Ennio Serventi-Primula Rossa - oraSesta · Nulla si sa di cosa sia stato l’insegnamento che...

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Ennio Servent i L’Autonoma Primula Rossa Una vicenda di ribellismo ant ifascista cremonese fra storia, cronaca, ricordi 1944-1945 OraSesta

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Ennio Serventi

L’Autonoma

Primula Rossa

Una vicenda di ribellismo antifascista cremonese

fra storia, cronaca, ricordi

1944-1945

OraSesta

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Non ricordo se alla caserma, dopo il disarmo degli appartenenti alla Primula Rossa da parte dei partigiani del CVL-CLN e la consegna agli alleati delle armi delle Brigate Partigiane e degli insurrezionali, fossero tornati i soldati. La Primula Rossa ebbe una certa duratura notorietà in quel tratto della via Bissolati se non altro per l’eccentricità ed ambiguità del capo, che abitava poco oltre la caserma Manfredini, per la partecipazione di Luciano ad una delle azioni condotte dal gruppo e per la scalata che i sui membri diedero, fra la consensuale attenzione dei dirimpettai della strada, al balconcino della casa dell’ex capo del fascista Ufficio Politico Investigativo (UPI). Luciano era il figlio più grande della signora Maria, tenutaria della casa di tolleranza di via Rinaldo De Staulis, persona affabile e molto nota in via Bissolati dove abitava al secondo piano della casa contrassegnata con il n. 16 della vecchia numerazione.

Scrive Annarosa Dordoni in Ricerche, Cremona,1986: “l’arresto nel settembre del 1944 dei giovani aderenti alla Primula Rossa apre uno spiraglio su un’espressione singolare di antifascismo, estraneo alle forze ufficiali della resistenza, tutto apolitico (...). La cattura del gruppo si colloca nel quadro di una intensificata repressione fascista”.

Gli appartenenti al gruppo Primula Rossa vennero arrestati per una storia di macchine da scrivere. Sempre rivendicarono l’azione, motivandola con la necessità di procurarsi e di avere a disposizione gli strumenti per poter stampare manifestini antifascisti. Ne diede notizia Il Regime Fascista del 2.1.1945, definendoli “sovversivi e ladri”. Altri tre, fra questi anche ragazzi appartenenti a famiglie storicamente antifasciste, furono sorpresi mentre affiggevano piccoli manifesti dattiloscritti contro il regime fascista ed i tedeschi.

Non tutti gli arrestati ebbero lo stesso trattamento. Alcuni di loro furono rapati alla mongola, con il codino, ed esibiti con dileggio. Altri, dichiarati “sovversivi”, vennero deferiti al tribunale speciale per la difesa dello stato, detenuti in loco in attesa di essere spediti nel carcere di Bergamo. Non furono accusati di renitenza, le loro classi anagrafiche non erano ancora sottoposte all’obbligo dei bandi di arruolamento. Sei o sette del gruppo rimasero latitanti.

Nella strada si sparse la voce che Luciano, che in un elenco reso noto qualche anno dopo figurava fra gli arrestati ma non fra quelli inviati a Bergamo, si fosse arruolato nella X Mas. Non si seppe mai se tale voce fosse stata diffusa ad arte dai famigliari, per dare una giustificazione all’assenza del giovane o se questo arruolamento in un corpo armato fascista fosse la contropartita per un sollecito rilascio. Si rivide nella strada dopo un tempo non lungo, segno che per lui la carcerazione o l’arruolamento furono brevi. Per un certo periodo passò i giorni e le notti a casa di Giorgio in vicolo S. Omobono, si diceva che i genitori non lo volessero più in casa.

Per quanto se ne sa, quelli arrestati e processati a Bergamo (tutti meno uno che ebbe l’insufficienza di prove) dopo che il tribunale speciale ebbe emesso la sentenza di condanna, vennero prelevati da un ufficiale del battaglione San Marco, condotti in una caserma di Brescia e messi davanti all’alternativa: arruolarsi nella marina fascista o finire in Germania. L’aprile si avvicinava, l’arruolamento durò una quarantina di giorni e il gruppo riuscì a mantenere i contatti anche con gli appartenenti non arruolati. Lasciarono la caserma qualche giorno prima del 25 aprile; uno di loro rimase a Brescia si unì nella battaglia contro tedeschi e fascisti agli operai della fabbrica di autocarri OM. Gli altri sulla strada di casa vennero mitragliati e colpiti da un aereo alleato. I feriti furono ricoverati all’ospedale di Manerbio, ad uno di essi venne amputato un braccio e ad un altro parte di una natica. Le armi furono portate a Cremona dagli illesi.

Uno di quest’ultimi lo conobbi, doveva essere il 1947. Lo incontrai casualmente a Castel-ponzone. Entrambi seguivamo, non per fede ma per lavoro, il pellegrinare di paese in paese

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del simulacro della madonna definita, appunto, “pellegrina”. Allestivamo addobbi luminosi. Per tanti anni lavorammo, in servizi diversi, all’AEM, non parlammo mai degli avvenimenti del 1944-45

Quelli della Primula Rossa, gli incarcerati a Bergamo ed altri ancora, ricomparvero armati il 26 aprile del 1945: in via Bissolati assaltarono, come accennato prima, la casa dell’ex capo della polizia politica. Aprirono un ufficio di reclutamento alla caserma Manfredini e una sede in via Milazzo. Sembra che i giovani della Primula “girassero per la città pericolosamente armati, paludati di rosso al seguito del loro capo che, in divisa da colonnello, li guidava nelle manifestazioni cavalcando un cavallo bianco”1 (“Solamente di divise ce n’era per cento… Fece un’impressione senza pari quel partigiano semplice che passò rivestito dell’uniforme di gala di colonnello di artiglieria con gli alamari neri e le bande gialle” Beppe Fenoglio, I ventitré giorni della città di Alba, Verona, 1970).

La equivocità del capo, probabilmente le incertezze sul comportamento che i PR avrebbero assunto quando sarebbe venuto il momento delle consegna delle armi, l’accusa di effettuare arresti arbitrari indusse i partigiani del CVL-CLN, organismi ai quali la PR non aveva aderito, ad effettuare un’opera di disarmo che venne condotta senza colpo ferire.

Il giudizio negativo sul capo della Primula, che pure era presente alla riunione degli antifascisti in palazzo Barbò il 26 luglio 1943 – che subì gli attentati alla vita da parte dei fascisti e le imboscate del noto squadrista “Stramina”, fatti sulle cui finalità alcuni della strada avanzavano interpretazioni diverse – finì per riverberarsi su tutti i suoi membri e la PR non riuscì mai a scrollarsi di dosso, nel sentito popolare, l’accusa formulata contro di loro dai fascisti. L’accusa non è ripresa da Armando Parlato che nel suo libro scrive: “risulta che la PR preoccupasse alquanto il CLN-CVL che accusava Garbi ed i suoi uomini di procedere ad arresti arbitrari e di essersi dimostrato insofferente ad ogni disciplina agendo come sempre per conto proprio”. Sembrano essere solo queste le ragioni dello scioglimento d’autorità della PR. Un’azione di epurazione venne invece condotta nei confronti di appartenenti al Fronte della Gioventù, formazione che aveva aderito al CLN-CVL, in quanto “pregiudicati per reati comuni”.

Nei primissimi anni successivi alla liberazione, superando il vaglio dalla severa vigilanza dell’organizzazione che temeva infiltrazioni, Luciano ed altri di loro chiesero, ed ottennero, l’iscrizione all’allora ancora unitaria Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) indicando proprio l’appartenenza al gruppo PR: quasi un orgoglioso rivendicarne la legittimità.

Nelle domande di iscrizione recentemente ritrovate e che probabilmente Armando Parlato non ha visto, elencarono, oltre al fatto delle macchine da scrivere, azioni di sabotaggio, di recupero di armi e di traghettamento verso la sponda piacentina del Po di sbandati e renitenti ai bandi di arruolamento della RSI purtroppo senza indicare né luoghi né date. Sono scritture la cui attendibilità può essere desunta dall’avere superato il vaglio dell’ANPI e che al tempo potevano essere facilmente contestate se ritenute non veritiere. Non si ha motivo di ritenere che la verifica dell’ANPI non sia stata rigorosa, specialmente nei confronti di appartenenti ad un’organizzazione disarmata con mano militare dal CLN del quale l’ ANPI, ancora oggi, si considera in qualche modo l’erede.

Oggi, a quasi settant’anni dagli avvenimenti, forse sono gli unici documenti autografi dell’epoca e trasmettono nel tempo la loro storia.

1 Se non citati diversamente gli autori, le frasi in corsivo sono riportate da Armando Parlato, La Resistenza Cremonese, La Pietra, 1984.

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Oltre a quanto scritto da Armando Parlato, che ha potuto consultare due documenti del fondo prefettura conservati all’Archivio di Stato di Cremona e di avvalersi di due testimonianze orali, al citato saggio di Annarosa Dordoni e a un recente brevissimo cenno di Franco Dolci, nella storiografia resistenziale cremonese emergono solo poche tracce della Primula Rossa.

Giuseppe Azzoni nel suo Il PCI a Cremona dopo la Liberazione 1943-1945 riprende alcune cose da Armando Parlato senza addentrarvisi più di tanto, facendole seguire dall’appello ai compagni – ma forse è solo una concomitanza temporale – fatto dalla federazione cremonese del PCI, “perché non diano ascolto ad elementi che parlano di un permanere della necessità della lotta armata”.

E. Vidali nel suo Il Socialismo di Patecchio non cita mai la PR, anche se una certa contiguità del gruppo con il distaccamento delle “Matteotti” di Bonemerse è documentato. Ricordo che nell’ambiente socialista di via Manzoni – eravamo all’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso – girava insistente la voce dell’esistenza di un manoscritto relativo alle vicende resistenziali cremonesi e se ne diceva anche l’estensore. Non ho ragione di dubitare della veridicità di quelle voci, ed è un vero peccato che il manoscritto non sia stato pubblicato. Redatto in anni vicini alla Resistenza, più di trent’anni prima della pubblicazione del pregevole libro di Armando Parlato, probabilmente conteneva anche riferimenti di “prima mano” sulla vicenda che abbiamo cercato di ricostruire. Rimane da augurarsi che non sia andato perduto e una volta o l’altra compaia.

Fra le carte ritrovate, quelle salvate dall’incendio (ne parliamo diffusamente più avanti), c’è la traccia di antiche pratiche burocratiche, non concluse, tese ad ottenere il riconoscimento ufficiale di “partigiano combattente” o di “patriota” per qualcuno degli appartenenti al gruppo Primula Rossa. Ad almeno uno di loro è stata riconosciuta, dalla commissione ministeriale appositamente costituita, la qualifica di “partigiano combattente” (alleghiamo in appendice documenti che lo provano).

Nel suo libro Armando Parlato parla diffusamente della PR, tentando anche un approccio sociologico che in parte condivido. Il giudizio politico che ne ricava è negativo.

Più sfumato, anche per l’uso di aggettivi diversi, quello che si deduce dallo scritto, già citato, di Annarosa Dordoni, che pare aver rielaborato quanto scritto dal primo. Annarosa Dordoni usa l’aggettivo “apolitico” invece del “prepolitico” usato da Armando Parlato, il che lascia intendere una maggiore consapevolezza dei PR di come collocarsi all’interno del movimento resistenziale.

Nulla si sa di cosa sia stato l’insegnamento che Caterina Sivelli, che in una delle carte autografe si definisce “istruttrice di bande” “insolita figura di maestra libera in pieno fascismo”, già condannata nel 1941 per antifascismo, abbia fornito a questi “giovani e ragazze che riuniva” provenienti da una “microsocietà popolana ... una microcultura formatesi fra strade ... sottoproletariato con lupanare e monacato”. Potrebbe essere stata lei a fornire a quei ragazzi un elementare substrato interpretativo “all’antagonismo istintivo che si era visto alle partite di calcio fra le due scuole durante il ventennio e alle adunate della GIL”. Per restare in uno dei quartieri sottoproletari citati da Armando Parlato, l’antagonismo era evidente nella rivalità che i ragazzi di S. Bassano - piazza Antonella - via Bissolati unitamente a quelli del quartiere proletario del “Torrione” nutrivano nei confronti di “quelli dell’INCIS”, figli di impiegati pubblici e statali general-mente organici al potere ed al regime. Un antagonismo spicciolo ma profondo, alimentato dai gesti autoritari e intimativi di capi-casa, capi-manipolo, adunate obbligatorie, saluti romani a direttori di scuole e a gerarchetti di quartiere, propaggini estreme ed invise del potere, nemico a prescindere. Ed il potere, potrebbe avere detto loro la Sivelli, è sempre e comunque avversario. Forse si innesta qui la motivazione dei PR di non aderire al CLN-CVL.

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Aderire avrebbe comportato l’accettazione, la sottomissione ad un potere che, nella loro incapacità a gettare uno sguardo oltre i fatti di quei giorni, continuavano a considerare a loro estraneo in quanto tale.

Armando Parlato quantifica almeno in una ventina gli aderenti al gruppo della Primula Rossa che non indica mai con l’appellativo di “partigiano” o “patriota”: non pochi per un’associazione cospirativa clandestina, ma nei giorni insurrezionali furono molti di più.

In anni lontani me ne parlò Mario Madoglio, all’epoca comandante del distaccamento di Bonemerse delle formazioni partigiane G. Matteotti. Erano i tempi di quando la sede del Partito Socialista Italiano era ancora in via Alessandro Manzoni 2, che una foto dell’epoca immortala presidiata da partigiani armati. Il compagno “Madòoi” era il responsabile dell’ufficio “stralcio” delle brigate Matteotti con sede in via Zara ove adesso c’è la caserma della Guardia di Finanza. L’ufficio, condiviso con Roberto Maffezzoni (Berto) che fu il commissario di guerra della 2a Brigata Matteotti, si occupava di resistenza, partigianato, pratiche di riconoscimento ed altro ancora, cercando di non perdere i contatti con quanti avevano militato in quelle formazioni. A Madoglio piaceva raccontare, bastava dargliene lo spunto, così un giorno che gli parlai del mio antico compagno di collegio Otello Marri e della sua scalata, in quel 26 aprile, al balconcino della casa di Milanesi, s’illuminò.

Conosceva personalmente Otello e, a suo dire, tutta la storia della Primula Rossa cremonese. “La Primula”, aggiunse, per un certo periodo, “fu sotto il mio comando”. Non che lui fosse stato il capo della Primula ma questa, a suo dire, per un certo tempo operò in collaborazione subalterna con il distaccamento Matteotti di Bonemerse del quale lui era il comandante (in appendice un documento autografo). Mi parlò di opere di sabotaggio e di disarmo, del processo e del mitragliamento al ritorno da Brescia, notizie che lui, evidentemente, ebbe di prima mano. “Vieni al Matteotti” mi disse, “ho delle fotografie”. Io non andai. Poi, non so quale ministero, revocò l’uso dei locali, il “Matteotti” venne sfrattato e del materiale dell’ufficio “stralcio” non seppi mai la fine. Fra quello che il tempo non ha ancora cancellato della mia militanza d’adolescente ricordo alcuni faldoni con copertina rigida, marroncina. Fin che ho memoria di quell’ufficio nella storica sede del Partito Socialista Italiano, i faldoni li ho sempre visti appoggiati sul piano di una cassettiera verticale, di quelle con la serranda snodata che si arrotola. “Sono gli elenchi dei partigiani”, rispose il compagno Silvano Meazzi ad una mia domanda. Forse quei faldoni erano l’unica cosa salvata di quell’ufficio “stralcio”.

Può essere una storia di antifascismo anomalo quello della Primula Rossa cremonese, un non nuovo ma antico tentativo di scrollarsi di dosso il potere, siano ad esercitarlo dei sans cuolottes o dei fascisti, che il contingente momento storico ha incanalato. Un antipotere profondamente radicato fra strati sottoproletari e di popolo, esaltato dalla lettura di un romanzo e dalla visione di un film reazionari ma sicuramente affascinanti, dove il rosso del fiore avrebbe potuto anche non essere lo stesso rosso della bandiera.

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La vigilanza dell’ANPI provinciale atta a prevenire “infiltrazioni” e a segnalare la presenza di formazioni non aderenti al CVL o non controllate dal CLN.

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La Primula Rossa (nelle carte)

Non è un archivio vero e proprio ma un insieme di carte salvate da un incendio, per opera meritoria dei pompieri, e dall’incuria. Sono circa millecinquecento fogli, datati dal 1945 al 1951, dimenticati da sessant’anni in un armadio e solo di recente riletti. Si tratta, per la maggior parte, delle domande d’iscrizione inoltrate al comitato provinciale di Cremona dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) fatte in quegli anni, parti di pratiche burocratiche di riconoscimento e notizie dalle varie sezioni. Vi sono inoltre alcune schede personali di richiedenti il riconoscimento della qualifica di “partigiano combattente” o di una delle altre qualifiche previste, compilate su moduli predisposti dal “comando regionale lombardo” del CLN – Corpo Volontari della Libertà. Materiale che andrebbe scientifica-mente archiviato e reso disponibile alla consultazione. Ora quel materiale è tutto depositato presso l’Archivio di Stato di Cremona.

Di estremo interesse appaiono le domande di iscrizione all’associazione e le schede personali del CLN-CVL. Anche le domande per l’iscrizione all’ANPI sono compilate su moduli prestampati. Le une e le altre contengono una serie di notizie ed informazioni dei richiedenti che vanno dai dati anagrafici, alla professione. Particolare attenzione, per la varietà delle domande, viene posta sul servizio militare effettuato e sui rapporti intercorsi con il partito fascista e con la fitta rete delle sue strutture organizzative. Infine si chiede di specificare l’appartenenza o meno a formazioni resistenziali, il periodo di tempo, i luoghi, gli eventi di cui sono stati partecipi il tutto sostenuto dall’indicazione di testimoni o, comunque, da presentatori e firmato dall’interessato.

L’iscrizione all’Associazione non doveva essere una cosa facilissima. Alcune di queste domande per ottenere l’iscrizione portano in evidenza annotazioni tipo: “non vero”; “fare accertamento”, “respinto”. Qualche richiesta degli ex appartenenti alla formazione della quale ci occupiamo portano in grande evidenza, scritta con matitona rossa perché non sfugga all’attenzione, l’indicazione di provenienza: “PRIMULA ROSSA”. Queste annotazioni possono indicare come l’Associazione sottoponesse al vaglio attento di organi statutariamente predisposti le domande d’iscrizione, anche per evitare temute “infiltrazioni” non gradite, come dimostrano alcune note inviate a sezioni periferiche, trovate fra le carte, che rendiamo note pubblicandone alcune in appendice.

L’accettazione delle domande d’iscrizione all’ANPI e quindi l’iscrizione all’associazione partigiana degli ex appartenenti alla Primula Rossa, come risulta da alcuni elenchi degli iscritti di quegli anni ritrovati fra le carte, può forse dimostrare la ritenuta veridicità delle dichiarazioni da essi rilasciate. Forse può anche dimostrare il superamento dei vecchi contrasti, che non potevano non esserci, fra l’associazione che si considerava e si considera erede del CLN e gli ex appartenenti alla Primula Rossa che a quel comitato non aveva aderito, comitato che ne aveva decretato il disarmo per mano militare. Cosa poi portata a termine senza colpo ferire. In caso contrario non si capisce perché le domande di iscrizione non siano state respinte.

Procedendo con la dovuta precauzione dall’insieme di quelle carte è possibile ricavare, o dedurre, parte della storie di singoli partigiani ed anche di formazioni antifasciste minori. È il caso della già citata Primula Rossa, formazione antifascista cremonese con carattere cospirativo-insurrezionalista sconosciuta ai più. Ne parla Armando Parlato diffusamente nel suo La resistenza cremonese con accenti non lusinghieri. Qui non si vuole avvalorare né la tesi di Parlato, che è poi quella prevalente nell’ambiente resistenziale del tempo, né la tesi

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opposta, ma esporre quello che risulta dalla lettura delle carte, magari suggerendo una più marcata ipotesi di analisi sociologica, solo marginalmente politica, già adombrata dall’autore.

A quanto detto da Parlato sull’origine e sul simbolismo del nome Primula Rossa vogliamo solo aggiungere che il romanzo, ed i film ad esso ispirati aggiungiamo, l’uno e gli altri letto e visti in gioventù, saranno anche reazionari ma non gli si può negare un certo fascino. È quasi certamente il fascino del personaggio romanzesco ad accendere la fantasia dei giovani, ai quali sfugge la sua essenza reazionaria, ad indurli a mutuarne il nome, ed a tentarne l’emulazione. Il “rosso della primula”, in un primo momento, potrebbe essere solo un colore, non collegabile ad ideologie, o ad identificazioni politiche, il fiore potrebbe essere indifferentemente di un qualsiasi altro colore senza che questo rifletta il carattere politico del gruppo originario. Una più marcata identificazione politica potrebbe essere avvenuta più tardi, a ridosso del 25 aprile o anche dopo.

Sembrerebbe fugare ogni dubbio sulla collocazione politica della Primula Rossa il suo simbolo che compare in calce alle schede del CLN-CVL con i dati personali dei richiedenti il riconoscimento, tutte datate 5.10.1946. L’emblema non compare sulle domande di richiesta di iscrizione all’ANPI e lo riproduciamo, ingrandito, in copertina. Sulla primula che fa da sfondo, è riprodotta una stella a cinque punte con al centro una falce con il martello incrociato. È un disegno di una certa complessità, non compare prima della data indicata più sopra e non viene menzionato da nessuno di quelli che nel tempo hanno scritto della Primula. È certamente un simbolo non coevo alla formazione del gruppo ma costruito, con ogni probabilità, dopo il 25 aprile e potrebbe costituire prova di una evoluzione politica dei componenti il gruppo. È probabile che gli appartenenti alla Primula, che pare di capire siano rimasti in contatto associativo anche dopo il 25 aprile ed aprirono una loro sede in via Milazzo al civico numero 20 dell’attuale numerazione, abbiano sentito la necessità di meglio precisare la loro collocazione politica nella nuova situazione venutasi a creare dopo il 25 aprile del 1945. L’utilizzo della stella a cinque punte, che fu il simbolo delle brigate Garibaldi e la riproduzione, al suo interno, della falce e il martello nella stessa grafica usata anche nella simbologia del PCI, notevolmente diversa da quella usata dal Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, farebbe pensare alla collocazione ideale del gruppo all’interno di quell’area politica. L’apertura di una loro sede, indipendente dalla Casa del Partigiano di viale Trento Trieste, potrebbe dimostrare comunque la loro volontà di continuare a mantenere una presenza organizzata autonoma dalle altre forze resistenziali. Non è dato sapere per quanto tempo la sede di via Milazzo fosse rimasta aperta.

È curioso osservare come nella piacentina val Nure, al momento di dare un nome ad una costituenda formazione partigiana, il cappellano della stessa proponesse di chiamarla Primula Rossa. Questo nell’intento di attenuare la – da lui considerata eccessiva – identifi-cazione politica del nome Stella Rossa voluto dai partigiani.

I giovani della Primula Rossa cremonese si riuniscono alla Popolare “non per parlare di politica ma di come fare il colpo”. La beffa, il colpo, la sfida, è portata primariamente al potere. Lo fa la primula del romanzo e dei film nei confronti dei sans coulottes e cercherà di farlo la Primula di casa nostra contro i fascisti.

La Primula Rossa viene posta all’attenzione dei cremonesi nel gennaio del 1945 da una notizia di cronaca del giornale Il Regime Fascista che rende pubblico l’avvenuto arresto, quasi al “completo di una banda che non solo si proponeva attività antinazionali, ma che aveva anche come programma la consumazione di furti a catena”.

La Primula Rossa cremonese nasce al di fuori del solco e della continuità con l’antifascismo storico, non aderisce al CLN-CVL, si caratterizza come gruppo autonomo. È probabilmente

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l’unica aggregazione cremonese con questa caratteristica. Per quanto riguarda la sola autonomia nelle carte ritrovate, figura anche un altro gruppo che sembra avere caratteristiche simili. Compare sotto i nomi di Gruppo Corsico e di Azione Centro. Dalla lettura delle carte appare essere meno consistente della Primula e se ne confondono le tracce. Secondo l’autobiografia di Davide Susani e di altri, riportate da Giuseppe Azzoni in Cremona Rossa pag. 182, (Cremonabooks, 2011), il gruppo Corsico era già presente a Cremona nel 1943, presumibilmente dopo il 25 luglio, identificabile politicamente, a nostro avviso, come gruppo appartenente ad una diaspora comunista riassorbita, nel corso della lotta di liberazione, dal partito.

L’autonomia della formazione Primula Rossa è rivendicata dai singoli che alla richiesta di indicare la formazione di appartenenza rispondono “autonoma Primula Rossa”. A volte, da parte di qualche soggetto, la denominazione di Primula Rossa viene omessa o associata in denominazioni diversamente articolate, alcune di queste presentano delle varianti di qualche interesse come “Brigata: Garibaldi 122a bis distaccamento Primula Rossa”; si nota che questa denominazione compare solo in alcune delle schede, non in tutte, dei giovani che furono inviati Brescia. Alle porte di Brescia, nella bassa valle Camonica, operò effetti-vamente la 122a brigata Garibaldi “Antonio Gramsci” nella quale militarono anche i cremonesi Giancarlo Brugnolotti, poi fucilato a Milano il 21 aprile del 1945, ed il cremasco Santo Moretti, fucilato a Concesio (BS) il 27 10 1944. Nell’autunno del 1944 la brigata subì duri contraccolpi. Poi venne ricostituita. Non si esclude che, per distinguerla dalla prima, la ricostituita brigata venisse indicata come “122a bis” e che i giovani cremonesi della Primula avessero in qualche modo stabilito contatti con alcuni suoi appartenenti. Questa resta solo una ipotesi. Altra ipotesi è che nei giorni della liberazione, presentatasi al CLN di Brescia la necessità di inquadrare gli “insurrezionali”, cioè quelli che senza essere stati preceden-temente partigiani avevo aderito all’invito del CLN di insorgere ed erano scesi armati nelle strade. Si pensò di aggregarli alla 122a, costituendo una filiazione della pre-esistente brigata, denominandola appunto, 122a bis. Questa si configura come l’ipotesi più probabile. Appare chiaro come aggregandosi a questa brigata i giovani cremonesi non rinunciassero a riven-dicare la loro prima appartenenza.

Come detto più sopra, allegate alle domande di iscrizione vi sono delle dichiarazioni autografe degli appartenenti alla Primula Rossa che descrivono il loro percorso nella forma-zione. Sono dichiarazioni omogenee che riassumono, grosso modo, gli stessi eventi. Ne riportiamo alcuni stralci:

“il 6 /3 /45 ebbi il processo (condannato a 6 anni di carcere come del resto i miei amici). Fui prelevato dal carcere il 14 /3 /1945 da un ufficiale del s. Marco e portato a Brescia in detto corpo (o in s. Marco o in Germania). In detto corpo rubavo armi che poi davo agli altri perché le portassero a Cremona. Il 22 /4 /1945 fuggivo da detto corpo e invece di unirmi agli amici rimasi in Brescia dove partecipai al movimento insurrezionale con gli operai della fabbrica O.M.”. (M.D.)

“il 22/4/45, mentre abbandonavo la s. Marco per unirmi ai miei compagni fui mitragliato insieme ad ..., ..., .... Fummo ricoverati all’ospedale di Manerbio (prov. di Brescia), dove subii l’amputazione del braccio sinistro, al ... venne asportata parte della natica sinistra, a ... l’estrazione di una scheggia nel tallone sinistro, mentre il ... proseguiva per Cremona portando le armi ai compagni”. (M.G.)

“io rimasi incolume mentre ..., ... e ... furono gravemente feriti. Li portai così all’ospedale di Manerbio e di la proseguii per Cremona con le armi”. (E.P.)

“il 22 aprile il ..., ..., , ... furono mitragliati da apparecchi portavano armi che poi ricevetti, il

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Altro documento riguardante la vigilanza contro le infiltrazioni e sull’affidabilità delle formazioni presenti sul territorio.

giorno dopo, dal ... rimasto incolume, le quali servirono due giorni dopo per la Liberazione”(L.A.) Fra le attività del gruppo in periodo clandestino vengono elencate: propaganda, assistenza agli sbandati, traghettamenti sull’altra sponda del Po, diffusione, affissione di materiale stampato, disarmo di alcuni militi con recupero delle armi, taglio di fili elettrici e telefonici, tentato impossessamento di macchine per scrivere (questo procurò loro l’accusa, da parte dei fascisti, di essere ladri), sabotaggio di mezzi motorizzati sulla sponda piacentina, affon-damento di una imbarcazione in alluminio del traghetto.

Nelle carte non vengano rivendicate l’effettuazione di azioni armate.

Allegato ai fascicoli dei giovani processati a Bergamo vi è una dichiarazione del Comando Raggruppamento Brigate Matteotti a firma del comandante del distaccamento di Bone-merse Madoglio Mario nella quale si certifica che il raggruppamento Primula Rossa operava sotto il suo comando.

Nel 1951 erano ancora in corso le pratiche per il riconoscimento di “partigiano combat-tente” per alcuni degli appartenenti alla Primula.

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