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LE RELAZIONI NELLA DISABILITA' L'esperienza di una mamma (dal punto di vista della famiglia) di Chiara Paolini, Massarosa, 14 maggio 2016 Conversando per scritto con un intellettuale che si occupa di disabilità, gli ho comunicato quale sarebbe stata la mia intenzione in merito al tema di cui trattare in questo convegno, cioè il titolo del mio intervento. Egli mi ha risposto nel modo che segue e con in quale vorrei aprire il discorso, tanta l'appropriatezza all'argomento che ritrovo in queste poche righe: “Parlare della ‘disabilità’ o dell’individuo in condizione di disabilità, questo è abbastanza scontato. Ma osservare le relazioni è cosa più originale, e per nulla scontata. In primo luogo, perché la relazione coinvolge più individui. Almeno due, come nella relazione madre-figlio. Inoltre, gli individui li vediamo, le relazioni no. Ciò che osserviamo sono i loro effetti, che possono essere umanizzanti e capacitanti, oppure stigmatizzanti e disabilitanti” Prof. Fabio Ferrucci, sociologo (Università del Molise) Le relazioni non si vedono, la disabilità si. Le relazioni però sono importanti perché: - ciò che facciamo “con” gli altri e “per” gli altri, è ciò che facciamo con noi stessi e per noi stessi. Per fare la cosa giusta spesso ci vuole coraggio, perciò la vita è un'opportunità da non sprecare. - La relazione “ci fa esistere” : “Prima che la mia istruttrice venisse a me non sapevo di esistere” Hellen Keller Con Heidegger potremmo anche parafrasare che“le relazioni sono il nostro orizzonte di senso”. Egli ci parla di Da-sein: esser-ci, qui e ora perché inseriti, "presi" in un sistema di relazioni che ci costituisce e a partire dal quale comprendiamo le nostre possibilità di esistenza. - La relazione è un metro di giudizio di quanto è buona o cattiva qualcosa, è il frutto da cui giudicare l'albero. Ciò che “taglia”, “distrugge”, “limita” o “impedisce” le relazioni è qualcosa di CATTIVO, per esempio: la guerra, la maldicenza, il pettegolezzo. Ciò che “instaura”, “accresce”, “migliora”, “ottimizza” le relazioni è qualcosa di BUONO, per esempio: l'amicizia, la bene-dizione, l'incoraggiamento. La disabilità quindi è una cosa buona o cattiva? Per scoprirlo, bisogna osservare, per quanto possibile, cosa succede alle relazioni nella disabilità. Questo argomento viene trattato qui da un punto di vista assolutamente personale, con nessuna pretesa di esaustività; racconto insomma più la nostra storia, di Mele e della sua famiglia, traendo le conclusioni che possono certamente non essere condivisibili da tutti o vere per ogni situazione di disabilità. Dalla relazione con Massimo e dal matrimonio celebrato in Chiesa nel 2005 è nato un anno dopo circa il fratellino maggiore di Mele. A distanza di 23 mesi nasce anche Emanuele e si instaura un nuovo equilibrio e dialogo intrafamiliare, la relazione orizzontale, prima era presente solo quella tra i genitori, si arricchisce di un nuovo rapporto: quella tra i due fratellini. I primi due mesi tutto sembra procedere in modo piuttosto ordinario e sereno, viene celebrato il battesimo, i bambini giocano, la mamma si occupa di entrambi. Improvvisamente però Mele si sente male, a circa due mesi di vita viene prima ricoverato presso la peiatria dell'ospedale locale, poi in un reparto specialistico di un grande nosocomio pediatrico italiano. Dopo diversi mesi in ospedale, aver ricevuto il sacramento della Confermazione (la cresima) con il rito per i bambini in pericolo di morte, Mele lentamente, in qualche modo, “si stabilizza” o meglio decidiamo che se deve morire è meglio non farlo davanti ad una macchina, ma con la propria famiglia e nel proprio ambiente: possiamo tornare a casa.Che cosa è successo in questo tempo, dalla situazione di “normalità”

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LE RELAZIONI NELLA DISABILITA'L'esperienza di una mamma (dal punto di vista della famiglia)

di Chiara Paolini, Massarosa, 14 maggio 2016

Conversando per scritto con un intellettuale che si occupa di disabilità, gli ho comunicato quale sarebbe stata la mia intenzione in merito al tema di cui trattare in questo convegno, cioè il titolo del mio intervento. Egli mi ha risposto nel modo che segue e con in quale vorrei aprire il discorso, tantal'appropriatezza all'argomento che ritrovo in queste poche righe:

“Parlare della ‘disabilità’ o dell’individuo in condizione di disabilità, questo è abbastanza scontato. Ma osservare le relazioni è cosa più originale, e per nulla scontata. In primo luogo, perché la relazione coinvolge più individui. Almeno due, come nella relazione madre-figlio. Inoltre, gli individui livediamo, le relazioni no. Ciò che osserviamo sono i loro effetti, che possono essere umanizzanti e capacitanti, oppure stigmatizzanti e disabilitanti”

Prof. Fabio Ferrucci, sociologo (Università del Molise)

Le relazioni non si vedono, la disabilità si.Le relazioni però sono importanti perché:

- ciò che facciamo “con” gli altri e “per” gli altri, è ciò che facciamo con noi stessi e per noi stessi. Per fare la cosa giusta spesso ci vuole coraggio, perciò la vita è un'opportunità da non sprecare.

- La relazione “ci fa esistere”: “Prima che la mia istruttrice venisse a me non sapevo di esistere” Hellen Keller Con Heidegger potremmo anche parafrasare che“le relazioni sono il nostro orizzonte di senso”. Egli ci parla di Da-sein: esser-ci, qui e ora perché inseriti, "presi" in un sistema di relazioni che ci costituisce e a partire dal quale comprendiamo le nostre possibilità di esistenza.

- La relazione è un metro di giudizio di quanto è buona o cattiva qualcosa, è il frutto da cui giudicare l'albero. Ciò che “taglia”, “distrugge”, “limita” o “impedisce” le relazioni è qualcosa di CATTIVO, per esempio: la guerra, la maldicenza, il pettegolezzo. Ciò che “instaura”, “accresce”, “migliora”, “ottimizza” le relazioni è qualcosa di BUONO, per esempio: l'amicizia, la bene-dizione,l'incoraggiamento.

La disabilità quindi è una cosa buona o cattiva? Per scoprirlo, bisogna osservare, per quanto possibile, cosa succede alle relazioni nella disabilità. Questo argomento viene trattato qui da un punto di vista assolutamente personale, con nessuna pretesa di esaustività; racconto insomma più la nostra storia, di Mele e della sua famiglia, traendo le conclusioni che possono certamente non esserecondivisibili da tutti o vere per ogni situazione di disabilità.

Dalla relazione con Massimo e dal matrimonio celebrato in Chiesa nel 2005 è nato un anno dopo circa il fratellino maggiore di Mele. A distanza di 23 mesi nasce anche Emanuele e si instaura un nuovo equilibrio e dialogo intrafamiliare, la relazione orizzontale, prima era presente solo quella tra i genitori, si arricchisce di un nuovo rapporto: quella tra i due fratellini. I primi due mesi tutto sembra procedere in modo piuttosto ordinario e sereno, viene celebrato il battesimo, i bambini giocano, la mamma si occupa di entrambi. Improvvisamente però Mele si sente male, a circa due mesi di vita viene prima ricoverato presso la peiatria dell'ospedale locale, poi in un reparto specialistico di un grande nosocomio pediatrico italiano. Dopo diversi mesi in ospedale, aver ricevuto il sacramento della Confermazione (la cresima) con il rito per i bambini in pericolo di morte, Mele lentamente, in qualche modo, “si stabilizza” o meglio decidiamo che se deve morire è meglio non farlo davanti ad una macchina, ma con la propria famiglia e nel proprio ambiente: possiamo tornare a casa.Che cosa è successo in questo tempo, dalla situazione di “normalità”

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precedente? Qualcosa si è “rotto”? In realtà le relazioni sembrano a “rischio”, ma invece di venir tagliate, vengono “modificate”. In una situazione come la nostra, non serve lamentarsi, ma bisogna far da cena con quel che c'è in frigo. In effetti molte signore si lagnano spesso di non “avere niente per la cena”, ma se guardano bene in frigo, con quello che c'è, tantissime di noi sono in grado di preparare una cenetta con i fiocchi, gustosa e anche originale! Se invece in frigo ci fosse davvero poco oppure proprio niente, la cosa funziona esattamente come la “la minestra di sasso” (l'entusiasmo di chi ci crede contagia gli altri!).

LA MINESTRA DI SASSO

Un giorno una donna, in un paese dove c'era una grave carestia e tutti stavano patendo una gran fame si mise in mezzo alla piazza con una pentola piena d'acqua e un sasso. Accese il fuoco, buttò ilsasso a cuocere e ogni tanto mescolava e assaggiava. All'inizio la gente si insospettì, ma poi incuriosita cominciò a uscire dalle case, a fermarsi e un uomo le chiese “ Ma cosa sta facendo?”. Ladonna rispose “ Sto cucinando la minestra di sasso!”. L'uomo ribattè “ E sarebbe buona? Mi pare che dentro l'acqua ci sia solo un miserabile sasso!” “ Oh certo!...Mmmm, è buonissima” fece la donna sorseggiando dal cucchiaio e socchiudento un poco gli occhi. “ Ma in effetti, lei ha ragione, sarebbe ancora più buona se ci fosse una mezza cipolla dentro!”. Allora l'uomo tornò a casa e dopo poco ritornò con una cipolla mezza rinsecchita. La donna la prese, la tagliò e la mise nella pentola. Dopo un po' si avvicinò una massaia e fece la stessa domanda, la risposta fu “ Beh, la minestra è molto buona, ma sarebbe ancora meglio, se ci fossero dentro un paio di patate” e così la massaia dopo poco ritornò con due o tre patate tutte vizze. Le persone piano piano si accostavano alla donnae ognuno le portò il poco che aveva di rimasto in casa. Alla fine la “minestra di sasso” fu pronta ed era....DAVVERO buona! Sfamò tutto il paesino e ognuno si sentì in qualche modo felice, non solo per avere la pancia piena.

Nella mia mente ho immaginato che quella donna...fosse una mamma.

In effetti quindi, abbiamo dovuto, come famiglia, prendere il buono che c'è ed imparare a fare le stesse cose in modo diverso:

- Dormire su una tavola di legno inclinata e con i cuscini di miglio cuciti apposta, per mantenere la correstta postura

- Indossare un corsetto per stare seduti

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- utilizzare i tutori per le gambe

- un statica sopiva, per stare in piedi

- posture e carrozzine su misura

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- Mangiare in un modo differente. In questa foto si vede l'utilizzo di un DAS ( Dispositivo di Allattamento Supplementare) che serve per continuare ad allattare al seno i bambini con difficoltà particolari.

- L'utilizzo di un sondino nasogastrico “a gavage”, un tubicino che viene inserito dal naso e che va a finire nello stomaco, in modo da poter alimentare anche chi non riesce a degluttire oppure per il quale “inghiottire” diventa tanto faticoso, dispendioso di energie da risultare impossibile alimentarsicorrettamente. A Mele viene messo e tolto ad ogni pasto, anche ad oggi.

- respirare anche con l'ausilio dell'ossigeno

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- Oppure con un ventilatore meccanico non invasivo (N.I.V.) e una mascherina pediatrica. Mele ha utilizzato questo tipo di maschera in gel, ma che provocava lesioni e piaghe sul volto. E' stata quindiconfezionata una mascherina in silicone su misura, super soffice, che ha certamente portato ad un miglioramento dei decubiti. Attualmente utilizza il ventilatore con le “olivette nasali” una maschera che lascia completamente libero il volto dalla pressione e che non provoca alcun danno o dolore allapelle.

Mele ha una malattia metabolica progressiva, altamente invalidante e ad esito infausto. La disabilitàin questo tipo di patologie “non finisce mai”, la cronicità è differente da un'episodica emergenza o malattia, seppur grave e lunga. Questo pone la famiglia in una costante condizione di stress, inteso come attenzione, cura, impegno per garantire la sopravvivenza, il benessere e la qualità della vita del figlio. Si instaurano perciò, di necessità, nuove relazioni. La famiglia infatti si trova improvvisamente forzata a rapportarsi con alta frequenza in contesti e con persone con le quali prima si relazionava in modo solo occasionale (ospedali, professionisti sanitari, sociali, specialisti, associazioni e impiegati di molti uffici pubblici).L'atteggiamento di questi, nei confronti di un bambino gravemente disabile e della sua famiglia è spesso molto diverso rispetto ad avere un bambino “sano”. Ad esempio mi sono accorta che le infermiere di un ospedale locale erano davvero persone carine e simpatiche solo quando è stato ricoverato mio figlio più grande...(sano!) perché erano sempre state professionali, ma molto più fredde e “stressate”, “in tensione” dalla nostra presenza (con Mele).

La relazione con un bambino disabile, poco o nulla responsivo e la sua famiglia, non viene “naturale” , a meno di non averne esperienza personale è necessario, auspicabile, che ci si formi adeguatamente per sviluppare una vera e propria cultura della disabilità. La formazione viene svoltaad esempio da alcuni presidi ospedalieri ed Istituti di Ricerca italiani ed è rivolta a operatori sanitari, insegnanti e anche genitori, considerando le categorie come un “tutt'uno integrato” che deve interagire a pari importanza.

Relazionarsi in modo corretto non è qualcosa di spontaneo perché di fatto la disabilità “fa paura”, “disturba”:

- Perché mette in luce le nostre carenze, la nostra stessa fragilità e sollecita le nostre paure profonde ( potrebbe succedere a mio figlio? A me?)

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- Mette alla prova noi (sono un'insegnante, ma potrò insegnare ad un bambino così? Potrò cresceremio figlio? Etc) e il nostro sistema (la scuola, l'organizzazione del reparto e dei servizi, la nostra famiglia funzionano ancora?) ad un livello più alto.

Le relazioni quindi, possono essere in numero maggiore ( molti medici e specialisti invece che solo il pediatra, maestre e assistenti in più invece che solo un paio di insegnanti etc)

Ma diventano più DURE o “challenging” per tutti gli interlocutori. Ho preferito questo termine inglese perché meno svalutativo di quello italiano e più adatto a descrivere sia la fatica, sia la sfida positiva e la soddisfazione nel riuscire, che deriva da alcune situazioni.

A volte mi è stato chiesto quale sia la cosa più difficile e faticosa da affrontare nella disabilità. Contrariamente a quanto molti si aspetterebbero posso dire che NON è certo quella di accettare la malattia o la cura della persona gravemente disabile, per quanto estenuante possa essere, ma: affrontare la burocrazia e relazionarsi con le varie istituzioni nel giusto, dignitoso , tentativo di garantire la migliore qualità di vita possibile al figlio.

Questo è veramente il compito più debilitante, deprimente e faticoso, che non gratifica neppure un po' e che costringe a tenere comportamenti decisi e coraggiosi, ad inimicarsi molti. Quando mi sento stanca di questo “lavoro”, ricordo queste parole “Rifiutate i compromessi. Siate intransigenti sui valori. Convincete chi sbaglia. (...) Non chiedete mai favori o raccomandazioni. La Costituzionee le leggi vi accordano dei diritti, sappiateli esigere. Chiedeteli, esigeteli con fermezza, con dignità,senza piegare la schiena, senza abbassarvi al più forte, al più potente, al politico di turno. Dovete esigerli! Questo è un imperativo che deve sorreggere tutta la vostra vita. Abbiate sempre rispetto della vostra dignità e difendetela.”

Discorso del Magistrato Antonino Caponetto, (guida del pool antimafia, di Rocco Chinnici dal '84 al 90, chiamò con sé Falcone e Borsellino)

Le relazioni creano l'ambiente

La disabilità non dipende dalla menomazione, ma dall'ambiente (definizione ICF).

Ambiente inteso non come ambiente fisico di accessibilità strutturale ( tutti pensano solo all'abbattimento delle barriere architettoniche) quanto ad una situazione integrata di persone adeguatamente formate, motivate, che fanno il proprio lavoro assieme. Una rete di servizi, mezzi e strutture in grado di rispondere adeguatamente e rapidamente ai bisogni del bambino e della famiglia.

La famiglia è destinatario e motore di questo processo: perché la sua motivazione a lavorare per il bambino e far lavorare correttamente tutti gli ingranaggi del sistema, è imparagonabile a quella di qualsiasi altro professionista, pur dedicato al suo lavoro, oltre al fatto che la famiglia ed i genitori non cambiano mai, come invece capita a tutte le altre figure. E' l'ambiente più vicino al bambino: sesta bene la famiglia sta bene il bambino e viceversa.

Per creare un buon ambiente ci vogliono quindi relazioni proficue. Esistono comportamenti e azionigravemente lesivi delle relazioni, ne vorrei ricordare alcuni in un veloce elenco:

- non farsi trovare al telefono;

- non farsi trovare affatto (sono andata decine di volte incinta di nove mesi del terzo figlio,alla portadi un primario locale a bussare per chiedere qualcosa per mio figlio, senza MAI essere ricevuta);

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- non rispondere alle lettere e alle richieste (e costringere la famiglia a far scrivere dall'avvocato, anche solo per avere una banale risposta scritta positiva o negativa che sia.);

- procastinare o non fare affatto il proprio lavoro (impedendo di fatto ad una persona di avere ciò che gli serve, spesso per soddisfare bisogni primari come mangiare, lavarsi, essere curato etc);

- lasciare soli i colleghi (ad esempio delegare totalmente l'educazione del bambino all'insegnante di sostegno, come se l'alunno fosse “sua competenza esclusiva” e gli altri insegnanti non ne avessero alcuna responsabilità);

- “non voler creare il precedente” perché altri dopo che ne hanno bisogno potrebbero richiedere la

stessa cosa (peccato che non si stia creando il precedente di una rapina in banca, ma il precedente diservizi e sussidi che potrebbero essere di aiuto anche ad altri bambini);

- usare una logica economica: si è bravi quando si fa risparmiare l'azienda e non quando si fa ciò che è giusto;

- la prepotenza: fare e scegliere senza coordinarsi e confrontarsi con gli altri (con la famiglia, il medico, la scuola etc);

- nascondere, sminuire, mentire;

- cercare di strumentalizzare il disabile per i propri fini averne fama, denaro, farsi belli;

- fare non quello che si ritiene meglio per il bambino, ma quello che da meno problemi giudiziari;

- non avere “speranza” , etc …

Di contro ci sono alcune cose molto UTILI alle persone con disabilità e ai loro familiari. Che cosa serve?

- Conoscere i propri diritti per poterli esigere.

- Una rete di relazioni: altri genitori, associazioni di pazienti e di parenti, internet.

- Un intervento di sostegno al bambino e alla famiglia, diretto e indiretto (es: assistenza infermieristica domiciliare, attivazione dei servizi domiciliari, come la scuola domiciliare etc).

- Una serie di professionisti (medici, insegnanti, politici, dirigenti, avvocati etc) coraggiosi che fanno il proprio lavoro, disposti a metterci la faccia...o meglio la...firma.

In effetti, con un gioco di parole, si potrebbe dire che le relazioni più utili nella disabilità sono...quelle scritte, da medici e professionisti vari, con l'obiettivo di tutelare e garantire la persona con disabilità e farle ottenere ciò che le spetta di diritto e di cui ha bisogno, anche per solo amore di giustizia, senza paura per le proprie personali possibili conseguenze (con i propri superiori, con l'azienda, con altri etc).

Chi in questo senso ci ha aiutato veramente:

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- Chiara Mastella ed il SAPRE, con il percorso di formazione genitori e tutta la successiva opera di consulenza, in merito a moltissimi aspetti della vita di Mele , dall'ortesi, alla gestione domiciliare, alla scuola, ausili etc.

- Le mamme dell'associazione mitocon, come rete di familiari di bambini con patologia mitocondriale.

- Marina Cometto e l'associazione Claudia Bottigelli di cui è stata presidente, per la consulenza e l'assistenza legale al bambino. L'associazione aveva come fine infatti la tutela dei diritti dei disabili gravi e gravissimi e delle loro famiglie.

- L'assistenza infermieristica domiciliare Asl 12, per un congruo numero di ore settimanali con sostituzione del caregiver, l'assistenza indiretta alla famiglia.

- I tecnici e i liberi professionisti (ingegneri, programmatori tecnici ortopedici, pedagogisti etc)

- La scuola che, in ogni grado di istruzione, ha saputo integrare e fare proprie le esigenze di socializzazione e apprendimento del bambino.

E ovviamente...molti altri, tanto che è impossibile menzionarli tutti, facendo notare però che chi fa del bene a tuo figlio te lo ricordi per sempre! Questo è vero anche se prima uno si fosse comportatoin modo poco consono oppure se dopo assume atteggiamenti distaccati, la famiglia si ricorda sempre ciò che di bene una persona, associazione, ente, ha fatto per i propri figli.

Certamente i risultati sin qui raggiunti dal bambino e dall'ambiente, grazie all'azione e al coinvolgimento integrato di tante figure sono ragguardevoli e fuori da ogni aspettativa. Tra di noi però non c'è NESSUN EROE. Non bisogna farsi ingannare da chi cerca di convincere gli altri che lanostra esperienza sia straordinaria: non siamo eroi. Personalmente credo che si debba nel modo più assoluto sfatare l'idea del “modello irraggiungibile”, dell'eccellenza, perché altri non si sentano all'altezza e per paura non ci provino nemmeno. La verità della storia di Mele, della sua integrazione dei suoi successi artistici, sociali, comunicativi e non solo dicono semplicemente che : se ce la facciamo noi, allora tutti ce la possiamo fare!

Questo Convegno è nato con l'idea di presentare l'esperienza di inclusione di Mele perché possa essere utile, ed anche, grazie al video che ho montato, per descriverla ad altri nel modo più rapido ed efficace possibile. Il video “ La scuola per tutti” è disponibile su youtube. Un breve scritto di presentazione che per facilità di lettura aggiungo anche qui, è presente nel blog dell'Istituto Comprensivo Massarosa I:

Il cortometraggio cerca di raccogliere, in pochi minuti, alcuni aspetti dell’inclusione scolastica vera e concretamente realizzata. Ciò è possibile grazie ad una squadra di numerose persone, spesso invisibili, che lavorano quotidianamente assieme senza che alcuna possa dirsi migliore o più importante, ma dove ognuno è gratificato e realizzato nel fare la propria parte. Il video dimostra che “è possibile!”, che nessuno deve sentirsi scoraggiato o privo di mezzi, né genitori, né insegnanti, né professionisti, perché assieme si può…non solo, si DEVE. Non siamo maestri, infermieri, ingegneri, terapisti, compagni di scuola, medici, bidelli, genitori straordinari, neppure abbiamo qualche missione speciale. Siamo uomini e donne degni di questo nome. Ho montato il video con la speranza che ciò che qui è lodato come “eccellenza”,diventi invece “normalità” per tutti.

Chiara Paolini, mamma-maestra di Mele

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Per concludere e dare una personale e non definitiva interpretazione della storia di Mele, visto che, grazie a Dio, è tutt'ora in corso, direi che a volte si tenta di “riqualificare” la persona in base a quello che riesce a fare ( è disabile ma parla 5 lingue, balla, canta etc etc) invece si deve

PRIMA DARE VALORE ALLA PERSONA PER QUELLO CHE E'...POI LA PERSONA RIESCE A DIMOSTRARE QUELLO CHE E'...

“Non abbiamo bisogno di miracoli, ma di occhi per vederli”.

TI AVEVO CHIESTO

Ti avevo chiesto, Signore,

la forza per avere successo.

Tu mi hai reso debole,

perché imparassi a confidare in te.

Ti avevo chiesto la salute

per fare cose grandi.

Mi hai dato l'infermità

per comprendere meglio.

Ti avevo chiesto la ricchezza

per possedere tutto.

Mi hai dato la povertà

per accorgermi che ho bisogno di te.

Ti avevo chiesto il potere

perché gli uominiavessero bisogno di me.

Mi hai dato l'umiliazione,

perché io avessi bisogno di loro.

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Ti ho chiesto tante cose

per godere la vita.

Mi hai dato la vita

perché mi rallegrassi di ogni cosa.

Non ho avuto niente

di quello che ti avevo chiesto.

Mi hai dato tutto ciò

di cui avevo veramente bisogno.

Non hai esaudito, Signore,

le mie richieste,

perché non sapevo

quello che stavo chiedendo.

Sei stato fedele alle tue promesse

di dare "cose buone"

a quelli che pregano.

Soltanto tu le conosci.

( Kirk Kilgour)