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1 Produttività, accumulazione e lavoro in Italia (Saltari-Travaglini)

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Produttività, accumulazione e lavoro in

Italia

(Saltari-Travaglini)

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Gran parte della letteratura che ha affrontato il problema della recente stagnazione italiana ed europea ha posto al centro dell’analisi il funzionamento del mercato del lavoro, con una particolare enfasi sui meccanismi che regolano l’offerta di lavoro.

I modelli basati sull’offerta di lavoro spiegano il rallentamento della produttività nei paesi europei come la conseguenza dello spostamento verso il basso della curva di offerta: la bassa crescita della produttività è solo un effetto di breve periodo dovuto alla crescente occupazione, con la produttività che recupererà nel lungo periodo grazie ai maggiori livelli di attività.

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La curva di domanda di lavoro si è

spostata?

Tuttavia, in linea di principio diversi fattori possono spiegare il trade-off osservato nell’ultimo quindicennio tra produttività ed occupazione.

Tra questi fattori vi può essere

una decelerazione del progresso tecnologico,

una minore dotazione dello stock di capitale per occupato,

un cambiamento della composizione dell’offerta di lavoro riconducibile alla recente immigrazione con effetti negativi sulla produttività,

un cambiamento nelle politiche e nelle istituzioni che regolano il mercato del lavoro,

una variazione nella distribuzione del reddito con conseguenze negative sui profitti e sull’accumulazione,

oppure ogni possibile combinazione di questi fattori.

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Le spiegazioni centrate soltanto sull’offerta di lavoro sono in grado di catturare le evidenze empiriche?

Se la spiegazione precedente fosse esauriente, essa implicherebbe che negli anni più recenti la curva di domanda di lavoro non ha subito spostamenti, e che quindi non sono cambiate le caratteristiche della funzione di produzione aggregata.

Alcune evidenze empiriche mostrano invece come la curva di domanda di lavoro si è spostata verso il basso in conseguenza di un minore contributo del progresso tecnologico alla crescita.

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Quattro fatti stilizzati

1) aumento dell’occupazione, dopo due decenni

di disoccupazione;

2) rallentamento della crescita della produttività;

3) riduzione della crescita dell’investimento per

occupato, con uno spostamento delle tecniche

verso produzione capital-saving;

4) aumento della quota dei profitti.

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Alcune riflessioni

Il modello di crescita di Solow ci ha insegnato che la crescita della produttività del lavoro dipende dal progresso tenicologico.

La domanda che ci poniamo ora è: da cosa dipende nel lungo periodo il livello dell’occupazione?

E’ influenzato dal progresso tecnologico e dai cambiamenti istituzionali che regolano le relazioni nel mercato del lavoro?

E se la risposta è positiva, in quale direzione?

Il progresso tecnico accresce o diminuisce l’occupazione?

Le riforme istituzionali infuenzano solo il livello di occupazione? O anche quello della produttività?

Il progresso tecnologico può essere influenzato dai mutamenti che avvengono nelle istituzioni del mercato del lavoro?

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Alcune riflessioni

Ogni volta che si sperimenta un’innovazione tecnologica il tema della disoccupazione tecnologica viene alla ribalta.

Nel dibattito odierno vi è accordo sul fatto che esistono una serie di fattori istituzionali che influenzano il salario reale e dunque l’occupazione.

Per esempio, i sussidi alla disoccupazione, il salario minimo, la protezione giuridica del lavoro rendono più costoso alle imprese il lavoro, per un dato tasso di occupazione.

Inoltre, sappiamo che la crescita dei tassi di attività e di occupazione (sperimentato dai paesi europei durante gli ultimi quindici anni) è anche il risultato delle politiche di flessibilizzazione e moderazione salariale.

Qual è dunque l’effetto combinato dei cambiamenti tecnologici e non tecnologici sulla relazione che lega la produttività all’occupazione e alla crescita nel lungo periodo?

Che cosa dobbiamo pensare?

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Il modello di crescita di Solow ci mostra il ruolo centrale del progresso tecnologico, e come, quando questo rallenta, frena anche la crescita del prodotto aggregato ed il tenore di vita.

Non esiste una evidenza empirica che sostenga l’ipotesi che il progresso tecnologico crei disoccupazione e riduca il benessere al trascorrere del tempo.

Per questo gli economisti e i decisori politici attribuiscono una così grande importanza al progresso tecnico e alla crescita della produttività.

D’altra parte sappiamo anche che le istituzioni del mercato del lavoro aumentano il potere contrattuale dei lavoratori (coperti da queste istituzioni, per esempio tramite l’azione sindacale) e ciò a sua volta influenza il salario reale e l’occupazione.

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Progresso tecnologico ed occupazione

Poniamo dunque la nostra attenzione sulla relazione che lega il progresso tecnologico all’assetto istituzionale nel mercato del lavoro.

Poichè in un qualunque modello (teorico) del mercato del lavoro il livello della produttività e dell’occupazione è determinato dall’interazione tra la curva di domanda e quella di offerta di lavoro, studiamo in che modo queste due curve sono influenzate dal progresso tecnologico e dalle istituzioni.

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Produttività ed occupazione

Il modello che presentiamo parte dall’ipotesi che la crescita della produttività del lavoro e dell’occupazione è riconducibile ai cambiamenti esogeni del progresso tecnologico e delle istituzioni.

Nel breve periodo la produttività e l’occupazione possono scostarsi dal loro sentiero di crescita bilanciata, generando delle fluttuazioni. Al trascorrere del tempo però questa iniziale deviazione può avere due effetti diversi sulla dinamica dell’economia.

Nel lungo periodo, può concretizzarsi un cambiamento permanente dell’equilibrio di lungo periodo con una transizione che spinge l’economia verso un nuovo stato stazionario.

Oppure, l’iniziale deviazione può essere solamente transitoria, senza effetti permanenti sull’equilibrio di lungo periodo, limitandosi ad alimentare le componenti cicliche della produttività e dell’occupazione.

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ASSUNZIONI

L’economia è soggetta a due soli shock strutturali: quelli

tecnologici, che si manifestano sostanzialmente attraverso uno slittamento della curva di domanda di lavoro. Più precisamente gli shock tecnologici influenzano la produttività del lavoro e l’occupazione nel breve e nel lungo periodo, alterandone in maniera permanente la crescita.

non tecnologici (o istituzionali) che modificano la posizione della curva di offerta di lavoro. Gli shock non tecnologici (cambiamenti istituzionali) influenzano nel breve e nel lungo periodo l’occupazione, ma non hanno effetti permanenti sulla produttività

Questi due shock influenzano l’equilibrio di lungo periodo del mercato del lavoro, ed hanno quindi effetti sulla produttività, sul salario e sull’occupazione.

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Un modello semplice.

Assumiamo che le imprese producano beni

impiegando lavoro e capitale, e che la funzione

di produzione sia di tipo Cobb-Douglas.

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La curva di offerta di lavoro

Il salario reale dipende positivamente dal livello

dell’occupazione (N), dalla regolamentazione

del mercato del lavoro (Θ) e dal livello del

progresso tecnologico A che influenza la

produttività del lavoro.

Un modo per descrivere questa relazione è il

seguente:

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I coefficienti β, γ, λ, (minori di uno) misurano

l’elasticità del salario reale rispetto a questi tre

fattori.

)()()(

ttt

t

t NAP

W

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β misura il potere di mercato dei sindacati: maggiore è β più elevato è il salario reale richiesto a parità di regolamentazione del mercato, di occupazione e di progresso tecnico. Chiaramente, tanto più elevato è la regolamentazione del mercato del lavoro tanto più alta è la rigidità del mercato del lavoro, e tanto più elevato è il salario reale richiesto a parità di occupazione.

γ misura l’elasticità della curva di offerta di lavoro rispetto all’occupazione. Esiste una ampia evidenza empirica che mostra come una crescita dell’occupazione non implica un aumento del salario reale più che proporzionale; per questo assumiamo < 1

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Λ misura l’effetto del progresso tecnologico sulla produttività.

Se

Λ = 1 significa che il salario reale aumenta uno ad uno con l’innovazione.

Questa è evidentemente un’ipotesi molto forte.

E’ più realistico ipotizzare che 0 < Λ < 1

Per esempio, la contrattazione salariale è condizionata da un’asimmetria informativa o da una distribuzione della produttività che non consente di inglobare l’intero progresso tecnologico nella dinamica salariale.

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In forma logaritmica

ttttt napw )(

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La curva di offerta del lavoro (o curva dei salari):

dipende positivamente dal grado di regolamentazione del mercato ed è una funzione crescente dell’occupazione e della tecnologia.

Il coefficiente che misura il valore delle istituzioni del mercato del lavoro cambiano con i Governi ed in maniera non prevedibile.

Sono cambiamenti (gli shock) non tecnologici che, in questo contesto, sono intesi come mutamenti istituzionali che ne influenzano la dinamica al trascorrere del tempo.

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La curva di domanda di lavoro

Con ϕ> 0.

Questa espressione mostra che in presenza di potere di mercato, a parità di produttività, il salario reale è inferiore alla produttività per un fattore pari al mark -up (ϕ)

La stessa espressione mostra inoltre che un aumento del progresso tecnologico accresce il salario reale pagato dalle imprese a parità di mark-up.

ttt apw )(

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La relazione è nota come curva di domanda di lavoro, o dei prezzi in quanto può essere riscritta come:

𝑝𝑡 = 𝑤𝑡 + φ− 𝑎𝑡

In questa forma, diviene chiaro che le imprese fissano i prezzi con un margine sul costo del salario nominale. L’effetto del progresso tecnologico è quello di ridurre il costo misurato in unità efficienza: un aumento della produttività riduce i prezzi a parità di salario nominale.

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Equilibrio

Sn = Dn

])1[(1 ***

ttt

tttt

an

equilibriodieoccupazion

ana

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gli shock tecnologici e non tecnologici che

colpiscono l’economia nel breve periodo

possono influenzare l’evoluzione della stessa

economia nel lungo periodo attraverso il

cambiamento di at e di θt.

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Equilibrio nel mercato del lavoro

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Deregolamentazione del mercato del

lavoro

Una riduzione dei sussidi di disoccupazione, oppure una minore regolamentazione normativa del rapporto di lavoro, ma anche la riduzione del salario minimo può essere rappresentato da un diminuzione di Θ:

L’effetto di queste riforme è difatti di abbassare il salario di riserva, ovvero la soglia critica oltre la quale si preferisce rimanere disoccupati, e di aumentare l’offerta di lavoro. Nella figura sotto l’equazione dei salari si sposta da S0 ad S1 provocando un aumento dell’occupazione da n* a n** a cui corrisponde una riduzione del tasso di disoccupazione.

L’economia si muove lungo la curva dei prezzi da E0 ad E1-

Più intuitivamente, la deregolamentazione porta ad un salario reale più basso.

E’ necessario un minore tasso di disoccupazione per riportare il salario a livello di lungo periodo a cui sono disposte a pagarlo le imprese.

Nel lungo periodo la produttività e quindi il salario reale non cambia.

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Una deregolamentazione del mercato del lavoro

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Un markup più elevato

Una legislazione antitrust meno restrittiva produce un aumento del coefficiente cioè del mark up.

L’effetto ultimo della maggiore collusione da parte delle imprese è quello di ridurre il salario reale effettivamente pagato.

La figura illustra come questo cambiamento sposta verso il basso la curva domanda di lavoro che scivola da D0 a D1; provocando una riduzione dell’occupazione che passa da n** a n*:

L’equilibrio di lungo periodo si sposta da E0 a E1: In altri termini, il maggiore mark up accresce il livello dei prezzi a parità di salario nominale diminuendo quello reale.

E’ necessaria una più elevata disoccupazione per costringere i lavoratori ad accettare il minore salario reale. Nel lungo periodo, la produttività non cambia ma il salario reale si riduce e con esso il livello di occupazione.

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Un mark up più elevato.

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Un aumento del progresso tecnologico

Supponiamo che il progresso tecnologico aumenti del 2%. La curva dei prezzi mostra ora che il salario reale aumenta e che quindi la curva di domanda si sposta verso l’alto, da D0 a D1, di una proporzione esattamente pari al 2%

Anche la curva di offerta di lavoro si sposta verso l’alto da S0 a S1. Tuttavia, si noti che lo scivolamento della curva di offerta è inferiore al 2% perchè at è moltiplicato per λ<1. Lo spostamento da S0 a S1 avviene quindi per una misura inferiore all’incremento della produttività.

Nel nuovo equilibrio E2 il nuovo salario reale sarà cresciuto del 2% mentre l’occupazione sarà aumentata di meno.

L’intuizione del risultato è immediata. Un aumento del 2% della produttività induce le imprese a ridurre i prezzi a parità di salario nominale provocando un aumento dei salari reali di una pari proporzione. La curva di domanda di lavoro si sposta verso l’alto da D0 a D1 e nel breve periodo l’equilibrio passa da E0 ad E1. In questo nuovo equilibrio l’occupazione aumenta fino al livello compatibile con E1.

La curva di offerta di lavoro S è però la rappresentazione grafica dell’equazione di determinazione dei salari richiesta dai lavoratori. L’aumento del 2% del progresso tecnologico implica una crescita dei salari reali di λ* 0,02. Per esempio se λ = 0.6 l’incremento sarebbe pari a 0,012.

La curva S si sposta quindi meno di quanto si sia spostata verso l’alto la curva di domanda e nel lungo periodo l’equilibrio passa in E2. Alla fine del processo di aggiustamento il salario reale sarà aumentato ed anche l’occupazione, sebbene in una proporzione inferiore.

Nel lungo periodo, la produttività, il salario reale e l’occupazione crescono.

E’ bene notare che se λ= 1 (ipotesi forte) l’aumento dei salari reali richiesti dai lavoratori è esattamente pari alla maggiore produttività. In questo caso lo slittamento della curva S verso l’alto termina solo quando il livello dell’occupazione torna di nuovo al suo livello iniziale nt*.

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Un aumento del progresso tecnologico

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Il modello può descrivere quello che è accaduto?

A quali cause è da ricondurre il rallentamento- stagnazione dell’economia italiana?

Questo rallentamento è da attribuire soltanto a fattori d’offerta o anche a fattori di domanda?

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La tesi dei due economisti

Le riforme che hanno aumentato la flessibilità del mercato del lavoro hanno accresciuto l’occupazione, ma hanno anche condotto a un rallentamento della produttività del lavoro e dell’efficienza produttiva (TFP)

La maggiore flessibilità ha prodotto due effetti:

1) Un più basso tasso di accumulazione, minor ritmo di crescita del rapporto capitale-lavoro

2)Lo spostamento verso settori a minor contenuto tecnologico

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Rallentamento della produttività del

lavoro. Un fenomeno recente

Nel passato la crescita italiana è stata sostenuta poco dalla crescita occupazionale e molto dall’aumento della produttività. Negli ultimi 20 anni un ribaltamento dei ruoli di queste due variabili nel processo di crescita.

Nel passato il tasso di crescita dell’occupazione era basso mentre era alto quello della produttività del lavoro; negli ultimi 20 anni la crescita dell’occupazione si è fatta vigorosa mentre si è quasi azzerata la crescita della produttività.

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Perché la produttività del lavoro rallenta

Dagli esercizi di contabilità della crescita

1.Il contributo dell’intensità di capitale al

rallentamento sembra essere modesto;

2.Molto più consistente appare il contributo del

progresso tecnico

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Le cause della più bassa TFP

Fattori macro

1. Scarsa adozione delle nuove tecnologie (ICT)

2. Bassa internazionalizzazione

Fattori micro

1. Specializzazione settoriale

2. Dimensione imprese

Fattori istituzionali

1. Assetti proprietari delle imprese

2. Mancate riforme

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Tuttavia …

Il rallentamento della produttività e della TFP è

fenomeno relativamente recente

Inizia alla metà degli anni 90 e diviene acuto in

questo decennio quando i tassi di crescita di

produttività e TFP si azzerano o divengono

negativi

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Invece

I fattori prima indicati sono in larga misura preesistenti:

1.Specializzazione produttiva e nanismo industriale preesistente

2.Basso grado di concorrenza

3.Basso grado di internazionalizzazione

4.Assetti proprietari delle imprese

Non hanno impedito una crescita della produttività del lavoro negli anni 70 e 80

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Lo shock al mercato del lavoro

I cambiamenti del quadro istituzionale che regola il mercato del lavoro.

Vantaggi e svantaggi:

L’ingresso sul mercato del lavoro di nuove forze ha consentito una crescita occupazionale.

Ma anche l’emergere di forme di lavoro precario. Maggiore volatilità dell’occupazione, più rischi di disoccupazione nelle fasi di recessione

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Riforme del mercato lavoro e flessibilità

Liberalizzazione delle norme contrattuali per il

mercato del lavoro

Nuovi occupati: forme di lavoro a tempo

determinato, contratti di lavoro atipici

Riduzione dell’EPL (maggiore riduzione tra

tutti i paesi OECD) per il lavoro temporaneo

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Gli effetti della maggiore flessibilità

Effetti diretti

1. Riduzione del prezzo relativo lavoro-capitale

2. Maggiore occupazione, ma anche

3. Spostamento verso tecniche a maggiore intensità di lavoro

Effetti indiretti

1. Investimenti in settori tradizionali piuttosto che ICT

2. Minore crescita della TFP

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Flessibilità e volatilità dell’occupazione

ISTAT – Rilevazione delle forze di lavoro

“Nel primo trimestre 2009 la riduzione tendenziale complessiva del numero degli occupati (-426mila) sintetizza il calo degli occupati dipendenti a termine (-154mila), dei collaboratori coordinati e continuativi e occasionali (-107mila), degli autonomi (-163mila).”

La riduzione dell’occupazione (-426mila) è quasi per intero concentrata nel lavoro temporaneo (-424mila)

“Il calo sintetizza la discesa di 426mila unità della componente italiana e la crescita di 222mila unità di quella straniera. Il risultato trova ragione da un lato nella caduta dell’occupazione autonoma delle piccole imprese, dell’occupazione a termine e nella riduzione del numero dei collaboratori.”

“Dall’altro, la crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (219mila), in particolare degli stranieri nelle professioni non qualificate e degli italiani con almeno 50 anni”

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Investimento per settori

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Flessibilità ed efficienza

Il successo delle riforme del mercato del lavoro è stato notevole. Ma non completo.

L’aumento dell’occupazione è avvenuto attraverso forme contrattuali temporanee

Soprattutto, ai nuovi posti di lavoro non è corrisposto un parallelo sviluppo della produttività e delle retribuzioni.

Un risultato che dipende in modo determinante dal modo in cui la flessibilità del mercato del lavoro è stata utilizzata per l’accumulazione di capitale e il progresso tecnologico.

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Cosa è avvenuto

Maggiore flessibilità: le imprese verso l’occupazione a bassa specializzazione, cioè a maggiore intensità di lavoro

La maggiore occupazione è stata indirizzata verso produzioni ad alta intensità di lavoro, a cui è corrisposta una minore produttività e un minore progresso tecnologico.

Nessun incentivo all’adozione delle nuove tecnologie e delle nuove forme di organizzazione della produzione (ICT).

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Implicazioni

Senza liberalizzazioni nel mercato dei beni.

Senza nuovi investimento nei settori avanzati.

Senza una diversificazione del tessuto produttivo.

Senza politiche industriali d’indirizzo verso settori strategici.

La sola flessibilità del mercato del lavoro peggiora la situazione iniziale

Risultato:una dinamica del Pil contenuta accompagnata da aumenti dell’occupazione ma da riduzione della produttività

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Il ruolo della domanda aggregata

Il dibattito economico attuale è concorde

nell’individuare nel basso ritmo di crescita della

PTF la ragione principale del rallentamento della

produttività del lavoro.

Nell’interpretazione corrente il rallentamento della

crescita è da ricondurre soprattutto alle carenze

dell’offerta aggregata dovute alle tradizionali

debolezze della struttura produttiva italiana.

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E’ sufficiente?

Questa interpretazione è corretta oppure è

necessario integrarla con altri fattori in grado di

spiegare la contrazione della PTF

La PTF è calcolata come residuo. Altre variabili

possono incidere sulla sua evoluzione.

C’è un ruolo per la domanda aggregata?

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Una prima osservazione

La correlazione tra PTF e PIL è generalmente

positiva: se si guarda all'Italia per il periodo

1992-2008, la correlazione in questione è

superiore a 0.7

Tuttavia queste correlazioni risentono anche del

modo in cui il progresso tecnologico viene

misurato.

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Strategia adottata

Costruiamo un indicatore “corretto” della PTF in

modo da controllare gli effetti relativi alla domanda

aggregata.

Il grado di utilizzo degli impianti (o il livello degli

ordinativi) come proxy della domanda aggregata,

Calcolare una PTF depurata la cui dinamica è al

netto della variazioni della domanda.

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Risultati attesi

Se l’evoluzione della PTF segnala soltanto mutamenti strutturali riconducibili ai fattori riguardanti l'offerta, la sua dinamica e le relative correlazioni corrette non dovrebbero risentire di questa correzione.

Viceversa, se il peso della domanda aggregata nell’influenzarne la dinamica ciclica è rilevante, la PTF corretta dovrebbe mostrare mutamenti nel segno delle correlazioni.

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Conseguenze

1.Tradizionalmente si interpreta la riduzione del

ritmo di crescita della PTF come dovuta

esclusivamente a fattori d’offerta

2.L'analisi empirica indica invece che il

rallentamento della domanda aggregata

contribuisce in misura rilevante nel determinare la

dinamica negativa della PTF.

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Conseguenze

3. Dalle analisi empiriche emerge che nel periodo

più recente la dinamica dell'economia italiana ha

risentito in misura particolarmente rilevante

dell'andamento recessivo della domanda aggregata.

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Conclusioni

Le riforme verso la flessibilità non accompagnate da riforme nel mercato dei beni possono generare un’allocazione delle risorse peggiore di quella da cui si parte

Se le debolezze del quadro macroeconomico corrente non sono da ricondurre tout court a fattori d’offerta, il mancato intervento sulla domanda aggregata attraverso misure appropriate può prolungare l'attuale fase recessiva fino a trasformarla in una depressione prolungata che può incidere sulle stesse capacitàdi ripresa dell'economia

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Bassa domanda e declino italiano

di Stefano Perri Economia e Politica

Rivista online

http://www.economiaepolitica.it

Il dibattito sul declino prima e la crisi poi

dell’economia italiana si è focalizzato

principalmente sugli elementi “strutturali” dal lato

dell’offerta.

L’andamento negativo della domanda aggregata è

considerato come un fattore congiunturale o di

breve periodo.

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Ma la debolezza della crescita della domanda

aggregata è stata una costante che per almeno un

ventennio ha caratterizzato l’economia italiana.

E’ quindi difficile negare che questo sia un vero

e proprio elemento strutturale che ha concorso

agli effetti così drammatici della crisi attuale.