Patto di stabilità, principi costituzionali ed attuazione ...

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di Francesco Sucameli Magistrato contabile e Dottore di ricerca Università degli Studi di Palermo “Patto di stabilità”, principi costituzionali ed attuazione politica: la legge di bilancio 2019 e l’art. 9 della l. n. 243/2012 attraverso il prisma della giurisprudenza del Giudice delle leggi 31 LUGLIO 2019 ISSN 1826-3534

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di Francesco Sucameli

Magistrato contabile e Dottore di ricerca Università degli Studi di Palermo

“Patto di stabilità”, principi costituzionali ed attuazione politica: la legge di bilancio 2019 e l’art. 9 della l. n. 243/2012 attraverso il prisma della giurisprudenza del Giudice delle leggi

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“Patto di stabilità”, principi costituzionali ed attuazione politica: la legge di bilancio 2019 e l’art. 9 della l. n.

243/2012 attraverso il prisma della giurisprudenza del Giudice delle leggi *

di Francesco Sucameli

Magistrato contabile e Dottore di ricerca Università degli Studi di Palermo

Sommario: 1. Premessa. 2. La genesi del c.d. Patto di stabilità interno. Il patto di stabilità e crescita europeo (PSC). 3. I diversi modelli normativi di Patto di stabilità interno: il “doppio binario”. 4. Il sistema di “rimedi”: violazione ed elusione del Patto di stabilità e conseguenze di legge. 5. L’odierno saldo di competenza “pura”. Dal Patto di stabilità, al saldo di finanza pubblica, sino al “pareggio di bilancio”. 6. Il sistema di “limitazioni” e “sanzioni” a corredo dell’effettività del “pareggio di bilancio”. 7. La giurisprudenza costituzionale a tutela dell’equilibrio di bilancio delle autonomie e le “contromisure” legislative nella legge di bilancio 2019, 8. Alcune considerazioni sulla soluzione legislativa ordinaria. I limiti alla discrezionalità del legislatore ed il coordinamento della finanza pubblica. 9. La permanente vigenza dell’art. 9 della l. n. 243/2012 quale legge-paradigma ed il rimedio del “disavanzo” di solidarietà. 10. Conclusioni. 1. Premessa

La declinazione interna dei vincoli comunitari ha portato alla elaborazione di dispositivi legislativi di

coordinamento della finanza pubblica, ancora oggi chiamati genericamente “patto di stabilità interno”,

ma che hanno nel tempo mutato denominazione e struttura. La sede di tali dispositivi è coincisa

annualmente con le leggi finanziarie, poi diventate nel tempo “leggi di stabilità”, infine, “leggi di bilancio”.

L’odierna analisi mira ad evidenziare novità e criticità della recente formulazione di tale dispositivo,

contenuto nella legge di bilancio 2019 (Legge 30 dicembre 2018, n. 145).

Il saggio, in via preliminare, ripercorre la storia e la struttura del “patto” del correlato sistema di rimedi

introdotti nel tempo per garantire il concorso delle autonomie territoriali al raggiungimento degli

obbiettivi di finanza pubblica eurounitari (l’originario patto di stabilità e crescita e i suoi sviluppi).

Lo scritto evidenzia che dietro il cambio di denominazione (prima patto di stabilità interno, poi “saldo di

finanza pubblica”, infine il “pareggio di bilancio”) vi è stata una profonda e progressiva trasformazione

della struttura del dispositivo legislativo. Esso è stato declinato prima in tetti di spesa su grandi aggregati

* Articolo sottoposto a referaggio.

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di parte corrente, poi in veri e propri saldi1 che il bilancio era tenuto a raggiungere in aggiunta all’equilibrio

di bilancio, attraverso il risultato di amministrazione. In proposito, infatti, si è parlato di “doppio binario”,

ossia della imposizione agli enti territoriali, nella costruzione del bilancio, di un obiettivo contabile

ulteriore a quello della mera copertura della spesa (ossia l’equilibrio nella continuità degli esercizi

finanziari, mediante il risultato di amministrazione).

Con il tempo, inoltre, questi dispositivi legislativi sono stati accompagnati da un articolato sistemi di

“rimedi” per renderne effettiva l’osservanza (le c.d. “limitazioni” e “sanzioni” che, come si vedrà, sono

rimesse al sindacato e alla giurisdizione speciale della Corte dei conti).

In estrema sintesi, la storia legislativa del “patto di stabilità interno” risulta connotata da due principi di

struttura: a) il c.d. “doppio binario”, b) un corredo di sanzioni e limitazioni amministrative dirette a

garantirne l’effettività e la cogenza.

La legge di bilancio 2019, sembra avere invertito il segno su entrambi i ridetti principi di struttura2.

In secondo luogo, sul piano della motivazione del superamento di questo modello ultradecennale,

l’attenzione degli operatori, della stampa, ma soprattutto dello stesso Legislatore, si è concentrata su una

specifica e recente giurisprudenza costituzionale (segnatamente, le sentt. 247/20173 e n. 101/2018) che il

Legislatore espressamente richiama come causa del mutamento di paradigma.

1 Per una disamina dei primi interventi normativi, si rinvia a F. PIZZETTI, Patto di stabilità interna: una via obbligata nei rapporti tra Stato centrale e sistema dei soggetti periferici, in Le Regioni, n. 5/1998, p. 1373 e ss. Il dibattito scientifico, successivamente, ha registrato numerosi contributi, tra i quali si segnalano, per l’approccio problematico al saldo, i contributi di G. DELLA CANANEA, Patto di stabilità e le finanze pubbliche nazionali, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, n. 4/2001, p. 559 e ss.; C. PINELLI, Patto di stabilità interno e finanza regionale, in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2004, p. 418 e ss.. Si permetta altresì di rinviare a F. SUCAMELI, Il patto di stabilità interno fra politica e diritto, in Quaderni costituzionali, 2004, p. 407 e ss.. Per la ricostruzione storica dei problemi posti dal saldo, si rinvia a P. GIARDA, Relazione introduttiva al Convegno “Il patto di stabilità e di crescita nelle regioni a statuto speciale e province autonome vincoli ed opportunità”, Aosta, 10 dicembre 2004. cfr. http://www.regione.vda.it/enti_locali/allegato_i.asp?id=1155 , nonché a P. DE IOANNA – C. GORETTI, Patto di stabilità interno e attuazione dell’art. 119 della Costituzione, note e riflessioni di avvio della nuova legislatura, in Federalismo fiscale, n. 2/2007, p. 53 e ss.. Cfr. più di recente R. BIN, L'autonomia finanziaria delle Regioni speciali tra vincoli europei, obbligo di solidarietà e leale cooperazione, in Le Regioni, 3/2015, p. 799 e ss. 2 Cfr. L. CIMBOLINI, Pareggio di bilancio, con l’addio alle sanzioni spesa senza rete, su il Sole24ore del 11 gennaio 2019 e G. TROVATI, Pareggio di bilancio con libertà totale: niente sanzioni per chi sfora i vincoli, su il Sole24ore del 3 dicembre 2018, reperibili rispettivamente su http://quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/art/fisco-e-contabilita/2019-01-10/l-addio-pareggio-bilancio-lascia-enti-senza-rete-151334.php?uuid=AEFhyqCH e http://quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/art/fisco-e-contabilita/2018-11-30/pareggio-bilancio-liberta-totale-niente-sanzioni-chi-sfora-vincoli-172142.php?uuid=AEaw1VqG . 3 Cfr. L. ANTONINI, La Corte costituzionale a difesa dell’autonomia finanziaria e il bilancio è un bene pubblico e l’equilibrio di bilancio non si persegue con tecnicismi contabili espropriativi, in Rivista Aic, n. 1/2018, nonché P. SANTORO, La resilienza della legge rinforzata sugli equilibri di bilancio: moniti e correttivi della consulta, 3 gennaio 2018, su http://www.contabilita-pubblica.it/Archivio%202018/Dottrina/Pelino%20Santoro.pdf .

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Lo scritto cercherà di dimostrare che non è vera né la prima “impressione” (permane un “doppio

binario”, presidiato da un effetto che è disciplinato dallo stesso art. 9 della l. n. 243/2012) né la seconda

(il carattere obbligato della scelta, a causa delle sentenze della Corte costituzionale).

Con riguardo al primo aspetto, infatti, il saggio si concentra sulla posizione, nel sistema delle fonti, dell’art.

9 della l. n. 243/2012 (la norma della legge rinforzata che disciplina il c.d. “pareggio di bilancio”),

dimostrando che esso è ancora vigente. Inoltre, esso prevede un peculiare sistema rimediale che qui si

denomina “disavanzo di solidarietà” che lo rende ancora capace di conformare l’andamento della finanza

pubblica, traverso il fondamentale ruolo della magistratura contabile in sede di controllo.

Con riguardo alla seconda “impressione”, il saggio si addentra nei meandri tecnici della contabilità

finanziaria ed economico patrimoniale per cercare di dimostrare che le scelte compiute dal Legislatore

non sono in alcun modo considerabili come un precipitato necessario della giurisprudenza della Consulta.

Per tale ragione, si avverte il lettore che lo scritto si connota per un approccio deliberatamente assai

tecnico, in quanto si è ritenuto che il merito (e l’eventuale critica, soprattutto sotto il profilo del

coordinamento della finanza pubblica) delle decisioni del Giudice delle leggi non può essere affrontato

senza la consapevolezza delle questioni che sottende.

In quest’ottica, lo scopo del saggio è stimolare un dibattito che porti – de iure condendo – ad una più

ponderata valutazione sulle scelte finali, atteso che l’art. 1, comma 824, della citata legge di bilancio – per

le regioni a statuto ordinario – ha rimandato l’applicazione della nuova disciplina al 2021,

subordinatemene ad un’intesa in sede di Conferenza Stato – Regioni e Province autonome.

2. La genesi del c.d. Patto di stabilità interno. Il patto di stabilità e crescita europeo (PSC)

Come è noto, la convergenza delle politiche economiche (art. 121 TFUE) costituisce un obbligo europeo,

presidiato da una procedura di infrazione peculiare, che di seguito si esaminerà, la quale non prevede il

sindacato e la garanzia della giurisdizione della Corte di giustizia.

Su tale piano, occorre ricordare che le riforme costituzionali del Titolo V e del diritto sul bilancio pubblico

(leggi Cost. n. 3/2001 e n. 1/2012) hanno espressamente assoggettato il sistema delle autonomie della

Repubblica (art. 114 Cost.) ai vincoli di solidarietà e convergenza economica che derivano

dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (artt. 11, 97 comma 1 e 117 comma 1 Cost.).

Tali vincoli sono sviluppati dentro un particolare e complesso istituto giuridico di diritto europeo, ovvero,

il Patto di stabilità e crescita (PSC), elaborato e concepito parallelamente alla comunitarizzazione della

sovranità monetaria, tramite la BCE, il SEBC e l’euro.

La premessa politica su cui si basa tale istituto, della cui natura e struttura si dirà tra breve, appare essere

la seguente: la stabilità di una moneta non dipende solo da una prudente e attenta politica monetaria

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(competenza e responsabilità della BCE e del sistema europeo delle banche centrali, SEBC) ma,

parallelamente, anche da una coerente politica economica, (nonché da una ordinata finanza statale).

Tuttavia, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), da un punto di vista istituzionale,

ha previsto per le due politiche un assetto asimmetrico: da un lato, ha istituito il SEBC, il quale grazie alla

direzione unitaria della BCE è in grado di garantire una sola politica monetaria in tutta l’euro-zona; per

altro verso, sul versante della politica economica, ha invece previsto, per gli Stati membri, soltanto degli

strumenti di coordinamento intergovernativo. In buona sostanza le politiche di bilancio e fiscali non sono

state “comunitarizzate” e tuttavia, sulla base del Trattato, gli Stati membri considerano le loro politiche

in materia una “questione d’interesse comune”. Sicché, il Trattato ha lasciato alle responsabilità dei

governi nazionali la gestione dei loro bilanci e la pratica attuazione degli indirizzi di massima (art. 120

TFUE), che vengono fissati dal Consiglio in sede europea, senza che le istituzioni europee possano

imporre direttamente regole e saldi di bilancio.

Segnatamente, partendo dal presupposto che in una zona a moneta unica, l’adozione di politiche di

bilancio eccessivamente espansive può minacciare la stabilità della valuta, l’art. 121 TFUE dispone che

gli stessi Stati membri «considerano le loro politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano

nell’ambito del Consiglio, conformemente alle disposizioni dell’articolo 120». Quest’ultimo, a sua volta, prevede che

gli «Stati membri attuano la loro politica economica allo scopo di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione

definiti all’articolo 3 del trattato sull’Unione europea e nel contesto degli indirizzi di massima di cui all’articolo 121,

paragrafo 2».

Questo sistema, peraltro, per effetto del divieto di bail-out (che non consente alle banche del SEBC di

finanziare i debiti nazionali)4 e ad un robusto sistema di sorveglianza reciproca, fa sì che gli indirizzi

europei siano comunque fortemente in grado di condizionare le politiche nazionali.

I ridetti principi, infatti, sono supportati da una serie di regole a carattere “preventivo” (sorveglianza

multilaterale, l’art. 121 TFUE, §§ 2-5, basata su indirizzi di massima e raccomandazioni) e da meccanismi

di tipo “correttivo”, già contemplati dal diritto primario Ue (procedura per disavanzi eccessivi, art. 126 e

Protocollo n. 12 del TFUE).

L’osservanza degli indirizzi viene garantita attraverso delle peer procedures: la sorveglianza multilaterale (art.

121 TFUE) e la procedura sui disavanzi eccessivi (art. 126 TFUE e protocollo n. 13 TFUE). Peraltro, la

capacità degli indirizzi di imporsi ai singoli Stati membri, prima ancora che dalla forza del diritto (norme

4 Ai sensi dell’articolo 123 TFUE: “È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali”.

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dei trattati e delle norme che ne costituiscono attuazione), deriva dalla pressione del mercato:

l’inadempimento/adempimento rispetto agli impegni assunti è considerato da coloro i quali acquistano il

debito di ciascuno Stato (il “mercato”) un fattore di affidabilità. Atteso che le attuali norme europee

vietano l’accesso al finanziamento “sovrano” del proprio indebitamento (a causa di quanto disposto

dall’art. 123 TFUE), gli Stati membri che risultano inadempienti, vengono ritenuti dagli operatori del

mercato più rischiosi, con l’inevitabile levitazione del tasso di collocamento dei titoli di Stato. La sanzione

dell’inadempimento alle politiche di bilancio concordate, quindi, non è solo un meccanismo repressivo

istituzionale (per quanto questo sia previsto, cfr. infra), ma il maggiore costo dell’indebitamento.

Pertanto, le politiche economiche dei vari Stati membri sono ormai astrette, di fatto e di diritto, attorno

al “principio di stabilità”. Per altro verso, la stabilità dei conti, per il diritto primario Ue, non è un valore

in sé, ma piuttosto, uno strumento di crescita sana e strutturale: ciò si evidenzia non solo dalla lettura

integrata degli artt. 3 e 122 TFUE (enuncianti rispettivamente gli obiettivi della UE e del SEBC), ma

anche dalle numerose disposizioni che associano crescita economica e sostenibilità finanziaria (cfr. artt.

119 e ss. TFUE).

Il sistema del diritto primario si chiude con il Protocollo sui disavanzi eccessivi. Più nel dettaglio,

all’indomani della realizzazione degli obiettivi di convergenza del Trattato di Amsterdam (1992), i

parametri di stabilità e convergenza sono stati codificati in un apposito protocollo dell’abrogato Trattato

della Comunità europea (il n. 5 TCE, oggi protocollo n. 13 del TFUE e valido per il procedimento di

inclusione di nuovi Stati membri nell’euro). Tale protocollo esprime l’idea di una necessaria e prevalente

tutela della stabilità della moneta, come premessa di una crescita sana e continua. In questo modo, se è

vero che si è in qualche modo cristallizzato il principio di stabilità, per altro verso appare evidente che

esso rimane collegato agli obiettivi di benessere dell’Unione e quindi in chiave proattiva del ciclo

economico, per favorire cioè uno sviluppo strutturale: per sviluppo strutturale, infatti, si intende una

crescita dei PIL non legata alle momentanee fluttuazioni competitive della moneta, ma ad un reale

miglioramento dell’efficienza produttiva. Per tale motivo, le politiche di austerità dovrebbero trovare un

necessario limite logico nella esigenza di non ostacolare la promozione del benessere dell’area euro e dei

suoi cittadini.

Se questo è vero sul versante del diritto dei Trattati, non è stata sempre questa la declinazione della

“stabilità” (e delle norme primarie che la codificano) nel diritto derivato, in particolare con il Patto di

stabilità e crescita (PSC).

Il PSC, infatti, dal punto di vista normativo, è un sistema di norme di diritto derivato che attua e specifica

i contenuti delle citate disposizioni dei Trattati, puntellando il sistema di coordinamento. Esso costituisce

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la pietra angolare del sistema di governance europea, nel tentativo di dare continuità al processo di

convergenza che ha portato alla moneta unica.

Allo stesso tempo, però, il PSC rappresenta una lettura per molti versi “restrittiva”5 dei Trattati medesimi.

Fino alla adozione del PSC, i parametri di convergenza costituivano, in assenza di interpretazioni

“normative”, l’unico parametro di stabilità su cui misurare il carattere eccessivo dei disavanzi (art. 126

TFUE). L’obbligo fissato dai Trattati era dunque solo un limite, un obbligo di comportamento

“negativo”. Il PSC, peraltro, va oltre quei parametri di convergenza (tra cui, in particolare, il rapporto

deficit/PIL al 3%, il rapporto debito/PIL al 60%) ed impone politiche economiche in pareggio o,

addirittura, in avanzo primario.

Esso consta principalmente dei due regolamenti CE n. 1466/1997 e n. 1467/1997, così come emendati

nel 2005 dai regolamenti UE n. 1055/2005 e n. 1056/2005 e, nel 2011, dai regolamenti UE n. 1175/2011

e n. 1177/2011 (questi ultimi due, parte integrante del c.d. Six pack)6.

5 Per una breve ricostruzione dell’istituto si rinvia a A. CAROSI, in Il sindacato sugli atti di natura finanziaria tra corte costituzionale e magistrature superiori, in Atti del Convegno del 16-17 marzo 2017 dedicato alla magistratura contabile, Milano, 2019, p. 65 e ss.. Cfr. sul punto anche M. LUCIANI, La legge di stabilità e l’art. 81 della Costituzione, in Atti del Convegno “La legge di bilancio e di stabilità: le politiche economiche possibili fra diritto costituzionale e diritto europeo – dibattito tra economisti e giuristi”, Roma, 2017. 6 Il c.d. Six pack, tra altre cose, contemplava per la prima volta, in una fonte giuridica, l’obbligo di introdurre a livello interno strumenti tecnici per assicurare il pareggio di bilancio (cfr. considerando n. 16, nonché gli artt. 5 e 6 della Direttiva 2011/85/EU dell’8 novembre 2011, anche se, analogamente al “Fiscal compact”, che contempla lo stesso obbligo, non si parla in nessun modo della forma “costituzionale”). Il principale obiettivo del “Six pack” è il rafforzamento della “sorveglianza multilaterale”, con la disciplina rigorosa del c.d. “semestre europeo” (preordinato alla verifica multilaterale delle politiche nazionali di bilancio) e della procedura per disavanzo eccessivo, previste dagli artt. 121 TFUE e 126 TFUE. In sostanza il “six pack” costituisce un perfezionamento del PSC. La riforma, infatti, ha rafforzato i presupposti per l’attivazione della procedura per disavanzo eccessivo (è ora sufficiente lo sforamento del tetto del debito, anche se rimane rispettato il limite del deficit) e ha ridotto i tempi e rafforzato le sanzioni. Esso comprende “Six pack” comprende 5 regolamenti e una direttiva: Regolamento UE n. 1173/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011, relativo all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro; regolamento UE n. 1174/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011, sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro; regolamento UE n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche; regolamento UE n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici; regolamento n. 1177/2011 del Consiglio dell’8 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi; la Direttiva 2011/85/UE del Consiglio dell’8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri. Il Two pack ha integrato e rafforzato ulteriormente la “sorveglianza multilaterale” nell’ambito del solo “euro-gruppo”, in particolare rendendo più efficace la procedura del “semestre europeo”. Esso consta di due regolamenti: il regolamento UE n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria e il regolamento CE n. 473/2013 del Consiglio del 21 maggio 2013 sulle disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro.

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Dal punto di vista dei contenuti, esso comprende disposizioni sia di tipo sostanziale che di tipo

procedurale: con riguardo alle norme del primo tipo, il PSC ha determinato la trasformazione di un

obbligo di comportamento negativo (il divieto di disavanzi eccessivi) in un vero e proprio obbligo ad

agire, di contenuto positivo. Gli Stati si sono vincolati a migliorare velocemente il loro debito, nonché il

loro deficit, raggiungendo nel medio termine il pareggio o addirittura un surplus: la logica sottostante a tale

obbligo è quella di creare le condizioni per la formazioni di “riserve” di bilancio, utilizzabili per effettuare,

all’occorrenza, manovre espansive economiche anticicliche, senza che ciò possa determinare un

pregiudizio per la virtuosità delle proprie finanze e, quindi, degli equilibri generali del mercato monetario.

In secondo luogo, in ottica tutt’altro che solidaristica ed “euro-unitaria”, si vuole evitare che gli effetti di

politiche economiche nazionali in deficit si scarichino sulle altre economie e sugli altri cittadini dell’Ue,

tramite la svalutazione indiretta della moneta provocata da politiche di bilancio espansive; si intende cioè

evitare che il debito ed il disavanzo di Stati membri che decidono di operare politiche di bilancio espansive

si traducano in una perdita di valore della moneta in mano ai cittadini degli altri Stati, imponendo una

tassazione occulta sul resto dell’area euro.7

L’impostazione del Trattato di Amsterdam (e poi del TUE e del TFUE post-Lisbona), inoltre, non

escludeva deficit e debito, specie in chiave anticiclica, ma tale possibilità è stata circoscritta ad ipotesi

tipizzate di “eccezionalità” assai difficili a realizzarsi (vere e proprie situazioni di recessione secondo

parametri economici prestabiliti e situazioni straordinarie che comunque devono passare da un vaglio

comune nella procedura di sorveglianza), paralizzando, di fatto, le politiche di bilancio dei Paesi con uno

stock di debito più elevato8, e minando la loro capacità di governare l’economia e realizzare politiche anti-

Si tratta perciò di una terza riforma del PSC, in base alla quale la sorveglianza multilaterale si prolunga fino alla seconda metà dell’anno: è infatti previsto l’obbligo degli Stati di sottoporre a verifica multilaterale (entro il 15 ottobre) finanche i loro progetti di bilancio. Tale verifica è svolta dalla Commissione, che ha tempo fino al 30 novembre per formulare su di essi un parere; i bilanci e le leggi sostanziali collegate devono essere definitivamente adottati in sede nazionale entro il 31 dicembre. Il “Two pack” prevede, altresì, la sorveglianza automatica per i Paesi che ricevono aiuti finanziari dai “fondi salva-stati” costituiti a livello sovranazionale, cosi come previsti dal FESF e poi dal MES; tale sorveglianza comporta l’obbligo di adottare misure sufficienti per fronteggiare le fonti dell’instabilità e un surplus di oneri informativi alla Commissione. 7 Si tratta di una impostazione che, invero, non era necessaria, ma che segna la prevalenza del punto di vista nord-europeo sulle politiche di bilancio, le quali devono, in primo luogo, favorire la stabilità dei prezzi e della moneta nonché garantire lo sviluppo attraverso un effettivo miglioramento della competitività delle economie. 8 In merito, si legga l’art. 2 del regolamento n. 1467, nel quale si afferma che il disavanzo può considerarsi eccezionale e temporaneo quando sia determinato: 1) “da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato membro interessato ed abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione”, 2) “nel caso sia determinato da una grave recessione economica”. In questa seconda ipotesi, è possibile distinguere due tipi di deroga all’applicazione delle sanzioni: a) una deroga automatica nel caso che lo Stato che ha sforato i parametri abbia avuto una caduta annua del PIL reale pari o superiore al 2% (art. 2 § 2), b)

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cicliche. In buona sostanza, la possibilità di politiche espansive non è stata negata, ma è stata relegata a

situazioni di eccezionalità “tipica”, cioè dettagliatamente disciplinata nei presupposti e nei criteri dal PSC,

che hanno di molto ridotto la libertà di azione degli Stati dell’area euro, sottoposti alla verifica della

sussistenza di tali circostanze, attraverso un vaglio multilaterale.

Sul piano procedurale, inoltre, il PSC ha riempito di contenuti lo schema tracciato dagli artt. 121 e 126

TFUE, basato sulla delicata successione di “raccomandazioni” (con funzione preventiva e persuasiva) e

“decisioni” (funzione dissuasiva e comminatoria), senza nessun sindacato da parte di un organo terzo e

neutrale (la Corte di giustizia).

La prima fase è quella del monitoraggio e del c.d., eventuale, early warning: si tratta di un sistema

permanente di reciproca sorveglianza, che prevede un ruolo centrale per la Commissione. Il documento

contabile su cui si misura il rispetto dei parametri del PSC è il conto consolidato delle pubbliche amministrazioni:

esso esprime un saldo in contabilità economica che convoglia e consolida deficit e debito di tutte le

“amministrazioni pubbliche” dello Stato membro (cfr. infra § 3).

In caso di esito negativo dei controlli della prima fase, se ne apre una seconda, ovvero la vera e propria

apertura della procedura per disavanzi eccessivi prevista dal Trattato. Il dominus di questa fase, peraltro, è

il Consiglio, che però opera sempre su iniziativa della Commissione. La peculiarità sostanziale ed il

carattere ancora eminentemente intergovernativo della polita economica comune europea, come si

accennava, è evidenziato dall’impossibilità di un sindacato esterno e neutrale sugli esiti della procedura:

sebbene si tratti, in fin dei conti, di una vera e propria procedure d’infrazione di obblighi comunitari, il

pronunciato definitivo e le sanzioni non possono essere giustiziati davanti alla Corte di giustizia (art. 126,

§ 10)9.

una deroga discrezionale, nel caso in cui la caduta del PIL reale fosse inferiore al 2% (art. 2 § 3), ma superiore allo 0,75%, sempre che lo Stato dimostri l’eccezionalità del suo deficit. 9 La procedura si articola in tre fasi. Nella prima fase, il Consiglio adotta una decisione con la quale accerta che uno Stato membro presenta un disavanzo eccessivo. La dichiarazione di disavanzo eccessivo ha luogo a seguito di un’attività istruttoria svolta dalla Commissione, che prepara una relazione, e del parere espresso dal Comitato economico e finanziario. In particolare, la Commissione, se ritiene che in uno Stato membro esista attualmente o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo, trasmette un parere al Consiglio. Il Consiglio delibera su raccomandazione della Commissione, tenendo conto, altresì, delle osservazioni che lo Stato membro interessato può avanzare. Accanto alla decisione di “accertamento” di un disavanzo eccessivo, il Consiglio medesimo può adottare, in termini prescrittivi, una raccomandazione circa le misure che ritiene opportune al fine di far cessare il disavanzo eccessivo entro un termine predeterminato. Se lo Stato membro non dà attuazione alle raccomandazioni entro il termine prefissato, il Consiglio può decidere di renderle pubbliche. La seconda fase si apre a valle di tale raccomandazione e può portare ad una decisione che converte in prescrizioni vincolanti le misure correttive. Anche questa fase si attiva su raccomandazione della Commissione. Nel caso in cui lo Stato in questione continui, oltre il termine prefissato, a non adottare le misure raccomandate, il Consiglio può adottare una seconda decisione che non si limita ad accertare ma anche a prescrivere, con un effetto cogente per lo Stato.

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3. I diversi modelli normativi di Patto di stabilità interno: il “doppio binario”

L’obiettivo che l’Italia è annualmente chiamata a raggiungere (c.d. OMT, consistetene in un traguardo di

deficit e riduzione dell’indebitamento)10, non attiene alle sole prestazioni del bilancio statale, ma quello

dell’intero sistema pubblica italiano, nell’ottica della finanza pubblica allargata. Infatti, tutti gli enti

qualificabili come pubbliche amministrazioni ai sensi del SEC11, devono concorrere al raggiungimento di

tale obiettivo, mediante un saldo in contabilità economica, espresso dal “conto economico consolidato

delle pubbliche amministrazioni”.

Poiché lo Stato ha la responsabilità europea del raggiungimento dell’obiettivo e, allo stesso tempo, tale

obiettivo non può essere raggiunto senza un coordinamento di tutta la finanza pubblica allargata, tutte le

P.A. e i livelli di governo, rilevanti per il conto consolidato delle pubbliche amministrazioni, sono stati

chiamati al rispetto di vincoli finanziari. Ciò è avvenuto in virtù delle competenze statali esclusive in

materia di relazioni internazionali (art. 117, comma 2, lett. a) Cost.), dei vincoli europei che si impongono

direttamente alle stesse autonomie territoriali (art. 117, comma 1 Cost.), nonché, in ragione della

competenza concorrente dello Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma

3, Cost.),

Pertanto, a partire dal 1999 (l. n. 448/1998) – e successivamente, ogni anno, attraverso le leggi

“finanziarie” dello Stato e poi con quelle di “stabilità”, e infine, con le “leggi di bilancio” – lo Stato

definisce il vincolo speciale imposto ai bilanci delle varie pubbliche amministrazioni rilavanti per il “conto

economico consolidato”, su cui si misura il raggiungimento degli obiettivi imposti dall’ordinamento

europeo. Ciò avviene tramite disposizioni di legge attuative dei vincoli europei sul terreno della disciplina

Come detto, tali decisioni non sono impugnabili dinanzi alla Corte di giustizia. La terza fase, consiste in una terza decisione, anch’essa non giustiziabile, e riguarda le sanzioni. Se lo Stato membro non adempie alla precedente decisione, il Consiglio può decidere di applicare sanzioni di varia natura: la richiesta allo Stato membro di pubblicare informazioni supplementari quando procede all’emissione di titoli del debito pubblico; l’invito alla Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la propria politica di prestiti verso tale Stato l’obbligo di costituire un deposito; il versamento di un’ammenda che he può raggiungere fino allo 0,2% del Pil. 10 L’Obiettivo di medio termine (OMT) è un obiettivo per il saldo di bilancio strutturale che uno Stato membro della Unione Europea si impegna a realizzare in un certo orizzonte temporale. Esso è definito al netto della componente ciclica e degli effetti delle misure una tantum e temporanee, in base al regolamento CE n. 1466/1997. Il rinvio a tale saldo, per la disciplina interna, è previsto dall’art. 2 lett. e, art. 3 comma 2, e art. 9 della l. n. 243/2012. 11 Sulla base del Sistema europeo dei conti (SEC 2010, definito dal Regolamento UE n. 549/2013) e delle interpretazioni del SEC (fornite da Eurostat stesso con il Manual on Government Deficit and Debt, annualmente rieditato), l’Istat predispone l’elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle Amministrazioni pubbliche (Settore S13 nel SEC). Nell’ambito delle statistiche di contabilità nazionale, per tale settore si compila il conto economico consolidato che costituisce il riferimento per gli aggregati trasmessi alla Commissione europea in applicazione del Protocollo sulla procedura per i deficit eccessivi annesso al Trattato di Maastricht. L’elenco sintetico è pubblicato anche sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 1, comma 3 della l. 31 dicembre 2009, n. 196 e ss.mm. (legge di contabilità e di finanza pubblica).

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di bilancio degli enti territoriali (art. 117 comma 1 Cost.), realizzando la solidarietà economica tra i vari

enti della Repubblica, attraverso il loro coordinamento finanziario (art. 117 comma 3 Cost.).

Tali vincoli, parafrasando il Patto di stabilità e crescita europeo, sono stati attratti sotto il nome comune

di “Patto di stabilità interno”, lo Stato ha imposto alle autonomie territoriali (art. 114 Cost.) vincoli di

bilancio aggiuntivi.

La struttura del ridetto dispositivo legislativo di coordinamento della finanza pubblica ha avuto nel tempo

contenuti e struttura diversificata, anche a seconda dei soggetti destinatari (il patto è stato

tradizionalmente diverso per il comparto regioni, distinguendo da quello degli enti locali), fino

all’unificazione di disciplina avvenuta con l’occasione della l. n. 243/2012.

Per altro verso, caratteristica costante dell’istituto, che di seguito si cercherà di ripercorrere per grandi

linee — seguendone il filo conduttore e la razionalità — è stata quella di imporre agli enti territoriali un

quid pluris rispetto al pareggio contabile (il c.d. doppio binario).

Il Patto di stabilità interno, sino alla recente legge di bilancio 2019, è stato da tutti riconosciuto come un

saldo/obiettivo di bilancio aggiuntivo all’equilibrio di bilancio, da perseguire mediante il rispetto delle

prescrizioni dell’art. 162 TUEL e dell’art. 40 d.lgs. n. 118/2011. L’obiettivo costante è stato quello di fare

in modo che, a consuntivo, il conto economico consolidato della pubblica amministrazione (che misura

la differenza tra entrate ed uscite dell’anno di tutto il sistema “Repubblica”) fosse in linea con gli obiettivi

fissati in sede europea, mediante il concorso di tutti i soggetti coinvolti.

Questo modello – cristallizzato nell’art. 9 della l. n. 243/2012 – sembra essere entrato in crisi con la legge

di bilancio 2019 (l. n. 145/2018, art. 1 commi 819-830). Il Legislatore, infatti, con l’occasione fornita dal

cambio di paradigma imposto dai moniti e dalle indicazioni della Corte costituzionale sui limiti al

coordinamento che derivano dall’autonomia di regioni ed enti locali (sentenze nn. 247/2017 e n.

101/2018, richiamate dall’art. 1, comma 820 l. n. 145/2018), da un lato, ha equiparato l’obiettivo di

equilibrio contabile (limitatamente alla gestione annuale) e pareggio “euro-unitario di coordinamento”

(art. 1, commi 821 e 823, l. n. 145/2018), dall’altro, ha dissolto quei meccanismi premiali/sanzionatori

(art. 9, comma 412 l. n. 243/2012) che avevano favorito le convergenze e la solidarietà tra le politiche di

bilancio degli enti territoriali e tra Stato ed enti territoriali (art. 1, commi 823 nonché 827-830 l. n.

145/2018, cfr. infra § 8).

12 Art. 9, comma 4, l. n. 243/2012: “Con legge dello Stato sono definiti i premi e le sanzioni da applicare alle regioni, ai comuni, alle province, alle citta metropolitane e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo. La legge di cui al periodo precedente si attiene ai seguenti princìpi: a) proporzionalità fra premi e sanzioni; b) proporzionalità fra sanzioni e violazioni; c) destinazione dei proventi delle sanzioni a favore dei premi agli enti del medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi”.

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Di seguito, si cercherà di ricostruire la storia del patto per i due comparti interessati, regioni ed enti locali,

per evidenziarne la razionalità comune e la loro progressiva convergenza fino alla elaborazione di un

sistema di controllo e di sanzioni comuni, volti a garantire il pieno ed effettivo rispetto del combinato

disposto degli artt. 81, 97 Cost. e 117, 1 comma, Cost..

Per quanto concerne gli enti locali, dopo una prima fase basata sulla previsione di meccanismi limitativi

di grandi aggregati di spesa corrente, già a partire dal 2007, il sistema si era assestato sull’obiettivo di un

saldo “specifico” aggiuntivo a quello dell’equilibrio.

La legge finanziaria n. 296/2006, infatti, aveva sostituito il meccanismo del tetto di spesa da rispettare di

anno in anno, con quello del saldo finanziario aggiuntivo di coordinamento (art. 1, comma 676 e ss.). A

differenza dei precedenti limiti su singoli aggregati di spesa, il vincolo sul saldo intendeva rispondere,

nelle intenzioni, all’esigenza di una maggiore autonomia finanziaria degli enti territoriali, tuttavia con non

poche contro-indicazioni applicative che sono state evidenziate dalla prassi13.

Per le regioni, la storia del Patto di stabilità interno, peraltro, è stata molto più articolata ed eterogenea14.

Introdotto nel nostro ordinamento con l’articolo 28 della l. n. 448/1998, come obiettivo di riduzione del

disavanzo o della spesa, il Patto di stabilità interno regionale è stato ridefinito dall’art. 1 del decreto legge

n. 347/2001, in un sistema di tetti alla spesa corrente, a decorrere dal 2002.

Le successive leggi finanziarie per il 2003 e per il 2004 hanno sostanzialmente confermato tale

impostazione di controllo dei tetti di spesa (con le precisazioni a tutela dell’autonomia sancite dalla Corte

costituzionale con la sent. n. 417/2005, che ha statuito che i tetti alla spesa alle autonomie territoriali,

anche quelli derivanti dal Patto di stabilità, non possono consistere in vincoli puntuali su specifiche voci

di spesa dei bilanci).

13 Tanto a previsione che a consuntivo, per ciascun anno, gli enti locali dovevano raggiungere un saldo obiettivo, variamente determinato in base a vari criteri di legge (specifici parametri che individuavano l’entità del concorso del singolo ente locale alla manovra globale di finanza pubblica, da calcolarsi in relazione alla situazione finanziaria di ciascun ente). Si parlava, in proposito, di saldo a competenza “mista”. Con tale espressione, ci si riferiva ad un saldo che adottava due criteri contabili: si costruiva considerando le entrate e le spese, in termini di competenza, per la parte corrente (crediti e debiti previsti e poi realizzati, cioè accertati ed impegnati), mentre, per la parte degli investimenti, al fine di rendere l’obiettivo del patto di stabilità interno più coerente con le regole contabili europee, in termini di cassa (incassi e pagamenti, più vicini al criterio della competenza economica del conto consolidato della pubblica amministrazione). In tema, si rinvia all’ordinanza di sospensione e remissione di una questione di legittimità costituzionale da parte della SRC Lombardia (ord. n. 125/2009) poi sfociata, però, nella inammissibilità della sent. Corte cost. n. 37/2011. 14 Cfr. G. D’AURIA, Circa le «trattative» fra lo stato e le regioni speciali per gli accordi sull’attuazione del patto di stabilità interno (Nota a Corte cost., 10 maggio 2012, n. 118), in Foro italiano, I, 2012, 2937.

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Negli esercizi 2005, 2006 è stato imposto un sistema di tetti separati di spesa da applicarsi, rispettivamente,

alle spese correnti ed a quelle in conto capitale15.

La prima convergenza verso un saldo unitario, che superasse le criticità emerse soprattutto sul versante

del blocco dei pagamenti e degli investimenti, è stato sperimentato dall’esercizio 2015, al termine di una

lunga evoluzione legislativa. Contemporaneamente alla piena entrata in vigore dell’art. 9 della l. n.

243/2012, il Patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali veniva strutturato, unitariamente, in

un saldo “a competenza pura”16 (art. 1, comma 463, l. n. 190/2014, c.d. legge di stabilità per il 2015) e

non più in un mero tetto ad aggregati di spesa.

In questo modo si intendeva dare attuazione (graduale, per le non poche eccezioni previste) all’art. 9 della

l. n. 243/2012, giornalisticamente noto anche come “pareggio di bilancio” (per distinguerlo dalla regola

generale dell’equilibrio contabile ai sensi degli artt. 162 TUEL e 40 d.lgs. n. 118/2011).

4. Il sistema di “rimedi”: violazione ed elusione del Patto di stabilità e conseguenze di legge

Non meno importante, però, nell’evoluzione del Patto di stabilità interno, come già si è più volte

sottolineato, è la disciplina dei presidi e conseguenze nel caso della sua violazione/elusione.

Ed infatti, l’art. 9, comma 4 della l. n. 243/2012 dispone: «Con legge dello Stato sono definiti i premi e le sanzioni

da applicare alle regioni, ai comuni, alle province, alle citta metropolitane e alle province autonome di Trento e di Bolzano,

in attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo […]»

Come si accennava, pur nella diversità delle regole “sostanziali” di coordinamento della finanza pubblica

per i due comparti, si è cercato di introdurre un sistema di carattere premiale/sanzionatorio che favorisse

il rispetto delle regole comuni di convergenza verso l’OMT, affidato alla giurisdizione della Corte dei

15 Per l’esercizio 2005 cfr. la l. 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanziaria 2005, art. 1, comma 21 e seguenti); per l’esercizio finanziario 2006 cfr. la l. 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria per il 2006, art. 1, commi 138 e seguenti). 16 Il nuovo saldo obiettivo si riferisce solo agli accertamenti ed agli impegni dell’anno afferenti entrate e spese finali (cioè tutte al netto delle partite di giro). Sul modello dell’art. 9 della l. n. 243/2012, gli enti concorrono agli obiettivi di finanza pubblica, con un saldo “non negativo”, vale a dire posto — come livello minimo — pari a zero. Non più, quindi un saldo tarato su valori positivi (non più un avanzo di parte corrente pari al saldo obiettivo). In secondo luogo, il saldo non mischiava più cassa e competenza, considerando solo accertamenti ed impegni: il venir meno del previgente vincolo per cassa ai pagamenti in conto capitale consentiva agli enti locali con adeguata liquidità di poter procedere ai pagamenti di conto capitale, favorendo così gli investimenti. La regola del “pareggio” era accompagnata da una dettagliata disciplina in ordine agli obblighi informativi in capo a regioni ed enti locali, e ciò al fine del monitoraggio degli adempimenti. Inoltre, tale obbligo veniva corredato da un articolato sistema sanzionatorio/premiale, da applicare, rispettivamente, in caso di mancato conseguimento del saldo non negativo tra entrate e spese finali ed in caso di rispetto del saldo in situazioni di virtuosità; vengono altresì previste alcune disposizioni volte ad introdurre elementi di flessibilità ai fini del conseguimento del saldo di equilibrio.

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conti, nelle forme del controllo (accertamento della violazione e dei conseguenti effetti di legge)17 e del

processo (profili strettamente sanzionatori).

Infatti, il sistema dei saldi/tetti variamente congegnato per regioni ed enti locali, per garantire il

coordinamento della finanza pubblica in chiave europea, è diventato più rigoroso ed effettivo già dal 2010

(con il d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. 30

luglio 2010 n. 122).

Sia per le regioni che per gli enti locali, fu previsto un impianto di “limitazioni” amministrative in caso di

mancato rispetto del Patto di stabilità interno (art. 14, comma del citato decreto; tra queste “limitazioni”,

in particolare vi era l’obbligo di riversamento statale dell’importo corrispondente allo scostamento

registrato18).

Di poco successiva è l’introduzione della fattispecie di elusione (art. 32, commi 22-24, l. n. 183/2011, c.d.

legge di stabilità 2012, richiamate l’art. 7 comma 1 del d.lgs. n. 149/2011; art. 1 commi 723 e 727 della l.

n. 208/2015): essa poteva (e può per gli anni in cui è rimasta in vigore la previgente disciplina, cfr. art. 1,

commi 827-830 l. n. 145/2018) realizzarsi con due modalità: da un lato, mediante un abuso

“interpretativo-applicativo” dei principi contabili del d.lgs. n. 118/2011 e delle fonti collegate (c.d.

elusione tipica, in quanto correlata a regole codificate in materia di bilancio); per altro verso, mediante

“altre forme elusive” (elusione atipica) .

17 L. n. 266/2005, art. 1, comma 166 e ss. Poi cfr. l ’art. 1 del d.l. n. 174/2012, conv. legge n. 213 del 2012, nonché l’art. 148-bis TUEL (introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e) del citato d.l. n. 174/2012). Sul d.l. n. 174/2012 e sulla legge di conversione n. 231 del 2012, si vv., ex plurimis, B. CARAVITA DI TORITTO, Sulla vocazione del nostro tempo per una riforma della Corte dei conti e la ricostruzione unitaria delle sue funzioni, in Federalismi.it, n. 9/12; D. MORGANTE, I nuovi presidi della finanza regionale e il ruolo della Corte dei conti nel d.l. n. 174/2012, in Federalismi.it, n. 1/2013 18 Sulla distinzione tra “limitazioni” amministrative e “sanzioni” cfr. infra. Si tratta di conseguenze di legge collegate ad una condotta specifica consistente nella violazione di un vincolo di bilancio, in connessione funzionale con il precetto dell’equilibrio, allargato all’intera finanza pubblica. Gli illeciti contabili che la Corte generalmente accerta e sui cui ha giurisdizione e controllo, infatti, sono “illeciti di evento” (almeno in senso giuridico), nel senso che devono produrre una lesione del precetto dell’equilibrio, alterando la rappresentazione del bilancio e l’effettiva capacità di sostenere costi e spese. In ipotesi specifiche, in ragione del valore tutelato e del potenziale di offensività della condotta, la legge affida alla Corte la giurisdizione su veri e propri “illeciti di condotta”, ossia la violazione di taluni parametri che arrecano di per sé un sicuro danno all’equilibrio e alla sostenibilità del ciclo di bilancio (artt. 81 e 97 Cost). Tali illeciti di condotta (fermo restando l’evento in senso giuridico della lesione del bene pubblico bilancio), nella fattispecie del controllo di cui all’art. 1 comma 3 del D.L. n. 174/2012, ad esempio, coincidono con la violazione “degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno”, con l’inosservanza “del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione”. Fattispecie, per cui, non a caso, è previsto un apposito corredo sanzionatorio attivabile nell’ambito delle funzioni giurisdizionali in senso stretto della Corte (cfr. art. 30, comma 15, l. n. 289/ 2002[3]; art. 1, comma 727, l. n. 208/2015). Sul collegamento tra funzione di controllo e funzione giurisdizionale in senso stretto della Corte dei conti, attraverso il prisma della c.d. “responsabilità sanzionatoria” cfr. F.M. LONGAVITA, Il divieto del ne bis in idem e la responsabilità erariale, in Bilancio Comunità Persona, n.1/2019, reperibile su https://dirittoeconti.it/magazine-maggio-2019/ .

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L’elusione contabile, tipizzata, si realizza infatti “mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite

ai pertinenti capitoli di bilancio” determinata da una “non corretta applicazione dei principi contabili di cui al decreto

legislativo 23 giugno 2011, n. 118”. L’abuso è sostanzialmente di tipo interpretativo ed operativo perché si

realizza attraverso una non corretta interpretazione dei principi contabili (contraria al principio

costituzionale di ragionevolezza e al principio di buona fede e leale cooperazione tra le istituzioni

repubblicane) ovvero attraverso un’applicazione ad essi palesemente contraria alla lettera e alla ratio delle

norme, pregiudicando l’affidabilità dell’auto-certificazione dello stesso ente.

L’elusione atipica, invece, costituisce una fattispecie residuale che, di norma, si riferisce a condotte

amministrative le quali agiscono direttamente sul piano “sostanziale”, a monte della registrazione della

transazione contabile: l’anomalia, cioè, non attiene al momento della rappresentazione in bilancio (e

quindi all’interpretazione ed applicazione dei principi contabili), ma concerne il titolo (si pensi ad

operazioni effettuate con lo schermo giuridico di organismi partecipati che occultano spesa o

indebitamento), i cui effetti finanziari non sono rilevati in bilancio. Essa, dunque, si sostanzia in un abuso

della capacità giuridica (pubblicistica o di diritto comune) così da fornire una rappresentazione alterata

della realtà contabile, dissimulando la sostanza finanziaria dell’operazione (esposizione del patrimonio ad

un debito o ad una responsabilità ovvero la simulazione di una copertura non effettivamente in grado di

sostenere spesa autorizzata e poi contratta).

Comune denominatore di entrambe le fattispecie è, dunque, l’“artificio”, in termini strettamente oggettivi,

inteso quale qualsiasi condotta interpretativa, applicativa, negoziale o potestativa (ergo qualsiasi dispositivo

giuridico) in grado di fornire una rappresentazione alterata della realtà contabile, dissimulando

l’esposizione effettiva del patrimonio dell’ente a debito e responsabilità (art. 2740 c.c.). Del resto, ai sensi

dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 118/2011 (recante “Disposizioni in materia di armonizzazione dei

sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi”) e del sua

Allegato n. 1 (postulato n. 18, “Principio della prevalenza della sostanza sulla forma”), i fatti «devono essere

rilevati contabilmente secondo la loro natura finanziaria, economica e patrimoniale in conformità alla loro sostanza effettiva

e quindi alla realtà economica che li ha generati e ai contenuti della stessa e non solamente secondo le regole e le norme vigenti

che ne disciplinano la contabilizzazione formale».

In termini oggettivi, dunque, l’artificio abbraccia qualsiasi condotta amministrativa, di diritto pubblico o

di diritto privato, in grado di dissimulare un’entrata o una spesa, alterando la competenza finanziaria (cioè

il tempo di rilevazione di un’entrata o un’uscita) o l’imputabilità al bilancio dell’ente, conseguendo in tal

modo lo stesso risultato vietato (vale a dire un’espansione di spesa altrimenti preclusa).

Tale impostazione è stata di recente confermata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, in sede

giurisdizionale ed in speciale composizione. Secondo il supremo consesso contabile, nella sent. n.

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11/2018/EL (c.d. caso Napoli II)19: «secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il concetto di “elusione”

deve essere riferito alla “causa reale” dell’operazione economica complessivamente realizzata, dando rilevanza determinante

al presunto “intento oggettivamente unico” perseguito».

5. L’odierno saldo di competenza “pura”. Dal Patto di stabilità, al saldo di finanza pubblica, sino

al “pareggio di bilancio”

A partire dall’esercizio 2016, in linea con quanto previsto dall’art. 9 della l. n. 243/2012, la struttura del

Patto di stabilità interno si è attestata su quella di un saldo unico sulla gestione annuale, come pareggio

tra entrate e spese.

La formulazione originaria dell’art. 9 l. n. 243/2012, peraltro, prevedeva quattro saldi “non negativi” tra

entrate e spese dell’anno di competenza considerato, sia in termini di cassa che competenza, nonché tra

poste finali e correnti. Tale formulazione era assai più rigorosa di quella oggi vigente ed invero, al netto

di una breve sperimentazione, non è mai entrata in vigore, in quanto l’art. 21, comma 3, della l. n.

243/2012 posponeva l’efficacia di tale diposizione al 1° gennaio 2016.

Nelle more il Legislatore ha gradualmente introdotto il nuovo patto formulato in termini di “pareggio”.

Con la legge di stabilità per il 2015 (art. 1, comma 463, l. n. 190/2014), mentre per gli enti locali si

confermava l’applicazione del vecchio saldo a “competenza mista” (comma 490 e ss.), per le regioni il

Legislatore procedeva a formulare il “patto” sulla base del modello originario dell’art. 9 della l. n.

243/2012 (il citato sistema dei quattro saldi)20 .

Nel 2016 (art. 1, comma 710, della l. n. 208/2015, c.d. legge di stabilità 2016), per la prima volta, il Patto

di stabilità interno mutava nome e, in segno di rottura col recente passato veniva denominato “saldo di

finanza pubblica”. Il modello dell’art. 9, inoltre, veniva esteso anche agli enti locali, ma rispetto all’allora

vigente formulazione, si operava una netta semplificazione, con la previsione di un solo saldo (di

19 Il caso Napoli I è individuato dalla sent. Sez. riun. n. 34/2014/EL. Il 21 novembre 2018 è stato emesso il dispositivo correlato al ricorso del Comune di Napoli (caso Napoli III) contro il blocco della spesa disposto con la pronuncia SRC Campania n. 107/2018/PRSP. Le Sezioni riunite hanno sospeso cautelativamente il blocco e rinviato gli atti alla Corte costituzionale in ordine alla questione dell’utilizzo del FAL a finanziamento del FCDE in base all’art. 2, comma 6, del d.l. n. 78/2010. Il dispositivo ha respinto i motivi di ricorso che si impuntavano contro la ricostruzione normativa dell’istituto, effettuata dalla Sezione campana. 20 Segnatamente, il comma 463 dell’art. 1 della legge di stabilità per il 2015 disponeva che: « Ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, le regioni a statuto ordinario devono conseguire, a decorrere dall’anno 2016 nella fase di previsione e a decorrere dal 2015 in sede di rendiconto: a)un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali; b) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti, come definito dall’art. 40, comma 1, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, escluso l’utilizzo del risultato di amministrazione di parte corrente, del fondo di cassa, il recupero del disavanzo di amministrazione e il rimborso anticipato di prestiti. Nel 2015, per le regioni che non hanno partecipato alla sperimentazione, l’equilibrio di parte corrente è dato dalla differenza tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento, con l’esclusione dei rimborsi anticipati».

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competenza “pura”, tra entrate e spese finali), con la possibilità, peraltro, di computare (transitoriamente,

“limitatamente all’anno 2016”), il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, al netto della quota

riveniente dal ricorso all’indebitamento21.

L’adozione di un saldo unico corrispondeva all’intento di evitare il paradosso del blocco degli

investimenti per spesa già impegnata, che aveva afflitto le precedenti esperienze del Patto di stabilità

interno22 (con il rischio di crisi del sistema economico locale e regionale su cui il bilancio pubblico, come

è noto, ha un impatto importante).

La sperimentazione del modello del saldo unico di competenza “pura” fu ritenuto un paradigma di

successo; è stato quindi proiettato “a regime” sulla legge rinforzata, con la modifica effettuata dalla l. n.

164/2016 (recante “Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti

locali”).23

In buona sostanza, a decorrere dal 2015, l’ordinamento ha progressivamente tradotto nella legislazione

annuale sul “patto di stabilità” la logica del “pareggio” e dell’“obiettivo di medio termine” seguente al c.d.

Fiscal compact (Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e

monetaria, TSCG): tale logica traduce l’obbligo comunitario di non generare nuovo deficit ed

indebitamento, nell’obbligo di non determinare nuovi disavanzi di gestione e quindi nuovo debito (non

coperto) verso il mercato. Il disavanzo di gestione, inteso come differenza negativa tra entrate e spese

finali, infatti, comporta, in una logica allargata, l’aumento dell’esposizione complessiva del sistema

Repubblica (art. 114 Cost.), con conseguente aumento dell’indebitamento complessivo

Occorre tuttavia, sin d’ora, evidenziare un potenziale punto di frizione tra ordinamento comunitario ed

ordinamento interno, in quanto occorre tenere ben distinto il concetto di equilibrio (costituzionalizzato

negli arrt. 81, 97 comma 1 e 119 Cost. con la novella della l. cost. n. 1/2012) e quello pareggio.

Il pareggio, contemplato dal Fiscal compact e dai suoi obiettivi di medio termine, evoca una corrispondenza

contabile di grandezze finanziarie, conchiuso in uno stretto orizzonte temporale. Per contro l’equilibrio

21 Per le regioni, inoltre, a seguito dell’approvazione della legge di conversione 7 agosto 2016, n. 160, del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, recante “Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio”, è stato

aggiunto all’art. 1 della legge di stabilità 2016 il comma 712-ter il quale ha stabilito che stabilisce che: « Per l’anno 2016, nel saldo di cui al comma 710 non rilevano gli impegni del perimetro sanitario del bilancio, finanziati dagli utilizzi del risultato di amministrazione relativo alla gestione sanitaria formatosi nell’esercizio 2015 e in quelli antecedenti, e gli impegni effettuati in funzione dell’acquisizione nel medesimo anno 2016 delle anticipazioni di liquidità di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-

legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64 ». 22 Questi profili di criticità erano alla base della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla SRC Lombardia (ord. n. 125/2009) sfociata, però, in una sentenza di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 37/2011). 23 La legge 164/2016 è stata adottata infatti con la stessa procedura rinforzata prevista dall’art. 81, comma 6, Cost.. La novella, oltre ad introiettare il modello semplificato di “pareggio” (un unico saldo, tra entrate e spese finali), ha disposto, a decorrere dall’anno 2017, la cessazione dell’applicabilità delle disposizioni sull’equilibrio di bilancio degli enti territoriali introdotte nel 2015.

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allude a un fenomeno molto più complesso di coerenza tra grandezze economiche non solamente

finanziarie, in arco temporale che supera il singolo anno fiscale24. E di questa dicotomia tra equilibrio e

pareggio che si insinua nella giurisprudenza costituzionale che di seguito si commenterà. Come vedremo

il pareggio, non contempla la possibilità di superare l’orizzonte temporale del bilancio, verificando la

“sostenibilità” di un’uscita in ragione della natura e della causa della spesa. Viceversa ciò è consentito per

l’equilibrio, soprattutto in relazione alla spesa di investimento (art. 119, comma 6, Cost.).

Detto in altri termini, mentre il pareggio è una “regola” a fattispecie determinata e ragionieristicamente

definita, l’equilibrio, secondo la Corte costituzionale, è una “clausola generale” (Corte costituzionale

sentenza n. 192/2012) che proietta il bilancio sulle generazioni future (Corte costituzionale, sent. n.

18/2019) e che può, a determinate condizioni, costituire un valore a presidio della stessa autonomia

territoriale (corte costituzionale sentt. n. 247/2017 e 101/2018)25.

L’elaborazione del Giudice delle leggi ci restituisce infatti un precetto (l’equilibrio, declinato come

“clausola generale), altamente “domesticizzato”. Cosicché l’art. 97 Cost., nel pretendere “coerenza” con

l’ordinamento europeo, si atteggia a clausola di apertura del nostro ordinamento, alla stregua - e non

diversamente - dell’art. 11 Cost., con tutto quel che ne consegue, ad avviso di chi scrive, in termini di

accesso alla dottrina dei contro-limiti26.

6. Il sistema di “limitazioni” e “sanzioni” a corredo dell’effettività del “pareggio di bilancio”

Il mancato raggiungimento dell’obiettivo “aggiuntivo” costitutivo del “Patto di stabilità interno” integra

una specifica irregolarità contabile, tipizzata, presidiata da un sistema rimediale ad hoc.

Il presupposto di tale sistema, infatti, è che la violazione/elusione del patto integra un peculiare

“inadempimento” di diritto pubblico, per cui, come nel diritto civile27, l’ordinamento ha approntato un

24 Così M. LUCIANI, La legge di stabilità e l’art. 81 della Costituzione, in Atti del Convegno “La legge di bilancio e di stabilità: le politiche economiche possibili fra diritto costituzionale e diritto europeo – dibattito tra economisti e giuristi”, Roma, 2017, ma anche A. CAROSI, in Il sindacato sugli atti di natura finanziaria tra corte costituzionale e magistrature superiori, op. cit.. 25 L. ANTONINI, Profili costituzionali delle relazioni finanziarie tra Stato e autonomie territoriali, in Il sindacato sugli atti di natura finanziaria tra corte costituzionale e magistrature superiori, in Atti del Convegno del 16-17 marzo 2017 dedicato alla magistratura contabile, Milano, 2019, p. 159 e ss., nonché M BERGO, Coordinamento della finanza pubblica e autonomia territoriale. tra armonizzazione e accountability, Napoli, 2018, p. 145 e ss. 26 In argomento, ex plurimis, cfr. M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995 e da ultimo, riassuntivamente sullo stato del dibattito e degli approdi giurisprudenziali O. CHESSA, Meglio tardi che mai. La dogmatica dei controlimiti e il caso Taricco, Comunicazione al Convegno “Controlimiti - Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali”, tenutosi a Ferrara il 7-8 aprile 2016, reperibile su www.formucostituzionale.it . A proposito dell’equilibrio di bilancio, come elemento dell’identità costituzionale degli Stati membri, cfr. altresì C. PINELLI, La giurisprudenza costituzionale tedesca e le nuove asimmetrie fra i poteri dei parlamenti nazionali dell’eurozona, in Costituzionalismo.it, n. 1/2014. 27 Secondo A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano 2003, p. 65 e ss.. I rimedi si individuano col sistema dei dispositivi giuridici (segnatamente, gli effetti, attivabili ope legis o su iniziativa dell’interessato) per ottenere la

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sistema di rimedi che devono servire ad ottenere la cooperazione necessaria da parte del “debitore”, cioè

l’ente territoriale, come soggetto tenuto alla solidarietà di bilancio nel sistema della finanza pubblica

allargata.

Ed infatti, come si è anticipato nella premessa, l’altro “principio di struttura” che ha connotato la storia

di tale particolare vincolo finanziario è stata la contemplazione di effetti giuridici dissuasivi, consistenti in

conseguenze negative a carico dell’apparato amministrativo (limitazioni), nonché dei soggetti-persona

fisica riconosciuti responsabili delle condotte contabili che hanno determinato l’inadempimento

dell’obbligo (sanzioni in senso stretto).

La disciplina “sanzionatoria” cui si fa riferimento è ancora in vigore, anche se come vedremo la legge di

bilancio 2019 ha previsto un sostanziale smantellamento della stessa per gli esercizi futuri.

Di seguito si proverà a fare un’illustrazione del sistema partendo dalla fattispecie (l’inadempimento di

diritto pubblico), per trattare poi del differente regime, procedurale e sostanziale, degli effetti (limitazioni

e sanzioni). 28

La fattispecie di inadempimento del Patto di stabilità interno o del SFP (in generale, da ora, “pareggio di

bilancio”), come si diceva, può specificarsi in mera “violazione” (ovvero nel certificato superamento del

saldo), quanto in “elusione”, ovvero qualsiasi condotta amministrativa, di diritto pubblico o di diritto

privato, in grado di dissimulare una entrata o una spesa, alterando la competenza finanziaria o

l’imputabilità al bilancio dell’ente, conseguendo lo stesso risultato vietato (vale a dire un’espansione di

spesa altrimenti preclusa dal “pareggio di bilancio”).

Le sanzioni interessano la fattispecie “elusiva”.

Essa, infatti, è presidiata più ampiamente della violazione, poiché, accanto alle limitazioni di apparato

(c.d. limitazioni amministrative, cfr. infra) comuni all’ipotesi di violazione auto-certificata, l’elusione

contempla sanzioni per il comportamento illecito che l’ha generata (mediante una forma speciale di

responsabilità erariale, per cui sono competenti la Procura e le Sezioni giurisdizionali, art. 31, comma 31,

l. n. 183/2011, art. 1, comma 727, l. n. 208/2015), oltre alla sanzione conformativa della nullità (testuale)

del mezzo giuridico attraverso cui il risultato elusivo è stato conseguito (art. 31, comma 30, l. n. 183/2011;

art. 1, comma 726, l. n. 208/2015).

cooperazione di terzi o comunque la soddisfazione dell’interesse presidiato da una situazione giuridica soggettiva. Tale dispositivo/effetto non necessariamente è di tipo giudiziario, ma parte dall’autotutela e giunge fino alla forma massima dell’actio. Mutatis mutandis, qui si propone di estendere la categoria alla tutela degli interessi finanziari adesposti. 28 La distinzione tra limitazioni e sanzioni, nata in sede pretoria con la deliberazione SRC Lombardia deliberazione n. 515/2013/PRSE (ma cfr. altresì SRC Campania pronuncia n. 240/2017/PRSP per la ricognizione della giurisprudenza di mezzo) è stata oggi recepita in sede legislativa con l’art. 1, comma 830 della l. n. 145/2018, cfr. infra.

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La sanzione della nullità si rende necessaria in quanto l’elusione può realizzarsi non solo attraverso l’errata

rappresentazione contabile di un fatto, ma, anche, sul piano sostanziale, ponendo in essere atti attraverso

cui si realizza una esposizione del patrimonio dell’ente, in ragione del saldo obiettivo, altrimenti non

consentita.

In definitiva le sanzioni, non mirano al ripristino della situazione violata a carico del responsabile,

soddisfacendo l’interesse frustrato dall’inadempimento, ma alla sua “punizione”, con una finalità

preventiva e dissuasiva29. In quest’ottica è previsto una disciplina applicativa presidiata da un giudice con

le forme contenziose del processo, con la competenza delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti30.

Per tale ragione (al netto della sanzione della nullità testuale di cui tra poco si dirà), le altre sanzioni

previste in caso di elusione hanno carattere personale e, pertanto, deve essere provato anche l’elemento

soggettivo, consistente nell’avere «artificiosamente» (deliberatamente) conseguito il rispetto del saldo

obiettivo dissimulando il suo sforamento, violando l’obbligo di solidarietà finanziaria in cui consiste il

Patto/Saldo (cfr. SRC Lombardia n. 510/2011/PAR, n. 405/2012/PAR e n. 515/2013/PRSP).

L’accertamento di tale profilo e la sua “dimostrazione” è di esclusiva pertinenza delle Sezioni

giurisdizionali della Corte dei conti, integrando una fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile.

Discorso a parte, si diceva, va fatta per la sanzione della “nullità”.

Poiché si tratta di una tutela caducatoria volta a privare gli atti elusivi del “vantaggio” di poter produrre

effetti secondo l’ordinamento giuridico, la “sanzione” si sviluppa solo sul piano oggettivo della struttura

dell’atto giuridico compiuto. La nullità, infatti, è una fattispecie di non conformità oggettiva dell’atto al

suo schema legale (norme di validità) e non uno strumento repressivo di comportamenti illeciti (norme

di comportamento). Si tratta perciò di una fattispecie il cui accertamento si pone solo sul piano deli aspetti

esteriorizzati della condotta “sanzionata”, in pratica, su quello della causa concreta oggettivizzata nella

struttura e negli effetti del negozio (o dell’atto) elusivo.

Pertanto, alla stregua della fattispecie civilistica di frode alla legge ex art. 1344 c.c. e degli abusi tipizzati in

materia antitrust e fiscale (abuso di posizione dominante e di dipendenza economica, cfr. ad es. Corte di

giustizia, Hoffmann-La Roche Causa 85/1976, sent. del 13 febbraio 1979; TAR Lazio, Sez. I, sent. n. 25434

29 Secondo A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano 2003, p. 65 e ss., le sanzioni si differenziano dai rimedi meramente riparatori sulla base dell’interesse considerato dalla norma: la misura riparatoria (come il risarcimento del danno) a suffraga un interesse del tutto identico a quello oggetto del comando, laddove la sanzione suffraga un interesse superiore e diverso ed intorno esso si determina (per natura e consistenza) anche per evitare il ripetersi della condotta vietata. 30 Sul rapporto tra responsabilità risarcitoria e “sanzionatoria”, si permetta di rinviare a F. SUCAMELI, Appunti sparsi sul decreto n.1/2019 della Sezione Regionale Giurisdizionale della Corte dei conti per l’Abruzzo: il bene tutelato e la natura della responsabilità, nella reciproca integrazione tra funzioni, 8 luglio 2019, reperibile su https://dirittoeconti.it/novita-in-materia-di-sanzioni-agli-amministratori-comunali/ .

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del 14 luglio 2010; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1673; Sez. un. ord. 25 novembre 2011 n. 24906 e 8 aprile

2014; Corte di Giustizia Halifax, C-255/02, sent. del 21 febbraio 2006), non è necessario l’accertamento

di alcun animus fraudis o abutendi (l’intenzione di eludere l’applicazione di una norma o di abusare delle

forme giuridiche), ma la rilevazione dell’effetto pratico conseguito.

Diversa è lo statuto giuridico delle “limitazioni”.

Le “limitazioni” sono previste per entrambe le fattispecie (violazione ed elusione) e hanno sempre

struttura “oggettiva”. Inoltre, sul piano procedurale, esse possono conseguire alla certificazione effettuata

dallo stesso ente o per effetto di un accertamento effettuato, anche solo in sede di controllo, da parte

della Corte dei conti (art. 148-bis TUEL; artt. 1, commi 3, 5 e 7 del d.l. n. 174/2012).

Esse consistono (art. 31, comma 26, legge di stabilità 2012 e art. 1, comma 723, legge di stabilità 2016)

nei seguenti effetti di legge: a) nella riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo

perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l’obiettivo programmatico

predeterminato; b) nel divieto di impegnare spese correnti in misura superiore all’importo annuale medio

dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio; c) nel divieto di ricorrere all’indebitamento per

gli investimenti; d) nel divieto di assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia

contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione,

anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare

contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione; e)

nell’obbligo di rideterminare le indennità di funzione ed i gettoni di presenza indicati nell’articolo 82

TUEL, e successive modificazioni, con una riduzione del 30% all’ammontare risultante alla data del 30

giugno 2010 (sul punto cfr. SRC Lombardia pronunce n. 409/2012/PRSE e n. 521/2012/PAR, nonché

SRC Molise deliberazione n. 115/2012/PAR).

La stessa impostazione è stata confermata nella legge di bilancio 2017 (art. 1, comma 475, della l. n.

232/201631).

Sul piano funzionale, la differenza rispetto alle “sanzioni” è evidente. Dette “limitazioni amministrative”

mirano a “recuperare” lo spazio finanziario indebitamente consumato dall’ente locale con lo sforamento

del saldo, imponendo una restrizione delle risorse e della spesa autorizzabile (sono quindi “satisfattorie”

dello stesso interesse alla base del Patto/Saldo); in secondo luogo, esse non sono graduate in relazione

alla gravità o alla causa della violazione della disciplina del Patto/Saldo, ma operano sull’ordinaria attività

amministrativa, limitando la potestà degli organi di governo e direzione dell’ente, inibendo lo svolgimento

31 Il meccanismo delle sanzioni, però, è decaduto indirettamente per effetto della dichiarazione di incostituzionalità intervenuta con la sent. n. 101/2018, che ha caducato la parte sostanziale del patto, nei termini che verranno esposti nel paragrafo successivo.

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di specifiche attività (ad es. divieto di indebitamento e divieto di assunzione di personale) o riducendo il

margine di discrezionalità (ad es., come nel caso di specie, limitazione della spesa corrente entro specifici

parametri, cfr. sul punto specifico le già richiamate delibere SRC Lombardia n. 813/2009 e n. 288/2010).

7. La giurisprudenza costituzionale a tutela dell’equilibrio di bilancio delle autonomie e le

“contromisure” legislative nella legge di bilancio 2019

Così passati in rassegna i “principi di struttura” della disciplina del patto di stabilità interna durante tutta

la sua evoluzione, occorre soffermarsi sull’evento giuridico che ha determinato la necessità di un

momento di riflessione sull’istituto da parte del Legislatore. Si tratta delle censure sviluppate dalla

Consulta sul c.d. “pareggio di bilancio” nel biennio 2017-2018, con riguardo alla struttura del saldo

elaborato dal Legislatore interno (sentenze n. 247/2017 e n. 101/2018).

In estrema sintesi, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha sancito che la sostenibilità del debito

pubblico tramite il c.d. “pareggio” di bilancio (e delle norme interne derivati dagli obblighi comunitari in

materia di PSC) non può spingersi sino a sacrificare l’equilibrio del bilancio del singolo ente, mediante

operazioni espropriative dell’autonomia finanziaria, camuffate dalla “tecnicalità contabile”.

Le due sentenze hanno innanzi tutto oggetto diversi. La sentenza n. 247 riguarda la norma fondamentale,

contenuta nella legge rinforzata (art. 9 l. n. 243/2012), e si è risolta in una pronuncia interpretativa di

rigetto. La seconda ha invece colpito l’annuale legge di bilancio che, replicando il meccanismo dell’art. 9,

introduceva deroghe, eccezioni, rettifiche del saldo e, soprattutto, sanzioni e limitazioni collegate32.

Quindi, ferma restando la disciplina dell’art. 9 della l. n. 243/2012, la sentenza n. 101/2018 ha dichiarato

incostituzionale una versione “contingente” del pareggio di bilancio.

In secondo luogo, come si cercherà di dimostrare, la struttura esegetica che caratterizza le due sentenze

in nessun modo respinge in assoluto la possibilità di un saldo si coordinamento basato sul “pareggio”,

purché la sua declinazione interna non porti ad effetti paradossali ed irragionevoli.

La Corte, infatti, ha stigmatizzato solo l’abuso dell’istituto e l’effetto impeditivo rispetto al finanziamento

di spese per cui il bilancio ha registrato in precedenza disponibilità e copertura.

32 In considerazione di quanto affermato nella sentenza n. 247/2017, questa necessità interpretativa riguarda in generale l’art. 9 della l. n. 243/2012, che costituisce uno degli snodi centrali del coordinamento della finanza pubblica allargata, quindi anche tutti gli esercizi successivi. Per il 2015 e per il 2016, per i “saldi di pareggio” di coordinamento della finanza pubblica, a consuntivo, l’interpretazione conforme del Giudice delle leggi, quindi imporrebbe, in caso di accertamento di uno sforamento/elusione dell’obiettivo, di calcolare l’impatto di Fondo pluriennale vincolato e avanzo libero, anche se il Legislatore non lo ha espressamente contemplato. Cfr. in questo senso Corte dei conti, SS.RR. in spec. comp. sent. n. 12/2019/EL.

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Più nel dettaglio, la Corte: da un lato, ha evidenziato che equilibrio e pareggio (come poi sottolineerà per

equilibrio e sostenibilità del debito, in una sentenza successiva, ovvero la sent. n. 6/2019), sono concetti

che vanno tenuti distinti e che corrono sul filo della dicotomia autonomia/solidarietà, due valori in

concorrenza e in potenziale conflitto, che quindi necessitano di un delicato bilanciamento; dall’altro, che,

ove si verificassero, irragionevoli abusi espropriativi dell’autonomia, tramite l’uso di tecnicismi contabili,

l’esito non potrebbe non essere una dichiarazione di incostituzionalità, da cui non è al riparo nemmeno

la legge rinforzata (sent. n. 247/2017, punto 10 cons. diritto).

Come già si anticipava nel § 5, non solo in dottrina, ma anche nella giurisprudenza costituzionale è vieppiù

evidente che esiste una divaricazione concettuale tra precetto dell’equilibrio (art. 81 e 97 comma 1 Cost.)

e pareggio (art. 9 l. n. 243/2012). L’equilibrio, infatti, a differenza del pareggio, è un precetto di respiro

diacronico, che ha la capacità di determinare “legami” in termini di saldi di fine esercizio, tra determinate

categorie di entrate e determinate tipologie di spesa, finalizzando risorse a copertura di spesa futura di

certa realizzazione33.

33 Il pareggio evoca una corrispondenza contabile di grandezze finanziarie, mentre l’equilibrio allude a un fenomeno molto più complesso di coerenza tra grandezze economiche non solamente finanziarie, in arco temporale che supera il singolo anno fiscale. Così M. LUCIANI, La legge di stabilità e l’art. 81 della Costituzione, in atti del Convegno La legge di bilancio e di stabilità: le politiche economiche possibili fra diritto costituzionale e diritto europeo – dibattito tra economisti e giuristi, Roma, 2017, ma anche A. CAROSI, in Il sindacato sugli atti di natura finanziaria tra corte costituzionale e magistrature superiori, in Atti del Seminario di aggiornamento dedicato ai magistrati contabili presso la Corte costituzionale, 2018, in corso di pubblicazione. È in quest’ottica, infatti, che si possono ammettere norme che consentono di superare l’orizzonte temporale del bilancio, verificando la “sostenibilità” di un’uscita in ragione alla natura e alla causa della spesa. Per esempio, nel caso di un investimento, la constatazione che l’esborso monetario si traduce in un bene di pari valore ad utilizzo pluriennale, giustifica parallelamente l’indebitamento ed il relativo ammortamento (cioè assorbimento progressivo) sui bilanci successivi (cfr. l’art. 10 della l. n. 243/2012). Cosi accade, altresì, quando il bene della vita sia la stessa continuità dell’amministrazione e l’erogazione di servizi e funzioni essenziali, in ragione dei quali è ammesso il rientro decennale o addirittura trentennale da disavanzi (cfr. ad es. art. 3, commi 13 e 16 del d.lgs. n. 118/2011; art. 9, comma 5, d.l. n. 78/2015). In definitiva, l’utilità marginale del bene utilizzato o del servizio, può giustificare la ripartizione pluriennale del “costo” sui bilanci successivi. Detto in altri termini, mentre il pareggio è una “regola” a fattispecie determinata e ragionieristicamente definita dall’equivalenza tra entrate e uscite in un dato esercizio finanziario, il precetto dell’equilibrio è una “clausola generale” (cioè a fattispecie indeterminata, ma ad effetto definito), che, da un lato, può evidenziare un difetto di corrispondenza – misurato sul ciclo di vita degli impieghi – tra risorse impiegate (oneri economici e finanziari) e utilità corrispondenti, dall’altro, innesta doverose azioni di rientro. L’equilibrio, secondo la Corte costituzionale, infatti, è una “clausola generale” (sentenza n. 192/20912) e non un semplice principio (precetto normativo a struttura indeterminata tanto nella fattispecie che nell’effetto), perché la sua violazione determina degli effetti precisi sulle successive azioni di bilancio. Precisa la Corte che si tratta di un precetto «per effetto del quale ogni determinazione [infedele] del risultato di amministrazione si riverbera a cascata sugli esercizi successivi» (sent. n. 266/2013) e che è «in grado di operare pure in assenza di norme interposte» (Corte costituzionale, sentenza n. 192/2012). La Corte espressamente individua l’effetto costituzionale e tipico nella necessità di effettuare «appropriate variazioni del bilancio di previsione» (sent. n. 250/2013) volte a recuperare l’equilibrio turbato, in ragione del principio della continuità di bilancio e degli esercizi finanziari (sent. n. 274/2017). La manovra di assestamento è dunque una “misura correttiva” tipica, generale, connaturata al sistema contabile della Repubblica. Accanto a questa conseguenza base

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Perfettamente servente alla tutela dell’equilibrio è la struttura ed il funzionamento del risultato di

amministrazione, ed a monte il fondo pluriennale vincolato. Essi consentono di creare una “riserva”

finanziaria (di crediti e cassa) che, se nel tempo non è stata diversamente impiegata o pregiudicata (la

verifica di tale situazioni è rimessa alla fase di rendicontazione degli esercizi successivi), consente di

finanziare la spesa di esercizi futuri senza ricorrere ad entrate di competenza, mediante applicazione del

citato fondo o del risultato di amministrazione34. In buona sostanza, la spesa futura può così risultare

finanziariamente neutrale e già coperta anche in caso di approvvigionamento di risorse nello stesso

esercizio e non deve né può essere rifinanziata ove la riserva di valuta (e di valore), effettuata con

l’accantonamento, sia ancora giuridicamente esistente, mediante una verifica del saldo che si effettua a

rendiconto.

esistono le c.d. misure di salvaguardia, volte a conferire maggiore effettività alle funzioni del bilancio (si pensi ai “premi e sanzioni” dell’art. 9 della l. n. 243/2012, comma 4), misure la cui individuazione è una competenza dello Stato, quale coordinatore della finanza pubblica (cfr. sent. 228/2017, con riguardo agli effetti di scioglimento degli enti che non provvedono a darsi un bilancio nei tempi di legge). Sul dibattito italiano sulla nozione e la funzione nel sistema di clausole generali, concetti indeterminati e principi generali, nonché, soprattutto, sulle tecniche a presidio della certezza del diritto cui è tenuta la giurisprudenza cfr. G. D’AMICO (a cura di), Principi e clausole generali nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, Milano, 2017, con introduzione di Paolo Grossi. In generale, sui principi, cfr. G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992, con specifico rinvio a tutto il cap. VI. Il tema è sviluppato principalmente dalla dottrina civilistica, per cui si rinvia a L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Rivista critica del diritto privato, 1986, 5 e ss.; S. RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, in Rivista critica del diritto privato, 1987, 709 e ss.; A. DI MAJO, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Rivista critica del diritto privato., 1984, 593 ss., 544 e M. LIBERTINI, Clausole generali, norme di principio, norme a contenuto indeterminato, una proposta di distinzione, in Rivista critica del diritto privato, 2011, 345-378. 34 Il risultato di amministrazione, in senso tecnico è espresso dalla Riga E (cd. parte disponibile) del citato cfr. Allegato 10, lett. a) del d.lgs. n. 118/2011. Esso si ottiene al lordo della sottrazione dei fondi di Riga B-D i quali sono costituiti da “accantonamenti”, “vincoli”, “destinazioni”. Per la traslazione applicativa in esercizi successivi dei fondi valgono sinteticamente le due seguenti regole: a) solo in caso di capienza del risultato di Riga A rispetto ai fondi di riga B-D, le quote vincolate/accantonate/destinate saranno applicabili; b) solo in caso si margine positivo di Riga E, inoltre, si avrà avanzo “libero” che va a costituire risparmio pubblico liberamente destinabile dall’ente (Cfr. SRC Campania, n. 110/2018/PARI e, in modo sostanzialmente conforme gli artt. 1, commi 897 e ss. della Legge di Bilancio 2019-2021) . Condizione di applicazione del SCP sono dunque le precondizioni a) e b). Per contro, per scelta legislativa, il FPV, una volta costituito, non incorre in limiti alla sua applicazione, ed è sempre applicabile anche in caso di incapienza o disavanzo di Riga A. Questa deroga al principio della copertura secondo la competenza finanziaria potenziata (esigibilità del debito/credito) appare ragionevole nella misura in cui consente di effettuare alcune tipologie di spese che hanno ricevuto, a suo tempo, specifici finanziamenti, e per tale ragione si devono considerare “coperte” se effettuate nei tempi di legge: si tratta, cioè, di un istituto contabile che stimola l’efficienza gestionale, poiché la lentezza dell’amministrazione può determinare la confluenza delle stesse somme dentro gli altri fondi, con il rischio che l’ente possa, in futuro, incorrere in limiti all’applicazione del risultato di amministrazione, a causa della manifestazione di un saldo negativo o di un’incapienza (con la conseguenza che per coprire tale spesa, l’ente è obbligato a rifinanziarsi tramite il disavanzo, per recuperare le risorse bruciate).

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Ciò avviene in particolare per: «spese di natura pluriennale e, in particolare, degli investimenti [In tali casi] il principio

della copertura consiste nell’assoluto equilibrio tra risorse e spese, sia in fase previsionale che durante l’intero arco di

realizzazione degli interventi» (sent. n. 101/2018, punto 6.2.3, cons. diritto).

«È evidente, tuttavia, che gli avanzi di amministrazione degli enti territoriali, impiegabili per liberare spazi finanziari o

consentire nuove spese agli enti che ne sono titolari, e le riserve conservate nel fondo pluriennale vincolato devono essere

assoggettati a una rigorosa verifica in sede di rendiconto» (cfr. sent. n. 101/2018, punto 6.2.3, cons. diritto).

Infatti, solo l’accertamento a rendiconto delle risorse e, in particolare, la verifica della sussistenza di una

“riserva” (in termini di saldo positivo tra crediti e cassa da un lato, e passività dall’altro) idonea a

finanziarie nuova spesa, trasforma le quote vincolate, nonché l’eventuale avanzo libero, in componenti

patrimoniali proprie ed “autonome” dell’ente territoriale ai sensi dell’art. 119 Cost., impiegabili a sostegno

dell’equilibrio negli esercizi futuri in una prospettiva diacronica e “finanziariamente neutrale” (nel senso

che la spesa è già “giuridicamente” coperta e non richiede nuove entrate di competenza a nuova

copertura, a meno che tale copertura risulti, “finanziariamente”, dissipata per effetto dell’erosione del

risultato di amministrazione).

Una volta accantonate le risorse (nonché riaccertata la loro attuale esistenza e “riserva” sul risultato di

amministrazione), esse sono cespiti in patrimonio che concorrono a determinare il “patrimonio netto”

dell’ente, che infatti concorre allo “Stato patrimoniale” del bilancio (All. 4/3 d.lgs. n. 118/2011).

Il pareggio, per contro, è un saldo che riguarda solo le entrate accertate e le spese impegnate nel corso di

un solo esercizio finanziario: esso implica un rigido saldo non negativo tra quanto accertato « nei titoli 1,

2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2 e 3 della spesa », sent. n. 101/2018), senza che in esso si tenga conto

dell’avanzo libero o del fondo pluriennale vincolato.

La necessità di rispettare tale vincolo non deve determinare “effetti espropriativi” che mini la possibilità

di finanziarie funzioni e servizi (art. 119 Cost.). Quindi, non si esclude, ad esempio, che un’entrata in

quest’ottica, già destinata, non possa concorrere al calcolo del saldo, in quanto già prenotata da una spesa

futura che verrà ad essere esigibile in futuro.

Se è così, non è possibile per lo Stato “espropriare” la risorsa per il perseguimento degli equilibri di

sistema (sent. n. 247/2017, punti 8.3 e 8.6, cons. diritto) se queste risorse esiste ed è disponibile per gli

equilibri del singolo ente: ciò vale sia in fase di determinazione degli equilibri del singolo ente (laddove

non si esclude possano sussistere obblighi specifici ed aggiuntivi di coordinamento, cfr. sent. n. 252/2017)

sia in fase sanzionatoria (obbligando lo Stato a valutare sanzioni che comunque destinino il gettito non

allo Stato medesimo, ma al sistema delle autonomie insistenti sul territorio di alcune regioni a statuto

speciale, sent. n. 101/2018, punto 6.3, cons. in dir.).

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Detto in altri termini, l’equilibrio impone in primo luogo che le spese “dell’ente”, dell’esercizio e future,

siano coperte, non anche che l’ente debba necessariamente sacrificare “irragionevolmente” la propria

autonomia finanziaria per assicurare quelle dell’intero sistema. Un obbligo di tal fatta sopravanza il

contenuto deontico del precetto dell’equilibrio (e dell’art. 117 comma 1 Cost., che impone il rispetto dei

vincoli eurounitari) e rischia di generare obblighi irragionevoli, per sproporzione allo scopo.

Altra cosa è affermare che esistono altri obblighi, come quelli di coordinamento, che giustificano altri

“limiti” e altre “sanzioni”.

Si tratta, in questo secondo caso, di un problema di solidarietà e di coordinamento della finanza pubblica,

affidato al sistema delle intese (cfr. Corte cost. sentt. nn. 138 e 236/2013, nonché n. 191/2017), che il

discorso costituzionale del Giudice delle Leggi, infatti, lascia impregiudicato: non viene messa in

discussione la possibilità del Legislatore statale di inserire, nel sistema, elementi solidaristici, che tuttavia

non devono pregiudicare la spesa per investimenti (art. 119, comma 6 Cost., il cui finanziamento è

allocata, ad esempio, nel fondo pluriennale vincolato, FPV) o la stabilità dell’affidamento su risorse ormai

proprie (avanzo libero accertato) e che devono partire dal riconoscimento dell’autonomia delle risorse

accumulate per spesa obbligatoria, nell’ottica degli artt. 5, 117 comma 1 e 120 Cost.35.

35 In sostanza, la Consulta, ha prima imposto una interpretazione costituzionalmente conforme delle nuove norme sul “pareggio” contenute nella l. n. 243/2012 (sent. n. 247/2017), poi, constatata la reiterazione legislativa del paradigma (con un chiaro riferimento alla applicabilità del FPV, esclusivamente se ed in quanto originato dalle entrate finali di competenza), ha dichiarato l’incostituzionalità del dispositivo normativo della legge di bilancio 2017 (e segnatamente dei commi 466, 475 e 519 dell’art. 1 della l. 11 dicembre 2016, n. 232) che sostanzialmente replicava i vizi censurati in via interpretativa con la sent. n. 247/2017. Con la sent. n. 247/2017 la Corte costituzionale aveva imposto una opzione ermeneutica sulla legge n. 243/2012 (e sulla leggi di bilancio che vi danno attuazione, collegando specifiche limitazioni o sanzioni alla sua violazione ed elusione), ritenendo che l’avanzo libero applicato fosse computabile anche ai fini della certificazione, a consuntivo, e che la legge andava «riferita al momento di redazione del bilancio di previsione, mentre l’accertamento del risultato di amministrazione dell’anno precedente avviene a esercizio inoltrato con l’approvazione del rendiconto». Analogamente, per il fondo pluriennale vincolato (FPV), la Corte riteneva che il pareggio non può tradursi in una preclusione di computo ai fini della certificazione. Il FPV, infatti, ingloba risorse che hanno una destinazione specifica e vincolata su più anni, per il finanziamento di spesa qualificata (principalmente, investimenti), che il pareggio, strettamente interpretato, avrebbe potuto precludere di impiegare. In proposito, il Giudice delle leggi emette una sentenza manipolativa, affermando che: «la norma censurata non può essere interpretata come modificativa della copertura delle obbligazioni e degli impegni legittimamente assunti dall’ente territoriale cui corrisponde il vincolo del fondo pluriennale, “naturalmente” finalizzato a conservare le risorse necessarie per onorare le relative scadenze finanziarie». Il Giudice delle leggi, infine, nella sentenza n. 247/2017 (spec. § 10 in diritto), avvertiva che non sarebbe stato più tollerato l’“abuso del tecnicismo contabile” che, attraverso l’oscurità degli effetti e delle funzioni di un saldo, nel caso del pareggio di bilancio può spingersi a determinare forme surrettizie di espropriazione del bilancio degli enti territoriali. Questo fenomeno può interessare non solo in leggi ordinarie di bilancio, ma financo nella legge rinforzata n. 243/2012 e la sua legge modificativa (legge 12 agosto 2016, n. 164, recante “Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali”). Cosicché, verificato che il paradigma espropriativo censurato era stato replicato da una successiva legge dello Stato, la Corte, con la sent. n. 101/2018, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 1, comma 466, della l. n. 232/2016 «nella parte in cui stabilisce che, a partire dal 2020, ai fini della determinazione dell’equilibrio del bilancio degli enti territoriali, le spese vincolate provenienti dai precedenti esercizi debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza». La stessa legge è stata

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Sicché, con le sentt. n. 247/2017 e n. 101/2018, la Corte ha precisato che sebbene la “legge rinforzata”

individui «le modalità di perseguimento del “pareggio” (recte: equilibrio) di bilancio, come enunciato all’art. 81 Cost.,

[essa] non può ridefinirlo attraverso indiretti tecnicismi contabili». In sostanza, la Corte ha onerato il Legislatore

del dovere di meccanismi di solidarietà finanziaria che siano in grado di coniugare equilibrio e pareggio,

dando pero prevalenza al primo, come precetto a presidio di un’effettiva autonomia territoriale.

Di tale “onere”, il Legislatore si è fatto carico con la legge di bilancio 2019 (l. 30 dicembre 2018, n. 145)

36, sebbene con una certa cautela.

La riforma che si passa in rassegna, infatti, riguarda “solo” gli enti locali, le regioni a statuto speciale, le

Province autonome, nonché le Città metropolitane.

Il comma 824, invece, ha rimandato l’applicazione della nuova disciplina per le regioni a statuto ordinario

(che costituiscono un nucleo importante della finanza allargata): infatti, l'abolizione delle norme della

legge n. 232/2016 e della legge n. 205/2017 (e del connesso articolo 6-bis della legge 123/2017) e

l’applicazione integrale dei commi 819-823 è stata rinviata al 2021, subordinatemene ad un’intesa in sede

di Conferenza Stato– Regioni e Province autonome.

Tanto premesso, i tratti fondamentali di tale riforma sono i seguenti: a) riduzione del doppio binario alla

sola fase “consuntiva” (e non una eliminazione assoluta, come sembra emergere dal dibattito sulla stampa

specializzata); b) riduzione/eliminazione dell’apparato sanzionatorio.

Per quanto riguarda la “riduzione” del doppio binario, ai sensi dell’art. 1, comma 821, della legge di

bilancio 2019, gli enti territoriali si “considerano in equilibrio in presenza di un risultato di competenza dell'esercizio

non negativo”, apparentemente, senza alcuno sforzo aggiuntivo per garantire il collettivo raggiungimento

dell’obiettivo di medio termine (OMT). In pratica si determina la sovrapposizione, a previsione, tra

“pareggio” e obbligo di equilibrio statico-autorizzativo (cfr. Corte cost. sent. n. 70/2012 nonché n.

dichiarata incostituzionale anche là dove «non prevede che l’inserimento dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato nei bilanci dei medesimi enti territoriali abbia effetti neutrali rispetto alla determinazione dell’equilibrio dell’esercizio di competenza». Si tratta di statuizioni che, per quanto riguardino l’esercizio 2017 ed il patto del relativo anno, ridondano, come già “fatto accaduto” per effetto della sent. n. 247/2017, sulla interpretazione delle norme del SFP del 2016 e dell’art. 9 della l. n. 243/2012 in generale. In definitiva, come si anticipava, la funzione del “pareggio” di bilancio non può sopravanzare o sovrapporsi al precetto dell’equilibrio. Ove ciò avvenga, appiattendo l’equilibrio sul concetto di “pareggio” deve essere relegato a

sistema di calcolo e consolidamento dei conti nazionali, vale a dire ad un concetto « meramente tecnico-contabile [...] per

il consolidamento dei conti nazionali », ovvero come un’« aggregazione contabile [che] non incide né quantitativamente né

temporalmente sulle risorse legittimamente accantonate per la copertura di programmi, impegni e obbligazioni passive » (sent. n. 101/2018). 36 Infatti, ai sensi del comma 820: «A decorrere dall’anno 2019, in attuazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 247 del 29 novembre 2017 e n. 101 del 17 maggio 2018, le regioni a statuto speciale, le province autonome di Trento e di Bolzano, le città metropolitane, le province e i comuni utilizzano il risultato di amministrazione e il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa nel rispetto delle disposizioni previste dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118».

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250/2013), ai sensi dell’art. 40 d.lgs. n. 118/2011 e dell’art. 162 TUEL con quello richiesto ai fini dell’art.

9 della l. n 243/2012, con la possibilità di computare pienamente avanzo e fondo pluriennale applicato.

La disposizione del comma 821, infatti, è dichiaratamente posta in relazione alla necessità di dare

attuazione alla citata giurisprudenza costituzionale (comma 820, che cita le sentenze nn. 247/2017 e n.

101/2018).

Tuttavia, dai commi 820 e 821 si può ricavare che la disciplina di pareggio ed equilibrio si sono

perfettamente sovrapposte, ma solo a previsione. A consuntivo, invece, permane una disciplina speciale

ed aggiuntiva: il comma 821 richiede che il pareggio non sia solo previsionale, ma sussista anche in corso

di gestione e a consuntivo, come dimostra il riferimento all’allegato n. 10 del d.lgs. n. 118/2011

(rendiconto di gestione)37: questo significa che il mancato pareggio tra entrate e spese di competenza

continua a determinare effetti sul piano del disavanzo, ai sensi dell’art. 9, comma 2, della l. n. 243/2012

(cfr. infra § 9).

Detto in altri termini, equilibrio statico (a previsione) e pareggio coincidono, essi però tornano a

distinguersi a consuntivo imponendo distinti comportamenti correttivi sulla base di due saldi distinti: il

primo si identifica col risultato di amministrazione e con la disciplina del rientro dal disavanzo

“complessivo” accumulato negli anni38, il secondo con un saldo di pareggio tra entrate e spese accertate

ed impegnate, di competenza dell’esercizio trascorso, per cui è previsto un apposito sistema di

monitoraggio (art. 9, comma 2, l. n. 243/2012).

37 La rilevanza del saldo non solo a previsione, ma anche durante la gestione (rendendo il pareggio un saldo anch’esso “dinamico”) è confermata anche dal comma 822, il quale evidenzia che il sistema di certificazione e monitoraggio è alla base del sistema informativo in virtù del quale il Governo deve attivare manovre di correzione della finanza statale, in modo che il conto consolidato della pubblica amministrazione non abbia a risentire dell’andamento disordinato della finanza territoriale. Segnatamente, ai sensi del comma 822: «Qualora risultino, nel corso di ciascun anno, andamenti di spesa degli enti di cui al comma 819 non coerenti con gli impegni finanziari assunti con l'Unione europea, si applica il comma 13 dell'articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196». Ai sensi del citato comma 13: «Il Ministro dell'economia e delle finanze, allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione. La medesima procedura e applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri, fermo restando quanto disposto in materia di personale dall'articolo 61 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». 38 A consuntivo, infatti, ai sensi degli artt. 188 TUEL e 42 d.lgs. 118/2011, deve sussistere l’equilibrio contabile “dinamico”, nel senso che in termini pluriennali, associando la gestione di “competenza” (cioè quella dell’esercizio finanziario appena trascorso) con quella degli anni precedenti (la c.d. gestione residui) il “risultato di amministrazione” non deve essere negativo. In proposito cfr. Corte costituzionale, sent. n. 250/2013 (§ 3.2 in diritto): «Questa Corte ha già affermato (sentenza n. 70 del 2012) che “Nell’ordinamento finanziario delle amministrazioni pubbliche i principi del pareggio e dell’equilibrio tendenziale fissati nell’art. 81, quarto comma, Cost. si realizzano attraverso due regole, una statica e l’altra dinamica: la prima consiste nella parificazione delle previsioni di entrata e spesa»; la seconda nel continuo perseguimento di una situazione di equilibrio tra partite attive e passive che compongono il bilancio, attraverso un’interazione delle loro dinamiche in modo tale che il saldo sia tendenzialmente nullo. Ciò determina nell’amministrazione pubblica l’esigenza di un costante controllo di coerenza tra la struttura delle singole partite attive e passive che compongono il bilancio stesso”».

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In secondo luogo, la legge di bilancio 2019, ha agito sul trattamento rimediale aggiuntivo che le leggi di

bilancio precedenti avevano associato al saldo ex art. 9 comma 4 della l. n. 243/20912 (sanzioni e

limitazioni in caso di violazione/elusione del Patto di stabilità interno/SFP). Oltre ad abrogare per il

futuro tale sistema di sanzioni/limitazioni (comma 823), la legge di bilancio è intervenuta

retroattivamente, de-sanzionando violazioni/elusioni relative ad esercizi precedenti (cfr. commi 827-830).

In buona sostanza, se è per quanto concerne le violazioni/elusioni del saldo di pareggio 2017 le sanzioni

e limitazioni devono ritenersi “decadute” per gli effetti della sentenza n. 101/2018, il Legislatore ha

provveduto altresì a ridurre o eliminare gli effetti sanzionatori nei termini che seguono. In primo luogo,

ha provveduto largamente a “desanzionare” anche le violazioni del “patto” 201639, mentre per quelle

riguardanti il 2018 ha previsto l’inapplicabilità di sanzioni: a) in caso di enti, per i quali, nello stesso anno,

si siano tenute elezioni amministrative (comma 827. La ratio è evitare che gli effetti negativi delle condotte

contabili delle precedenti amministrazioni si scarichino sulle nuove); b) in caso di enti locali per i quali sia

conclamata una crisi finanziaria strutturale, trattandosi di enti sottoposti al piano di riequilibrio

pluriennale (art. 243-bis e ss. TUEL) o al dissesto40.

Il concorso degli enti territoriali al raggiungimento dell’OMT è assicurato in sostanza tramite il generico

rinvio: a) all’attività di monitoraggio dei conti pubblici (comma 1117); b) alla reazione del sistema politico

39 Segnatamente, per quanto il SFP 2016, ai sensi dell’art. 1, comma 830, «Le limitazioni amministrative di cui all’articolo 1, comma 723, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, relative al mancato conseguimento per l’anno 2016 del saldo non negativo [...], non trovano applicazione nei confronti degli enti locali per i quali la violazione è stata accertata dalla Corte dei conti e che, alla data del predetto accertamento, si trovano in dissesto finanziario o in piano di riequilibrio pluriennale» (comma 828). Si tratta del taglio al fondo di solidarietà per un importo equivalente allo sforamento, il tetto alla spesa corrente entro il livello dell’anno prima ridotto dell’1%, il blocco all’indebitamento e quello alle nuove assunzioni. Nel pacchetto era

compreso poi il taglio del 30% di indennità e gettoni per il sindaco e gli assessori in carica nell’anno del mancato rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Da notare come la distinzione tra “limitazioni” e “sanzioni”, formatasi in sede giurisprudenziale, sia stata assorbita dal linguaggio legislativo. 40 Solo per gli enti locali in dissesto, in procedura semplificata, non si applicano le sanzioni, se lo sforamento del saldo è stato determinato dal “pagamento dei debiti residui mediante utilizzo di quota dell’avanzo accantonato” (comma 829). Per capire di che si tratti basta qui sapere che negli enti in dissesto, il bilancio viene splittato nella gestione, separando quello fino alla data del dissesto (rectius dell’anno precedente all’adozione del bilancio stabilmente “riequilibrato”) e quello della gestione corrente annuale e degli anni successivi al dissesto (c.d. bilancio stabilmente riequilibrato; per una ricostruzione normativa della disciplina si rinvia alla recente pronuncia SRC Campania n. 128/2018/PAR). Il SFP riguarda il bilancio riequilibrato. Il c.d. bilancio del dissesto viene gestito dall’organo straordinario di liquidazione (OSL), il quale, in caso di insufficienza della massa attiva, viene all’occorrenza “finanziato” da un trasferimento del bilancio stabilmente riequilibrato (gestito, invece, dagli organi politici in carica). Lo sforamento del patto potrebbe essere stato determinato dalla spesa per il trasferimento, finanziata in entrata dall’applicazione di avanzo vincolato (il quale, con il vecchio sistema, non veniva computato tra gli elementi positivi del saldo). Per un caso di accertamento della violazione del Patto da parte di un ente in dissesto cfr. SRC Campania, deliberazione n. 173/2015/PRSP. L’esimente del comma 829, però si applica solo se l’ente, oltre ad essere in dissesto e ad avere sforato a causa dell’esigenza di onorare il debito pregresso, sia anche in “procedura semplificata”, vale a dire una variante della procedura di disseto che, in modo concorsuale, prevede la sistematica proposizione di un pagamento transattivo ai creditori, in una percentuale del debito originario (art. 258 TUEL).

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mediante manovre di aggiustamento del bilancio statale. Infatti, ai sensi del comma 822 «Qualora risultino,

nel corso di ciascun anno, andamenti di spesa degli enti [del sistema Repubblica] non coerenti con gli impegni finanziari

assunti con l’Unione europea, si applica il comma 13 dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196».

La norma richiamata rinvia al potere del Ministro dell’economia e delle finanze di assumere “tempestive”

e “conseguenti” iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell’articolo 81 della Costituzione.

Nessuna sanzione/limitazione automatica (né competenza della Corte dei conti, né in sede di controllo,

né in sede processuale) è più prevista in caso di violazione del Patto di stabilità interno/SFP (cfr.

l’abrogazione espressa dell’apparato sanzionatorio/limitativo contenuta nel comma 82341).

In buona sostanza, l’unica “reazione” ordinamentale è quella attraverso gli organi apicali dello Stato, alla

stregua di quanto previsto in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte

costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri

per la finanza pubblica (art. 17, comma 13, l. n. 196/2009).

.

8. Alcune considerazioni sulla soluzione legislativa ordinaria. I limiti alla discrezionalità del

legislatore ed il coordinamento della finanza pubblica

Tirando le somme, ad avviso di chi scrive, si possono fare le seguenti considerazioni42.

Sul piano sostanziale, l’abolizione di un saldo speciale sembra necessitata dall’esigenza di dare attuazione

alle sentt. n. 247/2017 e n. 101/2018, come lo stesso testo legislativo letteralmente dichiara.

La disamina delle sentenze, ma anche della disciplina comunitaria, tuttavia, portano a non condividere

questo punto di vista del Legislatore. Certamente, infatti, il Legislatore statale ha eliminato il vulnus rilevato

dalla Corte costituzionale, ma ha di fatto rinunciato a trovare soluzioni innovative, compatibili con

l’intelaiatura costituzionale degli artt. 81-97-117-119 Cost., pur possibile alla luce della stessa disciplina

euro-unitaria.

Era (ed è) dunque compito del Legislatore individuare soluzioni contabili alternative. Il Giudice delle

leggi, del resto, ha ribadito che lo Stato, in virtù della sua competenza concorrente di coordinamento della

finanza pubblica, ben può continuare a stabilire tetti ed orientare la spesa pubblica degli enti territoriali

(sentt. n. 88/2014, n. 275/2016 e n. 137/2018) con tecniche “adeguate” agli scopi: la Corte costituzionale

con le sentenze n. 247/2017 e la sent. n. 101/2018 non ha sancito in nessun modo la fine del

41 La diminuzione dei presidi riguarda anche l’abolizione della responsabilità personale, erariale e sanzionatoria, attivabile dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, cfr. l’abrogazione espressa dell’art. 1, comma 481 della l. n. 232/2016. 42 Per una ricostruzione sintetica del superamento del “doppio binario” dei saldi e lo sblocco del c.d. overshooting, si rinvia al Focus tematico n. 3/2019, 8 aprile 2019, recente documento elaborato dall’Ufficio Parlamentare di bilancio, reperibile su https://www.upbilancio.it/pubblicato-il-focus-n-3-gli-avanzi-spendibili-degli-enti-territoriali-a-seguito-delle-nuove-regole-sul-pareggio/ .

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coordinamento della finanza pubblica in chiave di sostenimento collettivo e solidale degli obiettivi

eurounitari di riduzione del deficit e dell’indebitamento della pubblica amministrazione (come dimostra

la sent. n. 252/201743), ma solo dichiarato l’incostituzionalità di una tecnica di saldo piuttosto discutibile

nella sua ingegneria contabile, in contrasto col principio di proporzionalità.

Di seguito si cercherà di svolgere questa tesi, avvalendosi di qualche artificio retorico.

La soluzione legislativa sul “patto” di bilancio che lega il sistema delle autonomie e lo Stato, per il rispetto

dei vincoli eurounitari e la sostenibilità del debito pubblico, infatti, appare gravemente e inutilmente

rinunciataria, ed appare altresì ingeneroso imputare questa scelta ad una opzione “obbligata” dalla Corte

costituzionale. Questa convinzione emerge, neanche troppo velatamente, nel riferimento effettuato

expressis verbis, da parte del Legislatore di bilancio 2019-2021 (art. 1, comma 820) alle due citate sentenze

della Corte costituzionale.

Per dimostrare l’infondatezza di questa convinzione, si proverà a declinare, retoricamente, gli argomenti

di un immaginario contraddittore, il quale deriva la convinzione della “necessità” della soluzione tecnico

legislativa adottata, sostanzialmente, sulla base di due argomenti, uno tecnico, l’atro strettamente

giuridico.

Il primo è la convinzione che dietro le decisioni della Corte costituzionale ci sia un errore tecnico. L’errore

sarebbe il seguente: la Corte costituzionale ignorerebbe che consentire di calcolare nel saldo di pareggio

il risultato di amministrazione applicato o il fondo pluriennale vincolato comporta il calcolo di poste che

provengono e riguardano esercizi anteriori, di cui l’ente ha beneficiato per il calcolo del saldo di

“pareggio” in esercizi precedenti.

43 La sentenza (spec. § 3.2. e 3.3. in diritto) si occupa del tema in merito alle modifiche dell’art. 10 della l. n. 243/2012, effettuate con la legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali). In tale occasione la Corte non manca di inquadrare la disciplina del pareggio e dell’indebitamento nell’abito delle competenze statali di “coordinamento della finanza pubblica”, valorizzando in quest’ottica anche le intese nell’ambito del comparto regionale ai fini degli utilizzi delle “riserve di amministrazione”. In tale prospettiva si valorizza altresì l’intreccio con la competenza esclusiva in materia statistica (art. 117, secondo comma, lettera r), Cost.) e di armonizzazione dei bilanci. Cfr. altresì il §§ 10.1 e 25 in diritto dove emerge l’allineamento con la precedente sentenza n. 247/2017, che già aveva affermato che l’avanzo di amministrazione, una volta che sia stato correttamente accertato nelle forme di legge e rappresentato nei rendiconti, è da considerare nella disponibilità dell'ente territoriale, e tuttavia individua nell’intesa: «il punto di equilibrio fra le esigenze della riforma e il rispetto delle autonomie finanziarie, come conformate dalla riforma stessa. Difatti, se è vero che nella previsione è presente un obbligo procedimentale che condiziona l’immediata utilizzabilità degli avanzi di amministrazione, è anche vero che la concreta realizzazione del risultato finanziario rimane affidata al dialogo fra gli enti interessati che l’avvio dell’intesa dovrebbe comportare» (punto 25 cons. dir.). Grazie a tale strumento (che introduce un vincolo di metodo, non di risultato, cfr. sent. n. 103/2018) e non si esclude il potere sostitutivo dello Stato, purché pareggio e limiti all’indebitamento, non realizzano gli effetti paradossali come quelli censurati con la sentenza n. 247/2017.

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Poiché il saldo di finanza pubblica è costruito sul modello dell’OMT, per contro, una simile soluzione

sarebbe incompatibile con la struttura del saldo e con le norme europee, che consentono di considerare

soltanto variazioni economiche e/o finanziarie maturate nell’esercizio di competenza44.

Pertanto, ammettere il calcolo di FPV e avanzo, libero e/o vincolato (poste attive che derivano da esercizi

pregressi), comporterebbe la sopravvalutazione dei proventi e/o dell’entrate finanziarie di competenza

che definiscono il saldo, determinando la rottura del vincolo solidaristico e l’inefficacia del “patto”

nell’ottica dei commi 1 degli artt. 97 117 e 119 Cost. (concorso degli enti territoriali alla “sostenibilità del

debito” del complesso delle pubbliche amministrazioni, cfr. art. 5, comma 2 lett. c) della L. cost. n.

1/201245, tramite il coordinamento della finanza pubblica, effettuato con leggi dello Stato ed il sistema

delle intese).

In pratica, gli enti territoriali diversi dallo Stato potrebbero così beneficiare due volte di una medesima

entrata ai fini del raggiungimento annuale del saldo (ossia nell’anno di primo accertamento e poi nell’anno

in cui, confluendo a riserva, viene applicata al saldo di bilancio per finanziare la spesa specifica cui è stata

originariamente o successivamente destinata).

In questa prospettiva, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 9 della L. n. 243/2012,

offerta della sent. n. 247/2017, avrebbe svuotato la logica del coordinamento della finanza pubblica e

della solidarietà degli enti della Repubblica, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi eurounitari di

politica economica e di bilancio, onerando solo l’amministrazione centrale ed il suo bilancio di trovare le

risorse necessarie. Tale soluzione ermeneutica sarebbe dunque in contrasto con l’art. 117 comma 1, l’art.

97 comma 1, ma altresì, con lo stesso art. 119 comma 1 Cost., rompendo la solidarietà finanziaria

repubblicana.

Quindi, concludendo e sintetizzando, l’interpretazione costituzionale del saldo di pareggio operata dal

Giudice delle leggi condenserebbe un errore tecnico ed un effetto incostituzionale, segnatamente: a)

ignorerebbe elementari regole tecniche alla base della fattispecie del saldo richiesto come OMT, che è un

saldo di competenza economica e non consente “ristorni di entrate”; b) sarebbe, indirettamente,

incompatibile con la disciplina eurounitaria del SEC 2010; c) violerebbe conseguentemente la stessa

44 Come è noto, infatti, il saldo di pareggio è costruito per consentire al sistema repubblicano (art. 114 Cost.) di concorrere solidaristicamente, e in un’ottica di coordinamento della finanza pubblica (art. 97 e 117 comma 1 Cost.), al conseguimento dell’OMT, costruito sulla base dei criteri statistici e le definizioni contabili del SEC 2010 (Regolamento UE n. 549/2013). Il sistema dei conti europei prende a riferimento, oltre ad entrate e spese, costi e ricavi e pertanto ha una struttura tendenzialmente basata sulla contabilità economico-patrimoniale. E su tali basi, di conseguenza, che viene costruito il conto economico consolidato della pubblica amministrazione. 45 La norma costituzionale, nel rinviare alla legge rinforzata, specifica: “2. La legge di cui al comma 1 disciplina altresì: […] c) le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Citta metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”.

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Costituzione (sotto il profilo dei parametri richiamati), svuotando la funzione solidaristica del

coordinamento della finanza pubblica.

A fronte del “giudicato costituzionale”46, però, il Legislatore non avrebbe avuto scelta: per superare tale

impasse, il saldo di equilibrio, vista la necessità di consentire l’utilizzo di avanzo e fondo pluriennale

vincolato, può solo coincidere con quello determinato ai sensi dell’art. 162 TUEL e dell’art. 40 D.lgs. n.

118/2011. È stata perciò eliminata la tradizionale dualità tra i due saldi (quello del “patto” e quello di

equilibrio statico richiesto dalla ordinaria disciplina del bilancio di previsione). La soluzione adottata dal

Legislatore certamente consente di superare la censura di incostituzionalità, poiché permette di

computare avanzi e FPV applicati in entrata, ma non risolve il problema di solidarietà repubblicana e di

disarmonia, anzi, di “non coordinamento” della finanza pubblica allargata che le richiamate sentenze

avrebbero aperto.

Ad avviso di chi scrive, la critica, qui “retoricamente” ricostruita, coglie solo parzialmente nel segno,

innanzi tutto sul piano tecnico.

Parzialmente, nel senso che in effetti un errore tecnico sussiste, ma non è imputabile, alla Corte

costituzionale, bensì, allo stesso Legislatore delle norme dichiarate incostituzionali.

Sia in contabilità economico-patrimoniale che in contabilità finanziaria, accanto alla regola della

“competenza”, tramite cui le poste si imputano a bilancio nell’esercizio di riferimento, esiste il c.d.

principio del matching, che è un corollario applicativo della stessa regola della “competenza”. Il matching

evita che poste che invero hanno una valenza (utilità) pluriennale vengano registrate integralmente in un

solo esercizio, nel quale si sono manifestate, e vengano posposte in quello in cui il ciclo economico si

compie (principio della competenza economica47) o la spesa viene sostenuta (principio della copertura

giuridica e della sostenibilità finanziaria della spesa).

46 Assestatosi su ben due sentenze, la prima, la sent . 247/2017, latrice di una interpretazione conformativa dell’art. 9 della l. n. 243/2012, la seconda, la sent. n. 101/2018, afferente ad una delle applicazioni annuali della legge rinforzata or ora citata. In un caso una sentenza interpretativa di rigetto, nell’altro una secca dichiarazione di incostituzionalità. 47 In contabilità economico-patrimoniale, infatti, vige il principio della c.d. competenza economica, secondo cui i ricavi (valore di prodotto o di erogazione) devono essere imputati all’esercizio in cui si realizza e matura il valore medesimo. La competenza economica è determinata dalla correlazione dei costi con i ricavi. In pratica, in linea di massima si può affermare che la competenza economica (art. 2423-bis c.c.) coincide col momento della realizzazione della causa di un ricavo, a prescindere dall’effettivo incasso, vale a dire, col sorgere della obbligazione di “corrispondere” alla erogazione di una prestazione da parte del sistema aziendale. Cfr. in tale senso il principio contabile OIC n. 11. Cfr. altresì il d.lgs. n. 118/2011, All. 1, punto 17: «Principio della competenza economica. Il principio della competenza economica rappresenta il criterio con il quale sono imputati gli effetti delle diverse operazioni ed attività amministrative che la singola amministrazione pubblica svolge durante ogni esercizio e mediante le quali si evidenziano “utilità economiche” cedute e/o acquisite anche se non direttamente collegate ai relativi movimenti finanziari. Per il principio della competenza economica l’effetto delle operazioni e degli altri eventi deve essere rilevato contabilmente ed attribuito all’esercizio al quale tali operazioni ed eventi si riferiscono

e non a quello in cui si concretizzano i relativi movimenti finanziari [...] 

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Nella contabilità economico-pèatrimoniale (detta anche “accrual”), in caso di costi e ricavi di valenza

pluriennale, il matching impone di correggere l’imputazione a bilancio tramite scritture correttive, affinché

il costo segua il ricavo pluriennale, man mano che esso matura48.

Il matching si realizza attraverso apposite scritture di assestamento49, in modo da rispettare effettivamente

il principio della competenza economica. La ratio e lo scopo di tale disciplina contabile sono garantire la

I componenti economici negativi devono essere correlati con i ricavi dell'esercizio o con le altre risorse rese disponibili per il regolare svolgimento delle attività istituzionali. Detta correlazione costituisce un corollario fondamentale del principio della competenza economica ed intende esprimere la necessità di contrapporre ai componenti economici positivi dell'esercizio i relativi componenti economici negativi ed oneri, siano essi certi che presunti. Tale correlazione si realizza:

- per associazione di causa ad effetto tra costi ed erogazione o cessione del prodotto o servizio realizzato. L'associazione può essere effettuata analiticamente e direttamente o sulla base di assunzioni del flusso dei costi;

- per ripartizione dell'utilità o funzionalità pluriennale su base razionale e sistematica, in mancanza di una più diretta associazione. Tipico esempio è rappresentato dall'ammortamento;

- per imputazione diretta di costi al conto economico dell'esercizio o perché associati a funzioni istituzionali, o perché associati al tempo, o perché sia venuta meno l'utilità o la funzionalità del costo. In particolare quando:

a) i costi sostenuti in un esercizio esauriscono la loro utilità già nell'esercizio stesso, o non sia identificabile o valutabile la futura utilità;

b) viene meno o non sia più identificabile o valutabile la futura utilità o la funzionalità dei fattori produttivi i cui costi erano stati sospesi in esercizi precedenti;

c) l’associazione al processo produttivo o la ripartizione delle utilità del costo a cui ci si riferisce su base razionale e sistematica non risulti più di sostanziale rilevanza.

I componenti economici positivi quindi devono essere correlati ai componenti economici negativi o costi o spese dell’esercizio. Tale correlazione costituisce il corollario fondamentale del principio della competenza economica dei fatti gestionali caratterizzanti l’attività amministrativa di ogni amministrazione pubblica. ». 48 Nel sistema italiano la “correzione” temporale, per correlazione, del conto economico si realizza attraverso il sistema dei i ratei e dai risconti, poste dello Stato patrimoniale accese per traslare nel tempo, sul conto economico, costi e ricavi. Le poste correttive transitano nel conto economico nel momento in cui effettivamente il bene o il servizio sarà erogato, tramite scritture di assestamento, avvalendosi di tali poste correttive che costituiscono riserve di valore dello Stato patrimoniale, da “applicare” nel conto economico nel momento in cui maturerà la competenza economica del ricavo correlato. In questo modo la competenza, e quindi l’equilibrio economico, può essere realmente realizzato e verificato, di modo che ogni costo possa sorreggere e finanziare la produzione di valore corrispondente (ricavo) nell’esercizio in cui tale valore di produce. 49 Il c.d. matching, unitamente al criterio di imputazione temporale della competenza economica, ha lo scopo di evitare che l’equilibrio del conto economico sia fittiziamente raggiungo o falsamente non realizzato, a causa dell’errato computo o mancato calcolo di poste che invece attengono a transazioni che si completano nel ciclo economico considerato. In buona sostanza, il principio della competenza economica è funzionale alla realizzazione di un equilibrio economico effettivo e sostanziale e per fare ciò si devono prendere a riferimento i ricavi inerenti e individuare i costi correlati, sì da determinare, infine il valore aggiunto prodotto in un dato esercizio. È infatti il reddito l’azimut sul quale si costruisce la geografia contabile sottesa al pareggio e all’equilibrio economico, cfr. F. GIUNTA – M. PISANI, Il Bilancio, Roma, 2014, p- 56-61. Sul matching si rinvia agli standard nazionali ed internazionali del settore pubblico e privato. Le norme contabili hanno spesso struttura di clausole generali che rinviano alla scientia artis, che è fissata in standard, buone prassi, riconosciute e raccolte in “manuali” elaborati da ordini e collegi professionali qualificati. Per la contabilità economico-patrimoniale dei soggetti privati, i riferimenti sono gli OIC, (principi contabili nazionali elaborati dall’Organismo Italiano di contabilità) e gli IAS in chiave internazionale (ora Ifrs, ovvero International Financial Reporting Standard, secondo la nuova denominazione attribuita ai principi contabili internazionali IAS dall’International Accounting Standards Board, cd. IASB). Per il settore pubblico invece il riferimento sono gli IPSAS, che costituiscono variazioni di specie degli IAS. Essi sono emessi dall’IPSAS Board (costituito da Standard setter, auditor privati e pubblici, rappresentanti della professione contabile, docenti universitari ecc.) per l’utilizzo nella redazione dei bilanci da parte degli enti del settore pubblico

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verità e l’efficienza della programmazione e della rendicontazione. Diversamente, infatti, il conto

economico restituirebbe dati non veritieri, ovvero utili generati da ricavi futuri o perdite generate da

mancata imputazione di ricavi di competenza. In una parola, in difetto di matching si altererebbe la

rappresentazione dell’equilibrio di bilancio.

Si potrebbe affermare che il principio di competenza, da un lato, e la regola della correlazione tra ricavi e

costi, dall’altro, sono due facce della stessa medaglia (l’equilibrio), che passano “tecnicamente” da una

riduzione del saldo di competenza dell’anno in cui il maggior ricavo si realizza e l’utilizzo a storno di

riserve negli anni successivi50.

La logica della contabilità “accrual” è quella che sta alla base del SEC 2010, in virtù del quale si misurano

in modo omogeneo la prestazione di bilancio dei vari Stati membri. Sicché si potrebbe affermare che per

la contabilità europea, per garantire un pareggio effettivo, occorre assicurare il principio della correlazione

costante tra ricavi e costi, tra entrate e spese, esigibili in diversi esercizi finanziari.

Le stesse considerazioni valgono per la una contabilità puramente finanziaria, come quella degli enti

territoriali, che registra solo transazioni pecuniarie (crediti e debiti di valuta, nonché cassa). In un sistema

“cash basis accounting” di tipo autorizzatorio, nonostante la competenza finanziaria imponga di imputare

le entrate e le spese in base alla esigibilità giuridica (d.lgs. n. 118/2011, all. 4/2, § 2) 51 la “sostenibilità

in tutto il mondo. Sul matching cfr. il già citato OIC 11 (Finalità e postulati del Bilancio d’esercizio) e l’OIC 16/24/18 (rispettivamente Immobilizzazioni Materiali, Immateriali e ratei e risconti cosi come gli IPSAS che si basano per lo più sul principio della competenza economica. Sugli IPSAS sta avvenendo la costruzione degli EPSAS, norme comuni sulle contabilità che dovrebbero essere adottate nei prossimi anni in tutta l’Unione europea, sul tema si rinvia a C. FORTE (traduzione e postfazione di), Corte dei conti federale tedesca – L’obiettivo di introdurre principi armonizzati di gestione contabile per il settore pubblico (Epsas) negli Stati membri dell'Unione europea (in base all’art. 99 della legge sulla contabilità federale), in Rivista della Corte dei conti, n. 1, 2019, p. 114 e ss. Sempre sul tema, si rinvia all’ottima disamina di M. BERGO, Democraticità e principi contabili: una lettura del progetto EPSAS per un dialogo costruttivo fra istituzioni, in Federalismi, n. 13/2019. 50 Senza incedere più dello stretto necessario in dettagli tecnici che in questa sede non appaiono opportuni, sotto il profilo delle scritture di assestamento, sia sufficiente dire che la contabilità economico-patrimoniale, per realizzare tali scopi, prevede varie tecniche che sostanzialmente si traducono nella creazione di riserve patrimoniali le quali potranno generare ricavi da imputare all’anno in cui il correlato costo verrà a manifestarsi. Si tratta di riserve, cioè, che possono essere “applicate” a conti economici futuri. 51 Inteso come criterio di imputazione al bilancio di entrate e spese. Esso richiedere l’esigibilità” dell’obbligazione sottostante. Cfr. d.lgs. n. 118/2011, All. 1, punto 16. L’esigibilità è funzione dell’interesse per cui il termine è fissato. Si rammenta, infatti, che nell’ambito del concetto generale di esigibilità (assenza di ostacoli giuridici alla esecuzione) si può distinguere tra esigibilità in senso stretto ed “eseguibilità” (rimessa alla volontà della parte per il cui interesse è stabilito il termine), che equivale alla esigibilità “contabile”. Ai sensi degli artt. 1184 e 1185 c.c., se il termine è stabilito a favore del debitore, il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza (inesigibilità), ma il debitore può eseguirla prima di tale scadenza (eseguibilità); se il termine è fissato a favore del creditore, il debitore non può eseguire la prestazione prima della scadenza (eseguibilità), ma il creditore può esigerla prima di tale scadenza (inesigibilità); quando il termine è stabilito in favore di entrambi si ha contestualmente inesigibilità e in eseguibilità.

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finanziaria” delle obbligazioni52 può essere assicurata solo tramite la posposizione delle entrate attraverso

il sistema dei fondi.

Contabilità economico-patrimoniale e finanziaria, dunque, convergono nel senso di evitare che una

risorsa venga bloccata nell’esercizio in cui si manifesta e venga separata dal ciclo di valore (contabilità

economica) e di valuta (contabilità finanziaria) che si chiude con l’impiego/costo/ spesa che essa genera.

Entrambe le contabilità, sono organizzate per fare in modo che vi sia una relazione costante tra risorse e

impieghi (costi/ricavi, entrate/spese correlate) e loro variazioni, secondo il c.d. principio del matching.

In sostanza, anche per la contabilità finanziaria pubblica, come per quella economica, ogni entrata deve

concorrere al saldo delle spese dell’esercizio in cui quest’ultime diventano esigibili, per garantire la c.d.

“sostenibilità finanziaria” che, nel sistema del d.lgs. n. 118/2011 si realizza tramite il sistema dei fondi del

risultato di amministrazione, FPV compreso.

Le pronunce della Corte costituzionale, dunque, hanno colto un effetto disfunzionale della rottura del

matching, vale a dire, l’inutile compressione dell’autonomia ed il turbamento dell’equilibrio diacronico di

bilancio.

52 Il concetto di sostenibilità finanziaria è espressamente richiamato dall’art. 1, comma 7, del d.l. n. 174/2012 e dall’art. 148-bis TUEL. Esso consiste, sinteticamente, nella capacità delle entrate di assicurare il sufficiente cash flow per garantire il regolare pagamento e l’effettiva copertura delle spese. Per tale ragione, l’equilibrio finanziario tra entrate e spese, nel sistema del D.lgs. n. 118/2011, basato sul “risultato di amministrazione”, e presupposto dall’art. 9 della L. n. 243/2012 e dalle leggi di bilancio che lo “attuano” (cfr. paragrafo successivo), viene realizzato tramite il sistema dei fondi e delle riserve di amministrazione che possono essere applicati nell’esercizio in cui la spesa diventa esigibile. Il risultato di amministrazione, infatti, misura le riserve patrimoniali riportabili negli esercizi successivi o gli squilibri da recuperare. Segnatamente, il risultato di amministrazione è il saldo differenziale tra debiti e crediti che finanziano il ciclo della spesa di un ente. Esso, in caso di squilibrio esprime un valore (il disavanzo) che restituisce il valore della ricchezza da recuperare per ripristinare l’equilibrio pluriennale tra entrate e spese. In caso di avanzo, invece, esprime ed incamera le riserve che possono essere traslate negli esercizi successivi. Nella moderna ri-strutturazione che di tale saldo ha fatto il d.lgs. n. 118/2011 (cfr. Allegato 10, lett. a), un ruolo importante ha il sistema dei fondi, all’interno dei quali hanno valore giuridico e contabile differente il FPV e gli altri fonti (destinati, vincolati, accantonati) Il fondo pluriennale vincolato (FPV) precede addirittura la determinazione del risultato di amministrazione di Riga A (detto anche “saldo contabile primario”, SCP). Esso si ottiene sommando i residui attivi (crediti) alla cassa, al netto dei residui passivi (debiti) e, appunto del FPV. Il FPV simula una obbligazione esigibile (anche se non ancora maturata) che dà luogo ad un accantonamento “speciale”, in quanto è sempre applicabile negli esercizi futuri, a prescindere dalla capienza rispetto agli altri fondi del SCP. Il saldo di Riga A, dunque, esprime un’insufficienza finanziaria (disavanzo) o una riserva (avanzo) reale. In caso di disavanzo, la Riga A esprime un difetto complessivo di copertura dei debiti già perfetti ed esigibili, cui si aggiunge, in negativo: il FPV simula – a tempo e per determinate spese future, secondo una dettagliata disciplina di legge – un vero e proprio debito (una sorta di residuo passivo tecnico), cosicché tale spesa è da ritenere coperta per il tempo stabilito dal cronoprogramma di una spesa pluriennale. La Corte costituzionale, infatti, nell’individuare la ratio di tale istituto precisa: « la qualificazione normativa del fondo pluriennale vincolato costituisce una definizione identitaria univoca dell’istituto, la cui disciplina è assolutamente astretta dalla finalità di conservare la copertura delle spese pluriennali. Ciò comporta che nessuna disposizione – ancorché contenuta nella legge rinforzata – ne possa implicare un’eterogenesi semantica e funzionale senza violare l’art. 81 della Costituzione.» (Corte costituzionale, sent. n. 247/2017, punto 9.1. cons. dir., enfasi aggiunta).

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La disciplina legislativa censurata, infatti, ha sistematicamente consentito di “drogare” il saldo nell’anno

in cui il maggiore accertamento si realizzava. Per contro, una volta stornato a riserva (nel risultato di

amministrazione, come FPV o avanzo vincolato o disponibile), si generava il c.d. “overshooting”, vale a

dire una parte di risultato di amministrazione non era più disponibile per l’ente territoriale e veniva

sacrificato alle esigenze di sostenibilità complessiva del debito della finanza pubblica allargata.

L’overshooting, tra l’altro, nella misura in cui negava l’impiego/applicazione di avanzo libero, frustrava il

favor manifesto dalla disciplina contabile europea per i processi di auto-accumulo e autofinanziamento, in

luogo dell’indebitamento53.

Al termine di questa digressione, appare evidente che la Corte ha colto una palese irrazionalità della

soluzione giuscontabile adottata a livello legislativo; irrazionalità che alla luce delle considerazioni qui

svolte, non si evidenzia solo alla stregua del precetto domestico di “equilibrio” ma, altresì, in base ad una

versione razionale e proattiva del concetto di “pareggio” euro-unitario54.

Per superare tale censura sarebbe bastato costruire il saldo in modo da neutralizzare le entrate

patrimonializzate e “riservate” (attraverso il risultato di amministrazione ed i suoi fondi, specie il fondo

pluriennale vincolato), riducendo la facoltà di spesa degli enti territoriali (ed il ricorso all’indebitamento

da parte dello Stato) nell’esercizio in cui le entrate correlate a future spese venivano accertate55 .

53 Del resto, il concetto di indebitamento, secondo il SEC 2010 (Regolamento UE n. 549/2013, cfr. in particolare, l’Allegato A “metodologia”) coincide con l’assenza di riserve da destinare alla spesa, con conseguente ricorso al mercato per finanziare il funzionamento della pubblica amministrazione. Per contro, l’accreditamento, ove presente, costituisce una risorsa da destinare naturalmente al ripiano del debito pregresso o alle funzioni delle pubbliche amministrazioni. È evidente che la ragione dell’equiparazione deriva in quel contesto da due circostanze: la prima è che l’accreditamento si traduce in una riserva patrimoniale che non concorre alla competenza, ma si proietta sugli esercizi futuri (e quindi fuoriesce dal conto economico per confluire nello stato patrimoniale), la seconda è che, come l’indebitamento, esso è uno strumento essenziale per l’effettuazione di investimenti. Cfr. in particolare i punti 20.72, 20.112, 20.113, 20.114. Questo sembrerebbe un argomento a favore della negazione della calcolabilità degli avanzi della contabilità finanziaria. L’accreditamento, infatti, corrispondente all’avanzo, rappresenta l'importo che le amministrazioni pubbliche possono concedere in prestito o devono assumere in prestito per finanziare le proprie operazioni non finanziarie. Di conseguenza l’accreditamento, tradotto nell’avanzo della contabilità finanziaria, è un’entrata differita in conto capitale, che dovrebbe essere computata tra le entrate finali, solo se e quando impiegata per la spesa correlata, che naturalmente dovrebbe essere d’investimento. 54 A conclusioni sostanzialmente analoghe giunge G. RIVOSECCHI, La Corte costituzionale garante dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali nella problematica attuazione dell'equilibrio di bilancio, in Giurisprudenza Costituzionale, n. 6, 2017, pag. 2579 e ss.. 55 Oltre alla ipotesi, qui enunciata, di una neutralizzazione delle entrate non applicate alla spesa dell’esercizio, in alternativa, ad esempio, si sarebbe potuto immaginare l’imposizione agli enti di una differenza di parte corrente necessariamente positiva o addirittura in surplus, senza mortificare la capacità di utilizzare le riserve o di ricorrere all’indebitamento nel rispetto dell’art. 10 della l. n. 243/2012. Si tratta di esercizi di fantasia tecnica, che qui hanno la solo funzione di dimostrare come siano possibili soluzioni legislative alternative, in grado di garantire il concorso di tutti gli enti agli al raggiungimento dell’obiettivo di OMT, senza alcun effetto “espropriativo” sul loro patrimonio e sul loro equilibrio di lungo periodo (art. 5, comma 1, lett. e), della legge costituzionale n. 1 del 2012). Tale diposizione costituzionale ha stabilito che la legge di attuazione

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Invece, imponendo il pareggio solo a valle (cioè tenendo conto solo delle esigibilità di entrate e spese,

senza tenere conto del loro matching) lo Stato, dietro l’oscurità delle formule di un saldo e la giustificazione

dell’adempimento di obblighi eurounitari, determinava di fatto la paralisi della facoltà di spesa dell’ente

territoriale a favore di una maggiore opportunità di spesa a livello centrale, sfruttando le riserve (il c.d.

overshooting) degli enti territoriali56.

Le censure di costituzionalità hanno dunque fatto emergere che equilibrio e coordinamento della finanza

pubblica possono agire non solo in senso dirigistico, ma anche a protezione dell’autonomia territoriale e

della capacità degli stessi di garantire funzioni e servizi essenziali ai cittadini, atteso che tali enti

costituiscono il front-office dell’erogazione di prestazione costituzionalmente necessarie (art. 117 comma 2

lett. m) Cost.). 57

Per tale ragione, la Corte ha prima imposto una interpretazione adeguatrice sul saldo della legge rinforzata

e poi dichiarato l’incostituzionalità di una sua declinazione.: il concorso degli enti territoriali alla

sostenibilità del debito pubblico, trova, semplicemente, un limite nella garanzia della perseguibilità

dell’equilibrio secondo gli standard della contabilità finanziaria (ed economica)58.

Un’applicazione illogica e draconiana del “pareggio” di traduce in un abuso dello Stato centrale a danno

degli enti territoriali che, invece di perseguire una effettiva solidarietà e coordinamento della finanza

dell’art. 81 Cost. avrebbe dovuto introdurre «regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo». 56 In questo modo gli enti territoriali venivano “espropriati” delle stesse riserve (che magari non erano state necessarie a rispettare il pareggio negli anni precedenti, finendo in surplus) per dare un contributo forzoso “contrario anche ai principi di eguaglianza e proporzionalità” (Corte cost. sent. n. 247/2017, punto 8.4 cons. dir.). 57 Si viene così delineando una nozione di coordinamento della finanza pubblico non più “dirigistico”, ma un coordinamento al servizio della capacità della contabilità pubblica di realizzare i fini costituzionali, ivi compreso il principio di autonomia e accountabilty di fronte la comunità amministrata. Cfr. sul tema, amplius, M BERGO, Coordinamento della finanza pubblica e autonomia territoriale. tra armonizzazione e accountability, Napoli, 2018, passim, specie l’ultimo capitolo sulla “umanizzazione” dei principi contabili e più di recente ID, Democraticità e principi contabili: una lettura del progetto EPSAS per un dialogo costruttivo fra istituzioni, in Federalismi, n. 13/2019. 58 Ed infatti, nella successiva sentenza n. 6/2019 (punto 4.3 cons. diritto), il Giudice delle leggi chiaramente rammenta che il sacrificio che può essere imposto, tramite il coordinamento della finanza pubblica, dallo Stato agli enti territoriali, deve essere “proporzionato” attraverso un test di ragionevolezza che include, tra i suoi elementi l’equilibrio di bilancio e la congruenza tra risorse e funzioni (sent. n. 10/2016 e n. 137/2018). Come già evidenziato nella sentenza 247/2017 (punto 8.5 cons. dir.), nella sentenza n. 6/2019, la Corte costituzionale ribadisce: «È ben vero che tutti gli enti facenti parte della cosiddetta finanza pubblica allargata devono concorrere – secondo quanto stabilito dagli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. – all’equilibrio complessivo del sistema e alla sostenibilità del debito nazionale, ma questa Corte ha già chiarito (sentenze n. 101 del 2018 e 247 del 2017) che l’art. 97, primo comma, Cost., nella vigente formulazione, si compone di due precetti ben distinti: quello contenuto nel primo periodo riguarda l’equilibrio individuale degli enti facenti parte della finanza pubblica allargata, mentre quello del secondo periodo riguarda l’equilibrio complessivo di quest’ultima, in quanto finalizzato ad assicurare la sostenibilità del debito nazionale. È evidente che l’equilibrio complessivo deve essere coerentemente coordinato con analogo equilibrio dei singoli bilanci che compongono il cosiddetto bilancio consolidato dello Stato».

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pubblica, realizza un mero effetto espropriativo di risorse e capacità di spesa a vantaggio della capacita di

spesa del bilancio statale59.

Alla luce delle considerazioni che precedono, la dichiarata “attuazione” dei dicta del Giudice delle leggi da

parte della Legge di bilancio 2019, appare piuttosto una scelta deliberatamente politica di (ri)aumentare i

margini di spesa degli enti territoriali, sollevandoli contemporaneamente dalle responsabilità eurounitarie

e di solidarietà nazionale sul piano del coordinamento della finanza pubblica.

Una scelta discutibile, tanto quanto l’abrogazione dell’apparato sanzionatorio/limitativo. Anche in

questo caso, la scelta non era necessaria né conseguente a quella di riallineare equilibrio e “pareggio”,

determinando un indesiderabile “liberi tutti”60 .

L’apparato in vigore dal 2010, infatti, aumentava l’effettività dei precetti degli artt. 81, 97 e 119, comma

6, Cost.: l’effetto deterrente verso gestioni incongrue con le risorse e bilanci squilibrati delle limitazioni

amministrative (in particolare delle limitazioni sul piano del blocco di assunzioni, della spesa corrente e

dell’indebitamento) è stato senza dubbio un fattore di accelerazione al miglioramento della capacità di

realizzare le entrate e ridurre le spese inutili, riducendo il numero dei bilanci in squilibrio nella gestione

di competenza.

Una scelta, dunque, non solo discutibile, ma anche di dubbia efficienza costituzionale, perché depotenzia

e rende meno effettiva la tutela del bene pubblico bilancio, in un sistema dove l’iniziativa statale e del

Ministro dell’economia non è certamente in grado (né ha competenza) di rimediare direttamente agli

squilibri del bilancio degli enti territoriali.

9. La permanente vigenza dell’art. 9 della l. n. 243/2012 quale legge-paradigma ed il rimedio del

“disavanzo” di solidarietà

Nelle more, occorre chiedersi, quid iuris? Cosa accade rispetto alla l. n. 243/2012 ed in particolare rispetto

all’art. 9? Tale norma è ancora vigente? E, se sì, con quali effetti?

Quello che qui si sostiene è che la legge di bilancio 2019 non ha modificato né abrogato l’art. 9 della l. n.

243/2012, né potrebbe averlo fatto implicitamente.

59 Come rilevato dal prof. Antonini in un commento alla sent. n. 247/2017: « La formula “non potrebbe ritenersi consentito” suona dunque come un deciso rimprovero al legislatore (dietro il quale, su questi temi, spesso, di fatto, si ritrova in posizione dominante il Ministero dell’economia e delle finanze), a non abusare dell’argomento dell’equilibrio finanziario per aggirare il rispetto

di altri parametri costituzionali e quindi alterare surrettiziamente la coessenzialità tra principio autonomistico e principio democratico », cfr. L. ANTONINI, La Corte costituzionale a difesa dell’autonomia finanziaria: il bilancio è un bene pubblico e l’equilibrio di bilancio non si persegue con tecnicismi contabili espropriativi, in Rivista Aic, n. 1/2018. 60 Cfr. G. TROVATI, Pareggio di bilancio con libertà totale: niente sanzioni per chi sfora i vincoli, su il Sole24ore del 3 dicembre 2018, reperibile su http://quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/art/fisco-e-contabilita/2018-11-30/pareggio-bilancio-libert a-totale-niente-sanzioni-chi-sfora-vincoli-172142.php?uuid=AEaw1VqG.

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Come sappiamo, infatti, la l. n. 243/2012 costituisce una legge di attuazione costituzionale, in quanto ad

essa rinvia direttamente il comma 6 del riformato art. 81 Cost..

Coerentemente col disegno costituzionale, la l. n. 243/2012 è una legge a contenuto vincolato e riservato

che, per essere approvata (e modificata), necessita di una maggioranza qualificata (segnatamente, deve

essere approvata con il voto favorevole da parte della maggioranza dei componenti delle due Camere).

In proposito, è stato affermato che essa integra i caratteri di una vera e propria “legge organica”61, non in

senso meramente logico – come pare fare la Corte costituzionale nella sentenza n. 49/2018 con riguardo

al d.lgs. n. 118/2011– ma anche in senso formale.

Infatti, una legge organica, per essere tale, sulla base dell’osservazione comparatistica dei sistemi delle

fonti, deve presentare almeno tre caratteristiche, alcuni di carattere formale, altri di carattere sostanziale:

a) in primo luogo, il procedimento per la sua approvazione deve essere “aggravato” (cosa che qui ricorre,

in quanto è prescritta una maggioranza qualificata) (elemento formale); b) in secondo luogo, il sistema

delle fonti deve riservare a tale legge una serie di materie direttamente connesse all’attuazione della Carta

costituzionale (elemento sostanziale, che indubbiamente ricorre nella fattispecie dell’art. 81 comma 6

Cost.); c) infine, precipitato logico-formale dei primi due connotati, essa deve caratterizzarsi per una forza

passiva superiore alla legge ordinaria. Che la legge n. 243/2012 abbia tale forza passiva risulta logicamente

e implicitamente dall’art. 81 Cost., per cui ricorrono i primi due elementi, formale e sostanziale. 62

In realtà, utilizzare una categoria, come quella delle “leggi organiche”, che pure ben potrebbe prestarsi

per il caso della l. n. 243/2012, non sarebbe nemmeno necessario: basterebbe parlare di fonte “rinforzata”

61 N. LUPO, La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti, in Costituzione e pareggio di bilancio, in Il Filangieri. Quaderno 2011, Napoli, 2012, p. 89-144, il quale evidenza la paragonabilità della attuazione italiana del Fiscal compact con quella dell’ordinamento spagnolo, evidenziando in entrambi i casi lo sbocco in una riforma costituzionale ed in una legge organica. Cfr. altresì, in tema, R. DICKMANN, Brevi considerazioni sulla natura rinforzata della legge 24 dicembre 2012, n.243, di attuazione del principio costituzionale del pareggio dei bilanci pubblici, in Federalismi, n. 6/2013, nonché ID. Governance economica europea e misure nazionali per l’equilibrio dei bilanci pubblici, Napoli, , spec. cap. III, e ID. Il Parlamento italiano, Napoli, 2018, spec. pp. 201 e s. 2. 62 N. LUPO, op. cit., e M. NARDINI, in Osservatorio delle fonti, n. 1/2013. Vi è inoltre una quarta caratteristica che normalmente si ricava dall’osservazione comparatistica dei sistemi delle fonti, caratteristica che potremmo definire della c.d. “ufficialità”. Essa si declina in due proprietà formali: la prima, è la previsione espressa della sua posizione intermedia tra legge e Costituzione, nell’ambito delle norme sulla produzione che disciplinano la gerarchia delle fonti; la seconda, è una conseguente denominazione e numerazione distinta rispetto a quella della legge ordinaria. Tuttavia – ad avviso di chi scrive – questo quarto connotato non afferisce all’ontologia di tale fonte, ma è solo un elemento accidentale. Per quanto concerne la prima proprietà, è sufficiente osservare che nemmeno per la Costituzione si può rintracciare una simile condizione, in quanto la superiorità formale della stessa risulta dal tipo di procedimento per la sua approvazione ed emendamento (artt. 138 e 139 Cost.): la Carta costituzionale e le leggi costituzionali, infatti, continuano a non essere menzionate dall’art. 1 delle Preleggi. Cosicché rimarrebbe solo la questione della numerazione che, francamente, pare assai debole per escludere il carattere di legge organica alla l. n. 243/2012.

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e “atipica” in senso crisafulliano63. “Rinforzata”, per le peculiarità del suo procedimento di approvazione;

“atipica”, per la “competenza specializzata” attribuitale dalla Costituzione. Una legge ordinaria che non

rispettasse i vincoli di procedura e di competenza della l. n. 243/2012 sarebbe dunque incostituzionale.

Tra l’altro, che la l. n. 243/2012 sia dotata di una maggiore forza passiva rispetto alla legge ordinaria, non

è solo un assunto teorico, ma un postulato che ha avuto un espresso riconoscimento da parte della Corte

costituzionale, con la recente sentenza n. 235/201764.

Ed infatti, tale proprietà, a scanso di equivoci, quasi ad effettuare una sorta di auto-interpretazione del

sistema delle fonti, è affermata esplicitamente dall’art. 1 della legge medesima.

Di conseguenza, per l’obbligo che gli interpreti hanno di pervenire ad esegesi compatibili con la

Costituzione (ex plurimis Corte costituzionale, sent. n. 356/1996; sentt. n. 219/2008 e n. 1/2013), si

dovrebbe ritenere che una legge ordinaria (la legge di bilancio 2019) non può avere abrogato una fonte

rinforzata e atipica (la L. n. 243/2012) senza il rispetto dei limiti di procedura e competenza previsti in

Costituzione. A meno che non lo abbia fatto in modo inequivoco, con quel che ne consegue sotto il

profilo della possibile incostituzionalità.

Ad ogni buon conto, preme osservare che la l. n. 243/2012 ha una particolare capacità anche in termini

attivi, tale da sottrarla alle dinamiche ordinarie per la risoluzione delle autonomie.

Essa, infatti, per la competenza specializzata e per il suo contenuto, stabilisce uno standard in materia di

bilancio; per questa ragione, tale legge possiede una forza esegetica orientativa, per effetto del generale

obbligo di dare delle norme e del sistema una interpretazione conforme a Costituzione.

Si tratta, come si è visto, di una caratteristica sostanziale che, in qualche modo, la Corte costituzionale ha

già riconosciuto al d.lgs. n. 118/2011 per la contabilità degli enti territoriali (quanto meno nelle sue dorsali

di principio, in grado di costituire paramento interposto di costituzionalità, cfr. sent. n. 49/2018)

Questo elemento di valore esegetico e sostanziale conferisce a tali due leggi la qualità più pregnante, e già

riscontrata in altri ambiti, di leggi “paradigmatiche”.

63 V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1993, p. 239-247, spec. p. 245. L’Autore parla di distinzione convenzionale. Le leggi rinforzate e atipiche sono entrambe fonti ancorate a speciali presupposti di formazione da parte della Costituzione, le prime si con riguardo al procedimento legislativo, le seconde a “competenza specializzata”. Presentano entrambe le caratteristiche, ad esempio, le intese con le confessioni religiose ai sensi dell’art. 8 Cost.. 64 Ed infatti il Giudice delle leggi evidenzia che non è ammissibile rinviare alla legge ordinaria l’attuazione dei contenuti riservati alla fonte rafforzata dell’art. 81, comma 6 Cost. Cfr. § 5.1., in diritto: « […] La disposizione in esame si limita a demandare a una futura legge ordinaria ciò che essa stessa avrebbe dovuto disciplinare, degradando così la fonte normativa della disciplina – relativa alle modalità del concorso statale al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali – dal rango della legge rinforzata a quello della legge ordinaria. Ne consegue l’elusione della riserva di legge rinforzata disposta dall’art. 81, sesto comma, Cost. […] ». Cfr. il commento di L. BARTOLUCCI, I contenuti costituzionalmente necessari della legge “rinforzata” non possono essere affidati a una legge ordinaria, 19 giugno 2018, su http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2018/06/nota_235_2017_bartolucci.pdf

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Con l’espressione “leggi-paradigma”, si intende fare riferimento a quelle leggi che, appunto, esplicitano

standard minimi di tutela e di contenuto con fondamento costituzionale. Per questi motivi, tali leggi sono

logicamente in grado di prevalere, di conformare ed integrare le discipline speciali, a meno che la loro

applicazione non sia inequivocabilmente stabilita dal Legislatore d’ambito. Quando l’applicazione di una

“legge paradigma” è esclusa, ovviamente, resta salva la possibilità di effettuare il test di costituzionalità

sulle norme introdotte in deroga allo standard, ricorrendo, ove possibile, al Giudice delle leggi.

Tale caratteristica è stata riconosciuta nel tempo, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, alla l. n. 241/199065.

Quel che qui si sostiene è che la l. n. 243/2012, nel sistema delle fonti, in relazione alla materia “bilancio”,

svolge un ruolo ed una funzione simile a quello che, nel contesto della materia “procedimento

amministrativo”, svolge la l. n. 241/1990: infatti essa contiene uno standard minimo di tutela del buon

andamento della p.a. ex art. 97 Cost..

Sicché la legge n. 243/2012, quale attuazione dell’equilibrio di bilancio, costituisce un modello di fonte,

per certi versi assai simile alla legge n. 241/1990, poiché, come la seconda, si pone in diretta relazione

con principi costituzionali, ovvero, non a caso, il medesimo: il buon andamento della pubblica

amministrazione (art. 97 commi 1 e 2 Cost.).

In particolare, essa non cede automaticamente di fronte alla specialità, ma integra le varie discipline di

bilancio degli enti pubblici, stabilendo criteri e principi che si applicano in caso di silenzio del Legislatore,

o comunque, tutte le volte in cui la disciplina speciale non escluda inequivocabilmente l’incompatibilità

dell’integrazione: alle “leggi paradigma” in materia contabile (non solo la l. n. 243/2012, ma anche il d.lgs.

n. 118/2011, quanto meno per le sue diposizioni di principio), infatti, sono riservate la disciplina

dell’articolazione del bilancio e le condizioni dei suoi equilibri che si traducono in uno standard minimo

di buon andamento delle pubbliche amministrazioni (art. 81 e 97, commi 1 e 2 , Cost.).

Tali leggi, del resto: a) da un lato, forniscono “norme sulla normazione”, cioè parametri di validità di un

altro atto normativo o a contenuto generale (il bilancio); b) dall’altro forniscono un mimum standard di

equilibrio che deve ritenersi imposto a tutte le pubbliche amministrazioni per le varie finalità a cui tale

precetto è strumentale: il buon andamento (art. 97 Cost.) ma anche il coordinamento della finanza

pubblica (art. 117 comma 1 e 3 Cost.).

Detto in altri termini, la l. n. 243/2012, il d.lgs. n. 118/2011 (quanto meno nelle parti non di dettaglio)

per la materia “bilancio”, come la l. n. 241/1990 per la materia “procedimento amministrativo”, sono

leggi che hanno una capacità innovativa (quindi anche in termini di forza attiva) superiore alle altre leggi,

che si evidenzia in fase di regolazione delle antinomie, con una parziale deroga al criterio di specialità:

65 Per la Legge n. 241/1990, cfr. in proposito, le osservazioni di M. TIMO, in Amministrazione in Cammino, 20 settembre 2017, cfr. http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2017/11/Timo.pdf .

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poiché esse stabiliscono precetti e regole che si impongono logicamente su altri, per il collegamento

diretto con la Costituzione, nel silenzio del Legislatore ordinario, esse integrano la disciplina speciale, a

meno che non risulti una evidente incompatibilità di disciplina (per una deroga espressa o per la precipua

distinta disciplina dello stesso istituto).

Fatta questa premessa, si può ritenere che pur “desanzionato”, il pareggio di bilancio, nella formulazione

dell’art. 9 della l. n. 243/2012 continui a sussistere in quanto non è stato abrogato, né esplicitamente, né

implicitamente, anche perché il saldo previsto da tale fattispecie prescinde dal pregresso impianto

limitativo/sanzionatorio.

Al comma 2, l’art. 9, infatti prevede: «Qualora, in sede di rendiconto di gestione, un ente di cui al comma 1 del presente

articolo registri un valore negativo del saldo di cui al medesimo comma 1, il predetto ente adotta misure di correzione tali da

assicurarne il recupero entro il triennio successivo, in quote costanti. Per le finalità di cui al comma 5 la legge dello Stato

può prevedere differenti modalità di recupero» (enfasi aggiunta).

Il riferimento al “rendiconto di gestione” evidenzia che il saldo a cui si pone riferimento (che riguarda il

solo anno fiscale) deve “pareggiare”, prima staticamente (a previsione), ma poi, dinamicamente (a

consuntivo).

Infatti, per quanto poco evidenziato in letteratura e in giurisprudenza, già prima dell’abolizione del

sistema “rimediale del patto” (cfr. §§ 6 e 7, in particolare delle “limitazioni” amministrative conseguenti

alla sua violazione/elusione), obbligava ad una manovra di rientro triennale diversa ed ulteriore da quella

imposta dagli artt. 188 e 193 TUEL, nonché dall’art. 42 d.lgs. n. 118/2011.

Le norme citate da ultimo, infatti, fanno riferimento allo squilibrio pluriennale e non al mancato pareggio

annuale (cioè, tecnicamente, a quello che si definisce “disavanzo di amministrazione” e non al “disavanzo

di gestione”, che invece è un saldo che riguarda l’ultimo anno fiscale).

La differenza tra i due saldi è evidente: il primo (il risultato di amministrazione) registra una differenza

negativa, in termini di cassa e competenza, tra crediti e debiti e, con il sistema dei fondi, l’equilibrio

complessivo. Il saldo non si limita a misurare al solo anno fiscale, ma congiunge la gestione recente (la

c.d. gestione di competenza) con quella degli anni pregressi (la c.d. gestione residui); il secondo saldo,

invece (il risultato di gestione) si concentra sulla differenza tra entrate e spese accertate ed impegnate

nell’anno fiscale trascorso (il c.d. pareggio).

In comune, i due saldi, hanno la funzione di riscontrare un equilibrio al termine di una gestione, a

consuntivo. Tuttavia, l’art. 9, comma 2, ed il connesso divieto di disavanzo di gestione, sono espressione

di un generale horror semetrorum che pervade la finanza pubblica allargata, sulla base degli artt. 117 comma

1 e 3 Cost. Tali norme costituzionali obbligano il sistema degli enti della Repubblica (art. 114 Cost.) a

concorrere alla sostenibilità della finanza complessiva (art. 97 comma 1 Cost.): viene così coniato un

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nuovo e diverso tipo di disavanzo, strumentale ad un equilibrio di sistema, che ubbidisce a regole di

recupero diverse e distinte da quelle del risultato di amministrazione.

Detto in altri termini, tutte le pubbliche amministrazioni, in base all’art. 9, devono contribuire al

miglioramento del conto economico consolidato (artt. 117 comma 1 e 3 Cost.) facendo in modo che la

“bilancia” dell’anno non punti allo squilibrio (recte, spareggio), onde evitare un peggioramento della

perfomance contabile complessiva della Repubblica (art. 114 Cost.) ed un aggravamento della propria

condizione individuale di saldo (art. 97 e 81 Cost.).

Per essere più chiari, si faccia il seguente esempio. Un ente territoriale che ai sensi del d.lgs. n. 118/2011

ha un risultato di amministrazione positivo (al 31.12.2017 la parte disponibile del risultato di

amministrazione è pari a 100), registra, nel 2018, un disavanzo di gestione per 20 (vale a dire, le spese

finali hanno sopravanzato le entrate con un margine, negativo, di 20). Al 31.12.2018, il risultato di

amministrazione, nella sua parte disponibile, è quindi passato da 100 ad 80 ed è tutto libero.

Non essendosi realizzato un disavanzo di amministrazione, per le norme degli artt. 188 e 193 TUEL,

nonché per l’art. 42 del d.lgs. n. 118/2011, l’ente non dovrebbe fare alcuna variazione o manovra di

recupero nel nuovo bilancio, in quanto esso disporrebbe di un margine disponibile, proveniente dal

passato, su cui fare ricadere gli effetti della gestione negativa.

Invece, sulla base dell’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 118/2011, l’ente dovrà applicare nel nuovo bilancio

di previsione (o con una sua variazione) un disavanzo di 20, recuperabile anche in tre anni.

Nel caso di enti già in disavanzo, ciò significa che la quota di disavanzo applicato – che magari, grazie a

norme eccezionali appositamente varate, consentono che il disavanzo di amministrazione applicato possa

essere inferiore alla misura ordinariamente imposta dagli artt. 188, 193 e 42 TUEL (si pensi all’art. 3,

commi 15 e 16 del d.lgs. n. 118/2011 a proposito del disavanzo tecnico e del c.d. extra-deficit da

riaccertamento straordinario) – non potrà essere comunque inferiore alla quota di recupero che si impone

per effetto dell’art. 9, comma 2 l. n. 243/2012.

Per rimanere nell’esempio di pocanzi, se al 31.12.2017 l’ente avesse avuto un disavanzo di

amministrazione di 300, applicabile in quote annuali di 1 per 30 anni (in forza delle norme dell’art. 3 del

D.lgs. n. 118/2011), il verificarsi del disavanzo di gestione per 20 imporrebbe di applicare, comunque ed

almeno, un disavanzo “aggiuntivo” per 20.

Lo scopo dell’art. 9, comma 2, infatti è impedire che l’indebitamento complessivo (che va distinto

dell’equilibrio del singolo ente)66 possa crescere indiscriminatamente per l’azione disallineata, e non

66 Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 6/2019, punto 4.1.3.1 in diritto.

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solidale, delle singole territorialità. In quest’ottica, l’art. 9 costituisce un vincolo “solidale” all’autonomia

che, peraltro, non realizza alcuna forma di esproprio della loro finanza.

Va da sé, del resto, che tale saldo deve continuare ad essere interpretato in modo costituzionalmente

orientato, alla luce della più volte citata sentenza n. 247/2017. E in tal senso si può ritenere che la legge

di bilancio 2019, con il comma 820 ed il comma 821 dell’art. 1, costituisce una possibile interpretazione

conforme dell’art. 9 della l. n. 243/2012, la cui vigenza non viene posta in discussione e la cui affettività

è affidata alle “misure” del comma 2.

Cosicché, l’imposizione della manovra correttiva si traduce nella creazione di un nuovo risparmio

pubblico, da impiegare al servizio del recupero del disavanzo pregresso, ovvero per l’investimento nello

sviluppo locale.

L’effettività delle prescrizioni dell’art. 9, in termini di equilibri di bilancio, viene garantita dal giudice della

legittimità-regolarità di tale bene pubblico (la Corte dei conti, artt. 1, commi 3, 5 e 7, del d.l. n. 174/2012,

nonché art. 148-bis TUEL) e, in caso di remissione della questione alla Corte costituzionale, dal Giudice

delle leggi67.

In tali casi possono ancora essere attivati rimedi particolari, che investono la tutela degli equilibri

complessivi. Questo smentisce il secondo convincimento apparente (dopo quello della scomparsa del

“doppio binario”), e cioè che il “patto” non abbia più presidi a garanzia della sua effettività.

Con riguardo agli enti locali, infatti, in caso di mancata copertura del disavanzo di gestione ai sensi dell’art.

9, comma 2, della l. n. 243/2012, si può giungere a bloccare la spesa diversa da quella obbligatoria ai sensi

dell’art. 148-bis TUEL68.

Per le regioni, invece, la Corte dei conti, al netto del potere di blocco della spesa (dichiarato

incostituzionale dalla sent. n. 39/2014 per violazione della riserva di giurisdizione alla Consulta), può

comunque attivare, nell’ambito del controllo di legittimità-regolarità sul bilancio di previsione, il sindacato

incidentale del Giudice delle leggi69.

L’art. 9, in definitiva, disciplina un diverso tipo di “disavanzo” per cui sono prescritte forme speciali di

rientro, ossia un disavanzo attraverso cui si prescrivono comportamenti correttivi anche quando il

disavanzo di gestione – registrato nell’anno – sarebbe assorbibile dal complessivo risultato di

67 F. S. MARINI, La disomogeneità dei controlli e la legittimazione della Corte dei conti a sollevare questioni di costituzionalità: una giurisprudenza in espansione, in Federalismi.it 13/2019. 68 Cfr. SRC Campania, deliberazione n. 107/2018/PRSP e il commento di F. DIMITA, Il blocco dei programmi di spesa dell’ente locale, nell'ambito dei controlli di legittimità-regolarità della Corte dei conti, in Federalismi, n. 1/2019. 69 Sulla riscrittura del sistema dei controlli, attraverso l’interpretazione costituzionale, cfr. B. CARAVITA - E. JORIO, La Corte costituzionale e l’attività della Corte dei conti (una breve nota sulle sentenze nn. 39 e 40 del 2014), in Federalismi.it, n. 5-6/2015.

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amministrazione (che, si ripete, somma il risultato della gestione residui con quello dell’anno di

competenza).

Il pareggio, dunque, seppur “desanzionato”, continua a sopravvivere come saldo che impone una

manovra correttiva, attraverso un particolare disavanzo “tipico” e di “solidarietà”, giustificato in base ad

esigenze di coordinamento della finanza pubblica e sostegno al debito pubblico nazionale (art. 117,

comma 3, art. 117 comma 1, art. 97 comma 1 Cost.). Gli enti territoriali, obbligati in questo modo a non

peggiorare la propria situazione finanziaria rispetto agli anni precedenti, continuano a contribuire al

raggiungimento dell’OMT, senza subire effetti “espropriativi” sul fondo pluriennale vincolato o sul

risultato di amministrazione.

10. Conclusioni

Al termine di questo excursus, ad avviso di chi scrive, sembra si possa affermare che tra le scelte compiute

con la legge di bilancio 2019 e la sopra citata giurisprudenza costituzionale sul “pareggio di bilancio”

(sentt. n. 247/2017 e n. 101/2018) non sussiste affatto una relazione di causalità necessaria.

Tale giurisprudenza, infatti, non ha in alcun modo impedito né negato la necessità di un coordinamento,

solidale, della finanza pubblica, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica

eurounitari. Del resto, ogni bilancio, per definizione, può considerarsi come uno strumento di

cooperazione per il raggiungimento di obiettivi comuni: esso infatti costituisce sempre l’espressione di

un patto sociale rispetto ad una comunità che attorno a quel bilancio si federa70.

Peraltro, il bilancio pubblico, ed in particolare quello degli enti territoriali, si inserisce in un sistema di

govenance multilivello (che comprende anche le relazioni con l’Unione europea), per cui, si potrebbe

affermare che gli stakeholders corrispondono ad almeno tre diverse comunità: la prima è quella territoriale

di riferimento rispetto alla quale, in autonomia (art.119 Cost.), il bilancio deve garantire l’erogazione della

prestazioni costituzionalmente necessarie (art. 3 e 117 comma 2 lett. m) Cost.); le altre due, per contro,

sono la comunità statale e quella europea, rispetto alle quali sussiste un vincolo di solidarietà (art. 2 e 117

comma 1 Cost.). Per tutte e tre le comunità di riferimento vige il principio di accountability, cioè il dovere

di “rendere conto” dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi (c.d. principio di rendicontazione) 71.

70 Si permetta di rinviare a F. SUCAMELI, Il giudizio di parifica tra costituzionalismo antico e moderno. il modello cavouriano e il lungo percorso verso la sentenza di San valentino, in Rivista della Corte dei conti, n. 1/2019, p. 48 e ss. nonché M. LAZE, La natura giuridica della legge di bilancio: una questione ancora attuale, in Rivista AIC, n. 2/2019. 71 Ancora una volta emerge perciò che la clausola generale dell’equilibrio dei bilanci pubblici (e le sue declinazioni, nei saldi fondamentali della finanza pubblica, compreso il “pareggio di bilancio”) è un precetto strumentale alla realizzazione di “beni valori”, tra cui si possono ascrivere non solo l’accountability e la solidarietà, ma anche l’autonomia. Tali valori conformano anche il “coordinamento della finanza pubblica” in un senso proattivo, nel senso da ritenere inammissibili forme di compressione del bilancio che si traducano in una vera e propria

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In quest’ottica, come già evidenziato dalla Corte costituzionale, il bilancio è un “bene pubblico” (cfr.

Corte cost. sentenze n. 184/2016, n. 80/2017, n. 228/2017, n. 247/2017, n. 49/2018 e ordinanza n.

7/2019).

Sicché, alla luce di queste considerazioni, il meccanismo solidale dell’art. 9 della L. n. 243/2012, non solo

deve ritenersi ancora vigente, ma costituisce un ponte di solidarietà tra la comunità territoriale, quella

statale e quella sovranazionale-europea, introducendo un meccanismo di coordinamento della finanza

pubblica che – correttamente interpretato – è compatibile con il principio di autonomia e di equilibrio.

Il limite dei saldi di coordinamento rimane quello di non determinare l’impossibilità, disfunzionale, di

impiegare risorse già esistenti e che sono state “accantonate” per la realizzazione di prestazioni e

l’esercizio di funzioni fondamentali per l’ente territoriale.

La legge di bilancio 2019, inoltre, non ha eliso il “doppio binario”, ma, piuttosto si è limitata a disinnescare

i più rigorosi dispositivi di “effettività” costituti da “limitazioni” e “sanzioni”: si tratta di un

depotenziamento che rischia di rendere il meccanismo di solidarietà previsto dall’art. 9 della l. n. 243/2012

poco efficace.

Per altro verso si è potuta riscontrare la permanente vigenza dell’art. 9 della l. n. 243/2012, che obbliga

gli enti territoriali a programmare la spesa in modo da concorrere agli obiettivi eurounitari, senza

accrescere l’indebitamento del sistema. La vigente legislazione, infatti, continua a prevedere un distinto

obiettivo di pareggio, disancorato dal risultato di amministrazione, che, ove non realizzato a consuntivo,

può generare un peculiare “disavanzo di solidarietà”, con regole di rientro distinte dal disavanzo

ordinario. Il disavanzo di solidarietà costituisce dunque il “rimedio” a presidio dell’obiettivo, che però

opera su un terreno strettamente contabile e che, sul terreno dell’effettività, rimane presidiato dal “blocco

della spesa” e dalla posizione della Corte dei conti quale giudice a quo della legge e del diritto sul bilancio.

In una prospettiva futura, si spera che le tesi qui sviluppate possano servire non tanto per il ripensamento,

ma per una valorizzazione dell’esperienza trascorsa del “patto”. Ciò in quanto, in primo luogo, non

sussistono ostacoli al suo rinnovo nella tecnicalità contabile (grazie al principio c.d. del matching) - la quale

consentirebbe, anche un’ottica eurounitaria, di conciliare equilibrio, autonomia e solidarietà repubblicana

sottrazione di risorse, invero già vincolate, per legge, ad uno scopo di spesa specifico. Come evidenziato nella sentenza C. cost. n. 18/2019, l’equilibrio di bilancio (in base ai parametri costituiti dagli artt. 81 e 97 Cost.) implica ex se la necessità del rispetto di fondamentali valori costituzionali, quali la riconduzione dell’esercizio del potere alla legittimazione democratica e realizzazione di una solidarietà intra e inter-generazionale. Nella più recente sentenza n. 146/2019 ancora si evidenzia che l’equilibrio è un precetto costituzionale collegato a «beni-valori», configurando tra l’equilibrio (ed il bene pubblico “strumentale” costituito dal bilancio) e tali valori (beni finali) un rapporto di “mezzo a fine”.

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- in secondo luogo, perché l’esperienza passata ha dimostrato l’efficacia dei rimedi e del sistema di verifica

dell’osservanza dei saldi costruiti attorno ad un apparato di limitazioni e sanzioni.