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PRINCIPI DI TERAPIA FARMACOLOGICA ANTIEMETICA, PROCINETICA E GASTROPROTETTIVA IN GASTROENTEROLOGIA Antiemetici VOMITO Il vomito è un segno clinico che si riscontra molto frequentemente nella pratica clinica. Pur essendo considerato fondamentalmente un meccanismo protettivo, esso può costituire per il clinico un difficile problema diagnostico a causa del gran numero di condizioni patologiche che lo possono determinare o che ad esso possono associarsi (polmonite ab ingestis, deplezione di fluidi ed elettroliti, squilibri acido-basici, malnutrizione). Il vomito è un riflesso neurale complesso che richiede la coordinazione dell’apparato gastroenterico, muscolo scheletrico e sistema nervoso con percorsi efferenti ed afferenti al centro del vomito nel midollo allungato. Le componenti essenziali del riflesso del vomito sono: a) Recettori nel faringe, stomaco, duodeno, digiuno, fegato, cistifellea, e in altri organi addominali: sensibili alla distensione delle pareti dell’apparato GI o delle vie biliari, all'infiammazione o irritazione del peritoneo viscerale o del faringe e all'ipertonicità del contenuto gastrico o del piccolo intestino; b) Zona chemo-recettoriale scatenante o chemoreceptor trigger zone (CRTZ): si trova nell'area postrema del pavimento del 4° ventricolo. Per la mancanza della barriera encefalica, è sensibile alle sostanze chimiche ematiche come le tossine (uremia, batteriche, tissutali), corpi chetonici e farmaci (digitale, apomorfina, agenti chemioterapici etc); c) Centro del vomito: situato all'interno della formazione reticolare del midollo allungato, riceve input dai neuroni vagali, dal simpatico, dalla CRTZ, dall'apparato vestibolare

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PRINCIPI DI TERAPIA FARMACOLOGICA ANTIEMETICA, PROCINETICA E

GASTROPROTETTIVA IN GASTROENTEROLOGIA

Antiemetici

VOMITO

Il vomito è un segno clinico che si riscontra molto frequentemente nella pratica clinica. Pur

essendo considerato fondamentalmente un meccanismo protettivo, esso può costituire per

il clinico un difficile problema diagnostico a causa del gran numero di condizioni

patologiche che lo possono determinare o che ad esso possono associarsi (polmonite ab

ingestis, deplezione di fluidi ed elettroliti, squilibri acido-basici, malnutrizione). Il vomito è

un riflesso neurale complesso che richiede la coordinazione dell’apparato gastroenterico,

muscolo scheletrico e sistema nervoso con percorsi efferenti ed afferenti al centro del

vomito nel midollo allungato.

Le componenti essenziali del riflesso del vomito sono:

a) Recettori nel faringe, stomaco, duodeno, digiuno, fegato, cistifellea, e in altri organi

addominali: sensibili alla distensione delle pareti dell’apparato GI o delle vie biliari,

all'infiammazione o irritazione del peritoneo viscerale o del faringe e all'ipertonicità del

contenuto gastrico o del piccolo intestino;

b) Zona chemo-recettoriale scatenante o chemoreceptor trigger zone (CRTZ): si trova

nell'area postrema del pavimento del 4° ventricolo. Per la mancanza della barriera

encefalica, è sensibile alle sostanze chimiche ematiche come le tossine (uremia,

batteriche, tissutali), corpi chetonici e farmaci (digitale, apomorfina, agenti chemioterapici

etc);

c) Centro del vomito: situato all'interno della formazione reticolare del midollo allungato,

riceve input dai neuroni vagali, dal simpatico, dalla CRTZ, dall'apparato vestibolare

(sindrome vestibolare, chinetosi/ disturbi del movimento) e anche dalla corteccia cerebrale

(ansia, dolore, estensione diretta di processi endocranici di vara natura e influenze

comportamentali).

Il vomito è associato in genere a segni “prodromici” quali nausea (depressione,

lambimento labbra, scialorrea, aumentati atti di deglutizione), tremori e irrequietezza che

non sempre vengono riconosciuti o osservati dal proprietario. I conati, al contrario,

risultano più facilmente evidenziabili in quanto determinati dalla contrazione forzata del

diaframma e dei muscoli addominali a glottide chiusa, con conseguente creazione di una

pressione negativa endo-toracica e di una positiva endo-addominale.

Ricevendo input sia dagli organi viscerali che dall’apparato vestibolare, dalla zona chemio

recettoriale scatenante e dai centri superiori il centro del vomito viene attivato da un

numero elevato di situazioni patologiche.

Questi recettori, quando stimolati da infiammazione o sovradistensione, trasmettono

impulsi afferenti al centro del vomito attraverso le fibre del nervo vago e del simpatico. Il

centro del vomito riceve impulsi anche dalla corteccia cerebrale (più frequentemente

nell’uomo che negli animali), dall’apparato vestibolare e dalla zona chemorecettoriale

scatenante (CRTZ) localizzata nell’area postrema sul pavimento del IV ventricolo, la quale

può venire a sua volta direttamente stimolata da sostanze presenti nel sangue (soprattutto

farmaci e tossine), poiché non possiede una barriera emato-encefalica intatta. Quindi,

riassumendo, il riflesso del vomito può essere stimolato da due vie: quella umorale

(stimolazione diretta della CTRZ) e quella nervosa (stimolazione del centro del vomito

attraverso il sistema vagosimaptico, corteccia cerebrale, apparato vestibolare e CRTZ).

Raggiunta una sufficiente stimolazione del centro del vomito ha inizio il riflesso:

salivazione e ripetute deglutizioni (segni prodromici), ripetuti movimenti intestinali

antiperistaltici (mediati dal nervo vago e dai neuroni del plesso mio enterico), contrazioni

peristaltiche antrali, rilassamento del corpo dello stomaco, inspirazione profonda,

rilassamento simultaneo di esofago, sfintere esofageo inferiore e superiore, chiusura della

glottide, fortissima e simultanea contrazione del diaframma e della muscolatura della

parete intestinale, eversione della mucosa gastrica nell’esofago distale, espulsione forzata

del contenuto del tratto gastroenterico superiore.

Diversi sono i recettori coinvolti nel riflesso del vomito:

1. corteccia cerebrale: di tipo ω2 (benzodiazepinici); di tipo ENKµ (oppioidi

encefalinergici)

2. apparato vestibolare: di tipo H1 (istaminergici); M1 (muscarinici; acetilcolina);

NMDA (dell’acido glutammico)

3. CRTZ: di tipo H1; M1; D2 (dopaminergici); α2 (alfa-adrenergici); 5-HT3

(serotoninergici); NK1 (neurokinina); ENKµ,δ

4. centro del vomito: α2; 5-HT1A

5. intestino (vie afferenti): 5-HT3

6. intestino (vie efferenti): 5-HT4, M2; D2; MOT (motilina)

Nel cane, ma non nel gatto, dopamina ed istamina sono importanti neurotrasmettitori a

livello della CRTZ. Quindi, la metoclopramide (antagonista dei recettori dopaminergici D2)

é meno efficace nel gatto per il controllo del vomito rispetto al cane, e l’apomorfina

(agonista dei recettori D2) è meno emetogena nel gatto rispetto al cane. Al contrario, a

livello della zona chemorecettoriale scatenante, i recettori α2 e 5-HT3 sono molto più

importanti nel gatto rispetto al cane. Quindi, la xilazina (agonista α2), é più emetogena nel

gatto rispetto al cane, mentre ondansetron e dolasetron (anatgonisti 5-HT3) prevengono il

vomito mediato attraverso la CRTZ nel gatto (mentre nel cane agiscono a livello

periferico).

Ferma restando la necessità di arrivare al fattore eziologico causativo del vomito esistono

numerosi farmaci antiemetici. Questi farmaci possono agire sia perifericamente bloccando la

neurotrasmissione a livello recettoriale sia centralmente bloccando la stimolazione della CTZ e/o il

centro del vomito.

- Antiemetici ad azione centrale

I potenziali siti d’azione per gli antiemetici che agiscono a livello centrale comprendono il sistema

vestibolare, la CRTZ, ed il centro del vomito.

I farmaci anticolinergici possono inibire il vomito associato ad eccessiva contrazione della

muscolatura liscia gastrointestinale mediante il blocco dei recettori muscarinici che si trovano a

livello dei nuclei vestibolari e nell’area postrema.

I farmaci antimuscarinici con attività antiemetica sono solo quelli dotati di struttura non

quaternaria (atropina, scopolamina e isopropamide), in grado quindi di attraversare facilmente la

barriera ematoencefalica. L’isopropamide viene occasionalmente usata nei piccoli animali per

trattare il vomito provocato da una stimolazione vestibolare. Gli altri antimuscarinici possono

talvolta essere utilizzati per inibire l’insorgenza di cinetosi nel cane, tuttavia risultano generalmente

poco efficaci e, a causa del loro effetto eccitatorio, non vengono del tutto utilizzati nel gatto per

queste indicazioni.

Gli antistaminici (anti H1) possono bloccare la trasmissione nervosa colinergica e istaminica

responsabili della trasmissione dello stimolo vestibolare al centro del vomito. I farmaci anti H1

comprendono difenidramina, dimenidrinato, prometazina, ciclizina e meclizina. La

difenidramina ed il dimenidrinato hanno una breve durata d’azione (4-8 ore), mentre la meclizina e

la prometazina hanno una durata d’azione più lunga (12-24 ore). Difenidramina, dimenidrinato e

prometazina possono provocare moderata sedazione, mentre ciclizina e meclizina sono

potenzialmente teratogene ad alte dosi. La loro efficacia dipende da un effetto diretto sulle vie

nervose che originano dall’apparato vestibolare ed è indipendente dalla loro potenza antistaminica o

sedativa. Gli antagonisti dei recettori H1 sono efficaci soprattutto nel trattamento del vomito da

cinetosi, ma inefficaci in quello indotto da radioterapia o chemioterapia antitumorale. Sonnolenza e

secchezza delle fauci sono effetti collaterali caratteristici di questa classe di farmaci.

Gli antagonisti dei recettori della dopamina, dotati di attività

antiemetica, appartengono a tre gruppi distinti di farmaci: fenotiazine, butirrofenoni, e

benzamidi.

Benzamidi

Tra le benzamidi sostituite, la trimetobenzamide ha potenti effetti antidopaminergici e deboli

azioni antistaminiche ed è attiva sulla CTZ e non sul centro del vomito. È utilizzata per

antagonizzare il vomito da radiazioni, chemioterapici antitumorali, infezioni ed uremia ed ha una

efficacia clinica inferiore a quella di altri composti analoghi.

La metoclopramide, come altri benzamidi sostituti, è un derivato dell’acido para-amino-

benzoico strutturalmente simile alla procainamide ed è il più noto ed utilizzato farmaco

appartenente a questa classe. La metoclopramide manifesta tre principali attività famacologiche:

- Antagonista dei recettori Dopaminergici D2 ( azione attualmente considerata meno

rilevante come azione rispetto al passato )

- Antagonista dei recettori 5-HT3 serotoninergici ( attualmente considerata l’azione più

importante per ruolo antiemetico )

- Azione colinergica.

Perifericamente, la metoclopramide è considerata in grado di accelerare lo svuotamento gastrico e

duodenale, e ridurre la sensibilità delle afferenze emetogene viscerali. Storicamente la

metoclopramide viene considerata in grado di aumentare il tono dello sfintere esofageo inferiore e

l’ampiezza delle onde peristaltiche e quindi lo svuotamento gastrico, sia ampiando le contrazioni

antro-duodenali sia diminuendo il tono dello sfintere pilorico. Questi effetti sono considerati essere

mediati dall’azione colinergica ( la metoclopramide sarebbe in grado di sensibilizzare la

muscolatura liscia intestinale all’acetilcolina), infatti i farmaco anticolinergici sarebbero in grado di

inibire tale azione procinetica. Recentemente un lavoro ( High-resolution manometric evaluation

of the effects of cisapride and metoclopramide hydrochloride administered orally on lower

esophageal sphincter pressure in awake dogs. Jennifer Kempf et Al. 2014 AJVR) ha messo in

dubbio la capacità della metoclopramide di aumentare il tono dello sfintere esofageo inferiore,

valutandone l’efficacia mediante sonde cardiali e confrontandone l’effetto rispetto alla Cisapride,

che al contrario è in grado di aumentarlo. In un ulteriore studio preliminare presentato agli ACVIM

2011 (Gaschen FP, Mole CT, Stout RW. Evaluation of the effects of metoclopramide and cisapride

on canine gastric, small bowel and colonic motility using a wireless motility capsule. J

Vet Intern Med 2011;25:1485) eseguito su 6 cani di razza Beagle utilizzando capsule Wireless

endoscopiche sia la metoclopramide che la cisapride non hanno mostrato capacità di aumentare lo

svuotamento gastrico, seppur la metoclopramide abbia mostrato indurre un aumento della motilità

antrale mentre la cisapride di quella intestinale. Ad alte dosi o dopo somministrazione endovenosa

rapida, la metoclopramide può provocare eccitazione del SNC. La metoclopramide non deve

essere utilizzata nei pazienti epilettici e dovrebbe essere usata a dosaggio dimezzato in caso di

insufficienza renale ( potrebbe inoltre diminuire il flusso ematico renale). Generalmente con

dosaggi superiore ad 1 mg/kg, soprattutto dopo somministrazione endovenosa, è possibile

evidenziare effetti collaterali extrapiramidali ( agitazione- aggressività, tremori, ipertonie

muscolari) che possono essere antagonizzati con uso di difenidramina ( 2,2, mg/kg ev). Tali effetti

si evidenziano spesso nel gatto. La metoclopramide non dovrebbe essere somministrata se si

sospetta una ostruzione o perforazione gastrointestinale, anche se tale evenienza non è forse così

pericolosa visto che l’azione procinetica intestinale è dubbia. L’azione procinetica è in ogni caso

ostacolata dalla somministrazione di atropina e composti simili e degli analgesici narcotici. Il

dosaggio della metoclopramide va da 0,2-0,5 mg/kg sc, im ogni 6-8 ore. In infusione ev continua si

utilizza normalmente il dosaggio di: 0,01-0,02 mg/ kg /ora in infusione endovenosa. La

metoclopramide è un farmaco storicamente controindicato in pazienti con emorragie GI, ostruzioni

o perforazioni. In caso di feocromocitoma inoltre, la sua somministrazione può indurre crisi

ipertensive. Nel cane, l’effetto avverso più comune, sebbene sia il meno frequente, consiste in

mutazioni della condizione cognitiva e del comportamento del soggetto mentre il gatto può

mostrare segni di disorientamento ed aumento dell’eccitabilità. Come altri antagonisti dei recettori

dopaminergici, la metoclopramide può causare galattorrea e ginecomastia, bloccando l'effetto

inibitorio della dopamina sulla secrezione ipofisaria di prolattina, tuttavia si tratta di un evento

relativamente poco frequente nella pratica clinica. Anche la levosulpiride viene comunemente

utilizzata nel trattamento del vomito post-operatorio o provocato da farmaci antitumorali.

Fenotiazine

Le fenotiazine, antagonisti del recettore D2 della dopamina, sono dotate anche di attività

antistaminica e anticolinergica e possono svolgere la loro azione antiemetica bloccando la

trasmissione degli impulsi vagali afferenti. I fenotiazinici maggiormente utilizzati come antiemetici

sono l’acepromazina e la procloperazina. Tali molecole sono in grado di bloccare il vomito di

origine centrale ad eccezione di quello indotto da una stimolazione labirintica. A basse dosi le

fenotiazine controllano il vomito sostenuto dalla CTZ in virtù dei loro effetti antidopaminergici ed

antistaminici, mentre a dosaggi più elevati manifestano effetti anticolinergici anche a livello del

centro del vomito. Gli effetti collaterali comprendono ipotensione dovuta a blocco α-adrenergico,

eccessiva sedazione e segni extrapiramidali. Molti fenotiazinici come clorpromazina, perfenazina,

trifluoroperazina e mepazina vengono occasionalmente usati come antiemetici nella clinica dei

piccoli animali.

Derivati butirrofenonici

L’aloperidolo ed il droperidolo, sono potenti farmaci antiemetici ad attività antidopaminergica. I

loro effetti collaterali sono simili a quelli delle fenotiazine; tuttavia l’incidenza delle reazioni

extrapiramidali è minore. Anche il domperidone, un antagonista periferico della dopamina, può

esplicare effetti antiemetici.

Antagonisti dei recettori della serotonina (5-HT) Il principale farmaco appartenente a questa classe è l’ondansetron, un inibitore del recettore 5-HT3

della serotonina, che agisce sia perifericamente sulle terminazioni vagali afferenti, sia centralmente,

in corrispondenza della CTZ. La serotonina agisce aumentando la secrezione di acetilcolina a livello

dei gangli distali stimolando così la CRTZ; l’ondansetron agisce a questo livello soprattutto nella

zona intestinale. Nel cane e nel gatto l’ondansetron è stato impiegato con successo per bloccare il

vomito indotto da radioterapia o chemioterapia, poiché i farmaci citotossici e le radiazioni

danneggiano la mucosa gastrointestinale, provocando rilascio di serotonina.

Il tropisetron, il granisetron e il dolasetron, potenti e selettivi bloccanti dei recettori 5-HT3 della

serotonina, si sono rivelati molto efficaci nel contrastare l’emesi, resistente ad altri farmaci

antiemetici, indotta nel cane da chemioterapici antiblastici o da parvovirus. Un bloccante degli

stessi recettori di II generazione, il palonosetron, ha manifestato una maggiore selettività per i

recettori 5-HT3 ed una emivita molto più lunga rispetto agli altri farmaci della stessa classe. Questi

farmaci non manifestano molti effetti collaterali ( sedazione, leccamento, aritmie, ipotensione) ed

essendo un substrato della glicoproteina P, i cani di razza Collie ed affini potrebbero manifestare

maggiori effetti collaterali. Dosaggi: 0,5-1 mg/kg po ogni 12-24 ore. 0,5 mg/kg ev e poi

in infusione costante.

La ciproeptadina può anche essere impiegata come antiemetico nei piccoli animali. Questo

farmaco, oltre all’azione principale sui recettori della 5-HT, esercita anche effetti anticolinergici ed

antistaminici.

Anche i glucocorticoidi, ed in particolare il desametazone, possono venire utilizzati per trattare il

vomito sia nella specie canina che felina. Questi farmaci, impiegati ad alte dosi, manifestano una

buona azione antiemetica che sembra legata all’inibizione della sintesi di prostaglandine e di 5-HT.

Il desametazone, in associazione ai bloccanti dei recettori 5-HT3, si è rivelato molto efficace nel

prevenire il vomito indotto da cisplatino nel cane.

Antagonisti dei recettori delle neurochinine

L’aprepitant e il maropitant appartengono a una nuova classe di farmaci antiemetici ad azione

centrale. Si tratta di antagonisti potenti e selettivi dei recettori NK-1 ( neurochininici) che

inibiscono il legame della sostanza P a questi recettori a livello del SNC. La sostanza P è il

principale neurotrasmettitore coinvolto nel vomito e tale principio attivo è in grado di inibire sia il

vomito centrale che periferico Il maropitant, si è dimostrato essere efficace per il trattamento sia

del vomito acuto, sia per la prevenzione delle cinetosi nel cane. In corso di chemioterapia il

maropitant è più efficace se usato in maniera preventiva. Essendo metabolizzato dal fegato in corso

di patologia epatica va somministrato con cautela. Il maropitant presenta pochi effetti collaterali,

raramente si può evidenziare vomito entro due ore dalla somministrazione e dolore nel sito di

inoculazione, soprattutto nel gatto ( 1/3 dei pazienti). Molto raramente possono presentarsi

reazioni di tipo anafilattico come edema, eritema, collasso, dispnea etc…

Dosaggio: 1 mg/kg sc sid fino a 5 giorni

1-2 mg/kg po sid

Prima della somministrazione per via orale viene consigliato un pasto leggero, seppur le cpr non

dovrebbero essere somministrate nel cibo perché potrebbe ritardare l’inizio dell’effetto

Per la chinetosi: 8 mg/kg sid po almeno un’ora prima dell’inizio del viaggio.

AGENTI PROCINETICI E STIMOLANTI DELLA MOTILITA’ GI

L’attivazione diretta dei recettori muscarinici, meccanismo esplicato ad esempio da molecole colino

mimetiche, non può essere considerata una strategia efficace nel trattamento dei disturbi della

motilità gastrointestinale, poichè tali agenti sono in grado di aumentare le contrazioni in un modo

piuttosto scoordinato producendo poca o nessuna attività propulsiva. Al contrario, si definiscono

procinetici, molecole che aumentano la motilità gastrointestinale coordinando adeguatamente il

transito di materiale nel tratto GI. Sebbene l’ACh, rilasciata dai motoneuroni primari a livello del

plesso mioenterico sia il principale mediatore della contrattilità muscolare, la maggior parte degli

agenti procinetici svolgono la loro azione "a monte", ovvero su siti recettoriali collocati sul

motoneurone stesso o, più indirettamente, su neuroni di uno o due ordini superiori. Sebbene si tratti

di molecole farmacologicamente e chimicamente diverse, migliorano il rilascio del

neurotrasmettitore a livello della giunzione neuro-muscolare senza interferire con il normale ritmo

fisiologico e della motilità. Tale meccanismo permette di mantenere una buona coordinazione delle

attività e delle contrazione tra i vari segmenti intestinali, necessaria per la propulsione del contenuto

luminale.

Agenti colinergici

Derivati della colina

Gli effetti dell’ACh sulla muscolatura liscia sono mediati essenzialmente da due tipologie di

recettori muscarinici accoppiati alle proteine G (mAChRs): M2 ed M3, generalmente presenti nel

tratto GI rispettivamente in rapporto 4:1. Nonostante sia quantitativamente meno presente, il

recettore M3 risulta essere quello di maggiore importanza dal momento che la sua attivazione

determina l’aumento intracellulare di Ca2+. L’ACh di per sé non viene utilizzata a scopi terapeutici

in quanto è in grado di agire su tutte le classi di recettori colinergici (nicotinici e muscarinici) è

viene degradata troppo rapidamente da specifici enzimi chiamati acetilcolinesterasi.  L’ACh produce

un aumento generalizzato dell’attività motoria dell’apparato GI caratterizzata da incremento del

tono e dell’ampiezza della contrazione della muscolatura liscia e quindi dell’attività peristaltica.

Tali effetti sono mediati principalmente dal sottotipo recettoriale M3 la cui stimolazione attiva la

via post-recettoriale mediata dal secondo messaggero PIP3 che, interagendo a sua volta con i

recettori specifici del reticolo endoplasmatico, promuove la mobilizzazione di Ca2+ intracellulare e

la contrazione muscolare. Alcune modifiche della struttura chimica neurotrasmettitore hanno

prodotto farmaci quali il betanecolo, estere carbamilico dell’ACh, aumentandone la selettività

recettoriale e la resistenza alla degradazione tramite idrolisi enzimatica. Alle dosi comunemente

utilizzate in terapia è caratterizzato da una maggiore selettività per i recettori muscarinici e da

trascurabili effetti nicotinici. Nonostante ciò, il betanecolo non risulta essere un farmaco di elezione

in quanto il suo effetto è caratterizzato dalla presenza di effetti indesiderati dipendenti dalla

stimolazione muscarinica: broncocostrizione, ipotensione, coliche intestinali e diarrea che si

manifestano con maggiore frequenza e gravità quando il farmaco viene somministrato per via EV o

IM.

Inibitori dell'acetilcolinesterasi

Tali molecole agiscono inibendo l’idrolisi dell’ACh operata dalle acetilcolinesterasi consentendone

l’accumulo nei siti di rilascio. Infatti sono molecole caratterizzate, per ciò che concerna l’aspetto

strutturale, dalla presenza di gruppi fortemente basici che instaurano legami reversibili con il sito

anionico delle colinesterasi. A differenza degli agonisti dei recettori muscarinici, questi farmaci

parasimpaticomimetici non stimolano direttamente la muscolatura, piuttosto accelerano i tempi di

transito GI, migliorando gli effetti contrattili determinati dal neurotrasmettitore rilasciato a livello

delle giunzioni sinaptiche e neuromuscolari. Tra le molecole appartenenti a questo gruppo, la

neostigmina è un composto che accomuna nella sua struttura lo ione ammonio quaternario

trimetilato dell’ACh e l’acido carbammico metilsostituito della fisostigmina. Come tutti i derivati

dell’ammonio quaternario non viene assorbita dall’apparato gastroenterico e non attraversa, se non

a dosi elevate, la barriera ematoencefalica.

La neostigmina metilsolfato viene utilizzata in medicina umana per alcuni disturbi

gastrointestinali, in particolare quelli associati a colica acuta da pseudo-ostruzione (sindrome di

Ogilvie) ed è stata utilizzata in casi di ileo paralitico e per la diagnosi e trattamento della miastenia

grave. Trattandosi di un farmaco non scevro da gravi effetti collaterali tuttavia, l’atropina dovrebbe

essere disponibile in caso di grave bradicardia. Nel cane viene utilizzata soprattutto per il

trattamento da overdose di agenti di blocco neuromuscolare non depolarizzanti (curarici) come

farmaco decurarizzante.

Antagonisti dei recettori della dopamina

La dopamina, oltre ad essere l’immediato precursore della noradrenalina nei neuroni noradrenergici,

ha funzione di importante neurotrasmettitore del SNC dove è tipicamente localizzata nel sistema

limbico, nel corpo striato, nell’ipotalamo e nelle arterie cerebrali. Da un punto di vista

farmacologico, le concentrazioni raggiunte nei siti attivi con diversi livelli di dosaggio

condizionano l’insorgere di effetti complessi poiché la dopamina è in grado di liberare

noradrenalina dalle fibre postgangliari, stimolare direttamente i recettori α- e β- adrenergici o

attivare i suoi specifici recettori dopaminergici.

La dopamina è presente in quantità significativa nel tratto GI ed ha diversi effetti inibitori sulla

motilità, tra cui la contrazione dello sfintere esofageo inferiore e la riduzione della pressione

intragastrica. Tali effetti, derivati dalla soppressione del rilascio di ACh dai motoneuroni

mioenterici, sono mediati da una classe di recettori dopaminergici: D2. Molecole in grado di

antagonizzare i recettori D2 e quindi l’effetto inibitorio della dopamina sui neuroni motori mio

enterici, sono considerate efficaci agenti procinetici. In virtù del loro meccanismo d’azione,

possiedono inoltre efficace azione antiemetica, dal momento che sono in grado di antagonizzare i

recettori dopaminergici presenti a livello della “chemoreceptor trigger zone” (CTZ).

Metoclopramide

La metoclopramide, è in grado di bloccare i recettori dopaminergici presinaptici (D1 e D2) che

inibiscono il rilascio di Ach dai neuroni motori colinergici del sistema nervoso enterico. A seguito

di questo meccanismo si ha un aumento dei livelli di Ach, che induce contrazione, ed un

conseguente aumento della normale attività propulsiva. Le contrazioni avvengono, in questo caso,

in modo coordinato senza tuttavia stimolare secrezioni gastriche, biliari o pancreatiche. E’ in grado

di attraversare la barriera emato-encefalica provocando effetti centrali piuttosto caratteristici dovuti

al blocco dei recettori dopaminergici.

Domperidone e Levosulpiride

Diversamente dalla metoclopramide, il domperidone e la levosulpiride antagonizzano

prevalentemente il recettore della dopamina D2 senza un importante coinvolgimento di altri

recettori. Dal momento che non sono in grado di attraversare facilmente la barriera emato-

encefalica, sono praticamente privi di effetti extra-piramidali ed esercitano i propri effetti

principalmente sui recettori periferici intervenendo nella regolazione dell’emesi, della temperatura e

del rilascio della prolattina. Il domperidone causa un aumento del tono dello sfintere esofageo e

dell’attività peristaltica lungo il tratto digerente, la levosulpiride aumenta il tono e l’ampiezza delle

contrazioni gastriche favorendo il rilassamento del piloro, stimolando la peristalsi intestinale.

Modulatori del recettore della serotonina

La serotonina (5-HT), riveste un ruolo piuttosto importante per quanto riguarda la normale motilità

e funzione secretoria dell'intestino, infatti, più del 90% della 5-HT totale di un organismo, si trova

nel tratto GI. La 5-HT, classificata come un neurotrasmettitore monoaminico, viene sintetizzata

dalle cellule enterocromaffini, cellule derivate dalla cresta neurale ed altamente specializzate che si

trovano a livello della mucosa gastrica ed intestinale. Viene prodotta e rapidamente rilasciata in

risposta ad una stimolazione chimica e meccanica (come ad esempio boli alimentari, agenti nocivi

come cisplatino, tossine microbiche, agonisti dei recettori colinergici, adrenergici o purinergici) ed

induce il riflesso della peristalsi sia stimolando i neuroni sensoriali intrinseci del plesso mio enterico

(soprattutto attraverso il sottotipo recettoriale 5-HT4), sia tramite neuroni sensoriali estrinseci vagali

e spinali (recettori 5-HT3). Inoltre, tramite la stimolazione dei neuroni intrinseci afferenti della

sottomucosa, vengono attivati anche riflessi secreto-motori con conseguente secrezione epiteliale.

Come è facile intuire, la 5-HT così come altri neurotrasmettitori, risulta coinvolta in meccanismi di

regolazione piuttosto complessi e raffinati. I recettori si trovano anche a livello di altri neuroni del

sistema nervoso enterico dove possono avere sia effetto stimolante (5-HT3 e 5-HT4) che inibitorio

(5-HT1A). Inoltre, la serotonina è in grado di stimolare anche altri neurotrasmettitori a seconda del

sottotipo recettoriale; ad esempio la stimolazione del recettore 5-HT1 a livello gastrico produce il

rilascio di ossido nitrico e riduce il tono della muscolatura liscia, mentre il 5-HT4 mediante

stimolazione dei motoneuroni eccitatori aumenta il rilascio di Ach a livello della giunzione

neuromuscolare ed entrambi i recettori 5-HT3 e 5-HT4 coadiuvano il segnale interneuronale.

Evolutivamente infine, 5-HT agisce come fattore neurotrofico di neuroni enterici attraverso i

recettori 5-HT2B e 5-HT3.

Agonisti del recettore 5-HT4

I recettori 5-HT4 sono espressi prevalentemente a livello della parete intestinale sui neuroni

afferenti primari dove la loro attivazione stimola il riflesso peristaltico. Cisapride e renzapride

facilitano la peristalsi mediante riduzione del volume soglia necessario all’insorgenza delle

contrazioni peristaltiche. Tale effetto deriva dall’attivazione della trasmissione colinergica a livello

pre e post gangliare indotta dai 5-HT4. Tali molecole sono inoltre attive anche sul colon. La

prucalopride ed il tegaserod sono molto utilizzate in medicina umana in patologie funzionali quali

la sindrome dell’intestino irritabile con stipsi e la colite spastica.

Tegaserod

Il tegaserod, un’ indolo-aminoguanidina, è strutturalmente correlato alla serotonina ed è un parziale

agonista 5-HT4 con trascurabile affinità per gli altri sottotipi recettoriali. Tegaserod, attivando i

recettori 5-HT4, produce molteplici effetti sul tratto gastrointestinale: stimola la motilità e accelera il

transito in esofago, stomaco, intestino tenue e colon ascendente,inducendo riflesso peristaltico con

conseguente effetto pro cinetico. Stimola inoltre, la secrezione di cloro. L’effetto collaterale più

evidente del tegaserod è la diarrea.

Cisapride

Sebbene sia un farmaco sottoposto a severe restrizioni di utilizzo e ad oggi non più disponibile,

questa molecola è stata largamente utilizzata come procinetico fino ad alcuni anni fa. La cisapride è

infatti in grado di stimolare i recettori 5-HT4 aumentando l’attività dell’adenilato ciclasi a livello

neuronale. Possiede anche un debole effetto antagonista sui recettori 5-HT3 stimolando direttamente

la muscolatura liscia. Utilizzato nel cane e nel gatto per il trattamento delle condizioni di alterata

motilità di tutto il tratto GI (svuotamento gastrico, transito intestinale e motilità del colon), non

viene più utilizzato a causa della sua elevata capacità di indurre gravi aritmie cardiache anche fatali

con prolungamento dell’intervallo QT e ritardo nella ripolarizzazione cardiaca inibendo la

componente rapida del canale del potassio ritardante rettificante (tachicardia ventricolare,

fibrillazione ventricolare e torsioni di punta). Tali eventi, si sono verificati nell’uomo in particolar

modo quando il farmaco è stato associato ad altri principi attivi in grado di inibire il CYP3A4,

inibendone in questo modo la normale metabolizzazione ed innalzandone i livelli plasmatici.

Altri modulatori del recettore 5-HT4

La plucaropride è un potente agonista del recettore 5-HT4 che facilita la neurotrasmissione

colinergica e stimola la motilità del colon nel cane e nel gatto. In particolare nel cane, sembra

stimolare anche lo svuotamento gastrico. Altra molecola considerata piuttosto interessante

appartenente a questa categoria e il mosapride che ha recentemente dimostrato avere un buon

effetto come agente procinetico nel cane. Un recente lavoro (Ultrasonographic Evaluation of

Vincristine-Induced Gastric Hypomotility and the Prokinetic Effect of Mosapride in Dogs

A. Tsukamoto, K. Ohno, et. Al.    J Vet Intern Med 2011;25:1461–1464) ha indagato la capacità

procinetica della Mosapride in 5 cani sottoposti a chemioterapia con Vincristina evidenziando un

miglioramento dei segni clinici gastro-enterici e dell’indice di motilità gastrica ( valutato

mediante esame ecografico) nei giorni successivi alla chemioterapia nei pazienti sottoposti a

terapia con mosapride rispetto ai pazienti sottoposti unicamente a chemio.

Agonisti del recettore della motilina

La motilina svolge un importante ruolo nel coordinamento della motilità gastroduodenale. Si tratta

di un polipeptide di 22 aminoacidi presente nelle cellule endocrine della mucosa duodenale.

L’eritromicina, che esercita un’azione procinetica, rappresenta un possibile approccio per il

trattamento dei disordini della motilità a carico dell’apparato GI. L’azione dell’eritromicina è del

tutto assimilabile a quella della motilina, scoperta questa nata dall’analisi della frequente comparsa

di effetti collaterali gastrointestinali generati dall’utilizzo di tale antibiotico. Questa proprietà è

condivisa, in diversa misura, anche da altri antibiotici appartenenti alla classe dei macrolidi tra cui

l’olenadomicina, l’azitromicina e la claritromicina.

L’effetto stimolante può essere bloccato dall’atropina (antagonista muscarinico) ed esametonio

(antagonista nicotinico). Lo sviluppo di fenomeni di tolleranza all’eritromicina, probabilmente

dovuti ad una down-regulation del recettore per la motilina ed altri effetti indesiderabili hanno

limitato enormemente l’uso di questa molecola come agente procinetico mentre sono in fase di

studio diversi analoghi sintetici sia dell’eritromicina che del peptide motilina.

Miscellanea: agenti vari

L’ormone gastrointestinale colecistochinina (CCK) viene rilasciato a livello intestinale in risposta

all’introduzione di cibo o ad un ritardo nello svuotamento gastrico. La dexloxiglumide è un

antagonista del recettore CCK1 (o CCK-A) in grado di favorire lo svuotamento gastrico ed è in fase

di studio, con la loxiglumide, per il trattamento della gastroparesi, della sindrome del colon

irritabile e del reflusso gastroesofageo.

Anche alla clonidina è stato attribuito un effetto benefico nel miglioramento della gastroparesi

mentre l’octreotide acetato, un analogo della somatostatina, viene utilizzato in pazienti con disturbi

della motilità intestinale. Nuovi approcci infine, si basano sullo studio del rilassamento transitorio

dello sfintere esofageo inferiore raggiunto mediante molecole agoniste del GABA come il baclofen

e gli inibitori della sintesi di ossido nitrico.

ANTIACIDI – ANTISECRETIVI – CITOPROTETTIVI

Inibizione della secrezione gastrica acida

La secrezione acida gastrica risponde ad un meccanismo decisamente complesso regolato sia a

livello centrale, sia per via riflessa attraverso recettori meccanici e chimici presenti nello stomaco e

nel duodeno. La secrezione acida è stimolata dall’istamina tramite recettori H2, dall’Ach tramite

recettori muscarinici M1, e dalla gastrina tramite recettori per la gastrina presenti nella membrana

delle cellule parietali. L’Ach e la gastrina agiscono attraverso un aumento del Ca2+ libero

intracellulare, mentre l’istamina agisce aumentando l’AMPc; i due messaggeri intracellulari, Ca2+ e

AMPc, interagiscono provocando l’aumento della secrezione acida gastrica. La regolazione

fisiologica della secrezione gastrica si attua attraverso 3 fasi: cefalica, gastrica e intestinale.

1) Nella fase cefalica vista, odorato, gusto del cibo, masticazione o deglutizione promuovono la

secrezione acida gastrica. Il mediatore di questo effetto sembra essere il peptide gastrin releasing

peptide (GRP), un analogo alla bombesina degli anfibi. La gastrina a sua volta stimola le cellule

parietali a secernere acido gastrico.

2) Nella fase gastrica vera e propria l’alimento, una volta giunto nello stomaco, provoca la

liberazione dell’ormone gastrina. Questa fase comprende sia riflessi vagali che nervosi locali in

risposta alla distensione gastrica. Inoltre, i chemorecettori delle cellule G rispondono ai peptidi o

agli aminoacidi presenti nel lume gastrico; ne risulta che sia la gastrina che l’Ach sono in grado di

stimolare le cellule parietali a secernere ioni H+.

3) Nella fase intestinale gli alimenti entrano nel duodeno e promuovono il rilascio da parte della

mucosa duodenale di uno o più ormoni che stimolano la secrezione gastrica come la gastrina

intestinale presente nella mucosa duodenale. La fase intestinale vede coinvolta anche una

componente colinergica nella stimolazione della secrezione acida gastrica. Il più importante

meccanismo che inibisce il rilascio di gastrina è l’acidificazione dello stomaco; quando il pH

gastrico è intorno al valore di 2, il rilascio di gastrina è quasi totalmente soppresso. Il meccanismo

che inibisce il rilascio di gastrina dalle cellule G è il rilascio di somatostatina; a seconda della

specie, possono essere coinvolte nella risposta inibitoria anche la secretina e la CCK, ormoni capaci

di potenziare altre azioni inibitorie.

È noto come uno squilibrio tra fattori aggressivi endogeni o esogeni (FANS, Helicobacter pylori) e

fattori protettivi (produzione di muco e secrezione di bicarbonato) possa causare lesioni a livello

della mucosa dello stomaco e del duodeno.

Antiacidi neutralizzanti

I composti appartenenti a questa categoria sono in grado di neutralizzare la secrezione acida.

Bicarbonato di sodio NaHCO3

Esplica la sua azione a livello sistemico incrementando i livelli di alcalinità plasmatici. A livello

gastrico libera CO2 cui consegue un effetto favorevole sulla motilità dello stomaco, tuttavia occorre

ricordare che la CO2 formatasi a livello gastrico libera a sua volta gastrina stimolando nuovamente

la secrezione acida. Questo ha portato ad una progressiva diminuzione dell’utilizzo del bicarbonato

di sodio come antiacido gastrico mentre viene ancora utilizzato nella terapia dell’acidosi. Il suo uso

è, tuttavia, controindicato in animali con scompenso cardiaco e insufficienza renale.

Sali di alluminio AlPO4 - Al(OH)3

Riducono la concentrazione di HCl a livello gastrico e nel duodeno e, quindi, l’attività proteolitica

della tripsina. Dal momento che la loro somministrazione deve essere effettuata frequentemente e

per OS, sono oggi decisamente poco utilizzati in pazienti con patologie a carico del GI. La

contemporanea somministrazione di altri farmaci quali tetracicline, cimetidina, corticosteroidi e

ketoconazolo, può diminuire sensibilmente la loro biodisponibilità.

Idrossido di magnesio Mg(OH)2

Anch’ esso ormai praticamente inutilizzato come antiacido bensì scelto soprattutto per il suo effetto

purgante. Attualmente una associazione tra idrossido di alluminio e idrossido di magnesio,

finalizzata a neutralizzare gli effetti delle due sostanze sull’intestino (dove l’alluminio ha azione

costipante e il magnesio lassativa) trova largo impiego sia nella clinica dei piccoli animali sia

nell’uomo.

Carbonato di calcio CaCO3

Polvere inodore e insapore, viene impiegato come antiacido assorbente poichè a livello gastrico

viene facilmente decomposto dall’HCl. La sua azione, a differenza del bicarbonato di sodio, si

svolge pertanto a livello gastroenterico.

Antisecretivi gastrici

Appartengono a questa categoria diverse classi di farmaci tra cui i più efficaci sono gli antagonisti

dei recettori H2 e gli inibitori della pompa protonica (IPP). Questi farmaci inibiscono in maniera

competitiva i recettori H2 a livello delle cellule parietali gastriche riducendo la secrezione acida e

della pepsina del 70-90% circa.

Antagonisti dei recettori H2 (anti-H2)

I farmaci anti-istaminici H2 antagonizzano gli effetti dell’istamina a livello gastrico inibendo sia la

secrezione di HCl che di pepsina. Sono in grado di ridurre la secrezione acida indotta da stimoli

vagali e ormonali oltre che da attivazione dei recettori H2 e vengono utilizzati prevalentemente nella

terapia delle ulcere gastriche o duodenali, nelle gastriti erosive da stress e nell’ipersecrezione

indotta da tumori (gastrinoma e mastocitoma) e nelle gastriti uremiche. Inoltre vengono impiegati

nella terapia del reflusso gastroesofageo, nelle esofagiti, nel reflusso duodenogastrico e nel

controllo delle emorragie gastrointestinali. I principali farmaci anti-H2 utilizzati nel cane e nel gatto

sono cimetidina, ranitidina e famotidina, che differiscono tra loro per potenza e durata d’azione.

Gli H2 bloccanti sono ritenuti oggi farmaci abbastanza sicuri, sebbene siano stati descritti rari effetti

collaterali a carico del SNC e reazioni cutanee.

In caso di sovradosaggio da antagonisti H2, l’intervento terapeutico consiste nel limitarne

l’assorbimento intestinale e nell’instaurare una terapia sintomatica. Se in seguito a

somministrazione di cimetidina, farmaco anti-H2 che presenta i maggiori effetti collaterali,

compaiono tachicardia ed insufficienza respiratoria è consigliabile somministrare bloccanti beta-

adrenergici e farmaci a supporto della ventilazione polmonare, mentre i sintomi colinergici possono

essere trattati con atropina. Alcuni H2 antagonisti, in particolare la cimetidina, attraverso

l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici, possono interferire nel metabolismo di altri farmaci.

Infine è bene ricordare che gli anti-H2 non dovrebbero essere somministrati contemporaneamente

(almeno a diverse ore di distanza) a ketoconazolo, itraconazolo e altre molecole analoghe in quanto

il loro effetto sul pH gastrico può diminuire significativamente la quantità di antimicotico assorbita.

Cimetidina

Rapidamente assorbita a livello gastroenterico, produce rapidamente il suo effetto antisecretorio che

perdura per circa 5 ore. E ’ in grado di oltrepassare la barriera emato-encefalica e quella placentare

e si può ritrovare anche nel latte. A differenza di altri anti-H2 quali ranitidina e nizatidina, la

cimetidina non ha effetti sulla motilità gastroenterica. Sembrano invece accertati i suoi effetti

immunomodulatori che si esplicherebbero attraverso il blocco dei recettori H2 presenti a livello dei

linfociti T-suppressor. In quanto inibitore del citocromo P-450 è in grado di aumentare l’emivita di

alcuni farmaci quali: i fenicoli, fenitoina, teofillina, diazepam, procainamide, fenobarbital e

warfarin. Alla luce di questa considerazione, occorre tenere presente che i protocolli terapeutici di

tali farmaci, in presenza di una contemporanea somministrazione di cimetidina, andrebbero rivisti e

modificati attuando un opportuno monitoraggio terapeutico. Poiché la cimetidina riduce il flusso

epatico, anche la clearance di alcuni farmaci come il propranololo e la lidocaina, può diminuire.

Essa, inoltre, non va utilizzata insieme a farmaci leucopenizzanti, dato che in corso di trattamento

con cimetidina sono state segnalate leucopenia e trombocitopenia

Dosaggio

5-10 mg /kg ogni 6-8 ore per via endovenosa o orale

Ranitidina

La ranitidina inibisce per antagonismo competitivo e reversibile i recettori H2 dell’istamina sulle

cellule parietali gastriche, riducendo la secrezione acida, soprattutto nelle condizioni basali ed anche

dopo stimolazione ( sia per il cibo che per gastrina, istamina ed insulina). E’ da 5 a 12 volte più

potente della cimetidina. La ranitidina inoltre attraverso l’inibizione dell’acetilcolinesterasi si

ipotizza possa accellerare lo svuotamento gastrico ed aumentare il tono dello sfintere esofageo

inferiore. Nel 2005 un articolo ( Effects of ranitidine, famotidine, pantoprazole,

and omeprazole on intragastric pH in dogsAlexa M. E. Bersenas et Al. AJVR, Vol 66, No. 3, March

2005) metteva a confronto l’efficacia di ranitidina, famotidina, pantoprazolo e omeprazolo in 12

Cani Beagle. Tale lavoro mette in evidenza che dopo il secondo e sesto giorno di somministrazione

l’omeprazolo inibiva l’acidità in percentuale decisamente superiore alla ranitidina che aveva un’

azione antiacida non statisticamente superiore a quella della soluzione salina. Inoltre in tale lavoro

viene anche evidenziato che mentre l’aumento nella frequenza di somministrazione a tre volte al

giorno della famotidina non risulta in un aumento significativo del PH la somministrazione due

volte al giorno di omeprazolo permette di raggiungere i livelli di ph considerati curativi per l’

ulcera gastrica nell’uomo. In un ulteriore lavoro del 2012 ( Research Article Assessment of the

Variation Associated with Repeated Measurement of Gastrointestinal Transit Times and

Assessment of the Effect of Oral Ranitidine on Gastrointestinal Transit Times Using

aWirelessMotility Capsule System in Dogs. Jonathan A. Lidbury,1 Jan S. Suchodolski et Al.  

Veterinary Medicine International) finalizzato ad indagare gli effetti procinetici della ranitidina

veniva invece evidenziato, seppur solo su 8 cani sani di peso > 20 kg, che il ph si alzava in maniera

statisticamente significativa nei pazienti sottoposti a terapia con ranitidina. Tale lavoro però non

evidenziava nessuna riduzione dei tempi di transito gastrico e enterico nei pazienti sottoposti a

terapia con ranitidina rispetto a quelli a cui non veniva somministrata. L’effetto procinetico era stato

evidenziato anche da altri lavori ( G. Bertaccini, E. Poli, M. Adami, and G. Coruzzi, “Effect

of some new H2-receptor antagonists on gastrointestinal motility,” Agents and Actions, vol. 13, no.

2-3, pp. 157–162,1983. / J. Fioramonti, G. Soldani, C. Honde, and L. Bueno, “Effects

of ranitidine and oxmetidine on gastrointestinal motility in conscious dog,” Agents and Actions,

vol. 15, no. 3-4, pp. 260– 263, 1984), seppur siano relativamente datati. La ranitidina non dovrebbe

comunque essere somministrata ai pazienti con ridotta funzionalità renale o epatica, seppur abbia

un effetto inibitore inferiore a livello microsomiale epatico rispetto alla cimetidina. Nell’uomo

viene ipotizzato un effetto rebound dopo la sospensione della terapia e quindi il rischio di recidiva

di gastropatia erosiva o ulcera gastrica; nel cane tale evenienza non è ad oggi ben documentata, ma

non si può escludere.

Dosaggi:

Cane: 2 mg/kg PO, SC, Ev ogni 12 ore

Gatto: 3,5 mg /kg PO ogni 12 ore

2,5 mg/kg/ev in infusione lenta

Famotidina

La famotidina si è dimostrata essere circa venti volte più potente della cimetidina e nove volte più

della ranitidina, mostrando un’azione antiacida più duratura. A differenza di altri anti-H2, non

influenza il tempo di svuotamento gastrico e la motilità intestinale. Nei piccoli animali,

l’esposizione a dosi superiori a quelle terapeutiche può causare vomito, tuttavia un aumento del

dosaggio potrebbe provocare danni cardiovascolari e collasso cardiocircolatorio. La famotidina,

inoltre, potrebbe aumentare il grado di leucopenia se somministrata con altri farmaci

mielosoppressori. Un recente lavoro ha confrontato l’efficacia della famotidina associata a

pantoprazolo e del pantoprazolo da solo nell’inibizione acida, partendo dal presupposto che alcuni

veterinari utilizzano tale associazione per curare il sanguinamento gastrointestinale nei cani in

condizioni critiche nelle fasi precoci. Questo ipotetico approccio si basa sul fatto che i PPI

necessitano di tempo per accumularsi all'interno delle cellule parietali, infatti l'inibizione della

secrezione acida dopo la somministrazione di PPI è circa il 30% dopo

24 ore e che l’effetto inibitorio raggiunga il "plateau" in circa 4 giorni ( nell’uomo). Al contrario,

le concentrazioni plasmatiche di picco degli inibitori dei recettori H2 si verificano entro poche ore

dopo una singola dose. Nonostante queste premesse in tale lavoro non si è evidenziata differenza

tra le due tipologie di somministrazione ed anzi l’uso del pantoprazolo in  monoterapia raggiunge

meglio gli obiettivi considerati utili nell’uomo: per ulcerazione: ph intragastrico > 3 per circa il

75% del giorno e ph > 4 per circa il 67% del giorno per il reflusso gastro-esofageo.

Dosaggio

famotidina: 1mg/kg ev ogni 12 ore

Nizatidina

Anch’esso inibitore molto potente dei recettori H2, oltre ad esercitare azione antisecretoria è in

grado di stimolare le contrazioni gastroenteriche e di favorire lo svuotamento gastrico in modo

comparabile alla cisapride. La sua efficacia clinica negli animali non è stata ben studiata anche se

dalle ricerche finora compiute appare più sicura di altri anti-H2. La nizatidina non modifica l’attività

del citocromo P-450. Teoricamente l’uso di ogni antiacido può causare effetti sul cuore vista la

presenza d recettori H2 a livello dei miociti cardiaci, ma sembra che siano possibili solo aritmie

transitorie. Nell’uomo terapie prolungate possono esitare in sovracrescite batteriche a causa

dell’iposecrezione acida, ma nel cane tali effetti non sono mai stati evidenziati.     In   alcuni   lavori   di    

farmacologia   umana   (Arzneimittelforschung. 1999 Jul;49(7):618-25. Gastroprokinetic activity of

nizatidine during the digestive state in the dog and rat. Ueki S1, Matsunaga Y, Yoneta T, Tamaki H,

Itoh Z.) è stato indagato il potenziale effetto procinetico della nizatidina in cani da ricerca

evidenziando che tale principio attivo ( in maniera similare alla cisapride) riduce il tempo di

svuotamento dello stomaco anche quando ripieno di cibo e diminuisce gli effetti ritardanti lo

svuotamento gastrico della clonidina. Un ulteriore lavoro ( J Pharmacol Exp Ther. 1993

Jan;264(1):152-7. Gastroprokinetic activity of nizatidine, a new H2-receptor antagonist, and its

possible mechanism of action in dogs and rats. Ueki S1, Seiki M, Yoneta T, Aita H, Chaki K, Hori

Y, Morita H, Tagashira E, Itoh Z.) ha evidenziato che tale effetto è simile a quello delle contrazioni

migranti interdigestive e si raggiunge anche al dosaggio utilizzato come antiacido.

We studied the anti-acetylcholinesterase

Dosaggio

Nizatidina: 2,5- 5 mg/kg sd Po o ev ( sid o bid)

Inibitori della pompa protonica (IPP)

Fin dai primi anni 80, ovvero quando iniziarono ad essere immessi sul mercato, gli IPP

dimostrarono di essere dotati di un’efficacia superiore a quella degli H2-antagonisti nel sopprimere

la secrezione acida gastrica, migliorando notevolmente il trattamento di varie patologie quali

l’ulcera gastrica e duodenale, l’esofagite da reflusso, la gastropatia da FANS e tutte le forme

ipersecretive resistenti al trattamento con i comuni antisecretori. Questi composti sono in grado di

bloccare in maniera specifica e selettiva la pompa protonica (sistema enzimatico H+/K+-ATPasi) a

livello delle cellule parietali dello stomaco inibendo così la secrezione di HCl. Più recentemente, è

stata attribuita agli IPP anche un’azione protettiva sulla mucosa gastrica attraverso un meccanismo

ancora poco noto che porterebbe ad un aumento dell’espressione della ciclossigenasi-2 (COX-2) e

quindi ad un aumento delle prostaglandine (PGEs).

Questi farmaci manifestano scarsi effetti collaterali ed un basso numero di interazioni con altri

farmaci tra cui FANS, warfarin, teofillina e diazepam.

Omeprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo, pantoprazolo e rabeprazolo sono le molecole oggi

maggiormente utilizzate nell’uomo mentre, in medicina veterinaria, sono utilizzati soprattutto

Potenziali effetti collaterali degli inibitori di pompa protonica

• Effetto sulle cellule gastriche esocrine. L’inibizione della secrezione acida risulta in un

aumento compensatorio della produzione di gastrina, in uno studio in medicina umana

l’aumento a digiuno nei consumatori cronici di PPI si verifica entro tre mesi mentre non

aumenta più nei successivi mesi (anche 10). I PPI inoltre se somministrati per 12 mesi

inducono un aumento di volume e di numero delle cellule parietali rispetto alla medesima

somministrazione di ranitidina; se tale terapia viene somministrata per 2-6 settimane tale

effetto non si verifica del tutto.

• Effetti sulle cellule gastriche endocrine Tra le cellule endocrine ( cellule enterocromaffini

ECL / D cell che producono somatostatina / A-like cell che producono grelina) le cellule

enterocromaffini sono responsabili della secrezione di istamina e sono localizzate alla base

delle ghiandole ossintiche. Uno studio in umana rileva un aumento ( raddoppio) del volume

delle cellule ECL in seguito a 5 anni di terapia con omeprazolo. Nel ratto la

somministrazione per lungo periodo di omeprazolo ha mostrato effetti oncogeni con una

incidenza maggiore di carcinoidi delle celluel ECL; per fortuna gli studi in medicina umana

non hanno evidenziato un maggior rischio di questo tipo di neoplasia.

• Effetti sui polipi gastrici. Un utilizzo di PPI superiore ai 12 mesi è associato ad un

maggiore rischio di polipi fundici ghiandolari ( anche nei bambini), mentre un utilizzo più

breve no. In tali polipi si evidenzia iperplasia delle cellule parietali, senza presenza di segni

di displasia, al contrario i polipi presenti nei soggetti con familiarità per la poliposi

adenomatosa gastrica mostrano frequentemente displasia. Altri studi non hanno confermato

tale prevalenza. Ad oggi non esiste una evidenza scientifica che l’ipergastrinemia induca

neoplasia. Un ulteriore studio che riguardava pazienti con polipi sottoposti a terapia con PPI

non ha evidenziato differenze nei livelli di gastrina e cromogranina A ( marker delle cellule

ECL); inoltre tutti i pazienti erano negatici per Helicobacter Pilori. Un ulteriore studio ha

evidenziato regressione dei polipi fundici in due pazienti in seguito ad infezione con

Helicobacter Pylori.

• Gastrite atrofica La gastrite atrofica è stata relazionata alla somministrazione di PPI. In uno

studio umano 18 su 59 pazienti con Helcobacter Pylori e sottoposti a terapia con PPI hanno

sviluppato gastrite atrofica. Altri studi non hanno evidenziato la stessa correlazione.

Esistono molte congetture riguardo alla possibilità che in seguito a terapia con PPI

l’Helicobacter possa migrare dall’antro pilorico al corpo ed al fundus.

• Esistono inoltre effetti collaterali legati ad alterazione dell’assorbimento secondaria al

costante aumento del ph gastrico, non tanto per l’assorbimento gastrico che è quasi nullo

quanto per l’effetto che il ph basico ha a livello duodenale; ad esempio sono segnalate:

riduzione dell’assorbimento del ferro e del Calcio.

• Una ulteriore conseguenza del ph elevato è la potenziale colonizzazione della mucosa

gastrica da parte di batteri, che a loro volta possono colonizzare anche il tratto intestinale

superiore.

.

Omeprazolo

Derivato benzimidazolico, inibisce la secrezione acida gastrica mediante un blocco irreversibile del

sistema enzimatico H+ K+-ATPasi. La sua efficacia antisecretiva, nel cane, è di gran lunga superiore

a quella della cimetidina. L’omeprazolo è impiegato anche nella prevenzione delle ulcere gastriche

provocate da terapie protratte con FANS. Viene assorbito a livello intestinale e, a seguito del suo

effetto e quindi della continua diminuzione dell’acidità, la sua azione diventa via via più potente e

raggiunge il livello massimo dopo 4-5 giorni di terapia. Il farmaco ha scarsi effetti collaterali; la

somministrazione per tempi lunghi tuttavia (oltre 3 settimane di trattamento continuativo), potrebbe

provocare ipertrofia della mucosa gastrica, diarrea e/o aumento dell’attività degli enzimi epatici.

L’omeprazolo infatti, riduce l’attività del complesso enzimatico citocromo P-450 e, di conseguenza,

rallenta l’escrezione di alcuni farmaci quali diazepam, fenitoina, warfarin, digossina e

carbamezapina. Inoltre, inibendo la secrezione acida, al pari dei farmaci anti-H2 ostacola

l’assorbimento del ketoconazolo, itraconazolo e dei composti del ferro. Un recente lavoro

(Evaluation of the Effect of Orally Administered Acid Suppressants on Intragastric pH in Cats

S. Parkinson, K. Tolbert, K. Messenger, A. Odunayo, M. Brand, G. Davidson, E. Peters, A. Reed,

and M.G. Papich  J Vet Intern Med 2015;29:104–112) ha indagato l’efficacia dell’omeprazolo ( in

due diverse formulazioni: pasta e compresse) e della famotidina per la soppressione dell’acidità

gastrica nel gatto evidenziando la superiorità dell’inibitore di pompa nel mantenere un Ph > 3 e > 4

per più del 67 % e 75 % del tempo della giornata. Inoltre gli autori confrontano la farmacocinetica

e la farmacodinamica delle compresse di omeprazolo rispetto alla pasta per cercare di definire

meglio quanto la rottura della copertura gastroresistente della compressa possa influenzare

l’efficacia del farmaco. Gli autori evidenziano che non ci sono differenze di efficacia complessiva

tra le due formulazioni, a parte il più rapido raggiungimento del picco di concentrazione di

omeprazolo con la pasta rispetto alla compressa. In questo lavoro, come già in precedenti lavori nel

cane, il dosaggio dell’omeprazolo è stato di circa 1 mg/kg bid po, quindi un dosaggio più alto di

quello utilizzato nell’uomo. Un ulteriore articolo (The Effect of Orally Administered Ranitidine and

Once-Daily or Twice- Daily Orally Administered Omeprazole on Intragastric pH in CatsS. �Sutalo, M.

Ruetten, S. Hartnack, C.E. Reusch, and P. H. Kook    J Vet Intern Med 2015;29:840–846) su 8 gatti sani e di

età media mette a confronto la somministrazione di omeprazolo ( in granuli una o due volte al

giorno ) e ranitidina e placebo sempre utilizzando la valutazione intragastrica mediante capsule

wireless posizionate endoscopicamente nello stomaco evidenzia che anche la somministrazione in

granuli è efficace. Inoltre, pur riscontrando una superiorità dell’omeprazolo rispetto alla ranitidina

nell’inibizione dell’acidità gastrica, in tale lavoro si evidenzia che solo la somministrazione ogni 12

ore raggiunge i livelli di ph considerati adeguati per la gestione dell’ulcerazione gastrica e della

gastropatia erosiva ( Ph> 3 e > 4 per almeno il 75 % del tempo). L’effetto della ranitidina in questo

studio risulta poco differente da quello del placebo ( capsule di gelatina); tale ipotesi non differisce

da considerazioni già emesse ne cane e anche dalla valutazione prolungata di soggetti felini

sottoposti a terapia continuativa con ranitidina che non mostravano innalzamento della gastrina

sierica (   Coruzzi G, Bertaccini G. Increased parietal cell sensitivity a chronic treatment with

ranitidine in the conscious cat. Agents Actions 1989;28:215–217) a dimostrare l’assenza di un reale

feed back negativo sulla secrezione acida da parte degli inibitori dei recettori anti H2. La scelta

degli autori di utilizzare i granuli di omperazolo invece delle compresse nasce dalla scelta di tale

veicolo anche nei pazienti neonati e pediatrici umani, in cui, come nel gatto, è difficile dosare la

normali compresse visto il peso ridotto. Detto questo il lavoro precedentemente citato mostrava

comunque l’efficacia dell’omeprazolo in tavolette ricoperte da sostanza gastro-resistentee poi

divise in base al peso.

Lansoprazolo,

Benzimidazolico sostituito, riduce la secrezione acida gastrica (sia il volume che il pH) anch’esso

attraverso un’inibizione prolungata della pompa protonica. L’azione gastroprotettiva di cui è dotato,

potrebbe essere legata ai suoi effetti sulla COX-2. Il lansoprazolo infatti, stimola la sintesi di

prostaglandine di tipo 2 (PGE2) endogene inducendo in questo modo l’espressione della COX-2 a

livello gastrico; tale effetto è mediato dalla gastrina e si verifica, pertanto, solo nel tratto

dell’apparato gastroenterico dove le cellule ne esprimono i recettori. Il suo effetto farmacologico è

reversibile e non esistono in letteratura indicazioni inerenti una secrezione acida di rimbalzo al

termine della terapia come descritto nell’uomo. Tra molecole analoghe al lansoprazolo ricordiamo

anche il pantoprazolo ed il rabeprazolo.

Miscellanea

Più recentemente, un analogo della somatostatina già precedentemente citato, l’octreotide, è stato

impiegato, nel cane, come farmaco per combattere l’ipersecrezione acida gastrica indotta da tumori

quali il gastrinoma.   (Small Anim Pract. 1997 Jul;38(7):286-91. Evaluation of somatostatin

analogues for the detection and treatment of gastrinoma in a dog. Altschul M1, Simpson KW,

Dykes NL, Mauldin EA, Reubi JC, Cummings JF.) L’octreotide si lega ai recettori per la

somatostatina a livello delle cellule neoplastiche facendo diminuire il rilascio di gastrina.

Farmaci citoprotettivi

I farmaci citoprotettivi agiscono controllando e potenziando i fattori di difesa della mucosa

gastroduodenale; ad oggi vengono utilizzate essenzialmente due categorie di farmaci in grado di

produrre quest’effetto, le prostaglandine di sintesi e gli agenti di barriera. L’impiego delle

prostaglandine di sintesi, nella prevenzione e nella terapia delle lesioni della mucosa

gastroduodenale da FANS deriva dal dimostrato ruolo citoprotettivo delle prostaglandine (PGE1,

PGE2) e delle prostacicline endogene. Esse, infatti, stimolano la produzione di muco gastrico, la

secrezione di bicarbonato e normalizzano il flusso ematico. Gli agenti di barriera invece agiscono

sia indirettamente, mediante stimolazione delle prostaglandine endogene, sia direttamente

proteggendo le lesioni della mucosa gastrica dall’azione dei fattori aggressivi endogeni.

Agonisti dei recettori per le prostaglandine

Il misoprostolo, principale esponente di questa classe è un analogo molto efficace della PGE1

preconizzato allo scopo di prevenire la gastropatia da FANS. Il suo meccanismo d’azione, del tutto

simile a quello delle prostaglandine naturali, è legato alla stimolazione della secrezione di muco e di

bicarbonato oltre che ad aumento del flusso sanguigno a livello della mucosa gastrica che comporta

un miglioramento delle condizioni trofiche locali. Il misoprostolo sembra meno efficace nel cane

rispetto all’uomo, seppur in diversi lavori che indagavano l’efficacia del misoprostolo nell’inibire

lesioni gastriche ed emorragie gastro-intestinali nei pazienti sottoposti a terapia con aspirina. In un

ulteriore lavoro che prendeva in considerazione l’uso di omeprazolo e misoprostolo nella

prevenzione delle lesioni gastriche in pazienti sottoposti a terapia corticosteroidea in seguito a

lesioni discali ( J Vet Intern Med. 2000 Jan-Feb;14(1):33-6.Gastric mucosal lesions in dogs with

acute intervertebral disc disease: characterization and effects of omeprazole or misoprostol. Neiger

R1, Gaschen F, Jaggy A.) gli autori non evidenziano per nessuno dei due principi attivi una reale

efficacia né come prevenzione né come cura di tali lesioni, pur evidenziando in 19 su 25 pazienti la

presenza di alterazioni mucosali gastriche. Non sono note ed indagate nel cane le capacità inibenti

del misoprostolo verso i danni alla barriera mucosale gastriche indotti da inibitori della

cicloossigenasi 2 ( anti cox-2) e quindi per tale obiettivo non è attualmente consigliabile nei pazienti

sani sottoposti a tali terapie. A dosi elevate, il misoprostolo può anche agire riducendo la secrezione

gastrica di HCl e di gastrina. Risulta, però, meno efficace rispetto ai farmaci anti-H2 nel controllo

della’iperacidità gastrica; molti Autori considerano il misoprostolo come il farmaco di prima scelta

nella prevenzione delle ulcere da FANS. L’uso del farmaco è controindicato negli animali gravidi in

quanto può causare aborto. Inoltre tra gli effetti collaterali segnalati del misoprostolo ci sono la

diarrea e le coliche addominali ( in seguito a stimolazione del complesso motorio migrante) . Non

andrebbero inoltre somministrati a pazienti che sono sottoposti a terapia potenzialmente

nefrotossiche. Non ci sono studi sulla tossicità ditali farmaci nel gatto

Dosaggio:

3 microgr / kg bid o tid ( emivita 3o minuti e durata di azione dalle 3 a 6 ore)

Gatto: 2-5 microgr /kg bid

Farmaci di barriera

Il sucralfato è un sale complesso, insolubile in acqua, formato da saccarosio ortosolfato e idrossido

di alluminio. La sua attività antiulcera si esplica attraverso differenti meccanismi. Il farmaco si lega

alle proteine del cratere dell’ulcera che viene così coperta da uno strato protettivo colloso che la

protegge dall’azione aggressiva dell’HCl, della pepsina e dei sali biliari; esso, inoltre, svolge un

effetto citoprotettivo stimolando la produzione di PGEs endogene aumentando quindi la produzione

di muco e la secrezione di bicarbonato da parte della mucosa gastro-duodenale normalizzando, allo

stesso tempo, il flusso ematico a livello di mucosa. Esso è utilizzato principalmente nel trattamento

delle ulcere e delle erosioni gastroduodenali. Il sucralfato non esercita effetti sistemici in quanto la

sua insolubilità in sospensione acquosa ne impedisce l’assorbimento. Poiché il farmaco riduce la

biodisponibilità di cimetidina, tetracicline, azitromicina, fenitoina e teofillina, è buona norma

distanziare di almeno 2 ore le somministrazioni; il sucralfato riduce, inoltre, l’assorbimento dei

chinoloni. Nonostante l’ampio uso del sucralfato sia nel cane che nel gatto ci sono attualmente

pochi studi; in uno di questi (Am J Vet Res. 1997 Nov;58(11):1320-3. Clinical evaluation of

cimetidine, sucralfate, and misoprostol for prevention of gastrointestinal tract bleeding in dogs

undergoing spinal surgery. Hanson SM1, Bostwick DR, Twedt DC, Smith MO.) il sucralfato non

ha mostrato capacità profilattiche in corso di rischio di ulcera gastrica secondaria a

metilprednisolone succinato. In un lavoro datato 1988 il sucralfato mostrava capacità preventiva

verso l’esofagite indotta da acidi nel gatto. Visto che il sucralfato agisce meglio in ambiente acido

(Sucralfate: pharmacokinetics, metabolism and selective binding to experimental gastric and

duodenal ulcers in animals. Steiner K, Bühring KU, Faro HP, Garbe A, Nowak H.  

Arzneimittelforschung. 1982;32(5):512-8.) sembrerebbe logica la sua somministrazione

separatamente dai farmaci antiacidi anti H2, seppur l’unico lavoro che ha indagato tale evenienza

non ha mostrato la diminuzione della capacità del sucralfato nel legarsi all’ulcera

Dosaggio

0,5-1 gr ogni 8-12 ore nel cane

0,25-0,5gr per il gatto

Il carbenoxolone, l’estere succinato dell’acido glicirritico (derivato della liquirizia), esercita

un’azione protettiva locale in quanto non sarebbe in grado di inibire la secrezione acida ma

svolgerebbe soltanto un’azione antipeptica. Non è molto utilizzato nella pratica clinica a causa dei

suoi effetti collaterali legati alla sua azione aldosterono-simile.

Il bismuto colloidale è un farmaco noto da tempo e oggi di uso non frequente. Si tratta di un sale

colloidale stabile di bismuto, il tripotassico dicitrato bismutato, che forma in ambiente acido un

precipitato in grado di ricoprire l’ulcera proteggendola dalla digestione peptica. La sua azione

citoprotettiva viene attribuita alla sua azione di stimolare la produzione di muco. I sali di bismuto

aggiunti in alcune preparazioni contenenti farmaci ad effetto antiacido, hanno la capacità di fissare

gli ioni cloro formando un composto insolubile che impedisce l’assorbimento del bismuto

riducendone così la tossicità. È buona norma, tuttavia, non utilizzare i sali di bismuto in pazienti

con grave insufficienza renale. Nel corso del trattamento le feci possono assumere un colorito

nerastro. Ad oggi i pochi studi riguardo all’uso del bismuto in corso di ulcera nel cane o nel gatto

non permettono di consigliarne l’uso

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