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Principi della teoria omeopatica L'omeopatia è una articolata teoria medica e farmacologica sviluppata dal medico e chimico tedesco Samuel Hahnemann (Meissen 1755 -Parigi 1843). Lo stile involuto e disordinato degli scritti di Hahnemann, la complessità della sua teoria e la sua dipendenza da idee correnti alla fine del 1700 ma poi abbandonate hanno fatto si che Hahnemann sia stato estesamente travisato dagli omeopati successivi. Di conseguenza l'omeopatia moderna è superficialmente simile all'originale ma in realtà manca di riconoscerne e soddisfarne alcune premesse essenziali (che sarebbero comunque non mantenibili).

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Principi della teoria omeopatica

L'omeopatia è una articolata teoria medica e farmacologica sviluppata dal medico e chimico tedesco Samuel Hahnemann (Meissen 1755 -Parigi 1843).

Lo stile involuto e disordinato degli scritti di Hahnemann, la complessità della sua teoria e la sua dipendenza da idee correnti alla fine del 1700 ma poi abbandonate hanno fatto si che Hahnemann sia stato estesamente travisato dagli omeopati successivi. Di conseguenza l'omeopatia moderna è superficialmente simile all'originale ma in realtà manca di riconoscerne e soddisfarne alcune premesse essenziali (che sarebbero comunque non mantenibili).

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CONTESTO STORICOUna frequente, ma falsa, affermazione degli

omeopati è quella secondo la quale l'omeopatia è un metodo efficace e scientificamente fondato sviluppato in un'epoca in cui la scienza medica era sostanzialmente inesistente.

Le opere omeopatiche di Hahnemann coprono il periodo compreso tra il 1796 (anno di pubblicazione del Saggio su un Nuovo Principio per Accertare i Poteri Curativi dei Farmaci) e la morte di Hahnemann (nel 1842 Hahnemann stava ancora lavorando sulla VI ed ultima edizione dell'Organon, pubblicata postuma nel 1921).Questo periodo è tumultuoso e registra un grande sviluppo della scienza medica che però allo studioso moderno appare caotico e mescola ricerche destinate all'oblio con ricerche destinate ad un successo duraturo.

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L'epoca di Hahnemann è quella dello sviluppo dell'anatomia patologica moderna che si puo' situare tra le date di pubblicazione del De Sedibus et Causis Morborum di G.B. Morgagni (1761) e dello Handbuch der Pathologischen Anatomie (1842-46) di K. von Rokitanski.

Le scoperte dell'anatomia patologica trasformavano la medicina dei sintomi di età classica in una medicina delle lesioni anatomiche: nasceva la semeiotica medica con i due grandi trattati di Auenbrugger sulla percussione (l'Inventum Novum del 1761) e di Laennec sull'auscultazione (il Traité de l'Auscultation Mediate, del 1819-1826).

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Anche nel campo della terapia e della farmacologia il periodo è notevole: nel 1743 J. Lind codusse il primo trial clinico controllato somministrando vari rimedi antiscorbutici a gruppi di marinai della nave Salisbury; soltanto il succo di limone si rivelò efficace (il Treatise on the Scurvy di Lind fu pubblicato nel 1753).

William Withering pubblicò il suo trattato sugli effetti terapeutici della digitale nel 1785.

La vaccinazione antivaiolosa di Jenner fu introdotta nell'uso clinico nel 1776.

Agostino Bassi, possidente terriero e allevatore di bachi da seta pubblicò nel 1835-36 il breve trattato Del Mal del Segno, Calcinaccio o Moscardino, nel quale dimostrava l'eziologia infettiva di una malattia del baco da seta.

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Infine, per quanto riguarda la biologia, l'ipotesi della specificità della materia vivente, garantita dalle "forze vitali", ancora attuale nel Trattato dulle Membrane di Bichat (del 1799) cadeva a seguito di varie scoperte ed ipotesi alternative (dagli esperimenti descritti nel Saggio sulla Generazione di Spallanzani, del 1765, agli esperimenti bioelettrici di Galvani del 1771 fino alla sintesi chimica dell'urea operata da Wohler nel 1828).

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Tra le teorie meno fondate, in seguito screditate o radicalmente modificate figurano il magnetismo animale di Mesmer (circa 1780), dal quale doveva nascere l'ipnosi, e l'omeopatia.

Inoltre, non può essere trascurata dal contesto culturale la forte spinta della filosofia e letteratura romantica, che esercitava un grande peso sulla biologia tedesca (evidente, ad es. nelle opere scientifiche di Goethe, dalla Metamorfosi delle Piante del 1790 alla Teoria dei Colori del 1810).

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LE IPOTESI DI HAHNEMANNLe ipotesi di Hahnemann sono numerose e

slegate tra loro e presentate in uno stile confuso e disordinato. Confrontando tra loro le diverse opere di Hahnemann, si può isolare un nocciolo duro di almeno cinque ipotesi omeopatiche che sono particolarmente durature nel tempo e frequentemente reiterate:

1) la legge dei simili: similia similibus curentur2) la necessità dell’individualizzazione della terapia3) l’assunzione che i farmaci siano veleni, il cui effetto deve essere studiato sull’individuo sano (proving)4) la legge degli infinitesimi 5) una variante molto peculiare del vitalismo

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IL VITALISMO DI HAHNEMANNIl vitalismo attribuiva i fenomeni biologici al

presunto possesso delle forze vitali: la resistenza ai fenomeni putrefattivi, le capacità autoregolatorie, la reattività-motilità, la sensibilità. Hahnemann aggiungeva il tocco del romanticismo tedesco ipotizzando che la natura delle forze vitali fosse "immateriale e dinamica" e risiedesse nei nervi:“L’organismo materiale, considerato senza la forza vitale, è incapace di alcuna sensazione, di alcuna attività e di autoconservazione (1). Unicamente l’essenza immateriale – principio vitale, forza vitale – conferisce all’organismo materiale, nello stato di salute e di malattia, tutte le sensazioni e determina le sue funzioni vitali.(1) Esso è morto e, soggetto soltanto alla potenza fisica del mondo esterno, marcisce e viene decomposto nei suoi elementi chimici (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, n. 10).”

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Hahnemann si richiamava esplicitamente al magnetismo animale di Mesmer, e fondava sul vitalismo la sua intera concezione della salute e della malattia: salute essendo autoregolazione dell'organismo, operata dalle forze vitali, malattia la perturbazione dell'autoregolazione.

Nella teoria di Hahnemann, le cause di malattia sono forze immateriali capaci di perturbare le forze vitali; e la terapia avviene attraverso le forze immateriali dei farmaci:

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“Denominando come malattia una depressione o una perturbazione dello stato dell’uomo non intendo affatto di dare una spiegazione metafisica della natura intima delle malattie in genere oppure di qualche caso singolo in particolare. Con tale espressione va solo inteso quello che, in certo qual modo, le malattie non sono e non possono essere ossia che non sono alterazioni meccaniche o chimiche della materia dell’organismo e che non dipendono da un agente patogeno materiale, ma che sono soltanto una perturbazione spirituale e dinamica della vita” (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, nota a pié di pagina di n. 31).

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“in via generale, le malattie sono lesioni dinamiche del principio vitale, ed in esse non vi è nulla di materiale” (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, nota a pié di pagina di n. 282).

“Dosi piccolissime di medicamenti opportunamente dinamizzati – nelle quali a conti fatti si trova tanto poca materia che un’intelligenza aritmetica non può più pensare e concepire come quantità – esplicano nei casi adatti di malattia molta più potenza curativa di dosi grandi della medicina in sostanza. Questa dose minima può contenere quindi solo quasi unicamente forza curativa pura, isolata, immateriale e produce azioni così potenti, che non si ottengono mai con grandi dosi di medicina in sostanza” (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, n. 11, nota a piè di pagina).

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“La nostra forza vitale, quale principio spirituale dinamico, non può venire aggredita e intaccata da agenti nocivi all’organismo sano a mezzo di potenze nemiche (che disturbano dal mondo esterno l’equilibrio della vita) se non per via dinamica. Tutte le alterazioni morbose – malattie – non possono essere rimosse dal medico in nessun modo se non con la forza dinamica virtuale dei rimedi agenti sulla nostra forza spirituale vitale a mezzo della sensibilità nervosa dovunque presente nell’organismo” (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, n. 16).

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LA LEGGE DEI SIMILI

Hahnemann era insoddisfatto delle ipotesi farmacologiche in voga nel '700, e non aveva tutti i torti. Di fatto la farmacologia dell'epoca, a parte alcune eccezioni quali la Cinchona, la digitale e il succo di limone per lo scorbuto, non differiva molto da quella classica, di Dioscoride (I sec. d.C.): una gigantesca e complicata collezione di osservazioni empiriche, non tutte affidabili, a volte relative agli effetti di piante o minerali sulla fisiologia dell'individuo, altre volte relative alle malattie da essi curate.

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L'esperimento della Cinchona

Nel 1790 Hahnemann ragionando sulle azioni della Cinchona, si chiese quale relazione ci fosse tra l'effetto "astringente" e l'azione antimalarica, e sperimentò su se stesso il farmaco a dosi così elevate da procurarsi l'intossicazione che più tardi prese il nome di cinconismo. Egli ritenne che i sintomi del cinconismo fossero simili a quelli della malaria e che questa relazione fosse generalizzabile: un farmaco causa sintomi e cura le malattie che causano sintomi simili.

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Hahnemann pubblicò la sua ipotesi soltanto sei anni dopo, nel 1796, nel Saggio su un Nuovo Principio, atto di nascita ufficiale dell'omeopatia:

“Noi dovremmo imitare la natura, che talvolta cura una malattia cronica aggiungendone un’altra, ed usare per la malattia che intendiamo curare (specialmente se è cronica), quella medicina che è capace di produrre una malattia artificiale il più possibile simile, e la prima malattia sarà curata; similia similibus” (HAHNEMANN, Saggio su un Nuovo Principio, 1796, p. 265).

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La malattia terapeuticaSi noti il lavoro intellettuale compiuto nei sei

anni di elaborazione dall'esperimento della Cinchona: Hahnemann formula davvero un "nuovo principio" che ho chiamato della MALATTIA TERAPEUTICA.

Il malato soffre di una malattia "naturale" e il medico omeopata gliene causa con i farmaci una artificiale, molto simile, che si sostituisce alla prima, ma a differenza di quella scompare quando la somministrazione del farmaco viene interrotta. La terapia passa cioè attraverso la sostituzione di una malattia incontrollabile con una controllabile ed è la seconda ad essere guarita, non la prima.

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La completa elaborazione di questa teoria richiede l'adozione del vitalismo:“Poiché ogni malattia (non di spettanza della chirurgia) consiste in una perturbazione, nei sentimenti ed attività speciali, patologica, dinamica della nostra forza vitale (principio vitale) – il principio vitale, perturbato dinamicamente da malattia naturale, nella cura omiopatica viene attaccato da un’affezione più forte, simile, artificiale, determinata dalla somministrazione di una medicina potentizzata e scelta esattamente per la somiglianza dei sintomi. In questo modo si spegne e scompare il senso della affezione patologica naturale (più debole) dinamica, che da questo momento non esiste più per il principio vitale. E il principio vitale viene interessato ed ora dominato da questa affezione patologica artificiale, più forte, che, estinta presto la sua azione, lascia libero e guarito il malato” (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, n. 29).

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Hahnemann era un raffinato esperto della medicina classica (che però spesso travisava) e ammetteva che la terapia mediante i simili era stata praticata nel passato, sebbene in modo incompleto e irrazionale; ed infatti la si può trovare in alcuni scritti medici del Corpus Hippocraticum, una raccolta di testi greci databili tra il V ed il III secolo a.C. Ad esempio negli Aforismi, a proposito delle infezioni intestinali si trova questa affermazione: "l’elleboro nero causa una evacuazione più intensa e più idonea ad indurre la crisi", che suggerisce una terapia mediante i simili di tipo Hahnemanniano, nella quale il farmaco anticipa la stessa crisi, foriera di guarigione, della malattia naturale.

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La teoria di Hahnemann sulla malattia terapeutica è alquanto articolata e presenta notevoli intuizioni cliniche: ad esempio Hahnemann distingueva i "sintomi primari" causati dalla perturbazione della forza vitale, da quelli "secondari", reattivi, opposti ai primi e causati dalla risposta della forza vitale. I sintomi secondari possono talvolta, con grande rischio per la vita del paziente, indurre la guarigione; ma secondo Hahnemann non è prudente farci affidamento e la malattia terapeutica non si affida ad essi. Di fatto Hahnemann riteneva che le guarigioni spontanee fossero impossibili.

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“Quando la forza vitale, per cause perniciose, ammala, può esprimere le sue perturbazioni unicamente con disturbi del buon andamento della vita dell’organismo e con sensazioni dolorose; così chiede aiuto al medico intelligente. Se detto aiuto non viene, la forza vitale cerca di salvarsi acutizzando i dolori e precipuamente con violente scariche, costi quello che costi, sia pure i maggiori sacrifici od anche la distruzione della vita. La forza vitale perturbata patologicamente possiede per guarire qualità così poco esemplari, che tutte le alterazioni e sintomi da essa determinati nello stato dell’organismo costituiscono la malattia stessa.” (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, nota a pié di pagina di n. 22).

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“Come ho dimostrato altrove, è innegabile che la nostra forza vitale, senza l’assistenza degli attivi rimedi dell’arte dell’uomo, non può guarire neppure le più lievi malattie acute (se addirittura non soccombe ad esse) e ripristinare una qualche forma di salute, senza sacrificare una parte (spesso una grande parte) delle parti fluide e solide dell’organismo in una cosiddetta crisi” (HAHNEMANN, I Miasmi Cronici, 1835-1839, xxix).

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E' importante sottolineare il problema della guarigione spontanea perché è stato frutto di dissenso tra gli omeopati dell'epoca o di estesi travisamenti da parte degli omeopati moderni: “Hahnemann certamente non nega l’esistenza di processi di guarigione naturali. Ma egli descrive la loro azione come non sempre degna di imitazione e raramente efficace. Questa opinione di Hahnemann, come ognuno deve sapere, non è mai stata condivisa dalla maggioranza degli omeopati” (P. Wolf Congresso della Società di Medicina Omeopatica, 1836, cit. da HAHEL 1922, vol. I, p. 282).

[La legge dei simili] “risulta molto logica, però, quando si guarda ai sintomi come a tentativi da parte del corpo di guarire se stesso” (GRAY, Homeopathy: Science or Myth?, 2000, p. 9).

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Le ipotesi di Hahnemann sulla natura della malattia e sulla sua terapia erano obsolete già al tempo della loro formulazione. Implicavano infatti che le malattie, sebbene tutte diverse, fossero comunque tutte analoghe: perturbazioni della forza vitale. Mancava alla teoria qualunque tipo di classificazione nosologica strutturata. Era invece ben evidente fin da allora che le malattie dell'uomo erano di diversi tipi: ce n'erano di congenite e di acquisite, di trasmissibili e di non trasmissibili (Fracastoro aveva ipotizzato il contagium vivum già nel XVI secolo e Bassi nel 1835 lo aveva dimostrato).Parimenti era arbitrario assumere che la stessa regola terapeutica (la legge dei simili) fosse applicabile a tutti i casi.

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Omeopatia e allopatiaHahnemann riteneva che ogni farmaco causasse una malattia e che la malattia iatrogena fosse l'unica ragione dell'efficacia terapeutica. Chiamava di conseguenza OMEOPATIA il suo metodo perché si affidava alla similitudine e ALLOPATIA la medicina convenzionale che secondo lui si affidava a malattie iatrogene dissimili.In questo travisava intenzionalmente la medicina convenzionale che non condivideva in alcun modo le sue premesse: cioè I medici convenzionali non ritenevano di curare le malattie con altre malattie e seguivano altre teorie (spesso erronee) sul funzionamento dei farmaci.Per questa ragione il termine allopatia non dovrebbe essere utilizzato.

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INDIVIDUALIZZAZIONE DELLA TERAPIA

Hahnemann riteneva che il farmaco omeopatico adatto al paziente (il simillimum) fosse quello che causava i sintomi più simili a quelli della malattia ed includeva tra questi ultimi anche le più fini peculiarità fisiologiche che il paziente gli riferiva: sogni, abitudini, idiosincrasie, etc.; riteneva cioè che fosse un merito della medicina omeopatica prestare la massima attenzione alla "totalità dei sintomi", al punto da ritenere ogni caso di malattia virtualmente unico:

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“Dunque accade che, con l’eccezione di quelle poche malattie che sono sempre uguali a se stesse, tutte le altre sono diverse e innumerevoli, e così differenti che ciascuna di esse si verifica raramente più di una volta nel mondo, ed ogni caso di malattia che si presenta deve essere considerato (e curato) come un caso peculiare che non si è mai verificato prima nella stessa maniera e nelle stesse circostanze, come in quelle attuali, e che non si verificherà mai di nuovo esattamente nello stesso modo!” (HAHNEMANN, La Medicina dell'Esperienza 1805, p. 442).

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Hahnemann accusava i medici non omeopati di concentrarsi solo sui sintomi principali, e al limite su un solo sintomo, perdendo così i dettagli del quadro clinico. Egli negava che fosse possibile soffrire di due malattie allo stesso tempo e quindi riteneva che tutti i sintomi e tutte le peculiarità del caso partecipassero ad un unico quadro nosologico: la malattia è la totalità dei sintomi e non possono esistere contemporaneamente due totalità nello stesso organismo. Consegue che la diagnosi in omeopatia non ha lo stesso significato che nella medicina. In medicina fare diagnosi significa assegnare un caso clinico ad una categoria di riferimento; in omeopatia significa descrivere con precisione tutti i sintomi del paziente, coerentemente con la necessità di trovare il simillimum.

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Alcuni omeopati moderni hanno fatto tesoro dell'ipotesi di Hahnemann:

“L’omeopatia è particolarmente appropriata per pazienti nei quali una diagnosi non può essere stabilita. Il vantaggio dell’omeopatia deriva dalla sua individualizzazione del rimedio all’unicità dei sintomi del paziente, che supera completamente la necessità di una diagnosi” (GRAY, Homeopathy: Science or Myth?, 2000, p. 157).

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Ovviamente, l'ipotesi hahnemanniana crea gravi limitazioni metodologiche: negare la nosologia significa svuotare di significato la diagnosi e impedire la prognosi (i concetti di diagnosi e prognosi sono virtualmente assenti nei testi di Hahnemann). Significa inoltre impedire la costruzione di casistiche e di fatto qualunque studio statistico. Si consideri che la statistica medica nasceva in quell'epoca grazie agli studi di Jurin sul vaiolo (1724), Lind sullo scorbuto (1753) e Pierre Louis sul salasso (1835).

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IL PROVING

Secondo Hahnemann i farmaci sono veleni, la cui funzione è indurre la malattia terapeutica. Dopo l'esperimento della Cinchona che fu unico nel suo genere, Hahnemann e i suoi allievi si dedicarono a studiare gli effetti di veleni o di sostanze relativamente inerti, nell'ottica di caratterizzarne il maggior numero possibile per creare una Materia Medica Omeopatica.

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L'unicità dell'esperimento della Cinchona non è ovvia e merita un commento: con la Cinchona Hahnemann aveva testato un farmaco antimalarico di provata efficacia ed aveva constatato che poteva causare una intossicazione, che egli aveva ritenuto simile nei sintomi alla malaria. C'erano alla fine del 1700 altri farmaci da testare in questo modo per confermare l'ipotesi. Ad esempio il succo di limone cura lo scorbuto ed Hahnemann avrebbe potuto autosomministrarselo per vedere se causava sintomi simili a quelli della malattia (rigonfiamento delle gengive, caduta dei denti, emorragie, etc.); egli stesso scrisse: “Noi dovremmo cercare di determinare se il millefoglio (Achillea millefolium) somministrato ad alte dosi causi emorragie, visto che in dosi moderate è così efficace nelle emorragie croniche” (HAHNEMANN, Saggio su un Nuovo Principio, 1796, p. 269).

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Hahnemann non testò mai il millefoglio. Anche quando testava farmaci noti come la valeriana o la digitale, Hahnemann ignorava volutamente il confronto con le azioni mediche note: ad esempio per la digitale sono riportati oltre 400 sintomi che includono l'aumento della diuresi ma non gli edemi distali, che pero' sono curati dalla digitale come dimostrato nel 1785 da Withering.

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Il dosaggio nel proving è un punto sul quale Hahnemann cambiò drasticamente idea nel corso della sua elaborazione teorica: inizialmente Hahnemann testava i farmaci (su se stesso o su volenterosi colleghi) ad alte dosi e li somministrava ai pazienti a basse dosi, mediante diluizione; in seguito Hahnemann prese a testare i farmaci alle stesse dosi usate in terapia. Su questo punto c'è a tutt'oggi confusione tra gli omeopati. Una cosa però è certa: i sintomi riportati per il proving a basse dosi sono tutti spuri e neppure gli omeopati sono in grado di distinguere attraverso i sintomi un farmaco diluito da un placebo.

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GLI INFINITESIMI

Tutti sanno che Hahnemann e gli omeopati successivi diluivano e diluiscono i loro farmaci fino al punto in cui non contengono più neppure una molecola delle sostanze da cui prendono il nome. Hahnemann praticava diluizioni seriale con fattore uguale a 100 ed è facile calcolare che il numero di Avogadro è superato alla 13ma diluizione di questo tipo, ben prima delle diluizioni omeopatiche più comunemente usate (dalla 15C alla 30C). Non vale la pena di approfondire questo punto, se non per illustrare le basi logiche del pensiero di Hahnemann, che affondano nella sua peculiare versione del vitalismo:

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“Dosi piccolissime di medicamenti opportunamente dinamizzati – nelle quali a conti fatti si trova tanto poca materia che un’intelligenza aritmetica non può più pensare e concepire come quantità – esplicano nei casi adatti di malattia molta più potenza curativa di dosi grandi della medicina in sostanza. Questa dose minima può contenere quindi solo quasi unicamente forza curativa pura, isolata, immateriale e produce azioni così potenti, che non si ottengono mai con grandi dosi di medicina in sostanza” (HAHNEMANN, Organon VI ed., 1842, n. 11, nota a piè di pagina).

Per “dinamizzati” Hahnemann intende dire energicamente rimescolati. Il mescolamento sembra avere la funzione di facilitare la liberazione del potere curativo imprigionato nella sostanza materiale.

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Per ragioni incomprensibili, molti omeopati successivi credettero fideisticamente e pretesero di mantenere le più alte diluizioni, superiori addirittura a quelle usate da Hahnemann, quasi si fosse instaurata una competizione a chi diluiva di più i suoi preparati, fino alla 2000C ed oltre. Scaduto il vitalismo, la spiegazione delle diluizioni omeopatiche si è rivolta via via alla struttura dell'atomo, alle radiazioni elettromagnetiche o corpuscolate ed infine alla memoria dell'acqua.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Ho scritto un libro sulle teorie di Hahnemann: La Costruzione dell'Omeopatia (Mondadori, 2010)

Mantengo un sito web sulla storia della medicina: http://biochimica.bio.uniroma1.it/ che contiene anche alcune pagine sull'omeopatia e vari riferimenti bibliografici rilevanti.