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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa LE ORDINANZE ANTICIPATORIE IN CORSO DI CAUSA. PRESUPPOSTI, CONTENUTI ED EFFICACIA. Piacenza, 23 febbraio 2008. Introduzione. Tratti comuni degli istituti in oggetto: natura anticipatoria, ma non cautelare. Pur nella consapevolezza della diversità di caratteristiche, presupposti, efficacia e regime processuale delle ordinanze oggetto della presente relazione, trattandosi di istituti che non appartengono ad un corpus normativo unitario e sistematico, ma sono stati introdotti nell’ordinamento da diverse disposizioni di legge, tra loro distanti nel tempo e rispondenti ad esigenze di volta in volta differenti 1 , se ne possono tuttavia delineare alcuni caratteri comuni. In particolare, possono individuarsene due caratteristiche strutturali e funzionali, una positiva ed una negativa. La prima è la loro natura anticipatoria (si ripete, sia sotto il profilo strutturale, sia funzionale), nel senso che si tratta di provvedimenti aventi il medesimo contenuto della sentenza definitiva (con la sola possibile differenza sul piano quantitativo), e con la chiara funzione di anticipare la soddisfazione del diritto in via esecutiva, attenuando i disagi della eccessiva durata del processo ordinario, nonché con il perseguimento di un intento deflattivo del carico di lavoro dei tribunali. E già tale prima caratteristica li differenzia – per lo meno in parte – dai provvedimenti cautelari veri e propri, i quali, a volte, hanno una funzione meramente conservativa del diritto tutelato e, da un punto di vista strutturale, spesso hanno un contenuto diverso o, comunque, 1 Le ordinanze di cui all’art. 423 c.p.c. sono state introdotte dalla L. 11 agosto 1973, n. 533; la provvisionale nei giudizi per sinistri stradali fu inizialmente prevista nell’art. 24 della L. 24.12.1969, n. 990 e successivamente, dall’art. 147 del D.L.vo 7.09.2005, n. 209 (Codice delle Assicurazioni Private), mentre la nuova figura di condanna in assenza di stato di bisogno, è prevista dall’art. 5 della L. 21.02.2006, n. 102; le ordinanze anticipatorie nel giudizio di cognizione civile (artt. 186 bis, ter e quater c.p.c.) sono state introdotte dalla L. 26.11.1990, n. 353 e poi modificate (sia pur non in senso sostanziale) dalla L. 28.12.2005, n. 263. Pagina 1 di 69

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

LE ORDINANZE ANTICIPATORIE IN CORSO DI CAUSA.

PRESUPPOSTI, CONTENUTI ED EFFICACIA. Piacenza, 23 febbraio 2008.

Introduzione.

Tratti comuni degli istituti in oggetto: natura anticipatoria, ma non cautelare.

Pur nella consapevolezza della diversità di caratteristiche, presupposti, efficacia e regime

processuale delle ordinanze oggetto della presente relazione, trattandosi di istituti che non

appartengono ad un corpus normativo unitario e sistematico, ma sono stati introdotti

nell’ordinamento da diverse disposizioni di legge, tra loro distanti nel tempo e rispondenti ad

esigenze di volta in volta differenti1, se ne possono tuttavia delineare alcuni caratteri comuni.

In particolare, possono individuarsene due caratteristiche strutturali e funzionali, una

positiva ed una negativa.

La prima è la loro natura anticipatoria (si ripete, sia sotto il profilo strutturale, sia

funzionale), nel senso che si tratta di provvedimenti aventi il medesimo contenuto della

sentenza definitiva (con la sola possibile differenza sul piano quantitativo), e con la chiara

funzione di anticipare la soddisfazione del diritto in via esecutiva, attenuando i disagi della

eccessiva durata del processo ordinario, nonché con il perseguimento di un intento deflattivo

del carico di lavoro dei tribunali.

E già tale prima caratteristica li differenzia – per lo meno in parte – dai provvedimenti

cautelari veri e propri, i quali, a volte, hanno una funzione meramente conservativa del diritto

tutelato e, da un punto di vista strutturale, spesso hanno un contenuto diverso o, comunque,

1 Le ordinanze di cui all’art. 423 c.p.c. sono

state introdotte dalla L. 11 agosto 1973, n. 533; la provvisionale nei giudizi per sinistri stradali fu inizialmente

prevista nell’art. 24 della L. 24.12.1969, n. 990 e successivamente, dall’art. 147 del D.L.vo 7.09.2005, n. 209

(Codice delle Assicurazioni Private), mentre la nuova figura di condanna in assenza di stato di bisogno, è

prevista dall’art. 5 della L. 21.02.2006, n. 102; le ordinanze anticipatorie nel giudizio di cognizione civile (artt.

186 bis, ter e quater c.p.c.) sono state introdotte dalla L. 26.11.1990, n. 353 e poi modificate (sia pur non in

senso sostanziale) dalla L. 28.12.2005, n. 263.

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non corrispondente a quello della sentenza eventualmente resa al termine del giudizio

ordinario di merito2.

La seconda caratteristica comune ai provvedimenti in esame, cioè quella negativa, è la

esclusione della loro natura cautelare, poiché non necessitano del requisito del periculum in

mora, ovvero dell’urgenza, dettato dalla esigenza di evitare pregiudizi irreparabili (con la sola

problematica eccezione della provvisionale per stato di bisogno di cui all’art. 24 L. 990/69,

ora 147 D.L.vo 209/05 su cui vedi infra); in sostanza, se è vero che tali istituti sono stati

introdotti nell’ordinamento essenzialmente allo scopo di evitare che la soddisfazione di un

diritto subisca un eccessivo ritardo, a causa della durata del processo ordinario, è pur vero che

tale urgenza – che pure ne costituisce la ratio giustificatrice – non è stata presa in

considerazione dal legislatore come elemento strutturale di tali provvedimenti, la cui

emissione prescinde quindi da qualsiasi valutazione in ordine ad un periculum in mora.

La appena indicata esclusione della natura cautelare dei provvedimenti in commento,

lungi dal restare una sterile classificazione istituzionale puramente teorica, ha una serie di

conseguenze sul piano pratico: in primo luogo, come si è già detto, l’assenza, tra i presupposti

per la pronuncia delle ordinanze de quibus, del pregiudizio irreparabile o di un danno grave ed

attuale (con la sola e già ricordata eccezione dello “stato di bisogno” di cui all’art. 147 Codice

delle Assicurazioni); in secondo luogo la non reclamabilità ex art. 669terdecies c.p.c. di tali

provvedimenti, che, peraltro, deriva anche dalla loro tendenziale modificabilità e revocabilità

in corso di causa; ancora – proprio perché tali provvedimenti non presuppongo un pericolo

attuale – non è prevista la loro emissione inaudita altera parte (che, anzi, è stata ora

esplicitamente esclusa, quanto meno per le ordinanze 186bis e ter c.p.c., dalla recente novella

del 2005); infine, e più in generale, dall’esclusione della loro natura cautelare consegue

l’inapplicabilità di tutte le norme sul procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669bis

e ss. c.p.c.3; da ultimo, si ritiene che l’esclusione della natura cautelare dei provvedimenti de

2 Si pensi, oltre ai sequestri (artt. 670, 671 e

687 c.p.c.), alla sospensione in via cautelare di un amministratore di società a responsabilità limitata, in caso di

azione di responsabilità promossa nei suoi confronti (artt. 2476 c.c.), laddove il giudizio ordinario si concluderà,

generalmente, con un’azione di condanna al risarcimento dei danni, sicché il contenuto precettivo del

provvedimento cautelare (rimozione dalla carica) non corrisponderà a quello della emananda sentenza di merito. 3 Inapplicabilità che, peraltro, era già

desumibile dal dettato dell’art. 669quaterdecies c.p.c., il quale rinvia espressamente ai procedimenti cautelari di

cui alle sezioni II, III e V del capo III del codice (sequestri, procedimenti nunciatori e 700) ed agli altri

provvedimenti cautelari previsti dal Codice Civile e dalle leggi speciali, non, invece, agli eventuali altri

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quibus escluda anche la necessità di una loro trattazione e pronuncia in costanza di

sospensione feriale dei termini ex L. 7.10.1969, n. 742, a meno che non siano richiesti

nell’ambito di uno dei procedimenti di cui all’art. 92 R.D. 30.01.1041, n. 12 (ordinamento

giudiziario).

Altra caratteristica comune a quasi tutti gli istituti in esame, con la sola eccezione

dell’ordinanza post istruttoria ex art. 186quater c.p.c., è la loro sommarietà; sommarietà che è

ottenuta, non già tramite la tecnica della esclusione o posticipazione del contraddittorio (come

avviene nel procedimento monitorio) – trattandosi di provvedimenti emessi in corso di causa

e, quindi, a contraddittorio già instaurato – bensì tramite la limitazione della cognizione del

giudice, che è solo parziale o, allo stato degli atti, o fondata su prove “qualificate”.

1. L’ordinanza di pagamento di somme non contestate ex art. 186bis c.p.c.

Art. 186-bis.(1)

(Ordinanza per il pagamento di somme non contestate)

«Su istanza di parte il giudice istruttore può disporre, fino al momento della precisazione

delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite. Se l’istanza

è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il

termine per la notificazione.(2)

L’ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione

del processo.

L’ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177,

primo e secondo comma, e 178, primo comma»

(1) Articolo aggiunto dall'art. 20, Legge 26 novembre 1990, n. 353.

(2) Periodo aggiunto dalla legge 263/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006.

Natura e funzione. L’ordinanza de qua è stata introdotta nell’ordinamento dalla riforma

processuale del 1990, come trasposizione generale dell’istituto speciale già introdotto nel rito

del lavoro, dall’art. 423 c.p.c. (sul quale v. infra § 5).

La ratio e la funzione di tale provvedimento sono chiare e facilmente comprensibili: non

vi è alcun interesse (né delle parti, né dell’ordinamento) a mandare avanti un giudizio su

provvedimenti cautelari previsti dallo stesso codice di procedura civile; sicché, laddove anche si volesse

riconoscere una natura latamente cautelare dei provvedimenti in esame, si dovrebbe in ogni caso escludere

l’applicazione del procedimento cautelare uniforme.

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questioni che non sono oggetto di reale controversia tra le parti e che, quindi, non necessitano

di essere risolte da un regolamento giudiziale.

Ciò, ovviamente, in estrema semplificazione, mentre ben più complessa è la

individuazione della natura e del fondamento teorico di tale istituto, sui quali la dottrina si è

ampiamente soffermata.

La questione in questa sede merita solo un breve cenno, in quanto, a modesto avviso dello

scrivente, non ha rilevanti ricadute pratiche, poiché la disciplina normativa regola pressoché

tutti i presupposti, le condizioni e gli effetti dell’ordinanza in parola, a prescindere dal suo

inquadramento teorico.

In estrema sintesi, si ricorda, da un lato, la tesi (maggioritaria) che individua il

fondamento dell’ordinanza nel principio dispositivo del processo civile – per cui è nella piena

facoltà delle parti stabilire quali siano il thema decidendum ed il thema probandum della

causa e, in caso di mancata contestazione di alcuni fatti, questi devono considerarsi pacifici ed

incontrovertibili – e, dall’altro lato, la tesi che ravvisa, invece, nell’ordinanza de qua, un

fondamento negoziale; a seconda dell’opzione sostenuta, poi, viene configurato diversamente

l’oggetto della non contestazione, sostenendosi, dai fautori della prima tesi, che questa debba

riguardare i fatti costitutivi della domanda, mentre, per gli assertori della teoria negoziale,

essa deve concernere il diritto, concretandosi in un vero e proprio riconoscimento del

medesimo4.

Senza entrare nel merito della validità teorica dell’una o dell’altra tesi, si deve rilevare

come la teoria del fondamento negoziale sia espressamente contraddetta dal dato normativo;

infatti, in primo luogo, non è prevista alcuna limitazione della pronuncia dell’ordinanza anche

in materia di diritti indisponibili (che sarebbe preclusa in caso di fondamento negoziale), in

secondo luogo la norma non vincola il giudice alla pronuncia dell’ordinanza, concedendogli

un margine di discrezionalità, ed infine sancisce esplicitamente la revocabilità e modificabilità

dell’ordinanza stessa ed esclude, dal richiamo contenuto nell’art. 186bis c.p.c. all’art. 177

4 Nel primo senso, tra gli altri, PROTO PISANI

Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2002, VERDE Profili del processo civile, Napoli 2005, ATTARDI Le

nuove disposizioni del processo civile, Padova 1991, CARRATTA Ordinanze anticipatorie di condanna, Roma

1995, CONSOLO Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Padova 2006, CIVININI Le condanne anticipate, in

Foro It. 1995, I, 332; in giurisprudenza Trib. Trani 19.11.2004, in www.giurisprudenzabarese.it 2005 e Trib.

Trani, 30.09.1996, in Giur. It 1997, I, 2, 150; per la tesi negoziale, MERLIN L’ordinanza di pagamento di somme

non contestate, RDP 1994, 1009 e TARZIA Lineamenti del nuovo processo di cognizione Milano 1996.

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c.p.c., il terzo comma di tale ultima disposizione, che riguarda, appunto, le ordinanze

pronunciate sull’accordo delle parti.

Ambito di applicazione. L’ambito di applicazione oggettivo di tale pronuncia è stato

espressamente ristretto dal legislatore alla condanna al pagamento di somme. Di conseguenza

non possono essere oggetto dell’ordinanza ex art. 186bis c.p.c., in primo luogo, la condanna

ad obblighi di fare o non fare ed anche alla consegna o al rilascio di beni (come avviene,

invece, per le altre due ordinanze anticipatorie previste nei due articoli successivi); inoltre, ne

restano escluse le domande di mero accertamento e quelle costitutive.

È dubbio, però, se l’ordinanza in esame possa essere pronunciata in relazione alla

condanna al pagamento di somme, che derivi da un accertamento (non incidenter tantum) o

da una pronuncia costitutiva (come ad es. gli obblighi restitutori conseguenti alla pronuncia di

annullamento, nullità o risoluzione di un contratto). Nella pratica, l’ipotesi sarà di difficile

verificazione, poiché in tal caso la non contestazione, prima ancora che le somme richieste,

dovrà riguardare tutti i presupposti giuridici fondanti la pronuncia costitutiva pregiudiziale

alla condanna5.

L’ordinanza, poi, deve riferirsi, secondo alcuni autori, alle sole somme da imputarsi a

capitale e non agli interessi6; tale interpretazione restrittiva, tuttavia, non appare in linea con

le finalità anticipatorie dell’istituto, né con la sua ratio ed i suoi presupposti, laddove la

mancata contestazione riguardi anche gli interessi. Peraltro, come è stato acutamente

osservato da un autore, occorrerebbe distinguere tra interessi legali, che seguono

automaticamente la sorte del capitale, e per i quali, quindi, non vi sono ostacoli tali da

escludere che l’ordinanza ne faccia menzione, e gli interessi convenzionali e il maggior

danno; per quanto attiene a questi ultimi, infatti, se non vi è contestazione specifica da parte

5 In giurisprudenza, si segnalano due

pronunce di ammissibilità dell’ordinanza ex art. 186bis c.p.c. in caso di azione revocatoria fallimentare (Trib.

Milano 6 marzo 1995, in Il Fallimento 1995, 774 con nota di PATELLI) e di azione revocatoria fallimentare o di

inefficacia ex art. 44 l.fall. (Trib. Messina 31.05.2000, in Il Diritto Fallimentare 2000, II, 1057), anche se si

osserva che in questo secondo caso, la pronuncia ha natura meramente dichiarativa; entrambi gli arresti

richiedono comunque una non contestazione “chiara ed inequivoca”. 6 COMOGLIO, in Le riforme della giustizia

civile, a cura di TARUFFO, Torino, 1993; in giurisprudenza, ma formatasi in relazione all’art. 423 c.p.c., v. Cass.

17 settembre 1991, n. 9668.

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del debitore, non sussiste alcuna ragione per negare che il provvedimento possa disporre il

pagamento di tali accessori7.

Presupposti sostanziali. Presupposto per la concessione dell’ordinanza de qua è la non

contestazione delle somme di cui si chiede la condanna.

Preliminarmente la norma chiarisce espressamente (fugando così un dubbio sorto in

relazione all’ordinanza ex art. 423, 1° comma, c.p.c., che non conteneva una simile

precisazione), che la non contestazione deve provenire dalle «parti costituite», così

escludendo la possibilità di pronuncia dell’ordinanza de qua nei confronti del contumace; e

tale soluzione appare pienamente coerente con il principio di “neutralità” della contumacia

vigente nel nostro ordinamento, secondo cui all’inerzia della parte non può essere attribuito

alcun significato implicito di riconoscimento delle ragioni avversarie, né può conseguire una

sorta di meccanismo sanzionatorio o punitivo di carattere processuale che determini una ficta

confessio a carico del contumace8.

Coerentemente con i princìpi appena ricordati, dottrina e giurisprudenza sono concordi

nell’affermare che la non contestazione non può coincidere con la mera inerzia, ma deve

concretarsi in un comportamento processuale rilevante o comunque desumersi da un

atteggiamento difensivo del debitore9, nel senso che il fatto debba essere o esplicitamente

ammesso o, comunque – come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità in

materia di onere della prova e fatti pacifici – che l’impostazione difensiva avversaria si fondi

su argomentazioni incompatibili con la negazione dei fatti costitutivi10. In quest’ultimo caso

7 FABIANI, I provvedimenti a funzione

prevalentemente deflattiva, in Foro It., 1993, I, 2001. 8 Principio di recente ribadito, sia pur in via

incidentale, dalla Corte Costituzionale – sentenza n. 340 del 12.10.2007 – che ha sancito l’illegittimità dell’art.

13 D.L.vo 5/03, nella parte in cui, appunto, stabiliva che, in caso di mancata o tardiva costituzione del

convenuto, i fatti affermati dall’attore dovevano ritenersi pacifici. 9 Tra gli altri, v. MANDRIOLI Diritto

Processuale Civile, vol. II, Torino, secondo il quale la non contestazione non sarebbe rilevante se non avviene

nell’ambito dello svolgimento di un ruolo difensivo, come consapevole rinuncia a contestare, anche implicita. 10 Ex multis, v. Cass., sez. Lav. n. 344 del

13/01/1995; sez. II, n. 5643 del 23/05/1995, n. 7189 del 4/08/1997, n. 1213 del 13/02/1999, n. 4604 del

7/05/1999, n. 2699 del 12/02/2004; sez. III, n. 4687 del 12/05/1999, n. 5149 del 6/04/2001, n. 2959 del

28/02/2002, n. 5488 del 14/03/2006.

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(cioè quello di non contestazione implicita) si è posto l’accento, da parte della giurisprudenza,

sulla non equivocità e chiarezza della non contestazione11.

Sempre in linea con i princìpi sopra ricordati, deve escludersi che il mero silenzio

(ovvero la mancata presa di posizione sui fatti dedotti ex adverso) possa integrare la non

contestazione, nonostante voci contrarie in dottrina ed in giurisprudenza12; la ratio di tale

assunto è infatti coerente, sia con la irrilevanza della contumacia, che, sostanzialmente,

equivale al silenzio su tutta la domanda avversaria, sia con l’affermazione, più volte ribadita

dalla giurisprudenza, in ordine all’assenza di un onere di contestazione specifica nel nostro

ordinamento (v. la giurisprudenza di legittimità citata in nota 10) e, soprattutto, all’assenza di

una sanzione collegata al mancato adempimento di tale onere.

Tuttavia riesce difficile nella pratica coordinare tale assunto con l’onere di contestazione

imposto al convenuto dall’art. 167 c.p.c., nonché con il più generale principio del

contraddittorio (ormai sancito anche dalla Costituzione, art. 111), che impone alle parti di

“scoprire le carte” e prendere posizione chiara e non ambigua sulle domande avversarie, in

maniera da consentire alla controparte una idonea impostazione difensiva; la soluzione, a mio

avviso, va cercata nel potere-dovere del giudice di sollecitare il contraddittorio tra le parti e,

in particolare, di richiedere alle parti «i chiarimenti necessari» (art. 183, comma 4° c.p.c.),

potere che potrà essere esercitato in sede di interrogatorio libero, di udienza di trattazione o

all’udienza appositamente fissata per la discussione sull’istanza anticipatoria, in base alla

nuova formulazione dell’art. 186bis.

Analoga soluzione, a mio avviso, deve applicarsi in caso di contestazione generica13; se,

infatti, si ritiene che il mero silenzio non integri il presupposto della non contestazione, a

maggior ragione ciò va affermato in caso di contestazione generica, tanto più a fronte

dell’assenza nella disciplina del processo ordinario di cognizione, di una norma – quale è

quella dell’art. 416 c.p.c. dettata per il rito del lavoro – che impone una contestazione

11 V. Trib. Roma 20 dicembre 1995, in Giur.

merito 1997, 761 con nota di PICOZZA, nonché Trib. Milano 6.03.1995 e Trib. Messina 31.05.2000, citt. in nota

5. 12 In dottrina, v. CIACCIA-CAVALLARI,

SASSANI-TISCINI e VERDE; in giurisprudenza, Trib. Trani, 30.09.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 150, con nota

adesiva di CARRATTA. 13 Secondo Trib. Trani 30.09.1996 cit. anche

una simile contestazione non è idonea ad impedire la pronuncia di ordinanza ex art. 186bis c.p.c.; contra Trib.

Trani 1 febbraio 1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 754.

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specifica e circostanziata, o meglio, vieta espressamente una contestazione generica. Anche in

tal caso, sarà opportuno che il giudice eserciti il suo potere di controllo e direzione sul

procedimento, sollecitando i chiarimenti necessari ad eliminare le eventuali ambiguità

presenti nelle difese delle parti ed invitando chi ha svolto una contestazione di mero stile e

generica, a precisarne i contenuti, magari nell’ambito delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c.

(5° o 6° comma, a seconda del rito applicabile) e allora, in caso di inottemperanza anche a tale

invito, potrà ritenersi integrato il presupposto della non contestazione.

Non occorre, invece, che la contestazione sia fondata, o meglio, il giudice in questa sede

non può valutarlo, nel senso che deve limitarsi a prenderne atto onde ravvisare l’assenza del

presupposto per l’emanazione dell’ordinanza.

La contestazione idonea ad impedire la pronuncia ex art. 186bis c.p.c. potrà riguardare,

oltre che i fatti costitutivi del credito fatto valere ex adverso, anche eccezioni di diritto (fatti

impeditivi, estintivi o modificativi del credito), o di rito14; in pratica, non sarà sufficiente che

la parte non contesti le circostanze fattuali poste a fondamento del credito, ma sarà necessario

che non ne contesti nemmeno la debenza, perché, ad esempio, impedita dalla prescrizione,

dalla compensazione con un controcredito o da altre eccezioni; nel caso di eccezioni di rito

(quali l’incompetenza, il difetto di giurisdizione o l’inammissibilità della domanda), il giudice

dovrà preliminarmente vagliare la sussistenza dei presupposti processuali perché egli si possa

pronunciare nel merito15; in tale ultima ipotesi, a mio avviso, sarebbe possibile una pronuncia

di natura meramente incidentale sulla infondatezza dell’eccezione di rito, con contestuale

emissione dell’ordinanza di condanna ex art. 186bis c.p.c., sussistendone gli altri presupposti.

Sicuramente, la non contestazione non può mai essere condizionata o subordinata e deve,

pertanto, essere esclusa quando una parte neghi in via principale il proprio debito, chiedendo,

in via meramente subordinata, il riconoscimento di una somma in misura minore rispetto a

quanto richiesto dalla controparte (si pensi al caso di un compratore convenuto per il

pagamento del prezzo di acquisto, che eccepisca vizi della cosa venduta, chiedendo, in via

principale, la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni e, in via meramente

subordinata, la riduzione del prezzo in ragione dei vizi). 14 Trib. Roma, 5.04.2000, in Giur. Romana

2000, 332, in caso di eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.; Pretura Macerata 17.12.1996, in caso di

domanda di risoluzione contrattuale e compensazione; sulle eccezioni di rito, v. Pretura Salerno, 29.03.1995, in

Foro It. 1996, I, 1104. 15 Pretura Salerno, 20.12.1994, in Giur.

Merito 1995, 715.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Proprio perché la non contestazione deve concretarsi in un comportamento processuale,

non assume alcuna rilevanza, ai fini dell’art. 186bis c.p.c., una non contestazione

stragiudiziale seguita da una contestazione in giudizio16.

La non contestazione, a stretto rigore, potrebbe anche essere totale, dal momento che la

norma non pone alcuna limitazione al riguardo; tuttavia, l’ipotesi appare meramente di scuola,

poiché – nel caso in cui il convenuto non abbia nulla da contrastare alle pretese avversarie –

difficilmente si costituirebbe in giudizio solo per aderire alle sue domande e, quindi, la

situazione si risolverebbe molto probabilmente in una conciliazione stragiudiziale tra le parti;

in ogni caso, laddove l’ipotesi si verificasse – stante la già ricordata assenza di limiti

normativi sul punto – non può astrattamente escludersi una pronuncia da parte del G.I. ex art.

186bis c.p.c. che riguardi l’intera somma, anche se, nella pratica una situazione simile si

tradurrebbe in una determinazione del giudice di andare immediatamente a sentenza,

ritenendo la causa matura per la decisione, ex art. 187 c.p.c. e, quindi, stante la speditezza di

decisione, verrebbe anche meno ogni esigenza anticipatoria; chiaramente la soluzione è

lasciata alla valutazione del giudice, nell’esercizio di quel potere discrezionale che la norma

in commento espressamente gli riconosce («il giudice … può disporre», v. meglio infra).

Un problema particolare si pone in caso di processo litisconsortile e, soprattutto, in caso

di obbligazioni solidali, qualora solo alcuni degli obbligati siano costituiti e gli altri siano

rimasti contumaci, oppure, pur essendo tutti costituiti, vi sia una diversità di posizioni

difensive; la soluzione, a mio avviso, va trovata nell’applicazione analogica dei principi

dettati dagli artt. 1292 e ss. c.c. in tema di obbligazioni solidali e, in particolare, dall’art. 1309

c.c., secondo il quale il riconoscimento di debito da parte di uno dei condebitori solidali non

ha effetto nei confronti degli altri condebitori, sicché l’ordinanza potrà essere emanata solo

nei confronti del coobbligato costituito “non contestante”, ma non avrà effetti nei confronti

degli altri che siano rimasti contumaci, o si siano costituiti, ma contestando il credito;

ovviamente, trattandosi di obbligazione solidale, l’ordinanza potrà essere emessa per l’intero

ammontare del credito, salvi i rapporti interni tra i condebitori solidali.

16 Trib. Trani 19.11.2004, in

www.giurisprudenzabarese.it, 2005; Cass. sez. III, 22 gennaio 1998, n. 609. Chiaramente, nel caso in cui il

riconoscimento della somma sia stato fatto a mero titolo transattivo, ciò discende dalla impossibilità di

configurare tale dichiarazione come una vera e propria ricognizione del debito; laddove, invece, la dichiarazione

stragiudiziale abbia i requisiti di cui all’art. 1988 c.c. o, addirittura, di una vera e propria confessione e risulti da

atto scritto, ricorreranno, eventualmente, i presupposti per l’emissione di ordinanza ex art. 186ter c.p.c.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Differente, però, dovrebbe essere la soluzione in ipotesi di litisconsorzio necessario o di

cause inscindibili, nel qual caso sarebbe più corretto presupporre, per l’emanazione

dell’ordinanza, la non contestazione da parte di tutti i litisconsorti17.

Come già accennato, distaccandosi rispetto alla formulazione dell’art. 423 c.p.c., la norma

in commento stabilisce che il giudice, a fronte dell’istanza e della non contestazione “può”

disporre il pagamento, così concedendogli un margine di discrezionalità nell’emanazione

dell’ordinanza; tale disposto è stato interpretato in maniera pressoché unanime dalla dottrina

nel senso che il giudice istruttore deve pur sempre valutare (sia pur in via meramente

sommaria) la sussistenza del credito non contestato, con particolare riguardo alla sua

fondatezza in diritto18.

Modi e termini di proposizione. L’ordinanza in esame può essere emessa soltanto su

apposita istanza di parte; in assenza di previsione legislativa, deve ritenersi la libertà di forma

di tale istanza, che potrà essere avanzata sia a verbale, sia con separata istanza o ricorso

scritti, anche fuori udienza (ipotesi adesso esplicitamente contemplata dalla novella del 2005);

chiaramente, la richiesta rientra nei poteri del difensore munito di regolare mandato, senza

necessità di procura speciale, dal momento che, avendo ad oggetto lo stesso petitum di causa

(o, addirittura, una parte di esso), non comporta alcuna modifica o novità.

La nuova previsione normativa (introdotta con L. 28.12.2005, n. 263), che impone al

giudice, in caso di istanza presentata fuori udienza, di disporre la comparizione delle parti,

con termine all’istante per la notifica alla controparte, non sembra rivestire una particolare

portata innovativa, tenuto conto che già in via interpretativa e di prassi si riteneva opportuno

sollecitare sempre il contraddittorio tra le parti sull’istanza in questione, soprattutto al fine di

verificare la sussistenza del presupposto della non contestazione (ed anche in ossequio alla

norma generale dell’art. 186 c.p.c., che impone al G.I. di pronunciare ogni suo provvedimento

su istanza delle parti, «sentite le loro ragioni»). La disposizione in commento, semmai,

conferma un dato già indicato, ovvero la impossibilità di pronunciare l’ordinanza in questione

inaudita altera parte (impossibilità che, a sua volta, è conseguenza della sua natura non

cautelare); certo, la presenza di una espressa disposizione legislativa che sancisce

17 Si potrebbe osservare come, vertendosi

necessariamente in materia di obbligazioni pecuniarie, le ipotesi di litisconsorzio necessario sono assai rare, se

non inesistenti (con la sola rilevante eccezione delle cause di risarcimento danni da sinistro stradale). 18 In giurisprudenza v. C. Appello Milano,

29.11.2002, in Giur. It. 2003, 1195.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

solennemente ciò che prima era solo attuato in via di prassi e, quindi, lasciato alla sensibilità

del singolo giudice, potrebbe portare alla logica conclusione che, in caso di violazione di tale

precetto normativo, l’ordinanza sia affetta da invalidità19 (che chiaramente, potrà essere fatta

valere nell’ambito del medesimo giudizio, con istanza di revoca della stessa ex art. 177

c.p.c.).

Non ci sembra, invece, che la disposizione normativa in commento possa esplicare una

particolare incidenza innovativa sul momento processuale in cui può essere emessa

l’ordinanza di pagamento delle somme non contestate, cioè, in particolare, autorizzandone la

pronuncia anche in epoca antecedente alla prima udienza.

Invero tale tesi – sostenuta da quasi tutti i commentatori della riforma20 – appare tanto

coerente e sostenibile teoricamente, quanto difficilmente realizzabile nella pratica: infatti, dal

momento che occorre necessariamente attendere la costituzione della parte e che questa può

avvenire (e di norma avviene) venti giorni prima dell’udienza, tenuto conto del tempo che

necessita all’attore per prendere visione della comparsa di risposta, verificare la non

contestazione, predisporre l’istanza e presentarla al giudice e, poi, del tempo che questi

impiega per ricevere la segnalazione dalla cancelleria e fissare l’udienza, il tutto dovendo

anche concedere un congruo termine che consenta all’istante di notificare il ricorso ed alla

controparte di avere un adeguato spatium deliberandi per esaminarlo, sarebbe già un ottimo

risultato se l’udienza per la discussione sull’istanza ex art. 186bis c.p.c. venisse fissata in

coincidenza con la prima udienza di comparizione (ora di trattazione); il tutto tenuto anche

conto del fatto che l’istanza, in quanto di natura non cautelare e priva del presupposto

dell’urgenza e del periculum in mora, non può giustificare una particolare speditezza di

trattazione.

Per la stessa ragione da ultimo segnalata, non si ritiene che il giudice sia vincolato a

fissare un’udienza ad hoc in caso di istanza proposta nell’intervallo tra due udienze istruttorie,

19 In tal senso v. M. DOMINICI, in Le Recenti

Riforme del Processo Civile – Commentario diretto da CHIARLONI, Bologna, 2007; l’autrice sostiene, inoltre, che

l’obbligo di notifica alla controparte non si applicherebbe nel caso in cui l’istanza sia contenuta nell’atto di

citazione, stante l’onere di notifica di tale atto comunque esistente; tuttavia, ci permettiamo di sottolineare come

l’ipotesi sia quanto meno irrealistica, dal momento che, nell’atto di citazione risulta impossibile sapere se il

convenuto si costituirà e se “non contesterà” le pretese attrici. 20 Tra gli altri, CONSOLO in Il processo civile

di riforma in riforma, Milano 2006 e TRISORIO LUZZI, in La riforma del processo civile, a cura di CIPRIANI e

MONTELEONE, Padova, 2007.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

qualora la data della udienza successiva sia particolarmente distante (ipotesi che, ahimè, è

assai frequente); la novella normativa, infatti, contrariamente a quanto sostenuto da

autorevole dottrina21, non impone al giudice la fissazione di una udienza “apposita” per la

trattazione dell’istanza, sicché questa ben potrà coincidere con altra data già fissata

nell’ambito del procedimento per altri incombenti processuali; tale interpretazione, beninteso,

non esclude che il giudice possa comunque individuare un’udienza ad hoc per la questione,

laddove lo ritenga opportuno.

Con riferimento al momento processuale in cui è proponibile l’istanza, nessun problema

sorge per l’individuazione del termine ultimo (dies ad quem), esplicitamente indicato dalla

legge nella precisazione delle conclusioni, da intendersi, ovviamente, come il momento in cui

le conclusioni vengono effettivamente precisate ed il giudice contestualmente trattiene la

causa in decisione ai sensi dell’art. 190 c.p.c.; l’istanza, pertanto, sarà proponibile anche nella

stessa udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, purché prima che i procuratori

abbiano materialmente precisato le conclusioni ed il giudice la abbia trattenuta in decisione,

poiché comunque, in tale ultimo caso, essendo stato avviato il processo decisionale, viene

meno qualsiasi esigenza anticipatoria ed inoltre, essendo la competenza ad emanare

l’ordinanza del giudice istruttore, si osserva come questi non sia più tale (anche nelle cause

monocratiche) una volta trattenuta la causa in decisione.

Nulla, chiaramente, impedisce alle parti di formulare l’istanza nei due anni e mezzo – tre

che intercorrono tra l’ultima udienza istruttoria e quella fissata per la precisazione delle

conclusioni (rendendo in tal caso, peraltro, operativa ed utile la novella del 2005 sulla

presentazione dell’istanza fuori udienza).

Qualche problema in più si è invece posto in ordine all’individuazione del dies a quo di

proposizione dell’istanza e di pronuncia dell’ordinanza; la norma, infatti, nulla dice in

proposito, ma a mio avviso (e ad avviso anche della prassi giurisprudenziale e della dottrina

prevalente), la apparente lacuna può essere facilmente colmata facendo riferimento ai

presupposti stessi dell’ordinanza, ovvero la necessaria costituzione delle parti e la non

contestazione, nonché il rispetto del principio del contraddittorio.

Quindi, in primo luogo, occorrerà come minimo attendere il termine di costituzione del

convenuto e poi, tenuto conto di quanto detto sopra in ordine alla possibile natura delle

contestazioni idonee ad impedire la pronuncia dell’ordinanza de qua (che possono anche

21 CONSOLO, cit.; in senso contrario ed

aderente alla tesi qui sostenuta, M. DOMINICI, cit.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

consistere in eccezioni di rito o di merito), occorrerà avere riguardo al termine ultimo per la

proposizione di tali eccezioni: di conseguenza, nel rito antecedente alla novella del 2005

(procedimenti già pendenti anteriormente al 1° marzo 2006), l’ordinanza non potrà

pronunciarsi prima della scadenza del termine ex art. 180 c.p.c. ante novella per la

proposizione delle eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio e, per motivi di

opportunità, non prima di aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, quindi, in

sostanza, il termine minimo sarà costituito dall’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c.

vecchio testo (mentre non ritengo che occorra attendere anche l’ulteriore termine ex art. 183,

5° comma, c.p.c. per la eventuale precisazione o modificazione delle domande, che non

influisce comunque sull’onere di tempestiva contestazione e potrebbe prestarsi a strategie

dilatorie).

Nel nuovo rito (per i procedimenti instaurati dal 1° marzo 2006), essendo stato anticipato

il termine preclusivo del vecchio art. 180 c.p.c. alla comparsa di costituzione ed essendo stato

eliminato il tentativo obbligatorio di conciliazione, non si ravvisa alcun ostacolo alla

pronuncia dell’ordinanza già in sede di prima udienza22, sempre avuto riguardo, ovviamente,

alla salvaguardia del contraddittorio, nel caso in cui l’istanza venga presentata all’udienza

stessa e la controparte chieda un termine per replicarvi.

Si discute in dottrina, se l’ordinanza in questione possa essere richiesta ed emessa anche

quando il giudizio è in stato di quiescenza (interruzione o sospensione), in assenza di una

esplicita previsione analoga a quella contenuta nell’art. 423, 1° comma, e nel successivo art.

186ter c.p.c. («in ogni stato del giudizio»).

Ritengo – d’accordo con la dottrina maggioritaria – che, in questo caso, il dato normativo

non possa essere eluso, poiché l’argomento a contrario (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit),

è particolarmente fondato, in base al confronto con le altre due norme citate e, soprattutto con

quella dell’art. 186ter c.p.c. introdotta dallo stesso testo legislativo, per cui non può pensarsi

che la mancata previsione sia frutto di mera omissione anziché di esplicita volontà del

legislatore di escludere tale ipotesi per l’ordinanza de qua; deve quindi valere la norma

22 Non ritengo, al proposito, corretta

l’argomentazione – già espressa sotto il vecchio rito a proposito del primo comma dell’art. 180 (attuale primo

comma dell’art. 183 c.p.c.) – fondata sulla tassatività dell’elencazione dei provvedimenti emanabili dal G.I. in

sede di prima udienza (in tal senso, sia pur a proposito dell’ordinanza 186ter, Trib. Roma 25.01.1996, in Giur.

Mer. 1996, I, 211), sia perché tale asserita tassatività non trova riscontro e ragione nella norma, sia perché la

soluzione frustrerebbe le esigenze anticipatorie dell’istituto, e ciò tanto più nel nuovo rito, dove, a seguito della

crasi realizzata tra le due prime udienze del vecchio rito, la successiva udienza dà già corso alla fase istruttoria.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

generale dell’art. 298 c.p.c. (richiamata dall’art. 304 c.p.c. in tema di interruzione), in assenza

di una deroga espressa; nemmeno può invocarsi, a sostengo della tesi contraria la regola che

consente, in caso di sospensione, il compimento degli atti urgenti23, appunto perché, come già

più volte ribadito, non si tratta di un provvedimento di natura cautelare e, quindi, non può

essergli riconosciuta alcuna urgenza. Si rileva, peraltro, come, in caso di interruzione, il

problema può essere facilmente superato su iniziativa delle parti, tramite la prosecuzione del

giudizio o l’istanza di riassunzione dello stesso, con contestuale richiesta ex art. 186bis c.p.c..

La competenza a decidere sull’ordinanza in questione è del giudice istruttore; trattasi di

competenza funzionale (Cass. sez. III, 22 gennaio 1998, n. 609) e, quindi, anche nelle cause

devolute al tribunale in composizione collegiale si avrà una pronuncia monocratica (ad

eccezione dei riti in cui anche l’istruzione è collegiale, come il rito agrario e quello

societario).

Efficacia. L’ordinanza (ovviamente, di accoglimento) costituisce titolo esecutivo, ma, in

assenza di esplicita previsione normativa (richiesta dall’art. 2818, secondo comma, c.c. per i

provvedimenti diversi dalle sentenze), non dà titolo all’iscrizione di ipoteca giudiziale, a

differenza di quanto avviene per l’ordinanza-ingiunzione ex art. 186ter c.p.c.24.

Regime di stabilità. Nell’ambito del procedimento l’ordinanza è assoggettata alla

disciplina delle ordinanze revocabili e modificabili ai sensi dell’art. 177 c.p.c. (con esclusione

del 3° comma, sul cui significato si è già detto sopra).

La revocabilità o modificabilità sono illimitate e non ancorate a particolari presupposti

(quali il mutamento di circostanze o fatti nuovi rispetto a quelli valutati al momento

dell’emissione), sicché possono essere pronunciate per qualsiasi motivo e, in sostanza,

consentono un completo riesame della questione da parte del giudice; l’istanza di revoca o

modifica, quindi, potrà essere utilizzata per far valere, ad esempio, vizi o illegittimità originari

dell’ordinanza, ma anche semplicemente in base a nuove deduzioni, magari in diritto, che

possano influire sulla sussistenza dei presupposti; in astratto, l’ordinanza potrebbe essere

revocata o modificata anche a seguito di una contestazione sopravvenuta, ma l’ipotesi si

scontra, o, quanto meno, trova un forte limite, nel regime delle preclusioni (al massimo,

23 In tal senso PROTO PISANI. 24 La Corte Costituzionale, sia pur con

riferimento all’art. 186quater c.p.c., ma con argomentazione che può trovare applicazione anche al caso di

specie, ha ritenuto conforme al dettato della Carta Fondamentale questa diversità di efficacia tra le due ordinanze

(sent. n. 357 del 25.07.2000).

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

potrebbe essere avanzata una contestazione “tardiva”, basata su una diversa prospettazione

giuridica o su una eccezione di rito o di merito rilevabile anche d’ufficio, salve le ipotesi di

rimessione in termini ex art. 184bis c.p.c.)25.

È invece astrattamente ipotizzabile il caso inverso, ovvero quello di una non

contestazione sopravvenuta, che potrebbe ad esempio configurarsi con una rinuncia ad una

domanda o ad una eccezione riconvenzionale; il che consentirebbe una pronuncia

dell’ordinanza, anche laddove in precedenza fosse stata rigettata, proprio sul presupposto

della contestazione fondata sulle domande poi rinunciate.

Dalla revocabilità e modificabilità dell’ordinanza e dal fatto che la stessa è destinata ad

essere assorbita dalla sentenza, non avendo quindi alcuna natura decisoria, deriva la sua non

impugnabilità, nemmeno con il mezzo del ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111

Cost.. Per gli stessi motivi (oltre che per l’esclusione della sua natura cautelare) l’ordinanza

non è neanche reclamabile26.

Infine, sempre sotto questo profilo, non si ritiene proponibile un giudizio di opposizione

all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. che sia fondato su ragioni di merito del diritto oggetto

dell’ordinanza, o di legittimità e validità dell’ordinanza stessa, essendo queste tutte questioni

da farsi valere necessariamente nell’ambito del giudizio in cui l’ordinanza è stata emessa

(mentre sarà chiaramente ammissibile un’opposizione fondata su questioni attinenti

esclusivamente ai profili esecutivi, quali, ad es. la impignorabilità dei beni, o la inefficacia

esecutiva del titolo, magari sotto il profilo soggettivo).

Particolarmente significativa, soprattutto delle finalità deflattive dell’istituto, è la

disposizione (comune a tutte e tre le ordinanze anticipatorie ordinarie), che prevede la

sopravvivenza dell’efficacia esecutiva in caso di estinzione, in deroga alla norma dell’art.

310, 2° comma, c.p.c. (prima della novella del 2005, tale caratteristica era un ulteriore indice

di differenza rispetto ai provvedimenti cautelari, che, in base al combinato disposto dei vecchi

artt. 669octies e novies c.p.c., perdevano efficacia in caso di estinzione del giudizio di merito).

25 Chiaramente, tali problematiche non si

pongono per i procedimenti regolati dal “vecchissimo” rito, ovvero quelli regolati dalla procedura ante novella

del 1990; in essi, infatti, in base alla previgente formulazione dell’art. 184 c.p.c. è possibile una precisazione e

modificazione delle domande sino al momento della rimessione della causa al collegio per la decisione. Si

ricorda, in proposito, che la norma transitoria di cui all’art. 90 della L. 353/90 rende applicabile l’art. 186bis

c.p.c. anche ai procedimenti pendenti alla data del 1° gennaio 1993. 26 Trib. Milano, 28.02.1994, in Gius 1994,

fasc. 10, 151; Giudice di Pace Bari, 22.07.1996, in Arch. Civ. 1996, 1176.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Controversa è la questione dei limiti di tale efficacia, se cioè debba ritenersi una mera

efficacia esecutiva o se, invece, l’ordinanza acquisisca l’attitudine al giudicato.

La scelta tra l’una o l’altra soluzione incide in maniera rilevante sulla effettiva portata

deflattiva dell’istituto (ed infatti è questa la principale considerazione svolta dai sostenitori

della tesi dell’efficacia di giudicato)27.

Pur consapevoli che la tesi della mera efficacia esecutiva possa determinare una notevole

riduzione del reale effetto deflattivo dell’ordinanza de qua, riteniamo che questa sia la tesi più

rispondente al dato normativo, sia interpretato in senso letterale, sia tenuto conto del dato

sistematico e dell’inquadramento teorico dell’istituto.

Sotto il profilo letterale la norma, dopo aver detto che l’ordinanza costituisce titolo

esecutivo, sancisce che in caso di estinzione del processo «conserva la sua efficacia», dando

così ad intendere che il provvedimento mantiene la stessa “forza” che aveva in origine, senza

acquisire portata o efficacia più ampie.

Ancora sotto il profilo dell’interpretazione normativa, si rileva l’assenza di una

disposizione che imponga al giudice la pronuncia sulle spese di lite, in caso di emissione di

ordinanza ex art. 186bis c.p.c. (a differenza di quanto avviene, invece, con le ordinanze 186

ter e quater c.p.c.), anch’essa significativo indice della volontà di non riconoscere natura

tendenzialmente definitiva al provvedimento.

Sotto il profilo sistematico, si osserva che, laddove il legislatore ha voluto stabilire

diversamente, lo ha fatto in maniera esplicita, come nel caso dell’efficacia post estinzione

dell’ordinanza ex art. 186quater c.p.c., o, comunque, ha fornito un diverso dato normativo,

27 In dottrina, per la tesi della conservazione

della mera efficacia esecutiva, tra gli altri, MANDRIOLI, COMOGLIO, CONSOLO, BALENA; contra a favore della

efficacia di giudicato sostanziale, quanto meno in termini di preclusione pro judicato, si sono pronunciati PROTO

PISANI, CARRATTA, SASSANI, CIVININI, nonché i colleghi ANDREA MIRENDA, in Giur. merito 1999, 1, 189 ed

ANTONIETTA SCRIMA, in Giur. merito 1998, 1, 137.

Discorso a parte merita il tentativo di

prospettare una soluzione intermedia, fatto dalla MERLIN op. cit. in nota 4, secondo cui, in estrema sintesi,

l’ordinanza dopo l’estinzione avrebbe una efficacia di preclusione esecutiva, comportando un’inversione

dell’onere probatorio in ordine all’accertamento in essa contenuto, ed impedendo che tale contestazione possa

essere esercitata sino alla conclusione del processo esecutivo. Pur apprezzando il notevole sforzo argomentativo

alla base della tesi (qui drasticamente semplificata per motivi di spazio), non la si ritiene condivisibile, per il

semplice motivo che manca di qualsiasi fondamento normativo, non essendo ravvisabile nell’attuale

ordinamento processuale nessuna norma o istituto dai quali trarre questa sorta di effetto solve et repete di natura

processuale.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

come nel caso dell’ordinanza ingiunzione ex art. 186ter c.p.c., ove è contenuto un rinvio alle

norme degli art. 647 e 653 c.p.c. (su cui vedi infra, § 2); tale confronto appare particolarmente

significativo, tenuto conto del fatto che si tratta di norme inserite nel codice simultaneamente

con lo stesso provvedimento legislativo, sicché non è possibile sostenere che il legislatore non

fosse consapevole di tali differenze di disciplina.

Sempre sotto il profilo sistematico, si rileva, poi, come il nostro ordinamento conosca

altre pronunce dotate di efficacia esecutiva, senza però gli effetti del giudicato, come le

ordinanze presidenziali ex art. 708 c.p.c. nei giudizi di separazione o divorzio (la cui efficacia

esecutiva anche in caso di estinzione del processo, è sancita dall’art. 189, comma 2°, disp. att.

c.p.c.) o l’ordinanza di condanna sommaria emessa ai sensi dell’art. 19 D.L.vo 5/03 nei

processi societari (la cui efficacia di giudicato è espressamente esclusa dal 5° comma della

norma stessa).

Con riferimento all’inquadramento teorico dell’istituto, la sua natura meramente

anticipatoria ed il suo carattere sommario portano ad escludere che lo stesso possa contenere

un accertamento pieno del diritto in esso fatto valere, tale da precludere qualsiasi

contestazione successiva; tale conclusione appare altresì coerente con la già rilevata

esclusione della natura di riconoscimento del diritto attribuita alla non contestazione.

Infine, si osserva come la soluzione che attribuisce all’ordinanza efficacia di giudicato,

anche nella limitata forma della preclusione pro judicato28, porrebbe seri problemi di

legittimità costituzionale, a fronte della già indicata non impugnabilità del provvedimento al

di fuori del processo stesso in cui è reso.

La soluzione qui accolta, comporta che il credito oggetto dell’ordinanza ex art. 186bis

c.p.c. pronunciata in un giudizio poi estintosi, possa essere contestato anche in un giudizio di

opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.29.

28 Sulla nozione della preclusione pro

judicato e sulla sua differenza con l’efficacia di giudicato ex art. 324 c.p.c. si rimanda alle pagine di REDENTI

Diritto Processuale Civile, Milano 1957; CARNELUTTI Istituzioni, Roma 1956 e PROTO PISANI Le tutele

giurisdizionali dei diritti, Napoli 2003. 29 Così espressamente, CONSOLO. Certo, la

soluzione qui prospettata si presterebbe a tattiche surrettizie, dato che l’intimato ex art. 186bis c.p.c. potrebbe

avere tutto l’interesse a provocare l’estinzione del giudizio, nel quale ormai gli è preclusa qualsiasi contestazione

tardiva del credito, per poter poi avanzare tale contestazione in sede di opposizione all’esecuzione, aggirando le

preclusioni del procedimento ordinario, con buona pace di ogni intento deflattivo. Si può osservare – a

prescindere dalla ineludibilità dei dati normativi e sistematici sopra evidenziati – che, da un lato, l’estinzione del

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

2. L’ordinanza – ingiunzione ex art. 186ter c.p.c.

Art. 186-ter.(1)

(Istanza di ingiunzione)

«Fino al momento della precisazione delle conclusioni, quando ricorrano i presupposti di

cui all’art. 633, primo comma, n. 1), e secondo comma, e di cui all’art. 634, la parte può

chiedere al giudice istruttore, in ogni stato del processo, di pronunciare con ordinanza

ingiunzione di pagamento o di consegna. Se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice

dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione.(2)

L’ordinanza deve contenere i provvedimenti previsti dall’art. 641, ultimo comma, ed è

dichiarata provvisoriamente esecutiva ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 642, nonché,

ove la controparte non sia rimasta contumace, quelli di cui all’art. 648, primo comma. La

provvisoria esecutorietà non può essere mai disposta ove la controparte abbia disconosciuto

la scrittura privata prodotta contro di lei o abbia proposto querela di falso contro l’atto

pubblico.

L’ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177 e

178, primo comma.

Se il processo si estingue l’ordinanza che non ne sia già munita acquista efficacia

esecutiva ai sensi dell’art. 653, primo comma.

Se la parte contro cui è pronunciata l’ingiunzione è contumace, l’ordinanza deve essere

notificata ai sensi e per gli effetti dell’art. 644. In tal caso l’ordinanza deve altresì contenere

l’espresso avvertimento che, ove la parte non si costituisca entro il termine di venti giorni

dalla notifica, diverrà esecutiva ai sensi dell’art. 647.

L’ordinanza dichiarata esecutiva costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca

giudiziale.»

(1) Articolo aggiunto dall’art. 21, Legge 26 novembre 1990, n. 353.

(2) Periodo aggiunto dalla legge 263/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006.

Natura e funzione. Anche questa ordinanza è stata introdotta dalla novella del ’90 e trova

il suo antecedente istituzionale nel procedimento monitorio, introducendo una sorta di decreto

giudizio non è possibile senza la “collaborazione” di entrambe le parti e che, dall’altro lato, un limite alla

contestabilità dell’ordinanza de qua e del credito in essa intimato in sede di opposizione esecutiva, potrebbe

porsi sul piano probatorio, tenuto conto dell’effetto latamente confessorio rivestito dalla non contestazione.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

ingiuntivo in corso di causa. A parte la comune natura anticipatoria (che però, a stretto rigore,

spetta solo all’ordinanza che sia dichiarata provvisoriamente esecutiva), la stessa persegue

l’interesse di evitare all’avente diritto di subire un abuso del diritto di difesa da parte del suo

contraddittore; tale esigenza è soddisfatta mediante la tecnica di assicurare tutela immediata

ad un credito fornito di una prova particolarmente qualificata, a fronte di contestazioni, che,

invece, non hanno la stessa pregnanza probatoria.

Ambito di applicazione. Anche in questo caso l’ambito di applicazione è ristretto alla

condanna al pagamento di somme, ma comprende anche la consegna di beni, parallelamente a

quanto stabilito in tema di decreto ingiuntivo (oltre che di ordinanza post istruttoria ex art.

186quater c.p.c.). L’assenza di specificazione dell’oggetto della consegna, può essere

facilmente colmata con il richiamo all’art. 633 c.p.c., per cui la consegna dovrà riguardare una

determinata quantità di cose fungibili o una cosa mobile determinata.

Alla stregua di tale limitazione oggettiva è dubbio – come già rilevato a proposito

dell’ordinanza 186bis – se l’ingiunzione possa essere pronunciata per obbligazioni pecuniarie

o restitutorie che sorgano da pronunce costitutive, dovendosi comunque sostenere che, in caso

di soluzione affermativa, la prova scritta dovrà avere ad oggetto anche i presupposti della

pronuncia costitutiva30.

Presupposti sostanziali. I presupposti per la emissione di tale ordinanza sono i medesimi

del decreto ingiuntivo, essendo espressamente richiamati gli artt. 633 e 634 c.p.c., con la sola

esclusione delle ipotesi previste dai nn. 2 e 3 dell’art. 633 e dall’art. 635 (rispettivamente,

crediti per onorari di avvocati o notai e crediti dello Stato e degli enti pubblici).

Ritengo che il mancato richiamo alle fattispecie di cui ai nn. 2 e 3 del primo comma

dell’art. 633 c.p.c. vada correttamente inteso nel senso di impedire la pronuncia

dell’ordinanza-ingiunzione in corso di causa sulla sola base della allegazione delle parcelle di

cui all’art. 636 c.p.c. e non già come esclusione tout court dall’ambito applicativo oggettivo

della norma, dei crediti per onorari di avvocati e notai; in sostanza, la questione, a mio avviso,

30 Trib. Genova, 27.05.1998, in Fallimento

1999, 333, ammette l’ordinanza in caso di azione revocatoria fallimentare; contra Trib. Milano 6.03.1995, in

Fallimento 1995, 774 nota PATELLI; Trib. Pinerolo 25.01.1998, in Fallimento 1998, 1079 osservazione FABIANI

la ammette in ipotesi di azione di inefficacia di pagamenti eseguiti dopo il fallimento ex art. 44 l.fall., ipotesi che

però, come già osservato supra in nota 5, configura una domanda di natura dichiarativa.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

va affrontata sotto il profilo della idoneità probatoria della documentazione e non sotto quello

della natura del credito fatto valere31.

Ciò vuol dire che, qualora il professionista (ma il discorso vale anche per lo Stato e gli

enti pubblici), fornisca prova scritta adeguata dei propri crediti per prestazioni giudiziali o

stragiudiziali, ben potrà ottenere l’emissione di ordinanza ex art. 186ter c.p.c. (si pensi, ad es.,

ad un riconoscimento di debito proveniente dal cliente o alla produzione del mandato ad litem

e degli atti del procedimento per il quale è stata prestata l’opera); diversamente argomentando

si giungerebbe ad una soluzione irragionevolmente discriminatoria nei confronti di

determinati crediti (che rientrano pur sempre nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie quali

corrispettivi per una prestazione contrattuale), fondata sulla sola natura delle prestazioni, e

che si porrebbe (questa sì) certamente in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza

e di tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 3 e 24 Cost.)32.

In pratica il legislatore ha voluto soltanto porre una limitazione della nozione e della

valenza di prova scritta rispetto a quella adottata in materia di decreto ingiuntivo, tenendo

conto della particolare struttura del provvedimento ex art. 186ter c.p.c., il quale si inserisce

necessariamente all’interno di un procedimento a contraddittorio instaurato (a differenza del

procedimento monitorio, in cui la fase in contraddittorio è meramente eventuale), ed

escludendo quindi da tale nozione quei documenti a formazione prettamente unilaterale, privi,

come tali, di una vera e propria valenza probatoria qualora siano contestati (perfettamente in

linea, del resto, con quanto già sancito dalla giurisprudenza consolidata in tema di valenza

31 È questo il senso ricavabile dalla

motivazione dell’ordinanza C.Cost. n. 237 del 16.06.2005, che ha dichiarato manifestamente infondata la q.l.c.

della norma in esame, nella parte in cui escludeva appunto, i crediti di cui al n. 2 dell’art. 633 c.p.c.; la stessa

ratio, del resto, emerge anche dalle altre due pronunce della Consulta in materia (ord. n. 545 del 4.12.2000 e

sent. n. 295 del 5.07.1995), con le quali sono state rigettate le q.l.c. della norma stessa in relazione all’esclusione,

rispettivamente, delle ipotesi di cui ai nn. 2 e 3 art. 633 e di cui all’art. 635 c.p.c., sempre sostenendo la

legittimità della scelta del legislatore sotto il profilo della inidoneità probatoria dei documenti e non già della

natura dei crediti. 32 Certo, potrà rilevarsi che la questione ha

scarsa incidenza pratica, dato che, il più delle volte, l’avvocato preferirà avvalersi della più agile procedura

monitoria, o, per gli onorari da processo civile, della procedura speciale di cui alla L. 13.06.1942, n. 794, ma è

pur vero che non è escluso il ricorso all’art. 186ter c.p.c., quando, ad es., il professionista sia stato convenuto in

un giudizio per responsabilità professionale e voglia far valere in via riconvenzionale, il credito per i suoi

onorari.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

probatoria delle fatture e delle parcelle nell’ambito del procedimento di opposizione a decreto

ingiuntivo, ove vigono le ordinarie regole in tema di onere probatorio)33.

Per il resto, con riferimento al concetto di prova scritta, si rimanda alla ormai cospicua e

consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di provvedimento monitorio34.

Proprio la peculiare struttura del “procedimento monitorio in corso di causa” porta a

ritenere che il giudice non sia vincolato ad emettere il provvedimento alla ricorrenza dei suoi

presupposti formali, ma debba invece – così come avviene per le altre due ordinanze

anticipatorie – valutare discrezionalmente la prova scritta a supporto dell’istanza di

ingiunzione, alla luce delle complessive difese della controparte (qualora sia costituita) ed

anche, ovviamente, della fondatezza in iure del credito fatto valere (ivi compresa la

valutazione di eventuali eccezioni in rito).

Non si ritiene corretta la tesi contraria35, sia perché non ancorata ad alcun dato testuale

non equivoco (se è vero che la norma non contiene la medesima espressione degli artt. 186bis

e quater per cui il G.I. “può” emettere l’ordinanza, è pur vero che l’articolo in commento

adotta una formulazione affatto diversa, che non può essere confrontata con quella delle altre

due norme), sia perché contraria alla ratio ed alla struttura stessa dell’istituto, come sopra

delineate. L’impostazione qui accolta, peraltro, ha avuto l’autorevole avallo della Corte

Costituzionale (sent. n. 180 del 22.06.2004) che, nel rigettare la questione di legittimità

costituzionale dell’art. 186ter c.p.c. nella parte in cui conferisce valenza probatoria anche agli

estratti autentici delle scritture contabili ex art. 634 c.p.c., ha precisato che tali scritti «vanno

33 Ex multis, Cass. sez. I, n. 9685 del

24.07.2000 e sez. III, n. 17371 del 17.11.2003. 34 Non ritengo assolutamente sostenibile

l’ipotesi formulata da parte di una dottrina, che vorrebbe come prova scritta idonea anche il verbale di una prova

costituenda assunta in corso di causa (in particolare, CIRULLI), poiché tale impostazione, a mio parere, confonde

l’aspetto della natura e provenienza della prova con quello del sostrato materiale in cui la stessa è trasfusa; in

pratica la dichiarazione testimoniale, pur quando è contenuta nel verbale di udienza, resta pur sempre una

dichiarazione proveniente da un terzo, che, come tale, non può integrare i requisiti del “documento” vero e

proprio. Diverse sono le ipotesi di confessione giudiziale a seguito di interpello formale o di dichiarazione

confessoria resa in sede di interrogatorio libero (sulle quali v., rispettivamente, CARRATTA e ATTARDI, opp.

citt.), poiché in tali casi si è di fronte a delle vere e proprie dichiarazioni provenienti dal debitore (anche se le

stesse potrebbero, più propriamente, fondare una pronuncia ex art. 186bis c.p.c. o, se richiesta a conclusione

dell’istruttoria, ex art. 186quater c.p.c.). 35 In dottrina sostenuta da BUCCI – CRESCENZI

– MALPICA, Manuale pratico del nuovo processo civile, Padova 1995 e da COMOGLIO, in Taruffo cit..

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

apprezzati dal giudice, inizialmente o nel prosieguo, nel quadro complessivo delle emergenze

processuali»36.

Il richiamo, infine, al secondo comma dell’art. 633 c.p.c. rende operante anche in questa

sede l’ulteriore requisito della prova della condizione sospensiva o della controprestazione,

qualora il diritto azionato dipenda da una di esse.

Modi e termini di proposizione. L’ordinanza può essere emessa solo su istanza di parte;

come già visto a proposito dell’art. 186bis c.p.c., in assenza di previsione legislativa, deve

ritenersi la libertà di forma di tale istanza, che potrà essere avanzata sia a verbale, sia con

separata istanza o ricorso scritti, anche fuori udienza (ipotesi adesso esplicitamente

contemplata dalla novella del 2005); chiaramente, la richiesta rientra nei poteri del difensore

munito di regolare mandato, senza necessità di procura speciale, dal momento che, avendo ad

oggetto lo stesso petitum di causa (o, addirittura, una parte di esso), non comporta alcuna

modifica o novità; proprio per questo, peraltro, si ritiene che l’istanza, ove richiesta nei

confronti della parte contumace, non debba essergli notificata ex art. 292 c.p.c. (sulla

questione, anche alla luce della novella del 2005, v. infra).

Quanto al momento processuale nel quale l’istanza è proponibile e l’ordinanza

emanabile, anche qui non sorgono problemi in ordine al dies ad quem, espressamente indicato

dalla norma nella precisazione delle conclusioni; ribadiamo, in proposto, le considerazioni già

svolte sull’ordinanza ex art. 186bis c.p.c. (v. supra pag. 11).

Analoghe considerazioni a quelle svolte a commento dell’art. 186bis c.p.c. vanno poi fatte

anche con riferimento al dies a quo per la pronuncia dell’ordinanza, da individuarsi, per il rito

antecedente alla novella del 2005, nella prima udienza di trattazione e, per i procedimenti

instaurati dopo il 1° marzo 2006, nella prima udienza di cui al novellato art. 183 c.p.c.; ciò

perché, anche se l’ordinanza in esame può essere emessa pure nei confronti della parte

contumace, occorre pur sempre verificare tale presupposto (verifica che può essere fatta solo

alla prima udienza di comparizione), dal momento che la sua sussistenza implica notevoli

differenze di disciplina, in particolare con riguardo alla provvisoria esecutività.

L’unica precisazione da farsi è che, stante la diversità di presupposti, potrebbe ritenersi

che anche nel vecchio rito, l’ordinanza possa essere emanata subito alla prima udienza (quella

di comparizione ex art. 180 c.p.c.), poiché il termine ex art. 180, 2° comma, c.p.c. per la

proposizione delle eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio – mentre è influente

36 Conformi, nel merito: Pretura Salerno,

26.11.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 430 e Trib. Nola, sez. II, 26.07.2005, in Juris Data 2005.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

sulla configurabilità del requisito della non contestazione – potrebbe, invece, considerarsi non

rilevante in ordine alla concedibilità del provvedimento in questione.

La novella del 2005 ha inserito anche nell’art. 186ter c.p.c. l’inciso, per cui «se l’istanza è

proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il

termine per la notificazione»; valgono anche qui tutte le considerazioni già svolte sopra

(pagg. 9 e 10) sull’art. 186bis c.p.c..

L’unica questione peculiare alla sola ordinanza ex art. 186ter c.p.c. riguarda il caso di

contumacia della parte nei confronti della quale è chiesta l’ingiunzione, ponendosi il dubbio, a

fronte della nuova disposizione introdotta, se anche in tale ipotesi debba essere fissata udienza

di comparizione delle parti con la previa notifica (al contumace) dell’istanza e del decreto del

giudice. Tale soluzione, pur prospettata in dottrina37, non ci sembra condivisibile, poiché

come già sostenuto sotto la vigenza della disciplina precedente, l’istanza ex art. 186ter c.p.c.

non rientra tra gli atti da notificare necessariamente al contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c.,

poiché non introduce nessuna domanda nuova, dovendo avere ad oggetto solo un credito già

dedotto in causa; tale ratio non appare variata dalla modifica legislativa in commento, che,

laddove avesse voluto sancire un obbligo di provocatio ad opponendum anche anteriore alla

emissione dell’istanza nei confronti del contumace (dato che, dopo la sua emissione, ed ai fini

della acquisizione dell’efficacia esecutiva tale provocatio è già prevista dal comma 5°),

avrebbe dovuto farlo, a mio avviso, in maniera più esplicita; peraltro, non si possono

nemmeno invocare ragioni di tutela del contraddittorio (che è già garantito dalla conoscenza

che ha comunque il contumace del provvedimento), anche perché, ragionando in questi

termini, non si spiegherebbe come mai l’obbligo di notifica sia stabilito solo per l’istanza

proposta fuori udienza e non anche per quella avanzata in udienza, dal momento che, agli

occhi del contumace, le due ipotesi si equivalgono perfettamente.

Differente rispetto all’ordinanza per il pagamento di somme non contestate è, invece, la

disciplina dell’ordinanza de qua negli stati di quiescenza del giudizio, dal momento che l’art.

186ter, 1° comma, c.p.c. riporta l’inciso «in ogni stato del processo», sicché l’ordinanza

ingiunzione dovrebbe poter essere richiesta ed emessa anche in fase di interruzione o

sospensione del procedimento.

37 DOMINICI, in Commentario diretto da

Chiarloni, cit. e CEA, L’ordinanza ingiuntiva nei confronti del contumace, in Foro It. 2006, I, 3084; contra, per

l’applicabilità alla sola ipotesi di controparte costituita, BALENA e CONSOLO.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Una attenta dottrina ha proposto una soluzione differente, a seconda che il processo sia

solo sospeso o interrotto, ammettendo l’emissione dell’ordinanza solo nel primo caso e non

nel secondo, soprattutto per esigenze di salvaguardia del contraddittorio nei confronti della

parte colpita dall’evento interruttivo38. La soluzione è sicuramente apprezzabile, ma si

osserva come la preoccupazione di salvaguardia del contraddittorio risulti ormai superata

proprio dalla disposizione introdotta dalla novella del 2005 (sicuramente applicabile alle

ipotesi in esame, in cui l’istanza deve necessariamente essere avanzata fuori udienza) e,

inoltre, si rileva che l’eventuale ostacolo alla pronuncia in fase di interruzione può essere

facilmente rimosso su iniziativa della parte interessata, mediante la riassunzione del giudizio

ai sensi dell’art. 303 c.p.c. (possibilità che è invece preclusa dalla sospensione, la cui durata

dipende, di solito, da un evento estraneo alla volontà delle parti processuali).

La competenza a decidere spetta sempre al giudice istruttore ed ha natura funzionale,

quindi anche nelle cause collegiali si avrà una pronuncia monocratica (ad eccezione dei riti in

cui anche l’istruzione è collegiale, come il rito agrario e quello societario).

Efficacia. L’ordinanza ex art. 186ter c.p.c., a differenza di quelle ex artt. 186bis e quater,

non è necessariamente dotata di immediata esecutività, dovendo questa essere concessa dal

giudice, al ricorrere di presupposti ulteriori rispetto a quelli necessari per la sua emanazione.

Tali presupposti sono i medesimi in base ai quali può essere concessa la provvisoria

esecutività al decreto ingiuntivo sia ante causam, sia in corso di giudizio di opposizione,

essendo richiamati dalla norma gli artt. 642 e 648 c.p.c.; chiaramente la prima norma è l’unica

applicabile nel caso in cui l’intimato sia contumace (non esistendo, in questo caso, alcuna

opposizione che possa essere fondata su prova scritta o di pronta soluzione), mentre le ipotesi

di cui all’art. 648 c.p.c. saranno valutabili nei confronti della parte costituita.

Sul punto, a fronte dell’ambiguità lessicale della norma (che usa la congiunzione

“nonché” per distinguere le due ipotesi) si è formato un orientamento (peraltro minoritario)

secondo il quale, in caso di parti costituite, debbano ricorrere entrambi i requisiti

cumulativamente39; la tesi appare troppo rigorosamente ancorata al dato letterale ed

38 CONTE, L’ordinanza di ingiunzione nel

processo civile, Padova 2003. 39 Trib. Como 23.02.2000, in Giur. It, 2001,

515 e Trib. Como 21.02.2000, in Foro It. 2000, I, 3645, con nota critica di CEA; in dottrina, BORGHESE e

COMOGLIO.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

eccessivamente penalizzante per l’istante, che raramente riuscirebbe ad ottenere la esecutività

dell’ordinanza.

È quindi preferibile la tesi, affermatasi nella giurisprudenza di merito, secondo cui i due

presupposti devono essere intesi come alternativi e non cumulativi, nel senso che la

provvisoria esecutività nei confronti della parte costituita potrà essere concessa o al ricorrere

delle ipotesi di cui all’art. 642 c.p.c. o a quelle dell’art. 648 c.p.c.40.

Si registra peraltro, in dottrina, un terzo orientamento, che scinde nettamente le due

ipotesi, sostenendo che l’art. 642 c.p.c. sia applicabile solo in caso di contumacia, mentre tra

le parti costituite operi solamente l’art. 648 c.p.c., poiché nel contraddittorio il G.I. non

potrebbe comunque prescindere dalla valutazione delle difese, anche a fronte di credito

fondato su cambiale o assegno41.

Appare comunque preferibile l’interpretazione seguita dalla giurisprudenza maggioritaria,

poiché il legislatore ha voluto sostanzialmente introdurre una sorta di decreto ingiuntivo in

corso di causa e, quindi, mancando in tal caso la fase inaudita altera parte, ha voluto

comunque concedere al creditore (fornito di prova scritta) gli stessi strumenti che egli avrebbe

avuto a disposizione ove si fosse avvalso della procedura monitoria, ivi compresa la

possibilità di ottenere l’esecutività in base ai requisiti di cui all’art. 642 c.p.c..

Il problema sollevato dalla dottrina sopra citata (in nota 40) deve essere invece risolto

sotto il profilo della discrezionalità da parte del giudice nel concedere la provvisoria

esecuzione all’ordinanza ingiunzione, discrezionalità che deve sussistere anche nei casi di

credito fondato su cambiale o assegno o su documento proveniente dal debitore (casi che, nel

procedimento monitorio tradizionale, costituiscono ipotesi di automatica concessione

dell’esecutività); ciò risponde alla più volte sottolineata peculiarità strutturale rispetto al

decreto ingiuntivo, dell’istituto in esame, che, in quanto inserito in un procedimento a

contradditorio già instaurato, non può prescindere da una valutazione della prova scritta alla

luce delle difese e delle altre risultanze probatorie di causa.

40 Trib. Catania, 27 gennaio 2004, in Foro It.

2004, I, 1629; Trib. Chiavari, 7 giugno 2003, in Nuova giur. civ. commentata 2004, I, 135; Trib. Firenze, 21

giugno 2001, in Foro toscano 2002, 37; Trib. Chiavari, 13 marzo 2001, in Foro It. 2001, I, 2358; Trib. Torino,

25 giugno 1994, in Giur. It. 1995, I, 2, 89. 41 CONTE, BALENA, PROTO PISANI, TARZIA,

CEA, il quale ultimo rileva, ad esempio, che non potrebbe concedersi l’esecutorietà nel caso di credito fondato su

titolo di credito, ma a fronte di un’eccezione di pagamento o di estinzione del debito, fondate su prova scritta.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Viene meno, invece, la discrezionalità del G.I. sulla concessione della provvisoria

esecutorietà, nell’ipotesi espressamente disciplinata dall’ultimo periodo del 2° comma

dell’art. 186ter c.p.c., cioè in caso di scrittura privata disconosciuta o di atto pubblico

querelato di falso42, laddove la legge vieta al giudice di concedere la provvisoria esecutività

dell’ordinanza; la formulazione della norma implica che, in tali casi, il G.I. possa comunque

emettere l’ordinanza43, pur senza la clausola di provvisoria esecuzione, che eventualmente

potrà essere acquisita in caso di estinzione del giudizio (o di modifica successiva

dell’ordinanza).

Qualora l’ordinanza sia provvista di esecutività, la stessa costituisce, espressamente, titolo

per l’iscrizione di ipoteca giudiziale; in giurisprudenza, si registra un contrasto tra chi sostiene

che l’ordinanza-ingiunzione esecutiva sia idonea a provocare gli effetti di cui all’art. 686

c.p.c. (conversione del sequestro conservativo in pignoramento) e chi lo nega, attribuendo tali

effetti alla sola sentenza44.

L’ordinanza-ingiunzione nei confronti del contumace. Si è già detto della possibilità

(rispetto all’ordinanza 186bis c.p.c.) che l’ordinanza in commento possa essere emessa anche

nei confronti della parte contumace e si sono già anche esposti alcuni aspetti relativi a tale

ipotesi (notifica dell’istanza, presupposti per la concessione della provvisoria esecutività).

Merita, però, di essere trattata a parte, stanti le numerose peculiarità che la caratterizzano,

l’ipotesi prevista e regolata dal 5° comma dell’art. 186ter c.p.c., ove è stabilito che

l’ordinanza emessa nei confronti del contumace deve essere notificata nei termini di cui

all’art. 644 c.p.c. (60 giorni se deve notificarsi nel territorio dello stato; 90 negli altri casi) e

42 È stato attentamente osservato come la

norma ometta l’ipotesi della scrittura privata non disconosciuta, ma successivamente querelata di falso

(SASSANI), ipotesi in cui va ricompreso il caso della scrittura privata di cui sia contestato l’abusivo riempimento

del foglio firmato in bianco (v. sul punto Cass. sez. III, n. 5245 del 10/03/2006 e sez. II, n. 18059 del

27/08/2007); la rilevata lacuna è chiaramente colmabile in via interpretativa. 43 ATTARDI ha osservato che, in tali ipotesi,

mancherebbero in realtà i presupposti per la stessa emanazione dell’ordinanza, essendo in radice contestata la

stessa valenza del documento quale prova scritta; ritengo che sia preferibile non stabilire automatismi di sorta né

in un senso, né nell’altro, in maniera da lasciare alla discrezionalità del giudice (in base alla apparente fondatezza

o meno del disconoscimento) la scelta se emettere o meno l’ordinanza di condanna non esecutiva, pur con tutte

le perplessità sulla effettiva utilità di un simile provvedimento (solo eventuale, in caso di estinzione). 44 Nel primo senso Trib. Roma, 10.06.2003,

in Giur. Merito 2003, 2424 e Trib. Monza, 30.01.2003, in Giur. It. 2003, 895; contra Pretura Milano,

18.05.1998, in Giur. It. 1999, 2085, nota CONTE.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

contenere l’espresso avvertimento che, qualora l’intimato non si costituisca entro 20 giorni

dalla notifica, l’ordinanza diverrà esecutiva ai sensi dell’art. 647 c.p.c..

Sotto il profilo procedurale, si nota, in primo luogo, la differenza del termine per la

costituzione, rispetto a quello previsto dall’art. 641 c.p.c. per l’opposizione a decreto

ingiuntivo45; la differenza è giustificata con la diversità di situazioni, poiché da un lato, nel

caso che ci interessa, vi è già un contraddittorio instaurato e l’intimato è a conoscenza

dell’instaurazione del procedimento46 e, dall’altro, la norma richiede, per impedire l’acquisto

dell’efficacia esecutiva, la mera costituzione e non già l’opposizione.

Sarà, quindi, sufficiente, per il contumace intimato, costituirsi in giudizio entro i venti

giorni per impedire che si perfezioni la fattispecie ai sensi dell’art. 647 c.p.c.; ovviamente, la

costituzione non incide, invece, sul diverso aspetto della provvisoria esecutività

dell’ordinanza, sia che questa sia già stata concessa sulla base dei presupposti di cui all’art.

642 c.p.c., sia se venga pronunciata successivamente alla costituzione del contumace ex art.

648 c.p.c.. Nel primo caso, certamente, il contumace costituitosi potrà chiedere la revoca

dell’ordinanza o, per lo meno, della clausola di provvisoria esecuzione, sulla base delle sue

difese; a tale proposito, però, occorre precisare – come rilevato dalla dottrina pressoché

unanime – che la costituzione del contumace entro i 20 giorni dalla notifica dell’ordinanza, è

tempestiva solo con riferimento alla procedura ingiuntiva, senza che incida sul diverso aspetto

della tempestività all’interno del procedimento di merito, nel senso che, a seconda del

momento in cui avviene la costituzione, saranno operanti le preclusioni già maturatesi sino ad

allora, ai sensi degli artt. 167, 180, 183 e 184 c.p.c. (e salva la possibilità, ove ne sussistano i

presupposti, di ottenere la rimessione in termini ex art. 184bis e 294 c.p.c.); in qualsiasi

momento del processo si costituisca, il contumace potrà però disconoscere le scritture contro

di lui prodotte (art. 293, 3° comma, c.p.c.), in maniera tale da poter chiedere sicuramente la

revoca della provvisoria esecutività dell’ordinanza eventualmente già concessa, ai sensi del 2°

comma dell’art. 186ter c.p.c..

La dottrina concordemente ritiene applicabile un’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650

c.p.c. (del resto richiamato dall’art. 647 c.p.c. e, quindi, indirettamente anche dalla norma in

45 In realtà i due termini inizialmente

coincidevano, ma poi il D.L. 18.10.1995, n. 432, convertito con modificazioni con L. 20.12.1995, n. 534, ha

modificato il solo termine dell’art. 641 c.p.c. senza toccare quello di cui all’art. 186ter c.p.c.. 46 In tal senso Cass. sez. III, 6.06.2006, n.

13252, in motivazione.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

esame), pena la censura di illegittimità costituzionale della norma sul punto; chiaramente ciò

non vuol dire che l’intimato debba instaurare un autonomo giudizio di opposizione avverso

l’ordinanza, ben potendo costituirsi nel processo di merito nell’ambito del quale la stessa è

stata pronunciata, sia pure oltre il termine di venti giorni di cui al 5° comma art. 186ter c.p.c.

(ovviamente, laddove il giudizio non sia più pendente, l’intimato non potrà che instaurarne

uno autonomo). Anche in questa ipotesi, peraltro, occorrerà pur sempre distinguere i due piani

della tempestività dell’opposizione all’ordinanza da un lato, e della tempestività di

costituzione del giudizio dall’altro, poiché l’applicazione dell’art. 650 c.p.c. presuppone un

difetto della notifica dell’ordinanza e non già dell’atto di citazione e, quindi, consente una

costituzione anche oltre i venti giorni di cui all’art. 186ter 5° comma, c.p.c., ma non sana le

preclusioni processuali maturate sino a quel momento47.

La dottrina ritiene altresì applicabile il limite ultimo previsto dall’art. 650 c.p.c. per

l’opposizione tardiva, ovvero il decimo giorno dal primo atto di esecuzione.

Sempre sotto il profilo strettamente processuale, si osserva come la notifica

dell’ordinanza debba essere eseguita «ai sensi e per gli effetti» dell’art. 644 c.p.c., sicché il

rinvio a tale norma non riguarda solo i termini in essa imposti, ma anche le conseguenze della

mancata, inesistente o tardiva notifica dell’ordinanza, che ne comportano l’inefficacia, così

come avviene per il decreto ingiuntivo; alla stessa stregua del decreto ingiuntivo non

notificato, tale inefficacia, però, dovrà essere fatta valere dall’intimato ed anche in questa

ipotesi si ritiene che lo strumento principale sia la costituzione nel giudizio di merito ancora

pendente, anche se non può escludersi il ricorso alla procedura di cui all’art. 188 disp. att.

c.p.c. (si pensi al caso del contumace che non abbia comunque interesse a costituirsi nel

merito, ma voglia solo far valere il vizio di notifica dell’ordinanza).

Ma l’aspetto sicuramente più problematico dell’ipotesi in esame è quello attinente

all’efficacia da riconoscere all’ordinanza non opposta da parte del contumace, problema che

si pone sostanzialmente negli stessi termini per il caso di sopravvivenza dell’efficacia

esecutiva a seguito di estinzione del giudizio (su cui v. infra).

Una parte della dottrina nega che tale efficacia si estenda sino ad avere gli effetti del

giudicato o, quanto meno, di una preclusione pro judicato, ritenendo che si tratti di una mera

efficacia esecutiva (alla stessa stregua dell’ordinanza ex art. 186bis c.p.c.)48; gli argomenti a

47 Così, CEA in Foro It. 2006, cit. 48 In dottrina, ATTARDI, CECCHELLA,

BORGHESI, COMOGLIO, CIRULLI e CONSOLO.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

sostegno di tale tesi sono ravvisati per lo più nel dato testuale (che rinvia all’art. 647 c.p.c.

solo “ai sensi” e non anche “per gli effetti”), e nella considerazione della natura interinale,

sommaria e provvisoria dell’ordinanza in commento, soprattutto avuto riguardo alla sua

revocabilità e modificabilità, che appaiono incompatibili con l’immutabilità propria del

giudicato; per questa tesi, quindi, anche nel caso in cui l’ordinanza abbia pronunciato

sull’intera domanda oggetto del giudizio, questo dovrà proseguire sino alla sentenza, destinata

comunque ad assorbire il provvedimento ordinatorio.

Viceversa, un altro orientamento dottrinale ritiene che la disciplina dell’ordinanza-

ingiunzione non opposta dal contumace in termini, debba essere in tutto e per tutto parificata,

quanto agli effetti, al decreto ingiuntivo non opposto49, con la conseguenza che si forma il

giudicato interno sul credito oggetto dell’ordinanza (che può o meno coincidere con l’intera

domanda oggetto del giudizio).

Quest’ultima tesi appare preferibile, in quanto più in linea con il testo e la ratio della

norma, nonché più ragionevole e coerente con il dato sistematico.

In primo luogo, infatti, non si vede perché il legislatore avrebbe dovuto rinviare all’art.

647 c.p.c., pur consapevole della portata che a tale norma viene attribuita dalla legge (cfr. art.

656 c.p.c. sui mezzi di impugnazione proponibili contro il decreto non opposto) e dal diritto

vivente, ben potendo, invece, limitarsi a sancire l’acquisizione della efficacia esecutiva tout

court.

In secondo luogo, la soluzione contraria renderebbe sostanzialmente inutile, o quanto

meno, difficilmente spiegabile, l’intero meccanismo previsto dal 5° comma dell’art. 186ter

c.p.c., laddove gli si desse solo il significato di avvisare il contumace che è stato emesso un

provvedimento che può assumere efficacia esecutiva, sia perché, allora, sarebbe stato più

coerente impedire che tale efficacia potesse essere concessa prima della notifica (come può

invece avvenire in base all’art. 642 c.p.c.), sia perché tale cautela non risponde ad una

tendenza normativa riscontrabile nel nostro ordinamento (si pensi alla ordinanza ex art.

186quater c.p.c. che è emessa con efficacia esecutiva ex lege ed ha addirittura la potenzialità a

convertirsi in sentenza, e per la quale non è previsto alcun meccanismo di notifica, né

preventiva né successiva, al contumace); anzi, proprio la considerazione per cui il

meccanismo di cui al 5° comma art. 186ter c.p.c. è previsto anche in caso di ordinanza già

49 Tra gli altri, BALENA, CEA, CONTE, PROTO

PISANI, CARRATTA, LUISO, MANDRIOLI, il quale ultimo, peraltro, riconosce l’efficacia di giudicato solo in questa

ipotesi e la nega, invece, per il caso di estinzione del giudizio.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

provvisoriamente esecutiva50, fa ritenere che il suo perfezionamento tenda a qualcosa di

diverso rispetto alla semplice acquisizione dell’efficacia esecutiva eventualmente già avuta.

Infine, sotto l’aspetto sistematico, non si vedono ragioni per differenziare la disciplina del

decreto ingiuntivo non opposto da quella dell’ordinanza-ingiunzione, tenuto conto che

quest’ultima ha i medesimi presupposti sostanziali (anzi, anche più rigorosi, come visto sopra)

e, per di più, è emanata in un giudizio a contraddittorio pieno.

La tesi qui sostenuta è stata di recente accolta da una sentenza della Corte di Cassazione

(sez. III, 6.06.2006, n. 13252), ampiamente ed articolatamente motivata, la quale ha anche

stabilito alcuni importanti princìpi in tema di prosecuzione del giudizio dopo l’acquisizione

dell’efficacia esecutiva ex art. 647 c.p.c. e di modalità con le quali dichiarare o rilevare

l’acquisizione di tale efficacia e la conseguente formazione del giudicato interno51.

Basandosi essenzialmente sul rinvio contenuto nell’art. 186ter c.p.c. all’art. 647 c.p.c., la

Suprema Corte afferma che la immutabilità dell’ordinanza conseguente alla mancata

opposizione del contumace nei termini, comporta il passaggio in giudicato della decisione

sulla domanda (o parte di essa) che ne era oggetto, con la conseguenza che, in primis,

l’ordinanza non sarà più revocabile ai sensi dell’art. 177 c.p.c. e che, ove il giudizio prosegua,

nella sentenza il giudice non potrà che prendere atto del formarsi del giudicato interno sulla

questione oggetto dell’ordinanza non opposta. Sotto questo profilo, la Cassazione ha anche

chiarito che, essendovi un procedimento in contraddittorio già instaurato, non sarà applicabile

de plano il meccanismo previsto per il caso di decreto ingiuntivo non opposto (ovvero

l’istanza del ricorrente ed il decreto che dichiara la acquisita definitività dell’ingiunzione), in

primo luogo perché la forma del decreto è tipica dell’assenza di contraddittorio, dovendosi in

tal caso il G.I. pronunciare con ordinanza; ma, ancor più, la Corte ha precisato che non è

nemmeno necessaria l’istanza della parte intimante, potendo la questione essere rilevata anche

d’ufficio, in quanto trattasi, appunto, di giudicato interno (e purché, ovviamente, risultino in

atti tutti i presupposti per il perfezionamento della fattispecie: regolare notifica dell’ordinanza

e mancata opposizione in termini del contumace).

50 Per la verità, i sostenitori della tesi

dell’efficacia meramente esecutiva, ritengono, coerentemente con tale assunto, che la notifica dell’ordinanza al

contumace vada eseguita solo quando questa sia stata emessa senza la clausola di provvisoria esecutività. 51 La sentenza è pubblicata in Foro It. 2006, I,

3082, con nota adesiva di CEA, cit. Per un precedente in termini, v. Pretura Monza 18.11.1996, in Giur. It. 1997,

I, 2, 728; successivamente alla sentenza in commento, conf. Trib. Moncalieri, 10.10.2006 n. 198, in Guida al

Diritto 2006, 45 51.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

In pratica, secondo lo schema delineato dalla pronuncia in commento, laddove vi sia una

esplicita istanza dell’intimante, il giudice dovrà pronunciare (con ordinanza) il passaggio in

giudicato dell’oggetto dell’ingiunzione e (a seconda che questo coincida o meno con la

totalità della domanda oggetto di giudizio), dichiarare chiuso il procedimento, oppure

proseguirlo per la sola parte non compresa nell’ordinanza; nel caso, invece, in cui l’intimante

non avanzi alcuna richiesta in tal senso, il giudizio dovrà comunque proseguire, ma in sede di

sentenza, il giudice dovrà prendere atto della formazione (totale o parziale) del giudicato

sull’oggetto dell’ordinanza-ingiunzione non opposta. Va da sé che, in tal caso, la sentenza

avrà come oggetto immediato l’accertamento del formarsi del giudicato e solo come oggetto

mediato il credito ingiunto, sicché la stessa non sarà impugnabile per ragioni attinenti al

merito di tale credito (in quanto divenuto inoppugnabile, con l’eccezione dei casi di cui

all’art. 656 c.p.c.), ma, al più, sulla questione riguardante il perfezionamento della fattispecie

di cui al 5° comma dell’art. 186ter c.p.c.52.

Si deve peraltro rilevare, come la sentenza appena illustrata appaia contraddetta da una

successiva pronuncia delle Sezioni Unite (n. 1820 del 29.01.2007), la quale, in motivazione

afferma, testualmente: «la disciplina specifica prevista dalla norma in questione […] per

l’ordinanza anticipatoria di condanna – pur nell’indubbia analogia del provvedimento in

questione con il decreto ingiuntivo – non ha previsto né l’apertura di una fase autonoma di

opposizione, svincolata dal giudizio in corso nel quale essa è stata emessa, né la sua

definitività con gli effetti del giudicato in caso di omessa opposizione». Va precisato, peraltro,

che la sentenza dà per assodato tale principio, senza motivare diffusamente sul punto e che la

decisione a Sezioni Unite era dovuta al fatto che vi era questione di giurisdizione e non già

per dirimere un contrasto delle sezioni semplici.

Regime di stabilità. Anche l’ordinanza-ingiunzione è esplicitamente soggetta al regime

delle ordinanze revocabili e modificabili ex artt. 177 e 178 c.p.c. (a differenza che per l’art.

186bis non è escluso dal richiamo il comma 3° dell’art. 177 sulle ordinanze rese su accordo

delle parti, ma tale ipotesi appare pressoché irrealizzabile nella pratica).

Anche in questo caso la revocabilità o modificabilità non sono legate alla ricorrenza di

particolari presupposti, potendo così fondarsi sia su di una diversa valutazione degli stessi

52 CEA, nella nota a sent. cit., ha osservato

come, nel caso di costituzione del contumace oltre i venti giorni, con contestazione in ordine alla tempestività di

tale costituzione, il giudice debba pronunciare sul punto comunque con sentenza, così come avviene in caso di

opposizione tardiva al decreto ingiuntivo.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

elementi già esaminati, sia su prove acquisite nel prosieguo del giudizio, sia, anche, su vizi o

illegittimità dell’ordinanza; chiaramente, la revoca o la modifica potranno riguardare anche

soltanto la clausola di provvisoria esecuzione (sia nel senso di concederla laddove era stata

negata, sia, viceversa, di revocarla ove concessa); stante tale ampia modificabilità, non si

ritiene particolarmente utile rendere applicabile anche all’ordinanza ex art. 186ter c.p.c.

l’istituto della sospensione della provvisoria esecuzione ex art. 649 c.p.c., i cui risultati sono

conseguibili tramite un’istanza ex art. 177 c.p.c..

Da tale regime di stabilità precaria (essendo l’ordinanza destinata ad essere assorbita dalla

sentenza di merito), derivano la sua non impugnabilità, nemmeno con ricorso straordinario

per Cassazione53 e la non reclamabilità54.

Analogamente a quanto detto per l’ordinanza 186bis deve ritenersi inammissibile anche

l’opposizione esecutiva ex art. 615 c.p.c. fondata su motivi di merito o di legittimità e

regolarità dell’ordinanza e salva l’ammissibilità di motivi di opposizione fondati sulla

impignorabilità dei beni o sull’inefficacia del titolo esecutivo (perché, ad es. è stata iniziata

esecuzione forzata sulla base di un’ordinanza ex art. 186ter c.p.c. non provvista di clausola di

provvisoria esecutività).

Ovviamente, tutte le considerazioni sopra svolte, non possono valere per l’ordinanza

emessa nei confronti del contumace e divenuta esecutiva ai sensi del 5° comma dell’art.

186ter c.p.c., laddove si aderisca alla tesi (qui preferita) per cui la stessa diventi immutabile

ed acquisisca l’efficacia di giudicato.

Con riferimento alla stabilità extraprocessuale, anche per la presente ordinanza, così come

per quella dell’art. 186bis c.p.c., è prevista la sopravvivenza e la persistente efficacia

esecutiva in caso di estinzione del giudizio; anzi, in questo caso – analogamente a quanto

previsto per il decreto ingiuntivo opposto – l’estinzione conferisce efficacia esecutiva anche

all’ordinanza che non ne fosse già munita, con un espresso richiamo all’art. 653 c.p.c..

Anche qui, come già accennato sopra a proposito dell’ordinanza emessa nei confronti del

contumace e non opposta, si pone la problematica dell’attitudine o meno dell’ordinanza al

giudicato.

53 Cass. sez. I, ord. n. 12623 del 26/05/2006;

Sez. U, sent. n. 7292 del 17/05/2002. 54 Trib. Piacenza, ord. 21.02.2007 –

10.05.2007, (pres. Schiaffino; est. Andretta; inedita).

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

La questione si pone sostanzialmente negli stessi termini già visti a proposito

dell’ordinanza contro il contumace, non opposta ai sensi del 5° comma della norma in

esame55, per cui si ritiene opportuno rimandare alle argomentazioni e considerazioni sopra

svolte, con solo qualche altra precisazione.

Invero, per questa ipotesi non si ravvisano pronunce edite favorevoli56, tuttavia ritengo

che le argomentazioni svolte dalla citata sentenza n. 13252 del 2006 possano essere addotte

anche a sostegno della tesi della definitiva esecutività con efficacia di giudicato

dell’ordinanza in caso di estinzione, sostanzialmente per due ragioni: perché anche in questo

caso vi è un rinvio espresso ad una norma (l’art. 653 c.p.c.) per la quale il diritto vivente è

pacificamente orientato nell’affermare l’efficacia di giudicato del decreto opposto a seguito

dell’estinzione del giudizio di opposizione e perché, in secondo luogo, se si ammette che tale

efficacia possa essere acquisita da un provvedimento emesso nel contraddittorio, ma solo

formale, a fortiori tale efficacia andrebbe riconosciuta ad un provvedimento emesso a seguito

di un contraddittorio sostanziale, superando anche le contestazioni e le difese di una parte

costituita e tenuto conto che l’estinzione del giudizio, in caso di parti entrambe costituite, non

può operare se non con la “collaborazione” di entrambe57. Inoltre, poiché la discriminazione

tra i due casi (efficacia di giudicato per l’ordinanza non opposta dal contumace ed efficacia

meramente esecutiva per l’ordinanza emessa in giudizio estinto), si fonderebbe sull’unico

dato differenziale della contumacia o meno del convenuto, ciò significherebbe dare alla

contumacia quella valenza positiva (rectius: negativa per il contumace) di implicita

ammissione delle pretese altrui, che è, allo stato del nostro ordinamento, espressamente

esclusa (come già visto a proposito dell’ordinanza 186bis)58.

55 Anche le posizioni della dottrina sono le

medesime, con la sola eccezione già rilevata del MANDRIOLI. 56 Per la soluzione negativa: Cass. sez. II,

17.07.1998, n. 6995 e S.U. n. 7292 del 17/05/2002, entrambe in motivazione, Trib. Torre Annunziata,

19.07.2002, in Giur. Mer. 2004, 37 nota FAVI. 57 Sul punto, v. le argomentazioni addotte

dalla Cass. 13252/06, al § 2.3, lett. a2) della motivazione in ordine alla giustificazione della acquisizione di

decisorietà a fronte del mancato esercizio del rimedio previsto dalla legge contro tale acquisizione. 58 In altre parole, quello che si vuol dire, pur

consapevoli della estrema problematicità della questione, è che, qualunque sia la soluzione adottata in ordine

all’attitudine a conseguire efficacia di giudicato, questa dovrebbe essere uguale per entrambe le ipotesi, poiché

non si vede come possano essere discriminate le due fattispecie senza urtare contro il principio costituzionale di

uguaglianza e ragionevolezza (con tutto il rispetto per il MANDRIOLI, che tale distinzione sostiene).

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Si aggiunga, come ulteriore elemento a favore della tesi dell’acquisizione dell’efficacia di

giudicato, il fatto che sia prevista, in ogni caso, la liquidazione delle spese di giudizio (a

differenza di quanto è stabilito per l’art. 186bis c.p.c.); chiaramente, la portata di tale

disposizione è interpretata differentemente a seconda della tesi sostenuta: chi nega la idoneità

al giudicato dell’ordinanza de qua ritiene che la liquidazione debba riguardare solo il

subprocedimento monitorio, chi, invece, afferma tale idoneità, sostiene che le spese debbano

essere liquidate in relazione all’intero procedimento.

3. L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione ex art. 186quater c.p.c.

Art. 186-quater.(1)

(Ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione)

«Esaurita l’istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto

domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna, o al rilascio di beni,

può disporre con ordinanza il pagamento, ovvero la consegna o il rilascio, nei limiti per cui

ritiene già raggiunta la prova. Con l’ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali.

L’ordinanza è titolo esecutivo. Essa è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.

Se, dopo la pronuncia dell’ordinanza, il processo si estingue, l’ordinanza acquista

l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza.

L’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se

la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla

comunicazione, con ricorso notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, la volontà

che sia pronunciata la sentenza.(2)»

(1) Articolo inserito dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432.

(2) Comma così sostituito dalla legge 263/2005, con decorrenza dal 1° marzo 2006.

Natura e funzioni. Tale ordinanza, a differenza delle due precedentemente esaminate, che

avevano un loro più o meno lontano modello in istituti già esistenti nel nostro ordinamento

(l’ordinanza ex artt. 423 c.p.c. per il 186bis ed il decreto ingiuntivo per il 186ter) costituisce

una novità assoluta della novella codicistica del 1990, non trovando alcun riscontro in

precedenti normativi, né analogia in altri istituti vigenti.

Si tratta di un’ordinanza a carattere anticipatorio, per così dire, puro, nel senso che non è

nemmeno caratterizzata dalla sommarietà della cognizione, che è piena perché giunge al

termine dell’istruttoria, ed ha una forte connotazione deflattiva, stante la previsione di sua

convertibilità in sentenza. È un istituto la cui esigenza si può ravvisare nel tentativo di

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

stemperare, almeno per alcuni tipi di cause, gli effetti della eccessiva dilatazione temporale

che intercorre tra il momento in cui si esaurisce la fase istruttoria del procedimento e quello in

cui lo stesso è assunto in decisione59.

Ambito di applicazione. La limitazione esplicitamente posta dalla legge alle sole domande

di condanna al pagamento di somme (oltre che a quelle di rilascio o consegna di beni, si badi,

anche immobili), implica la impossibilità di pronunciare la ordinanza in commento, innanzi

tutto, in materia di condanna agli obblighi di fare o di non fare, nonché in caso di domande

costitutive o di mero accertamento60 (purché con efficacia di giudicato e non incidenter

tantum).

Anche per tale istituto si pone la problematica già analizzata con riferimento ai casi in cui

la condanna al pagamento di denaro consegua quale effetto restitutorio di una pronuncia

dichiarativa o costitutiva (ad es. revocatoria fallimentare; risoluzione, annullamento o nullità

di contratto), problema tanto più stringente, attesa la potenzialità dell’ordinanza in questione

ad assumere l’efficacia di sentenza; in generale, deve escludersi – come correttamente

sostenuto dalla dottrina – che l’ordinanza ex art. 186quater c.p.c. possa decidere con efficacia

di giudicato su domande di accertamento o costitutive, salva la loro valutazione incidenter

tantum, ai sensi dell’art. 34 c.p.c. (in tal caso, ovviamente, l’eventuale acquisizione di

efficacia della sentenza impugnabile, ex art. 186quater, 3° e 4° comma, c.p.c., riguarderebbe

solo la pronuncia di condanna e non anche l’accertamento incidentale, come del resto

accadrebbe anche con una vera e propria sentenza); allo stesso modo, si ritiene più corretta la

tesi che impedisce la pronuncia dell’ordinanza nel caso in cui la domanda di accertamento o

costitutiva si ponga in rapporto di pregiudizialità con quella di condanna, in maniera tale che

la pronuncia di quest’ultima non possa prescindere dalla decisione della prima, risultando

viceversa, ammissibile l’istituto quando non vi è connessione tra le domande e l’ordinanza

post-istruttoria possa riguardare la sola domanda di condanna61.

59 Le finalità eminentemente deflattive e di

smaltimento dell’arretrato si colgono appieno anche considerando la norma dell’art. 90 L. 353/90, che ha reso

applicabile l’art. 186quater c.p.c. anche alle cause pendenti alla data del 30.04.1995, ovvero a quelle ancora

soggette a vecchio rito. 60 Trib. Torino, sez. III, 23.12.2006, in

JurisData - Redazione Giuffrè 2007. 61 In tal senso MANDRIOLI, Dir. Proc. Civ.

vol. II, cit.; in giurisprudenza, Trib. Messina, 9.12.2003, in Foro It. 2004, I, 1439, Pretura Bari, 17.06.1996, in

Giur. It. 1998, 951; contra Trib. Roma 2.06.1997, in Giur. It. 1998, 951.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Sulla base di tali presupposti, si ritiene comunemente ammissibile la pronuncia

dell’ordinanza in questione nei giudizi per risarcimento danni da fatto illecito (in particolare

per i danni da sinistro stradale), in quanto questi presuppongono un accertamento meramente

fattuale dei presupposti (responsabilità, nesso di causalità e danno)62, che non comporta,

perciò, una statuizione (pur se meramente dichiarativa) su una situazione giuridica, mentre

dovrebbe escludersi per le azioni revocatorie fallimentari, a mente della loro natura

costitutiva63.

Esclusiva di tale ordinanza è la possibilità che sia applicata anche alle domande di

consegna o rilascio di beni immobili (da intendersi sia come azione fondata su

un’obbligazione contrattuale, sia come azione fondata su un diritto reale, ma con i limiti già

esposti in materia di domande costitutive o di accertamento).

Domande cumulate e processi litisconsortili. Particolari problematiche sono state

sollevate in ordine alla proponibilità dell’istanza in casi di processi con pluralità di parti e/o di

domande, previa la considerazione che l’istituto appare modellato dal legislatore per il solo

caso semplice di unica domanda tra due parti.

Un primo orientamento dottrinario, assai rigoroso, ritiene che nel caso di più domande

cumulate, inscindibili o incompatibili, l’ordinanza (e la relativa istanza) sia ammissibile

soltanto laddove abbia riguardo a tutte le domande e, quindi, sia idonea a definire l’intero

oggetto del giudizio, orientamento che si fonda essenzialmente sull’assunto che l’istituto in

esame, essendo rivolto alla anticipazione della decisione ed alla sua semplificazione,

risulterebbe sostanzialmente inutile ove fosse solo parziale (costringendo il giudice a

proseguire il giudizio ed a pronunciarsi comunque su altre domande legate indissolubilmente

alle altre o da esse pregiudicate o ad esse pregiudiziali) ed inoltre, farebbe sorgere rilevanti

complicazioni processuali; tale tesi ritiene ammissibile l’ordinanza parziale soltanto in ipotesi

62 Corte App. Napoli, 15.02.2001, in Nuovo

dir. 2001, 693, Trib. Como, 4.11.1998, in Foro It. 1999, I, 330, Trib. Padova, 26.04.1996, in Giur. It. 1997, I, 2,

614, Trib. Milano, 30.11.1995, in Giur. Merito 1996, 670 nota NEGRO. 63 Trib. Pordenone, 13.03.1998 e 19.05.1998,

in Fallimento 1999, 333, Trib. Milano, 13.11.1995, in Foro It. 1996, I, 1065 nota FABIANI; un orientamento del

Tribunale di Roma, ritiene l’ordinanza applicabile alle domande di inefficacia ex art. 44 l.fall. (5.03.1999, in

Giust. Civ. 2000, I, 575), alle insinuazioni tardive ed alle opposizioni allo stato passivo (20.04.1998, in Giust.

Civ. 1998, I, 2307 ed in Giur. Merito 1998, 895, 5.01.1998, in Giur. Merito 1998, 637 e 2.04.1997, in Dir. fall.

1998, II, 569).

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

di domande autonome e scindibili, previa però, separazione delle stesse ai sensi dell’art. 103

c.p.c.64.

Tale orientamento è stato criticato per la sua eccessiva rigidità e si è sostenuto che

l’effetto anticipatorio e di semplificazione può ben avere riguardo ad alcune soltanto delle

diverse controversie presenti all’interno di un unico processo e che, comunque, la separazione

non dovrebbe essere una condizione per l’emissione dell’ordinanza e non dovrebbe

discendere da un provvedimento esplicito del giudice ai sensi dell’art. 103 c.p.c., ma, semmai,

dovrebbe essere una conseguenza automatica della pronuncia di ordinanza 186quater c.p.c. su

alcune soltanto delle domande cumulate e della rinuncia dell’intimato alla sentenza su tale

pronuncia, senza necessità di un provvedimento esplicito di separazione65.

La giurisprudenza, anche di legittimità, ritiene ormai senza dubbio ammissibile

l’ordinanza post-istruttoria parziale in ipotesi di cause autonome e scindibili, accogliendo la

soluzione sopra prospettata, nel senso che tale pronuncia, seguita dalla rinuncia alla sentenza

da parte dell’intimato, comporti una implicita separazione delle cause, con conseguente

prosecuzione del giudizio sulle domande non oggetto dell’ordinanza; inoltre, la Suprema

Corte ha anche chiarito che in tali casi la pronuncia sulle spese, prevista dall’art. 186quater

c.p.c. debba essere limitata alla sola domanda oggetto dell’ordinanza66. Sempre in seno a tale

orientamento si è altresì sostenuto che la separazione implicita opera anche quando, in caso di

due domande autonome per entrambe le quali sia stata presentata istanza – pur essendosi il

G.I. pronunciato su tutte – ne abbia accolta solo una e rigettata l’altra, sull’assunto che la

pronuncia di rigetto totale non è idonea ad acquistare l’efficacia di sentenza67.

Più problematica la questione in ipotesi di cause inscindibili, ovvero di domande tra loro

connesse da un rapporto di pregiudizialità o, comunque, di opposizione ed incompatibilità

(nel senso che l’accoglimento dell’una comporta il rigetto dell’altra, come nel caso di

64 LUISO, PROTO PISANI, SASSANI, VERDE; in

giurisprudenza v. Trib. Torino, sez. III, 23.12.2006 cit. e Cass. sez. III, 6.11.2001, n. 13690; 28.01.2002, n. 983;

Trib. Roma, 15.07.1997, in Foro It. 1997, I, 3399 e 25.06.1997, ibidem, 3400. 65 In tal senso, RICCI, CALIFANO, CIRULLI; in

giurisprudenza Trib. Bari 5.10.2002, in Foro It. 2003, I, 886; Cass. sez. II, 9.09.2003, n. 13148 e 22.01.2004, n.

1007, entrambe in materia di cause scindibili; sez. II, 24.03.2004, n. 5893, in tema di cause inscindibili

(principale e riconvenzionale incompatibili). 66 Cass. sez. I, 3.09.2004, n. 17807; sez. II,

24.03.2004, n. 5893, 22.01.2004, n. 1007, 9.09.2003, n. 13148, 27.06.2002, n. 9379. 67 Cass. 5893/04; 1007/04.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

domanda di adempimento contrattuale e di riconvenzionale di risoluzione): ad un iniziale

orientamento restrittivo, che negava la possibilità di pronuncia dell’ordinanza, se non avente

ad oggetto l’intero giudizio (v. giurisprudenza cit. in nota 62), se ne è sostituito uno via via

più permissivo, che ormai ammette pacificamente l’istanza (e l’ordinanza) nei giudizi con

cumulo di domande, anche inscindibili o incompatibili.

In tal caso, secondo un orientamento, sarebbe sufficiente l’istanza relativa ad una sola

domanda, per rendere necessaria la pronuncia del giudice su tutte, stante la loro inseparabilità,

ed anzi si è giunti a sostenere che anche la sola pronuncia su una delle domande

incompatibili, comporti un rigetto implicito dell’altra domanda68.

Tale orientamento, a mio modesto avviso, non è condivisibile, poiché si pone in aperto

contrasto con il disposto dell’art. 186quater c.p.c. per almeno due aspetti: da un lato, ove la

norma richiede l’istanza di parte per consentire al G.I. la pronuncia dell’ordinanza, mentre la

soluzione accolta da tale filone giurisprudenziale consente la decisione anche su una domanda

per la quale non è stata proposta istanza; dall’altro (e conseguentemente) ove la norma

stabilisce che l’ordinanza si trasforma in sentenza impugnabile “sull’oggetto dell’istanza”,

mentre l’orientamento qui discusso la estende anche a domande non oggetto di alcuna istanza.

Infine, la soluzione qui contestata, pone anche gravi problemi di compressione del diritto

di difesa della parte che subisce il rigetto implicito, la quale si troverebbe in serie difficoltà ad

impostare un’impugnazione ed una difesa in secondo grado, avverso una “non-pronuncia”

(che, si osserva incidentalmente, ove si verificasse in sede di sentenza, darebbe luogo al vizio

di omessa pronuncia).

In senso contrario si è, invece, espressa un’altra sentenza della Cassazione (la già citata

5893/04), secondo la quale, anche in caso di domande incompatibili (nella specie, principale e

riconvenzionale), connesse perché dipendenti dall’accertamento degli stessi fatti, la

presentazione dell’istanza e la decisione con ordinanza su una sola di esse, con successiva

rinuncia dell’intimato alla sentenza, comportano la separazione dei giudizi, pur se

inscindibili69.

Analoghi problemi si pongono per i processi con pluralità di parti; data per scontata

l’ammissibilità dell’istanza e della pronuncia separata in ipotesi di litisconsorzio facoltativo,

68 Cass. n. 9379/02, in motivazione; più

diffusamente, la n. 13148/03. 69 Con l’ulteriore conseguenza che il giudice

dell’appello potrebbe sospendere la causa per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c..

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

nel caso di litisconsorzio necessario, anche qui, in un primo tempo la giurisprudenza optava

per la soluzione restrittiva, richiedendo la necessaria istanza di tutti i litisconsorti attivi e nei

confronti di tutti i litisconsorti passivi70; successivamente, sempre in base ad una

considerazione di favor per l’applicazione dell’istituto in questione, si è ritenuto che fosse

sufficiente l’istanza di una sola parte, per consentire al giudice la pronuncia dell’ordinanza nei

confronti di tutti (con tutte le perplessità già espresse sopra).

Un caso a parte è costituito dall’ipotesi di frazionamento di un’unica domanda, ovvero di

istanza proposta con riguardo ad una sola domanda, ma solo per parte di essa (ad es., in

ipotesi di domanda di risarcimento danni da sinistro stradale in cui siano chiesti danni

materiali, biologici e morali, l’istanza 186quater c.p.c. avanzata solo in ordine ad alcune voci

di danno); in questa ipotesi, una pronuncia di merito ha ritenuto l’istanza inammissibile, ove

non accompagnata da una corrispondente rinuncia della domanda nel merito (che, anzi, era

stata riproposta per intero), perché non avrebbe senso una pronuncia che non possa comunque

assumere il valore di sentenza su una intera domanda71.

Presupposti sostanziali e contenuto della pronuncia. L’unico presupposto sostanziale

richiesto per l’emissione dell’ordinanza in questione è che il giudice ritenga raggiunta la

prova del credito e, quindi, sostanzialmente, poiché la pronuncia avviene ad istruttoria

completa, il presupposto coincide con quello per l’accoglimento della domanda in sede di

sentenza.

Discusso in dottrina (ma non in giurisprudenza) è il problema se al G.I. resti un margine

di discrezionalità nell’emettere la pronuncia, sia pur in presenza di tutti i presupposti di legge:

riteniamo preferibile la tesi affermativa, perché fondata sul dato testuale della norma (come

per l’ordinanza 186bis c.p.c., è detto che il giudice “può” disporre il pagamento), dato che non

può essere “sterilizzato” riferendolo alla possibilità del giudice di valutare liberamente le

prove acquisite, poiché tale facoltà, oltre ad essere propria dell’attività giudicante, è già

prevista, dalla norma stessa, ove afferma che il G.I. pronuncia la condanna “nei limiti in cui

ritiene raggiunta la prova”, sicché all’espressione sopra indicata deve per forza darsi un altro

significato.

70 Trib. Treviso, 14.04.1998, in Resp. Civ. e

Prev. 1999, 194 nota ONNIBONI; Trib. Modena, 4.06.1998, in Giur. Merito 1999, 25, nonché le già citate Cass.

sez. III, 6.11.2001, n. 13690; 28.01.2002, n. 983. 71 Trib. Udine, 24.01.1998, in Riv. Dir. Proc.

1998, 915 nota GASPERINI;

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

La discrezionalità va intesa nel senso che il giudice, pur nella sussistenza di tutti i

presupposti di legge, possa valutare l’opportunità o meno di pronunciare l’ordinanza, laddove

la decisione sia complessa e non si adatti al procedimento semplificato previsto dall’art.

186quater c.p.c. ed alla decisione con motivazione succinta72; ciò senza arrivare agli eccessi

di quella interpretazione (minoritaria) che ritiene l’ordinanza pronunciabile solo in casi di

prova evidente ed incontestabile73; in questo caso, si avrà una pronuncia di non luogo a

provvedere, piuttosto che di vera e propria inammissibilità dell’istanza.

Quello qui sostenuto è, peraltro, l’orientamento espresso e seguito dalla sezione civile del

Tribunale di Piacenza.

Si rileva, del resto, come in tema di domande cumulate e di istanza formulata su alcune

soltanto di esse, la giurisprudenza abbia sostenuto che al G.I. è concessa anche la valutazione

discrezionale sull’opportunità di disporne comunque la decisione unitaria, così rifiutando la

pronuncia con ordinanza parziale.

La formulazione della norma, secondo cui il G.I. pronuncia l’ordinanza “nei limiti” in cui

ritiene raggiunta la prova, si riferisce chiaramente alla possibilità di accoglimento solo

parziale dell’istanza.

È ovviamente possibile una pronuncia di rigetto integrale, ma, in tal caso, secondo

l’orientamento prevalente in giurisprudenza (che qui si condivide), il G.I. non deve

pronunciare sulle spese di lite, dal momento che l’ordinanza di mero rigetto non è idonea ad

acquisire l’efficacia di sentenza, tanto che l’eventuale rinuncia è inammissibile74.

Tale interpretazione si fonda sul chiaro assunto che, in caso di domanda ritenuta

infondata, non si ravvisa alcuna esigenza anticipatoria, come emerge dalla complessiva lettura

della norma, che appare evidentemente scritta pensando alla sola ordinanza di accoglimento

72 Pressoché pacifica la giurisprudenza: Trib.

Torino 23.12.2006 cit; Trib. Biella, 14.02.2000, in Giur. It. 2000, 1194; Trib. Matera, 5.08.1997, in Giur. It.

1998, 951; Trib. Torino, 21.12.1995, in Giur. It. 1996, I, 2, 329; contra Pretura Bologna, 17.02.1996, ibidem,

330. In dottrina, LUISO, che rileva anche la necessità di evitare un ingiustificato privilegio di alcune cause

rispetto ad altre, la cui decisione verrebbe dilazionata ove il giudice debba impegnarsi in modo rilevante nel

decidere le istanze 186quater anche nei casi particolarmente complessi. 73 Trib. Roma, 31.01.1996, in Riv. Giur.

Circol. Trasp. 1996, 346; contra Cass. sez. I, 21.03.2003, n. 4145. 74 Cass. 1007/04 cit.; Trib. Modena

6.10.1998, in Giur. Merito 1999, 1000; Trib. Roma 17.07.1996, in Riv. Giur. Circol. Trasp. 1996, 789; Trib.

Firenze, 2.11.1995, in Giur. Merito 1996, 446; contra Trib. Milano 4.11.1998, in Foro It. 2000, I, 963 nota CEA.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

(per la quale soltanto ha senso parlare di efficacia esecutiva); in questo senso, peraltro, si è

espressa anche la Corte Costituzionale (sent. 11 dicembre 1997, n. 385), che ha appunto

escluso l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede la condanna

alle spese in caso di provvedimento di rigetto e la sua convertibilità in sentenza.

Modi e termini. Come le altre due ordinanze di cui agli articoli precedenti, anche questa è

pronunciabile soltanto su istanza di parte, sulla cui forma e modalità di proposizione si

rimanda a quanto già detto a proposito di quelle.

Nulla, però, dispone la norma in ordine alle modalità con le quali garantire il

contraddittorio, poiché la novella del 2005 non ha qui inserito il medesimo inciso già

esaminato a proposito degli artt. 186bis e ter; tuttavia, non si dubita in dottrina, e nemmeno

nella prassi giurisprudenziale, sia che si possa proporre istanza anche fuori udienza (come

nell’ipotesi tipica di istanza avanzata tra l’ultima udienza istruttoria e l’udienza di

precisazione delle conclusioni), sia che debba essere comunque garantito un minimo di

contraddittorio sull’istanza medesima75.

L’esigenza di garantire una interlocuzione della controparte, peraltro, discende

comunque, oltre che dal principio costituzionale dell’art. 111 Cost., dalla regola generale

dell’art. 186 c.p.c., secondo cui il giudice emette ogni suo provvedimento chiesto dalle parti,

«sentite le loro ragioni»; chiaramente, stante la funzione semplificatrice ed anticipatoria

dell’ordinanza, si dovrebbe evitare di consentire alle parti uno scambio di memorie scritte e

repliche, reiterando il meccanismo di decisione ordinaria di cui all’art. 190 c.p.c., ma non si

può escludere che, oltre alla eventuale fissazione di apposita udienza per la discussione

sull’ordinanza, possa essere concesso alle parti (o alla sola controparte, a fronte di un’istanza

già redatta per iscritto) un termine intermedio per il deposito di memorie scritte ex art. 170

c.p.c..

In assenza di disposizioni sul punto, si ritiene che l’ordinanza possa essere chiesta ed

emanata anche nei confronti della parte contumace76; analogamente a quanto già considerato

a proposito dell’ordinanza ex art. 186ter c.p.c., si ritiene che in tal caso l’istanza non debba

essere preventivamente notificata alla parte contumace. 75 V., in particolare, MANDRIOLI, secondo il

quale la legge lascerebbe alla discrezionalità e sensibilità del giudice di decidere le modalità più opportune per

tale garanzia. 76 Trib. Reggio Emilia, 13.07.1995, in Foro

It. 1995, I, 3308 nota NAPPI; C. App. Campobasso 8.10.1998, in Giust. Civ. 1999, I, 119, che nega la necessità di

notifica; implicitamente Cass. sez. III, 23.07.2002, n. 10748.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Il termine iniziale per poter proporre l’istanza e pronunciare l’ordinanza, è individuato

dalla legge nell’esaurimento dell’istruttoria, da intendersi integrato, pacificamente, non solo

quando sono state espletate ed assunte tutte le prove ammesse, ma anche quando non siano

state ammesse le prove richieste, quando siano scaduti i termini perentori per le deduzioni

istruttorie senza che le parti ne abbiano formulate, quando siano state assunte alcune prove ed

il G.I. ritenga le ulteriori (pur già ammesse) superflue, o quando il giudice ritenga da subito la

causa matura per la decisione ai sensi dell’art. 187 c.p.c.77 (ad eccezione delle ipotesi di

pregiudiziali di rito o preliminari di merito, che non possono formare oggetto dell’ordinanza

186quater c.p.c.). É poi altrettanto pacifico che, per ritenere verificatosi il presupposto, non

sia necessario un formale provvedimento del giudice che dichiara chiusa l’istruttoria, come

previsto dall’art. 209 c.p.c. (provvedimento, del resto, abbastanza desueto nella prassi),

essendo sufficiente che il giudice inviti le parti a precisare le conclusioni78.

Nella precisazione delle conclusioni – pur in assenza di previsione normativa – deve

individuarsi poi il termine ultimo per la richiesta e la pronuncia dell’ordinanza de qua; la

conclusione si ricava dal fatto che la norma attribuisce la competenza ad emettere l’ordinanza

al giudice istruttore, che rimane tale fino a che non rimetta la causa in decisione (al collegio o

a sé stesso in funzione monocratica)79. Ciò vuol dire che l’istanza potrà essere proposta o

immediatamente all’ultima udienza istruttoria, ove il giudice abbia fissato diversa udienza di

p.c., o alla stessa udienza di precisazione, ma prima che le parti rassegnino le loro conclusioni

ed il giudice trattenga la causa in decisione80; in tale ultima ipotesi, si ritiene opportuno che si

blocchi il processo di spedizione a sentenza, poiché potrebbe rivelarsi inutile all’esito della

pronuncia dell’ordinanza (tanto più dopo la novella del 2005, che ha previsto la conversione

in sentenza ex lege, salva espressa richiesta di pronunciare la sentenza).

77 Cass. sez. I, 3.09.2004, n. 17807; Trib.

Milano, 27.11.1995, in Foro It. 1996, I, 1052. 78 Cass. sez. II, 9.09.2003, n. 13148 e 27

giugno 2002, n. 9379. 79 In dottrina vi è un orientamento contrario

(SASSANI e VERDE) basato sull’assunto che il G.I. non si spoglia delle sue funzioni fino a che la causa non sia

effettivamente passata in decisione, ovvero alla scadenza del termine per il deposito delle repliche, sicché

dovrebbe individuarsi in tale momento il dies ad quem per la proposizione dell’istanza 186quater c.p.c.. 80 Cass. sez. III, 6.02.2002, n. 1633 e 2084/02

cit.; Trib. Padova, 26.04.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 614; Trib. Voghera, 10.04.1996, in Foro It. 1997, I, 308.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Un po’ più complessa appare la questione nelle cause soggette al vecchio rito, laddove si

deve tenere conto della assenza di preclusioni e della conseguente possibilità per le parti di

produrre documenti o chiedere nuove istanze istruttorie sino a che il giudice non abbia

rimesso la causa al collegio (art. 184 c.p.c., nella formulazione anteriore alla L. 353/90),

quindi il dies a quo dovrebbe coincidere con il momento in cui il G.I. invita le parti a

precisare le conclusioni e rimette la decisione al collegio; per il dies ad quem, si registra un

contrasto tra chi sostiene che coincida con la rimessione della causa al collegio, momento in

cui quest’ultimo organo diviene titolare del procedimento81, e chi, invece, ritiene possibile

presentare l’istanza anche dopo la rimessione al collegio e fino all’udienza di discussione

davanti a questo82.

Quest’ultima interpretazione appare più coerente con la finalità anticipatoria e deflattiva

dell’istituto, soprattutto con riguardo alle cause più risalenti nel tempo ed alla prassi invalsa

sotto il vigore del rito ante 1990 di disporre lunghi rinvii tra la rimessione al collegio e la

discussione davanti a quest’ultimo.

Efficacia. Anche questa ordinanza, come quella per il pagamento di somme non

contestate, costituisce titolo esecutivo ex lege, senza necessità di una apposita pronuncia sul

punto ed anche in questo caso non è prevista espressamente (e quindi deve escludersi) la

idoneità ad iscrivere ipoteca giudiziale (che, invece, deve essere riconosciuta all’ordinanza

che si sia convertita in sentenza)83.

Regime di stabilità. L’ordinanza post-istruttoria è dichiarata revocabile con la sola

sentenza che definisce il giudizio, con espressa esclusione, dunque, dei rimedi di cui agli artt.

177 e 178 c.p.c..

Tale regime di maggiore stabilità costituisce una rilevante differenza rispetto alle

ordinanze di cui ai due articoli precedenti, ma può trovare facilmente spiegazione sotto due

profili.

81 Trib. Trani, 27.04.1996, in Foro It. 1997, I,

308; C. App. Campobasso 8.10.1998 cit., che ha sostenuto la nullità dell’ordinanza pronunciata dal G.I. dopo la

rimessione al collegio. 82 Trib. Roma, 5.01.1996, in Giust. Civ. 1996,

I, 1473 e Cass. sez. I, 23.05.2000, n. 6694. 83 Per tale ordinanza (non convertita in

sentenza), è stata negata l’idoneità a costituire presupposto per la conversione del sequestro conservativo in

pignoramento ex art. 686 c.p.c. da Trib. Monza, 3.10.2003 in Giur. It. 2003, 2275, il che confermerebbe

l’infondatezza della soluzione contraria applicata all’ordinanza ex art. 186ter c.p.c. (v. pag. 25 e nota 44).

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

In primo luogo, perché vi sarebbe concretamente poco spazio per operare una modifica o

una revoca dell’ordinanza, dal momento che la stessa è stata emanata dopo la chiusura della

fase istruttoria e, quindi, non vi sono più possibilità (salva un’ipotesi di rimessione in

istruttoria) per apportare nuovi elementi di giudizio e di valutazione.

In secondo luogo tale soluzione è finalizzata, probabilmente, anche ad “incentivare”

(almeno sotto il vigore della vecchia disciplina) la rinuncia alla sentenza, poiché – stante

l’immutabilità dell’ordinanza nelle more della chiusura del procedimento – l’unico modo che

avrebbe l’intimato di evitarne l’esecuzione, è quello di proporre appello con la contestuale

richiesta di sospensione dell’esecutività ex art. 283 c.p.c.; sicché il soggetto soccombente

nell’ordinanza, piuttosto che attendere una decisione, ben difficilmente diversa da quella

contenuta nell’ordinanza 186quater, ed essere sottoposto al rischio di esecuzione, dovrebbe

preferire accorciare i tempi e passare subito alla fase d’appello.

Chiaramente tale immodificabilità non impedisce, anzi a maggior ragione impone, la

possibilità di richiedere la correzione di errore materiale ex art. 287 c.p.c. dell’ordinanza

stessa (la soluzione negativa non trova alcuna giustificazione, né normativa, né razionale,

poiché la correzione non comporta alcuna modifica del contenuto della pronuncia e perché,

altrimenti, si rischierebbe di vanificarne l’efficacia immediatamente esecutiva ove, ad

esempio, vi fosse un errore nell’indicazione del nome della parte intimata)84.

In caso di mancata rinuncia alla sentenza o di mancata conversione (per il regime

introdotto dalla novella del 2005), l’ordinanza non ha natura decisoria ed è destinata ad essere

assorbita dalla sentenza; di conseguenza, non è impugnabile, nemmeno con ricorso

straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. e non è reclamabile (coerentemente con la sua

natura non cautelare)85, né è sindacabile con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c..

Conversione in sentenza. L’assoluta peculiarità dell’ordinanza in commento, che ne esalta

la funzione deflattiva, più ancora che quella anticipatoria, è la previsione della sua

convertibilità in sentenza impugnabile, al ricorrere di determinati presupposti.

Caratteristica comune a tutte le ipotesi è il fatto che la conversione avviene “sull’oggetto

dell’istanza” e non già dell’ordinanza, con la conseguenza che in caso di accoglimento solo

84 Trib. Reggio Calabria 23.09.1998, in Foro

It. 2000, I, 964; contra Trib. Modena, 22.07.1997, in Giur. Mer. 1997, 907. 85 Cass. sez. I, 29.04.1999 n. 4322; sez. III,

16.12.1998, n. 12609; per la non reclamabilità Trib. Venezia, 16.09.1995, in Giur. It. 1996, I, 2, 20 e 14.09.1995,

in Foro It. I, 3306.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

parziale dell’istanza e rigetto del resto, la sentenza si formerà comunque su tutta la domanda

che è stata decisa con l’ordinanza, sicché anche la parte istante, parzialmente soccombente,

avrà interesse ad impugnarla. Come già detto, non si ritiene invece convertibile in sentenza

l’ordinanza di rigetto integrale.

A) Per estinzione del giudizio: la prima ipotesi di conversione dell’ordinanza in sentenza

impugnabile è quella di estinzione del giudizio, anche in tal caso senza limitazione tra le

diverse ipotesi di estinzione. Chiaramente, a differenza di quanto visto per le due ordinanze

precedenti, in questo caso non si pone alcun problema in ordine all’individuazione

dell’efficacia da attribuire al provvedimento, essendo lo stesso parificato, in tutto e per tutto,

ad una sentenza, con attitudine al giudicato pieno, sia formale che sostanziale, ex artt. 324

c.p.c. e 2909 c.c..

Il problema principale di tale fattispecie consiste nell’individuazione del termine di

decorrenza per l’impugnazione: alla tesi, prospettata da parte della dottrina, secondo cui, in

applicazione dell’art. 129, 3° comma, disp. att. c.p.c., il termine decorrerebbe dal momento in

cui diviene definitivo il provvedimento che pronuncia l’estinzione, si contrappone quella che

individua il decorso del termine annuale ex art. 327 c.p.c. nel momento in cui si perfeziona la

fattispecie estintiva, indipendentemente da una sua dichiarazione formale, poiché l’estinzione

opera di diritto e può essere verificata incidentalmente in un altro processo86.

Per determinare la decorrenza del termine breve, invece, è necessaria la notificazione

dell’ordinanza, possibilmente successiva al perfezionarsi della fattispecie estintiva, poiché,

ove si ammettesse l’efficacia in tal senso di una notifica precedente, sospensivamente

condizionata al completarsi dell’estinzione, si porrebbero seri dubbi in ordine alla conoscenza

o conoscibilità per l’interessato, dell’effettivo dies a quo per l’impugnazione.

La Cassazione ha poi precisato che, seppure l’estinzione del giudizio richiede la

collaborazione di tutte le parti costituite (sia diretta, nel caso di rinuncia agli atti, sia implicita,

nel caso di inattività), tale condotta non può comunque interpretarsi come acquiescenza tacita

all’ordinanza da parte del soccombente, dal momento che può anzi essere manifestazione

della volontà di immediata impugnazione dell’ordinanza convertita in sentenza87 (anche se

tale volontà meglio sarebbe soddisfatta con una rinuncia espressa, nel vigore della precedente

normativa).

86 Nel primo senso LUISO, PROTO PISANI,

CARRATTA, CONSOLO; nel secondo, BALENA, CALIFANO e Cass. sez. L. n. 11039 del 12/05/2006. 87 Cass. sez. III, 30 marzo 2005, n. 6729.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

B) Per rinuncia della parte intimata: in coerenza con la funzione deflattiva ed

acceleratoria dell’istituto in esame, la legge consente (per i procedimenti già pendenti alla

data del 1° marzo 2006), alla parte destinataria dell’ordinanza di rinunciare espressamente alla

pronuncia della sentenza, dando così corso immediato alla trasformazione dell’ordinanza in

sentenza ed all’eventuale fase impugnatoria.

La rinuncia va fatta con atto notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, sicché

deve avere forma scritta e non può essere tacita o implicita, ad esempio, mediante immediato

appello avverso l’ordinanza (appello da dichiararsi inammissibile, in mancanza della

conversione in sentenza); la rinuncia è tipico atto difensivo che, seppure comporta la

abdicazione di una facoltà processuale, non implica rinuncia al diritto e può quindi essere

fatta dal difensore mandatario senza bisogno di procura speciale; anzi, proprio perché atto di

natura tecnica, compete al solo difensore (nei giudizi ove è obbligatorio il patrocinio legale) e

non è valida la rinuncia fatta dalla parte personalmente, salvo che quest’ultima non sia

contumace88.

La norma riserva espressamente alla sola “parte intimata” la facoltà di operare la rinuncia,

anche laddove l’ordinanza abbia accolto solo in parte l’istanza dell’intimante (il quale, quindi,

potrebbe avere un interesse ad impugnare l’ordinanza in parte qua); chiarito che l’espressione

intimata, si riferisce alla parte che risulta destinataria del provvedimento di condanna, a

prescindere dal fatto che sia stato posto in esecuzione e, quindi, sia stato intimato il precetto,

deve precisarsi che solo tale soggetto è legittimato alla rinuncia, non potendo in alcun modo

incidere su tale scelta l’altra parte, nemmeno nel senso di una necessità di sua accettazione

della rinuncia ex adverso manifestata89.

Si è però precisato che, se la scelta tra operare o meno la rinuncia e la successiva notifica

dell’atto, sono ad esclusivo appannaggio della parte intimata, non altrettanto può dirsi con

riferimento al deposito dell’atto di rinuncia in cancelleria, poiché quest’ultimo ha come

destinatario il giudice, in modo da metterlo al corrente della necessità di non pronunciare la

sentenza, sicché potrà essere eseguito anche dalla parte intimante che ha ricevuto la notifica

della rinuncia dall’intimato90; la soluzione appare preferibile, tanto più se si pensa, come già

88 Cass. sez. III, 6.03.2002, n. 3194; 23 luglio

2002, n. 10748 sulla rinuncia da parte del contumace. 89 Così Cass. 10748/02 cit.. 90 Cass. sez. 22.12.2005, n. 28419, in Giust.

Civ. Mass. 2005, 12.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

osservato sopra, che anche l’intimante potrebbe avere interesse ad una immediata

impugnazione dell’ordinanza che abbia accolto solo parzialmente le sue domande e che in tal

modo si evita che lo stesso rimanga “appeso” alle determinazioni dell’altra parte sulla

prosecuzione del giudizio.

La norma nulla dice in ordine al termine ultimo entro il quale esercitare la facoltà di

rinuncia, che deve chiaramente essere fatta prima del deposito della sentenza; quest’ultimo,

infatti, renderebbe inammissibile qualsiasi rinuncia successiva (anche se notificata prima, ma

depositata dopo la pubblicazione della sentenza) e l’eventuale conseguente appello avverso

l’ordinanza; nel vigore della precedente disciplina, invero, poiché la conversione in sentenza

era solo eventuale, il G.I. dopo la pronuncia dell’ordinanza doveva comunque dare corso al

procedimento, sicché sarebbe astrattamente possibile una simile sovrapposizione di atti.

Una volta ritenuta ammissibile l’ordinanza 186quater c.p.c. anche nei giudizi

litisconsortili, si pone il problema della efficacia della rinuncia fatta da uno solo o da alcuni

dei litisconsorti: nel caso di litisconsorzio facoltativo e di cause scindibili o autonome,

chiaramente la rinuncia opererà solo per le domande ed in relazione alle parti per le quali è

svolta, con il conseguente e già analizzato effetto di separazione implicita tra le domande; nel

caso di litisconsorzio necessario e/o di cause inscindibili, la giurisprudenza di legittimità,

coerentemente con l’interpretazione adottata a proposito dell’ammissibilità ed efficacia

dell’istanza, ritiene che la rinuncia effettuata da una sola delle parti intimate vincoli anche le

altre, non potendosi determinare una separazione delle cause e ritenendosi prevalenti le

esigenze acceleratorie ed anticipatorie cui la rinuncia sottende, ed argomentando, inoltre, sulla

considerazione che la soluzione contraria comporterebbe una inammissibile compressione del

diritto della parte rinunciante alla impugnazione immediata ed alla connessa facoltà di

richiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza ex art. 283 c.p.c.91.

Tale interpretazione, che deve ormai considerarsi consolidata nella giurisprudenza di

legittimità, desta sinceramente perplessità analoghe a quelle già manifestate in relazione alla

correlativa tesi della ammissibilità dell’ordinanza in cause inscindibili, ovvero per il fatto che

si consente ad una parte di incidere unilateralmente su situazioni processuali di altre parti

91 Cass. sez. III, 19.10.2006, n. 22401;

30.03.2005, n. 6729; 22.06.2004, n. 11611; C. App. Roma 8.07.2003, in Giur. Merito 2004, 67; Cass. sez. III,

8.03.2002, n. 3434; 6.03.2002, n. 3194; 29.10.2001, n. 13397; Corte Appello Napoli, 15.02.2001, in Nuovo dir.

2001, 693.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

(tanto più in questo caso, ove si tratta di una rinuncia ad ottenere il provvedimento che, in

condizioni normali, dovrebbe chiudere il procedimento).

Una volta perfezionatosi l’iter che consente all’ordinanza post istruttoria l’acquisizione

dell’efficacia di sentenza, e se l’oggetto dell’istanza 186quater c.p.c. coincide con l’intera

domanda, il giudice dovrà dichiarare l’intervenuta definizione del giudizio e l’archiviazione

degli atti; qualora, invece, l’istanza aveva ad oggetto solo alcune domande, il giudizio

proseguirà sulle altre (nonché su quelle che l’ordinanza abbia rigettate in toto), ma nella

sentenza si dovrà prendere atto della già avvenuta definizione delle questioni decise con

l’ordinanza anticipatoria convertita.

Anche in questa ipotesi si è posto il problema dell’individuazione del termine di

decorrenza per l’impugnazione; nessuna questione particolare per il termine annuale ex art.

327 c.p.c., concordemente individuato nella data di deposito dell’atto di rinuncia debitamente

notificato, in linea con quanto disposto dal comma 4° dell’art. 186quater c.p.c..

Il termine breve, invece, dovrebbe decorrere dalla eventuale notifica dell’ordinanza,

successiva al deposito dell’atto di rinuncia, anche se si è proposta una soluzione differenziata,

che farebbe decorrere tale termine dalla notifica per il solo intimante, mentre per l’intimato

anche il termine breve decorrerebbe dal deposito dell’atto di rinuncia notificato, dovendosi

ritenere egli a conoscenza del perfezionamento della fattispecie legale di trasformazione in

sentenza92.

C) Per mancata dichiarazione di volere la pronuncia della sentenza (novella del 2005): la

modifica apportata dalla legge n. 263 del 2005 ha innovato profondamente il meccanismo

della trasformazione dell’ordinanza in sentenza, invertendolo totalmente e disponendo una

sorta di conversione automatica ex lege, salva una espressa manifestazione di volontà

contraria da eseguirsi entro un termine stabilito in 30 giorni.

Premesso che non risultano pronunce giudiziali edite sul punto, stante la recente entrata in

vigore della riforma, passiamo ad esaminare le questioni di maggior rilievo, con un approccio,

quindi, ancora sperimentale e problematico.

92 Cass. sez. II, 29 settembre 2004, n. 19602,

in Foro It. 2005, I, 94 con nota critica di CEA, che osserva, tra l’altro, sia la disparità di trattamento che si crea

tra le due parti, sia il sostanziale azzeramento per l’intimato del termine lungo, che, a fronte dell’identità del dies

a quo, è destinato comunque ad essere assorbito dalla sicuramente precedente decorrenza di quello breve; a ciò si

aggiunga l’incoerenza di tale proposta con la già rilevata facoltà riconosciuta anche all’intimante di depositare

l’atto di rinuncia.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Anche in questo caso la “rinuncia alla conversione in sentenza” può provenire dalla sola

parte intimata e deve essere fatta con atto scritto (la norma parla di “ricorso”), notificato alla

controparte e depositato in cancelleria.

Valgono anche per quest’atto tutte le considerazioni svolte e le soluzioni proposte in

ordine alla facoltà per il difensore di presentarlo senza bisogno di procura speciale, anzi, tale

soluzione appare ancor più valida, dal momento che tale attività non comporta alcuna

rinuncia, ma anzi costituisce manifestazione di volersi avvalere di un diritto riconosciuto dalla

legge.

Con riguardo ai processi a litisconsorzio necessario o con cause inscindibili, seguendo la

ratio dell’orientamento della Cassazione sopra esposto e tenuto conto del ribaltamento della

situazione operato dalla novella, dovrebbe coerentemente ritenersi che la manifestazione di

volere la pronuncia della sentenza fatta da una sola o da alcune delle parti necessarie non

possa impedire la trasformazione dell’ordinanza in sentenza; infatti, con la nuova disciplina,

sono il silenzio e l’inerzia ad equivalere alla previgente rinuncia, pertanto, trasponendo in tale

fattispecie l’interpretazione propugnata dalla Suprema Corte, si deve concludere che il

silenzio (ovvero la mancata dichiarazione di volere la sentenza entro il termine di legge)

anche di un solo litisconsorte, determini la conversione in sentenza dell’ordinanza e che, per

impedire tale effetto, la manifestazione di volontà debba provenire da tutte le parti intimate.

Parte della dottrina ha posto in dubbio che il termine di 30 giorni debba considerarsi

perentorio, con conseguente sua prorogabilità ex art. 154 c.p.c. su istanza di parte (presentata

chiaramente prima della scadenza), argomentando dalla assenza di tale qualificazione nella

norma93; in contrario si osserva, in primo luogo, che, affinché un termine venga considerato

perentorio, non è necessario che la legge utilizzi testualmente tale aggettivo, ben potendo la

perentorietà ricavarsi dalla stessa struttura e funzione del termine, al quale sia legata una

decadenza (come è nel caso di specie, ove non v’è dubbio che la parte perda la sua facoltà di

richiedere la sentenza allo scadere dei trenta giorni) e, in secondo luogo, che potrebbe

determinarsi una situazione di eccessiva incertezza sulla sorte del processo, ove si consentisse

la prorogabilità del termine (anche se l’art. 154 c.p.c. limita la prorogabilità ad una sola volta,

salvi motivi di particolare gravità).

Diverso problema attiene all’individuazione dell’atto il cui compimento può fa ritenere

rispettato il termine, se, cioè, possa ritenersi che entro i trenta giorni l’intimato debba

depositare il ricorso in cancelleria, o se, invece, sia sufficiente la notifica del ricorso entro il

93 CECCHELLA e MANDRIOLI.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

termine, potendo poi effettuarsi il deposito anche in un secondo momento94; ritengo che la

lettera della norma e la sua ratio facciano propendere per la prima soluzione, nel senso che –

dovendo necessariamente essere portata a conoscenza del giudice la manifestazione di volontà

in questione – la fattispecie possa considerarsi completata soltanto con il deposito del ricorso

in cancelleria. Quanto alle preoccupazioni espresse dalla citata dottrina in ordine alla

difficoltà di compiere tutte le attività necessarie nel termine relativamente breve, si rileva, in

primo luogo, che la notifica deve essere pacificamente fatta ai procuratori costituiti ex art. 170

c.p.c., il che consente un accorciamento dei tempi, tenuto anche conto della possibilità

(introdotta dalla medesima novella del 2005), di eseguire tali notifiche a mezzo fax o posta

elettronica; in seconda istanza, si può pur sempre fare applicazione dei principi espressi dalle

ormai stranote sentenze della Corte Costituzionale (sentt. n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004) in

tema di rispetto dei termini per le notifiche e di non imputabilità al notificante dei ritardi

dell’ufficiale giudiziario o dell’agente postale, nonché fare ricorso, ove ne sussistano i

presupposti, all’istituto della rimessione in termini ex art. 184bis c.p.c., che ritengo

pienamente applicabile al caso di specie, trattandosi di termine endoprocessuale.

Per la stessa ragione da ultimo illustrata, ritengo applicabile a tale termine la sospensione

feriale ex L. 742/69 (beninteso, ove si tratti di procedimento non sottratto all’ambito

applicativo di tale norma, ai sensi dell’art. 3).

Un problema particolare con la nuova disciplina si pone, a mio avviso, nel caso di parte

intimata contumace (ipotesi che abbiamo visto pienamente ammissibile); in tale ipotesi,

infatti, poiché il termine di trenta giorni è fatto decorrere dalla data di pronuncia

dell’ordinanza o dalla sua comunicazione, ove emessa fuori udienza, il contumace (al quale la

cancelleria non è tenuta a comunicare l’ordinanza de qua, v. art. 292, comma 3°, c.p.c.), non è

in grado di venire a conoscenza del provvedimento (di cui, si ricorda, non gli deve essere

notificata nemmeno la relativa istanza) e, quindi, rischia di decadere dalla facoltà di richiedere

la sentenza, senza essere stato realmente posto in condizione di valutare se esercitare o meno

tale potere; si avrebbe, quindi, non già una tacita manifestazione di volontà di rinuncia alla

sentenza, ma una vera e propria mancata manifestazione di volontà; il problema potrebbe

risolversi imponendo all’intimante un onere di notifica dell’ordinanza al contumace o, in

alternativa, un onere di comunicazione a carico della cancelleria, al fine di provocare il

contumace ad attivarsi.

94 In quest’ultimo senso TRISORIO LUZZI, in

Cipriani – Monteleone (a cura di) cit.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Quanto al termine per impugnare l’ordinanza, quello annuale ex art. 327 c.p.c. decorre

dalla scadenza del trentesimo giorno dalla pronuncia o comunicazione dell’ordinanza (o dalla

notificazione per il contumace), momento in cui si determina la trasformazione del

provvedimento in sentenza, mentre quello breve deve essere fatto decorrere dalla eventuale

notifica dell’ordinanza, successiva allo scadere del termine medesimo.

Si è ritenuto che, alla luce della nuova disciplina, il G.I. a seguito della pronuncia

dell’ordinanza, non sia tenuto a fissare l’udienza per la prosecuzione del giudizio

(propriamente, quella per la precisazione delle conclusioni), che potrebbe probabilmente

rivelarsi inutile, ma debba fissarla soltanto in caso di manifestazione della volontà di

pronuncia della sentenza; il suggerimento, pur se non imposto dalla norma, appare accoglibile

ed opportuno, soprattutto per evitare un’attività potenzialmente inutile e costringere poi il

giudice ad emettere comunque un provvedimento formale che dichiari definito il giudizio, ma

soltanto nel caso in cui l’oggetto dell’istanza 186quater c.p.c. coincida con l’intero oggetto

della causa, poiché, diversamente, il processo deve comunque proseguire sulle altre domande

ed il giudice dovrà quindi fissare ugualmente l’udienza successiva.

Ciò che appare sicuramente opportuno è che, nell’attesa del decorso dei trenta giorni, la

causa non sia trattenuta in decisione e non siano concessi i termini ex art. 190 c.p.c. per il

deposito degli scritti conclusionali.

Da ultimo, preme precisare come nessun dubbio vi sia sul fatto che il giudizio di appello

avverso l’ordinanza 186quater c.p.c. convertita in sentenza, si svolga come un normale

processo di appello; in particolare, il giudice dell’impugnazione dovrà, anche d’ufficio,

verificare se si sia regolarmente perfezionata la fattispecie che ha portato l’ordinanza ad

acquisire l’efficacia di sentenza, trattandosi di presupposto di ammissibilità del gravame; al

contrario, non potrà sindacare la validità dell’ordinanza e la sussistenza dei presupposti di

legge per la sua emanazione, ove la questione non abbia formato oggetto di apposita censura.

Infine, pur rilevata la nullità dell’ordinanza, non potrà rimettere gli atti al giudice del

primo grado, stante la tassatività delle ipotesi di regressione del procedimento previste

dall’art. 354 c.p.c. (così Cass. 2084/02 cit.).

4. L’applicabilità delle tre ordinanze anticipatorie nei diversi gradi di giudizio, nei

riti speciali o differenziati e nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.

Le tre ordinanze appena esaminate sono istituti di carattere generale, come testimonia

anche il loro inserimento all’interno della parte normativa relativa al giudizio ordinario di

cognizione; pertanto, dovrebbero in linea di massima essere applicabili a tutte le controversie

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

soggette a riti speciali, le cui discipline, del resto, contengono sempre un rinvio alla disciplina

generale del processo ordinario, ove non sia diversamente disposto, e sempre salva la

valutazione di compatibilità.

Pacifica la loro applicabilità ai giudizi davanti al Giudice di Pace, in base al rinvio di cui

all’art. 311 c.p.c. ed all’assenza di qualsiasi profilo di incompatibilità (salvo qualche dubbio

per l’ordinanza 186quater c.p.c., stante la struttura della fase decisoria ai sensi dell’art. 321

c.p.c., che prevede la discussione orale e la decisione entro 15 giorni).

Altrettanto pacifica appare la non applicabilità degli istituti in commento al giudizio di

appello, dal momento che, in primo luogo, in tale fase è ormai scemata qualsiasi esigenza

anticipatoria, essendo già stata emessa una sentenza e, in secondo luogo, proprio perché la

presenza di una sentenza esecutiva non consente che su di essa possa incidere un’ordinanza,

per di più di carattere sommario95.

Rito del lavoro. Il problema principale dell’applicabilità degli artt. 186bis, ter e quater

alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c. è costituito dalla presenza della norma dell’art. 423

c.p.c. (su cui vedi, infra, § 5), che si presenta come norma speciale rispetto a quelle in

commento; tuttavia tale rapporto di specialità sussiste soltanto con l’ordinanza per il

pagamento di somme non contestate (1° comma art. 423 c.p.c.) e con l’ordinanza post

istruttoria (2° comma), ma non con l’ordinanza-ingiunzione ex art. 186ter c.p.c. che non trova

alcun omologo nella disciplina lavoristica e, quindi, dovrebbe essere tranquillamente

applicabile. A ben vedere anche l’ordinanza ex art. 186quater c.p.c. ha caratteristiche e

presupposti differenti rispetto ai provvedimenti di cui al secondo comma dell’art. 423 c.p.c.

sicché potrebbe ritenersi ammissibile, salva la verifica della sua compatibilità con un rito che

prevede una decisione contestuale in udienza (art. 429 c.p.c.).

Rito locatizio. Per tali controversie valgono sostanzialmente le considerazioni già svolte

per quelle soggette al rito del lavoro, salva la notazione per cui l’art. 447bis c.p.c.,

nell’elencare le norme lavoristiche applicabili a tali procedimenti, include solo il primo e

terzo comma dell’art. 423 c.p.c., escludendo le ordinanze di cui al secondo comma e fugando

così ogni dubbio circa l’applicabilità (per lo meno astrattamente) delle ordinanze ex artt.

186ter e 186quater c.p.c. (salva sempre la verifica di compatibilità)96.

95 Corte Appello Venezia 27.01.1997, in

Responsabilità Civile e Previdenza, 1997, 481. 96 Contra Pretura Terni, 9.03.1998, in Rass.

Giur. Umbra 1999, 781.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Rito societario. Nel rito societario la generica applicabilità delle ordinanze anticipatorie

de quibus può fondarsi sul disposto dell’art. 1 comma 4°, D.L.vo n. 5 del 17.01.2003, secondo

cui «per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le

disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili»; esclusa la presenza di

norme speciali che prevedano istituti analoghi alle ordinanze anticipatorie in commento, resta

da analizzare la compatibilità delle stesse con le peculiarità del rito societario, soprattutto in

relazione alla sua struttura ed alla sua (tendenziale) maggiore concentrazione.

Il problema pratico principale deriva dal fatto che, nella fase di scambio delle memorie

difensive, non c’è un giudice titolare del fascicolo a cui possano essere richiesti tali

provvedimenti, poiché il relatore viene nominato dal Presidente solo a seguito del deposito di

istanza di fissazione d’udienza ex art. 8 D.L.vo 5/03; né il problema appare superabile con la

richiesta al Presidente di designare un relatore al solo fine di provvedere su eventuali istanze

anticipatorie, poiché il rito prevede la trattazione collegiale in ogni fase, anche istruttoria

(salva la facoltà di delega dell’assunzione delle prove al giudice relatore, art. 16, comma 4°),

per cui, a stretto rigore, giudice istruttore è lo stesso collegio.

Ulteriore problematica sorge in rapporto all’individuazione del dies ad quem per la

proposizione delle istanze ex artt. 186bis e 186ter c.p.c. (mentre per il dies a quo si deve

attendere quanto meno il termine per la costituzione della controparte, ex art. 5 D.L.vo 5/03),

poiché nel rito societario non è prevista un’udienza di precisazione delle conclusioni ed il

potere delle parti di precisare le proprie domande si esaurisce con il deposito dell’istanza di

fissazione di udienza (art. 10 D.L.vo 5/03); si ritiene, tuttavia, che i due termini non debbano

essere sovrapposti97, e che per individuare quale sia nel processo societario l’omologo del

termine di precisazione delle conclusioni, occorre avere riguardo alla funzione dell’atto ed

alla ratio della limitazione normativa. Sotto il primo profilo, per precisazione delle

conclusioni nel rito ordinario, si intende il momento in cui le parti (a preclusioni deduttive ed

istruttorie già maturate) formulano le loro richieste finali prima della decisione della causa,

sicché nel rito societario, tale momento deve essere identificato con la discussione orale della

causa, laddove, ai sensi del comma 3° dell’art. 16 D.L.vo 5/03 «i difensori delle parti

illustrano le loro conclusioni»; la decadenza di cui all’art. 10 D.L.vo 5/03 mi sembra piuttosto

coincidere con il termine (rectius: i termini) preclusivo per le deduzioni di merito ed

istruttorie (vecchi artt. 1835 e 184 e nuovo art. 1836 c.p.c.): in conclusione, il dies ad quem per

97 Come, a mio avviso erroneamente, fa Trib.

Udine 17.12.2004, in Giur. Merito 2005, 5, 1146.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

avanzare le istanze in questione deve individuarsi nell’udienza collegiale di discussione

(salva, però, l’incompatibilità con la decisione immediata prevista dalla norma, su cui v.

infra).

Quanto all’istanza ex art. 186quater c.p.c., si dovrebbe ritenere ammissibile in sede di

ultima udienza istruttoria, anche se davanti al relatore delegato dal collegio, al quale ultimo

andrà però rimessa la decisione, o anche all’udienza di discussione; ma in tal caso l’ordinanza

appare incompatibile con la struttura della fase decisoria, che prevede la discussione orale

(senza scambio di scritti conclusionali) e la pronuncia di sentenza contestuale ex art.

281sexies c.p.c. o, al più, nel termine di trenta giorni dalla discussione (art. 16, comma 5°).

Opposizione a decreto ingiuntivo. Pur trattandosi di un procedimento di cognizione

ordinaria in tutto e per tutto, per il quale quindi non dovrebbe porsi il problema qui preso in

considerazione, è tuttavia nota la diatriba giurisprudenziale (che, peraltro, sembra di recente

essersi ormai sopita a favore della tesi affermativa), in ordine alla ammissibilità o meno delle

ordinanze anticipatorie con il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

La tesi contraria a tale ammissibilità si fonda essenzialmente sull’argomentazione del

rischio di duplicazione di titoli esecutivi sul medesimo credito, tenuto conto che in caso di

estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 653 c.p.c., il decreto ingiuntivo che non ne fosse già

fornito, acquisisce comunque efficacia esecutiva, così come avviene per le tre ordinanze

anticipatorie, che conservano la loro efficacia esecutiva anche in caso di estinzione del

giudizio (anche se in alcuni casi è stata espressa anche l’ulteriore motivazione per cui il

decreto ingiuntivo può essere revocato o modificato solo con la sentenza che chiude il

giudizio di opposizione e su di esso non potrebbe incidere un provvedimento di carattere

ordinatorio)98.

La tesi che, invece, afferma la piena ammissibilità delle ordinanze anticipatorie anche nel

giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si fonda essenzialmente sulla già esposta

98 Con riferimento all’ordinanza 186bis, v.

Trib. Biella, 14.02.2000, in Giur. It. 2000, 1194; Trib. Cagliari, 13.02.1996, in Riv. Giur. Sarda 1997, 375; Trib.

Roma, 20.07.1995, in Gius 1995, 3374; Trib. Milano, 16.05.1995, in Foro It. 1995, I, 2588; sull’ordinanza

186ter, v. Trib. Firenze, 17.07.1998, in Giur. It. 1999, 2307; Trib. Bologna, 19.06.1998, ibidem; Trib. Perugia,

8.04.1998, in Foro It. 1999, I, 2554; Trib. Padova, 3.10.1996, in Giur. Merito 1997, 695; Trib. La Spezia,

17.05.1996, in Dir. Economia Ass. 1996, 1023; Trib. Como, 17.04.1996, in Giur. It. 1996, I, 2, 814; Trib.

Mondovì, 25.08.1994, in Foro It. 1995, I, 331; sull’ordinanza 186quater, Trib. Frosinone, 18.04.2002, in Giur.

Romana 2002, 247; Trib. Biella, 14.02.2000, cit.; Trib. Bari, 21.12.1998, in Foro It. 2000, I, 962; Trib. Trani,

2.08.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 374; Trib. Monza, 14.12.1995, in Foro It. 1996, I, 3543.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

considerazione per cui tale giudizio segue tutte le regole di un ordinario processo di

cognizione, sostenendo che il problema (peraltro eventuale) paventato dalla interpretazione

contraria, ovvero la duplicazione dei titoli esecutivi sullo stesso credito, sarebbe facilmente

risolvibile in sede di opposizione all’esecuzione99.

La seconda soluzione (ormai concordemente seguita dalla sezione civile del Tribunale di

Piacenza), sembra decisamente preferibile, in quanto tecnicamente più convincente, in primo

luogo per la già ricordata portata generale delle ordinanze in commento e per la natura

ordinaria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; in secondo luogo, perché non

sembra corretto che da una problematica, peraltro meramente eventuale, di sovrapposizione di

titoli esecutivi possa derivare una inammissibilità dell’istanza (che dovrebbe attenere, più

propriamente, ad un suo vizio originario); ed ancora, perché la soluzione negativa

comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento, tra il creditore che agisce

direttamente in via ordinaria e quello che agisce in via monitoria, il quale ultimo non potrebbe

ottenere quelle tutele anticipatorie invece accessibili all’altro.

Processo amministrativo. Dopo l’emanazione della legge n. 205 del 21.07.2000, risultano

applicabili ai procedimenti davanti al TAR ed al Consiglio di Stato le ordinanze ex artt.

186bis e ter c.p.c. (non anche quella post istruttoria di cui all’art. 186quater) come

espressamente stabilito dall’art. 8 della citata legge.

5. Le ordinanze anticipatorie nel rito del lavoro.

Art. 423.

(Ordinanze per il pagamento di somme)

99 Con riferimento all’ordinanza 186bis, v.

Trib. Roma, 20.12.1995, in Giur. Mer. 1997, 761; sull’ordinanza 186ter, v. Trib. Ivrea, 5.11.2004, in D&G 2004,

44, 83 e Giur. Mer. 2005, 3, 572; Trib. Verona, 18.08.2003, in Giur. Mer. 2004, 1118; Trib. Torre Annunziata,

19.07.2002, in Giur. Mer. 2004, 37; Trib. Terni, 21.07.1999, in Giur. Mer. 2000, 833; Trib. Monza, 25.05.1999,

in Foro It. 2000, I, 580; Pretura Salerno, 21.04.1998, in Giur. It. 1999, 2307, Trib. Firenze, 12.03.1998, Trib.

Verona, 22.01.1998 e Trib. Roma, 16.11.1996, ibidem; Trib. Taranto, 19.10.1994, in Foro It. 1995, I, 2588;

sull’ordinanza 186quater, Pretura Terni, 13.12.2000, in Rass. Giur. Umbra 2002, 545; Trib. Bassano Grappa,

2.09.1998, in Giur. It. 1999, 287; Trib. Reggio Emilia, 11.07.1997, in Foro It. 1997, I, 3399; Trib. Matera,

3.07.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 374; Trib. Nocera Inferiore, 26.06.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 13 e Pretura

Bologna 1.04.1996, ibidem; Pretura Bologna, 30.11.1995, in Giur. It. 1996, I, 2, 412 e Trib. Catania 9.10.1995,

ibidem. V. anche C.Cost. ord. n. 350 del 19.11.2004, in un obiter dictum in motivazione.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

«Il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il

pagamento delle somme non contestate.

Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre

con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto

accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.

Le ordinanze di cui ai commi precedenti costituiscono titolo esecutivo.

L’ordinanza di cui al secondo comma è revocabile con la sentenza che decide la causa.»

Natura e funzione. Un accenno assai rapido meritano le ordinanze previste per il rito del

lavoro, sia perché le loro caratteristiche sono simili a quelle delle ordinanze già esaminate (in

particolare, 186bis e 186quater c.p.c.), sia perché trattasi di istituti che, a quanto risulta,

hanno avuto una scarsa applicazione nella prassi.

Non è in discussione la loro natura e funzione anticipatoria, unita, in questa sede, anche

ad esigenze di tutela ed immediata soddisfazione di crediti particolarmente “sensibili”, quale

quello alla retribuzione, tanto che l’ordinanza prevista dal 2° comma dell’articolo in

commento può essere emessa a favore del solo lavoratore100.

Tanto meno appare in discussione la loro natura meramente anticipatoria e non cautelare,

dal momento che nessuno dei due provvedimenti in esame presuppone un qualche periculum

in mora per la loro emanazione101; ne deriva l’inammissibilità di reclamo avverso le stesse.

L’ordinanza di cui al 1° comma. Il primo comma prevede un’ordinanza di pagamento di

somme non contestate e, come già detto, ha costituito il modello di riferimento per l’art.

186bis c.p.c., dal quale si differenzia solo per alcuni particolari e per una disciplina

decisamente più scarna e lacunosa.

Quanto al requisito della non contestazione valgono tutte le considerazioni svolte in

precedenza, con la sola avvertenza che, nel rito del lavoro l’onere della contestazione

specifica dei fatti addotti dall’attore è inteso in senso più rigoroso che nel giudizio ordinario, e

tale maggior rigore è giustificato dalla presenza di una norma (l’art. 416 c.p.c.) che vieta 100 Senza che ciò comporti violazione del

principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., così secondo C. Cost. 26.05.1981, n. 76. 101 Cass. sez. Lav., 2.09.1997, n. 8373 e Trib.

Napoli 22.02.1995, in Gius 1995, 1863, entrambe a proposito dell’ordinanza di cui al 2° comma; di “natura

cautelare in senso lato”, ma sostanzialmente escludendola, parla Cass. S.U. n. 2321 del 12.04.1980, in Giust.

Civ. 1980, I, 1884, Foro It. 1980, I,1919 e Giur. It. 1980, I,1,1148.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

espressamente al convenuto di opporre «una generica contestazione» alle domande

dell’attore102.

Nulla precisa la norma in commento per l’ipotesi di contumacia del convenuto; tuttavia,

in base a quanto detto sulla natura della non contestazione come condotta necessariamente

processuale, dovrebbe tendenzialmente escludersi la possibilità di pronunciare l’ordinanza in

questione nei confronti del contumace; questa possibilità è stata, peraltro, affermata da una

parte della giurisprudenza, anche se in modo equivoco. Ci riferiamo, in particolare, ad una

sentenza della Cassazione, secondo la quale la contumacia del convenuto non impedirebbe

l’adozione del provvedimento ex art. 423, 1° comma, c.p.c., ma precisando che la non

contestazione non può essere desunta automaticamente dalla sola contumacia del convenuto,

ma deve risultare «da documenti prodotti dall’attore, da testimonianza etc., una situazione

legittimante l’ordinanza in questione»103; a ben vedere tale statuizione, di fatto, nega che

possa parlarsi di non contestazione nel caso di contumacia, esigendo una prova desunta

aliunde del credito fatto valere.

Altra differenza rispetto al 186bis è costituita dalla apparente assenza di discrezionalità

del giudice, il quale, a fronte della mancata contestazione (e dell’istanza di parte), “dispone” il

pagamento delle somme. Tale dato normativo è stato utilizzato, a conferma delle proprie tesi,

dai fautori della teoria della natura negoziale di tale ordinanza; tale natura, però, sembra

doversi escludere, sia perché l’ordinanza appare comunque revocabile – per lo meno con la

sentenza che definisce il merito – in deroga al disposto dell’art. 177, 3° comma c.p.c., sia

perché, comunque, il suo fondamento può ben ravvisarsi (come per l’ordinanza 186bis)

nell’onere di allegazione e di prova dei fatti, al cui mancato assolvimento consegue la loro

ritenuta pacificità104.

Ulteriore differenza, rispetto all’art. 186bis c.p.c., è l’inciso “in ogni stato del giudizio”,

che dovrebbe quindi consentirne l’emissione anche nelle fasi di quiescenza (interruzione e

sospensione).

102 Per tutte, v. Cass. sez. Lav., 24 novembre

1998, n. 11919. 103 Cass. sez. Lav., 4.10.1984, n. 4941; in

motivazione la già cit. S.U. 2321/80 afferma che il contraddittorio non è necessario presupposto dell’ordinanza

de qua, ma la statuizione è assolutamente apodittica ed incidentale. 104 La natura negoziale è stata, del resto,

espressamente esclusa, in motivazione, dalla S.U. 2321/80 cit.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

L’ordinanza è dichiarata titolo immediatamente esecutivo e null’altro è detto dalla norma

sulle modalità per proporre istanza, sui termini e sul regime di stabilità; in dottrina sembra

assolutamente prevalente la proposta di integrare la disciplina dell’ordinanza in questione con

le norme dettate per l’art. 186bis c.p.c., sicché, ad esempio, nel silenzio della norma (il cui 4°

comma si occupa della sola revocabilità dell’ordinanza di cui al 2° comma), si dovrebbe

ritenere l’ordinanza liberamente revocabile e modificabile dal giudice ai sensi dell’art. 177

c.p.c. (a meno che non si voglia accedere alla teoria del fondamento negoziale della non

contestazione e dell’ordinanza, con conseguente applicazione del 3° comma dell’art. 177

c.p.c. ed irrevocabilità del provvedimento).

Nel silenzio della norma anche sul punto, non sembra possa ritenersi che l’ordinanza in

questione mantenga la propria efficacia e stabilità anche a seguito di estinzione del giudizio, a

meno di non volerla integrare, anche sul punto, con la disciplina del 186bis c.p.c..

L’ordinanza è, in ogni caso, priva di decisorietà, definitività o attitudine al giudicato e,

come tale, non è appellabile o altrimenti impugnabile105.

L’ordinanza di cui al 2° comma. Quanto all’ordinanza di cui al 2° comma dell’art. 423

c.p.c. la stessa è stata più volte assimilata all’ordinanza post istruttoria di cui all’art.

186quater c.p.c., ma se ne differenzia per almeno due elementi fondamentali: in primo luogo,

perché è pronunciabile soltanto a favore del lavoratore (e su istanza di quest’ultimo) ed in

secondo luogo, perché non richiede affatto l’esaurimento dell’istruttoria (che, peraltro, nel

modello del rito del lavoro comporterebbe la decisione immediata del giudizio), potendo

essere emessa “in ogni stato del giudizio”, “quando” e “nei limiti” in cui il giudice ritenga

accertato il diritto e raggiunta la prova. Si tratta, chiaramente, di un provvedimento

anticipatorio a carattere sommario, anche se, la terminologia utilizzata dal legislatore (diritto

accertato e prova raggiunta), fanno propendere per una sommarietà, non già derivante da una

prognosi di probabilità o verosimiglianza del credito (fumus boni iuris, come nei cautelari),

ma, piuttosto, dalla parzialità dell’istruttoria, essendo una decisione “allo stato degli atti”.

Il 4° comma prevede espressamente che l’ordinanza de qua sia revocabile solo con la

sentenza che decide il merito, con conseguente immodificabilità nel corso del giudizio;

concorde la giurisprudenza nell’escluderne l’impugnabilità, anche con ricorso straordinario

105 Cass. S.U. 26.09.1997, n. 9479.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

per Cassazione ex art. 111 Cost. sul presupposto della sua natura non decisoria e definitiva106

(tanto che lo stesso 2° comma dell’art. 423 c.p.c. la definisce esplicitamente provvisoria).

6. La provvisionale nei giudizi di risarcimento danni da sinistro stradale.

a) La provvisionale per “stato di bisogno” di cui all’art. 147 Codice Assicurazioni

(già art. 24 L. 990/69).

Art. 147.

Stato di bisogno del danneggiato

«1. Nel corso del giudizio di primo grado, gli aventi diritto al risarcimento che, a causa

del sinistro, vengano a trovarsi in stato di bisogno, possono chiedere che sia loro assegnata

una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno.

2. Il giudice civile o penale, sentite le parti, qualora da un sommario accertamento

risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, con ordinanza

immediatamente esecutiva provvede all’assegnazione della somma ai sensi del comma 1, nei

limiti dei quattro quinti della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con la

sentenza. Se la causa civile è sospesa ai sensi dell'articolo 75, comma 3, del codice di

procedura penale, l’istanza è proposta al presidente del tribunale dinanzi al quale è pendente

la causa.

3. L’istanza può essere riproposta nel corso del giudizio.

4. L’ordinanza è irrevocabile fino alla decisione del merito.»

Natura e funzione. Preliminarmente si deve precisare che, nonostante nella prassi comune

tale ordinanza venga indicata come “provvisionale”, in realtà nulla ha a che vedere con gli

istituti di cui agli artt. 278 c.p.c. e 539 c.p.p. (già 489 c.p.p. 1930), in quanto tali figure

giuridiche, a differenza di quanto disposto dall’art. 24 (ora 147), presuppongono un

accertamento definitivo, quantomeno sull’an debeatur, vengono adottate con forma di

sentenza e prescindono dall’accertamento in merito alle condizioni economiche del

beneficiario.

L’istituto qui in esame invece, si inserisce – pur con qualche caratteristica e peculiarità

sue proprie – nell’ambito dei provvedimenti di natura anticipatoria a carattere sommario.

106 Cass. sez. lav., 13.02.1989, n. 880 e

27.11.1983, n. 6368; S.U. 22.12.1987, n. 9567 e 9479/97 cit..

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

È infatti evidente la finalità di assicurare al (presumibile) avente diritto al risarcimento di

un danno da sinistro stradale (o nautico), una somma di denaro, atta ad impedire che questi

subisca gli effetti deleteri della eccessiva durata del processo.

La norma in esame, tuttavia, a differenza degli altri provvedimenti anticipatori sin qui

trattati, inserisce quale ulteriore presupposto per la sua emanazione, l’elemento dello stato di

bisogno del danneggiato, che sembra atteggiarsi come un vero e proprio requisito d’urgenza,

alla stregua del periculum in mora di un provvedimento cautelare e che ha fatto, perciò,

dubitare, sia la dottrina che la giurisprudenza, in ordine alla reale natura di tale ordinanza.

I sostenitori della natura cautelare si basano, essenzialmente, proprio sulla presenza del

requisito dello stato di bisogno, che, pur non dovendo raggiungere gli estremi della

irreparabilità di cui all’art. 700 c.p.c., è assimilabile al periculum in mora; inoltre, si è

osservato che l’ordinanza de qua, presenta anche gli altri caratteri propri dei provvedimenti

cautelari, ovvero la necessità di un fumus boni iuris di sussistenza del credito e la

strumentalità rispetto al diritto oggetto dell’azione di merito107.

Appare invece preferibile la tesi contraria alla natura cautelare del provvedimento in

questione, fondata su una serie di argomentazioni di natura sostanziale e processuale: sotto il

primo profilo, infatti, si nota che il requisito della strumentalità alla tutela del medesimo

diritto fatto valere nel merito è proprio anche dei rimedi anticipatori; quanto al fumus boni

iuris, a differenza di quanto avviene nei cautelari, il giudice è chiamato ad operare non già

una valutazione di probabile fondatezza, bensì di vero e proprio accertamento (sia pur

sommario, in quanto allo stato degli atti), al ricorrere «di gravi elementi di responsabilità» (si

è parlato di fumus c.d. qualificato); dall’altro lato, il presupposto dello stato di bisogno, oltre a

non avere i caratteri dell’irreparabilità tipici del periculum in mora cautelare, non risponde

all’esigenza di evitare alla parte il rischio di perdere o di compromettere irrimediabilmente il

proprio diritto nelle more del procedimento (rischio che, anzi, deve tendenzialmente

escludersi, avendo tra gli obbligati in solido un’assicurazione), bensì si atteggia piuttosto

come requisito personale e speciale atto a giustificare una soddisfazione anticipata del credito;

in sostanza, si ha, da un lato una forte accentuazione del profilo del fumus boni iuris e,

dall’altro, una attenuazione del periculum in mora.

107 In tal senso, PROTO PISANI in Foro It. 1991,

V, 57 e MAMMONE I provvedimenti d’urgenza (a cura di Dini), Milano 1991; in giurisprudenza Trib. Foggia 15

giugno 2001, in Giur. Merito 2003, 921; Trib. Milano 30 aprile 1997, in Giur. It. 1997, I, 2, 630; Trib. Roma 8

febbraio 1995, in Riv. giur. circol. trasp. 1995, 1037 e Pretura Roma 10 aprile 1992, in Cass. Pen. 1993, 199.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Infine, dal punto di vista strutturale e procedurale, vi sono una serie di elementi che

contrastano nettamente con la disciplina (e la stessa ratio) dei provvedimenti cautelari: invero,

l’ordinanza in esame può essere emessa – per esplicita previsione normativa – soltanto in

corso di causa e non ante causam, e nemmeno inaudita altera parte; l’istanza può essere

riproposta ad libitum nel corso del giudizio (contrariamente a quanto previsto dall’art.

669septies, comma 1°, c.p.c., che limita la riproposizione dell’istanza cautelare rigettata,

conferendole una sia pur minima stabilità) ed inoltre il provvedimento può essere revocato

unicamente con la decisione di merito (così escludendosi implicitamente pure la revocabilità o

modificabilità ai sensi dell’art. 669decies c.p.c.)108; la tesi, dalla quale consegue la non

reclamabilità dell’ordinanza ex art. 669terdecies c.p.c., sembra essersi affermata nella più

recente giurisprudenza di merito.

Ambito di applicazione. La norma è ovviamente applicabile alle sole cause in materia di

danni da circolazione dei veicoli e natanti.

Non sembra ci possano essere problemi di incompatibilità con l’assoggettamento di tali

controversie al rito del lavoro, ai sensi della L. 102/2006, dal momento che l’istituto in

questione ha un carattere di specialità, anche rispetto alle ordinanze di cui all’art. 423 c.p.c.

(delle quali, peraltro, dovrebbe ritenersi applicabile solo quella per il pagamento di somme

non contestate, dato che quella del 2° comma è riferita espressamente ai soli crediti del

lavoratore) e, comunque, può tranquillamente convivere con le altre ordinanze anticipatorie,

stante la diversità di presupposti.

La norma è ritenuta applicabile anche nei procedimenti davanti al Giudice di Pace

(applicazione che risulterebbe problematica, se non esclusa, in caso si qualificasse come

ordinanza cautelare), tanto più nella nuova formulazione contenuta nell’art. 147 Cod. Ass. che

ha eliminato il riferimento al “giudice istruttore”, parlando più genericamente di “giudice

civile”.

108 Per la tesi della natura non cautelare, in

dottrina v. GIANNINI-POGLIANI, L’assicurazione obbligatoria dei veicoli e natanti, Milano 1994; CIMINO-

COCOCCIA, La tutela dell’assicurato nel nuovo codice delle assicurazioni private, Torino 2006; COLOMBINI

Anticipazione giudiziale ex art. 24 legge n. 990, provvisionale, provvisoria esecuzione di sentenza, in Arch. Giur

Circol., 1995, 378; in giurisprudenza Trib. Modena sez. I, 1.02.2006, in Giurisprudenza locale - Modena 2006;

Trib. Milano 17.04.2003, in Giur. Milanese 2003, 409; Trib. Venezia 28.03.2002, in Gius 2002, 1644; Trib.

Napoli 12.03.2001, in Riv. Giur. Circol. Trasp. 2002, 387; Trib. Latina 21.12.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 630 e

15.10.1996 in Riv. Giur. Circol. Trasp. 1998, 505; Trib. Bologna 7.10.1994, in Arch. Giur. Circol. 1995, 546, ed

in Foro It. 1995, I, 348.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Come stabilito espressamente dalla legge, l’ordinanza può essere emessa anche dal

giudice penale (la nuova formulazione, come detto, ha eliminato il riferimento all’istruttore,

non più esistente), ovviamente nel caso in cui il danneggiato si sia costituito parte civile.

Mentre nel vigore del codice di procedura del 1930, l’ordinanza poteva essere emessa dal

giudice istruttore, con la procedura introdotta dalla riforma del 1988, è stato escluso che la

provvisionale possa essere concessa dal G.I.P., in quanto non rientrante nella sua competenza

funzionale109; la soluzione ha ricevuto anche l’avallo della Corte Costituzionale, che ha

rigettato la questione di legittimità della norma, nella parte in cui, appunto, non prevedeva la

possibilità di assegnazione della somma nella fase delle indagini preliminari, sull’assunto che

il danneggiato avrebbe comunque a disposizione la tutela in sede civile, non risultando perciò

violato il principio di tutela giurisdizionale dei diritti (sent. 2 maggio 1991 n. 192).

Qualche dubbio si è posto, invece, in relazione alla competenza del G.U.P.,

propendendosi, da una parte, per la soluzione negativa, dal momento che la norma, facendo

riferimento al “giudizio” di primo grado, sarebbe applicabile alla sola fase dibattimentale, con

esclusione di quella precedente, e, dall’altra, per la tesi affermativa, fondata sull’assenza di

limitazioni normative e sulla sussistenza di poteri decisori in capo al g.u.p.110. Questa seconda

interpretazione appare preferibile, soprattutto alla luce della possibilità del g.u.p. di decidere

la causa in via definitiva con il rito abbreviato e con efficacia anche sulla domanda

risarcitoria, ove il rito sia accettato dalla parte civile (artt. 441 e 651 c.p.p.).

Corretta appare, invece, l’esclusione della possibilità di emettere la provvisionale in caso

di applicazione di pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento), stante la conseguente

improcedibilità dell’azione civile ed il divieto del giudice di pronunciare su di essa ex art.

444, 2° comma, c.p.p.111.

109 Trib. Roma 25.07.1990 Arch. Giur. Circol.

1991, 676; Pretura Catania 23.05.1991 in Cass. Pen. 1993, 194; Trib. Roma 25.07.1991 Arch. Nuova Proc. Pen.

1992, 90; Cass. sez. IV pen., 7.07.1995 n. 2661. 110 Nel primo senso Uff. Indagini Prel. Milano

23.02.2007, in Foro Ambrosiano 2007, 1, 74; contra Id. 19.02.2007, ibidem, 70 e Uff. Indagini Prel. Bari

8.04.2003 Giur. Merito 2004, 105. 111 Uff. Indagini Prel. Bari 28.11.2006, in

Giurisprudenzabarese.it 2007; Cass. sez. IV pen. 19.10.1993; contra Pretura Roma 10.04.1992 in Cass. Pen.

1993, 199, nota Saraceni.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

A fronte della esplicita formulazione normativa in tal senso, l’ordinanza può essere

concessa solo nel giudizio di primo grado e non anche in appello, né, come già accennato, può

essere richiesta con ricorso ante causam (l’articolo dice, infatti: «nel corso del giudizio»).

Presupposti. Due sono i presupposti per l’emanazione della ordinanza in commento: lo

stato di bisogno ed i gravi elementi di responsabilità a carico del conducente.

Quanto al primo, la giurisprudenza ormai consolidata esclude che lo stesso debba

interpretarsi in senso rigoroso, ovvero come vero e proprio stato di povertà o indigenza,

potendo bensì consistere in una situazione obbiettiva di impossibilità o difficoltà economica e

finanziaria da parte del danneggiato nel far fronte alle primarie esigenze dell’individuo, quali

alimentazione, abitazione, abbigliamento, istruzione e relazioni sociali, e precisandosi,

chiaramente, che la situazione deve essere valutata caso per caso (sicché anche la eventuale

percezione di rendite o indennità a seguito del sinistro, non possono costituire di per sé,

motivo di rigetto dell’istanza)112.

La suddetta situazione di difficoltà deve essere conseguenza del sinistro, non potendosi

perciò addurre a fondamento della richiesta provvisionale una condizione preesistente

all’evento lesivo; si ritiene, peraltro, che l’ordinanza possa essere emessa anche nel caso in

cui il sinistro abbia anche soltanto aggravato la già difficoltosa condizione precedente,

ponendosi così come mera concausa dello stato di bisogno.

Rientrano in tale nozione, quindi, sia la situazione di impossibilità a sostenere le spese

mediche necessarie per la cura delle conseguenze lesive del sinistro, sia anche le conseguenze

derivanti dai danni meramente materiali (come la necessità di contrarre un finanziamento per

l’acquisto di un nuovo veicolo, essendo il precedente andato distrutto nel sinistro)113.

Tale situazione dovrà poi essere valutata non in senso statico, come esistente al momento

del danno (o della richiesta di provvisionale), ma in una prospettiva dinamica, in

considerazione della prevedibile evoluzione delle esigenze e delle capacità di guadagno del

112 Trib. Palermo 12.04.2002, in Gius 2003,

867; Trib. Belluno 7.05.1990, in Arch. Giur. Circol. 1990, 962. e in Resp. civ. e prev. 1990, 1067; Corte App.

Milano 6.04.1982, in Assicurazioni 1983, III, 25 e in Arch. Giur. Circol. 1982, 503; Trib. Ariano Irpino

16.03.1982, in Giur. Mer. 1983, 5 e in Assicurazioni 1983, II, 102; Trib. Venezia 14.02.1980, in Giur. Merito

1982, 399. 113 Pretura Castellammare G. 7.03.1988, in

Giur. Merito 1989, 687; Pretura Foligno 16.11.1984, in Assicurazioni 1985, 103 e Arch. Giur. Circol. 1985, 213.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

soggetto danneggiato (tenendo quindi conto anche della età di quest’ultimo e del prevedibile

aumento delle esigenze di vita al crescere della persona)114.

Quanto ai «gravi elementi di responsabilità a carico del conducente», si è già detto come

tale espressione faccia pensare a qualcosa di più di un semplice fumus boni iuris, inteso come

probabile o verosimile fondatezza del credito azionato, dovendosi invece intendere come una

raggiunta prova, allo stato degli atti, della responsabilità del sinistro, fondata su concreti

elementi istruttori.

Chiaramente, il riferimento al danno che verrà liquidato con la sentenza, impone che

venga considerato dal giudice l’eventuale concorso di responsabilità del danneggiato, con la

conseguente riduzione proporzionale del risarcimento.

Non si vedono, però, ragioni per negare il ricorso alla presunzione di responsabilità di cui

all’art. 2054, 2° comma, c.c., sicché, in caso di pacificità o raggiunta prova in ordine alla

sussistenza del sinistro come fatto storico ed alla esistenza di un danno dal medesimo

derivato, l’istante potrà avere diritto – ove ricorrano gli altri presupposti – alla liquidazione

della metà del danno (rectius: dei 4/5 della metà). La tesi contraria non appare sostenibile,

poiché, trattandosi di una presunzione ex lege, che può ben operare in sede di sentenza

definitiva, non si spiegherebbe la sua inutilizzabilità tanto più in sede di delibazione

sommaria.

Nonostante l’espressione legislativa, che sembra limitare l’accertamento al solo elemento

soggettivo della fattispecie lesiva, si ritiene che il giudice debba valutare anche la sussistenza

del danno e del nesso di causalità tra questo e il sinistro.

Altro problema di interpretazione, riguardava l’individuazione dei legittimati passivi

dell’ordinanza in oggetto, poiché si riteneva, da parte di alcuni, che la condanna potesse

essere emessa solo nei confronti dell’assicuratore, trattandosi di norma inserita nel corpus

disciplinante l’assicurazione obbligatoria sulla circolazione dei veicoli e natanti; la

giurisprudenza di legittimità si è espressa in senso contrario, sostenendo che la norma ha

carattere autonomo e generale e consente pertanto la pronuncia anche nei confronti del

danneggiante115; tale soluzione appare oggi rafforzata dalla formulazione dell’art. 5 L. 102/06

114 Così Trib. Palermo 12.04.2002 cit. e

Pretura Castellammare G. 7.03.1988, cit.. 115 Cass. sez. IV pen., n. 1332 del 4/12/1981

(dep. 12/02/1982) in Resp. Civ. e Prev., 1983, 2, 230.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

(su cui v. infra), che indica come possibili destinatari della provvisionale «una o più delle

parti civilmente responsabili».

Procedimento. La norma è abbastanza scarna quanto ad indicazioni procedurali, essendo

pertanto demandata al giudice la concreta modulazione del subprocedimento relativo

all’istanza provvisionale.

Gli elementi minimi imposti dalla legge sono due: in primo luogo l’istanza di parte

(comune, del resto, a tutte le ordinanze anticipatorie sin qui esaminate), che esclude una

pronuncia d’ufficio e che, in assenza di specificazioni, deve ritenersi a forma libera

(proponibile anche a verbale d’udienza, o all’interno di un atto processuale tipico o con

ricorso separato) e presentabile anche dal difensore non munito di procura speciale

(trattandosi di mera attività difensiva di carattere processuale, nell’ambito di una domanda già

svolta, senza alcuna modifica della stessa); in secondo luogo, la norma richiede l’audizione

delle parti, che – oltre ad escludere la possibilità di emissione del provvedimento inaudita

altera parte – impone di garantire un contraddittorio minimale; si deve pertanto ritenere, in

analogia con quanto già osservato a proposito delle ordinanze ex artt. 186bis e ss. c.p.c., che

in caso di istanza presentata fuori udienza, il giudice debba disporne la notifica alla

controparte e fissare udienza (ad hoc o coincidente con altra udienza istruttoria già fissata,

compatibilmente con la tempistica del provvedimento).

L’art. 147 Cod. Ass. (così come l’art. 24 L. 990/69) fa poi un cenno ad «un sommario

accertamento» che il giudice può compiere per verificare «i gravi elementi di responsabilità a

carico del conducente», senza tuttavia precisare modalità, limiti ed effetti di tale

accertamento. La disposizione potrebbe, perciò, far pensare ad un accertamento incidentale di

natura sommaria, analogo a quello previsto dall’art. 669sexies c.p.c. per i procedimenti

cautelari, quindi senza formalità e con la problematica dell’utilizzabilità degli esiti di tale “sub

istruttoria” nel prosieguo del giudizio di merito; a mio avviso, però, occorre tener conto che

l’istanza in questione si inserisce necessariamente in un giudizio di cognizione ordinaria già

incardinato e che, per ragioni di economia processuale, sarebbe opportuno acquisire elementi

istruttori con tutti i crismi e le regole procedurali, in modo da consentirne il successivo

utilizzo nel merito.

Chiaramente le esigenze di speditezza che stanno alla base dell’istituto, possono

giustificare un’anticipazione dell’assunzione delle prove rispetto alle scansioni processuali

tipiche e, quindi, ad esempio, consentire un CTU disposta già in sede di prima udienza;

assumeranno, poi, fondamentale importanza (ove presenti) le prove di natura documentale (i

rilievi ed il verbale degli agenti di P.G. o P.S. intervenuti sul posto; consulenze mediche di

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

parte etc.). Detti problemi, peraltro, tenderanno ad essere attenuati in forza dell’applicazione

del rito del lavoro, improntato ad un minor formalismo e ad una maggiore concentrazione.

La generica formulazione normativa («nel corso del giudizio») e l’assenza di precisazioni

sul punto, portano a concludere che la proponibilità dell’istanza in questione non trovi limiti

temporali all’interno del procedimento, per lo meno con riferimento al dies a quo, potendo

essere svolta sin dall’atto introduttivo, nel corso dell’istruttoria o al termine della stessa

(quest’ultima ipotesi, peraltro, è di difficile verificabilità nella pratica, potendo a questo punto

il danneggiato ricorrere anche all’ordinanza ex art. 186quater c.p.c., che non presuppone lo

stato di bisogno e non ha i limiti quantitativi dell’ordinanza 147 Cod. Ass.); ritengo, invece,

che debba individuarsi un limite massimo (dies ad quem) entro il quale presentare l’istanza,

da far coincidere con la rimessione della causa in decisione, sempre sull’assunto che in tale

momento vengono meno le esigenze anticipatorie, e ciò, tanto più, a seguito dell’applicazione

del rito lavoristico alle controversie di infortunistica stradale, ove è prevista la decisione

contestuale in udienza (art. 429 c.p.c.).

Efficacia e stabilità. L’ordinanza ex art. 147 Cod. Ass. è immediatamente esecutiva

(coerentemente con la sua finalità anticipatoria) ed è dichiarata esplicitamente “irrevocabile”

sino alla decisione del merito. A tale ultimo proposito si nota come la nuova formulazione

della norma, pur riportando sostanzialmente il contenuto della previgente, abbia voluto fugare

ogni dubbio in ordine alla impossibilità che l’ordinanza potesse essere revocata o modificata

nel corso del giudizio, da parte dello stesso istruttore, dubbio che era stato prospettato da

alcuni, sotto il vigore del vecchio art. 24 L. 990/69, che recitava testualmente: «l’ordinanza

può essere revocata con la decisione del merito»; si era pensato, infatti, che tale espressione

volesse solo sancire che l’ordinanza era destinata ad essere assorbita dalla sentenza definitiva

del giudizio, senza incidere sul suo normale regime di revocabilità e modificabilità ex art. 177

c.p.c.; pur non ritenendo corretta tale interpretazione neanche sub art. 24 L. 990/69, come

detto, la nuova norma risolve senza alcun dubbio la questione.

L’ordinanza, peraltro, pur dotata di una certa stabilità nel corso del giudizio, non assume

comunque natura decisoria né idoneità al giudicato, sicché non è impugnabile, nemmeno con

il ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost.116; sulla sua reclamabilità o meno, si

rimanda a quanto detto a proposito della sua (denegata) natura cautelare.

116 Cass. sez. III civ. 28.12.1991 n. 13968 e

1311.1984 n. 5731.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

Quanto alla sancita reiterabilità dell’istanza, si ritiene comunemente che la disposizione si

riferisca alla sola istanza rigettata, non ravvisandosi, peraltro, alcuna concreta utilità nella

riproposizione di un’istanza già accolta, a meno che non si voglia ritenere che, nel caso di

accoglimento parziale, il danneggiato possa riproporre la domanda per la somma non

assegnata, ma sempre, in tal caso, rispettando il limite dei 4/5 della somma liquidabile in

sentenza.

Nulla dice la legge sulla sorte del provvedimento in esame in caso di estinzione del

giudizio; si dovrebbe pertanto concludere, in ottemperanza al disposto dell’art. 310, 2°

comma, c.p.c., che l’ordinanza perda efficacia.

Laddove, invece, si accedesse alla tesi della sua natura cautelare e della conseguente

applicabilità delle norme sul procedimento cautelare uniforme, se ne dovrebbe dedurre, alla

luce della novella del 2005, la sopravvivenza dell’ordinanza, in base al nuovo combinato

disposto degli artt. 669octies, 6° comma e 669novies c.p.c. (ovviamente, senza alcuna

efficacia di giudicato, nemmeno nella forma più attenuata della preclusione pro judicato).

Si registra, peraltro, in dottrina, una ricostruzione volta a conservare al provvedimento

una sua immutabilità e stabilità anche a seguito dell’estinzione del giudizio, pur partendo

dalla sua natura anticipatoria e non cautelare: anzi, proprio fondandosi su tale natura e sul

presupposto che tali provvedimenti sono revocabili o modificabili solo in corso di giudizio ad

opera del giudice che li ha emessi (o, come nel caso di specie, addirittura con la sola

sentenza), tale interpretazione sostiene che, venuto meno il procedimento, verrebbe meno

anche qualsiasi possibilità di modifica e revoca dell’ordinanza117.

b) La provvisionale in assenza di stato di bisogno di cui all’art. 5 L. 102 del 2006.

Art. 5.

(Liquidazione anticipata di somme in caso di incidenti stradali)

1. All’articolo 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, è aggiunto, in fine, il seguente

comma:

«Qualora gli aventi diritto non si trovino nello stato di bisogno di cui al primo comma,

il giudice civile o penale, su richiesta del danneggiato, sentite le parti, qualora da un

sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente,

117 Così CARRATTA, Profili sistematici della

tutela anticipatoria, Torino 1997 e, Idem, in Le recenti riforme del processo civile, Commentario diretto da

Chiarloni, Tomo II, Bologna 2007.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

con ordinanza immediatamente esecutiva provvede all’assegnazione, a carico di una o più

delle parti civilmente responsabili, di una provvisionale pari ad una percentuale variabile tra

il 30 e il 50 per cento della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con

sentenza».

Con una norma che ha sorpreso e sconcertato non poco per la sua struttura e formulazione

(avendo aggiunto un comma ad un articolo abrogato da una legge dell’anno prima!), il

legislatore del febbraio 2006 ha introdotto una nuova fattispecie di provvisionale nelle cause

di sinistro stradale, in tutto e per tutto uguale a quella già prevista nel nostro ordinamento, ma

disancorata dal presupposto dello stato di bisogno del danneggiato e con la conseguente

ulteriore limitazione nel quantum (dal 30 al 50% del danno liquidabile con sentenza).

Il primo problema che si è posto all’interprete è quello della effettiva vigenza della

norma, appunto perché riferita ad una disposizione già abrogata; tuttavia, è facile risolvere la

questione riferendo l’aggiunta del comma ultimo all’art. 147 Cod. Ass., che costituisce

sostanziale riproposizione del vecchio articolo 24 L. 990/69118; soluzione dettata, oltre che dal

buon senso e dalla logica giuridica, dallo stesso legislatore del 2005 (forse inconsciamente

presago della futura clamorosa svista), che, all’art. 354, comma 3° Cod. Ass., testualmente

dispone: «il rinvio alle disposizioni abrogate fatto da leggi, da regolamenti o da altre norme

si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del presente codice e dei provvedimenti ivi

previsti».

La seconda questione attiene ai profili di applicabilità intertemporale, in assoluta assenza

di disciplina transitoria; tralasciando in questa sede la più generale problematica

dell’applicabilità dell’art. 3 L. 102/06 (che ha sottoposto le controversie di infortunistica

stradale al rito del lavoro) ai procedimenti già pendenti, i primi orientamenti espressi dalla

giurisprudenza di merito affermano l’applicabilità dell’istituto de quo anche ai processi già

pendenti alla data di entrata in vigore della norma, sul presupposto che trattasi di norma che

regola un singolo atto processuale ed è quindi governata, in assenza di diversa disposizione,

dal principio tempus regit actum, con il solo ovvio limite, dunque, della proposizione

dell’istanza dopo il 1° aprile 2006119.

118 Trib. Alba 19.10.2006, in Giur. Merito

2007, 3, 714 (nota di Masante). 119 Trib. Mantova 13.06.2006, in Giur. Merito

2007, 3, 692, Arch. giur. circol. e sinistri 2007, 2, 175 e Trib. Alba cit. alla nota precedente; conforme è la prassi

accolta presso il Tribunale di Piacenza.

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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa

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Non credo, invece, che la norma in commento possa subire la stessa limitazione oggettiva

contenuta nell’art. 3 e nella rubrica della L. 102/06, la quale si riferisce ai soli procedimenti

«conseguenti ad incidenti stradali», così apparentemente escludendo dalla sua applicazione i

casi di sinistri cagionati da natanti; infatti, a prescindere dalla necessità di interpretare con

assoluta cautela il dato testuale di un atto normativo chiaramente deficitario sotto il profilo

tecnico, si deve stabilire che, essendo la norma in esame inserita come nuovo comma dell’art.

147 Cod. Ass., che si applica (come la precedente L. 990/69) anche ai sinistri nautici, tali

fattispecie rientrino pienamente nell’ambito di applicazione dell’istituto in esame.

Appare ovvio che, assente anche il requisito dello stato di bisogno, debba nel modo più

assoluto escludersi la natura cautelare dell’ordinanza ex art. 5 L. 102/06, con conseguente

inammissibilità del reclamo avverso la stessa120.

Per il resto, la norma richiama i medesimi presupposti validi per l’emissione della

provvisionale in stato di bisogno (cioè i gravi elementi di responsabilità a carico del

conducente), per cui si rimanda a tutto quanto osservato in proposito; si è poi già detto della

formulazione più chiara rispetto ai possibili destinatari del provvedimento («una o più delle

parti civilmente responsabili»), che dissipa ogni dubbio sulla possibilità di chiedere

l’assegnazione della somma anche a carico del danneggiante o in solido nei confronti di tutti i

responsabili.

Con riferimento ai requisiti ed alle modalità processuali per la proposizione dell’istanza e

l’emissione dell’ordinanza, non vi è alcuna precisazione nella norma in commento; pertanto,

tenuto conto della sostanziale analogia dei due istituti e del fatto che la disposizione in esame

si inserisce quale ultimo comma dell’art. 147 Cod. Ass., si deve ritenere richiamata la

disciplina processuale dettata per la provvisionale “tradizionale”, rimandando a tutte le

considerazioni già svolte al riguardo; sicché anche tale ordinanza deve essere limitata al

giudizio di primo grado, presuppone l’istanza e la previa audizione delle parti ed è revocabile

con la sentenza che definisce il giudizio.

Analoghe considerazioni, infine, devono svolgersi con riferimento al suo regime di

stabilità in caso di estinzione del processo.

Dr. Coderoni Mario

120 Trib. Reggio Emilia 15 giugno 2006, in

JurisData, Redazione Giuffrè 2006.