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Il Sole 24 Ore - UNITELNews24 Le Newsletter de Il Sole 24 ORE Percorsi di informazione ed approfondimento per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione Servizio di informazione ed approfondimento in tema di ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza Chiuso in redazione il 20 maggio 2009 © 2009 Il Sole 24 ORE S.p.a. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano a cura della Redazione Elettronica Edilizia, Ambiente e PA de Il Sole 24 ORE Tel. 06 3022.52.96 e-mail: [email protected] www.professionisti24.com 23

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n. 23 – 20 maggio 2009

Sommario Pagina

NEWS Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, fisco, lavoro e previdenza, mercato, Pubblica Amministrazione, rifiuti, sicurezza 4

RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 21

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, inquinamento, pubblica amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 31

APPROFONDIMENTI 51

Appalti LA SCELTA DIPENDE DALLE REGOLE DEL CAPITOLATO Le clausole dei bandi di gara sono di particolare importanza, perché la scelta di uno o altro contraente dipende da ciò che tali clausole prevedono, e dalla loro interpretazione

Vittorio Italia, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24 Ore, 16 maggio 2009, n. 20 51

Appalti DIVIETO DI ARBITRATO NEGLI APPALTI: MORATORIA AL 31 DICEMBRE 2009

Il D.L. 207/2008 cosiddetto milleproroghe, convertito con modificazioni nella legge 14/2009, ha rinviato al 31 dicembre 2009 l'operatività del divieto al ricorso all'arbitrato nei contratti pubblici introdotto con la Finanziaria 2008. L'entrata in vigore della prescrizione era già stata rinviata due volte: inizialmente al 1° luglio 2008 e quindi al 30 marzo 2009

Brunello De Rosa, Consulente Immobiliare, 15 maggio 2009, n. 837 54

Espropriazione SE L’ESPROPRIO DEL SUOLO DIVENTA ILLEGITTIMO IL PRIVATO PUÒ OTTENERE UN RISTORO PER

EQUIVALENTE

L’autorità che utilizza un bene per scopi di interesse pubblico, modificato senza un valido titolo, può disporre che vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che il proprietario venga risarcito

Salvatore Mezzacapo, Guida al Diritto, Il Sole-24 Ore, 16 Maggio 2009, n. 19 56

Contabilità AGENTI CONTABILI NEGLI ENTI LOCALI Nell’ambito degli enti locali assume un ruolo del tutto peculiare la figura degli agenti contabili, rappresentati, per consolidata definizione, dai soggetti che hanno maneggio di denaro pubblico ovvero che sono incaricati della gestione di beni di proprietà dell’ente

Marco Rossi, La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2009, n. 21 60

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Energia SENZA LE LINEE GUIDA NAZIONALI REGIONI IN AVANSCOPERTA E REGOLE A MACCHIA DI LEOPARDO

Spetta al ministero per lo Sviluppo economico la redazione di linee guida orientative che, però, non sono state ancora varate. Nell'attesa, molte Regioni hanno disciplinato la materia, regolamentando le procedure autorizzative con norme molto diverse fra loro

Giovanna Landi, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio del 18 maggio 2009, n. 19 63

Sicurezza ed igiene del lavoro EDILIZIA: COSÌ LE 16 ORE DI FORMAZIONE OBBLIGATORIA

Il settore edile si erge ad apripista nei confronti di quanto previsto dall’art. 37, comma 4, del Dlgs n. 81/2008 in tema di formazione del personale dipendente

Riccardo Girotto, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21 66

L’ESPERTO RISPONDE

In questa edizione gli esperti de Il Sole 24 ORE rispondono a quesiti in materia di appalti, DURC, edilizia e urbanistica, fisco, professionisti, Pubblica Amministrazione 69

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Ambiente e territorio

Il disastro ambientale legittima il danno morale. 5mila euro per la sofferenza psichica derivata dalla preoccupazione per la propria salute. Il «patema d'animo» dei cittadini preoccupati per le ripercussioni sulla propria salute provocate da un ambiente inquinato da sostanze altamente tossiche deve essere risarcito come danno morale. Così la Cassazione (sentenza 11059 depositata il 13 maggio 2009) ha riconosciuto a un'ottantina di cittadini residenti in prossimità dell'impianto di Seveso (Milano) – dal quale il 10 luglio di 33 anni fa, nel 1976, fuoriuscì una nube tossica composta da diossina – un risarcimento di 5mila euro ciascuno come danno morale per l'ansia vissuta in quel periodo. Nel 1995 quelle persone citarono in giudizio la società Icmesa per danno morale derivato dalla paura di aver compromesso la propria salute a causa del contatto con la diossina. Dopo la condanna per disastro ambientale, il Tribunale e la Corte d'appello di Milano, nel 2005, imposero un risarcimento danni per 5mila euro a ciascun ricorrente. Nel ricorso in Cassazione Icmesa sosteneva che non ci fossero i presupposti per il danno morale sostenendo, tra l'altro, che non c'era la prova che i residenti nella zona della nube tossica avessero avuto ripercussioni nella vita sociale e di relazione. La terza sezione civile, però, ha respinto il ricorso. Secondo i Supremi giudici, infatti, «ampiamente provata era la sofferenza psichica e personale patita dai cittadini che, in quanto soggetti a rischio, erano stati sottoposti a «ripetuti controlli sanitari sia nell'immediatezza dell'evento sia successivamente per parecchi anni fino al 1985». Un vero e proprio incubo che configura quella «sofferenza psichica» che «giustamente» – secondo la Suprema corte – i giudici di merito avevano qualificato come danno morale, risarcendo gli interessati con 5mila euro, «una valutazione prudenziale se non addirittura minima del danno morale in questione». I giudici della Cassazione scrivono che deve essere riconosciuto il «danno non patrimoniale» ai cittadini per il «patema d'animo indotto in ognuno dalla preoccupazione per il proprio stato di salute». Un risarcimento che, come sottolinea la Suprema corte, «ben può essere provato per presunzione, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi» del patema d'animo e della sofferenza interna dovute alla preoccupazione di ammalarsi. Applicando questo principio, la Cassazione ha respinto il ricorso dell'impianto di Seveso Icmesa. I giudici di piazza Cavour hanno sottolineato che «giustamente» i residenti di Seveso sono stati risarciti per i danni morali patiti. Inoltre – osservano gli stessi giudici – «la sentenza è del tutto conforme a diritto dove afferma che il danno non patrimoniale consistente nel patema d'animo e nella sofferenza interna ben può essere provato per presunzioni e che la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro secondo criteri di regolarità causale».Infine – conclude la Cassazione in riferimento alla liquidazione definita «eccessiva» dalla società – l'importo di 5mila euro «liquidato in via equitativa in favore di ciascuno degli attori» corrisponde «a una valutazione prudenziale, se non addiruttura minima del danno morale in questione. Il che non altro significa che, secondo l'apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito con motivazione senz'altro adeguata, in nessun caso potesse ipotizzarsi, per ognuno, una valutazione equitativa del danno inferiore a quell'importo». (N. T., Il Sole 24 Ore, 16 maggio 2009, p. 32)

Emilia Romagna. Bonifiche, i consorzi ridotti a 9. Definiti i criteri per la riforma. L’ Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna ha approvato la legge che definisce i criteri e le modalità per la riorganizzazione della rete consortile regionale, un sistema in grado di erogare oltre 1 miliardo di metri cubi d’acqua all’anno e di servire quasi 47mila aziende agricole, su 648mila ettari di superficie agricola utilizzata (Sau), oltre a occuparsi della gestione dei numerosi impianti idraulici presenti sul territorio. Con il riordino, previsto dalla legge, che punta a coniugare il difficile obiettivo di aumentare l’efficienza, con quello di diminuire i costi (si parla di un programma di

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riduzione di 5 milioni nell’arco di un quinquennio), i consorzi di bonifica attivi diventeranno 9 (8 di primo grado e 1 di secondo, il consorzio del Cer, Canale di bonifica emiliano romagnolo), al posto degli attuali 17. Entro settembre, l’Assemblea legislativa nominerà i Consigli di amministrazione provvisori dei nuovi consorzi, che rimarranno in carica 1 anno. In ogni Cda non potranno ricevere compenso più di 3 consiglieri, compresi il presidente e il vicepresidente. Altre novità si profilano, tuttavia, all’orizzonte. «A breve – ha anticipato l’assessore regionale all’Agricoltura, Tiberio Rabboni – avvieremo l’iter di un più generale progetto di riforma delle bonifiche, che dovrà affrontare altre questioni, come quelle relative alla contribuzione e al sistema elettorale». «I nuovi Consigli di amministrazione – ha aggiunto – dovranno essere eletti con una legge che preveda una rappresentanza di tipo proporzionale rispetto ai contributi versati ». La ridefinizione del sistema dei consorzi, non prevede tagli occupazionali sui 1.421 dipendenti, ma solo una ri-collocazione delle varie posizioni lavorative, in funzione delle nuove esigenze. Per assicurare i dipendenti, l’assessorato regionale all’Organizzazione ha sottoscritto un accordo con i sindacati di categoria e le professionali agricole. Un accento polemico proviene da Emilio Bertolini, presidente di Urber, l’Unione delle bonifiche dell’Emilia Romagna, nei confronti di un emendamento, introdotto nella legge, «che dà facoltà alla Regione di assumere il controllo gestionale dei consorzi in caso di criticità», un provvedimento questo, giudicato «invasivo circa le possibilità di autogoverno della rete dei consorzi». (Roberto Faben, Agrisole, Il Sole 24 Ore, 15-21 maggio 2009, n. 20, p. 13)

Veneto. Bonifiche, 10 i Consorzi superstiti. La riforma dei Consorzi passa l’esame del Consiglio. Dopo trent’anni (la normativa regionale risaliva al 1976) e una lunga discussione iniziata nel 2006, anche il Veneto può ora adottare nuove regole in materia di bonifica. Numerose le novità apportate in aula, a iniziare dalla riduzione del numero dei Consorzi, che da 20 diventano 10, e dalla ridefinizione dei confini secondo i bacini idrografici. «Si tratta – ha commentato l’assessore regionale all’Ambiente, Giancarlo Conta – di una nuova impostazione del ruolo strategico che essi ricoprono nella tutela delle risorse naturali. Per questo le legge assegna nuove e più importanti competenze come quella ambientale ». Tra le funzioni svolte dagli enti: il monitoraggio della qualità delle acque, la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la promozione di metodi agronomici ecocompatibili. Il punto più controverso, e cioè i contributi consortili finora a carico degli utenti, è stato risolto stabilendo che gli immobili urbani serviti dal sistema di pubblica fognatura e depurazione non siano assoggettati a tale contributo per lo scolo delle relative acque (a pagare saranno i titolari degli scarichi, vale a dire gli enti locali). Gli utenti urbani non collegati al sistema fognario dovranno, invece, pagare il contributo consortile solo se superiore a 16,53 euro. I consiglieri sono stati ridotti da 30 a 20, e dal consiglio di amministrazione (5 membri) sono stati esclusi il rappresentante della Regione e quello della Provincia. L’unico «delegato» per gli enti locali sarà dunque il sindaco. Positivo il commento di Coldiretti Veneto che da tempo aveva chiesto una «legge condivisa per una corretta gestione della risorsa idrica in agricoltura». «Il riconoscimento delle funzioni ambientali – spiega il presidente Giorgio Piazza – è il punto di svolta di un provvedimento che non poteva più aspettare ». I dubbi restano sulla futura gestione. «Ci preoccupa non solo il pagamento a carico dei Comuni – spiega Luigi Veronese, direttore dell’Unione veneta bonifiche – che altrove non ha funzionato, visto i tagli agli enti locali, ma anche la distribuzione dei servizi in territori vasti, estesi più che raddoppiati rispetto a prima». (Eleonora Vallin, Agrisole, Il Sole24Ore, 8-14 maggio 2009, n. 18, p. 10)

Ambiente/Filtri Pirelli in Portogallo contro lo smog. Sarà la Pirelli (tramite il ramo Eco-Technology) ad installare filtri anti-smog a bordo dei mezzi pubblici portoghesi, in virtù dell’accordo siglato due giorni fa a Lisbona, fra i vertici dell’azienda ed il Governo del Portogallo. Si tratta della sperimentazione dei retrofit, filtri speciali per i motori diesel che consentono di ridurre le immissioni di polveri sottili. Il brevetto Pirelli, che permette di conseguire un abbattimento del 90% di particolato e di oltre il 95% di polveri sottili, sarà messo alla prova con i pullman del servizio pubblico di Lisbona e Oporto su cui saranno applicati i sistemi filtranti. (F.V. Il Sole 24Ore, Economia e Imprese, del 7 maggio 2009, pag. 24 – sintesi redazionale)

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Appalti

Appalti di progettazione, mercato in calo. L’Osservatorio mensile dell’OICE, l’associazione di categoria delle società di ingegneria, conferma la tendenza recessiva della domanda dei servizi di ingegneria e architetture già rilevata nei mesi di gennaio e febbraio, chiudendo un primo trimestre del 2009 in flessione. Gare di marzo 2009: le gare indette in marzo sono state 374 delle quali 45 sopra soglia per un importo complessivo di 60,3 milioni di euro (dei quali 45,4 sopra soglia). Nel marzo del 2008 le gare furono 337 per un valore di 74,876 milioni di euro, dei quali 61,5 milioni per appalti sopra la soglia europea; rispetto a dodici mesi fa quindi le gare sono aumentate di numero dell’11% (–8,2% quelle sopra soglia e +14,2% quelle al di sotto) mentre il valore è diminuito del 19,4% (–26,1% sopra soglia e +11,7% sotto la soglia). Andamento del primo trimestre: complessivamente, nel primo trimestre del 2009 sono state indette 983 gare di progettazione, delle quali 129 sopra la soglia con un valore di 182,8 milioni di euro, dei quali 144,4 sopra la soglia. Nel 2008, primo trimestre, le gare erano state 1.163 per un valore di 204,804 milioni; il confronto con l’anno scorso risulta quindi al momento negativo. Il numero delle gare si è ridotto del 15,5% (–13,4% quelle sopra la soglia, –15,8% quelle sotto), mentre il loro valore scende del 10,7% (–8% sopra soglia, –19,5% gli appalti di valore inferiore). Offerte con ribassi sempre più alti: continua inoltre, secondo OICE, a essere allarmante l’andamento dei ribassi con i quali le gare vengono aggiudicate: in marzo il ribasso medio è stato del 33,6% che raggiunge il 54% in alcune gare di maggiore importanza. OICE cita anche una indagine del Consiglio Nazionale degli Ingegneri in corso di diffusione secondo la quale negli ultimi mesi il ribasso medio rilevato è stato del 37,4%. Le Amministrazioni fanno sempre meno gare: per quanto riguarda le varie stazioni appaltanti l’indagine rileva che, a eccezione delle regioni e delle aziende sanitarie e ospedaliere, che aumentano la loro domanda rispettivamente del 77,4% e del 102%, tutti gli altri committenti mostrano una forte flessione di valore (ex IACP –93,8%; comunità montane –54,1%; amministrazioni statali –52,1%; province –7,4%; comuni –2,6%; società concessionarie pubbliche –40%). Tutta l’Europa è in flessione: il numero delle gare italiane pubblicate sulla Gazzetta Europea, passato dalle 149 del gennaio-marzo 2008 alle attuali 129, mostra una contrazione del 13,4%. Anche nell’insieme degli altri partner dell’Unione Europea la domanda di servizi di ingegneria evidenzia una flessione, pari però al –6,5%, inferiore a quella italiana. L’Italia incide solo per il 3,4% sul mercato europeo dei progetti, lontana dagli altri Paesi leader (Francia 36%, Germania 11,7%, Spagna 10,7%; Gran Bretagna 5,1%; Polonia 6,1%). L’organizzazione delle società di ingegneria rileva che la crisi economica continua a erodere il mercato e che finora non si sono concretizzate adeguate proposte anticrisi né interventi normativi risolutivi. Le priorità di OICE, come nei mesi precedenti, riguardano la lotta ai ribassi attraverso un nuovo sistema di compensi delle prestazioni che siano ancorati a valori oggettivamente controllabili in sede di gara anche sotto il profilo della verifica dell’anomalia delle offerte. (Consulente Immobiliare, Il Sole 24 Ore, n. 837/2009, p. 790)

Mercato positivo per appalti misti di progetti e lavori. La domanda indiretta di progettazione che si esprime attraverso gli appalti per l’affidamento congiunto di lavori e servizi di ingegneria mostra nel primo trimestre una tendenza positiva: le gare pubblicate sono 210 per un valore di 1,894 miliardi di euro. Rispetto al primo trimestre del 2008 c’è una diminuzione di gare del 12,5% ma un incremento di valore del 43,2%. Finanza di progetto decollata in 6 anni – Un’analisi, compiuta dall’ANCE, sul mercato del project financing dal 2003 al 2008 rileva che sono state bandite 1.950 gare per un valore di 26,694 miliardi di euro; 1.033 opere per 17,5 miliardi di valore sono state nel frattempo anche ultimate. L’incidenza dei lavori con capitali privati sul totale delle opere pubbliche ha raggiunto nel frattempo il 18,8% del totale dei bandi pubblicati; in particolare per lavori di valore medio-alto (tra 6 e 50 milioni di euro) la finanza privata incide intorno al 20% del totale. Infine per quanto riguarda gli enti che ricorrono al project financing l’analisi pluriennale conferma la predominanza dei comuni, sia per numero di gare pubblicate (il 90%) che per il valore (53%). (Consulente Immobiliare, Il Sole 24 Ore, n. 837/2009, p. 790)

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Alla Stazione Appaltante l’onere della prova. Spetta alla Stazione Appaltante verificare le prove. In questo senso si è espressa la V sezione del Consiglio di Stato con la Sentenza n. 1840/2009 che stabilisce il principio per cui sia onere dell’Appaltante valutare in concreto le prove prodotte in sede di gara, senza limitarsi alla constatazione del difetto della dichiarazione nelle modalità e forme richieste dal Bando. In sostanza, la mancanza di un atto richiesto non esclude in automatico il concorrente se il dato può essere desunto da un’altra dichiarazione. Nel caso in esame, il Collegio ha confermato il precedente pronunciamento di primo grado formulato dal TAR Lombardia a favore di un’impresa che aveva promosso il giudizio per essere stata esclusa pur avendo fornito le informazioni richieste, sebbene non nella forma espressamente prevista, ma compilando schede annesse al Bando che avrebbero consentito alla Stazione Appaltante di entrare in possesso di ogni debita informazione relativa all’identificazione del Consorzio partecipante e di ogni singolo operatore che ne facesse parte. (Raffaele Cusmai, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, 4 maggio 2009, pag. 15 – sintesi redazionale)

Project Financing/In arrivo i Bandi di Gara-tipo. Elaborate dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici le Linee Guida per le procedure di affidamento dei lavori in Project Financing, nell’ambito del quadro normativo prefigurato dall’art. 153 del Codice dei Contratti Pubblici, così come modificato dal DLgs 152/2008. Gli schemi tracciati dall’Autorità si riferiscono in particolare alle procedure di gara unica e di doppia gara, per i quali dettano strutture ad elevata definizione quanto ai criteri di ammissione delle imprese e di valutazione delle proposte avanzate. In realtà, le Linee Guida non costituiscono un fattore vincolante per le amministrazioni, dal momento che non pregiudicano scelte originali da parte delle stazioni appaltanti, ma offrono uno strumento orientativo per la corretta applicazione dell’art. 153. (Alberto Barbiero, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 4 maggio 2009, pag. 15 – sintesi redazionale)

Bandi di Gara: decaduto il divieto per i Consorzi di partecipare ai piccoli Appalti. Niente più reato di turbativa d’asta: a partire dall’1 luglio prossimo, decade il divieto per i consorzi di imprese edili di partecipare ai piccoli Appalti. Nel dettaglio, per effetto dell’approvazione dell’emendamento al Ddl collegato sulla Semplificazione che modifica il Codice degli Appalti, viene meno il divieto per un consorzio e per una delle imprese ad esso associate di prendere parte alla stessa Gara per i Bandi inferiori al valore di 1 milione €. In precedenza, la mancata osservanza della norma che impediva la partecipazione simultanea ad una Gara d’Appalto sia al consorzio che all’impresa consorziata (in quanto concorrente a sé stante), implicava ripercussioni giudiziarie di carattere penale, comportando il reato di turbativa d’asta. (Giuseppe Latour, Valeria Uva, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, dell’11 maggio 2009, pag. 17 – sintesi redazionale)

Servizi ferroviari.In caso di mancato rispetto della puntualità, affidabilità dei treni e pulizia dei vagoni, le sanzioni non potranno eccedere la misura dell1% del valore totale dei contratti di Servizio ferroviario. E’ uno dei possibili effetti del Decreto Legge Incentivi (art. 7, comma 3-ter, del Decreto 5/2009, che consente di assegnare senza gara la gestione dei treni dei pendolari, sebbene in contrasto con la riforma dei Trasporti locali (Legge 422/1997) che prevede invece l’asta obbligatoria. La settimana scorsa, inoltre, la Commissione Industria del Senato ha approvato un emendamento al Disegno di Legge Sviluppo che di fatto reintroduce dopo oltre dieci anni l’affidamento diretto dei Servizi. (Morena Pivetti, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 6 maggio 2009, pag. 37 – sintesi redazionale)

Ribassi che sfiorano e in molti casi superano di gran lunga il 20% in tutto il 2008. Questo è il dato che emerge da una primissima e sommaria analisi del fenomeno degli sconti compiuta dall’Autorità di vigilanza sui contratti. Se si fa eccezione infatti per il modesto 6,8% del Friuli Venezia Giulia, la media delle Regioni ruota appunto intorno al 20%, con le punte significative di Lazio (24,97) e Campania (28,03). Dati dell’Autorità, però riferiti al solo 2008 non emerge ancora in pieno l’effetto del terzo decreto correttivo, in vigore solo dal 17 ottobre, che avendo

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eliminato l’esclusione automatica delle offerte dalla fascia di gare tra uno e cinque milioni ha inasprito la concorrenza e aumentato i ribassi. Nel confronto 2007-2008, anzi, la percentuale è persino scesa. Peraltro quella fornita dall’Autorità di vigilanza è un’anteprima rispetto all’elaborazione dei dati dettagliata che sarà contenuta nella tradizionale Relazione annuale pronta solo a luglio. E dunque non tiene conto in alcun modo delle fasce di importo. Si fornisce in pratica solo il ribasso medio, Regione per Regione senza il dettaglio delle fasce di importo in cui questo si articola. È quindi un dato molto grezzo, ma ha dalla sua il fatto di essere quello ufficiale, frutto cioè delle comunicazioni sistematiche e a tappeto che le stazioni appaltanti devono dare all’Osservatorio. Ma la tabella può comunque indurre a qualche riflessione: l’elemento più interessante è sicuramente la continuità che di anno in anno caratterizza alcune Regioni: la Campania ad esempio, passata da un 29,02 a un 28,03 resta, al di là di ogni sforzo e di ogni modifica normativa una Regione con percentuali preoccupanti. Lo stesso discorso vale per il Lazio che in un anno è sì migliorato di tre punti ma anche per il 2008 si è piazzato comunque intorno al 25 per cento. Gli fa compagnia la Puglia. Al lato opposto le medie bassissime di Friuli Venezia Giulia e Sicilia, che è la Regione che da sempre si caratterizza per il fenomeno contrario dei minisconti. Le stazioni. L’Autorità ha elaborato per «Edilizia e Territorio » anche il quadro dei ribassi in base alla tipologia di stazione appaltante, sempre per l’anno scorso. Vincono le aziende speciali con uno sconto medio del 21,17 seguite a ruota dalle Province con il 20,88 per cento. (Valeria Uva, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 18-23 maggio 2009, n. 19, p. 2)

L’obbligo di controllare le offerte anomale anche sotto soglia nasce da un richiamo comunitario. Il fenomeno delle offerte anomale è una delle questioni “storiche” del settore delle opere pubbliche, su cui da sempre si confrontano soluzioni legislative, interventi giurisprudenziali, opinioni degli operatori. Il problema si ripropone in maniera ancora più accentuata nei periodi di crisi del mercato, in cui la “caccia all’appalto” comporta che pur di aggiudicarsi la gara i concorrenti non esitano a formulare offerte con ribassi molto elevati (appunto anomali). Con altrettanta puntualità si ripresenta il dibattito sui meccanismi più efficaci per frenare il fenomeno. In particolare, si riaffaccia la tesi di chi ritiene che almeno per gli appalti sottosoglia – per i quali non vi è una norma comunitaria che espressamente preveda l’obbligo di esclusione previa verifica in contraddittorio – sia più conveniente procedere all’esclusione automatica delle offerte anomale. La giurisprudenza europea. In realtà, la più recente giurisprudenza della Corte di giustizia Ue ha affermato che l’obbligo di far precedere l’esclusione delle offerte sospette di anomalia da una fase di verifica in contraddittorio con gli offerenti costituisce un principio generale dell’ordinamento comunitario. E deve trovare applicazione anche sottosoglia. Le ragioni alla base di questa impostazione sono chiare. Da un lato, si tende a garantire che la stazione appaltante non escluda aprioristicamente offerte che, pur presentando ribassi elevati, sono giustificabili, cioè potenzialmente idonee a garantire la corretta esecuzione dei lavori. Dall’altro, si vuole evitare che l’esclusione automatica possa ostacolare lo sviluppo di una sana concorrenza, impedendo a imprese che hanno formulato offerte vantaggiose (e congrue) di rendersi affidatarie. La stessa giurisprudenza comunitaria ammette tuttavia per gli appalti sottosoglia alcune eccezioni al principio dell’obbligo di esclusione preceduta da contraddittorio. Una recente pronuncia della Corte Ue del 15 maggio 2008 consente infatti l’esclusione automatica in due ipotesi: a) per gli appalti che non presentano un interesse c.d. transfrontaliero, che cioè per dimensione, ubicazione o altre caratteristiche non siano idonei ad attrarre l’interesse delle imprese di altri paesi; b) nel caso in cui il numero dei partecipanti alla gara sia talmente elevato da rendere la verifica in contraddittorio estremamente difficoltosa in relazione alle capacità organizzative dell’ente appaltante. La normativa italiana. Il legislatore nazionale ha tendenzialmente seguito queste indicazioni che emergono a livello comunitario. Con il terzo decreto correttivo l’esclusione automatica è infatti una facoltà che le stazioni appaltanti possono esercitare solo per gli appalti fino a un milione, quasi a identificare tale limite di importo con l’insussistenza dell’interesse transfrontaliero dell’appalto; e comunque purché le offerte ammesse siano superiori a dieci. La tendenza è quindi chiara: l’esclusione delle offerte anomale deve essere preceduta dalla verifica in contraddittorio, mentre l’esclusione automatica deve essere limitata a ipotesi circoscritte. Ne esce rafforzata, da un lato, l’esigenza che gli enti appaltanti si attrezzino per compiere efficacemente la verifica; dall’altro, la necessità che essi siano supportati in questo loro sforzo da una disciplina legislativa meno vincolante di quella contenuta nel codice dei contratti e da un indirizzo giurisprudenziale il più

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possibile univoco e privo da alcuni eccessi di ipergarantismo formale. (Roberto Mangani, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 18-23 maggio 2009, n. 19, p. 2)

Catasto Il Consiglio di Stato ripristina decentramento funzioni catastali ai comuni. Il Consiglio di Stato ha ripristinato l’8 aprile scorso il decentramento delle funzioni catastali ai comuni, come stabilito da un D.P.C.M., la cui efficacia era stata nei mesi scorsi annullata da una sentenza della giustizia amministrativa. La Sez. IV del Consiglio di Stato ha, infatti, annullato la sentenza con la quale il TAR Lazio aveva accolto il ricorso proposto da Confedilizia contro il decreto del Presidente del Consiglio sul catasto ai comuni. L’intervento del Consiglio di Stato sul decentramento delle funzioni catastali ai comuni, precisa l’ANCI, riporta indietro di un anno la situazione in materia. Nella sostanza, infatti, il D.P.C.M. è da considerare totalmente vigente, così come tutte le disposizioni da esso derivanti. Si torna, dunque, alla situazione di fine aprile 2008 quando: a. la Conferenza Stato-Città aveva approvato (22.3.2008) la mappatura delle scelte comunali in materia di catasto, individuando 2.374 amministrazioni già pronte ad assumere, in tutto o in parte, le funzioni catastali, secondo le scelte già deliberate. Scelte che oggi tornano a essere immediatamente operative; b. dovevano anche essere riattivati il Comitato paritetico centrale e i comitati regionali previsti dal protocollo d’intesa fra ANCI e Agenzia del territorio (del 2007), per rivedere le cause di esclusione di quei comuni che, pur avendo deliberato, non erano stati inseriti nella prima mappatura; c. le risorse finanziarie previste dal D.P.C.M. pari a 46 mln di euro e quelle di cui all’art. 2, comma 66, del D.L. 262/2006, convertito in legge 286/2006, pari a 59 mln di euro, sono disponibili presso i competenti ministeri. Ma la decisione del Consiglio di Stato rende anche esecutive le disposizioni contenute nel D.P.C.M. del 27 marzo 2008 (relativo al trasferimento del personale dell’Agenzia del territorio presso i comuni in funzione del processo di decentramento catastale) pubblicato in G.U. il 3 giugno 2008. Dovranno quindi cominciare a essere attuate le procedure per il trasferimento di 2.955 unità di personale della stessa Agenzia. Un’altra importante conseguenza della sentenza riguarda poi il fatto che torna in vigore il termine del 15 luglio prossimo come data entro la quale altri comuni possono deliberare per il decentramento o per l’assunzione di funzioni superiori rispetto a quelle già approvate, come previsto dal D.P.C.M. del 14 giugno 2007. Il quadro sul decentramento si completa poi con il D.P.C.M. relativo alla definizione del Modello unico digitale per l’edilizia dello scorso 6 maggio 2008 (in G.U. del 15 luglio 2008), che con il decentramento delle funzioni catastali è intimamente legato. Tutto è quindi pronto per ripartire da dove il percorso era stato interrotto. (Consulente Immobiliare, Il Sole 24 Ore, n. 837/2009, p. 785)

Economia, finanza, fisco, agevolazioni e incentivi

Immobili. Riqualificazione energetica, detrazione Irpef del 55%. Con il provvedimento del Direttore del 6 maggio 2009, l’Agenzia delle Entrate ha approvato il nuovo modello di comunicazione per i lavori relativi alla riqualificazione degli impianti energetici di un’unità immobiliare (art. 29 del DL 185/2008) protratti oltre il periodo di imposta, ai fini dell’accesso alla detrazione Irpef del 55% delle spese sostenute: opere di riqualificazione di edifici esistenti, installazione di pannelli solari o sostituzione di impianti di climatizzazione invernale. Il nuovo modello elaborato dall’AdE è destinato esclusivamente ai contribuenti che intendono beneficiare del bonus fiscale, e che sono tenuti a notificare le spese sostenute nei periodi di imposta precedenti a quello in cui hanno avuto termine i lavori, con riferimento a quella parte di interventi che si sono protratti oltre il periodo di imposta. In questo senso, il nuovo modello è quindi idoneo a comunicare le spese sostenute nel corso del 2009 e vale per le annualità successive. Secondo le specifiche modalità del nuovo modello, il 31 marzo 2010 è il termine entro cui dovranno essere comunicate per via telematica all’AdE le spese sostenute durante il 2009, solo se i lavori non siano già stati conclusi entro il 2009 stesso, fermo restando l’obbligo per i contribuenti interessati alla detrazione Irpef di comunicare all’Enea entro 90 giorni dalla fine dei lavori (www.acs.enea.it) tutti i dati relativi all’intervento eseguito, così come indicati dal Decreto del Ministero dell’Economia del 19 febbraio 2007. (Agenzia delle Entrate, 6 maggio 2009 – sintesi redazionale)

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Il Servizio di fognatura è soggetto ad IVA. Con la Risoluzione 122/E del 6 maggio 2009, l’Agenzia delle Entrate ha dichiarato soggetto ad IVA l’affidamento del servizio di pubblica fognatura e la concessione d’uso data da un Comune a una società. A patto però che ricorrano taluni specifici requisiti, determinati dalla Corte Europea di Giustizia: in sostanza, solo quando l’Ente locale agisce non in veste di autorità pubblica, bensì di impresa (avendo cioè realizzato un’organizzazione di mezzi e di risorse funzionali al conseguimento di risultati economici), l’attività diviene rilevante ai fini IVA. Nel dettaglio, quando l’attività è connotata dalle tipiche caratteristiche di professionalità, sistematicità e abitualità, seppure non esercitata in via esclusiva. (Renato Portale, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 7 maggio 2009, pag. 33 – sintesi redazionale)

Tassa Rifiuti/Prorogati i termini per l’invio dei dati. L’Agenzia delle Entrate proroga i termini – cui devono attenersi sia i Comuni che i concessionari – di comunicazione dei dati relativi al 2007 e 2008, acquisiti nel servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Slitta così dal 30 aprile al 31 ottobre 2009 il tempo utile per inviare alle amministrazioni finanziarie i dati identificativi, incluse le informazioni catastali, degli immobili e dei loro occupanti o detentori. Tutte informazioni che dovranno poi essere incrociate con quelle a disposizione dell’Agenzia del Territorio, nell’ambito dell’azione di contrasto all’evasione nel settore delle locazioni immobiliari. A carico degli occupanti delle unità immobiliari, la compilazione dei moduli che saranno loro stati inviati. Per le inadempienze o mancate comunicazioni, sarà poi il Fisco ad attivare i controlli del caso. (Ser. Tro. Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 7 maggio 2009, pag. 33 – sintesi redazionale)

Rivalutazioni/L’Agenzia delle Entrate le ammette anche per le cave. Con la Circolare 22/E/2009 del 6 maggio 2009, l’Agenzia delle Entrate ammette la possibilità di rivalutare i cosiddetti immobili impianti, cioè quei beni strumentali stabilmente fissi al suolo identificati autonomamente dalla tabella dei coefficienti di ammortamento. Anche per le cave è prevista la rivalutazione come bene ammortizzabile, previo pagamento della sostitutiva del 3%. Nella Circolare l’AdE precisa che si può considerare edificabile (non rivalutabile) l’area qualificata per tale entro il 31 dicembre 2008 dallo strumento urbanistico generale adottato dal Comune di pertinenza. Sono invece rivalutabili le aree edificate, ritenendosi per tali quelle su cui al 31 dicembre 2007 gravava un edificio significativo nel senso disposto dall’art. 2645 del Codice Civile. (Luca Gaiani, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, dell’8 maggio 2009, pag. 31 – sintesi redazionale)

Regione Emilia Romagna: bando a favore delle piccole imprese in attuazione degli interventi per lo sviluppo e la qualificazione delle attività a supporto della fruibilità del patrimonio culturale ed ambientale (Delibera di Giunta, regionale 6.4.2009, n. 445). La Regione Emilia Romagna ha approvato il bando a favore delle piccole imprese in attuazione degli interventi per lo sviluppo e le qualificazione delle attività a supporto della fruibilità del patrimonio culturale ed ambientale. L’attività prevede l’incentivazione di interventi rivolti ad imprese, singole o associate, operanti nei settori del commercio, dei servizi e del turismo strettamente connessi agli interventi di sviluppo realizzati da soggetti pubblici. Gli interventi dovranno essere realizzati nelle aree indicate nei programmi di valorizzazione provinciale territoriale (Pvpt) o in alternativa dovrà essere comprovata una stretta connessione con le linee strategiche indicate negli stessi programmi. Il grado di coerenza con i Pvpt è altresì uno degli elementi di valutazione più importanti per determinare la graduatoria dei progetti. Tra gli interventi ammessi dal bando, realizzazione, recupero, trasformazione, ristrutturazione, ampliamento, riqualificazione, ammodernamento ed introduzione di innovazioni connesse con l’attività svolta; l’attivazione o riqualificazione di esercizi polifunzionali (ai sensi dell’art. 9 della Lr n. 14/1999); l’introduzione e lo sviluppo di servizi on-line e del commercio elettronico. L’agevolazione consiste in un contributo in conto capitale dal 30% al 50% della spesa ammessa (per un importo massimo di 200mila euro) concesso secondo la regola de minimis. Il costo complessivo dell’intervento non può essere inferiore a 30mila euro. La domanda dovrà essere presentata entro il 20 luglio 2009 alla Provincia in cui si realizza l’intervento, esclusivamente con raccomandata A/R. Sulla busta dovrà essere apposta la dicitura «Domanda ai sensi dell’Attività 4.2.1. Por-Fesr 2007-2013». (Deborah Coveri, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2009, n. 19)

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Lombardia: un’ecotassa sul «consumo» di suoli. Chi costruisce e consuma terreno agricolo sarà obbligato a compensare, cioè a pagare una maggiorazione sul contributo di costruzione che verrà utilizzata per restituire al verde e alla campagna altrettante superfici. È quanto prevede un emendamento del 2008 alla legge 12 del 2005 sul Governo del Territorio della Regione Lombardia: la modifica, inserita come comma bis all’articolo 43 della normativa, prevede un aumento dei contributi sul costo di costruzione, richiesti al costruttore, qualora vengano sottratte superfici agricole e stabilisce che queste nuove risorse vengano destinate obbligatoriamente a interventi forestali e di incremento della naturalità. «In pratica viene stabilita una compensazione – ha spiegato il direttore dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Lombardia, Paolo Lassini al convegno “Ettaro Zero. Fare paesaggio, costruire natura, prendersi cura del suolo” organizzato dai due assessorati all’Agricoltura e al Territorio e all’urbanistica della Regione Lombardia in collaborazione con Irealp (l’Istituto di ricerca per l’ecologia e l’economia applicate alle aree alpine) Politecnico di Milano e Università degli studi di Milano – tra urbanizzazione e uso di suolo agricolo in modo che il terreno portato via sia ripristinato da interventi a favore delle aree rurali». La maggiorazione del contributo di costruzione sarà fissata dai Comuni entro un minimo dell’1,5% e un massimo del 5%: ai circa 300 euro al metro quadrato, che rappresenta il contributo medio di costruzione, si aggiungerà quindi un ulteriore costo, compreso tra i 3,5 euro e i 15 euro al metro quadrato a carico del costruttore. Secondo stime della Regione Lombardia, questa maggiorazione a favore del verde consentirà di mettere assieme un plafond piuttosto ricco, circa 50 milioni di euro l’anno. Per arrivare a questo traguardo, forse già entro la fine del 2009, la Giunta regionale dovrà emanare ancora il regolamento attuativo e resta aperto il confronto tra l’assessorato all’Agricoltura e quello del territorio e dell’urbanistica. Le modalità di gestione di queste risorse, che saranno raccolte dai Comuni, devono essere concordate nei dettagli, ma l’obiettivo è quello di creare un fondo regionale. «L’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste – ha detto intanto il suo direttore, Paolo Baccolo – sta già predisponendo i progetti per utilizzare le risorse, ma il primo passo è già stato fatto». In effetti in Lombardia la città continua inesorabilmente ad avanzare sulla campagna a ritmi velocissimi: in base ai dati elaborati dall’Ersaf, ogni giorno si perdono mediamente 10 ettari di suolo agricolo e dal 2000 a oggi l’urbanizzazione si è mangiata complessivamente 26.600 ettari. Questi risultati hanno spinto quindi l’assessorato all’Agricoltura a cercare di ridurre questo consumo di suolo. In questa direzione, ha ricordato Lassini, si muove anche il Piano territoriale regionale, in cui la Regione affida alle Province il compito di individuare gli ambiti agricoli che nella nuova legge di governo del territorio assumono pari dignità rispetto ad altre destinazioni del suolo. (Francesca Baccino, Agrisole, Il Sole 24 Ore, 22-28 maggio 2009, n. 20, p. 12)

Edilizia e urbanistica

Edilizia/Prezzi: i termini di indennizzo per i materiali da costruzione. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, del Decreto ministeriale 30 aprile 2009, vengono definiti gli aumenti dei prezzi dei materiali destinati all’Edilizia per l’anno 2008. Un provvedimento in ritardo rispetto a quanto previsto dal decreto prezzi, che aveva fissato il termine massimo del 31 gennaio 2009, ma inclusivo di un ampio catalogo di 22 tipologie di materiali ammessi a compensazione secondo l’iter fissato dal Dl 162. E per le imprese arrivano le scadenze: entro il prossimo 8 giugno si dovrà fare istanza di compensazione alle stazioni appaltanti, pena la perdita di ogni possibilità di accedere ai benefici di Legge. Il Dm completa la disciplina introdotta dal decreto prezzi di ottobre. Nel provvedimento si stabiliva la possibilità per le imprese di richiedere alle stazioni appaltanti il rimborso per gli aumenti dei prezzi dei materiali nei lavori eseguiti e contabilizzati nel corso del 2008. Tutte le variazioni sono calcolate sulla data dell’offerta. L’alea (soglia oltre la quale si ottiene la restituzione del denaro) è fissata nella misura dell’8% se il calcolo è tutto riferito al 2008, mentre arriva al 10% se si fa riferimento a periodi precedenti. Il decreto pubblicato in Gazzetta individua in tre tabelle i materiali con variazioni superiori all’8%, per i quali si può accedere a compensazione, e contempla tutte le variazioni intervenute dal 2003 fino al secondo semestre del 2008. (Giuseppe Latour, Il Sole 24Ore, Tabloid Edilizia e Territorio, 18–23 maggio 2009, n. 19, p. 10 – sintesi redazionale)

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Delega al Governo per l’aggiornamento della normativa urbanistico-edilizia e del paesaggio. Nel quadro delle varie iniziative che si vanno concretizzando nella fase successiva al terremoto in Abruzzo, segnaliamo anche il progetto governativo per la compilazione di un Testo Unico normativo recante, nell’ambito del governo del territorio, i principi fondamentali in materia di attività edilizia, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni. A tale scopo dovrebbe essere approvato un disegno di legge per delegare il Governo a emanare appositi decreti tenendo conto di: individuare gli interventi edilizi comunque realizzabili quale espressione del diritto di edificare insito nella proprietà; diversificare gli interventi ai fini di differenziare il regime delle autorizzazioni, dei procedimenti, dei contributi da pagare e delle sanzioni relative; a proposito di sanzioni, esse andrebbero diversificate in funzione degli illeciti commessi incrementando quelle di carattere amministrativo per gli abusi più lievi e concentrando quelle penali sugli illeciti in violazioni di vincoli e per la false dichiarazioni; semplificazione delle procedure edilizie mediante la sostituzione di titoli abilitativi preventivi con certificazioni di conformità asseverate da liberi professionisti e comunque con la riduzione dei pareri e degli atti di assenso anche valorizzando le conferenze di servizi; individuazione della normativa tecnica per l’edilizia ai fini della tutela dell’incolumità e della sicurezza pubblica; doverosità dell’esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori. Il disegno di legge predisposto dal Governo prevede anche una delega in materia di paesaggio per modificare tramite nuovi decreti il D.Lgs. 42/2004. (Consulente Immobiliare, Il Sole 24 Ore, n. 837/2009, p. 789)

Vincoli. La Campania semplifica la Relazione per i piccoli interventi. La Regione Campania e la direzione Regionale del Ministero per i Beni Culturali hanno sottoscritto l’accordo di semplificazione della Relazione Paesaggistica necessaria per gli interventi edilizi in aree vincolate. L’intento dell’intesa è di snellire il carico burocratico per il rilascio di autorizzazione agli interventi di lieve entità, senza però pregiudicare il corretto inserimento dell’opera nel contesto paesaggistico. Nello specifico, sono sei le categorie che possono trarre beneficio dalla semplificazione: le modifiche estetiche apportate su edifici e manufatti esistenti da non oltre 50 anni; l’impianto di elementi tecnologici come caldaie, climatizzatori, parabole, antenne, pannelli solari, linee elettriche di bassa tensione; gli arredi urbani e le installazioni pubblicitarie, ad esclusione però delle piazze; le opere di difesa idraulica, di canalizzazione e di manutenzione straordinaria dei corsi d’acqua; gli interventi agro-silvo-pastorali marginali ed infine le opere a carattere transitorio destinate a durare per non più di 30 giorni. (Brunella Giugliano, Il Sole 24Ore, Tabloid Edilizia e Territorio, n. 18 dell’11 – 16 maggio 2009, pag. 6 – sintesi redazionale)

Paesaggio, la tutela può vietare l'eolico. La Sezione III del Tar Puglia - Bari, con la sentenza n. 983/2009, ha stabilito che è legittima la delibera del consiglio comunale che consente la localizzazione di un impianto eolico in un'area agricola, vietandone al contempo l'installazione in un'area coltivata ad ulivi. In questo modo la sentenza del Tar pugliese avalla il comportamento di un Comune che aveva vietato un impianto eolico in un area coltivata ad ulivi, dal momento che questi alberi "costituiscono elementi caratterizzanti la storia, la cultura, il paesaggio rurale e la tradizione agroalimentare" della Puglia. La norma che giustifica tale scelta è l'articolo 12 del Dlgs 387/2009 sulle fonti rinnovabili, il quale articolo precisa che la collocazione degli impianti eolici "deve tener conto delle disposizioni in sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla... tutela del patrimonio culturale e del paesaggio rurale...". Disposto, questo, richiamato anche dalla legge regionale della Puglia n. 1 del 2008.Il consiglio del Comune, quindi, con la propria delibera aveva contemperato le esigenze di risparmio energetico e di uso di fonti rinnovabili con quelle di tutela del paesaggio, dell'equilibrio ambientale, dell'indotto economico, preservando le aree coltivate ad ulivo in quanto protette dalla legge 144/1951 e dalla legge regionale 14/2007. La sentenza della Sezione III del Tar Puglia è esatta ed ha applicato alla lettera la summenzionata legge regionale 14/2007, che all'articolo 27, comma 2, fa esplicitamente salvo il potere discrezionale dell'amministrazione locale di stabilire dei divieti alla collocazione degli impianti eolici. (Vittorio Italia, Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi/Autonomie locali e PA, 18 maggio 2009, p. 19)

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La Toscana ha varato la Legge Regionale sul rilancio dell’Edilizia. Vincoli rigidi per i bonus. Con la Legge Regionale approvata lo scorso 5 maggio, la Toscana ha varato il proprio Piano Casa, essenzialmente orientato verso il tema dell’efficienza energetica e della semplificazione burocratica, ma con vincoli rigidi in materia di interventi straordinari ammissibili. In sostanza, la Regione permette ampliamenti di cubature del 20% della Superficie utile lorda esistente al 31 marzo 2009, ma solo per le abitazioni (esclusi dunque uffici, negozi e capannoni industriali) mono o bi-familiari, con una Sul non superiore a 350mq, e a patto che non si trovino in centro storico, non abbiano un valore storico indipendentemente dalla loro collocazione urbana, non siano soggette a vincoli architettonici, e comunque entro il tetto massimo di 70mq di espansione permessa. Il bene dev’essere accatastato e non deve inoltre essere stato condonato, poiché in tal caso la parte condonata si detrae dalla superficie espandibile. Non ultimo, il vincolo che impone l’impianto di finestre dotate di vetri a intercapedine di aria o gas, e l’impiego di tecniche costruttive che garantiscano un risparmio energetico del 20% rispetto ai limiti fissati dal DLgs 192/2005, pena la non concessione dell’abitabilità o dell’agibilità. Al ricorrere di tali condizioni, l’ampliamento è permesso, con Dia, entro il 31 dicembre 2010. Sempre con il Dia si potrà anche demolire e ricostruire, con bonus del 35% della superficie utile lorda, fermo restando il divieto a procedere su edifici situati nei centro storici, soggetti a vincoli, o non accatastati. (Silvia Pieraccini, Il Sole 24Ore, Tabloid Edilizia e Territorio, 11 – 16 maggio 2009, n. 18, p. 5 – sintesi redazionale)

Energia

Alla Puglia la leadership solare. Con 56,5 MW di energia elettrica ricavati dal fotovoltaico, la Puglia stacca la Lombardia e si insedia in testa alla graduatoria nazionale degli impianti per la produzione da fonti Rinnovabili. Complice il clima,e in particolare l’esposizione solare del territorio, la Puglia, che è quinta per numero di centrali installate dopo Lombardia, Emilia, Veneto e Piemonte, è però di fatto il primo produttore italiano di energia fotovoltaica per quantità di watt. Un primato che trova conferma nelle strategie in atto: cinque nuove centrali fotovoltaiche da 1 megawatt l’una sono infatti in costruzione in provincia di Brindisi e saranno pronte ad entrare in servizio per fine estate. A costruirle è l’impresa reggiana Greenvision Ambiente. (Jacopo Giliberto, Il Sole 24Ore, del 6 maggio 2009, pag. 26 – sintesi redazionale)

Energia/L’eolico penalizzato dalle dispersioni. Il 12% della produzione elettrica italiana derivata dall’eolico va disperso. Lo denuncia l’Anev (Associazione nazionale dei produttori dall’eolico): circa 700mila megawattora l’anno, perduti nelle maglie della rete elettrica nazionale che non tiene il passo con le nuove tecnologie. Il rapporto in materia è prossimo ad essere recapitato sia al Ministero dell0 Sviluppo Economico che all’Autorità per l’Energia, sebbene Terna (società pubblica che possiede, gestisce e ha il compito di sviluppare la rete di trasmissione nazionale) se ne stia già occupando. Rilevante la perdita economica, che nonostante le compensazioni fissate dall’Authority supera il limite di 56mlni € riconosciuti nel 2008 in termini di rimborso. In numeri, oltre mille300 megawatt dell’attuale capacità del parco italiano di turbine a vento – denuncia l’Anev – vengono travasati a singhiozzo nel sistema elettrico nazionale, con un calo medio dei flussi potenziali che soprattutto lungo la dorsale appenninica raggiunge anche il 30%, con periodi in cui il fermo per indisponibilità della rete è addirittura totale. (Federico Rendina, Il Sole 24Ore, Economia e Imprese, 10 maggio 2009, pag. 21 – sintesi redazionale)

Umbria/Fondi per il risparmio energetico. Un fondo di 6mlni € a favore delle imprese che investono nel risparmio e nell’efficienza energetica. E’ la dota finanziaria stabilita per il settore dalla Regione Umbria, a valere sui fondi comunitari del Por, dietro apposito bando già pubblicato nel BUR. Fra le novità, un ulteriore finanziamento di interventi che consente alle imprese, tramite la diagnosi energetica introdotta per la prima volta, di verificare le specifiche criticità nel settore. (Il Sole 24 Ore,Tabloid Edilizia e Territorio, 11–16 maggio 2009, n. 18, p. 9 – sintesi redazionale)

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Il conto energia riparte da 0,28 euro. La tariffa è per tutte le biomasse. Certificati verdi moltiplicati per 1,8 alle centrali oltre 1 MW. Gli incentivi per l’agroenergia hanno forse trovato una via più breve, con l’approvazione al Senato di un emendamento al Ddl «Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», approvato dal Senato e da sottoporre «blindato» all’approvazione della Camera. Accanto al piano per il «nuovo nucleare italiano» è stata infatti approvata la tariffa omnicomprensiva di 28 centesimi/kWh per i piccoli impianti agroenergetici – entrati in esercizio dopo il 31/12/2007 – di potenza inferiore a 1 MW e alimentati da biogas e biomasse e da oli vegetali puri tracciabili attraverso il fascicolo Pac. In pratica, il conto energia di 28 centesimi vale per tutte le tipologie di biomassa, senza distinzione per la filiera agricola. E va infatti definitivamente in pensione la tariffa di 30 centesimi riservata alle biomasse agricole dalla Finanziaria 2008. Per gli impianti superiori a 1 MW, è previsto un fattore di moltiplicazione pari a 1,8 per il calcolo dei certificati verdi, nel caso in cui l’impianto sia alimentato da biomasse agricole. Per questo incentivo «mirato» sono in corso di definizione (in un decreto Mipaaf-Sviluppo economico attuativo della Finanziaria) i criteri per la tracciabilità delle biomasse da sottoporre a Bruxelles. Criteri che dovrebbero restringere il campo alle biomasse di origine comunitaria. Per gli impianti di potenza superiore a 1 MWalimentati da altri tipi di biomasse o da rifiuti biodegradabili, il fattore di moltiplicazione è stato elevato da 1,1 a 1,3. Sancita anche la cumulabilità per gli impianti gestiti da aziende agricole della tariffa omnicomprensiva con altri incentivi pubblici non eccedenti il 40% del costo dell’investimento. Il provvedimento approvato dal Senato era atteso da tempo e arriva in un momento in cui il mercato dei certificati verdi batte la fiacca, a causa di un’offerta abbondante. Il Gse, che deve ritirare per legge i titoli, sta pagando 80 euro per certificato. Per la Cia si tratta di «un’occasione persa per l’agricoltura». Così il presidente Giuseppe Politi commenta il nuovo incentivo. «Il provvedimento - afferma Politi - era nato esclusivamente per gli agricoltori. Ora, invece, è stato allargato a dismisura, coinvolgendo altri settori, come i rifiuti urbani e addirittura biomasse di provenienza extracomunitaria». Di segno opposto le valutazioni di Confagricoltura-Agrienergia: «L’incentivo – spiega il presidente, Andrea Pannocchieschi D’Elci – attiverà investimenti per 100 milioni circa, per una potenza installata di circa 25 MW. Ora abbiamo una finestra di due anni prima che scatti nel 2010 la revisione al ribasso delle tariffe dei certificati verdi, un tempo da sfruttare anche per incentivare la ricerca». (Rosanna Magnano, Agrisole, Il Sole 24 Ore, 22-28 maggio 2009, n. 20, p. 9)

Lavoro

INAIL. Da luglio rendite più pesanti del 3,23%. Con la Delibera 79/09 del Commissario straordinario, l’INAIL avvia la rivalutazione delle prestazioni economiche per infortunio sul lavoro e malattia professionale con nuovi valori, a decorrere dall’1 luglio. Le rendite sono state riviste in base alle variazioni effettive degli indici ISTAT per il 2007 e il 2008. Gli adeguamenti scatteranno per il settore industriale (retribuzione giornaliera di riferimento che passa a 68,33 €), per il settore agricolo (la retribuzione annua convenzionale passa a 21mila655,81 €) e per il settore medico di radiologia, la cui retribuzione annua convenzionale rivalutata diventa di 54.757,58 €. Aggiornata anche l’una tantum in caso di morte che sarà pari a 1.893,04 €. (Giuseppe Maccarone, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 7 maggio 2009, pag. 35 – sintesi redazionale)

Ministero del lavoro: Risposta ad interpello 23.3.2009, n. 3956 Quesito in materia di visite mediche per l’assunzione di minori in Emilia Romagna Con riferimento al quesito in oggetto, afferente l’obbligo di visite mediche per l’assunzione di minori di cui all’art. 8 della legge n. 977/1967, modificata dal Dlgs n. 262/2000, si rappresenta quanto segue. L’art. 3 del regolamento della Regione Emilia Romagna. adottato in attuazione della legge regionale n. 4/2008, dispone, tra l’altro, l’abolizione dell’obbligo di presentazione delle certificazioni di idoneità al lavoro e dei relativi accertamenti di cui all’art. 8 della legge n. 977/1967 citata. In relazione alla citata normativa di rango regionale, si chiede di sapere se le visite mediche per l’assunzione dei minori possano essere effettuate, in alternativa ai medici dell’Asl, dal medico di

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base del minore o da quello competente nominato dal datore di lavoro a norma del Dlgs n. 81/2008. Al riguardo è da osservare che questo Ministero, già con la lettera circolare dell’11.4.2006 - emanata sulla scorta del parere conforme n. 3208 del Consiglio di Stato - ha evidenziato la persistenza dell’obbligo della visita medica di idoneità fisica dei minori in ambito nazionale e il rilascio della relativa certificazione. Successivamente, con la risposta all’interpello n. 1866 del 19.7.2006, è stato chiarito che la visita medica del minore è demandata ad un medico che risulti giuridicamente incardinato nell’ambito dell’organizzazione sanitaria pubblica e per tale deve intendersi sia il professionista che sia in rapporto di dipendenza con il Servizio sanitario nazionale - qual è il medico della struttura ospedaliera pubblica ovvero dell’Azienda sanitaria locale - sia il professionista che operi in convenzione con il Servizio sanitario, qual è ad esempio il medico di medicina generale. In conclusione, pertanto, è da ritenersi che i medici di base, in quanto convenzionati con il Servizio sanitario nazionale e quindi appartenenti all’organizzazione sanitaria pubblica, possano effettuare la visita di cui all’art. 8 della L. n. 977/1967, in sostituzione delle Asl che non effettuino più questo tipo di servizio. È da aggiungere che, nel caso in cui il minore sia adibito ad un’attività per la quale è prevista la sorveglianza sanitaria, le suddette visite possono essere effettuate dal medico competente nominato dal datore di lavoro a norma del Dlgs n. 81/2008. (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21, p. 29)

Lavoro a termine: prosecuzione senza proroga e regime sanzionatorio. Il Ministero del lavoro in ordine alle cd. «code» di lavoro nel contratto a termine precisa che in caso di prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine inizialmente pattuito o successivamente prorogato, il regime sanzionatorio applicabile è quello previsto dall’art. 5, commi 1 e 2, del Dlgs n. 368/2001, in base al quale è possibile individuare una sorta di risarcimento al lavoratore, consistente nelle maggiorazioni retributive, ed una vera e propria sanzione, consistente nella trasformazione del contratto a tempo indeterminato, se si va oltre i tetti giornalieri fissati (20/30 gg.), escludendo così l’applicabilità della maxisanzione per lavoro sommerso. (Ministero del lavoro, risposta ad interpello 7 maggio 2009, prot. 25/I/0006689) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21)

Obblighi del lavoratore. Regolamento aziendale. La Corte di Appello di Genova sostiene che, in presenza di una normativa statuale che regolamenti i comportamenti dei soggetti cui è diretta (nel caso di specie il codice della strada), ben può l’azienda datrice, con propri ordini di servizio (regolamentari), imporre obblighi ulteriori, richiedendo una attenzione ed una diligenza superiore a quella normalmente richiesta, diligenza superiore cui il lavoratore dipendente (nel caso conducente di autoveicolo), è tenuto ad attenersi in applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 2104 c.c. (Corte di Appello di Genova 20 novembre 2008, n. 916) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21)

Libro Bianco. Presentato ufficialmente dal Ministro del lavoro. Si compone di sei capitoli il Libro Bianco presentato il 6 maggio 2009 a Palazzo Chigi dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi. I temi trattati spaziano dallo scenario attuale e dalle grandi tendenze ai limiti e alle potenzialità del modello sociale italiano; dai valori: persona, famiglia, comunità alla visione: il nuovo modello delle opportunità e delle responsabilità; dai meriti e bisogni delle persone alla sostenibilità del modello sociale. Il Libro Bianco è stato redatto grazie anche ai contributi prodotti dalla consultazione avviata già lo scorso anno con la pubblicazione del Libro Verde sul modello sociale. Con il titolo «La vita buona nella società attiva» il Libro Bianco, che è dedicato in particolare ai giovani e alle donne, valorizza anche il lavoro in tutte le sue forme ed espressioni quale base dell’autonomia sociale delle persone e delle famiglie, non trascurando gli altri aspetti della vita quali la salute, gli affetti e il riposo. (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2009, n. 20)

Emilia Romagna: visite per assunzione di minori e medico di base. La Regione Emilia Romagna ha abolito l’obbligo del rilascio della certificazione d’idoneità al lavoro da parte del medico

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della Asl a favore dei minori apprendisti e non (Regolamento Regionale 23 dicembre 2008, n. 2). Il Ministero del lavoro con nota del 19 luglio 2006, aveva già riaffermato la vigenza dell’obbligo di richiedere, da parte del datore di lavoro, la certificazione sanitaria di idoneità al lavoro nei confronti del minori non soggetti a sorveglianza sanitaria, senza che a tale obbligo possa derogarsi anche da parte di una legge regionale. Il medico abilitato al rilascio deve fare parte del Servizio sanitario nazionale o essere inserito in una delle seguenti funzioni: medico della struttura ospedaliera pubblica; medico Asl; libero professionista che operi in convenzione col Ssn. In generale il regime delle visite obbligatorie per i minori (apprendisti minorenni compresi) è il seguente (Dlgs n. 345/1999): 1) i minori che svolgono attività a rischio, rientranti cioè nella disciplina di cui al Dlgs n. 81/2008 e per le quali è obbligatoria la sorveglianza sanitaria, da parte del medico competente, sono soggetti ad accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica, nonché ad accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; 2) i minori non soggetti alla sorveglianza sanitaria devono essere sottoposti a visita medica per attestare l’idoneità al lavoro da parte di un medico del servizio sanitario nazionale, a cura e spese del datore di lavoro in base ai tariffari Asl di ciascuna Regione (art. 8, legge n. 977/1967). Come detto, gli apprendisti rientrano anche loro nel predetto regime, salvo che per quelli maggiorenni che non svolgono attività a rischio, in quanto nei loro confronti l’obbligo della visita medica generica di idoneità al lavoro è stata abolita dal 25 giugno 2008 (legge n. 133/2008). Novità. Con il parere del 7 maggio 2009 il Ministero del lavoro, prendendo spunto dalla recente legislazione della Regione Emilia, riafferma nella sostanza quanto contenuto nella nota del 19 luglio 2006 e in particolare: - ribadisce la persistente vigenza dell’obbligo della certificazione sanitaria preassuntiva per il minore che non svolge attività soggette a sorveglianza sanitaria presso un medico incardinato nel Ssn a cura e spese del datore di lavoro, obbligo che riguarda l’intero ambito nazionale; - precisa che il medico di base in quanto convenzionato con il Ssn può effettuare tali visite preventive di idoneità al lavoro del minore.

Professioni

L’Antitrust censura la Regione Umbria. Vittoria piena del Collegio nazionale degli agro-tecnici e degli agro-tecnici laureati nella vertenza instaurata difronte all’Antitrust contro la Regione Umbria. Con la Delibera 550/2008, accompagnata dalla Determina dirigenziale 4439 del 27 maggio 2008, la Regione aveva individuato i criteri per la fornitura dei Servizi di Consulenza aziendale, nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale, al fine di beneficiare dei 334,4 mlni € stabiliti per l’Umbria dal Fondo Europeo Agricolo per il quinquennio 2007-2013. Il fondo europeo prevede che i consulenti siano accreditati presso le Regioni in base a criteri che l’Umbria aveva individuato tramite i provvedimenti indicati. Criteri ritenuti però anticoncorrenziali dal Collegio nazionale degli agro-tecnici: di qui l’esposto all’Antitrust che ha dato ragione ai ricorrenti a tutto campo, individuando – con la segnalazione S/914 – come “sproporzionati, eccessivi e discriminatori” i requisiti di esperienza professionale previsti dalla Delibera della Regione. Unico criterio approvato risulta l’obbligo di certificazione Iso 90001:2000. (Fe.Mi. Il Sole 24Ore, Norme e Tributi/Professionisti, 5 maggio 2009, pag. 39 – sintesi redazionale)

Professionisti/INPS. L’ingegnere o l’architetto che esercita in via non esclusiva la libera professione affiancandola ad una attività di lavoro dipendente è tenuto a versare alla gestione separata dell’INPS il contributo previdenziale obbligatorio, con la possibilità di addebitare al committente il 4% del fatturato lordo a titolo di rivalsa. Con la nota 10172 del 6 maggio 2009, l’INPS ha riepilogato i chiarimenti del Ministero del Lavoro del 23 dicembre (vd Il Sole 24Ore del 24 dicembre 2008) relativi agli obblighi contributivi di architetti e ingegneri a Inarcassa, specificando che questi decorrono non dalla data della domanda di iscrizione, bensì dalla data di effettivo inizio dell’attività professionale con carattere di continuità. In merito si era già espressa la Corte di Cassazione (Sez. Lavoro, 24910/2007). (Arturo Rossi, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 7 maggio 2009, pag. 35 – sintesi redazionale)

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Pubblica Amministrazione

La Corte dei Conti avvia la Check-list per i Bilanci degli Enti Locali. Con la Delibera 6/2009 della Sezione Autonomie la Corte dei Conti ha avviato il quarto anno di controlli collaborativi fra magistratura contabile e revisori. Fra i temi più sensibili del meccanismo di verifica, le procedure di indennizzo ai Comuni per mancato gettito ICI sulle abitazioni principali. Allo scopo, la Corte ha introdotto nei questionari la sezione n. 7 (la cui consegna da parte dei Comuni al Ministero dell’Interno era prevista per lo scorso 30 aprile) che consente il controllo d’andamento triennale del gettito ICI presso ogni Comune per individuare eventuali scostamenti sospetti dal dato storico tendenziale nelle richieste inoltrate dagli Enti al Viminale. Sempre in tema di tributi, la Corte richiede fra l’altro ai Comuni di evidenziare nei questionari le modifiche delle aliquote ed eventuali variazioni nelle fasce di reddito esenti dall’addizionale Irpef. Quanto agli immobili, l’art. 58 della Manovra d’Estate (Dl 112/2008) impone agli Enti il varo di un Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare comunale, al fine di inquadrare i valori del triennio prossimo, chiedendo per ognuno degli anni interessati le entrate complessive previste dalle dismissioni e la loro destinazione, suddivisa fra investimenti, riduzione del debito, finanziamento del disavanzo e copertura di debiti fuori bilancio. (Gianni trovati, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 13 maggio 2009, pag. 36 – sintesi redazionale)

Tecnici pubblici. Il taglio all’incentivo del 2% non può essere retroattivo. Il taglio all'incentivo del 2% introdotto per i tecnici pubblici non può essere retroattivo: va applicato quindi soltanto ai progetti affidati a partire dal 2009. Lo ha chiarito la Corte dei Conti con la Delibera della Sezione Autonomie n. 7 dell'8 maggio scorso. Per la magistratura contabile, dunque, non rileva il momento in cui l’incentivo viene liquidato, poiché il diritto matura con lo svolgimento dell’attività di progettazione cui si lega il bonus. Il taglio previsto dalla Manovra d'Estate (il Dl 112/08) è del 75%. (Valeria Uva, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 12 maggio 2009, pag. 37 – sintesi redazionale)

Enti Locali. Nei preventivi 2009, possibile l’aggiornamento di Bilancio. I Comuni che hanno approvato il Bilancio preventivo con le vecchie norme – cioè precedenti alla conversione in Legge del DL Incentivi, vd Legge 33/2009 – non sono tenuti ad approvare i conti una seconda volta in riferimento al nuovo quadro. Gli Enti Locali con i previsionali già varati (prima del 10 marzo 2009, quando era ancora in vigore l’esclusione dalla base di calcolo e dal saldo obiettivo dei proventi da alienazione reinvestiti) possono procedere ad un aggiornamento di Bilancio, tenuto conto delle modifiche intervenute nell’ambito del Patto di Stabilità del 2009. L’orientamento in tal senso emerge dalle note diffuse in questi giorni dal Ministero dell’Economia, soprattutto in rapporto ai problemi posti dall’abrogazione dell’art. 77 bis, comma 8, della Manovra d’Estate. I Comuni che non hanno però approvato il Bilancio preventivo prima del 10 marzo sono invece vincolati al quadro nuovo. (Gianmarco Conti, Gianni Trovati, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, dell’11 maggio 2009, pag. 19 – sintesi redazionale)

Corte dei Conti. Le nuove Linee Guida per i bilanci di previsione 2009. Emanate le nuove Linee Guida della Corte dei Conti, destinate agli Enti Locali, di cui dovranno tenere conto i collegi revisori nell’invio delle relazioni ai bilanci preventivi del 2009 alle sezioni locali della magistratura contabile per il controllo collaborativo avviato dalla Finanziaria del 2006. Introdotti nei questionari il tema dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa, della variazione delle aliquote dei tributi (incluso il divieto di aumento delle imposte locali) e del piano di alienazioni e valorizzazioni immobiliari. Non mancano inoltre aggiunte su capitoli classici dei formulari, come la cartolarizzazione e il leasing immobiliare. Intanto, in attesa che sia emanato il Decreto del PCM in attuazione dell’art. 76, comma6, del DL 112/2008, la Corte dei Conti invita gli Enti Locali a prestare massima attenzione alle linee guida, principale vincolo alla finanza pubblica dopo il Patto di Stabilità. (Emilia Seri, Nicola Tommasi, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 4 maggio 2009, pag. 14 – sintesi redazionale)

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Corte dei Conti. Fissate le scadenze per la certificazione ICI dei Comuni. Con la Delibera 5/AUT/2009, la Sezione per le Autonomie della Corte dei Conti ha stilato il calendario di controllo sui bilanci locali che quest’anno si arricchisce delle verifiche sulle certificazioni del mancato gettito ICI sull’abitazione principale. Prima toccherà alle Province e ai Comuni soggetti al Patto di Stabilità, poi ai piccoli enti ed infine alle Comunità Montane. Diverse quindi sono le scadenze applicate: fra il 2 e il 31 luglio si apre la finestra entro cui devono provvedere all’invio telematico dei dati alla Corte le Province e i Comuni oltre i 5mila abitanti; fra il 2 luglio e il 28 settembre, i termini fissati per i piccoli enti (Comuni con meno di 5mila abitanti), ed infine dal 2 settembre al 20 ottobre sarà la volta delle Comunità Montane. (Gianni Trovati, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 7 maggio 2009, pag. 33 – sintesi redazionale)

Rimborsi ICI. Sei milioni per i Comuni virtuosi. Entra nel vivo il meccanismo dei rimborsi ai Comuni per compensare l’abolizione dell’ICI sull’abitazione principale. Entro la fine di maggio parte infatti la distribuzione delle quote di rimborsi che premia gli Enti virtuosi, quelli, fra i Comuni più piccoli, con la riscossione più efficiente e maggior aderenza ai vincoli del Patto di Stabilità, e a fine giugno scattano invece gli acconti per il 2009, erogati in base alle certificazioni inviate entro il 30 aprile scorso, che fotografano al situazione reale del 2008. Per ora, il Governo concede solo 6 mlni €. (Gianni Trovati, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 12 maggio 2009, pag. 33 – sintesi redazionale)

Spesa Pubblica. Oltre 2mldi € di risparmio per lo Stato dalle procedure Consip di razionalizzazione degli acquisti. Se tutte le stampanti in uso presso gli uffici della PA (sono circa 200mila) avessero funzionalità fronte/retro e questa fosse effettivamente utilizzata, il risparmio in un anno in termini di spesa corrente ammonterebbe a 60mlni €, equivalenti a circa 66mila t di carta non consumata e ad altrettanta quantità di CO2 non immessa nell’atmosfera. La stima è riportata dal Rapporto 2008 di Consip Spa, la società del Ministero dell’Economia che svolge il ruolo di centrale acquisti per tutte le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, inclusa la stessa Corte dei Conti. In base ai dati emersi dall’analisi, il risparmio diretto per le amministrazioni che nel 2008 si sono rivolte a Consip per i loro acquisti è cresciuto del 53%. Sempre secondo Consip, ogni euro investito nel programma di razionalizzazione delle spese ne ha prodotti 27 di risparmio per le pubbliche amministrazioni che sono ricorse a Convenzioni e mercato elettronico. Se tutte le articolazioni dello Stato aderissero a tali procedure, lo Stato potrebbe realizzare su base annua un risparmio per spesa corrente pari a non meno di 2,6mldi €. (Davide Colombo, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, 13 maggio 2009, pag. 36 – sintesi redazionale)

Rifiuti

In Umbria cave dimesse per smaltire gli inerti. Una settantina di cave dismesse, censite sul territorio regionale, potranno essere recuperate e utilizzate in Umbria come siti per la raccolta e lo stoccaggio delle terre e rocce di risulta dalle lavorazioni edili. Se i proprietari non daranno corso in maniera autonoma alla riconversione, i Comuni potranno presentare un proprio progetto di ripristino e addirittura arrivare all’esproprio dei terreni per pubblica utilità. La novità è introdotta da una norma approvata, a inizio maggio, dal Consiglio regionale umbro all’interno della più ampia e corposa legge sui rifiuti e del relativo piano. «Il provvedimento – spiega l’ingegner Maurizio Grandolini, responsabile del Servizio rifiuti – nasce dalla volontà di tendere la mano alle imprese che da tempo hanno sollevato il problema dei siti di stoccaggio. Il tentativo messo in atto dalla Regione è quello di agevolare innanzitutto l’individuazione delle aree, ampliando il mercato nel settore che oggi sconta la mancanza di concorrenza, e soprattutto quello di fornire ai Comuni strumenti di azione concreti. Le settanta cave individuate saranno, inoltre, oggetto di progetti di recupero ambientale». I proprietari delle aree di cava dismesse avranno 120 giorni dall’entrata in vigore della legge per presentare in Comune un progetto di recupero ambientale che preveda il riutilizzo di terre e rocce da scavo. Trascorso questo termine con un nulla di fatto, l’amministrazione potrà predisporre un proprio progetto di recupero e acquisire le aree. Se non si

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arriverà all’accordo con la proprietà, i terreni potranno anche essere espropriati e il recupero potrà essere affidato in concessione. La stessa norma dispone, inoltre, che i progetti non debbano essere sottoposti a Via se non ricadono in aree protette Natura 2000. Sempre all’interno della legge rifiuti è stato inoltre inserito un comma dedicato alla semplificazione amministrativa per i materiali provenienti da cantieri di piccole dimensioni. Come già hanno fatto altre Regioni, l’Umbria ha dato mandato alla sua Giunta di individuare entro 60 giorni propri criteri per lo snellimento delle procedure in attesa dell’emanazione, a livello nazionale, del decreto previsto dall’articolo 266 del codice ambiente. (Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 18-23 maggio 2009, n. 19, p. 2)

Sicurezza

Sicurezza. Il ministero ha congelato l'obbligo di comunicare all'Inail le invalidità di almeno un giorno. Prende corpo l'ipotesi di far slittare la valutazione dello stress. Il ministero sospende in extremis l'obbligo di comunicare all'Inail gli infortuni di almeno un giorno. Sono in forse anche gli altri obblighi: la valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato, l'indicazione della "data certa" sul documento della sicurezza, il divieto di visita preassuntiva. Tali obblighi, infatti, sono oggetto di modifiche nell'ambito del decreto correttivo attualmente all'esame del Parlamento. Oggi, inoltre, l'Inail dovrebbe comunicare la proroga del termine ultimo per comunicare il nominativo del responsabile dei lavori per la sicurezza. Proroga resasi necessaria dopo che è stata segnalata dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro la difficoltà nell'accesso al sistema informatico (la cui approvazione definitiva, dal 16 maggio, è slittata al 16 agosto). Senza interventi dell'ultimo momento che rinviino l'attuazione di tale sistema informatico, perciò, potrebbero risultare operanti per alcune settimane norme destinate ad essere mutate (come per esempio quella sulla data certa), oppure ad avere contenuti più definiti (come l'onere di valutare lo stress da lavoro), oppure ancora ad essere abolite del tutto (come il divieto di visite preassuntive). Per questo motivo il Consiglio dei ministri di oggi valuterà l'eventualità di agganciare a un decreto legge di rapida approvazione una disposizione che blocchi l'entrata in vigore di questi tre nuovi obblighi, il tutto in attesa che si concluda del tutto l'iter parlamentare del decreto correttivo del Dlgs 81/2008. Questo decreto legislativo prevede all'articolo 18, comma 1, lettera r) un provvedimento che sarebbe dovuto entrare in vigore domani e che sancisce l'obbligo del datore di lavoro di comunicare all'Inail o all'Ipsema (per i marittimi) anche gli infortuni che causano un'inabilità di almeno un giorno, escluso quello dell'evento. Già con la circolare del 29 maggio 2008 il ministero del Lavoro aveva sospeso tale obbligo in attesa che fosse operativo il Sistema informativo nazionale nei luoghi di lavoro (Sinp), previsto dall'articolo 8. Ora con la circolare 17/2009, diffusa ieri, blocca l'obbligo di comunicazione. Si tratta - afferma il ministero - di un adempimento "a fini statistici ed informativi", destinato ad operare unicamente quando saranno definite le regole di funzionamento del sistema da utilizzare. E ciò non sarà prima dell'approvazione del decreto interministeriale - in fase di elaborazione - di costituzione del Sinp. Questa disposizione è poi collegata con l'eliminazione del registro infortuni che dovrà avvenire entro sei mesi dal decreto sul Sinp. Comunque, finché tale registro è in auge, permane l'obbligo per il datore di lavoro di annotarvi, oltre agli infortuni che causano una inabilità di più giorni, anche quelli di un giorno solo. Nulla è mutato, invece, rispetto all'obbligo di denuncia degli infortuni, a fini assicurativi (prognosi di durata superiore ai tre giorni), previsto dall'articolo 53 del Dpr 1124/1965, il quale stabilisce che l'infortunio deve essere comunicato entro due giorni da quello in cui il datore di lavoro ne ha avuto notizia. In caso di naviganti, il termine è del giorno del primo approdo qualora l'infortunio si verifichi durante la navigazione (denuncia all'Ipsema). (Marco Bellinazzo, Luigi Chiazza, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, 15 maggio 2009, p. 27 – sintesi redazionale)

Sicurezza sul lavoro: slitta al 16 agosto il decreto correttivo .La mancata comunicazione alle Commissioni parlamentari competenti dello schema di decreto legislativo di modifica al T.U. sulla sicurezza sul lavoro (approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 marzo) ha ampliato i margini temporali per il varo delle modifiche da parte dell’Esecutivo. Infatti la leggedelega (legge

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123/2007) contempla la possibilità di prorogare di 3 mesi il termine inizialmente previsto per il 16 maggio, pertanto ora posticipato al 16 agosto. Tuttavia prosegue il lavoro per giungere a un testo il più possibile condiviso da tutti gli organismi interessati. (Consulente Immobiliare, Il Sole 24 Ore, n. 837/2009, p. 789)

Sicurezza: blocca-gas d’obbligo nelle nuove cucine. Fughe di gas ed esplosioni che minano la stabilità degli edifici, oltre che esporre a rischi fatali l’incolumità delle famiglie, sono una categoria di incidente domestico molto diffusa in Italia, ed in fase di aumento. I casi del 2008 sono risultati infatti 175 contro i 160 del 2007. Fra le cause, la mancanza di termocoppia nei piani di cottura: cioè quel dispositivo che in caso di spegnimento accidentale del fornello sospende automaticamente l’erogazione del gas. Il divieto di installare cucine prive di tale dispositivo in Italia è sancito dalla normativa 7129/08 del CIG (Comitato Italiano Gas), sebbene la regola non sia ancora obbligatoria a livello UE. Secondo il Ceced Italia (Associazione che raggruppa i produttori di elettrodomestici) circa l’80% dei piani di cottura e delle cucine nelle case italiane è sprovvisto di termocoppia e la quasi totalità dei crolli di edifici è dovuta al gas, fra malfunzionamento di tubazioni, apparecchi difettosi e canne fumarie. All’indirizzo di posta elettronica [email protected] è possibile fare riferimento per la segnalazione di disservizi di varia natura. (Paola Guidi, Il Sole 24Ore, Sportello Reclami, 18 maggio 2009, pag. 30 – sintesi redazionale)

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Legge e prassi

(G.U. 20 maggio 2009, n. 115)

Acque AUTORITÀ DI BACINO DEI FIUMI ISONZO, TAGLIAMENTO, LIVENZA, PIAVE, BRENTA-BACCHIGLIONE E DELL'ADIGE: COMUNICATO 28 aprile 2009 Primo Forum di informazione pubblica relativo al progetto di piano di gestione delle acque dei bacini delle Alpi orientali. (09A04727) (GU n. 97 del 28-4-2009)

Si rende noto che il giorno 29 aprile 2009 a Legnaro (Padova), presso la Corte benedettina, si svolgerà il Primo Forum di informazione pubblica relativo al progetto di piano di gestione delle acque dei bacini delle Alpi orientali, di cui alla direttiva comunitaria 2000/60/CE. Dettagli, documentazione e informazioni sulle procedure sono consultabili sul sito www.alpiorientali.it MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 31 marzo 2009 Impiegabilita' in mare di prodotti composti da materiali inerti di origine naturale o sintetica, ad azione assorbente, per la bonifica dalla contaminazione da idrocarburi petroliferi. (09A05665) (GU n. 114 del 19-5-2009 )

Agricoltura, Allevamento, alimenti e bevande MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI: ORDINANZA 4 maggio 2009 Misure profilattiche contro l'influenza da nuovo virus influenzale A(H1N1) per passeggeri provenienti dal Messico. (09A05123) (GU n. 102 del 5-5-2009) MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 23 aprile 2009 Modificazioni all'allegato I, parte B del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 45 «Attuazione delle direttive 93/74/CEE, 94/39/CE, 95/9/CE e 95/10/CE in materia di alimenti dietetici per animali». (GU n. 107 del 11-5-2009) MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 23 aprile 2009 Modificazioni all'allegato I, del decreto legislativo 10 maggio 2004, n. 149, recante: «Attuazione delle direttive 2001/102/CE, 2002/32/CE, 2003/57/CE e 2003/100/CE, relative alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell'alimentazione degli animali». (09A05516) (GU n. 114 del 19-5-2009) CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO: PROVVEDIMENTO 8 aprile 2009 Accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sullo schema di accordo recante: «Adozione del Piano di controllo sull'immissione in commercio e l'utilizzazione dei prodotti fitosanitari per il quinquennio 2009-2013». (Rep. atti n. 67/CSR). (GU n. 103 del 6-5-2009 )

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MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI: DECRETO 22 gennaio 2009 Modifica e integrazione del decreto 20 marzo 2008 recante disposizioni in materia di violazioni riscontrate nell'ambito del regolamento (CE) n. 1782/03 del Consiglio del 29 settembre 2003 sulla PAC e del regolamento (CE) 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). (09A04904) (GU n. 101 del 4-5-2009)

Ambiente e territorio MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 31 marzo 2009 Impiegabilità in mare di prodotti composti da materiali inerti di origine naturale o sintetica, ad azione assorbente, per la bonifica dalla contaminazione da idrocarburi petroliferi. (GU n. 114 del 19-5-2009)

Beni culturali LEGGE 16 aprile 2009, n. 45 Ratifica ed esecuzione del II Protocollo relativo alla Convenzione dell'Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, fatto a L'Aja il 26 marzo 1999, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (09G0051) (GU n. 105 del 8-5-2009 )

Economia, Finanze, Agevolazioni e Fisco MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 12 maggio 2009 Approvazione del modello di dichiarazione agli effetti dell'Imposta comunale sugli immobili (ICI) per l'anno 2008 e seguenti e delle relative istruzioni. (GU n. 113 del 18-5-2009 )

È disponibile il modello per la dichiarazione I.C.I. relativa all'anno 2008: ad istituirlo, con le relative istruzioni, il decreto del Direttore Generale delle Finanze del 12 maggio. La presentazione è ormai obbligatoria solo in pochi casi, grazie al libero accesso dei Comuni ai dati catastali e le scadenze sono le stesse valide per la dichiarazione dei redditi. In particolare, il modello va presentato solo nei seguenti casi: - quando gli immobili godono di riduzione di imposta. Sono ammessi al beneficio i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati. L'inagibilità o inabitabilità deve consistere in un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) non superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. L'inagibilità o l'inabitabilità è accertata dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario. In alternativa, il contribuente può presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del D.P.R. 28/12/2000, n. 445. La riduzione d'imposta è prevista altresì per i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale. - quando sono oggetto di atti per i quali non è stato utilizzato il modello unico informatico adoperato dai notai per registrare, trascrivere, iscrivere, annotare nei registri immobiliari e per le volture catastali di atti relativi a diritti sugli immobili (ad esempio, gli immobili situati nei Comuni dove le funzioni catastali sono delegate alle province autonome di Trento e Bolzano); - quando il Comune non è in possesso delle informazioni necessarie per verificare il corretto adempimento dell'obbligo tributario. Le fattispecie più significative riguardano l'immobile oggetto di locazione finanziaria, l'area divenuta edificabile in seguito alla demolizione del fabbricato, l'immobile oggetto di un atto di concessione amministrativa su aree demaniali, l'immobile assegnato al socio della cooperativa edilizia a proprietà indivisa oppure è variata la destinazione ad abitazione principale dell'alloggio.

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Non si deve comunque presentare la dichiarazione nel caso in cui l'esenzione riguardi l'abitazione principale disposta dall'art. 1 del D. L. 27 maggio 2008, n. 93, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 126. La dichiarazione ICI deve essere presentata al Comune nel cui territorio sono ubicati gli immobili. Se gli immobili sono ubicati in più comuni devono essere compilate tante dichiarazioni per quanti sono i comuni (in ciascuna di esse, naturalmente, verranno indicati i soli immobili situati nel territorio del comune al quale la dichiarazione viene inviata). Per gli immobili in multiproprietà il pagamento dell'ICI deve essere effettuato dall'amministratore del condominio o della comunione. La dichiarazione può essere consegnata a mano o inviata in busta chiusa con la dicitura "Dichiarazione Ici 2008", con raccomandata senza ricevuta di ricevuta di ritorno, all'ufficio Tributi del Comune, che dovrà rilasciare apposita ricevuta. In questo caso, come data di presentazione si considera quella di consegna all'ufficio postale. AGENZIA DELLE ENTRATE, Provvedimento 6 maggio 2009 Approvazione del modello di comunicazione per lavori concernenti interventi di riqualificazione energetica che proseguono oltre il periodo d.imposta nonché delle modalità di comunicazione all.Agenzia delle entrate dei dati in possesso dell’ENEA.

Ai sensi dell’art. 29, co. 6, D.L. 29.11.2008, n. 185, conv. con modif. con L. 28.1.2009, n. 2 (cd. decreto «anti-crisi»), l’Agenzia delle Entrate ha approvato il modello di comunicazione per i lavori concernenti interventi di riqualificazione energetica previsti dall’art. 1, co. 344-347, L. 27.12.2006, n. 296, che va presentato esclusivamente per le spese sostenute a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31.12.2008 e con riferimento ai soli interventi che proseguono oltre il periodo d’imposta per comunicare le spese sostenute nei periodi d’imposta precedenti a quello in cui i lavori sono terminati (per i lavori che proseguono in più periodi d’imposta deve essere presentato un modello per ciascun periodo d’imposta). Pertanto, il modello non deve essere presentato qualora i lavori siano iniziati e conclusi nel medesimo periodo d’imposta. Il modello va presentato all’Agenzia delle Entrate, entro 90 giorni dal termine del periodo d’imposta nel quale i lavori hanno avuto inizio, esclusivamente con modalità telematica direttamente dai soggetti interessati o tramite gli intermediari abilitati ex art. 3, co. 2-bis e 3, D.P.R. 22.7.1998, n. 322, utilizzando il prodotto informatico disponibile sul sito Internet dell’Agenzia ovvero secondo le specifiche tecniche che verranno approvate con apposito provvedimento. (La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2009, n. 20, p. 6) AGENZIA ENTRATE: RISOLUZIONE 6 maggio 2009, n. 121 Istanza di interpello - Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. - IRAP.- Determinazione della base imponibile ai sensi dell'art. 10-bis del decreto legislativo n. 446 del 1997

Per il calcolo della base imponibile Irap delle Amministrazioni pubbliche (nel caso oggetto di interpello, un’Azienda ospedaliera) ex art. 10-bis, co. 1, D.Lgs. 446/1997 [CFF 3918m], rilevano tutte le somme e i valori, percepiti dal dipendente nel periodo d’imposta e riconducibili al rapporto di lavoro, ad esclusione delle somme e dei valori esclusi per legge dal prelievo contributivo. In particolare, i compensi di collaborazione coordinata e continuativa concorrono alla formazione della base imponibile Irap per l’importo effettivamente erogato al collaboratore e, pertanto, al netto della sola quota di contributi a carico del committente. (La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2009, n. 20, p. 11) AGENZIA ENTRATE: Risoluzione 6 maggio 2009, n. 122 Istanza di interpello - Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. - IVA. - Art. 4 DPR n. 633 del 1972. - Assoggettabilità ad imposta dei canoni corrisposti per la concessione in uso della rete fognaria comunale

Sono rilevanti ai fini Iva i canoni periodici corrisposti per la concessione in uso della rete fognaria comunale, descritta nell’interpello, da parte di un Comune ad una società affidataria del

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servizio idrico integrato, essendo presenti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa Iva. In particolare, l’esame della documentazione che disciplina i rapporti tra i due soggetti (convenzione e atto integrativo) sembra escludere l’esercizio dei poteri autoritativi da parte dell’ente locale (presupposto che comporterebbe la non assoggettabilità ad Iva, ai sensi dell’art. 13, Direttiva Ce n. 112/2006), in quanto l’assetto delle posizioni giuridiche soggettive delle parti, derivante dall’affidamento in uso della rete fognaria è disciplinato su base pattizia secondo le modalità proprie degli enti privati. (La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2009, n. 20, p. 11) LEGGE 5 maggio 2009, n. 42 Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. (GU n. 103 del 6-5-2009)

È stata pubblicata la legge, in vigore dal 20.5.2009, che, in attuazione dell’art. 119, Costituzione, delega il Governo ad adottare, entro 2 anni (vale a dire entro il 21.5.2011), più decreti legislativi in materia di federalismo fiscale, al fine di assicurare l’autonomia finanziaria di Comuni, Province, città metropolitane e Regioni. In particolare, tali decreti devono essere adottati nel rispetto di una serie di principi, tra cui: la semplificazione del sistema tributario, la riduzione degli adempimenti dei contribuenti, la trasparenza del prelievo e l’efficienza nell’amministrazione dei tributi; il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nel contrasto all’evasione e all’elusione; la salvaguardia dell’obiettivo di non alterare la progressività del sistema tributario; la previsione che la legge regionale possa istituire tributi regionali e locali e determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che gli enti locali possono applicare nell’esercizio della propria autonomia relativamente ai tributi locali; la previsione di una flessibilità fiscale ripartita su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita uniformemente sul territorio nazionale. La legge delega prevede, inoltre, l’istituzione della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo, di una Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. (La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2009, n. 20, p. 6) AGENZIA DELLE ENTRATE, Provvedimento 5 maggio 2009 Comunicazione, per via telematica, all’Agenzia delle Entrate, dei dati acquisiti nell’attività di gestione da parte dei soggetti che gestiscono, anche in concessione, il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani. Modifiche al provvedimento del 14 dicembre 2007, pubblicato nella G. U. del 28 dicembre 2007 n. 300.

Il provvedimento, che modifica quello di data 14.12.2007, proroga al 31.10.2009 il termine per l’invio all’Agenzia delle Entrate da parte dei soggetti che gestiscono, anche in concessione, il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani (vale a dire, enti locali o società concessionarie) delle comunicazioni relative agli anni 2007 e 2008 dei dati in loro possesso relativi alle dichiarazioni degli utenti ed aventi rilevanza ai fini delle imposte dirette, acquisiti nell’ambito dell’attività di gestione del servizio sesso. (La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2009, n. 20, p. 6) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 30 aprile 2009 Rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2007 e delle variazioni percentuali, su base semestrale, superiori all'8 per cento, relative all'anno 2008, ai fini della determinazione delle compensazioni dei singoli prezzi dei materiali da costruzione piu' significativi. (09A05266) (GU n. 106 del 9-5-2009) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 7 aprile 2009 Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 ottobre 2008, recante «Interventi necessari per la realizzazione dell'EXPO Milano 2015». (09A05302) (GU n. 107 del 11-5-2009)

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DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 7 aprile 2009 Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 ottobre 2008, recante «Interventi necessari per la realizzazione dell'EXPO Milano 2015». (09A05302) (GU n. 107 del 11-5-2009) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 16 febbraio 2009 Modificazioni ed integrazioni al programma degli interventi per Roma Capitale. Legge 15 dicembre 1990, n. 396. (09A05280) (GU n. 108 del 12-5-2009)

Edilizia e urbanistica ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 15 maggio 2009 Criteri e modalita' di assegnazione di alloggi in affitto a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 6 aprile 2009, ai sensi dell'articolo 2, commi 10 e 11, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39. (Ordinanza n. 3769). (GU n. 117 del 22-5-2009) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 29 aprile 2009 Individuazione degli enti beneficiari dei contributi statali di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, per il finanziamento di interventi per l'edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli istituti scolastici ovvero di impianti e strutture sportive dei medesimi, nonche' delle relative modalita' di erogazione. (09A04994) (GU n. 102 del 5-5-2009) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA: DELIBERAZIONE 18 dicembre 2008 Programma delle infrastrutture strategiche. (Legge n. 443/2001). Accantonamenti a favore del Ministero per i beni e attività culturali e per interventi concernenti la messa in sicurezza degli edifici scolastici a carico stanziamenti decreto-legge n. 185/2008. (Deliberazione n. 114/2008). (GU n. 110 del 14-5-2009)

Lavoro e previdenza INPS: MESSAGGIO 6 maggio 2009, n. 10172 Articolo 9, Dlgs n. 124/2004: contribuzione dovuta da ingegneri ed architetti liberi professionisti all’Inarcassa e alla Gestione separata Inps. Chiarimenti a seguito di parere ministeriale.

Ingegneri e architetti: iscrizione all’Inarcassa e contribuzione alla Gestione separata Inps. L’obbligo contributivo nei confronti di Inarcassa da parte di ingegneri e architetti comincia a decorrere non già dalla data della domanda di iscrizione, ma dalla data di inizio dell’esercizio professionale con carattere di continuità (Min. lavoro, interpello 23 dicembre 2008). Tale parere è contrario alla prassi seguita dall’Inarcassa per la quale il contributo soggettivo dovuto all’ente stesso non è frazionabile e i professionisti che cessino il rapporto di lavoro subordinato devono versare la contribuzione sui redditi dell’intero anno e non già sui redditi prodotti dal momento della ripresa dell’ attività professionale in via esclusiva. Novità. A seguito del predetto interpello, per l’Inps, l’ingegnere o l’architetto che eserciti in via non esclusiva la libera professione affiancandola ad attività di lavoro dipendente deve versare all’Inps il contributo previdenziale obbligatorio, con la possibilità di addebitare al committente il 4% del fatturato lordo a titolo di «rivalsa», e all’Inarcassa il contributo minimo pari al 2% dei corrispettivi soggetti ad Iva. Nel caso invece di attività svolta in forma di collaborazione, gli eventuali contributi versati alla gestione separata Inps, in presenza di contributi già versati all’Inarcassa, devono essere rimborsati direttamente al professionista o al committente (anche per la quota di un terzo trattenuta al collaboratore) a seguito di domanda presentata dagli interessati.

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Il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in data 23 dicembre 2008, ha fornito, all’istanza d’interpello n. 60/2008 presentata dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, una risposta chiara e sostanziale. Nella predetta istanza veniva chiesto, tra le altre cose, se debba essere versato ad Inarcassa il contributo, previsto dall’art. 22 dello Statuto, sui compensi per l’attività di lavoro autonomo anche per i periodi già coperti da contribuzione alla Gestione separata Inps. Tale annosa questione, già causa di contenzioso tra i professionisti in argomento e il loro ente Inarcassa, ha generato numerosi quesiti da parte delle Strutture periferiche dell’Istituto a fronte di richieste di rimborso, a volte irritualmente presentate dalla Cassa stessa. Difatti gli ingegneri ed architetti che intrattengono un rapporto di lavoro subordinato sono esclusi, ai sensi dell’art. 7, comma 5, dello Statuto di Inarcassa, dall’iscrizione alla Cassa stessa, con la conseguenza che quando effettuano prestazioni professionali sono tenuti, alla stregua dei «professionisti senza cassa», a versare sui redditi che ne derivano la contribuzione alla Gestione separata. L’Inarcassa, sostenendo che il contributo soggettivo, di cui al citato articolo 22 dello Statuto non è frazionabile, richiede ai professionisti che cessano il rapporto di lavoro subordinato la contribuzione sui redditi dell’intero anno e non già sui redditi prodotti dal momento della ripresa dell’attività professionale in via esclusiva. Così facendo, però, i professionisti dovrebbero versare all’Inarcassa i contributi sui medesimi redditi per i quali hanno già correttamente versato alla Gestione separata. Sull’argomento il Ministero, richiamando una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. lav., n. 24910/2007), ha chiarito che l’obbligo contributivo ad Inarcassa comincia a decorrere «non già dalla data della domanda di iscrizione, ma dalla data di inizio dell’esercizio professionale con carattere di continuità. La continuità dell’esercizio di fatto della professione diviene, quindi, l’elemento imprescindibile e fondante per l’insorgenza dell’obbligo di iscrizione e contribuzione. In conclusione, tenuto conto della normativa citata, si può aderire ad un’interpretazione volta a riconoscere la frazionabilità dell’imponibile contributivo soggettivo dovuto ad Inarcassa, collegandone la commisurazione ai mesi di esercizio dell’attività professionale in via continuativa. Tale soluzione, in analogia a quanto già contemplato dallo Statuto in relazione alla frazionabilità del contributo minimo, permette di rapportare la contribuzione richiesta all’effettiva obbligatorietà dell’iscrizione, sanando eventuali incongruità relative a periodi di doppia imposizione contributiva su un’unica fonte di reddito ». Con il predetto chiarimento il Ministero ha definitivamente ribadito che l’ingegnere o l’architetto che esercita in via non esclusiva la libera professione affiancandola ad attività di lavoro dipendente, deve versare all’Inps il contributo previdenziale obbligatorio, con la possibilità di addebitare al committente il 4% del fatturato lordo a titolo di «rivalsa», e all’Inarcassa il contributo minimo pari al 2% dei corrispettivi soggetti ad Iva. Qualora il rapporto di lavoro dipendente venga a cessa re, l’interessato è nuovamente tenuto all’iscrizione ad Inarcassa con effetto dalla data di inizio dell’esercizio professionale con carattere di continuità. Conseguentemente, per quanto concerne la contribuzione versata alla Gestione separata, rimane invariata la linea interpretativa dell’Istituto e pertanto continuano ad essere operanti le disposizioni riportate nella circolare Inps n. 193 del 26 agosto 1996 che prevedono il rimborso dell’importo in questione direttamente al professionista o al committente (anche per la quota di un terzo trattenuta al collaboratore) a seguito di domanda presentata dagli aventi titolo. Rimangono invece di esclusiva spettanza dell’Inarcassa i contributi afferenti al reddito derivante dall’attività professionale di ingegnere ed architetto svolta nei periodi di effettiva iscrivibilità alla loro Cassa professionale. (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21, p. 73) MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI: Nota 7 maggio 2009, Prot. 25/I/0006675 Autocertificazione per il godimento di benefici normativi e contributivi ai sensi dell’art. 1, comma 1175, legge n. 296/2006

Il datore di lavoro, al fine di fruire dei benefici contributivi e normativi, oltre ad osservare l’integrale applicazione degli accordi e dei contratti collettivi, non deve avere a proprio carico provvedimenti amministrativi o giurisdizionali definitivi in ordine alla commissione di una serie di violazioni in materia di condizioni di lavoro così come indicate dal Dm 24 ottobre 2007, oppure deve essere decorso il termine previsto per ciascun illecito dal sopra citato decreto stesso. Per la verifica di tale ultima condizione i datori di lavoro che hanno fruito di benefici contributivi o normativi dovevano inviare apposita autocertificazione alla Direzione provinciale del lavoro (Min.

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lavoro, circolare n. 34/2008 e nota 1° aprile 2000) entro il 30 aprile 2009. Per i benefici fruibili in data successiva è necessario inviare tale autocertificazione precedentemente alla utilizzazione dei benefici medesimi. Novità. Il Ministero del lavoro, con nota 7 maggio 2009 (di seguito pubblicata), precisa che l’autocertificazione da presentare alla Direzione provinciale del lavoro per il godimento di benefici contributivi e normativi può essere presentata con una delle seguenti modalità: raccomandata postale o mano; fax; per via telematica, allegando copia di un documento di identità valido, salvo che la sottoscrizione non avvenga di fronte all’addetto della Direzione provinciale del lavoro. Il modello può essere presentato anche tramite il professionista incaricato. Il Ministero, inoltre, puntualizza che il termine del 30 aprile 2009 per la presentazione è di tipo ordinatorio e non perentorio e ciò comporta: 1) la possibilità di integrare l’autocertificazione con l’invio in un momento successivo della copia del documento; 2) la possibilità di ritrasmettere le autocertificazioni prive del documento in sede di primo invio. La mancata trasmissione dell’autocertificazione non è sanzionabile, ma è comunque obbligatoria e può comportare, in assenza, l’attuazione di controlli da parte degli enti previdenziali circa la regolare fruizione dei benefici. Vigenza dell’adempimento. L’adempimento legato al Durc «interno», ossia l’obbligo di legare la fruizione dei benefici alla predetta autocertificazione, è stato introdotto dalla Finanziaria 2007 (in vigore dal 1° gennaio 2007), ma è stato differito al 1° luglio 2007 dalla norma stessa (art. 1, comma 1175, legge n. 296/2006). Ciò significa che il godimento dei benefici riguarda il periodo decorrente dal 1° luglio 2007, e cioè ricadono nell’obbligo di presentare l’autocertificazione i datori di lavoro che hanno fruito di benefici normativi e contributivi a decorrere dal 1° luglio 2007. Infine le violazioni, elencate dal Dm 30 dicembre 2007, devono riferirsi al periodo decorrente dal 30 dicembre 2007, nel senso che la presenza di condanne definitive agli illeciti previsti dal Dm 30 dicembre 2007, nell’ambito del periodo decorrente dal 30 dicembre 2007, impedisce di fruire dei benefici per il tempo previsto per ciascuna violazione. (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2009, n. 20) MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 21 aprile 2009 Determinazione del costo orario del lavoro dei dipendenti da imprese e società esercenti servizi ambientali, riferito ai mesi di marzo, maggio e ottobre 2009. (GU n. 107 del 11-5-2009)

Il costo del lavoro ai fini della valutazione dei costi e della sicurezza nelle gare di appalto viene determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi fattori merceologici e delle differenti aree territoriali (Dlgs 12 aprile 2006, n. 163). Novità. Il Ministero del lavoro, con decreto 21 aprile 2009, in G.U. 11 maggio 2009, n. 107, ha rideterminato il costo del lavoro dei dipendenti da imprese e società esercenti servizi ambientali, riferito ai mesi di marzo, maggio e ottobre 2009, ai fini della partecipazione alle gare di appalto. I valori indicati nelle tabelle allegate al decreto in esame prescindono: 1) da eventuali benefici previsti da norme di legge; 2) dagli oneri derivanti da specifici adempimenti connessi all’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Dlgs 9 aprile 2008, n. 81).

Protezione civile ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 maggio 2009 Ulteriori disposizioni urgenti conseguenti agli eventi sismici che hanno colpito la provincia dell'Aquila ed altri comuni della regione Abruzzo il giorno 6 aprile 2009. (Ordinanza n. 3767). (GU n. 113 del 18-5-2009)

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ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 8 maggio 2009 Ulteriori interventi urgenti diretti a fronteggiare gli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo il giorno 6 aprile 2009 e altre disposizioni urgenti di protezione civile. (Ordinanza n. 3766). (GU n. 112 del 16-5-2009 ) ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 7 maggio 2009 Ripartizione delle risorse finanziarie di cui all'articolo 9, comma 2, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 gennaio 2009, n. 3734, recante: «Primi interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eventi atmosferici che hanno colpito il territorio nazionale nei mesi di novembre e dicembre 2008». (Ordinanza n. 3765). (GU n. 114 del 19-5-2009) ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 6 maggio 2009 Disposizioni urgenti di protezione civile. (Ordinanza n. 3764). (09A05326) (GU n. 108 del 12-5-2009 ) ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 6 maggio 2009 Attuazione del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, recante: «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo il giorno 6 aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile». (Ordinanza n. 3763). (GU n. 107 del 11-5-2009)

Sanità ed igiene pubblica MINISTERO DELLA DIFESA: DECRETO 26 febbraio 2008 Riordino del Comando carabinieri per la tutela della salute. (09A04970) (GU n. 102 del 5-5-2009)

Sicurezza MINISTERO DEL LAVORO: CIRCOLARE 12 maggio 2009, n. 17 Articolo 18, comma 1, lettera r), decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 - Obbligo di comunicazione dei dati concernenti gli infortuni sul lavoro: indicazioni operative

Sospesa la denuncia all’Inail per gli infortuni brevi. Il Ministero del lavoro, con la circolare n. 17 del 12 maggio 2009, in vista della scadenza del 16 maggio prevista dall’articolo 32 del Dl n. 207/2008, ha fornito chiarimenti in merito all’obbligo, posto a carico del datore di lavoro dall’art. 18, comma 1, lettera r), del Dlgs n. 81/2008, di comunicazione all’Inail (o all’Ipsema) dei dati relativi agli infortuni sul lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento, e delle informazioni relative agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni. A tal proposito il Ministero ha disposto la sospensione di tale obbligo, peraltro già previsto dalla lettera circolare del 29 maggio 2008, affermando che lo stesso deve comunque intendersi un adempimento a fini statistici ed informativi, destinato ad operare unicamente allorché saranno definite, e rese pubbliche, le regole di funzionamento del sistema da utilizzare. Non viene meno, invece, l’obbligo del datore di lavoro di annotazione nel registro infortuni di tali eventi come avviene già per quelli che determinano un’inabilità di durata maggiore. Il Ministero ribadisce che la sospensione è necessaria a seguito dellamancata operatività del Sistema Informativo Nazionale nei luoghi di lavoro (Sinp). Infatti l’adempimento sospeso ha caratteristiche ai fini statistici ed informativi ed avrà un senso solo se verranno definite e rese pubbliche le regole di funzionamento del sistema da utilizzare (anche in previsione dell’abolizione del registro degli infortuni). A tal proposito nulla è cambiato per quanto riguarda l’annotazione degli infortuni brevi sul registro: bisogna sempre effettuarla. Naturalmente nulla è cambiato anche per gli infortuni con prognosi superiore ai tre giorni, sia per la scritturazione che per la comunicazione agli Enti preposti (entro due giorni da quello in cui il datore di lavoro ne ha avuto notizia). Altre proroghe ipotizzabili. A questo punto è ipotizzabile anche la sospensione di altri adempimenti la cui scadenza era prevista per il 16 maggio 2009 e che sono al momento oggetto di

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modifiche nell’ambito del decreto correttivo sottoposto all’esame del Parlamento: - la valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato; - l’indicazione della «data certa» sul documento della sicurezza; - il divieto di visita preassuntiva. Imminente sembra anche la proroga dell’invio del nominativo del responsabile dei lavoratori per la sicurezza, data la difficoltà di accesso al servizio telematico predisposto dall’Inail. Infine si segnala che entro il 16 agosto 2009 dovranno essere approvati i decreti integrativi e correttivi del Testo unico sulla sicurezza del lavoro. (Massimo Braghin, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21) ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO: DECRETO 6 aprile 2009 Istituzione di uno specifico Settore nel Laboratorio Radiazioni Ionizzanti (RI) del Dipartimento Igiene del Lavoro (DIL) per assicurare la continuita' nell'esercizio di alcune funzioni istituzionali di grande rilevanza esterna e relativo Regolamento delle attivita' e del personale. (09A04934) (GU n. 102 del 5-5-2009) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 23 gennaio 2009 Applicazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, di attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro relativamente alla complessiva azione di gestione dell'emergenza rifiuti nella regione Campania. (GU n. 104 del 7-5-2009)

Argomento. L’articolo 7, comma 4, dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3716 del 19 novembre 2008, in relazione allo svolgimento delle attività connesse alla gestione dell’emergenza rifiuti nella Regione Campania e fino alla cessazione dello stato di emergenza nel predetto territorio, rimanda ad un successivo provvedimento per definire le misure di applicazione della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al Dlgs n. 81/2008, tenendo in considerazione le temporanee, effettive e particolari esigenze connesse alle attività espletate e alle peculiarità organizzative. Novità. Il Dpcm 23 gennaio 2009 in G.U. 7 maggio 2009, n. 104, all’articolo 1 (Campo di applicazione) stabilisce che nei luoghi di lavoro e negli ambienti in cui si svolgono attività e servizi connessi all’emergenza rifiuti nella Regione Campania ove opera il personale, anche volontario, comunque addetto ai servizi di protezione civile, l’applicazione della disciplina della sicurezza sul lavoro di cui al Dlgs n. 81/2008 verrà attuata con criteri di flessibilità e in parziale deroga, al fine di garantire gli indispensabili interventi di emergenza. Informazione e formazione. Il personale che opera nei luoghi di lavoro sopra indicati deve essere opportunamente informato, formato ed addestrato in materia di prevenzione e protezione sugli aspetti generali di protezione civile e sulle misure generali di prevenzione. Valutazione dei rischi. Il datore di lavoro che opera nei predetti luoghi, come individuato con atto governativo, deve effettuare la prevista valutazione dei rischi in collaborazione con il servizio di prevenzione ee protezione e il medico competente. Tuttavia il datore di lavoro è esonerato dal redigere il documento di valutazione dei rischi, in quanto, al termine della specifica attività, è tenuto a redigere in collaborazione con i predetti soggetti, un rapporto conclusivo dei rischi peculiari che si sono presentati nel corso dell’attività svolta. Il rapporto conclusivo deve essere consegnato entro 60 giorni dal termine delle operazioni al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Visite mediche. Il personale comunque impegnato nelle attività di protezione civile, in relazione alla specificità della emergenza, deve essere sottoposto alla sorveglianza sanitaria una tantum a conclusione di ogni emergenza. Se necessario, sulla base del giudizio medico, è soggetto a sorveglianza periodica. Riunione periodica. I datori di lavoro devono indire la riunione periodica di sicurezza prevista dall’art. 35 del Dlgs n. 81/2008 nella quale esporre ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza l’attività svolta in materia di prevenzione. Alla fine occorre redigere un verbale con l’indicazione delle persone che vi hanno partecipato e l’elenco degli argomenti trattati.

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Cantieri temporanei e mobili. Nell’ambito dei cantieri temporanei e mobili può determinarsi la necessità di realizzare opere ritenute necessarie che devono essere eseguite con immediatezza. Ciò comporta l’esonero dalla redazione del piano della sicurezza e coordinamento. Tuttavia il committente deve nominare immediatamente un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione che provvede a coordinare lo svolgimento delle varie attività. Il coordinatore è tenuto però alla redazione del fascicolo (contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi) di cui all’art. 91, comma 1, lettera b), del Dlgs n. 81/2008 anche se successivamente alla realizzazione dell’opera prevista e necessaria. Vigilanza. La vigilanza dei predetti siti e luoghi di lavoro è affidata ad apposito organo composto da: personale dell’Ufficio di vigilanza del Ministro dell’interno; personale militare e civile dell’Amministrazione della difesa; personale esperto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco o da altri organi di vigilanza in materia di salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro. (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21)

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Giurisprudenza

Acque

TAR CALABRIA, Reggio Calabria - 20 maggio 2009, n. 344 ACQUA – Acqua destinata al consumo umano – Comune - Controlli effettuati ai sensi del d.lgs. n. 31/2001 – Accesso ai sensi del d.lgs. n. 195/2005 – Informazione ambientale. I controlli che il Comune deve effettuare ai sensi degli artt. 6 e ss. del D.l.vo 2 febbraio 2001 n. 31, possono annoverarsi tra le misure amministrative che incidono sullo stato dell’acqua: deve quindi esserne garantito l’accesso in applicazione del d.lgs. n. 195/2005. L’art. 2 di tale normativa chiarisce infatti che per “informazione ambientale” si intende “qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio … 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2)”. Il successivo art. 3 precisa inoltre che l'autorità pubblica deve rendere disponibile, l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse, nella specie, peraltro, manifestato e sussistente nel fatto di aver stipulato contratto di somministrazione di acqua potabile con il Comune. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CALABRIA, Reggio Calabria - 20 maggio 2009, n. 343 ACQUA – Funzionalità o assenza di impianti di depurazione delle acque – Informazione ambientale – Accesso ai sensi del d.lgs. n. 195/2005 – Puntuale indicazione degli atti richiesti – Necessità – Esclusione - Obbligo, in capo all’amministrazione, di acquisire tutte le notizie. La funzionalità o l’eventuale assenza di impianti di depurazione delle acque può annoverarsi tra le misure incidenti sullo stato dell’acqua o comunque tra le misure finalizzate a proteggere il suddetto elemento e deve, pertanto, considerarsi informazione accessibile in applicazione del d.lgs. n. 195/2005. L’art. 2 di tale normativa chiarisce infatti che per “informazione ambientale” si intende “qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio … 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2)”. Il successivo art. 3 precisa inoltre che l'autorità pubblica deve rendere disponibile, l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse. E’ poi pacifico che in materia di accesso ambientale non è necessaria la puntuale indicazione degli atti richiesti, ma è sufficiente una generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato contesto ambientale per costituire in capo all'amministrazione l'obbligo di acquisire tutte le notizie relative allo stato della conservazione e della salubrità dei luoghi interessati dall'istanza, ad elaborarle ed a comunicarle al richiedente (Tar Genova, I, 27 ottobre 2007 n. 1870). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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TAR LAZIO, Latina, Sez. I – 6 maggio 2009, n. 423 MARE E COSTE – Concessione di beni demaniali – Amministrazione marittima – Potere discrezionale - -Diniego sulla base dell’intenzione del Comune di adottare un piano di riassetto urbanistico – Illegittimità. Anche se l’amministrazione marittima, nel rilascio di concessioni di beni demaniali, esercita un potere discrezionale ai sensi dell’art. 36, comma 1, del codice della navigazione, non è legittimo denegare una concessione demaniale unicamente sulla base dell’intenzione, da parte del Comune, di dotarsi di un piano di riassetto urbanistico. Diversamente opinando si consentirebbe all’amministrazione di vietare, senza alcun limite temporale, qualsiasi iniziativa privata sulla base di meri intendimenti pianificatori della stessa; il che non è consentito dal sistema. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Ambiente e territorio

TAR TOSCANA, Sez. II – 6 maggio 2009, n. 766 AMBIENTE – Indagini e sollecitazioni delle Agenzie tecniche preposte alla tutela dell’ambiente – Ente locale – Provvedimenti conseguenti – Avvio del procedimento – Garanzie di cui alla L. n. 241/90 – Contraddittorio con il soggetto interessato. In materia ambientale, se è vero che l’ente locale competente è tenuto a promuovere ogni iniziativa prevista dalle normative vigenti a tutela del bene collettivo in questione sulla base di indagini e sollecitazioni delle Agenzie tecniche preposte, è pur vero che ciò non sta a significare che l’ente locale debba pedissequamente conformarsi ai suggerimenti dell’organo tecnico ma solo che debba avviare il relativo procedimento, con tutte le garanzie previste dalla l.n. 241/1990, sempre, beninteso, che non sussistano ragioni di celerità e urgenza, da richiamare comunque nel relativo provvedimento. L’”atto dovuto” in questa materia non è quindi il provvedimento invocato dall’Agenzia tecnica ma è l’avvio del procedimento che porta all’adozione del relativo provvedimento, dando luogo comunque al necessario contraddittorio con il soggetto interessato, soprattutto se il provvedimento in questione culminerebbe in specifiche e, spesso, gravose incombenze e imposizioni (TAR Toscana, 30.7.87, n. 647). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Appalti

TAR SICILIA, Catania, Sez. I - 8 maggio 209, n. 899 APPALTI – D.U.R.C. – Centralizzazione della banca dati – Competenza territoriale della Cassa edile – Rilevanza – Esclusione. In ragione del carattere anche normativamente unico del documento di regolarità contributiva ma, soprattutto, in considerazione della centralizzazione della banca dati da cui ciascuna Cassa edile deve attingere i contenuti della propria attestazione certificativi – non è richiesto dalla normativa vigente il rispetto di alcuna specifica competenza territoriale: occorre invece la mera verifica di completezza dell’attestazione contenuta nel documento. In breve, quel che rileva non è l’ubicazione territoriale della Cassa edile che abbia rilasciato il D.U.R.C. prodotto per partecipare a una gara, bensì la completezza delle attestazioni in esso contenute. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. I – 6 maggio 2009, n. 617 APPALTI – Raggruppamento temporaneo di imprese – Polizza fideiussoria – Intestazione a tutte le partecipanti al raggruppamento – Necessità – Esclusione – Sufficienza dell’operatività nei loro confronti. Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un costituendo raggruppamento temporaneo di

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imprese è necessario non tanto che la polizza fidejussoria sia intestata a tutte le imprese che vi fanno parte, quanto piuttosto che la garanzia sia operativa nei confronti di tutti i partecipanti al raggruppamento. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. I – 6 maggio 2009, n. 617 APPALTI – Raggruppamento temporaneo di imprese – Polizza fideiussoria – Intestazione a tutte le partecipanti al raggruppamento – Necessità – Esclusione – Sufficienza dell’operatività nei loro confronti. Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese è necessario non tanto che la polizza fidejussoria sia intestata a tutte le imprese che vi fanno parte, quanto piuttosto che la garanzia sia operativa nei confronti di tutti i partecipanti al raggruppamento. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Corte d’appello di Roma, sezione II, sentenza 29 gennaio 2009, n. 439 Appalti pubblici - Lavori extracontrattuali disposti dalla direzione lavori - Obbligo per l’appaltatore di iscrivere tempestiva riserva - Sussistenza. (Dpr 1063/1962) Nel contratto di appalto di lavori pubblici, la natura extracontrattuale dell’opera aggiuntiva eseguita su disposizione della direzione lavori (onde rimuovere un impedimento alla regolare prosecuzione del lavoro) non fa venir meno l’esigenza della pubblica amministrazione committente di conoscere tempestivamente ogni richiesta ed eccezione dell’appaltatore che incida sul compenso. Esigenza al cui soddisfacimento è appunto finalizzato l’istituto della riserva. (Guida al Diritto, Il Sole-24 Ore, 16 Maggio 2009, n. 19, p. 78)

Beni archeologici, culturali e ambientali

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, Sentenza 07 maggio 2009, n. 19077 BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – URBANISTICA ED EDILIZIA - Costruzione iniziata in zona agricola sottoposta a vincolo idrogeologico, sismico ed ambientale senza concessione edilizia e nulla osta paesaggistico - Sanzioni applicabili – Art. 181 D. L.vo n.42/2004 (in precedenza art. 163 d. l.gs. n.490/1999 prima l'art 1 sexies L. n.431/1985) – Art.3 c. 1 lett. b) D. L.vo n. 63/2008 - Art. 44 lett. C) D.P.R. n.380/01. L'articolo 181 del decreto legislativo n 42 del 2004 (in precedenza art. 163 del decreto legislativo n.490/1999 ed ancora prima l'articolo 1 sexies della legge n.431/1985), punisce colui il quale senza alcuna autorizzazione o in difformità da essa esegue su beni paesaggistici lavori di qualsiasi genere. Con l'ampia locuzione di lavori di qualsiasi genere si intendono non solo gli interventi edilizi, ma qualsiasi modificazione esterna dello stato dei luoghi, anche minima, purché astrattamente idonea a ledere il bene protetto. La norma non distingue tra difformità totale o parziale rispetto all' autorizzazione o variazione essenziale. Di conseguenza per qualsiasi modificazione la sanzione è unica ed e quella di cui all'art 44 lettera c ) del testo unico sull'edilizia (in precedenza articolo 20 lettera C legge n. 47 del 1985). Infine, il legislatore, ha puntualizzato con l'art. 3 comma 1 lettera b) del decreto legislativo n 63 del 2008, che l'unica sanzione applicabile è quella di cui alla lettera c) dell'articolo 44 del D.P.R. n.380/01, testo unico sull'edilizia. Nella fattispecie, oltre ad alcune opere interne, per lo più irrilevanti ai fini della configurabilità del reato paesaggistico sono state compiute opere esterne di significativo impatto ambientale, quali ad esempio la demolizione della canna fumaria, l'omessa realizzazione di tamponamenti, la pavimentazione esterna, l'intonacatura esterna.

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URBANISTICA ED EDILIZIA – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Reati edilizi - Trattamento sanzionatorio - Cognizione esclusiva del giudice del merito – Necessità di motivazione – Art. 133 c.p. – Fattispecie: attività edificatoria in spregio a quanto prescritto nel provvedimento in sanatoria. In materia di reati edilizi, il trattamento sanzionatorio rientra nella cognizione esclusiva del giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità se adeguatamente motivato anche con riferimento ad uno solo degli elementi di cui all'articolo 133 c.p.. Nella fattispecie, sia pure sinteticamente, si è dato conto del trattamento sanzionatorio sottolineando che i prevenuti avevano continuato nell'attività edificatoria in spregio a quanto prescritto nel provvedimento in sanatoria. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CALABRIA, Catanzaro, Sez. I – 30 aprile 2009, n. 360 BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Nulla osta paesaggistico – Potere di annullamento ministeriale – Controllo di legittimità – Motivazione generica e vaga – Illegittimità. Il potere di annullamento ministeriale di un nulla osta paesaggistico rilasciato per la realizzazione di un intervento edilizio in zona vincolata, pur non comportando un riesame complessivo delle valutazioni tecnico discrezionali compiute dall’ente territoriale competente, tale da consentire la sovrapposizione o la sostituzione di una valutazione di merito del Ministero a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, si estrinseca in un controllo di legittimità e si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, con la conseguente possibilità per il Ministero di espletare un puntuale e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio (tra le tante Tar Catanzaro 3.11.2006 n. 1274). Con particolare riferimento all'esercizio del potere in esame ed alla relativa motivazione, in termini generali va però ribadito che è illegittimo il provvedimento ministeriale di annullamento di un nulla osta paesaggistico che rechi una motivazione generica e vaga, valevole per una serie indefinita di casi. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Cave e miniere

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 4 maggio 2009, n. 893 CAVE E MINIERE – VAS - Piano cave – Dir. 42/01/CE – Immediata applicabilità all’interno degli stati membri – Esclusione. In materia di VAS, La direttiva 42/01/CE, per quanto riguarda la generalità degli atti di pianificazione territoriale quale il piano cave, non è immediatamente applicabile all’interno degli Stati membri. Depongono in tal senso anzitutto l’art. 3 della direttiva in parola, che demanda al singolo Stato membro di apprezzare se i piani e programmi relativi a un dato settore possano o non possano avere effetto significativo sull’ambiente; nello stesso senso i successivi articoli 4 e 13, che richiedono in modo espresso che gli Stati, per conformarsi alla direttiva, emanino norme proprie, e quindi adottino atti di recepimento. CAVE E MINIERE – Regione Lombardia – Artt. 7 e 8 L.r. n. 14/98 – Piano cave – Carattere provinciale – Modifiche regionali – Limiti. Le norme degli artt. 7 e 8 comma 1 della l.r. Lombardia n. 14/98, là dove prevedono che alla proposta di piano cave presentata dalla Provincia sentiti i Comuni la Giunta regionale possa apportare “integrazioni e modifiche” da sottoporre poi al Consiglio regionale per l’approvazione finale, va interpretata nel senso che si possano apportare in modo puro e semplice solo modifiche di mero dettaglio, ovvero imposte dall’adeguamento ad obblighi normativi. In tutti gli altri casi, non va stravolto il carattere provinciale del piano, e quindi le modifiche non si possono inserire se non ripetendo la procedura che ha condotto alla proposta arrivata alla Giunta: le modifiche stesse vanno apportate al disegno generale della proposta adottata e su di esse devono pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche tutti gli organi tecnici deputati ad esprimere il loro parere sul piano in parola. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Edilizia e urbanistica

TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. II penale, 18 maggio 2009, n. 438 URBANISTICA ED EDILIZIA – Regione Calabria – L.R. n. 7/98 – Costruzioni in zone sismiche – Controllo successivo a campione – D.P.R. n. 380/2001 – Principio del controllo preventivo – Implicita abrogazione della normativa regionale – Conseguenze sul piano penale. E’ implicitamente abrogata la disciplina di cui alla legge regionale n. 7/98 (R.Calabria), "procedure semplificate per le costruzioni in zone sismiche, fra cui l'abolizione di ogni autorizzazione preventiva, sostituita dal controllo successivo alla costruzione, con metodi a campione e a sorteggio", per contrasto insanabile con la legge statale successiva (artt. 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380/2001) che introduce la regola del controllo preventivo per tutte le costruzioni eseguite in zona sismica - la cui realizzazione deve essere necessariamente preceduta da specifica autorizzazione - la cui inosservanza è sanzionata penalmente. Nei confronti del responsabile dell’Ente territoriale, sono ravvisabili gli estremi del reato di rifiuto di atti d’ufficio per ragioni di sicurezza pubblica, a cui è ovviamente sottesa la normativa statale antisismica, qualora non osservi la regola del controllo preventivo per ogni singola costruzione, così come imposto dalla legge statale. Nei confronti dell’autore dell’opera edilizia, che abbia comunque osservato la prassi applicativa, seguita dagli uffici regionali, di ritenete ancora applicabili i dettami della legge n. 7 del 1998, al più può invocarsi la buona fede. Al contrario, ove quest’ultimo abbia realizzato l’opera senza neppure formalizzare la denuncia di inizio lavori, è da escludere il ragionevole affidamento, non avendo costui neppure osservato la prassi derivante dalla protratta applicazione della disciplina ormai abrogata. URBANISTICA ED EDILIZIA – Lavori edili in zona sismica – Artt. 93 e 94 d.P.R. n. 380/2001 – Permanenza – Termine – Individuazione. Il reato di cui agli artt. 93 e 95 D.P.R 380/2001 permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica non presenta la denuncia del lavoro con l'allegato progetto, ovvero non termina il lavoro medesimo. Sino a questo momento, infatti, persiste la lesione o l'offesa al bene giuridico protetto, perché il competente ufficio tecnico regionale - non essendo informato dei lavori - non è messo in grado di controllarne la conformità alle norme tecniche stabilite al riguardo. Per la stessa ragione, sino a questo momento persiste il carattere antigiuridico della condotta mista (commissiva/omissiva) del contravventore, il quale potrà farla cessare solo interrompendo i lavori o presentando la denuncia anche dopo l'inizio dei medesimi. In altri termini, secondo un argomento spesso utilizzato nella soggetta materia, attesa la ratio della norma, il dovere di agire imposto dall'art. 93 perdura nel tempo anche dopo l'inizio dei lavori, benché cominci a essere vincolante prima di tale inizio. Il reato di cui agli artt. 94 e 95 D.P.R. 380/2001, invece, permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica (che non sia di bassa sismicità) termina il lavoro ovvero ottiene la relativa autorizzazione. Sino a questo momento, infatti, persiste il carattere antigiuridico della condotta commissiva del contravventore, che prosegue lavori non autorizzati. Così come perdura la lesione dell'interesse pubblico ad esercitare un preventivo controllo, perché il competente ufficio tecnico regionale non è messo in grado di verificare la conformità dei lavori alle norme tecniche di sicurezza stabilite per le zone sismiche di media o alta intensità. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR VENETO, Sez. II – 13 maggio 2009, n. 1454 URBANISTICA ED EDILIZIA – Potere di irrogazione delle sanzioni edilizie – Ordine di demolizione – Atto dovuto – Motivazione – Accertamento dell’irregolarità dell’intervento. Per non essere sottoposto dalla legge a termini di decadenza e per riguardare anzi situazioni di illiceità permanente, il potere di irrogazione delle sanzioni in materia edilizia si presenta suscettibile di esercizio in ogni tempo, anche in ragione della sua natura rigidamente vincolata. Pertanto, al concorrere delle condizioni di legge, l'ordine di demolizione di opere abusive va inteso come atto dovuto ed è sufficientemente motivato con

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l'affermazione dell'accertata irregolarità dell'intervento, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso - anche se risalente nel tempo - senza necessità di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti o sacrificati (così T.A.R. Emilia Romagna Parma, I, 21 maggio 2008 , n. 260). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I – 12 maggio 2009, n. 255 URBANISTICA ED EDILIZIA – Muro di cinta – Requisiti ex art. 878 c.c. – Sussistenza -Titolo abilitativo edilizio – Diniego in ragione dell’asserita natura emulativa dell’intervento – Illegittimità. Ad un manufatto che rappresenti un “minus” rispetto al muro di cinta propriamente detto ai sensi dell’art. 878 c.c.– in quanto privo in tutto od in parte di alcune dei requisiti ivi individuati –, ma comunque destinato ed idoneo anch’esso a delimitare un fondo, può egualmente essere riconosciuta la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere l’immobile (v. Cass. civ., Sez. II, 25 giugno 2001 n. 8671); non è peraltro necessario il suo prolungarsi per tutto il perimetro del confine, ben potendosi valutare utile, in relazione alle caratteristiche dei luoghi, una recinzione circoscritta ad uno o più lati della proprietà. A maggior ragione, in presenza dei tre requisiti prescritti, non v’è motivo per escludere la qualificazione di “muretto di recinzione”, in difetto di elementi inequivocabili di segno contrario, e negare il titolo abilitativo sulla scorta dell’asserito carattere emulativo dell’intervento edilizio. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I – 11 maggio 2009, n. 186 URBANISTICA ED EDILIZIA – Cd. onere ecologico – Art. 10, c. 1 L. n. 10/77 – Fallimento dell’originario soggetto cui era stato rilasciato il permesso di costruire – Provvedimento di riscossione diretto alla curatela fallimentare – Illegittimità. E’illegittimo il provvedimento di riscossione del c.d. contributo ecologico di cui all’articolo 10 primo comma della legge 28 gennaio 1977 n. 10, diretto non all’originario soggetto a cui era stato rilasciato il permesso di costruire, bensì alla curatela fallimentare, che è deputata a amministrare il patrimonio del fallito con il precipuo scopo di liquidare i creditori e preservare la residua parte del patrimonio. L’”onere ecologico”, pur avendo natura di prestazione patrimoniale imposta, analogamente agli oneri di urbanizzazione, deve essere fatto valere quale credito del fallimento e non già dell’intera massa fallimentare: il Comune, al fine del soddisfacimento del credito, deve pertanto deve insinuarsi nell’attivo del fallimento (cfr. art. 2752 c.c.). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I – 11 maggio 2009, n. 186 URBANISTICA ED EDILIZIA – Cd. onere ecologico – Art. 10, c. 1 L. n. 10/77 – Fallimento dell’originario soggetto cui era stato rilasciato il permesso di costruire – Provvedimento di riscossione diretto alla curatela fallimentare – Illegittimità. E’illegittimo il provvedimento di riscossione del c.d. contributo ecologico di cui all’articolo 10 primo comma della legge 28 gennaio 1977 n. 10, diretto non all’originario soggetto a cui era stato rilasciato il permesso di costruire, bensì alla curatela fallimentare, che è deputata a amministrare il patrimonio del fallito con il precipuo scopo di liquidare i creditori e preservare la residua parte del patrimonio. L’”onere ecologico”, pur avendo natura di prestazione patrimoniale imposta, analogamente agli oneri di urbanizzazione, deve essere fatto valere quale credito del fallimento e non già dell’intera massa fallimentare: il Comune, al fine del soddisfacimento del credito, deve pertanto deve insinuarsi nell’attivo del fallimento (cfr. art. 2752 c.c.). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Energia

T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I – 12 maggio 2009, n. 257 ENERGIA – Elettrodotto posto a servizio di un’unica utenza privata – Natura di opera di interesse generale – Sussistenza - Art. 3 L. n. 166/2002 – Imposizione di servitù di elettrodotto – Diniego – Illegittimità. Le attrezzature e gli impianti relativi alla rete elettrica costituiscono opere di interesse generale, ai fini di cui all’art. 3 della L. n. 166/2002, e le stesse sono funzionali allo svolgimento di un pubblico servizio (v. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 10 giugno 2003 n. 2359), sì da risultare irrilevante il numero dei fruitori del singolo impianto, che – per il solo fatto di concorrere all’esercizio del servizio elettrico – reca in sé le caratteristiche dell’opera di pubblico interesse. Illegittimo, allora, si presenta il diniego di imposizione di servitù di elettrodotto motivato unicamente con l’inesistenza della finalità pubblica, sulla base della circostanza che l’elettrodotto è posto a servizio di un’unica utenza privata. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Espropriazione

Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 9 aprile 2009 n. 8731 Espropriazione - Indennità - Determinazione - Decreto legge n. 333 del 1992 - Illegittimità costituzionale - Ius superveniens - Applicabilità - Limiti - Giudizi in corso - Esclusione - Fattispecie - Requisizioni del sindaco di Napoli per fronteggiare le emergenze del terremoto di Napoli del 1980. (Legge 25 giugno 1865 n. 2359, articolo 39; Dl 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, articolo 5-bis; Dpr 8 giugno 2001 n. 327, articolo 37; Dl 26 novembre 1980 n. 776, convertito dalla legge 22 dicembre 1980 n. 874, articolo 3; legge 24 dicembre 2007 n. 244, articolo 2) A seguito della declaratoria d’illegittimità costituzionale del criterio di indennizzo di cui all’articolo 5-bis del decreto legge n. 333 del 1992 (convertito con modificazioni dalla legge n. 359 del 1992) e all’articolo 37, commi 1 e 2, del Dpr n. 327 del 2001, lo ius superveniens costituito dall’articolo 2, commi 89 e 90, lettera a), della legge n. 244 del 2007, si applica retroattivamente per i soli procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi in corso. Invero, nei giudizi aventi a oggetto la determinazione dell’indennità dovuta per le requisizioni compiute dal sindaco di Napoli nella qualità di ufficiale del Governo, per provvedere alle finalità di cui all’articolo 3 della legge n. 874 del 1980, una volta venuto meno - a seguito della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale - il criterio di indennizzo di cui all’articolo 5-bis del decreto legge n. 333 del 1992, trova applicazione il criterio del valore venale del bene previsto dall’articolo 39 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, e non si applica l’articolo 2, comma 90, della legge n. 244 del 2007, secondo cui quando la espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico sociale l’indennità è ridotta del 25 per cento. (Guida al Diritto, Il Sole-24 Ore, 16 Maggio 2009, n. 20, p. 86)

Inquinamento

TAR VENETO, Sez. III – 14 maggio 2009, n. 1487 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Sistemi radiotelevisivi – Valori di immissione – Misurazione – Art. 4 D.P.C.M. 8 luglio 2003 - Aree intensamente frequentate - Impianto ubicato in area appositamente interdetta – Riduzione dell’intensità del campo elettromagnetico a tutela della salute – Necessità – Esclusione. Il D.P.C.M. 8 luglio 2003 - emanato in attuazione della legge 22 febbrai o2001, n. 36 e succeduto al decreto 10 settembre 1998, n. 381 - all’art. 4 dispone che i valori di immissione generati dall'esercizio dei sistemi

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radiotelevisivi devono essere misurati all'aperto nelle aree intensamente frequentate, per le quali si intendono anche superfici edificate ovvero attrezzate permanentemente per il soddisfacimento di bisogni sociali, sanitari e ricreativi. Ne discende che laddove l’impianto sia ubicato in zone inaccessibili per la particolare conformazione dei luoghi o perché appositamente interdette, la riduzione dell’intensità del campo elettromagnetico che comporta il rischio di compromettere l’attività delle emittenti si rivela non necessaria a tutelare la salute della popolazione, essendo sufficientemente idonei allo scopo un’adeguata recinzione e il posizionamento di appositi cartelli segnaletici. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. I – 11 maggio 2009, n. 358 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Impianti di radiodiffusione – Adeguamento e delocalizzazione – Procedure e modalità – Art. 28, c. 7 d.lgs. n. 177/2005 – L.r. Abruzzo n. 45/2004. Sia la normativa statale che quella regionale (regione Abruzzo) prevedono determinate pocedure e modalità per l’adeguamento degli impianti di radiodiffusione non a norma e per la loro eventuale delocalizzazione: l’articolo 28 comma 7°, del D. Lgs. 177 del 2005 afferma che gli impianti che superano o concorrono a superare i limiti “sono trasferiti .. su iniziativa delle regioni …dal Ministero …che dispone il trasferimento e trascorsi inutilmente centoventi giorni disattiva gli impianti.” In sostanza le regioni hanno il potere di iniziativa in materia, ma non quello dispositivo che spetta al Ministero delle comunicazioni (cui medio tempore è subentrato il Ministero dello sviluppo economico). La legge regionale n. 45 del 2004 all’articolo 10 specifica ulteriormente la norma statale, prevedendo l’adozione da parte della Regione di un piano di risanamento al fine di ricondurre i campi magnetici ai limiti di “esposizione” di cui al DM 381 del 1998 e al DPCM 8 luglio 2003. La norma prevede anche la possibilità di delocalizzazione degli impianti che va effettuata nelle aree previste dal Piano provinciale di localizzazione dell’emittenza radio e televisiva. INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Emittenti – Superamento dei limiti di legge – Trasferimento – Inclusione delle emittenti in regola – Legittimità. Il fatto che alcune emittenti abbiano superato i limiti di legge per le emissioni legittima non solo il loro trasferimento, ma, considerato che l’intera normativa citata e il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze prescrivono l’accorpamento di tutte le emittenti in pochi siti, si impone anche il trasferimento delle emittenti che nello stesso sito non hanno superato i limiti di legge. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. I – 7 maggio 2009, n. 1003 INQUINAMENTO ACUSTICO –Rilevamento dei rumori – Diritto alla partecipazione da parte del responsabile delle emissioni – Insussistenza. Non v’è disposizione che riconosca, a colui che viene ritenuto responsabile del superamento del livello di determinati rumori, il diritto a partecipare all’atto istruttorio con il quale l’ARPA procede al rilevamento dei rumori stessi. Ciò anche al fine di evitare comportamenti artificiosi da parte dell’interessato. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. III – 7 maggio 2009, n. 975 INQUINAMENTO ACUSTICO – Art. 8 , c. 4 L. n. 447/95 – Domande per il rilascio di concessioni edilizie - Documentazione di previsione di impatto acustico – Inosservanza – Mancata previsione di sanzioni - Rilievo in sede di utilizzazione degli immobili. Il comma 4 dell’art. 8 della L. 447/95 , pur prescrivendo che le domande per il rilascio di concessioni edilizie relative a nuovi impianti od infrastrutture adibiti ad attività produttive siano corredate da una documentazione di previsione di impatto acustico, non contempla alcuna sanzione

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in caso di inosservanza della suddetta prescrizione. Peraltro, la non perentorietà di tale disposizione risulta evidente laddove si confronti la stessa con i commi precedenti, i quali prescrivono tassativamente l’obbligo della valutazione dell’impatto acustico per particolari tipi di opere ,e con il sesto comma ,che contempla l’indicazione delle misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore causate dall'attività o dagli impianti solo quando si preveda la produzione di valori di emissione superiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a),. A ciò aggiungasi che, in sede di contestazione di un permesso di costruire rilasciata a terzi confinanti, ruolo prevalente assume il profilo urbanistico-edilizio dell’intervento, mentre le questioni riguardanti l’impatto acustico, per le opere non espressamente contemplate nel citato art.8 della L.447/95, assumono rilievo in sede di utilizzazione degli immobili. Difatti, la tutela dell'interesse della ricorrente al rispetto delle norme in materia di inquinamento acustico potrà compiutamente realizzarsi non già in sede di presentazione della richiesta di permesso di costruire od al momento del suo semplice rilascio , quanto, piuttosto, all’atto della richiesta di autorizzazione allo svolgimento della specifica attività ,ove si preveda la produzione di valori di emissione superiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a) della legge n.447 del 1985, ovvero nel corso dell’esercizio dell’attività produttiva, ove potranno trovare applicazione specifiche norme sanzionatorie. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR TOSCANA, Sez. II – 6 maggio 2009, n. 766 INQUINAMENTO ACUSTICO – Valore limite di emissione – Art. 2, lett. e) L. n. 447/95 – Misurazione – Prossimità alla sorgente sonora di riferimento. Ai sensi dell’art. 2, lett. e), l.n. 447/1995, il valore limite di emissione rappresenta il valore massimo emesso da una sorgente sonora misurato “in prossimità” della sorgente stessa. Ciò sta inequivocabilmente a significare che tale valore di emissione deve essere misurato in prossimità della sorgente sonora di riferimento e in relazione alla Classe acustica in cui essa è collocata. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR TOSCANA, Sez. II – 6 maggio 2009, n. 762 INQUINAMENTO – Bonifica – Procedimento – Attività istruttoria – Partecipazione del soggetto interessato – Accertamenti analitici - Contraddittorio. L’'attività istruttoria del procedimento di bonifica deve prevedere la partecipazione del soggetto interessato e, in particolare, gli accertamenti analitici devono essere effettuati in contraddittorio (T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488). INQUINAMENTO – Bonifica – Art. 252, c. 5, d.lgs. n. 152/2006 – Responsabilità dell’autore dell’inquinamento – Proprietario dell’area – Onere reale. L’art. 252, c. 5, del d.lgs. n. 152/2006, in tema di bonifica dei siti di interesse nazionale, non può che essere interpretato nel senso che l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento incombe solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa (nello stesso senso, l’art. 252 bis in tema di “Siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale”). La norma individua, perciò, dal punto di vista di soggettivo nella responsabilità dell'autore dell'inquinamento, a titolo di dolo o di colpa, la fonte dell'obbligo a provvedere alla messa in sicurezza e all'eventuale bonifica del sito inquinato. Ne consegue che l'amministrazione non può imporre ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento (T.A.R. Veneto, sez. III, 2 febbraio 2002, n. 320). A carico del proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione, invero, non grava alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento, ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale, assistite anche da privilegio speciale immobiliare (art. 253 d.lgs. n. 152/2006).

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INQUINAMENTO – Messa in sicurezza d’emergenza – Finalità – Contaminazioni “repentine” – Stato di contaminazione pregressa – Imposizione della m.i.s.e. – Illegitimità. La messa in sicurezza d'emergenza (cd. m.i.s.e.) può essere disposta solo in presenza di contaminazioni «repentine» al fine di contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e rimuoverle in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente, con la conseguenza che è illegittimo il provvedimento che impone la m.i.s.e. in presenza di uno stato di contaminazione pregressa, senza alcuna specifica motivazione sulla situazione di emergenza e sull'esigenza di scongiurare il rischio immediato che possano giustificare tale tipologia di intervento richiesto (T.A.R. Sardegna, sez. II, 8 ottobre 2007, n. 1809). Invero, il procedimento di bonifica è soggetto a procedure e tempi che ne assicurano la ponderazione e quindi la qualità, nel mentre la m.i.s.e. si caratterizza per essere un intervento di contenimento immediato di situazioni improvvise e quindi è regolata da una procedura di urgenza, come tale limitata, puntuale e non estensibile oltre i suoi limiti naturali, a pena del rischio di interventi frettolosi ed inappropriati che, nel tema della tutela ambientale sono, intuibilmente, completamente esclusi dal novero delle previsioni legislative (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 1254/2007). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 17/04/2009 (Ud. 18/12/2008), Sentenza n. 16286 INQUINAMENTO ATMOSFERICO - ARIA - Emissioni in atmosfera di polveri sottili - Violazione dell’art. 674 c.p. – Fattispecie: scarico del "clinker" (sostanza sabbiosa utilizzata per la produzione del cemento). Nel linguaggio corrente s'intende per "polvere" un "insieme incoerente di particelle molto minute e leggere di terra arida, detriti, sabbia ecc., che, sollevate e trasportate dal vento, si depositano ovunque". S'intende invece per "fumo" il "residuo gassoso della combustione che trascina in sospensione particelle solide in forma di nuvola grigiastra o bianca". Ne deriva che, pur trattandosi sempre di minuscole particelle, il fumo si distingue dalla polvere perché è sempre un prodotto della combustione, sicché la polvere, essendo prodotto di frantumazione, ma non di combustione, non può, essere ricompresa nella nozione di fumo. Pertanto, la diffusione di polveri nell'atmosfera va contestata (ed è stata nella specie contestata) come versamento di cose ai sensi della prima ipotesi dell'art. 674 c.p. e non come emissione di fumo. Di conseguenza, se il "gettare" si riferisce al lancio di materie solide, il "versare" concerne le materie liquide o fluide, oppure le materie solide ma ghiaiose, sabbiose o polverose. Fattispecie: scarico del "clinker" (una sostanza sabbiosa utilizzata per la produzione del cemento) dalle navi trasportatrici ai silos, e dai silos alle autocisterne utilizzate per il trasporto successivo, immettendo nell'atmosfera sottilissime polveri, che depositandosi all'esterno e all'interno delle abitazioni limitrofe cagionavano agli occupanti fastidi fisici tali da compromettere significativamente l'esercizio delle normali attività quotidiane. INQUINAMENTO ATMOSFERICO - ARIA - Emissioni in atmosfera - Configurabilità del reato di cui all’art. 674 c.p. - Contravvenzioni di emissioni extratabellari, (art. 25, c. 3, D.P.R. n. 203/1988, sostituito dall'art. 279, c. 2, D.Lgs. n. 152/006). Si deve negare che le due ipotesi contravvenzionali previste nell'art. 674 c.p. o le contravvenzioni di emissioni extratabellari (di cui all'art. 25, comma 3, D.P.R. 24.5.1988 n. 203, ora sostituito dall'art. 279, comma 2, D.Lgs. 3.4.2006 n. 152) configurino necessariamente reati di condotta attiva. A ben vedere esse, si atteggiano come reati di evento pericoloso, dove l'evento può essere cagionato da una condotta attiva od omissiva, dolosa o colposa: nel caso della contravvenzione codicistica si tratta di un evento di pericolo concreto, consistente nell'attitudine delle cose o delle emissioni a imbrattare, offendere o molestare le persone, che deve essere concretamente accertata dal giudice; nelle contravvenzioni previste dalla leggi speciali si tratta di un evento di pericolo astratto o presunto, che il legislatore collega tipicamente a ogni superamento dei limiti tabellari. Sicché, il reato de quo nei congrui casi può anche atteggiarsi come reato commissivo mediante omissione (c.d. reato omissivo improprio) ogni qual volta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi (anche) dalla omissione (dolosa o colposa) del soggetto che aveva

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l'obbligo giuridico di evitarlo. Ovviamente, presupposto indispensabile perché si configuri un reato commissivo mediante omissione è che l'agente sia gravato da un obbligo giuridico di impedire l'evento. INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA - Limiti tabellari - Emissioni in atmosfera connesse direttamente all’attività produttiva regolamentata - Art. 674 c.p. – Giurisprudenza. La condizione "nei casi non consentiti dalla legge", contenuta nell’art. 674 c.p., esclude il reato non per tutte le emissioni provocate dalla attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. Solo queste ultime emissioni si presumono legittime. Non possono presumersi come legittime, invece, le altre emissioni, connesse più o meno direttamente all’attività produttiva regolamentata, che il legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose perché superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di cautela imposte all’imprenditore. In questo senso si sono pronunciate chiaramente Cass. Sez. III, n. 40191 del 11.10.2007, dep. 30.10.2007, Schembri, nonché Cass. Sez. III, n. 2475 del 9.10.2007, dep. 17.1.2008, Alghisi. INQUINAMENTO ATMOSFERICO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Emissioni in atmosfera - Garanzia nei confronti dell'interesse collettivo alla salute e alla incolumità – Condotta attiva e omissiva - Art. 674 c.p. - Configurabilità del reato - Art. 40 cpv. c.p. - Obbligo di risultato - Principio di equivalenza tra causalità omissiva e causalità attiva – Fattispecie. Il soggetto al quale l'ordinamento attribuisce una posizione di garanzia nei confronti dell'interesse collettivo alla salute e alla incolumità, come il titolare di una impresa potenzialmente pericolosa, deve evitare di mettere a repentaglio quell'interesse, ovverosia ha l'obbligo di evitare ogni evento di pericolo. Su questa base, la disposizione incriminatrice contenuta nell'art. 674 c.p., come integrata dall'art. 40 cpv. c.p., pone a carico non solo ogni condotta attiva (generalmente dolosa), ma anche ogni condotta omissiva (in genere colposa) che provochi l'evento pericoloso. Quello che conta, secondo la "ratio" dell'istituto, è il risultato da evitare, non la condotta, sicché il legislatore si preoccupa di imporre al titolare della posizione di garanzia soltanto un obbligo di risultato, indipendentemente da ogni vincolo di comportamento. In questo senso, il principio di equivalenza tra causalità omissiva e causalità attiva si applica ai reati causali puri, caratterizzati dalla rilevanza dell'evento e dalla indifferenza della condotta. Nella specie era stata versata nell'atmosfera in Porto di Reggio Calabria e nelle aree circostanti di pubblico transito, nonché nelle vicine aree private, polveri di cemento derivanti dall'attività esercitata, atte ad imbrattare le civili abitazioni site nella zona adiacente il porto e a molestare le persone residenti in detta zona. INQUINAMENTO ATMOSFERICO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Art. 674 c.p. - Evento “versamento, emissione” e condotta attiva o omissiva – Qualificazione - Fattispecie: scarico del "clinker". L'ipotesi del "versamento" è strutturalmente omologa a quella della "emissione", giacché il significato della norma incriminatrice non sarebbe cambiato se il legislatore avesse punito non chiunque "versa", ma chiunque "provoca versamenti" (così come del resto non sarebbe cambiato se invece che punire chiunque "provoca emissioni" avesse punito chiunque "emette"). In entrambi i casi, insomma, è ravvisabile un evento (versamento, emissione) distinguibile dalla condotta che lo provoca, e questa condotta può essere sia attiva che omissiva. Fattispecie: scarico del "clinker" (una sostanza sabbiosa utilizzata per la produzione del cemento) dalle navi trasportatrici ai silos, e dai silos alle autocisterne utilizzate per il trasporto successivo, immettendo nell'atmosfera sottilissime polveri, che depositandosi all'esterno e all'interno delle abitazioni limitrofe cagionavano agli occupanti fastidi fisici tali da compromettere significativamente l'esercizio delle normali attività quotidiane. INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Immissione di polveri nell'atmosfera – Qualificazione giuridica – Versamento ed emissione, come eventi di pericolo - Omogeneità strutturale tra art. 674 c.p. e l'art. 279, c. 2, D.Lgs. n. 152/2006. L’immissione di polveri nell'atmosfera è compresa nella prima ipotesi dell'art. 674 c.p., giacché "nel

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concetto di <gettare> o <versare> rientra anche quello di diffondere, comunque, polveri nelle aree circostanti" (Cass. Sez. I, n. 447 del 22.9.1993, Pasini). In senso esattamente conforme si è pronunciata anche Cass. Sez. III, n. 42924 del 23.10.2002, Lorusso. La stessa omogeneità strutturale è ravvisabile in altre contravvenzioni extracodicistiche, come la emissione in atmosfera non rispettosa dei limiti fissati dalla normativa statale o regionale (di cui all'art. 25, comma 3, D.P.R. 24.5.1988 n. 203, ora sostituito dall'art. 279, comma 2, D.Lgs. 3.4.2006 n. 152) o lo scarico di acque reflue industriali senza rispettare i limiti tabellari prestabiliti dalle norme vigenti (di cui all'art. 59, comma 5, D.Lgs. 11.5.1999 n. 152, ora sostituito dall'art. 137, comma 5, D.Lgs. 3.4.2006 n. 152). Orbene, in tale categoria di reati può e deve sussumersi il versamento di polveri in atmosfera, come anche la emissione di vapori, gas e fumi, atti a imbrattare, offendere o molestare persone, trattandosi di contravvenzioni, strutturalmente omologhe, per le quali la norma incriminatrice tende a evitare l'evento pericoloso per la salute pubblica, indipendentemente dalle modalità comportamentali (positive o negative) con cui si realizza il versamento o l'emissione. Il versamento o l'emissione, come eventi di pericolo, sono modificazioni della realtà fenomenica che configurano il secondo elemento del rapporto causale. INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Nozione di “versamento” - Interpretazione estensiva – Giurisprudenza. Nella nozione di versamento, rientra sino a comprendervi la diffusione "comunque" (cioè in qualunque modo, attivo o passivo) di sostanze liquide o polverose, pericolose per la salute collettiva. Si iscrivono in tale orientamento Cass. Sez. I, n. 447 del 22.9.1993, Pasini, che ha ravvisato il reato "de quo" nella diffusione di polveri causate dalle operazioni di sbarco di farina da una nave; Cass. Sez. I, n. 3919 del 9.1.1995, P.M. in proc. Tinarelli e altri, che ha ritenuto la sussistenza del reato a carico dei responsabili di una ditta esercente la produzione di calcestruzzo che avevano omesso di asfaltare i piazzali di manovra degli autoveicoli, come già imposto da una ordinanza del sindaco; Cass. Sez. III, n. 6419 del 7.11.2007, Costanza e altri, che ha ravvisato il reato di cui all'art. 674 c.p. nel versamento di reflui maleodoranti causato da un depuratore difettoso, perché privo di vasca di decantazione. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/04/2009 (Ud. 12/02/2009), Sentenza n. 15734 INQUINAMENTO ATMOSFERICO - ARIA - Emissioni inquinanti - Molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori – Art. 674 c.p. - Limite della normale tollerabilità - Art. 844 cod. civ. – Tutela della salute e dell'incolumità delle persone. Si configura il reato di cui all'art. 674 c.p. in presenza di un evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori non solo nei casi di emissioni inquinanti in violazione dei limiti di legge, ma anche quando sia superato il limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ. [Cfr. Cassazione Sezione I n. 16693/2008]. Sicché "la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. è integrabile indipendentemente dal superamento dei valori limite d'emissione eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un'attività produttiva di carattere industriale autorizzata può procurare molestie alle persone, per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici, atteso che il reato "de quo" mira a tutelare la salute e l'incolumità delle persone indipendentemente dall'osservanza o meno di standards fissati per la prevenzione dall'inquinamento atmosferico" [Cassazione Sezione III n. 38936/2005, Riva]. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Lavoro e previdenza

Tribunale di Genova 22 gennaio 2009, n. 26 Maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto - Azione per il riconoscimento - Proposizione anticipata - Ammissibilità È ammissibile l’azione del lavoratore, il quale, pur non avendo conseguito il diritto alla prestazione

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pensionistica, richieda all’autorità giudiziaria l’accertamento del diritto al riconoscimento della maggiorazione per l’esposizione all’amianto sul presupposto sia dell’esistenza (almeno in astratto) del diritto fatto valere, anche prima della maturazione del diritto alla pensione, sia dell’interesse attuale ad un accertamento, in presenza di contestazione seria e del rischio, in caso di rinvio dell’attività probatoria, di una dispersione delle prove.

Nota - L’attore in via subordinata chiedeva il riconoscimento del diritto del beneficio pensionistico pur non avendo ancora maturato i requisiti per la pensione. La difesa dell’Inps sosteneva che la domanda subordinata sarebbe inammissibile sino a quando l’interessato non avesse maturato i requisiti per la pensione a prescindere dalla rivalutazione pari all’1,25 per esposizione all’amianto. La tesi sarebbe suffragata da uno specifico precedente dello stesso Tribunale di Genova (sentenza n. 1654/2007). È opportuno riportare un passo della parte motiva della suddetta decisione in cui si rileva, che: «...l’esposizione ad amianto» (dedotta in causa) «rileva ai soli finì della determinazione dell’importo della prestazione pensionistica con la conseguenza che, sino a quel momento, e, cioè, sino al momento del conseguimento della prestazione pensionistica, il lavoratore non può vantare alcun diritto attuale al riconoscimento da parte dell’Inps a fini contributivi, perché sino a quel momento della pensione, non è attuale la maggiorazione; conseguentemente il lavoratore non ha alcun interesse attuale all’accertamento dell’esposizione. Per i motivi esposti deve essere ritenuta l’inammissibilità della domanda per difetto d’interesse ad agire ed il ricorso va respinto». Nel passo appena trascritto si conclude che il lavoratore non ha interesse ad agire perché fa valere un diritto, cioè la pretesa ad una maggiorazione contributiva, che non è attuale. In questa argomentazione, afferma il Tribunale, nell’attuale sentenza in commento, si confondono due aspetti ben distinti: la sussistenza del diritto dedotto in giudizio da un lato, l’interesse ad agire dall’altro. Se manca il diritto dedotto in giudizio, mancanza accertata in astratto, senza necessità di ricorrere ad un’apposita istruttoria (nella specie se non è ravvisabile nemmeno in astratto la maggiorazione contributiva richiesta), la domanda va respinta per insussistenza del diritto stesso. Il tema dell’interesse ad agire, quale condizione dell’azione, rileva sul presupposto dell’esistenza (almeno in astratto, impregiudicato l’esito dell’eventuale istruttoria) del diritto fatto valere. Nel caso in esame, argomenta quindi il Tribunale, va quindi posta innanzitutto una prima domanda; col ricorso introduttivo si deduce una situazione soggettiva suscettibile di accertamento in sede giurisdizionale? Solo in caso di riposta affermativa si porrà il successivo problema circa la sussistenza o meno dell’interesse ad agire. 1) A proposito del primo quesito osserva il Giudicante che: la giurisprudenza ha escluso che siano deducibili avanti al giudice questioni soltanto teoriche, ai fini di una pronuncia dal contenuto astratto e congetturale (in tal senso Cass. 25.5.1982, n. 3198, in Giust. civ. Rep. 1982 v. lavoro rapporto di 1161); ha altresì escluso che possano costituire oggetto delle azioni di accertamento meri fatti sia pure giuridicamente rilevanti (Cass. 2.2.1982, n. 624, in Giust. civ. Rep. 1982 v. procedimento civile 11). Nella specie non ricorrono tali estremi, atteso che l’attore chiede il riconoscimento di un accredito contributivo, assimilabile ad un contributo figurativo, e rilevante, come si è visto, al solo fine di determinare la misura della pensione stessa, quando verrà a maturare. L’attore chiede, in altri termini, di accertare la portata della sua contribuzione attuale, da valutare, sia pure al solo fine del calcolo della futura pensione, non nell’ammontare X (pari alla contribuzione effettiva), bensì nell’ammontare X moltiplicato 1,25. Ora specifiche norme di legge, precisamente l’art. 54, legge n. 88/1989 e l’art. 47, c. 5, Dl 30.9.2003, n. 269, convertito dalla legge 24.11.2003, n. 326, in modo non equivoco riconoscono all’interessato il diritto all’accertamento della propria posizione contributiva durante tutto l’arco del rapporto previdenziale, sia prima che dopo la maturazione della pensione. La prima norma recita: «È fatto obbligo agli enti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell’interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica. La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta». È appena il caso dì rilevare che la richiesta di una certificazione sulla propria situazione previdenziale e pensionistica non è che esercizio del diritto di accertare la suddetta posizione. L’altra norma, l’art. 47, c. 5, del citato decreto, prevede la decadenza dal beneficio alla rivalutazione contributiva, compresa la rivalutazione pari ad 1,25, prevista al solo fine di determinare la misura della maturanda pensione. Anche tale norma conferma, in modo non equivoco, che il suddetto beneficio

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è attuale, pur se non è ancora sorto il diritto a prestazioni pensionistiche. Altrimenti, in contrasto col buon senso, oltre che con principi giuridici fondamentali, il legislatore avrebbe assurdamente contemplato una situazione soggettiva che incorre in decadenza prima ancora di nascere. In un’altra grave incongruenza incorre la tesi contestata. La decadenza in questione viene impedita esclusivamente dalla proposizione di un apposito procedimento amministrativo. Ai sensi dell’art. 443 c.p.c., nelle controversie in materia previdenziale ed assistenziale l’esperimento del previo procedimento amministrativo è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Si prospetti l’ipotesi di un soggetto che intenda chiedere la rivalutazione contributiva pari ad 1,25, ai fini della mera determinazione della pensione, e che maturi i 35 anni di contribuzione in epoca successiva, anche di diversi anni, al 15.6.2005. In questa ipotesi, chi segue la tesi qui contestata deve concludere che l’interessato sarebbe gravato, a pena di decadenza, dall’onere di promuovere un procedimento amministrativo, quale condizione di procedibilità di un’azione giudiziaria attualmente inammissibile. È evidente la incongruenza di una simile disciplina. Alla domanda sopra formulata, arriva alla conclusione il Tribunale, va quindi data una risposta affermativa, sicché deve ritenersi che nel presente giudizio si chiede l’accertamento di una situazione soggettiva già sorta (in astratto). 2) A fronte di una domanda di mero accertamento si pone l’ulteriore problema circa la sussistenza o meno dell’interesse ad agire. Secondo una consolidata giurisprudenza della S.C., nella azioni di mero accertamento l’interesse ad agire trae origine da uno stato di incertezza oggettiva, cioè di incertezza valutabile secondo criteri tipici, sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti ed obblighi da esso scaturenti (vedi in tal senso, tra le altre e più recenti, Cass., sez. II, n. 13556 del 26.5.2008; Cass., sez. lav., n. 4496 del 21.2.2008; Cass., sez. II, n. 17026 del 26.7.2006; Cass., sez. lav., n. 9172 del 7.6.2003). Secondo l’opinione dominante in dottrina una contestazione deve essere seria per integrare Io stato di incertezza quale presupposto per l’interesse ad agire. Nel caso in esame, la contestazione è da ritenere seria perché proviene dalla pubblica amministrazione, è manifestata in un procedimento amministrativo il cui oggetto è proprio l’accertamento della situazione soggettiva dedotta in giudizio, e la contestazione stessa permane in sede giurisdizionale. Nella fattispecie in esame l’interesse ad un accertamento attuale si conferma sotto un ulteriore profilo. L’odierno attore ha l’onere di provare di essere stato esposto, a causa della sua attività lavorativa, ad inalazione di fibre di amianto, ed in misura superiore alla soglia stabilita dalla normativa del settore. È chiaro che rinviare, anche di diversi anni, l’espletamento di tale attività probatoria, comporta il rischio di una dispersione delle prove. Sussiste, quindi, anche l’interesse ad agire in ordine alla domanda introduttiva del presente giudizio. Non è quindi condivisibile, per il Giudicante odierno, la tesi che ravvisa l’inammissibilità della domanda introduttiva, per insussistenza della situazione soggettiva fatta valere, o per difetto di interesse ad agire, sino a quando l’interessato non abbia altrimenti (cioè senza la rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto) maturato il diritto alla pensione. La tesi non è condivisibile perché, si pone in chiaro contrasto con specifiche norme di legge, è infondata sotto il profilo sistematico, e rende incongruente la stessa disciplina legislativa. (Massimo Viceconte, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21, p. 39)

Pubblica Amministrazione

Corte di Cassazione, Sezione VI penale, sentenza 30 dicembre 2008, n. 48380 Malversazione a danno dello Stato – Elemento materiale - Consumazione. (Cp, articolo 316-bis) Il reato di malversazione previsto dall’articolo 316-bis del Cp è integrato dalla condotta di chi, ottenuto un finanziamento o un contributo o una sovvenzione da parte dello Stato per la realizzazione di una determinata finalità pubblica, destina, anche parzialmente, i fondi ricevuti per scopi diversi da quelli per cui erano stati ottenuti e si perfeziona nel momento in cui si attua la mancata destinazione dei fondi.

NOTA. La Cassazione opera una corretta applicazione del reato previsto e punito dall’articolo 316-bis del Cp (malversazione a danno dello Stato), che punisce il fatto di «chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità

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europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità». Trattasi, come è noto, di una norma di tutela della “destinazione” dei finanziamenti pubblici, che mira a contrastare la condotta di chi, ottenuto un finanziamento (a fondo perduto o a onerosità attenuata rispetto alle ordinarie regole di mercato, e perciò) con vincolo di destinazione alla soddisfazione di un determinato interesse pubblico, non lo impieghi per soddisfare la finalità preordinata. La finalità della previsione incriminatrice è da ravvisare, quindi, nell’esigenza di tutelare la corretta utilizzazione del denaro pubblico, con la punizione, in una tale ottica, di qualsivoglia utilizzo della somma per scopi diversi da quelli considerati e fatti propri dalla pubblica amministrazione quale “causa” dell’erogazione, con conseguente mancata realizzazione di questi. Con la punizione della malversazione, in sostanza, volendosi soddisfare l’esigenza di tutelare la corretta, concreta utilizzazione del denaro erogato dalla pubblica amministrazione, si sanzionano, così, le condotte “successive” al conseguimento di finanziamenti pubblici, che importino violazione del vincolo di destinazione imposto dal precetto che ha autorizzato l’erogazione. La norma presuppone un finanziamento regolarmente richiesto e percepito, rispetto a situazioni dove il “vizio comportamentale” attiene al mancato adempimento del vincolo di destinazione, quindi un momento successivo rispetto a quello dell’erogazione (per riferimenti, sezione VI: 28 settembre 1992, Scotti; 27 maggio 1998, Cosentini; nonché, 6 giugno 2001, Proc. gen. Campobasso in proc. Gilotti e altri). Ciò premesso, si spiega come, nella specie, correttamente il reato di malversazione sia stato ravvisato nella condotta degli imputati che, avendo ottenuta la prima rata di un contributo ex lege n. 488 del 1992, erogato dallo Stato per un programma di investimento nell’ambito di un’attività produttiva, non lo avevano destinato a tale finalità, giacché una parte l’avevano utilizzata per pagamenti non dovuti, una parte l’avevano investita in titoli e un’ulteriore parte l’avevano depositata in un libretto di risparmio nominativo: in tale modo utilizzando il contributo nel proprio personale interesse. (Guida al Diritto, Il Sole-24 Ore, 16 Maggio 2009, n. 19, p. 91)

Corte di Cassazione, Sezione VI penale, sentenza 7 aprile 2009, n. 14977 Concussione - Abuso di potere - Condotta ostruzionistica - Rilevanza. (Cp, articolo 317) Integra il reato di concussione la condotta ostruzionistica e, quindi, abusiva del pubblico ufficiale nella trattazione di una pratica amministrativa, evolutasi, poi, in esplicita richiesta mediata di denaro per porre termine alla detta pratica dilatoria, ravvisandosi, in tale situazione, in ragione della posizione di preminenza del pubblico ufficiale, lo stato di disagio e di notevole condizionamento del soggetto passivo, così determinato alla dazione (o alla promessa) indebita di denaro, onde evitare conseguenze per sé pregiudizievoli. (Guida al Diritto, Il Sole-24 Ore, 16 Maggio 2009, n. 19, p. 92)

Rifiuti

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. V – 18 maggio 2009, n. 2702 RIFIUTI – Ordinanza ex art. 13 d.lgs. n. 22/97 a tutela della salute pubblica e dell’ambiente – Proroga reiterata – Competenza del Sindaco – Esclusione. L’art. 13 D.Lgs. 22/1997 prevede che le ordinanze a fini di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, non possono avere efficacia superiore a sei mesi. Al quarto comma si prevede che le ordinanze contingibili e urgenti di cui al primo comma non possono essere reiterate più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della Regione d’intesa con il ministero dell’Ambiente può adottare, sulla base di specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini. Ne deriva che non è di competenza del sindaco la proroga, per la quarta volta, della medesima requisizione nei confronti del medesimo soggetto): in caso di ulteriori esigenze di proroga e in caso di comprovate necessità, la competenza è del Presidente della Regione d’intesa del Ministero dell’Ambiente, o del commissario straordinario. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. V – 18 maggio 2009, n. 2689 RIFIUTI – Emergenza rifiuti nella Regione Campania – Art. 2, c. 6 d.l. n. 90/2008 – Poteri d’urgenza in materia ambientale e di igiene pubblica connessi alla gestione dei rifiuti – Intesa tra il Sindaco e il Sottosegretario all’Emergenza Rifiuti – Profili oggettivo e soggettivo. In forza dell’art. 2, c. 6, del d.l. 23.05.2008, n. 90, convertito dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, nella Regione Campania, l’esercizio da parte del sindaco dei poteri d’urgenza in materia ambientale e di igiene pubblica comunque connessi alla gestione dei rifiuti deve «combinarsi» con quelle proprie e prevalenti del Sottosegretario all’Emergenza Rifiuti in Campania, organo cui è stato demandato il compito di gestire la fase transitoria a decorrere dalla liquidazione del Commissario Straordinario alla cessazione dello stato di emergenza, fissato al 31.12.2009. Tale intesa si concretizza, sotto il profilo oggettivo, in un provvedimento il cui contenuto sia condiviso, quanto all’an, al quando ed al quomodo, da entrambi gli organi cui la legge attribuisce il potere e, sotto il profilo soggettivo, nell’imprescindibile emanazione congiunta dello stesso da parte del Sottosegretario e del sindaco, o mediante la sottoscrizione di entrambi ovvero mediante acquisizione, preventiva, da parte di quest’ultimo del consenso del primo alla «proposta» di ordinanza d’urgenza da assumersi. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II – 15 maggio 2009, n. 1038 INQUINAMENTO – Deposito abusivo di rifiuti speciali - Bonifica – Ordinanza diretta al proprietario incolpevole – Illegittimità – Responsabilità – Individuazione – Artt. 17 d.gls. n. 22/97 e 3,9 3 13 D.P.R. n. 915/82. Ai sensi degli artt. 3 comma 3, 9 e 13 del D.P.R. 915/82 il proprietario dell'area sulla quale siano stati depositati rifiuti speciali non è tenuto allo smaltimento degli stessi ed alla bonifica dell'area stessa laddove non abbia in alcun modo contribuito a causare il danno ambientale. Ne discende l’illegittimità delle ordinanze con cui la bonifica è stata imposta alla proprietà senza alcuna valutazione dei comportamenti intrapresi e del loro collegamento causale con l'evento dannoso, e senza svolgere alcuna indagine tesa ad accertarne la responsabilità dell'illecito. In assenza di uno specifico accertamento di responsabilità del proprietario, infatti, il Comune avrebbe dovuto limitarsi a portare a conoscenza di questi la necessità di procedere alla bonifica dell’area, al fine di consentirgli la possibilità di esercitare la facoltà di porre in essere gli interventi di recupero ambientale, in modo tale da evitare l'esproprio connesso all'onere reale gravante sul suo terreno (cfr. art. 17 d.lgs. n. 22/97) (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I – 8 maggio 2009, n. 320 RIFIUTI – Art. 17, c. 5 d.lgs. n. 36/03 – Richiamo all’art. 12 – Significato. Il richiamo all’art. 12 contenuto nel comma 5 dell’art. 17 del d.lgs. n. 36/2003 (“in caso di mancata approvazione del Piano di cui al comma 3, l'autorità competente prescrive modalità e tempi di chiusura della discarica, conformemente all'articolo 12, comma 1, lettera c.”) non significa che la Provincia deve iniziare un procedimento ad hoc per la chiusura, essendo in re ipsa che la reiezione del Piano ha come conseguenza la chiusura della discarica (non adeguabile), per impossibilità di continuare il conferimento di rifiuti; ma, più semplicemente, che il diniego di approvazione del Piano di Adeguamento costituisce uno dei “gravi motivi”, che impongono la chiusura della discarica, proprio per prevenire “danni all'ambiente e alla salute”. RIFIUTI – Discarica in attività al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/03 – Piano di adeguamento – Garanzie finanziarie. La circostanza che una discarica fosse in attività alla data di entrata in vigore del D.Lg. 36/03 la fa indiscutibilmente rientrare tra quelle per cui è obbligatoriamente prevista la presentazione del

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Piano di Adeguamento, nonché fra quelle per le quali - qualsiasi sia l’esito del procedimento di approvazione del Piano stesso - sussiste l’obbligo di effettuarne quantomeno la chiusura nel rispetto di tutte le nuove previsioni normative. Le stesse argomentazioni valgono per le garanzie finanziarie: è evidente, dall’art. 17, c. 3, che il legislatore ha avuto ben presente la situazione delle discariche già in avanzata fase di coltivazione al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa, per le quali non è stata prevista l’esenzione delle garanzie, bensì un riduzione delle stesse; così come ha avuto presente la situazione delle discariche che essendo già esaurite (ma non ancora ricomposte) sono gravate solo dall’onere di fornire garanzie per la gestione post-mortem. Tutte le discariche ancora attive al momento dell’entrata in vigore del D.Lg. 36/03 sono soggette - in misura ovviamente diversa, secondo la singola situazione di fatto - alla prestazione delle garanzie di durata trentennale. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I – 8 maggio 2009, n. 306 RIFIUTI – Regione Friuli Venezia Giulia - Art. 1, c. 3 L.r. 32/2005 – Piano di monitoraggio ARPA – Predisposizione dei piezometri – Lavori di adeguamento. Il piano di monitoraggio ARPA conseguente alla predisposizione di almeno tre piezometri da concordare con l’ARPA nulla ha a che vedere con i lavori di adeguamento conseguenti all’approvazione del relativo piano. Trattasi di un incombente che deriva direttamente dall’art. 1, comma 3 della l.r. 32/2005 “modifiche all’art. 4 della l.r 15/2005” che ne ha imposto l’effettuazione a tutti i gestori di discariche ( non essendovi alcuna limitazione che permetta di escludere quelle di inerti) entro tre mesi dall’entrata in vigore di detta legge e che comporta a carico dei gestori degli impianti l’onere di attivarsi al fine di coordinarsi con l’ARPA per la “localizzazione, dimensionamento e altri aspetti tecnici”. Dopo che i suddetti piezometri saranno stati realizzati scatterà per l’ARPA l’obbligo di effettuare un piano di monitoraggio delle falde. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV – 7 maggio 2009, n. 3651 RIFIUTI – Rifiuti contenenti idrocarburi – Assegnazione della caratteristica di pericolo H7 “cancerogeno” – Art. 6 quater del D.L. 208/08 conv. in L. n. 13/09 – Metodica. L’art. 6 quater del D.L. 208\08 convertito con modificazioni nella L. 13\09 fissa i criteri di classificazione dei rifiuto contenenti idrocarburi ai fini dell’assegnazione della caratteristica di pericolo H7 “ cancerogeno” rimandando alla Tabella A2 dell’Allegato A del Decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 7.11.08. La metodica che può ricavarsi dalla lettura della Tabella A2 è conforme a quanto, peraltro, era contenuto in due pareri dell’Istituto Superiore di Sanità del 2004 e del 2006 ed in uno dell’APAT del 2006; essa, infatti, prevede che, qualora la presenza degli idrocarburi totali superi la soglia dello 0,1%, sarà necessario procedere ad ulteriore analisi per verificare se, all’interno della frazione di idrocarburi presenti nel rifiuto da classificare come pericoloso o meno, siano presenti specifiche sostanze indicate come cancerogene in misura superiore alla soglia che le qualifica come pericolose.

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV – 7 maggio 2009, n. 3650 RIFIUTI – URBANISTICA ED EDILIZIA – Impianto di trattamento – Valutazione dell’utilità – Variazione dello strumento urbanistico – Ulteriore motivazione – Necessità – Esclusione. La valutazione della utilità dell’impianto di trattamento rifiuti è sufficiente per determinare la variazione dello strumento urbanistico comunale senza che debba darsi una specifica motivazione del perché non si sia scelta un’area compatibile urbanisticamente con l’attività da autorizzare.

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TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV – 7 maggio 2009, n. 3648 RIFIUTI – Discariche – Discariche esistenti – Disciplina transitoria ex art. 17 d.lgs. n. 36/03 – Piano di adeguamento – Discarica esaurita – Gestione post-operativa – Fideiussione – Esigibilità – Esclusione. La disciplina transitoria prevista dall’art. 17 D. lgs. 36\03 prevede la presentazione di un piano di adeguamento per le discariche esistenti con la previsione delle garanzie di cui all’art. 14 del medesimo decreto. La normativa non precisa se il piano di adeguamento e gli obblighi connessi debbano essere applicati anche ad impianti chiusi o in cui alcuni lotti sono ormai esauriti. Tuttavia, ancorché l'art. 3 precisi che "le disposizioni del presente decreto si applicano a tutte le discariche" di cui all'art. 2, comma 1, lett. g) e, di conseguenza, correttamente, la Regione escluda solo quelle "già chiuse, cioè per le quali era già stata inoltrata la comunicazione di fine lavori" (il che fa rientrare nella previsione generale quella gestita dalla ricorrente), il successivo art. 8 stabilisce che l'obbligo "di gestione post-operativa per un periodo di almeno trent'anni" deve essere contenuto nella "domanda di autorizzazione", e ciò ovviamente non può riferirsi che alle "nuove" domande di autorizzazione. Un indizio del fatto che il legislatore, quando nell'art. 17 ha imposto i piani di adeguamento per tutte le strutture esistenti, si riferiva, solo a quelle in piena attività, si ritrova inoltre nel comma IV, ove è detto che con il provvedimento di approvazione del piano di adeguamento l'autorità competente "autorizza la prosecuzione dell'esercizio della discarica". All'evidenza, se essa è invece esaurita, non vi sarà spazio né per aumentare la durata della gestione successiva oltre il termine fissato nell'autorizzazione originaria, né per imporre nuove garanzie finanziarie non collegabili ai prezzi praticati durante l'attività.” Sicchè, il mancato recupero dei nuovi oneri dovuti alla normativa sopravvenuta nei confronti dei clienti come previsto dalla normativa comunitaria, impone ai gestori un piano di adeguamento per disciplinare la fase di chiusura, messa in sicurezza e gestione post-operativa, ma non consenta alle Regioni di prevedere una fideiussione per la fase della gestione post-operativa. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. II – 7 maggio 2009, n. 1826 RIFIUTI – Terreno adibito a discarica da parte di terzi – Ordinanza sindacale diretta al proprietario – Art. 192, c. 3 d.lgs. n. 152/06 - Comunicazione di avvio del procedimento – Accertamento in contraddittorio – Verifica dei presupposti del dolo o della colpa – Generica violazione dell’obbligo di vigilanza – Insufficienza. Nei casi di ordinanze sindacali dirette anche contro il proprietario di un terreno, adibito a discarica da parte di terzi, invito domino è doverosa la comunicazione d’avvio del procedimento, così come è doveroso, ai sensi dell’art. 192 comma 3° del d. l.vo 152/06, effettuare l’accertamento, da parte dei soggetti preposti al controllo, in contraddittorio con i proprietari ovvero con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area; nel contempo è richiesto un accertamento - in positivo - dei presupposti del dolo o della colpa del proprietario del terreno, o del titolare di altro diritto reale o personale di godimento dell’area, non essendo sufficiente, ai fini della prova di tale indefettibile elemento psicologico, la mera deduzione, da parte della P. A. procedente, di una generica violazione dell’obbligo di vigilanza. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR TOSCANA, Sez. II – 6 maggio 2009, n. 772 RIFIUTI – Art. 14 d.lgs. n. 22/97 – Ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati – Comunicazione di avvio del procedimento – Necessità – Art. 192, c. 3 d.lgs. n. 152/2006. L’ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati ex art. 14 d.lgs. n. 22/97. deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio ai soggetti interessati, stante la rilevanza dell’eventuale apporto procedimentale che questi possono fornire, almeno con riguardo all’accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti: ciò tanto più che l’esigenza di un effettivo contraddittorio tra Amministrazione procedente e tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nel fatto è

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espressamente prevista, nelle fattispecie come quella ora in esame, dall’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente). Anche a voler ammettere che l’irrogazione della sanzione ripristinatoria ex art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997, costituisca attività vincolata (cfr. T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 28 ottobre 2004, n. 1164), è tuttavia vero che, in via generale, la comunicazione ex art. 7 della l. n. 241 cit. è dovuta anche in caso di attività vincolata della P.A., quando la partecipazione del privato possa apportare un contributo sull’accertamento dei presupposti di fatto necessari per l’emanazione del provvedimento. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Sicurezza ed igiene del lavoro

Corte di Cassazione, sez. lavoro, 9 marzo 2009, n. 6454 Lavoro - Lavoro subordinato - Diritti ed obblighi del datore e del prestatore di lavoro - Tutela delle condizioni di lavoro - Inosservanza delle misure necessarie a tutelare l’integrità del dipendente - Responsabilità del datore di lavoro - Necessità della colpa - Sussistenza - Incompatibilità tra stato di salute e mansioni - Mancata conoscenza da parte del datore di lavoro - Responsabilità - Insussistenza L’articolo 2087 del codice civile, il quale fa carico al datore di lavoro di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità del dipendente, introduce un dovere che trova fonte immediata e diretta nel rapporto di lavoro e la cui inosservanza, ove sia stata causa di danno, può essere fatta valere con azione risarcitoria. Tuttavia, è pur sempre necessario che siano ravvisabili, nella condotta del datore di lavoro, profili di colpa cui far risalire il danno all’integrità fisica patito dal dipendente. Pertanto, quando l’espletamento delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza sia incompatibile con lo stato di salute del lavoratore e comporti l’aggravamento di una preesistente malattia, non può ritenersi responsabile il datore di lavoro per non aver adottato le misure idonee a tutelare l’integrità fisica del dipendente, ove non risulti che egli era a conoscenza dello stato di salute di quest’ultimo e dell’incompatibilità di tale stato con le mansioni affidategli.

Nota. La fattispecie decisa con la sentenza in questione riguarda un dipendente della Rete Ferroviaria Italiana che ha adito il giudice del lavoro per il riconoscimento della dipendenza dell’aggravamento della patologia che lo aveva colpito da causa di servizio, con conseguente diritto all’equo indennizzo (istituto introdotto per gli impiegati civili dello Stato dall’art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed applicabile anche al personale delle Ferrovie in virtù del rinvio operato allo statuto dei dipendenti civili dello Stato dall’art. 209 della legge 26 marzo 1958, n. 425), nonché al risarcimento del danno biologico ex art. 2087 c.c. In primo grado venivano riconosciuti la causa di servizio della patologia denunciata e l’equo indennizzo, ma veniva respinto il capo della domanda volto al risarcimento del danno biologico, ex articolo 2087 del codice civile., non ravvisando alcuna colpa a carico del datore di lavoro nell’affidamento delle mansioni da svolgere e nella causazione dell’infermità. La decisione veniva poi confermata in appello, osservando che «sporadici episodi d’ipertensione, aventi normale decorso e manifestazione, non consentivano di ipotizzare la consapevolezza in capo al datore di lavoro del carattere morbigeno delle mansioni in relazione al particolare status e, quindi, la violazione dell’obbligo di adibire il dipendente a mansioni d’altro tipo». È necessario, hanno sottolineato i giudici di secondo grado, che il datore di lavoro sia in qualche modo consapevole della patologia e della necessità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, anche sulla base alla gravità dei sintomi, alle modalità in cui si manifestano e alla loro frequenza. Sotto tale profilo, un rilievo non secondario riveste lo stesso comportamento del lavoratore, che abbia reso edotto il datore di lavoro del proprio stato, sollecitandolo motivatamente ad un provvedimento di variazione delle mansioni: ciò che nel caso di specie non era avvenuto. La Suprema Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, confermando l’orientamento sintetizzato nella massima in epigrafe (in senso conforme si vedano Cass. 7 novembre 2007, n. 23162; Cass. 22 aprile 1997, n. 6455). È pur vero, quindi, che il datore di lavoro è tenuto ex art. 2087 c.c. ad adottare tutte le misure

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idonee ad evitare il verificarsi o l’aggravarsi di un danno alla salute dei propri dipendenti anche adibendoli ove possibile e senza per questo dover appositamente modificare la propria organizzazione di impresa a mansioni diverse e compatibili con lo stato di malattia denunciato. Tuttavia, perché possa configurarsi una responsabilità risarcitoria, occorre pur sempre l’elemento soggettivo della colpa. Con tale decisione, in buona sostanza, si conferma l’assunto generale secondo il quale l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Sul punto si veda, ex plurimis, Cass. 11 aprile 2007, n. 8710: «il dovere di prevenzione imposto dal datore di lavoro dall’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Non può, quindi, desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l’evento sia sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norma di fonte legale o suggerita dalla tecnica, ma concretamente individuati ». Nel caso di specie la colpa del datore di lavoro è stata esclusa sulla base della considerazione che la lamentata mancata adibizione a mansioni diverse che avrebbero impedito l’aggravamento della patologia, riconosciuto come dipendente da causa di servizio, non era stata neppure adeguatamente sollecitata, a fronte, peraltro, di una sintomatologia né particolarmente evidente né frequente. (Toffoletto e Soci, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21, p. 31)

Tribunale di Bolzano 3 febbraio 2009 Infortunio sul lavoro - Prescrizione - Prova - Danno biologico - Danno differenziale – Eccezione - Risoluzione - Comportamento La dichiarazione del lavoratore di tacitazione di ogni avere, contenuta nella conciliazione sottoscritta avanti all’ufficio del lavoro, comporta rinunzia tanto ai diritti patrimoniali che a quelli non patrimoniali discendenti dal rapporto di lavoro.

Nota. Con ricorso depositato avanti al Tribunale adito il ricorrente, già dipendente della società convenuta, conveniva in giudizio l’ex datrice di lavoro, chiedendo il riconoscimento del diritto al risarcimento ex art. 2087 c.c. dei danni derivanti da un infortunio sul lavoro. Radicatosi il contraddittorio, la società convenuta eccepiva, in via preliminare di merito, la prescrizione decennale del diritto azionato nonché domandava il rigetto della pretesa per intervenuto accordo transattivo di rinuncia da parte del ricorrente di ogni pretesa, concludendo comunque per la reiezione nel merito per infondatezza. Sulla base della documentazione acquisita, la causa veniva decisa nelle forme previste ex art. 281sexies e 429, comma 2, c.p.c. Il Tribunale respingeva la domanda avanzata dal ricorrente ritenendo fondata e assorbente l’eccezione di prescrizione, in quanto l’infortunio sul lavoro era occorso oltre dieci anni prima rispetto alla data di richiesta del tentativo di conciliazione avanzata alla competente Direzione provinciale del lavoro contenente la richiesta stragiudiziale di risarcimento del danno biologico ex art. 2087 c.c. Ad abundantiam veniva ritenuta fondata anche l’eccezione di res transata sollevata dal datore di lavoro con riferimento alla conciliazione sottoscritta per risolvere consensualmente il rapporto di lavoro. Con il predetto accordo, nel definire gli effetti derivanti dalla conclusione del rapporto di lavoro, la parte convenuta riconosceva un importo «a completa tacitazione di ogni avere in dipendenza del rapporto di lavoro e della sua risoluzione». Il Tribunale rilevava, pertanto, che il richiamo ad ogni avere discendente dal rapporto di lavoro valeva a ricomprendere nell’oggetto del negozio tanto i diritti patrimoniali che quelli non patrimoniali. Inoltre, veniva rilevato che il ricorrente era consapevole della rinunzia a tutti i diritti derivanti dal rapporto di lavoro, compresi i danni derivanti dal dedotto infortunio, tenuto conto che la conciliazione era intervenuta subito dopo la richiesta del tentativo di conciliazione con la quale era stato rivendicato il danno biologico oggetto del giudizio. Da ultimo veniva data rilevanza anche al comportamento tenuto dal lavoratore che soltanto dopo diversi anni dalla sottoscrizione dell’accordo avanzava domanda di risarcimento del danno differenziale e complementare. (Stefano Ascioni, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2009, n. 19)

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Appalti

La scelta dipende dalle regole del capitolato Le clausole dei bandi di gara sono di particolare importanza, perché la scelta di uno o altro contraente dipende da ciò che tali clausole prevedono, e dalla loro interpretazione. Un esempio della loro importanza si ritrova in una recente sentenza del Tar Lazio - Roma, sezione III, del 7 maggio 2008, n. 3713, che ha considerato legittima la clausola di un bando di gara che limitava il raggruppamento delle imprese che intendevano partecipare alla gara. Vittorio Italia, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24 Ore, 16 maggio 2009, n. 20, p. 64 IL CASO E LA SENTENZA Il caso riguardava una gara relativa a forniture sanitarie (apparecchiature sanitarie per l'incontinenza e servizi connessi), strutturata in quattro autonomi lotti, che doveva essere aggiudicata con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, e con la presentazione di un'offerta per ciascuno di questi lotti. Il bando della gara e il disciplinare prevedevano la clausola della non ammissione alla gara di quelle imprese che - anche avvalendosi di società terze - non fossero in grado di soddisfare singolarmente i requisiti economici e tecnici. Alcune imprese hanno impugnato il bando di gara e il disciplinare che contenevano entrambi questa clausola, sostenendo che questo divieto contrastava con la normativa comunitaria e nazionale che stabilisce invece il principio secondo il quale gli operatori economici possono partecipare alle procedure degli appalti pubblici sia singolarmente sia in forma associata, sempre che ogni impresa possieda i requisiti di capacità tecnica richiesta. Questa clausola di non ammissione - secondo i ricorrenti - introduceva nel bando «elementi di illogicità, irragionevolezza e sproporzionalità rispetto alla specificità del servizio oggetto della gara», determinando il carattere discriminatorio dei criteri di selezione. I giudici non hanno accolto questa tesi, e hanno ritenuto legittima questa clausola, sulla base delle seguenti argomentazioni, qui sintetizzate: 1) la tutela della concorrenza è preordinata ad assicurare la tutela della libertà di iniziativa economica, e «non può non presupporre delle limitazioni alla condotta delle singole imprese»; 2) il mercato relativo a questi prodotti sanitari è caratterizzato dalla presenza di un numero limitato di imprese di notevoli dimensioni e dalla presenza di imprese di dimensioni più ridotte. In conseguenza, sono pochissime le imprese operanti in questo comparto che hanno individualmente i requisiti tecnici e finanziari, e quindi, se si fosse consentito a queste imprese di associarsi per la gara, vi sarebbe stata la conseguenza che le imprese di dimensioni grandi - attraverso il sapiente utilizzo di questa associazione - avrebbero svuotato di contenuto l'effettiva concorrenza tra esse; mentre le imprese di dimensioni più ridotte avrebbero avuto maggiori difficoltà nel partecipare a questa gara; 3) la clausola aveva la finalità di garantire una situazione effettiva di concorrenza, stabilita nelle norme e nei principi comunitari. La sentenza è esatta, e la soluzione alla quale sono pervenuti i giudici è dipesa da questa clausola di non ammissione e dalla interpretazione che a essa è stata data. È quindi opportuno fermare l'attenzione sulle clausole che possono essere contenute nei contratti e nei bandi di gara e sulla loro interpretazione. CLAUSOLE E INTERPRETAZIONE Come è noto, le clausole sono delle espressioni che, secondo il significato etimologico (clausula, da chiave, chiusura) esprimono qualcosa destinato a chiudere, e a evidenziare un solo e determinato

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significato. Tali clausole sono chiamate anche clausole generali perché si possono applicare a una generalità di contenuti e fattispecie. Nel passato, le clausole inserite nei contratti e nei testamenti (ad esempio: salvo i diritti del terzo, oppure: nonostante qualsiasi eccezione, oppure secondo coscienza) erano interpretate sulla base della volontà di chi le aveva inserite in questi atti. Se si consultano i vecchi volumi giuridici (ad esempio, Cambano-Ugone, Tractatus de clausulis et conclusionibus utriusque iuris, Venezia, 1570) si troverà l'affermazione che «le parole ambigue od oscure delle clausole sunt intelligenda secundum mentem loquentis, cioè devono essere interpretate secondo l'intenzione di colui che le ha pronunciate». In prosieguo di tempo, le clausole inserite in un contratto sono state considerate come «imperativi giuridici negoziali» (così, ad esempio, Grassetti, Clausole del negozio, in Enciclopedia del diritto), e i criteri della loro interpretazione sono oscillati tra l'interpretazione della legge e quella del contratto. Nel sistema normativo contemporaneo si riscontrano molte clausole, sia nel Codice dei contratti pubblici, sia in molti contratti e bandi. Si pensi alle seguenti clausole contenute nel Codice dei contratti pubblici: «in modo sostanziale», «con la precisione sufficiente», «effettiva concorrenza», «progettazione adeguata», «criterio più adeguato», «specifiche fissate in materia precisa», «grave inadempimento», «in modo appropriato» eccetera. Nei contratti e nei bandi si riscontrano queste e altre clausole, ivi comprese le clausole di tipo restrittivo di non ammissione alla gara. Di solito, quando vi sono queste clausole, il problema viene impostato sull'interrogativo se esse debbano essere interpretate secondo i criteri di interpretazione della legge, o secondo i criteri di interpretazione del contratto. I criteri di interpretazione della legge sono stabiliti nell'articolo 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, che afferma, nel primo comma che «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore», e nel secondo comma che «Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato». I criteri di interpretazione del contratto sono stabiliti nell'articolo 1362 del Codice civile, che stabilisce: «nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, e non limitarsi al senso letterale delle parole». E, per quanto riguarda le clausole - l'articolo 1363 precisa che: «Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto». Ma in questo modo il problema sarebbe impostato in modo erroneo, perché lo stesso Codice dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006) prevede ora delle regole diverse, sia per le clausole contenute nelle norme del Codice, sia per le clausole contenute nei bandi di gara. Infatti, è stabilito (articolo 1, comma 3 del Codice dei contratti pubblici) che: a) le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si espletano «nel rispetto delle disposizioni del procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990»; b) l'attività contrattuale dei soggetti di cui all'articolo 1 si svolge «nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite nel Codice civile». Vi è quindi un duplice rinvio, innanzitutto alla legge 241/1990 e in secondo luogo al Codice civile. Ma il rinvio previsto alla legge 241/1990 deve tenere conto di un elemento molto importante, e cioè che la stessa legge 241/1990 prevede, all'articolo 1, il «rispetto dei principi comunitari». Vi è quindi ora una complessa scacchiera giuridica, e le caselle determinanti sono costituite dal rapporto tra le disposizioni stabilite dal Codice civile (che contengono, come si è visto, i criteri dell'interpretazione dei contratti, e - per le Disposizioni sulla legge in generale che precedono il Codice civile - i criteri di interpretazione della legge), e i principi del diritto comunitario (che prevedono il principio della concorrenza). Questo rapporto si risolve in favore dei principi del diritto comunitario. Infatti, sono ora questi principi che prevalgono su tutte le norme del Codice civile, e anche sulle Disposizioni sulla legge in generale che precedono il Codice civile. Da questa posizione gerarchicamente superiore dei principi del diritto comunitario deriva che le norme del Codice civile e delle Disposizioni sulla legge in generale devono essere interpretate alla luce dei principi del diritto comunitario, e non viceversa.

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La cosiddetta «norma di chiusura» (cioè quella norma o quel principio che - come la chiave di volta di un arco - chiude e sigilla l'intero ordinamento giuridico) non è più costituita dal Codice civile, e quindi dai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, richiamati dall'articolo 12 delle Disposizioni sulla legge in generale. La norma di chiusura è ora costituita dai principi del diritto comunitario. CONCLUSIONI L'interpretazione dei contratti pubblici e delle clausole in essi contenute presenta quindi criteri interpretativi propri, che si differenziano dall'interpretazione dei contratti di diritto privato, e dall'interpretazione della legge. Ciò non costituisce una novità, perché ogni atto (per esempio, testamento, sentenza, atto amministrativo) ha propri criteri di interpretazione. Ma l'aspetto nuovo, che caratterizza i criteri di interpretazione dei contratti pubblici (e delle clausole ivi contenute), è che il sistema normativo si è ora modificato. Il tramonto dello Stato nazionale si manifesta anche attraverso questi aspetti giuridici, e la norma di chiusura non è più rappresentata - anche se il Codice dei contratti pubblici lo afferma stancamente - dal Codice civile e dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato. La norma di chiusura è ora costituita dai principi comunitari, che superano l'ordinamento giuridico statale, intervengono all'interno di esso, e costituiscono la base per l'interpretazione dei contratti pubblici e delle clausole ivi contenute. Se poi si verifica un contrasto tra clausole e principi comunitari che non può essere risolto attraverso un'interpretazione adeguatrice, il giudice può disapplicare le norme statali del Codice di contratti pubblici, nonché le disposizioni dei contratti e delle clausole ivi contenute, e applicare direttamente i principi comunitari.

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Appalti

Divieto di arbitrato negli appalti: moratoria al 31 dicembre 2009 Il D.L. 207/2008 cosiddetto milleproroghe, convertito con modificazioni nella legge 14/2009, ha rinviato al 31 dicembre 2009 l'operatività del divieto al ricorso all'arbitrato nei contratti pubblici introdotto con la Finanziaria 2008. L'entrata in vigore della prescrizione era già stata rinviata due volte: inizialmente al 1° luglio 2008 e quindi al 30 marzo 2009. Brunello De Rosa, Consulente Immobiliare del 15 maggio 2009, n. 837, p. 855 Il termine di entrata in vigore del divieto al ricorso all'arbitrato nei contratti pubblici è stato prorogato al 30 marzo 2009 dall'art. 1 ter del D.L. 162/2008 convertito con modificazioni in legge 201/2008 e infine prorogato al 31 dicembre 2009 a seguito della conversione in legge 14/2009 del D.L. 207/2008 cosiddetto milleproroghe. La nuova proroga consentirà alle Amministrazioni pubbliche di continuare a inserire nei contratti pubblici, sino al termine dell'anno in corso, clausola compromissoria, ma è prevista la decadenza automatica dei collegi arbitrali costituiti successivamente a tale data. Il quadro normativo rivela la possibilità che le controversie siano deferite a 12 sezioni specializzate ed evidenzia un particolare caso che non sarebbe coperto dal divieto. Nozione di P.A. e devoluzione a 12 sezioni specializzate Il divieto al ricorso agli arbitrati era stato introdotto, limitatamente al settore dei lavori pubblici, con il testo originario dell'art. 32 legge 109/1994 (c.d. Merloni) il cui comma 2 prevedeva che nei capitolati generali o speciali non poteva essere previsto che la soluzione delle controversie fosse deferita a un collegio arbitrale ai sensi dell'art. 806 e segg. cod. proc. civ. Il divieto di ricorso all'arbitrato fu però abrogato, dopo breve tempo, dall'art. 9 bis, legge 216/1995 (c.d. Merloni bis) che, modificando l'art. 32 della legge sui lavori pubblici, disciplinò la definizione delle controversie sorte a seguito dell'affidamento mediante procedura di evidenza pubblica di contratti pubblici prevedendo, appunto, la possibilità di arbitrato. Il divieto di ricorso all'arbitrato è stato definitivamente reintrodotto con la legge 244/2007 (Finanziaria 2008) che, ai commi 19 e 20, ha previsto il divieto di inserimento di clausole compromissorie in tutti i contratti, non solo di lavori ma anche di servizi, forniture stipulati dalle P.A. In particolare, viene disposto che è fatto divieto alle P.A. di cui all'art. 1 comma 2, D.Lgs. 165/2001, di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi a oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere compromessi. Le clausole compromissorie, ovvero i compromessi comunque sottoscritti, sono nulli e la loro sottoscrizione costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti. Le disposizioni di cui al comma 19 si estendono alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente dalle P.A. di cui al medesimo comma, nonché agli enti pubblici economici e alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente da questi ultimi. Quanto al profilo soggettivo, si deve evidenziare come la nozione di Pubblica amministrazione cui fa riferimento, mediante richiamo, il comma 19 dell'art. 3 della legge finanziaria in parola appaia meno estensiva di quella presa in considerazione dal Codice dei contratti pubblici e di cui ai commi 25 e 26 dell'art. 3 del D.Lgs. 163/2006, allorché definisce la nozione di: Amministrazioni aggiudicatrici. L'art. 1 comma 2, del D.Lgs. 165/2001, infatti, specifica che: Mentre l'art. 3, comma 25, del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006) ricomprende nella nozione di Amministrazioni aggiudicatrici anche gli organismi di diritto pubblico, ossia quei soggetti dotati dei requisiti individuati sia dai c.d. formanti normativi comunitari (cfr., da ultimo, le direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce) che interni (cfr. il D.Lgs. 163/2006), i quali devono ricorrere cumulativamente e cioè: 1. essere un soggetto istituito per soddisfare specificamente bisogni/esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2. essere dotato di capacità giuridica;

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3. svolgere un'attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure i cui organi di amministrazione, di direzione e di vigilanza siano costituiti da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o altri organismi di diritto pubblico. È pur vero che il successivo comma 20 dell'art. 3 della legge finanziaria prevede che le disposizioni di cui al comma 19 si estendono alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente dalle P.A. di cui al medesimo comma, nonché agli enti pubblici economici e alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente da questi ultimi, ciò nonostante si deve ritenere che vi possano essere alcuni organismi di diritto pubblico che sfuggiranno al divieto di arbitrato atteso che detto requisito non è indispensabile affinché ricorra la figura di organismo pubblico. Per esempio, infatti, vi possono essere soggetti pubblici economici che, anche se non posseduti interamente o non partecipati maggioritariamente dalle P.A. o da enti pubblici, siano comunque soggetti al loro controllo. Questi ultimi enti andranno, comunque, annoverati tra gli organismi di diritto pubblico (sempre che sussistano anche i requisiti di cui ai nn. 1 e 2, sopra menzionati) e saranno assoggettati alla disciplina del Codice dei contratti pubblici, ma non saranno assoggettati al divieto di ricorso all'arbitrato. Tornando, infine, al termine di applicazione del divieto, si deve ricordare come, successivamente, l'entrata in vigore del divieto in parola veniva prorogata al 1° luglio 2008 in forza dell'art. 15 del D.L. 248/2007, convertito con modificazioni in legge 31/2008. Anche detta prima proroga contiene una insidiosa particolarità, che consiste nelle finalità per la quale è stata adottata. L'art. 15 dispone, infatti, che la proroga persegue il fine di: «consentire la devoluzione delle competenze alle sezioni specializzate di cui all'art. 1, D.Lgs. 168 del 27 giugno 2003...». Dette sezioni specializzate sono quelle istituite presso i Tribunali e le Corti d'Appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia e specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale. La norma, quindi, lascia intravedere la possibilità che le controversie sorte in fase di esecuzione dei contratti pubblici e per le quali è posto il divieto di arbitrato siano devolute alla competenza esclusiva delle suddette dodici sezioni specializzate, pur essendo la questione passata, per così dire, in sordina. L'entrata in vigore del divieto è stata, poi, prorogata al 30 marzo 2009 dall'art. 1 ter del D.L. 162/2008, convertito con modificazioni in legge 201/2008 e infine al 31 dicembre 2009 a seguito della conversione in legge 14/2009 del D.L. 207/2008 c.d. milleproroghe. Quest'ultimo provvedimento normativo ha introdotto una ulteriore modifica all'art. 241 del Codice dei contratti pubblici prevedendo che: «i compensi minimi e massimi stabiliti dalla tariffa allegata al regolamento di cui al D.M. lavori pubblici 398/2000 sono dimezzati. Sono comunque vietati incrementi dei compensi massimi legati alla particolare complessità delle questioni trattate, alle specifiche competenze utilizzate e all'effettivo lavoro svolto». Periodo transitorio L'introduzione del divieto al ricorso agli arbitrati nei contratti pubblici, introdotto, come appena visto, dalla Finanziaria per il 2008, recava ulteriori disposizioni applicative. In particolare l'art. 3, comma 21, prevedeva che, relativamente ai contratti aventi a oggetto lavori, forniture e servizi già sottoscritti dalle amministrazioni alla data di entrata in vigore della Finanziaria e per le cui controversie i relativi collegi arbitrali non si erano ancora costituiti alla data del 30 settembre 2007, era fatto obbligo agli arbitri di declinare la competenza arbitrale, ove tale facoltà fosse prevista nelle clausole arbitrali inserite nei predetti contratti; dalla data della relativa comunicazione opera esclusivamente la giurisdizione ordinaria. Era, inoltre, previsto che i collegi arbitrali, eventualmente costituiti successivamente al 30 settembre 2007 e fino alla data di entrata in vigore della Finanziaria, decadessero automaticamente, mentre le relative spese restavano integralmente compensate tra le parti. Ora detto termine deve intendersi prorogato al 31 dicembre 2009, sicché pur essendo ammissibile, sino a tale data, l'inserimento di una clausola compromissoria nell'ambito di un contratto pubblico della sopra individuata o il ricorso all'arbitrato, detti collegi arbitrali potrebbero evitare la decadenza automatica esclusivamente qualora la clausola compromissoria non prevede la facoltà di declinare la competenza arbitrale, diversamente non potrebbero che decadere automaticamente allo scadere della data del 31 dicembre 2009. Salva, comunque, la decadenza automatica per quei collegi eventuali costituiti successivamente al 31 dicembre 2009. Quanto al momento della costituzione del collegio arbitrale: esso si ritiene che coincida con la comunicazione dell'accettazione della nomina da parte degli arbitri alle parti.

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Espropriazione

Se l’esproprio del suolo diventa illegittimo il privato può ottenere un ristoro per equivalente L’autorità che utilizza un bene per scopi di interesse pubblico, modificato senza un valido titolo, può disporre che vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che il proprietario venga risarcito Salvatore Mezzacapo, Guida al Diritto, Il Sole-24 Ore, 16 Maggio 2009, n. 19, p. 95

Consiglio di Stato - Sezione V - Decisione 8 luglio 2008-7 aprile 2009 n. 2144 Le massime Pubblica amministrazione - Responsabilità della Pa - Per fatto illecito - Trasferimento a seguito di successione nel diritto di proprietà del bene sottratto - Solo in caso di successione a titolo universale. La responsabilità per fatto illecito non si trasferisce con la successione nel diritto di proprietà del bene sottratto, salvo il caso della successione a titolo universale. Espropriazione - Sottrazione del fondo in via di fatto o sulla base di titolo annullato - Tutela del privato proprietario – Azione per il risarcimento del danno per equivalente - Ammissibilità. (Tu 327/2001, articolo 43) Ai sensi dell’articolo 43 del Tu n. 327 del 2001, allorquando si verifichi una sottrazione del bene di proprietà del privato in via di fatto o sulla base di un titolo poi annullato o divenuto inefficace, il privato proprietario del suolo oltre ad agire per la sola restituzione del bene (o per il risarcimento in forma specifica), ben può agire per il risarcimento del danno per equivalente. Il commento La responsabilità per fatto illecito non si trasmette con la successione della proprietà del bene espropriato, tranne in caso di successione a titolo universale. Questo il principio di diritto che il Consiglio di Stato esprime con la decisione 7 aprile 2009 n. 2144 scorso. La vicenda Con decreto del giugno 1988, il comune di Taranto ha disposto l’occupazione d’urgenza di alcuni terreni per realizzarvi un edificio scolastico. Nel successivo mese di novembre le imprese incaricate dei lavori si sono immesse nel possesso dei fondi. Il ricorso proposto dai proprietari avverso il decreto di occupazione di urgenza è stato quindi accolto in parte dalla sezione staccata di Lecce del tribunale amministrativo regionale per la Puglia. E però detta sentenza è stata riformata in appello dal Consiglio di Stato, che ha di contro ritenuto legittimo il decreto di occupazione d’urgenza. Gli stessi ricorrenti hanno quindi nuovamente adito il giudice amministrativo leccese per veder accertato il loro diritto al risarcimento del danno e il Tar di Lecce ha accolto la domanda risarcitoria determinando altresì i criteri per la successiva liquidazione del danno. Anche detta seconda sentenza del giudice amministrativo di prime cure è stata riformata dal Consiglio di Stato, per non essere stato evocato in giudizio (oltre al comune di Taranto) anche il comune di Statte, attualmente beneficiario dell’opera pubblica. Di qui il terzo ricorso al Tar di Lecce, inteso a ottenere il risarcimento del danno, in solido, dal comune di Taranto e da quello di Statte, nonché dall’Ati incaricata dell’esecuzione dei lavori, per l’illegittima occupazione ultraquinquennale del terreno e per l’illegittima realizzazione sul medesimo di un edificio scolastico.

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Successione parziale tra enti e legittimazione passiva rispetto a richiesta di risarcimento del danno La prima questione affrontata dal giudice amministrativo di primo grado concerne l’individuazione degli enti eventualmente obbligati, nel caso di specie, al risarcimento del danno. La questione presenta particolari profili di interesse, essendo intervenuta nelle more della complessa vicenda in esame una successione a titolo parziale del comune di Statte a quello di Taranto. Ad avviso del primo giudice, il debito da fatto latu sensu illecito non ha carattere personalissimo e intrasmissibile, e pertanto, tranne casi eccezionali in cui assume carattere prevalentemente sanzionatorio (si pensi all’illecito erariale), il principio generale è quello della piena trasmissibilità per successione del debito risarcitorio da illecito, anche a prescindere dall’arricchimento prodotto dal medesimo fatto nel patrimonio del successore. In altri termini, secondo la tesi del Tar di Lecce, per effetto del fenomeno successorio (anche non mortis causa), si può verificare che un soggetto viene ad acquistare con un nuovo patrimonio (ex articolo 2740 del codice civile) anche i debiti prodotti dalla condotta imputabile ad altro soggetto, da cui tale patrimonio proviene. Nel caso di specie, trattatasi di successione parziale tra enti locali, conseguenza della istituzione del comune di Statte con legge regionale Puglia n. 6 del 1993, il cui articolo 2 dispone, al comma 2, che «Il Presidente della Regione, con proprio decreto, su conforme deliberazione della Giunta Regionale, provvede a regolamentare, ove occorra, i rappor- ti patrimoniali ed economico - finanziari tra i comuni interessati, derivanti dall’avvenuta variazione territoriale». In conclusione, il tribunale amministrativo ha ritenuto che la legittimazione passiva nella controversia in esame spetta al comune di Statte, per successione, oltre che all’Ati che ha realizzato le opere. Al riguardo rileva la circostanza per cui il liceo classico di che trattasi è situato all’interno del territorio acquisito al comune di Statte, e pertanto rientra, almeno in astratto, nelle vicende patrimoniali di quest’ultimo. Il ragionamento del primo giudice è che, proprio in virtù del trasferimento per successione, solo il comune di Statte, e non quello di Taranto, avrebbe potuto esercitare su tale edificio il potere di cui all’articolo 43 del Tu n. 327 del 2001. In tal senso il tribunale ha osservato che il risarcimento del danno ha astrattamente il pieno connotato di onere, inteso non solo come peso connesso al godimento del bene ma anche relativo all’eventuale acquisto della proprietà. Nel merito, il primo giudice ha poi respinto la domanda di risarcimento del danno, pur lasciando aperta la strada a un’azione di restituzione, per il recupero del materiale disponibilità del bene. Sul punto della legittimazione passiva, diverso l’avviso espresso dal giudice di appello. Infatti, la regola di diritto affermata dal Consiglio di Stato è quella per cui la responsabilità per fatto illecito non si trasferisce con la successione nel diritto di proprietà del bene sottratto, salvo il caso della successione a titolo universale. La base logico-giuridica del diverso argomentare del giudice di appello risiede nel rilievo assegnato alla considerazione per cui l’obbligazione di riparare il danno prende in considerazione il comportamento «doloso o colposo che cagiona ad altrui un danno ingiusto» e non le vicende successive del bene, la cui perdita costituisca la ragione di danno lamentata dal creditore. Ne consegue, che, salva appunto l’ipotesi della successione universale, la responsabilità per fatto illecito non si trasferisce - come già detto - con la successione nel diritto di proprietà del bene sottratto. L’eccezione dell’ipotesi della successione universale è agevolmente spiegata con il venir meno proprio del soggetto da cui ha preso impulso la vicenda, per cui la responsabilità segue l’erede con le regole proprie della successione a titolo universale. Riformando sul punto la sentenza di primo grado, i giudici di Palazzo Spada hanno quindi rilevato e accertato il difetto di legittimazione passiva del comune di Statte, istituito con la ricordata legge regionale n. 6 del 1993, per distacco dell’omonima frazione dalla città di Taranto, quindi con successione a titolo particolare. Articolo 43 del Dpr n. 327 del 2001 e azione di risarcimento del danno per equivalente Quanto al merito della questione, il primo giudice, come si è già ricordato, ha accolto in parte il ricorso. La tesi dei giudici leccesi è che oggi nel nostro ordinamento, in virtù dell’articolo 43 del Dpr n. 327 del 2001, il fenomeno della cosiddetta accessione invertita non si verifica più ipso iure, ossia l’opera pubblica, ancorché ultimata, in mancanza di un decreto di esproprio, non diventa perciò solo di proprietà dell’ente pubblico che l’ha commissionata, ma è necessario un espresso provvedimento dell’autorità amministrativa o, in corso di causa, del giudice; provvedimento che, in quest’ultima ipotesi, deve essere espressamente richiesto dall’amministrazione resistente.

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E allora, secondo l’argomentare del primo giudice, «qualora manchi un provvedimento amministrativo o giurisdizionale di acquisizione al patrimonio pubblico del bene, allora, ope- ra il principio di diritto comune dell’accessione diretta, secondo cui la costruzione appartiene al proprietario del suolo». Essendo il prescritto termine quinquennale scaduto, senza l’adozione di alcun decreto di esproprio, sono divenute inefficaci secondo il primo giudice sia la dichiarazione di pubblica utilità che il decreto di occupazione d’urgenza, e pertanto le trasformazioni arrecate al fondo dei ricorrenti sono diventate illecite. Da queste premesse logicogiuridiche il tribunale fa conseguire l’esclusione di ogni risarcimento, essendosi accertato che la complessiva attività amministrativa, che ha danneggiato i privati, in fin dei conti non ha seguito le regole procedimentali e quindi non ha prodotto il risultato utile per la quale è stata esercitata. Secondo questa tesi, i criteri di risarcimento del danno previsti dalla normativa vigente in materia di occupazione acquisitiva trovano la propria ratio proprio nella definitiva acquisizione al patrimonio pubblico del suolo privato, per fini di pubblica utilità e, quindi, «non si adattano ai casi nei quali, come quello in esame, il suolo pubblico deve restare di proprietà privata, perché l’amministrazione non ha esercitato il potere di cui all’articolo 43 del d.p.r. n. 327 del 2001». In altri termini, il Tar di Lecce non accoglie la domanda di risarcimento del danno connesso alla perdita di proprietà del bene, perché detta perdita non si è verificata (restando tuttavia risarcibile, per equivalente, il danno relativo all’occupazione e trasformazione del fondo). Anche le conclusioni, nel merito, del primo giudice sono riformate in appello. La quinta sezione del Consiglio di Stato muove dal richiamo al tradizionale orientamento interpretativo secondo cui l’occupazione acquisitiva o appropriativa si verifica quando il fondo occupato nell’ambito di una procedura espropriativa ha subito una irreversibile trasformazione in esecuzione di un’opera di pubblica utilità senza che sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto traslativo della proprietà, osservando peraltro come detta impostazione non abbia retto al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, la cui tesi è che un comportamento illecito o illegittimo non può essere posto a base dell’acquisto di un diritto, per cui l’accessione invertita contrasta con il principio di legalità, inteso come preminenza del diritto sul fatto. Da qui, la conclusione che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisce di per sé impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata. Ed è proprio all’esigenza di superare detta situazione oggettivamente di stallo che i giudici di appello riconducono il varo nel nostro ordinamento dell’articolo 43 del Dpr n. 327 del 2001. La disposizione citata stabilisce, infatti, che «valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni». Si è parlato, al riguardo, di un potere acquisitivo “sanante” dell’illegittimità della procedura espropriativa, tuttavia di carattere “eccezionale” e che quindi non può costituire una alternativa alla procedura ordinaria. La linea interpretativa del giudice di appello si discosta però dalla tesi del primo giudice sul punto delle conseguen- ze da riconnettere al fatto rappresentato dalla sottrazione di un bene del privato in via di fatto o sulla base di un titolo poi annullato o divenuto inefficace, in pratica dall’accertamento dell’inesistenza di un atto traslativo della proprietà. Per il primo giudice, l’effetto satisfattorio per il privato sarebbe quello dell’arricchimento della proprietà privata per l’accessione dell’opera pubblica, svuotando così di contenuto l’azione risarcitoria. Per il giudice di appello l’interesse del privato non si esaurisce nella sola restituzione del bene, ma può trovare soddisfazione anche mediante l’azione di risarcimento del danno per equivalente. Testualmente, nella decisione in esame si osserva che «se la scelta è ammessa per la pubblica amministrazione, non si vede perché non possa esserlo anche per il privato». Invero, in tal senso depone il dato testuale di cui al comma 3 del citato articolo 43, a mente del quale «l’amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo ». Risulterebbe cioè testualmente previsto e consentito il risarcimento del danno per equivalente.

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In altri termini, ben può il privato proprietario, cui l’amministrazione abbia sottratto un suolo (il bene) in via di fatto o sulla base di un titolo poi annullato o divenuto inefficace, chiedere, in luogo della restituzione del bene, il risarcimento per equivalente. L’iter processuale Quanto alla vicenda processuale in esame, il giudice di appello ha accolto l’appello principale, con assorbimento delle residue censure, proposto dal comune di Statte, avendo accertato il difetto di legittimazione passiva di questo. Ma ha pure dichiarato irricevibile per tardività l’appello incidentale autonomo, con il quale gli originari ricorrenti di primo grado hanno anche essi impugnato la sentenza del tribunale di Lecce, nella parte in cui ha respinto la loro domanda di risarcimento del danno (e ciò per essere stato il detto appello incidentale prodotto oltre il termine di 30 giorni stabilito dall’articolo 23-bis, comma 7, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034). Il che non leva che le parti private, ricorrenti in primo grado, potranno in altra sede, ove ne ricorrono i presupposti, far valere il diritto al risarcimento dei danni patiti a causa del comportamento illecito del comune di Taranto.

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Contabilità

Agenti contabili negli Enti Locali Marco Rossi, La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2009, n. 21, p. 41 Nell’ambito degli enti locali assume un ruolo del tutto peculiare la figura degli agenti contabili, rappresentati, per consolidata definizione, dai soggetti che hanno maneggio di denaro pubblico ovvero che sono incaricati della gestione di beni di proprietà dell’ente (in tal senso si esprime puntualmente anche l’art. 93, D.Lgs. 18.8.2000, n. 267). Ne costituiscono elementi caratterizzanti, in particolare, la tipologia di attività svolta, gli adempimenti a cui devono provvedere nonché le specifiche forme di controllo a cui sono sottoposti, di natura sia amministrativa sia giurisdizionale. Queste ultime, più puntualmente, sono orientate ad assicurare meccanismi di garanzia obiettiva in relazione alla disponibilità ed alla gestione di valori ed elementi patrimoniali che appartengono alla collettività di riferimento. Tali esigenze, tra l’altro, sono collegate a precise previsioni costituzionali, in ordine al buon andamento ed all’imparzialità dell’amministrazione, alle responsabilità dei dipendenti della pubblica Amministrazione ed alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica. CLASSIFICAZIONI Gli agenti contabili degli enti locali presentano una certa differenziazione e possono essere utilmente classificati anche allo scopo di comprenderne le caratteristiche salienti. Una prima classificazione considera la sussistenza del titolo giuridico di immissione nella funzione e consente di distinguere gli agenti contabili «di diritto », qualora tale attività sia correlata ad un atto di legittima investitura (per contratto, per ufficio e quindi sulla base di un rapporto di impiego ovvero per concessione), dagli agenti contabili «di fatto», qualora, invece, l’esercizio dell’attività sia effettuato in assenza di un atto formale (ad esempio un dipendente che si sia autoimmesso nella gestione del denaro dell’ente). Una seconda classificazione tiene conto della collocazione rispetto all’amministrazione di riferimento: essa distingue gli agenti contabili «interni » (ad esempio l’economo), che hanno un rapporto di dipendenza con l’amministrazione pubblica, e gli agenti contabili «esterni» (ad esempio il tesoriere) che, invece, sono legati da un rapporto di diversa natura. Una terzo criterio privilegia la tipologia di bene maneggiato dagli agenti contabili, utilizzando il quale è possibile distinguere gli agenti contabili a denaro, che gestiscono moneta (a cui è possibile assimilare altresì la gestione di beni analoghi), e gli agenti a materia, che gestiscono cose (è il caso, ad esempio, dei magazzinieri o dei consegnatari). Un quarto criterio, poi, fa riferimento alla funzione svolta, conducendo alla suddivisione tra agenti consegnatari dei beni (la cui attività è orientata alla loro conservazione), agenti del pagamento (la cui attività è, appunto, rivolta all’effettuazione di pagamenti per conto dell’amministrazione a seguito di anticipazione, come nel caso dell’economo) ed agenti della riscossione (la cui attività è, invece, rivolta al conseguimento di talune entrate dell’ente). SUB-AGENTI CONTABILI Peculiare, poi, risulta la funzione ed il ruolo dei sub-agenti contabili (o agenti secondari), i quali sono incaricati di gestioni parziali rispetto alla gestione principale effettuata dall’agente contabile, al quale deve essere effettuato il riversamento delle somme. La nomina degli agenti secondari si rende talora indispensabile (o comunque utile) in presenza di più soggetti che eseguono il maneggio del denaro e degli altri valori e beni, anche per effetto della consistenza dell’attività da svolgere, consentendo una sorta di gerarchia che può contribuire a realizzare un assetto più razionale. È bene subito precisare che anche i sub-agenti contabili sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti e devono presentare un proprio conto, che viene «consolidato» nel conto dell’agente contabile principale.

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REVISORI Proprio per l’importanza della funzione svolta dagli agenti contabili è altresì previsto, dall’ordinamento finanziario e contabile, un particolare obbligo di controllo periodico da parte dell’organo di revisione economico-finanziaria; peraltro il regolamento di contabilità può stabilire autonome verifiche di cassa da parte dell’amministrazione dell’ente. Secondo l’art. 223, D.Lgs. 267/2000, infatti, il collegio dei revisori ovvero il revisore unico devono provvedere con cadenza almeno trimestrale alla verifica della gestione del servizio di tesoreria così come alla verifica degli altri agenti contabili. Tale adempimento è orientato a riscontrare la correttezza di svolgimento delle procedure contabili previste, in termini di regolarità dell’aggiornamento, di scritture eseguite, di corrispondenza dell’operatività con la normativa ma altresì ad accertare la coincidenza tra la giacenza di diritto (risultante dalle scritture registrate) con la giacenza di fatto (risultante dalla verifica materiale del denaro, dei valori e dei beni presenti). REGISTRI E RILEVAZIONI A tal fine, ma altresì allo scopo di garantire uno svolgimento ordinato e corretto della gestione del denaro e dei beni maneggiati, è necessario che i singoli agenti contabili utilizzino appropriati registri e documenti, che dovrebbero essere numerati e vidimati prima della messa in uso per garantirne l’integrità. Normalmente gli agenti contabili, a seconda della funzione svolta, utilizzano appositi bollettari (che devono essere gestiti con un meccanismo di carico/ scarico) e buoni d’ordine ed aggiornano sistematicamente un registro di rilevazione degli incassi e pagamenti effettuati, anche in formato elettronico. Sul punto, normalmente, è il regolamento di contabilità (ovvero il più specifico regolamento degli agenti contabili) che definisce, in modo analitico, le modalità con le quali essi devono provvedere alla registrazione delle operazioni svolte. CONTROLLO DELLA CORTE DEI CONTI Oltre al controllo periodico del collegio dei revisori, gli agenti contabili sono sottoposti ad un controllo giurisdizionale esterno che risulta assolutamente caratterizzante. Si tratta, in particolare, del controllo svolto dalla Corte dei Conti in sede di «giudizio di conto», che presuppone una puntuale «resa del conto» da parte degli stessi agenti contabili. Tale forma di controllo mira, nella sostanza, a tutelare l’interesse generale alla corretta gestione delle risorse pubbliche, appartenenti alla collettività, non essendo ex se ritenuto sufficiente il semplice controllo amministrativo eseguito dall’ente locale. Secondo l’art. 93, D.Lgs. 267/2000, infatti, ogni agente contabile che maneggia denaro pubblico o sia incaricato della gestione di beni dell’ente, nonché coloro che in tali attività si ingeriscono, «devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti ». Tale previsione trova, poi, ulteriori precisazioni in altre disposizioni normative dello stesso Tuel: è il caso dell’art. 226 in ordine al tesoriere ovvero dell’art. 233 per gli agenti contabili interni. Nella sostanza, il controllo in questione persegue due scopi ben precisi. Da una parte, accertare che coloro che hanno maneggiato beni e valori siano in grado di dare legittima giustificazione del loro operato e, a contrariis, non siano gravati da obblighi di restituzione (proprio in relazione a quegli utilizzi che non siano coerenti con l’ordinamento o non sia stati correttamente eseguiti). Dall’altra parte, conferire condizioni di certezza ai conti presentati nelle annualità successive, che si ricollegano a quelli precedenti per l’evidente continuità. RESA DEL CONTO Ai fini dell’adempimento di tale controllo da parte della Corte dei Conti è previsto che ciascun agente contabile trasmetta, entro trenta giorni dalla chiusura dell’esercizio, il conto della propria gestione all’ente locale (con alcuni documenti allegati). È da sottolineare che tale termine è stato recentemente anticipato dal D.L. 7.10.2008, n. 154, conv. L. 4.12.2008, n. 189, essendo precedentemente fissato in due mesi sempre dalla chiusura dell’esercizio.

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Si tratta di una trasmissione di particolare importanza e che dispiega peculiari effetti dal punto di vista giurisdizionale, in quanto è attraverso tale adempimento che il singolo agente contabile si costituisce in giudizio. A sua volta l’ente locale deve provvedere, entro sessanta giorni dall’approvazione del rendiconto, alla trasmissione del conto degli agenti contabili (ma non della documentazione giustificativa della gestione che, eventualmente, può essere successivamente richiesta dalla stessa Corte dei Conti) alla sezione giurisdizionale competente per territorio. MODELLI PREVISTI La resa del conto da parte dei singoli agenti contabili avviene sulla base di appositi prospetti che sono stati definiti con il D.P.R. 194/1996, che presentano una struttura logica consimile. Essi evidenziano, da una parte, il debito (o carico) connesso ai valori e beni esistenti all’inizio dell’esercizio e successivamente ricevuti ed il credito (o scarico) per le rimanenze finali e le consegne e pagamenti regolarmente eseguiti nel corso dell’esercizio. I modelli individuati sono quattro e riguardano in sequenza: a) mod. 21, gli agenti contabili della riscossione; b) mod. 22, i consegnatari delle azioni; c) mod. 23, la gestione economale; d) mod. 24, i consegnatari dei beni. Ad essi devono essere allegati diversi documenti, come, ad esempio, il provvedimento di legittimazione, i giustificativi della gestione, i verbali relativi ai passaggi di consegna ed alle verifiche del collegio dei revisori, ecc. PARIFICAZIONE Tali modelli formano oggetto di parificazione (con attestazione formale in calce al prospetto) da parte del responsabile del servizio economico-finanziario, che costituisce un controllo orientato a verificarne la corrispondenza con le scritture contabili dell’ente, utile anche per effettuare la regolarizzazione di alcune operazioni svolte dagli stessi agenti contabili. La verifica è significativa sia perché la Corte dei Conti ne accerta preliminarmente lo svolgimento in sede di giudizio di conto sia perché costituisce un elemento essenziale per avviare il percorso di rendicontazione, che presuppone la corretta ed integrale rilevazione delle movimentazioni realizzate da parte degli agenti contabili. GIUDIZIO di CONTO Nell’ipotesi di regolare presentazione del conto, ovvero a seguito del procedimento di resa del conto, si svolge il giudizio di conto, che mira a riscontrare e verificare la correttezza della gestione eseguita, a seguito degli accertamenti compiuti tenendo conto della documentazione eventualmente richiesta dalla Corte dei Conti. Ad esempio, con riferimento all’economo, occorre accertare che le spese eseguite siano comprese tra quelle indicate nell’ambito del regolamento economale, mentre, nel caso di agente della riscossione, è necessario verificare la corrispondenza tra le ricevute rilasciate ed i versamenti eseguiti presso la tesoreria dell’ente. Il più delle volte il giudizio di conto si chiude con il discarico, vale a dire con il positivo riscontro della gestione eseguita: in questo caso si ritiene, in sostanza, che l’agente contabile abbia legittimamente eseguito i pagamenti su anticipazione dell’ente locale, abbia correttamente conservato i beni assegnati ovvero abbia congruamente (ri)versato alla tesoreria le somme riscosse per conto dell’Amministrazione pubblica. Altrimenti, è possibile che il giudizio di conto si chiuda con una condanna, qualora la Corte dei Conti non riconosca il discarico di determinate somme o beni, ovvero con la rettifica dei resti, nel qual caso sono modificati i valori di chiusura (costituenti il carico dell’esercizio successivo). In proposito, infine, va anche detto però che molti giudizi di conto si estinguono per effetto del decorso del termine quinquennale dal momento del deposito presso la segreteria della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, senza un effettivo esame nel merito della gestione svolta dagli agenti contabili.

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Energia

Senza le linee guida nazionali Regioni in avanscoperta e regole a macchia di leopardo Spetta al ministero per lo Sviluppo economico la redazione di linee guida orientative che, però, non sono state ancora varate. Nell'attesa, molte Regioni hanno disciplinato la materia, regolamentando le procedure autorizzative con norme molto diverse fra loro. Giovanna Landi, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio del 18 maggio 2009, n. 19, p.6 Le norme che regolano la costruzione di nuovi impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili nel nostro Paese presentano diversi profili di incertezza e indeterminatezza che certamente non agevolano un loro rapido sviluppo; tale situazione persiste del resto nonostante gli importanti principi introdotti dal decreto legislativo 387/2003 che ha dato attuazione in Italia alla direttiva 2001/77/Ce sulla promozione degli impianti rinnovabili. Secondo tale norma, infatti, la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, inclusi gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti a una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o dalle Province delegate. La norma prevede anche alcune regole per il procedimento unico volto al rilascio dell'autorizzazione, il quale deve coinvolgere tutte le autorità competenti che devono essere convocate dalla Regione mediante lo strumento della conferenza dei servizi entro 30 giorni dalla data di ricevimento della domanda di autorizzazione; il procedimento dovrà concludersi comunque entro un termine massimo di 180 giorni. Le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti, inoltre, sono anche dichiarate di pubblica utilità e indifferibili e urgenti. Gli impianti rinnovabili possono anche essere ubicati in aree aventi destinazione d'uso agricola senza necessità di alcuna variante urbanistica. Le norme regionali Il ministero per lo Sviluppo economico, ai sensi della norma in esame, avrebbe dovuto emanare delle linee guida orientative per le autorità regionali chiamate a introdurre misure attuative dei principi previsti dalla disciplina nazionale. Nell'attesa di tali linee guida, però, la maggior parte delle Regioni si è dotata di proprie norme regionali per regolamentare la procedura autorizzativa di nuovi impianti da realizzarsi nel loro territorio; tali norme presentano spesso delle difformità tra di loro e rispetto ai principi della norma nazionale e pertanto molte di esse sono oggetto di procedimenti giurisdizionali di legittimità costituzionale promossi dal Governo nei confronti delle Regioni innanzi la Corte costituzionale (cfr. ad esempio la recente legge della Regione Calabria e la legge Puglia). Ciò comporta una situazione di sostanziale incertezza sulla disciplina applicabile, dal momento che è sempre necessaria una attenta verifica sulla procedura applicabile al caso concreto e una valutazione sulla legittimità delle relative condizioni imposte dall'autorità regionale competente per territorio. Alcune norme regionali, infatti (come ad esempio la Calabria) richiedono fideiussioni ai soggetti richiedenti nuove autorizzazioni, ovvero pongono dei limiti alla potenza elettrica autorizzabile nel proprio territorio; altre Regioni (come ad esempio la Puglia) impongono obblighi supplementari ai richiedenti che devono dare evidenza delle proprie risorse economiche destinate alla realizzazione del progetto, nonché tempistiche di lavoro certe e così via. Molte Regioni hanno inoltre adottato atti pianificatori (es. Sicilia e Sardegna) indicando i criteri per la localizzazione di nuovi impianti nei loro territori, sulla scorta di quanto previsto dalla legge 10/1991 che ha introdotto i piani regionali energetici, introducendo peraltro spesso vincoli ulteriori a tutela di zone di particolare pregio naturalistico o paesaggistico. Ciò risulta non sempre

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compatibile con il generale principio di promozione allo sviluppo di nuovi impianti indicato dal legislatore nazionale sulla scorta delle politiche europee. La procedura autorizzativa di impianti rinnovabili, inoltre, risente dei "mali" legati a tutti i procedimenti amministrativi complessi, come ad esempio l'eccessiva lunghezza e onerosità del procedimento - il termine dei 180 giorni è, come tutti i termini procedimentali amministrativi, meramente ordinatorio e non obbligatorio e molto spesso non viene rispettato nella pratica - o anche l'indeterminatezza del reale ambito di applicazione dell'autorizzazione (spesso i Comuni richiedono comunque ulteriori atti di assenso prima dell'avvio dei lavori di costruzione o vi sono parti di progetto, o modifiche, non compresi nell'atto autorizzativo, specie con riferimento alle opere connesse e all'interconnessione), o ancora la difficoltà di coordinamento tra tutte le autorità competenti a vario titolo invitate ad esprimere il proprio parere in sede di conferenza dei servizi. Come accennato, inoltre, non in tutte le Regioni vi sono norme attuative del procedimento unico di autorizzazione introdotto dal Dlgs 387/2003; in tali contesti dunque occorrerà far riferimento al regime ordinario che prevede il rilascio di specifiche autorizzazioni da parte di ciascuna autorità competente. A tale riguardo vale la pena segnalare anche, però, che vi sono alcune realtà definibili "ibride" dove vi sono delle forme di snellimento procedurale - come ad esempio lo sportello unico per le attività produttive, Suap, introdotto in alcuni contesti comunali della Regione Sardegna o le norme introdotte dalla legge finanziaria regionale in Basilicata - che non corrispondono alla tipologia procedurale di cui al Dlgs 389/2003, ma nella pratica ne condividono obiettivi e finalità, quali, ad esempio, tempi certi, interlocutore unico per il richiedente e così via. In ogni caso, in tali Regioni sarà necessario verificare, sulla base di una analisi caso per caso, di quali autorizzazioni, permessi e consensi sarà necessario dotarsi prima di poter avviare i lavori di realizzazione di un nuovo impianto. La Dia Facendo particolare riferimento agli impianti fotovoltaici, occorre rilevare che, nella maggior parte dei casi, essi sono soggetti a semplice Dia piuttosto che permesso di costruire, salvo diverse previsioni da parte di regolamenti comunali o norme regionali. In ogni caso, prima dell'ottenimento del titolo edilizio, sarà necessario anche verificare se l'impianto necessiti o meno di una decisione di Via/verifica di assoggettabilità, ossia di una valutazione ambientale. A tale riguardo deve notarsi che la disciplina nazionale in materia di Via ( i.e. Dlgs 152/2006) non contempla negli elenchi di progetti da sottoporre a valutazione ambientale gli impianti fotovoltaici. Tuttavia, alcune previsioni normative regionali hanno aggiunto tali categorie di progetti tra quelli da sottoporre a una valutazione ambientale in ambito regionale; in altri casi, invece, l'ubicazione o la taglia dell'impianto potrebbe richiedere l'assoggettamento a una previa valutazione ambientale da parte dell'autorità regionale competente (o della Provincia, ove delegata). Oltre a ciò, occorrerà dotarsi di tutti gli altri permessi e le autorizzazioni che si renderanno necessarie nel caso di specie e che potranno essere individuate sulla base di analisi puntuali, oltre, ovviamente a ottenere i diritti reali necessari sui siti interessati dalla realizzazione del progetto. La connessione con la rete Tuttavia, la questione senza dubbio più complessa, al momento, attinente all'effettivo sviluppo di nuovi impianti rinnovabili è quella della loro interconnessione alle reti elettriche; gli impianti fotovoltaici, come tutti gli impianti rinnovabili, infatti, godono di priorità di dispacciamento e devono essere obbligatoriamente connessi alla rete elettrica più vicina all'impianto. Le condizioni tecniche ed economiche per la connessione alle reti con obbligo di connessione a terzi degli impianti di produzione sono contenute nella delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Aeeg) 99/2008; regole comuni sono state introdotte, infatti, per cercare di armonizzare il panorama nazionale e per introdurre tempi e costi certi per consentire il collegamento di nuovi impianti. Al momento, infatti, la maggior parte degli operatori di reti di distribuzione o trasmissione hanno sviluppato standard contrattuali che gli sviluppatori di impianti rinnovabili sono chiamati ad accettare entro i tempi indicati dalla delibera richiamata. Anche se i lavori e le opere necessarie per la connessione dell'impianto alla rete elettrica sono, almeno in linea di principio, compresi all'interno dell'autorizzazione unica (ove applicabile), i termini e le condizioni della connessione devono essere negoziati direttamente con l'operatore di rete competente per territorio e non sempre i tempi del procedimento autorizzativo e quelli di negoziazione dell'interconnessione sono

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facilmente coordinabili tra di loro. La tariffa incentivante di cui al Conto energia per gli impianti fotovoltaici, come descritta nell'articolo precedente, è infatti riconosciuta per quella energia prodotta dall'impianto che viene immessa in rete; è di fondamentale importanza, dunque, riuscire a garantirsi la possibilità di immettere in rete l'intera capacità produttiva dell'impianto, così da poter percepire integralmente la tariffa agevolata. Solamente l'energia immessa in rete, oltretutto, può evidentemente essere venduta liberamente dal produttore - fatte salve le esigenze per gli impianti destinati all'autoconsumo ovviamente. Le immissioni di nuova potenza devono essere valutate alla luce della capacità della rete su cui deve avvenire la connessione e, come noto, le condizioni della rete elettrica nazionale non sono sempre ottimali, a causa della loro vetustà e scarsità di capienza. E evidente che per impianti fotovoltaici di dimensioni ridotte, necessari a garantire fabbisogni civili piuttosto che industriali, le procedure autorizzative saranno più semplici (si veda l'articolo precedente per le agevolazioni garantite dalla legge per gli impianti di minori dimensioni), tuttavia proprio in tale ambito si riscontrano ancora incertezze e difficoltà nello sviluppo della tecnologia fotovoltaica dovute non solo agli elevati costi di installazione, come può essere facilmente prevedibile, ma anche al fatto che le regole tecniche relative ai servizi di misurazione e di interconnessione dei piccoli impianti sono ancora percepite come difficili da gestire e da comprendere. Il ruolo degli enti locali In ultimo, vale la pena esprimere qualche valutazione in merito al ruolo degli enti locali rispetto allo sviluppo di impianti fotovoltaici nel proprio territorio; vi sono infatti alcuni Comuni che stanno dotando i propri edifici pubblici di pannelli fotovoltaici, anche grazie alle forti incentivazioni previste dalla normativa nazionale; altri Comuni - nonché Regioni - promuovono ormai da tempo programmi di incentivazione in conto capitale per l'installazione nel proprio territorio di nuovi pannelli fotovoltaici (a tale riguardo è necessario verificare caso per caso ove tali incentivi siano compatibili con quelli previsti dal Conto energia richiamati nell'articolo precedente); altri Comuni ancora stanno proponendo la conclusione di accordi - come già in passato sperimentato nello sviluppo di altre tipologie di impianti a fonte rinnovabile - con sviluppatori industriali di impianti fotovoltaici di rilevanti dimensioni, al fine di garantire la corresponsione da parte di questi ultimi di misure compensative derivanti dallo sfruttamento di vaste aree per la produzione energetica. Altri ancora, infine, stanno promuovendo bandi di gara per invitare sviluppatori privati a realizzare nuovi impianti nei propri territori e garantirsi una supervisione sulla loro realizzazione e gestione. Al momento, comunque, nonostante le difficoltà burocratiche e tecniche sopra accennate, è facile prevedere un importante sviluppo di tale tipologia di impianti in tutto il territorio nazionale (per un aggiornamento in tempo reale sugli impianti costruiti o in fase di realizzazione si veda il sito www.gse.it), il quale beneficia nella sua interezza di un irraggiamento solare tale da garantire livelli di produzione energetica adeguati sia per utenze civili che per produttori industriali. La rilevanza di tale fonte di produzione nell'ambito del panorama nazionale di approvvigionamento energetico, dunque, sarà tutta da verificare e scoprire nei prossimi anni.

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Sicurezza ed igiene del lavoro

Edilizia: così le 16 ore di formazione obbligatoria Il settore edile si erge ad apripista nei confronti di quanto previsto dall’art. 37, comma 4, del Dlgs n. 81/2008 in tema di formazione del personale dipendente Riccardo Girotto, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2009, n. 21, p. 23 L’articolo 37, comma 4, Dlgs n. 81/2008 riporta l’obbligo per il datore di lavoro di garantire che il proprio personale riceva l’addestramento necessario a compiere le proprie mansioni in sicurezza. Inoltre il disposto specifica al comma 4 come l’addestramento debba avvenire tanto all’atto della costituzione del rapporto di lavoro, quanto ad ogni trasferimento o cambiamento di mansioni. Assunto il riferimento giuridico di tale obbligo, si deve specificare quanto questo sia chiaramente destinato a tutti i settori, una volta regolati i profili di applicabilità per il tramite dei contratti collettivi. Sono questi infatti gli strumenti destinati a definire i contorni di una previsione che già l’art. 22 del Dlgs n. 626/1994 considerava obbligatoria (1), ma in realtà nella pratica scarsamente applicata. Entrando nel merito della questione, la particolarità di questo onere si scontra con una chiara difficoltà quale quella dell’organizzazione capillare nel territorio delle scuole di formazione, tanto da obbligare ogni categoria professionale a programmare una costante ed immediata offerta formativa che non costringa le aziende a soggiacere a lunghi tempi di attesa prima di avviare i neoassunti al lavoro. Inizialmente l’attenzione sarà posta ai soggetti che dovranno essere assunti in un settore senza avervi mai lavorato, i quali già dal 1° gennaio 2009 risultano destinatari dell’obbligo formativo preimpiego. Non si deve dimenticare però come l’obbligo formativo previsto dalla norma riguardi anche il personale già in forza nell’azienda. Infatti al comma 6 del citato articolo 37 del Dlgs n. 81/2008, il datore di lavoro dovrà garantire al continuità del percorso formativo nel corso della carriera dei dipendenti. La formazione in edilizia Come detto il settore edile risulta essere il primo ad aver recepito l’obbligatorietà di tali adempimenti, superando altresì la distanza tra industria ed artigianato che nei nuovi testi dei propri Ccnl rispettivamente del 18 giugno 2008 e del 23 luglio 2008, introducono modalità simili di erogazione di detta formazione. Condivisa è l’intenzione di porre a carico delle Casse edili, enti territoriali per eccellenza, la creazione di una struttura abile alla somministrazione dei percorsi formativi. I citati accordi prevedono comunque un’applicazione di tipo sperimentale per un biennio, al termine del quale sarà valutato il funzionamento del sistema e l’eventuale applicazione definitiva. La procedura La procedura applicativa prevede innanzitutto l’identificazione della tipologia di lavoratore al quale somministrare la formazione specifica. Nel caso di lavoratori neofiti del settore, come detto, l’obbligo introdotto (ma in realtà solo confermato) dall’art. 37, vige già dal 1° gennaio 2009; pertanto da tale data questi lavoratori non potevano e di conseguenza non potranno, essere avviati (2) al lavoro prima dell’espletamento della formazione (3). Chiaramente il datore di lavoro dovrà individuare la natura di neofita del soggetto da assumere, peraltro presunta fino a prova contraria, non essendoci reale possibilità di conoscere la sua storia lavorativa pregressa. Il soggetto neofita dovrà essere immediatamente e debitamente formato e solo successivamente avviato al lavoro presso l’azienda. In caso contrario il lavoratore assunto non potrebbe lavorare, non potendo essere adibito alle mansioni oggetto di formazione obbligatoria, innescando comunque il decorrere del sinnallagma originante l’obbligo retributivo.

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Pare utile quindi sottolineare come al datore di lavoro convenga in via preventiva individuare il primo corso disponibile(4), iscrivere il lavoratore, solo a questo punto assumere lo stesso ed avviarlo al corso. Il dipendente potrà di conseguenza essere avviato senza aver perduto alcun giorno lavorativo. Questa procedura è sicuramente la meno dispendiosa per il datore di lavoro, che riceverà altresì un contributo da parte della propria cassa a copertura di parte del costo del corso. Nulla vieta inoltre l’avviamento alla formazione prima dell’assunzione. Chiaramente attuando questo percorso il lavoratore non godrà della retribuzione giornaliera in quanto non in forza. Nel caso invece del lavoratore che abbia già operato nel settore, questi, per garantire la propria posizione, dovrà fornire la documentazione necessaria a comprovare tale status. Nello specifico si adopererà inoltre per fornire copia dell’ultimo cedolino del settore, oppure della visura camerale nel caso in cui il soggetto avesse lavorato quale autonomo. Questo lavoratore, qualificabile come esperto, rientrerà nella seconda previsione formativa (non ancora recepita dai citati Ccnl). Tale secondo binario, riferito sempre all’art. 37 comma 6, obbliga tutti i lavoratori del settore di riferimento ad accrescere la propria conoscenza della mansione tramite incontri periodici. Per questo adempimento chiaramente i datori di lavoro avranno a disposizione tempistiche di adeguamento più ampie, avendo inoltre la possibilità di utilizzare le medesime strutture formative. Il problema della certificazione In realtà l’esecuzione dell’adempimento formativo come recepito dai contratti edili non è l’unica soluzione percorribile per l’assolvimento dell’obbligo. Considerato infatti che l’articolo 37 impone la garanzia di aver formato i dipendenti, nulla vieta all’azienda di provvedervi in proprio. Chiaramente nel caso in questione l’azienda che intende fruire di questa eventualità dovrà assicurarsi di poter poi dimostrare di aver somministrato la necessaria formazione a fronte di un’eventuale verifica ispettiva. Assunto ciò, pare evidente come il ricorso alle scuole edili (emanazione delle Casse) o ad organismi di parificato riconoscimento, garantisca all’azienda una più completa difesa di fronte all’eventuale contestazione. A tal proposito preme sottolineare come tanto lo stesso Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, quanto l’Inail, abbiano asseverato la programmazione della formazione per mezzo di queste scuole. Edili artigiani ed edili industria Pur essendo il settore edile il primo ad avviare tale sperimentazione, che in realtà tale non è considerata la vigenza dell’obbligo dal 1994, si deve evidenziare come lo stesso presenti al suo interno forti disparità dovute alla diversa organizzazione di categorie e territorio. Nonostante i due diversi contratti collettivi abbiano recepito l’obbligo in maniera pressoché identica, l’applicazione del precetto in realtà presenta profili considerevolmente diversi. Non si può non notare infatti come il sistema organizzativo delle casse edili presenti profonde diversità tra le categorie artigianato e industria. Mentre infatti le aziende industriali beneficiano di una cassa per ogni provincia, il più delle volte aderente al centralizzato sistema nazionale Cnce, il comparto artigiano risponde con una struttura eterogenea articolata a seconda del territorio di competenza, prevalentemente per regione, oppure aderendo alle medesime casse previste per le aziende industriali. Pare evidente quindi come anche la vera e propria organizzazione dell’attività formativa non possa presentarsi omogenea tra le due categorie. Nello specifico il comparto industriale ha pensato di sfruttare le scuole edili, già esistenti presso le casse e quindi organizzate all’erogazione delle prestazioni in questione, come entità alle quali affidare i percorsi formativi qui trattati. Il comparto artigiano, dal canto suo, dovrà invece attivare una nuova organizzazione capillare nel territorio per adempiere ad un nuovo obbligo. Nulla vieta comunque alle aziende di questo settore di poter fruire dei servizi avviati dal comparto industriale, valutando però la possibilità o me no di percepire i contributi per la formazione da parte della propria cassa(5). Il problema maggiore risulta comunque quello della tempistica. Se infatti tale norma è entrata in vigore dal 1° gennaio 2009, la mancata attuazione della stessa per difficoltà dovute

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all’organizzazione del settore, non esime il datore di lavoro dalla soggezione alla sanzione. Tanto che proprio i Ccnl che hanno recepito la norma non si sono dotati di alcun periodo transitorio, anche perché il precetto deriva dal decreto legislativo stesso. Di conseguenza nel caso in cui si siano verificati, o si verifichino, avviamenti al lavoro in assenza di adempimento delle 16 ore, anche se dovuta alla mancanza di un’idonea offerta formativa, il datore di lavoro risulta sanzionabile. Per evitare tale rischio il datore di lavoro avrà due possibilità, da una parte il ricorso a strutture organizzate di non diretta derivazione categoriale, dall’altra la formazione in autonomia, come specificato al paragrafo precedente, con l’evidente difficoltà di doverla certificare e provare. I due contratti concentrano l’attenzione sulla condizione di neofita del soggetto neoassunto. Questi nel caso in cui abbia già operato nel settore in Italia, come detto dovrà produrre la documentazione descritta in precedenza. La durata della formazione, che potrà essere anticipata o posticipata rispetto all’assunzione, ma sempre anticipata rispetto all’effettivo avviamento alla mansione, si sviluppa in 16 ore suddivise in 8 ore dedicate alla sicurezza e 8 ore di formazione specifica per l’attività che il dipendente andrà a svolgere in sede di prima mansione, rapportata comunque al concetto di lavoro sicuro. Si comprende quindi come anche la sezione più tecnica della formazione sarà dedicata ai principi che permetto di operare evitando rischi specifici. A questa andrà aggiunta una prova di lingua italiana per il personale straniero. Si deve considerare come il taglio prettamente pratico dei contenuti formativi possa essere digerito positivamente dai datori di lavoro non sempre inclini a destinare orario lavorativo prezioso a scopi che esulino l’attività tipica dell’azienda. Infatti pare evidente come le 16 ore di formazione, nel caso venissero eseguite successivamente all’assunzione, sconterebbero la condizione di giorni lavorativi regolarmente retribuiti. I due Ccnl, congiuntamente, indicano come la valenza di questo tipo di formazione debba essere considerata incontestabile, in quanto svolta secondo la previsione legislativa in via principale e contrattualistica in via sussidiaria. Valutati gli aspetti nei quali entrambe i contratti si identificano dobbiamo notare come esitano dei profili, prettamente organizzativi, che distanziano le due categorie. Infatti, in merito alla già citata diversità relativamente all’erogazione dell’attività formativa che nel caso industriale è già organizzata, mentre in quello artigiano risulta in fase di stand-by, in molte province le Casse edili dell’industria si sono rese disponibili ad accettare, previo pagamento, anche i dipendenti delle aziende artigiane che di conseguenza godranno di scelta formativa più ampia, che in ipotesi di immediata necessità di assumere può risultare appetibile. ----- (1) L’art. 22 del Dlgs n. 626/1994 prevedeva già l’obbligo di formare i dipendenti in merito alla mansione da questi svolta, oltre a garantire un periodico aggiornamento. Tale dettato però non ha trovato recepimento contrattuale, rimanendo perciò inattuato, salvo in quelle aziende che per libera scelta hanno avviato percorsi formativi specifici. (2) Il concetto di assunzione si riferisce all’atto formale di costituzione del rapporto, il concetto di avviamento si riferisce al sostanziale inizio di svolgimento della mansione. (3) I Ccnl concedono un periodo più ampio, pari a 3 giorni dall’ingresso in cantiere. (4) Sul sito www.16ore.it si può trovare il calendario proposto ed aggiornato in tempo reale dagli enti di formazione presenti in tutta Italia. (5) In Veneto l’accordo tra le parti sociali artigiane del 15 aprile 2009 ha fornito le indicazioni necessarie all’organizzazione della formazione nel periodo sperimentale. La stessa verrà somministrata presso le strutture formative di derivazione associativa, o tramite convenzioni stipulate con altri centri formativi. Viene inoltra precisato come per neofita si intenda ogni soggetto che non abbia svolto almeno due mesi di lavoro presso un cantiere edile in Italia.

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Casi pratici

Agevolazioni

PANNELLI SOLARI: PER IL 2009 NON È DOVUTO L'INVIO D. L'installazione di pannelli solari nel 2009 dovrebbe essere preceduta da una comunicazione da inviare al Centro operativo di Pescara. Non essendo state emanate le specifiche tecniche di tale invio, un privato che vuole installare i pannelli sulla propria abitazione che deve fare? ----- R. Ai fini del 55%, l’art. 29, commi 6 e 7, del Dl 185/2008 convertito nella legge 2/2009 prevede per le spese sostenute nel 2008: il ripristino delle modalità applicative precedenti (detrazione del 55% automatica, senza limiti di stanziamento); per le spese sostenute nel 2009 e 2010: l’invio di una comunicazione all’agenzia delle Entrate, secondo modalità e termini da definirsi con decreto. Con il provvedimento del direttore dell'agenzia delle Entrate, protocollo 57639/2009, è stato approvato il modello di comunicazione, e sono state fornite le relative istruzioni e le modalità di trasmissione all'amministrazione finanziaria. In particolare, è previsto che per le spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2009, il contribuente è tenuto ad inviare la comunicazione all'agenzia delle Entrate, entro 90 giorni dal termine del periodo d'imposta nel quale gli stessi hanno avuto inizio, solo nel caso in cui i lavori proseguano in più periodi d'imposta. Il modello, da presentare entro 90 giorni dal termine del periodo d'imposta nel quale i lavori hanno avuto inizio, deve essere inviato all'agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica (utilizzando il prodotto informatico disponibile gratuitamente sul sito dell'agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it), direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati (professionisti o Caf). Quindi, relativamente a lavori iniziati nel 2009 e che proseguiranno nel 2010, le comunicazioni andranno inviate entro il 31 marzo 2010. Pertanto, se i pannelli solari sono installati nel corso del 2009 e i lavori non proseguono anche nel 2010, la comunicazione non deve essere inviata. (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 18 maggio 2009, n. 38)

LO SCONTO CON IL CONTRATTO «SERVIZIO ENERGIA PLUS» D. In un condominio, che amministro, è stata ristrutturata la centrale termica con montaggio di valvole termostatiche e contabilizzazione del calore. Tutta la documentazione c'è ed è stata inviata all'Enea la relazione del tecnico. Con la ditta che ha eseguito i lavori è stato stipulato un contratto denominato "servizio energia plus" conformemente a quanto stabilito dal Dl n. 115 del 30 maggio 2008 equiparato dalla legge al contratto di leasing. Il condominio paga la società che ha realizzato l'impianto in rate trimestrali per nove anni. I condomini possono detrarre l'intero importo, diviso in 3 o 10 rate, come previsto, o solo la quota di investimento pagato nel corso del 2008? ----- R. In merito al caso di specie, occorre premettere alcune osservazioni. Ai fini della detrazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti (art. 1, commi 20-24, L. 244/2007), il decreto attuativo 19 febbraio 2007, all'art. 2, c. 2, stabilisce che nel caso in cui gli interventi siano eseguiti mediante contratti di locazione finanziaria «la detrazione compete all'utilizzatore ed è determinata in base al costo sostenuto dalla società concedente». Ciò significa che l'utilizzatore dell'intervento ha diritto all'agevolazione limitatamente alla quota parte di costo relativo alla realizzazione dei lavori di riqualificazione e non anche con riferimento alla quota interessi sostenuta nell'ambito del contratto di locazione finanziaria. Relativamente al caso concreto, accertato che il contratto "servizio energia plus", di cui all'art. 5, Allegato II al Dlgs 115/2008 possa assimilarsi giuridicamente a un contratto di locazione finanziaria, si ritiene che l'agevolazione spetta ai condomini in ragione del costo di realizzazione dell'impianto, fermo restando che la stessa compete secondo il cosiddetto "principio di cassa". In altri termini, come per tutti i soggetti non titolari di reddito d'impresa (come i condomini del caso esaminato), il momento

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di imputazione dei costi è individuabile all’atto del pagamento delle spese, coincidente con la data del bonifico (cir. 36/E/2007). Pertanto, in assenza di specifici chiarimenti da parte dell'Amministrazione finanziaria, si ritiene i condomini possano detrarre per il periodo d'imposta 2008 le spese sostenute con riferimento alla quota di realizzazione dell'impianto, pagate con bonifico nel corso del medesimo anno. (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 18 maggio 2009, n. 38)

RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA LA COMUNICAZIONE DAL 2010 D. Sono un privato e sto effettuando su un immobile interventi di riqualificazione energetica che danno diritto a una detrazione Irpef del 55 per cento. I lavori sono iniziati nel 2008 e termineranno nel 2009. Vorrei sapere se presentando la pratica all’ Enea entro i 90 giorni dalla fine lavori, quindi presumibilmente nel settembre 2009, ci sono problemi per le spese del 2008. Per le spese sostenute nel corso del 2009, ancorché si tratti del prosieguo di un intervento già iniziato, è necessario procedere alla comunicazione all’agenzia delle Entrate? ----- R. Nessun problema per l’applicazione della detrazione del 55% nel 2008, in sede di dichiarazione dei redditi 2009. Ai fini del riconoscimento della detrazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti (art. 1, c. 20-24, L. 244/2007), innanzitutto va ricordato che, come precisato dall’agenzia delle Entrate (cir. 36/E/2007), per i soggetti non titolari di reddito d’impresa, il beneficio spetta in base al cosiddetto "criterio di cassa", ossia relativamente all’ammontare delle spese pagate con bonifico bancario o postale entro la fine del periodo d’imposta agevolato. In particolare, l'art. 4, c. 1 quater, DM 19.02.2007 stabilisce che, nell’ipotesi in cui l’intervento venga realizzato nel corso di più annualità agevolate, il contribuente può fruire della detrazione spettante per le spese sostenute in ciascun periodo d’imposta, a prescindere dall’ultimazione dei lavori (e, quindi, dal momento in cui è possibile ottemperare agli adempimenti richiesti), purché attesti che l’intervento non sia ancora terminato (in tal senso, anche l'Amministrazione finanziaria nelle ris. 283/E/2008 e 295/E/2008). Pertanto, nel caso concreto, per le spese sostenute nel 2008, la detrazione del 55% si applica secondo le vecchie regole, con le modalità "automatiche" previgenti. Quindi, il lettore può fruire della detrazione spettante per le spese sostenute nel periodo d’imposta 2008, già in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi 2009 (Unico 2009 o Mod. 730/2009) presentando la necessaria comunicazione di prosecuzione dei lavori tra un'annualità e l'altra (attestazione da allegare a Unico 2009 o presentare al Caf nell’ipotesi di utilizzo del Mod. 730/2009), trattandosi di lavori ancora in corso al 31.12.2008. Per quanto riguarda le spese sostenute nel corso del periodo d'imposta 2009, con il provvedimento del direttore dell'agenzia delle Entrate, prot. n. 57639/2009, è stato approvato il modello di comunicazione, e sono state fornite le relative istruzioni e le modalità di trasmissione all'amministrazione finanziaria. In particolare, è previsto che per le spese sostenute a partire dal 01.01.2009, il contribuente è tenuto a inviare la comunicazione all'agenzia delle Entrate, entro 90 giorni dal termine del periodo d'imposta nel quale gli stessi hanno avuto inizio, solo nel caso in cui i lavori proseguano in più periodi d'imposta. Il modello, da presentare entro 90 gg dal termine del periodo d'imposta nel quale i lavori hanno avuto inizio, deve essere inviato all'agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica (utilizzando il prodotto informatico disponibile sul sito dell'agenzia delle Entrate), direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati (professionisti o Caf). Quindi, relativamente a lavori iniziati nel 2008 e proseguiti nel 2009, le comunicazioni non devono essere inviate. Viceversa relativamente a lavori iniziati nel 2009 e che proseguiranno nel 2010, le comunicazioni andranno inviate entro il 31 marzo 2010. (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 18 maggio 2009, n. 38)

IMPIANTI: LA MESSA A NORMA BENEFICIA DELLO SCONTO D. A causa di un intervento dei vigili del fuoco e della Asl, la canna fumaria del condominio è stata definita non a norma. L'amministratore ha intimato ai condomini di disattivare il collegamento di dispositivi per la produzione di acqua calda alla canna fumaria suggerendo la sostituzione degli apparecchi di tipo b con apparecchi di tipo c modello turbo (che non necessitano di impianti di scarico). Poiché la sostituzione prevede l'acquisto di un nuovo scaldabagno e lavori di muratura per l'effettuazione del foro per lo scarico dei fumi, può questo intervento rientrare nei lavori che prevedono la detrazione del 36%? Se sì, cosa è necessario fare per avere diritto alla detrazione?

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----- R. La risposta è affermativa, tenuto conto che gli interventi da realizzare possono qualificarsi come lavori di manutenzione straordinaria (per i quali, generalmente, i regolamenti edilizi locali richiedono la presentazione della Dia), ovvero anche come interventi di messa a norma degli impianti dell’edificio residenziale, espressamente agevolati con la detrazione Irpef del 36% (art. 2 c. 15, L. 203/2008). Come precisato dall’ Amministrazione finanziaria, infatti, rientrano nel beneficio fiscale, indipendentemente dalla categoria di intervento edilizio e ancorché siano di entità minima, anche gli interventi di messa a norma degli edifici riguardanti gli impianti tecnologici dell’abitazione (individuati dall'art. 1 della L. 46/1990 e definiti nel successivo regolamento attuativo), attestati da certificato di conformità rilasciato dai soggetti abilitati (circ. 57/E/1998). Relativamente agli adempimenti da porre in essere nel caso di specie, è da ritenere che, qualora i lavori riguardino tutte le unità presenti nel fabbricato e sia dato incarico all’amministratore di gestire in modo unitario il complessivo intervento di sostituzione dei dispositivi per l’acqua calda, siano applicabili le disposizioni previste per gli interventi condominiali. In tale ipotesi, pertanto, l’amministratore dovrà inviare, necessariamente prima dell’avvio dei lavori, la prescritta comunicazione al Centro operativo di Pescara, con allegata la delibera assembleare di approvazione dell’intervento e la Tabella di ripartizione delle spese (art. 1, c. 1, lett. a, Dm 41/1998). Il medesimo amministratore dovrà, poi, effettuare i pagamenti connessi ai lavori tramite bonifico bancario o postale, provvedendo a ripartire i costi ai singoli condomini (ris. 442/E/2008 e cir. 55/E/2002). Questi ultimi, quindi, potranno fruire della detrazione del 36%, in ragione della quota di spese a loro imputata (ed effettivamente "saldata" al condominio entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi nella quale si fruisce del beneficio - circolare 95/E/2000), da assumere entro il limite massimo di 48.000 euro, valevole per ciascuna delle unità immobiliari presenti nell’edificio (ris. 19/E/2008 e ris. 124/E/2007). Diversamente, qualora i lavori siano gestiti in piena libertà e autonomia da ciascuno dei proprietari delle abitazioni (riguardo alla scelta della tipologia di impianto da installare e dell’impresa esecutrice dei lavori), si ritiene che i suddetti adempimenti debbano essere effettuati dai singoli contribuenti interessati all’agevolazione (invio della preventiva comunicazione al Centro operativo di Pescara e pagamento delle spese tramite bonifico, a fronte di fatture a loro direttamente intestate). Si evidenzia, infine, che, in entrambe le ipotesi, è necessario che l’impresa esecutrice dell’intervento indichi separatamente, in fattura, il costo della manodopera impiegata nello stesso, seguendo le indicazioni fornite dall’agenzia delle Entrate nella circolare n.11/E del 2007. (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 18 maggio 2009, n. 38)

RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA LA COMUNICAZIONE DAL 2010 D. Sono un privato e sto effettuando su un immobile interventi di riqualificazione energetica che danno diritto a una detrazione Irpef del 55 per cento. I lavori sono iniziati nel 2008 e termineranno nel 2009. Vorrei sapere se presentando la pratica all’ Enea entro i 90 giorni dalla fine lavori, quindi presumibilmente nel settembre 2009, ci sono problemi per le spese del 2008. Per le spese sostenute nel corso del 2009, ancorché si tratti del prosieguo di un intervento già iniziato, è necessario procedere alla comunicazione all’agenzia delle Entrate? ----- R. Nessun problema per l’applicazione della detrazione del 55% nel 2008, in sede di dichiarazione dei redditi 2009. Ai fini del riconoscimento della detrazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti (articolo 1, commi 20-24, legge 244/2007), innanzitutto va ricordato che, come precisato dall’agenzia delle Entrate (circolare 36/E/2007), per i soggetti non titolari di reddito d’impresa, il beneficio spetta in base al cosiddetto "criterio di cassa", ossia relativamente all’ammontare delle spese pagate con bonifico bancario o postale entro la fine del periodo d’imposta agevolato. In particolare, l'articolo 4, comma 1 quater, del decreto 19 febbraio 2007 stabilisce che, nell’ipotesi in cui l’intervento venga realizzato nel corso di più annualità agevolate, il contribuente può fruire della detrazione spettante per le spese sostenute in ciascun periodo d’imposta, a prescindere dall’ultimazione dei lavori (e, quindi, dal momento in cui è possibile ottemperare agli adempimenti richiesti), purché attesti che l’intervento non sia ancora terminato (in tal senso, anche l'Amministrazione finanziaria nelle risoluzioni 283/E/2008 e 295/E/2008). Pertanto, nel caso concreto, per le spese sostenute nel 2008, la detrazione del 55% si applica secondo le vecchie regole, con le modalità "automatiche" previgenti. Quindi, il lettore può

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fruire della detrazione spettante per le spese sostenute nel periodo d’imposta 2008, già in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi 2009 (Unico 2009 o Modello 730/2009) presentando la necessaria comunicazione di prosecuzione dei lavori tra un'annualità e l'altra (attestazione da allegare a Unico 2009 o presentare al Caf nell’ipotesi di utilizzo del Modello 730/2009), trattandosi di lavori ancora in corso al 31 dicembre 2008. Per quanto riguarda le spese sostenute nel corso del periodo d'imposta 2009, con il provvedimento del direttore dell'agenzia delle Entrate, protocollo n. 57639/2009, è stato approvato il modello di comunicazione, e sono state fornite le relative istruzioni e le modalità di trasmissione all'amministrazione finanziaria. In particolare, è previsto che per le spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2009, il contribuente è tenuto a inviare la comunicazione all'agenzia delle Entrate, entro 90 giorni dal termine del periodo d'imposta nel quale gli stessi hanno avuto inizio, solo nel caso in cui i lavori proseguano in più periodi d'imposta. Il modello, da presentare entro 90 giorni dal termine del periodo d'imposta nel quale i lavori hanno avuto inizio, deve essere inviato all'agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica (utilizzando il prodotto informatico disponibile gratuitamente sul sito dell'agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.gov.it), direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati (professionisti o Caf). Quindi, relativamente a lavori iniziati nel 2008 e proseguiti nel 2009, le comunicazioni non devono essere inviate. Viceversa relativamente a lavori iniziati nel 2009 e che proseguiranno nel 2010, le comunicazioni andranno inviate entro il 31 marzo 2010. (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 18 maggio 2009, n. 38)

LAVORI PER IL 55%: NEL 2009 NON SERVE COMUNICAZIONE D. Per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, è stato introdotto l'obbligo di inviare una comunicazione all'agenzia delle Entrate, secondo le modalità che avrebbero dovuto essere comunicate dall'Agenzia entro febbraio 2009. Non mi sembra, però, che l'Agenzia abbia emanato queste istruzioni né l'apposito formulario. Vi risulta che sia prevista a breve qualche nota in merito oppure l'obbligo del questionario deve considerarsi abbandonato per quest'anno? ----- R. L'art. 29 Dl 185/2008, convertito nella L. 2/2009, ai fini del 55% ha previsto, per le spese sostenute nel 2008, il ripristino delle modalità applicative precedenti (detrazione del 55% automatica, senza limiti di stanziamento); per le spese sostenute nel 2009 e 2010, l'invio di una comunicazione all'agenzia delle Entrate, fermi restando i precedenti adempimenti (comunicazione all'Enea entro 90 gg dall'ultimazione dei lavori); la ripartizione della detrazione obbligatoriamente in 5 anni. Viene stabilita, inoltre, la modifica del DM 19.02.2007, al fine di semplificare gli adempimenti cui sono tenuti i contribuenti, da adottare tramite successivo decreto. Con il provvedimento del direttore dell'agenzia delle Entrate, prot. 57639/2009, è stato approvato il modello di comunicazione, e sono state fornite le relative istruzioni e le modalità di trasmissione all'amministrazione finanziaria. In particolare, è previsto che per le spese sostenute a partire dal 01.012009, il contribuente è tenuto a inviare la comunicazione all'agenzia, entro 90 giorni dal termine del periodo d'imposta nel quale gli stessi hanno avuto inizio, solo nel caso in cui i lavori proseguano in più periodi d'imposta. Il modello, da presentare entro 90 giorni dal termine del periodo d'imposta nel quale i lavori hanno avuto inizio, deve essere inviato all'agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica (utilizzando il prodotto informatico disponibile gratuitamente sul sito dell'agenzia delle Entrate), direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati (professionisti o Caf). Quindi, relativamente a lavori iniziati nel 2009 e che proseguiranno nel 2010, le comunicazioni andranno inviate entro il 31.03.2010. Qualora per il medesimo intervento (avviato dal 2009) il contribuente sostenga le relative spese in più periodi d'imposta, la comunicazione andrà trasmessa entro 90 gg dal termine di ciascun periodo d'imposta, con riferimento alle spese sostenute nel periodo d'imposta precedente. Al contrario, il modello in questione non deve essere inviato qualora i lavori siano iniziati e conclusi nel medesimo periodo d'imposta, e nel periodo d'imposta cui la comunicazione si riferisce non sono state sostenute spese (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 18 maggio 2009, n. 38)

IL 36% PER LA NUOVA CALDAIA A RISPARMIO ENERGETICO D. Devo sostituire la caldaia per l'erogazione di acqua sanitaria e riscaldamento con una di qualità ecologica secondo Ral-uz-40 (non a condensazione). Posso accedere alla detrazione del 36% e con quali modalità devo presentare la domanda/richiesta all'agenzia delle Entrate? Inoltre, come

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devono fatturarmi l'Iva tra acquisto e manodopera? ----- R. La sostituzione della caldaia può certamente fruire della detrazione Irpef del 36% (art. 2 c. 15, L. 203/2008), anche come intervento diretto a consentire il risparmio energetico, espressamente agevolato dalla stessa norma istitutiva del beneficio fiscale (art. 1 L. 449/1997). In particolare, rientrano nell’agevolazione del 36% anche «le opere finalizzate al conseguimento del risparmio energetico» negli edifici, così come individuate dall’art. 1, del Dm 15 febbraio 1992, che annovera, ad esempio, anche l’installazione di generatori di calore che, in condizione di regime, presentino un rendimento, misurato con metodo diretto, non inferiore al 90 per cento. Tali interventi vengono, tra l’altro, agevolati a prescindere dalla categoria di intervento edilizio nella quale ricadono (quindi anche si dovesse trattare di una semplice manutenzione ordinaria, generalmente non rientrante nel beneficio fiscale), purché il contribuente provveda ad acquisire una documentazione idonea ad attestare che l’impianto possiede le caratteristiche "energetiche" fissate dal citato Dm 15 febbraio 1992 (ad esempio, la scheda tecnica del produttore della nuova caldaia — circ. 57/E/1998). Anche in tali casi è comunque necessario esperire tutti gli adempimenti previsti dal Dm 41/1998 tra i quali l’invio (tramite raccomandata semplice) del prescritto modello di comunicazione al Centro operativo di Pescara, obbligatoriamente prima di iniziare i lavori di sostituzione della caldaia (o anche lo stesso giorno, purché in un momento antecedente all’avvio degli stessi – circ. 15/E/2005), alla quale andranno allegati il provvedimento abilitativo ai lavori (ad esempio Dia) e la copia dei bollettini di pagamento dell’ Ici dal 1997 (se dovuta). In alternativa, al posto di tale documentazione, il contribuente può rendere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, nella quale viene attestato di essere in possesso della documentazione richiesta e di essere pronti a esibirla in caso di richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria (inoltre, qualora la normativa urbanistica locale non richieda, per la sostituzione della caldaia, la presentazione della Dia, in tale dichiarazione sostitutiva, il contribuente potrà attestare che i lavori da realizzare, seppur agevolati, non necessitano in realtà di alcun titolo abilitativo, ai sensi della normativa edilizia locale vigente – ris. 325/E/2007). Sempre ai fini della detrazione fiscale, è inoltre necessario pagare tutte le spese tramite bonifico bancario o postale, ed è altresì obbligatorio (pena la decadenza dall’agevolazione - articolo 1, c. 19, L. 244/2007 e cir. 28/E/2006) che la ditta che esegue i lavori indichi, in fattura, il costo della manodopera impiegata negli stessi (seguendo le istruzioni fornite dall’agenzia delle Entrate nella cir. n. 11/E del 2007), da intendersi coincidente con la retribuzione lorda corrisposta ai dipendenti utilizzati nell’esecuzione dell’intervento. Per quanto riguarda l’ Iva, la caldaia rientra tra i cosiddetti "beni significativi" (tassativamente elencati dal Dm 29 dicembre 1999), per cui l’aliquota agevolata al 10% (di cui all’art. 1, c. 18, L. 244/2007 prorogato sino al 2011 dall’art. 2, c. 15, L. 203/2008) può essere fruita, per questi, solo sino a concorrenza del valore della manodopera impiegata nell’esecuzione dei lavori (intendendosi per tale il corrispettivo richiesto per l’installazione, comprensivo anche delle materie prime impiegate - circolare 71/E/2000), mentre l’eventuale parte eccedente deve essere assoggettata all’aliquota ordinaria del 20 per cento. È pertanto necessario che, in fattura, le due voci (corrispettivo della caldaia e quello richiesto per la relativa installazione) siano evidenziate separatamente. In conclusione, qualora il contribuente fruisca sia della detrazione Irpef del 36%, che dell’ Iva ridotta al 10%, nella fattura dovrà essere distinto il valore della caldaia, dal corrispettivo richiesto per la manodopera relativa all’installazione (al fine dell’esatta applicazione dell’aliquota Iva agevolata) e, separatamente (ai fini specifici della detrazione del 36%), dovrà essere ulteriormente evidenziato il «costo della manodopera» utilizzata nei lavori (da intendersi diverso dal concetto di «valore della manodopera», in quanto quest’ultima è pari al corrispettivo richiesto per l’installazione del bene e dei materiali impiegati, mentre il «costo della manodopera» si ritiene coincidente con la retribuzione lorda che l’impresa corrisponde ai propri dipendenti utilizzati nell’esecuzione dei lavori). (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 18 maggio 2009, n. 38)

DURC

DIVERSI TIPI DI RICHIESTE DEL DURC D. Vi sono diversi tipi di richieste del Durc: appalti lavori pubblici, appalti forniture pubbliche, appalti servizi pubblici, lavori privati in edilizia, iscrizione albo fornitori, agevolazioni, finanziamenti, attestazioni Soa. Con la probabilità che una stessa ditta o società fa più richieste Durc nello stesso mese per i diversi motivi, con duplicazione di lavoro e carte per Inail, Inps e Cassa edile. Poiché io

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non capisco la differenza e lo scopo di queste diverse richieste Durc, potreste darmi una spiegazione? ----- R. Nella fattispecie segnalata, invero, due soltanto sono le situazioni: il Durc da presentarsi nei confronti di una Pubblica amministrazione, in piena attuazione dell’art. 2 del Dl n. 210/2002, convertito dalla legge n. 266/2002, rispetto al quale il Dl n. 185/2008, convertito in legge n. 2/2009, ha previsto l’obbligo per la stazione appaltante pubblica di acquisire direttamente il Durc dell’impresa con modalità informatiche, e il Durc da presentarsi al privato, per il quale l’impresa rimane obbligata alla richiesta e alla presentazione. L’attestazione della regolarità contributiva, peraltro, è unica e permane nella sua validità ed efficacia per tutto il periodo al quale si riferisce, potendosene acquisire, ove necessario, in modalità informatica, un duplicato. La Direzione generale per l’Attività ispettiva del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, con interpello n. 21 del 9 luglio 2008, ha risposto ad un quesito proprio in merito alla valenza del Documento unico di regolarità contributiva sancendo che il rilascio del Durc vale ad attestare la regolarità della contribuzione, per il periodo di validità del Documento stesso, con riguardo sia alla correttezza sia alla correntezza delle denunce periodiche e dei relativi versamenti, sottolineando, peraltro, che il Durc non ha effetti liberatori per l’impresa riguardo agli obblighi contributivi, restando impregiudicata l’azione degli Enti previdenziali per l’accertamento ed il recupero di eventuali somme che successivamente dovessero risultare dovute, e specificando che l’utilizzo di un Durc non rispondente a verità integra la fattispecie penalmente rilevante di uso di atto falso. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

INTERPRETAZIONE DI APPALTO PUBBLICO D. Le stazioni appaltanti sono obbligate a verificare il Durc delle imprese che risultano affidatarie di qualsiasi tipo di appalto pubblico di opere e servizi di cui al Dlgs n. 163/2006 o sono previste esclusioni per alcune tipologie di acquisizione di opere o servizi? ----- R. Il Ministero, con nota n. 230 del 12.7.2005 ha già avuto modo in passato di affermare che «La regolarità contributiva oggetto del Durc riguarda tutti gli appalti pubblici nonché i lavori privati in edilizia soggetti al rilascio di concessione ovvero a denuncia inizio attività (Dia)» e che, inoltre, «La definizione di appalto pubblico deve essere ampiamente intesa, dovendo ricomprendersi non solo gli appalti di lavori pubblici in senso stretto (legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni), ma anche gli appalti di servizi e forniture (Dlgs n. 358/1992 e n. 157/1995 e successivi)». Recentemente, inoltre, lo stesso Ministero con la risposta ad interpello n. 10/2009, nel ribadire questa interpretazione estensiva della definizione di appalto, ha precisato che anche per le acquisizioni di beni, servizi e lavori in economia operate in base alla procedura semplificata prevista dall’art. 125 del Dlgs n. 163/2006 vi è l’obbligo di presentare il Durc alla stazione appaltante, in piena attuazione dell’art. 2 del Dl n. 210/2002, convertito dalla legge n. 266/2002. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

IMPRESE SENZA DIPENDENTI D. Date le disposizioni del decreto 24.10.2007, le stazioni appaltanti sono obbligate a verificare il Durc di tutte le imprese esecutrici di lavori edili, anche senza dipendenti e qualunque sia la forma giuridica di costituzione (ad esempio Ditte individuali, professionisti…) e, in caso affermativo, quale sarebbe l’Ente delegato al rilascio della certificazione unica o Durc? ----- R. L’art. 1 del Dm 24.10.2007 afferma che ai sensi della vigente normativa il Durc è richiesto anche ai «lavoratori autonomi» nell’ambito delle procedure di appalto di opere, servizi e forniture pubblici e nei lavori privati dell’edilizia. Difatti, per quanto un datore di lavoro possa risultare privo di dipendenti e non avere, pertanto, debiti riferibili a tali soggetti, deve comunque adempiere alle obbligazioni contributive ed assicurative previste dalla vigente normativa in relazione alla propria posizione lavorativa. Conseguentemente le stazioni appaltanti sono obbligate a verificare il Durc di tutte le imprese esecutrici di lavoro edili ancorché prive di dipendenti ed a prescindere dalla forma giuridica di costituzione. Anche in tale ipotesi la richiesta, nel rispetto delle modalità oggi prescritte

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dall’art. 16bis, comma 10, legge n. 2/2009 che impone alle stazioni appaltanti l’acquisizione d’ufficio del Durc, andrà avanzata: per via telematica accedendo alternativamente al portale orizzontale www.sportellounicoprevidenziale.it (in caso di aziende, intermediari, stazioni appaltanti ed enti a rilevanza pubblica appaltanti) oppure al portale verticale www.inail.it (aziende ed intermediari) o a quello www.inps.it (aziende ed intermediari); con i moduli unificati in formato cartaceo da presentare direttamente presso uno degli istituti. Per quanto riguarda, inoltre, lavoratori eventualmente iscritti presso enti previdenziali diversi da quelli suindicati (ad esempio Inpdap, Enpals, ecc.), la certificazione attestante la regolarità contributiva andrà richiesta direttamente a tali enti (cfr. risposta ad interpello n. 9/ 2009). In proposito si rammenta, infine, che la richiesta per via telematica è obbligatoria per le Pa appaltanti, gli Enti Privati a rilevanza pubblica appaltanti e le Soa. Per le altre tipologie di richiedenti/utenti non è obbligatorio ma comunque consigliato. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

FIRMA DEL FILE CONTENENTE L’AUTOCERTIFICAZIONE D. Con quale programma si firma il file contenente l’autocertificazione? Il consulente può firmarlo digitalmente per tutti i suoi clienti? Dopo aver compilato il documento, il programma di salvataggio lo converte in Pdf, come faccio a firmarlo? ----- R. La circolare n. 10 del 1° aprile 2009 indica con precisione ed esattezza le modalità per procedere alla firma dell’autocertificazione da inviare in modalità telematica. Si tratta ovviamente di una «firma digitale» e non di una mera sottoscrizione. La «firma digitale» viene apposta direttamente sul file informatico elaborato e salvato sul Pc attraverso l’apposito software e le chiavi di accesso fornite dal certificatore che ha fornito la «firma digitale» stessa al dichiarante, ai sensi del Dlgs n. 82/ 2005. Accanto a tale procedura potrà legittimamente essere posta in essere quella della trasmissione in modalità cartacea della autodichiarazione alla Direzione provinciale del lavoro competente come illustrato nella circolare n. 34 del 15 dicembre 2008 la quale fa espresso riferimento al legale rappresentante dell’impresa interessata quale soggetto deputato a sottoscrivere o a firmare digitalmente (a seconda della procedura seguita) l’autocertificazione in argomento. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

PEC D. Non possiedo la Pec: posso inoltrare ugualmente l’autocertificazione per il Durc o la devo presentare in modalità cartacea? La copia della carta di identità da allegare si riferisce al consulente che effettua l’invio o sono relativi ai titolari o ai rappresentanti legali delle aziende obbligate alla certificazione? ---- R. L’invio mediante posta elettronica certificata del file elaborato e firmato digitalmente è modalità alternativa alla presentazione della autocertificazione in modalità cartacea. Si accede alle modalità digitali secondo le procedure della circolare n. 10/2009, mentre si dovrà accedere a quella cartacea di cui alla circolare n. 34/2008 se non si possiedono firma digitale e Pec. Il documento di identità allegato alla dichiarazione/autocertificazione deve essere quello del dichiarante che autocertifica i contenuti del documento. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

FIRMA D. Per la trasmissione telematica, modello Durc, occorre la firma digitale del consulente accompagnata dalla procura dell’amministratore unico della società (legale rappresentante) o si può trasmettere senza la procura, firmato semplicemente dal consulente con la sua firma digitale? ----- R. La circolare del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali n. 34/2008, citando il Dm 24 ottobre 2007, ricorda come, ai fini del rilascio del Durc, l’interessato (datore di lavoro, tanto impresa individuale, quanto società) è tenuto ad autocertificare l’inesistenza a suo carico di provvedimenti, amministrativi o giurisdizionali definitivi, in ordine alla commissione delle violazioni

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di cui all’Allegato A del medesimo Dm ovvero il decorso del periodo indicato dall’allegato relativo a ciascun illecito. La circolare specifica altresì che detta autocertificazione debba essere presentata e firmata dal solo legale rappresentante. Il medesimo Ministero, con la circolare n. 10/2009 ha chiarito le modalità di trasmissione della suddetta autocertificazione, precisando che la trasmissione telematica sarà valida solo se firmata digitalmente e che il datore di lavoro interessato alla presente procedura dovrà comunicare, nella mail di trasmissione, la Direzione provinciale del lavoro competente. Infine, dalla visione del modulo per l’autocertificazione, reperibile sul sito www.lavoro.gov.it, si evince come il documento debba essere redatto dal titolare o dal legale rappresentante dell’azienda. Sulla base di quanto esposto, pertanto, si ritiene che tale autocertificazione possa essere effettuata solo dal datore di lavoro, il quale dovrà servirsi, per la procedura telematica, della propria firma digitale, che dovrà appartenere quindi al datore di lavoro stesso e non allo studio di consulenza che lo segue. In concreto, stante il rapporto professionale esistente, il consulente ben potrà redigere e compilare il modulo di autocertificazione; ciò non toglie, si ribadisce, che la firma digitale dovrà essere quella del legale rappresentante della società (anche senza digitalizzazione della procura di amministratore) e che il modello debba essere trasmesso unitamente ad una immagine scannerizzata di un documento di identità in corso di validità, sempre di appartenenza del dichiarante che autocertifica. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

DATORI DI LAVORO AGRICOLI D. Anche i datori di lavoro agricoli che hanno solo personale stagionale devono produrre l’autocertificazione? ----- R. Allo scopo di godere dei benefici normativi e contributivi tutti i datori di lavoro (senza eccezione alcuna, compresi quindi i datori di lavoro agricolo che occupano personale stagionale) appartenenti a qualunque settore di attività che hanno già fruito (a partire dall’ 1.1.2007), che attualmente fruiscono o che fruiranno in futuro delle agevolazioni contributive, come individuate dalla circolare n. 5/2008 del Ministero del lavoro, devono autocertificare l’inesistenza a proprio carico di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali definitivi riguardanti la commissione delle violazioni previste nella tabella Allegato A del Dm 24.10.2007 o, alternativamente, il decorso del periodo indicato dallo stesso allegato, relativo a ciascun illecito. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

CONTRATTI APPLICATI D. Fra i contratti applicati proposti dalla procedura di richiesta del modello Durc mancano, fra gli altri, quello relativo al settore pulizia industria e pulizia artigianato. Fino ad ora per richiedere il Durc ho indicato quello relativo alla nettezza urbana ed igiene ambientale. È corretto? ----- R. Nelle more della modifica delle tabelle menzionate nel quesito, appare comunque corretta e adeguata l’indicazione, nella richiesta del Durc, stante la necessità di evidenziare un settore in via di analogia in mancanza dell’espresso inserimento del settore di riferimento. (www.lavoro.gov.it/Lavoro) (Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008, n. 19)

DATA D. La richiesta, presente in ogni videata della procedura per il rilascio del Durc, «alla data del ....» si riferisce alla data dei termini contrattuali (ad esempio nei Sal al termine chiusura contabilità «a tutto il ...») oppure alla data in cui si fa richiesta del Durc, in vista del successivo pagamento? Nel caso di contabilità di un Sal al 31.12.2008 la richiesta del Durc deve contenere la data del 31.12.2008 oppure quella del previsto pagamento o quella della presentazione dell’istanza? La regolarità contributiva deve sussistere al momento del pagamento o al momento delle scadenze contrattuali di riferimento? ----- R. Il Durc deve attestare la regolarità contributiva per il pagamento degli stati di avanzamento lavori negli appalti pubblici con riferimento alla data di scadenza prevista, pertanto la data da

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inserire è necessariamente quella relativa al momento della effettuazione dei lavori per i quali si procede al pagamento. La regolarità contributiva deve accompagnare l’effettività della prestazione lavorativa resa.

Fisco IVA – RIMBORSI PRIORITARI per i SUBAPPALTATORI D. Sono un subappaltatore operante nel settore edile che emette le fatture di vendita per prestazioni in reverse change senza applicazione dell’Iva. È vero che è possibile chiedere a rimborso, con un criterio veloce, l’Iva a credito afferente agli acquisti? ----- R. La risposta è affermativa. Infatti, l’art. 38-bis, co. 9, D.P.R. 633/1972 aggiunto dall’art. 1, co. 308, lett. b), L. 296/2006, prevede che i subappaltatori nel settore edile possano richiedere il rimborso dell’Iva annuale ed infrannuale in via prioritaria entro tre mesi dalla richiesta, alle seguenti condizioni: - l’attività sia esercitata da almeno tre anni; - l’eccedenza chiesta a rimborso sia almeno pari ad € 3.000 per il rimborso infrannuale o ad € 10.000 per il rimborso annuale; - l’eccedenza chiesta a rimborso sia almeno pari al 10% dell’importo complessivo dell’imposta assolta sugli acquisti e sulle importazioni, effettuate nel periodo (anno o trimestre) cui si riferisce la richiesta. (La Settimana Fiscale, Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2009, n. 20, p. 45)

Sicurezza

SICUREZZA DEL LAVORO – CORSI DI FORMAZIONE D. Chi può insegnare sicurezza nei corsi di formazione e\o scuola e quali sono i titoli di riconoscimento per insegnare? ----- R. La risposta al quesito dovrebbe differenziarsi in funzione delle finalità e destinatari dei corsi di sicurezza. Un corso di formazione, piuttosto che un corso scolastico, non dovrebbe scontare vincoli particolari, qualora erogato al solo fine culturale o, piuttosto, divulgativo della sicurezza sui luoghi di lavoro. Ben altro discorso è, al contrario, da farsi per quanto concerne la formazione che il datore di lavoro deve irrogare ai propri lavoratori ai sensi dell’art. 37 del D.lgs. n. 81/2008, rilevando, al riguardo, nelle more dell’emanazione di una nuova normativa tecnica, la precedente disciplina emanata dalla Conferenza Stato/regioni sul punto, ovvero l’Accordo intercorso tra il Governo e le Regioni e Province autonome, attuativo dell'articolo 2, commi 2, 3, 4 e 5, del Decreto Legislativo 23 giugno 2003, n. 195, che integra il Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro (Atto n. 2407), con dettagliata definizione, ivi, dei contenuti dei corsi di formazione, delle procedure di validazione, dei requisiti dei formatori etc. (con attuazione, in tal senso, alla normativa pregressa di cui all’art. 8-bis, Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni, D.lgs. n. 626/1994 e successive modifiche). Altra questione, inoltre, è relativa alla formazione in materia antincendio, a seconda che l’attività condotta dal datore di lavoro del caso ricada o meno negli elenchi di attività soggette a controllo dei Vigili del Fuoco (ed obbligo del c.p.i.) ex tabelle A e B di cui al D.P.R. n. 689/1959 e allegato al D.M. 16 febbraio 1982 e successive modifiche - in tal caso con formazione necessariamente erogabile da parte del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco ai sensi dell’art. 3, c. 1, del D.L. n. 512/1996 convertito, con modificazioni, in legge n. 609/1996 - ovvero, in caso difforme (attività non soggette a controllo dei Vigili del Fuoco nel senso di non ricadere nei sopra menzionati elenchi) con verosimile liceità anche di una formazione erogata in via privata da parte di professionisti qualificati in tal senso - purché conforme all’art 37, c. 9, del D.lgs. n. 81/2008. (Marco Fabrizio, “Codice di Ambiente e Sicurezza Risponde”, www.codiceambientesicurezza.ilsole24ore.com)

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LUOGHI DI LAVORO CONDIVISI E DOCUMENTO DI VALUTAZIOENE DEL RISCHIO D. Parlando di luogo di lavoro: nel caso in cui una società A (proprietaria dei locali in cui opera), affitti ad una società B parte dei suddetti locali, B ne diventa responsabile, giusto? Ma nel caso in cui A e B utilizzino in comune (ad esempio) servizi igienici e refettorio, come deve comportarsi A? Deve redigere dei documenti particolari oltre al DVR? Ha delle responsabilità particolari nei confronti dei lavoratori della società B? ----- R. Nella sussistenza dei requisiti previsti dal decreto 81/2008 per redigere il documento di valutazione dei rischi, non ha alcuna rilevanza il titolo in forza del quale si occupano i locali nei quali si esercita l'attività lavorativa. Quanto ai locali in comune, ogni azienda ha l'obbligo di valutare i rischi che comporta l'uso promiscuo. Nei rapporti di locazione tra A e B dovrà essere chiarito anche questo aspetto. (Giuseppe Rusconi, “Codice di Ambiente e Sicurezza Risponde”, www.codiceambientesicurezza.ilsole24ore.com)

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