Primo Interludio - Il Giardino d'Estate

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Primo Interludio - Il Giardino d'Estatedi Paullina Simons

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IL GIARDINO D’ESTATE

PRIMO INTERLUDIO

Da inserire tra

il CAPITOLO 6

e il LIBRO II, Itaca

TRADUZIONE di Betel - Ellis - Jomax

In collaborazione con il BLOG : http://ilcavalieredinverno.blogspot.com/

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PRIMO INTERLUDIO: SAIKA KANTOROVA, 1938

“Noi bambini vivevamo in un tempo spaventoso per la Russia” – Aleksandr Aleksandrovič Blok

PASHA

Pasha Metanov puliva sempre il proprio pesce, anche quando era un bambino. Non avrebbe

chiesto a Babushka di pulirlo, nemmeno alla mamma, che avrebbe pulito il suo pesce, i suoi denti, i

suoi piedi e i suoi calzoni per il resto della sua vita se lui l’avesse lasciata fare – perché Pasha era

l’unico figlio maschio della mamma. Non avrebbe chiesto a Tania di pulirlo perché sapeva che lei

non avrebbe voluto – e non avrebbe saputo come farlo. Quando aveva cinque anni chiese a Deda di

mostrargli come pulire il pesce, e da quel momento in poi, si prese cura di fare sempre il proprio

sporco lavoro.

Il pomeriggio dopo aver conosciuto Saika stavano mangiando una zuppa di pesce fatta col

branzino di Pasha, solo loro tre. Pasha aveva catturato e pulito il pesce e Dasha lo aveva cucinato.

Tania che non aveva catturato né pulito né cucinato, aveva letto.

I tre fratelli era soli. Deda, il loro nonno, era andato a pescare da solo finchè c’era ancora luce, e

Babushka, la loro nonna, era andata in visita da Berta e sua madre, Blanca, in fondo alla strada.

“Quindi cosa ne pensiamo? Ci piacciono i nostri nuovi vicini?” chiese Dasha. “Stefan è un ragazzo

così carino.”

“Potrebbe essere senza denti, Dasha, e tu penseresti che è un ragazzo carino,” disse Pasha. “Saika,

lei sì che è una bella ragazza.” Pasha sorrise.

Tatiana non disse niente. Stava tirando le ossa fuori dal pesce.

“Oh, no”, disse Pasha. “Oh no, oh no, oh no. Dasha, è di nuovo silenziosa. Cosa c’è che non va in

lei? Cosa c’è che non va in te?”, tuonò lui. “Non ti piacciono?”

La testa di Tatiana, in quella ventosa sera di giugno, era piena della cattolica Regina Margot che

aveva sacrificato la sua vita a un matrimonio combinato col protestante Enrico di Navarra per unire

i cattolici francesi coi cattolici protestanti, credendo che mai nella sua vita avrebbe trovato il vero

amore nella prigione in cui viveva. Ma Tatiana sapeva che avrebbe potuto – e come. Voleva tornare

a Margot e La Môle.

Suo fratello e sua sorella smisero di mangiare e la fissarono.

“Ho forse detto qualcosa? Non ho detto niente.”

“Il tuo silenzio ci sta urlando,” disse Pasha.

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“E adesso non dice niente”, disse Dasha. “Prima non potevi smetterla con le tue stupide domande.”

“Oh, lasciala in pace, Dasha. È solo gelosa.” Pasha fece un gran sorriso, battendo Tatiana sulla

testa con un cucchiaio di legno.

Il cucchiaio volò via dalle sue mani, colpito dal veloce e diretto pugno di Tatiana. “Pasha, se fossi

gelosa di ogni ragazza a cui dici ciao, sarei verde per tutto il giorno.”

Con un lampo dei suoi danzanti occhi marroni, Dasha disse “Quindi cos’era quell’inquisizione di

prima?”

“Volevo solo sapere dove sono andati i Pavlov, ecco tutto”, disse Tatiana.

“Che t’importa?”

“Voglio sapere. Cosa succederebbe se finissi dove sono loro?”

“Ho visto un grande dipinto di un pavone blu in casa loro!” esclamò Pasha. “L’ho trovato piuttosto

divertente.”

Tatiana saltò sul tavolo da pranzo e ci si sedette a gambe incrociate. Dasha le urlò di scendere.

Tatiana non si mosse. “Esattamente, Pasha!” disse. “Non hanno disfatto le valigie, non hanno tolto

le cose dei Pavlov, ma hanno messo il quadro di un pavone. Divertente, certo. Pensi che possano

essere degli ornitofili?”

“Stefan assomiglia un po’ a un pavone.” Sorrise Dasha. “Con quella bella coda con cui mi attira

come una pavona.”

“Cosa mi dici di Mark, il tuo capo?” disse con noncuranza Tatiana. “Lui che l’ha una bella coda?”

Oh come rise Pasha. Rossa d’indignazione, Dasha spinse Tatiana giù dal tavolo. “Come fai a

sapere tutto? Resta fuori dagli affari degli adulti. Mi piace di più quando sei sepolta in quei tuoi

sciocchi libri.”

“Ci scommetto che lo preferisci, Dasha,” disse Tatiana, colpendo un Pasha ridente con il palmo

della mano mentre andava a prendere la Regina Margot. “Scommetto che lo preferisci.”

CHI È SAIKA?

Saika era una ragazza singolare con drammatiche e troppo risaltate caratteristiche, come se l’artista

che l’aveva creata l’avesse disegnata troppo velocemente con un carboncino e poi le avesse dato

una manata di vernice non diluita. I suoi capelli e gli occhi erano del colore del catrame di carbone

bruciato, le sue labbra erano rosso rubino e i denti di un bianco polare. Gli zigomi erano alti, il

mento appuntito, la fronte larga, il naso affilato. Tutto ciò era del genere giusto, ben proporzionato,

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liscio, ma l’insieme di tutto questo dava l’effetto di troppo su una tela troppo piccola a cui tu stavi

troppo vicino. Non potevi guardare da un’altra parte, ma per qualche ragione volevi farlo.

Il mattino successivo, Saika era alla finestra di Tatiana. “Ciao”, disse, infilando la testa con un

sorriso. “Ho disfatto le valigie. Vuoi uscire e giocare?”

Era seria? Tatiana non usciva mai dal letto alla mattina.

“Posso salire?” chiese Saika. “Ti aiuto a vestirti.”

Tatiana, che dormiva fresca e comoda col solo intimo, era pronta a dire a Saika di venire dentro,

ma qualcosa nello sguardo della ragazza la fermò. Che cos’era stato? Gli occhi di Saika erano

troppo neri per distinguere la dilatazione della pupilla, e la sua pelle era troppo scura per arrossire,

ma c’era qualcosa nell’imperturbabilità degli occhi a mandorla e nel taglio della larga bocca che

lasciò perplessa Tatiana. “Uh…sarà fuori in cinque minuti.” Tatiana tirò le logore tende della

finestra. Dormiva da sola in una minuscola alcova vicino a una vecchia stufa inutilizzata. La sua

famiglia aveva appeso una tenda attraverso l’apertura così poteva fingere che fosse una stanza da

letto e non una cucina chiusa da assi. Non le importava. Era l’unico momento nella sua vita in cui

poteva dormire da sola.

Quando si fu vestita e spazzolata, Tatiana camminò lentamente con Saika lungo la strada del

villaggio mattutino nell’aria fragrante. Portò Saika alla casa di Berta. Berta possedeva una mucca

che aveva bisogno di essere munta. Saika chiese subito perché Berta non poteva mungere la mucca

da sola.

“Perché è anziana. Ha tipo cinquant’anni! Ha anche l’artrite. Non può afferrare le mammelle.”

“Allora perché ha una mucca se non può prendersene cura? Può venderla per cinquecento rubli.”

Tatiana girò il capo verso Saika. “Perché a quel punto avrebbe cinquecento rubli e niente latte.

Qual dovrebbe essere il punto?”

“Può comprare il latte.”

“I soldi finirebbero in tre mesi. La mucca può produrre latte per altri sette anni.”

“È solo per dire. Perché avere una mucca se non puoi prendertene cura?”

Berta fu molto sorpresa di vedere Tatiana così presto al mattino, alzò le sue mani artritiche ed

esclamò, “Bozhe moi! [Nota alla traduzione: Espressione russa usata nel libro.] Chi è morto?

Anche mia madre sta ancora dormendo.” Era una piccola, rotonda, donna dai capelli neri, con acuti

occhi a forma di bottone, “Tu bambina impossibile, non sono cinquanta”, disse, “ma sessantasei.”

Le sue mani potevano anche essere deformate, ma preparò comunque tè e uova per Tatiana e Saika,

e mentre le ragazze mangiavano, le sue mani ruvide passavano attraverso le ciocche dei soffici

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capelli di Tatiana [Nota alla traduzione:: le passava le mani tra i capelli. In fase di traduzione

pareva carino mantenere il modo in cui lo descrive Paullina. Nb. Le “mani ruvide” sarebbero

letteralmente “mani di ghiaia”.]. Saika guardava tutto ciò.

Portarono il latte fresco a Dasha e poi uscirono nei prati, nei dintorni di Luga, attraverso l’erba

alta. Tatiana disse a Saika che immaginava che le praterie in America dovessero assomigliare a prati

colmi di alti steli d’erba ondeggianti fin oltre l’orizzonte.

“Stai sognando l’America, Tania?” chiese Saika, e Tatiana, sconvolta, disse no, no, non sto

sognando, sto solo immaginando le praterie.

Saika disse a Tatiana che non sapeva dove fosse nata (come poteva non saperlo?) ma aveva passa

to gli ultimi anni in una piccola città chiamata Saki nel Azerbaijan del nord, nelle montagne del

Caucaso. L’Azerbaijan era una minuscola repubblica rannicchiata sotto la Georgia e sopra l’Iran. L’

Iran! Poteva tranquillamente essere stato un universo preistorico pieno di felci e mastodonti per

quanto distante era nella comprensione di Tatiana. “E da lì, siamo venuti in treno fino a qui. Dopo

l’estate il nuovo posto di lavoro di mio padre sarà a nord di Kolpino.

“Nuovo posto? Che lavoro fa?”

Saika scrollò le spalle. “Cosa vuoi che facciano gli adulti? Se ne va al mattino. Torna a casa alla

sera. Mia madre gli chiede com’è andata la giornata. Lui risponde che è andata bene. Il giorno dopo

ricomincia tutto da capo. A volte viaggia.” Fece una pausa. “Tuo padre viaggia?”

“Sì”, disse Tatiana orgogliosamente, come il viaggiare di suo padre fosse un riflesso della sua

gloria personale, come se lei fosse semplicemente fantastica grazie all’elevamento di un padre che

viaggiava. “È andato in Polonia per un mese. Mi porterà un vestito!”

“Oh, un vestito”, disse Saika, come se non potesse fregargliene di meno. “Noi non siamo stati in

Polonia, ma siamo stati in un paio di altri posti. Georgia. Armenia. Kazakhstan. A Baku sul Mar

Caspio.”

“Wow, sei stata dappertutto,” disse Tatiana con un tocco di bianca invidia [Nota alla traduzione: I

russi dividono due tipi d’invidia: nera, quella distruttiva e bianca, quella innocente che ti spinge a

migliorarti.] Non voleva che Saika non avesse viaggiato. Desiderava solo aver viaggiato un poco

anche lei. Tutto quello che aveva visto erano Leningrado e Luga.

Si sedettero su una roccia in un prato, e Tatiana mostrò a Saika come mangiare la polpa dolce di

un fiore di trifoglio. Saika disse che non l’aveva mai mangiato prima.

“Non hanno i trifogli nelle montagne del Caucaso?”, chiese Tatiana, sorpresa che Saika avesse

potuto vivere senza mai toccare l’onnipresente pianta infestante a tre petali.

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“Vivevamo in una fattoria tra le montagne, pascolavamo pecore. Non so, forse c’era il trifoglio.”

“Eravate pastori?”

“Una specie.”

Di nuovo quella vaga qualifica. “Cosa significa?”

Saika sorrise. “Non credo che fossimo dei pastori davvero bravi. Provvedevamo a pascolare le

pecore nella bocca del lupo.” Tatiana si girò per guardare meglio Saika che sorrideva mentre

parlava. “Sto scherzando. Non erano pecore, Tania. In realtà pascolavamo capre.” Fece un verso

derisorio. “Non voglio parlare di questo. Odio le capre. Disgustosi sudici animali.”

Tatiana non replica. Non aveva mai pensato molto alle capre - ma all’improvviso sentì l’odore di

qualcosa che la fece scivolare lontano da Saika. Imbarazzata dalla propria reazione – ma

quell’odore c’era ancora! – Tatiana si sforzò di sedersi di nuovo mentre guardò in basso verso le

mani di Saika, che stranamente sporche per essere così presto. Tatiana voleva chiedere a proposito

dello sporco sotto le unghie, e del colore scuro di alcuni pori della pelle, della rozza colorazione

marrone dei rilievi e dei solchi delle dita di Saika, ma poi diede un’occhiata supplementare in giù e

notò anche i piedi non lavati nei sandali e si chiese cosa poteva aver fatto Saika alle sette del

mattino per essersi ridotta in quello stato così sudicio. Poi Saika parlo, e il fiato uscì dalla bocca di

Saika e viaggiò attraverso il prato nell’aria estiva fino al naso di Tatiana e Tatiana realizzò che

l’odore che l’aveva fatta andare via era l’acido fiato di Saika.

Tatiana si alzò. Saika camminò di fronte a Tatiana, e come lo fece, l’odore del suo corpo andò nel

naso di Tatiana. Saika puzzava di muffa e ammoniaca. Una confusa Tatiana guardò Saika, le cui

mani erano sollevate sopra la testa mentre si stirava. Ma i capelli di Saika erano lucidi come se

fossero stati appena lavati, e la sua faccia non era sporca. Non era veramente sporca, solo puzzava e

pareva non lavata.

Le due ragazze stettero una di fronte all’altra. La ragazza dai capelli neri indossava un vestito

indaco. La ragazza dai capelli biondi indossava un pallido vestito stampato. Saika era più alta di una

testa e il suo piede era una volta e mezzo più grande, e guardando da vicino Tatiana notò che il

secondo e il terzo dito del piede di Saika erano cresciuti a formare una V. Fissò inappropriatamente

a lungo e infine indicò.

“Huh. Non l’ho mai visto prima. Che cos’è?”

Saika diede un’occhiata giù. “Oh, quello. Certo. Ho una giuntura fusa. Scrollò le spalle. “Mio

padre scherza dicendo che ho il piede caprino.”

“Piede caprino?” Disse Tatiana debolmente. “Che intende con questo?”

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“Non lo so. Sicuramente tu fai un sacco di domande, ragazza. Lascia che sia io a farti una

domanda. Possiamo andare a giocare con Pasha?”

Lentamente cominciarono a camminare verso Luga. “Parlami di lui. Cosa fate tutti voi per

divertirvi qui attorno?”

“Cosa fanno i bambini d’estate? Niente,” replicò Tatiana. Quando Saika rise, Tatiana disse, “No,

davvero. Niente. L’altra settimana, ad esempio, abbiamo passato due giorni a guardare quanto lunga

potevamo fare una stringa di mirtilli. È venuto fuori una decina di metri. Altre volte peschiamo.

Nuotiamo, discutiamo.”

“Di cosa discutete?”

“L’Europa, principalmente. Hitler. La Germania. Non so.”

“Andiamo,” disse Saika. “Dovrete pur fare qualcos’altro da queste parti oltre a discutere di Hitler e

nuotare.” Alzò al cielo i suoi occhi castani.

Tipo cosa?, voleva chiedere Tatiana. E cosa doveva significare quell’alzata degli occhi marroni?

“No, non veramente,” disse lentamente.

“Bene, cambieremo questa cosa, non è vero?” disse Saika.

Tatiana tossicchiò mentre andavano al fiume dagli altri bambini, cercando di riportare la

conversazione a come i ragazzi pescavano o raccoglievano le bacche o pigramente trascorrevano le

proprie indistinte estati.

COME I RAGAZZI PIGRI TRASCORRONO LE PROPRIE

INDISTINTE ESTATI

Anton Iglenko era il miglior amico di Tatiana e giocava un grande calcio e costantemente pregava

Tatiana per piccole forniture di cioccolato comprato a Leningrado. Anton aveva tre fratelli più

grandi, Volodja, Kirille e Alexdei, tutti amici di Pasha e tutti sottoposti ai diretti e non negoziabili

ordini di Pasha di stare lontano da Tatiana, tutti eccetto Misha, l’amico di Volodja, che non lasciava

mai il fianco di Tatiana e odiava Anton. C’era anche Oleg, che non giocava mai a niente.

L’unica altra ragazza nel loro gruppo era Natasha dai lunghi capelli castani, un topo di biblioteca

peggiore di Tatiana, cercava sempre di coinvolgere Tatiana in una conversazione o l’altra su

qual’era lo scrittore migliore, Dumas o Dickens, Gogol o Gorky. La cugina Marina, che non era una

lettrice, sarebbe venuta tra due settimane e avrebbe inflazionato il numero delle ragazze e

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pareggiato i giochi.

Tatiana se ne stava educatamente da parte mentre la nuova ragazza dai capelli corvini teneva corte

tra il gruppo incuriosito da una nuova faccia, perché tutti si conoscevano l’un l’altro fin dalla

nascita.

“Chi è il ragazzo seduto sotto l’albero?” sussurrò Saika, indicando. “Non è venuto a darmi il

benvenuto.”

Tatiana lanciò un’occhiata. “Quello è Oleg”, disse. “Ti ho parlato di lui. Non è in uno stato

d’animo giocoso.”

“Quando sarà in uno stato d’animo giocoso?”

“Quando Hitler sarà morto”, replicò Tatiana con leggerezza. “È un po’ troppo agitato da – bene,

vuoi vedere? Te lo voglio mostrare. Oleg!”

Chiamò il ragazzo castano pelle e ossa rannicchiato sotto le betulle.

Di mala voglia, come se fosse un grande sforzo, Oleg si alzò e camminò lì. Annuì verso Saika, lui

non stringeva mani, e quando Tatiana, punzecchiandolo nelle costole, gli chiese se voleva giocare a

nascondino, lui disse, “Oh, grandioso, continua, fai i tuoi piccoli giochi. La Cecoslovacchia sta per

cadere, ma tu continua e gioca,” e se ne tornò sotto gli alberi.

Tatiana guardò Saika con un ‘hai visto?’ “Oleg,” spiegò, mentre lo seguivano nel suo luogo

nascosto, “è stravolto non solo dalle crisi nelle relazioni internazionali, ma “Sono stravolto solo

dalla vostra mancanza d’interesse per il mondo esterno,” esclamò Oleg.

“Siamo molto interessate,” disse Tatiana. “Siamo interessate ai pesci nel fiume, e alle more nei

boschi, e alle patate nei campo e alla quantità di latte che la mucca ci da’ perché determina se

possiamo avere la panna acida la prossima settimana.”

“Continua. Divertiti. Il Ministro degli Esteri Masaryk e io speriamo solo che sacrificare la sua

patria appena nata sia l’unico prezzo che il mondo pagherà per la pace.”

Saika disse che lo trovava delizioso. Tatiana replicò che sì, tutti loro traevano frequente

divertimento da Oleg, che li sopportava per molto tempo e poi sputava e correva nella direzione

opposta.

“Non così lontanto, penso,” disse Saika. “Solo sotto l’albero.”

“Vuole salvare le nostre anime immortali.” Tatiana sorrise. “E di sicuro non lo può fare

interamente dalla propria dacia.”

“Oh, l’anima immortale è un concetto così borghese”, disse Saika sprezzante. “Oleg,” disse, “di

cosa hai paura? Non ci sarà nessuna guerra. Nessuno vuole andare in Guerra per la piccola

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Cecoslovacchia.”

“Quindi quanto deve essere grande un Paese prima che qualcuno voglia entrare in guerra per

difenderlo da Hitler?” chiese Oleg.

Saika rise. “Più grande della Cecoslovacchia.”

“Nessuno è voluto entrare in guerra nemmeno per l’Austria.”

“Perché qualcuno avrebbe dovuto volerlo?” chiese Saika. “Gli austriaci hanno voluto i tedeschi.

Non hai visto i risultati del referendum che hanno fatto due mesi fa? Il 99% di tutti gli austriaci ha

dato il benvenuto a Hitler.”

“Il referendum era truccato”, disse Oleg.

Facendo spallucce Saika continuò, “E ora nelle elezioni nei Sudeti i tedeschi hanno vinto molti

voti. Hai sentito cosa ha detto Herr Hitler quando ha discusso sull’annessione dei Sudeti? ‘È

intollerabile,’ ha detto, ‘pensare a una larga parte del nostro popolo esposto alle orde democratiche

che ci minacciano.’ Herr Hitler non ha nemmeno pazienza per la democrazia, come il nostro

Compagno Lenin.”

“I cecoslovacchi non sono il suo popolo,” disse Oleg, accigliandosi. “E Herr Hitler, come

riverenzialmente lo chiami tu, sta ammassando le sue truppe lungo la linea Maginot. Dimmi, dopo

Austria e Cecoslovacchia, chi è il prossimo?”

“La Francia!” escalmò Saika divertita. “Belgio, Olanda. La Spagna presto sarà di Franco – sta

vincendo quella stupida guerra civile contro la fazione comunista.”

“Ora c’è una casa divisa contro se stessa,” disse Tatiana.

Saika scrollò le spalle. “Non avevo mai sentito questa espressione,” disse, “ma suona azzeccata.

La Spagna è di Franco. L’Italia è già in tasca alla Germania. La Francia sarà la prossima.”

“Pensi che l’Inghilterra entrerà in guerra per la Francia?” chiese Oleg caustico.

Saika rise. “Certamente non per la Francia,” disse.

“Esattamente. La Francia cadrà. E poi?”

“E poi cosa?” chiese Saika con un sorriso benevolo.

“Hitler affronterà l’ovest durante la sua intera espansione?” chiese Oleg. “Non pensi che girerò ad

est? Verso l’Unione Sovietica?”

“Oh, potrebbe girare a est,” disse Saika, acquattandosi vicino a Oleg che si allontanò da lei

cautamente. “Ma, e allora?”

“Quando lui mobiliterà le sue truppe lungo l’Ucraina e la Bielorussia, starai ancora a dire, e

allora?”

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“Sì, starò ancora a dire e allora,” disse Saika. “Lui non farà un passo dentro l’Unione Sovietica. Ha

paura dell’Armata Rossa. Quindi chi se ne frega di che cosa accadrà al resto del mondo?”

“A me importa,” disse Oleg, gettando un’occhiata a Tatiana. “Mi importa che Mussolini stia

licenziando gli ebrei dai ruoli governativi. Mi importa che l’Inghilterra sta rinnegando la sua

promessa di una patria per gli ebrei. Mi importa che Anthony Eden si sia dimesso a causa di ciò che

percepisce come una debolezza di Chamberlain.”

“Chamberlein non è debole,” disse Saika. “Semplicemente non gliene frega niente – come me.

Vuole che i ragazzi inglesi restino vivi per le loro madri. Lui ha visto Verdun – un milione di

giovani uomini persi per nulla. Non vuole essere parte di un’altra guerra. Tu lo vuoi? Vuoi rimanere

vivo per tua madre, Oleg?”

“La madre di Oleg è morta l’anno scorso,” disse Tatiana da dietro.

“Questo spiega tutto.” Saika si alzò. “Vieni, Oleg. Molla il carico che hai sulle spalle. Andiamo a

nuotare. Pensi che perchè tu sei preoccupato, i generali si comporteranno diversamente?”

“Non vengo da nessuna parte,” disse Oleg. “Non posso impegnarmi in divertimenti futili mentre il

mondo è nel caos. Quando è in gioco il futuro del mondo.”

Tantiana spinse Saika lontano, e mentre tornavano indietro sulla riva del fuiume, lei disse con un

fischio impressionato, “Come fai a sapere tante cose?”

Chinandosi verso di lei, Saika disse, “Io faccio il mio business, Tania, per sapere tutto.”

Perché ciò mandò un piccolo brivido, in quella calda giornata, lungo la schiena di Tatiana?

LA GARA DI NUOTO ALLA RAPIDA

La giornata passò pigra, alla ricerca di nidi di calabroni e giocando a cat’s cradles [Nota alla

traduzione: è quel gioco che si fa con l’elastico e dove si deve fare delle figure con le dita e poi

passarlo all’altro], con due partite di calcio e una caduta da un albero. Ci fu un reading di poesia da

Blok (“Per l’ultima volta/vecchio mondo/ti esortiamo/vieni.”) e un pisolino. Ci fu qualche mora

mangiata, ci fu un gioco di guerra tra i boschi, e poi fu tardo pomeriggio. I ragazzi facevano braccio

di ferro, mentre le ragazze s’intrecciavano i capelli a vicenda. I ragazzi pescarono – con bastoncini

fatti in casa invece di lenze. Oleg e Saika ebbero un’altra infuocata discussione se un economia

pianificata – come il Nazionalsocialismo in Germania o il Comunismo in Unione Sovietica –

potesse funzionare così bene in tempo di pace come funzionava in tempo di guerra (Saika pensava

che potesse indubbiamente – e l’avrebbe voluto).

E Pasha disse, “Tania facciamo una gara.”

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“Non voglio.” Tatiana sedeva per terra a gambe incrociate, giocando al gioco con l’elastico cat’s

cradle con Natasha.

“Tatiana sa almeno come si nuota?” la canzonò Saika, lasciando solo Oleg.

Tatiana non voleva spiegare. Non aveva il costume da bagno e oggi non voleva nuotare in mutande

e canottiera davanti a Saika – il che era ironico, dato che non ci avrebbe pensato due volte davanti

ad Anton o Misha o Oleg. Ma Pasha le fece le moine e Saika le fece le moine e Misha, che non

pensava che lei oggi avrebbe potuto vincere, le fece le moine, e poi risero tutti silenziosamente,

eccetto Saika che rise forte. E così Tatiana, che mai una volta era fuggita da una delle sfide di Pasha

si spogliò in mutande e canottiera. L’aveva immaginato lei, o c’era stato un sorriso compiaciuto

sulla faccia di Saika? La marea del pomeriggio era riempita, dall’aria, di acqua fresca ed esili,

bagnati, bianchi fiori di ciliegio, e il sole era alto e reclutante in cielo.

Tatiana e Pasha corsero giù per il pendio verso la riva. L’obbiettivo era tuffarsi con tutto il cuore

nel fiume al “TRE!” e poi nuotare cinquanta metri verso l’altra riva.

E poi tornare indietro.

Tatiana lo salutò mentre guardavano il Luga. “Ci vediamo dall’altro lato, fratello,” disse lei.

Lui la salutò. “Sì, guarderò indietro e tu sarai lì.”

“Unoduetre!”

Pasha, oh Pasha, piccolo, forte, veloce, ridicolmente competitivo, cercò di fare lo sgambetto alla

sua più piccola, più debole sorella. Lei non era così forte, non come un corridore, non come un

nuotatore. Le sue gambe non erano così muscolose. Tatiana aveva cose sottili da ragazza; era una

piccola puledra magra.

Corsero dentro – balzarono dentro – con gioia, e poi nuotarono più forte che potevano, stile libero,

dorso, stile rana, a cagnolino. La corrente nel pomeriggio era rapida, il fiume era quasi in piena, il

flusso era forte.

Pasha era vittorioso al segno dei venti metri, ma l’implacabile Tatiana, qualche metro dietro di lui,

chiamò, “Non scordarti di respirare, Pasha.”

“Non scordarti di perdere, Tania,” le rispose lui, guadagnando mezzo metro su di lei. Ma al segno

dei trenta metri, il suo vantaggio cominciò a calare. Tatiana non aveva neppure aumentato il proprio

tempo. Cercando di non inghiottire acqua, continuava a muoversi. Pasha stava rallentando; le sue

scalcianti, spruzzanti gambe erano vicine alla testa di Tatiana – apposta, lei lo sapeva. Al segno dei

quarantacinque metri, prendendo un profondo respiro, si spinse in avanti superandolo, toccò il

fondo, e corse fuori, saltando su e giù giubilante, gocciolante, ansimante e senza fiato, i capelli

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bagnati appiccicati al viso felice.

Pasha era meno giubilante. “Non so dirti quanto tu sia fastidiosa,” le disse con calma, scuotendosi.

“Disse il perdente.” Tatiana gli saltò addosso, e caddero nell’acqua, e un ridente Pasha disse, “Stai

lontana da me. Non riesco a respirare.”

Lei lo lasciò. “Rivincita?”

“Scordatelo.”

“La prossima volta, Pasha.”

“Hai ragione. La prossima volta, Tania.”

Nuotarono indietro lentamente, sulle schiene, solo calciando con le gambe. Tatiana guardava su al

cielo senza nuvole e al distante pallido sole di giugno. Raggiungendolo, prese la mano di Pasha.

“Cosa?”

“Niente.” Lei si mosse per allontanarsi. Lui non la lasciò andare.

Il loro amici erano raccolti in gruppo sulla riva acciottolata. Saika disse, “Bene, Tania. Ora ti

voglio sfidare.”

“Sì, Tania,” disse Oleg. “Continuate. Guerra di ragazze. Una specie di Belgio contro Francia.

Anche io voglio vedere. Natasha qui non gareggia mai.”

“Sono una lettrice, non un corridore,” disse Natasha con orgoglio, stringendo il proprio Gogol (Le

anime morte). “Inoltre, le ragazze non possono vincere contro Tania.”

“Ora lo vedremo.” Senza una parola, Saika si tolse il vestito. E poi il reggiseno. E poi le mutande.

E poi era nuda.

I ragazzi per un momento smisero di giocare. Anche Natasha alzò gli occhi dalle gesta del

consigliere Chichikov con le anime dei defunti contadini del villaggio. Tatiana rapidamente distolse

lo sguardo ma non di prima di aver notato il corpo ben sviluppato di Saika, i seni pendenti, i

capezzoli scuri, il mucchio prominente di folti peli neri, i fianchi larghi. Aveva peli sotto le braccia,

e Tatiana cominciò a pensare che Saika a quindici anni sembrava più sviluppata di Dasha a ventuno

quando Saika si voltò per entrare nel fiume, e i ragazzi e le ragazze trassero un ansito collettivo.

La schiena di Saika era segnata da spesse cicatrici bianche in rilievo a spirale, le attraversavano la

schiena dalle scapole alla fine della spina dorsale.

Il respiro accelerato di Tatiana dovette allontanarla. Saika smise di camminare e si guardò attorno.

“Cosa?”

Fu Pasha a rompere il silenzio shoccato e nervoso. “Cos’è successo alla tua schiena, Saika?”

“Cosa? Oh, quello? Niente.”

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“Devi aver fatto qualcosa che è finito piuttosto male,” disse Oleg.

“L’ho fatto. Tania, hai intenzione di restare lì a bocca aperta o hai intenzione di gareggiare?”

Tatiana lanciò al fratello un’occhiata preoccupata prima di scendere verso la linea di

galleggiamento. Non pensava più alla propria canottiera o alla propria piccolezza. Gareggiare

sembrava improvvisamente offensivo. “Saika, forse dovremmo farlo un altro giorno.”

“Perché? Un altro giorno la mia schiena sarà altrettanto segnata.” Non c’erano emozioni nella sua

voce.

Tatiana guardò dietro verso Pasha, Anton, Oleg, Natasha, Misha, Kirill, Volodja. Nessuno sapeva

cosa pensare. Erano imbarazzati e a disagio. Tatiana aggrottò la fronte.

“Se non ti senti all’altezza…” tirò fuori Saika.

“No, no, sono sempre all’altezza,” disse Tatiana. “Al tre allora?”

“Al tre.”

Ma non ci fu proprio un tre. Fu più un due e mezzo. Prima che Tatiana potesse pronunciare la

parola “tre”, Saika corse nell’acqua, tutta carne e capelli ondeggianti.

Tatiana scattò e si tuffò a testa in giù, letteralmente volando oltre Saika, che si fermò

istantaneamente e disse, “Aspetta, così non vale.”

Tatiana si fermò con riluttanza.

“Non sapevi che potevi tuffarti in quel modo.”

“Non sapevo che tre significasse prima del tre,” replicò Tatiana, nuotando indietro. “Non mi hai

sentito lagnarmi.”

“Beh, non avresti dovuto lamentarti se non ti andava bene.”

“Non importa.”

“Non vale,” ripetè Saika, strofinandosi i seni bagnati.

“Bene,” disse Tatiana. “Facciamolo di nuovo.”

Lo fecero di nuovo. Questa volta pressoché a tre, e questa volta, Tatiana non si tuffò in lungo.

Saika era forte e lei era veloce. Ma lei era anche più pesante di Tatiana, e quel corpo doveva

appesantirla, perché Tatiana dovette rallentare al segno dei venti metri, e ancora al segno dei trenta

metri, e all’altezza dei quaranta metri, Tatiana nuotava così lentamente che pensò di poter

galleggiare sulla schiena più velocemente di quanto Saika nuotava, sputacchiando acqua, senza

fiato, ansimando, col respiro sibilante. Tatiana si fermò usando le braccia. Poi cominciò a nuotare a

cagnolino ma si fermò usando le gambe. Il suo respiro era tre volte più veloce del normale.

Finalmente lasciò che Saika barcollasse fuori dall’acqua per prima e collassasse sulla spiaggia. “È

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stata un’ardua vittoria,” ansimò Saika. “Ma una buona gara.”

Ancora nell’acqua, Tatiana si piegò all’indietro e intinse la testa nell’acqua per lisciarsi indietro i

capelli e poi uscì e si sedette vicino a Saika.

Saika disse, “Hai fatto veramente bene per una cosa così piccola. “Non riusciva a riprendere fiato.

“Grazie”, disse Tatiana tranquillamente.

“Quando sei pronta nuotiamo indietro.”

“Perché non adesso?”

“Aspetta un secondo.” Saika era ancora ansimante.

Ci volle loro molto tempo per tornare indietro. Saika poteva a mala pena muovere le gambe e

galleggiare a valle nella corrente.

“Saika, se non stai attenta, finirai nel Mar Baltico,” disse Tatiana. “Guarda quanto lontano siamo

finite dagli altri. Nuota un po’ più velocemente.”

Saika non poteva nuotare un po’ più velocemente.

La prima cosa che Pasha disse quando finalmente arrivarono sulla riva fu, “Tania che ti è successo

in questa gara? Sembravi morta là fuori.”

Saika si girò a guardare Tatiana per un battere di ciglia scuro e gelido. La diabolica espressione

passò velocemente sul viso di Saika ma non dalla memoria di Tatiana.

“Mettiti i vestiti, Saika,” disse Tatiana, girandosi. “Devo tornare a casa.”

QUALCOSA A PROPOSITO DI TATIANA

Camminando verso casa dal fiume, bagnati, affamati e stanchi, passarono un gregge di vecchie

donne in lunghe vesti, con Bibbie nelle loro mani. I visi delle donne si accesero verso Tatiana, che

sorrise, sospirò leggermente e si nascose dietro Pasha.

“Cosa non va?” chiese Saika, ma prima che potesse dire altro, le vecchie donne furono su di loro.

Districarono Tatiana da Pasha, le loro mani rugose tutte su di lei, carezzandole i capelli, facendo il

segno della croce sulla sua fronte, baciandole le mani.

“Tanechka,” tubarono, “come sta il nostro tesoro questa sera?”

“Il vostro tesoro sta bene,” rispose Pasha per Tatiana, tirandola via.

Tatiana presentò Saika. Le donne annuirono ma non strinsero la mano alla ragazze, né Saika offrì

loro la propria mano.

Rimasero in piedi goffamente, Tatiana ancora in mezzo a loro, nel loro gregge, tra le loro gonne.

Pasha spiegò a Saika che quelle donne avevano battezzato lui e Tatiana nel 1924.

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“Il battesimo è così provinciale, signore,” disse Saika alle donne. “Le nostre nuove leggi del 1929

sono chiare – nessuna istruzione religiosa nei bambini finchè non sono abbastanza grandi. Potete

ancora andare in giro a battezzare i bambini che non possono scegliere per se stessi?”

Tutti stettero zitti. “Potete?” ripetè lei, imperturbata dal loro silenzio.

“Beh, no, non più,” rispose una delle donne.

Dopo un inopportuno silenzio, Tatiana parlò. “Tu sei battezzata, Saika?”

“No, non credo nel culto di Cristo,” replicò Saika. “I miei antenati erano soliti essere qualcosa

chiamato gli Yezidi. Noi non siamo battezzati.”

Le bocche delle donne si aprirono. “Non gli Yezidi!”

“Ah, paesane informate,” disse Saika. “Bene, bene. Sì, ma io non sono più veramente parte di loro,

signore. Ora sono una Pionera.”

“Sei in una Lega di Atei Militanti?” Pasha sorrise. “O sei un membro del Gruppo dei Giovani

Senzadio?”

“No, ma quando avrò diciotto anni voglio diventare una Comsomol – un vigoroso, moderno, libero

di pensiero membro del nuovo mondo.”

Immensamente curiosa, Tatiana si allontanò, chiamando Saika, che stava a guardare le vecchie

donne prima che lei la spingesse dai Metanov, calciando la strada polverosa con i suoi sciupati

sandali marroni mentre camminavano in silenzio. “Cos’era quello, Tania?” chiese Saika. “Perché

quelle vecchie sono così innamorate di te? Quella Berta questa mattina non poteva togliere le sue

mani da te, perché?”

“Diglielo, Tania.”

“Pasha, taci.”

“Tutti i vecchi di Luga pensano che Tania possa salvarli dalla morte.”

“Pasha, taci!”

Pasha fu, come sempre, imperterrito. “Saika, sette anni fa, ci fu un incendio in una delle capanne

del villaggio. Blanca Davidovna, la persona più vecchia del villaggio, era da sola là dentro. Sua

figlia Berta, che tu hai visto questa mattina toccare Tatiana, era a Leningrado. E la nostra Tania

corse in quella casa e portò fuori Blanca, mentre la capanna fu rasa al suolo. Che ironia, non è vero,

Tanechka?” Pasha si sporse verso sua sorella e le solleticò il collo umido.

“Pasha, vuoi smetterla per favore,” disse Tatiana con voce rigida.

“Come l’hai portata fuori, Tania?” chiese Saika.

“Non lo so. Non mi ricordo. Avevo a mala pena sette anni.”

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“Ma perché, per prima cosa, sei entrata dentro?”

“Non lo so. Non mi ricordo. Avevo appena sette anni. Penso di averla sentita chiamare.”

“Sì – dall’altro lato del villaggio!” rise Pasha. “Dovresti sentire Blanca Davidovna raccontare

quella storia.” Gli occhi di Pasha divennero tutti luccicanti mentre imitava la vecchia donna. “Oh, la

nostra Taaaaanechka, lei mi ha semplicemente preso la mano e mi ha portato – mi ha portato, ti

dico, fuori dalla mia casa in fiamme! Se pensi che quelle vecchie donne siano cattive, aspetta finché

non avrai visto Blanca Davidovna con Tania.”

“Pasha, ti giuro, se non la smetti…”

Raccontare a Saika dell’incidente riempì Tatiana di un’insolita ansia. Il mistero del fuoco, della

sua corsa di sette anni in aiuto in quella casa, era bizzarro anche per lei, considerando quanto

facilmente spaventabile era lei da tutte le cose incontrollabili. Non le piaceva parlarne, non le

piaceva pensarci, e certamente non le piaceva il modo in cui Saika continuava a fissarla. Tatiana

sentiva fermamente che non voleva che Saika conoscesse qualcosa di lei che Tatiana non poteva

capire o spiegare, nemmeno a se stessa.

QUALCOSA A PROPOSITO DI SAIKA

Quella sera nell’amaca nel loro piccolo cortile coperto di gramigna, Saika suonò il liuto per loro.

Lasciò Pasha senza parole. Saika era una ragazza dai molti talenti, realizzò Tatiana. Saika

impugnava il Paduri a tre corde, e lo suonava come se fosse nata per quello. Suonò loro canzoni

nazionali georgiane che loro non avevano mai sentito, alcune melodie Azeri, e poi qualche marcia

di guerra sovietica.

“Molto bello, Saika,” disse Pasha con un fischio. “Davvero molto bello.”

Saika rise con civetteria. Tatiana lanciò un’occhiata a Pasha. Poteva suo fratello essersi infatuato

di una ragazza così maleodorante che non sapeva nuotare e con quei segni sulla schiena? No, decise

lei. Non sembrava più cos’infatuato.

“Suoni piacevolmente, Saika,” disse Tatiana.

“E quando suono, entro nel cuore delle persone,” disse Saika. “Ho fatto qualche soldo suonando il

mio liuto a Saki.”

Tatiana stava dondolando i piedi e ascoltando i grilli quando Saika, anche lei dondolando

nell’amaca, disse, “Mia madre è un’indovina, sai.”

“Una che?”

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“Sai, una donna che legge il futuro. Non ne avete qui a Luga? Pensavo che ogni villaggio le

avesse. Pensavo che fosse un requisito.”

Pasha e Tatiana non dissero niente. Blanca Davidovna, profondamente religiosa e credendo

pienamente che stava peccando, occasionalmente leggeva ancora le mani e le foglie di tè. Quello

contava?

Saika saltò su dall’amaca. “Venite a casa mia adesso,” disse. “Mia madre è la migliore. Vi leggerà

il vostro futuro.”

Tatiana scosse il capo. “Si sta facendo tardi, Saika,” disse. “Forse un’altra volta.”

“No. Venite ora. Cosa c’è, hai paura? Pasha, ti lascerai sottomettere da tua sorella?”

Un curioso Pasha non poteva resistere a una sfida, e trascinò Tatiana con sé. Pasha era molto

curioso. Chinandosi verso di lui Tatiana sussurrò, “Se solo tu sapessi leggere, in questo momento

ricorderesti la storia di Barbablu. La vana curiosità, mio caro Pasha, porta sempre un profondo

rimpianto.”

“Sì, beh, quando sarò una stupida donna, me ne preoccuperò,” sussurrò lui di rimando.

“Pasha, non senti il suo odore?”

“Di cosa stai parlando?”

“Puzza così acidamente. Ogni volta che le vai vicino, non vuoi tapparti il naso?”

“Tania, stai impazzendo. Davvero, stai impazzendo. Ha un buon odore. Stai calma.”

Dentro la casa di Saika, la madre, Shavtala, non si trovava. Le porte della camera da letto erano

chiuse. I ragazzi si appollaiarono sul divano nel buio salotto che puzzava pesantemente di fumo, e

aspettarono. “Uscirà da un momento all’altro,” disse Saika. “Ho visto che stai guardando i nostri

libri, Tania. Che libri ti piacciono?”

“Tutti i tipi.” I Kantorov avevano cose bizarre sui propri scaffali. Tatiana non poteva spostare lo

sguardo da un grande pavone blu sopra il camino.

“Non ti piacciono i libri che abbiamo, Tania?” Saika si strinse nelle spalle. “Beh, il tuo Dickens, il

tuo Dumas non hanno scritto niente che mi interessi. Mi piace Gorkij. Mi piace Majakovskij. Mi

piace Blok.”

“Sì, lo vedo,” disse Tatiana, distogliendo con riluttanza lo sguardo dal vivido uccello. “Gorkij è

morto. Majakovskij è morto. Blok è morto. Cosa mi dici di Osip Mandelstam? Ti piace? È il

migliore che abbiamo, e non è morto – ancora.”

“Cosa?”

Attraverso un battente della finestra aperto, Tatiana udiva il cric dei grilli, il fruscio delle foglie – e

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poi attraverso l’aria, sopra i grilli e sopra le foglie…venne un gemito lamentoso.

Lei guardò Pasha.

Saika disse velocemente, “Dimmi di Mandelstam.”

Tatiana abbassò la voce. “Dov’è Mandelstam? Il termine ufficiale è che ha avuto la polmonite ed è

sul letto di morte. Ma il mio Deda ha detto che molto presto diranno che si è suicidato dopo poetici

tormenti.” Tatiana disse la parola Deda con reverenza.

Gli occhi di Saika s’infiammarono. “Tuo nonno ha detto questo? E chi sono loro?”

Il gemitò continuò.

Tatiana era perplessa da loro. “Saika….?” Disse.

“Tania, shh.” Questo era Pasha.

“Pensavo che tuo nonno fosse un insegnante di matematica,” disse Saika, “non un pettegolo.”

Il suono perforante rendeva difficile per Tatiana proseguire una normale conversazione. “Oh, santo

cielo!” esclamò finalmente. “Cos’è? Proviene da questa casa?”

Pasha fissava il pavimento in legno non spazzato.

“Non lo so,” disse Saika tranquillamente. “Guarda, ha smesso adesso. Ma dimmi – cosa sa tuo

nonno a proposito del traditore Mandelstam?”

“Chi ha detto che è un traditore?” Tatiana abbassò la voce. “Tutta quella splendida poesia che ha

scritto sul periodo della rivoluzione e successivamente sugli esiliati, i purgati! Ed è stato purgato

anche lui. Come se non fosse mai esistito.” Quasi sussurrando a se stessa, Tatiana disse, “Forse il

mio sussurro/era già nato/prima delle mie labbra.”

“È come i nemici dello Stato sono trattati,” disse Saika. “Purgati come se non fossero mai esistiti.

Nemmeno un sussurro rimane. Non resta niente.”

“Il poeta Mandelstam è un nemico dello Stato?” disse Tatiana con sorpresa.

“Ovviamente,” disse Saika. “È un uomo che crede in sé più di quanto creda nello Stato. Il sé è

morto! L’Unione degli Scrittori gliel’ha detto espressamente, l’ha detto a tutti, solo realismo

socialista. Non poesia personale. È andato direttamente contro tutti i precetti e le leggi enunciati

nella dottrina. Per questo è diventato nemico dello Stato.”

Fu il turno di Tatiana di rimanere in silenzio. “Saika, penso che tu non sappia chi sia Mandelstam.”

Saika disse con noncuranza, “Oh, so qualcosa su di lui.”

“Sì”, disse Tatiana, “per la figlia di un pastore di capre, per qualcuno che è vissuto tra le

montangne, che non legge libri o giornali, tu sai sicuramente molto a proposito…di molte cose.”

Nel tono di Tatiana ci fu un tremolante sfarfallio di scura confusione, ma nel tono di Saika mentre

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rispondeva c’era un soffio gonfio di orgoglio da pavone.

“Te l’ho detto, Tania. Io faccio il mio lavoro per conoscere tutto. Questo è il motivo per cui voglio

che mamma ti legga il futuro.”

I forti, acuti, lamenti disumani ripresero all’improvviso.

Pasha si alzò. “Sai cosa? Dobbiamo andare.”

“No, no, state,” disse Saika. “Sarà fuori in un minuto.”

“No. Andiamo, Tania.” Le afferrò la mano e la tirò su.

“Saika, cos’è questo suono?” disse Tatiana. “Questo lamenti animaleschi che sveglierebbero i

morti! Per favore dimmi che non è tua madre.”

“Tania, andiamo!”

“Pasha ha ragione, Tania,” disse Saika, sedendo tranquilla sul divano. “Dovreste davvero correre

via.”

Pasha strattonò il braccio di Tatiana. Ma lei era interessata, preoccupata. Fissò le porte chiuse, le

finestre aperte. “No…è…qui fuori…suona come…un miagolio.”

“Saranno gatti allora,” disse Saika. “O coyote.”

“Coyote…” ripetè Tatiana. “Canini carnivore? A Luga?” Si voltò verso suo fratello. “Abbiamo

lupi a Luga, Pasha?”

“Non lo so, Tania.” Pasha si era diretto fuori, trascinandosi dietro Tatiana. “Tu e le tue domande.

Puoi mai smetterla?”

“Un’altra volta allora,” li chiamò Saika. “Mia madre vi leggerà il futuro un’altra volta.”

Uscirono nell’aria notturna. All’esterno la situazione non era migliore. Le strilla uscivano dalla

casa dei Kantorov, ed erano affilate come coltelli. Attraverso i cortili d’erbacce, oltre il recinto rotto

e l’erba alta, nella loro piccola Dacia estiva, Dasha e Babushka spiavano fuori, borbottando

volgarità e sbattendo tutte le finestre incrostate per chiuderle. Quando Tatiana e Pasha entrarono in

casa, il piccolo e robusto Deda, silenzioso come un vetro liscio e trasparente, sedeva tranquillo, la

sua magnifica chioma di capelli sale e pepe assorta sulle sue lenze aggrovigliate. Sedeva sulla sua

sedia sotto il portico coperto quasi come se fosse sordo. Babushka non era sorda. Più alta di lui,

grigia e autoritaria, dopo aver sbattuto le finestre e aver borbottando, “Indecente! Semplicemente

indecente!” ancora e ancora, rimase senza parole. Accese la piccola radio, alzando il volume al

massimo. Udirono soltanto elettricità statica.

Nessuno sapeva cosa dire. Eccetto Deda che era impegnato con le sue lenze, tutti continuavano a

lanciare occhiate nervose verso Tatiana.

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Babushka disse, “Abbiamo un po’ di sorbo di montagna? Alcune superstizioni credono che il

sorbo dell’uccellatore o sorbo di montagna cacci gli spiriti maligni.”

“Anna!” Questo era Deda che alzò atipicamente la voce contro Babushka. “Non hai niente,

nient’altro da fare? Sorbo di montagna?”

Tatiana rise.

Più tardi quella notte, dopo che Babushka e Deda erano da tempo a letto, Dasha, Pasha, e Tatiana

sedevano nella piccola veranda attorno a una lampada a kerosene, parlando di Saika e delle sue

cicatrici. “Si è messa completamente nuda davanti a tutti voi?” disse Dasha incredula. “Domani le

voglio dire di non farlo di nuovo. O lo giuro, lo dirò a sua madre.”

Pasha tossì. Dasha tossì.

Tatiana sorrise. “Sua madre, la, um, chiromante?” disse.

Oh, quanti colpi di tosse da suo fratello e sua sorella!

“Andiamo, Tania, non sei nemmeno un po’ interessata?” disse Pasha, cambiando sottilmente

argomento. “Una vera chiromante! Voglio dire, è eccitante, no? Qualcuno che vede attraverso cose

insondabili il futuro, il percorso della tua vita? Non abbiamo mai conosciuto nessuno così. Blanca

Davidovna e le sue foglie di tè non conta. Non sei curiosa?”

“No,” replicò Tatiana. “Nemmeno un po’.” Tatiana sedeva sul pavimento tra le gambe di Dasha,

guardando Pasha mischiare le carte, mentre Dasha le intrecciava i capelli, dividendoli, unendoli,

accarezzandole la testa, legando le piume bianco – oro con nastri di raso. Mentre le sue mani si

muovevano attraverso la testa di Tatiana, Tatiana chiuse gli occhi, sentendosi sonnolenta nella notte

tarda con suo fratello e sua sorella.

“Perché no?” disse Pasha.

“Sì, Tania,” disse Dasha. “Anche a me interessa ascoltare quello che lei ha da dire.”

Una rilassata e mormorante Tatiana disse, “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi

travestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci…” Divertita dalla propria battuta, dal suo

riferimento al lupo, alla sua divertente famiglia, Tatiana rise.

Pasha e Dasha non risero. “Chi dice che lei è un falso profeta?” disse Dasha. “Dove l’hai sentito?”

“Blanca Davidovna.”

“Um, ma, hai qualche domanda, Tania?” disse Pasha con un altro dei suoi peculiari colpi di tosse,

come se avesse una lisca di pesce conficcata in gola. “Per me…o, diciamo, per Dasha?”

“Beh, se voi due intelligentoni avete le risposte,” disse Tatiana, facendogli l’occhiolino con

divertito affetto, “perché state correndo dalla urlante chiromante?”

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UNA VISITA FATIDICA

La mamma arrivò per il weekend di venerdì sera, da Leningrado. Ma non arrivò da sola. Portò

Mark con sé. Mark! Il dentista, il capo di Dasha!

Quando, attraverso la finestra, Tatiana li vide scendere la strada polverosa, saltò giù dal letto e corse

verso la veranda dall’altra parte della casa, dove scuotendo sua sorella, che stava leggendo un

giornale, sussurrò: “La mamma ha portato Mark, Dasha. Mark!” Un bel pasticcio! E a giudicare

dalla faccia terrorizzata di Dasha, sembrava che Tatiana non ne avesse mezza idea. E forse era così,

ma lei sapeva bene che, nell’ultima settimana, una volta finite tutte le faccende e la cena e le

pulizie, Dasha si dava una sistemata, si metteva dei bei vestiti e scompariva per lunghe camminate

nei boschi con Stefan.

Mark entrò, un uomo composto nel suo abito, stempiato e sulla trentina. Ci fu una confusione

imbarazzante. Dasha lo coccolò, cinguettò, ridacchiò e finalmente gli offrì una tazza di tè. Babushka

gli offrì qualcosa di più sostanzioso. Deda, come sempre, non disse nulla.

Cenarono. La conversazione fu formale e stentata. Dasha e Mark parlarono un po’ del tempo e di

Leningrado, delle notti bianche e del lavoro. Deda e Mark parlarono un po’ di Hitler e dell’Italia,

dell’Abissinia e della Spagna. Tania taceva.

La mamma, esausta, sedeva vicino a Pasha e faceva domande solo a lui. Come ti senti? Come dormi

ultimamente? Come va la pesca? Come si sta comportando Tatiana?

Alle dieci, quando iniziò a farsi tardi per le visite, Tatiana sentì bussare alla porta della veranda.

Deda la mandò ad aprire. Erano Stefan e Saika, in piedi, lì fuori.

Dasha gemette.

Tatiana rimase di fronte a loro senza dire nulla. Finchè Babushka non si fece avanti e disse “Tatiana

Georgievna!! Che cosa ti prende?? Dì ai tuoi amici di entrare. Entrate, prego. Entrate”.

Tatiana sospirò, andandosi a sedere accanto a Dasha che nel frattempo si era spostata un po’ da

Mark. Dasha dovette lottare per rimanere in piedi quando Stefan e Saika entrarono.

La povera Dasha era così sconcertata che fu Deda a dover intercedere per le presentazioni. E così

uno Stefan serio strinse la mano ad un Mark sorridente.

Per un paio di minuti Deda rimase seduto in religioso silenzio e poi disse che se ne sarebbe andato a

letto, trascinando Babushka con sé. “Lascia soli i ragazzi, Anna”, disse. “ Risolveranno tutto. Lo

fanno sempre”.

Tatiana non la pensava così. Chiese se qualcuno volesse giocare a domino. La sua famiglia si

rifiutava sempre di giocare a domino con lei, ma Mark ci giocò, distrattamente, per sei volte. E

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perse tutte le sei volte. Pasha, per farlo sentire meglio, disse che non sarebbe riuscito a vincere

nemmeno se si fosse incarnato nelle tessere.

La conversazione fu alquanto infelice. Mark continuava a ripetere che per lui si trattava di uno dei

suoi week-end raramenti liberi. Era un dentista e Dasha lavorava per lui, tranne in estate. Doveva

aver notato gli sguardi di ghiaccio che Stefan rivolgeva a Dasha perché si chiuse in sé stesso e di

conseguenza la conversazione crollò davvero.

Non abbastanza presto, Stefan si alzò e disse che dovevano andare.

E improvvisamente Saika consegnò a Dasha uno scialle e disse: "L’hai lasciato a casa nostra,

Dasha, l'altra notte, dopo che sei tornata dalla passeggiata con Stefan".

Tatiana, profondamente accigliata, distolse lo sguardo. Era un vero disastro. Che cosa stava facendo

Saika? Tatiana si scusò e scomparve nella sua camera e un momento più tardi Saika bussò alla sua

finestra, chiedendole se aveva voglia di sgattaiolare fuori.

Tatiana non ne aveva affatto.

Dopo aver spento la luce e mentre stava per addormentarsi, sentì delle voci nel cortile.

In un primo momento pensò che fosse Saika di nuovo, ma invece erano Dasha e Mark, lei che

cercava di parlare piano, lui che cercava di gridare.

Tatiana non voleva sentire una sola parola, ma dal momento che non poteva chiudere la finestra

senza farsi scoprire ancora sveglia, mise il cuscino sulla testa e cominciò a canticchiare. Mmm-mm-

mm…. Solo quando la voce di Dasha divenne più forte, la curiosità e la tristezza per la sorella

ebbero la meglio su Tatiana, che rimosse il cuscino per ascoltare. "Perché sono venuto qui?" Mark

stava dicendo. "Sono venuto qui perché volevo stare con te, Dasha. E ho pensato che tu volevi stare

con me." "Non lo vedi che siamo a un vicolo cieco?", disse Dasha. "Io so che tu pensi che stiamo

avendo solo una storia, e non mi aspetto certamente di più, non ti sto chiedendo di più. Rimanere

fino a tardi dopo il lavoro in ufficio è sufficiente per me, a Leningrado. Ma non avevo capito che ti

appartenevo anche qui, a Luga ". Tatiana ricominciò a canticchiare. Mark disse qualcosa.

“Questo è quello che vuoi, giusto?” disse Dasha. “Io che mi dò a te per quindici minuti durante la

nostra pausa pranzo, o tra le visite ai pazienti, sul divano della reception prima di correre a casa da

tua moglie, mentre io vado a casa a dormire a letto con mia sorella? C'è di più, Mark? Perché io non

mi rendevo conto che c’era. Pensavo di aver praticamente spremuto ogni goccia fuori da quel

panno asciutto che è la nostra relazione ". Mmmm- mmm -mm... Mark disse qualcosa. Sembrava un

"Ma io ti amo". "Non mi amavi quando sono rimasta incinta l'anno scorso" . Oh no! MMMMMM-

MMMMM-MMM-MMM…!

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"Che cosa mi hai detto allora? Forse hai detto ti amo, in realtà quello che ho sentito è stato, Dasha,

non c'è niente che possiamo fare. Non sappiamo dove andare. Deve essere stato questo il tuo ti amo.

E io sapevo che avevi ragione. Mi sono forse lamentata? Ti ho chiesto di venire con me alla clinica?

No. Sono andata da sola, dopo il lavoro, in fila come tutte le altre donne e poi, un'altra donna, una

perfetta sconosciuta, mi ha aiutata a tornare a casa. Il giorno dopo, sono tornata a lavoro. E tu ed io

siamo andati avanti come prima. Oh, e comunque, ti amo anche io, Mark." Dasha stava piangendo.

Mmmm-mm-mm…

"Mi sono rassegnata alla mia vita", continuò Dasha . "Rassegnata alla mia vita a ventun anni."

Tatiana non riusciva a canticchiare a voce abbastanza alta per soffocare la voce rotta della sorella.

"Ma sai una cosa? Penso siano meglio i cinque minuti di fuoco nei boschi con Stefan che i due anni

su quel divano gelido con te. "

"Io ti amo, sul serio", disse Mark debolmente. "Sono venuto a dirti che sto pensando a come dire a

mia moglie che me ne vado". "Sarebbe meglio che tu facessi qualcosa di più che capire come

dirglielo, Mark," disse Dasha. "Faresti meglio a capire come lasciarla."

"Ho pensato che avremmo potuto stare in ufficio fino a che il Consiglio non ci avesse trovato un

nuovo posto." "In ufficio? Cioè, sul divano? "Dasha tacque. Silenziosamente dissero altre cose che

Tatiana fortunatamente non riuscì a sentire. Allora Dasha domandò: "Perché non puoi

semplicemente dirle che deve andare a vivere da qualche altra parte? Dille che deve andarsene lei,

non tu. Perché è proprio lei a dover rimanere? E’ il tuo appartamento.

È intestato a te. È un suo problema se non c'è posto per lei. "

Mark disse qualcosa che Tatiana non riuscì a sentire, ma sentì la risposta di Dasha, "Stai

scherzando? Oh mio Dio! Oh mio Dio!" "Me lo ha detto solo la settimana scorsa," Mark disse in

fretta. "Io non lo sapevo. Dice che è illegale in ogni caso sbarazzarsene adesso." "Adesso sì che c'è

un motivo per tenere un bambino!" Urlò Dasha. "Be', lei ha detto che non vuole sbarazzarsene".

"Lei ti ha detto che sta per avere un bambino e tu stai in piedi qui, sotto i fiori di ciliegio con me,

per trovare un modo per lasciarla?"

Tatiana li sentì lottare, afferrarsi, sentì schiaffi, passi, lacrime, sentì Dasha allontanarsi, piangendo e

dicendo: "E’ come se tu fossi un premio da vincere, Mark. Tu sei un fottuto premio. "

Mark rimase fuori a fumare. Tatiana lo sentiva anche attraverso il cuscino che aveva sulla testa,

dare calci ai rami, borbottare, accendersi una sigaretta dopo l'altra.

Tornò a Leningrado la mattina seguente, all'alba nebbiosa. Nessuno lo vide andarsene se non

Tatiana, che fissò la sua schiena china, la sua borsa nella mano, trascinarsi lungo la strada. Lo

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guardò finché lui sparì dalla vista e le mucche iniziarono a pascolare, con i loro campanacci

tintinnanti.

Tatiana non riuscì nemmeno a leggere il suo libro, sdraiata su un fianco, doveva consolare la sua

povera sorella.

Dopo essere andata con Dasha ai bagni pubblici femminili quel sabato sera, lei e la sorella

camminarono tranquillamente verso casa, lavate e pulite, sfregate e arrossate. Saika, che non era

andata ai bagni, chiese a Tatiana se voleva uscire a giocare, ma Tatiana ancora una volta rifiutò. A

casa, Dasha preparò a Tatiana un tuorlo d'uovo fresco e del latte con lo zucchero e dopo averlo

bevuto, Tatiana giacque con la testa sulle ginocchia di Dasha, sul divano della veranda.

"Dashenka, sorella, Dasha?" "Sì?"Sembrava così triste. Tatiana deglutì. "Vuoi sentire una storiella

divertente?" "Oh, sì, per favore. Ho bisogno di una storia divertente per tirarmi su. Dimmi, tesoro."

"Stalin, come Presidente dei presidenti andò al Parlamento per fare un breve discorso che durò forse

cinque minuti. Dopo il discorso ci fu un applauso. L’assemblea stava in piedi e applaudiva. Per un

minuto. Poi un altro minuto. Poi un altro minuto. Ancora applausi. E mentre applaudivano, Stalin in

piedi davanti al leggio che ascoltava con un sorriso stampato sul suo volto umile, l'epitome di

umiltà. Un altro minuto. E ancora applausi. Nessuno sapeva più cosa fare. Aspettarono un segnale

dal presidente che li facesse smettere, ma nessun segnale provenne da quell’uomo umile. Un altro

minuto passò. E ancora in piedi, ad applaudire. Erano passati ormai undici minuti. E nessuno sapeva

cosa fare. Qualcuno doveva smettere di applaudire. Ma chi? Dodici minuti di applausi. Tredici

minuti di applausi. Lui si trovava ancora lì. E anche loro erano ancora lì. Quattordici minuti.

Quindici minuti. Infine, al quindicesimo minuto, l'uomo che stava davanti, il Ministro dei Trasporti,

si fermò. Appena si fu fermato, l'auditorium intero ammutolì. La settimana seguente il Ministro dei

Trasporti fu ucciso per tradimento." "Tania!" Esclamò sorpresa Dasha. “E questo dovrebbe essere

divertente?"

“Sì”, disse Tatiana. "Divertente perchè, coraggio, le cose potrebbero andare peggio! Potresti essere

il Ministro dei Trasporti. " "Tu sei pazza!" Dasha si tolse Tatiana di dosso e si alzò per andare a

prendere una sigaretta. "Da dove diavolo senti questa roba?" "Blanca. Berta. Oleg. Deda. Tutti

amano raccontarmi le cose. " "Ti proibisco di parlare con loro." "Chi sei tu, mia madre?"

Dasha ammutolì. Tatiana le accarezzò il braccio. "Mi dispiace. Quando parte la mamma, a

proposito? Mi ha punito ancora una volta, lo sai. Non posso uscire per quattro giorni."

"Te lo meriti, scavare buche nel terreno perché ci cada dentro…". "Il buco non era per lei, era

destinato a Pasha". "Non ho visto Pasha picchiarti con le ortiche, come mamma."

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Tatiana si strofinò le gambe doloranti. Non sapeva che altro dire. "Dasha ... sei arrabbiata?"

"Perché dovrei essere arrabbiata?" Dasha era sembrata così sconvolta quando gliel’aveva chiesto.

Tatiana non rispose, studiando la sorella. "Resta fuori dalle cose degli adulti, Tanechka, va bene?"

Dasha sussurrò. "Ce la faremo anche senza di te." Tatiana si schiarì la gola. "Posso farti una

domanda?"

"Cosa?"

"Pensi che inizierò a svilupparmi presto? Farmi crescere ... le cose?"

La tristezza se ne andò dagli occhi di Dasha, per fare spazio ad uno scintillio, Dasha ridacchiò e

disse: "Ragazzina, vieni fuori". Scesero le scale verso il cortile. "Vieni sull’amaca", disse Dasha , "e

sali su di me." Felice, Tatiana salì e rimase nell'incavo del braccio della sorella, mentre Dasha le

faceva oscillare avanti e indietro. "Tanechka," le chiese Dasha affettuosamente, "perché hai fretta?"

"Oh, no, no, hai frainteso," disse Tatiana. "Proprio il contrario. Mi chiedo quanti anni decenti mi

restino. “

"Cosa…”

"Beh, sì. Guarda lo splendido pantano in cui ti trovi, tutto perché disponi di tette e di peli scuri sul

corpo. Mi chiedo solo quanto tempo mi rimanga ancora prima che la bella vita finisca anche per

me."

Dasha l'abbracciò. "Tania", disse, "tu sei la ragazza più divertente del mondo." Lei rise. "Chi mai al

mondo ti avrebbe fornita di peli scuri? Sarai fortunata ad avere già i peli in ogni caso, ma non

saranno mai scuri, no? " "Ce li ho già un po 'di peli," disse Tatiana con aria di sfida. "Tu non lo puoi

sapere. Mamma ha detto che quando era giovane, aveva i capelli biondi e guardala adesso. "

"Sì, mamma lo ha detto. Tuttavia, io sono scettica. E Babushka ha detto che quando si è sposata

pesava solo 47 chili. "

“Smettila subito”, disse Tatiana. Le sorelle risero piano, sull’amaca, dondolando ed oscillando.

“Voglio solo trovare l’amore, Tanechka”, sospirò Dasha. “Mi hai sentita? Solo questo. Un po’ di

vero amore”. La luce fioca della lampada al kerosene guizzava nella veranda. I grilli frinivano

rumorosi e l’aria era fresca.

Tatiana si addormentò, spensierata, libera, incontaminata, intatta e giovane.

DUE RAGAZZE FRA GLI ALBERI, DI NOTTE

“Tania, stai dormendo?” era Saika.

Tania stava dormendo. Felice nel suo letto. Gemette. Oh, no, non di nuovo.

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“Dai. Vieni fuori con me”.

Quando avrebbe smesso di farle gli agguati alla finestra? “Che ora è?”

“Tardi. Dai. Non lo scopriranno mai”.

“Stai scherzando? Mi controllano ogni cinque minuti. E in più mi puniscono.”

“Perché sei andata a dormire così presto? Pensavo stessi leggendo.”

Saika voleva che andasse a dormire tardi e che si svegliasse presto. Tatiana avrebbe mai avuto un

po’ di pace? Controvoglia, sollevò la testa.

“Scavalca. Andremo nel mio cortile”.

“A fare cosa?”

“Niente. A parlare. Ho una cosa per te”.

Ora che Saika bussava alla sua finestra ogni mattina e sera, Tatiana dormiva con la biancheria

intima e anche con una vestaglia. Infilò un vestito e scese. Attraversarono il cortile e volarono

attraverso le ortiche ed i resti dello steccato. Salirono su un albero. Tatiana si sedette su un grosso

ramo sopra Saika che si appollaiò su uno più basso. Tirò fuori due sigarette e ne porse una a

Tatiana. "Le ho rubate alla mamma. Dai, prendine una".

“Hai rubato a tua madre?”

Saika rise. “A lei non importa, è solo una sigaretta. Da come la metti, sembra vada a intaccare la sua

anima immortale”.

“Perché non smetti di farlo?” Tatiana non accettò la sigaretta.

“Oh, e dai. Non fare la sempliciotta. Tutti lo fanno”

“Cosa? Rubare alle proprie madri?”

“No, fumare.” Se la accese tutta orgogliosa e aggiunse “io fumo da quando avevo nove anni”.

"Fantastico." Ma perché era con lei tra gli alberi? La verità era ... che era stata la curiosità per le

cicatrici che aveva fatto uscire Tatiana. Le cicatrici di Saika non erano solo una punizione andata

storta. Non erano state fatte a causa di un genitore troppo zelante nell’insegnare la disciplina a un

bambino ribelle. No, Saika non era stata picchiata, lei era stata marchiata. La schiena era il suo fleur

de lis. (Nota alla traduzione: vecchia abitudine di marcare a caldo un criminale con il segno.

Fleurdeliser in francese). Era un marchio di mostruoso disonore. Nessuno dopo aver visto quelle

cicatrici avrebbe mai fatto a meno di pensare, con il cuore spaventato, a quello che una ragazzina

potesse fare per meritarsi una simile cicatrice.

La notte era tranquilla. Le foglie sugli alberi, fra cui sedevano, odoravano di ghiande. Dall'alto,

Tatiana guardava Saika inspirare ed espirare, la cenere che le cadeva sulle cosce. Fumo di sigaretta,

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fiori, acqua fresca e terra umida, erba umida. Forse erano cose come fregare le sigarette a sua madre

che avevano messo Saika nei guai. Tatiana non lo sapeva. Non voleva girarci attorno, voleva

chiederglielo una volta per tutte. Era curiosa lei stessa e poi Pasha l’aveva tormentata incitandola a

farlo per giorni. "Dai, Tania. Lei ti adora.

E’ sempre Tania qua e Tania là. Ti racconterà qualsiasi cosa. Semplicemente non puoi non

chiederglielo".

Dasha aveva detto:

"Ha ragione. Sarebbe scortese non chiedere. La cosa peggiore che le è successa e non glielo chiedi

nemmeno?"

"Non dovrebbe raccontarmelo lei stessa, se volesse farmi sapere?" Tatiana aveva detto. "No!

Chiedere dimostra che sei interessata." Anche Babushka le aveva detto di chiedere. Alla mamma

non importava, ma alla mamma, d’altronde, non importava di molte cose. Solo Deda, che leggeva

tranquillamente sul divano e che ne era rimasto fuori fino alla fine, quando aveva alzato lo sguardo,

aveva ordinato: "Tania, stanne fuori. Non sono affari tuoi." Così aveva decretato Deda. E ora

Tatiana sedeva sull’albero e cercava di dimenticare le parole di Deda perché lei voleva davvero

chiedere. Sentì Saika ridere piano. "Pensi che io abbia scioccato i tuoi amici l'altro giorno? L’hanno

mai vista una ragazza nuda? Tu stai nuda di fronte a loro, non è vero, Tania?" "Io sono una

bambina." "E vuoi restare una bambina?" sussurrò Saika. "Cosa?"

Scuotendo la testa, Saika fumava, mentre Tatiana formulava attentamente le sue domande.

"Allora?" disse Saika. "Cosa vuoi? Le vuoi toccare?"

Tatiana rimase a bocca aperta. "Toccare che cosa?" chiese debolmente.

"Le cicatrici, sciocchina." Saika rise, tirando giù il vestito per esporre la sua schiena nuda.

Abbassandosi, Tatiana toccò delicatamente una delle creste irregolari, ma quando lo fece, Saika

trasalì e si allontanò. Tatiana scese ancora un po’, per appoggiare il palmo della mano sulla schiena

di Saika, cercando di confortarla, ma Saika trasalì di nuovo, emise un piccolo gemito e si spostò più

lontano, quasi in cima al ramo, quanto bastava per fare in modo che nessuna parte di Tatiana

potesse toccare qualsiasi parte di lei. "Che succede?" disse Tatiana. "Non ti ho fatto male ... o sì?"

"No, no," disse Saika. "Basta ..." Ma prima di tirare su il vestito, si voltò verso Tatiana, i suoi seni

evidenziati dai suoi respiri profondi. "Vuoi toccarle?", disse con un suono gutturale, e ora fu Tatiana

a spostarsi lontano, a disagio.

"No." Tatiana deglutì. "Ma ... come hai fatto a procurarti quelle cicatrici, Saika?"

Sospirando, Saika tirò su il vestito e si coprì. "Ho fatto qualcosa che a mio padre non è piaciuto."

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"Cosa?" "E’ solo che ... Sono stata cattiva ..." "È per questo che sei venuta qui? Perché hai lasciato

Saki? " Saika guardò Tatiana con sorpresa. "Pensi che a causa di una piccola questione personale,

mio padre avrebbe abbandonato il suo posto di lavoro?" "Il suo posto come pastore?" Tatiana

rispose con altrettanta sorpresa. Con gli occhi più scuri, Saika disse, "La nostra partenza non aveva

niente a che fare con questo. Questo non è successo a Saki, comunque, è successo poco prima.

Quando il nostro lavoro era finito, siamo partiti e siamo andati dove c'era altro lavoro. Non ha

niente a che vedere con questo." Tatiana aspettò. "Quale piccola questione personale?" chiese

infine.

"Sono stata con un ragazzo del posto ", disse Saika casualmente. "Mio padre si arrabbiò con me."

"Sei stata con un ragazzo del posto," ripetè Tatiana senza inflessione.

"Sì".

"E tuo padre ti ha picchiata in quel modo?" Tatiana cercò di dirlo senza inflessione. Non ci riuscì.

Saika sorrise. Non c'era nessuna emozione nei suoi occhi. "Cosa pensi che tuo padre ti farebbe,

Tania," chiese "se scoprisse che sei stata con un ragazzo?"

"Non lo so," rispose Tatiana debolmente. "Non sarebbe molto gentile con il ragazzo".

"Chi dice che mio padre è stato gentile con il ragazzo?"

Quando Tatiana smise di parlare -quando Tatiana rimase senza parole- Saika disse: "Cosa ti

sorprende, Tanechka? Il mio andare con un ragazzo? O la punizione? "

Tatiana era molto attenta quando rispose. "E' la reazione all’azione che mi sorprende", disse

lentamente, ancora pensando. "Mi piace la fisica, Saika. Come la matematica di mio nonno, la fisica

classica, è una bellissima scienza concreta, con leggi assolute che governano la materia, le cose

solide che hanno una massa e occupano uno spazio. Cose che si possono toccare e vedere. C'è una

legge della fisica che dice che per ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Mi piace

un sacco questa legge." Tatiana si interruppe. Aveva ascoltato troppe conversazioni degli adulti in

quei giorni e non voleva dire a Saika che questo la faceva pensare al sistema della giustizia umana

più di quanto volesse.

"Quasi come se la scienza newtoniana," continuò eccitata, "sia stata fondata, sia nata interamente da

principi che governano le cose e che non sono la scienza, ma cose che non possiamo toccare e

vedere. Invisibili, cose irrazionali che governano le storie umane, che regolano i miti e le leggende e

le fiabe e i nostri comportamenti. Cose del tipo: tutte le nostre azioni hanno un senso e quindi hanno

conseguenze".

"Proprio così", disse Saika. "Beh, questo ha un senso. Ho sbagliato e sono stata punita. Un Newton

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perfetto. Un occhio per occhio". "Non credo che tuo padre stesse cercando di punirti", disse Tatiana.

"Penso che stesse cercando di ucciderti."

Saika si raddrizzò sull’albero. "Stai giudicando il trattamento che mi ha riservato troppo duro?"

"Non sto giudicando affatto, no." "Oh, Tania." Scrollando le spalle, Saika accese un'altra sigaretta.

"Potrai capire la fisica, ma chiaramente non capisci molte cose sugli esseri umani. Tu non capisci la

giustizia Azeri (dell’Azerbaijan/Iran) ". Tatiana guardava i rami e non Saika. "E la giustizia Azeri è

unica nel suo essere?" Saika le sorrise. "Come fai a sapere", disse, "che non è stato un occhio per

occhio?"

Dopo un momento di silenzio attonito, Tatiana disse: "Sai una cosa? devo tornare indietro. O sarò

punita senza pietà". "È questo che pensi?" il tono di Saika era improvvisamente cambiato. Era

diventato freddo, quasi minaccioso. "E così tu pensi che io sia stata picchiata senza pietà?"

Tatiana non disse nulla. Era chiaramente questo il modo in cui Saika era stata picchiata.

"Le piccole teorie di Newton non dicono nulla sulla pietà?" Saika insistette acida. "Chi usa la

propria fisicità con pietà, Tatiana?" Tatiana rimase zitta, aculei di paura che strisciavano sulla sua

schiena come formiche velenose. "Ho fatto cadere in disgrazia e disonorato la mia famiglia e sono

stata adeguatamente punita", disse Saika. "Okay, Saika." Lo sguardo di Tatiana era sul terreno

sottostante.

"Come fai a sapere che il concetto di giustizia di mio padre non sia ricco di pietà?" Saika si sporse

verso di lei: "Mio padre dice di aver avuto pietà di me. Cosa ne pensi di questo? Giudica anche

questo, perché non lo fai?" "Io non sono nessuno. Non sto giudicando nessuno", disse Tatiana,

saltando giù dall'albero, due metri più in basso, facendo rimanere Saika senza fiato, che applaudì.

Senza voltarsi, attraversò lo steccato e le ortiche e si arrampicò attraverso la sua finestra. Avrebbe

voluto chiuderla a chiave. Il sonno non sarebbe arrivato presto.

UNA PICCOLA PARTE DI UN GRANDE CILIEGIO

Pasha sentì Tatiana prima ancora di vederla. Volodja e Kirill Iglenko erano ai piedi di un grande

albero di ciliegio, alla fine della strada del villaggio. La voce di Tatiana risuonava, "Pronto?

Prendila!" Volodja e Kirill la guardavano con la bocca spalancata. Pasha vide qualcosa di piccolo e

rosso cadere dall'albero. Kirill lo prese con la mano e se lo mise in bocca. Cadde un'altra ciliegia.

Volodja la prese, mettendosela in bocca. Non smettevano mai di guardare verso Tatiana. Pasha,

avvicinandosi, riuscì a vedere le gambe nude appoggiate su due rami a mezzo metro di distanza

l’uno dall’altro. Scosse la testa e affrettò il passo, imprecando sottovoce. Quando arrivò sotto

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l’albero, senza nemmeno alzare gli occhi verso la sorella, senza dire una parola a lei, o a loro, li

spinse via forte, li spinse anche se erano più grossi di lui, e disse: "Cosa state facendo?"

"Cosa? Niente. Ci sta dando le ciliegie", disse Volodja, sbattendo le palpebre con sguardo

innocente. "Vattene al diavolo lontano da qui." Pasha abbassò la voce. "Con chi credi di parlare? Io

non sono Tania. Ti ho detto e ridetto di stare lontano da lei. Adesso vattene."

"Pasha…"

"Vi ho detto di andarvene!" Lentamente se ne andarono, salutando a malincuore Tatiana.

"Pasha", lo chiamò Tatiana, "che cosa hai detto al povero Volodya? Perché lo hai scacciato come si

fa con una mosca? " Pasha rimase zitto e poi alzò lo sguardo. Alzò gli occhi in fretta, nella speranza

che forse si era sbagliato, forse questa volta il vestito di sua sorella non le aderiva ai fianchi, forse

l'aveva piegato sotto di sè, forse le sue mutandine bianche e trasparenti e i bianchi interni delle sue

cosce non erano stati esposti a due ragazzi adolescenti che la fissavano imbambolati mentre si

facevano cadere ciliegie in bocca. Ma non si era sbagliato.

"Tania, scendi," disse Pasha, spostando lontano lo sguardo con un sospiro.

"Perché? Vieni qui. Vuoi delle ciliegie?" "No!"

Gliene lanciò un po' comunque, lui le gettò via e disse rassegnato, "Scendi e basta!"

Saltò giù, come un gatto in prendisole a fiori , atterrando sulle punte dei piedi con le ginocchia

piegate e con un lieve rumore quando toccò terra. Mentre si stava raddrizzando, guardò in faccia

Pasha.

"Che c'è che non va?" "Niente," disse. "Tania, quando tu…" Si interruppe. Il viso di lei era

arrossato, sorridente e felice e lui proprio non poteva.

"Quando io cosa?"

"Lascia perdere, niente. Andiamo. Dasha sta facendo le patate."

"Oh, le patate! Bene, allora devo correre. Mai mangiate prima. Dove le ha trovate?"

"Vai avanti, burlona. Non puoi mangiare l’ironia per cena, Tania ".

"Mangerò le ciliegie, allora," disse Tatiana, spingendo il fratello che però non era dell’umore giusto.

Quando arrivarono a casa, Tatiana scomparve nella sua stanza a leggere e Pasha andò da Dasha, che

era fuori a pelare le patate in mezzo ai cespugli. Si lasciò cadere ai piedi di lei.

"Dasha, che cosa hai intenzione di fare con Tania?"

"Oh, no, che cosa ha fatto adesso?" “Tu sai dove l'ho trovata di nuovo?" Dasha si mise a ridere. "Sul

ciliegio?" Pasha annuì con esasperazione. "Allora parlane con lei, Pasha." Gli sorrise.

"Tu sei la sorella. Questo tipo di conversazioni è meglio lasciarlo alle ragazze. " "Pensi che dovrei

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parlarne con lei?" "Fa quattordici anni la prossima settimana! Non può essere più così ingenua. Non

è più una bambina. " Dasha stava ancora sorridendo quando disse con calma: “Ma Pasha, è una

bambina!”

“Bè , è inappropriato”.

"Allora parlane con lei”

“Non posso. Parlaci tu con lei.”

“Vuoi che ascolti qualcuno? Dì a Deda che parli con lei”.

E la voce profonda di Deda risuonò dall’orto di cetrioli, Pasha e Dasha non lo avevano visto.

“Io non le parlerò.” Comparve tra le foglie di cetriolo, reggendo una corda tra le mani, i suoi folti

capelli grigi arruffati. “Credo che se proprio vuoi parlare a qualcuno, Pasha, dovresti farlo ai tuoi

due amici. Dopo tutto, non è Tatiana a comportarsi in modo inappropriato.

Dasha e Pasha non dissero nulla.

Deda li studiò per qualche istante e poi disse “Non avete di meglio da fare? Una volta che le avrete

parlato, non sarà più capace di essere loro amica. Volete rovinarle l’estate? Oh, e poi…non

scherzerà più con voi, non vi farà più il solletico, o non nuoterà più nel fiume con voi, non vi

legherà più, o non vi bacerà più all’improvviso mentre è sulle vostre ginocchia. Non farà più

nessuna delle cose che fa, perché avrà mangiato da quel vostro maledetto albero di ciliegie. È

questo quello che volete?”

Non dissero nulla.

"Io non credo. Tua sorella" disse Deda, “sa tutto quello che deve sapere. Dasha, perché non le

chiedi tu come ci si comporta ? Meglio ancora, lasciatela in pace. E Pasha, parla con quelle bestie

selvatiche che tu chiami amici, o lo farò io".

"Parlare con bestie selvatiche di cosa?", disse Tatiana, scendendo i gradini della veranda.

"Niente, niente," disse Dasha. Deda baciò Tatiana sulla testa e tornò a infilare i suoi cetrioli sugli

appositi supporti. Pasha le chiese se li avesse sentiti parlare.

"Vi ho sentiti gridare, sì." "Hai sentito quello che stavamo gridando?"

"Se dovessi ascoltare quello che questa famiglia dice circa ogni volta che grida, non sarei riuscita a

leggere una sola parola". Tatiana sorrise. "Dimmi per cosa stavate gridando."

"Niente", disse Dasha. "Va’ ad apparecchiare la tavola e affetta il pane. Non dimenticare di darmi il

pezzo più grosso, proprio vicino la crosta".

"Puoi avere tutto il pane che vuoi e poi sarai bella e grassa, Dasha", disse Tatiana, saltellando

dentro.

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Quella sera dopo cena, Deda e Dasha guardavano Tania e Pasha giocare a domino. Tania era brava,

stava vincendo, come sempre, e Pasha era bravo a perdere, come sempre. Giocarono quindici, sedici

partite e Pasha le perse tutte. "Come! Dimmi come fai! Come fai a vincere sempre! Fai qualcosa,

imbrogli, so che lo fai! Deda, gioca tu con Tania, fammi vedere se tu riesci a batterla".

"L'ho battuta a scacchi, ed è sufficiente per me", disse Deda, sorridendo a Tatiana.

Lasciando Pasha alla sua amara sconfitta, Dasha si sedette con il nonno sulla panchina, fuori, nel

giardino incolto. Passandoci sopra un po ' all’inizio, poi Deda disse: "Dasha, non soffiarmi il fumo

di sigaretta in faccia." "Che cosa hai intenzione di dire alla tua Tania quando inizierà a fumare?"

disse Dasha, allontanandosi. "Le dirò di non soffiarmi il fumo in faccia."

Dasha sospirò. Perché aveva il sospetto che anche se Deda l’amava, la disapprovava un po', come se

in qualche modo la sua condotta fosse meno di suo gradimento rispetto, ad esempio, a quella di

Tania. Pasha, come unico figlio maschio, era irreprensibile. Perché non Dasha? Che cosa aveva

fatto o non fatto? Non cucinava e puliva e si prendeva cura di quei monelli come se fosse la loro

madre?

Deda mise un braccio intorno a Dasha e lei buttò via la sigaretta. "Mi sento in lotta, Dedushka",

disse Dasha a bassa voce. "Mi sento in conflitto, in continuazione."

"Dasha cara, è un bene avere dei conflitti dentro di sè. Combattili. "

Dasha avrebbe voluto sapere a che cosa specificamente Deda si riferisse. Stefan e Mark? Dasha non

era sposata ed era giovane. Voleva solo divertirsi un po’. Era così sbagliato?

"Tania ha dei conflitti?" chiese. "Lei non pensa alle cose che non riesce a capire."

"Conveniente", disse Dasha. "Può essere così cieca? lei legge più di chiunque altro, come può

leggere Il rosso e il nero di Stendhal e non vedere la corruzione, l'immoralità, la lussuria sotto tutte

quelle gonne e quei pantaloni perfetti che indossano le signore e i signori di Francia? Come può

leggere così tanto e non vedere ancora nulla?" "Tania non vede nulla?" disse Deda, volgendo lo

sguardo sorpreso verso Dasha. "E’ questo il problema, non è vero? Se vedesse, tu pensi che

andrebbe su quell'albero con quel vestito?" Deda scosse la testa. "Un miracolo!," sussurrò, baciando

Dasha. "Nipote mia, non sapevo che anche tu fossi così divertente. Nonostante i tuoi problemi, stai

crescendo e stai diventando una donna giovane, bella e divertente. Ma volontariamente o

involontariamente, stai fraintendendo tua sorella".

"Ah,sì?"

"Certo. Non hai capito, ormai, " disse Deda," che Tania vede ogni cosa, fin dall'inizio? "

"Lei non vede attraverso Kirill e Volodja".

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“Sì invece. Lei sa che sono innocui. Perciò non preoccuparti per lei. Preoccupati solo della tua

stessa vita.”

“Che c’è da preoccuparsi? Disse Dasha, abbassando la testa. “Siamo tutti pesci dello stesso mare.

Non sappiamo di non poter respirare fuori dall’acqua.”

“Hai ragione. Le nostre decisioni sono sempre leggermente compromesse.” Disse Deda, d’accordo.

“Ma non viviamo tutti la stessa vita. Non li vedi i Kantorov? Pensi che anche loro nuotino nel

nostro stesso mare?”

“Sì”.

Deda tacque.

“Che c’è, non piacciono nemmeno a te? Tania continua a dire che Saika non è una brava ragazza.”

Senza rispondere, Deda disse, “Sai chi mi piace?”

“Tania?”

“No. Tua nonna. Lei mi piace. Su di lei ho un’opinione. Su altro, mi astengo da qualsiasi giudizio.”

Ma Dasha pensò che non si stesse astenendo. “Dedushka, cosa dovrei fare?”si lamentò,

improvvisamente . "Io non voglio fare questi giochi con il mio capo, ma quali alternative ci sono?"

"Stai dicendo troppo a tuo nonno", disse Deda.

"Sua moglie incinta non avrà nessun posto dove andare dopo che lui l’avrà sbattuta fuori", continuò

Dasha. "Dasha,fermati!" Dasha si fermò, per poco.

"Vivono ancora con la madre, in una stanza," disse con calma. "Ma dove andrà? Può venire a vivere

con noi? Può dormire nel letto con me e Tania?" Deda non rispose.

"Questo è quello che intendo, riguardo le mie scelte", disse Dasha. "Lo vedi che sto cercando una

risposta. Sto solo cercando di trovare un po' d'amore, Dedushka. Come te e Babushka. Avevate un

posto dove vivere, da soli, quando vi siete innamorati, quando vi siete sposati?"

"E’ stato a cavallo del secolo", disse Deda, "e avevamo un grande appartamento nel centro della

città, vicino alla casa di Aleksandr Puskin sul canale Moika". Sorrise con malinconia. "Abbiamo

avuto tuo padre e tua zia Rita lì. Abbiamo vissuto felici e contenti per molti anni."

Dasha ascoltava con attenzione.

"Le cose poi cambiarono", continuò. "Ma anche dopo la rivoluzione, quando tua nonna ed io

fummo evacuati per due anni durante la guerra civile -durante il conflitto e la fame e il caos- ci

siamo nascosti e abbiamo vissuto in un piccolo villaggio di pescatori chiamato Lazarevo sul fiume

Kama, nei pressi di Molotov, e se chiedi a tua nonna, Dashenka, lei ti dirà che quei due anni a

Lazarevo sono stati i più felici anni della sua vita ". Dasha lo guardava e Deda chiuse gli occhi e

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inclinò un po’ la testa, come se si fosse appoggiato a due trecce dorate nascoste nella sua memoria e

stesse provando, commosso, quel tipo di felicità che rende il cuore più leggero.

"Quindi non preoccuparti troppo", disse, quando parlò di nuovo. "Anche in questa vita, la gioia è

possibile. Divertiti, tesoro. Vai a ballare, fuma, ridi, sii giovane. Sii giovane tu che puoi. Presto

finirà tutto. Poi avrai tutto il tempo per confonderti le idee con dentisti sposati."

"È questo di cui parli con Tania?" sussurrò Dasha. "Lazarevo?"

Deda si mise a ridere. "Tua sorella non si è ancora mai seduta su questa panchina per chiedermi

condiglio."

"No, lei è troppo occupata ad oscillare come una scimmia piena di lentiggini sugli alberi," brontolò

Dasha.

"Proprio così. E vuoi che finisca anche lei a sedere qui, cupa come te?"

Dasha tacque. Le piaceva il braccio di suo nonno intorno a lei, e lui non lo tolse.

"Proteggila, Dasha," sussurrò Deda. "Troppo presto lei smetterà di essere così."

A casa, Tatiana era sul suo letto, sepolta nel suo libro. Non si mosse, non quando entrò Dasha, non

quando si sedette sul bordo del letto, non quando la sorella le diede uno schiaffo sulla schiena con la

mano aperta. Ciò che Tatiana disse senza sprecare troppo fiato fu, "Hmm".

"Tania".

"Hmm".

Dasha le strappò il libro dalle mani. "Stai ancora leggendo La regina Margot?"

"Lo sto rileggendo". Tatiana si girò sulla schiena.

"Perché?" Dasha lo sfogliò indifferentemente. "Ha un lieto fine?"

"Quasi. Per salvare la regina, La Môle (l’amante era il conte de La Mole) sacrifica la propria vita,

viene torturato così orribilmente che suda sangue, e poi viene decapitato mentre piange."

"E lei non lo dimenticherà mai?" "Non lo so. La storia si conclude con la sua morte. " "E lei amerà

di nuovo?" "Non lo so", disse Tatiana lentamente. "La storia si conclude con la sua morte."

Dasha sorrise. "È questo il tipo di amore che desideri, Tanechka? Una grande passione, di breve

durata, che finisca con la tortura e la morte? " "Quasi", Tatiana mormorò, fissando confusa Dasha.

"È questo il tipo di amore che tu vuoi?" Dasha si mise a ridere. "Tania", disse, "mi accontenterei di

qualsiasi cosa, tranne di quello che ho al momento. Ora vai a dormire. Sei pronta? " "Sono a letto, o

no?" Tatiana era distesa. "Ti sei lavata? E i denti? "

"Sì, Dasha", disse Tatiana solennemente. "Ho fatto quello che devo fare. Non sono più una

bambina, sai?." "No" disse Dasha, sfiorando delicatamente il petto acerbo di Tatiana.

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"Oh, smettila", disse Tatiana , senza allontanarsi. "Di che cosa hai bisogno?" "Chi ha detto che ho

bisogno di qualcosa da te?" Tatiana si mise a sedere. I suoi occhi chiari verso Dasha, si sedette,

sbatté le palpebre due volte, due volte ancora, mise la mano sul volto di Dasha e disse: "Cosa? Che

cosa c’è? " Sospirando, Dasha le baciò la mano e si alzò. "Ora si spengono le luci. Non mi interessa

quello che la regina Margot fa con il suo amante protestante. "Nel mezzo della notte, Dasha fu

svegliata da un piagnucolio che proveniva da vicino al suo letto. Aprì gli occhi per cercare Tatiana,

strisciando da lei. "Che succede?" sussurrò Dasha. Tatiana non trovava il lembo della coperta.

Dasha l’aiutò a sollevarla. Tatiana piagnucolava ancora. "Ho fatto un brutto sogno. Molto brutto.

Quella Saika proprio non mi lascia in pace, nemmeno nei miei incubi." piangendo piano, si

avvicinò. Dasha si girò su un fianco verso di lei e aprì le braccia. Con il corpo caldo e spaventato,

Tatiana si curvò contro di lei. Le braccia di Dasha circondarono Tatiana, che spinse la spina dorsale

contro Dasha, più che poteva, rannicchiata, con la testa sul braccio di Dasha e sussurrò: "Quando

smetteranno?" "Mai", disse Dasha. "Ora sei solo spaventata da cose diverse. Su cos’era il sogno? "

Ma Tatiana non rispose. Pasha russava nel letto ad angolo vicino alla finestra. Dasha rimase sveglia,

sentendo il corpo biondo di Tatiana svegliarsi ed addormentarsi alla luce pallida della luna.

Tatiana, sussurrò, rannicchiati contro di me, premiti contro di me, e dormi tra le mie braccia a cui in

questi giorni a Luga sei mancata, io sono così abituata a dormire con te nel nostro letto a

Leningrado. Svegliati e riaddormentati e dimmi perché quando sei tu a venire da me per cercare

conforto e addormentarti, sono io, invece,ad essere confortata da te. Dimmelo mentre il tuo respiro

si alza e si abbassa. E i tuoi capelli di seta e il tuo cuore così leggero e il tuo fiato come quello di un

bambino, e l’aureola d'oro che hai intorno a te, quando cammini e leggi e parli, il nostro cuore

diventa più leggero quando sentiamo la tua voce, quando sappiamo che sei vicina. Ci preoccupiamo

meno di noi stessi, quando tu sei qui, e il tuo spirito scorre fuori goccia a goccia e calma i nostri

cuori inquieti.

….l’avventura continua nel SECONDO INTERLUDIO.