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Facoltà di Giurisprudenza Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza PROFILI COSTITUZIONALI DEL RAPPORTO TRA DISCIPLINA DELL’INGRESSO E DIRITTI FONDAMENTALI DEL MIGRANTE Relatore: Ch.mo prof. Fulvio Cortese Laureanda: Francesca Bertin 116766 Anno accademico 2009-2010

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Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

PROFILI COSTITUZIONALI DEL RAPPORTO TRA DISCIPLINA DELL’INGRESSO E DIRITTI FONDAMENTALI

DEL MIGRANTE

Relatore: Ch.mo prof. Fulvio Cortese

Laureanda: Francesca Bertin

116766

Anno accademico 2009-2010

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Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

PROFILI COSTITUZIONALI DEL RAPPORTO TRA DISCIPLINA DELL’INGRESSO E DIRITTI FONDAMENTALI

DEL MIGRANTE

Relatore: Ch.mo prof. Fulvio Cortese

Laureanda: Francesca Bertin

116766

Immigrazione irregolare – espulsione – rimpatri – criminalizzazione – diritti fondamentali

Anno accademico 2009-2010

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INDICE

Introduzione

Capitolo 1: La disciplina dell'ingresso e dell'allontanamento del migrante irregolare

1. Evoluzione normativa

2. Il quadro normativo attuale: un sistema che ruota attorno all'espulsione

2.1 Il meccanismo delle quote ed il contrasto all'immigrazione irregolare

2.2 Le misure esecutive dell’allontanamento

3. Penalizzazione dell'ingresso e del soggiorno irregolare (art.10 bis tu imm.)

3.1 Gli elementi della fattispecie

3.2. Profili processuali

3.3. Trattamento sanzionatorio

4. Reati collegati all'espulsione dello straniero

5. Valutazioni dottrinali

Capitolo 2: Profili costituzionali del rapporto tra ingresso e diritti fondamentali del migrante

1. La condizione giuridica del migrante secondo la Corte costituzionale

1.1 I fondamenti della tutela

1.2 I diritti fondamentali dei migranti irregolari e la giurisprudenza della Corte in materia di

immigrazione irregolare

2. Il reato di immigrazione irregolare: la posizione della Corte costituzionale e l'impatto sui diritti dei

migranti

2.1. I profili di incostituzionalità e l'intervento della Corte costituzionale con la sentenza

250/2010

2.2. Considerazioni a margine della sentenza 250/2010

2.3. Sul rapporto tra il 10 bis e la direttiva rimpatri: una prospettiva de iure condendo?

3. Altri profili di criticità della nuova normativa sul migrante irregolare

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Capitolo 3: I diritti fondamentali del migrante irregolare

Introduzione: Ius migrandi e diritti fondamentali

1. La tutela dei diritti del migrante a livello internazionale

2. La CEDU e la giurisprudenza della corte europea dei diritti dell'uomo

3. La tutela dei diritti del migrante a livello europeo

3.1 Cenni sulla evoluzione della regolamentazione europea in materia immigrazione e sul ruolo

della Corte di Giustizia della Comunità europea.

3.2 La politica europea nell'allontanamento del migrante irregolare

3.3. Il rapporto tra il meccanismo di espulsione in Italia e la direttiva rimpatri

3.4. Rapporto tra rimpatri e diritti fondamentali

Conclusioni

Bibliografia

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Ai miei genitori

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INTRODUZIONE

“Loro hanno subito l'immigrazione,

ora vivono nelle riserve”

(Manifesto di propaganda del partito “Lega nord”)

Le modifiche introdotte dalla legge 94/2009 hanno acuito il dibattito dottrinale e mediatico sul

problema dell'immigrazione irregolare. La penalizzazione dell'ingresso e della permanenza senza titolo

nel nostro Paese, prima sanzionata solo in via amministrativa, ha posto molteplici interrogativi

sull'utilizzo dello strumento penale e sulla tenuta del sistema di tutela dei diritti fondamentali. Questo

fatto ha fornito lo spunto per indagare la condizione giuridica degli stranieri che giungono

irregolarmente nel nostro Paese con l'intento di mettere in luce il tipo di tutela che dovrebbe essere loro

garantita nel sistema multi-livello di protezione dei diritti fondamentali. La condizione di irregolarità e

le conseguenze da essa derivanti sono il punto di partenza per una riflessione sull'attuale modo di

gestire le migrazioni. “Al tempo della globalizzazione e dell'imporsi di grandi spazi il tema della

cittadinanza si intreccia naturalmente con le questioni dei popoli migranti e dei diritti degli stranieri.

Diritti che non possono più essere considerati come diritti degli altri, bensì, a pieno titolo, come parte

essenziale del nostro diritto”1. Di fronte ad un'Europa fortezza il tema dei migranti costituisce una

cartina tornasole per la tutela dei diritti fondamentali.

Oggetto dell'indagine è la disciplina dell'ingresso degli stranieri irregolari secondo l'accezione tecnica

di “straniero” fornita dall'articolo 1 comma 1 del Testo Unico in materia immigrazione2, comprendente

i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea3 e gli apolidi. Esula l'ambito di questo lavoro la

trattazione della condizione dei richiedenti asilo e dei respinti alla frontiera. I primi godono del

particolare status giuridico tutelato dall'articolo 10 comma terzo della Costituzione, dai trattati

internazionali e dalle recenti direttive europee in materia4, anche se spesso l'ampia tutela formalmente

1 G. AZZARITI, Cittadinanza e multiculturalismo: immagini riflesse e giudizio politico, Diritto Pubblico n.1/2008. 2 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Dlgs 286/1998), abbreviato a T.U. Imm.3 I cittadini comunitari sono regolati dalle norme poste dal decreto legislativo n.20/2007 (come modificato dalla d.lgs n.32/2008), in attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati. La direttiva prevede l'applicazione ai cittadini comunitari solo di alcune norme del Testo unico per l'allontanamento e generalmente nel caso in cui ricorrano esigenze di tutela della sicurezza nazionale. 4 Fondamentale nella disciplina dello status di rifugiato è la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge

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riconosciuta non trova riscontro nella realtà per l'equiparazione di fatto nel blocco del flussi alla

frontiera con i migranti economici, secondo le pratiche di etichettamento che li definiscono come “falsi

rifugiati”56.

Nel caso del respingimento non vengono presi in considerazione i migranti bloccati dalla polizia ai

valichi di frontiera privi dei requisiti all'ingresso, che quindi non entrano nel territorio dello Stato7, e

che ricevono tutela internazionale dalle norme sul divieto di “refoulment” e di espulsioni collettive8.

Rientra invece il cosiddetto “respingimento differito” che viene disposto nei confronti di coloro i quali,

entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso ovvero

temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso9.

La disciplina dell'ingresso è particolarmente sensibile all'esercizio della sovranità statale che permette

legittime restrizioni ai non cittadini nell'accesso di taluni diritti, in primis la libertà di circolazione.

Dopo un primo cappello storico volto a richiamare lo sviluppo della materia fin dai primi arrivi in

Italia, si delinea il quadro sistematico comprendente gli strumenti amministrativi e penali che denotano

il ruolo centrale dell'allontanamento dello straniero.

La disciplina viene vagliata sotto il controllo critico della Corte costituzionale a cui è demandato in

primis il controllo del rispetto dei diritti in essa tutelati.

24 luglio 1954 n. 722. Tra le fonti comunitarie centrale è la Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990 relativa alla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati della Comunità europea, ratificata con legge 23 dicembre 1992 n. 523 e sostituita dal Regolamento n.343/2003 (cd. Dublino II) entrato in vigore nel settembre 2003. Recentemente la Comunità europea è intervenuta ampiamente sul diritto d'asilo con una serie di direttive volte alla creazione – proprio sulla base del recente Regolamento – di un sistema europeo di asilo: Direttiva 2001/55/CE del 20/7/2001 sulla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati; Direttiva 2003/9/CE del 27/1/2003 sulle norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; Direttiva 2004/83/CE del 29/4/2004 recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta; Direttiva 2005/85 del 1/12/2005 relativa alle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. 5 In rapporto alla previsione all'articolo 10 bis TU, quando un richiedente asilo viene fermato in situazione di irregolarità – prima perciò di aver presentato richiesta di protezione internazionale - viene denunciato, salvo poi sospendere il procedimento fintantoché non viene presa una decisione definitiva sulla sua domanda. Nel frattempo verrà trattenuto alternativamente in un CIE o in un CARA, a seconda che la questura abbia adottato nel primo caso un provvedimento di espulsione la cui esecuzione risulti sospesa, oppure abbia sospeso la decisione sull'espulsione all'emissione della valutazione della commissione territoriale competente sulla richiesta di asilo. 6 Per un confronto sociologico sul tema Cfr. S. MARRAS, Falsi rifugiati? Pratiche di etichettamento dei richiedenti asilo alla frontiera, Mondi migranti, n.3/20097 Articolo 10 comma 1 del T. U. imm.

8 Particolarmente problematica la tutela dei diritti fondamentali dei migranti nelle pratiche di respingimento alla frontiera, soprattutto quando avviene in mare. Per approfondimenti sulla questione Cfr. P. BONETTI, in B. NASCIMBENE, Diritto degli stranieri, Cedam, Padova, 2004, p.277; C. CORSI, Lo stato e lo straniero, Cedam, Padova, 2001, p.156. Per una valutazione critica dei respingimenti via mare e sulle violazioni dei diritti fondamentali Cfr. F. V. PALEOLOGO, Obblighi di protezione e controlli delle frontiere marittime, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.3/2007, p.13 ss; B. NASCIMBENE, Il respingimento degli immigrati e i rapporti tra Italia e Unione europea – Paper, Istituto affari istituzionali, www.iai.it9 Art.10 comma 2 T. U. Imm.

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Successivamente, muovendo dalla consapevolezza dell'inesistenza di un diritto a migrare, si pongono

in rilievo i limiti internazionalmente posti alla discrezionalità degli Stati nella gestione delle espulsioni

e il ruolo della Comunità europea nella definizione della materia, da poco di competenza anche

comunitaria, in particolare rapporto all'adozione della recente Direttiva Rimpatri.

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CAPITOLO 1: LA DISCIPLINA DELL'INGRESSO E

DELL'ALLONTANAMENTO DEL MIGRANTE

IRREGOLARE

1. Evoluzione normativa

Ripercorrere l'evoluzione della normativa in materia immigrazione significa cercare di tracciare i criteri

che negli anni sono stati utilizzati dal legislatore per regolare un fenomeno in continua crescita. Lungi

dall'essere un fatto eccezionale, le migrazioni sono connaturate alla storia umana: a volte libera, a volte

incoraggiata ed incanalata a beneficio del Paese di arrivo, l'immigrazione è sempre stata un fenomeno

indispensabile allo sviluppo economico. “Sino agli anni settanta l'etica del migrante si è combinata

perfettamente con lo spirito del capitalismo; con il declino della società industriale e poi con lo

sviluppo della globalizzazione, per la prima volta nella storia dell'umanità, le migrazioni sono

considerate un fenomeno antagonista rispetto al nuovo ordine economico, sociale e politico”10.

Dalla seconda metà del secolo viene percepita la necessità di porre regole per la gestione degli ingressi

e per il controllo dei confini, la cui trasgressione comporta la clandestinità11. L'Italia fino agli anni

ottanta è rimasta lontana dai flussi migratori in arrivo: solo recentemente il nostro Paese si è

trasformato da terra di partenza in meta finale, a differenza dei Paesi del nord Europa che hanno

cominciato a misurarsi ben prima con l'afflusso degli stranieri, sia sotto il profilo istituzionale-

amministrativo che socio-culturale12. Ancor più recente è la storia della legislazione sull'immigrazione:

dinanzi a questa crescita l'Italia si è trovata sostanzialmente impreparata. “Il tratto saliente della

condizione giuridica dello straniero nel nostro Paese è stato rappresentato, fino agli inizi degli anni '90,

dalla estrema lacunosità della disciplina di rango legislativo, alla quale corrispondeva una assai ampia

discrezionalità amministrativa che si manifestava sia sul versante normativo attraverso la «disciplina

10 S. PALIDDA, Le migrazioni come crimine, in P. BASSO E F. PERROCCO, Gli immigrati in Europa. Diseguaglianze, razzismo, lotte, Franco Angeli, 2003, p.63.11 Cfr. S. CASTELLAZZI, Le implicazioni legislative del fenomeno sociale migratorio, in V. GASPARINI CASARI, Il diritto dell'immigrazione. Profili di diritto italiano, comunitario e internazionale, V quaderno de Il diritto dell'economia, vol.I, Mucchi Editore, Modena, 2010, p.94 12 Cfr. A. CALLAIOLI E M. CERASE, Il testo unico delle disposizioni sull'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero: una legge organica per la programmazione dei flussi, il contrasto alla criminalità e la lotta alla discriminazione, La legislazione penale, n.1-2/1999, p. 262

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per circolari»13, sia su quello della concreta gestione del caso, rimessa in via praticamente esclusiva

all'autorità di polizia”. La disciplina dell'allontanamento si esauriva in poche disposizioni del Testo

unico di pubblica sicurezza del 1931 (r.d. 18/6/1931, n.733 e relativo regolamento di esecuzione

approvato con r.d. 6/5/1940, n.635), mantenuto fino alla fine degli anni novanta14. Questo ritardo

normativo è ben rispecchiato dalla tutela offerta allo straniero dalla carta fondamentale, che traccia un

“quadro appena abbozzato”15. L'attenzione si concentrava ancora sulla protezione del lavoratore

emigrato, che continua a permanere anche successivamente, mettendo in luce la difficoltà del

legislatore nel riconoscere una maggior tutela nei confronti dei “nuovi cittadini italiani”. Questo

orientamento era condiviso anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e del Consiglio di

stato dei primi decenni che adottavano una politica restrittiva soprattutto in merito all'applicabilità di

ulteriori garanzie nel processo espulsivo. La sempre più massiccia presenza degli stranieri in Italia ha

fatto emergere le lacune e le carenze di una legislazione che considerava l'immigrazione soltanto come

una questione di ordine pubblico, da gestire a tutela della comunità nazionale. Tuttavia il vero impulso

al cambiamento venne dall'esterno, per l'obbligo gravante sul nostro legislatore di recepire una serie di

trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti fondamentali dei migranti16. Il primo tentativo volto a

conferire alla materia una disciplina organica e completa, sottraendola alla discrezionalità

amministrativa che la caratterizzava, non diede fruttuosi risultati17. Il passo significativo verso una reale

presa di coscienza del problema avvenne invece con la legge Martelli18. La modifica legislativa

rappresenta il primo provvedimento rilevante in materia: la legislazione italiana esce per la prima volta

da un'ottica settoriale e fornisce le basi per una politica complessiva sull'immigrazione introducendo da

un lato il principio della programmazione dei flussi e disegnando dall'altro l'ossatura fondamentale

delle procedure amministrative d'ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia19. Permaneva tuttavia una

13 Cfr. B. NASCIMBENE, Lo straniero nel diritto italiano, Giuffrè editore, 1988, p. 18: “La prassi tipica nel nostro ordinamento, di ««legiferare per circolari», ha così creato da un lato un infra-droit o disciplina “interstiziale”, dettata cioè da fonti prevalentemente non legislativa, nel vuoto delle lacune lasciate aperte”.14 Cfr. A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, Giappichelli editore, Torino, 2006, pag. 3-14 15 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, p. 10616 Tra i trattati più importanti in materia: la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati; la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950; la Convenzione di New York del 28 settembre 1954 relativa allo status degli apolidi, il trattato istitutivo della Comunità economica europea del 1957; il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966; la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965; etc.17 La legge 30 dicembre 1986, n. 943 recepiva i contenuti della convenzione n.143 OIL sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti, introducendo il diritto al ricongiungimento familiare e formalizzando le modalità per l'accesso all'occupazione dei lavoratori subordinati stranieri. 18 D.l. 30/12/1989 n.416, convertito nella legge 28/2/1990 n.3919 Cfr A. CALLAIOLI E M. CERASE, Il testo unico delle disposizioni sull'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero: una legge organica per la programmazione dei flussi, il contrasto alla criminalità e la lotta alla discriminazione, op. cit., pag. 262

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gestione ancora emergenziale del fenomeno immigrazione20. Prima della riforma del 1998 le linee di

intervento erano caratterizzate da disorganicità, inefficacia e precarietà, e mancava una attuazione

organica dell'articolo 10 comma secondo Cost. Le politiche migratorie dell'epoca “perseguivano scopi

che di fatto si contraddicevano”: da un lato sostenevano un sistema di ingressi legali fondati su una

programmazione dei flussi di ingresso per lavoro correlati da misure di contrasto all'immigrazione

irregolare21, dall'altro ciclicamente facevano ricorso a processi di emersione degli stranieri

irregolarmente già presenti22, i cosiddetti “ingressi «dalla porta di servizio» non voluti, non

programmati, ma in gran parte regolarizzati dai pubblici poteri”23. In realtà tale progredire non è stato

abbandonato dal legislatore italiano che, puntando al ribasso il sistema delle quote, ha creato un

meccanismo che necessita di interventi emergenziali ma ricorrenti, le cosiddette regolarizzazioni o

meccanismi di emersione dell'irregolarità. Interessante notare – pur nella sua anomalia – una certa

continuità o circolarità delle misure utilizzate dal legislatore italiano nella gestione del fenomeno

migratorio. Come sarà evidenziato nel prosieguo, questa impostazione previgente alla legge Turco

Napolitano è stata ripresa dal legislatore con la legge Bossi Fini e mantenuta ovvero rinforzata nelle più

recenti modifiche legislative. Fino alla Turco Napolitano, nei confronti di un fenomeno presentato

all'opinione pubblica come massiccio ed incontrollabile, l'orientamento seguito dalle forze politiche si

arresta al solo contrasto degli ingressi irregolari: anziché intervenire prevedendo in modo efficace un

“effettivo e controllato aumento delle possibilità legali di ingresso di stranieri per lavoro” ovvero un

“aumento del contrasto al lavoro nero” sono state rafforzate le misure volte al controllo degli stranieri

ostacolando l'ingresso legale e “arrivando a punire penalmente gli stranieri che soggiornano

20 Cfr. A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p. 3-14: “La Legge Martelli nacque con un'ambiguità di fondo, compressa tra le spinte verso la logica emergenziale della chiusura delle frontiere e l'ambizione a governare, nel segno dell'integrazione, un processo storico che si sapeva inarrestabile. (…) L'analisi delle fattispecie di espulsione previste ne sottolinea il limite di fondo, costituito dall'incapacità di emanciparsi dalla prospettiva dell'immigrazione come problema di ordine pubblico: (…) la latitudine dei presupposti giustificativi dell'allontanamento dello straniero testimoniava un approccio che attribuiva all'espulsione un ruolo di assoluta centralità nel governo dell'immigrazione, un ruolo che la successiva legislazione non riuscirà a ridimensionare.”; C. BONIFAZI, L'immigrazione straniera in Italia, Il mulino, Bologna, 2007, p. 90: “La legge n.39 non permise comunque al paese di uscire da una gestione essenzialmente emergenziale del fenomeno migratorio.”; L. MELICA, Lo straniero extracomunitario. Valori costituzionali e identità culturale, Torino, Giappichelli, 2006, p.127: “Permaneva un sistema che in nome del mantenimento dell'ordine pubblico, additava lo straniero come potenziale nemico da tenere sotto stretta sorveglianza ed in condizione di totale incertezza circa la permanenza all'interno dello stato”.21 Il sistema dei flussi d'ingresso prevedeva l'obbligo di chiamata nominativa da parte del datore di lavoro italiano, previa verifica dell'eventuale disponibilità di lavoratori italiani o stranieri già presenti iscritti alle liste di collocamento e qualificati per la mansione richiesta. Cfr. P. Bonetti, I profili generali della normativa Italiana sugli stranieri dal 1998, B. NASCIMBENE, Diritto degli stranieri, Cedam, Padova, p. 9-10. 22 Questo incedere è stato realizzato attraverso provvedimenti amministrativi (1982) o provvedimenti legislativi urgenti (1987, 1990, 1995/96). Emblematica la decretazione d'urgenza nel corso del 1995 – 1996, il c.d. “decreto Dini”. Tale provvedimento rappresentava una prima parziale risposta alle lacune della normativa esistente (inseriva norme specifiche sulla regolazione dei flussi e sull'ingresso e soggiorno in Italia) ma venne reiterato più volte e mai trasformato in legge. 23 P. BONETTI, I profili generali della normativa Italiana sugli stranieri dal 1998, op. cit., p.5; Cfr. S. CASTELLAZZI, Le implicazioni legislative del fenomeno sociale migratorio, op. cit., p.120

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illegalmente nel territorio dello Stato per il solo fatto di essere sprovvisti dei permessi di soggiorno”24.

Nel quadro normativo che ha portato all'introduzione del Testo unico immigrazione rilevante ancora

una volta è stata l'influenza delle politiche europee in materia, grazie in particolare alla

comunitarizzazione degli accordi di Schengen avvenuta con il trattato di Amsterdam. “La disciplina di

tali accordi ha rappresentato il nucleo essenziale dello sviluppo delle politiche comunitarie

sull'immigrazione, il che ha attribuito ad esse una prospettiva orientata prevalentemente verso

l'adozione di strumenti di controllo dei flussi migratori e di contrasto dell'immigrazione irregolare”25.

La disciplina della Legge Turco Napolitano (L. 6/3/98 n.40, confluita nel testo unico d.lgs.25/7/1998

n.286) interviene in un panorama estremamente disomogeneo e costituisce il primo intervento organico

in tema di disciplina dell'immigrazione, rappresentando tuttora la disciplina di riferimento. La nuova

normativa interviene in due direzioni: da un lato riconoscendo margini di tutela al migrante irregolare,

dall'altro ribadendo la spinta repressiva già presente in precedenza. All'articolo 2 del T. U. imm.

vengono previsti i diritti e doveri dello straniero; il comma primo dispone “allo straniero comunque

presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona

umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di

diritto internazionale generalmente riconosciuti.”. Tale previsione si accompagna alle restrizioni

all'allontanamento disposte dall'articolo 19 del T. U. imm. Al primo comma viene stabilito che “in

nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere

oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni

politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato

nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. Vengono inoltre specificati al secondo comma che ad

esclusione dei motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato non è consentita l'espulsione nei

confronti degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario

espulsi, degli stranieri conviventi con parenti o con il coniuge, di nazionalità italiana e delle donne in

stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono26.

Il testo unico conferma la scelta delle quote di ingresso creando un sistema che, come efficacemente

descritto dalla dottrina, “subordinava la possibilità di ingresso regolare nel nostro paese all'incontro a

livello planetario tra domanda e offerta di lavoro”27. Tuttavia, allo scopo di garantire un minimo di

24 P. BONETTI, I profili generali della normativa Italiana sugli stranieri dal 1998, op. cit., p.1125 A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., pag. 826 Ricordiamo che su tale disposizione è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n.376 del 27/7/2000 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera "nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio".27 P. MOROZZO DELLA ROCCA, Immigrazione: profili normativi e orientamenti giurisprudenziali, 2005, Torino, UTET, p.109.

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flessibilità nella gestione degli ingressi, era prevista la prestazione di garanzia (“sponsor”)28 ed il

ricongiungimento familiare.

D'altro canto, rimanendo nel solco repressivo già inaugurato da anni, vengono inasprite le misure volte

al contrasto dell'irregolarità: vengono introdotte nuove fattispecie penali ed una più severa disciplina

degli allontanamenti, estendendo l'area di applicazione del respingimento e le ipotesi di esecuzione

coattiva dell'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, ed attribuendo alla giurisdizione

ordinaria la maggior parte dei ricorsi contro i provvedimenti di ingresso ed allontanamento29.

In tal modo si delinea il tratto caratterizzante di tale riforma riconducibile alla “logica binaria che

caratterizza la politica migratoria”: la creazione di politiche di integrazione degli stranieri regolari

contrapposta ad un contrasto rigoroso dell'immigrazione irregolare.

Critica la dottrina in relazione a tale scelta. “La logica del «netto discrimine» tra la condizione dello

straniero regolare ed irregolare rappresenta l'ulteriore tassello di un impianto normativo che ha prodotto

irregolarità: la disciplina degli ingressi si è rivelata incapace di gestire in termini di effettività i flussi

migratori che hanno interessato il nostro Paese; la disciplina del soggiorno per un verso ha determinato

la spinta obiettiva di una parte dell'immigrazione regolare verso la condizione di irregolarità e, per altro

verso, ha escluso la possibilità di riassorbire quote di irregolarità”30. Parallelamente la condizione del

migrante regolare non si emancipava dalla visione di un ospite in prova perpetua31.

Il quadro descritto, nonostante la scarsa efficacia nella gestione efficace dei flussi ed i profili

repressivi, comunque denotava una concezione dell'immigrazione come “ricchezza potenziale per la

società italiana” che si manifestava “sul piano economico, dovendosi constatare che i lavoratori italiani

non erano in grado da soli di soddisfare la richiesta di manodopera, specie in riferimento alle mansioni

più umili” ma anche “sul piano sociale, contribuendo in modo decisivo gli stranieri a risollevare un

saldo demografico altrimenti asfittico” ed ancora “sul piano culturale, nella misura in cui l'accoglienza

di persone provenienti da diversi contesti assicurava apporti ulteriori rispetto a quelli tradizionalmente

propri della cultura occidentale”; prospettiva del tutto stralciata dalle modifiche poco dopo introdotte.

Il testo unico fu sottoposto ad una incisiva riforma con la legge 198 del 2002, motivata dalla necessità

28 Cfr. P. PASSAGLIA – R. ROMBOLI, La condizione giuridica dello straniero nella prospettiva della Corte costituzionale, (a cura di) R. Sanchez, I problemi costituzionali dell'immigrazione in Italia e Spagna, Giuffrè, Valencia, 2005, p.2429 Cfr. G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.201; S. Silverio, Sulla condizione dello straniero extracomunitario: in particolare sull'immigrato clandestino ovvero extracomunitario, Politica del diritto, n.4/09, p. 64330 A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p.3-1431 Cfr. L. PEPINO, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n.94/2009, op. cit., p.10: “Già prima della nuova modifica il sistema non era favorevole al migrante, anche se regolare: l'immigrazione regolare era strutturata pressochè come «importazione di braccia per lavori stabiliti», i ricongiungimenti erano soggetti a limitazioni, il migrante rimaneva in una situazione precaria per la temporaneità del permesso di soggiorno e la revocabilità persino della carta di soggiorno, l'acquisizione della cittadinanza era «un percorso interminabile o una graziosa concessione».

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di mettere a punto una nuova strategia di controllo dell'immigrazione irregolare.

La scelta è stata incardinata sull'ulteriore stretta repressiva nei confronti dei migranti: viene eliminata la

figura dello sponsor, abrogata la reiterazione automatica delle quote previste per l'anno precedente – in

caso di mancata emissione dei decreti di programmazione annuale dei flussi – e ridimensionato il

diritto al ricongiungimento familiare. “La legge Bossi – Fini compie un ulteriore avanzamento

introducendo un drastico irrigidimento della disciplina degli ingressi, foriero di un inevitabile aumento

dell'immigrazione irregolare”. “L'assetto complessivo del testo unico delineato dalla legge n.189/2002

accentua i profili negativi della legislazione previgente: una normativa che produce irregolarità e che in

nome della logica del netto discrimine e della ricerca di una impossibile effettività delle espulsioni ha

costruito un sotto-sistema finalizzato all'allontanamento dello straniero irregolare”32.

La Corte costituzionale è intervenuta sulle più gravi violazioni dei diritti fondamentali, in particolare

con le sentenze n.222 e 223 del 2004 sulla disciplina dell'accompagnamento nei casi di inottemperanza

all'ordine del questore, con lo specifico invito al legislatore di intervenire conformemente in materia. Il

legislatore, per tutta risposta, è intervenuto con la legge 271/2004 in senso esattamente contrario ai

dettami dei giudici della Consulta modificando da contravvenzione a delitto l'illegale rientro e

ingiustificato trattenimento nel territorio dello stato. Come sarà approfondito nel prosieguo, si scorge la

volontà di mantenere la materia all'interno di un approccio emergenziale, molto spesso a scapito del

migrante, non predisponendo un sistema efficace nella gestione del fenomeno. La legge 92 del 2008

(“misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”) e la recentissima legge 94 del 2009 (“Disposizioni

in materia di sicurezza pubblica”) confermano questo assunto33.

Dall'analisi dei provvedimenti che si sono susseguiti negli anni pare che il legislatore non si sia

emancipato dall'approccio iniziale basato sul mero contrasto all'immigrazione clandestina. “Emerge

una tendenza sempre più restrittiva ed autoritaria nei confronti del fenomeno dell'immigrazione, specie

se clandestina, che si traduce inevitabilmente in una compressione dei diritti fondamentali della persona

umana, che pure sono previsti dalle disposizioni di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in

vigore, dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.”34. Tale scelta repressiva è 32 A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., pag.13; Per approfondimento Cfr. G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.202: “La novella legislativa ha operato un ulteriore giro di vite in tema di allontanamenti. E' stato raddoppiato il termine massimo del trattenimento portandolo a sessanta giorni, ha ulteriormente esteso le ipotesi di esecuzione coattiva dell'espulsione e reso l'espulsione amministrativa immediatamente esecutiva anche in caso di impugnazione; la tutela giurisdizionale contro le espulsioni è inoltre garantita da una procedura cartolare, che non prevede necessariamente l'audizione dell'interessato ed ha introdotto una nuova forma di silenzio-assenso, grazie alla quale il nulla osta del giudice all'espulsione di straniero sottoposto a procedimento penale perde sensibilmente in termini di effettività; ha generalizzato il trattenimento del richiedente asilo.”33 Di diverso tono il decreto legislativo 160 del 2008 sul ricongiungimento famigliare con cui si è data attuazione alla direttiva 2003/86/CE.

34 S. SILVERIO, Sulla condizione dello straniero extracomunitario: in particolare sull'immigrato clandestino ovvero

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condivisa anche dall'Unione europea e dai Paesi membri che mostrano anch'essi la tendenza ad adottare

misure straordinarie per controllare l'immigrazione. “L'eccezionalità della situazione, senza precedenti

in relazione alla quantità degli arrivi e alla complessità della ricaduta nel tessuto sociale, è invocata per

giustificare l'adozione di misure emergenziali derogatorie delle ordinarie garanzie giuridiche

incomprimibili per i cittadini, nazionali o comunitari. Uno sguardo al passato rivela invece molte

analogie con il presente e mette a nudo le retoriche dello stato di eccezione dietro cui si nasconde una

ponderata strategia dell'esclusione”35.

extracomunitario, op. cit., p. 642.35 O. GIOLO E M. PIFFERI, Diritto Contro. Meccanismi giuridici di esclusione dello straniero, Giappichelli, 2009.

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2. Il quadro normativo attuale: un sistema che ruota attorno all'espulsione

2.1 Il meccanismo delle quote ed il contrasto all'immigrazione irregolare

Le linee-guida della normativa delineata dal T.U. sono ispirate ad una logica binaria comune a molte

legislazioni europee. Uno dei principali elementi attraverso cui questo sistema si articola è il

meccanismo delle quote36 che affida ad una determinazione politico-amministrativa decisa con

provvedimento del presidente del consiglio dei ministri – il cosiddetto “decreto flussi” - la definizione

delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio a fini lavorativi, tenendo conto dei

ricongiungimenti familiari e degli altri ingressi regolari. Valutando la tenuta di questo sistema in

rapporto al contesto lavorativo ad oggi presente in Italia è possibile dedurre la sostanziale inefficacia di

un meccanismo che, subordinando la regolarità del soggiorno ad una valutazione governativa non

determinata in modo diretto dal “principio domanda-offerta”, si traduce soltanto in un sistema di

regolarizzazione ciclica di stranieri irregolari già presenti nel territorio. “I tentativi degli stati di

regolare e contenere i flussi migratori si rivelano sovente insufficienti a gestire la costante o crescente

pressione migratoria, dovuta principalmente al costante o crescente divario tra i paesi in via di sviluppo

e i paesi a sviluppo avanzato. Gli stranieri che non riescono ad entrare attraverso i canali legali, i c.d.

Clandestini, vanno a costituire quella ormai consistente categoria degli stranieri irregolari assieme a

coloro che, pur entrati regolarmente, perdono lo status di regolare in un momento successivo

all'ingresso”37. Vista l'assenza di adeguati sistemi di ingresso regolare è naturale l'aumento delle

situazioni di irregolarità dei migranti che non avendo accesso per le vie consentite scivolano presto nel

mondo del lavoro sommerso. Paradossalmente l'unica forma di emersione sono proprio le quote che

danno la possibilità di finalmente regolarizzare la posizione irregolare. Il paradosso del sistema

congegnato dal legislatore, che a livello teorico prevede l'ingresso in Italia sulla base di un contratto di

36 All'articolo 3 comma 4 viene così previsto: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri […] sono annualmente definite, entro il termine del 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento del decreto, sulla base dei criteri generali individuati nel documento programmatico, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte ai sensi dell’articolo 20. Qualora se ne ravvisi l’opportunità, ulteriori decreti possono essere emanati durante l’anno. I visti di ingresso ed i permessi di soggiorno per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, sono rilasciati entro il limite delle quote predette. In caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei Ministri può provvedere in via transitoria, con proprio decreto, entro il 30 novembre, nel limite delle quote stabilite nell’ultimo decreto emanato”.37 C. FAVILLI, I diritti dell'immigrato non regolarmente soggiornante, (a cura di) P. BENVENUTI, Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, Il sirente, 2008, p.291

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lavoro già stipulato prima dell'arrivo dello straniero extracomunitario, si completa con l'obbligo per lo

straniero irregolarmente soggiornante ed irregolarmente lavorante che abbia avuto accesso alle limitate

quote annuali di dover uscire dal territorio italiano – in una posizione rischiosa vista la condizione di

irregolarità – per concludere il procedimento volto all'ingresso presso l'ambasciata di provenienza.

Come rileva la dottrina38 la determinazione delle quote “è sempre stata tarata verso il basso, o

addirittura bloccata, si che, ormai da anni, esse servono non più a permettere l'ingresso di nuovi

stranieri bensì soltanto a far emergere una parte degli irregolare già presenti sul territorio nazionale”39.

Tale dinamica si accompagna con la predisposizione di quote privilegiate per alcuni Paesi con i quali

l'Italia ha instaurato rapporti commerciali e collaborazioni per il rimpatrio degli stranieri irregolari. In

tal senso “l'aumento delle quote privilegiate concesse a Paesi che hanno stipulato con l'Italia accordi di

riammissione paiono alludere ad un'ottica premiale, in cui l'ingresso è condizionato alla solerzia che i

Paesi di emigrazione mostrano nel contribuire attivamente al contrasto dell'immigrazione

clandestina”40. Questo profilo è centrale per la gestione odierna dei flussi migratori e lo diventerà

ancora di più in futuro, visto la centralità della collaborazione con i Paesi terzi nel controllo

dell'immigrazione irregolare posta dalla normativa europea.

Il sistema di regolamentazione dei flussi migratori mette in luce la sostanziale esclusione del migrante

dalla possibilità di accesso nel territorio italiano a fini lavorativi al di fuori delle quote annuali. La

dottrina è particolarmente critica sul punto mostrando i profili problematici del sistema in cui si

applicano quelle misure particolarmente afflittive nei confronti dei migranti irregolari che verranno ora

descritte. Le nuove modifiche sono “ispirate dalla medesima ratio di gestione dei flussi migratori

attraverso la predisposizione di un apparato repressivo sempre più duro nei confronti degli immigrati

irregolari, veri protagonisti dell'emergenza sicurezza ormai da anni al centro dell'agone mediatico.

Invece di immaginare misure di progressiva emersione dalla clandestinità per chi nel nostro paese

lavora senza commettere reati (come ben noto la stragrande maggioranza degli stranieri irregolari),

38 Secondo L. PEPINO, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n.94/2009 , op. cit., p.13: “tale sistema integra un vero e proprio «proibizionismo»”39 Per il 2010 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale in data 31/12/2010 la programmazione delle quote di ingresso per i lavoratori extacomunitari realizzatasi a fine gennaio 2011 per un totale di 98.000 ingressi, quasi metà dei quali riservate a lavoratori extracomunitari provenienti da Paesi che abbiano sottoscritto con l’Italia accordi di riammissione e regolazione dei flussi. Come hanno fin da subito denunciato le associazioni a tutela dei migranti, anche quest'anno sarà una “sanatoria mascherata” che lascerà molti migranti ancora nell'ombra. Cfr. Speciale Decreto Flussi 2010/2011 sul sito www.meltingpot.org40 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p. 194-195: “Da quando, con il d.lgs. 286/1998, si è introdotto il meccanismo del decreto flussi si sono registrate due interessanti dinamiche: da una parte il costante aumento della quota di permessi stagionali concessi rispetto a quelli non stagionali e dall'altra il progressivo incremento delle quote privilegiate, ossia concesse a paesi con i quali l'Italia ha stipulato accordi di cooperazione, spesso comprensivi a loro volta di accordi di riammissione”

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lottando così contro lo sfruttamento del lavoro in nero di soggetti resi socialmente deboli proprio dalla

loro condizione di illegalità, la politica del nostro legislatore si è concretizzata in un'escalation di

misure (penali ed amministrative) sanzionatorie della condizione di irregolarità, con lo scopo più di

rassicurare l'opinione pubblica che di contribuire ad una gestione razionale del fenomeno storico che

sta interessando il nostro, come gli altri paesi europei”41

“La disciplina del soggiorno richiederebbe l'introduzione di meccanismi permanenti di regolarizzazione

individuale fondati sul decorso del tempo e su determinati indici di integrazione: meccanismi del

genere incoraggerebbero l'assunzione da parte dei migranti irregolari di comportamenti virtuosi e

assicurerebbero la possibilità di riassorbire quote di irregolarità così contribuendo per un verso, al

contrasto delle economie sommerse e per altro verso, a razionalizzare la gestione dell'irregolarità

stessa”42.

Accanto all'introduzione del reato di immigrazione irregolare, su cui si è prevalentemente puntato

l'attenzione, molte sono le disposizioni che incidono pesantemente sullo status del migrante irregolare.

La valutazione del 10 bis T.U. imm. deve essere fatta congiuntamente ad una riflessione sulle linee di

intervento in materia già delineate dalla legge Turco-Napolitano e inasprite con la Bossi-Fini, che

hanno subito un'ulteriore svolta repressiva con i pacchetti sicurezza del 2008 e del 2009. Con la nuova

legge aumentano non soltanto le difficoltà di ingresso per i migranti irregolari ma anche di integrazione

per i regolarmente soggiornanti43. Numerosi i nuovi profili: vengono aumentati i fattori ostativi

all'ingresso tra cui le condanne per alcune violazioni del diritto d'autore44, viene modificata la disciplina

del ricongiungimento familiare con la modifica dell'articolo 29 comma 3 riformato la lettera a) che ora

subordina la possibilità di ottenere il ricongiungimento alla disponibilità “di un alloggio conforme ai

requisiti igienico-sanitari, nonchè di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali” ed in

materia procedurale viene eliminato il sistema di “silenzio-assenso” introdotto con la legge 40/199845.

41 L. MASERA, “Terra bruciata” attorno al clandestino, in (a cura di) O. Mazza e F. Viganò, , Il "pacchetto sicurezza" 2009 : (commento al d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38 alla legge 15 luglio 2009, n. 94) , Torino, Giappichelli, 2009, p.2842 Cfr. ASSOCIAZIONE ANTIGONE, ASGI, MD, ANGD, Osservazioni sul disegno di legge n.733/S, Questione giustizia, n.1/09, p.14043 Cfr. ASSOCIAZIONE ANTIGONE, ASGI, MD, ANGD, Osservazioni sul disegno di legge n.733/S, op. cit., p.140-141; L. PEPINO, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n.94/2009, op. cit., p.10-1.44 Secondo l'articolo 4 comma 3 ultima parte come modificato dalla l.94/2009: “impedisce l’ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale.” 45 Come riporta A. CASCELLI, Recenti modifiche alla disciplina del ricongiungimento familiare di cittadini extracomunitari, Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti - N.00 del 02.07.2010, aumentano gli “ostacoli frapposti tra la titolarità del diritto e il suo concreto esercizio rischiano di diventare così numerosi da fungere come dissuasore ad intraprendere un percorso di legalità nel tentativo di farsi raggiungere dai propri cari. […] In generale, la percezione è che si sia sempre più di fronte ad una graziosa concessione, piuttosto che al riconoscimento di un diritto, di una possibilità di

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A questo si aggiunge la previsione che subordina il rilascio del titolo di soggiorno per lungo periodo al

superamento di un esame di verifica della conoscenza della lingua italiana, mentre il permesso di

soggiorno diventa una concessione “a pagamento”, infine viene ristretta la disciplina della cittadinanza

con l'introduzione dell'accordo di integrazione che subordina la titolarità del permesso di soggiorno a

crediti da conseguire nel periodo di validità del permesso e la cui perdita integrale comportano la

revoca del titolo abilitativo e l'espulsione del migrante46.

Di fronte alle novità introdotte sembra che la logica binaria che ispirava le politiche del diritto sia stata

abbandonata: “il disegno di legge n.733/S (e la legge 94/2009!) esprime, attraverso opzioni normative

fatte e mancate, una logica di rifiuto dell'immigrazione”47.

Per quanto attiene alla penalizzazione dell'ingresso e del trattenimento dello straniero privo dei requisiti

all'ingresso nello stato italiano, prevista nella sua veste attuale all'articolo 10 bis del T.U. imm., il

maggior contributo di tale novità si coglie sul “piano simbolico-espressivo (che consente oggi al

governo finalmente di affermare di aver introdotto il tanto discusso ed invocato “reato di

clandestinità”)”, non invece sul piano pratico, qualificata dalla dottrina “pressochè insignificante”; tale

profilo emerge visibilmente in relazione alle modifiche subentrate in sede di lavori parlamentari che

hanno ridisegnato l'illecito con pena di natura pecuniaria e con la connessa possibilità di prevedere

l'espulsione come misura sostitutiva, prospettiva residuale sulla carta ma centrale nella realtà vista la

difficile applicazione al migrante dell'ammenda. “In ogni caso nulla cambia in concreto per il migrante:

nel primo caso egli si vedrà condannato al pagamento di una somma di denaro di cui non dispone e

rinchiuso in un CIE in attesa dell'esecuzione del provvedimento amministrativo di espulsione emanato

in ragione del suo ingresso illegale. Nel secondo lo straniero si troverà sottoposto all'esecuzione di un

provvedimento penale di espulsione, da eseguire con le medesime modalità previste per l'espulsione

amministrativa con lo stesso procedimento appena evidenziato”48. La penalizzazione dell'ingresso

irregolare del migrante ha affiancato all'espulsione amministrativa – che continua ad essere prevista - il

ingresso nel territorio dello Stato strumentale all’esercizio del diritto all’unità familiare; che, cioè, l’aspetto del controllo degli ingressi abbia preso il sopravvento sulle garanzie collegate all’esercizio di un diritto soggettivo, contribuendo anche in questo ambito a quell’opera di precarizzazione dello status del migrante regolare che sembra ormai essere parte integrante della politica della “sicurezza”. Sembra invece opportuno che, in quel bilanciamento di valori che il legislatore è tenuto ad effettuare all’atto di delineare la concreta disciplina del ricongiungimento familiare, l’esigenza del controllo dell’afflusso di cittadini stranieri nel territorio dello Stato torni ad avere un peso minore rispetto a quella di tutela della famiglia, trattandosi dell’ambito del diritto dell’immigrazione che più si presta alla promozione di una stabilità di vita e di un percorso duraturo di integrazione, a tutto beneficio della sicurezza tanto dello straniero stesso quanto della società di destinazione”.46 In relazione a questo ultimo profilo nell'Editoriale di Questione giustizia n.4/2009, p.6, viene sottolineato come “l'accordo di integrazione è inevitabilmente destinato a esasperare quella amministrativizzazione e quella precarizzazione della condizione giuridica del migrante che già caratterizzano la disciplina vigente”. 47 Cfr. ASSOCIAZIONE ANTIGONE, Osservazioni sul disegno di legge n.733/S, op. cit., p.135 48 L. MASERA, “Terra bruciata” attorno al clandestino, op. cit., p.32

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procedimento penale disposto dall'articolo 10 bis, configurando la messa in essere contestuale di due

procedimenti, uno penale ed uno amministrativo, volti ad un unico scopo: l'espulsione dello straniero.

In questo senso emerge che “all'interno della complessiva linea di intervento predisposta con le ultime

(e assai rilevanti modifiche normative), il diritto penale gioca un ruolo tutto sommato marginale,

benchè assai visibile e simbolico”49. L'architettura normativa non viene particolarmente modificata

perchè di fatto continua a ruotare attorno all'espulsione del migrante irregolare. Tale assunto conferma

quanto sostenuto dalla dottrina in merito alla ciclicità degli strumenti utilizzati dal legislatore per

gestire questo fenomeno: “se il baricentro dell'instabilità della disciplina è individuabile nelle norme

amministrative e penali relative all'allontanamento dello straniero irregolare, il succedersi delle

normative si presenta spesso come il risultato della riproposizione – in forme anche diverse – di

soluzioni già sperimentate e di istituti già conosciuti. Una costante della successione delle diverse

normative è rappresentata dall'andamento pendolare della disciplina dell'esecuzione delle espulsioni,

ora incentrata esclusivamente su misure amministrative, ora fortemente caratterizzata da istituti

penalistici”50.

2.2. Le misure esecutive dell'allontanamento

Gli strumenti preposti all'allontanamento dello straniero irregolare dal testo unico in materia

immigrazione sono il respingimento alla frontiera, l'espulsione amministrativa e quella disposta

dall'autorità giudiziaria. Ai fini dell'indagine sulla disciplina a cui è sottoposto il migrante che entra nel

territorio italiano privo dei requisiti stabiliti dal testo unico, escluso il respingimento alla frontiera dal

campo di indagine previsto all'articolo 10 del Testo Unico, l'attenzione si concentrerà sull'espulsione

amministrativa51 prefettizia all'articolo 13 comma 2 lettera a e b, e quella giudiziale52 per l'ipotesi

49 L. MASERA, “Terra bruciata” attorno al clandestino, op. cit., p.2950 A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p. XI51 Le espulsioni amministrative si distinguono tra ministeriali e prefettizie. Le prime sono disposte per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello stato (articolo 13 comma 1) o per motivi di prevenzione del terrorismo (prevista dal D.L. 27/7/2005, n.144, c.d. “decreto Pisanu” ne è rimasta soltanto la previsione della fattispecie per mancata conversione il legge nel 2007 a causa della caduta del governo). Le espulsione prefettizie sono invece previste (art. 13 co 2 lett a – b – c) per l' irregolare ingresso e soggiorno, per il ritardo nella presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno o il diniego della stessa e la pericolosità sociale. Integrano altre ipotesi di espulsione l'inottemperanza all'ordine del questore (art.14 comma 5ter), la perdita dei crediti dell'accordo di integrazione (4bis co 2, introdotto con l.94/2009), la condanna irrevocabile per violazione dei diritti d’autore e commercio di prodotti con marchi contraffatti (art. 26 comma 7, introdotto con l.94/2009) ed altre ipotesi stabilite per i soggiornanti Ce.52 Le espulsioni giudiziali possono essere a titolo di misura di sicurezza (artt. 235 e 312 c.p., art. 89 D.P.R. 309/90 e art. 15

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prevista dall'articolo 10 bis T.U. In entrambe le tipologie di espulsione l'atto assume la forma del

decreto motivato immediatamente esecutivo, impugnabile davanti al giudice di pace del luogo in cui ha

sede l'autorità emittente; l'impugnazione però non ha effetto sospensivo, sicchè non può impedire

l'esecuzione del provvedimento (art.13 comma 4 - 8). Lo straniero può perciò fare ricorso, anche

personalmente, al giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione

tramite l’ambasciata italiana o il consolato dal paese d’origine entro sessanta giorni dalla data del

provvedimento di espulsione. Dubbi emergono sulla reale portata di tale diritto, viste la condizioni dei

destinatari del procedimento espulsivo e la constatazione che, quantunque vincessero il diritto a

rientrare, sarebbero comunque subordinati alle quote d'ingresso annualmente stabilite.

L'istituto di regola finalizzato all'esecuzione dei provvedimenti di allontanamento è l'accompagnamento

coattivo alla frontiera. Secondo l'articolo 13 comma 4 l'espulsione è eseguita dal questore a mezzo della

forza pubblica tranne nel caso di trattenimento nel territorio dopo la scadenza del permesso di

soggiorno oltre sessanta giorni e in assenza di richiesta di rinnovo. In tal caso l'espulsione contiene

l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni, tranne quando viene

disposto l'accompagnamento coattivo per il concreto pericolo che lo straniero si sottragga

all'esecuzione del provvedimento (art. 13 comma 5)53.

Nel caso in cui l'accompagnamento alla frontiera non sia immediatamente eseguibile per questioni di

soccorso, per necessità di ulteriori accertamenti a fini identificativi (identità o nazionalità), per

l'acquisizione di documenti per il viaggio, o per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto

idoneo, viene disposto dal questore la permanenza dello straniero in un centro di identificazione ed

espulsione (14 comma 1). La detenzione amministrativa è quindi subordinata al presupposto negativo

rappresentato dall'impossibilità di eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento

alla frontiera ovvero il respingimento54. Al fine di superare le difficoltà pratiche di gestione della fase

T.U.), di sanzione sostitutiva della detenzione (art. 16, co. 1,2,3,4,9 T.U) e dell'ammenda (artt. 10 bis e 16 T.U.; 62 bis D. Lg. 274/2000) o alternativa alla detenzione (art. 16, co. 5,6,7,8,9 T.U.)53 Nel caso di accompagnamento alla frontiera il questore comunica al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida che si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato e se viene concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo, altrimenti il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento dal territorio nazionale (comma 5bis).54 Nel caso di trattenimento presso i centri di identificazione ed espulsione il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall'adozione del provvedimento. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio ed il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive. La convalida può essere disposta anche

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esecutiva dei provvedimenti di allontanamento con la legge Bossi-Fini viene previsto un ulteriore

strumento esecutivo. Il questore, nell'impossibilità di eseguire con immediatezza l'allontanamento

mediante accompagnamento coattivo alla frontiera e, ai sensi dell'articolo 14 comma 5bis,

nell'impossibilità di trattenere lo straniero in un CIE o in alternativa quello del decorso dei termini del

trattenimento senza aver eseguito l'allontanamento, può ordinare allo straniero di lasciare il territorio

dello stato entro cinque giorni55.

Le forme di allontanamento elencate, vista l'incidenza sulla libertà personale, sottostanno alla

previsione costituzionale dell'articolo 1356. La convalida prevista all'articolo 13 comma 4 e 5 e 5bis

garantisce una forma di controllo da parte del giudice di pace che deve vertere sulla verifica

complessiva della legittimità dell'atto presupposto dell'accompagnamento, cioè il provvedimento di

espulsione. In tal modo si evidenzia “lo stretto collegamento tra il provvedimento di espulsione e i

diversi provvedimenti esecutivi al quale occorrerà far riferimento in sede di analisi dei reati collegati

all'espulsione al fine di approfondire la questione della sindacabilità da parte dell'autorità giudiziaria

dei provvedimenti amministrativi a monte delle condotte incriminate”57, funzionale a valutare le

ricadute della nuova normativa europea sul sistema delle espulsioni58. La disciplina sostanziale degli

allontanamenti non ha subito ingenti modifiche dalle ultime novità legislative59. Rilevante invece la

rimodulazione dei termini di trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione60, su cui il

pacchetto sicurezza interviene lasciando inalterate le condizioni legittimanti il trattenimento nei centri

in occasione della convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, nonché in sede di esame del ricorso avverso il provvedimento di espulsione (art.14 comma 3)55 Come verrà successivamente approfondito nella parte relativa ai reati collegati all'espulsione, il quadro si completa con: la previsione dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera nel caso previsto all'art.14 co5-ter (straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis), e l'incriminazione del reingresso a seguito di quest'ultima forma di espulsione; la previsione dell'arresto obbligatorio e dei rito direttissimo; l'introduzione delle nuove fattispecie di reato, di una ulteriore ipotesi di trattenimento. Cfr. A. CAPUTO, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, Questione giustizia n.2-3/04, p. 374 56 Tale assunto venne affermato per la prima volta dalla Corte costituzionale con la sentenza 105/2001 che, con una sentenza interpretativa di rigetto, ribadì l'imprescindibilità di una pronuncia giudiziaria prima dell'adozione di una tal misura. Successivamente venne introdotto l'articolo 13 comma 5bis con l.106/02, modificato in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n.222/04 con l.271/04 (giudizio di convalida deve svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento con garanzia del diritto di difesa). Cfr. a cura di Magistratura Democratica e dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, Espulsione, accompagnamento alla frontiera e trattenimento dello straniero. La normativa dopo la legge n.271 del 2004, in Notiziario di Magistratura democratica, n.34/2005, p.59 ss.57 A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p. 27 58 Rimando al secondo capitolo per i profili di rilevanza costituzionale e alla parte terza per le conseguenze della nuova normativa europea a cui il legislatore italiano non si è ancora adeguato. 59 La novità principale riguarda gli stranieri regolarmente soggiornanti nel caso di perdita dei crediti relativi all'accordo di integrazione previsto dall'articolo 4 bis – introdotto con la legge 94/09 – che comporta l'espulsione secondo lo stesso articolo, eseguita dal questore ai sensi dell'articolo 13 comma 4 TU. 60 Denominazione modificata con il pacchetto sicurezza l.125/08 da “Centri di permanenza temporanea” a “Centri di identificazione ed espulsione”

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di identificazione ed espulsione ma modificando sensibilmente la durata massima della permanenza

all'art. 14 comma 5 T.U.

Fin dall'entrata in vigore del T.U. il trattamento era suddiviso in due periodi di venti giorni prorogabili

per altri venti. Con la legge Bossi-Fini il trattenimento è stato suddiviso in due periodi da trenta giorni:

per i primi trenta giorni il provvedimento di trattenimento è disposto dal questore e deve essere

convalidato dal giudice se sussiste uno degli impedimenti previsti all'articolo 14 comma 161, in attesa

del nulla osta all'espulsione quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale secondo l'articolo

13 comma 362 o in attesa della definizione del procedimento di convalida dell'accompagnamento alla

frontiera dello straniero extracomunitario (art. 13 comma 5 bis)63 o del provvedimento di

allontanamento disposto nei confronti del familiare extracomunitario di cittadino comunitario per

motivi di sicurezza dello stato o di pubblica sicurezza (art. 20 comma 11 e 12, 20ter d.lgs. 30/07 come

mod. con 32/08)64. Il primo periodo può essere esteso per altri trenta giorni dal giudice su richiesta del

questore qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità, ovvero l'acquisizione di documenti per

il viaggio presenti gravi difficoltà, per un totale di sessanta giorni (art. 14 comma 5). Con le nuove

disposizioni della legge 94/09 su questo sistema si innestano altre due proroghe. Una seconda proroga,

rispetto alla prima di trenta giorni, può essere disposta per ulteriori sessanta giorni in caso di mancata

cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della

necessaria documentazione dai Paesi terzi. Non si evince dal dato normativo una descrizione dettagliata

degli elementi sui quali si può fondare tale estensione della limitazione della libertà personale e si teme

61 Cfr. supra62 Art. 13 comma 3 “(...) Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa. In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali. Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione con le modalità di cui al comma 4. Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro sette giorni dalla data di ricevimento della richiesta. (3) In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea, ai sensi dell'articolo 1463 Art. 13 comma 5-bis. Nei casi in cui l'espulsione avviene per accompagnamento alla frontiera o per intimazione a lasciare il territorio entro 15 giorni (art. 13 comma 4 e 5) il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. (…) In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui all'articolo 14 (…).64 P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri, Diritto Immigrazione Cittadinanza, 4/09, pag. 87

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perciò una differente applicazione sul territorio nazionale65. “In ragione della riserva assoluta di legge

concernente le restrizioni della libertà personale prevista dall'articolo 13 Cost. occorre dare

l'interpretazione più rigorosa possibile di questa seconda nuova proroga del trattenimento”66. Secondo

l'interpretazione data dalla dottrina67 la mancata collaborazione allude soltanto alla sfera dello straniero

quindi alla volontà di non fornire le sue esatte generalità, tacendole o declinandole falsamente. Perciò

al fine di dimostrare la mancata collaborazione al rimpatrio occorre riferirsi a dati concreti che attestino

che lo straniero, opportunamente informato, si sia coscientemente sottratto alla collaborazione e che vi

siano elementi di carattere doloso addebitabili allo straniero stesso (ad esempio la distruzione di

documenti di viaggio o di identificazione). Per quanto riguarda invece il ritardo nell'ottenimento della

necessaria documentazione del paese di destinazione dell'espellendo è necessario dimostrare l'effettiva

necessità della documentazione ai fini di dare esecuzione all'espulsione. Infine qualora non sia

possibile procedere all’espulsione in quanto, nonostante che sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo,

persistono le condizioni di cui al periodo precedente, il questore può chiedere al giudice un’ulteriore

proroga di sessanta giorni per un tempo complessivo di centottanta giorni68. In questo modo l'articolo

14 comma 5 triplica i termini massimi di trattenimento portandoli da due a sei mesi mantenendo lo

stesso procedimento: i prolungamenti vengono concessi senza contraddittorio, “inaudita altera parte”.

Su questo problema è intervenuta la Cassazione civile sezione I con sentenza n.13767 dell'8/6/201069

osservando che nel caso di specie il giudice di pace non può prorogare la durata del trattenimento di un

immigrato irregolare senza aver previamente fissato l'udienza camerale, l'audizione dell'interessato ed

aver fatto la comunicazione al difensore70. Un altro elemento critico riguarda l'impossibilità di

65 Cfr. G. SAVIO, Respingimento, espulsione e accompagnamento alla frontiera, in P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e cittadinanza, Utet, 2009, pag.36: “Non è affatto chiaro in cosa consista la mancata cooperazione al rimpatrio da parte dello straniero trattenuto e, conseguentemente, quale sia il limite al di sotto del quale la cooperazione è insufficiente (o mancante) e quello al di sopra del quale tale cooperazione è invece sufficiente. In mancanza di tali criteri valutativi univoci e predeterminati per legge è facilmente intuibile l'instaurazione di prassi diverse sul territorio nazionale, essendo invece certo che la mancata cooperazione cesserà di produrre i suoi effetti solo quando sarà stato possibile eseguire l'accompagnamento in frontiera.” 66 P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri, op. cit., pag.8867 Cfr. P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri , op. cit e G. SAVIO, Respingimento, espulsione e accompagnamento alla frontiera, op. cit.68 Tale ipotesi si applica soltanto nel caso in cui debba essere effettuata l'espulsione: nel caso dello straniero destinatario di respingimento il trattenimento non può essere perciò superiore ai centoventi giorni. Infine secondo l'articolo 21 co.2 d.lgs. n. 25/2008 è possibile disporre una proroga di ulteriori trenta giorni nel caso di presentazione della domanda di protezione internazionale. 69 Cfr. C. CRUCIANI, Extracomunitari irregolari: garanzie sul trattenimento nei centri d'espulsione. Cassazione civile, sez. I, sentenza 08.06.2010 n. 13767, www. Altalex.com70 Cfr. Sentenza 8 giugno 2010, n. 13767 Cass. Civ. I sez.: “La Corte costituzionale, con la sentenza n. 222 del 2004, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale del D. lgs n. 286 del 1998, art. 13, comma 5 bis, introdotto dal D.L. 4 aprile 2002, n. 51, art. 2 convertito, con modificazioni, nella L. 7 giugno 2002, n. 106, nella parte in cui non prevede che il giudizio di

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modulare la durata delle due proroghe già definite dalla legge.

convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa, ha osservato che nel quadro normativo innanzi menzionato, la tutela giurisdizionale non si arresta all'impugnativa del decreto di espulsione, ma si estende anche al provvedimento del questore di trattenimento in un centro di permanenza temporanea. Tale provvedimento deve essere trasmesso al giudice senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore ed è assoggettato alla convalida nei modi di cui all'art. 737 c.p.c. e segg. sentito l'interessato, con cessazione di ogni effetto qualora non sia convalidato nelle quarantotto ore successive" (art. 14, comma 4). La convalida dell'autorità giudiziaria riguarda anche l'eventuale provvedimento di proroga del trattenimento, con possibilità di ricorso in Cassazione (art. 14, comma 6)". Pertanto, solo una manifestamente irragionevole interpretazione delle norme di cui ai commi 4 e 6 dell'art. 14 cit. porterebbe ad escludere l'applicabilità del procedimento camerale di convalida in relazione alla richiesta di proroga del trattenimento; richiesta che deve essere presentata prima della scadenza dell'originario termine, in guisa da consentire al giudice di pace di provvedere nelle quarantotto ore sentito l'interessato. Invero, la richiesta di proroga e gli atti che la corredano devono pervenire all'Ufficio del giudice di pace nel rispetto del termine di cui al comma 4 e cioè in tempo utile perchè, usando di detto termine per la convocazione dell'originario (o sostituito) difensore e dello stesso interessato, per la tenuta dell'udienza camerale nonchè per la redazione del decreto motivato, il giudice possa depositare il decreto di proroga entro le 48 ore dalla ricezione della richiesta (Cass. n. 9002 del 2000) ma prima della scadenza del termine ex lege assegnato a suo tempo con la convalida. (Sez. 1^, n. 4544 del 2010).”

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3. Penalizzazione dell'ingresso e del soggiorno irregolare (art.10 bis T.U.)

Introduzione

La nuova fattispecie penale introdotta con la legge 94/2009 in materia di ingresso e soggiorno

irregolare prevede all'articolo 10 bis che “lo straniero che fa ingresso o si trattiene irregolarmente nel

territorio dello stato, in violazione delle norme poste dal testo unico e quelle che disciplinano l'ingresso

e i soggiorni brevi all'art.1 legge 28/5/2007 n.6871 sia punito con l'ammenda tra 5.000 e 10.000 euro,

non oblazionabile”.

La norma attuale ha subito ripetuti interventi di modifica in sede di lavori preparatori ed è il “frutto di

un processo particolarmente emblematico”72. Il disegno di legge originario (ddl. 733/2009) all'articolo 9

puniva con la reclusione da sei mesi a quattro anni la sola condotta di ingresso (comma 1) e prevedeva

dal punto di vista processuale l'arresto obbligatorio in flagranza e rito direttissimo (comma 2); infine

stabiliva che il giudice nel pronunciare sentenza ordinasse l'espulsione dello straniero (comma 3).

L'articolo 10 bis73 nella versione finale si presenta notevolmente modificato: da un lato è stata attenuata

l'iniziale severità con il passaggio da delitto a contravvenzione74 mentre la condotta dell'ingresso è stata

71 Tali norme amministrative “costituiscono il parametro di liceità dell'intera condotta attiva od omissiva delle due ipotesi criminose, nel senso che esse rappresentano il criterio fondamentale del giudizio di disvalore penale, tutto racchiuso nella violazione delle regole amministrative dell'ingresso e del soggiorno.”; cfr. C. Renoldi, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 4372 P. PISA, Sicurezza atto secondo: luci ed ombre di un'annunciata mini riforma, Diritto penale e processo, n.1/09, p.573 Art. 10-bis Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonchè di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 1 3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274. 4. Ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’articolo 13, comma 3, da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento di cui all’articolo 10, comma 2, all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato. 5. Il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’articolo 13, comma 14, si applica l’articolo 345 del codice di procedura penale. 6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere”.74 Per una riflessione critica sul passaggio da reato a contravvenzione Cfr. C. RENOLDI, Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione, op. cit., p.16: “Una scelta che rivela un'evidente indifferenza del legislatore verso i principi generali di politica criminale, che vorrebbe differenziare la scelta del paradigma penale in funzione del suo peculiare substrato sostanziale”. Per un'indagine sulla distinzione tra reato e contravvenzione; cfr. T. PADOVANI, Il binomio irriducibile. La distinzione dei reati in delitti e contravvenzioni, fra storia e politica criminale , in (a cura di) G. MARINUCCI E E. DOLCINI, Diritto penale in trasformazione, Giuffrè, 1985, p. 421 ss.

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integrata dal trattenimento. Tale mutamento ha comportato l'eliminazione del rito direttissimo ed il

passaggio di competenza al giudice di pace, secondo una apposita procedura ah hoc75. Su tale modifica

la dottrina si è ampiamente espressa accogliendo positivamente il ridimensionamento della portata

sanzionatoria del reato ma al contempo ha ribadito la significanza di un mutamento così repentino e

determinante. Come osserva Pisa76, “è forte l'impressione che si sia in realtà puntato più sull'effetto-

annuncio del nuovo reato che sulla capacità repressiva dello strumento adottato. A conferma di ciò l'iter

legislativo che ha portato alla versione finale dell'art.10 bis. Di fronte al rischio di una “carcerizzazione

di massa” dei cosiddetti clandestini, nel corso dei lavori parlamentari il delitto viene derubricato in

contravvenzione punita con la sola ammenda”.

3.1 Gli elementi della fattispecie

Il soggetto attivo viene definito al primo comma nello straniero non appartenente alla comunità europea

e nell'apolide; ciò configura un reato proprio che può essere commesso soltanto dal cittadino straniero

extracomunitario77. Emerge chiaramente – per la ristretta soggettività attiva sanzionata – su quale bene

giuridico si concentri la tutela data dalla norma: la gestione dei flussi migratori secondo le modalità

stabilite dalla legge. Come sottolineato dalla Corte Costituzionale78, il disvalore giuridico rappresentato

dalla condotta si radica nella violazione delle norme amministrative poste nella gestione dei flussi

migratori ed il contenuto afflittivo minimo rappresenta il “minimo contenuto d'illecito rappresentato

dalla condotta rimproverabile al singolo straniero, tanto più considerato come tale condotta non apporti

che un minimo contributo alla lesione del mega-bene giuridico rappresentato dalla gestione dei

flussi”79. Al comma secondo si ritiene la fattispecie non applicabile nel caso di respingimento80, mentre

75 Già su questa prima modifica in sede di creazione sono emerse valutazioni sulla reale portata della norma cfr. P. PISA, Sicurezza atto secondo: luci ed ombre di un'annunciata miniriforma, op. cit., p. 6: “La modifica evidenzia che si è imboccata la strada di un'applicazione simbolica della sanzione penale. In realtà il nuovo reato finisce per rappresentare il presupposto di un'espulsione conseguente alla condanna.”76 P. PISA, La repressione dell'immigrazione irregolare: un'espansione incontrollata della normativa penale?, op. cit, p. 5.77 Sui reati propri cfr. D. PULITANÒ, Diritto penale, Giappichelli, Torino, 2006: “La previsione normativa di reati propri presuppone e riafferma una particolare relazione fra la categoria di soggetti e gli interessi che si vuol tutelare: come destinataria del precetto è individuata una categoria di soggetti che si trovano nella posizione di potenziali offensori degli interessi protetti, per essere tali interessi in qualche modo collegati ed esposti alla loro sfera d'azione o di potenziale controllo”. 78 Cfr. sentenza n.250/2010 in cui ha rigettato le censure mosse rispetto alla sanzione dello status di immigrante irregolare, ribadendo che la condotta di entrare irregolarmente costituisce una violazione delle norme disposte nel testo unico. 79 L. MASERA, “Terra bruciata”attorno al clandestino, op. cit., p.3780 L’articolo 10 del T.U. detta la disciplina del respingimento al valico di frontiera, disponendo che la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai suddetti valichi senza avere i requisiti richiesti dal testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato.

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il reato rimane integrato nell'ipotesi di “respingimento differito”, cioè per coloro i quali “entrando nel

territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo,

ovvero che presentandosi ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico

per l'ingresso nel territorio dello Stato, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità

di pubblico soccorso”81.

Le condotte punibili nella versione finale della norma sono l'irregolare ingresso e permanenza nel

territorio dello stato82, trattandosi perciò di una norma penale a più fattispecie ovvero mista. Per

delineare la condotta di attraversamento irregolare dei confini rileva l'articolo 4 comma 1, rubricato

“ingresso nel territorio dello stato”, da cui si evince che l'ingresso è irregolare quando: è avvenuto

senza che lo straniero fosse in possesso di un passaporto valido o documento equipollente e del visto

d'ingresso, salvi i casi di esenzione, ovvero sottraendosi ai controlli ai valichi di frontiera, salvo sia

stato determinato da forza maggiore 83. L'ingresso irregolare integra un reato istantaneo che si produce

81 Sulle motivazioni di tale differenziazione: secondo P. PISA, La repressione dell'immigrazione irregolare: un'espansione incontrollata della normativa penale?, op. cit., p.6: “Il legislatore esclude l'applicazione della pena in caso di adozione di un “provvedimento di respingimento”, evitando il paradosso di contestare ad un soggetto fisicamente respinto un reato che implicherebbe la sua presenza nel processo penale davanti al giudice di pace”, mentre C. RENOLDI, Le principali modifiche alle norme penali in materia immigrazione, op. cit., p.16 sostiene che avviene “ciò presumibilmente in considerazione del venir meno del disvalore della condotta in presenza di un respingimento realizzato nell'immediatezza dell'ingresso”82 G. Savio elenca le situazioni in cui, per la lettura congiunta con altre disposizioni del TU il reato non viene integrato : “1) lo straniero che si presenta ai valichi di frontiera senza avere i requisiti per l’ingresso ma è temporaneamente ammesso sul T.N. per necessità di pubblico soccorso, se l’ingresso è determinato da cause non addebitabili alla straniero ( naufragio, avaria dell’aereo); 2) lo straniero che è stato fatto entrare in modo incolpevole perché vittima di tratta o di favoreggiamento dell’ingresso o del transito illegale compiuto da altri soggetti a fini di sfruttamento; 3) lo straniero soccorso in acque internazionali da navi italiane e portato a terra per necessità di soccorso, 4) tutte le ipotesi di inespellibilità previste dall’art. 19, co. 1 e 2 T.U. Imm.; 5) le ipotesi in cui vengano accordate misure di protezione temporanea per motivi umanitari, in conseguenza di afflusso massiccio di sfollati, 6) lo straniero che sia genitore, anche naturale, di minore italiano residente in Italia, a condizione che non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana; 7) tutti i casi di respingimento immediato alla frontiera, 8) tutti i casi in cui lo straniero presenta spontaneamente domanda di protezione internazionale al momento dell’ingresso in Italia; 9) lo straniero familiare di cittadino comunitario che renda disponibile passaporto e visto entro 24 ore dalla richiesta; 10) i minori stranieri; 11) lo straniero che sia in attesa della risposta alla domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno; 12) tutte le fattispecie in cui l’illegalità dell’ingresso o soggiorno è già elemento costitutivo di più gravi reati; 13) lo straniero familiare di cittadino italiano, comunitario o non comunitario, che sia nelle condizioni di ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari, se era titolare di un permesso di soggiorno scaduto da non meno di un anno; 14) lo straniero familiare di cittadino comunitario che soggiorna per un periodo non superiore a tre mesi che accompagna o raggiunge, se è in possesso di passaporto ed è entrato con visto; 15) lo straniero detenuto a qualsiasi titolo o sottoposto ad altri provvedimenti coercitivi personali o limitativi della libertà di circolazione , anche se fruisce di misure alternative alla detenzione; 16) lo straniero espulso che permane in Italia per diniego del nulla osta da parte dell’A.G.; 17) lo straniero vittima di violenza o grave sfruttamento per cui sia in fieri un percorso ex art. 18 T.U; 18) lo straniero che abbia ottenuto un provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva, in pendenza di ricorso, di un provvedimento di diniego di permesso di soggiorno o di espulsione; 19) lo straniero che abbia chiesto o ottenuto la speciale autorizzazione dal tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 31, co. 3, T.U.; 20) lo straniero che abbia effettuato il ricongiungimento familiare, o sia un familiare ricongiunto che sia meritevole di non essere espulso in ragione della natura e dell’effettività dei vincoli familiari , della durata del suo pregresso soggiorno, e dell’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il suo paese di origine.” cfr. G. SAVIO, Il reato di cui all’art. 10 bis t.u. 286/98 e altre fattispecie connesse alla condizione dello straniero irregolare, Relazione, Corso di formazione ed aggiornamento sulla normativa in materia di immigrazione organizzato dal progetto Melting pot europa e da Asgi, Padova, 21-25 maggio 2010, www.meltingpot.org83 I documenti che in base al testo unico permettono l'ingresso regolare sono: 1. il passaporto valido, se correlato al possesso

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nel momento e nel luogo in cui lo straniero fa ingresso irregolare nel territorio dello stato84.

La permanenza illegale si qualifica invece nel trattenersi nel territorio quando sono venute meno le

condizioni per la permanenza regolare; in particolare nel caso in cui lo straniero abbia fatto ingresso

regolare ma non abbia richiesto il permesso di soggiorno entro otto giorni dal suo ingresso al questore

della provincia dove si trova, oppure se il permesso di soggiorno85 è stato revocato o annullato, ovvero

è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato più chiesto il rinnovo ovvero se lo straniero non ha

dichiarato la presenza in caso di soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio86. Viene a

configurarsi perciò come reato permanente, in riferimento alla durata della condotta nella quale si può

distinguere il momento in cui la contravvenzione si perfeziona, dal momento in cui avviene la

consumazione, che normalmente coincide con il suo accertamento. In relazione a tale natura il

trattenimento diverrà rilevante nel caso in cui deriva da ingresso regolare nel territorio e per questo si

perfezionerà soltanto dopo il trascorrere del tempo stabilito dalla legge87.

Diverse sono invece le ipotesi in cui lo straniero permanga in Italia dopo cinque giorni dall'ordine di

allontanamento del questore, reato previsto all'articolo 14 comma 5 ter T.U., o in caso di

allontanamento vi faccia rientro prima della scadenza del termine stabilito nel provvedimento di

allontanamento, configurandosi in questo caso l'ipotesi prevista all'articolo 13 comma 13 e comma 13

bis. Per l'individuazione del luogo dove si compie il reato la regola supplettiva prevista all'articolo 9 del

d.lgs. 274/2000 consente di superare i problemi creati dalla regola stabilita per i reati permanenti

(“luogo dell'inizio della consumazione”) ancorando la competenza presso il giudice di pace in cui è

avvenuta parte dell'azione, cioè nel luogo in cui viene accertata la condotta del trattenimento88.

L'articolo si apre con una clausola di riserva, “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”, che serve a

circoscrivere la portata della norma limitando l'applicazione delle due figure di reato soltanto quando

di adeguata documentazione atta a confermare lo scopo e il le condizioni del soggiorno, la disponibilità di mezzi di sussistenza, il fatto che l'ingresso sia avvenuto attraverso i valichi di frontiera. 2. visto d'ingresso, salva esenzione; come stabilito dal ministro degli esteri anche in attuazione di accordi internazionali conclusi. 84 Cfr. P. PISA, La repressione dell'immigrazione irregolare: un'espansione incontrollata della normativa penale?, op. cit., p. 6: “Poichè l'accertamento degli ingressi è statisticamente raro, l'accertamento in flagranza di questa condotta avrà un peso assai relativo”85 I documenti che in base al testo unico legittimano la presenza in Italia sono il permesso di soggiorno, la cui durata è variabile a seconda dei motivi del soggiorno (art. 5 TU) e la carta di soggiorno per i soggiornanti di lungo periodo (art.9 TU).86 Articolo 1 della legge 68/0787 Su questa questione è stata avanzata una questione del ricorso sulla costituzionalità dell'articolo 10 bis. Il problema ineriva alle situazioni dei soggetti irregolari presenti nel territorio prima della legge i quali erano tenuti ad “autodenunciarsi” ovvero a lasciare il territorio per non incorrere nel reato, situazione che secondo i giudici remittenti è “in contrasto con il principio nemo tenetur se detegere, costituente espressione del diritto di difesa”. La corte ha rigettato la questione affermando che “Non potrebbe essere, in effetti, questa Corte a stabilire «un termine e una modalità operativa» per consentire a detti stranieri di allontanarsi spontaneamente dall’Italia senza incorrere in responsabilità penale, trattandosi di operazione che implica scelte discrezionali di esclusiva spettanza del legislatore”. Cfr. Considerato in diritto n.15 88 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 6

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l'ingresso o la permanenza non costituiscano più grave reato, realizzando il principio penalistico della

sussidiarietà89. La previsione determina che nel caso di ingresso irregolare la successiva permanenza,

realizzata in violazione delle norme amministrative, si qualificherà penalmente irrilevante, mentre per

converso il soggiorno irregolare costituente reato avrà quale implicito presupposto negativo che

l'ingresso non sia stato realizzato illegalmente90 .“Ciò serve a connotare le due figure di reato in termini

residuali e come fattispecie di chiusura del sistema, in rapporto di reciproca alternatività.91

Nel caso invece di concorso tra le fattispecie di cui all'art.10 bis e quelle previste dall'art.14 co.5ter,

cioè nel caso di inottemperanza all'ordine del questore in seguito ad espulsione amministrativa, “la

clausola di sussidiarietà opera soltanto qualora vi sia contestualità delle due violazioni. Diversamente,

ove lo straniero abbia già integrato una delle fattispecie di ingresso o soggiorno illegale e si renda

successivamente responsabile dell'inosservanza dell'ordine del questore, il concorso apparente di norme

non troverà applicazione”92 93.

Ulteriore problema si poneva a livello interpretativo in rapporto all'aggravante speciale introdotta con

la legge 94/2009 all'art. 61 co1 n11 bis94, successivamente dichiarata incostituzionale con sentenza

n.249 del 2010.

Di notevole rilievo in comparazione con l'articolo 14 co5 ter del testo unico che disciplina

l'inottemperanza all'ordine di espulsione, la mancata previsione della clausola del “giustificato motivo”

“che assolve alla funzione di escludere la tipicità in presenza di situazioni di significativo bisogno che

89 Di particolare interesse è la ricostruzione fatta da P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri, Diritto Immigrazione Cittadinanza, 4/09, pag. 105ss., sull'importanza essenziale della sussidiarietà e sulle condotte che integrano il reato e le molte ipotesi di ingresso o soggiorno irregolare che non configurano il reato. L'autore sostiene che molteplici sono le situazioni che non rientrano nella previsione; a titolo di esempio per quanto riguarda l'ingresso irregolare: per effetto di reati di ingresso o transito illegale di stranieri (12 TU), per motivi umanitari (art.19), per motivi familiari nel caso di genitore di minore italiano residente in Italia sul quale esercita la patria potestà genitoriale (art.30 co1 lett c-d), per essere fattispecie già punite più gravemente come reati (art.13 co13 e co13bis, 5co8bis, 6co3 TU), per minori stranieri non accompagnati, per cittadini extracomunitari che siano familiari di cittadini comunitari (art. 5 co 5 d.lga.30/2007). Per quanto riguarda il soggiorno: se dopo che siano trascorsi almeno 8 giorni lavorativi dall'ingresso regolare sia in attesa di risposta alla domanda di rilascio o rinnovo o conversione del permesso di soggiorno, se presentata domanda di protezione internazionale (eventuale trattenimento in CIE o CARA), per fattispecie già previste quali reati puniti più gravemente (art.14 co5ter e quater), etc. 90 A. CAPUTO, Nuovi reati di ingresso e di soggiorno illegale dello straniero nello stato, in S. CORBETTA, A. DALLA BELLA, G.L. GATTA, Sistema penale e sicurezza pubblica: le riforme del 2009, Milano, 2009, pg.237 Contra P. PISA, La repressione dell'immigrazione irregolare: un'espansione incontrollata della normativa penale?, op. cit., pag. 6, nel quale sostiene che la fattispecie in esame verrebbe integrata anche nel caso di ingresso clandestino: “si incrimina lo straniero che si trattiene nel territorio sia che si tratti di un soggetto entrato clandestinamente sia che si tratti di uno straniero dapprima regolarmente presente, ma successivamente divenuto irregolare”91 C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 4292 BRICHETTI – PASTORELLI, L'ingresso illegale diventa reato di clandestinità, Guida al diritto, 34/2009, p.3193 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 4294 Art. 61Circostanze aggravanti comuni: “Aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze 11-bis) l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale.

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rendano l'osservanza delle norme concretamente inesigibile pur senza che ricorra una situazione di

insuperabile cogenza”95. Questo profilo è stato oggetto di intenso dibattito dottrinale per l'assunta

illegittimità costituzionale in relazione all'articolo 3 e all'articolo 27 comma 1, posizione stralciata dalla

Corte Costituzionale, come successivamente dettagliato96.

In entrambe le fattispecie incriminatrici è possibile dedurre che il giudizio di rimprovero da parte

dell'ordinamento scaturisce dall'inosservanza delle regole che rendono legale la permanenza: “il

giudizio di disvalore non si appunta sulla condotta attiva di trattenimento, apprezzabile

naturalisticamente come accadimento fenomenico, quanto nel non allontanarsi dal territorio italiano in

violazione delle norme che vietano la permanenza”, configurando nel caso del trattenimento un reato

omissivo proprio. Questo connotato comporta evidenti problematiche in ragione del fatto che la

condizione di regolarità può essere “legata al verificarsi di situazioni che possono sfuggire alla sfera di

controllo del destinatario del comando”. In ragione di ciò acquisiscono necessaria rilevanza le

situazioni in cui l'agente si trovi nell'impossibilità di effettuare l'azione comandata, andando altrimenti

a porsi in contrasto con il principio a base delle fattispecie omissive del “ad impossibilia nemo tenetur”.

Un riflesso di tale problema concerne il fatto che la norma incriminatrice non prevede un termine entro

il quale il destinatario dell'obbligo di azione deve ottemperare al precetto normativo; con ciò

configurandosi un elemento di profonda distonia rispetto ai principi fondamentali su cui si regge

l'architettura delle fattispecie omissive97. Essendo il reato in questione una contravvenzione viene

95 P. MOROZZO DELLA ROCCA, Inespellibilità e regolarizzazione dello straniero presente sul territorio nazionale, in P. MOROZZO DELLA ROCCA, Immigrazione e cittadinanza, 2008, p. 170896 La dottrina sul punto si richiamava la sentenza della Corte Costituzionale n.22/2007– nonostante la diversa afflittività del trattamento sanzionatorio nei due diversi casi - che sostiene: “quanto all’eccessivo rigore della norma censurata, lamentato in gran parte delle ordinanze di rimessione, da cui si dedurrebbe una irragionevolezza intrinseca della norma stessa, si deve anzitutto ricordare che questa Corte, conformemente alla sua recente giurisprudenza ha sottolineato «il ruolo che, nell’economia applicativa della fattispecie criminosa, è chiamato a svolgere il requisito negativo espresso dalla formula “senza giustificato motivo”, presente nella descrizione del fatto incriminato dal citato comma 5-ter dell’art. 14». Tale formula, secondo la citata giurisprudenza, copre tutte le ipotesi di impossibilità o di grave difficoltà (mancato rilascio di documenti da parte dell’autorità competente, assoluta indigenza che rende impossibile l’acquisto di biglietti di viaggio e altre simili situazioni), che, pur non integrando cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero di prestare osservanza all’ordine di allontanamento nei termini prescritti.” Ed infine sottolinea “la rigorosa osservanza dei limiti dei poteri del giudice costituzionale non esime questa Corte dal rilevare l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie prima evidenziate.” La corte costituzionale però nella sentenza 250/2010 si è espressa in modo contrario ponendo in evidenza altri profili e ritenendo la norma non censurabile.97 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., pag.46. Qui l'autore introduce una riflessione sul diritto penale d'autore che verrà ripresa più avanti: “E' evidente che ove si ritenesse che il reato venga integrato istantaneamente al verificarsi della situazione di illegalità, magari conseguente ad una decisione dell'autorità amministrativa frutto di una valutazione discrezionale, lo straniero non avrebbe alcuna concreta possibilità di conformarsi alla regola di condotta, dovendo essere obbligato ad espatriare seduta stante ed essendo quindi costretto ad una condotta chiaramente irrealizzabile. (…) Se pertanto la fattispecie in esame si caratterizza per l'imputazione di elementi tra i più significativi della fattispecie a prescindere dalla effettiva possibilità di conformarsi alla regola di condotta, allora può fondatamente sostenersi che il legislatore abbia in realtà costruito un “reato insito nelle persone” dei migranti irregolari (…).”.

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ammessa pacificamente l'imputazione anche colposa98. Controverso è invece la trattazione dell'errore

da parte del soggetto attivo sulla propria condizione di irregolarità; si tratta infatti di un “reato di pura

creazione legislativa” destinato a soggetti che presumibilmente per la prima volta entrano in contatto

con il nostro ordinamento” situazione che porta a nutrire “fondate perplessità circa la loro

raggiungibilità dell'imperativo penale”99. Secondo le regole generali in materia di imputazione

soggettiva nell'illecito contravvenzionale, l'errore o ignoranza sull'esistenza di un elemento di

fattispecie quale lo status di irregolare – sia che si tratti di error facti nel caso di mancata conoscenza in

fatto del contenuto di un decreto di diniego del rinnovo del titolo di soggiorno, pur regolarmente

notificato, ovvero come error juris nel caso di errore nell'interpretazione delle norme amministrative

sull'ingresso o sul soggiorno – escluderà il reato100. La possibilità di far rientrare il caso in esame nella

previsione all'articolo 5 cp. dipende a parere della dottrina se viene ritenuta necessaria la conoscibilità

della natura specificamente penale della condotta, ovvero sia sufficiente la riconoscibilità della generica

illiceità della stessa. In questo secondo caso si ritiene molto difficile sostenere l'inconoscibilità del

carattere illecito dell'ingresso senza documenti validi, la cui illegittimità è comune a tutti gli

ordinamenti del mondo; la situazione è pertanto difficilmente configurabile nel caso di ingresso

irregolare mentre è ipotizzabile nei casi di perdita dei requisiti per regolare soggiorno entro i termini

previsti dalla legge101.

3.2. Profili processuali

L'articolo 17 della legge 94/09 introduce alcune modifiche all'articolo 4 comma 2 della d.lgs. 274/00

sulla competenza attribuita al giudice di pace. Con l'aggiunta della lettera s-bis la cognizione delle due

fattispecie contravvenzionali passa al giudice di pace (art.17 lett a), come richiamato al comma terzo

dell'articolo 10 bis. Vengono inoltre introdotte due nuove modalità di celebrazione del processo a carico

del clandestino (art.17 lett b), che vanno ad aggiungersi a quelle forme di celebrazione del dibattimento

nel giudizio penale avanti il giudice di pace previste all'articolo 20 (citazione da parte del pubblico

98 Articolo 42 comma 4 cp: “Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.”99 L. MASERA, “Terra bruciata” attorno al clandestino, op. cit., p. 44100 Cfr. D. PULITANÒ, Diritto penale, Giappichelli, Torino, 2006 101 Tale posizione è sostenuta da L. MASERA, “Terra bruciata” attorno al clandestino, op. cit., p. 45; di altro avviso C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., pag.48 che sostiene invece: “Nelle ipotesi che ci occupano è peraltro ovvio che la presenza di una disciplina nuova, ad elevato coefficiente di complessità tecnica, attuata sulla base di disposizioni o prassi di incerto segno applicativo, interpretata da una giurisprudenza disomogenea negli approdi esegetici, potrà certamente condurre a riconoscere l'effetto scusante dell'errore, anche tenuto conto delle conoscenze che possano ragionevolmente pretendersi da un soggetto che abbia lo stesso background culturale e le medesime competenze dell'agente (c.d. Modello dell'homo ejusdem condicionis ac professionis)”

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ministero) e all'articolo 21 (il ricorso immediato della persona offesa, per i reati procedibili a

querela)102.

La nuova normativa interviene sia per quanto riguarda le regole di introduzione del giudizio sia nella

disciplina del suo svolgimento.

L'articolo 20 bis regola la citazione in giudizio ordinaria per i reati procedibili d'ufficio, in caso di

flagranza di reato ovvero quando la prova è evidente. La polizia giudiziaria chiede al pubblico

ministero l’autorizzazione a presentare immediatamente l’imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace

(comma1)103. Il pubblico ministero, salvo ritenga di richiedere l’archiviazione, autorizza104 la

presentazione immediata nei quindici giorni successivi, altrimenti se non ritiene sussistere i presupposti

per la presentazione immediata o se ritiene la richiesta manifestamente infondata ovvero presentata

dinanzi ad un giudice di pace incompetente per territorio, il pubblico ministero provvede ai sensi

dell’articolo 25, comma 2 (comma 3)105. Infine l'ufficiale giudiziario notifica senza ritardo all’imputato

e al suo difensore copia della richiesta della polizia giudiziaria e l'autorizzazione del pubblico ministero

(comma 4). Tali atti sono poi depositati nella segreteria del pubblico ministero unitamente al fascicolo

contenente la documentazione relativa alle indagini espletate, il corpo del reato e le cose pertinenti al

reato, qualora non debbano essere custoditi altrove (comma 5, rinvio all'articolo 20 comma 5).

L'articolo 20ter prevede una procedura particolare applicabile nei casi previsti dall’articolo 20bis,

102 La disciplina ordinaria dell'esercizio dell'azione penale nel procedimento davanti al giudice di pace prevede che la polizia giudiziaria, acquisita notizia di reato, riferisce al pubblico ministero con relazione scritta contenente la formulazione della imputazione e richiede l'autorizzazione a disporre la comparizione della persona sottoposta ad indagini davanti al giudice di pace (art.11). Il pubblico ministero provvede a iscrivere la notizia di reato a seguito della trasmissione della relazione, ovvero anche prima di aver ricevuto la relazione fin dal primo atto di indagine svolto personalmente (art.14). Ricevuta quindi la relazione, il pubblico ministero, se non richiede l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione e autorizzando la citazione dell'imputato. La polizia giudiziaria, sulla base dell'imputazione formulata dal pubblico ministero cita l'imputato davanti al giudice di pace (articolo 20). La citazione a giudizio viene notificata all'imputato al suo difensore e alla parte offesa almeno trenta giorni prima dell'udienza ed è depositata nella segreteria del pubblico ministero unitamente al fascicolo contenente la documentazione relativa alle indagini espletate, il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove (art.20 comma 4 e comma 5). Per i reati a querela di parte è ammessa la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato e' attribuito su ricorso della persona offesa (art.21 d.lgs. 274/2000).103 La richiesta della polizia giudiziaria per l'autorizzazione a giudizio viene depositata presso la segreteria del pubblico ministero e deve contenere: a) le generalità dell’imputato e del suo difensore, ove nominato; b) l’indicazione delle persone offese dal reato; c) la descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita all’imputato, con l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati; d) l’indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta, nonché le generalità dei testimoni e dei consulenti tecnici, con espressa indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame; e) la richiesta di fissazione dell’udienza per procedere nei confronti delle persone citate a giudizio.104 L’autorizzazione del pubblico ministero deve contenere: a) l’avviso all’imputato che se non compare sarà giudicato in contumacia; b) l’avviso all’imputato che ha diritto di nominare un difensore di fiducia e che in mancanza sarà assistito da difensore di ufficio; c) l’avviso che il fascicolo relativo alle indagini è depositato presso la segreteria del pubblico ministero e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia.105 Se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, ovvero presentato dinanzi ad un giudice di pace incompetente per territorio, il pubblico ministero esprime parere contrario alla citazione altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso.

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comma 1, quando ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la

fissazione dell’udienza nei quindici giorni successivi, ovvero se l’imputato si trova a qualsiasi titolo

sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale, compreso il caso del

trattenimento in Centro di identificazione ed espulsione. La polizia giudiziaria in tali casi può

formulare una richiesta di citazione contestuale per l'udienza (comma 1) ed il pubblico ministero, se

ritiene sussistenti i presupposti per l'applicazione di tale giudizio accelerato, rinvia l’imputato

direttamente dinanzi al giudice di pace per la trattazione del procedimento (comma 2).

Per lo svolgimento dei relativi giudizi si applica l'articolo 32 bis, come introdotto dalla legge 94/2009.

Dopo un primo rinvio alla norma ordinaria sul dibattimento (articolo 32), si prevede la citazione anche

orale della persona offesa e dei testimoni da parte dell’ufficiale giudiziario (ovvero dalla polizia

giudiziaria nel caso previsto all'art.20ter) nonché la presentazione diretta dei testimoni e dei consulenti

ad opera delle parti. Il pubblico ministero da lettura dell'imputazione e viene data la possibilità

all'imputato di richiedere un tempo per preparare la difesa, sette giorni nel caso dell'articolo 20 bis,

quarantotto ore per il 20ter.

Tornando al comma quarto dell'articolo 10 bis, è previsto che, a differenza di quanto stabilito

all'articolo 13 comma terzo in caso di espulsione ordinaria, nel corso del procedimento penale volto

all'accertamento del reato in questione ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero, non è

richiesto il rilascio del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del

medesimo reato. “Questa disciplina evidenzia chiaramente come l'intento del legislatore sia quello di

addivenire più rapidamente possibile all'espulsione, sicchè quella amministrativa non deve essere

intralciata dalla vicenda giudiziaria penale”106. Secondo il comma quinto il giudice, acquisita la notizia

dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento (articolo 10 comma 2) dal questore, pronuncia

sentenza di non luogo a procedere107. Se lo straniero invece rientra illegalmente nel territorio dello Stato

prima del termine non inferiore ai cinque anni come disposto (art.13 comma 14) si applica l’articolo

345 del codice di procedura penale108. Una seconda ipotesi in cui il giudice pronuncia sentenza di non

luogo a procedere è nel caso in cui venga accolta la domanda di protezione internazionale di cui al

106 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., pag.51107 Prosegue C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p.51: “(La sentenza di non luogo a procedere) costituisce un dispositivo di chiusura del procedimento penale dinnanzi al venire meno dell'interesse statuale all'applicazione della sanzione ovvero davanti alla sua concreta ineseguibilità”108 Il provvedimento di archiviazione e la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche se non più soggetta a impugnazione, con i quali è stata dichiarata la mancanza della querela, della istanza, della richiesta o dell'autorizzazione a procedere, non impediscono l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona se in seguito è proposta la querela, l'istanza, la richiesta o è concessa l'autorizzazione ovvero se è venuta meno la condizione personale che rendeva necessaria l'autorizzazione. La stessa disposizione si applica quando il giudice accerta la mancanza di una condizione di procedibilità diversa da quelle indicate nel comma 1.

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decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251. Il giudice provvede alla sospensione del procedimento

quando viene presentata la richiesta ed acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione

internazionale ovvero del rilascio del permesso di soggiorno in caso di seri motivi di carattere

umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano ( 5 comma 6 TU),

il giudice pronuncia tale sentenza.

3.3. Trattamento sanzionatorio

La pena prevista dal 10 bis nella sua forma attuale è solo di tipo pecuniario e non è previsto il ricorso

all'oblazione all'articolo 162 cp109. La legge 94/2009 interviene inoltre modificando l'articolo 16 comma

1 T.U.: è previsto che il giudice possa disporre l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa

alla detenzione anche “nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 10-bis,

qualora non ricorrano le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, che

impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo

della forza pubblica.” Il riferimento a tale articolo si rivela inconsueta per l'inserimento di una

fattispecie punita con sanzione pecuniaria in una previsione invece destinata a sostituire l'applicazione

di una pena detentiva. In particolare si prevede che si possa applicare tale previsione soltanto se il

giudice non ritenga di irrorare una detentiva superiore ai due anni, che non può realizzarsi nel caso in

esame110. Infine sembra confliggere con il dato letterale della norma l'applicazione di tale sanzione

sostitutiva di fatto maggiormente afflittiva di quella sostituita per un reato che prevede non la

detenzione bensì il mero pagamento di una somma di denaro. Con la qualificazione del fatto illecito a

mero titolo di contravvenzione, punita con la sola pena pecuniaria eventualmente sostituibile con

l'espulsione, il reato acquista “scarsissima carica afflittiva, visto che tra l'altro lo stato di indigenza in

cui versa larga parte dei destinatari del precetto rende assai improbabile il pagamento della sanzione

pecuniaria, e l'espulsione [può] essere già disposta in via amministrativa sulla base dei medesimi

presupposti di fatto oggi elevati a reato”111.

109 Cfr. C. RENOLDI, Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione, op. cit., p.22: “Ciò significa chiaramente che il legislatore non persegue l'obiettivo di una definizione anticipata del procedimento ad ogni costo, ma soltanto la realizzazione del fine ultimo dell'incriminazione: ossia l'eliminazione della situazione di illegale presenza nello stato dell'irregolare attraverso il suo allontanamento mediante espulsione o respingimento.” 110 Cfr. C. RENOLDI, Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione, op. cit., p.22: “Una innovazione che oscilla tra la semplice constatazione di una cattiva tecnica legislativa e la possibilità di una sostanziale inapplicabilità della fattispecie, ove si affermassero interpretazioni letterale giustificate dalla rilevanza costituzionale degli interessi incisi.”111 L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale , Diritto, immigrazione, cittadinanza, n.3/2010, p.45

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4. Reati collegati all'espulsione dello straniero

L'indagine focalizzata sulla disciplina dell'ingresso e sul nuovo reato di immigrazione clandestina

necessita di essere completata con un approfondimento sul trattamento del migrante successivamente al

decreto di espulsione, anch'esso profondamente modificato in senso repressivo dalla legge 94 del 2009.

L'irregolarità della presenza nel territorio dello Stato era considerata in termini penali già prima

dell'entrata in vigore della legge 94/2009 nel caso in cui fosse già intimato allo straniero l'ordine di

allontanamento e questo non fosse stato rispettato. A tal riguardo si profilano le seguenti ipotesi:

violazione del divieto di reingresso dello straniero espulso previsto all'articolo 13 comma 13-13bis e

permanenza nel territorio dello straniero già espulso all'articolo 14 comma5ter e comma 5quater. “Sono

reati a carattere marcatamente sanzionatorio, in forza dei quali le sanzioni penali sono poste a presidio

dei provvedimenti amministrativi di allontanamento dello straniero irregolare”.112

Originariamente fino alla legge Martelli le norme sui reati collegati all'espulsione erano contenute nel

Testo unico di pubblica sicurezza113 che “pur non criminalizzando direttamente l'ingresso illegale,

realizzava un'ampia tutela penalistica della funzione amministrativa di controllo delle frontiere”114. La

penalizzazione del rientro nello Stato dopo l'avvenuta espulsione senza necessario permesso115

inizialmente venne mantenuta dalla Legge Martelli, mentre le altre ipotesi vennero subito

depenalizzate, e soltanto nel 1998 venne sostituita dall'articolo 13 comma 13 T.U. A favore di tale

mutamento concorse la volontà di limitare il ricorso alla sanzione penale nella gestione

dell'immigrazione clandestina, l'introduzione di nuove misure amministrative di allontanamento dello

straniero e i limiti posti dalla Corte costituzionale “all'indiscriminata criminalizzazione di condotte non

collaborative dello straniero destinatario di un provvedimento di allontanamento e dell'ingresso

irregolare”116.

Il panorama è stato notevolmente modificato con la legge Bossi-Fini. Da un lato è stato completamente

riformato il sistema di misure esecutive dell'espulsione amministrativa: il meccanismo espulsivo

112 A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p. 171113 L'articolo 142 TULPS prevedeva l'obbligo per gli stranieri di presentarsi, entro tre giorni dal loro ingresso nel territorio dello stato all'autorità di polizia; la trasgressione di tale obbligo integrava una contravvenzione punita con pena alternativa. Tale tutela si saldava con quella apprestata dall'art.152, che puniva lo straniero allontanatosi dall'autorità prefettizia. Il quadro delle fattispecie incriminatrici previste dal TULPS si completava con l'articolo 151 che prevedeva per lo straniero espulso che rientrava senza una speciale autorizzazione del ministro dell'interno l'arresto da due a sei mesi e successivamente la nuova espulsione. Cfr. A CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p. 174114 M. MENEGHELLO, S. RIONDATO, Sub. Art. 2, 3, 4. Profili penalistici, in B. NASCIMBENE, La condizione giuridica dello straniero, Cedam, Padova, 1997, pag. 229115 Articolo 151 del TULPS116 In riferimento alla sentenza 34/1995, cfr. A. CAPUTO, La detenzione amministrativa e la costituzione. Interrogativi sul diritto speciale degli stranieri, Diritto immigrazione cittadinanza, n.1/2000, p. 53

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individuava nell’accompagnamento coattivo alla frontiera la regola per l’esecuzione del provvedimento

di espulsione dello straniero, previsto all'articolo 13 comma 4 T.U., che, se non eseguibile entro il tetto

massimo in cui lo straniero può essere trattenuto in un centro di identificazione ai fini espulsivi, veniva

tradotto nell'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni come disposto

all’art. 14, comma 5-bis t.u. Dall'altro lato è stato creato un sotto-sistema preordinato

all'allontanamento dello straniero irregolare di fisionomia penal-amministrativa. La “Bossi-Fini”

prevedeva che l'ingiustificata inosservanza all'ordine del questore previsto all'articolo 14 comma 5 bis

veniva punita a titolo di contravvenzione determinando il configurarsi di un meccanismo basato sul

passaggio dall'espulsione amministrativa all'ordine di allontanamento del questore – punito a titolo di

reato con giudizio direttissimo e poi nuovamente espulso117. Molti sono stati i profili di illegittimità

censurati dalla Corte costituzionale118 in relazione ai quali il legislatore, indifferente alle considerazioni

della Consulta, è nuovamente intervenuto con la legge n. 271/2004, reintroducendo lo stesso

meccanismo che era stato espunto. In seguito a tale “prova di forza” la Corte non è intervenuta

nonostante i numerosi ricorsi presentati ed ha ritenuto precluso un suo intervento manipolativo

(sentenza 22/07); tuttavia, descrivendo il reato di ingiustificata inosservanza dell'ordine di

allontanamento come una “ fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei

soggetti”, non ha perso l'occasione di rimarcare la sua valutazione in termini molto critici della

normativa vigente ed ha invitato il legislatore ad intervenire: “il quadro normativo in materia di

sanzioni penali per l'illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle

modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a

pronunce di questa corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la

verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e

con la finalità rieducativa della stessa”119 .

Tale assetto, su cui il legislatore non è intervenuto, mostra il “volto di un sotto-sistema penal-

amministrativo nel quale i principi e gli scopi dell'ordinamento penale vengono piegati, asserviti

117 A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p. 177118 La Corte costituzionale è intervenuta in diversi punti della nuova disciplina. In merito all'interpretazione della clausola del “senza giustificato motivo” previsto per l'inottemperanza all'articolo 14 comma 5ter nella sentenza 05/2004 la corte rigetta il ricorso qualificando la fattispecie sufficientemente determinata avuto riguardo alle finalità perseguite dall'incriminazione e al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca, mentre sempre sullo stesso tema con la sentenza 22/2007 dichiara inammissibile le eccezioni di costituzionalità sollevate dai giudici per ottenere un intervento manipolativo della consulta. Confronta inoltre la sentenza 223/2004 che ha dichiarato illegittima la norma sull'arresto obbligatorio dello straniero che non aveva ottemperato all'ordine del questore. Per una maggiore descrizione della fattispecie confronta i capitoli successivi. Sempre in merito alla regolamentazione delle espulsioni la corte costituzionale è intervenuta con sentenza n.466/2005 ritenendo illegittimo l'art. 13 comma 13bis che ha introdotto pene più severe per lo straniero che fa reingresso. 119 Cfr. A. CAPUTO, Studi sulla questione criminale, II, 1/07, p. 54-55

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all'attività amministrativa preordinata all'allontanamento dello straniero irregolare, ossia secondo i

canoni del sicuritarismo, del nemico della società”. In questo modo la disciplina dei reati collegati

all'espulsione, inserita nel quadro di una normativa preordinata all'allontanamento dello straniero e

quindi “in un'ottica comprensiva delle misure amministrativistiche e delle norme processual-

penalistiche”, “si innesta su quei processi involutivi del diritto penale che, per un verso, hanno fatto

registrare il passaggio dalla tutela di beni alla tutela di funzioni e, per un altro verso, rivelano il

delinearsi di una strumentalità invertita rispetto al processo”120.

Le modifiche introdotte dalla legge del 2009 hanno rimarcato questo approccio repressivo.

Il nuovo sistema prevede che in caso di permanenza illegale121 nel territorio dello Stato dopo

l'emissione di un ordine di allontanamento del questore come disposto dall'articolo 14 comma 5bis, lo

straniero venga punito con la reclusione da uno a quattro anni, trasformando in tal modo la

contravvenzione in delitto122. In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in

carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla

frontiera a mezzo della forza pubblica ovvero, quando questo non sia possibile, si procede al nuovo

ordine di allontanamento del questore previsto all'articolo 13, comma 3. La situazione si aggrava se

nuovamente lo straniero non rispetta l'ulteriore ordine di allontanamento prevedendosi al comma

5quater la reclusione da uno a cinque anni123. Viene reintrodotto in entrambi i casi l'arresto ed il rito

120 Cfr. A. CAPUTO, Diritto e procedura penale dell'immigrazione, op. cit., p. 171121 Secondo G. SAVIO, la modifica della dicitura “in violazione dell'ordine del questore” con “permanenza illegale” pare dettata da esigenze di armonizzazione della norma in esame con il nuovo reato di cui all’art. 10 bis. “Con ciò si introduce, nella disposizione del co. 5 ter dell’art. 14, un elemento di illiceità speciale, analogo a quello previsto per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, prima mancante. Il che comporta che la “permanenza illegale” va definita con riferimento alla contrarietà alle disposizioni del TU 286/98, rispetto alle quali l’ordine questorile si pone in funzione meramente esecutiva dell’espulsione presupposta, attesa l’evidente analogia tra la condotta di “trattenersi” e quella di “permanere” in Italia, in violazione dell’ordine impartito dal questore ed in assenza di giustificato motivo.” Tale mutamento ad avviso dell'autore può comportare una “riduzione del potere del giudice di sindacare la legittimità dell’ordine, sussistendo il reato anche in conseguenza della illegalità della permanenza, a prescindere dalla legittimità formale dell’ordine questorile, relegato nella sua funzione meramente esecutiva di una condizione di illegalità della permanenza desumibile aliunde”. Cfr. G. SAVIO, Il reato di cui all’art. 10 bis t.u. 286/98 e altre fattispecie connesse alla condizione dello straniero irregolare, op. cit.122 La disposizione si applica anche nei casi all'articolo 13 comma 2 lettera c) – anche se appare vieppiù criticabile che il legislatore abbia accomunato situazioni così diverse – e se non è stato richiesto “il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato”. Inoltre nel caso in cui l’espulsione è stata disposta perchè “il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68, si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno”.123 Come ben parafrasa G. SAVIO la situazione che si viene a creare può essere descritta in questi termini: “Tizio viene espulso dal prefetto, il questore, dovendone dare esecuzione in quanto non è possibile disporre l’accompagnamento immediato (previa convalida del giudice di pace) né vi è disponibilità di posti nei C.I.E., gli ordina di autoespellersi nei successivi cinque giorni. Tizio non ubbidisce all’ordine impartito dal questore, viene arrestato e processato per direttissima. Indipendentemente dall’esito del processo, poiché non gli viene applicata la custodia cautelare in carcere, gli viene fatta una nuova espulsione corredata di un nuovo (è ormai il 2°) ordine del questore (sempre perché non è possibile eseguire immediatamente la seconda espulsione e mancano posti nei C.I.E.). Ma Tizio non ne vuol proprio sapere di ottemperare e

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direttissimo (articolo 14 quinquies).

Come aggiunto nell'ultima parte del comma 5-quater (“si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui

al comma 5-ter, terzo e ultimo periodo”) il legislatore, superando contraria giurisprudenza che evitava

di aggravare il contenzioso sul giudice penale124, dispone espressamente la reiterabilità dell'ordine di

allontanamento secondo l'art. 14, comma 5-bis . In tal modo a parere di Savio “il ruolo servile della

giurisdizione rispetto all’azione della P.A. è così ulteriormente ribadito”. La corte Costituzionale non si

è ancora espressa su tali profili particolarmente critici è intervenuta per il momento sull'articolo 14

comma 5 quater con la sentenza n.359 del 2010, ritenendolo incostituzionale nella parte in cui non

prevede, così come invece espressamente previsto dal comma 5 ter (inottemperanza ad un primo ordine

di allontanamento impartito dal Questore) dello stesso articolo, la scriminante del giustificato motivo.

Rimandando al prossimo capitolo i profili di contrasto con la nuova regolamentazione europea in

materia, non resta che condividere la riflessione della dottrina riguardante la funzione di tale impianto.

Se “sulla carta” il legislatore - attraverso questa stretta repressiva - sembra “rafforzare l'effettività del

meccanismo espulsivo”, in realtà, vista la scarsissima efficacia dissuasiva di codeste incriminazione,

pare a maggior ragione mostrato “lo scopo reale” del legislatore: “quello di segregare il più a lungo

possibile dal contesto sociale, mediante la temporanea detenzione in carcere, il maggio numero

possibile di immigrati clandestini, in attesa che ne divenga possibile l'espulsione o la partenza

volontaria.”125

decide, pervicacemente, di non lasciare l’Italia. A questo punto viene arrestato per la seconda volta, questa volta rischia una condanna un pò più salata (da uno a cinque anni di reclusione), ma, se per caso nemmeno in questa occasione gli applicano la custodia in carcere, ecco che si ricomincia daccapo.” Cfr. G. SAVIO, Il reato di cui all’art. 10 bis t.u. 286/98 e altre fattispecie connesse alla condizione dello straniero irregolare, op. cit. 124 Costante giurisprudenza della Cassazione si è espressa nel senso di ritenere che nel caso in cui, dopo una prima violazione dell'ordine di allontanamento sia emesso un secondo, si prevede eseguibile l'allontanamento soltanto con accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica. Deducendosi perciò che non è configurabile un nuovo reato sulla violazione della stessa disposizione. Cfr. Cass. pen. sez. I, 16.12.2008125 Cfr. VIGANÒ, MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, Rivista italiana di diritto e procedura penale, n.2/2010, p.574

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5. Valutazioni dottrinali

L'introduzione del reato di irregolare ingresso e permanenza nel territorio italiano ha dato adito a molte

critiche126. Al di là dei rilievi sui profili di costituzionalità affrontati nel secondo capitolo, la riflessione

si focalizza sulle politiche del diritto centrate sulla questione sicurezza e sulla formalizzazione del

rifiuto dell'immigrazione messe in luce dalla dottrina. Criminalizzando la condizione stessa di

irregolarità si è reso chiaro il paradigma di esclusione dello straniero che sottende da tempo la

legislazione in materia immigrazione. “Si è dunque inteso tutelare la sicurezza del cittadino contro lo

straniero irregolare, ormai considerato non più soltanto come candidato naturale alla carriera criminale

ma addirittura come in criminale in sé in ragione della sua stessa presenza sul territorio nazionale,

indipendentemente da qualsiasi manifestazione soggettiva di pericolosità per i beni giuridici

tradizionalmente oggetto di tutela penale”127. “Con la legge 15/7/09 n.94 si assiste ad una significativa

radicalizzazione degli orientamenti già emersi nel pacchetto sicurezza attraverso una ulteriore

accentuazione degli strumenti di repressione del soggiorno irregolare”. “L'attuale inasprimento non

nasce all'improvviso. Esso è stato preparato da un crescendo di proposte analoghe e costituisce il frutto

coerente e necessitato del proibizionismo che caratterizza, sin dalla legge n.40 del 1998, la disciplina

dell'immigrazione”.128

Nel panorama normativo attuale ciò che desta maggior preoccupazione secondo la dottrina è

l'introduzione stessa della criminalizzazione del migrante irregolare che formalizza una nuova

condizione giuridica del migrante129. “Il salto di qualità consiste nei connotati intrinsecamente razzisti

126 Cfr. ex plurimis: l'editoriale di Questione giustizia n.4/09, p.5, parla di “strappo inferto al sistema dalla legge 94/2009, vera chiave di volta di un nuovo corso politico e non solo ennesimo “pacchetto sicurezza” di sicura demag ogia e di dubbia efficacia.” e di “ulteriore escalation della normativa contro i migranti, che incide direttamente sulla sfera della libertà personale e dei suoi presìdi e sovverte istituti classici del diritto penale.”; cfr. L. PEPINO, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n.94/2009, Diritto Immigrazione Cittadinanza, n.4/2009, pagg.12: “il reato di immigrazione clandestina è la tessera di un mosaico inquietante”127 O. MAZZA, F. VIGANÒ (a cura di), Il “pacchetto sicurezza” 2009 (commento al d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 conv. in legge 23 aprile 2009 n. 38 e alla legge 15 luglio 2009, n. 94), Giappichelli, 2009 , p.8128 C. RENOLDI, Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione, op. cit., pag.38. Sulla portata della legge 94/2009 cfr. L. Pepino, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n.94/2009 , op. cit., pag.9: “La legge n.94/2009 non è né un infortunio né un cedimento contingente a ragioni utilitaristiche di ricerca del consenso. Non è neppure, solo il portavoce, rozzo e tecnicamente sgangherato, di una impostazione demagogica e, a lungo termine, inefficace anche sul piano della rassicurazione collettiva. Essa è, piuttosto, il coronamento (o almeno, un'importante tassello) del progetto in atto, non solo nel nostro paese, di riorganizzazione sociale e istituzionale fondata sulla sostituzione del welfare con il controllo repressivo e sull'abbattimento del principio – anzi della stessa idea – di eguaglianza. (…) Questa volta c'è di più.”129 Per un appunto semantico in relazione alla locuzione “immigrazione clandestina” cfr. G. FASO, Lessico del razzismo democratico, Derive e approdi, Roma, 2008, p.46 e 64: “(…) la legislazione italiana e internazionale in materia di immigrazione utilizza raramente l'espressione “immigrazione illegale” e quasi mai quella di “immigrazione clandestina” preferendovi, nella maggior parte dei casi, il riferimento ai comportamenti tenuti dal “cittadino dei paesi terzi” o, in ultima istanza, dallo “straniero”. (…) L'immigrazione “irregolare”, intendendo per essa tutte quelle ipotesi in cui una persona

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della nuova legislazione contro gli immigrati. (…) La novità della penalizzazione dell'immigrazione

compromette radicalmente l'identità democratica del nostro Paese. Si è creata, in base ad essa, una

nuova figura, da qui questa identità è vistosamente contraddetta: quella della persona illegale, fuori-

legge solo perchè tale, non-persona perchè priva di diritti, e perciò esposta a qualunque tipo di

vessazione, destinata a generare un nuovo proletariato, discriminato giuridicamente e non più solo,

come i vecchi immigrati, economicamente e socialmente.”130

Il legislatore in questo modo, all'interno della sua discrezionalità opera ciò che viene definito un

esercizio di “chirurgia sociale”, ossia la separazione tra i “buoni immigrati” e “cattivi”131. Nella

considerazione del migrante regolare permane un altro elemento “di sistema”: la prospettiva di un

“doppio livello di cittadinanza” o di “inserimento differenziato”132. Non indifferenti solo le

conseguenze che tale etichettamento può portare: sono da valutare i “costi sociali (…) che

l'incriminazione concorre a far percepire [gli immigrati] come un pericolo in costante agguato per la

“società degli onesti”133. L'introduzione del 10 bis “alimenta sentimenti e atteggiamenti razzisti a cui

non eravamo abituati”. Valutando il rilevante potere della legge di conformare la società, “la

considerazione giuridica del migrante irregolare come nemico e delinquente – propria della legge n.94

– produce e rafforza, con inevitabile portata espansiva verso ogni migrante, pulsioni e comportamenti

di diffidenza, di rifiuto , di ostilità”. Prosegue l'autore “stanno qui le radici del razzismo, strumento che

– come scriveva Foucalt – serve a dividere “chi deve vivere da chi deve morire” consentendo di

assistere inerti alla morte quotidiana di migliaia di persone che cercano lontano dalla loro patria rifugio

ed emancipazione sociale”134. In tale direzione il legislatore si era già indirizzato con l'introduzione

dell'“aggravante di clandestinità” (articolo 1 lett. f e f-bis del dl 92/08 convertito nella l.125/08)

all'articolo 61 comma 11 bis del codice penale, che prevedeva un aggravio di pena se un reato fosse

attraversa una frontiera senza averne l'autorizzazione, è divenuta l'immigrazione “clandestina”. La mutazione di senso risulta evidente perchè nel linguaggio ordinario il termine “irregolare” ha una valenza negativa decisamente minore rispetto a quella della parola “clandestino”, concetto chiave, assieme a “extracomunitario”, delle politiche di stigmatizzazione sociale del migrante. Tale locuzione è dunque una locuzione politica che giuridicamente non individua alcunchè.” 130 L. FERRAJOLI, La criminalizzazione degli immigrati. Note a margine della legge n.94/2009, op. cit., p.13131 S. PALIDDA, La conversione poliziesca delle politiche migratorie, in A. Dal lago, Lo straniero e il nemico. Materiali per l'etnografia contemporanea, p. 233132 L. PEPINO, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n.94/2009, Diritto Immigrazione Cittadinanza, n.4/2009, p.15. L'autore richiama esempi che nella storia hanno rappresentato il cosiddetto “doppio livello di cittadinanza” o “inserimento differenziato” citando i meteci dell'Atene del V sec. a. C., a cui era negato lo status di cittadini in quanto esclusi dal sistema di trasmissione della cittadinanza per filiazione e i peregrini che nell'antica Roma era preclusa la possibilità di partecipare alle cariche pubbliche e alla tutela accordata dal diritto civile. Per approfondimenti sulla condizione del peregrinus nel tardo impero romano Cfr. S. SCHIAVO, Casi di espulsione dello straniero nel tardo impero romano, in O. GIOLO E M. PIFFERI, Diritto contro. Meccanismi giuridici di esclusione dello straniero, op. cit., p.14. 133 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati, op. cit., p.38134 L. PEPINO, Le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della legge n.94/2009, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.4/2009, p.16.

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stato compiuto da uno straniero illegalmente presente in Italia. Su tale fattispecie è intervenuta la

censura della corte costituzionale con la sentenza n.249 del 2010 che ne ha sancito il contrasto

insanabile con i principi costituzionali e la tutela dei diritti fondamentali. Il reato di “immigrazione

clandestina”, la cui introduzione è esaltata da tempo135, ne voleva essere il completamento.

Tra i punti critici in merito al reato di irregolare ingresso e soggiorno si può mettere in rilievo la

coincidenza dell'elemento oggettivo della norma penale di nuovo conio con i presupposti stabiliti

all'articolo 13 comma secondo per l'adozione del provvedimento di respingimento del questore o del

provvedimento amministrativo di espulsione del prefetto per ingresso o soggiorno irregolare. Lo scopo

sotteso a tale disciplina sembra, secondo la dottrina, quello di “rafforzare i dispositivi amministrativi

che sanzionano l'irregolarità, allargando (ma solo apparentemente) le possibilità di ricorrere

all'espulsione, cui anche lo strumento penale è ora univocamente preordinato”136. Anche la Corte

costituzionale ha riconosciuto l'incongruenza ma non ha ritenuto il passaggio determinante ai fini

dell'incostituzionalità. Ciononostante sembra condivisibile la posizione di chi sostiene l'inutilità

dell'articolo 10 bis in quanto il vero obiettivo della norma è comunque l'esecuzione dell'espulsione137.

Questo assunto può essere confermato da plurimi elementi138: il nuovo rito speciale davanti al giudice

di pace introdotto gli articoli 20bis, 20ter e 32bis, la sentenza di non luogo a procedere e l'espulsione

come sanzione sostitutiva della pena pecuniaria (non oblazionabile) comminata per il nuovo reato,

l'esenzione dal nulla osta all'esecuzione dell'espulsione da parte del giudice di pace procedente. In

riferimento a quest'ultimo carattere la nuova norma, escludendo tale vaglio dell'autorità giudiziaria

procedente per l'espulsione amministrativa, “crea per essa una corsia preferenziale che, al di là di

qualsiasi considerazione sul piano della compatibilità con i principi di indipendenza della giurisdizione

e con quelli del giusto processo, rende ancora più irrazionale la sovrapposizione tra la misura di polizia

e la nuova previsione” e “ne consente una più sollecita esecuzione”.

Un altro profilo critico emerge in relazione alla competenza affidata ai giudici di pace. “Una scelta che

appare vieppiù criticabile, tenuto conto della possibilità concessa al giudice non togato di sostituire la

pena pecuniaria con una sanzione, quale l'espulsione, incidente sulla libertà personale in maniera

senz'altro più pesante rispetto alla più grave tra le sanzioni applicabili dal giudice di pace, la

permanenza domiciliare. E' assai forte il timore che un siffatto allargamento delle competenze del

135 Cfr. A. CAPUTO, Irregolari, criminali, nemici: note sul diritto speciale dei migranti, Studi sulla questione criminale 1/07, p.45; G. BOLAFFI, I confini del patto. Il governo dell'immigrazione in Italia, Einaudi, Torino, 2001. 136 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 39137 P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare, op. cit., p. 124.138 Cfr P. BONETTi, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare, op. cit., p. 124; Associazione Antigone e ss., Osservazioni sul disegno di legge n.733/s, op. cit., p.136; C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit.

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giudice di pace possa innescare una mutazione genetica di una giurisdizione che, almeno nella sua

configurazione originaria, appariva diretta alla composizione di microconflittualità individuali, secondo

una logica non di repressione ma di conciliazione e riparazione139. In realtà, sostiene altra parte della

dottrina, alla base della scelta legislativa c'è, più che le prove tecniche per una nuova giurisdizione più

cattiva e meno mite, più semplicemente il pregiudizio secondo cui i diritti degli stranieri sono diritti

degradati che hanno una minore dignità140. “E' stata affidata la competenza per questo reato ai giudici di

pace: per diffidenza verso i giudici togati, o peggio perchè questa materia, che investe la dignità delle

persone e i loro diritti fondamentali è considerata bagatellare”141. Al di là di ciò che e' stato espresso

dalla Corte costituzionale in merito alla sua incompetenza a valutare la qualificazione fatta dal

legislatore ai fini della penalizzazione o meno di una fattispecie - non tenendo nemmeno in

considerazione i profili evidenziati in merito alla incostituzionalità rispetto ai principi costituzionali in

materia di diritto penale - la dottrina rileva consistenti dubbi in relazione all'efficacia dell'utilizzo dello

strumento penale: “al di là di ogni rilievo sull'evidente fallimento dell'opzione proibizionistica quale

scelta di fondo delle normative di contrasto dei fenomeni di immigrazione irregolare, non si vede per

quale ragione lo strumento penale dovrebbe essere più efficace dei consueti meccanismi amministrativi,

fondati sull'espulsione, rispetto al quali la fattispecie in esame è del tutto sovrapponibile. Proprio non si

comprende, quindi, perchè la duplicazione del meccanismo sanzionatorio dovrebbe rendere efficace

una modalità di gestione dell'irregolarità che si e' dimostrata del tutto inadeguata”142. Continua l'autore

sostenendo che “appare di palmare evidenza che una sostanziale duplicazione del meccanismo

sanzionatorio rispetto allo strumento dell'espulsione amministrativa da un lato crea le premesse, più che

una implementazione del sistema degli allontanamenti, per una accentuazione della sua conclamata

ineffettività”143. Inoltre rimane il problema del concorso tra le due procedure. “Nella gran parte delle

situazioni, dunque, il medesimo fatto è sanzionato sia con un provvedimento amministrativo che

comporta l'allontanamento sia con la sanzione penale, sostituibile a sua volta con l'espulsione. Così per

il medesimo fatto si avviano contestualmente due procedimenti paralleli: quello amministrativo che

conduce al provvedimento di respingimento disposto dal questore o al provvedimento amministrativo

di espulsione disposto dal prefetto e il procedimento penale di fronte al giudice di pace144. Correlate

all'introduzione del 10 bis, nel solco della repressione dell'irregolarità, sono l'ampliamento dei termini

139 Cfr. A. MARANDOLA, Il procedimento penale innanzi al giudice di pace, in RICCIO – SPANGHER, La procedura penale, 2002, Napoli, p.802140 C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 48141 L. FERRAJOLI, La criminalizzazione degli immigrati. Note a margine della legge 94/09, op. cit., p.14142 C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 55 143 C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 39144 P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare, op. cit., p.99

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di durata del trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione, portati da due a sei mesi145 e la

modifica dell'art.14 comma 5ter tu, che “concorrono a consegnare all'autorità amministrativa un

formidabile strumento di neutralizzazione «fisica» del migrante irregolare. La pratica ineseguibilità

dell'espulsione nelle forme dell'allontanamento coattivo ha infatti finito per esaltare il ruolo dei centri

di detenzione amministrativa, resi sempre più complementari al carcere, secondo una logica di pura

incapacitazione dell'irregolare”146. Il sistema si qualifica per una insita perversità. Allo scadere della

durata massima del trattenimento allo straniero dovrà essere rilasciato, nella maggior parte dei casi per

non avvenuta identificazione nel tempo utile a consentire l'accompagnamento coattivo alla frontiera,

con intimazione del questore ad allontanarsi entro cinque giorni. Va da sé che lo straniero quasi sempre

non lascia il paese, per indisponibilità di mezzi e per il tempo limitato – non si capisce come uno

straniero possa recuperare dei documenti validi per l'espatrio in cinque giorni quando la questura non li

ha potuti ottenere in sei mesi – ricadendo così nella prescrizione dell'articolo 14 comma 5ter, ovvero

l'inottemperanza all'ordine del questore, punita con detenzione in carcere – ed eventuale restrizione

dopo la detenzione presso un centro di identificazione ed espulsione per l'impossibilità pratica di

espellerlo. “E' una spirale che potrebbe essere infinita, tanto più dopo la recente modifica dello stesso

articolo 14 comma 5ter e 5quater, che ora consentono la reiterazione dell'ordine di allontanamento147,

con una riproduzione dei reati per partogenesi che la giurisprudenza di legittimità aveva in precedenza

voluto evitare”148. “Emerge un sistema complessivo teso a realizzare, ben oltre l'intervento penale, una

condizione permanente di inferiorità del migrante irregolare: considerato ad ogni effetto “un

delinquente”, assoggettabile ad libitum a detenzione amministrativa per mesi, privato della possibilità

di regolarizzare la propria posizione, espropriato di alcuni diritti fondamentali. Così si porta a

complimento il disegno di considerare il migrante un nemico da cacciare e, ove ciò non sia possibile un

cittadino inferiore, titolare di diritti dimezzati. E' un salto di qualità epocale, che la modernità ha come

segno caratterizzante, nel diritto, l'uguaglianza dei cittadini mentre la nuova condizione giuridica dello

straniero riporta a situazioni pre-moderne”149.

145 Cfr. Editoriale Questione Giustizia, n.4/09 p.6: “L'estensione sino a sei mesi della possibilità di trattenimento coatto dei migranti irregolari nei centri ad hoc, modificati nel nome ma non nella sostanza e strutturati come istituti penitenziari, ha una valenza qualitativa oltre che quantitativa. Se un trattenimento di poche ore o pochi giorni poteva, almeno in astratto, essere considerato solo uno strumento per rendere possibile l'espulsione, la sua protrazione per mesi – congiunta con la ripetibilità – ne esclude ogni rapporto funzionale con l'allontanamento e lo configura come veicolo di isolamento e come sanzione tout court. Siamo appunto alla detenzione amministrativa affine, nei contenuti a quella penale ma estranea al circuito giudiziario e processuale disegnato dagli articoli 13, 24, 25, 27 Cost.”146 C. RENOLDI, Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione, op. cit., pag.38147 Rimando alla prima parte del capitolo relativa ai reati collegati all'espulsione.148 C. RENOLDI, Le principali modifiche alle norme penali in materia di immigrazione, op. cit., pag.41149 Editoriale questione giustizia, op. cit., p.7

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In questo quadro normativo particolarmente penalizzante per lo straniero - sia nel momento

dell'ingresso e del reingresso, sia nella disciplina del trattenimento e nell'espulsione – si rende

opportuna una riflessione sulla condizione stessa di irregolarità. In primo luogo il confine esistente tra

la condizione di regolare ed irregolare è molto ristretto per la stretta connessione di tale titolarità con

questioni di ordine economico, ad esempio la perdita del lavoro, e dalla qualifica stessa dell'irregolarità

derivante esclusivamente dalla legge e dalla disponibilità dell'ordinamento a creare forme di ingresso

legale. “La condizione di migrante irregolare o regolare non corrisponde dunque ad una connotazione

naturale appartenente al soggetto, e nemmeno alla qualificazione di un comportamento dato – come è

noto, si può cadere in una condizione di irregolarità soltanto perchè si viene licenziati, o perchè viene

licenziato il coniuge grazie al quale si è giunti in Italia con il ricongiungimento familiare – che può

cambiare nel tempo determinando anche la mutazione dello status in capo a quel medesimo soggetto. Il

migrante in condizione di irregolarità è tale per legge: non ha commesso alcunchè e, anche nel caso in

cui l'immigrazione clandestina divenisse reato, si tratterebbe comunque di riconoscere una colpa

nell'”essere” di una persona, non nel suo fare”150. “Essenziale è il riferimento alla lotta alla

clandestinità, un riferimento che lascia in ombra l'analisi delle politiche migratorie adottate dai paesi

occidentali: la clandestinità, infatti, non è un attributo naturale degli immigrati ma l'effetto di

determinate politiche migratorie”151 .

150 O. GIOLO E M. PIFFERI, Diritto contro. Meccanismi giuridici di esclusione dello straniero, op. cit., p.87. Sul tema cfr. L. FERRAJOLI, Il diritto penale del nemico: un'abdicazione della ragione, in A. BERNARDI E B. PASTORE PUGIOTTO, Legalità penale e crisi del diritto oggi, Milano, 2008, p. 163. Su questo le opinioni della dottrina e della giurisprudenza divergono vistosamente, come espresso eloquentemente dalla Corte costituzionale nella sentenza n.250/2010.151 A. CAPUTO, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, Questione Giustizia, 2-3/04, p.360

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CAPITOLO 2: PROFILI COSTITUZIONALI DEL

RAPPORTO TRA INGRESSO E DIRITTI FONDAMENTALI

DEL MIGRANTE

1. La condizione giuridica del migrante secondo la Corte costituzionale

1.1 I fondamenti della tutela

La Costituzione si occupa della condizione giuridica del migrante all'articolo 10 comma secondo152

stabilendo che viene “regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. Nella

carta fondamentale l'unico riferimento espresso alla tutela da riconoscere allo straniero fa leva perciò

sulle norme interposte che divengono parametri di legittimità della disciplina legislativa. Il riferimento

al rispetto dei diritti dello straniero, come tutelati dai trattati internazionali di cui l'Italia è parte, deve

essere riferito agli articoli 11 e 117 comma 1 Cost. che offrono un'importante “copertura” costituzionale

all'ingresso nel nostro ordinamento delle Carte internazionali sui diritti153. Vengono in rilievo i trattati

comunitari ed in particolare le norme sul trattato dell'Unione europea che definiscono i presupposti e il

contenuto della cittadinanza europea. La legge deve uniformarsi alla normativa sovranazionale a cui

l'Italia è tenuta in funzione della sua posizione all'interno della Comunità europea, in particolare in

relazione a quelle disposizioni relative alla libera circolazione delle persone o in materia di ingresso e

soggiorno del cittadino europeo, o al ruolo rispetto alla disciplina della condizione dello straniero

rivestito dall'accordo di Schengen o dalle norme che l'Unione europea può emanare in applicazione del

Trattato154.

Visto il ridotto contenuto espresso nell'articolo 10 coma 2 in merito alla tutela del non cittadino155, la

152 I commi seguenti sono dedicati specificamente al diritto d'asilo e all'estradizione: Art.10 comma 3 “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”; comma 4 “Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici”153 Cfr. F. SCUTO, Il difficile rapporto tra immigrazione “irregolare” e la tutela dei diritti della persona: un confronto tra Spagna e Italia, op. cit., p.163; A. RUGGERI, Riconoscimento e tutela “multilivello” dei diritti fondamentali, attraverso le esperienze di normazione e dal punto di vista della teoria della Costituzione, www.associazionedeicostituzionalisti.it154 Cfr. E. GROSSO, Straniero (status dello), op. cit., p.5788 155 Tale assenza ha causa in ragioni di ordine storico legate al momento della Costituente. In particolare il dibattito era incentrato sulle questioni relative all'emigrazione, anziché l'immigrazione. Per una valutazione sociologia delle motivazioni

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valutazione sui diritti di cui è titolare deve essere condotta in rapporto agli altri parametri costituzionali

dedicati alla tutela della persona156, anche se non sembra così agevole individuare un criterio univoco

per distinguere quali siano i diritti costituzionalmente garantiti a tutti gli individui.

In passato le ricostruzioni della dottrina sono state molteplici157: parte, muovendo dall'articolo 2, ha

sostenuto un'interpretazione fondata sul riconoscere i diritti fondamentali anche agli stranieri – per lo

stesso fatto di essere sanciti come inviolabili – salvo quelli esplicitamente garantiti al solo cittadino per

i quali non sussisteva copertura costituzionale. Su quest'ultimi il legislatore poteva intervenire secondo

la sua valutazione discrezionale allargandoli anche allo straniero158; in tale prospettiva risultava centrale

la questione dei limiti entro cui il legislatore poteva operare tale allargamento dei diritti, ed è per questo

che l'attenzione andava a concentrarsi sulla natura della situazione giuridica in questione – nella

distinzione tra cittadini e stranieri – e sulle ragioni che potevano legittimare trattamenti differenziati

sulla base del possesso o meno della cittadinanza159. A questa interpretazione si contrapponeva chi

invece “limitava” i diritti degli stranieri dal punto di vista formale soltanto a quanto stabilito all'articolo

10 comma secondo, circoscrivendo cioè il quadro alla tutela riconosciuta dai trattati internazionali160. In

realtà le due teorie, pur argomentando in modo diverso, riconoscevano il livello di tutela dello straniero

sulla base di un'interpretazione letterale della Carta costituzionale161 e né l'una né l'altra risultano

convincenti162: le interpretazioni dottrinali risalenti “sono accomunate dalla tendenza ad affrontare il

che hanno condotto alla formulazione dell'articolo in questi termini cfr. C. BONIFAZI, L'immigrazione straniera in Italia, Bologna 2007, p.69 ss.156 Oltre al richiamo all'articolo 2 Cost. che fa riferimento ai “diritti inviolabili dell'uomo”, rilevano le disposizioni destinate “a tutti” come l'articolo 19 in materia di libertà religiosa, l'articolo 22 sul diritto ad avere una cittadinanza, l'articolo 13 in materia di libertà personale.157 Per approfondimenti sugli orientamenti qui brevemente descritti cfr. M. CUNIMBERTI, La cittadinanza. Libertà dell'uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana, Padova, Cedam, 1997, p. 149ss; Cfr. E. GROSSO, Straniero (status dello), op. cit., p.5788; G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L'esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, op. cit. 158 Tra i sostenitori di tale interpretazione, la prevalente in dottrina, confronta: A. CASSESE, Art. 10, in Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1975, p.508ss.; P. BARILE, I diritti dell'uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, p.32; G. D'ORAZIO, Lo straniero nella Costituzione italiana, 19992, Cedam, Padova, p.109. 159 Cfr. G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L'esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, op. cit., p.109160 Per una panoramica su questo orientamento cfr. A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, Cedam, 2003, p.315ss; S. SICARDI, L'immigrato e la costituzione. Note sulla dottrina e sulla giurisprudenza costituzionale , Giurisprudenza italiana, 1996, p.3 ss.161 Cfr. F. SCUTO, Il difficile rapporto tra immigrazione “irregolare” e la tutela dei diritti della persona: un confronto tra Spagna e Italia, op. cit., p.161 in nota 162 Per un commento critico cfr. M. CUNIBERTI, La cittadinanza, op. cit., p.152: “I tentativi di ricostruire una condizione unitaria dello straniero nel nostro ordinamento costituzionale si risolvono così spesso in articolati e dettagliati cataloghi dei diritti e doveri del non cittadino; nella constatazione della progressiva assimilazione tra questi diritti e doveri e quelli del cittadino” - su questo spunto confronta anche E. Grosso, I doveri costituzionali, Relazione al Convegno annuale 2009 dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti su «Lo Statuto costituzionale del non cittadino» Cagliari, 16-17 ottobre 2009; nell'osservazione che anche laddove una posizione giuridica soggettiva sia astrattamente riconosciuta anche in capo a soggetti sprovvisti del c.d. Status civitatis, il legislatore conserva, in molti casi, un certo margine di discrezionalità della

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problema con l'occhio rivolto prevalentemente all'individuazione ed all'enumerazione delle situazioni

giuridiche soggettive riconosciute e tutelate in capo al non cittadino: in questa impostazione sembra

ancora predominante l'influsso del concetto di status, inteso come fonte di situazioni giuridiche

soggettive, sicchè si è naturalmente portati a ritenere che la determinazione dello status giuridico dello

straniero si risolva nella rassegna dei diritti e degli obblighi che a questo fanno capo”.

La Corte costituzionale sembra mediare tra gli orientamenti della dottrina riconoscendo come i diritti

garantiti dalla carta possano applicarsi anche al non cittadino, qualificando però tale estensione

nell'ambito dei diritti fondamentali garantiti dall'articolo 2. Il principio personalista163 così espresso

costituisce il parametro di valutazione della tutela garantita a tutti gli individui, indipendentemente

dalla cittadinanza164 e permette di “inquadrare la questione della condizione giuridica dello straniero dal

punto di vista del suo essere persona e non da quello del soggetto da considerare nell'ambito della

regolazione del fenomeno dell'immigrazione”165. Nel richiamare la tutela dei diritti fondamentali

garantiti alla persona dall'articolo 2 e quella richiamata attraverso il riferimento agli strumenti

internazionali di protezione dei diritti umani si può perciò concludere che la carta fondamentale sembra

riconoscere anche allo straniero irregolare tali diritti inalienabili166.

disciplina dei modi di esercizio e delle garanzie dei diritti. Si perpetua in tal modo l'equivoco che pare inevitabilmente legato all'utilizzo della nozione di status: mentre questo, come fonte di situazioni giuridiche, rimane del tutto inconoscibile, lo stesso concetto acquista una fisionomia precisa solo nel momento in cui il suo contenuto, in astratto indeterminato, si riempie con la individuazione delle puntuali disparità di trattamento che l'ordinamento ricollega alla sua esistenza; di tali disparità i trattamento tuttavia, non si riesce poi a dare compiutamente ragione, proprio perchè, attraverso un'operazione artificiale ed arbitraria, esse continuano ad essere presentate come la naturale conseguenza del possesso o dell'assenza di un'inesistente qualità (lo status ) del soggetto. Un tale modo di procedere rischia di far perdere di vista il problema centrale nella ricostruzione della cittadinanza: in base a quali criteri, ed entro quali limiti, sia consentito al legislatore introdurre disparità di trattamento tra cittadino e non cittadino, e in quale misura possano ritenersi costituzionalmente legittime differenziazioni fondate non su obiettive differenze tra le situazioni concretamente disciplinate, ma piuttosto sulla pura e semplice assenza, in capo ad un soggetto del c.d. Status civitatis”.163 Secondo l'analisi di A. PATRONI GRIFFI, a partire dall'osservazione che “nell'ordito costituzionale il valore personalista e il rispetto della dignità umana si esplicano nella centralità e primazia della persona in quanto tale”, “il principio personalista si ricollega a quello pluralista ed entrambi vanno a costituire la comune matrice di un concetto ampio di cittadinanza sociale, rispetto al quale la differenza può formare fondamento di valutazioni normative "di favore" sul piano del diritto positivo, con divieto per il legislatore di ogni irragionevole differenziazione peggiorativa di trattamento.” A. PATRONI GRIFFI, Stranieri non per la Costituzione, in Studi in onore di Vincenzo Atripaldi, Jovene, 2010, p.987 ss.164 Cfr. P. CARETTI, I diritti fondamentali: libertà e diritti sociali, Torino Giappichelli, 2005, p.136-137 che afferma: “L'articolo 2 non si riferisce solo ai cittadini ma fa riferimento a tutti gli uomini, individuati come portatori di valori individuali preesistenti alla stessa organizzazione statale”165 F. SCUTO, Il difficile rapporto tra immigrazione “irregolare” e la tutela dei diritti della persona: un confronto tra Spagna e Italia, op. cit., p.164166 Cfr. E. CHELI, Intorno ai fondamenti dello «Stato costituzionale», Quaderni costituzionali, n.2/2006, p.267. Nell'analisi delle qualità dello Stato costituzionale, l'autore qualifica come innovazione rispetto allo stato di diritto il ruolo dei diritti fondamentali che, non più fondati in un ottica giuspositivistica sull'accordo che lega il cittadino allo Stato e sulla legge a cui sono sottoposti, bensì “sono in grado di condizionare la legge ai fini del rispetto della costituzione”, riconoscendo e affermando “il primato della persona rispetto allo Stato e alle sue leggi”. “I diritti fondamentali sono, dunque, diritti inviolabili e tendenzialmente universali, con una sfera di protezione che tende ad allargarsi a tutti i soggetti viventi. Per il loro legame diretto con la natura dell’uomo precedono la nascita della società politica e dello Stato, ma ottengono dallo Stato

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Il problema s'incardina invece sul principio di uguaglianza espresso dall'articolo 3 e limitato, dal

dettato costituzionale ai soli “cittadini”. Nell'articolo 3 la dottrina mette il luce il riferimento

all'eguaglianza in senso formale non più come “mera égalité liberale devant la loi ma accompagnata

dal riferimento alla «pari dignità sociale di tutti»”. La «pari dignità» viene in tal modo ricostruita come

“ponte tra i diritti inviolabili dell'articolo 2 e l'eguaglianza, per cui ogni persona ha eguale dignità, di

uomo e individuo. La «dignità umana» si configura come valore e principio che, nel disposto degli

articoli 2 e 3, qualifica tutte le libertà fondamentali, impedendo al legislatore di andare al di sotto di

quel minimo o standard, in cui si leda la dignità stessa dell'uomo in quanto tale167.

Fino a tempi recenti la giurisprudenza costante ha sostenuto un'interpretazione della previsione

costituzionale in connessione con gli articoli 2 e 10 comma secondo deducendo che “se è vero che

l'articolo 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini è anche vero che il principio di eguaglianza vale

pure per lo straniero quando trattasi di rispettare quei diritti fondamentali” in riferimento alle

convenzioni internazionali in vigore168.

La Corte, pronunciatasi più volte in merito, partendo dall'uguaglianza ai soli cittadini, tenta di

svilupparne una visione sistematica che supera la ristrettezza del dato testuale ed afferma l'applicabilità

allo straniero del principio di uguaglianza, sia pure in un ambito più ristretto rispetto all'intera gamma

delle situazioni costituzionalmente protette169. Al di là dei diritti fondamentali riconosciuti in via

generale dall'articolo 2 e richiamati dalle più importanti dichiarazioni internazionali dei diritti – che

non ammettono distinzioni di imputazione tra cittadino e non-cittadino – vi sono altre situazioni

giuridiche che ammettono invece trattamenti differenziati in base alla cittadinanza, sulla base del

parametro di non arbitrarietà. Rispetto a tali diritti il legislatore può disciplinarne il godimento con un

certo margine di discrezionalità, entro i confini fissati dall'art. 10, con l'unico limite del rispetto del

riconoscimento e tutela attraverso i principi di civilizzazione espressi dalle carte costituzionali e dalle dichiarazioni dei diritti.”. Dello stesso orientamento Cfr. G. D'Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana, op. cit., p.121: “Può affermarsi che essendosi storicamente sempre più ridotta l'area di differenziazione tra la categoria dei cittadini e quella degli stranieri, per effetto della graduale estensione anche a questi ultimi delle situazioni giuridiche soggettive inerenti alla persona e come tali fondamentali, la validità della distinzione va oggi fondata soprattutto in quel nucleo di situazioni soggettive che più strettamente attengono al rapporto di appartenenza da uno Stato o all'esigenza di garantire beni essenziali alla sua sicurezza, o al suo ordine pubblico. Anche se, più modernamente, vanno affermandosi ed estendendosi orientamenti, sia culturali che politico-legislativi, favorevoli ad un maggior inserimento economico-sociale ed amministrativo : premessa storica di più ampia assimilazione giuridica e di riduzione del quid proprium di quello status.” 167 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Stranieri non per la Costituzione, in Studi in onore di Vincenzo Atripaldi, Jovene, 2010, p.987 ss.168 Sentenza n.120/1967169 Sul punto confronta M. CUNIBERTI, La cittadinanza, op. cit., p.160

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principio di ragionevolezza.

In questo modo, commenta Scuto, “la Corte si è posta in una posizione parzialmente contraddittoria

rispetto alla sua affermazione generale di principio – in base alla quale il principio di eguaglianza non

ammette differenziazioni nella tutela dei diritti fondamentali – ammettendo di fatto, anche nella sfera

dei diritti fondamentali, la possibilità per il legislatore di prevedere ragionevoli differenziazioni sulla

base del dato della cittadinanza”170. Secondo Caputo tale modus operandi “si espone al rischio della

circolarità: le discipline giuridiche che differenziano la posizione giuridica dello straniero e del

cittadino (le valutazioni giuridiche di cui parla la Corte) determinano la legittimità costituzionale delle

discipline giuridiche differenziate in tema di diritti fondamentali”171. Nella valutazione di tale dinamica

l'autore mette in evidenza due elementi. Da un lato viene sottolineato come la “distinzione tra titolarità

e godimento – criticata anche di recente in dottrina – resti estranea ad alcuni diritti fondamentali rispetto

ai quali il riconoscimento a favore dello straniero è stato operato dal giudice delle leggi in modo del

tutto svincolato dall’approccio in esame; è il caso, ad esempio, della libertà personale” realizzato nella

sentenza 105/2001172. Dall'altro invece “la Corte riconosce implicitamente che le valutazioni normative

non sono quelle che lo Stato ritenga di fare con assoluta discrezionalità. Si tratta, invece, di valutazioni

che da un lato debbono comunque essere connesse alle effettive differenze di fatto, e che dall’altro sono

rilevabili in ogni ordinamento (...). La logica conclusione è che il legislatore, nel campo dei diritti

fondamentali, può trattare diversamente cittadini e stranieri solo quando ciò sia ragionevolmente

consentito dalla fattuale diversità delle due situazioni, ovvero dalla normale valutazione che se ne dà

nel nostro e negli altri ordinamenti (democratici)”173. In tal modo si mostra il ruolo precipuo della corte

costituzionale alla quale è demandato il compito in ultima analisi di “valutare se, nel caso concreto, il

legislatore sia andato al di là del libero esercizio della propria discrezionalità politica nell'equiparare o

nel differenziare il trattamento di diverse categorie di individui”174.

Critica la dottrina sull'utilizzo di tale modulazione del principio di uguaglianza che, se da un lato viene

considerata legittima per la necessità di attuare un bilanciamento tra beni giuridici diversi, dall'altro

lascia notevoli spazi interpretativi e d'intervento al legislatore. “Le sentenze della Corte hanno lasciato

in vita – malgrado i tentativi continuamente rinnovati dei giudici di merito, appoggiati di volta in volta

a diversi profili dell'eguaglianza – leggi riguardanti gli stranieri che ne restringono o ne onerano alcuni

170 Cfr. F. SCUTO, Il difficile rapporto tra immigrazione “irregolare” e la tutela dei diritti della persona: un confronto tra Spagna e Italia, op. cit., p.163 171 A. CAPUTO, Le recenti riforme del sistema penale, op. cit.172 A. CAPUTO, Le recenti riforme del sistema penale, op. cit.173 M. LUCIANI, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali, op. cit., p. 219.174 E. GROSSO, Straniero (status dello), op. cit., p.5790

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diritti riconosciuti dalle stesse sentenze come fondamentali”175. In rapporto all'opera della Corte

Costituzionale, continua nell'argomentazione Allegretti, è apprezzabile l'indirizzo dei giudici della

Consulta che qualifica i diritti fondamentali come inviolabili, garantendone direttamente l'appartenenza

al nucleo fondamentale della Costituzione, e in tal modo li rende “irreformabili anche in sede di

revisione costituzionale”; d'altro canto l'autore mette in evidenza come tale atteggiamento porti a non

produrre “i risultati di purificazione della legislazione che vi sarebbero astrattamente contenuti”,

soprattutto vista la distinzione introdotta tra equiparazione nella titolarità e differenziabilità nel

godimento. In questo modo, anche in parte in ragione della natura stessa del sindacato di

costituzionalità non viene dato “realmente un impulso alle modificazioni di trattamento che si possono

ritenere all'altezza di un ulteriore progresso civile”176.

Recentemente la corte è nuovamente intervenuta sulla portata dell'articolo 3 con la sentenza 306/2008

rinvenendo nel diritto consuetudinario, come richiamato dall'articolo 10 comma prima della

Costituzione, il divieto di discriminare gli stranieri rispetto ai cittadini nel godimento dei diritti

fondamentali. La copertura dell'articolo 3 anche in riferimento al primo comma dell'articolo 10 nel caso

concreto177 viene riconosciuto soltanto agli stranieri regolarmente presenti in Italia. Sull'estensibilità di

tale orientamento anche allo straniero irregolarmente presente la dottrina non si sbilancia anche se è

chiaro che anche a livello internazionale non sussiste una divieto di discriminazione dello straniero

irregolare in materie riguardanti l'ingresso nel territorio178. La sentenza invero non si discosta dal

criterio di ragionevolezza costantemente richiamato in materia dalla Corte, soprattutto nella valutazione

rispetto ai diritti fondamentali garantiti anche agli irregolari.

“La corte costituzionale ha forgiato una tecnica di utilizzo del sindacato di eguaglianza nei confronti

della condizione giuridica dello straniero che le lascia notevoli margini di manovra. Riferendo

l'eguaglianza formale di cui all'articolo 3 comma 1, Cost., ai soli diritti fondamentali dello straniero,

175 Cfr. U. ALLEGRETTI, Costituzione e diritti cosmopolitici, G. GOZZI, Democrazia, diritti, costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee, Bologna, 1997, p.150176 Continua U. ALLEGRETTI, Costituzione e diritti cosmopolitici, op. cit., p.151-152. Tale atteggiamento sembra essere chiaramente espresso nella sentenza n.250/2010. Per un approfondimento cfr. L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità. Incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte costituzionale, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.3/2010.177 Il caso verteva sulla illegittimità per contrasto con gli articolo 2, 3 e 38 dell'articolo 9 del Tu. E dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001) in materia di riconoscimento di indennità di previdenza sociale a una cittadina albanese regolarmente soggiornante gravemente malata.178 A. GUAZZAROTTI, Lo straniero, i diritti. L'uguaglianza, Questione giustizia, n.1/2009, p.91: “Non potrà quindi una legislazione statale discriminare lo straniero sulla base della sua presunta etnia o religione, ma potrà distinguere sulla base della condizione di straniero nella disciplina di un certo diritto, rendendo l'esercizio di quest’ultimo più difficoltoso o condizionato, se si tratta di un diritto “fondamentale”, ovvero negandolo del tutto allo straniero se si tratta di un diritto “non fondamentale” (vedi ordinanza 503/1987: la corte ha negato che allo straniero spetti di regola, un diritto acquisito di reingresso o di soggiorno nello stato)”.

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ossia ad una categoria di diritti quanto mai variegata e dagli incerti confini, la Corte si è riservata la

possibilità di individuare di volta in volta le posizioni giuridiche di vantaggio la cui titolarità prescinde

dal possesso della cittadinanza”179.

1.2 I diritti fondamentali dei migranti irregolari e la giurisprudenza della Corte in materia di

immigrazione irregolare

La condizione di irregolarità limita lo straniero nel godimento di alcuni diritti, anche rispetto a quelli

garantiti agli stranieri regolarmente soggiornanti180, nel bilanciamento del principio di uguaglianza, ma

non lo esclude dalla tutela dei diritti fondamentali. Il quadro della tutela minima viene tracciato dal

testo unico all'articolo 2, che dispone i diritti e i doveri dello straniero, e all'articolo 19 che prevede le

situazioni di vantaggio in cui il soggetto non possa essere estradato per necessità di pubblico

soccorso181, ovvero in ragione di status personali quali la minore età, lo stato di gravidanza o post parto;

medesima tutela deve essere garantita ai soggetti che potrebbero essere sottoposti nel paese di

destinazione a rischi alla vita o alla salute. A questo si aggiunge nel caso di accertata situazione di

violenza o grave sfruttamento nei confronti di uno straniero la possibilità per il questore di rilasciare

uno speciale permesso di soggiorno per consentirgli di sottrarsi ai condizionamenti dell'organizzazione

criminale182, e nel caso di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Stati non

179 A. GUAZZAROTTI, Lo straniero, i diritti. L'uguaglianza, Questione giustizia, n.1/2009, p.90 180 Tra i diritti riconosciuti agli stranieri regolarmente soggiornati da richiamare: la possibilità di partecipare alla vita pubblica locale (articolo 2 comma 4 tu); il diritto all'unità familiare e ad il ricongiungimento (art. 28 e 29), recentemente modificato; i diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il testo unico dispongano diversamente (art. 2 comma 2) che comprendono i diritti di partecipazione ai rapporti economici, compreso il diritto al lavoro (comma 3), le prestazioni di garanzia e sicurezza sociale e sanitaria (articolo 34 tu), e quelle relative all'accesso all'abitazione (articolo 40 tu). Inoltre particolarmente importante nella tutela dello straniero regolare è l'articolo 5 comma 3 che sancisce il principio di uguaglianza sostanziale prevedendo che “nell’ambito delle rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell’obbiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelle inerenti all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana”. Cfr. E. ROSSI, I diritti fondamentali degli stranieri irregolari, in M. REVENGA SANCHEZ, I problemi costituzionali dell'immigrazione in Italia e Spagna, Giuffrè - Tirant lo blanch, Milano - Valencia, 2008, p.136181 Come rileva E. ROSSI, I diritti fondamentali degli stranieri irregolari, op. cit., p.135, la soluzione individuata al fine di garantire allo straniero il soddisfacimento delle necessità di pubblico soccorso previsto all'articolo 10 comma 1 lett. b) del T.U. appare critica: “l'esperienza dei centri di permanenza temporanea suscita forti perplessità nella sua previsione astratta e concreta”: in primis tale provvedimento si traduce in una misura incidente sulla sua libertà personale visto che, come affermato dalla sentenza n.150/2001 “il trattenimento, anche quando non sia disgiunto da una finalità di assistenza, determina quella mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere”; e in secondo luogo nella prassi applicativa emergono condizioni di vita e di trattamento ancor più mortificanti per la dignità umana. 182 Cfr. art. 18 tu

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appartenenti all'Unione europea è prevista la possibilità di adottare misure di protezione temporanea

per rilevanti esigenze umanitarie.

In tema di immigrazione irregolare non è rintracciabile tra i diritti inviolabili tutelabili dall'articolo 2 e

garantiti dalle dichiarazioni internazionali un diritto dell'ingresso del non cittadino sul territorio dello

stato, come affermato fin dalla sentenza n.503 del 1987. Il legislatore gode di un certo margine di

discrezionalità nella regolazione di tale materia che tuttavia non è scevra da limiti: nei confronti

dell'ingresso del cittadino extracomunitario è tenuto a dettare una disciplina che nel prevedere un

controllo dei flussi non realizzi esclusioni arbitrarie e non operi tra i singoli trattamenti

irragionevolmente differenziati183. Nella gestione delle problematiche relative ai flussi migratori la

Corte costituzionale si è sempre espressa per il bilanciamento tra la necessità di ordine pubblico ed il

controllo del fenomeno migratorio, un vero leitmotiv nelle decisioni della Consulta.

Già nella sentenza 353/1997 aveva messo in chiaro che “le ragioni della solidarietà umana non possono

essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco, di cui si é fatto carico il

legislatore”. Tale bilanciamento deve essere garantito in quanto “lo Stato non può abdicare al compito,

ineludibile, di presidiare le proprie frontiere: le regole stabilite in funzione d’un ordinato flusso

migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno dunque rispettate, e non eluse, o anche soltanto derogate

di volta in volta con valutazioni di carattere sostanzialmente discrezionale, essendo poste a difesa della

collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate e che potrebbero ricevere

danno dalla tolleranza di situazioni illegali”184.

Le misure del legislatore volte a contrastare l'immigrazione clandestina e giustificate da esigenze di

sicurezza interna e di contenimento dei flussi di ingresso hanno rilievo costituzionale e sono dunque

pienamente legittime perchè permettono il mantenimento della sicurezza pubblica185. Nel porre in

evidenza la ratio sulla quale la corte ha ritenuto più o meno legittime differenze nel godimento dei 183 Cfr. E. GROSSO, Straniero (status dello), op. cit., p.5791184 Viene messo in luce un rilievo critico dalla dottrina che, sia pur valutando positivamente il ragionamento della Corte, rileva l'astratta possibilità che da tale sottolineatura sulla legittimità delle regole stabilite in funzione dei flussi possa portare ad una vanificare il riconoscimento dei diritti fondamentali agli stranieri irregolari, oltre a limitare le ragioni di solidarietà umana. Si auspica perciò che “il giudizio sul ragionevole bilanciamento operato dal legislatore si mantenga su un binario di scrutinio stretto, perchè il rapporto tra diritti fondamentali della persona e ragioni di sicurezza nazionale non sono valori paritari ma gerarchicamente ben differenziati”. Cfr. E. ROSSI, I diritti fondamentali degli stranieri irregolari,op. cit., p.139 e A. ALGOSTINO, Lo straniero “sospeso” fra tutela dei diritti fondamentali della persona umana e esigenze di un efficiente controllo dell'immigrazione (nota alla sentenza della Corte Costituzionale n.105 del 2001), Giur. It., 2002, p.349.185 Nella sentenza 353/1997 e nell'ordinanza 146 e 200/2002 la Corte ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di costituzionalità sollevata riguardo l'art.13 comma 2, nella parte in cui non prevede che “nella pronuncia del decreto di espulsione, il prefetto debba tenere conto della sussistenza di condizioni attuali dello straniero che legittimino la concessione dei titoli autorizzativi all'ingresso e alla permanenza nel territorio dello stato” argomentando che “le ragioni umanitarie e solidaristiche che dovrebbero guidare la scelta dell'autorità amministrativa non sono ignote al d.lgs. 286/1998 che all'art.19 prevede diverse ipotesi di divieto di espulsione dello straniero, soddisfano l'esigenza che siano tutelate particolari situazioni personali senza abdicare al principio di legalità, il quale soltanto può assicurare un ordinato flusso migratorio”

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diritti da parte dello straniero, si può evidenziare in rapporto al fenomeno dell'immigrazione irregolare

il contrasto tra due posizioni divergenti. Da un lato si evidenzia l'equiparazione tra cittadini e stranieri

sulla base del principio solidaristico, dall'altra viene rimarcata la necessità di assicurare – per la stessa

sopravvivenza dello Stato – un controllo delle frontiere e dei confini esterni in grado di tutelare le

esigenze di ordine pubblico e sicurezza186. La questione si incardina perciò nella necessità di trovare un

bilanciamento tra la limitazione di un incontrollato afflusso e la dignità umana e sociale che deve essere

garantita allo straniero187.

Secondo quanto rilevato dalla dottrina la Corte, nel bilanciamento degli interessi connessi alla tutela

dello straniero, “mostra oggi un atteggiamento più deciso che in passato per quanto attiene al

riconoscimento della diretta applicabilità di alcune fondamentali garanzie costituzionali”188.

La prassi non pare rispecchiare tale apertura: nonostante i ripetuti interventi volti a smussare le più

gravi violazioni, i giudici della Consulta tendono a “preferire soluzioni «morbide» di segno

interpretativo” astenendosi dall'intervenire con pronunce di accoglimento e rimettendo in tal modo ai

giudici la tutela dello straniero caso per caso189. Tale atteggiamento di sostanziale “self restrain” viene

criticato dalla dottrina che sottolinea le conseguenze di tale modus operandi: “una soluzione la cui

tenuta dipende da un sovraccarico del controllo giurisdizionale che rischia seriamente di indebolire

186 Nella Sentenza n.3162/2003 la Corte di Cassazione mette il luce alcuni profili della nuova legislazione introdotta con la legge 189/2002 notando come sia stato “accentuato il carattere di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica di alcune disposizioni, in parte capovolgendo la visione solidaristica in una esclusivamente repressiva”. Le valutazioni del legislatore possono avere contenuto più o meno afflittivo. In via generale, può affermarsi che “la legge n. 40 del 1998 ha ulteriormente marcato alcuni caratteri peculiari rilevabili già nella legge n. 943 del 1986, sicché le finalità di ordine pubblico, di sicurezza e di razionalizzazione, di controllo e di regolamentazione della presenza e dell'attività dei c.d. extracomunitari venivano filtrate attraverso i principi di pari opportunità e trattamento, di regolazione del mercato del lavoro al di fuori degli schemi della pubblica sicurezza. Pertanto l'anticipazione di tutela dell'ordine pubblico e della pubblica economia, collegato ad un fenomeno di illegalità di massa e di grandi dimensioni, non perdeva neppure di vista il legame esistente fra immigrazione, povertà o indigenza e c.d. lavoro nero ed i principi solidaristici espressi nella nostra Costituzione”. D'altro canto però “già nella legge n. 40 del 1998 assumeva un ruolo più marcato sotto alcuni aspetti, la funzione di sicurezza ed ordine pubblico, divenuto il tema centrale con la legge n. 189 del 2002 con un'unilaterale lettura della normativa europea. La necessità di una regolamentazione tendenzialmente definitiva di un fenomeno quale quello dell'immigrazione destinato a perdurare nel tempo trovava la sua attuazione in tutta l'impostazione della normativa, in cui, accanto ad una definizione della nozione di "straniero" ed alla sua considerazione quale soggetto titolare di diritti e di doveri, esisteva una serie di disposizioni tese ad agevolarne l'integrazione nel contesto sociale in cui vive, ad assicurargli condizioni di vita civile ed un'adeguata assistenza non solo sanitaria, regolandone i flussi e la permanenza in una visione accentuata di legificazione rispetto a quella precedente affidata maggiormente al settore amministrativo”.187 Per una riflessione sulla portata del diritto alla dignità cfr. M. C. LIPARI, La dignità dello straniero, Politica del diritto, n.2/2006188 M. CUNIMBERTI, Allontanamento ed espulsione degli stranieri nell'ordinamento italiano, in M. REVENGA SANCHEZ, I problemi costituzionali dell'immigrazione in Italia e Spagna: II Giornate italo-spagnole di giustizia costituzionale : El Puerto de Santa Marıa, 3-4 ottobre 2003, p.244́ , op. cit, p.243. Secondo quanto sostenuto dall'autore, l'applicazione allo straniero delle garanzie costituzionali avveniva attraverso un riscontro sul principio di eguaglianza che si traduceva nelle argomentazioni della Corte in un riscontro sulla ragionevolezza di determinate differenziazioni di trattamento. Ciò consentiva alla corte di affermare che la riconosciuta titolarità dei diritti inviolabili non implicava l'assoluta eguaglianza di trattamento, potendosi sempre ravvisare, tra cittadino e straniero, differenti situazioni di fatto tali da legittimare differenze di trattamento giuridico. 189 M. CUNIMBERTI, Allontanamento ed espulsione degli stranieri nell'ordinamento italiano, op. cit., p.243

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l'effettività della tutela giurisdizionale dello straniero, soprattutto dinanzi a dinamiche legislative

volutamente orientate ad un depotenziamento del giudice e ad una riduzione dei suoi spazi e modi di

decisione”190.

Bascherini definisce questo fenomeno come una “giurisdizionalizzazione” delle misure contestate la

quale si rivela però problematica e parziale. Secondo la sua analisi infatti tale sistema “trasferisce ad un

giudice ampi compiti di interpretazione conforme a costituzione della normativa vigente, in un campo

che fa vita ad una mole di ricorsi e dinanzi ad una normativa che ne ha scientemente ridotto all'osso i

margini di manovra”. In secondo luogo tale copertura giurisdizionale si rivela oltremodo parziale, in

quanto – a ben vedere il sistema come così congegnato – “un'effettiva giurisdizionalizzazione (come

restituzione del sistema delle espulsioni ad un effettivo diritto di difesa) incepperebbe

irrimediabilmente il meccanismo degli allontanamenti caratterizzante la vigente disciplina” e “finisce

per eludere molti degli interrogativi più radicali riguardo la costituzionalità di misure discutibili sul

piano della loro conformità ai principi e alle garanzie costituzionali”191.

Il terreno delle garanzie in materia di espulsioni è particolarmente critico per le tensioni nella tutela tra

valori parimenti costituzionalmente tutelati e rimette alla Corte il delicato compito di intervenire per

bilanciare adeguatamente con i principi costituzionali le scelte del legislatore prevalentemente orientate

alla gestione poliziesca del fenomeno immigrazione. Nella giurisprudenza in materia di allontanamenti

l'orientamento – come prima accennato – si traduce però in una più articolazione del quadro

costituzionale delle garanzie di cui gode lo straniero colpito da una misura di allontanamento:

l'espulsione è legittima in quanto risponde all'esigenza costituzionale di contenimento dei flussi

migratori e dunque ad una politica dell'immigrazione effettiva; al contempo tuttavia l'applicazione di

tale misura deve avvenire con modalità tali da garantire il rispetto di diritti indipendenti dalla

cittadinanza (vita, libertà personale, difesa, salute, protezione dei minori).

L'intervento della Corte costituzionale in materia si è concentrato su due principali filoni inerenti alla

tutela della libertà personale in caso di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera e di

effettività del diritto alla difesa nei ricorsi contro l'espulsione.

La giurisprudenza della Corte ha evidenziato con fermezza il contenuto delle garanzie che devono

essere riconosciute allo straniero quantunque irregolare.

Il diritto di difesa ha visto riconoscimento anche per gli immigrati irregolari nella sentenza 198/2000 in

cui veniva affrontato la questione inerente alla traduzione del decreto di espulsione: “Il pieno esercizio

190 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.119; Cfr. G. BASCHERINI, Accompagnamento alla frontiera, Giur. Cost., 2001, spec. 1682191 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.119

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del diritto di difesa da parte dello straniero presuppone, dunque, che qualsiasi atto proveniente dalla

pubblica amministrazione, diretto a incidere sulla sua sfera giuridica, sia concretamente conoscibile.

Ciò vuol dire, con specifico riferimento al decreto di espulsione, che questo deve essere redatto anche

nella lingua del destinatario ovvero, se non sia possibile, in una di quelle lingue che - per essere le più

diffuse - si possano ritenere probabilmente più accessibili dal destinatario”.

La Corte, rigettando il ricorso192, afferma che “lo straniero (anche irregolarmente soggiornante) gode di

tutti i diritti fondamentali della persona umana, fra i quali quello di difesa, il cui esercizio effettivo

implica che il destinatario di un provvedimento, variamente restrittivo della libertà di

autodeterminazione, sia messo in grado di comprenderne il contenuto e il significato”193. Sempre in

materia di diritto di difesa la Corte nella sentenza 222/04 ha previsto che in caso di accompagnamento

alla frontiera debba essere garantito il giudizio di convalida dell'espulsione in contraddittorio e con le

garanzie della difesa prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento. La pronuncia si

qualifica per definire “una sorta di standard minimo di garanzie che deve caratterizzare l'intervento

giurisdizionale in tema di habeas corpus” sancito nel rispetto dell'effettività dell'intervento del giudice,

delle garanzie del contraddittorio e del diritto di difesa194.

La questione dell'effettività del diritto di difesa non si esaurisce però sulla garanzia del contraddittorio

ma necessita la messa a punto di strumenti che garantiscano che tale difesa sia davvero effettiva. Pare

perciò indubbiamente problematica la questione dell'assenza della possibilità di sospendere

l'esecuzione dell'espulsione in conseguenze dell'avvenuta convalida, se fatto ricorso195. Come riporta la

dottrina “è evidente che l'esecuzione immediata del provvedimento, in assenza di qualsiasi possibilità

di sospensione, espone lo straniero al rischio di subire danni simili, senza possibilità di riparazione”196.

Pietra miliare nel riconoscimento di una più ampia tutela al migrante irregolare è la sentenza

192 Secondo la Corte il legislatore ha rispettato il principio di difesa statuendo, all’art. 13, comma 7, che "il decreto di espulsione [...] nonché ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola".193 Ed aggiunge “La traduzione del decreto di espulsione è dunque preordinata ad assicurare la sua effettiva conoscibilità; e questa è presupposto essenziale per l’esercizio del diritto di difesa, di cui gode anche lo straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale”.194 Cfr. A. CAPUTO, Le recenti riforme del sistema penale, op. cit.195 La corte nella sentenza 161/2000, pur rigettando il ricorso che contestava la legittimità costituzionale della mancata previsione di poteri cautelari rispetto alla disciplina previgente, ha sostenuto che il diritto di difesa implica anche la possibilità di ottenere ogni misura volta ad evitare che nelle more del giudizio il soggetto subisca un danno grave o irreparabile. Cfr. M. CUNIMBERTI, Allontanamento ed espulsione degli stranieri nell'ordinamento italiano, op. cit., p.269196 M. CUNIMBERTI, Allontanamento ed espulsione degli stranieri nell'ordinamento italiano, op. cit., p. 269; L'autore sottolinea le conseguenze al destinatario del provvedimento se espulso verso un paese dove possa essere oggetto di persecuzione o di trattamenti inumani e degradanti – che pure esporrebbe il nostro paese alla responsabilità per mancato rispetto dei principi della CEDU sul divieto di espulsione – ovvero, come richiamato da P. MOROZZO DALLA ROCCA, Espulsione e danno: la normativa italiana sull'allontanamento dello straniero, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.4/2002, ovvero danni patrimoniali difficilmente risarcibili allo straniero illegittimamente espulso.

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n.105/2001 in cui la corte si e' espressa sul nodo problematico del difficile bilanciamento tra le norme

di contrasto all'immigrazione clandestina e la necessità di garantire i diritti fondamentali. Il caso

riguardante la tutela della libertà personale in caso di espulsione amministrativa secondo l'articolo 13

del T.U. ha dato la possibilità alla Corte di affermare che “nel trattenimento si determina quella

mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico

all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”.

Inoltre sul rapporto con la norma costituzionale afferma che “né potrebbe dirsi che le garanzie

dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di

altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della

immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza

e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il

carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama

inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto

esseri umani”.

Secondo quanto sostenuto da Scuto197, la Corte – seppur implicitamente – ha riconosciuto che “in

questo caso non è in gioco un bilanciamento tra valori paritari perchè la tutela dei diritti inviolabili non

può essere bilanciata con altri interessi, sia pur di rilievo costituzionale”.

La Consulta, nonostante nel caso concreto sia intervenuta con un'interpretazione adeguatrice salvando

la norma sull'accompagnamento estendendo la riserva di giurisdizione disposta per il trattenimento ma

non prevista per l'accompagnamento198, ha qualificato sia l'accompagnamento che il trattenimento come

limitazioni della libertà personale199, sottoponendole perciò a convalida giudiziale come richiesto

dall'articolo 13 della Costituzione.

La Corte Costituzionale con la sentenza 223/2004 è ritornata sul reato di ingiustificato trattenimento in

violazione dell'ordine di allontanamento del questore sancendo l'illegittimità costituzionale dell'articolo

14, comma 5quinquies del T.U. nella parte in cui stabiliva l’arresto obbligatorio dello straniero colto

nella flagranza della contravvenzione di cui al comma 5ter. Viene in tal modo argomentato: “a norma

dell’art. 13, terzo comma, Cost., all’autorità di polizia è consentito adottare provvedimenti provvisori

restrittivi della libertà personale solo quando abbiano natura servente rispetto alla tutela di esigenze 197 F. SCUTO, Il difficile rapporto tra immigrazione irregolare e tutela dei diritti della persona: un confronto tra Spagna e Italia, op. cit., p.168198 La Corte ha inoltre rigettato le questioni inerenti l'ampiezza della convalida ribadendo che il giudice ha la possibilità se vi sono le condizioni di disporre la cessazione del trattenimento prima dello scadere del termine.199 La Corte afferma che il trattenimento amministrativo nei C.I.E. “è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell'art. 13 della Costituzione”, mentre per l'accompagnamento coattivo “presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica, per costante giurisprudenza costituzionale, le restrizioni della libertà personale e che vale a differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di circolazione”.

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previste dalla Costituzione, tra cui in primo luogo quelle connesse al perseguimento delle finalità del

processo penale, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo

sacrificio della libertà personale in vista dell’intervento dell’autorità giudiziaria. Ove – come nel caso

di specie – non sia dato riscontrare alcun rapporto di strumentalità tra il provvedimento provvisorio di

privazione della libertà personale e il procedimento penale avente ad oggetto il reato per cui è stato

disposto l’arresto obbligatorio in flagranza, viene meno, come questa Corte ha in più occasioni rilevato,

la giustificazione costituzionale della restrizione della libertà disposta dall’autorità di polizia”. Viene

perciò dichiarata illegittima la norma sull'arresto obbligatorio dello straniero che non aveva

ottemperato all'ordine del questore in relazione alla natura meramente contravvenzionale del reato

contestato punito con una detenzione – da sei mesi ad un anno - inferiore a quella prevista dal codice

per l'applicazione delle misure coercitive. Osserva a riguardo che “la misura ‘precautelare’ non essendo

finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, si risolve in una limitazione ‘provvisoria’

della libertà personale priva di qualsiasi funzione processuale ed è quindi, sotto questo aspetto,

manifestamente irragionevole.”

Sulla stessa disposizione impugnata, ma nel frattempo modificata dal dl. 241/2004 che ha trasformato

il reato in delitto sanzionato con la reclusione, la Corte è ritornata sul punto con la sentenza 22/07.

Nonostante le dichiarazioni di inammissibilità delle eccezioni sollevate dai giudici per ottenere un

intervento manipolativo della consulta, attenta dottrina sostiene che “nella motivazione trapeli un

continuo «vorrei ma non posso»200 e pare appellarsi al parlamento quando afferma che “il quadro

normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio

nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi

legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da

rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di

proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa”. Viene infatti precisato che la

valutazione sulla scelta dell'innalzamento complessivo delle pene spetta al legislatore e non alla

pronuncia della Corte costituzionale che in tal modo avrebbe portato soltanto ad incidere “in modo

parziale sul quadro degli squilibri denunciati, senza determinare un superamento completo ed

effettivo”201.

Degna di nota in merito alla qualificazione della condizione di irregolarità è la sentenza della Corte

costituzionale n.78/2007 che ritiene illegittima l'indiscriminata esclusione degli stranieri irregolari dal

200 D. BRUNELLI, La Corte costituzionale “vorrebbe ma non può” sulla entità delle pene: qualche apertura verso un controllo più incisivo della discrezionalità legislativa, in Giur. cost., 2007, 181 ss 201 F. BAILO, L’aggravante e il reato di clandestinità: illegittimità “tout court” per la prima e rigetto con motivazione “a due tempi” per il secondo, con qualche apertura ad altri profili d’incostituzionalità, Giurisprudenza italiana, dicembre 2010

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beneficio delle misure alternative al carcere in caso di esecuzione di una condanna detentiva202. A

parere dei giudici “tale preclusione risulta collegata in modo automatico ad una condizione soggettiva –

il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato – che, di per sé,

non è univocamente sintomatica né di una particolare pericolosità sociale, incompatibile con il

perseguimento di un percorso rieducativo attraverso qualsiasi misura alternativa, né della sicura

assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la proficua applicazione della misura

medesima. In conseguenza di siffatto automatismo, vengono quindi ad essere irragionevolmente

accomunate situazioni soggettive assai eterogenee: quali, ad esempio, quella dello straniero entrato

clandestinamente nel territorio dello Stato in violazione del divieto di reingresso e detenuto proprio per

tale causa, e quella dello straniero che abbia semplicemente omesso di chiedere il rinnovo del permesso

di soggiorno e che sia detenuto per un reato non riguardante la disciplina dell'immigrazione”.

Quest'ultima pronuncia è stata richiamata nella sentenza n. 249 del 2010 nella quale è stata sancita

l’illegittimità costituzionale della circostanza aggravante del fatto commesso da soggetto che si trovi

illegalmente sul territorio nazionale prevista all'art. 61, numero 11-bis, cod. pen.) per violazione del

principio di uguaglianza e del principio di offensività.

Nel caso sull'aggravante di “clandestinità” la corte ha sottolineato “l’assenza di un qualsiasi legame tra

la violazione delle leggi sull’immigrazione e le condotte singolarmente poste a base delle più diverse

norme penali incriminatrici”. Richiamandosi alla sentenza 105/2000 secondo cui “la condizione di

straniero non deve essere considerata” per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali “come

causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale” ne

afferma il contrasto con il principio di uguaglianza disposto all'articolo 3 Cost. A rinforzare l'assunto

analizza l'aggravante in connessione con altre due modifiche introdotte con il pacchetto sicurezza del

2009: in primis l'esclusione dell'aggravante stessa ai cittadini comunitari, da cui deduce che l'aggravio

di pena non è espressione della violazione di norme in materia immigrazione – vista altrimenti

l'esistente disparità con gli stranieri comunitari – e in seconda battuta l'irragionevolezza

dell'introduzione del 10 bis che comporterebbe duplicazioni o moltiplicazioni sanzionatorie basate sulla

202 La sentenza ha recepito l’orientamento già affermato dalle Sezioni unite nella sentenza Alloussi del 2006 [Cassazione – Sezioni unite penali (cc) – sentenza 28 marzo-27 aprile 2006, n. 14500], secondo cui le misure alternative alla detenzione in carcere (nella specie l'affidamento in prova al servizio sociale), possono, qualora ricorrano le condizioni stabilite dall'ordinamento penitenziario, essere applicate anche allo straniero extracomunitario che sia entrato illegalmente nel territorio dello Stato e sia privo del permesso di soggiorno. La corte afferma “l’ordinamento penitenziario non opera alcuna discriminazione del relativo trattamento sulla base della liceità, o non, della presenza del soggetto nel territorio dello Stato italiano, e non contiene alcun divieto, esplicito o implicito, di applicazione delle misure alternative alla detenzione a favore del condannato straniero che sia entrato o si trattenga illegalmente in Italia. In linea di principio, considerati i preminenti valori costituzionali della uguale dignità delle persone e della funzione rieducativa della pena, l’applicazione di dette misure non può essere esclusa, a priori, nei confronti dei condannati stranieri, che versino in condizione di clandestinità o di irregolarità e siano perciò potenzialmente soggetti ad espulsione amministrativa da eseguire dopo l’espiazione della pena.

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medesima qualità acquisita con un'unica violazione della legge sull'immigrazione. In secondo luogo la

corte afferma la violazione del principio di offensività posto che non si punisce più gravemente lo

straniero per una sua condotta, ma per il suo “essere” irregolare, secondo la logica del “diritto penale

d'autore”; a ciò si aggiunge l'incomparabilità della nuova circostanza con altre aggravanti a

fondamento soggettivo su indici ragionevoli (nel caso della latitanza), o la cui valutazione è comunque

rimessa alla discrezionalità del giudice (nel caso della recidiva)203.

Dal complesso della giurisprudenza costituzionale in materia di allontanamento si coglie la tendenza a

limitare le più evidenti compressioni dei diritti fondamentali degli immigrati ed a riconoscere loro

nuovi ambiti e ragioni di tutela.

Tale approccio è anche corredato seguito da alcune decisioni della Corte di Cassazione e dei giudici

ordinari. Di particolare interesse l'Ordinanza giudice di pace di Torino che ha annullato decreto di

espulsione di un senegalese omosessuale un base all'articolo 19 del tu sulla base della valutazione che

in Senegal l'omosessualità oltre ad essere reato è anche all'origine di pesanti vessazioni.

Ulteriore rilevo deve essere posto alla sentenza n. 20374/2006 della I sezione penale della Cassazione

in cui la corte ha stabilito non essere reiterabili da parte del questore i decreti di espulsione nei

confronti dei clandestini inottemperanti al primo ordine di lasciare il territorio italiano. Al fine di

evitare che gli stranieri irregolari possano venire processati e condannati due volte per lo stesso reato –

nel caso in cui venissero ritrovati una seconda volta senza documenti – la Cassazione invita a operare

con maggior solerzia i rimpatri “per evitare di innescare una spirale di condanne ed esasperare la carica

criminogena della normativa sull'immigrazione clandestina, la cui reale ratio va identificata piuttosto

nell'intento legislativo di assicurare l'effettività dell'allontanamento del territorio italiano dello

straniero”.

Particolarmente problematica nel quadro della tutela dello straniero rappresenta l'estensione dei diritti

sociali a favore dei soggetti irregolarmente presenti nel territorio. “Il compito cui deve far fronte il

legislatore diventa ancor più complesso quando esso deve effettuare un bilanciamento tra il proposito di

contrastare con norme adeguate l'immigrazione clandestina e la necessità di garantire comunque il

rispetto di diritti inviolabili della persona come il diritto alla salute”204. Tale diritto, come garantito

all'articolo 32 della Costituzione, viene riconosciuto dalla Consulta come diritto fondamentale

ricompreso nella previsione all'articolo 2 e quindi accordato anche allo straniero.

203 Cfr. L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituionale, Diritto immigrazione cittadinanza, n.3/2010 e F. BAILO, L'immigrazione clandestina al vaglio della Corte Costituzionale: illegittima l'aggravante comune ma non anche la fattispecie di reato, Giurisprudenza italiana, Dicembre 2010. 204 Cfr. F. SCUTO, Il difficile rapporto tra immigrazione “irregolare” e la tutela dei diritti della persona: un confronto tra Spagna e Italia, op. cit., p.163

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Al migrante irregolare viene indirizzata specifica disciplina all'articolo 35 comma 2205. Vero fulcro della

disciplina è il comma 5 che, stabilendo il divieto di segnalazione all'autorità pubblica in caso di

fruizione delle prestazioni sanitarie, persegue l'obiettivo di evitare che lo straniero rinunci alle cure per

evitare l'allontanamento. La norma, oggetto di grande dibattito durante l'iter di approvazione della

legge n.94/2009 per la proposta di abrogazione ivi contenuta, è stata mantenuta per le pressioni che

sono state avanzate da vari fronti, evitando di incidere su un diritto fondamentale che avrebbe senza

dubbio ridotto l'effettiva tutela prevista. A sostegno della portata dei diritti degli stranieri quantunque

irregolari la corte si è espressa in materia nella sentenza n.252/2001 affermando che, secondo un

principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il diritto ai trattamenti sanitari

necessari per la tutela della salute è “costituzionalmente condizionato” dalle esigenze di bilanciamento

con altri interessi costituzionalmente protetti, salva, comunque, la garanzia di "un nucleo irriducibile

del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale

impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare

l’attuazione di quel diritto”. Continua specificando: “Questo “nucleo irriducibile” di tutela della salute

quale diritto fondamentale della persona deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque

sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo

il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso.”

205 Articolo 35 comma 3 T.U.:“Ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presìdi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Sono, in particolare garantiti: a) la tutela sociale della gravidanza e della maternità, a parità di trattamento con le cittadine italiane, ai sensi della L. 29 luglio 1975, n. 405, e della L. 22 maggio 1978, n. 194, e del decreto 6 marzo 1995 del Ministro della sanità, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 87 del 13 aprile 1995, a parità di trattamento con i cittadini italiani; b) la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176; c) le vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni; d) gli interventi di profilassi internazionale; e) la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventualmente bonifica dei relativi focolai.

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2. Il reato di immigrazione irregolare: la posizione della Corte costituzionale e

l'impatto sui diritti dei migranti

2.1. I profili di incostituzionalità e l'intervento della Corte costituzionale con la sentenza 250/2010

Il reato di immigrazione irregolare ha dato adito fin dalla sua entrata in vigore ad aspre critiche.

Numerosi i profili di incostituzionalità evidenziati dalla dottrina centrati essenzialmente

sull'opportunità dell'utilizzo di una sanzione penale per sanzionare una condotta già integrante un

illecito amministrativo con rilevanti ricadute in termini di criminalizzazione del migrante. Numerose le

eccezioni di incostituzionalità sollevate alla Corte Costituzionale, la quale si è sempre espressa per la

inammissibilità dei profili di costituzionalità fatti valere nelle plurime ordinanze206 e finanche nella

sentenza n.250 del 2010 nella quale ha rigettato tutte le diverse questioni dichiarandole alcune

manifestamente infondate e altre manifestamente inammissibili.

Nella sentenza in commento la corte, pur non affrontando tutte le questioni inerenti al reato in

questione messe in rilievo dalla dottrina, fornisce una chiave di lettura articolata. Nonostante la

valutazione sulla legittimità della penalizzazione di tale fattispecie sia tracciata in modo netto – sembra

infatti molto difficile che la corte potrà mai spingersi a ritenere il nuovo reato incostituzionale anche in

relazione alla giurisprudenza costante che ha sempre sostenuto la costituzionalità dell'articolo 14

comma 5ter – l'argomentare della Corte lascia aperto qualche spiraglio interpretativo, se non altro per

alcuni profili (es. questione rapporto con direttiva rimpatri) meramente posticipati ad altro vaglio

costituzionale successivo.

I giudici della consulta nella valutazione del thema decidendum intervengono distinguendo

preliminarmente tra due ordini di questioni, dettando in tal modo – vista la pregiudizialità logica delle

stesse questioni presentate – lo schema di ragionamento seguito poi nella sentenza. Nel ricorso i giudici

contestano da un lato la legittimità costituzionale della scelta di penalizzazione sottesa alla norma

impugnata prospettando con ciò doglianze che preluderebbero – ove fondate – alla integrale ablazione

della norma stessa207. Dall’altro lato, denunciano invece la contrarietà alla Costituzione di specifiche

206 Cfr. Ordinanza n.252 del 8/7/2010 in cui la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del T.U. sull’immigrazione per ragioni di ordine processuale, in particolare per l’incompetenza del giudice a quo a decidere nel giudizio principale. Più recentemente cfr. Ordinanza n.321 del 11/11/2010, in cui la corte si è espressa allo stesso modo. 207 A tal riguardo il commento di F. VIGANÒ, Diritto penale e immigrazione: qualche riflessione sui limiti alla discrezionalità del legislatore, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.3/2010, p. 26 sottolinea che “sul punto la sentenza 250/2010 è stata giustamente perentoria: aggiungendo che, a ragionare diversamente, occorrerebbe porre in dubbio la legittimità dell'intera disciplina amministrativa in materia di controllo dell'immigrazione”.

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articolazioni della disciplina sostanziale o processuale del reato in esame, formulando così censure

destinate a sfociare – nel caso di accoglimento – in una declaratoria di illegittimità costituzionale solo

parziale208.

La corte prende avvio nel suo argomentare rievocando il principio a cui deve sottostare nello scrutinio

di costituzionalità, affermato dalla costante giurisprudenza209 secondo cui “l’individuazione delle

condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella

discrezionalità del legislatore: discrezionalità il cui esercizio può formare oggetto di sindacato, sul

piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o

arbitrarie”210. Il parametro individuato per la valutazione della costituzionalità delle scelte di politica

criminale è il principio di ragionevolezza che nella sua applicazione rigorosa, come da orientamento

più tradizionale, lascia poco spazio allo scrutinio della Corte; ancor più circoscritto è tale giudizio in

materia penale in cui la possibilità di incidere con una pronuncia di incostituzionalità deve limitarsi ai

casi in cui l'irragionevolezza della scelta legislativa è manifesta ovvero connotata da particolare gravità.

La scelta di sottolineare tale linea argomentativa sembra a parere della dottrina un “mette le mani

avanti”211: “anche qualora nel corso dell'analisi della fattispecie emergessero – come effettivamente

emergeranno – elementi di irrazionalità della disciplina, ciò non è sufficiente a sostenere una pronuncia

ablativa, a meno che tali elementi non raggiungono l'ardua soglia della “manifesta irragionevolezza”.

Prevedibile tale orientamento se confrontato con la posizione in precedenza assunta dalla Corte nei

confronti dell'articolo 14 comma 5ter, in relazione al quale aveva sempre respinto le eccezioni di

incostituzionalità che richiamavano l'utilizzo irragionevole della pena detentiva. Così commenta la

dottrina: “Come nelle decisioni relative all'articolo 14 comma 5ter, la Corte si trincera dietro il

riconoscimento al legislatore di un'amplissima area di discrezionalità in materia penale per evitare di

censurare scelte di incriminazione delle quali peraltro non può esimersi dal riscontrare elementi di

irrazionalità”.Attenta dottrina in realtà aveva messo in luce questo profilo ben prima della sentenza

n.250/2010 richiamando la discrezionalità del legislatore nel decidere di sanzionare penalmente anche

ipotesi di ingresso e soggiorno irregolari di stranieri e costante giurisprudenza della Corte che si era

espressa a proposito in particolare nelle sentenze n.206 del 2006 e n.361 del 2007212.

208 Cfr. Paragrafo n.4 del Considerato in diritto209 Tra le plurime sentenze: n.47 del 2010, n. 161, n.41 e n.23 del 2009 e n.225 del 2008210 Cfr. Paragrafo n.5 del Considerato in diritto211 Il riferimento è a L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, Diritto immigrazione cittadinanza, n.3/2010, p.47212 P. Bonetti, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stanieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatr i, Diritto immigrazione Cittadinanza 4/2009, p. 124.

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1. Le censure di carattere generale. Venendo all'argomentazione in merito alle censure avanzate dai

giudici remittenti, la Corte prende in considerazione in primis la contestata violazione del principio di

offensività del reato, in rapporto all'articolo 25 comma 2 Cost, al centro delle più consistenti critiche. A

parere della dottrina l'articolo 10 bis, sanzionando il mancato possesso del titolo all'ingresso o alla

permanenza nel territorio, interverrebbe con una sorta di “presunzione di pericolosità dello straniero

irregolare”213 determinata non da una condotta del soggetto mancante di titolo all'ingresso o al

soggiorno nel territorio dello stato bensì dal suo stesso status214. Il reato perciò condurrebbe alla

“penalizzazione di una condizione soggettiva non immediatamente riconducibile a coefficienti di

pericolosità, nè concreta né fondatamente presumibile”215 creando così un conflitto con “una delle più

importanti funzioni di garanzia assolte dalla concezione liberale di diritto penale del fatto – fondato

sulla previsione dell'art.25 co.2 cost – come contrapposta al diritto penale d'autore, secondo cui è

consentito punire un soggetto per ciò che egli fa e non per ciò che egli è”216.

213 Cfr. Osservazioni sul disegno di legge n.733/s, Associazione Antigone e ss., Questione giustizia, 1/09, pg.136214 Cfr. L. FERRAJOLI, La criminalizzazione degli immigrati. Note a margine della legge 94/09, Questione Giustizia 5/09, p. 14 e 15: “E' soprattutto nella legge n.94 del 15 luglio 2009 sulla sicurezza- la legge più indegna della storia della repubblica – che si è manifestato tutto il razzismo istituzionale di questo governo. Per la prima volta dopo le leggi razziali del 1938 è stata penalizzata, con l'introduzione del reato di immigrazione clandestina, una condizione personale di status; con la conseguenza che qualunque pubblico ufficiale con cui il clandestino entrerà in contatto potrà sentirsi obbligato alla denuncia, se non altro per non rischiare di incorrere nel reato di favoreggiamento. [...] Ci troviamo di fronte ad un gravissimo mutamento di paradigma del diritto penale. La penalizzazione, con il reato di clandestinità non di un fatto, ma di una condizione di status, viola tutti i principi basilari del diritto penale: in primo luogo il principio di legalità, in forza del quale si può essere puniti solo per ciò che si è fatto e non per ciò che si è, per fatti illeciti e non per le identità personali; in secondo luogo il principio di uguaglianza, che esclude ogni discriminazione di condizioni personali e sociali e quello della uguale dignità delle persone; infine i principi di offensività e di colpevolezza, dato che la perdita del permesso di soggiorno a seguito per esempio del licenziamento non è affatto un comportamento dannoso e meno che mai è ascrivibile alla responsabilità dell'immigrato, la cui sola colpa è quella di essere uno straniero irregolarmente residente in Italia.” 215 In tal senso si esprime anche P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stranieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri , op. cit., p. 124 che rimarca: “Talune ipotesi comprese nella fattispecie della permanenza irregolare nel territorio dello stato alludono ad una permanenza sul territorio che diventa irregolare soltanto quale effetto diretto ed immediato non già di un comportamento dello straniero, bensì di un provvedimento amministrativo adottato dal questore, quale l'annullamento o la revoca o il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno; ognuno di tali provvedimenti può essere disposto non soltanto in ipotesi riconducibili alla responsabilità personale dello straniero (si pensi alla condanna penale per un reato, quale causa ostativa all'ingresso o al soggiorno) ma anche in ipotesi decise autonomamente e discrezionalmente dall'amministrazione, a seguito di un atto adottato dalle autorità del paese di origine dello straniero o di un errore compiuto nel rilascio del permesso o di una segnalazione al SIS pervenuta da un altro stato per il solo fatto che la presenza dello straniero può mettere a repentaglio le relazioni internazionali di quel paese; in queste ultime ipotesi il reato finisce con punire non già un comportamento omissivo o commissivo dello straniero che viola determinate norme italiane bensì la sua mera condizione giuridica prodotta da altri soggetti indipendentemente dalla sua volontà e ciò contrasta sia con la personale responsabilità penale prevista dall'art.27 co1 Cost., sia con il principio di legalità e di tassatività della norma penale previsti dall'art. 25 co2 cost.”216 C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n.4/09 p. 56. Sul diritto penale d'autore Cfr. A. CAPUTO, Diseguali, illegali, criminali. Questione giustizia, n.1/2009, p.84; M. DONINI, Il cittadino extra-comunitario da “oggetto materiale” a “tipo d'autore” nel controllo penale dell'immigrazione, Questione giustizia, n.1/2009, p.125 ss; PISA, Sicurezza atto secondo: luci ed ombre di un'annunciata riforma, Diritto penale e processo, 2009, p.5; C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, Diritto immigrazione cittadinanza, n.4/2009, p.56

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La Corte rigetta de plano la questione affermando che contrariamente a quanto sostiene il giudice

rimettente “non si può ritenere che l’art. 10-bis, introducendo nell’ordinamento la contravvenzione di

ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato penalizzi una mera «condizione personale e

sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – della quale

verrebbe arbitrariamente presunta la pericolosità sociale”. La Corte si difende dalle plurime critiche a

tal riguardo mosse argomentando che “oggetto dell’incriminazione non è un «modo di essere» della

persona, ma uno specifico comportamento, trasgressivo di norme vigenti” consistente nel varcare

illegalmente i confini nazionali, una condotta attiva istantanea, e l’omettere di lasciare il territorio

nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la permanenza, condotta a

carattere permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo. Conclude quindi sostenendo che “la

condizione di cosiddetta «clandestinità» non è un dato preesistente ed estraneo al fatto, ma rappresenta

al contrario la conseguenza della stessa condotta resa penalmente illecita, esprimendone in termini di

sintesi la nota strutturale di illiceità”217.

Viene inoltre respinta la mozione relativa alla qualifica del reato in causa come illecito «di mera

disobbedienza», non offensivo di alcun bene giuridico meritevole di tutela. A tal riguardo interviene

ribadendo la chiara definizione del bene giuridico in questione, identificato nell'“interesse dello Stato al

controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo”.

A tal riguardo si evidenziano due profili ugualmente fondamentali nell'analisi del reato.

Da un lato l'ennesima declaratoria della Corte in merito alla sovranità statale in merito alla gestione del

fenomeno migratorio, dall'altra la stessa legittimità nel qualificare come reato una tal condotta violativa

dell'impianto così definito. Così la Corte argomenta: “È incontestabile che il potere di disciplinare

l’immigrazione rappresenti un profilo essenziale della sovranità dello Stato, in quanto espressione del

controllo del territorio”. Richiamando la giurisprudenza più risalente218 rimarca che “lo Stato non può

[…] abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere: le regole stabilite in funzione

d’un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza vanno dunque rispettate, e non eluse […],

essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, a tutela di coloro che le hanno osservate e

che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali». La regolamentazione dell’ingresso

e del soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato è, difatti, «collegata alla ponderazione di svariati

interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di

carattere internazionale e la politica nazionale in materia di immigrazione»: vincoli e politica che, a

loro volta, rappresentano il frutto di valutazioni afferenti alla «sostenibilità» socio-economica del

217 Cfr. Considerando in diritto n.6.2218 Cfr. Sentenze n. 353 del 1997, n. 148 del 2008, n. 206 del 2006, n. 62 del 1994, n. 5 del 2004.

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fenomeno. Il controllo giuridico dell’immigrazione – che allo Stato, dunque, indubbiamente compete, a

presidio di valori di rango costituzionale e per l’adempimento di obblighi internazionali – comporta,

d’altro canto, necessariamente la configurazione come fatto illecito della violazione delle regole in cui

quel controllo si esprime.”

In secondo luogo sulla possibilità di qualificare in termini penali la condotta di irregolare ingresso e

soggiorno dello straniero in violazione delle norme in materia immigrazione la Consulta ribadisce la

sostanziale discrezionalità del legislatore219, e a rinforzare la propria posizione, utilizza l'argomento

comparativo rammentando l'esistenza di tale reato anche in altri ordinamenti europei220.

Sulla presunzione assoluta di pericolosità sociale dell’immigrato irregolare, la Corte boccia i rilievi fatti

dalla dottrina221 andando a precisare quanto espresso nella sentenza n.22 e n.78 del 2007, richiamate per

mostrare l'incidenza del reato in questione sulla una condizione soggettiva dell'autore – il migrante

irregolare – incompatibile con i principi costituzionali dell'illecito penale.

Richiamando l'argomentazione sostenuta nella sentenza 22 del 2007, in cui è stato sostenuto che

l'articolo 14 comma 5ter “prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili”,

219 “Determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale illecito, e segnatamente stabilire se esso debba assumere una connotazione penale, anziché meramente amministrativa (com’era anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), rientra nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo – in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse – la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia.”220 Sulla previsione del reato anche in altri ordinamenti cfr. P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stranieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri, Diritto immigrazione Cittadinanza, n.4/2009, p. 124: “Del resto la sanzione penale dell'ingresso o del soggiorno irregolare è prevista in alcuni importanti ordinamenti, come quello francese, britannico e svizzero e in ciascuno di essi si affianca e a volte sostituisce l'azione amministrativa finalizzata all'espulsione.”221 Cfr. Osservazioni sul disegno di legge n.733/s, Associazione Antigone e ss., Questione giustizia, 1/09, pg.136) “La previsione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato fa leva su una sorta di presunzione di pericolosità dello straniero irregolare che è già stata confutata dalla corte costituzionale.” Pronunciandosi sulla legittimità del trattamento sanzionatorio previsto dall'art.14 comma 5ter, tu con modifiche apportate dalla l.271/04, la corte con sentenza 22/2007, ha descritto il reato di ingiustificata inottemperanza all'ordine di allontanamento del questore come «fattispecie che prescinde da un'accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili». Ora, se deve escludersi una presunzione di pericolosità per l'autore del delitto punito dalla norma citata (che, va sottolineato, presuppone l'inosservanza di un provvedimento legittimamente dato dalla competente autorità amministrativa), a maggior ragione deve escludersi una presunzione del genere per lo straniero che si trova in una posizione di mera presenza illegale, ossia non qualificata dall'inottemperanza all'ordine di polizia. La presunzione è stata inoltre smentita dalla sentenza della corte costituzionale n.78/2007 che ha dichiarato l'illegittimità delle norme dell'ordinamento penitenziario sulle misure alternative alla detenzione ove interpretate nel senso che allo straniero non comunitario entrato illegalmente nel territorio dello stato o privo del permesso di soggiorno sia in ogni caso precluso l'accesso alle misure stesse. Secondo la consulta la preclusione alla concessione delle misure alternative alla detenzione risulta infatti “collegata in modo automatico a una condizione soggettiva – il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello stato - che, di per sé, non è univocamente sintomatica né di una particolare pericolosità sociale. Svincolati da qualsiasi ragionevole valutazione di pericolosità, l'ingresso o la presenza illegale del singolo straniero non rappresentano, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l'espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante. La criminalizzazione di tale condizione risponde dunque a una logica - quella del diritto penale d'autore – del tutto incompatibile con il volto costituzionale dell'illecito penale e, prima di tutto, con il principio di eguaglianza, il cui nucleo forte vieta distinzioni normative ratione subiecti, ossia fondate su qualità meramente soggettive”; Cfr. anche C. Renoldi, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n.4/09, p. 56.

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afferma che “la norma impugnata non sancisce alcuna presunzione di tal fatta, ma si limita a reprimere

la commissione di un fatto oggettivamente (e comunque) antigiuridico, offensivo di un interesse

reputato meritevole di tutela.”

In merito alla sentenza n.78/2007 la corte ribadisce di non poter applicare nell'ambito dell'articolo 10

bis tu il principio ivi affermato: in tale sentenza era stato ritenuto, per la diversità del contesto in cui si

operava, che la condizione soggettiva connessa al “mancato possesso di un titolo abilitativo alla

permanenza nel territorio dello Stato” fosse di per sé non “univocamente sintomatica di una particolare

pericolosità sociale” per cui si sarebbe creato una disparità di trattamento ove si fossero interpretate

alcune norme dell’ordinamento penitenziario (artt. 47, 48 e 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354) “nel

senso che all’immigrato irregolare sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative alla

detenzione da esse previste”222.

In questo quadro sono state evidenziate alcune questioni ancora discutibili. L'esigua dottrina che si è

espressa sul punto dopo la censura della costituzionalità del profilo contestato, pur riconoscendo

legittima la decisione ammettendo che la norma sanzioni la condotta di irregolare ingresso e

trattenimento e non in sé lo status di irregolare, definisce la valutazione della corte troppo “formalista”.

La fattispecie dibattuta potrebbe essere in futuro oggetto di riconsiderazione sulla base

dell'argomentazione che in realtà nel reato in questione “il pericolo per l'interesse tutelato (il controllo

dei flussi migratori) deriva dalla stessa presenza dello straniero nel territorio dello stato, ed è

ineliminabile sino a che egli si trattenga in Italia. Il risultato allora è quello di punire solo

apparentemente una condotta contraria alla legge, quando in realtà si sanziona lo straniero per il suo

essere irregolare”223.

Ai fini di una valutazione della rimodulazione in materia migratoria del principio di solidarietà espresso

all'articolo 2 non sembra particolarmente eloquente il rigetto della Corte sulla base della non

applicazione della censura mossa al soggetto sulla quale andava colpire la sanzione prevista all'articolo

10 bis in quanto non indigente.

In una valutazione più sistemica viene altresì soggiunto dalla Corte che “quantunque il profilo fosse

ammissibile, la ragione dell’illegittimità costituzionale non risiederebbe nella scelta di configurare

come reato l’inosservanza delle disposizioni sull’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio

dello Stato – vale a dire nella sanzione – ma più a monte, nello stesso precetto: e cioè nelle regole –

222 Considerato in diritto n.6.4223 Continua L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, Diritto, op. cit., p.47, “Ecco perchè il ragionamento della Corte ci pare peccare di formalismo: dietro il ricorso ad un consolidato schema di costruzione delle fattispecie contravvenzionali come violazione di discipline amministrative si cela la realtà di una norma che punisce lo straniero perchè è irregolare, configurando davvero quel modello di diritto penale dell'autore evocato dal giudice in questione”.

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collocate fuori della norma oggi sottoposta a scrutinio – che precludono o limitano l’ingresso o la

permanenza degli stranieri (o, quantomeno, degli stranieri “indigenti”) nel territorio dello Stato, a

prescindere dal fatto che la violazione venga punita con la sanzione penale o con semplice sanzione

amministrativa”224. A ribadire la volontà di tutela dei diritti fondamentali, la corte interviene

richiamando la sua costante giurisprudenza in relazione al rapporto tra i diritti inviolabili dell’uomo e

la disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento e del ricongiungimento familiare sostenendo

che “le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di un corretto

bilanciamento dei valori in gioco (sentenza n. 353 del 1997)”.

In particolare “le ragioni della solidarietà umana non sono di per sé in contrasto con le regole in materia

di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza ed

integrazione degli stranieri”. A riprova di tale assunto la Corte richiama il quadro normativo che

distingue nel trattamento, anche a livello costituzionale, i migranti economici dai titolari di ben più

ampia tutela quali i richiedenti asilo o rifugiati, aggiungendo che “le ragioni della solidarietà trovano

espressione (...) nell’applicabilità allo straniero irregolare della normativa sul soccorso al rifugiato e la

protezione internazionale, fatta espressamente salva dal comma 6 dello stesso art. 10- bis del d.lgs. n.

286 del 1998225. Un profilo particolarmente critico fatto emergere dalla dottrina, ripreso

successivamente nella trattazione, riguarda il rapporto tra l'articolo 10 bis e la nuova normativa

comunitaria in materia di allontanamento volontario del migrante irregolare su cui la Corte si è espressa

qualificando il profilo inammissibile visto che al momento della decisione non era ancora decorso il

termine per il recepimento della direttiva226.

La Corte prosegue nella valutazione dei rilievi presentati dal giudice rimettente considerando il profilo

della violazione del “principio di ragionevolezza” all'articolo 3 della Costituzione227. Su tale

valutazione la dottrina è ampiamente intervenuta evidenziando come il reato di ingresso e soggiorno

irregolare si aggiunga e non sostituisca i provvedimenti di respingimento o di espulsione che già dal

224 Considerato in diritto n. 8225 La normativa sulla protezione internazionale viene riformulata dal d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 che attua la direttiva 2004/83/CE (recante norme minime sull’attribuzione della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta). Anche l'articolo 10 bis ricalca tale tutela prevedendo al comma 6 la sospensione del procedimento penale per il reato in esame nel caso di presentazione della relativa domanda e, nell’ipotesi di suo accoglimento, la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere; analoga pronuncia è prevista, altresì, nel caso di rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, e cioè quando, pur in presenza delle condizioni ostative ivi indicate, ricorrano «seri motivi […] di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»).226 La questione viene affrontata in dettaglio nei prossimi paragrafi e nel terzo capitolo. 227 Sulla violazione del buon andamento dei pubblici uffici all'articolo 97 della Costituzione, la corte ritiene invece il ricorso inconferente in quanto il principio è riferibile all’amministrazione della giustizia solo per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, e non all’attività giurisdizionale in senso stretto (Cfr. consolidata giurisprudenza della Corte: sentenze n. 64 del 2009 e n. 272 del 2008; ordinanze n. 408 del 2008 e n. 27 del 2007).

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1998 sanzionano il medesimo comportamento illecito mediante l'accompagnamento alla frontiera dello

straniero. “L'uso della sanzione penale è configurato come del tutto superfluo e ancillare al

raggiungimento dello scopo dell'allontanamento dello straniero dal territorio dello stato, sia perchè se

ne favorisce la sostituzione con l'espulsione disposta dallo stesso giudice, sia perchè l'esecuzione dei

provvedimenti di respingimento o di espulsione da parte dell'autorità di pubblica sicurezza comporta la

sentenza di non luogo a procedere”228.

Le critiche della dottrina penalistica229 si concentrano sulla violazione del principio costituzionale della

sussidiarietà dell'illecito penale che prevede il ricorso alla sanzione penale come misura di “extrema

ratio” soltanto nel caso di assenza di altri strumenti sanzionatori meno invasivi . In questo modo,

secondo quanto sostenuto da Renoldi, “il diritto penale viene completamente asservito alle funzioni di

polizia preordinate alla gestione dell'immigrazione irregolare, fino a diventare un mero «diritto di

polizia penalmente armato con scopi assorbenti di prevenzione generale»230”. Inoltre, sempre a parere

della dottrina, pare di “palmare evidenza” che la “duplicazione del meccanismo sanzionatorio rispetto

allo strumento dell'espulsione amministrativa da un lato crea le premesse, più che per la

implementazione del sistema degli allontanamenti, per una accentuazione della sua conclamata

ineffettività”231.

La Corte in relazione a tali profili sembra cedere terreno riconoscendo, quasi implicitamente, diversi

profili di irregolarità. In primis viene accolto il rilievo del giudice a quo con il riconoscimento di una

quasi completa sovrapposizione tra l'articolo in questione e l'articolo 13 comma 2 del T.U. per cui alla

luce della complessiva configurazione della norma in esame si verifica quanto segue: in primo luogo in

deroga al generale disposto dell’art. 13 comma 3 lo straniero sottoposto a procedimento penale per il

reato in questione può essere espulso in via amministrativa senza il nulla osta dell’autorità giudiziaria;

228 P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stanieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri , Diritto immigrazione Cittadinanza 4/2009, p.124, che continua sostenendo “quest'ultimo profilo fa si che l'applicazione o meno di una sanzione penale nei confronti di uno straniero dipenda caso per caso dall'effettiva esecuzione di determinati provvedimenti da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, il che appare criticabile ai sensi dell'articolo 3 e ai sensi dell'articolo 25 Cost produce una differenza di trattamento delle medesime condotte che prescinde da comportamenti dello straniero e rende del tutto incerta e casuale l'applicazione della norma penale”229 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato , op. cit., p. 55; Cfr. P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stanieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri, op. cit., p.124; Cfr. M. DONINI, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d'autore nel controllo penale dell'immigrazione, Questione giustizia, n.1/2009, p.101 ss.230 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 4/09, p. 55. Viene riportata la citazione di M. DONINI, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d'autore nel controllo penale dell'immigrazione, Questione giustizia, n.1/2009, p.127231 Cfr. C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello stato, op. cit., p. 40

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in secondo luogo una volta avuta notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi

dell’art. 10, comma 2, del TU, il giudice deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere; infine nel

caso di condanna la pena dell’ammenda può essere sostituita dal giudice con la misura dell’espulsione

per un periodo non inferiore a cinque anni232. In rapporto a questo meccanismo la Consulta ammette

che il legislatore mostra di considerare l’applicazione della sanzione penale come un esito

“subordinato” rispetto alla materiale estromissione dal territorio nazionale dello straniero ivi

illegalmente presente, ma a suo avviso tale assetto normativo non comporta ancora “che il

procedimento penale per il reato in esame sia destinato, a priori, a rappresentare un mero «duplicato»

del procedimento amministrativo di espulsione” argomentando a tal fine che in un largo numero di casi

non è possibile eseguire i provvedimenti di espulsione233. A tal riguardo specifica che “la stessa

sostituzione della pena pecuniaria con la misura dell’espulsione da parte del giudice – configurata,

peraltro, dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 come soltanto discrezionale («può») – resta

espressamente subordinata alla condizione che non ricorrano le situazioni che impediscono

l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza

pubblica234”235.

E' proprio in relazione a tal profilo che l'argomentazione non sembra convincente alla dottrina. In

rapporto alla previsione della pena dell'ammenda la corte stessa riconosce “difficilmente contestabile”

la capacità scarsamente dissuasiva della pena pecuniaria “a fronte della condizione di insolvibilità in

cui assai nella maggioranza dei casi versa il migrante irregolare e della difficoltà di convertire la pena

rimasta ineseguita in lavoro sostitutivo o in obbligo di permanenza domiciliare236, stante la

problematica compatibilità di tali misure con la situazione personale del condannato spesso privo di

232 Cfr. art. 16, comma 1, del d. lgs. n. 286 del 1998 e 62-bis del d. lgs. n. 274 del 2000233 Cfr. Considerato in diritto n. 10.234 Precisamente ai sensi dell’art. 14 comma 1 t.u.: la necessità di procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo.235 La dottrina intervenuta sul punto ha sostenuto la natura discriminatoria del meccanismo in rapporto all'articolo articolo 24 e 27 Cost. In questo modo “si attribuisce valore di condizione di improcedibilità dell'azione penale all'esecuzione di un provvedimento amministrativo di respingimento o di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera da parte delle forze di polizia, il che contrasta con la presunzione di non colpevolezza dell'imputato fino alla sentenza definitiva di condanna (art. 27 Cost) e con il diritto di difesa (art.24 cost), perchè impedisce all'indagato di dimostrare la propria innocenza, così da ottenere un proscioglimento nel merito a seguito dell'accertamento dell'infondatezza dell'imputazione; si tratta di un aspetto che ha rilevanti conseguenze sostanziali nell'ipotesi dell'ingresso irregolare, poiché qualora il giudice di pace abbia disposto l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva nei confronti dello straniero che abbia fatto ingresso irregolare tale espulsione comporta il divieto di rientro per almeno 5 anni (art.16 co.1 TU), mentre nessun divieto di rientro vi sarebbe se per quel medesimo comportamento lo straniero fosse stato destinatario di un provvedimento di respingimento ai sensi dell'articolo 10 TU.” Cfr. P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stranieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri , op. cit., p. 124.236 Art. 55 del d.lgs. n. 274 del 2000

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fissa dimora e che, comunque, non può risiedere legalmente in Italia”; paiono pertanto integrati tutti i

presupposti per porre comunque il soggetto nella situazione di ricevere un ordine di espulsione, la cui

inottemperanza viene ulteriormente sanzionata.

A fronte di questa illogicità estrema la Corte risponde annoverando il problema alle questioni che

attengono al rapporto fra “costi e benefici” connessi all’introduzione della nuova figura criminosa, su

cui ritiene di non potersi esprimere ritenendo “estranea al giudizio di costituzionalità la valutazione

dell'opportunità della scelta legislativa su un piano di politica criminale e giudiziaria”. Richiamando

una sentenza precedente (n.236/2008) asserisce: “non spetta a questa Corte esprimere valutazioni

sull’efficacia della risposta repressiva penale rispetto a comportamenti antigiuridici che si manifestino

nell’ambito del fenomeno imponente dei flussi migratori dell’epoca presente, che pone gravi problemi

di natura sociale, umanitaria e di sicurezza»”.

Diversi quindi sono i profili di irragionevolezza riconosciuti dalla stessa Corte, la quale però non

interviene sancendone l'incostituzionalità proprio in ragione del criterio valutativo incardinato nella

manifesta irragionevolezza e limita il suo giudizio rimettendo la responsabilità al legislatore, libero di

incidere in questo campo con ampie prerogative.

Critica la dottrina a riguardo: “Ancora una volta assistiamo ad un non liquet della Corte in relazione

alle scelte incriminatrici in materia di immigrazione. Invece di fare seriamente i conti con la razionalità

dell'opzione normativa, che in ragione della quasi completa sovrapposizione tra sanzione penale ed

amministrativa e del sostanziale asservimento dello strumento penalistico al conseguimento

dell'obiettivo extra-penale dell'espulsione appare certamente diastonica rispetto al principio di

sussidiarietà e di extrema ratio, la Corte si rifugia nel consueto richiamo all'insindacabilità delle opzioni

politico-criminali, ormai un vero e proprio leitmotiv delle decisioni in materia di diritto penale

dell'immigrazione”237.

2. Le censure riguardanti specifici segmenti della disciplina. Per i rimanenti profili riguardanti alcuni

elementi specifici della disciplina il cui accoglimento avrebbero portato alla parziale incostituzionalità

della normativa in discussione, la Corte si è espressa sostenendo la non fondatezza per la mancanza

della locuzione “senza giustificato motivo” e per gli altri con una declaratoria di manifesta

infondatezza.

Nella prima censura deve valutare la portata del significato del “giustificato motivo” nella norma

contestata in rapporto alla fattispecie all'articolo 14 comma 5ter; richiamandosi alla giurisprudenza

237 L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.53

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previgente, in particolare alla sentenza n.5/2004238, rigetta l'illegittimità ritenendo che la previsione,

anche mancando dell'esimente specifica, non sia in contrasto con il principio di colpevolezza in quanto

risultano applicabili le esimenti generali che valgono a garantire il rispetto del principio costituzionale;

a questo aggiunge la possibilità di applicare “le scriminanti comuni – e, in particolare, di quella dello

stato di necessità (art. 54 cod. pen.) – come pure delle cause di esclusione della colpevolezza, ivi

compresa l’ignoranza inevitabile della legge penale (art. 5 cod. pen.)”. Limitatamente alla condotta di

trattenimento la corte considera operante il principio “ad impossibilia nemo tenetur” valevole per la

generalità delle fattispecie omissive proprie. “In rapporto a tali fattispecie l’impossibilità (materiale o

giuridica) di compimento dell’azione richiesta esclude – secondo una diffusa opinione – la

configurabilità del reato, prima ancora che sul piano della colpevolezza, già su quello della tipicità,

trattandosi di un limite logico alla stessa configurabilità dell’omissione”; infine ricorda che, la

competenza del giudice di pace consente l'applicazione dell'istituto della improcedibilità per particolare

tenuità del fatto prevista dal d.lgs. 274/2000 all'articolo 34239.

In secondo luogo ritiene la differenziazione esistente tra la previsione all'articolo 10 bis e l'articolo 14

comma 5 ter legittima per la diversità di struttura delle due fattispecie, specificando che “la scelta del

legislatore di riconoscere efficacia giustificativa, per il reato di inottemperanza all’ordine di

allontanamento impartito dal questore, a situazioni ostative diverse dalle esimenti di carattere generale,

trova fondamento nella peculiarità di tale forma di espulsione, la cui esecuzione è affidata allo straniero

medesimo, e la cui adozione è consentita solo quando non sia possibile l’accompagnamento alla

frontiera”.

238 Nella sentenza n.5/2004, intervenuta sulla clausola del “senza giustificato motivo” prevista dall'articolo 14 comma 5ter per la permanenza illegale nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, la corte ha rigettato il ricorso ritenendo la fattispecie criminosa sufficientemente determinata – e pertanto non lesiva per la sua indeterminatezza come sostenuto dal ricorrente – avuto riguardo alle finalità perseguite dall'incriminazione e al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca. In particolare i giudici della Consulta hanno sottolineato come “la clausola in questione, se pure non può essere ritenuta evocativa delle sole cause di giustificazione in senso tecnico – lettura che la renderebbe pleonastica, posto che le scriminanti opererebbero comunque, in quanto istituti di ordine generale – ha tuttavia riguardo a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica del "migrante economico", sebbene espressive di istanze in sé e per sé pienamente legittime, sempre che (…) non ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento”. La corte fa infine un riferimento al ruolo deflattivo del “senza giustificato motivo”, in casi di difficoltà obiettive di ottemperare all'ordine di allontanamento, in un'architettura complessiva per cui l'ordini del questore secondo l'articolo 14 comma 5 bis tu. “viene emesso in surroga dell’accompagnamento, proprio nei casi in cui il destinatario versa in una situazione di rilevante difficoltà di adempierlo”.239 Art. 34 Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuita' del fatto 1. Il fatto e' di particolare tenuità quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne e' derivato, nonchè la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato. 2. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d'archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento. 3. Se e' stata esercitata l'azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l'imputato e la persona offesa non si oppongono.

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Anche a questo profilo sono state mosse alcune critiche, giudicato addirittura “la parte meno

convincente”240. Secondo la dottrina espressasi sul punto non sembra condivisibile la distinzione

operata dalla Corte tra la fattispecie prevista all'articolo 10 bis (per lo meno per la parte riferita al

trattenimento) e quella prevista dall'articolo 14 comma 5ter considerando che entrambe sanzionano la

stessa condotta di illecita permanenza dello straniero sul territorio dello Stato, prima o dopo

l'emanazione di un ordine di allontanamento. Infatti, nonostante la Corte qualifichi l'impatto in modo

diverso nelle due fattispecie, è condivisibile la posizione della dottrina che riscontra la medesima

necessità – più volte individuata dalla Corte nelle sentenze relative all'articolo 14 comma 5ter – di “una

clausola che permetta una particolare personalizzazione della risposta penale” derivante dalle “gravi

difficoltà economiche ed esistenziali che i destinatari del precetto normalmente si trovano a dover

affrontare per adempiere all'obbligo di lasciare lo Stato”241. In relazione infine alla clausola di

particolare tenuità del fatto secondo Masera “suona come una conferma della “cattiva coscienza” della

Corte nel disattendere la censura dei giudici rimettenti vista la originaria funzione dell'istituto elaborato

dal legislatore avendo a riferimento “fenomeni di microconflittualità interpersonale caratteristici dei

reati di competenza del giudice di pace in particolare per il requisito dell'esiguità del danno o del

pericolo, difficile da verificare in relazione ad un reato di pericolo astratto ed offensivo di un mega

interesse collettivo (il controllo dei flussi migratori)”.

Questo argomentare sembra un incedere volto a colmare le fratture di una normativa alquanto

traballante. “Per evitare di dichiarare almeno parzialmente incostituzionale l'articolo 10 bis, nella parte

in cui non prevede la rilevanza esimente del giustificato motivo, la Corte fa quindi affidamento sulle

“capacità di adattamento” di un istituto, che era stato pensato e modellato su esigenze di tutt'altra

natura”242, una soluzione non condivisa dalla dottrina che denota non linearità e non efficacia.

2.2. Considerazioni a margine della sentenza 250/2010

La sentenza che ha dichiarato la costituzionalità del reato di irregolare ingresso e permanenza deve

essere letta congiuntamente alla sentenza 249 del 2010 che si è espressa sull'aggravante di irregolarità

prevista all'articolo 61 comma 11 cp. sancendone l'illegittimità costituzionale. Nonostante la diversità

240 Cfr. L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.55241 [Continua] L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.56242 L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.56

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dei profili contestati, incardinandosi la violazione del principio di uguaglianza sull'aumento di pena

fondato esclusivamente nella condizione di irregolarità del soggetto, la Corte sembra tracciare un

flebile collegamento tra le due pronunce, lasciando uno spazio ulteriore di interpretazione della

sentenza sulla costituzionalità del reato di immigrazione irregolare. Anzitutto l'utilizzo di un diverso

criterio interpretativo nella valutazione del principio di ragionevolezza all'articolo 3 Cost.; mentre nella

sentenza 250/2010 viene fin da subito richiamato il criterio della manifesta irragionevolezza – secondo

l'insegnamento tradizionale in materia di sindacato di costituzionalità delle norme penali censurabile

soltanto se manifestamente irragionevole – che porta la Corte a rimettere alla scelta insindacabile del

legislatore la valutazione dello strumento utilizzato per gestire il fenomeno migratorio, nella sentenza

249/2010 la Corte afferma la necessità che la norma penale superi un “vaglio positivo di

ragionevolezza”, non essendo sufficiente ai fini del rispetto dell'articolo 3 Cost. il mero riscontro della

non manifesta irragionevolezza243.

Senza trarre da questo inciso conclusioni troppo azzardate, tenuto conto della diversità delle censure

fatte valere nelle diverse situazioni, pare comunque apprezzabile tale scelta.

La rilevanza di tale distinguo viene sottolineata dalla dottrina che commenta: “basti pensare che se

l'”asticella”della costituzionalità fosse stata fissata così in alto [nel vaglio positivo di ragionevolezza

come usata nella sentenza 249/2010] avrebbero avuto esito diverso le numerose decisioni in cui, a

proposito dell'art. 14 comma 5ter o nel caso della sentenza relativa all'articolo 10 bis, la corte ha

stigmatizzato l'irrazionalità della scelta di incriminazione, ritenendo però di non dichiarare

incostituzionale il reato, perchè l'irragionevolezza non era di tale gravità da risultare qualificabile come

manifesta”244.

“Forse, se anche nella decisione ora in esame avesse fatto proprio il parametro della positiva

ragionevolezza affrontato nella sentenza sull'aggravante, l'esito del giudizio sarebbe molto diverso; ma

la decisione di salvare il reato era evidentemente fuori discussione, e l'utilizzo del parametro

tradizionale facilita non di poco l'onere argomentativo dell'estensore”245.

Masera prosegue nell'argomentazione sostenendo come “al di là della qualificazione giuridica è

identica l'incidenza sui diritti fondamentali derivante dalla natura penale dell'aggravante come degli

illeciti in materia di immigrazione, ed identica è la situazione di fatto – l'irregolarità del soggiorno – 243 Cfr. Considerato in diritto n.4: “La necessità di individuare il rango costituzionale dell’interesse in comparazione, e di constatare altresì l’ineluttabilità della limitazione di un diritto fondamentale, porta alla conseguenza che la norma limitativa deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo sufficiente, ai fini del controllo sul rispetto dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta irragionevolezza (sentenza n.393 del 2006)”.244 L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.44245 L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.47

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posta a fondamento dell'una e degli altri, sicchè la natura circostanziale o di fattispecie principale della

disposizione sottoposta a scrutinio non sembra davvero in grado di spiegare la diversità dei parametri di

costituzionalità adottati nelle diverse occasioni”.

A questo punto, sempre a seguire la dottrina che finora si è espressa sulla sentenza analizzata, può

apparire di merito un altro richiamo fatto dalla Corte nella sentenza 249/2010 in principio di

motivazione – richiamando la sentenza 105 del 2001 – ai diritti inviolabili che spettano “ai singoli non

in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”, da ciò derivando

che “la condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda

la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie

nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona,

salvaguardate dalla Costituzione con le garanzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la

posizione dei singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato”246.

A parere della dottrina “dalla lettura delle due decisioni non può non avvertirsi qualche motivo di

reciproca dissonanza, dal momento che se la sentenza n.250/2010 sembra aver dato una sorta di

“patente di legittimità” al reato di clandestinità, salvo poi lasciare aperta l'ipotesi di nuove prospettive

entro le quali poter individuare eventuali profili d'illegittimità (non però strettamente incidenti

sull'articolo 10 bis), la sentenza n.249/2010 ha riaffermato l'inviolabilità e l'uguaglianza nei diritti di

tutti gli uomini e non solo dei cittadini, e proseguendo nella motivazione, ha più volte rilevato, con un

certo distacco, il trend di aggravamento sanzionatorio dato che la fattispecie assurta ora a illecito penale

era stata in precedenza configurata come illecito amministrativo, rimarcandosene, pur nella constatata

discrezionalità legislativa, la non perfetta coerenza complessiva. Sembra dunque lecito non ritenere la

partita completamente chiusa, visto che la legittimità costituzionale, se appare maggiormente fermata

nella sentenza 250/2010, soffre di qualche incertezza nella sentenza n.249/2010.”247

Un'ultima considerazione relativa alla costituzionalità del 10 bis attiene “all'“effetto collaterale”

dell'aumento del numero dei procedimenti da instaurare davanti ai giudici di pace, così da concretizzare

il rischio di sovraccarico, se non la paralisi, dell'attività del giudice di pace248. Nonostante nella

sentenza 250/2010 il rilievo portato al vaglio della corte sul presunto contrasto tra l'articolo 10 bis ed il

principio di buon andamento dei pubblici uffici sia stato ritenuto inconferente - in quanto ritenuto

riferibile non all’attività giurisdizionale in senso stretto ma solo per quanto attiene all’organizzazione e

246 Cfr. paragrafo 4.1 Considerato in diritto Sentenza 249/2010247 F. BAILO, L'immigrazione clandestina al vaglio della Corte Costituzionale: illegittima l'aggravante comune ma non anche la fattispecie di reato, op. cit., p.2508248 L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.58

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al funzionamento degli uffici giudiziari – la questione rimane ad avviso della dottrina fondata. Tale

interpretazione sembra avvalorata dall'intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell'aggravante, che

era stata ritenuta fattispecie assorbente del reato di clandestinità.

Finora la penalizzazione nella maggior parte dei casi non veniva autonomamente contestata per prassi

delle procure della repubblica che ritenevano che nei casi un cui il reato al 10 bis fosse addebitabile ad

un soggetto autore anche di altri illeciti penali, secondo l'articolo 84 cp risultava assorbito dalla

contestazione dell'altro reato, aggravato ai sensi della circostanza di cui all'articolo 61 n.11 bis. Il

risultato pratico, che evitava finora l'ingombro dei giudici di pace, era quello di non trasmettere

neppure gli atti per il 10 bis al giudice di pace nei casi in cui lo stato di irregolarità fosse emerso

insieme alla commissione di altri reati.

Rimane quindi da vedere quale sarà il vero impatto di tale fattispecie penale.

La dottrina considera l'atteggiamento della Corte nel controllo delle scelte legislative in materia

immigrazione “piuttosto prudente”; in particolare sostiene che nella sentenza 250/2010, “assunta la

decisione di dichiarare incostituzionale l'aggravante la Corte evidentemente non ha voluto accentuare la

censura alle opzioni legislative espresse dagli ultimi “Pacchetti sicurezza”, ed ha deciso di respingere le

eccezioni rivolte nei confronti della nuova fattispecie, benchè dal testo della decisione emerga qualche

perplessità circa la razionalità della scelta di criminalizzare tutte le ipotesi di irregolarità del

soggiorno.”249 Rispetto a questo profilo, continua Masera, anche se in futuro la Corte costituzionale si

troverà nuovamente a giudicare l'articolo 10 bis è “assai difficile che pervenga ad una pronuncia di

illegittimità”, in quanto la esporrebbe a “prevedibili accuse di interferenza da parte dell'attuale

maggioranza, che su questa norma ha politicamente investito moltissimo, facendone con molta retorica

un baluardo fondamentale della lotta all'immigrazione irregolare; e – se ci è consentito immaginare dei

retro-pensieri nelle decisioni dei giudici delle leggi – forse essi ritengono “non valga la pena” esporsi

ad un conflitto potenzialmente pregiudizievole per il prestigio e la credibilità dell'istituzione, solo per

eliminare dall'ordinamento una figura di reato dal modestissimo contenuto afflittivo, e di scarsissimo

impatto nella prassi”.

2.3. Sul rapporto tra il 10 bis e la direttiva rimpatri: una prospettiva de iure condendo?

Avendo già accennato alle difformità esistenti tra la disciplina nazionale in materia di allontanamento

249 L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.57

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ed i nuovi profili introdotti a livello comunitario250, pare opportuno a questo punto dare conto di un

certo indirizzo dottrinale che si è espresso largamente sulla questione dei rapporti tra l'articolo 10 bis e

la Direttiva rimpatri. La Corte costituzionale nella sentenza 250/2010 si è espressa ritenendo

insussistente la violazione dell'articolo 117 comma 1 Cost. adducendo come motivazione il non decorso

del termine ultimo per adeguare l’ordinamento nazionale alla direttiva invocata dal rimettente. In ogni

caso secondo la Corte “detto contrasto non deriverebbe comunque dall’introduzione del reato oggetto

di scrutinio, quanto piuttosto dal mantenimento delle norme interne preesistenti che individuano

nell’accompagnamento coattivo alla frontiera la modalità normale di esecuzione dei provvedimenti

espulsivi”. In tal modo si sbriga - per il momento - una faccenda dai contorni complessi. Come

riconosce anche la dottrina di commento alla sentenza stessa “il principale punto di contrasto riguarda

la disposizione indicata dalla Corte, ma anche l'articolo 10 bis non è irrilevante in questa prospettiva,

posto che – secondo le esplicite intenzioni del legislatore interno – dovrebbe rappresentare lo

strumento che consentirebbe al nostro paese di non applicare la direttiva251. Visto il disinteresse totale

del legislatore per il palese contrasto tra le disposizioni previste per l'allontanamento in Italia e la nuova

Direttiva Rimpatri, sembra condivisibile la tesi sostenuta unanimemente dalla dottrina sul reale scopo

della qualificazione penale dell'ingresso e soggiorno irregolare. L'articolo 10 bis del TU immigrazione

pone notevoli dubbi interpretativi in rapporto all'articolo 2 paragrafo 2 lettera b della Direttiva

Rimpatri. Già trattati nel primo capitolo i profili critici della nuova fattispecie penale dal punto di vista

giuridico e la sostanziale strumentalità dal punto di vista politico di tale novità legislativa, l'analisi del

rapporto tra l'articolo 10 bis e l'articolo 2 paragrafo 2 lettera b mette in luce profili insospettati. La

recente penalizzazione della condotta di ingresso e permanenza nel territorio italiano in posizione

irregolare potrebbe infatti rientrare nell'ipotesi prevista dalla Direttiva in cui è lasciato spazio agli stati

di decidere, in caso di rimpatrio a seguito di sanzione penale, se applicare o meno la direttiva. Ecco che

allora la previsione di una sanzione penale, affiancata a quella amministrativa preesistente, ha uno

scopo oculato: eludere l'applicazione della nuova regolamentazione europea252. “La direttiva europea

250 Sul tema si rimanda al terzo capitolo relativo alla direttiva rimpatri.251 Cfr. L. MASERA, Costituzionale il reato di clandestinità, incostituzionale l'aggravante: le ragioni della Corte Costituzionale, op. cit., p.51252 Cfr. C. RENOLDI, Il reato di immigrazione clandestina e la costituzione, Questione Giustizia, 5/2009, pg.165-166: “La nuova disciplina risponde ad un disegno più complesso di quello suggerito dal dato, pur inoppugnabile, del calcolo politico (teso a lucrare consenso dalle inquietudini dell'opinione pubblica attraverso scelte di mera rassicurazione simbolica). Con le fattispecie che puniscono l'ingresso e il soggiorno realizzati in violazione delle norme amministrative che vi presiedono si è, infatti, cercato di aggirare i limiti posti all'espulsione dalla direttiva rimpatri n.2008/115/CE, con cui l'Unione europea ha voluto limitare, a favore del rimpatrio volontario, il ricorso all'allontanamento coattivo, che resta però consentito quando appunto costituisca una sanzione penale o sia comunque conseguenza di un reato”; P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stanieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri, op. cit., pg. 124: “L'introduzione del reato di soggiorno illegale nella forma contravvenzionale sembra avere non tanto un fine direttamente punitivo o dissuasivo, bensì un fine strumentale ben

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del 18 giugno 2008, nonostante sia stata fortemente criticata perché contenente disposizioni

incompatibili con i principi fondamentali di civiltà giuridica, impone in ogni caso una gradualità nei

meccanismi di espulsione e di rimpatrio dei migranti irregolari. In questa scala graduata, il ricorso

all'espulsione coatta e al trattenimento nei centri di espulsione e identificazione è posto come estrema

ratio. Ecco come l'introduzione del reato di clandestinità consenta la facoltà di non applicare la

direttiva, saltando dunque quella gradualità e trasformando un rimedio estremo in uno di carattere

ordinario”253. Simile scenario pare essere confermato dalle parole del Ministro Maroni nel corso di

un'audizione davanti al Comitato parlamentare di controllo e vigilanza in materia immigrazione: “Su

questo secondo punto [il reato di ingresso illegale nel territorio dello stato] il Governo insiste, pur

prevedendo una pena pecuniaria e non detentiva, perché la direttiva europea stabilisce che la regola per

l'allontanamento dei cittadini extracomunitari sarà l'invito ad andarsene e non l'espulsione, a meno che

il provvedimento di espulsione sia conseguenza di una sanzione penale. Noi quindi vogliamo disegnare

il reato di immigrazione clandestina o di ingresso illegale puntando principalmente sulla sanzione

accessoria del provvedimento giudiziale di espulsione emanato dal giudice, piuttosto che sulla sanzione

principale che sarà una sanzione pecuniaria. In questo modo possiamo procedere all'espulsione

immediata con un provvedimento del giudice, applicando la direttiva europea ma eliminando

l'inconveniente che ne pregiudicherebbe l'efficacia, perché come ha dimostrato l'esperienza italiana

l'invito ad andarsene significa che nessuno verrebbe più espulso”254. La dottrina prevalente255 esclude

che tale operazione sia conforme ai principi del diritto comunitario e alla Costituzione. “Il nuovo

articolo 10 bis appare costituzionalmente illegittimo ai sensi dell'articolo 117 co1 Cost. per violazione

degli obblighi comunitari previsti dalla citata direttiva. Infatti nelle nuova norma nazionale il rimpatrio

non è – come esige la direttiva – sanzione del reato commesso, né conseguenza del reato commesso,

ma è misura collegata alla sanzione penale in via del tutto eventuale, cioè soltanto se e quando il

giudice giunga al giudizio e se e quando egli disponga l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della

pena, mentre ciò a cui la norma mira davvero è l'immediata esecuzione del respingimento del questore

diverso , cioè l'intento di consentire all'ordinamento italiano di avvalersi della facoltà prevista dall'articolo 2 comma 2 della direttiva 2008/115 /CE sui rimpatri, cioè della facoltà per ogni stato di non applicare la direttiva stessa agli stranieri per i quali il rimpatrio sia sanzione penale o conseguenza di una sanzione penale.”253 S. SAVERIO, Sulla condizione dello straniero extracomunitario, op. cit., p. 667254 Stralcio del resoconto fatto dal Ministro Maroni nel corso dell'audizione al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, Resoconto stenografico dell'audizione del 15/10/2008, www.camera.it 255 Cfr. F. VIGANÒ E L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, Rivista italiana di diritto e procedura penale, aprile/giugno n.2/2010, pag. 560 ss.; C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi, www.osservatoriosullefonti.it, fasc. 2/09, p. 6 ; P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stranieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui rimpatri, op. cit., pg. 124

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o del provvedimento amministrativo di espulsione, tanto che l'avvenuta esecuzione comporta

l'archiviazione del provvedimento penale. Peraltro un analogo risultato potrebbe raggiungersi, anche

senza prevedere come reato l'ingresso o il soggiorno illegale, in base all'art.15 co 1 lett a) della stessa

direttiva, che consente di disporre il trattenimento e il rimpatrio coattivo in tutte le ipotesi in cui vi sia

rischio di fuga dello straniero – rischio che può sempre essere legittimamente ravvisato dalla

amministrazione.”256

Dal punto di vista comunitario la discrezionalità dello Stato nella recezione della direttiva è

subordinata al rispetto dei principi della leale collaborazione e dell'effetto utile.

In più occasioni la Corte costituzionale ha ribadito che nell'interpretazione di una norma di diritto

comunitario deve essere tenuto in debita considerazione lo scopo della normativa ed il suo contesto e

deve darsi priorità in una pluralità di interpretazioni possibili quella idonea a salvaguardare l'effetto

utile della norma257. “Si impone dunque una interpretazione restrittiva della disposizione nel senso di

permettere al legislatore nazionale di escludere l’applicazione della direttiva solo a quei casi nei quali

essa è conseguenza di fattispecie penali diverse dall’ingresso o dal soggiorno irregolare che invece è la

condotta che presuppone l’irregolarità dello straniero e quindi il rimpatrio ai sensi dell’art. 2 par.1. A

rigor di logica infatti l’espulsione è la conseguenza dell’ingresso e del soggiorno irregolare e non del

reato o della sanzione penale che è invece a sua volta conseguenza dell’ingresso e del soggiorno

irregolare”258.

Infine tale diversa interpretazione determinerebbe la violazione dell’obbligo di leale cooperazione tra

gli Stati membri ed il divieto di adozione di atti contrari allo scopo della direttiva. Sul punto pare

opportuno un intervento chiarificatore, anche in relazione all'esistenza di tale reato anche in altri paesi

europei259. Come espresso dal Parlamento europeo in un'interrogazione precedente all'entrata in vigore

della Direttiva, il diritto comunitario non dispone di alcuna norma che vieta la penalizzazione

dell'ingresso e della permanenza irregolare, ma non esclude che tale interpretazione possa essere in

futuro accolta.

La dottrina inoltre mette in evidenza un altro profilo critico: anche prescindendo dalla valutazione del

contrasto con il principio di leale collaborazione e ipotizzando la copertura dell'articolo 2 paragrafo 2

256 P. BONETTI, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema di diritto degli stranieri: profili di incostituzionalità e rapporti con la direttiva comunitaria sui , op. cit., pg. 124257 Cfr. Sentenza Corte di giustizia 14 ottobre 1999, C-223/98, in Raccolta, 1999, p. I-7081.258 Cfr. C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi , www.osservatoriosullefonti.it, fasc. 2/09, p.6259 Cfr. C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi , op. cit., p.6

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lettera b) della direttiva nel caso previsto all'articolo 10 bis, la possibilità di comminare l'espulsione

come sanzione sostitutiva dell'ammenda viene subordinata alla previsione all'articolo 16 comma 1 del

Testo unico ai soli casi in cui “non ricorrano le cause ostative indicate nell’articolo 14, comma 1, del

presente testo unico, che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento

alla frontiera a mezzo della forza pubblica”; pertanto l'espulsione “a titolo penale” può configurarsi

soltanto quando è possibile disporre l'immediato accompagnamento alla frontiera – raramente

possibile. Nei restanti non sarà pertanto possibile al giudice procedere con l'allontanamento.

Considerando invece che il soggetto venga sottoposto all'ordinario procedimento amministrativo volto

all'espulsione rientrerà nella previsione della direttiva, come successivamente dettagliato260.

260 Cfr. F. VIGANÒ E L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, Rivista italiana di diritto e procedura penale, aprile/giugno n.2/2010, p. 587

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3. Altri profili di criticità della nuova normativa sul migrante irregolare

Appurato attraverso il vaglio critico della Corte costituzionale la legittimità della norma che penalizza

l'ingresso dello straniero, e pertanto anche il rispetto dei diritti fondamentali come garantiti dai limiti

internazionalmente posti, la questione rimane incardinata sulla condizione di emarginazione a cui lo

straniero non in possesso dei requisiti alla permanenza o all'ingresso sul territorio è sottoposto. “La

norma [articolo 10 bis] rappresenta, più di tutte le altre, lo spirito avverso e aggressivo dell'attuale

disegno riformatore; e non solo a motivo dei suoi effetti giuridici diretti (costituiti dalla lieve sanzione

penale e dalla previsione dell'espulsione come sanzione sostitutiva) quanto per quelli ulteriormente

propagati dalla sanzione penale sulla più complessiva condizione giuridica dello straniero

irregolarmente soggiornante, oggi riposizionato in un più oscuro e profondo cono d'ombra che ne muta

radicalmente le prospettive di vita, con conseguenze negative, anche per la società nella quale è ora, più

di ieri, costretto a nascondersi”261. “La svolta sta nel fatto che l'imputabilità penale, sin qui limitata al

momento in cui lo straniero si sottragga all'ordine dell'autorità amministrativa di lasciare il territorio

nazionale, viene ora anticipata al momento stesso in cui vi soggiorni senza esserne autorizzato.

Vengono così a coincidere, salvo il ricorrere di cause di giustificazione, irregolarità amministrativa del

soggiorno e illiceità penale. Ed è per questa la ragione per la quale l'effetto della nuova disposizione

sarà dirompente: ben al di là della sanzione specificamente prevista”262.

Il clandestino viene così esposto al pericolo di essere denunciato all'autorità giudiziaria ogniqualvolta il

suo status emerga di fronte ad un pubblico ufficiale, che in virtù del generale dovere di denuncia

penalmente presidiato dall'articolo 361 cp., ha oggi l'obbligo di segnalare alla polizia o all'autorità

giudiziaria l'irregolarità del soggiorno eventualmente riscontrata nel corso della sua attività d'ufficio263.

Prima di affrontare le limitazioni più incisive, il paradigma di esclusione nei confronti dei non cittadini

pare confermato dall'articolo 1 comma 20 della legge 94/2009 che prevede l'obbligo per i fornitori di

servizi di trasferimento monetario di richiedere l'esibizione del permesso di soggiorno agli usufruitori:

sembra che il fine non sia soltanto quello dell'identificazione degli stranieri in condizione di irregolarità

bensì quello di scoraggiare l'utilizzo di qualsiasi circuito legale di trasferimento internazionale di

denaro da parte degli stranieri che non posseggono il documento attestante l'autorizzazione al

261 P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, Diritto immigrazione cittadinanza, n.4/2009, p.129262 [continua] P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.129263 In realtà l'obbligo si determina quando il pubblico ufficiale abbia conoscenza certa dello status di irregolarità del soggetto; non è perciò chiaro come tale presunzione debba essere superata o fino a che punto il pubblico ufficiale debba accertarsi in merito allo stato giuridico dell'utente.

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soggiorno. Su questa nuova limitazione la dottrina così commenta: “Essi impossibilitati, o meglio

intimoriti, nell'uso dei servizi legali di trasferimento di denaro, si troveranno indotti a sollecitarne di

illegali, ad intero ed esclusivo beneficio delle organizzazioni criminali presenti sul territorio, le quali ne

trarranno un'occasione nuova di speculazione, una possibilità di riciclaggio di denaro e nuove occasioni

per esercitare influenza o potere sulle fasce più ,marginali della popolazione immigrata di fatto

soggiornante in Italia”264.

Il paradigma di esclusione si realizza perciò non soltanto per il reato previsto all'articolo 10bis ma in

ragione dell'introduzione parallelamente ad esso di alcune norme amministrative che inducono gli

irregolari, proprio in ragione della penalizzazione della presenza illegale, ad non usufruire di

determinati servizi pubblici per timore di essere scoperti. Come viene sottolineato dalla dottrina, questo

mette in luce il vero intento del legislatore di “fare "terra bruciata" attorno agli stranieri irregolari,

impedendo loro od ostacolando l'accesso a prestazioni e servizi pubblici. In questo modo però si rischia

di attentare a diritti fondamentali della persona, e in ogni caso l'unico effetto pratico probabile di queste

misure sarà far "scomparire" ancor più le persone nella clandestinità, invece che farle "emergere"”265.

In rapporto a tali disposizioni gli effetti maggiori si colgono nell'obbligo di esibire il permesso di

soggiorno per accedere ai servizi pubblici introdotto all'articolo 6 comma 2 del testo unico, modificato

nella parte relativa alle prestazioni sanitarie con la legge 94/2009, che così prevede: “Fatta eccezione

per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti

all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni

scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui all'articolo 5, comma 8, devono essere

esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni

ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati.”.

Prima di esaminare più in dettaglio la norma in questione è opportuno sgombrare il campo da

pericolose interpretazioni sull'accesso negato ai servizi sanitari266. L'articolo 6 fa riferimento specifico

all'articolo 35 del Testo unico che al comma 5 impone il “divieto di segnalazione dell'accesso alle

strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno, salvo i casi in cui

sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”. Il diritto all'accesso ai servizi

sanitari garantito agli stranieri è stato oggetto di acceso dibattito durante i lavori parlamentari sul reato

264 P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.130265 V. ONIDA, Le vie del mare e le vie della legge, Il sole 24 ore, 19/5/2009266 Sulla questione dell'accesso ai servizi sanitari dei migranti irregolari confronta: A. DELLA BELLA, L'ultimo atto del “pacchetto sicurezza”: le novità in materia penale, in Corr. Merito, 2009, p.711; D. MANZIONE, L.15/7/2009 n.94, Disposizioni in materia di pubblica sicurezza, Legislazione penale, 2009, p.407ss; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.129 ss.; C. RENOLDI, I nuovi reati, cit., p.58

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di “clandestinità” per l'intento della maggioranza governativa di sopprimere l'esenzione al divieto di

segnalazione tutelato dall'articolo 35 T.U.267. Su tale ipotesi si sono abbattute feroci critiche che hanno

portato alla modifica dell'iniziale proposta, visto il palese contrasto con il diritto costituzionalmente

garantito alla salute e all'accesso alle cure mediche268.

L'introduzione del reato di clandestinità – ed il non intervento di modifica del legislatore sull'articolo

35 comma 5 T.U. - ha dato comunque adito a dubbi a livello interpretativo sul rapporto tra il divieto di

segnalazione e, se non l'obbligo, la facoltà di denuncia all'autorità di polizia o giudiziaria degli stranieri

irregolarmente soggiornanti che chiedano di essere curati presso un presidio sanitario. Il problema è

stato risolto riconoscendo l'articolo 35 comma 5 come norma dotata di valenza penale indiretta, in

quanto pone un divieto di segnalazione sanzionato in via amministrativa, e per altro verso rende

inconfigurabile l'illecito penale in capo al personale della struttura sanitaria che ometta di denunciare la

clandestinità dell'utente. “Detta norma sebbene immodificata vanta una condizione di contemporaneità

giuridica rispetto alla più recente figura di reato di presenza irregolare, dato che quest'ultimo ha trovato

sede nell'articolo 10 bis. Perde dunque il suo formale fondamento l'illazione secondo la quale la nuova

figura di reato, essendo prevista in una legge successiva ed incompatibile, avrebbe avuto efficacia

implicitamente abrogante quanto disposto di cui all'articolo 35 comma 5 tu”269. La dottrina ha inoltre

escluso effetti abroganti anche in ragione del rapporto di specialità che collega l'eccezione all'articolo

35 comma 5 tu rispetto all'obbligo di denuncia generalmente previsto per i pubblici ufficiali e gli

incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza di un reato, ai sensi dell'articolo 361 e 362 cp.

Aderendo alla necessità di garantire allo straniero lo stesso livello di tutela del diritto alla salute, il

percorso argomentativo affrontato per gli articoli 361 e 362 cp. dovrebbe condurre necessariamente ad

una valutazione conforme a tali obblighi fondamentali anche nel caso dell'articolo 365 cp. che

disciplina l'obbligo di referto punendo “chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria

prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale

si debba procedere d'ufficio, ometta o ritarda di riferirne all'Autorità indicata nell'art. 361 cp”.

“La regola di stretta interpretazione e di tassatività delle norme penali va letta a beneficio del soggetto e

non a suo detrimento; vale dunque la considerazione che per l'una e per l'altra qualifica di illecito v'è

una sostanziale ed evidente unicità del problema che il legislatore penale ha inteso regolare, a

protezione di un diritto fondamentale del reo, nonché della pubblica salute; sicchè la nuova figura di

267 Previsto all'articolo 45 lettera t del ddl.S/733 268 Ricordiamo la campagna informativa per divieto di segnalazione a cura di ASGI, MSF, OISG e SIMM: “Siamo medici ed infermieri, non spie” 269 P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.129

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reato di cui all'articolo 10 bis del testo unico, oltre a non compromettere il normale divieto di

segnalazione di cui all'articolo 35 comma 5 del medesimo testo unico, potrebbe addirittura condurre ad

una riduzione ulteriore delle ipotesi di obbligo di segnalazione derivanti a loro volta da “obbligo di

referto”.

La valutazione complessiva delle norme riguardanti le cure del migrante irregolare porta a confermare

il divieto per tutto il personale della struttura sanitaria di segnalazione all'autorità giudiziaria o di

pubblica sicurezza. Come sottolinea la dottrina le conseguenze della criminalizzazione si percepiscono

sul sentire comune e nella percezione diffusasi tra gli utenti stranieri e talvolta tra gli stessi operatori

sanitari, a pericolo non soltanto della salute dei migranti ma per la stessa società. “Una disposizione

soprattutto dannosa, tenuto conto delle pesanti conseguenze che produrrà sulla possibilità di una

effettiva integrazione dei migranti irregolari, perennemente esposti alla segnalazione da parte dei

pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio che, fuori dal settore sanitario per il quale vige il

relativo divieto, sono penalmente obbligati alla denuncia. Al di là degli aspetti fin qui evidenziati, può

conclusivamente farsi una considerazione di buon senso. Per tutti gli operatori che a vario titolo

lavorano in settori che coinvolgono gli stranieri, è un dato di esperienza che il processo di acquisizione

dello status di regolare avviene attraverso periodici interventi di sanatoria, formali o ufficiosi, che in

concreto si realizzano attraverso la previsione di meccanismi di regolarizzazione della presenza, in

genere attivati da una domanda dell'interessato. E' quindi evidente che ogni istanza diretta a

regolarizzare o comunque a contenere, sia pure parzialmente, gli effetti derivanti dalla condizione di

irregolarità conterrà l'implicita autodenuncia per uno dei reati di cui all'articolo 10 bis tu immigrazione.

E ciò costituirà un sicuro disincentivo per gli interessati, ivi compresi i datori di lavoro, a carico del

quali incombe il reato di cui all'articolo 22, comma 12 tu270. Ciò tanto più in quanto la legge stabilisca

la mera sospensione del procedimento penale in pendenza della domanda di regolarizzazione271”272.

La previsione all'articolo 6 comma 2 del T.U. come modificata dal pacchetto sicurezza quindi esonera

dal divieto di segnalazione nei casi di accesso alle prestazioni sanitarie e quelle scolastiche

obbligatorie, oltre ai provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo.

A tal riguardo un ulteriore appunto deve porsi sull'accesso alle prestazioni scolastiche obbligatorie per i

270 “Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato”. Comma così modificato dal dl. 92/2008271 Come previsto per il recente tentativo di emersione dal lavoro irregolare compiuto con l'articolo 1ter del Dl. 78/2009 convertito con l.102/2009. 272 C. RENOLDI, I nuovi reati di ingresso e di permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato, op. cit., p.58

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minori irregolari, a tutela del diritto all'istruzione garantito dalla Costituzione all’art. 34273. Ai fini della

corretta interpretazione dell’art. 6, co2, T.U., l’esenzione dall’obbligo di esibizione del permesso di

soggiorno vale fino al completamento dell’intero percorso formativo e dunque anche fino al 18° anno

di età. Inoltre non va escluso che in taluni casi l’accesso alla scuola o alla formazione professionale

possa protrarsi oltre la maggiore età se necessario per completare il percorso scolastico o formativo

intrapreso durante la minore età. Secondo quanto sostiene l'ASGI274 “sarebbe irragionevole ritenere che

allo scoccare della maggiore età cessi improvvisamente il diritto in questione, considerato che il

sistema educativo si conclude con il «conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria

superiore o di una qualifica professionale». Dunque, al minore straniero iscritto o che intenda iscriversi

in una scuola o in un corso di formazione professionale non può essere richiesto il permesso di

soggiorno sino al termine del percorso scolastico e/o formativo, a prescindere dal fatto che abbia

superato i 10 anni di scolarizzazione.” Tale specificazione risolve il dubbio sollevato anche ai clamori

della stampa sull'obbligo o meno, con l'entrata in vigore della legge, di denuncia gravante sui presidi di

scuole superiori in relazione alla conseguimento della maggiore età di ragazzi inseriti in un percorso

formativo prima dell'acquisizione del titolo.

Sempre sul diritto all'istruzione in rapporto all'articolo 10 bis, anche a riprova delle distorsioni che può

creare una norma confusa e inopportuna, da segnalare l'ordinanza 11/2/2008 del Tribunale di Milano in

merito alla decisione del comune di Milano di subordinare l'iscrizione dei bambini alle scuole materne

comunali al requisito della residenza regolare dei genitori. Secondo il tribunale, se è vero che il T.U.

Imm. prevede che solo la scuola dell'obbligo debba essere frequentata da tutti i minori stranieri,

compresi i figli di genitori irregolari (38 co1), non meno vero è che la scuola materna sia in diretta

connessione funzionale con la scuola dell'obbligo, con ciò risultando illegittima la discriminazione

operata dal comune di Milano275.

In relazione invece alle altre limitazioni introdotte dalla legge 94/2009, rispetto alla previgente

formulazione276, si pone in evidenza l'avvenuta abrogazione dell'esenzione dall'obbligo di presentare il

273 Il diritto all'istruzione viene anche sancito dall’art. 28 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo che prevede in particolare al comma 1 “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all'educazione, e in particolare, al fine di garantire l'esercizio di tale diritto in misura sempre maggiore e in base all'uguaglianza delle possibilità: a) rendono l'insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti.” L'istruzione si configura anche come dovere sottendendo un onere/obbligo a carico dei genitori e di altre figure istituzionali, la cui inosservanza può essere sanzionata (731 c.p. e art. 331 c.p.p.).274 Cfr. I minori stranieri extracomunitari e il diritto all’istruzione dopo l'entrata in vigore della legge n. 94/2009 , Paper su www.asgi.it275 Su tale profilo confronta A. GUAZZAROTTI, Lo straniero, i diritti. L'uguaglianza, Questione giustizia, n.1/2009, p.99-100276 I documenti inerenti al soggiorno previsti all'articolo 5 comma 8 devono essere esibiti agli addetti dei pubblici uffici per il rilascio di licenze, autorizzazioni e altri provvedimenti di interesse dello straniero, ad eccezione di quelli riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo.

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permesso di soggiorno per la fruizione dei pubblici servizi, e per gli atti di stato civile.

Alcune di queste questioni sono state sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale nella sentenza

250/2010, tutte però dichiarate manifestamente inammissibili. In rapporto alla presunta violazione

dell'articolo 24 Cost. formulata dal medesimo giudice rimettente a fronte dell’asserita introduzione di

un obbligo di autodenuncia nei confronti del migrante irregolare responsabile dell’adempimento

dell’obbligo scolastico previsto dall’art. 38 del d.lgs. n. 286 del 1998, la Corte non ha ritenuto che

venga in rilievo l'articolo 10 bis bensì tale questione sia additabile al “difettoso coordinamento di talune

disposizioni «collaterali»”(artt. 6, 35 e 38 del d.lgs. n. 286 del 1998): più in particolare, dalla mancata

previsione, nel citato art. 38, di una esenzione dall’obbligo di segnalazione all’autorità del migrante

irregolare da parte del personale scolastico, analoga a quella sancita dall’art. 35, comma 5, del d.lgs. n.

286 del 1998 con riferimento al personale sanitario. A tal riguardo la dottrina ha osservato che alcune di

tali questioni rigettate dalla corte, tra cui quest'ultima considerata, “contrariamente alla patente

legittimità conferita a quelle trattate nel merito, lascino trasparire, a tratti, qualche ulteriore e diversa

soluzione in possibili successive pronunce, nel caso fossero diversamente prospettate.”277

Un ulteriore questione emerge in relazione all'obbligo di presentare il permesso di soggiorno per gli atti

di stato civile. A dir vero l'obiettivo del legislatore sembra soltanto quello di impedire la celebrazione

del matrimonio in Italia dello straniero non regolarmente residente, “senza badare ai gravi ed ulteriori

effetti resi possibili da una così ermeneutica operazione”278, ancor più chiaramente espresso con la

modifica introdotta sempre dal pacchetto sicurezza all'articolo 116 cc. che subordina esplicitamente il

matrimonio alla presentazione del permesso di soggiorno. Secondo l'analisi condotta dall'ASGI279 tale

normativa pone seri dubbi di costituzionalità secondo l'articolo 117 comma 1 Cost.

La legittimità di tale norme si pone dubbia innanzitutto in riferimento alla giurisprudenza della Corte di

giustizia in relazione al “non permettere agli stranieri irregolarmente presenti dalla possibilità stessa di

acquisire lo status di famigliare nel territorio dello Stato membro che è il presupposto dell'esercizio del

diritto alla libera circolazione”.

In secondo luogo sembra crearsi una illegittimità costituzionale in merito all'ingerenza sul “diritto a

formare una famiglia, annoverato tra i diritti fondamentali della persona umana previsti anche dalle

convenzioni internazionali (ad es. gli artt. 8 e12 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo) e

come tale spettante a tutte le persone presenti nel territorio italiano, indipendentemente dalla

277 F. BAILO, L'immigrazione clandestina al vaglio della Corte Costituzionale: illegittima l'aggravante comune ma non anche la fattispecie di reato, op. cit., p.2507278 P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.133279 A cura di W. CITTI, Il matrimonio dello straniero in Italia dopo l’entrata in vigore della legge n. 94/2009 - Il nuovo articolo 116. cc., 10/8/2009, a cui rimandiamo per una dettagliata analisi sui profili di incostituzionalità e incompatibilità con gli obblighi comunitari e internazionali.

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nazionalità”.

In relazione a questo profilo si segnala il parere del Tribunale costituzionale francese dd. 26/11/2003

(paragrafi 95 – 96) che si era espresso in relazione ad un disegno di legge presentato dal governo

francese e poi ritirato che disponeva l'obbligo dell'ufficiale di stato civile di segnalare all'autorità

prefettizia la condizione irregolare dello straniero che chiedeva le pubblicazioni di matrimonio: “se il

carattere irregolare del soggiorno di uno straniero può costituire in certe circostanze, se accompagnato

da altri elementi, un indice serio che lasci presumere che il matrimonio sia prospettato con un altro

scopo diverso dall'unione matrimoniale, il legislatore - ritenendo che il fatto che uno straniero non

possa giustificare la regolarità del suo soggiorno costituisca in tutti i casi un indice grave dell'assenza di

consenso- ha portato offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio”.

Questa interpretazione è stata confermata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella recentissima

sentenza O. e altri c. Regno Unito280 che ha riconosciuto la violazione della libertà matrimoniale e il

principio di non discriminazione agli articoli 12 e 14 della CEDU da parte della normativa del Regno

Unito in materia di capacità matrimoniale dei cittadini stranieri sottoposti alla normativa

sull'immigrazione (cittadini non facenti parte di Paesi dell'Unione europea o dell'Area Economica

Europea). Il Regno unito infatti aveva introdotto nel 2005 una nuova regolamentazione riguardante la

capacità matrimoniale dei cittadini stranieri volta a contrastare i “matrimoni di comodo” subordinando

tale possibilità ad un'autorizzazione del ministero dell'interno e una permanenza regolare nel territorio

con autorizzazione di almeno sei mesi e non in scadenza entro i tre mesi successivi.

La Corte EDU censurando la normativa del Regno Unito ribadisce il diritto fondamentale previsto

all'articolo 12 della CEDU “di sposarsi e di fondare una famiglia” riconoscendo siano ammissibili

restrizioni determinate dalla necessità di regolazione dei flussi migratori, le quali debbono però essere

legittime e rispondenti ai criteri di proporzionalità. In tal caso la volontà di evitare i cosiddetti

matrimoni di comodo, pur costituendo una finalità apprezzabile, non può legittimare la privazione di

una persona dalla possibilità di contrarre matrimonio con una persona di sua scelta. Secondo l'analisi

dell'ASGI281 tale pronuncia evidenzia l'illegittimità della normativa italiana in materia modificata dalla

legge n.94 del 2009. Secondo tale orientamento perciò la normativa italiana sarebbe in contrasto con

gli obblighi internazionali e con l'articolo 117 comma 1 della Costituzione. Sul tema da segnalarsi

un'ordinanza del giudice di pace di Trento282 che ha sospeso il procedimento espulsivo ad una straniera

a cui era stato impedito le pubblicazioni di matrimonio ai sensi della nuova disciplina ed ha rinviato la

280 Causa n. 34848/07 del 14 dicembre 2010 281 Cfr. l'articolo CEDU: Viola la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo lo Stato che priva della capacità matrimoniale lo straniero in condizione di irregolarità o il cui permesso di soggiorno sta per scadere, reperibile al sito www.asgi.it282 Ordinanza n. 680/2010 dd. 16.06.2010

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questione alla Corte costituzionale.

Una questione ancor più problematica si pone nei confronti nel caso del riconoscimento dei figli degli

stranieri privi di autorizzazione. L'eliminazione della limitazione dell'obbligo di denuncia per lo stato

civile infatti secondo la norma potrebbe colpire i neogenitori che vogliono riconoscere i propri figli. Su

questa questione è intervenuta una circolare ministeriale (n.19 del 7/8/2009) che ha chiarito la non

assimilabilità del registro di nascita ai provvedimenti menzionati nell'articolo 6 tu283. La dottrina

rimarca però l'assenza di espressa modifica normativa che allo stato della norma non prevede uno

specifico divieto di segnalazione, come invece ai sensi dell'articolo 35 comma 5, e viene affiancata

dall'ulteriore disposizione all'articolo 54 comma 5 bis del d.lgs. 18/8/2000 che considera prassi

ordinaria la segnalazione alle autorità di pubblica sicurezza o alla magistratura da parte del Sindaco

dello straniero in condizione di irregolarità284. Conclude l'autore “l'ordito normativo lascia inoltre

prevedere, almeno per l'immediato futuro, una riduzione di senso dell'articolo 19 comma 2 lettera d) del

tu. con conseguente diminuzione delle richieste di permesso di soggiorno per gravidanza o maternità –

le quali implicherebbero l'auto-segnalazione dei richiedenti circa la pregressa violazione dell'articolo 10

bis”. Tale interpretazione della dottrina sembra essere pienamente confermata dalla recente sentenza n.

38157 del 27 ottobre 2010 della Corte di Cassazione che ha ritenuto possibile applicare l’art 10 bis del

Testo Unico sull’immigrazione a quanti si trovino in una delle condizioni di inespellibilità previste

dall’art. 19 del medesimo Testo Unico. Secondo la Corte l'elemento soggettivo richiesto nel reato

contravvenzionale – dato dalla coscienza e volontà di disattendere le norme in tema di immigrazione –

era presente in quanto provato dalle stesse ammissioni dell'imputata ed a nulla valeva la mancanza di

motivazione sull'elemento soggettivo del reato dedotta dall'imputata, in quanto la stessa si trovava di

fatto in una situazione tutelata dalle stesse norme del testo unico, tanto è vero che non appena aveva

chiesto il permesso di soggiorno le era stato concesso per motivi di salute. La sua situazione infatti

poteva essere assimilata a quella del rifugiato politico, e quindi, anche se non aveva chiesto il permesso

di soggiorno, si trovava nella condizione di poterlo avere. A tal riguardo la Corte rileva che "la norma

punisce tra le altre condotte il trattenimento illegale nel territorio dello Stato e definisce illegale il

trattenimento che avviene in violazione delle norme del testo unico, tra le quali quella di non richiedere

il permesso di soggiorno entro 8 giorni dall’ingresso in Italia. Ne consegue che l’imputata al momento

in cui era stata identificata si trovava nella situazione descritta dalla norma a nulla valendo che avrebbe

283 “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita - dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell'interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto. L'atto di stato civile ha natura diversa e non assimilabile a quella dei provvedimenti menzionati nel citato art. 6.”284 Cfr. P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.135

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potato ottenere il permesso di soggiorno perché in stato di avanzata gravidanza."

A tal riguardo non si comprende come tale criticità si potrà risolvere in futuro. Pare se non altro

contraddittoria una normativa che finalizzata all'espulsione come è l'articolo 10 bis si ritenga

applicabile a casi di inespellibilità. Quali soluzioni si produrranno se, vista l'inesegibilità (possibile) del

clandestino, viene disposta come sanzione sostitutiva – come consueto – l'espulsione non eseguibile?

Rimarrà il soggetto in una condizione di sostanziale tolleranza per il fatto di non poter essere espulso

ed in ogni caso in violazione del 10 bis? Verrà espulsa la madre non appena partorito, nonostante il

minore a quel punto sarà titolare di un diritto a non essere espulso secondo l'articolo 19 tu? La

situazione pare ricordare la figura dei “duldung” in Germania, persone tollerate perchè in violazione

delle norme in materia immigrazione o richiedenti asilo tollerati dalle istituzioni e relegati a luoghi

esterni e controllati. Gli scenari restano aperti.

Un ultimo profilo relativo alle conseguenze del reato di clandestinità si colgono in relazione ad un

elemento centrale nella gestione dell'immigrazione irregolare, l'accesso al mondo del lavoro. La logica

del reato che criminalizza il mero ingresso o presenza irregolare, nell'attuale sistema di ingresso di

lavoratori immigrati bloccato da un sistema perverso quale quello delle quote – e della contestuale

ciclicità delle regolarizzazioni, dimostra ancor più quella logica di esclusione a cui abbiamo accennato

lungo la trattazione. “E' legittimo il sospetto che tanta durezza sia oggettivamente funzionale

all'inibizione della domanda di legalità sostanziale del mercato del lavoro. Un mercato nel quale

sempre più è evidente la connessione tra la terziarizzazione e lo sviluppo della ricchezza, da una parte,

ed il bisogno di mano d'opera non specializzata e a basso prezzo dall'altra. Non v'è dubbio che

l'introduzione del reato di irregolare presenza, al di là della specifica ed illusoria sanzione penale

comminata, avrà come effetto più profondo ed esteso quello di inserire il vasto mondo degli irregolari

nel medesimo oscuro contenitore dei soggetti perseguibili penalmente. Si tratta di una platea vasta che

la legge tratta con inedita durezza ma da cui dipenderà l'effettiva qualità civica della nostra

immigrazione nei prossimi anni.” Da notare che la maggior parte dei migranti che hanno avuto accesso

alle procedure di ricongiungimento familiare sono stati per un certo periodo irregolarmente

soggiornanti prima di potersi regolarizzare. “Alla proclamazione legislativa del “netto discrimine” tra

immigrati regolari ed irregolari si contrappone la realtà della condizione di irregolarità del migrante

come passaggio necessario verso la condizione di legalità: “immigrazione e immigrazione irregolare

praticamente coincidono”285.

285 A. CAPUTO, Verso una nuova legge sull'immigrazione, Questione giustizia, n.3/2007, p. 439; Cfr. G. SCIORTINO, Le migrazioni irregolari. Struttura ed evoluzione nell'ultimo decennio, in Fondazione Ismu, Decimo rapporto sulle migrazioni – 2004, Franco Angeli, Milano, 2005, p.284.

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Questo rilievo si completa con l’osservazione che il reato molto probabilmente indurrà gli irregolari a

vedere come “pericolose o irraggiungibili le istituzioni di prossimità normalmente deputate a garantire

il bene universale della sicurezza286, riconoscendo invece nelle organizzazioni illecite, antagoniste dello

Stato, un male minore da accettare o una protezione di cui profittare per necessità. Vi sarà dunque la

consegna di questo spicchio di popolazione alla economia nazionale del malaffare e della illegalità

diffusa, nella quale gli stranieri irregolari vivranno normalmente come vittime e talvolta come correi:

dimostrando così che l'integrazione nell'ambito della illegalità può realizzarsi senza distinzioni tra

cittadini e stranieri e senza bisogno di quel sostegno che invece richiederebbe, anche da parte del

legislatore, l'inclusione sociale.”287

In tale contesto perciò, rilevata la sostanziale costituzionalità del reato di presenza irregolare, vale

notare un “problema di coerenza sistemica non priva di possibili sanzioni a carico dello Stato, in quanto

colpevole di non garantire un accettabile livello di legalità dal lato dell'offerta di lavoro ai cittadini

stranieri (regolari e non)”. Particolarmente di spicco a riguardo una sentenza Siliadin v. Francia288 della

Corte europea dei diritti dell'uomo che ha condannato lo Stato per non aver predisposto delle misure

efficaci nell'impedire forme di sfruttamento289 in danno di giovani presenti nel territorio anche se

clandestini. Secondo la dottrina290 “se la Corte di Strasburgo ha rilevato la responsabilità dello Stato

legislatore, non meno ricevibile sarebbe un'azione di responsabilità contro lo Stato amministratore in

senso lato. Basterebbe a riguardo la prova del mancato seguito dato alla segnalazione dello straniero

irregolarmente soggiornante che dia notizia dell'attività lavorativa svolta, presso un'azienda oppure una

famiglia, in violazione di regola e standard retributivi sufficienti ad assicurare al lavoratore una vita

dignitosa”.

286 Sulla drammatica veridicità di queste considerazioni confronta le ordinanze xenofobe emesse recentemente. Solo ad esempio la Campagna “White christmas” volta a “ripulire” il comune di Coccaglio in provincia di Brescia dagli extracomunitari irregolari e sempre nella stessa provincia ad Adro l'introduzione di una taglia di 500 euro per ogni irregolare denunciato. 287 Cfr. P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.141288 Siliadin v. France, 73316/01, Council of Europe: European Court of Human Rights, 26 July 2005 289 Nel caso concreto la ragazza, minore, era entrata irregolarmente in Francia accompagnata da una persona che l'aveva costretta a condizioni inaccettabili di servitù presso una famiglia.290 Cfr. P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gli effetti collaterali del reato di presenza irregolare, op. cit., p.139

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CAPITOLO 3: I DIRITTI FONDAMENTALI DEL

MIGRANTE IRREGOLARE

Introduzione: Ius migrandi e diritti fondamentali

La gestione degli ingressi irregolari è un problema condiviso non soltanto a livello europeo e si

manifesta con caratteri simili in tutto il globo. La tutela dello straniero nel momento dell'ingresso nel

territorio di un altro stato rappresenta la questione più problematica perché non viene disciplinata

omogeneamente e presenta spesso tratti oscuri.

Il diritto di immigrare non viene riconosciuto ne a livello nazionale ne sovranazionale: accanto al

diritto di emigrazione, garantito da ogni Stato ai propri cittadini, non sussiste un dovere di ammissione

da parte degli altri Stati per ragioni che esulano quelle strettamente collegate alla protezione

internazionale accordata ai rifugiati. La Costituzione italiana riconosce ad ogni cittadino all'articolo 16

comma III la libertà di “uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”

e all'articolo 35 comma IV “la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge

nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero”291. A livello internazionale invece l'articolo

13 comma II della Dichiarazione universale dei diritti umani riconosce ad “ogni individuo il diritto di

lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” ed analogamente prevede

l'articolo 12 comma II e II del Patto internazionale sui diritti civili e politici e l'articolo 8, paragrafo I e

II della Convenzione ONU del 1990 sulla protezione dei lavoratori migranti.

Nell'ottica del controllo dell'immigrazione irregolare pare in atto, accanto alla chiusura dei confini dei

Paesi di destinazione, un progressivo restringimento dello stesso diritto di emigrare. “Today, even

though the jus migrandi has been recognized, there are many barriers that each state has raised to the

exercise of this right, in addition to the more and more diffused lines against the process of emigration

in the receiving societies. The firm opposition to emigration is also demonstrated by the support that is

normally shown (in both institutional seats and not) toward the so called readmission agreements and

the praxis of the so called externalization of European borders control.”292

291 Sull'interpretazione dottrinale dell'articolo 35 comma 4 della Costituzione in termini di tutela sia dell'emigrazione che dell'immigrazione cfr. E. ROSSI, I diritti fondamentali degli stranieri irregolari, I problemi costituzionali dell'immigrazione in Italia e in Spagna, op. cit., p.115292 O. GIOLO E M. PIFFERI, Integration or Exclusion: Migrants in the European Union and United States. An Historical-Philosophical Approach, Jean Monnet Working Paper 17/08, p.34

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Gli Stati europei, ed in misura minore anche la stessa Comunità europea, attraverso la conclusione di

accordi bilaterali vincolano gli Stati di arrivo a porsi a presidio delle frontiere europee. “In assenza di

canali di ingresso legale e di interventi idonei a praticare una autentica solidarietà con gli abitanti dei

Paesi più poveri, con iniziative affidate agli enti locali e alle organizzazioni non governative, si è

tentato di imporre ai governi degli Stati in transito, soprattutto dei paesi nord-africani, accordi di

collaborazione basati sul finanziamento delle politiche di arresto, di detenzione e di espulsione dei

migranti irregolari, prima che questi potessero tentare l'ultimo salto, la traversata verso l'Europa”293.

Nelle modalità di gestione dei flussi migratori gli Stati non hanno alcun vincolo di natura

internazionale e restano liberi di ammettere nel proprio territorio gli stranieri permettendone o

negandone l'ingresso. Non esiste nessuna norma di diritto internazionale a riguardo, pertanto l'ingresso

è disciplinato esclusivamente dalla legge dello stato294. “L'immigrazione fa parte di quelle questioni la

cui soluzione i governi degli stati nazionali gelosamente riservano alla propria azione politica,

evocando rispetto a questa problematica il simulacro della loro antica sovranità”295 296.

Il riconoscimento del diritto di immigrare da parte degli stati “metterebbe in discussione lo stesso

fondamento antropologico dello stato, cioè l'appartenenza, che traccia la distinzione costitutiva e

293 F. V. PALEOLOGO, Obblighi di protezione e controlli delle frontiere marittime, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.3/2007 p.22 che continua: “In tal senso l'Italia e la Spagna hanno offerto gli esempi più eclatanti, nei rapporti, rispettivamente con la Tunisia ed il Marocco, concludendo accordi bilaterali e/o intese a livello di forze di polizia che hanno permesso il blocco e l'arresto di migranti, in molti casi potenziali richiedenti asilo e minori non accompagnati, anche se provenienti da paesi terzi, in cambio di trattamenti preferenziali negli scambi commerciali” . Sul tema Cfr. editoriale “2010 L'anno del diritto di migrare?” nel sito www.migreurop.org: [L'aspetto essenziale dell'inasprimento delle politiche d’immigrazione dei paesi europei è] “la messa in discussione del diritto a lasciare il proprio paese, nonostante esso sia riconosciuto dall’Articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Gli «Accordi di gestione congiunta dei flussi migratori» conclusi dalla Francia, i «Trattati di amicizia» negoziati dall’Italia, insieme al Piano Africa spagnolo e agli accordi di riammissione firmati dall’Unione europea con i suoi vicini vanno tutti in questa direzione: l’aiuto allo sviluppo ha come moneta di scambio la partecipazione dei paesi di emigrazione e di transito al controllo dei loro cittadini come possibili candidati alla migrazione (in paesi come il Marocco e l’Algeria, questo si traduce nella criminalizzazione dell’emigrazione), e l’obbligo di «riammettere» i propri emigrati che si trovano in situazione irregolare in Europa. Grazie a questa esternalizzazione dei controlli, le frontiere dell’Ue sono oggi delocalizzate al sud (Libia, Mauritania, Senegal) e ad est (Turchia e Ucraina)”; B. NASCIMBENE, Relazioni esterne e accordi di riammissione, Le relazioni esterne dell'Unione europea nel nuovo millennio, Milano, 2001; R. PISILLO MAZZESCHI, Strumenti comunitari di prevenzione e contrasto all'immigrazione clandestina, Il diritto all'Unione europea, p.755 294 Cfr. N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, terza edizione, Giappichelli editore, Torino, p.339295 F. BELVISI, Il diritto di immigrazione come diritto sovranazionale, Democrazia e diritto, n.1/97, pag.203; cfr. A. FACCHI, Sovranità e immigrazione nell'Europa contemporanea, Crisi e trasformazioni della sovranità, Atti del XIX Convegno Nazionale di Filosofia giuridica e politica (Trento 1994), Giuffré, Milano, 1996, p.219-234 296 Un esempio delle conseguenze di tale logica si può evidenziare nel caso dell'espulsione. Cfr. F. PIGHI, Le migrazioni negate. Clandestinità, rimpatrio, espulsione, trattenimento, Franco Angeli, Milano, 2008, p.46-47:“Il fondamento della disciplina dell'espulsione evidenzia una ratio, per così dire assorbente: la mancanza di qualsivoglia titolo di legittimazione per lo straniero a rimanere nello stato e la violazione dell'obbligo di esserne munito, costituirebbero un indice di rischio così significato, un'incognita tanto insidiosa per il governo della civile convivenza, per la prevenzione generale dei reati, per la sicurezza dei cittadini e per il rispetto delle leggi, da non doversi neppure pretendere che l'ordinamento si faccia carico della sommaria dimostrazione che la singola persona, nel caso concreto, oltre ad essere illegalmente senza documenti, presenti anche concreti ed effettivi elementi sintomatici di pericolo per la tutela di tali esigenze, che sono pertanto salvaguardate da strumenti di prevenzione speciale che allontanano il fenomeno nella sua indistinta complessità”

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costituzionale tra cittadino e straniero. Sulla base della supremazia del principio individualistico di

sovranità nazionale, dell'effettività del criterio della potenza dei singoli stati, e dell'assenza di una

giurisdizione sovranazionale vincolante, il diritto di migrare non è un diritto assoluto della persona

valido erga omnes”297.

La libertà degli stati di regolare autonomamente i propri confini non riconoscendo indiscriminatamente

l'ingresso è stata ribadita dalla Corte europea dei diritti umani ed anche dalla giurisprudenza italiana.

La Corte Costituzionale nella sentenza Obradovic “ha riconosciuto che non può escludersi che tra

cittadino e straniero, benché uguali nella titolarità di certi diritti di libertà, esistano differenze di fatto e

di posizioni giuridiche tali da razionalmente giustificare un diverso trattamento nel godimento di tali

diritti. [...] Lo straniero non ha di regola un diritto acquisito di ingresso e di soggiorno in altri Stati; può

entrarvi e soggiornarvi solo conseguendo determinate autorizzazioni e, per lo più, per un periodo

determinato, sottostando a quegli obblighi che l'ordinamento giuridico dello Stato ospitante impone al

fine di un corretto svolgimento della vita civile. Lo Stato ospitante può, pertanto, revocare in ogni

momento il permesso di soggiorno o limitare la circolazione di esso straniero nel proprio territorio, così

come l'ordinamento prevede, nella salvaguardia pur sempre dei diritti fondamentali.”298.

Anche la corte europea dei diritti dell'uomo è intervenuta in materia con cospicua giurisprudenza299

sottolineando che gli stati contraenti “have the right, as matter of well established international law and

subject to their treaty obligations including the convention, to control the entry, residence and expulsion

of aliens”300.

L'esistenza di tale principio tuttavia non esime gli Stati da una serie di limiti posti al potere di controllo

dell'ingresso e dell'allontanamento dal diritto internazionale e in misura ridotta anche dal diritto

comunitario. Nonostante l'inesistenza nell'ordinamento internazionale di una norma consuetudinaria o

pattizia che permetta l'ingresso ed il soggiorno in uno stato diverso di quello di provenienza al migrante

irregolare “gli Stati non possono adottare misure caratterizzate da discrezionalità assoluta nei suoi

confronti”301. .“La nozione di straniero, così come la determinazione della regolarità o meno del suo

297 F. BELVISI, Il diritto di immigrazione come diritto sovranazionale, op. cit., p.205.298 Sentenza Obradovic del 23/7/1974 n.244, in Giurisprudenza costituzionale, 1974, p.2360; cfr. ordinanza 10/12/1987, n.503, Sowyoto, 1987, p.3317; sentenza 21/11/1997, n.353, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1998, p.391 299 Cfr Abdulaziz, Cabales and Balkandali v. The United Kingdom, 15/1983/71/107-109 , Council of Europe: European Court of Human Rights, 24 April 1985 Saadi v. Italy, Appl. No. 37201/06, Council of Europe: European Court of Human Rights, 28 February 2008; Chahal v. The United Kingdom, 70/1995/576/662, Council of Europe: European Court of Human Rights, 15 November 1996. 300 Cfr. T.I. v. The United Kingdom, Appl. No. 43844/98, Council of Europe: European Court of Human Rights, 7 March 2000.301 P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'UE , Il diritto dell'Unione Europea, 1/2010, p.23

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soggiorno, non può che essere definita sulla base della normativa vigente in ogni singolo paese. (…)

Alcuni obblighi [posti dal diritto internazionale] prescindono dalla regolarità dello status dello

straniero. Ciò vale ad esempio per quanto riguarda il più classico degli obblighi internazionali, vale a

dire il dovere di protezione degli stranieri da parte dello Stato che esercita la sovranità nel territorio

dove tali persone si trovano a soggiornare”302.

302 C. FAVILLI, I diritti dell'immigrato non regolarmente soggiornante, (a cura di) P. Benvenuti, Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, Il sirente, 2008, p.292

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1. La tutela dei diritti del migrante a livello internazionale

La tutela del migrante a livello internazionale ha subito negli ultimi decenni un significativo

mutamento a causa della progressiva integrazione tra il diritto degli stranieri, tradizionalmente di

competenza degli stati, e la tutela dei diritti umani303. “Il processo di internazionalizzazione dei diritti e

delle libertà fondamentali della persona, rappresenta il nuovo approccio al trattamento dello straniero.

Non è più un tema di domestic jurisdiction, perchè lo straniero è persona e non può subire, in quanto

tale, discriminazione alcuna: i diritti umani protetti dalle norme internazionali vanno riconosciuti a tutti

indistintamente, cittadini e non cittadini”304. “Il principio cardine è quello dell'uguaglianza nel

godimento di libertà e diritti sanciti a livello internazionale per tutte le persone. Ne consegue che tali

diritti devono essere riconosciuti a ciascuno indipendentemente dallo Stato di appartenenza ed anche a

prescindere dalla regolarità del soggiorno, salve quelle distinzioni funzionali al raggiungimento di

obiettivi legittimi ed a ciò proporzionali”305.

Nel rapporto tra le norme dedicate agli stranieri e la tutela dei diritti umani Mazzeschi306 individua due

distinte tendenze, anche se attualmente soltanto abbozzate. Nonostante le diversità tra i due ambiti307

secondo l'autore da un lato emerge il confluire del trattamento degli stranieri nel trattamento della

persona umana308 con un “progressivo orientamento delle norme sui diritti umani ad espandersi ed a

303 Tale posizione è sostenuta da B. NASCIMBENE, Le migrazioni tra sovranità dello Stato e tutela dei diritti della persona, in M. CARTA (a cura di), Immigrazione, frontiere esterne e diritti umani. Profili internazionali, europei ed interni, Roma, 2009, p. 29; Cfr. UN General Assembly, Summary of the High-level Dialogue on International Migration and Development : note / by the President of the General Assembly, 13 October 2006, par.10: “Participants recognized that international migration, development and human rights were intrinsically interconnected. Respect for the fundamental rights and freedoms of all migrants was considered essential for reaping the full benefits of international migration. Many noted that some vulnerable groups, such as migrant women and children, needed special protection. Governments were called upon to ratify and implement the core human rights conventions and other relevant international instruments, including the International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families.”. Di simile orientamento N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, 3° ed., Torino, 2009, p. 337-338 che nonostante sostenga l'esistenza di differenze tra le norme in materia di diritti umani e quelle relative agli stranieri (in particolare sulla differenza esistente tra le prime formulate a garanzia di tutti gli individui sottoposti al potere d'imperio dello Stato e le seconde che hanno per oggetto una ben più limitata categoria di persone) riconosce che “è innegabile la tendenza a costruire le norme a protezione dei diritti degli stranieri come norme a protezione non dello Stato cui lo straniero appartiene, ma come norme a protezione dell’individuo”.304 B. NASCIMBENE, intervento al Convegno: Human rights and Citizenship: the Challenge of migrations, Istituto per gli studi di politica internazionale, 13/11/2006, Milano, pag.3305 C. FAVILLI, I diritti dell'immigrato non regolarmente soggiornante, op. cit., p.293306 R. P. MAZZESCHI, Sui rapporti fra diritti umani e diritti degli stranieri e dei migranti nell’ordinamento internazionale, Convegno: Diritti fondamentali degli immigrati: unità della famiglia e tutela dei minori, Siena, 27-28 novembre 2009, Centro Interuniversitario di Ricerca sui Diritti Umani e sul Diritto dell’Immigrazione e degli Stranieri (CIRDUIS)307 Cfr. N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, op. cit., p. 338: “il trattamento degli stranieri, di origine assai antica, si inserisce nel quadro del diritto internazionale tradizionale di natura tipicamente reciproca, privatistica ed interstatale, mentre la tutela dei diritti umani, di nascita molto più recente, si inserisce nel quadro del nuovo diritto internazionale di natura solidaristica, pubblicistica e rivolto anche agli individui”. 308

B. CONFORTI, Prefazione, in (a cura di) M. Carta, Immigrazione, frontiere esterne e diritti umani. Profili internazionali,

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sostituire gradualmente le norme sul trattamento degli stranieri”309, dall'altro la progressiva apertura

delle norme internazionali sugli stranieri tipicamente interstatali alla tutela degli individui, in forte

controtendenza rispetto al diritto internazionale classico310.

Ruolo cardine è assunto dal principio di non discriminazione. Plurimi sono gli strumenti che a livello

internazionale sanciscono il divieto di discriminazione nei confronti dei migranti e che pongono alcuni

limiti alla discrezionalità degli stati nella definizione delle condizioni di ingresso degli stranieri.

Relegando la Convenzione europea per i diritti dell'uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

europea a successiva trattazione, a livello pattizio rileva innanzitutto la Dichiarazione universale dei

diritti fondamentali del 1948 che all'articolo 2.1 sancisce che “ad ogni individuo spettano tutti i diritti e

tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di

colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o

sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e

politici e la Convenzione di Ginevra si occupano più specificamente della condizione dello straniero: il

primo all'articolo 13311 afferma alcune garanzie procedurali in materia di espulsione previste per i

migranti regolari che vengono però estese anche ai casi di espulsioni collettive ed a quelle effettuate per

cause manifestamente arbitrarie; all'articolo 17312 proibisce interferenze arbitrarie o illegittime nella vita

familiare anche nei confronti degli stranieri.

La convenzione di Ginevra sancisce invece le garanzie fondamentali del rifugiato nel paese di arrivo.

Cardine della tutela è il principio di “non refoulment” all'articolo 33313 che vieta il respingimento del

rifugiato verso un paese in cui verrebbero messe a rischio vita e libertà per ragioni riguardanti la sua

razza, religione, appartenenza ad un gruppo sociale o opinione politica. Questo principio ha subito nel

europei ed interni , Roma, 2009 , p.xiii)309 Cfr. R. P. MAZZESCHI, Sui rapporti fra diritti umani e diritti degli stranieri e dei migranti nell’ordinamento internazionale, op. cit.310 L'autore definisce queste due tendenze come “effetto di sostituzione” ed “effetto di trasformazione”.311 Articolo 13: “Uno straniero che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato parte del presente Patto non può esserne espulso se non in base a una decisione presa in conformità della legge e, salvo che vi si oppongano imperiosi motivi di sicurezza nazionale, deve avere la possibilità di far valere le proprie ragioni contro la sua espulsione, di sottoporre il proprio caso all'esame dell'autorità competente, o di una o più persone specificamente designate da detta autorità, e di farsi rappresentare innanzi ad esse a tal fine.” 312 Articolo 17: “1. Nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione. 2. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze od offese.” 313 Art. 33 Divieto d’espulsione e di rinvio al confine: “1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. 2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.”

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tempo una progressiva estensione314 ad opera della prassi interpretativa che è intervenuta a specificarne

alcuni nodi cruciali della tutela.

In primo luogo l'obbligo di non respingimento si applica nei confronti dei richiedenti asilo che alla

frontiera o entrati irregolarmente nel territorio chiedono protezione allo stato.

Da evidenziare che gli Stati di transito e di accoglienza dei migranti non sono tenuti a riconoscere

l'asilo al richiedente ma, se sussistono i presupposti indicati dall'articolo, devono garantire almeno una

protezione temporanea. Gli strumenti di protezione dei diritti umani intervenuti dopo la Convenzione di

Ginevra hanno contribuito ad estendere l'applicazione della tutela dell'articolo 33315, riconoscendola a

tutti gli stranieri che possano subire un rischio nel paese di destinazione alla vita o alla libertà

personale316.

A livello comunitario è stata recentemente riformata la procedura di riconoscimento dell'asilo con il

Regolamento Dublino II (Ce n. 343/2003) che prevede la delocalizzazione dell'inoltro della domanda

nel primo paese comunitario in cui il richiedente asilo sia transitato, al fine di evitare il cosiddetto

“asylum shopping”317. Questo principio è accompagnato dalla possibilità di rinviare verso un paese

terzo in cui il migrante sia transitato, sempre ai fini della valutazione dello status di rifugiato, se rientra

nella definizione di “Stato sicuro”. Tale fenomeno, c.d. “esternalizzazione”, pone notevoli dubbi in

merito al rispetto della Convenzione di Ginevra, soprattutto in rapporto all'ampia definizione di Stato

sicuro che permette di rinviare i rifugiati verso Paesi in cui non sono garantiti i loro diritti318.

314 Cfr. R. PISILLO MAZZESCHI, Sui rapporti fra diritti umani e diritti degli stranieri e dei migranti nell’ordinamento internazionale, op. cit. 315 Cfr. F. LENZERINI, Asilo e diritti umani : l'evoluzione del diritto d'asilo nel diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 2009, p. 216-261 316 Una modifica di rilievo in quanto ai soggetti a cui viene riconosciuta protezione emerge dall'articolo 22 comma 8 della Convenzione americana dei diritti umani del 1969 che tutela il divieto di refoulment a tutti gli stranieri nel cui Paese rischiano il diritto alla vita o alla libertà personale per motivi di razza, religione, condizione sociale o opinioni politiche. Tale assunto è stato accolto anche in relazione all'integrazione tra il divieto di refoulment e il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, sancito dalla CEDU, che vieta l'allontanamento di ogni straniero in cui nel paese di destinazione rischia tali maltrattamenti. 317 La nuova regolamentazione pone forti dubbi sulla tenuta del diritto d'asilo in Europa. Nella stessa Comunità europea non sembra che tale diritto sia garantito: dopo i ripetuti interventi dell'Alto commissariato per i rifugiati, delle organizzazioni non governative e della stessa Commissione europea, la Corte europea dei diritti dell'uomo è intervenuta sul sistema delineato da Dublino II affermando che gli Stati devono astenersi dall'applicazione del rinvio dei richiedenti asilo verso il primo paese di transito se ivi non vengono garantiti i diritti fondamentali. Cfr. Sentenza 21.01.2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia in cui è stato condannata la Grecia per non aver garantito il diritto d'asilo ed il Belgio, considerato responsabile di aver rinviato richiedenti asilo verso un paese in cui non avevano la possibilità di accedere alla protezione internazionale. Per una panoramica sulle criticità della tutela dei rifugiati cfr. A. SCIURBA, Campi di forza, Percorsi confinati di migranti in Europa, Ombre corte/culture, Verona, 2009, p.61ss.318 Cfr. P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'UE, Il diritto dell'Unione Europea, 1/2010, pag.24: “E' alla luce del quadro normativo sì puntuale che trovano sistemazione le condanne del recente fenomeno della c.d esternalizzazione; fenomeno che si concretizza nel respingimento da parte del Paese a cui un individuo presenta domanda di asilo verso un altro paese presso il quale si svolgerà la procedura di valutazione della suddetta domanda. Tale pratica viola il principio in esame qualora il richiedente sia respinto verso un altro Paese in cui sia esposto ai rischi suddetti.”

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Da ultimo possono essere richiamate in materia di limiti al potere di espulsione la Convenzione

europea sullo stabilimento del 1955 e la Carta sociale europea che impongono alcune garanzie di tipo

procedurale. A tutela del lavoratore migrante assumono rilevanza la Convenzione europea sullo stato

giuridico dei lavoratori migranti del 1977 e la Convenzione n.143 del 1975 sull'immigrazione in

condizioni illegali e la promozione dell'uguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratori

migranti. Infine per ciò che riguarda il minore sembra desumersi in via interpretativa una tutela contro

l'allontanamento ed il riconoscimento del “diritto a quelle misure protettive che richiede il suo stato

minorile, da parte della sua famiglia, della società e dello Stato.”319 in particolare se “temporaneamente

o definitivamente privato del suo ambiente familiare”320.

Alla tutela offerta dagli strumenti internazionali elencati si accompagnano alcuni principi riconosciuti

come appartenenti al diritto internazionale consuetudinario321. Come sarà successivamente ripreso in

merito alla tutela garantita dalla CEDU, fa parte dello ius cogens il diritto a che l'esecuzione di un

provvedimento avvenga con forme e modalità che non risultino oltraggiose della integrità fisica e della

dignità umana dello straniero322; a questo si accompagna l'obbligo degli Stati di non espellere o

respingere una persona verso un altro Stato in cui rischia di essere sottoposta a tortura o trattamenti

degradanti o minacce gravi per la sua vita, richiamato anche dalla CEDU323, o nel caso in cui tale

provvedimento comporterebbe una grave, ingiustificata e sproporzionata rottura dell'unità familiare.

Infine viene annoverato anche l'esistenza di un obbligo procedurale in capo agli stati in materia di

espulsione che, richiamato anche dall'articolo 13 della CEDU, si “coniuga con il più antico e

tradizionale divieto di diniego di giustizia verso gli stranieri a carico degli stati”324.

L'ampliamento della tutela dei diritti fondamentali e la ricchezza di trattati a livello internazionale non

sembra però tradursi nella reale tutela di questi diritti. Questa tendenza pare confermata dalla resistenza

degli Stati stessi ad abbandonare o modificare le regole trattamento degli stranieri e dall'ampio margine

319 Articolo 24 del Patto sui diritti civili e politici.320 Articolo 20 della Convenzione sui diritti del fanciullo 321 Sui limiti posti dal diritto consuetudinario confronta R. PISILLO MAZZESCHI, Strumenti comunitari di prevenzione e di contrasto all'immigrazione clandestina, Il diritto dell'Unione europea, n.4/04, p.759322 Cfr. B. CONFORTI, Diritto internazionale, 2002, p.234323 Cfr. R. PISILLO MAZZESCHI, Strumenti comunitari di prevenzione e di contrasto all'immigrazione clandestina, op. cit., p.759; F. LENZERINI, Asilo e diritti umani : l'evoluzione del diritto d'asilo nel diritto internazionale, op. cit., p. 216-261324 Cfr. R. PISILLO MAZZESCHI, Strumenti comunitari di prevenzione e di contrasto all'immigrazione clandestina, op. cit., p.760. L'autore aggiunge che si sta affermando gradualmente nel diritto internazionale contemporaneo in materia di protezione diplomatica e di diritti umani “l'idea che l'istituto della protezione diplomatica, a favore di uno straniero vittima della violazione di un obbligo internazionale da parte dello Stato territoriale, abbia doppia natura, nel senso che essa serva a far valere sul piano internazionale sia il diritto dello Stato nazionale sia quello dell'individuo medesimo”. Secondo tale interpretazione l'autore deduce che tale orientamento potrebbe, se adeguatamente sviluppato, portare alla creazione di un vero e proprio diritto umano procedurale dell'individuo alla protezione diplomatica e quindi anche un simile diritto dello straniero immigrante irregolare, in caso di espulsione illegittima.

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di regolamentazione ad essi rimesso che si traduce nella sostanziale limitazione dell'applicazione dei

diritti umani ad un nucleo ristretto dei diritti degli individui.

Il limite più rilevante si riscontra rispetto all'effettività di tali diritti per la mancanza a livello

internazionale di uno strumento sanzionatorio nei confronti degli Stati. La forma più evoluta325 è la

protezione accordata al singolo, cittadino o straniero, dalla Corte europea dei diritti dell'uomo

limitatamente ai casi in cui si ritenga violato uno dei diritti tutelati dalla Convenzione europea dei diritti

dell'uomo e delle libertà fondamentali326. Lo straniero in tal caso riceve tutela “par ricochet” ovvero

indiretta soltanto all'interno delle ipotesi coperte dalla tutela della CEDU.

E' di palmare evidenza pertanto la condizione di vulnerabilità327 a cui sono sottoposti i migranti senza

titolo di soggiorno, che risente anche, tra gli altri fattori, dell'assenza degli Stati d'origine nell'assicurare

il rispetto dei diritti fondamentali dei propri cittadini, delle difficoltà che i migranti incontrano per le

diversità di lingua, consuetudini e cultura, di ordine sociale ed economico, degli ostacoli per il ritorno

allo Stato di origine se senza documenti o in posizione irregolare328. Come mette in luce la dottrina,

tutte le situazioni non riconducibili a differenze di razza, origine sociale o nazionale, religione e

convinzioni politiche ma meramente alla differenza di status non sono coperte: “le norme

sull'immigrazione e sul trattamento dello straniero precludono l'accesso al godimento paritario dei

diritti, anche se fondamentali”. In tal modo la persona irregolare “rischia di essere relegata in un limbo

giuridico dal quale gli sarà quasi impossibile godere dei diritti fondamentali sanciti e riconosciuti a tutti

gli esseri umani a prescindere dal loro status”329.

Nell'analisi dei trattati non si riscontra la figura qualificata del migrante irregolare, rientrando tale

categoria all'interno della tutela garantita generalmente all'individuo330. “Da un lato si hanno le 325 Cfr. B. NASCIMBENE, intervento al Convegno: Human rights and Citizenship: the Challenge of migrations, Istituto per gli studi di politica internazionale, 13/11/2006, Milano, pag.6326 L'articolo 1 riconosce ad “ogni persona sottoposta alla giurisdizione delle alte parti contraenti i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione.”327 P. DI PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'UE, op. cit., pag. 20328 Cfr. Assemblea generale delle Nazioni Unite, Risoluzione A/RES/54/166 sulla “Protection of migrants”, 24/2/2000; Commissione diritti umani delle Nazioni Unite, Risoluzione 1999/44, 27/4/1999.329 C. FAVILLI, I diritti dell'immigrato non regolarmente soggiornante, op. cit., p.295330 R. BARATTA, Spunti di riflessione sulla condizione del migrante irregolare nella giurisprudenza internazionale , in P. BENVENUTI, Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, Il sirente, 2008, pag.10: “lo status di migrante, ancorchè irregolare, non priva il soggetto della condizione umana che lo pervade e, pertanto, dei diritti che le norme convenzionali attribuiscono agli individui, a prescindere dalla sussistenza o meno di elementi di reciprocità nel poro funzionamento o dalla loro condizione di straniero.”; Cfr. General Comment N.15: the position of the alien under the Covenant; 11/04/86 punto 1: “[...] Each State party must ensure the rights in the Covenant to “all individuals within its territory and subject to its jurisdiction” (art. 2, par.1). In general, the rights set forth in the Covenant apply to everyone, irrespective of reciprocity, and irrespective of his or her nationality or statelessness”; Cfr. Global Migration Group, Statement of the Global Migration Group on the Human Rights of Migrants in Irregular Situation, Geneva 30 September 2010: “The fundamental rights of all persons, regardless of their migration status, include: The right to life, liberty and security of the person and to be free from arbitrary arrest or detention, and the right to seek and enjoy asylum from persecution; The right to be free from discrimination based on race, sex, language, religion, national or social origin, or other status; The right to be protected from

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convenzioni internazionali sui diritti umani che sono pacificamente ritenute applicabili a tutti a

prescindere dalla cittadinanza; dall'altra abbiamo un normativa internazionale che, nel vietare

espressamente la discriminazione razziale331, esclude da suo ambito di applicazione la discriminazione

per motivi di cittadinanza e le norme sull'ingresso e il trattamento dello straniero”332.

Di questo “potenziale cortocircuito” volto a rendere inefficaci le norme antidiscriminatorie nei

confronti dei migranti si sono occupati gli organi internazionali posti a tutela dei diritti umani333.

L'allargamento della tutela trova riscontro nell'approvazione della “Dichiarazione sui diritti umani degli

individui che non sono cittadini del paese in cui vivono”, adottata dall'assemblea generale delle Nazioni

unite nel 1985, a cui si accompagnano altri lavori successivi della Commissione dei diritti dell'uomo

delle Nazioni unite334.

Rilevante è l'attività degli organismi preposti al monitoraggio del rispetto delle convenzioni sui diritti

umani che considerano gli aspetti connessi alla tutela dello straniero ogni qual volta la violazione di

uno dei diritti sanciti nelle rispettive convenzioni riguarda uno straniero335, in particolare il comitato per

l'eliminazione delle discriminazioni razziali336.

Nella giurisprudenza internazionale è meritevole la posizione espressa dalla Corte interamericana dei

abuse and exploitation, to be free from slavery, and from involuntary servitude, and to be free from torture and from cruel, inhuman or degrading treatment or punishment; The right to a fair trial and to legal redress; The right to protection of economic, social and cultural rights, including the right to health, an adequate standard of living, social security, adequate housing, education, and just and favorable conditions of work; and Other human rights as guaranteed by the international human rights instruments1 to which the State is party and by customary international law.”. Inoltre cfr. MR. DAVID WEISSBRODT, Prevention of discrimination - The rights of non-citizens, Final report of the Special Rapporteur, submitted in accordance with Sub-Commission decision 2000/103, Commission resolution 2000/104 and Economic and Social Council decision 2000/283, 26 May 2003, p.5: “[...] All persons should by virtue of their essential humanity enjoy all human rights unless exceptional distinctions, for example, between citizens and non-citizens, serve a legitimate State objective and are proportional to the achievement of that objective. Non-citizens should enjoy freedom from arbitrary killing, inhuman treatment slavery, forced labour, child labour, arbitrary arrest, unfair trial, invasions of privacy, refoulement and violations of humanitarian law. They also have the right to marry, protection as minors, peaceful association and assembly, equality, freedom of religion and belief, social, cultural, and economic rights in general, labour rights (for example, as to collective bargaining, workers’ compensation, social security, appropriate working conditions and environment, etc.) and consular protection.”331 Il riferimento è alla Convenzione sull'eliminazione delle discriminazioni razziali del 1965 che all'articolo 1 par.2-3 espressamente fa salve le distinzioni tra cittadini e stranieri con leggi che, ispirate da preminenti esigenze di controllo della popolazione e di contrasto dell'immigrazione clandestina determinano differenze di trattamento anche rispetto al godimento dei diritti umani. Tali distinzioni sono spesso difficilmente giuridicamente contestabili in quanto gran parte delle distinzioni operate nel trattamento tra cittadini e stranieri sono in ultima analisi giustificabili dall'esigenza di tutela della pubblica sicurezza e dell'ordine pubblico. 332 C. FAVILLI, I diritti dell'immigrato non regolarmente soggiornante, op. cit., p.296333 C. FAVILLI, I diritti dell'immigrato non regolarmente soggiornante, op. cit., p.297334 Cfr. MR. DAVID WEISSBRODT, Prevention of discrimination: The rights of non-citizens, Final report of the Special Rapporteur, submitted in accordance with Sub-Commission decision 2000/103, Commission resolution 2000/104 and Economic and Social Council decision 2000/283 GE.03-14395 (E) 010703335 Tra i più importanti il Comitato contro la tortura, il Comitato contro le discriminazioni delle donne, il Comitato sull'eliminazione della discriminazione razziale e il Comitato sui diritti umani. In relazione a quest'ultimo cfr. General Comment n.15 “The position of aliend under the Convention” del 11/04/1986.336 Cfr. General recommendation n.30 on the Discrimination against non citizens, 1/10/2004

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diritti umani nel parere337 adottato il 17/9/2003 sulla “Juridical condition and rights of the

Undocumented Migrant”338. La Corte sostiene che lo status di migrante non può costituire una

giustificazione della privazione dei diritti umani in quanto il divieto di discriminazione ha assunto

ormai a livello internazionale il ruolo di ius cogens339.

La Corte in tal modo “muove da una ricostruzione innovativa del principio di uguaglianza e di non

discriminazione340, ritenuto intrinseco alla natura umana in quanto riconosciuto da tutte le convenzioni

internazionali sulla protezione dei diritti umani”341. Specifica la Corte interamericana: “the regular

situation of a person in a State is not a prerequisite for the State to respect and ensure the principle of

equality and non discrimination, because, as mentioned above, this principle is of a fundamental nature

and all States must guarantee it to their citizens and to all aliens who are in their territory.”.

“Consequently, States may not discriminate or tolerate discriminatory situations that prejudice

migrants”. Da tale considerazione la Corte deduce che gli stati hanno perciò l'obbligo di garantire anche

la possibilità di una tutela rispetto alle disparità di trattamento fondate sulle condizioni di irregolarità

del lavoratore immigrato.

A parere della dottrina è rimarchevole l'originalità dell'impostazione seguita dalla Corte che poggia

essenzialmente sul divieto di discriminazione nei confronti del lavoratore irregolare dedotto dal diritto

internazionale e dalla condizione giuridica dei lavoratori nazionali in base al diritto interno. Non pare

che tale posizione rappresenti un indirizzo consolidato, mancando di pareri conformi sulla stessa

questione, ma tale documento “può costituire un impulso verso una futura evoluzione del diritto

internazionale maggiormente protettiva dei diritti del lavoratore migrante irregolare”342.

337 Parere reso ai sensi dell'articolo 64 paragrafo 1 della Convenzione interamericana dei diritti dell'uomo in risposta alle preoccupazioni del Messico in relazione alla condizione dei lavoratori messicani irregolarmente immigrati negli Stati uniti.338 Juridical Condition and Rights of the Undocumented Migrants Advisory Opinion O C-1 8/03 (Inter-Am C.t.H.R. Sept. 17, 2003). 339 Cfr. Par. 101 “Accordingly, this Court considers that the Nowadays, no legal act that is in conflict with this fundamental principle is acceptable, and discriminatory treatment of any person, owing to gender, race, color, language, religion or belief, political or other opinion, national, ethnic or social origin, nationality, age, economic situation, property, civil status, birth or any other status is unacceptable. At the existing stage of the development of international law, the fundamental principle of equality and non-discrimination has entered the realm of jus cogens.340 Cfr.: Par. 100 “The principle of equality before the law and non-discrimination permeates every act of the powers of the State, in all their manifestations, related to respecting and ensuring human rights. Indeed, this principle may be considered peremptory under general international law, in as much as it applies to all States, whether or not they are party to a specific international treaty, and gives rise to effects with regard to third parties, including individuals. This implies that the State, both internationally and in its domestic legal system, and by means of the acts of any of its powers or of third parties who act under its tolerance, acquiescence or negligence, cannot behave in a way that is contrary to the principle of equality and non-discrimination, to the detriment of a determined group of persons. 341 R. BARATTA, Spunti di riflessione sulla condizione giuridica del migrante irregolare nella giurisprudenza internazionale, op. cit., p.17342 R. BARATTA, Spunti di riflessione sulla condizione giuridica del migrante irregolare nella giurisprudenza internazionale, op. cit., p.19

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2. La CEDU e la giurisprudenza della corte europea dei diritti dell'uomo

Nel panorama degli strumenti internazionali di protezione dei diritti fondamentali dei migranti ruolo

centrale è ricoperto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che

costituisce il punto di riferimento anche per altre Corti che ad essa costantemente si richiamano, non da

ultima la Corte di giustizia della Comunità europea.

In materia di allontanamento la giurisprudenza della Corte svolge un ruolo particolarmente

significativo contribuendo “attraverso una costante e ricca attività interpretativa a colmare le lacune”

ed “offrendo un notevole contributo nella risoluzione delle numerose questioni emerse riguardo alla

tutela dei diritti dei migranti”343. “Alcune norme, poste a tutela di valori universali e non specificamente

destinate alla tutela dello straniero, sono state utilizzate dal giudice di Strasburgo per assicurargli, in via

indiretta, protezione e per impedirne l'allontanamento in presenza di determinate circostanze.”344

I limiti al potere di allontanamento possono essere raggruppati in tre filoni giurisprudenziali345: il

divieto di espulsioni collettive, la tutela contro l'espulsione quando questa possa interferire con la tutela

contro la tortura o trattamenti inumani e degradanti e con il rispetto della vita privata e familiare, ed il

diritto a garanzie procedurali minime.

2.1 Divieto di espulsioni collettive

A tutela specifica dello straniero il protocollo 4 della Convenzione europea all'articolo 4 vieta le

espulsioni collettive346. Tale diritto, ribadito anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

europea all'articolo 19, par.1, è stato riconosciuto nella sentenza Andric v. Svezia347 in cui la Corte EDU

ha tracciato la differenza tra espulsione individuale e collettiva stabilendo che “collective expulsion is

343 P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'Ue, op. cit., p. 27. Cfr. anche R. BARATTA, Spunti di riflessione sulla condizione del migrante irregolare nella giurisprudenza internazionale, op. cit., pag.10 che sostiene l'evidenziarsi nella giurisprudenza degli organi incaricati di sorvegliare il rispetto degli obblighi assunti in sede convenzionale di tendenze volte a considerare i limiti derivanti da accordi internazionali in materia di ingresso, espulsione e in generale trattamento del migrante irregolare quali espressione di elementi normativi di carattere generale. 344 L. ALENI , La politica dell'Unione europea in materia di rimpatrio e il rispetto dei diritti fondamentali, Il diritto dell'Unione europea, 3/2006, p. 593 Cfr. anche B. NASCIMBENE, Protocollo 4 – Art.3 e 4, in S. BARTOLE, B. CONFORTI, L. RAIMONDI, Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali , Padova, 2001, p.891-908.345 Cfr. R. BARATTA, Spunti di riflessione sulla condizione del migrante irregolare nella giurisprudenza internazionale , op. cit., pag.13346 Per i cittadini vige invece il divieto generale di espulsione disposto dall'articolo Articolo 3 del Protocollo 4 347 Vedran Andric v. Sweden, 45917/99, Council of Europe: European Court of Human Rights, 23 February 1999

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to be understood as any measure compelling aliens, as a group, to leave a country, except where such a

measure is taken on the basis of a reasonable and objective examination of the particular case of each

individual alien of the group. Moreover, the fact that a number of aliens receive similar decisions does

not lead to the conclusion that there is a collective expulsion when each person concerned has been

given the opportunity to put arguments against his expulsion to the competent authorities on an

individual basis”. La Corte, sulla base di tale assunto, ha riconosciuto nella successiva sentenza Conka

v. Belgio348 la violazione del suddetto articolo in quanto ha ritenuto che nella valutazione del caso non

fosse stata presa in considerazione la situazione personale di ciascun soggetto.

La questione inerente alle espulsioni collettive è purtroppo di cocente attualità. L'Italia è stata già

oggetto di condanne dalla Corte europea per aver violato questo principio e sono tuttora pendenti altri

ricorsi349. Ancor più critico e fragile diventa la tutela nei casi di applicazione degli accordi di

riammissione che, de facto, permettono il ritorno coattivo – o il blocco alla frontiera a seconda dei

rapporti bilaterali intercorsi tra gli stati contraenti – di gruppi di persone senza che possano essere

vagliate le singole situazioni soggettive, in particolare la condizione di richiedente asilo o protezione

internazionale.

2.2 Tutela contro l'espulsione in caso di rischio di tortura o violazione della vita familiare.

La tutela della vita e dell'integrità fisica del migrante vengono sanciti dall'articolo 2 e 3 della

Convenzione. Il primo350, in combinato disposto con l'articolo 1 del Protocollo 6351 relativo

all'abolizione della pena di morte, si applica specificamente ai casi in cui venga disposta l'espulsione

348 Conka v. Belgium, 51564/99, Council of Europe: European Court of Human Rights, 5 February 2002, available at: http://www.unhcr.org/refworld/docid/3e71fdfb4.html349 L'Italia è stata oggetto di ricorsi per violazione dell'articolo 4 del Protocollo 4 nei casi Sulejmanovic e a v. Italia (n.57574/00) e Sultanovic e Sulejmanovic v. Italia (n.57575/00) per l'espulsione di alcuni cittadini dell'ex-Jugoslavia di origine rom a seguito di un'irruzione della polizia nel campo nomadi di Casilino 700 a Roma. Cfr. A. LIGUORI, Le garanzie procedurali avverso l'espulsione degli immigrati in Europa, II ed., Editoriale scientifica, p.7. Per una valutazione sulla situazione attuale Cfr. V. PALEOLOGO, Respingimenti ed accordi di riammissione - Sotto accusa l’Italia: non è un paese sicuro per i richiedenti asilo, 27/1/2011, su www.meltingpot.org350 Art. 1: “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel ca-so in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.”. Il diritto alla vita è richiamato anche dall 'art. 4 della Convenzione americana dei diritti umani (ACHR) e dall'art.6 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR). Tale norma è rafforzata da altre contenute in altri trattati, specificamente indirizzate alla tutela della vita umana in mare: la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974; la Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979; la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare (art.98); il Protocollo contro l’introduzione clandestina di persone migranti per via terrestre, marittima ed aerea relativo alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale di Palermo del 2000 (art. 8 e 16)351 Il protocollo 6 del 1983 è entrato in vigore nel 1985 ed è stato ratificato da tutti i membri del Consiglio d'Europa ad eccezione della Russia.

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verso paesi che applicano la pena di morte352. La tutela contro la tortura e i trattamenti inumani o

degradanti è invece disposta all'articolo 3353, ha carattere assoluto e ha natura di regola consuetudinaria.

Il principio secondo cui uno Stato non può allontanare lo straniero verso un Paese in cui potrebbe

essere soggetto a torture o trattamenti inumani o degradanti354 è stato affermato dalla CEDU fin dal

caso Soering355 che ha dato vita ad una copiosa giurisprudenza356. Nelle sentenze successive la Corte ha

ulteriormente esteso l'applicazione dell'articolo 3 al caso di espulsione di richiedenti asilo verso paesi

nei quali il rischio di trattamenti inumani o degradanti fosse causato da soggetti diversi dall'autorità

statale357, configurando una tutela più ampia rispetto a quella garantita dalla Convenzione di Ginevra.

Recentemente nel caso D v. UK358 è stata ulteriormente ampliata la portata impedendo l'espulsione in

352 La corte ha riconosciuto per la prima volta la violazione dell'art.2 accanto a quella dell'articolo 3, nel caso Bader v. Svezia (Bader and Others v. Sweden, 13284/04, Council of Europe: European Court of Human Rights, 8 November 2005) per l'espulsione di uno straniero verso uno stato in cui rischiava la pena di morte a seguito di un processo realizzato in totale negazione dei suoi diritti. Con questa sentenza si supera la precedente giurisprudenza nel caso Ocalan v. Turchia ( Ocalan v. Turkey, 46221/99, Council of Europe: European Court of Human Rights, 12 March 2003) in cui la corte aveva qualificato la condanna alla pena di morte irrogata al termine di un processo iniquo come contraria all'articolo 3, e non anche all'articolo 2, perchè il sentimento di paura per l'esecuzione capitale veniva considerato come trattamento inumano o degradante. Cfr. A. LIGUORI, Le garanzie procedurali avverso l'espulsione degli immigrati in Europa, II ed., Editoriale scientifica, p.7353 Art. 3 Divieto di tortura “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamento inumani o degradanti.” 354 Tale principio è richiamato anche all’art. 3 (1) della Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti inumani e degradanti che dispone “Nessuno Stato Parte espelle, respinge né estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura .” e all’art. 7 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che prevede “Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico.” in particolare secondo l'interpretazione fornita dal Comitato per i Diritti Umani con il General Comment No. 20: Replaces general comment 7concerning prohibition of torture and cruel treatment or punishment (Art. 7), 03/10/1992, che afferma “States parties must not expose individuals to the danger of torture or cruel, inhuman or degrading treatment or punishment upon return to another country by way of their extradition, expulsion or refoulement. States parties should indicate in their reports what measures they have adopted to that end.”355 Soering v. The United Kingdom, 1/1989/161/217, Council of Europe: European Court of Human Rights, 7 July 1989. In tale caso la corte richiama una precedente decisione della Commissione (X. v. Repubblica federale tedesca del 1974) in cui viene interpretato estensivamente l'articolo 3 della Convenzione al fine di limitare il potere discrezionale di controllo dell'ingresso degli stranieri dal territorio dello stato al rispetto di quanto statuito nella Cedu. Cfr. G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L'esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, op. cit., p.236356 L'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea per violazioni dell'articolo 3 della Cedu in casi di respingimento e rimpatrio di stranieri, in particolare Cfr. sentenza Saadi v. Italy, Appl. No. 37201/06, Council of Europe: European Court of Human Rights, 28 February 2008, sentenza Trabelsi v. Italia, sentenza Abdelhedi v. Italia, sentenza Ben Salah v. Italia, sentenza Bouyahia v. Italia, sentenza C.B.Z. v. Italia, sentenza Darraji v. Italia, sentenza Hamraoui v. Italia, sentenza O. v. Italia, sentenza Soltana v. Italia (n. 37336/06). 357 Nella sentenza H.L.R. v. France,11/1996/630/813,Council of Europe: European Court of Human Rights, 22 April 1997, è stata riconosciuta la violazione dell'articolo 3 anche nel caso di rischio di trattamenti disumani proveniente da un gruppo non statale nel caso in cui nel paese le autorità non fossero in grado di apprestare sufficiente protezione: “By virtue of the positive obligations incumbent on the States and the absolute character of the right concerned, Article 3 (art. 3) of private individuals where a Contracting State had, through its acts or passivity, failed to comply with its duties under the Convention”. Tra i casi più recenti confronta N. v. Finland, 38885/02, Council of Europe: European Court of Human Rights, 26 July 2005; Bensaid v. The United Kingdom, Appl. No. 44599/98, Council of Europe: European Court of Human Rights, 6 May 2001 358 European Court of Human Rights, D. v. UK, 2 May 1997, Reports, 1997-III, par.49 ss. La corte ha ritenuto riscontrata la violazione dell'articolo 3 della Cedu per la criticità delle condizioni del soggetto ricorrente che paventavano la configurazione nel paese di destinazione di un rischio reale per la vita a causa dell'assenza di cure mediche adeguate. In questo caso l'articolo 3 viene interpretato in modo ancor più estensivo: nonostante il rischio di trattamenti inumani e

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casi in cui avrebbe potuto esporre lo straniero ad un rischio “reale e dimostrato” per la vita e per la sua

salute a causa della mancanza di adeguate cure mediche nel paese di provenienza. La portata della

giurisprudenza della Corte irrora i suoi effetti ben oltre gli stati firmatari della Convenzione su cui è

competente a giudicare. Nella valutazione dei casi sottoposti alla sua giurisdizione “pone in essere, di

fatto, un giudizio sulla violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti nei confronti di paesi

che possono essere del tutto estranei alla Convenzione”. In questo modo “la valutazione dei presupposti

di applicazione del diritti di protezione supera i limiti delle territorialità statuali in un doppio senso: sia

perchè non osta alla condanna la circostanza che lo Stato firmatario della convenzione non si ponga

come esecutore materiale della violazione del divieto; sia perchè la sovranità territoriale dello Stato

verso il quale lo straniero può essere espulso non osta ad una valutazione sugli eventuali trattamenti

inumani e degradanti ai quali andrebbe incontro, neppure se posti in essere da agenti non riconducibili

a un'autorità statale. Quest'ultima circostanza configura, a tutti gli effetti, una valutazione sulla

sicurezza interna di territori che non riconoscono nella CEDU una limitazione alla propria sovranità”359.

La tutela dal rischio di tortura o trattamento inumano deve essere garantita non soltanto durante tutto

l'iter migratorio e nel procedimento di detenzione volto all'esecuzione dell'allontanamento360 ma le

stesse modalità dell'espulsione devono rispettare l'integrità fisica e non devono porsi in contrasto con la

dignità umana dello straniero361.

Decisivo nell'interpretazione dell'articolo 3 il richiamo al rispetto della dignità dello straniero che mette

in luce la capacità della giurisprudenza della Corte europea di predisporre una tutela sempre più

mutevole362. “Nella vastissima giurisprudenza della Corte relativa all'articolo 3 ricorre ormai quasi

degradanti non possano ritenersi addebitabili ad un'autorità pubblica a carattere statale o non statale (cfr. H.L.R. v. Francia del 29/4/1997), l'importanza fondamentale dell'articolo 3 nel sistema della convenzione europea indirizza la corte ad un atteggiamento maggiormente flessibile nel suo campo di applicazione.359 E. RIGO, Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell'Unione allargata, Meltemi editore, Roma, 2007 p.203360 Dougoz v. Greece, 40907/98, Council of Europe: European Court of Human Rights, 6 March 2001. La Corte per la prima volta ha ritenuto che la modalità di trattamento violasse l'articolo 3 Cedu per la violazione delle condizioni minime di trattenimento. Cfr. P. BALBO, Rifugiati e asilo. Il diritto reale soffocato: un excursus tra direttive europee e leggi nazionali , Halley editrice, Matelica, 2007 , p.144361 Cfr. R. P. MAZZESCHI, Sui rapporti fra diritti umani e diritti degli stranieri e dei migranti nell’ordinamento internazionale, Convegno: Diritti fondamentali degli immigrati: unità della famiglia e tutela dei minori, Siena, 27-28 novembre 2009, Centro Interuniversitario di Ricerca sui Diritti Umani e sul Diritto dell’Immigrazione e degli Stranieri (CIRDUIS)362 Il richiamo al concetto di dignità umana rimette la valutazione ad un criterio necessariamente variabile. Cfr. M. C. LIPARI, La dignità dello straniero, Politica del diritto, n.2 giugno 2006, p. 288: “Al nome dignità non può mai corrispondere una forma positiva. Una particolare assenza di concetto la segna, finchè non si ritrae e assottiglia riducendosi a difesa estrema contro l'annientamento, cioè ad una doppia negazione (negazione di negazione). Solo allora rivela il suo particolare modo: il fatto di consistere in una differenza qualitativa, che come tale nasce sempre su una linea, che fa da confine inesteso, che fa da soglia. […] Perciò è in cerca di una misura e di un'estensione, perchè necessita una norma quantitativa che non può sinteticamente dedurre dal proprio concetto, e la cui individuazione sarà sempre figlia – com'è nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo – di parametri relativi, variabili ed esterni. Proprio su tale secondarietà dell'idea di dignità rispetto ai criteri quantitativi che, precedendola, di volta in volta la contestualizzano e ne

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come un'espressione formulare il carattere essenzialmente relativo e variabile della gravità e inumanità

dei trattamenti subiti. Si stabilisce che la soglia di “crudeltà richiesta per l'applicazione dell'articolo 3

venga superata quando si dia il c.d. Minimo di gravità”363. In questo senso la corte ha modulato il

principio della dignità364 in modo da renderlo “sensibile alle conseguenze della sua applicazione” con

due argomentazioni tra loro collegate. Da un lato ha rimosso dai criteri usati per qualificazione della

violazione di tale parametro “la soglia di povertà”, intesa come riduzione sotto lo standard minimo di

sopravvivenza, determinando a parere della dottrina una “dicotomia tra un'idea di dignità applicabile ai

cittadini europei ed un'idea, ancor più evanescente, applicabile ai cittadini extraeuropei”. Dall'altro lato

è intervenuta differenziando la situazione in cui la violazione venga fatta valere da un singolo rispetto a

quella in cui coinvolga la generalità dei membri di una data collettività; in quest'ultimo caso la dignità

come condizione qualificante viene estromessa per far largo al “calcolo puramente quantitativo” al fine

di garantire un “equilibrio tra l'urgenza di fuga dei migranti e le esigenze economiche, sociali e

politiche delle comunità di accoglienza365.

Accanto alla tutela apprestata dall'articolo 3 il rispetto della vita privata e familiare sancito all'articolo

8366 pone un ulteriore limite allo stato nel potere di espulsione.

La Corte è intervenuta in materia di espellibilità di stranieri conviventi con propri familiari367 nel Paese

di residenza interpretando estensivamente la seconda parte dell'articolo relativo ai limiti all'ingerenza

dello stato. “L'esistenza di legami familiari, ai sensi dell'articolo 8, non è di per se sufficiente a

garantire protezione contro un'espulsione; occorre anche dimostrare che l'individuo ha un certo legame

con lo stato di soggiorno e che l'espulsione non è necessaria in una società democratica, cioè non

ritagliano il campo di applicazione, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha giocato; accettando il rischio di rendere ancora più relativa e instabile la nozione.”363 M. C. LIPARI, La dignità dello straniero, op. cit., p. 288364 M. C. LIPARI, La dignità dello straniero, op. cit, p. 288365 Cfr. Vilvarajah and Others v. The United Kingdom, 45/1990/236/302-306 , Council of Europe: European Court of Human Rights, 26 September 1991 nel quale la corte pone in rilevanza il necessario bilanciamento tra la protezione dei diritti fondamentali dell'individuo con l'interesse generale della comunità accogliendo la posizione del governo inglese che difendeva la propria posizione in relazione all'espulsione sostenendo che “The consequences of finding a breach of Article 3 (art. 3) in the present case would be that all other persons in similar situations, facing random risks on account of civil turmoil in the State in which they lived, would be entitled not to be removed, thereby permitting the entry of a potentially very large class of people with the attendant serious social and economic consequences.” 366 Articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tal diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.” 367 La giurisprudenza ha specificato che i nucleo familiare comprende le relazioni tra un individuo e i suoi genitori e fratelli nelle sentenze (Cfr. sentenza Berrehab v. Paesi Bassi), e tra coniugi (Cfr. sentenza Amrollahi v. Danimarca) Cfr. P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'UE, Il diritto dell'Unione Europea, 1/2010, pag.29

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risponde ad un'esigenza sociale urgente e non è proporzionata rispetto ad un interesse pubblico

legittimo”368. Tale giurisprudenza rivela “un notevole sforzo della Corte verso l'elaborazione di regole

comuni su base comparativa traendo spunto dalle convergenze registrabili dalle discipline nazionali.

[…] Anche in ipotesi riguardanti gli immigrati, può concordarsi che la Corte EDU usi difensivamente

l'articolarsi di un comune standard europeo in materia familiare, non tanto per attribuire autonoma

rilevanza al diritto alla vita famigliare, quanto piuttosto per individuare i fattori in grado di limitare la

libertà d'azione statale”369.

Rispetto all'articolo 3, definito come diritto assoluto, le limitazioni disposte dall'articolo 8 devono

rispondere al criterio della legalità, della finalità e della necessità370. Nella valutazione della legittimità

dell'espulsione la corte ribadisce la necessità di un bilanciamento tra la tutela dell'individuo, richiamata

al primo comma, ed il limite dell'interesse pubblico al comma secondo371. Tanto più l'intervento è

invasivo nella sfera personale dell'individuo, tanto più questo deve essere giustificato dal fine

perseguito372. “La corte si guarda dal sindacare le politiche immigratorie dei vari paesi, ma non le

modalità con cui vengono messe in atto, innanzitutto imponendo che le varie misure di espulsione siano

giustificate da un imperioso bisogno sociale”373. Se fino agli anni ottanta la corte rimarcava le

conseguenze della misura dell'espulsione in termini di sradicamento e di violazione della sua vita

privata e familiare, dagli anni novanta si evidenzia nella giurisprudenza un atteggiamento più

restrittivo nella valutazione del giusto equilibrio tra il diritto del ricorrente alla sua vita familiare e la

tutela dell'ordine pubblico. Non può nascondersi tuttavia che, nonostante nella materia degli

allontanamenti sia ancora molto sensibile alla pressione degli Stati, non mancano le sentenze in cui ha

posto rilevanti “limiti alle derive statali in atto in questi settori”374. In tal senso è di particolare interesse

la sentenza Al-Nashif v. Bulgaria375 in cui è stato ritenuto violato l'articolo 8 per l'espulsione di un

apolide di origine palestinese a causa della mancanza di idonee garanzie procedurali; a giudizio della

Corte la misura in concreto per essere legittima doveva fondarsi su una normativa che assicurasse il

368 R. PISILLO MAZZESCHI, Strumenti comunitari di prevenzione e di contrasto all'immigrazione clandestina, op. cit., p.758369 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.241370 Cfr. A. LIGUORI, Le garanzie procedurali avverso l'espulsione degli immigrati in Europa, op. cit., p.9371 Cfr. G. MOROZZO DELLA ROCCA, Il diritto all'unità famigliare tra “allargamento dei confini” e “restringimento” dei diritti, Diritti immigrazione e cittadinanza, 2004, p.63 372 Sentenza Moustaquim v. Belgium, 26/1989/186/246 , Council of Europe: European Court of Human Rights, 25 February 1991, in cui la Commissione ha accolto il ricorso del soggetto sottoposto a procedura di espulsione ritenendo che “the measure was disproportionate as the authorities had not achieved a just balance between the applicant's interest in maintaining a family life and the public interest in the prevention of disorder.” Cfr. R. BARATTA, Spunti di riflessione sulla condizione del migrante irregolare nella giurisprudenza internazionale, in P. BENVENUTI, Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, Il sirente, 2008, pag.16 373 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.245374 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.247375 Sentenza Al-Nashif v. Bulgaria, 50963/99, Council of Europe: European Court of Human Rights, 20 June 2002

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rispetto delle garanzie contro l'arbitrarietà dei poteri pubblici. L'importanza di tale sentenza si scova

nell'aver incardinato sull'articolo 8 una forma di tutela di natura procedurale, evitando perciò di

“inciampare” nel vuoto di tutela derivante dalla non applicazione dell'articolo 6 CEDU ai procedimenti

riguardanti l'allontanamento del migrante.

Come sostiene la dottrina “queste decisioni vanno interpretate anche per il contributo che offrono nel

dibattito in materia di immigrazione, ed al contempo per il significato che rivestono entro le dinamiche

dei rapporti tra Corti e dunque di tutela multilivello dei diritti, rappresentando l'interpretazione dei

diritti fondamentali un terreno privilegiato di articolazione di un dialogo e di un confronto tra le ragioni

ispiratrici delle varie discipline costituzionali, portando alla luce le problematicità e le conflittualità

caratterizzanti il loro radicamento giuridico e sociale. […] Il focalizzarsi dell'attenzione sulle questioni

connesse alla vita familiare degli immigrati e il legarsi del dibattito sull'immigrazione a quello dei

diritti fondamentali, ha contribuito ad una rimessa in discussione di una visione strettamente utilitarista

dei processi migratori e a valutare con maggiore attenzione le trasformazioni della presenza immigrata

e dunque ad una pretesa di coscienza nelle società in cui questi fissano la propria residenza della natura

strutturale di tale presenza e delle trasformazioni che questa comporta”376. Al contrario la Corte si è

sempre dichiarata incompetente in materia di ricongiungimenti377, anche se tale indirizzo pare destinato

a mutare. Secondo Bascherini in tal senso concorre “la debolezza del confine tracciato dalla Corte EDU

tra l'ingiustificato allontanamento di uno straniero dal territorio dello Stato di residenza e dal suo

nucleo familiare, da una parte, e l'ingiustificato impedimento alla ricostituzione del nucleo familiare

dall'altra (misure non di rado dagli effetti sostanzialmente equivalenti)”378.

Non è da escludersi da una giurisprudenza alquanto “oscillante” e che “tradisce una qualche incertezza

nell'individuare i punti di equilibrio tra gli interessi in gioco” un decisivo cambiamento in futuro.

2.3. Il diritto a garanzie procedurali minime

Dal punto di vista procedurale è già stato messo in luce nella sentenza Al- Nashif v. Bulgaria il ruolo

emergente delle cosiddette “garanzie procedurali implicite nei diritti sostanziali” in relazione alla non

applicabilità dell'articolo 6 sull'equo processo in tema di ingresso, soggiorno ed espulsione379. 376 Continua G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.247377 Cfr. sentenza Gul c. Confederazione elvetica 19/2/1996 e Ahmut v. Paesi Bassi del 28/11/1996378 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.253.379 E' stata ammessa in linea di principio, ma finora non ancora riconosciuta in un caso concreto, la violazione “par ricochet” dell'articolo 6 qualora vi sia il rischio di un “deni de justice flagrant” (sentenza Soering v. Regno Unito) Cfr. A. LIGUORI, Obblighi procedurali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa ,

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Giurisprudenza costante della Commissione e della Corte europea380 hanno sempre negato

l'applicabilità dell'articolo in questione in quanto tali processi non riguardano ne materie di natura

civile ne penale381.

A tutela del migrante sottoposto a misura di espulsione possono richiamarsi pertanto dal punto di vista

procedurale soltanto l'articolo 5 cedu e l'articolo 13 in caso di violazione di una disposizione della

Cedu, in particolare per violazioni dell'articolo 3 ed 8.

Nei casi in cui il migrante sia sottoposto a detenzione interviene la tutela offerta dall'articolo 5 in tema

di libertà personale. Al comma primo lett. f si dispone che “Ogni persona ha diritto alla libertà e alla

sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla

legge: … f. Se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare

illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento

d’espulsione o d’estradizione”, e precisa al comma secondo il diritto della persona arrestata a

“conoscere, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa

formulata a suo carico”. Tale norma tutela il migrante da casi di detenzione arbitraria, soprattutto nei

casi di trattenimento in strutture ai fini identificativi per la successiva espulsione.

Ai fini della legittimità del trattenimento a fini espulsivi la corte, a differenza di quanto stabilito nel

caso di detenzione o arresto, non richiede la dimostrazione della necessità della detenzione rispetto ad

un effettivo pericolo di fuga ovvero al pericolo di commissione di reati da parte dello straniero382.

Dall'inciso “legittimità della detenzione” ha tuttavia dedotto la necessità che la privazione della libertà

sia basata su una disposizione della legislazione interna che tuteli lo straniero dal pericolo di privazioni

arbitrarie della sua libertà personale. A tal riguardo ha specificato la portata della tutela nella

consistente giurisprudenza in materia383.

Nel caso Amuur v. Francia384 la Corte ha ritenuto violato l'articolo 5 in relazione all'eccessiva durata

del trattenimento di un gruppo di richiedenti asilo presso un aeroporto francese che avrebbe privato i

ricorrenti della possibilità di presentare domanda di protezione internazionale. Nella sentenza viene

specificato che la limitazione per essere legittima non soltanto “requires to have a legal basis in

Diritto immigrazione e cittadinanza, n.3/09, p.36380 Cfr. Sentenza Maaouia v. France, Appl. no. 39652/98, Council of Europe: European Court of Human Rights, 5 October 2000 381 Cfr. A. LIGUORI, Obblighi procedurali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.37 e A. LIGUORI, Le garanzie procedurali avverso l'espulsione degli immigrati in Europa, op. cit., p.13382 L'articolo 5 comma 1 lettera c) necessita ai fini della legittimità dell'arresto e della detenzione : “the lawful arrest or detention of a person effected for the purpose of bringing him before the competent legal authority of reasonable suspicion of having committed and offence or when it is reasonably considered necessary to prevent his committing an offence or fleeing after having done so”. 383 Cfr. P. VIGANÒ E L. MASERA, op. cit.,.p.567384 Amuur v. France, 17/1995/523/609, Council of Europe: European Court of Human Rights,25 June 1996

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domestic law” bensì “in order to ascertain whether a deprivation of liberty has complied with the

principle of compatibility with domestic law, it therefore falls to the Court to assess not only the

legislation in force in the field under consideration, but also the quality of the other legal rules

applicable to the persons concerned”385.

Nel più recente caso Saadi la corte ha precisato il significato della nozione di ”non arbitrarietà”, che

deve essere intesa innanzitutto come conformità del provvedimento di detenzione alle leggi dello stato

e proporzionalità ai fini per cui viene disposta sia nella durata sia nelle modalità, ribadendo che

“expulsion being a measure to be adopted only in extreme cases”386. Infine la corte ha ribadito che

viene in ogni caso giustificata la detenzione “only for as long as deportation proceedings are in

progress. If such proceedings are not prosecuted with due diligence, the detention will cease to be

permissible under Article 5 para. 1 (f)”387. Questo profilo è di particolare interesse nella valutazione

della direttiva rimpatri che ammette all'articolo 15 il “trattenimento dello straniero nelle more del

procedimento di espulsione, in presenza però di una serie di condizioni che in larga parte riproducono

quelle desumibili dalla giurisprudenza di Strasburgo, ma che sotto taluni aspetti offrono allo straniero

una tutela addirittura più avanzata rispetto a quella desumibile da quella giurisprudenza”388.

Infine la corte si è altresì espressa sulla “necessità di una conveniente connessione tra il luogo e le

modalità della detenzione e gli scopi della medesima” affermando la tendenziale illegittimità

dell'esecuzione in un istituto penitenziario di una detenzione finalizzata all'espulsione389.

La corte è intervenuta anche nei confronti dell'Italia nel caso Zeciri v. Italia 390 riconoscendo la

violazione l'articolo 5 per illegittimo trattenimento in un Cpta; come già affermato nella sentenza

Amuur, la tutela si considera estesa anche alle situazioni di confinamento in luoghi diversi dalle

strutture carcerarie391.

Fondamentale nella tutela dei diritti del migrante se non sottoposto a forme di limitazione della libertà

385 Cfr. Paragrafo 50386 Cfr. Paragrafo 166387 Chahal v. The United Kingdom, 70/1995/576/662, Council of Europe: European Court of Human Rights, 15 November 1996 cfr. Paragrafo 113388 Cfr. P. VIGANÒ E L. MASERA, op. cit. p.568389 Cfr. recente sentenza Hokic et Hrustic c. Italie, Requête no 3449/05, Council of Europe: European Court of Human Rights, 1 December 200, Paragrafo 22390 Zečiri v. Italia, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ricorso n° 55764/00, 04 agosto 2005391 Secondo G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.240, tale decisione indirettamente contesta la tesi dominante che i centri di permanenza temporanea, ora centri di identificazione ed espulsione, non siano carceri, riconoscendo il diritto al risarcimento anche in una ipotesi di ingiustificato trattenimento.

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personale è l'articolo 13392 sul diritto ad un ricorso effettivo393. Tale diritto non viene però

autonomamente tutelato: ai fini della ricorribilità alla Corte europea è infatti necessario allegare la

violazione di un diritto previsto dalla convenzione, nel caso in cui la doglianza sia difendibile alla luce

delle circostanze di fatto e di diritto.

La forma del ricorso non viene definita dalla Convenzione o dalla giurisprudenza e rimane soggetta

all'apprezzamento statale. La richiesta può infatti essere inoltrata anche ad un'autorità non giudiziaria,

purchè indipendente, se competente a pronunciarsi sull'illegittimità, l'irrazionalità o l'inesistenza di vizi

di procedura. Ai fini dell'effettività del ricorso è necessario che venga garantito al ricorrente la

sospensione della misura espulsiva in via cautelare394. Tale esigenza, espressa nella sentenza Conka v.

Belgio395, viene però anch'essa subordinata alla discrezionalità dello stato senza una definizione precisa

del potere rimesso alle autorità nazionali396. Tale profilo è centrale nelle questioni in materia di

espulsione a fronte di esempi nella pratica in cui in divieto di “non refoulment” è vanificato

dall'assenza di un ricorso effettivo per sospendere l'espulsione.

L'articolo 13 pertanto dispone garanzie importanti che costituiscono una tutela minima dello straniero,

visto che l'articolo 6 non trova spazio in tali ricorsi. Critica la posizione di Liguori 397 in riferimento alla

sentenza Maaouia v. Francia: “Non si comprende la chiusura nei confronti dei procedimenti in materia

di ingresso, soggiorno e espulsione, almeno nelle fattispecie nelle quali vi siano ripercussioni su “diritti

392 Art. 13 Diritto ad un ricorso effettivo: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”393 Il diritto ad un ricorso interno effettivo in caso di provvedimento di espulsione costituisce una norma di diritto internazionale consuetudinario a richiamo dell'antico divieto di diniego di giustizia verso gli stranieri a carico degli stati . Cfr. R. P. MAZZESCHI, Sui rapporti fra diritti umani e diritti degli stranieri e dei migranti nell’ordinamento internazionale, op. cit.; R. PISILLO MAZZESCHI, International Obligations to Provide for Reparation Claims?, in A. RANDELZHOFER, C. TOMUSCHAt (eds.), State Responsibility and the Individual: Reparation in Instances of Grave Violations of Human Rights, The Hague/London/Boston, 1999, pp.155-156.394 L'articolo39 del regolamento interno di procedura della CEDU prevede la possibilità della Corte di chiedere agli stati membri di adottare misure cautelari quali la sospensione dell'espulsione395 Par.75: “The effectiveness. of a .remedy. within the meaning of Article 13 does not depend on the certainty of a favourable outcome for the applicant. Nor does the .authority. referred to in that provision necessarily have to be a judicial authority; but if it is not, its powers and the guarantees which it affords are relevant in determining whether the remedy before it is effective. Also, even if a single remedy does not by itself entirely satisfy the requirements of Article 13, the aggregate of remedies provided for under domestic law may do so (see, many among other authorities, Kudła v. Poland [GC], no. 30210/96, § 157, ECHR 2000)”. Par.79: “The Court considers that the notion of an effective remedy under Article 13 requires that the remedy may prevent the execution of measures that are contrary to the Convention and whose effects are potentially irreversible (see, mutatis mutandis, Jabari v. Turkey judgment of 11 July 2000, no. 40035/98, § 50 (unpublished)). Consequently, it is inconsistent with Article 13 for such measures to be executed before the national authorities have examined whether they are compatible with the Convention, although Contracting States are afforded some discretion as to the manner in which they conform to their obligations under this provision (see the Chahal v. the United Kingdom judgment cited above, p. 1870,§ 145)”.396 Cfr. A. LIGUORI, Obblighi procedurali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.39397 A. LIGUORI, Obblighi procedurali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.44

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di natura civile” del ricorrente, come nel caso di specie in cui veniva lamentata la violazione

dell'articolo 8 CEDU.”

Corollario della tutela apprestata dall'articolo 13, l'articolo 1 del protocollo 7398 tratta specificamente

delle garanzie procedurali avverso l'espulsione.

Nonostante la riserva esplicita agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello stato, la

prassi sembra estendere la portata a tutti i procedimenti diretti all'espulsione dello straniero399

deducendo dal rispetto del principio di legalità ivi affermato la possibilità di controllo sulla conformità

alla legge di ogni disposizione adottata a proposito400.

398 Articolo 1 - Garanzie procedurali in caso di espulsioni di stranieri: 1. Uno straniero regolarmente residente nel territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter: a. far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione, b. far esaminare il suo caso e c. farsi rappresentare a tali fini davanti all'autorità competente o ad una o più persone designate da tale autorità.399 P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'UE, op. cit., p.29400 Cfr. R. BARATTA, Spunti di riflessione sulla condizione del migrante irregolare nella giurisprudenza internazionale , op. cit, pag.14

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3. La tutela dei diritti del migrante a livello europeo

3.1 Cenni sulla evoluzione della regolamentazione europea in materia immigrazione e sul ruolo della

Corte di Giustizia della Comunità europea.

La materia immigrazione è oggetto di interesse anche a livello europeo. Gli stati membri hanno

allargato progressivamente le competenze rimesse alla Comunità: inizialmente vennero realizzate

forme di cooperazione intergovernativa volte alla creazione di uno spazio comune di circolazione tra

gli Stati membri, in primis con la conclusione nel 1985 degli accordi di Shengen401. Nel 1992 il Trattato

di Maastricht modifica in modo rilevante il quadro giuridico delineato dai primi trattati istitutivi del '51

e '57 con l'introduzione di un sistema a tre pilastri che affianca la politica estera di sicurezza comune

(PESC) alla competenza originaria della Comunità402. La competenza in materia di visti, asilo e

immigrazione viene inserita al titolo VI del Trattato CE nell'ambito della cooperazione Giustizia e

affari interni, cosiddetto “terzo pilastro”, volto alla realizzazione della libera circolazione all'interno

dell'Unione.

Con il trattato di Amsterdam (1 maggio 1999) la materia immigrazione è entrata nelle competenze

comunitarie con l´introduzione nel primo pilastro del titolo IV del Trattato Ce denominato

“Immigrazione, asilo, visti e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”403. Il

nuovo obiettivo della convergenza europea era l´attuazione di uno spazio unitario di libertà sicurezza e

giustizia, la cui realizzazione comportava un “perfezionamento e progresso di quanto realizzato

nell'ambito della libera circolazione delle persone”404. In seguito all'adozione di questo trattato infatti si

401 Con la relativa Convenzione di applicazione del 1990 viene creato il “Sistema informatico Shengen” (SIS), un archivio contenente le informazioni sulla gestione del controllo delle frontiere, poi modificato nel sistema SIS II con la registrazione dei dati biomedici delle persone espulse dalla zona europea di libero scambio. 402 Sull'evoluzione europea in materia immigrazione Cfr. C. FAVILLI, Il Trattato di Lisbona e la politica dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione, Diritto immigrazione e cittadinanza, 2/2010, p. 14; E. CANETTA, La disciplina comunitaria in materia di rimpatrio dei cittadini dei paesi terzi in posizione irregolare nel territorio degli stati membri, Diritto immigrazione cittadinanza, n.3/07, p. 35; G. LICASTRO, L´immigrazione nell'Unione Europea, un cammino difficile, www.diritto.it403 Le materie oggetto del processo di comunitarizzazione sono il controllo delle frontiere, il rilascio dei visti e la circolazione dei cittadini dei paesi terzi all'interno del territorio comunitario (art. 62 Trattato Ce); le misure in materia di asilo (art. 63 par. 1-2); le misure relative ai migranti irregolari in particolare le condizioni di ingresso e soggiorno compreso il rimpatrio (art. 63 par. 3) e le misure relative al soggiorno dei cittadini di paesi terzi in stati membri diversi da quelli in cui risiedono legalmente (art.63 par. 4).404 B. NASCIMBENE, Relazioni esterne e accordi di riammissione, in L. DANIELE, Le relazioni esterne dell'Unione europea nel nuovo millennio, Milano, Giuffre´, 2001, p. 299

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e´ proceduto all'incorporazione degli accordi di Shengen e del cosiddetto “aquis Schengen405”

nell'ambito dell'Unione europea. Il progressivo superamento dei confini statali a favore della creazione

di una frontiera europea comune ha determinato un crescente bisogno di controllare e gestire in modo

comune le frontiere esterne della nuova Europa-Stato406.

Negli anni successivi la politica europea è stata sviluppata attraverso la conclusione di programmi

pluriennali che segnano le linee di intervento per la realizzazione dello “spazio di libertà e giustizia”

introdotto con Amsterdam. Dopo i piani quinquennali stabiliti a Tampere (1999-2004) e all'Aja (2004-

2013), recente è la nuova predisposizione del Programma di Stoccolma.

La tendenza mostra una progressiva chiusura dei confini europei, come eloquentemente espresso fin

dall'incipit del documento di Stoccolma: “Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini”.

Il punto di forza si concentra sulla cooperazione con i Paesi terzi, vero tallone d'Achille nella

protezione dei diritti umani dei migranti, e sul ruolo delle agenzie europee quali Frontex, nella

dicotomia “Europa dei diritti” versus “Europa della sicurezza”.

In questo quadro rileva l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona407, dopo anni di fervide negoziazioni.

Scompare la struttura a tre pilastri disposta dal Trattato di Maastricht e viene accorpata alle materie

comunitarie la cooperazione in materia di Giustizia e Affari interni, inserita al Titolo V (Spazio di

libertà, sicurezza e giustizia) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea408.

Nell'ambito in esame si possono evidenziare alcune modifiche di rilievo già nel capo I. All'articolo 67

TFU (ex articolo 61 del TCE ed ex articolo 29 del TUE) comma II viene sostituita l'originale

competenza dell'Unione ad adottare norme minime con la creazione di una “politica comune in materia

di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne” che, consentendo di adottare in materia

qualsiasi degli atti legislativi dell'unione, vincola gli stati in tutti gli elementi della regolamentazione e

405 L´acquis Shengen e´ il complesso di atti rappresentato dall'accordo base del 1985, dalla convenzione di applicazione del 1990, dai protocolli, accordi e convenzioni di adesione stipulati successivamente. Allo stato attuale sono parte degli accordi 28 stati europei (Irlanda e Regno unito non sono parte in base alla clausola di “Opt out”)406 Nel trattato di Amsterdam l'immigrazione irregolare e´ oggetto delle “misure di accompagnamento direttamente collegate alla libera circolazione”(art. 61) - riguardanti le materie incorporate nel processo di comunitarizzazione, le quali sono “strettamente connesse a quelle relative al controllo delle frontiere esterne” cfr. B. NASCIMBENE, Relazioni esterne e accordi di riammissione, op. cit., pag. 300407 Il trattato di Lisbona ha introdotto numerose modifiche sia rispetto alla composizione delle istituzioni sia in riferimento alle competenze dell'Unione europea. Le basi dell'Unione europea sono oggi costituite dal Trattato sulla Comunità europea, rinominato “Trattato sul funzionamento dell'unione europea”, e il Trattato sull'Unione europea, radicalmente modificato. Il primo ricalca il trattato sulla comunità europea con modifiche o ampliamenti, mentre il secondo contiene le disposizioni comuni, i principi democratici, le regole relative alle istituzioni, le disposizioni sulle cooperazioni rafforzate, le disposizioni sulla politica estera e di sicurezza e difesa comuni e le disposizioni finali. Cfr. C. FAVILLI, Il Trattato di Lisbona e la politica dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione, op. cit., pag. 16408 Il Titolo V è formato dai seguenti capi: capo I, Disposizioni generali (artt. 67-76); capo II, Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione (artt. 77-80); capo III, Cooperazione giudiziaria in materia civile (art. 81); capo IV, Cooperazione giudiziaria in materia penale (artt. 82-86); Capo V, Cooperazione di polizia (artt. 87-89).

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crea le basi per un'effettiva armonizzazione. Tale politica comune “si fonda sulla solidarietà tra gli stati

membri” nella gestione ripartita degli oneri della gestione della politica e si qualifica per essere “equa

nei confronti dei cittadini dei paesi terzi”, cioè “frutto di un contemperamento delle diverse esigenze

dell'Unione e proporzionale agli obiettivi che si vuol raggiungere”409.

Nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia il ruolo nella definizione degli orientamenti strategici della

programmazione legislativa e operativa viene affidato al Consiglio in base ad una programmazione

quinquennale, come già in uso, mentre gli atti vengono adottati su proposta esclusiva della

commissione attraverso un processo codecisorio di collaborazione con il Parlamento europeo (art.289 e

294 TFUE).

La competenza della comunità in materia di visti, immigrazione e frontiere esterne ha natura

concorrente (art. 4 TFUE410) cioè “l'Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti

giuridicamente vincolanti in tale settore nei limiti per cui gli Stati membri esercitano la loro

competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria” o “ha deciso di cessare di

esercitare la propria.” (art. 2 TUE), ma limitata dal rispetto dei principi di sussidiarietà e

proporzionalità (art. 5 TFUE411).

Al capo II vengono definite in dettaglio “le politiche relative ai controlli alle frontiere, all'asilo e

all'immigrazione”. Elementi fondanti la politica europea in materia sono la gestione efficace dei flussi

409 C. FAVILLI, Il Trattato di Lisbona e la politica dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione, op. cit., p. 18410 Articolo 4 TFUE 1.L'Unione ha competenza concorrente con quella degli Stati membri quando i trattati le attribuiscono una competenza che non rientra nei settori di cui agli articoli 3 e 6. 2.L'Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nei principali seguenti settori: a) mercato interno, b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato, c) coesione economica, sociale e territoriale, d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare, e) ambiente, f) protezione dei consumatori, g) trasporti, h) reti transeuropee, i) energia, j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia, k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato. 3. Nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione ha competenza per condurre azioni, in particolare la definizione e l'attuazione di programmi, senza che l'esercizio di tale competenza possa avere per effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro. 4. Nei settori della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario, l'Unione ha competenza per condurre azioni e una politica comune, senza che l'esercizio di tale competenza possa avere per effetto di impedire agli Stati membri di esercitare la loro.411 Articolo 5 TFUE (ex articolo 5 del TCE) 1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo. 4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

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migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e

la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani (art.

79 TFUE412).

Il quadro europeo di riferimento nella tutela dei diritti fondamentali disposto dall'articolo 6413 del

Trattato dell'Unione europea è stato modificato in modo determinante dalla recente entrata in vigore del

Trattato di Lisbona.

La nuova normativa sancisce i diritti fondamentali come tutelati secondo i principi generali dell'Unione

europea, quelli definiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e quelli protetti dalla

Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il rispetto dei diritti

fondamentali nel diritto comunitario è stato per la prima volta formalmente dichiarato nel trattato di

Maastricht che ne ha riconosciuto il ruolo di fonti di rango primario; in questo modo è stato dato

esplicito riconoscimento alla tutela garantita fino a quel momento dalla giurisprudenza della Corte di

giustizia che li riteneva parte dei principi generali dell'ordinamento comunitario, dedotti sulla base

delle tradizioni costituzionali comuni agli ordinamenti degli Stati membri e dalle convenzioni

internazionali rilevanti, in particolare dalla CEDU. “Tali diritti, come tutti i principi generali,

costituiscono un parametro di legittimità degli atti derivati dell'Unione e un criterio interpretativo o di

integrazione del loro contenuto. Essi vincolano anche gli Sati ma solo se si situino nell'ambito di

412 Articolo 79 (ex articolo 63, punti 3 e 4, del TCE) 1. L'Unione sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure nei seguenti settori: a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare; b) definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri; c) immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare; d) lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori. 3. L'Unione può concludere con i paesi terzi accordi ai fini della riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri. 4. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure volte a incentivare e sostenere l'azione degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. 5. Il presente articolo non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo.413 Articolo 6 del Trattato sull'Unione europea – versione consolidata (ex articolo 6 del TUE): “1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.”

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applicazione del diritto dell'Unione europea”414.

Il trattato di Lisbona introduce due modifiche di rilievo. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

europea, rimessa finora all'interpretazione della Corte di giustizia, diviene vincolante per gli stati

membri ed acquista fonte di rango primario. Tale mutamento non incide sullo status dei diritti

fondamentali ivi riconosciuti, già considerati fonte primaria del diritto europeo dall'articolo 6 TUE,

bensì esclusivamente sulla certezza del diritto rispetto ad essi, che possono ora essere fatti valere sulla

base di un testo vincolante415.

I diritti fondamentali sanciti nella carta, esplicitamente menzionati la dignità umana, il diritto alla vita,

il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, il rispetto alla vita privata e familiare e il

diritto d'asilo, si ritengono garantiti a tutte le persone presenti sul territorio dell'Unione europea, tanto

regolarmente quanto irregolarmente416.

La seconda novità introdotta dal Trattato di Lisbona è l'adesione della Comunità europea alla CEDU.

La modifica introdotta all'articolo 6 TFUE non incide sullo status dei diritti fondamentali417, ne sulla

loro applicazione in quanto la rilevanza della CEDU nella Comunità europea era già chiara nella

precedente formulazione dell'articolo 6 comma 2 Tue418 e viene richiamata da costante giurisprudenza

della Corte di Giustizia.

La prassi in materia di diritto degli stranieri sembra però sostenere un indirizzo contrario: la

codificazione dei diritti fondamentali come garantiti in ambito CEDU ha indotto i legislatori degli Stati

membri dell'Unione europea all'adozione di normative conformi alla CEDU419.

La giurisprudenza in materia immigrazione è molto limitata, circoscritta ai casi di richiesta di 414 Cfr. C. FAVILLI, Il trattato di Lisbona e la politica dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione, op. cit., p.30415 L'efficacia vincolante della Carta dei diritti fondamentali non è completamente realizzata per alcuni Stati membri. In particolare il Protocollo 30 sull'applicazione dell'Unione europea alla Polonia e al Regno unito consente di non estendere per i paesi in questione la valutazione della conformità del diritto interno con la Carta e nel caso in cui una disposizione della Carta faccia riferimento a leggi e pratiche nazionali, detta disposizione si applica alla Polonia o al Regno Unito soltanto nella misura in cui i diritti o i principi ivi contenuti sono riconosciuti nel diritto o nelle pratiche dei due Stati. Disposizioni simili sono state adottate per l'Irlanda e per la Repubblica Ceca al fine del completamento della procedura di ratifica del Trattato di Lisbona. Cfr. C. FAVILLI, Il trattato di Lisbona e la politica dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione, op.cit., p.31416 Cfr. P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'UE, op. cit., pag. 41417 L'unica modifica effettiva è la possibilità al singolo di adire la Corte europea dei diritti umani in casi di violazione del diritto comunitario di disposizioni tutelate dalla Convenzione418 L'articolo 6 del Trattato dell'Unione europea, introdotto nel 1992, eleva i diritti fondamentali a fonti di rango primario, come vengono tutelati dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri e dalle Convenzioni rilevanti in materia, in particolare la CEDU. Le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona non incidono in tale impostazione: i diritti fondamentali continuano ad essere considerati al vertice della gerarchia delle fonti del diritto dell'unione europea, alla pari dei trattati (Cfr. comma 3).419 Cfr. C. FAVILLI, Il trattato di Lisbona e la politica dell'Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione, op. cit., p.32

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protezione internazionale.

Nel recente caso Elgafaij420 la Corte di Giustizia ha valutato in modo innovativo l'applicazione della

“Direttiva Qualifiche”421 da poco emanata, in rapporto alla tutela offerta dall'articolo 3 CEDU.

Richiamando quest'ultimo come parametro di riferimento nell'interpretazione della Corte, i giudici

nella decisione del caso hanno puntualizzato come la tutela offerta dalla recente direttiva sia ulteriore

rispetto a quella garantita dal parametro internazionale, in merito ai criteri usati nell'accertamento del

rischio di minacce (articolo 15), e pertanto deve essere interpretata autonomamente rispetto a tale

criterio posto dalla CEDU, pur sempre nel rispetto dei principi fondamentali in essa garantiti422.

La possibilità così affermata di superare in positivo il limite posto dalla protezione garantita dalla

CEDU e dalla giurisprudenza della Corte EDU potrebbe essere in futuro foriero di determinanti

modifiche anche nei confronti degli immigrati in posizione irregolare.

Ad ora, in assenza di giurisprudenza a riguardo, risulta comunque significativa la pronuncia con la

quale la Corte ha dichiarato che uno Stato membro ha la possibilità, ma non l’obbligo, di espellere un

cittadino non comunitario che non soddisfa le condizioni relative alla durata del soggiorno applicabili

in tale stato423. In particolare nelle conclusioni dell'avvocato generale Kokott viene evidenziato che il

diritto comunitario “lascia comunque espressamente agli Stati membri la libertà di applicare

disposizioni ancora più favorevoli”424.

La tutela dei diritti del migrante in ambito comunitario è subordinata al venire in rilievo di una

posizione giuridica tutelata dal diritto comunitario. Nel caso dei migranti irregolari tale protezione

quindi è da escludere, ad eccezione delle garanzie specificamente disposte dalla Direttiva Rimpatri in

caso di allontanamento425. Possono tuttavia segnalarsi aperture nella giurisprudenza della Corte di

giustizia in materia di garanzie procedurali ed in materia di ricongiungimento familiare.

Ai fini di un allargamento in futuro della tutela anche al migrante irregolare, appare significativa la

posizione assunta dalla Corte di Giustizia in tema di garanzie procedurali in caso di espulsione di

cittadini comunitari426. “La corte di Lussemburgo, a differenza della Corte di Strasburgo, ha richiamato

420 Corte di giustizia, Caso Elgafaij, Causa C-465/07, 17/2/2009421 Direttiva 24/83/CE, del 29/4/2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.422 Cfr. P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell'UE, op. cit., p. 41423 Corte Giustizia 22/10/2009, cause riunite C-261/08 e C-348/08, Zurita Garcia in cui si dibatte della compatibilità con il diritto comunitario, in particolare il Codice frontiere Schengen, di alcune disposizioni del diritto spagnolo che prevedono l'applicazione nei confronti di cittadini di paesi terzi irregolari dello strumento giuridico dell'ammenda, anziché l'espulsione. 424 Cfr. Articolo 4 della direttiva 2008/115 “Rimpatri” 425 Cfr. A. LIGUORI, Le garanzie procedurali avverso l'espulsione degli immigrati in Europa, op. cit., p.180426 Cfr. A. LIGUORI, Obblighi internazionali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.45

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il principio in base al quale ogni atto incidente su di un diritto comunitario deve poter essere oggetto di

sindacato giurisdizionale anche in procedimenti riguardanti l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione di

cittadini comunitari427”.

A conferma dell'esistenza di tale principio nell'Unione europea la Carta dei diritti fondamentali

all'articolo 47428 prevede il “diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice” ad “ogni persona i cui

diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati”, a prescindere dall'esistenza di

una controversia civile e penale429.

Da tali premesse secondo Liguori430 si può dedurre che, purchè vi sia in gioco un diritto protetto

dall'ordinamento comunitario, spetta al destinatario di un provvedimento di espulsione una tutela

giurisdizionale effettiva. La corte non si è ancora espressa in materia, visto che i casi presi finora in

considerazione dalla corte sono tutti relativi a cittadini comunitari o casi per i quali la tutela è stata

derivata da un vincolo familiare; tuttavia è condiviso in dottrina l'orientamento secondo cui tale

principio potrebbe essere esteso anche ai cittadini extracomunitari.

Balboni431 ritiene sussistente “un principio di diritto comunitario a tutela degli irregolari che impone la

tutela effettiva anche per i cittadini non comunitari”, anche se meno intenso “dell'analogo principio

applicabile ai cittadini comunitari”, ed individua il contenuto minimo quantomeno nell'obbligo di

impedire i diritti fondamentali della persona, e nell'obbligo della concessione di un tempo minimo

prima di partire, che sembra richiamare le nuove tutele introdotte dalla direttiva rimpatri.

Nascimbene432 concorda sulla necessità che “il rispetto dei principi di proporzionalità e di

ragionevolezza, del diritto di difesa e delle garanzie giurisdizionali, la tutela della vita familiare [siano]

garantiti, in quanto principi generali e diritti fondamentali, anche al cittadino di Paese terzo” ed

427 Cfr. sentenze Orphanopoulus e Olivieri del 29/4/2004 Cause C- 493/01e C- 482/01; Panayotova del 16/11/04; Doerr e Uenal del 2/6/2005 428 Art. 47 Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.”429 La valutazione della riconducibilità o meno ad un procedimento penale e civile diviene perciò l'elemento discriminate della tutela riconosciuta a livello comunitario a differenza del sistema della CEDU che secondo giurisprudenza costante della Corte non ritiene applicabile l'articolo 6 sul giusto processo all'immigrazione irregolare. 430 A. LIGUORI, Obblighi internazionali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.45431 M. BALBONI, Compatibilità col diritto comunitario dell'espulsione e dell'accompagnamento coattivo alla frontiera, immediatamente esecutivo: alcuni spunti di riflessione; Diritto immigrazione e cittadinanza, n.2/2003, p.73; Cfr. in nota A. LIGUORI, Obblighi internazionali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.46432 B. NASCIMBENE, Corte di giustizia e corte costituzionale sulla “segnalazione Shengen”: il divieto di automatism i, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.2/2006, p.64

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aggiunge: “l'obiezione secondo cui il diritto comunitario (acquis Schengen compreso) non riguarda i

cittadini di Paesi terzi che non presentino vincoli familiari con i cittadini comunitari, ben può essere

superata dalla progressiva estensione di diritti a favore di tali soggetti: a) sia in virtù di norme di diritto

derivato, quali la direttiva 2003/86 sul ricongiungimento familiare dei cittadini di Paesi terzi che

risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri e la direttiva 2003/109 sullo status dei cittadini

di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo; b) sia in virtù di principi fondamentali quali i

principi garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo richiamati dall'articolo 6 Trattato

Ue.”.

Sempre secondo l'interpretazione di Liguori, l'ampliamento della tutela giurisdizionale anche ai

destinatari di provvedimento di espulsione sembra avvallato dalla sentenza della Corte di giustizia

“Parlamento v. Consiglio” del 27/6/06 relativa alla direttiva sul ricongiungimento dei cittadini

extracomunitari. Viene considerato di rilievo433 che la Corte, nel riconoscere il diritto all'unità familiare

come diritto fondamentale, si richiami a sentenze emesse in riferimento a familiari di cittadini

comunitari (sentenze Carpenter434 e Akrich435) “con ciò facendo presagire che in tema di diritti umani la

tutela debba in linea generale ispirarsi agli stessi principi e non dovrebbero esserci differenziazioni a

seconda che si tratti di cittadini comunitari (e loro familiari) e cittadini extracomunitari”436.

Dal punto di vista procedurale la sentenza richiama la necessità di poter impugnare le sentenze di

rigetto delle domande in sede giurisdizionale interpretando estensivamente l'articolo 18 della direttiva

che tratta di sola “impugnazione”437. Anche in questo senso sembra venir suffragato che “in ogni caso,

433 Cfr. A. LIGUORI, Obblighi internazionali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.45434 Sentenza Carpenter del 11/7/2002 Causa C-60/00435 Sentenza Akrich del 23/9/2003 Causa C-109/01436 Contraria alla differenziazione di tutela tra cittadini comunitari ed extracomunitari è anche la posizione di C. AMALFITANO, Segnalazione nel SIS ai fini della non ammissione nello “spazio Schengen”. Profili di incompatibilità comunitaria e di legittimità costituzionale, Il diritto dell'Unione europea, 2006, p.503 e ss. Che si esprime in relazione alla sentenza della Corte di giustizia del 31 gennaio 2006 (causa C-503/03) e la tutela degli stranieri “familiari di cittadini comunitari” contro l'automaticità di provvedimenti nazionali di diniego di ingresso e soggiorno in seguito a segnalazione SIS. L'autrice afferma che “parametro di legalità cui rapportare, nel sistema comunitario, l'automatismo di un diniego di ingresso o soggiorno rispetto a tale categoria di soggetti (ndr. Stranieri privi di legami familiari con stranieri comunitari o legalmente soggiornanti) non può che essere costituito da alcuni principi generali di diritto comunitario, quali il diritto ad un giusto processo e all'effettività della tutela giurisdizionale, non potendo evidentemente valere, in questo caso, il solo richiamo o, comunque, anche il richiamo all'art. 8 CEDU. E l'operatività di tali principi anche rispetto a individui stranieri non comunitari può giustificarsi alla luce del fatto che anche la disciplina relativa al loro ingresso o soggiorno nel territorio nazionale, pur affidata alle scelte discrezionali del legislatore statale, in quanto ricadente nell'ambito di applicazione del diritto comunitario (tale deve considerarsi l'acquis di Schengen a seguito della sua integrazione nell'Unione) deve conformarsi alle norme comunitarie rilevanti nel caso di specie”.437 Cfr. Obiter dictum 14 - Ai termini dell’art. 18 della direttiva, le decisioni di rigetto di domande di ricongiungimento familiare, di revoca o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno devono poter essere impugnate in sede giurisdizionale secondo le modalità e le competenze fissate dagli Stati membri interessati. Obiter dictum 106 - L’attuazione della direttiva è soggetta al sindacato dei giudici nazionali in quanto, come previsto all’art. 18 della direttiva medesima, «gli Stati membri assicurano che il soggiornante e/o i suoi familiari abbiano diritto a proporre impugnativa in caso di rigetto della domanda di

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anche nelle ipotesi di cittadini extracomunitari, deve essere garantito l'accesso ad un giudice, per

tutelare le posizioni soggettive garantite dall'ordinamento comunitario (nel caso di specie il diritto al

ricongiungimento familiare)”438.

Ai fini della tutela nell'ordinamento comunitario del diritto di accesso ad un giudice e sui limiti al

potere dello stato rispetto all'espulsione rileva la sentenza Orfanopoulos in cui la corte ha affermato che

“se è vero che spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità

procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai soggetti in forza

delle norme di diritto comunitario, tuttavia le dette modalità non devono essere tali da rendere

praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento

giuridico comunitario439”.

In particolare il diritto comunitario “osta a una disposizione di uno Stato membro che non prevede né

procedimenti di opposizione né ricorsi – in cui abbia luogo anche un esame di opportunità – contro una

decisione d’espulsione di un cittadino di un altro Stato membro adottata da un’autorità amministrativa,

qualora non venga istituita un’apposita autorità indipendente da tale amministrazione”440.

In merito al procedimento di espulsione viene ribadito il divieto di adottare provvedimenti di

espulsione senza tener adeguatamente conto del comportamento personale del soggetto né del pericolo

che esso costituisce per l’ordine pubblico441 e viene confermata la necessità di realizzare un

bilanciamento tra i limiti posti alla libera circolazione delle persone ed il rispetto dei diritti

fondamentali, in particolare il rispetto alla vita famigliare come tutelato all'articolo 8 della CEDU442 e

dall'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali.

Il richiamo all'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario, anche in materia di

ricorsi avverso l'espulsione, “potrebbe in futuro portare la corte nell'esaminare la compatibilità delle

ricongiungimento familiare, di mancato rinnovo o di ritiro del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento». Ove essi incontrino difficoltà relative all’interpretazione o alla validità di tale direttiva, spetterà ai giudici stessi sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale secondo le modalità enunciate agli artt. 68 CE e234 CE.438 A. LIGUORI, Obblighi internazionali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.46439 Confronta sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, punto 5, e 9 dicembre 2003, causa C-129/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I-0000, punto 25440 Cfr. artt. 39 CE sulla libera circolazione dei lavoratori e art.3 della direttiva 64/221 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica441 Cfr. art. 9, n. 1, della direttiva 64/221 442 “L’art.39 CE e la direttiva 64/221 non ostano all’espulsione di un cittadino di uno Stato membro che è stato condannato a una determinata pena per reati specifici e che, da un lato, costituisce una minaccia attuale per l’ordine pubblico, e, dall’altro, ha soggiornato per molti anni nello Stato membro ospitante e può far valere circostanze familiari contro la detta espulsione, purché la valutazione effettuata dall’autorità nazionale, caso per caso, di dove si situi il giusto equilibrio tra gli interessi legittimi presenti avvenga nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario e, in particolare, tenendo debitamente conto del rispetto dei diritti fondamentali, come la tutela della vita familiare.”

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normative nazionali in materia con il diritto comunitario a verificare che gli stati, pur nell'esercizio di

un certo potere discrezionale, rispettino in ogni caso i requisiti di equivalenza ed effettività sopra

enunciati”443.

Il potere di intervento della Corte in tali materie potrebbe rivelarsi determinante soprattutto in casi di

norme non particolarmente dettagliate, in particolare per le garanzie procedurali contenute per i

cittadini extracomunitari.

La Corte di giustizia è intervenuta nei confronti di cittadini di Stati terzi presenti irregolarmente nel

territorio degli stati membri in tema di ricongiungimento familiare. “Sembra che sia in atto

un'evoluzione in quella giurisprudenza che, pur riconoscendo il diritto al ricongiungimento come

aspetto del diritto alla vita privata e dunque diritto fondamentale secondo l'articolo 9 della Carta dei

diritti fondamentali (oltre che parte del diritto comunitario), aveva poi affermato la propria competenza

solo nei confronti dei cittadini comunitari”444.

La giurisprudenza più risalente aveva infatti negato la propria competenza a trattare della compatibilità

tra la normativa nazionale in tema di ricongiungimento e l'articolo 8 della Cedu445, ed era intervenuta

per ammettere il diritto al ricongiungimento ma limitatamente ai lavoratori migranti che abbiano

cittadinanza in uno Stato membro446.

Solo recentemente nel caso Carpenter c. Regno Unito447 la Corte di Lussemburgo ha riconosciuto ad un

cittadino extracomunitario coniugato con un cittadino comunitario il diritto a ricongiungersi con questo

nello Stato membro ove svolga l'attività lavorativa. Considerando il caso alla luce dell'articolo 49 del

Trattato CE448, in relazione alla prestazione dell'attività lavorativa del cittadino comunitario, i giudici

nella valutazione se tale restrizione potesse essere ragionevolmente giustificata, hanno richiamato il

diritto al rispetto della vita familiare sancita dall'articolo 8 della CEDU concludendo che l'espulsione

dello straniero era dannosa sia per quest'ultimo diritto richiamato sia era in contrasto con la libera

prestazione dei servizi all'interno della Comunità. Ribadendo la necessità di rispettare il principio di

proporzionalità tale restrizione non poteva perciò essere giustificata con la tutela dell'ordine pubblico e

della sicurezza. Desta particolare interesse tale sentenza in quanto considera il diritto al 443 A. LIGUORI, Obblighi internazionali e comunitari in materia di garanzie procedurali avverso l'espulsione dei migranti in Europa, op. cit., p.47444 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.252445 Meryem Demirel c. Comune di Schwäbisch Gmünd, causa 12/86, 30 settembre 1987446 Commissione c. Repubblica federale tedesca, 18 maggio 1989447 Carpenter c. Regno unito, causa C-60/00, 11 luglio 2002448 Articolo 49: “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità.”

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ricongiungimento come un diritto fondamentale di chiunque sia ammesso a circolare liberamente nella

Comunità europea, indipendentemente dal fatto di essere espressamente previsto da parte del diritto

derivato449.

La corte si è espressa similmente anche in altre sentenze in casi di respingimenti alla frontiera di

cittadini extracomunitari coniugati con i cittadini di uno stato membro ed entrati illegalmente nel

territorio dello Stato450: in alcune richiamandosi al principio di proporzionalità ha ritenuto violato il

diritto comunitario, in altre invece ha ricondotto la tutela della vita familiare all'articolo 8 della

Convenzione europea451.

In tali pronunce in realtà non viene riconosciuto il diritto all'unità familiare come diritto del cittadino

dello Stato terzo a vivere la propria vita familiare in un paese membro, quanto piuttosto in relazione al

diritto del coniuge comunitario a risiedere e a circolare in ogni stato della Comunità europea (articolo

18 TCE). In questo modo non viene riconosciuto allo straniero un diritto di ingresso all'intero spazio

europeo, come avverrebbe se gli venisse garantita la possibilità di svolgere l'attività lavorativa in un

altro Stato membro da quello in cui risiede il coniuge, e viene sancito il diritto al rispetto alla vita

familiare in modo diverso per i cittadini e per gli stranieri452.

Nei confronti dei ricongiungimenti di cittadini extracomunitari, nonostante la declaratoria di

incompetenza sempre sostenuta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in materia e la limitazione

della corte di Lussemburgo ai solo cittadini comunitari, si evidenzia una progressiva copertura di tale

“vuoto giurisdizionale” “ad opera di decisioni di entrambe le corti che potrebbero condurre ad una

complementarietà delle due giurisprudenze europee nell'interpretazione dei diritti della persona da

recepire nel processo di costituzionalizzazione dell'Unione.

La dottrina ritiene che il tema dell'unità familiare potrà in futuro rappresentare il “terreno di una più

concreta articolazione delle tradizioni costituzionali comuni” come testimoniato dalle recenti sentenze

della Corte di Lussemburgo in complementarietà con la Corte europea dei diritti umani

“nell'interpretazione dei diritti della persona da recepire nel processo di costituzionalizzazione

449 Cfr. G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.252, nota 116.450 Cfr. Mouvement contre le racisme, l'antisémitisme et la xénophobie ASLB (Mrax) c. Regno del Belgio, causa C-459/99, 25 luglio 2002, in cui la Corte sostiene che “a member state may not send back at the border a third-country national who is married to a national of a member state and attempts to enter its territory without being in possession of a valid identity card or passport or, if necessary, a visa, where he is able to prove his identity and the conjugal ties and there is no evidence to establish that he represents a risk to the requirements of public policy, public security or public health within the meaning of Article 10 of Directive 68/360 and Article 8 of Directive 73/148.; Cfr. Baumbast, R. e Secretary of State for the Home Department, causa C-413/99, 17 settembre 2002, di certo interesse per il tentativo di ricostruire i diritti familiari come diritti autonomi dagli spostamenti del cittadino comunitario. Cfr. G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.252, nota 116451 Akrich, causa C-109/01, 23 settembre 2003452 Cfr. E. RIGO, Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell'Unione allargata, op. cit., p.200-201

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dell'Unione: all'articolarsi, anche in questa materia, di un dialogo tra i giudici europei ed allo

strutturarsi dunque di un sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali degli stranieri in

Europa453”454.

3.2 La politica europea nell'allontanamento del migrante irregolare

Introduzione. La gestione dell'immigrazione irregolare in Europa ha accresciuto la sua importanza in

ragione dell'eliminazione delle frontiere esterne. Gli Stati hanno acclamato per anni l'intervento della

Comunità per la gestione di un fenomeno dai contorni sempre più europei. Ciononostante gli Stati

hanno mantenuto un atteggiamento particolarmente ostile alla cessione di parte della loro sovranità ai

fini di un più ordinato governo.

Considerando l'immigrazione illegale svariati sono i problemi che si pongono alla fragile formazione

europea. Dal punto di vista politico, l'ingresso incontrollato di nuove persone senza titolo di soggiorno

“incide sulla politica generale di ciascuno stato dell'Unione in materia di integrazione economica,

sociale e culturale degli stranieri, e di sicurezza ed ordine pubblico” e coinvolge la sfera della

cittadinanza tradizionalmente di competenza dello stato-nazione. Il quadro è molto articolato anche dal

punto di vista giuridico: nonostante gli sforzi e i miglioramenti a livello di gestione europea “sono

cambiate continuamente, nel tempo le basi giuridiche delle competenze rispettive degli stati membri

dell'UE e della CE in materia e i principi generali su cui si fonda la politica comunitaria contro

l'immigrazione illegale.”455

Nella lotta all'immigrazione illegale ha assunto un'importanza sempre maggiore per l'Unione europea il

rimpatrio dei cittadini di stati terzi in soggiorno irregolare. “Le preoccupazioni determinate

dall'allargamento e dal conseguente spostamento dell'onere di controllare la frontiera esterna su paesi

con minori mezzi ed esperienza, hanno rafforzato la scelta di un approccio repressivo rispetto al

fenomeno dell'immigrazione clandestina, basato sul rinvio dei migranti irregolari nel paese di

provenienza.”456.

Nel quadro di un più efficace contrasto all'immigrazione clandestina, la commissione già nel 2005

453 Cfr. S. P. PANUNZIO, I diritti fondamentali e le corti in Europa, Centro Studi Giuridici e PoliticiNapoli, Jovene editore, 2005 p.104454 G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, op. cit., p.254455 Cfr. R. PISILLO MAZZESCHI, Strumenti di prevenzione e di contrasto all'immigrazione clandestina, Il diritto dell'Unione europea, n.4/2004, pag.724456 L. ALENI, La politica dell'Unione Europea in materia di rimpatrio e il rispetto dei diritto fondamentali, Il diritto dell'Unione europea, n.3/06, pag. 585

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aveva tracciato una proposta di direttiva al fine di uniformare le norme e le procedure comuni

applicabili al rimpatrio di cittadini dei paesi terzi soggiornanti illegalmente. Il lungo e contrastato

processo che ha portato all'adozione della direttiva è sintomo della centralità del problema nel dibattito

politico europeo e testimonia da un lato “la volontà politica ed il consenso generale per l´instaurazione

di una disciplina comune per il ritorno dei cittadini dei paesi terzi in posizione irregolare”457, dall'altro

la ritrosia degli stati all'introduzione di norme che vadano ad incidere sulla propria sovranità

territoriale.

La direttiva 2008/115/CE sulle “norme e procedure comuni applicabili negli stati membri al rimpatrio

di cittadini di paesi terzi”458, cosiddetta Direttiva Rimpatri, colma il vuoto legislativo e rappresenta il

nuovo caposaldo della disciplina europea in materia di rimpatri inserito come “elemento integrante

della politica comunitaria globale di immigrazione e asilo”459.460

1. Principi e scopi. La volontà del legislatore comunitario si deduce dai considerando iniziali, in primis

l'intento di raccogliere l'invito del Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 volto

all’“istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni

affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali

e della loro dignità”461.

La direttiva interviene con lo scopo di adottare “norme chiare, trasparenti ed eque per definire una

politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d’immigrazione correttamente

gestita”462, riconoscendo “legittimo che gli Stati membri procedano al rimpatrio di cittadini di paesi

terzi il cui soggiorno è irregolare, purché esistano regimi in materia di asilo equi ed efficienti463 che

457 E. CANETTA, La disciplina comunitaria in materia di rimpatrio dei cittadini dei paesi terzi in posizione irregolare nel territorio degli stati membri, Diritto immigrazione cittadinanza, n.3/07, pg. 36458 Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.12.2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in GUUE L 348 del 24.12.2008459 A. ADINOLFI, Linea comune sul rimpatrio dei clandestini indebolita dall'ampia flessibilità normativa, Guida al diritto 28/2008, pag. 6-7460 Per una panoramica degli altri strumenti comunitari in materia immigrazione: Direttiva 2004/81/CE del Consiglio del 29.4.2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti; Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29.4.2004, sulle norme minime per l'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona bisognosa di protezione internazionale; Direttiva 2005(/85/CE, sulle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; Decisione 2004/573/CE del Consiglio del 29.04.04, sull'organizzazione dei voli congiunti per l'allontanamento dei cittadini di Paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più stati membri; regolamento 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15.03.2006 che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone. 461 Considerando introduttivo n.2462 Considerando introduttivo n.4463 In riferimento alla questione dell'asilo il considerando 9 specifica: “In conformità della direttiva 2005/85/CE del

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rispettino pienamente il principio di non-refoulement”464. A tal fine “è opportuno che gli Stati membri

provvedano a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di Paesi terzi secondo una procedura equa

e trasparente. In conformità dei principi generali del diritto dell'Unione europea, le decisioni ai sensi

della presente direttiva dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non

limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare. Quando

utilizzano modelli uniformi per le decisioni connesse al rimpatrio, vale a dire le decisioni di rimpatrio

e, ove emesse, le decisioni di divieto d'ingresso e le decisioni di allontanamento, gli Stati membri

dovrebbero rispettare tale principio e osservare pienamente tutte le disposizioni applicabili della

presente direttiva.”465

Si ribadisce la necessità di stabilire “garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al

rimpatrio per l'efficace protezione degli interessi delle persone interessate”466 e “si dovrebbe preferire il

rimpatrio volontario al rimpatrio forzato e concedere un termine per la partenza volontaria”.

Emerge fin dal preambolo il “duplice scopo”467 perseguito dalla direttiva. Da un lato viene creato un

sistema uniforme volto a realizzare l'interesse dell'Unione ad una “gestione efficace dei flussi

migratori” ed “la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale” secondo quanto

disposto dall'articolo 79 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea468. Dall'altro si proclama il

rispetto dei diritti fondamentali nell'attuazione di tale principio. A parere della dottrina in questo modo

Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, il soggiorno di un cittadino di un paese terzo che abbia chiesto asilo in uno Stato membro non dovrebbe essere considerato irregolare nel territorio di tale Stato membro finché non sia entrata in vigore una decisione negativa in merito alla sua domanda d'asilo o una decisione che pone fine al suo diritto di soggiorno quale richiedente asilo”. 464 Considerando n.8465 Considerando n.6466 Considerando n.11467 Cfr. F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, Rivista italiana di diritto e procedura penale, n.2/2010, p.564468 Articolo 79 (ex articolo 63, punti 3 e 4, del TCE) 1. L'Unione sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure nei seguenti settori: a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare; b) definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri; c) immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare; d) lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori. 3. L'Unione può concludere con i paesi terzi accordi ai fini della riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri. 4. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure volte a incentivare e sostenere l'azione degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. 5. Il presente articolo non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo.

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la direttiva intende “cristallizzare il bilanciamento dei due opposti interessi, muovendosi

sostanzialmente nel solco della giurisprudenza della Corte di Strasburgo formatasi in particolare in

materia di libertà personale dello straniero durante il rimpatrio”469.

Tali encomiabili intenti hanno trovato più limitata realizzazione nel testo della direttiva: la criticità dal

punto di vista politico del tema affrontato e l'utilizzo della procedura di codecisione secondo l'articolo

251 TCE470 ha comportato lunghe negoziazioni e forti compromessi471.

Durante i lavori preparatori la Commissione ha preso posizione a favore in una maggiore tutela, ben

oltre a quanto sostenuto dalla Corte di giustizia in tema di effettività della tutela giurisdizionale e

dell'articolo 47 della Carta, affermando la “necessità di un ricorso ad un giudice anche avverso un

provvedimento di rimpatrio di immigrati irregolari, i quali non sono titolari di nessuna posizione

soggettiva tutelata dal diritto comunitario”. Tale orientamento era già stato espresso in precedenza472

riguardo il diritto ad un ricorso davanti un tribunale durante la procedura di rimpatrio per chi soggiorna

illegalmente e la previsione di garanzie ancor più dettagliate in caso di allontanamento dopo un

soggiorno legale. Nonostante tali posizioni della Commissione non siano state considerate ed inserite

nella regolamentazione sui cittadini extracomunitari, esse possono rilevare nella valutazione delle

suddette direttive, che in ogni caso devono essere interpretate alla luce dei principi dell'ordinamento

comunitario, tra cui l'effettività della tutela giurisdizionale473.

La sentita necessità degli stati membri di mettere a punto a livello comunitario normative che facilitino

le procedure di rimpatrio e di controllo del fenomeno irregolare ha creato forte opposizione a quelle

469 F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit., p.564470 Fondamento normativo di tale regolamentazione è l'articolo 63.3b) TCE che affida al consiglio la possibilità di adottare atti in materia di immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare. L'adozione degli atti avviene, secondo la procedura di cui all'articolo 251 stabilita all'articolo 67, su proposta della Commissione, da parte del Consiglio all'unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo. Cfr. M. BORRACCETTI, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 1/2010, pag.21471 Cfr. A. ALGOSTINO, La direttiva “rimpatri”: la fortezza Europa alza le mura, in Forum di Quaderni Costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 16 luglio 2008 che sostiene: “Se qualche merito poteva essere ascritto all’Unione europea, sotto la cui egida si compie in nome della libera concorrenza lo smantellamento dello stato sociale e dei diritti del lavoro, riguardava la disciplina dell’immigrazione, dove la linea guida era la strategia del doppio binario: integrazione e repressione, tutela dei diritti e esigenze di controllo dell’immigrazione. Si precisa: senza essere con ciò sostenitori di tale strategia. Il doppio binario rappresenta già un bilanciamento fra diritti, sanciti dalle costituzioni e dai patti internazionali e continentali sui diritti dell’uomo, e interessi alla gestione dei flussi migratori e al controllo delle frontiere, che facilmente incede in censure di incostituzionalità e in violazione dei patti sui diritti umani. Comunque sia, le direttive comunitarie hanno costituito spesso, soprattutto nei confronti di alcuni Stati, fra i quali l’Italia, facili prede di mistificatrici ed invasive suggestioni securitarie, un argine. Con la c.d. direttiva rimpatri logiche utilitaristiche e invocazioni alla sicurezza esondano anche a livello europeo.”472 Cfr. Commissione delle comunità europee, Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri, Bruxelles, 10.04.2002 com(2002) 175473 Cfr. A. LIGUORI, Le garanzie procedurali avverso l'espulsione degli immigrati in Europa, op. cit., p.145-146

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misure di garanzia a tutela dei diritti dei destinatari di tali decisioni, in particolare rispetto alla

possibilità di accedere all'assistenza legale prima della decisione di rimpatrio e alle condizioni di

detenzione in attesa dell'esecuzione stessa. Tali pressioni hanno determinato “la codificazione a livello

europeo di un regime delle espulsione carente dal punto di vista dei diritti degli individui”474. Il

coinvolgimento del parlamento, nonostante abbia garantito alcune importanti tutele contro l'espulsione,

non è stato sufficiente per eliminare le misure particolarmente punitive quali il prolungamento della

detenzione prima dell'espulsione e divieto di rientro, che poteva costituire la base per la definizione di

standard accettabili secondo la normativa comunitaria. E´in relazione a questi due elementi che la

direttiva ha ricevuto la maggior parte delle critiche475: dalle organizzazioni internazionali di tutela dei

diritti fondamentali, da esperti del comitato diritti umani delle Nazioni unite e inaspettatamente anche

da diversi leader di Stati sudamericani in relazione alle conseguenze di tale nuova regolamentazione sul

sistema delle riammissioni.” 476

Sembra che al riparo delle dichiarazioni di tutela dei diritti fondamentali, relegate nel preambolo, si

legittimino le prassi di esclusione e allontanamento praticate in tutta Europa.

2. Ambito di applicazione. La direttiva Rimpatri si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel

territorio di uno Stato membro477 sia irregolare (art. 1). Gli stati membri sono liberi di non applicare la

direttiva nei casi di respingimento alla frontiera o di rimpatrio disposto come sanzione penale o come

conseguenza di una sanzione penale (art.2)478.

474 A. BALDACCINI, The Return and Removal of Irregular Migrants under EU Law: An Analysis of the Returns Directive, European Journal of Migration and Law 11/2009, p.2475 Voci critiche si sono levate dal Consiglio europeo dei rifugiati ed esiliati (ECRE), Press Release Returns directive: Eu fails to uphold human rights, Brussels 18/6/2008; da Amnesty international, Eu Return Directive affects dignity and security of irregular migrants, 4/7/2008. Inoltre cfr. Press Realease UN experts express concern about proposed EU Return Directive, Geneva 18/7/2008; Latin america cound halt EU trade talks over retur directive, euobserver.com, 23/6/2008; LatAm countries outraged by Return Directive, Europolitics, 23/6/2008; Campagna informativa contro la direttiva della vergogna sul sito http://fortresseurope.blogspot.com.476 Cfr. A. BALDACCINI, The Return and Removal of Irregular Migrants under EU Law: An Analysis of the Returns Directive, European Journal of Migration and Law 11/2009, pag.2477 La direttiva in esame non si applica a tutti gli Stati membri: non hanno partecipato all'adozione e non risulta perciò vincolante per Danimarca, Regno Unito e Irlanda. Il testo è stato invece adottato da alcuni paesi non appartenenti all'unione europea, quali Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein.478 Critica a tal riguardo la posizione di C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi, www.osservatoriosullefonti.it, fasc. 2/09, pag. 4-5: “La scarsa efficacia armonizzatrice si riscontra già a partire dall’art. 2 (…). La direttiva può quindi essere applicata alle ipotesi di espulsione in senso stretto, lasciando gli Stati liberi di mantenere la propria normativa e di non modificarla in relazione alle fattispecie di respingimento in caso di ingresso irregolare che, come noto, costituiscono una delle ipotesi più critiche di allontanamento. Essa è infatti spesso sprovvista di un’adeguata normativa giustificata dagli Stati dall’affermazione della totale libertà di azione, in virtù del principio di diritto internazionale generale in base al quale lo Stato è libero di ammettere e allontanare lo straniero, il quale non può di regola, precedentemente all’ingresso, vantare alcun diritto, a differenza di quando sia invece tecnicamente avvenuto l’ingresso nel territorio, presupposto per la maturazione del cd. attacco sociale, di entità direttamente proporzionale alla durata del soggiorno. La disposizione consente, ad esempio, in Italia di non applicare la direttiva ai

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In entrambi i casi tale limitazione, posta a discrezione dei governi nazionali, può ridurre in maniera

considerevole l'applicazione della norma europea. “The option to exclude from the scope certain

categories of irregular migrants reflects a minimalist position maintained by the Council throughout the

long process of negotiation. Although the wording - in connection with the irregular crossing [. . .] of

the external border - in the Directive would suggest a narrow interpretation of the categories of

irregular migrants that are excluded from its scope.”479 In relazione alla prima ipotesi, anche se lo Stato

si avvale della possibilità di non applicare la direttiva, viene garantito ai destinatari del respingimento

alla frontiera il rispetto del principio del non refoulment e delle previsioni minime di tutela previste

nella direttiva, quali la limitazione dell’uso di misure coercitive (articolo 9, paragrafo 2, lettera a), il

rinvio dell'allontanamento nei casi previsti all'articolo 9 par. 2, lettera a, le prestazioni sanitarie

d'urgenza e (art. 14, par. 1, lett. B-d) e le condizioni di trattenimento ( articoli 16 e 17).

La seconda ipotesi merita accurata attenzione ai fini dell'indagine qui condotta.

L'eccezione è stata giustificata al fine di “evitare di interferire con provvedimenti di espulsione disposti

dall’autorità giudiziaria a conclusione di procedimenti penali per i quali l’intervento comunitario

dovrebbe essere adottato su una diversa base giuridica”, in quanto ricompresa nella cooperazione

giudiziaria in materia penale prevista al secondo pilastro480. Tale scelta potrebbe però avere

conseguenze particolarmente rilevanti se la si ritenesse applicabile anche ai casi di sanzione penale

conseguente a reato di ingresso irregolare481.

Su questo profilo permangono notevoli dubbi. La questione, rileva la dottrina, è “in sé controversa” per

la presenza in numerosi Stati membri di simili fattispecie – anche se, come dimostra lo studio realizzato

sull'applicazione della penalizzazione di tale condotta, ciò deve essere valutato in relazione alla prassi

valutata soprattutto alla principio della discrezionalità dell'azione penale vigente in molti ordinamenti

respingimenti via mare, spesso oggetto di particolare attenzione da parte dei media e dell’opinione pubblica, per la drammaticità delle condizioni dei migranti che tentano di arrivare in territorio italiano rischiando e talvolta perdendo la propria vita.”479 A. BALDACCINI, The Return and Removal of Irregular Migrants under EU Law: An Analysis of the Returns Directive, op. cit., pag.3480 C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi, op. cit., p. 3481 In Europa l´ingresso irregolare e´ punito in modo differenziato: la maggior parte degli Stati applica sanzioni amministrative mentre solo alcuni utilizzano la sanzione penale, ad esempio Germania e Regno Unito e con l'ultima modifica legislativa anche l´Italia. Per uno studio approfondito cfr. L'immigrazione in quattro paesi dell'Unione europea: ingressi illegali e immigrazione clandestina, Dossier del servizio studi del senato, giugno 2008. Per un approfondimento sul reale impatto di queste misure Cfr. Criminalisation of migration in europe: human rights implications Issue, Paper commissioned and published by the Commissioner for Human Rights, 2009, www.commissioner.coe.int: “States make continued presence on the territory a criminal offence and in many cases a continuing criminal offence. In practice, it appears that as long as there is no obstacle to the expulsion of the individual, many member states continue to use administrative law measures even though they have at their disposal criminal law sanctions for overstaying which could be used against foreigners.

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che la prevedono, applicate o meno nella prassi”482.

Sulla questione della criminalizzazione dell'immigrazione illegale e la sua eventuale incompatibilità

con il diritto della Comunità europea e dei diritti fondamentali il legislatore comunitario non si è ancora

espresso sul punto. Nel parere giuridico presentato al Parlamento europeo in data 15 settembre 2008 è

stato sottolineato che non ci sono norme a livello comunitario che impediscano agli stati di qualificare

la situazione in termini penali, e similmente è stato affermato dalla Commissione europea in

un'interrogazione parlamentare sulla specifica situazione italiana modificata dall'introduzione

dell’articolo 10 bis483.

La direttiva si apre con un generico richiamo ai diritti fondamentali in quanto principi generali del

diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei

rifugiati e di diritti dell'uomo (art.1).

Nel testo definitivo il riferimento alla Carta europea dei diritti dell'Uomo è stato eliminato dal corpo

centrale e relegato al preambolo iniziale484, ponendo dubbi in merito all'effettività di tali previsioni.

Rispetto all'originale proposta della Commissione485 rimane il richiamo agli stati di rispettare l'interesse

superiore del bambino, della vita famigliare, delle condizioni di salute e di rispettare il principio di

“non refoulment” (art.5)486.

Viene specificato il rimpatrio verso un “altro paese terzo”, rispetto all'originario riferimento generico,

che deve essere effettuato nel proprio paese di origine o in alternativa in un paese di transito487 in

conformità con accordi comunitari o bilaterali di riammissione o altre intese, o in un altro stato terzo in

cui il cittadino decida di andare e venga da questi accettato (articolo 3 comma terzo)488. 482 Cfr. F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi

giurisdizionali, op. ciy., p.575483 Cfr. Interrogazioni parlamentari di Patrizia Toia e Gianluca Susta (29/7/2009) e Rita Borsellino (5/8/2009) con le quali si chiedeva un parere alla commissione sulla compatibilità del 10 bis tu con la normativa comunitaria. La Commissione in data 7/10/2009 richiamava le precedenti decisioni ma rimandava a data successiva alla scadenza della direttiva la valutazione della reale effettività. Sul punto Cfr. . Viganò e L. Masera, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit., p.576484 Considerando n.24485 All'articolo 6 comma 4 la proposta di direttiva della Commissione prevedeva il riferimento esplicito alle norme internazionali di tutela: “La decisione di rimpatrio non è presa quando gli Stati membri sono soggetti agli obblighi derivati dai diritti fondamentali, in particolare dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, come il principio di non refoulement, il diritto all’istruzione e il diritto all’unità familiare. Qualora sia stata già presa, la decisione di rimpatrio è revocata.”486 Cfr. A. BALDACCINI, The Return and Removal of Irregular Migrants under EU Law: An Analysis of the Returns Directive, op. cit., pag.7487 Secondo M. BORRACCETTI, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 1/2010, pag.27, “tale previsione nasconde anche un rischio che, in linea teorica, dovrebbe essere comunque limitato, visto l'obbligo di tutela dei diritti fondamentali che derivano dalla stessa direttiva, oltre che dai trattati e dalla Cedu. Non è poi distante dalla realtà ritenere che queste persone, una volta riportate nel paese di transito, siano trattenuti o persino detenuti, in modo non conforme ai diritti fondamentali, e che, una volta obbligati a ripartire verso la loro terra d'origine siano lasciati alla mercè di quegli stessi trafficanti che li hanno guidati e trasportati nella parte iniziale del loro viaggio verso il continente europeo.”488 Cfr. A. BALDACCINI, The Return and Removal of Irregular Migrants under EU Law: An Analysis of the Returns

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Rimane la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone

cui si applica, purché compatibili con le norme in essa stabilite (art. 4 comma 3)489. In riferimento a tale

specificazione emerge come “lo scopo delle norme adottate in questo settore non è di elevare il livello

dei diritti garantiti ai cittadini di Paesi terzi bensì di prevedere una disciplina “orizzontale”, a

prescindere dalla circostanza che sia più o meno favorevole rispetto a quella già in vigore negli Stati

membri”490.

3. Modalità di allontanamento. La direttiva ruota attorno al processo di rimpatrio contenuto nel capo II,

specialmente in relazione al concetto di partenza volontaria491.

Nei confronti dei cittadini di stati terzi il cui soggiorno è irregolare, gli Stati membri adottano una

decisione di rimpatrio (art. 6 comma 1)492 la quale fissa un periodo congruo di durata compresa tra i

sette e i trenta giorni, per lasciare volontariamente il paese.

Nel caso di mancato adempimento del rimpatrio volontario (art. 7 comma 1) e in caso di rischio di

fuga, o di domanda di soggiorno considerata manifestamente fraudolenta o se l'interessato costituisca

un pericolo per l'ordine pubblico (art. 7 comma 4), gli stati adottano tutte le misure necessarie a

realizzare il rimpatrio (art.8 comma 1). Ai fini dell'allontanamento, gli stati possono adottare - in ultima

istanza - misure coercitive proporzionate e che non eccedano un uso ragionevole della forza493.

Tali misure sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza

dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell'integrità fisica del cittadino del un paese

terzo interessato (art.8 comma 4).

Directive, op. cit., pag.6489 Secondo l´articolo 4 della direttiva rimangono impregiudicate le disposizioni più favorevoli vigenti in forza di accordi bilaterali o multilaterali tra la Comunità, o la Comunità e i suoi Stati membri, e uno o più paesi terzi, o tra uno o più Stati membri e uno o più paesi terzi e quelle previste dall'acquis comunitario in materia di immigrazione e di asilo.490 C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi, op. cit., p.2491 Il rimpatrio volontario viene richiamato anche nel preambolo al punto 6 che recita: “ Se non vi è motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio, si deve preferire il rimpatrio volontario al rimpatrio forzato e concedere un termine per la partenza volontaria. È opportuno prevedere una proroga del periodo per la partenza volontaria allorché lo si ritenga necessario in ragione delle circostanze specifiche di singoli casi. Al fine di promuovere il rimpatrio volontario, gli Stati membri dovrebbero prevedere maggiore assistenza e consulenza al rimpatrio e sfruttare al meglio le relative possibilità di finanziamento offerte dal Fondo europeo per i rimpatri.”492 Gli Stati possono esimersi da tale obbligo nel caso di cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare ma è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro (comma 2); o qualora il cittadino in questione sia ripreso da un altro Stato membro in virtù di accordi o intese bilaterali vigenti alla data di entrata in vigore della presente direttiva (comma 3); o qualora abbia iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno o di un'altra autorizzazione che conferisce il diritto di soggiornare (comma 5); oppure nel caso di rilascio per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura di un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare (comma 4). 493 Il punto 9 del preambolo prevede: “È auspicabile che l’uso di misure coercitive sia espressamente subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia con riguardo ai mezzi adottati e agli obiettivi perseguiti.”

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In primo piano tra le misure disposte dagli stati ai fini dell'allontanamento, il trattenimento del cittadino

di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio può essere disposto, salvo possano essere

“efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive”, nel caso in cui sussiste un rischio

di fuga o il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o

dell'allontanamento (art. 15 comma 1)494.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario

all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio (art. 15 comma 2).

Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi,

tranne nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di

allontanamento rischia di durare più a lungo a causa della mancata cooperazione da parte del cittadino

di un paese terzo interessato, o dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi

terzi (art. 15 comma 6).

Il trattenimento è disposto per iscritto dalle autorità amministrative o giudiziarie. Nel primo caso gli

Stati membri prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento, oppure

accordano il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimità

del trattenimento, su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'avvio del relativo

procedimento (art.15 comma 2). In ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su

richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d'ufficio e nel caso di periodi di trattenimento

prolungati il riesame è sottoposto al controllo di un'autorità giudiziaria. (art.15 comma 3).

Gli Stati inoltre rinviano l'allontanamento nel caso in cui violi il principio di non refoulment, o per il

periodo in cui il ricorso venga esaminato (art.13 comma 2), o in considerazione delle condizioni fisiche

o mentali del migrante o ragioni tecniche come l'assenza di mezzi di trasporto o il mancato

allontanamento a causa dell'assenza di identificazione (art. 9).

Infine nel caso di minori non accompagnati deve accertarsi che vengano ricondotti ad un membro della

loro famiglia o ad un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di rimpatrio

(art.10).

494 F. VIGANÒ E L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit., p. 560 ss.: L’idea secondo cui il ricorso alla detenzione dovrebbe essere considerato come un’ultima ratio, cui accedere soltanto in caso di inadeguatezza di altre misure meno afflittive per prevenire il rischio che lo straniero si sottragga al rimpatrio, è sostenuta con forza anche da parte del recentissimo rapporto in data 11 gennaio 2010 della Commissione delle migrazioni, dei rifugiati e della popolazione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa La rétention administrative des demandeurs d’asile et des migrants en situation irrégulière en Europe, in www.assembly.coe.int, laddove – ad es. – si propone che l’Assemblea Parlamentare adotti una risoluzione nella quale si affermi che «la rétention ne devrait etre utilisée que lorsque des mesures moins traumatisantes ont été essayées et se sont averées insuffisantes» e si invitino gli Stati alla concreta «mise en oeuvre des alternatives à la rétention», tra le quali la collocazione in stabilimenti aperti o semi-aperti, obblighi di firma, messa in libertà sotto cauzione o sotto garanzia, l’utilizzo di mezzi di sorveglianza anche elettronica, il ritiro dei documenti di viaggio, etc.

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Un altro elemento centrale della disciplina, al centro di intense polemiche, è la previsione del divieto di

reingresso nel territorio dell'Unione europea. Tale obbligo è previsto normalmente per un tempo non

superiore ai cinque anni495 e viene disposto qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza

volontaria oppure qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio (art. 11)496.

4. Garanzie procedurali. La direttiva prevede una serie di garanzie procedurali come definito al punto

11 del preambolo: “Occorre stabilire garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al

rimpatrio per l'efficace protezione degli interessi delle persone interessate. Si dovrebbe garantire la

necessaria assistenza legale a chi non disponga di risorse sufficienti. Gli Stati membri dovrebbero

determinare nella legislazione nazionale i casi in cui l'assistenza legale è da ritenersi necessaria”.

All'Articolo 12 viene disposto che le decisioni di rimpatrio e le altre decisioni in merito “sono adottate

in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso

disponibili.”

La traduzione degli atti viene attivata dagli stati membri su richiesta, tranne nel caso di cittadini di

Paesi terzi che sono entrati in modo irregolare nel territorio europeo per i quali gli Stati membri

possono decidere, anziché disporre la traduzione degli atti, di adottare la decisione per mezzo di un

modello uniforme previsto dalla legislazione nazionale. Questa disposizione fatica ad essere giustificata

in relazione al caso prospettato e “rischia di standardizzare le decisioni di rimpatrio che invece

dovrebbero costituire decisioni individuali adottate in base alle circostanze dei singoli casi di specie”497

.

Viene prevista la possibilità di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio o per

chiederne la revisione dinanzi ad un'”autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo

competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza”(Articolo 13). Tali

organi hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio, compresa la possibilità di

sospenderne temporaneamente l'esecuzione.

La direttiva prevede la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un legale e, ove necessario, di

avvalersi di un’assistenza linguistica. Inoltre gli stati membri provvedono a che sia garantita, su

495 L'articolo 11 comma 2 prevede: “La durata del divieto d'ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni. Può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.496 La misura del rimpatrio volontario viene perciò incoraggiata in quanto evita di infliggere la misura accessoria del divieto di ingresso sul territorio nazionale. Cfr. M. BORRACCETTI, Il rimpatrio dei cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, op. cit., p.28497 C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi, op. cit., p.10

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richiesta, la necessaria assistenza e/o rappresentanza legale gratuita (art.13).

La dottrina ha sottolineato “la difficoltà per alcuni Stati membri ad attuare nei termini questa parte della

direttiva ha determinato la fissazione del termine di attuazione di questa parte al 24 dicembre 2011 e

cioè un anno dopo il termine previsto per l’attuazione di tutta la direttiva; mentre la rilevanza di questo

aspetto ha indotto a richiedere che la prima relazione che la Commissione europea dovrà redigere entro

il 24 dicembre 2013 relativamente allo stato di attuazione della direttiva faccia particolare riferimento,

tra l’altro proprio all’attuazione di questa parte”498

3.3. Il rapporto tra il meccanismo di espulsione in Italia e la direttiva rimpatri

Il sistema degli allontanamenti delineato al primo capitolo diverge profondamente rispetto al quadro

normativo delineato a livello comunitario. Il legislatore, nonostante la scadenza della direttiva fosse

fissata al 24 dicembre 2010 non è intervento in materia, rimettendo perciò alla giurisprudenza italiana il

compito di interpretazione ed applicazione della direttiva499.

Avendo inquadrato la disciplina dell'allontanamento in Italia ed il contenuto della Direttiva Rimpatri,

lasciando ai margini la questione relativa all'articolo 10 bis, è possibile mettere in evidenza i profili di

contrasto tra le due discipline, concentrando l'attenzione principalmente sull'articolo 14 commi5-ter e

5-quater, T.U.

Il primo punto di frizione si coglie in relazione al contrasto tra la partenza volontaria – considerata

dalla direttiva Rimpatri prioritaria rispetto al rimpatrio coatto – e l'esecuzione coattiva

dell'allontanamento previsto invece dalle norme italiane all'art. 13 comma 4° del TU. La partenza

volontaria prevede la fissazione di un termine compreso tra i sette e i trenta giorni, con possibilità di

termine più lungo – ovvero più breve per pericolo di fuga o per motivi di ordine pubblico – in pendenza

della quale non si può procedere al rimpatrio. Questo modello richiama quanto stabilito dalla norma

legge Turco-Napolitano, prima delle modifiche introdotte con la Bossi-Fini, all'articolo 11 comma 6

T.U. che prevedeva come modalità di esecuzione dell'allontanamento l'intimazione allo straniero

irregolarmente presente a lasciare il territorio entro quindici giorni salvo possibilità di trattenimento se

498 C. FAVILLI, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell'espulsione dei cittadini dei Paesi terzi , op. cit., pag.10499 La dottrina si è espressa a riguardo, forse un po' ironicamente, sostenendo – a metà del 2010 - che “non v'è alcuna ragione, almeno sulla carta, di dubitare che il nostro legislatore rispetterà tale scadenza, ridisegnando conseguentemente il sistema delle espulsioni sulla base delle indicazioni europee” e sottolineando che tali novità “dovrebbero essere accolte finalmente con sollievo da una nuova classe politica che da sempre ripete che l'immigrazione clandestina è, dopo Schengen, un problema europeo, le cui soluzioni devono per l'appunto essere fornite a libello europeo.” Cfr. F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit., p.561

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sussistente il rischio di fuga. La Bossi-Fini, tuttora operante, dispone invece come modalità normale di

espulsione l'accompagnamento alla frontiera, disposto con provvedimento immediatamente esecutivo.

La mancanza di un termine entro cui allontanarsi volontariamente e l'esecuzione immediata della

misura coattiva confliggono fortemente con il quadro ivi delineato, non potendosi nemmeno accogliere

una giustificazione basata sulla quasi nulla operatività dell'accompagnamento alla frontiera per

mancanza di mezzi dello Stato. Inoltre, anche qualora si sostenesse l'applicazione della misura

costrittiva in quanto ritenute sempre integrate le condizioni per ritenere sussistente il pericolo di fuga, a

giudizio della dottrina si “finirebbe per rovesciare il rapporto tra regola” - come concessione di un

congruo termine per la partenza volontaria - “ed eccezione, cioè la mancata concessione del termine,

imposto dalla direttiva” che invece esige una valutazione caso per caso delle circostanze che

giustificano la deroga alla regola generale, delle quali bisogna darsi adeguata motivazione500. Infine,

anche se si ritenesse meritevole di interpretazione estensiva volta a ricondurre come misura esecutiva

dell'espulsione l'ordine di allontanamento disposto dal questore all'articolo 14 comma 5 bis, il tempo

previsto di cinque giorni sarebbe comunque contrastante con gli obblighi comunitari.

Un secondo profilo di contrasto riguarda il trattenimento nei centri di identificazione che secondo il

dettato comunitario può essere previsto, “salvo nel caso concreto possono essere efficacemente

applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive”, nei casi in cui sussista un pericolo di fuga o di

problema per l'identificazione del migrante – condizioni che devono oltretutto permanere per tutta la

durata della misura. Secondo la dottrina in questo modo viene enunciato il principio della

“insostituibilità della privazione della libertà personale rispetto a misure coercitive meno afflittive”

(articolo 7 comma 3) “mai enunciato in termini così espliciti dalla Corte di Strasburgo”501.

Il principio che configura il trattenimento soltanto come “extrema ratio” - in relazione al diritto

fondamentale su cui va ad incidere suddetta misura – viene vistosamente contraddetto dalla disciplina

italiana. Il testo unico all'articolo 14 prevede il ricorso a tale strumento in modo automatico – senza

quindi un vaglio sulla pericolosità del soggetto – ogniqualvolta non sia possibile l'immediato

accompagnamento alla frontiera.

Da sottolineare nel quadro comunitario tracciato che il trattenimento deve essere riesaminato ad

intervalli ragionevoli e deve necessariamente cessare quando non vi sia “più alcuna prospettiva

ragionevole di allontanamento” per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono

più un rischio di fuga o la mancanza di collaborazione del cittadino del paese terzo al rimpatrio; in

500 Cfr. dottrina: F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit., p.570.501 Cfr. F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit., p.568

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questo caso “il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente

rilasciata”502.

In questo modo la direttiva approda alla stessa soluzione accolta dalla Corte europea dei diritti

dell'uomo nel caso A. and Others - United Kingdom503 in cui ha affermato che non vi può essere

legittimo trattenimento nel caso in cui non sussista più alcuna ragionevole possibilità di rimpatrio. La

direttiva inoltre dispone che il trattenimento possa avvenire soltanto in appositi centri di permanenza

temporanea e che il carcere possa essere disposto soltanto in casi eccezionali – anche se in realtà viste

le condizioni attuali dei centri in Italia e all'estero non sembra che la prima soluzione prospettata

conduca ad una tutela maggiore e nella maggior parte nemmeno pari a quella delle strutture

detentive504.

Un ulteriore elemento di disaccordo concerne la parte maggiormente afflittiva delle misure sinora

previste: le conseguenze penali all'inosservanza dell'ordine di allontanamento.

Il ricorso del legislatore al diritto penale ha subito, come previamente descritto, una continua crescita

fino a configurare un sistema di reiterabilità di provvedimenti espulsivi – corredati da misure di

trattenimento nei limiti concessi dalla legislazione attuale in vista dell'espulsione – a cui si aggiungono

le misure penali per l'eventuale violazione di suddetti provvedimenti arrivando a prevedere un quadro

edittale compreso dai sei mesi ai cinque anni, a dir poco oneroso per lo straniero inottemperante.

La dottrina a riguardo osserva che “le incriminazioni di cui ai co. 5-ter e quater d.lgs. 286/98

configurano un vero e proprio intervento incidentale del diritto penale nell’ambito di una procedura di

espulsione amministrativa, in chiave sanzionatoria rispetto all’inosservanza di una decisione

(amministrativa) di rimpatrio; e un intervento idoneo a produrre consistenti privazioni della libertà

personale (in conseguenza della sequenza arresto/misura cautelare/reclusione) diverse, e comunque

ulteriori, rispetto alla detenzione amministrativa («trattenimento») disciplinata dalla direttiva UE”505.

Tale scenario contrasta in modo palese rispetto alla previsione comunitaria. Come ricorda la lettura di

Viganò e Masera la direttiva teoricamente non si occupa della privazione della libertà personale che

rientra nelle ipotesi previste all'articolo 5 comma 1 lettera a) della CEDU – cioè nei casi nei quali la

pena consegue ad una condanna - bensì regola soltanto i meccanismi con cui disporre l'allontanamento 502 Articolo 15 comma 4 della Direttiva

503 Giudizio del 19.2.2009 (No 3455/05). La corte ha riconosciuto la violazione dell'articolo 5 § 1 (f) per l'indefinita detenzione di stranieri sospetti di coinvolgimento in attività terroristiche. Ha altresì ribadito il divieto di espulsione verso paesi in cui può subire il rischio di tortura e di pene degradanti secondo l'articolo 3 Cedu. 504 Cfr. AMNESTY INTERNATIONAL, ITALY: temporary stay – permanent rights: The treatment of foreign nationals detained in ‘temporary stay and assistance centres’ (CPTAs); Report of the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) on its visit to Italy from 21 November to 3 December 2004 CPT/Inf (2006)505A. CAPUTO, Il nuovo diritto penale dell’immigrazione, op. cit.

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nei casi limitati alla lettera f). Tale distinzione però non deve offuscare la portate reale della tutela. La

direttiva infatti prevede la possibilità di disporre misure limitative della libertà personale, ove però

necessarie secondo una valutazione individualizzata e graduate in relazione all'effettivo bisogno; a tal

fine vengono previste ad esempio anche misure quali l'obbligo di firma o l'obbligo di dimora. Rimane il

dubbio che tali previsioni, viste le condizioni in cui versano normalmente i soggetti su cui incidono tali

misure (ad esempio senza fissa dimora), nella prassi si traducano nel costante utilizzo della reclusione

nel CIE. A parte tali supposizioni, la direttiva sicuramente “non prevede la possibilità di prevedere

come reato l'inosservanza del termine, a cui possa conseguire l'inflizione di una pena detentiva”506. A

tal rilievo la dottrina ben sottolinea che “il diritto europeo (di fonte UE così come di fonte CEDU) non

tollera frodi di etichetta”507. “Laddove, come nel caso del vigente T.U. italiano il legislatore nazionale

utilizzi la sanzione penale al solo scopo di assicurare l’enforcement di una procedura amministrativa di

espulsione, la detenzione conseguente ad una condanna penale (formalmente riconducibile all’ipotesi di

cui all’art. 5, comma 1, lett a) Cedu) verrà ad essere utilizzata nei fatti come misura funzionalmente

equivalente ad una detenzione strumentale all’obiettivo finale dell’espulsione; conseguentemente, essa

rientrerà a pieno titolo – secondo l’approccio caratteristico del legislatore e dei giudici europei, che

guarda alla sostanza e alla funzione reale degli istituti più che al loro inquadramento formale – entro

l’ipotesi di cui all’art. 5, comma 1, lett. f) Cedu, che la direttiva intende per l’appunto disciplinare”508.

In rapporto a questo profilo non può nemmeno sostenersi che le incriminazioni siano funzionali alla

tutela di beni giuridici o interessi diversi da quelli alla cui tutela mira la stessa direttiva comunitaria –

ovvero il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingesso e della permanenza degli stranieri nel

territorio nazionale – la quale però interviene “nel quadro di un bilanciamento vincolante per gli stati

membri con esigenza di tutela dei diritti fondamentali dello straniero sottoposto alla procedura di

rimpatrio, a cominciare dal suo diritto alla libertà personale di cui all'articolo 5 Cedu”509. A ciò si

aggiunge la questione della reiterabilità dei provvedimenti che, anche se molto spesso non applicati, in

linea teorica potrebbero condurre ad una limitazione della libertà dello straniero ai soli fini espulsivi

anche ben oltre i diciotto mesi previsti dalla legislazione europea, pur nelle critiche da molti indirizzate

sulla formalizzazione della legittimità a livello comunitario di una così dilatata limitazione della libertà

personale a fini meramente espulsivi. Infine anche il divieto di reingresso, altra norma duramente

506 Cfr. VIGANÒ, MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit, p.577.507 Rimando sempre a A. CAPUTO, Il nuovo diritto penale dell’immigrazione, op. cit.508 M. BORRACCETTI, Il rimpatrio di cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, in Dir., imm. e citt., n. 1/2010, 35.509 F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit, p.583

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contestata, trova a livello europeo un contenuto afflittivo decisamente minore rispetto al panorama

italiano, essendo disposto per cinque anni anziché dieci secondo l'articolo 13 comma 14 tu.

Delineati pertanto i profondi contrasti con la tutela prevista a livello europeo è necessario valutare

quale sia il carico che viene a gravare sui giudici a causa del mancato recepimento della direttiva da

parte del legislatore. Secondo l'interpretazione della dottrina510, anche se si attende a breve la pronuncia

della Cassazione, la direttiva contiene norme chiare e precise, pertanto è suscettibile di applicazione

immediata e ha cosiddetto effetto diretto, come affermato dalla sentenza “Granital” della Corte

costituzionale n.170/1984511.

La modifica normativa avrà pertanto conseguenze rilevanti innanzitutto per le autorità amministrative

interessate dal processo di espulsione – il questore e il prefetto – che dovranno necessariamente

differire l'accompagnamento alla frontiera fino alla scadenza del termine per la partenza volontaria

fissato in modo congruo alla situazione personale del fermato.

Sempre a parere della dottrina che si è espressa sul punto, è significativo rilevare che in ragione del

principio di diritto comunitario secondo cui non possono farsi discendere obblighi a carico del singolo

in assenza di una norma interna di attuazione della regolamentazione comunitaria non è passibile di

applicazione diretta l'articolo 7 comma 3 della direttiva che prevede gli obblighi volti ad evitare il

rischio di fuga. Pertanto, fin tanto che il legislatore non provvederà alla modifica della normativa non

potrà disporsi, in caso sussistano i requisiti, il trattenimento coattivo o altre misure incidenti sul

singolo; inoltre la mancata previsione di misure alternative o progressive rispetto al trattenimento nei

Centri di identificazione ed espulsione comporta “l'insanabile illegittimità della disciplina vigente in

tema di trattenimento” “che contempla il trattenimento come unica misura coercitiva adottabile nelle

more del'allontanamento coattivo”.

Il giudice di pace viene coinvolto in primo luogo nel procedimento di convalida delle forme di

allontanamento dello straniero – sia nel caso dell'accompagnamento alla frontiera se non

opportunamente differito, sia nel caso del trattenimento – e in secondo luogo in relazione ai ricorsi

contro i provvedimenti di espulsione disposti dal prefetto. In entrambi i casi il giudice sarà tenuto a

disporre il rilascio dello straniero per la difformità del procedimento amministrativo rispetto alla

direttiva, in quanto disposti secondo normative con essa in contrasto. A parere perciò della dottrina

510 Cfr. VIGANÒ, MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit.

511 La sentenza ha importanza centrale nella dinamica dei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario: per la prima volta si assume che la normativa comunitaria debba essere applicata direttamente anche se in contrasto con una normativa interna introdotta anteriormente o posteriormente, facendo discendere tale obbligo dall'articolo 11 Cost. Si supera pertanto la giurisprudenza della Corte Costituzionale che nella sentenza ICIC (232/1975) aveva negato la possibilità al giudice la diretta applicabilità ribadendo il necessario ricorso alla Corte Costituzionale.

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“sino a che il legislatore non avrà adeguato il sistema complessivo delle espulsioni alla normativa

comunitaria, i giudici di pace non potranno che constatare l'insanabile contrasto tra la disciplina interna

e sovranazionale, riconoscendo direttamente al cittadino extracomunitario quei diritti che il legislatore

interno – in contrasto con i propri doveri internazionali – si ostinasse in ipotesi a non riconoscere”512.

Infine sul giudice ordinario graverà l'onere di rilevare l'incompatibilità con la direttiva dei procedimenti

per i delitti agli articoli 14 comma 5ter e 5quater per l'illegittimità di tutti i provvedimenti

amministrativi presupposti emanati successivamente alla scadenza della direttiva in violazione delle

norme in essa sancite oppure sospendere il procedimento e adire la corte di Giustizia con ricorso

pregiudiziale secondo l'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, da poco

introdotto con il passaggio della materia immigrazione tra quelle per cui è possibile fare ricorso.

Tale scenario è confermato dall'Ordinanza del Tribunale di Milano del 24/1/2011513 con cui il giudice

ha rinviato gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, adducendo il supposto contrasto con gli

articoli 15 e 16 della direttiva dell'oggetto del giudizio, alla luce dei principi di leale collaborazione e di

effetto utile delle direttive514. Sulla stessa questione è altresì intervenuto anche il Tribunale di Cagliari

nell’ambito di un rito abbreviato ritenendo che “entrambi i provvedimenti amministrativi indicati, ossia

il decreto prefettizio e l’ordine questorile, pur legittimamente assunti, sono diventati integralmente

inefficaci a seguito del sopravvenuto contrasto delle norme che disciplinano il procedimento

amministrativo di espulsione (contenute nell’art. 13 e 14 T.U: Immigrazione) con le disposizioni

contenute nella direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008”.

Infine un'ulteriore conferma arriva dalla Procura della Repubblica di Firenze515 che, rilevando

512 F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit, 591513 Cfr. P. FANESI, Direttiva rimpatri - Nuove pronunce intervengono sull’inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, 28/1/2011, articolo riportato su www.meltingpot.org514 Come rileva il giudice nell'ordinanza “la disciplina [della direttiva ] prevede, in particolare agli articoli 15 e seguenti, le condizioni tassative in presenza delle quali gli Stati membri possono lecitamente privare lo straniero sottoposto alla procedura di rimpatrio della propria libertà personale”, tra le quali a parere del giudice non può ritenersi compresa “la situazione che si verifica allorché lo straniero venga arrestato, sottoposto a custodia cautelare e poi condannato a una pena detentiva in conseguenza di un fatto, previsto quale reato dallo Stato membro dell’UE, che consiste puramente e semplicemente nell’inosservanza, da parte dello straniero, dell’ordine di allontanamento dal territorio nazionale emanato da un’autorità amministrativa nell’ambito della procedura di rimpatrio, conformemente al disposto dell’art. 8 § 3 della direttiva. In tale ipotesi, infatti, lo straniero sarebbe privato della propria libertà personale soltanto in ragione della sua «mancata cooperazione» alla procedura di rimpatrio, e cioè precisamente del presupposto che – in presenza delle ulteriori condizioni indicate dall’art. 15 § 1 della direttiva – può legittimare il suo «trattenimento» in un centro di permanenza temporanea, e la sua eventuale proroga sino al termine massimo di diciotto mesi complessivi ai sensi del § 6 della direttiva medesima”. Conclude perciò il giudice rimettente “un tale meccanismo finirebbe, ad avviso del Tribunale, per eludere completamente le garanzie imposte dalla direttiva a tutela della libertà personale dello straniero sottoposto alla procedura di rimpatrio, consentendo in pratica che quest’ultimo possa essere privato della propria libertà personale in forza di un titolo formalmente distinto dal «trattenimento», per periodi in ipotesi più lunghi di quelli massimi consentiti dalla direttiva, e a condizioni diverse da quelle tassativamente prescritte dagli articoli 15 e 16 della direttiva medesima.”515 Nota del Procuratore di Firenze, diramata alle forze di Polizia in data 18/1/2011.

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l'incompatibilità delle modalità di allontanamento dello straniero irregolare rispetto alla Direttiva

europea, stabilisce il venir meno dell’“elemento cardine dei reati di inottemperanza”. A giudizio del

Procuratore della Repubblica l’arresto ex art. 14, c.5-quinques non può essere eseguito, salva la

valutazione di caso per caso, e può ritenersi applicabile il giustificato motivo per l’incompatibilità tra

direttiva e normativa interna.

Infine come già accennato, può rilevare in futuro l'illegittimità del divieto di reingresso per dieci anni

anziché come disposto dalla direttiva a cinque.

A conclusione di questa carrellata sugli ipotetici scenari futuri, destinati a modificarsi molto

rapidamente, sembra quasi paradossale appellarsi ad una direttiva particolarmente contestata al fine di

garantire una tutela più ampia al migrante. Le condizioni a cui sono sottoposti i migranti in Italia, come

delineato nella prima parte della trattazione, portano a concludere che l'applicazione della direttiva – sia

pur sotto l'egida repressiva del contrasto all'immigrazione clandestina – potrà permettere una

limitazione alle derive xenofobe del nostro legislatore. Il sistema del Testo unico, come attestano gli

operatori del settore, non trova in realtà applicazione nella gestione di questo fenomeno: nella maggior

parte dei casi gli accompagnamenti coattivi non vengono realizzati per mancanza di risorse – profilo

già contestato dalla dottrina – rimettendo il contrasto dell'immigrazione irregolare alla partenza del

migrante nel tempo piuttosto limitato fissato a cinque giorni, corredata dalle sanzioni

all'inottemperanza di questa misura che incidono come previamente descritto in modo determinante

sulla libertà personale.

Il profilo determinante della direttiva è la necessaria scarcerazione nel caso manchino i presupposti per

il rimpatrio dell'irregolare, che porterebbe a spezzare quella catena di decreti di espulsioni non

ottemperati seguiti dalla pena detentiva messi in luce dalla dottrina.

I segnali che provengono dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea sembrano attestare la “volontà

di fare sul serio con la tutela della libertà fondamentale dello straniero nell'ambito delle procedure di

rimpatrio”516. La corte è entrata in merito al problema nel caso Kadzoev517 all'interno di un rinvio

pregiudiziale vertente sulla compatibilità della nuova normativa bulgara in materia con l'articolo 15

comma 5 e 6 della Direttiva rimpatri. I giudici hanno avuto l'occasione di chiarire il significato di

«tempo massimo di detenzione» affermando che deve includere “a period of detention completed in

connection with a removal procedure commenced before the rules in that directive become

applicable518” e “the period during which execution of the decree of deportation was suspended because

516 F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit, 594517 Corte di Giustizia Comunità europea C-357/09 PPU 30/11/2009518 Par.39

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of a judicial review procedure brought against that decree by the person concerned”519 specificando che

“neither Article 15(5) and (6) of Directive 2008/115 nor any other provision of that directive permits

the view that periods of detention for the purpose of removal should not be included in the maximum

duration of detention defined in Article 15(5) and (6) because of the suspension of execution of the

removal decision.”520.

Il centro dell'argomentazione, ai nostri fini, si appunta sull'affermazione della Corte in merito alle

condizioni legittimanti il trattenimento che viene subordinato alla prospettiva reale che il rimpatrio

possa avvenire con successo521: “detention ceases to be justified and the person concerned must be

released immediately when it appears that, for legal or other considerations, a reasonable prospect of

removal no longer exists”. Infine ricorda la Corte che non sono ammessi periodi di detenzione oltre i 18

mesi nemmeno a fronte della situazione in cui il soggetto “is not in possession of valid documents, his

conduct is aggressive, and he has no means of supporting himself and no accommodation or means

supplied by the Member State for that purpose”522.

La dottrina ha accolto positivamente la pronuncia della Corte di Lussemburgo: “Il legislatore italiano

dovrà intervenire al più presto per riallineare la disciplina vigente del T.U. ai vincoli imposti dalla

direttiva. Laddove ciò non dovesse per qualsiasi ragione accadere, tuttavia, la direttiva UE sui rimpatri

offrirà una grande opportunità alla magistratura italiana: di contribuire a riconquistare al rispetto dei

diritti fondamentali un settore dell'ordinamento in cui tali diritti – a cominciare dalla libertà personale,

pure proclamato come “inviolabile” dall'articolo 13 Cost. - sono rimasti per troppo tempo sullo

sfondo”. Tale mutamento avverrà senza l'ausilio della Corte Costituzionale “mostratasi

comprensibilmente restia a rovesciare le indicazioni del legislatore in questa materia” rimettendo tutta

la responsabilità sui giudici ordinari. Concludono l'analisi gli autori “Con la speranza di rendere il

sistema attuale un po' meno irrazionale , e soprattutto, un po' meno ingiusto di com'è ora”523.

519 Par. 57520 Un appunto in merito a tale sentenza è in relazione alla condizione dei richiedenti asilo: la corte ritiene infatti che poiché la loro situazione viene regolata da altre norme comunitarie non è possibile ricomprendere nel tempo massimo di detenzione previsto dalla direttiva il tempo di trattenimento a cui sono sottoposti in pendenza di richiesta di protezione internazionale. Cfr. Par. n.8521 Par. n.67 Article 15(4) of Directive 2008/115 must be interpreted as meaning that only a real prospect that removal can be carried out successfully, having regard to the periods laid down in Article 15(5) and (6), corresponds to a reasonable prospect of removal, and that that reasonable prospect does not exist where it appears unlikely that the person concerned will be admitted to a third country, having regard to those periods. Cfr. inoltre Par.63522 Par.71523 F. VIGANÒ, L. MASERA, Illegittimità comunitaria della vigente disciplina delle espulsioni e possibili rimedi giurisdizionali, op. cit, 596

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3.4. Rapporto tra rimpatri e diritti fondamentali

Innegabile il salto di qualità realizzato dalla Comunità europea con la Direttiva Rimpatri.

La definizione di un quadro organico a livello europeo degli obblighi gravanti sugli Stati membri e la

definizione di un iter procedurale definito sono senza dubbio una forma di tutela determinante rispetto

alla discrezionalità degli stati nella definizione dei parametri con cui può essere disposto

l'allontanamento, a fronte anche dei limitati strumenti internazionali che possono ritenersi applicabili.

Nonostante le buone intenzioni espresse dalla Commissione in sede di lavori preparatori “risulta

prevalere un indirizzo che privilegia l'approccio securitario al problema, con l'individuazione dei

cittadini extracomunitari in posizione irregolare quasi esclusivamente come veicolo di problemi di

ordine pubblico o di sicurezza interna”524.

Plurimi sono i profili problematici, in particolare in rapporto alle modalità di applicazione del rimpatrio

che non sembrano “prendere in considerazione, o perlomeno sembrano considerare come elementi

accessori e non primari, la dignità ed il rispetto dei diritti degli esseri umani coinvolti” 525. Plurime le

critiche mosse dalle associazioni di tutela dei migranti e anche da alcuni leader di paesi sudamericani in

relazione all'impatto sugli accordi di riammissione, tra cui rileva il sollecito presentato da dieci esperti

delle Nazioni unite al presidente del Consiglio dell'Unione europea526, che – pur riconoscendo le

potenzialità della Direttiva per creare degli standard uniformi riguardanti i migranti irregolari

all'interno dell'Europa – richiama l'attenzione su alcuni elementi527 particolarmente critici della materia

ed invita ad un celere intervento.

Problematica la possibilità estesa anche ai minori non accompagnati di essere espulsi verso un paese

terzo o paese di transito. Nonostante la norma preveda che l'espulsione possa avvenire soltanto alla

condizione che il minore venga ricondotto ad un familiare o ad un tutore emergono perplessità nel

constatare la definizione di una tutela molto più limitata rispetto a quanto stabilito dal testo unico

524 M. BORRACCETTI, Il rimpatrio di cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, op. cit., p.41525 M. BORRACCETTI Ibidem526 UN News Service, Proposed EU policy on illegal immigrants alarms UN rights experts, 18 July 2008, available at: http://www.unhcr.org527 I rilievi presentati riguardano in particolare la detenzione dei migranti in attesa di espulsione in rapporto al tempo di diciotto mesi considerato eccessivo. Inoltre la direttiva permette agli stati di predisporre la detenzione dei minori non accompagnati, delle vittime di sfruttamento e di altri gruppi vulnerabili, sottolineando "Irregular immigrants are not criminals. As a rule they should not be subjected to detention at all,". Gli esperti pongono inoltre l'attezione sulla necessità di assicurare delle procedure di “judicial review” sulla legittimità del trattenimento. "Established time limits of judicial review must stand even in 'emergency situations’ when an exceptionally large number of undocumented immigrants enter the territory of a member State,". Infine viene espressa costernazione rispetto alla possibilità di impedire il rientro fino a cinque anni, soprattutto in relazione ai casi coinvolti in tratta e per i gruppi particolarmente vulnerabili e la necessità di assicurare una protezione più ampia alle vittime di sfruttamento.

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all'articolo 19 comma 2 lettera a) che dispone il divieto di espellere gli stranieri minori di anni diciotto,

salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi.

Particolarmente contestato il trattenimento esteso fino a diciotto mesi: nonostante la Corte abbia già

limitato la possibilità di trattenere il soggetto alla effettiva possibilità di rimpatrio, l'allungamento dei

termini di detenzione acuiscono ancor più la già tragica condizione a cui sono sottoposti i migranti in

attesa di essere allontanati. E' inoltre discutibile l'aver previsto che il trattenimento possa aver luogo,

nel caso in cui non siano presenti altri centri appositi, presso un istituto penitenziario. Come rileva

Borraccetti, anche se viene prescritta la separazione tra cittadini trattenuti e detenuti ordinari “rimane il

giudizio particolarmente negativo” in quanto “favorisce comunque l'associazione tra fenomeno

criminale ed immigrazione irregolare” e “non considera che le esigenze dei trattenuti – in particolare

modo di quelli rientranti nella categoria delle cd. Persone vulnerabili – sono completamente distinte da

quelle dei detenuti e richiederebbero la presenza di operatori la cui formazione è evidentemente diversa

da quella ricevuta dal personale penitenziario”528.

528 Ivi, 38.

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CONCLUSIONI

La trattazione della condizione dello straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello stato

sembra un problema senza via d'uscita. Come sostenere l'esistenza del principio di dignità umana

richiamato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, della Corte EDU e finanche dalla Carta

europea dei diritti fondamentali dell'Unione europea di fronte al paradigma di esclusione applicato a

livello sia interno che comunitario? “Se il non identico gode per legge dei diritti in misura inferiore ai

nostri ed è soggetto a dei doveri più onerosi dei nostri, siamo in presenza di un grave problema di

discriminazione che deve essere sanato, riformando le disposizioni di legge, oppure attraverso la

giurisdizione costituzionale”529.

Se nemmeno la tutela costituzionale è in grado di intervenire a sanare la discriminazione i soggetti

assumono i contorni delle “non-persone”, “pariah”, membri di una “sottoclasse” che possono essere

impunemente discriminati e sfruttati, e a cui vengono negati – con la complicità delle istituzioni - i

diritti, la dignità e la possibilità del pieno sviluppo della loro personalità530. E' un'esclusione che supera

le normali forme di discriminazione: è un sostanziale e formale riconoscimento della legge del più

forte, della stessa necessarietà di questa struttura ai fini della sopravvivenza dell'Europa.

1. Sul paradigma di esclusione dello straniero, per di più irregolare!

Il lato oscuro dell'esclusione del migrante emerge in modo vistoso nell'analisi delle politiche interne.

Nel primo capitolo, smontando il vessillo dell'emergenza, viene messo in luce come il legislatore

intervenga in materia da un lato sfruttando economicamente la risorsa indispensabile e lucrosa

dell'immigrazione, dall'altra cercando di far presa sull'opinione pubblica. Essendo un paese “in prima

linea” è gioco facile creare consenso su visioni sempre più severe nei confronti dei migranti. In tale

considerazione sono coinvolti sia gli stranieri regolari che non, viste le misure profondamente

discriminatorie messe in atto anche nei confronti dei primi e soprattutto la sottile linea che differenzia i

due status.

529 F. BELVISI, Società multiculturale, persona e Costituzione: l'immigrato come pariah, Diritto immigrazione e cittadinanza, n.3/2010, p.89-90530 Ibidem: “Una società in cui avviene questo, certamente non è una società giusta, ma non è nemmeno una società decente”. Secondo l'autore “uno stato democratico-costituzionale come il nostro deve essere almeno decente, poiché ciò è prescritto dalla sua Costituzione. Per cui non è decente quella società democratica che non mantiene la promessa costituzionale sia di riconoscere e garantire a tutti «i diritti inviolabili dell'uomo», sia di non discriminare alcuno, attribuendo alle persone la dovuta dignità. Infine non è decente quella società le cui istituzioni umiliano e discriminano «di fatto» le persone, concretamente attraverso i propri comportamenti, ma non è decente nemmeno la società che le umilia e le discrimina «astrattamente», attraverso le sue regole e le sue leggi.”

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Non possiamo non rilevare le conseguenze della paralisi produttiva attuale che pone i migranti, per il

vincolo esistenziale “lavoro-permesso di soggiorno”, nella condizione di perdere facilmente il posto e

di conseguenza di restar privi della possibilità di rimanere nel paese.

La ricostruzione normativa, nell'intreccio tra norma amministrativa e penale, ha posto in primo piano il

solo obiettivo dell'allontanamento del migrante, nella pratica raramente realizzato. Nella valutazione

della condizione del migrante irregolare è necessario porsi di fronte al vero nodo problematico della

questione: “la legislazione speciale sul controllo dell'immigrazione irregolare non è in grado di

risolvere, da sé, il problema della crescente porosità delle frontiere, a fronte degli enormi squilibri socio

– economici globali”531.

Pare superfluo affermare il risultato fallimentare del controllo repressivo dei flussi che ha incentivato

soltanto l'accesso ai canali irregolari; come afferma Guazzarotti “ogni irrealistica scelta di irrigidire

l'ingresso migratorio implica una consapevole tolleranza dello sfruttamento economico della

clandestinità”.

Valutando la situazione odierna italiana è proprio la scarsa applicazione della normativa di contrasto

all'immigrazione irregolare che permette un funzionale equilibrio tra l'arrivo di irregolari e l'impiego di

essi a livello lavorativo; situazioni in secondo momento regolarizzate attraverso sanatorie pagate a peso

d'oro dagli immigrati pur di vedersi finalmente riconosciuto il diritto ad avere il permesso di soggiorno.

“La legge che governa l'immigrazione non è quella posta dal legislatore, ma la legge pneumatica

dell'irregolarità: maggiore è la distanza tra domanda di lavoro da parte delle imprese e delle famiglie e

flusso legale dell'immigrazione, maggiore è la velocità con cui si forma la bolla dell'illegalità e

maggiore è la pressione per sgonfiarla con provvedimenti di sanatoria”532.

Emerge evidente la difficoltà del legislatore di gestire in modo efficace il fenomeno; la concreta

irrealizzabilità della maggior parte degli accompagnamenti alla frontiera crea un sistema vizioso di

reclusione tra CIE e carcere: dopo il primo periodo di trattenimento volto all'identificazione – se non

viene con successo concluso l'iter per il rimpatrio – viene consegnato allo straniero irregolare un ordine

di allontanamento che, se non ottemperato entro cinque giorni, prevede come sanzione la detenzione in

carcere.

Mancando la possibilità di regolarizzare in itinere la propria condizione – salvo le seppur ricorrenti

sanatorie – il migrante viene indotto sempre più nell'ombra, creando l'ulteriore conseguenza di favorire

in tal modo il mondo sommerso del lavoro nero e dello sfruttamento dei “clandestini”, reso ancor più

531 A. GUAZZAROTTI, Lo straniero, i diritti. L'uguaglianza, Questione giustizia, n.1/2009, p.99-100532 A. CAPUTO, Verso una nuova legge sull'immigrazione, Questione giustizia, n.3/2007, p. 439; M. LIVI BACCI, Una regolare irregolarità. Vivere da immigrati fuori dalle regole, Il mulino, 3/2006, p.494.

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grave dalla difficoltà del migrante di denunciare le violenze subite per evitare di mostrare la propria

condizione di irregolarità. “L'esclusione pubblica dei migranti è il risultato di meccanismi perversi, che

attori diversi riescono a sfruttare a proprio vantaggio, ed è funzione decisiva nel mantenimento delle

gerarchie dell'attuale società globalizzata. Facendone dei cittadini, unica condizione per toglierli dal

limbo delle non-persone, la società rimuoverebbe evidentemente anche le basi, materiali e simboliche,

dell'esclusione radicale dei migranti e della microconflittualità sociale e urbana. In breve, gli ostacoli

ufficiali all'immigrazione fanno sì che i migranti non possano uscire da una condizione di

subordinazione”533.

E' il volto duro di un legislatore che utilizza la carta della paura per cittadini e non: i migranti

sopravvivono nell'illegalità e si nutrono di essa, i primi ribaltano sul capro espiatorio del momento i

mali dell'economia odierna e della paranoia sicurezza. Dal lago individua nell'inesistenza giuridica

degli stranieri la causa immediata della loro condizione virtuale di non persone. “Uno straniero

“illegittimo” o “illegale” non esiste socialmente, oppure esiste, tollerato o non visto, in un limbo da cui

può essere in ogni momento allontanato o fatto sparire” 534. “Il diritto si arresta di fronte agli stranieri,

nel senso che li esclude dal proprio ambito535. Gli stranieri vengono fatti sparire legalmente dall'ambito

della legge in nome di una necessità superiore (“la loro pericolosità”, l'allarme sociale). Oppure, il

diritto ne decreta la non esistenza quando decide che non possono vivere tra noi in quanto

«clandestini». Di fronte a queste situazioni il sistema giuridico opera in funzione di una vera e propria

«a-legalità». Quando si occupa di stranieri clandestini o irregolari, esso li trae dalla condizione di «a-

legalità» solo per sancirne «legalmente» la non-esistenza espellendoli”536.

Nel controllo del fenomeno ricorrente è l'utilizzo di strumenti emergenziali, non finalizzati perciò ad

una gestione a lungo termine bensì lasciata alla mercè di risposte punitive determinate dall'assenza di

qualsiasi ragionevole presa di coscienza della stessa dimensione globalizzata in cui siamo inseriti. In

realtà la comparazione giuridica dimostra che non si tratta di mera sprovvedutezza od ingenuità di

fronte all'ennesima crisi umanitaria, ma che tale disciplina è il frutto della deliberata scelta dei poteri

statali di liquidare il problema con lo strumento della sicurezza pubblica, incapaci di proporre delle

soluzioni volte all'accoglienza e all'integrazione.

533 A. DAL LAGO, Non-persone, p.255534 A. DAL LAGO, Non-persone, p.221535 Paradossalmente, il fatto che uno straniero sia non punibile anche se condannato dimostra come la necessità sociale della sparizione sia superiore a quella del diritto formale. Un essere umano giudicato per un reato entra in uno spazio giuridico e quindi di fatto, in quella società di cui quello spazio è espressione formale. Ciò significa che può e deve essere difeso, che può farsi ascoltare, che ha dei diritti, che esiste. Espellendolo prima o dopo la condanna, la società lo fa sparire, dimostrando che l'universalità delle norme giuridiche, che pure è proclamata dalla costituzione, può non contare granchè di fronte alla necessità, comunque determinata, della sparizione. 536 A. DAL LAGO, Non-persone, p.223-224

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Accanto al processo di etichettamento subito dal migrante, l'attuale modo di gestire il fenomeno

migratorio mette in luce un'altra “logica, che ha molte più possibilità di prevalere, che consiste nel

lasciare il governo dell'immigrazione nelle mani delle polizie che hanno ancor più margini di

discrezionalità di qualsiasi governo”537 . “Le forze di polizia hanno sempre svolto un ruolo di primo

piano nel governo effettivo delle migrazioni (…) Con il passaggio alla società tardo industriale, in cui

non è più necessaria una grande massa di produttori ( e gli immigrati sono assorbiti nei settori

marginali del mercato del lavoro), l'immigrazione si trasforma facilmente in un “problema criminale”,

in minaccia allo stato “democratico” delle società dominanti. Il nodo cruciale riguarda la specificità

dell'attuale ridefinizione dell'ordine sociale, quindi non solo degli inclusi e degli esclusi, che possono

anche apparire più o meno simili a quelli tradizionali, ma la risposta unicamente repressivo – penale o

militare che è destinata agli esclusi”538. Secondo Caputo l'analisi della materia deve essere perciò

condotta nella prospettiva del sicuritarismo, “oggi largamente accreditata negli orientamenti di politica

del diritto dominanti nelle democrazie occidentali”. “Il sicuritarismo genera risposte di segno

repressivo alla crisi epocale che attraversa i paesi occidentali e che ha travolto consolidati modelli di

mediazione politico-sociale e di sostegno pubblico alle fasce deboli. (…). La condizione dei migranti

può essere considerata da questo punto di vista, il terreno privilegiato per il dispiegarsi del

sicuritarismo, che traduce la straordinaria complessità dei fenomeni migratori dei nostri giorni –

prodotto di fattori oggettivi, non contingenti (gli enormi squilibri economico-sociali tra i vari Nord e i

vari Sud del mondo), ma anche esercizio soggettivo del “diritto di fuga” da quei fattori – in termini di

questione criminale, da fronteggiare con politiche di stampo marcatamente repressivo

-segregazionistico”539.

In questo contesto la questione viene risolta da un lato nella amministrativizzazione del diritto

dell'immigrazione, dall'altro nella gestione degli strumenti della criminalizzazione, più per ottenere

l'appoggio dell'opinione pubblica che per incidere più efficacemente sul problema. “L'attribuzione di

ampie competenze decisorie ad organi amministrativi è stato uno tra i più efficaci dispositivi di

limitazione dei diritti dei migranti, tanto nei paesi di partenza quanto in quelli d'arrivo. Lo spazio

concesso ai poteri amministrativi per dare forma e contenuto ai diritti di emigrare ed immigrare ha

rappresentato spesso lo strumento di negazione indiretta della libertà individuale di movimento: il

migrante si trovava schiacciato tra l'opprimente burocrazia per la concessione dei documenti di viaggio

– e le possibili restrizioni ministeriali della libertà di partire – e l'aumento delle cause di esclusione o di

537 S. PALIDDA, La conversione poliziesca delle politiche migratorie, in A. Dal lago, Lo straniero e il nemico. Materiali per l'etnografia contemporanea, p. 233538 S. PALIDDA, La conversione poliziesca delle politiche migratorie, op. cit., p. 210539 A. CAPUTO, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, op. cit., p.360

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espulsione, senza quasi mai intravedere la possibilità di rivendicare la propria pretesa in giudizio540.

Nell'evoluzione delle politiche migratorie si può scorgere tale sviluppo. Nonostante la materia sia stata

fin dall'inizio particolarmente disomogenea, i tratti più evidentemente proibizionistici si sono

manifestati dall'emanazione della Legge Bossi-fini fino alle ultime modifiche. “Il risultato di queste

politiche è rappresentato da un convulso susseguirsi di normative tese al perseguimento di un duplice,

impossibile obiettivo: l'impossibile blindatura delle frontiere e l'impossibile effettività dei

provvedimenti di allontanamento. E la ricerca di obiettivi impossibili si è tradotta nella corsa al rialzo

delle misure repressivo-segregazionistiche (nuove forme di espulsione, nuovi strumenti esecutivi degli

allontanamenti, nuove fattispecie di reato, nuove circostanze aggravanti, nuove ipotesi di arresto..), in

un crescendo che ha avuto pesanti riflessi sul diritto penale dell'immigrazione, terreno privilegiato

anche per cogliere le ricadute sugli ordinamenti – e, in particolare su quelli penali – della logica di

guerra che attraversa le nostre democrazie, proiettando il sicuritarismo verso un'ulteriore, più profonda

torsione rispetto al modello di tutela delle libertà inviolabili della persona delineato dallo stato

costituzionale. Il rinvenimento nella normativa penal-amministrativistica sull'immigrazione di tracce di

un vero e proprio “diritto penale del nemico” si ricollega, in quest'ottica, al ruolo del migrante quale

nemico della società”541. Anche dal punto di vista del diritto quindi possiamo delineare l'introduzione di

fattispecie che contribuiscono a delineare questo fenomeno, che vengono richiamate con il riferimento

a tale categoria dottrinale del diritto penale del nemico.

La disciplina dell'immigrazione mostra gli elementi paradigmatici di tale modello, come viene messo in

luce da Caputo traendo riferimento dal saggio di Bricola542: “l'intreccio tra i diversi rami

dell'ordinamento – penale e amministrativo – e la contaminazione, lo svilimento dei rispettivi principi;

la politicità della materia dell'immigrazione, ossia quella pertinenza al potere esecutivo che si traduce

nella centralità del ruolo dell'autorità di polizia e nella conseguente amministrativizzazione dei diritti

fondamentali del migrante; la sterilizzazione dell'intervento della giurisdizione e la drastica

540 Per un confronto storico vedi: M. PIFFERI, La doppia negazione dello ius migrandi tra otto e novecento, in GIOLO E PIFFERI, Diritti Contro. Meccanismi di esclusione dello straniero, p.72 – 73: “In questa logica in molti ordinamenti europei del XIX e XX secolo si è degradato il diritto soggettivo di emigrare a mero interesse legittimo al fine di segue la stessa logica dell'orientamento della corte suprema americana che considera i soggetti non ancora ufficialmente ammessi come portatori di posizioni giuridiche non equiparabili a diritti e di conseguenza non meditevoli della stessa tutela [lo straniero al porto d'arrivo per i controlli ispettivi non è ancora stato ammesso nel paese e non può pertanto godere né dei diritti riservati agli aliens entrati legalmente né dei diritti dei cittadini; la regola è chiaramente espressa dalla S.C. In Turner v. Williams, 194 US. (1904)]: gli obiettivi sono, in entrambi i casi, la negazione al migrante del possibile ricorso alla tutela giurisdizionale contro le violazioni dei suoi diritti e il conferimento ad autorità amministrative di poteri di polizia nella regolamentazione del fenomeno migratorio. Prefetti, sindaci, agenzie d'emigrazione, ispettori portuali nei luoghi d'imbarco e di sbarco, commissari per l'emigrazione: sulle due sponde dell'oceano le figure deputate a consentire o proibire la partenza e l'arrivo dei migranti sono varie, ma tutte accomunate dalla dipendenza diretta con il potere esecutivo, da un rilevante margine di discrezionalità valutativa, da ridottissimi spazi di sindacabilità giurisdizionale. 541A. CAPUTO, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, op. cit., p.362 542 F. BRICOLA, Politica criminale e scienza del diritto penale, Il mulino, 1997

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semplificazione delle procedure. Insomma i profili del diritto speciale dei migranti delineato dal nostro

ordinamento ricalcano, per tratti significativi,la fisionomia della condizione dello straniero disegnata

dalla legge di polizia del 1931543.”

Il reato di immigrazione irregolare è paradigmatico: un sistema che ricalca il mezzo amministrativo già

esistente ovvero se l'espulsione non è comminabile ripiega sulla pena pecuniaria; come può giustificarsi

una tale scelta politica? Palese è la necessità di ricorrere ad uno strumento inutile e dannoso per il

sistema giudiziario come la nuova fattispecie penale soltanto per testimoniare la guerra ai “clandestini”.

2. La direzione dell'Europa

Il modello di esclusione dello straniero emerge in forma diversa ma ugualmente nitida dalla Direttiva

rimpatri: gli Stati europei hanno accettato il compromesso di vincolare parte della propria sovranità

territoriale – sia pur non così consistente per le ampie deroghe concesse – per attuare in modo più

efficace ciò che la stessa Comunità europea persegue, ovvero la difesa dei confini; la

comunitarizzazione della materia consente infatti di “alzare le mura della fortezza Europa”544.

Fin dai considerando introduttivi della direttiva si può ben cogliere l'intento del legislatore europeo:

predisporre una disciplina uniforme al fine di garantire i diritti fondamentali ma allo stesso modo

potenziare i meccanismi di protezione e di controllo dei confini esterni. “In questo clima di rinnovata

attenzione per la chiusura delle frontiere esterne, in cui ai vecchi problemi di controllo dei flussi

migratori si sommano quelli nuovi legati alla sicurezza dell'unione, rischia di rimanere in secondo

piano la questione della tutela dei diritti fondamentali dell'individuo che viene rimpatriato. L'adozione

e la successiva attuazione, da parte di uno Stato membro, di una misura di rimpatrio pongono, infatti,

delicati problemi di compatibilità con taluni obblighi internazionali”545. Si mostrano in tal modo i due

volti dell'Europa: “da un lato quello antirazzista dall'altro quello della «fortezza europa», cioè di

543 A. CAPUTO, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, op. cit., p.360 544 A. ALGOSTINO, La direttiva “rimpatri”: la fortezza Europa alza le mura, in Forum di Quaderni Costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 16 luglio 2008 che sostiene: “Se qualche merito poteva essere ascritto all’Unione europea, sotto la cui egida si compie in nome della libera concorrenza lo smantellamento dello stato sociale e dei diritti del lavoro, riguardava la disciplina dell’immigrazione, dove la linea guida era la strategia del doppio binario: integrazione e repressione, tutela dei diritti e esigenze di controllo dell’immigrazione. Si precisa: senza essere con ciò sostenitori di tale strategia. Il doppio binario rappresenta già un bilanciamento fra diritti, sanciti dalle costituzioni e dai patti internazionali e continentali sui diritti dell’uomo, e interessi alla gestione dei flussi migratori e al controllo delle frontiere, che facilmente incede in censure di incostituzionalità e in violazione dei patti sui diritti umani. Comunque sia, le direttive comunitarie hanno costituito spesso, soprattutto nei confronti di alcuni Stati, fra i quali l’Italia, facili prede di mistificatrici ed invasive suggestioni securitarie, un argine. Con la c.d. direttiva rimpatri logiche utilitaristiche e invocazioni alla sicurezza esondano anche a livello europeo.”545 L. ALENI, La politica dell'Unione Europea in materia di rimpatrio e il rispetto dei diritto fondamentali , Il diritto dell´Unione europea, n.3/06, pag. 586

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orientamento puramente poliziesco della politica d'immigrazione546. Al fine di garantire

l'allontanamento dello straniero l'attenzione si concentra sulla realizzazione del rimpatrio nel paese di

provenienza e a tal fine “si sottolinea la necessità di accordi comunitari e bilaterali di riammissione con

i paesi terzi. La cooperazione internazionale con i paesi d'origine in tutte le fasi della procedura di

rimpatrio è una condizione preliminare per un rimpatrio sostenibile”547. Strumento prescelto per

facilitare la cooperazione con gli stati terzi nella realizzazione delle operazioni di rimpatrio dei cittadini

extra-comunitari soggiornanti illegalmente in Europa sono gli accordi di riammissione548. Il ruolo degli

accordi e´ proprio quello di disciplinare l'iter che precede il rimpatrio, rendendolo più agibile e

riducendone le formalità549. Infatti se “pacifica è l'esistenza di una norma di diritto internazionale

generale che impone allo stato di riammettere il proprio cittadino su richiesta di un altro stato,

l'esistenza di tale obbligo non è di per sé sufficiente a garantire l'esecuzione di una misura di

allontanamento. In assenza di una prova certa circa la nazionalità dell'individuo o di un valido

documento di viaggio, questi non può essere rinviato verso il paese di origine: in sostanza per effettuare

un rimpatrio occorre l´attiva collaborazione dello stato di cittadinanza”550. Un profilo particolarmente

incidente sulla tutela effettiva dei migranti e´ la previsione in capo agli stati terzi dell'obbligo di

riammissione – non previsto dal diritto internazionale generale – del cittadino di altro Stato terzo che

sia transitato entro i propri confini prima di entrare nello stato di arrivo. Come previsto all'articolo 3.3

della Direttiva n.115 del 2008, il concetto di «rimpatrio» inteso come “processo di ritorno di un

cittadino di un paese terzo nel proprio paese di origine sia in adempimento volontario di un obbligo di

rimpatrio sia forzatamente” è stato esteso anche all'allontanamento verso un paese di transito in

conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese”551; in tal modo viene

sancita la possibilità di disporre il rimpatrio senza il consenso del soggetto verso un paese diverso da

quello di provenienza ma per il quale abbia transitato prima di entrare nel territorio europeo. Tale

scelta, a parere della dottrina, sembra determinata dalla volontà di scoraggiare l'immigrazione

irregolare ma sopratutto per “ovviare agli ostacoli che le autorità competenti possono incontrare sul 546 S. PALIDDA, Le migrazioni come crimine, in BASSO E PERROCCO, Gli immigrati in Europa, Diseguaglianze, razzismo, lotte, 2003, p.64547 Preambolo n.7 Direttiva 548 E. RIGO, individua negli accordi di riammissione e nel principio degli stati terzi sicuri i principali strumenti attraverso cui si attua l´”estensione” e la “deterritorializzazione” delle frontiere europee. Cfr. E. Rigo, Problemi posti dal recepimento dell’aquis communitaire in materia di immigrazione, asilo e soggiorno nei paesi candidati all’ingresso nella UE, Seminario di ricerca CIRDU – Università Ca’ Foscari 23 gennaio 2004, p. 3549 A seguito della domanda inoltrata dallo stato d´arrivo (stato richiedente) ed una procedura veloce di accertamento dell'identità e della nazionalità del migrante, lo stato di cittadinanza (stato richiesto) concede l'autorizzazione al rimpatrio. 550 L. ALENI, La politica dell'Unione Europea in materia di rimpatrio e il rispetto dei diritto fondamentali, op. cit., p. 587-589551 Completa la previsione la possibilità di essere allontanato verso “un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato”

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proprio percorso quando devono provvedere all'identificazione del cittadino immigrato irregolare”,

difficoltà che possono emergere non soltanto in rapporto alla mancata collaborazione del soggetto

coinvolto ma anche la mancata collaborazione dello stato di appartenenza. In questo modo il migrante

irregolare sarà oltremodo responsabile di tali mancanze a lui non imputabili, in quanto

“verosimilmente si considera prevalente la sua responsabilità di essere entrato o di essersi trattenuto sul

territorio dell'Unione europea”. Questo assetto così definito cela rischi non facilmente fugabili rispetto

all'obbligo in capo agli stati di rispettare i diritti fondamentali come tutelati in primis dalla CEDU.

Come testimoniato dagli innumerevoli report di organismi internazionali, disumane sono le condizioni

a cui sono sottoposti i migranti a seguito di una tale “appaltizzazione” nell'implementazione degli

obblighi discendenti dal rimpatrio552.

L'impianto della direttiva impone agli Stati di intervenire in modo efficiente sulla questione degli

ingressi irregolari: subordinando la permanenza nei centri di identificazione ed espulsione soltanto alla

condizione per cui sia possibile effettuare il rimpatrio, l'Europa obbliga i governi ad operare

efficacemente al ritorno dei migranti nel proprio Paese, o come appena sottolineato, verso i Paesi di

transito. Gli Stati membri saranno perciò sempre più propensi alla stipulazione di accordi con Paesi

terzi proprio per “adempiere” alla pressione europea. A conclusione di queste considerazioni emerge

ancora più evidente il significato e la portata degli accordi di riammissione. Questi patti eminentemente

di natura economica non soltanto garantiscono la possibilità di una più rapida realizzazione delle

procedure di rimpatrio bensì hanno come presupposto il deferimento del controllo dei flussi migratori

ai paesi terzi che diventano le nuove frontiere di protezione del vecchio continente e assicurano

all'Europa tutta “sogni tranquilli e coscienza pulita”553. Un altro elemento che rimarca la pressione sulle

frontiere esterne è il particolare ruolo affidato ai nuovi paesi entrati nello spazio europeo554.

552 Basti ricordare i regimi dittatoriali che reggono i paesi con cui l'Italia ha concluso molti accordi bilaterali nella zona del Mediterraneo, non da ultimo il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la repubblica Italiana e la grande Giamahiria araba libica popolare socialista” 553 Per un approfondimento sugli effetti del Trattato Italia – Libia con le testimonianze dei migranti sottoposti a inumane peregrinazioni Cfr. il documentario di A. Segre, Come un uomo sulla terra, Produzioni Asinitas Onlus e ZaLab, 2008, Italia554 Un'altra conferma di tale tendenza sembra riscontrabile nell'attuale sistema di tutela del diritto d'asilo in Europa. Il sistema Dublino II ha introdotto un sistema per individuare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d'asilo sul principio del primo stato in cui il migrante sia transitato. La logica sottostante mostra la volontà da parte degli stati centrali di rimettere il problema agli stati esterni che, colpiti in modo massiccio dagli sbarchi e dagli attraversamenti delle frontiere, spesso si trovano in difficoltà nella gestione isolata di un fenomeno allargato. Sulla necessità di revisione del sistema si sono espresse molteplici organizzazioni a tutela dei migranti e anche la stessa Commissione europea. Le proposte da apportare che sono state sottoscritte a livello istituzionale “sottolineano la necessità di introdurre un qualche meccanismo, seppure limitato, di sospensione dei trasferimenti attuabili per evitare oneri eccessivi agli Stati più sollecitati e per tutelare i richiedenti asilo dal pericolo di essere presi in carico in Paesi in cui il livello di protezione non è adeguato sotto i diversi profili esaminati. Viene posto inoltre al vaglio istituzionale la necessità di introdurre garanzie supplementari tanto in ordine ad un effettivo rafforzamento delle garanzie giuridiche, quanto ad una maggiore tutela dei minori non accompagnati e del diritto all’unità familiare.” Cfr. M. SALERNO, La protezione internazionale (II): Il cd. Regolamento Dublino, Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti - N.00 del 02.07.2010

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“L'allargamento dell'Unione europea con l'estensione dello spazio comune di “libertà, sicurezza e

giustizia” ha comportato l'obbligo per i nuovi paesi di recepire l´aquis communautaire in materia di

immigrazione e asilo” e di farsi carico della difesa delle frontiere esterne nel controllo degli ingressi

irregolari. Secondo Enrica Rigo555 “il riposizionamento dei confini dell’UE mette in luce le

conseguenze del “legal transfer”556 rispetto alla definizione della “cittadinanza europea” evidenziando,

in particolare, un processo di frammentazione e scomposizione della cittadinanza attraverso la

produzione di figure diversamente qualificate in termine di diritti”557.

A livello giurisprudenziale si coglie un diverso indirizzo. La creazione di un maggiore consenso

europeo in materia di diritti fondamentali, testimoniato dal progressivo richiamo della Corte di

Lussemburgo alla CEDU e i cambiamenti introdotti dal Trattato di Lisbona, ha riportato l'attenzione sui

diritti dei migranti irregolari. La corte EDU è intervenuta sistematicamente, anche nei confronti del

nostro paese, per riaffermare l'inviolabilità di quei minimi diritti riconosciuti dalla Convenzione.

Positivi segnali provengono dalla comunitarizzazione delle materie sensibili al controllo statale, tra cui

quella migratoria. Ciò ha permesso alla corte di Giustizia della Comunità europea di “ ridurre i margini

di apprezzamento riconosciuti allo Stato interessato – e di interpretare tale margine come una cornice

all'interno della quale sindacare la normativa impugnata alla luce di molteplici criteri di giudizio – e di

arricchire i propri richiami alla “società democratica”, attribuendogli un maggior valore di protezione

rispetto alla sua tradizionale valenza di clausole legittimante le pratiche statuali di limitazione dei

diritti”558. “L'espansione degli interventi della Corte in materia di competenza e rilevanza statuale e

l'avvio di interpretazioni rights based degli istituti comunitari, costruite a partire da un approccio

comparativo che rilegge il principio comunitario di non discriminazione alla luce di apporti provenienti

dalle esperienze nazionali e da quella Cedu, cominciano dunque ad interessare i diritti e le libertà degli

555 E. RIGO, Problemi posti dal recepimento dell' “aquis communautaire” in materia di immigrazione, asilo e soggiorno nei paesi candidati all’ingresso nella UE, Seminario di ricerca CIRDU – Università Ca’ Foscari 23 gennaio 2004 p. 1556 Viene definito “legal transfer” il fenomeno della trasposizione nel ordinamento statale di nuove disposizioni provenienti da altri sistemi giuridici557 E. RIGO, Problemi posti dal recepimento dell’aquis communitaire in materia di immigrazione, asilo e soggiorno nei paesi candidati all’ingresso nella UE, op. cit., p. 8: “Il riposizionamento delle frontiera orientale dell’Europa implica la fortificazione di confini che in passato erano facilmente attraversabili o, addirittura, non esistevano. L’imminente allargamento dell’UE, inoltre, è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di ri-definizioni dei confini nazionali che hanno caratterizzato la storia della regione. Come conseguenza di tali mutamenti, in quasi tutti i paesi CEE la presenza di minoranze etniche nazionali che risiedono in paesi confinanti, e che hanno perso la cittadinanza d’origine, viene percepita in maniera problematica. Ciò ha indotto molti di questi stati ad approvare norme che garantiscono ai connazionali residenti in altri paesi uno status di semi-cittadini. Il caso più conosciuto è quello della cosiddetta Status Law approvata in Ungheria, la quale assicura agli ungheresi residenti all’estero (e cittadini dei paesi di residenza) la possibilità di godere di permessi di soggiorno per lavoro e altri benefici sociali in Ungheria. Recentemente, anche altri paesi, tra cui la Bulgaria e la Polonia hanno approvato legislazioni analoghe o semplificato le procedure di acquisizione della cittadinanza a beneficio delle proprie minoranze nazionali residenti nei paesi confinanti.” 558 Bascherini G., Immigrazione e diritti fondamentali. L'esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee,

op. cit., p. 257

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immigrati in direzione di un “interesse pubblico” comunitario pluralistico e assiologicamente

irriducibile alle sole libertà comunitarie di circolazione”559.

Nel paradigma di protezione multilivello dei diritti i rapporti tra politica e diritto diventano non soltanto

sempre più frequenti, ma sempre più determinanti. Due recentissime sentenze paiono a mio avviso

confermare tale assunto. Sul versante comunitario la sentenza Kadzoev v. Bulgaria mostra il ruolo

della Corte nel tutelare la libertà fondamentale dello straniero irregolare anche sancendo l'illegittimità

delle legislazioni nazionali – come potrebbe a breve avvenire nei confronti dell'Italia vista l'illegittimità

dell'attuale normativa. Nel sistema CEDU invece si evidenzia la sentenza Belgio v. Grecia che,

riconoscendo la violazione della CEDU nell'applicazione del Regolamento Dublino II, ha dato un forte

segnale alla Comunità europea in rapporto alla tutela del diritto d'asilo in Europa. Ciò non fa escludere

possibili ricorsi alla CEDU per violazione di diritti connessi alla regolamentazione della direttiva

rimpatri.

Le modifiche repentine e la situazione attuale di continui arrivi di migranti sul territorio italiano e in

Europa connota la materia di estrema precarietà. Se da un lato si sottolinea la crescita di attenzione a

livello giurisprudenziale sul problema dei diritti fondamentali anche in tema immigrazione, gli scenari

europei nella gestione dell’immigrazione irregolare fanno presumere un atteggiamento sempre più

repressivo nei confronti dei diritti dei migranti.

559 BASCHERINI G., Immigrazione e diritti fondamentali. L'esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, op. cit., p. 257 - 258

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Un particolare ringraziamento va al Forum Trentino per la pace e per i diritti umani per il

conferimento della borsa di studio a sostegno della stesura del presente lavoro.