione.91

E sempre l’ 11 febbraio cittadini ed amministratori della Carnia si incontravano a Tolmezzo, per fare il punto

della situazione. In quella sede, dopo lunga discussione, i convenuti decidevano di presenziare all’ incontro

udinese del 23 febbraio, ritenuto definitivo per le risposte da dare ai problemi vitali della Carnia, rimasti,

sino ad allora, insoluti. In caso contrario si optava per la “solita” dimissione degli amministratori

. Inoltre si delegava il Commissario Prefettizio di Tolmezzo ad associarsi alle altre rappresentanze

provinciali e comunali per gli “opportuni passi” verso il Governo centrale. 92

Il 13 febbraio 1919 non era ancora risolto il problema dei sussidi ai profughi e per favorire la ripresa dei

lavori agricoli, dato che abbiano notizia della risposta del Ministro per le Terre Liberate Fradeletto, al

Sindaco di Udine, che era di questo tono: egli aveva conferito, accompagnato dall’ on. Girardini, con il

ministro Ricci e poteva garantire che tutti si stavano adoperando per la risoluzione di detti problemi, e che

avrebbe inviato una risposta in merito l’indomani. Inoltre il generale Pietro Badoglio, da lui interessato, lo

aveva incaricato di comunicare che, per le esigenze delle terre invase, per quanto di competenza dell’

Autorità Militare, ci si poteva rivolgere direttamente a lui. 93

E mentre l’Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione apriva una sede ad Udine anche per venire

incontro alla popolazione, la ricostruzione andava avanti a rilento, con la gente alla fame e spesso senza un

tetto.

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E forse anche i Deputati friulani, quasi tutti interventisti, ed i socialisti riformisti incominciarono a chiedersi

che futuro avessero regalato, con quel volere la guerra, alla loro gente. Roma era lontana, le difficoltà

vicine, vicinissime.

______________________________________________________________________________________

Il 23 febbraio i Deputati friulani e numerosi sindaci, fra cui anche quelli di Erto e Cimolais, si incontravano,

nuovamente, nella sede della Provincia di Udine. La riunione era presieduta da Marco Reiner94, all’ epoca

presidente del Consiglio Provinciale, che prese la parola per primo. Egli esordì dicendo che il Governo ben

poco aveva fatto sino ad allora per il Friuli, e che i provvedimenti presi tardavano ad essere applicati. Ma

mentre Reiner veniva ascoltato, il sindaco di Pordenone Pisenti95, intervenuto poi, veniva interrotto da

grida esasperate: « In trincea! In trincea! Il fuoco fa paura! ».

QUALCOSA È RIMASTO IN PIEDI, QUALCOSA È CROLLATO. Immagine facente parte di una serie di positivi giacenti presso isis. F. Solari – Tolmezzo,

forse relativi ad Albino Candoni. – Per gentile concessione dell ‘isis F. Solari – Tolmezzo.

Un urlo: « Male, malissimo! » accoglieva l’ informazione che nella Commissione speciale per le Terre

Liberate non c’era alcun rappresentante del Friuli; « Reclameremo. Reclameremo! » gridava Giovanni

Bellina di Venzone, temendo ulteriori aggravi della situazione già durissima; e la notizia del previsto arrivo

di motoaratrici veniva accolta da: « Manca il petrolio per farle andare!». Il dott. Canciani, di Varmo, così si

esprimeva: « Parole? Promesse? Ne abbiamo avute molte, troppe ». E, laconico, affermava che in realtà

non si poteva ancora lavorare la terra, e quindi non si poteva seminare.

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« Dimissioni, dimissioni!» - si sentiva gridare da varie parti.

Verso la fine dell’ incontro, quando era quasi impossibile per gli oratori parlare, i toni si erano accesi a

livello tale, in particolare tra Antonio Bellina e l’onorevole Gino Di Caporicco, da far intervenire altri a

sedare gli animi. Infine la sala veniva abbandonata del tutto senza accordo alcuno.96

_______________________________________________________________________________________

Il giorno seguente i Sindaci della Carnia si riunivano a Tolmezzo e ne scaturiva il seguente ordine del giorno:

« Le rappresentanze amministrative della Carnia, convenute a Tolmezzo il 24 febbraio 1919,

mentre constatano che nella imponente riunione delle rappresentanze amministrative e politiche della

provincia, tenutasi ieri a Udine, l’esasperazione per le mancate o inadeguate provvidenze del Governo

apparve tale da fare giustizia sommaria di qualsiasi ordine del giorno che non implicasse dimissioni

immediate;

mentre si riaffermano solidali con le altre rappresentanze amministrative friulane nelle deliberazioni che

esse avessero a prendere;

consce per proprio conto che l ‘attuazione delle dimissioni in massa, pur essendo arma formidabile ed

efficace, implica un periodo di più acute sofferenze alla popolazione già tanto provata,

preso atto delle speranze che i convenuti reduci da Roma hanno manifestato nel convegno di Udine intorno

ad una resipiscenza del nuovo Governo e della possibilità di accordare ad esso, con sperabile frutto, un’

ulteriore e breve periodo di attesa,

deliberano

1 - ad una soluzione completa del problema della moneta veneta, che nella sua totalità deve esser

rimborsata alla pari dai vinti.

2 - alla pubblicazione del regolamento per l’esecuzione dei decreti legge sul risarcimento dei danni di

guerra, e alla nomina delle commissioni di accertamento e liquidazione dei danni per i mandamenti del

Circondario;

3 - alla concessione di larghe ed immediate anticipazioni sul risarcimento dei danni di guerra a tutti i

danneggiati in proporzione all‘ entità del danno e non limitati alle sole piccole fortune;

4 – ad un radicale miglioramento dei trasporti ferroviari che risponda alla necessità della regione, sia

riguardo al numero e agli orari dei treni viaggiatori e merci, sia in riguardo alla regolarità delle spedizioni e

degli arrivi, sia in riguardo alle necessarie garanzie, cioè da togliere la principale causa dell‘ enorme

sovrapprezzo di tutte le merci, compresi i generi tesserati;

5 - ad un radicale miglioramento dei trasporti per via ordinaria con l’invio di quadrupedi, fornimenti e carri

sufficienti al trasporto di mille quintali giornalieri di alimenti e merci di prima necessità, indispensabili ai

cinquantamila abitanti delle montagne carniche;

6 - al ripristino di tutti i servizi di stato con speciale riguardo ai servizi postali e telegrafici, privative e scuole;

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7 - alla concessione di una congrua indennità a tutti gli impiegati addetti alle pubbliche amministrazioni, sia

se rientrati in sede, sia che vi siano rimasti sotto l’oppressione e spogliazione nemica;

8 - alla pronta ed effettiva ricostruzione del patrimonio zootecnico, indispensabile per la vita delle

popolazioni;

9 – alla effettiva concessione di soccorsi adeguati in denaro e in indumenti ai militari delle terre già invase

che vengono congedati;

10 – a rendere in ogni senso più umano il rimpatrio dei profughi, e all‘ assistenza ad essi necessaria all’

arrivo nelle case deserte e distrutte;

11 – ad assistere analogamente i profughi del Piave, i profughi di Pontebba ancora forzatamente dispersi

fra i vari Comuni della Provincia, essendo il loro paese per intiero distrutto fin dal 1915. » 97

Come si vede il tempo passava, ma le richieste erano sempre le stesse.

Quella che fu definita una vittoria mutilata. 98

Mentre la Carnia si dibatteva ancora tra mille difficoltà, altri pensavano unicamente alla Dalmazia ed a quel

“maledetto” confine orientale. Abbiamo visto come l’ Italia, dopo l’insperato crollo dell’ Impero turco,

avesse preso di mira la Dalmazia, sognando un corridoio verso i Balcani e la Grecia. Ma non vi erano mai

stati, in precedenza, accordi in tal senso con gli alleati, anche se ora si gridava contro la “vittoria mutilata”.

Il 12 marzo 1919 La Patria del Friuli dava ampio spazio al “Problema dalmato” sollevato dal Governo italiano

alla Conferenza di Parigi. L’ Italia aveva chiesto di correggere «l’iniquità dell’ errore», datato 1866, che

aveva dato all’ Italia il confine « voluto da Vienna». Bisognava ora – si diceva – seguire «l’indicazione della

natura ed il monito della storia», rifacendosi ai segni “di Roma e di Marco” cioè della dominazione romana

e veneta, che si trovavano nel territorio ambito: quello da Trieste a Fiume, compresa, quindi, la costa

istriana e la città di Pola. Si riconosceva, però, che dette terre erano abitate da slavi, ma si sosteneva, non si

sa su che base, che se il territorio tanto ambito non fosse diventato italiano, esso poteva trasformarsi in un

centro del nazionalismo sloveno e croato, che poteva agire in funzione anti italiana, e premere sui confini.99

In sintesi i nostri nazionalisti e colonialisti non volevano il nazionalismo altrui, e lo temevano, e si

interessavano a questa tipologia di problemi mentre la popolazione friulana era ancora senza il necessario

per vivere.

A metà marzo circa si era tenuta a Trieste, una grande manifestazione per sottolineare la volontà che la

Dalmazia tutta fosse unita all’ Italia, ed era stata posta, sul palco, una bandiera tricolore con lo stemma di

Spalato, ben più a sud di Fiume.

L’on. Doria, vicesindaco della città, aveva dichiarato che non avrebbe mai permesso che « Spalato e le altre

terre ed altrettanti italiani» ,dato che riteneva gli abitanti di questi territori d’ ufficio italiani, venissero

sacrificati per «le cupide ingordige di un popolo privo di civiltà», 100 dimenticandosi che nel 1918 si era

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venuto a creare lo Stato degli Sloveni, Croati e Serbi, diventato, poi, Regno dei Serbi, Croati Sloveni, in

seguito all’ unione di detto Stato con i Regni di Serbia e Montenegro.

Quello che appare dalla stampa è che questo tipo di manifestazioni annessionistiche, nel Friuli – Venezia

Giulia, avevano luogo, prevalentemente, nelle terre redente, non nelle terre martoriate dalla guerra, non si

sa, poi, con quale seguito di folla.

Il 10 marzo il Giornale di Udine riferiva di una grande manifestazione pro Spalato a Trieste, forse la stessa

già citata da altra fonte, ove, secondo l’ articolista, i discorsi furono applauditissimi « e spesso interrotti

dalle grida: Viva Spalato italiana, abbasso gli Jugoslavi, Abbasso l’Austria»101

Si inneggiava alla Dalmazia martire, da Zara veneziana a Spalato romana, dimenticando il martirio della

Carnia, del Friuli e del Veneto italiani, e 70 organizzazioni patriottiche triestine decidevano di inviare un

messaggio in francese ed uno in inglese al presidente Wilson, a Lloyd George, a Clemenceau, per indicare i

futuri italici confini.102 Il 13 marzo si teneva a Milano una manifestazione pro Fiume e Dalmazia, sempre

promossa da singole associazioni, a cui aderivano i sindaci di Trento e Trieste,103 mentre quelli dei paesi

carnici e friulani continuavano a chiedere: pane, lavoro, risarcimenti per i danni di guerra. Alcuni

Parlamentari italiani andarono persino in visita alle città della Dalmazia,104 mentre in Carnia Fradeletto

sarebbe giunto solo ai primi del mese di maggio.

Gabriele D’ Annunzio ricomparve all’ Augusteo, a Roma, urlando: « Il nostro maggio epico ricomincia…

Laggiù sulle vie dell’ Istria, sulle vie della Dalmazia, che sono tutte romane, non udite la cadenza di un

esercito in marcia?» 105 Ed alle enunciazioni retoriche fece seguire la pratica, dando l’assalto a Fiume,

compiendo una « spettacolare azione di brigantaggio internazionale» come ben scrive Denis Mac Smith.106

Quindi D’ Annunzio, quale “Comandante della città di Fiume” applicò ivi il codice militare contro chiunque

professasse sentimenti ostili all’ Italia e Mussolini volò più volte da Roma alla città occupata. 107 Ed in Italia

si era già parlato di una possibile congiura nazionalistico - militare.108

Gli italiani, poi, riuscirono a far adirare i potenti della terra, cioè i citati Wilson, Lloyd George e Clemenceau,

o alternativamente l’uno o l’altro, a causa di arbitrarie occupazioni di territori, come quella di Scalanova,

città portuale della Turchia, avvenuta nel maggio 1919, o di sbarchi ed occupazioni, altrettanto arbitrari in

Asia Minore.

Inoltre Wilson annunciò che gli era stato riferito che « a Rodi e nel Dodecaneso (…) gli Italiani

brutalizzavano e massacravano gli abitanti per aver proclamato la loro unione alla Grecia».

Non piaceva, infine, il fatto che l’ Italia, senza accordo alcuno, avesse inviato truppe in Bulgaria.109

La reggenza del Carnaro, da parte del Vate italico, durò un anno, con arditi in camicia nera che giravano

urlando « A chi Fiume?» «A noi» e « A noi …Eja eja, alalà», facendo le prove generali per l’avvento del

fascismo in Italia.

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Comunque Fiume italiana trovò consensi in Patria, dimostrò di avere una forza di attrazione irresistibile

per personaggi di ogni tipo e di ben dubbia moralità, ed i Legionari, per approvvigionarsi, non

disdegnarono la pirateria. 110

Infine, dopo che il Governo aveva continuato, per sei mesi, a rifornire Fiume con pubblico denaro,

l’impresa, alla fine del 1920, ebbe termine. E Gabriele D’ Annunzio, che aveva giurato: « Fiume o morte»,

decise che l’Italia non era degna di perdere uno come lui. 111

La conferenza di pace di Parigi si concludeva il 21 gennaio 1920; il trattato di Rapallo poneva,

momentaneamente, fine alla disputa sul confine orientale italiano. Trieste, Gorizia e Gradisca, la quasi

totalità dell'Istria e alcuni distretti della Carniola (Postumia, Bisterza, Idria, Vipacco, Sturie) furono annesse

all'Italia, come Zara e le isole del Quarnaro: Cherso, Lussino, Pelagosa e Lagosta. Fiume, con una striscia che

la congiungeva al territorio italiano, diventava territorio libero.

Non si può che essere d’accordo con Denis Mack Smith quando scrive che Sonnino non si rese conto che

allora le esigenze dell’ Italia non erano legate a territori da annettere, ma all’ottenimento di aiuti

economici. Questo aspetto, di fatto, non era stato preso in considerazione nel 1915. E nel 1919 Sonnino, «

nella strana atmosfera di esasperato nazionalismo sentimentale che lo circondava» non ritenne decoroso

chiedere un prestito alle potenze alleate, che avevano salvato la moneta da un crollo e fornito munizioni e

cibo. Ed i soldati, dopo la felicità per il ritorno, si trovarono a fare i conti con disoccupazione e fame.

Protestano i Sindaci, ma invano….e intanto le “ rosse e socialiste” Cooperative Carniche si indebitano per

aiutare le famiglie…

E ritorniamo alla Carnia.

Il 1° aprile si ha notizia di un’ altra petizione, inviata direttamente a S.E. Fradeletto, Ministro delle Terre

Liberate, da parte del Presidente del Consiglio Provinciale di Udine e da quello della Deputazione

Provinciale, in cui si lamentava la mancata corresponsione del previsto indennizzo ai proprietari per la

requisizione e l’ occupazione, da parte dello Stato, di fabbricati e terreni per la costruzione di ferrovie e

strade ad uso militare. Anche dopo la liberazione, l’ufficio preposto non aveva dato seguito al pagamento

del dovuto perché era stato necessario ripetere i rilievi sul terreno per evidenziare le proprietà e vagliare le

migliaia di domande, lavoro a cui erano stati assegnati pochi impiegati. Si chiedeva, pertanto, di dotare

l’ufficio delle Fortificazioni di Udine di un congruo numero di geometri, per risolvere il problema al più

presto. 112

Lo Stato, quindi, non solo ritardava il pagamento dei danni di guerra, ma non risarciva neppure gli espropri.

Inoltre il Genio Militare, nella primavera 1919, riduceva il salario agli occupati, dando origine ad uno

sciopero, e creando i presupposti per la formazione della Lega Operaia Carnica di Resistenza, poi Camera

del Lavoro.

Cos’era accaduto? Lo sappiamo da un articolo di “La Patria del Friuli”.

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Gli operai carnici, alle dipendenze del Genio IXa Armata, erano stati regolarmente assunti con salari che

potevano raggiungere, nell’ inverno 1918/1919, anche le £ 6 all ‘ora, con vitto ed alloggio a carico delle

Forze Armate, ed 8 ore giornaliere di lavoro.

Poi, a marzo, era giunta una circolare che riduceva a centesimi la paga oraria, fino ad un massimo di 0.55 –

0.70 per un caposquadra, rendendo il salario ben meschino ed inferiore a quello praticato in altre parti

d’Italia. Inoltre il vitto passava a carico del lavoratore, con trattenuta di £ 1 al giorno per lo stesso se

fornito.113

I salari venivano pagati anche con 15 giorni di ritardo, e nel cantiere di Prato Carnico, quelli di gennaio e

febbraio erano stati corrisposti solo a metà marzo. Così gli operai, per far fronte alle necessità contingenti,

avevano dovuto ricorrere a prestiti.114

I lavoratori, esasperati, erano scesi allora in sciopero, e non solo in Carnia, dove l’agitazione era iniziata il 1°

aprile ed il 7 dello stesso mese non era ancora terminata.

Eppure le richieste degli scioperanti, che non parevano eccessive neppure all’articolista di “La Patria del

Friuli”, giornale in mano ai conservatori, erano: un salario da £ 1,5 a £ 2 l’ora per gli operai qualificati e da £

1.30 a £ 1.60 per gli altri; vitto a carico del datore di lavoro; otto ore di lavoro giornaliero, in una situazione

in cui il costo della vita era quintuplicato.115

Domenica 6 aprile 1919 i sindaci della Carnia e del Canal del Ferro si incontravano a Tolmezzo per decidere

una linea di intervento unitaria sui principali problemi dei paesi montani di riferimento: disoccupazione,

approvvigionamenti, anticipazioni sui danni di guerra.

L’ incontro era terminato con l’ approvazione di un «vibrantissimo ordine del giorno» che diceva « le verità

nude e crude, senza perifrasi»116 proposto dal Sindaco di Moggio avv. Giuseppe Nais117, con la richiesta, al

Governo, di immediati provvedimenti in favore degli operai e, qualora non fossero giunti entro un mese, le

dimissioni di tutti i Sindaci della Carnia e del Canal del Ferro.

Il giorno seguente i Sindaci, accompagnati dall’ on. Michele Gortani, si portavano ad Udine per incontrare il

Prefetto, che aveva ascoltato i problemi della popolazione montana ed assicurato il suo interessamento

presso il Ministro. I Sindaci ritenevano che non si potesse più andare avanti così, senza bestiame, senza

generi alimentari, senza denaro, neppure moneta veneta ed avvisavano il Prefetto che la gente era stanca e

ormai era difficile invitarla alla calma.118

Ai primi di maggio, con una situazione locale resa incandescente, l’on. Fradeletto raggiungeva Tolmezzo,

ove si interessava, in primo luogo, dell’ ospedale, lasciato in disordine dagli austriaci. Poi partecipava ad un

incontro in municipio con diverse autorità, nel corso del quale veniva informato che in Carnia mancava

persino il formaggio, alimento base per la popolazione; la disoccupazione era dilagante, mancavano

strumenti ed attrezzi di lavoro. L ‘onorevole esponeva quanto sinora aveva potuto fare e, quindi, si recava

a visitare Paluzza e Timau, percorrendo la nuova strada costruita in tempo di guerra, e poi Ravascletto e

Comeglians. In ogni paese egli era stato ricevuto dal Sindaco del luogo che lo aveva messo a conoscenza dei

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problemi locali, simili a quelli generali del territorio montano: mancanza di alimenti, di moneta, di

bestiame e di strumenti di lavoro; disoccupazione dilagante; irregolarità negli approvvigionamenti. Il

comm. Spezzotti, che accompagnava il Ministro, aveva garantito che erano stati assicurati diecimila

quintali di grano in più per il territorio; Fradeletto aveva suggerito, invece, la creazione di Patronati che

potessero aiutare nelle domande per il risarcimento danni, ed aveva garantito l ‘interessamento del

governo per il bestiame.119

La situazione in Carnia si faceva incandescente: il domani appariva incerto, foriero di miseria e di fame,

l’emigrazione, fonte tradizionale di reddito, era bloccata. E, mentre il Governo aveva promesso risarcimenti

dei danni di guerra e Nitti aveva assicurato miliardi per il lavoro, che non si vedevano, la sensazione

generale degli operai e delle famiglie era quella di esser stati abbandonati a se stessi di fronte ai più gravi

problemi della loro vita. Gli scioperi, sia locali che nazionali, si susseguivano.

L’ 8 giugno la Camera del Lavoro della Carnia e del Canal del Ferro, presieduta da Umberto Candoni,

anarchico e poi noto fotografo120, promuoveva due grosse manifestazioni: una a Villa Santina, l’altra a

Tolmezzo, contro la disoccupazione, per il risarcimento dei danni di guerra e contro « il Governo di Roma

che si è dimenticato di noi.»

Veniva pure inviate una lettera al gen. Badoglio, che si era detto disponibile a provvedere alle richeiste di

competenza militare, ed una al Comando Supremo per chiedere la riapertura dei lavori già chiusi e la

riassunzione degli operai. Però Badoglio rispondeva che l’ Amministrazione militare non poteva uscire dai

limiti segnati dalla disponibilità di fondi ad essa attribuiti, e che ci si doveva rivolgere al Governo.121

La situazione, in Carnia, appariva ormai « esplosiva e pericolosa» a tal punto che il Prefetto di Udine inviava

un telegramma al Governo sull’operato dell’ on. Gortani e su una possibile dimissione in massa dei sindaci,

e l ‘o. Girardini avvisava che in Carnia le cose andavano « assai poco bene». Intanto il Consorzio Carnico

delle Cooperative di Lavoro cercava di assumere più operai possibile, nel tentativo per arginare la

disoccupazione creata dal Genio Militare. Questi, alla fine del 1919, chiudeva i battenti lasciando migliaia di

persone sul lastrico.

« Siamo all’ inverno – si legge su La Voce della Cooperazione del settembre 1919 – (…) le autorità

provvedano subito, che troppo tempo hanno perduto: non è da perdere un giorno. Ormai il dilemma è nelle

cose: o lavoro o tumulti!»122

Continuarono i tumulti, il lavoro non giunse ed invece giunsero le squadracce fasciste ed il fascismo.

Mussolini si illuse di creare gli italiani, sognò, ancora, la grande nazione, mentre il popolo aveva bisogno di

pane e lavoro, e, all’ egida del più acceso nazionalismo, che si reggeva, pure, sul mito della grande guerra,

ripresero le guerre di conquista.

Il 3 ottobre 1935 incominciava la guerra d' Etiopia che terminava il 7 maggio 1936 e portava alla nascita

dell'impero dell’ Africa Orientale Italiana; il 7 aprile 1939 l’Italia occupava il regno d' Albania; il 10 giugno

1940 Mussolini dichiarava guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Sempre nel giugno 1940 l’esercito

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italiano attaccava la Francia, il 28 ottobre 1940 aggrediva la Grecia, il 6 aprile 1941 truppe tedesche,

italiane, ungheresi e romene attaccava il regno di Jugoslavia, che in pochi giorni capitolava. Dal giugno

1941 al gennaio 1943, aveva luogo la catastrofica campagna di Russia a fianco di Hitler. Ed i nostri soldati

continuarono ad andare a morire, alternativamente, o al di qua o al di là dei confini della Patria, senza

sapere per chi e per cosa, e forse più di qualcuno maledisse, come Nuto Revelli, il fascismo, le alte gerarchie

militari, e “la patria dei balordi” che li aveva inviati in Russia123, e forse più di qualcuno, come Romano

Marchetti, si chiese se non fosse lui un assassino di patrioti, di persone che difendevano la loro terra.124

Infine la guerra di Liberazione, ed ancora la storia del confine orientale… Ma questa è altra storia che però

si riallaccia a quel nazionalismo da cui sono partita.

1 Il titolo del paragrafo parafrasa la famosa canzone: “Addio a Lugano", nota anche come: “Addio Lugano bella” la cui

musica, di autore anonimo, è ripresa da "Addio Sanremo bella” canzone popolare di origine toscana. E’ la più famosa, fra le canzoni di Pietro Gori, anarchico, che aveva dovuto riparare in Svizzera con l'accusa di essere il mandante "spirituale" dell’ omicidio del Presidente francese Sadi Carnot, ucciso da Sante Caserio , in quanto amico e difensore dello stesso, nel corso di una vasta operazione repressiva contro anarchici e socialisti. Dopo essersi trasferito a Lugano sfuggì ad un misterioso attentato, e quindi venne espulso, insieme con altri dodici esuli. Fu allora che scrisse le parole di “Addio Lugano Bella”, che secondo i racconti tramandati, fu cantata la prima volta alla stazione ferroviaria di Lugano dagli anarchici espulsi. Esiste di detta canzone anche una seconda versione , con lievi variazioni testuali, che Pietro Gori regalò, poco prima di morire all'albergatore dell' "Ape Elbana" di Portoferraio, vergata di suo pugno su un foglio di carta. Il foglio è conservato presso l'archivio storico del Comune di Portoferraio.(Canzoni contro la guerra - Addio a Lugano, in: www.antiwarsongs.org/). 2 I dati sono tratti da: PERATONER Anna Paola, Michele Gortani e l ‘attività assistenziale a favore dei profughi carnici 1917/ 1919, ed. a cura del Museo Carnico delle Arti Popolari Tolmezzo, 2004, p. 250. Si evidenzia una discrepanza, per quanto riguarda la Carnia, tra i dati degli elenchi Gortani e quelli del ufficiali post bellici. (Ivi, p. 254). Tale differenza ( in aumento il numero nel censimento post bellico) potrebbe esser dovuta all’ impossibilità di conoscere, nell’ immediato, tutti i profughi. Ai profughi, poi, si dovevano aggiungere gli 86.500 irredenti rifugiatisi in suolo italico, ed i 42. 216 rimpatriati, paragonati ai profughi, per un totale 632.210 persone, allontana tedi dalle proprie case, senza contare gli internati. 3 “Triscj ricuarts. 1917-1918 in fuga dall’invasione”, a cura di Giancarlo L. MARTINA, Pasian di Prato 1998, p. 19. 4 Racconto di Anna Squecco Plozzer ( 1900 – 1985) a Laura Matelda Puppini, nipote. 5 PERATONER Anna Paola, op. cit., p. 192. 6 “Le 50 interpellanze”, in: PERATONER Anna Paola, op. cit., p. 241 - 242. 7 Ivi, p. 242. 8 Ivi, pp. 243. La citazione si trova nell’interpellanza n.12 p.243. 9 Ivi, pp. 243 – 245. 10 Ivi,p. 244. 11 Ivi, p. 243. 12 PERATONER Anna Paola, op. cit.,p. 105. 13 Ivi, p. 166. 14 Ivi, p. 132. 15 Racconto di Anna Squecco Plozzer ( 1900 – 1985) a Laura Matelda Puppini, nipote. 16 MARCHETTI Romano, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel ‘900 italiano, ifsml kappavu ed. ,2013, pp. 30 – 31. 17 Trattasi di Giovanni Casali, già incontrato in questa storia. 18 Trattasi sempre dell’ anarchica Giacomina Petris, già incontrata in questa storia. 19 l’anarchico di Palud di Sostasio era, verosimilmente, Ottavio Puntil, già incontrato in questa storia. 20 ROIA Antonio, Ma i generali dormivano…? Il marmocchiume s’è messo a giocare alla guerra, Gaspari ed. 2003, p.33. 21 Ivi, p. 41. 22 PROCACCI Giovanni, L’ internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale. Normativa e conflitti di competenza, in: www.unive.it/media/allegato/dep/Ricerche/3, pp. 33 23 Ivi, p. 34.

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24 Ivi, p. 34, p.41 e p. 51. 25 Ivi, pp.34 – 35. 26 Ivi, p. 35. 27 Ivi, p. 38. 28 Ivi, p. 38. 29 Ivi, p.38. 30 Ivi, p. 40. 31 Ivi, p. 40. 32 Ivi, pp. 64 -65. 33 Ivi, p. 41. 34 Ivi, p.48. 35 Ivi, p. 60. 36 ERMACORA Matteo, Le donne internate in Italia durante la Grande Guerra. Esperienze, scritture e memorie, in: www.unive.it/, p. 4 e nota 7, p.4. 37 Ivi, p. 5 38 La fame e la mancanza di mezzi di sussistenza, come la persa verginità a causa di uno stupro, avevano spinto le donne, nei secoli, a vendere il proprio corpo, come si può leggere anche in: ROSSIAUD Jacques, Amori venali. La prostituzione nell’ Europa Medievale, Laterza ed. prima ed. italiana, 2013. 39 ERMACORA Matteo, Le donne internate, op. cit., p. 6 e nota 12, p.6. 40 Ivi, nota 27 p.9. 41 Ivi,p.10 e note 33 e 34 a p.10. 42 Ivi, note 35, 36, 39, p. 11. 43 Ivi, p. 12. 44 Ivi, p.12. 45 Ivi, p.14 e nota 50 p.14. 46

Ivi, nota 56, p.16. 47 Ivi, p.16. 48 Ivi, p.16. 49 Ivi, p.16 e nota 59 p.16. 50 Ivi, p. 16 e nota 60 p.16. 51 Mata Hari è lo pseudonimo con cui venne conosciuta Margaretha Geertruida Zelle, nata nel 1876, e morta fucilata dai francesi, perché spia, a Vincennes, il 15 ottobre 1917. Danzatrice famosa, fu agente segreto per i tedeschi, facendo, pare anche il doppio gioco. 52 ERMACORA Matteo, Le donne internate, op. cit,p. 17. 53

Ivi, p. 17. 54 Ivi, p. 18. 55 Ivi, p.18. 56 Ivi, p.18 e note 65, 67,68,71 a p. 18. 57 Ivi, nota 96, p. 25. 58 Ivi, p. 25. 59 Ivi, pp. 19 – 20. 60 Ivi, p. 7. 61 Ivi, pp. 23- 25. 62 Ivi, p. 26. 63 Ivi, pp. 26- 27. 64 Ivi, p. 21 e p. 65 Ivi, p. 19. 66 Ivi, p. 23. 67 Ivi, p. 22. 68 Marco Ciriani, nato a Spilimbergo il 1° gennaio 1878, morto a Milano il 23 settembre 1944, membro della

commissione parlamentare d’ inchiesta sulle spese di guerra dal 25 marzo 1922 al 10 dicembre 1923. Avvocato, presidente del Segretariato dell’Emigrazione di Pordenone, sindaco di Spilimbergo, impegnato nel movimento cattolico, venne eletto deputato nel 1913 e fu l’unico parlamentare della Lega Democratica Cristiana Italiana prima, del Partito Democratico Cristiano di Giuseppe Donati poi. Interventista nella prima Guerra mondiale, venne rieletto al Parlamento fino alle consultazioni del 1924, alle quali partecipò solo per testimoniare contro la violenza fascista, di cui fu vittima. Costretto a ritirarsi a vita privata e a lasciare il Friuli, morì a Milano nel corso dell’ultima guerra. ( Scheda dell’ Ifsml relativa al volume di Roberto Meneghetti: Marco Ciriani: per il popolo per la libertà, ed. Ifsml, 1985).

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69 “Interrogazioni dell’ on. Ciriani. Sugli internati”, in: LA Patria del Friuli, 23 febbraio 1920. 70 Ivi. 71 PERATONER Anna Paola, op. cit., pp. 189. 72 Ivi, p. 182. 73 Ivi, p. 184. 74 Ivi, p. 187. 75 PUPPINI Laura ( Matelda), Cooperare per vivere, VAittorio Cella e le Cooperative Carniche 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988, p. 69. 76 “Verbale della seduta tenutasi dai Signori Sindaci della Carnia il giorno 30 Giugno 1918 in Tolmezzo”, in: “Come la Carnia si dibatteva fra le strettoie della fame durante l’invasione”, in La Patria del Friuli 27 marzo 1919. 77 Probabilmente Michele Gortani si riferisce al fatto che a Fonzaso, durante l ‘avanzata delle truppe italiane alcuni abitanti, uomini e donne, avevano pagato con la vita l’aver aiutato e guidato le truppe contro le retroguardie austriache. Ma pare anche ad Udine ci fossero stati casi di persone morte per aiutare, il 3 novembre 1918, le truppe italiane, disarmando e facendo prigionieri gli austriaci presenti in Udine o in transito. Pare che il numero di dette persone fosse di 30, fra cui due donne. ( “Eroismo dimenticato”, in La Patria del Friuli, 4 febbraio 1919). 78 Giuseppe Girardini, avvocato, nacque ad Udine il 14 aprile 1856 e morì a Tricesimo il 21 ottobre 1923. Fondò ad Udine il Partito Radicale friulano che ebbe come organo di stampa il settimanale Il Paese; e fu eletto deputato per il collegio di Udine per 7 legislature tra il 1892 ed il 1923. Fu pure Alto Commissario all'assistenza militare e pensioni di guerra sotto il Governo Orlando e per alcuni mesi Ministro delle colonie. (it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Girardini). 79 “La desolazione del Friuli montano”, in La Patria del Friuli, 31 /12/1918. 80 PICO Emilio, Il problema industriale del Friuli dopo la guerra, Firenze, 27 ottobre 1918. 81 “ Il problema industriale del Friuli dopo la guerra “ in: La Patria del Friuli, 29 marzo 1919. 82 Ivi. 83 Ivi. 84 “Meduno. L’on. Ciriani fra i suoi elettori”, in: La Patria del Friuli, 5 gennaio 1919. 85 Per Giuseppe Girardini ed altri già citati, vedi note relative. Gli altri erano: Riccardo Luzzatto, avvocato e noto massone, nacque ad Udine il 4 febbraio 1842, e partecipò a diverse campagne garibaldine. Fu deputato per il collegio di San Daniele dal 1892 al 1913. Dopo Caporetto fu tra i fondatori e animatori a Milano del Comitato friulano di assistenza ai profughi, costretti a lasciare le terre d'origine dalla rotta dell'esercito italiano. Partecipò, il il 23 marzo 1919 alla fondazione dei fasci di combattimento, volgendo, poi, verso il fascismo. Morì a Milano il 5 febbraio 1923. (www.treccani.it/.../riccardo-luzzatto). Elio Morpurgo, liberale, nacque a Udine il 10 ottobre 1858, in una famiglia di banchieri ebrei originaria di Maribor. Ragioniere, esperto in economia e della finanza, fu presidente della Banca cooperativa udinese prima, della Banca di Udine poi del Friuli successivamente. Nel 1889 fu eletto sindaco di Udine, quando la città aveva conosciuto un rapido sviluppo economico e culturale. Nel 1895 fu eletto deputato nel collegio di Cividale del Friuli per i liberali moderati e venne riconfermato nelle cinque successive legislature, conservando la carica di deputato fino al settembre 1919. Dal 1901 al 1937 ricoprì la carica di presidente della Camera di commercio di Udine e in tale veste promosse l’organizzazione di una Esposizione regionale, che fu inaugurata nel 1903. Dal 1909 al 1938 presiedette, inoltre ,il locale comitato della irredentista Società Dante Alighieri. Nel 1917- 1918, fu consigliere nel comitato direttivo del patronato di Roma dell’ Alto commissariato per i profughi. In questi anni svolse un’intensa attività politica, lavorando a varie proposte di legge, riforme, interventi pubblici modernizzatori nei diversi campi del commercio, dell’agricoltura e della finanza. Partecipò attivamente alla vita culturale del Friuli e fu insignito di numerose onorificenze in Italia e all’estero, nonché del titolo di barone. Nel 1920 fu nominato senatore, Nel 1921 sostenne la lista del Blocco nazionale e tra il 1923 e il 1925 confluì nel Partito nazionale fascista, di cui fu in Friuli uno degli esponenti più notevoli. In seguito alla promulgazione delle leggi razziali, nel novembre 1938 dovette ritirarsi a vita privata. Il 26 marzo 1944 Morpurgo, ormai vecchio, malato e quasi cieco, da alcuni mesi ricoverato nell’Ospedale civile di Udine, venne prelevato da alcuni ufficiali delle SS e trasportato nel campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste. Il 29 marzo partì, assieme ad altri, per Auschwitz. Morì durante il viaggio, probabilmente prima di raggiungere Badgastein, sulle montagne dei Tauri, e le sue spoglie andarono disperse. (www.treccani.it/.../elio-morpurgo). Amedeo Sandrini, avvocato, nato a Sesto Al Reghena (Udine) il 14 ottobre 1866, deceduto a Roma il 28 dicembre 1936, membro di diverse commissioni e con diverse cariche Onorifiche e Presidente dell’ opera pia Asilo Savoia per l ‘infanzia abbandonata di Roma. Nel corso della seduta della Camera dei deputati del 16 marzo 1937, egli veniva ricordato come professionista di esemplare dirittura morale e riconosciuto prestigio, doti che lo caratterizzarono anche nell'adempimento delle sue funzioni nei pubbliche. Eletto deputato dal 1913 al 1924 per il Partito Liberale, si segnalò presto per la sua alacrità e per la sua combattività, e fu interventista. Passò poi al fascismo. Il 24 gennaio 1929, con Regio Decreto, fu nominato Senatore del Regno. (Scheda senatore SANDRINI Amedeo - Senato della Repubblica notes9.senato.it/web/).

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Gino di Caporiacco, nato ad Udine il 16.5.1878, morto ivi il 7.10.1933, avvocato di Udine, sindaco di Colloredo di Montalbano, fu deputato liberale per San Daniele del Friuli per più di una legislatura sotto il Regno d’Italia . Si interessò anche della sorte degli internati fin dal 1915. Ricoprì pure la carica di Podestà di Udine dal 14.08.1928 al 07.10.1933. Fu presidente dell'Istituto friulano orfani di guerra di Rubignacco. Il conte Lionello Hierschel de Minerbi nacque il 29 ottobre 1873 a Parigi. Possidente terriero ed ingegnere, fu eletto deputato al parlamento di Roma per il collegio Palmanova-Latisana nelle legislature 1909-1919. Fu un attivo esponente della imprenditorialità triestina ed in campo immobiliare-agricolo, nella Bassa Friulana. Negli anni precedenti al primo conflitto mondiale gli Hierschel continuarono il lavoro di ristrutturazione della loro tenuta, con canalizzazioni, arginature, disboscamenti. Il nome degli Hierschel resta legato alla vastissima bonifica della cosiddetta "Valle Hierschel" che diede lavoro a generazioni di braccianti e che precorse la radicale bonifica degli anni venti e trenta del terreno acquitrinoso tra il comprensorio latisanese-precenicchese-palazzolese ed il mare. In particolare il conte Lionello abbellì pure la villa padronale, modificandone le vecchie strutture e costruendo la cosiddetta Villa Svizzera nel parco abbastanza ben curato. Dopo la prima guerra mondiale che gli Hierschel se ne andarono da Precenicco. (Comune di Precenicco: Gli Hierschel De Minerbi, in: www.comune.precenicco.ud.it/). Morì forse nel 1937. Attilio Chiaradia, avvocato, nato a Caneva di Sacile di Pordenone nel 1866, morto ne 1931, fu deputato liberale al Parlamento per il collegio elettorale di Pordenone dal 1909 al 1919, si laureò a Bologna in legge nel 1888 con una tesi di laurea su “Divorzio e separazione personale”. Ugo Ancona, ingegnere, nacque a Ferrara il 26 febbraio 1867 e morì a Roma l’8 giugno 1936. Liberale, fu deputato per il collegio di Gemona del Friuli per due legislature, dal 1909 AL 1919, quindi senatore, e partecipò alle discussioni con apporti di carattere economico finanziario. Ricoprì i seguenti incarichi: Professore ordinario di Teoria generale delle macchine all'Istituto tecnico superiore di Milano; Direttore della Scuola di ingegneria aeronautica di Roma dell'Istituto lombardo di scienze, Membro corrispondente dell’ Istituto lombardo lettere e arti di Milano. Degno di ricordo è un suo studio pubblicato nel 1916, L'aspetto finanziario della guerra, nel quale prevedeva una totale trasformazione e un nuovo assetto del mondo economico. (Scheda senatore Ancona Ugo - Senato della Repubblica). Il conte Francesco Rota nacque a San Vito al Tagliamento il 28 ottobre 1870, e morì a Roma il 6 aprile 1957. Laureato in giurisprudenza, industriale ed agricoltore, fu sindaco del paese natale, e deputato per 3 legislature successive. Aderì poi al fascismo e fu nominato senatore del Regno. (Scheda senatore ROTA Francesco - Senato della Repubblica) Ernesto Pietriboni, avvocato, pubblicista, giornalista, aderente al Partito Radicale, nacque a Venezia il 10 luglio 1874 e morì ivi il 15 dicembre 1950. Fu deputato dal 1913 al 1921 e, gli ultimi anni di vita, dal 1947 al 1950 presidente dell’ ateneo veneto. Giulio Alessio, economista e politico, nacque a Padova il 13 maggio 1853 e morì ivi il 19 dicembre 1940 e fu per molti mandati deputato del Regno per il Partito Radicale. Dopo essersi laureato in giurisprudenza nel 1874, ottenne, nel 1888, la cattedra di scienza delle finanze e di diritto finanziario all’ Università di Padova e fu pure vicepresidente della Camera e Ministro della Pubblica Istruzione. Fu deciso avversario del Fascismo, prese parte alla secessione dell ‘Aventino, e nel novembre del 1924 aderì all'Unione Nazionale delle forze liberali e democratiche di Giovanni Amendola. Perseguitato per le sue posizioni politiche, nel 1928, dopo l'attentato del 12 aprile alla Fiera Campionaria di Milano contro il re Vittorio Emanuele III, fu arrestato e costretto a lasciare l'insegnamento universitario; continuò comunque a studiare e a preparare una grande opera sullo stato italiano che vide la luce poco prima della sua morte. Firmatario nel 1925 del Manifesto degli intellettuali antifascisti fu tra i dieci Accademici dei Lincei che nel 1933 si rifiutarono di prestare giuramento al fascismo. (it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Alessio). Il conte e barone Girolamo Marcello, di nobile famiglia, nacque a Venezia il 16 ottobre 1860 e morì ivi il 12 giugno 1940 e fu un militare di carriera, oltre che uomo politico. Intraprese la carriera militare nella Regia Marina, raggiungendo il grado di capitano di fregata, combattendo la guerra italo – turca. Liberale, fu eletto deputato per tre legislature consecutive e membro di diverse commissioni sotto il fascismo. Nel 1924 venne nominato Senatore del Regno. (it.wikipedia.org/wiki/Girolamo_Marcello_(1860-1940)). Probabilmente si tratta di Giovanni Cassis, nato il 12 ottobre 1853 a Padova e morto a Roma il 5 novembre 1938, senatore del Regno, marchese e laureato in giurisprudenza. Egli fu prefetto a Sassari, Messina, Venezia, membro di banche e di varie commissioni, nonché titolare di molte onorificenze. 86“ Il Memoriale dei Deputati friulani a S.E. l’on. Orlando” in: La Patria del Friuli, 12 gennaio 1919. 87 Luigi Spezzotti , cavaliere e commendatore, nato ad Udine il 7 luglio 1876, morto 28 aprile 1964, ragioniere, comproprietario della Società cotonifera e di commercio di tessuti "Luigi Spezzotti", fu commissario governativo di Udine, con sede a Firenze, dal 1917 al 1918, ricoprì molte cariche sia politiche che in ambito finanziario, e nel 1929 venne nominato Senatore de regno. Fu Sindaco di Udine dal 1920 al 1926. 88 “La importante assemblea di martedì per esprimere le doglianze del Friuli”, in: La Patria del Friuli, 16 gennaio 1919. 89 Antonio Fradeletto , nato a Venezia il 4 marzo 1858, morto a Roma il 5 marzo 1930, fu uno scrittore e uomo politico italiano. Nel 1880 si laureò in lettere a Padova. Mentre era ancora studente collaborò al Giornale di Padova come critico drammatico e nel 1878 diede alle scene una commedia in dialetto veneziano, Ocio putele. L’'anno seguente il

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successo di una conferenza tenuta a Padova lo invogliò a farne altre su svariati argomenti di letteratura, d'arte e di storia, le quali, accolte con sempre maggior favore, fecero di lui il più acclamato conferenziere d'Italia. Era da poco laureato quando ebbe l'invito d'insegnare letteratura italiana nella Scuola superiore di commercio di Venezia, e detto incarico durò tutta la vita. Fu deputato al parlamento dal 1900 al 1919; nel 1918, dopo l'armistizio, fu per sei mesi ministro delle Terre liberate. Nel 1920 fu nominato senatore. L'Esposizione biennale artistica di Venezia, della quale fu tra i promotori, l'ebbe segretario generale dalla fondazione fino al 1919. Di Antonio Fradeletto ci rimangono alcuni volumi in cui raccolse scritti e testi di conferenze, relativi a letteratura, arte, storia. (ZARDO Antonio, Fradeletto, Antonio, in:

www.treccani.it/.../antonio-fradeletto. ). 90 FACCHINI C. Aiutare più che sussidiare i profughi rimpatriati, in: La Patria del Friuli, 4 febbraio 1919. 91 “Il servizio merci è insufficiente. Telegramma della Camera di Commer.”, in: La Patria del Friuli, 11 febbraio 1919. 92 La importante riunione dei Sindaci di tutta la Carnia, in: LA Patria del Friuli, 11 febbraio 1919. 93 “Sussidi ai profughi e lavori agricoli”, La Patria del Friuli, 13 febbraio 1919. 94 Marco Reiner fu un noto personaggio di Villa Santina. 95 Piero Pisenti, nato a Perugia il 20 marzo 1887, morto a Pordenone il 29 settembre 1980, laureato in giurisprudenza, fu consigliere ed assessore comunale a Pordenone dal 1915 al 1919. Fondatore del Partito Fascista ad Udine, si impose come capo dello squadrismo friulano. All’ interno del partito fascista ricoprì numerose cariche. Aderì alla repubblica di Salò, e, assieme al colonnello Ermacora Zuliani , ricostituì il disciolto 8° Reggimento Alpini con il nome di Reggimento Alpini Tagliamento, in funzione antipartigiana. Al termine della Seconda guerra mondiale fu arrestato il 21 giugno 1945 e grazie all'Intervento di Fermo Solari poté evitare la fucilazione. Venne prosciolto dalla giustizia per il reato di collaborazionismo, e continuò ad esercitare come avvocato sino alla morte. ( cfr. it.wikipedia.org/wiki/Piero_Pisenti). 96 Le rappresentanze del Friuli impedite dall’ esprimere in un voto qualsiasi i bisogni, la volontà del paese, in: La Patria del Friuli, 25 febbraio 1919. 97 “Tolmezzo. Un ordine del giorno per i bisogni della Carnia”, in La Patria del Friuli, 2 marzo 1919. 98 La locuzione vittoria mutilata, coniata da Gabriele D’ Annunzio, venne utilizzata nel primo dopoguerra da nazionalisti, interventisti e reduci per riferirsi alla mancata annessione all’ Italia della Dalmazia settentrionale. 99 “Ultima ora. Le richieste dell’ Italia alla conferenza di Parigi. Trentino Alto Adige – Trieste, Pola, Fiume. Il problema dalmato” in: La Patria del Friuli, 12 marzo 1919. 100 “Una grande dimostrazione di Trieste pro Dalmazia. Consegna bandiera italiana a Spalato, in: La Patria del Friuli, 14 marzo 1919. 101 Trieste. Grandiosa manifestazione pro Spalato, in: Giornale di Udine, 10 marzo 1919. 102 “Un'altra manifestazione patriottica a Trieste”, in: Giornale di Udine, 14 marzo 1919. 103 “Il grande convegno di Milano pro Fiume e Dalmazia”, in: : Giornale di Udine, 14 aprile 1919. 104 “La visita dei parlamentari alle città della Dalmazia” in: : Giornale di Udine, 17 marzo 1919. 105 SALVAROTELLI Luigi, MIRA Giovanni, Storia d’ Italia nel periodo fascista, G. Einaudi ed., sesta ed. 1980, p. 79. Per i

discorsi di Gabriele D’ Annunzio nel 1919, cfr. “Contro uno e contro tutti”, scans.library.utoronto.ca/pdf/ 106 MACK SMITH Denis, Storia d’ Italia, op. cit., p.390. 107 SALVAROTELLI Luigi, MIRA Giovanni, Storia d’ Italia, op. cit., pp. 101- 102. 108 Ivi, p.80. 109 Ivi, pp. 72- 75. 110 MACK SMITH Denis, Storia d’ Italia, op. cit., pp. 393 - 394 111 MACK SMITH Denis, Storia d’ Italia, op. cit., p.394. 112 “Opportuna, giusta petizione al Ministero delle Terre Liberate”, in: La Patria del Friuli, 1 aprile 1919. 113 Le tabelle delle nuove paghe operaie, secondo la qualifica, sono riportate in: “ Tolmezzo. Migliaia di operai in sciopero, in: La Patria del Friuli, 5 aprile 1919. 114 “Tolmezzo. Alcuni particolari sullo sciopero dei lavoratori in Carnia”, in: La Patria del Friuli, 5 aprile 1919. 115 Ivi. 116 “I Sindaci della Carnia e del Canal del Ferro ricevuti dal Prefetto”, in: La Patria del Friuli, 8 aprile 1919. 117 Giuseppe Nais, nato il 27 febbraio 1880, avvocato socialista e vicino agli ambienti combattentistici, antifascista e difensore di fiducia di Ferruccio Nicoloso, durante il processo per l’ attentato Zaniboni, fu pure incarcerato, a causa di una delazione, con l’ accusa di aver pronunciato alcune frasi contro la concessione di medaglia d’ oro al valor militare a Bottai ed a Bruno e Vittorio Mussolini. Fu successivamente colpito negli affetti dalla morte di due figli, uno dei quali era militare con i fascisti in Spagna. (PUPPINI Marco, Il processo Zaniboni, in: AA.VV. Dal processo Zaniboni al processo Tomažic. Il tribunale di Mussolini ed il confine orientale, Gaspari ed. 2003,pp. 42 e 53). Morì il 5 aprile 1948. Secondo il nipote era persona benvoluta, e, quando difendeva la povera gente e questa rappresentava il fatto di non poterlo pagare, rinunciava pure alla parcella (Fonte avv. Giuseppe Nais, telefonata 23 maggio 1914). 118 “I Sindaci della Carnia e del Canal del Ferro ricevuti dal Prefetto”, in: La Patria del Friuli, 8 aprile 1919.

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119 “ S.E. l’On. Fradeletto in Carnia”, in: La Patria del Friuli, 7 maggio 1919. 120 Umberto Candoni, fotografo, anarchico, nato a Cedarchis di Arta Terme il 26 ottobre 1883, morto il 5 dicembre 1972, visse nel paese natio infanzia e giovinezza, apprendendo il mestiere del meccanico. Svolto il servizio militare nel 1905- 1906, aderì alle idee socialiste, laiche, libertarie, tenendo, nel 1907, un comizio antimilitarista A Sezza di Zuglio, per cui fu denunciato. Si sposò tre volte, essendo rimasto due vedovo, e uno dei suoi figli Apollo Prometeo, fu un noto industriale e padre fondatore dello stabilimento tolmezzino della SEIMA Italiana. Il fatto che in Carnia non si trovava occupazione alcuna e le “persecuzioni “ subite per le sue idee pacifiste, socialiste e per la sua attività sindacale, lo portarono più volte a cercar lavoro anche all’ estero. Nel 1910 si trovava, con la famiglia a Montechiari d’Asti ove svolse attività sindacale fra gli operai, nel 1911 in Veneto e quindi in Svizzera. Partecipò alla prima guerra mondiale e quindi rientrò in Carnia ove venne eletto presidente della neonata Camera del Lavoro della Carnia, i cui locali vennero distrutti dai fascisti nel 1923. Partecipò pure in veste di sindacalista dell’ Unione Sindacale Italiana, di matrice anarchica, alle lotte del biennio rosso in Carnia, ed iniziarono gli arresti. All’ avvento del fascismo emigrò a Parigi rientrando in Carnia nel dicembre 1925, quando, lungo il tragitto per il ritorno, venne schiaffeggiato, per la usa militanza politica da un carnico capo manipolo del fascio. Quindi emigrò nuovamente a Parigi, ove venne raggiunto dai figli, e ove rimase sino alla fine della guerra. Rientrato in Carnia si stabilì a Comeglians, continuando ad esercitare la professione del fotografo, ed appassionandosi anche alle nuove tecniche ed alle potenzialità delle diapositive. Fondò, nel dopoguerra avvelenato da mille lotte e polemiche, il “Movimento Friulano pro pace Universale” e l’ Editrice “Cittadini del Mondo” continuando a propagandare e sviluppare il suo pensiero libertario, antimilitarista, anarchico e contro ogni repressione, tanto da essere contrario a leggi che chiudessero forzatamente sezioni del M.S.I.. ( PUPPINI Marco, Ed è per voi sfruttati …Umberto Candoni fotografo anarchico nella Carnia del miracolo economico, in AA.VV., così vicina, così lontana… La Carnia di Candoni”, Forum, 1999, pp. 9- 21). 121 PUPPINI Laura ( Matelda), Cooperare per vivere, op. cit., p. 128. 122 Ivi, pp. 128- 129. 123 REVELLI Nuto, Le due guerre, Einaudi, 2005, p. 118. 124

MARCHETTI Romano, Da Maiaso al Golico,op. cit., p. 73.