Problemi di gestione dell'elemento casuale da parte dell'esecutore musicale: questioni di...

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Problemi di gestione dell'elemento casuale da parte dell'esecutore musicale: questioni di “indeterminazione” e di “nodi” Stefano A. E. Leoni Conservatorio di Musica “G. Verdi”, Torino – La.MuSA, IMES, Università degli Studi di Urbino “C. Bo” keywords: musica, indeterminazione, esecutore, tempo, intonazione, ansia da esecuzione, sequenziale (messaggio), percezione musicale ermann von Helmholtz, il fondatore dei moderni studi di acustica fisiologica, la cui opera “fu subito salutata come un contributo decisivo alla conoscenza delle sensazioni acustiche e dei fondamenti materiali della musica” 1 ebbe a scrivere, nel suo Trattato: «In presenza di particolari rapporti tra i numeri corrispondenti alle altezze, [...] o non si producono affatto battimenti, oppure essi hanno una intensità così bassa da non produrre disturbi sgradevoli del suono risultante. Questi casi eccezionali si definiscono consonanze». 2 Evidenziando che nella propria prospettiva di indagine, la consonanza costituisce un fenomeno eccezionale, che si verifica in condizioni molto particolari, si potrebbe dire: casuali. Questo perché «anche quando i toni fondamentali hanno altezze così diverse da non produrre battimenti udibili, i toni parziali superiori possono produrre battimenti e rendere aspro il tono [complesso risultante]. Così, ad esempio, se due toni formano un intervallo di quinta (cioè uno di essi compie due vibrazioni mentre l’altro ne compie tre) c’è una componente parziale in ambedue i toni che compie sei vibrazioni nello stesso tempo. Ora, se il rapporto tra le altezze dei toni fondamentali è esattamente di 2 a 3, i due toni parziali superiori suddetti [...] non disturbano l’armonia dei toni fondamentali. Ma se questo rapporto è solo approssimativamente di 2 a 3, tali toni parziali superiori non sono identici, e quindi producono battimenti e rendono aspro il suono». 3 Fare musica, comporla, ma soprattutto eseguirla (e ascoltarla), è un’attività altamente funzionalizzata alla gestione della casualità (delle multi-casualità) implicite nella struttura stessa del messaggio sonoro. La musica verrebbe così a rappresentare un’attività umana di gestione del caso, prodotta a livello di alta professionalità; vuoi che tale “caso” sia determinato dal fattore tempo, da quello intonazione, dalla scelta e organizzazione degli intervalli, dalle opzioni esecutive o interpretative (particolarmente se si affronta il repertorio del passato), dalla interazione psico-fisica tra esecutore e ambiente. In Occidente ciò è riscontrabile nel corso di tutta le storia di questa disciplina, con declinazioni proprie di epoche, luoghi, collocazioni sociali, tipologie collettive o individuali. 1 A. Serravezza, Musica e scienza nell’età del positivismo, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 11 2 H. v.Helmholtz, Die Lehre von den Tonempfindungen als physiologische Grundlage für die Theorie der Musik, Braunschweig, Vieweg 1863, p. 194. Per una concisa ma efficace analisi della teoria della consonanza di Helmholtz, si veda B.Carazza, G.P. Guidetti, Helmholtz, la legge di Ohm e il problema dell’armonia, «Giornale di Fisica», XXX (1989), pp. 207-214. Si veda pure: Gianni Zanarini, “Scienza e armonia. Hermann von Helmholtz e la spiegazione fisica della consonanza musicale”, in Nuova Civiltà delle Macchine, XVI, 1-2 (1998), pp. 108-120. 3 H. v. Helmholtz, Ueber die physiologischen Ursachen der musikalischen Harmonie (1857) [trad. ingl. H.v.Helmholtz, Science and Culture: Popular and Philosophical Essays (a cura di D.Cahan), University of Chicago Press, Chicago 1995, p. 72]. H

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keywords: musica, indeterminazione, esecutore, tempo, intonazione, ansia da esecuzione, sequenziale (messaggio), percezione musicalepubblicato in In: LANZAVECCHIA G., NEGROTTI M.. L’enigma del caso. Fatti, ipotesi e immagini. TRIESTE: Edizioni Goliardiche, 2007

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Problemi di gestione dell'elemento casuale da parte dell'esecutore musicale: questioni di “indeterminazione” e di “nodi”

Stefano A. E. Leoni Conservatorio di Musica “G. Verdi”, Torino – La.MuSA, IMES, Università degli Studi di Urbino “C. Bo”

keywords: musica, indeterminazione, esecutore, tempo, intonazione, ansia da esecuzione, sequenziale (messaggio),

percezione musicale

ermann von Helmholtz, il fondatore dei moderni studi di acustica fisiologica, la cui opera “fu subito salutata come un contributo decisivo alla conoscenza delle sensazioni acustiche e dei

fondamenti materiali della musica”1 ebbe a scrivere, nel suo Trattato: «In presenza di particolari rapporti tra i numeri corrispondenti alle altezze, [...] o non si producono

affatto battimenti, oppure essi hanno una intensità così bassa da non produrre disturbi sgradevoli del suono risultante. Questi casi eccezionali si definiscono consonanze».2

Evidenziando che nella propria prospettiva di indagine, la consonanza costituisce un fenomeno

eccezionale, che si verifica in condizioni molto particolari, si potrebbe dire: casuali. Questo perché «anche quando i toni fondamentali hanno altezze così diverse da non produrre battimenti udibili, i toni

parziali superiori possono produrre battimenti e rendere aspro il tono [complesso risultante]. Così, ad esempio, se due toni formano un intervallo di quinta (cioè uno di essi compie due vibrazioni mentre l’altro ne compie tre) c’è una componente parziale in ambedue i toni che compie sei vibrazioni nello stesso tempo. Ora, se il rapporto tra le altezze dei toni fondamentali è esattamente di 2 a 3, i due toni parziali superiori suddetti [...] non disturbano l’armonia dei toni fondamentali. Ma se questo rapporto è solo approssimativamente di 2 a 3, tali toni parziali superiori non sono identici, e quindi producono battimenti e rendono aspro il suono».3

Fare musica, comporla, ma soprattutto eseguirla (e ascoltarla), è un’attività altamente funzionalizzata

alla gestione della casualità (delle multi-casualità) implicite nella struttura stessa del messaggio sonoro. La musica verrebbe così a rappresentare un’attività umana di gestione del caso, prodotta a livello di alta professionalità; vuoi che tale “caso” sia determinato dal fattore tempo, da quello intonazione, dalla scelta e organizzazione degli intervalli, dalle opzioni esecutive o interpretative (particolarmente se si affronta il repertorio del passato), dalla interazione psico-fisica tra esecutore e ambiente. In Occidente ciò è riscontrabile nel corso di tutta le storia di questa disciplina, con declinazioni proprie di epoche, luoghi, collocazioni sociali, tipologie collettive o individuali.

1 A. Serravezza, Musica e scienza nell’età del positivismo, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 11 2 H. v.Helmholtz, Die Lehre von den Tonempfindungen als physiologische Grundlage für die Theorie der Musik, Braunschweig, Vieweg 1863, p. 194. Per una concisa ma efficace analisi della teoria della consonanza di Helmholtz, si veda B.Carazza, G.P. Guidetti, Helmholtz, la legge di Ohm e il problema dell’armonia, «Giornale di Fisica», XXX (1989), pp. 207-214. Si veda pure: Gianni Zanarini, “Scienza e armonia. Hermann von Helmholtz e la spiegazione fisica della consonanza musicale”, in Nuova Civiltà delle Macchine, XVI, 1-2 (1998), pp. 108-120. 3 H. v. Helmholtz, Ueber die physiologischen Ursachen der musikalischen Harmonie (1857) [trad. ingl. H.v.Helmholtz, Science and Culture: Popular and Philosophical Essays (a cura di D.Cahan), University of Chicago Press, Chicago 1995, p. 72].

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Da un punto di vista teoretico possiamo indicare nell’interazione tra due pricipî enunciati nel giro di pochi anni, nei primi decenni del secolo scorso uno degli ambiti più intriganti del rapporto tra caso, indeterminazione, e musica. Attenzione: intendiamo propriamente “musica”, non semplicemente “suono”, ovvero una serie di normative compositivo-esecutive, variamente determinate e declinate nel corso della storia e dalle varie culture umane, che attribuiscono senso “artistico” ai suoni. Si tratta del Principio di Indeterminazione di Heisenberg (1927) e del Teorema di Incompletezza di Gödel (1931).

Roger Penrose, il famoso matematico e fisico, docente presso l’Università di Oxford, ha potuto allora affermare che «We cannot create any kind of new artistic sensitivity however we may accumulate many times of calculations. Art is a non-computable physics». V’è qualcuno (Iori Fujita) che ha aggiunto: «Music is a non-computable physics, too», prendendo a pretesto il risultato di una aporia di fondo presente nel mondo della musica e tangente vuoi la teoresi, quanto la pratica: la questione del comma.

L’elemento irrazionale che non consente una relazione tra l’ottava e una serie di quinte (ma anche di terze, o di qualsiasi altro intervallo “perfetto”) è il comma; sappiamo che è vano ed è stato vano cercare di creare una scala “perfetta” che assommasse le due caratteristiche di esser generata per successione di intervalli perfetti di quinta (o di terza, o di quarta, etc) e “quadrasse” entro l’intervallo perfettissimo di ottava. Esiste una ragione matematica di questa aporia:

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Malgrado questo, la storia della teoria (e della pratica) musicale è stata segnata da tentativi continui, talora scaltri, talora ingenui, talaltra astrusi, di trovare una soluzione a questo problema. Malgrado questo, la musica ha continuato, sotto tutte le latitudini, a porre come privilegiati (ma Helmholtz ci ha detto che trattasi di attitudine “naturale”, fisiologica, seppur, in seconda battuta, culturale)4, intervalli tra loro incommensurabili.

Vi sono alcuni principi ed alcune idee della fisica contemporanea (e della logica matematica) che

hanno goduto di un certo successo anche nell’applicazione a campi del sapere assai lontani da quelli per loro primari. I concetti di Relatività (Einstein, 1916), Incompletezza (Gödel, 1931) e Indeterminazione (Heisenberg, 1927) hanno generato, per esempio, veri e propri teoremi di “inconoscibilità” in filosofia (Putnam), e non pare dunque un caso che alcuni fisici-musicisti abbiano recentemente pensato a connessioni strette tra il principio di indeterminazione di Heisenberg e alcun aspetti della musica. Fra questi l’australiano Joe Wolfe e il giapponese Iori Fujita.5

Prendiamo a riferimento l’enunciato del principio di indeterminazione: ∆x∆p ≥ h/2π dove x è la posizione, p il momento ∆x, ∆p le deviazioni standard di x,p h la costante di Planck se ∆x → 0, allora Dp → ∞. Una misurazione accurata di una delle caratteristiche osservabili determina una larga incertezza nella

misura dell’altra. Quando il musicista si accorda, si ascolta una nota per un lungo tempo tale da permettere di aggiustare l’intonazione della frequenza con precisione, cercando di eliminare di battimenti, la cui frequenza risulta essere pari alla differenza di frequenza tra due suoni che interferiscono. 4 “Il fatto che una combinazione [di suoni] sia più aspra o più dolce di un’altra dipende unicamente dalla struttura anatomica dell’orecchio, e non ha nulla a che fare con ragioni psicologiche. Ma il grado di asprezza che un ascoltatore è disposto ad accettare come mezzo di espressione musicale dipende dal gusto e dall’abitudine: e infatti il confine tra consonanza e dissonanza è stato spesso modificato”: H. von Helmholtz, Die Lehre, cit. p. 234. 5 Stefano A.E. Leoni, “Musica, meccanicismo e tempo”, in: S.A.E. Leoni e P.A. Rossi, Manuale di Acustica e di Teoria del suono, Milano, Rugginenti, 2005(2), pp. 207 e ssgg.

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Sperimentalmente si nota che il tempo impiegato a riconoscere la differenza di frequenza è in rapporto inverso rispetto al numero dei battimenti stessi (1/∆f ); in altri termini: ∆f.∆t > ~ 1. Questo può essere inteso come il principio di indeterminazione del musicista. Se l’accordo da suonare

è breve, se di sta suonando uno strumento a percussione, l’intonazione è meno critica, ma in un accordo tenuto occorre essere accuratamente intonati: del resto l’oboista, in orchestra, suona per diversi secondi, decine, mentre gli altri strumenti si accordano prima del concerto.

Ora, nella pratica quotidiana il principio di Heisenberg par bene non avere un’influenza riscontrabile e le sue conseguenze sono per solito importanti per i fotoni, le particelle fondamentali e i fononi, per via della piccolezza della costante di Planck (h= 6.6261×10-34 Js) anche se in verità esso, negando la possibilità di conoscere le condizioni iniziali di un processo, opera in maniera disgregante, come si sa, sulla stessa fisica “deterministica”.

Comunque, tornando alla quotidianità, potremo chiederci se una palla da tennis di circa 50 grammi, battuta da un grande atleta e che raggiunge la velocità di 180 km/s (cioè 50 m/s) ha possibilità di trovarsi in un “luogo” indeterminato. In pratica no: in caso di ∆v = 0,01 m/s, il quantum di deviazione ∆x è circa 2×10-31 m. o, per intenderci, 0.0000000000000000000000000002 mm.

Il suono è la risultante di fluttuazioni periodiche di pressione che si trasmettono ordinariamente nell’aria e le onde sonore appartengono al mondo quotidiano, non a quello subatomico, ma la formula del principio di indeterminatezza può essere trasformata nella relazione tra tempo e frequenza delle onde (sonore).

Lavorando in questo modo la posizione e il momento di un’onda nello spazio vengono trasformati nel tempo e nella frequenza di un’onda e l’onda viene vista come un segnale che varia nel tempo. Quel che si evince è che impossibile per noi conoscere le esatte frequenze di un’onda in un esatto istante. Quando ∆f (∆ν) è 0,1 Hz, ∆t dovrebbe esser più di 1/(2π×0,1) secondi. Se si volesse calcolare con un’approssimazione di 0,0001 Hz la frequenza di un Do di 261,6256 Hz (do centrale), si necessiterebbe di un ∆t di 800 secondi (che fa 13 minuti e 20 secondi); per giungere ad un’accordatura fisicamente esatta, sarebbe necessario un tempo infinito e un’onda sonora continua. Fortunatamente esiste una differenza tra accordatura “fisica” e accordatura “percepita”; un rispecchiamento della legge di Weber-Fechner la quale dice che il rapporto tra entità fisica e sensazione non è lineare, e l’intensità di una sensazione fisiologica è proporzionale al logaritmo dello stimolo [e che esprime con l’equazione ∆R = kR, il rapporto tra il valore R della stimolazione (dal tedesco Reiz, stimolo) e il valore ∆R da aggiungere (o togliere) alla stimolazione per far sì che la sensazione soggettiva nel passaggio da una stimolazione di intensità R ad una di intensità R+∆R (o R-∆R) corrisponda ad una sensazione soggettiva di cambiamento]. Ma non solo: una serie di “servo-meccanismi” acustico-percettivi che vanno oltre tale legge: come – per esempio – la curva dei Mel.

Torniamo all’Indeterminazione: approfondendo la cosa si potrebbe evidenziare che anche la teoria delle trasformate di Fourier non sfugge all’indeterminazione di tempo e di frequenza; delle “nuvole” di indeterminatezza ricoprono i differenziali delle altezze che dipendono dai vari temperamenti e che comunque sono in relazione con le possibilità di aggiustamento dell’orecchio umano (di media 5-10 cents; per il La a 440 Hz, 5 cents sono circa 1,3 Hz), in un clima di sana e storica indeterminatezza (indeterminazione).

Fin qui stiamo “prima” della musica, al suono. La musica è altro, è organizzazione (con

parametrizzazione la più varia possibile, naturalmente) del suono; è una forma espressiva di tipo performativo, un messaggio sequenziale, che scorre nel tempo e questo ha come dimensione. «Una delle forme di decorso è il tempo di decorso orientato verso una mèta, teleologico. Esso ha una parte dominante nella musica occidentale. Il tono di una melodia medievale viene determinato a partire dalla finalis; una dissonanza tende alla risoluzione; una clausola o cadenza si muove verso l’aggregato tonico di chiusura; un’opera o una sinfonia gravitano verso il Finale [...] Queste forme musicali dal decorso teleologico corrispondono alla dominanza delle concezioni, dei regolamenti e dei progetti in genere orientati verso una mèta».6 6 H.H. Eggebrecht , “Tre pezzi brevi. Musica come tempo”, in: Il Saggiatore musicale, VII, 2000, p. 390. http://www.muspe.unibo.it/period/saggmus/attivita/doc/musica.htm.

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Una sorta di negazione, costruttiva, del Caso, del Caos, variamente attestata nel corso della storia

umana in quanto storia di forme espressive artistiche: in Occidente, dal Medioevo all’Ottocento assistiamo ad una progressiva tensione alla neghentropia musicale che va di pari passo con lo sviluppo di meccanismi compositivo-organizzativi, dunque informativi, e percettivo-ricettivi musicali che tendono a negare il caso, a teleologizzarlo (dalle composizioni attuate con l’utilizzazione della matematica combinatoria, all’uso dei dadi – Mozart, per esempio – alla gestione non caotica di onde caotiche: composizione stocastica o inserimento del rumore).

Pare peraltro importante chiarire rapporti e distinzioni tra caso e indeterminazione in musica, magari a

partire da un exemplum di rilievo quale quello cageano. In Cage l’Indeterminazione si propone come elemento “costruttivo” e financo “produttore di senso”

che coinvolge vari parametri, da quello temporale (sospensione del vettore) a quello timbrico-sonoro (il pianoforte preparato, a titolo di mero esempio), all’alea compositiva.

In termini di sospensione dei nessi “temporali”, fondamentali, nel Novecento, sono le riflessioni di Cage (cresciuto alla lezione di Satie e delle filosofie orientali) e della sua cerchia: da Morton Feldman, che nel saggio “Between categories” prende le distanze dalla concezione della composizione come costruzione di nessi sonori nel tempo e scrive:

«Il mio interesse per la superficie è il tema della mia musica. In questo senso le mie composizioni non

sono affatto ‘composizioni’. Si potrebbe paragonarle a una tela temporale. Dipingo questa tela con colori musicali. Ho imparato che quanto più si compone o costruisce, tanto più si impedisce a una temporalità ancora indisturbata di diventare la metafora per il controllo della musica. Entrambi i concetti, tempo e spazio, sono stati impiegati nella musica e nelle arti figurative come in matematica, letteratura, filosofia e scienza. […] Al mio lavoro preferisco pensare così: tra le categorie. Tra tempo e spazio. Tra pittura e musica. Tra costruzione della musica e la sua superficie»;7

fino a Milton Babbitt (almeno in parte), a Conlon Nancarrow e poi a Fluxus e ai cosiddetti

Minimalisti, che partirono dall’esperienza cageana, sviluppandola però in termini autonomi, e tralasciandone le questioni relative al concetto di indeterminatezza, e focalizzarono le riflessioni sul tempo; o, ancora, a Robert Ashley (1930).

Per Cage la questione dell’indeterminazione è nodale in una poetica «che riconosce nell’esplorazione del fenomeno sonoro una metafora della molteplicità della vita stessa, e, identifica con la disposizione all’attraversamento, una più generale e fondante attitudine conoscitiva».8 Il principio compositivo cageano si fonda sul “muoversi verso la molteplicità”, sull’ “allontanamento dall’unità”, in questo stabilendo un legame concettuale tra indeterminazione sonora e progettualità costruttive casuali: la soggettività dell’autore si ritrae, in funzione della vita come espressione del molteplice “indeterminato” quanto “indeterminabile”: «Trovo sia un’ottima cosa che la vita ci interrompa».9 Com’è stato scritto: «L’indeterminazione rimanda a fattori estetici legati alla percezione, ed è usata come mezzo espressivo per ottenere un certo risultato. L’indeterminazione esclude la precisa determinazione di alcuni parametri (altezza, durata, timbro, intensità) per dare un margine di libertà all’esecutore, libertà che diviene non solo interpretazione ma entra a far parte della stessa identità formale dell’opera. L’indeterminazione è dunque il contrario (ma pure il “complemento”) del caso, che invece adotta un metodo che diviene la necessità. Il caso si affida alla logica del metodo, l’indeterminazione fa affidamento sulla sensibilità dell’esecutore».10

Il ritrarsi dell’autore implica il ritrarsi dell’opus come oggetto artistico in sé concluso, unicum eternamente e necessariamente, diremmo “eticamente” replicabile, mettendo in capo il carattere estetico del fenomeno creativo nel suo “essere-per-i-sensi”, nel suo porsi a livello del percettore e delle sue 7 Citato in: G. Borio, “Morton Feldman e l'Espressionismo astratto:La costruzione di tempo e suono nelle miniature pianistiche degli anni Cinquanta e Sessanta”, in Itinerari della musica americana, a cura di Gianmario Borio e Gabrio Taglietti, Lucca, una cosa rara-Lim 1996, pp. 119-134, http://www.cnvill.demon.co.uk/mfborio.htm 8 F. Aste, Il materiale e il processo compositivo tra indeterminazione e necessità. le Sonatas and Interludes per pianoforte preparato di John Cage, http:// users.unimi.it/~gpiana/dm9/aste/articolocage.pdf. 9 J. Cage, Lettera a uno sconosciuto,Roma, Socrates, 1996, p.50. 10 F. Aste, cit.

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“molteplicità”. Il suono è tale se vissuto nel suo manifestarsi discontinuo in uno spazio pre-artistico che è il silenzio: dunque gli esiti radicali che portano Cage a dialettizzare il silenzio (si veda 4’33”, del 1952) non sottolineano una crisi valoriale, nichilista: il silenzio è indeterminazione che accoglie tutte le possibilità non ancora manifestate; è il luogo ove insorge il fenomeno sonoro come fenomeno vitale.

Con queste argomentazioni emerge la questione del rapporto delicato, nodale, “autore-opera-

interprete-(fruitore)”, intorno alla quale corre l’obbligo, in termini di gestione dell’elemento casuale, di ricordare almeno alcune tematiche sulle quali riflettere.

Come afferma Eric Clarke, l’esecuzione musicale richiede una non comune combinazione di abilità fisiche e mentali. Il concertista, per esempio un pianista, riesce a gestire patterns spaziali, posizioni complesse e continuamente mutevoli sulla tastiera, e con distinti modelli ritmici, dinamici e di articolazione, alla velocità di dieci o più note al secondo per entrambe le mani contemporaneamente. Nel medesimo tempo egli deve avere una percezione cosciente della struttura della musica sia ad un micro- che ad un macro-livello, elaborare una “strategia” espressiva con la quale far vivere la musica, e possedere un’elasticità psico-fisica tale da far fronte alle richieste fisiologiche e alle tensioni psicologiche dell’esecuzione in pubblico (anche in termini di inter-relazione).11

Il lavoro dell’esecutore, del musical performer, (non tanto di colui che Stravinskij definiva mero executor) è quello di formulare interpretazioni, sulla base di indicazioni e valutando il rapporto difficile e labile, “scivoloso”, talora “caotico” tra prescrizioni, formule, e desiderio di esercitare le proprie intuizioni interpretative.

Le interpretazioni musicali (sovente formulate mediante approfondimenti analitici che dovrebbero ridurre le quote di “indecidibilità” e di “indeterminazione” in termini neghentropici) vengono comunicate attraverso i parametri espressivi del tempo, delle dinamiche, dell’articolazione e del timbro, tra gli altri. Una partitura potrebbe contenere una varietà di indicazioni espressive tali da agevolare le scelte interpretative dell’esecutore ma, come sappiamo, la notazione di carattere espressivo è carente in quanto a precisione (ha presupposto, nel corso della storia, una contiguità tra compositore ed esecutore, tale da produrre codici di co-autorialità andati in parte in crisi tra Ottocento e Novecento). Gli esecutori – come sottolinea Stefan Reid – sono obbligati a procedere sull’impegnativo crinale che sta tra la necessità di rispettare la partitura, che rappresenta le intenzioni del compositore (pur con tutti i “distinguo” del caso, la Historical Informed Performance, e la critica all’autenticismo), e il desiderio di esercitare le proprie intuizioni creative. Inoltre, i modelli estetici variano da persona e persona e secondo le mode del momento. Interpretare la musica è dunque un processo altamente soggettivo, al limite dell’indeterminato, dell’incompleto (in senso gödeliano) e del casuale, e sostanzialmente non è influenzabile da indicazioni prescrittive. Da un lato la psigologia e la pedagogia propongono indicazioni tese all’accrescimento della perizia tecnica e dunque del “controllo”, dall’altro i suggerimenti interpretativi sono sovente, e senza alcuna sorpresa, più differenziati e vaghi, e poco dettagliati.12

L’elemento che maggiormente determina la difficoltà di gestione degli elementi casuali in musica è il tempo in quanto vettore ineludibile nell’inverarsi del progetto musicale in suono. Se la partitura è oggetto (e progetto) pre-musicale, l’atto esecutivo (e fruitivo) è sequenziale e vive solo nell’essere-nel-momento-richiamando-il-passato-preconizzando-il-futuro; “ogni istante del nostro suonare – dice Michael Tree, del “Quartetto Guarneri”, citato da Elaine Goodman – è condizionato da quel che è appena accaduto o da quello che pensiamo che stia per accadere”.13 L’anticipazione di ciascuna pulsazione ritmica e la reazione alla sua produzione sono definite di fatto dalla natura dell’interazione che si rivela tra gli esecutori e sono dunque assai variabili. Anche nell’esecuzione d’insieme, se la definizione di un tempo, di un tactus funziona da sincronizzatore dell’insieme, in quanto fornisce un principio organizzativo in termini di coordinazione, e regola la scansione ritmica all’interno di ciascun musicista, portando alla formazione di un “cronometro”, “un senso dello scorrere del tempo comune e condiviso” uno “shared common timekeeper” per quel che riguarda tempo di massima della musica. Ma, mentre il tactus è un parametro importante per il tenere il tempo, fattori contingenti potrebbero indurre i singoli musicisti di un insieme a 11 E. Clarke, “Understanding the psychology of performance”, in: J. Rink, a cura di,: Musical Performance. A Guide to Understanding, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, pp. 59-72. 12 S. Reid, “Preparing for performance”, in: J. Rink, cit. pp. 102-112. 13 E. Goodman, “Ensemble performance”, in: J. Rink, cit.; la citazione proviene da: David Blum, The Art of Quartet Playing: The Guarneri Quartet in conversation with David Blum, Ithaca, Cornell University Press, 1986, p. 20.

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suddividere o a dilatare la scansione ritmica in differenti punti. Qui la battuta agisce da struttura rilevante per la coordinazione, dal momento che è una unità di tempo attorno alla quale si può organizzare individualmente la pulsazione complessiva. Suonare a tempo con altri, però richiede più della mera capacità di contare e di rendersi conto del tactus: l’esecuzione di ogni pulsazione ritmica richiede di essere attentamente amministrata. Ciò mette in gioco due abilità principali: la anticipazione e la reazione, e gli esecutori d’insieme mettono in atto complesse proiezioni che sono intimamente legate alle reazioni acquisite attraverso un meccanismo di feedback retroattivo e attraverso una ripetizione coordinata del “gesto atletico” musicale, con le “prove”. Ci sono diversi fattori che devono essere presi in considerazione quando si cerca di ottenere la coordinazione di un insieme, non ultime le differenze di natura fisica tra gli strumenti (inclusa la voce umana), dunque la variabilità, da strumento a strumento, del ritardo d’emissione, del “tempo transitorio d’attacco”; o la disposizione spaziale degli esecutori: il direttore d’orchestra, per esempio, deve prendere in considerazione la minima, ma esistente, differenza di tempo che il suono necessita per essere percepito dal pubblico quando proviene da musicisti dislocati in punti molti diversi di un palco. Se la sincronicità è pura illusione e, di fatto, l’esecuzione di note esattamente allo stesso tempo da parte di un gruppo di musicisti va oltre i limiti delle capacità e della percezione umane: ci saranno sempre minime discrepanze nella scansione coordinata del tempo (dunque una asincronicità) tra le note, per quanto si conti di eseguirle simultaneamente, per fortuna corre in aiuto dell’esecutore e dell’ascoltatore ancora una volta il gap tra realtà fisico-acustica e percezione fisio-psicologica. In realtà – come dice ancora E. Goodman – l’arte del suonare insieme è quella di creare l’illusione di un insieme perfetto.14

Stiamo “decostruendo”: la musica non “c’è”, non “è” (è solo nell’istante, istante per istante tra l’abisso del passato e il fantasma del futuro); non è “umano” suonare insieme, non è possibile gestire in toto le variabili che destrutturano il modello esecutivo. Ergo: la musica è perfetta illusione (per fortuna, probabilmente).

In ultimo un’altra questione, un altro nodo: la paura, l’ansia da prestazione esecutiva. Studi recenti, ben riassunti in un saggio di Elisabeth Valentine, ci informano del crescente disagio tra musicisti professionisti e del sempre maggiore uso di tecniche fisico-farmacologiche finalizzate alla gestione dell’ansia da parte dell’esecutore.15 Accanto ad una utilizzazione sempre più massiccia di betabloccanti, di alcolici e di sedativi, vengono riportate tecniche di rilassamento, di training autogeno, comportamentali, di cognitive systematic desensitisation, di biofeedback; l’eutonia, l’Inner Game, o tecniche più francamente psicologiche o psicoterapeutiche, come la cognitive behaviour therapy o il timing of anxiety; o ancora, pacchetti di tecniche.

I sintomi dell’ansia da esecuzione sono ben conosciuti e sono di tre tipi: fisiologici, comportamentali e mentali. I sintomi fisiologici di aumento del battito cardiaco, palpitazioni, affanno, iperventilazione, secchezza delle fauci, sudorazione, diarrea e vertigini sono il risultato di una sovrastimolazione del sistema neurovegetativo; questa reazione “flight-fight” (lotta o fuga), che aiutava i nostri antenati raccoglitori-cacciatori a sfuggire da animali di grosse dimensioni, è altamente distruttiva per i musicisti richiedendo destrezza e buon controllo muscolare sui loro strumenti: il tremore degli arti e il sudore alle dita sono più facilmente un ostacolo che un aiuto per l’esecutore. Inoltre, questi stimoli involontari si possono associare con la paura come risultato di esperienze pregresse; stimoli di alto livello generalmente conducono a un restringersi del centro di attenzione, il che può anche diventare deleterio. I sintomi comportamentali dell’ansia da esecuzione possono prendere la forma di segnali di ansia, come i fremiti, il tremito, la rigidezza, l’aria inespressiva, o di effetti negativi sull’esecuzione stessa. I sintomi mentali sono sensazioni soggettive di ansia e idee pessimiste riguardo al suonare. Piuttosto che la paura dell’esecuzione in sé stessa, è la paura dell’esecuzione in pubblico che è in discussione, con il rischio di giudizio negativo e di conseguente caduta dell’autostima.

In effetti il nodo costituito dall’ansia da esecuzione rappresenta uno dei fattori di rischio maggiori nella disgregazione entropica del messaggio esecutivo in epoca contemporanea per i musicisti attivi nell’ambito della musica accademica (ma non solo, come ben sappiamo dalle cronache tra il rosa e il nero relative alle star della popular music), questo anche perché una certa dose di stimoli ansiogeni (cui si risponda in termini di ansia reattiva) è da considerarsi positiva: se gli stimoli sono troppo bassi, 14 Ibidem 15 E. Valentine, “the fear of performance”, in: J. Rink cit., pp. 168-182.

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l’esecuzione sarà opaca e priva di vita, se sono troppo alti, l’esecutore e l’esecuzione possono andare a pezzi. Ciò viene solitamente rappresentato visivamente nella forma di una U inversa (che indica la qualità dell’esecuzione come una funzione dello stimolo) ed è noto come la legge di Yerkes-Dodson

Finché il livello di stimolo ansiogeno è basso, la relazione tra arousal e performance segue la curva di Yerkes-Dodson, ma quando è alto essa segue il modello della catastrofe: quando cresce l’arousal, la performance è soggetta ad un declino catastrofico, dal quale è difficile riprendersi.

Questo è caos esecutivo che genera caos percettivo; modelli interpretativi mentali disgregati dall’impossibilità di gestire la propria mente e il proprio corpo in sintonia con la realtà ambientale. Una performance fallita, insomma.

«Se Orfeo ammansiva gli animali selvaggi con la sua lira (e chi siamo noi per sostenere il contrario?) egli deve aver saputo esattamente che cosa stava facendo in quanto esecutore».16 Ma la magia sciamanica agisce sui naturalia azzerando l’indetermnazione o il caso in musica.

BIBLIOGRAFIA Jonathan Dunsby, Performing Music: Shared Concerns, Oxford, Clarendon Press, 1995; Barry Green e Timothy C. Gallwey, The Inner Game of Music, Garden City, N.Y., Doubleday, 1986; Kato Havas, Stage Fright: Its Causes and Cures, with Special Reference to Violin Playing, Londra, Bosworth, 1973; Stefano A.E. Leoni e Paolo A. Rossi, Manuale di Acustica e di Teoria del suono, Milano, Rugginenti, 2005(2); Donald Meichenbaum, Stress Inoculation Training, New York, Pergamon, 1985; J. Rink, a cura di,: Musical Performance. A Guide to Understanding, Cambridge, Cambridge University Press, 2002; Eloise Ristad, A Soprano on Her Head: Right-side Up Reflections on Life and Other Performances, Moan, Ut., Real People

Press, 1982; Carl E., Seashore, Psychology of Music, New York, Dover, 1967 (2) (McGraw-Hill, 1938); John A. Sloboda (a cura di), Generative Processes in Music: The Psychology of Performance, Improvisation, and

Composition, Oxford, Clarendon Press, 1988; John A. Sloboda, The Musical Mind. The Cognitive Psychology of Music, Oxford, Oxford University Press, 1985, tr. it.: La

mente musicale, Bologna, Il Mulino, 1988; Robert Triplett, Stage Fright: Letting it Work for You, Chicago, Nelson-Hall, 1983; Glenn D. Wilson, Psychology for Performing Artists: Butterflies and Bouquets, London, Jessica Kingsley, 1994.

16 J. Dunsby “Performers or performance”, in: J. Rink, cit. pp. 225-235.