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UNIONE EUROPEA. Istruzioni per l’uso n. 1/2010 La prestazione di servizi nell’Unione europea Aspetti legali e fiscali

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UNIONE EUROPEA. Istruzioni per l’uso

n. 1/2010

La prestazione di servizinell’Unione europea

Aspetti legali e fiscali

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Unioncamere PiemonteAlps - Enterprise Europe NetworkVia Cavour, 1710123 Torino

011 5669222 - 34 011 5119144www.pie.camcom.it

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Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di TorinoAlps - Enterprise Europe NetworkVia San Francesco da Paola, 2410123 Torino

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COORDINAMENTOUnioncamere PiemonteLaura BelforteMarianna MucciMarta Elia

Camera di commercio di TorinoGianpiero MaseraPaolo VenerusoMonica May Giulia Bucci (collaboratrice Torino Incontra)

COORDINAMENTO EDITORIALEUnioncamere PiemonteUfficio Relazioni Esterne e PubblicazioniGrace De GirolamoChiara Testini

PROGETTO GRAFICOGruppo Vento

IMPAGINAZIONELa Réclame

STAMPALitograf Arti Grafiche

AUTORIHanno collaborato rispettivamente al capitolo 1 – aspetti legali – Avv. Marina Motta e ai capitoli 2, 3, 4, 5 e 6 – aspetti fiscali – Dott. Stefano Garelli, esperti presso il Centro Estero per l’Internazionalizzazione del Piemonte

Finito di stampare nel mese di giugno 2010

Nel rispetto dell’ambiente, questo volume è stato stampato su carta ecologica certificata Ecolabel

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Collegati al sito della tua Camera di commerciooppure telefona al numero 848.800.229

Unione europea. Istruzioni per l’uso

La collana Unione europea. Istruzioni per l’uso nasce dalla volontà delle Camere di commercio piemontesi di fornire alle imprese operanti nella regione strumenti utili e di facile consultazione in cui trovare informazioni aggiornate sulle principali normative e finanziamenti di origine comunitaria. Queste pubblicazioni vogliono essere di stimolo per adeguare la propria attività e i propri prodotti ai requisiti richiesti dall’UE, e anche uno spunto per trovare nuovi strumenti operativi e nuove soluzioni per la propria attività imprenditoriale. Obiettivo della collana è infatti quello di avvicinare e informare le imprese piemontesi sulle tematiche comunitarie: dal contenuto dell’etichetta all’obbligo di apposizione della marcatura CE, dal marchio comunitario ai programmi europei di finanziamento.

La Camera di commercio di Torino e Unioncamere Piemonte fanno parte del consorzio Alps, il nodo per il Nord Ovest Italia della rete Enterprise Europe Network, creata dalla Commissione europea per supportare l’attività imprenditoriale e la crescita delle imprese europee. Inoltre, Unioncamere Piemonte coordina la rete regionale degli Sportelli Europa presso le Camere di commercio di tutte le altre province piemontesi.

Nell’ambito dell’Alps Enterprise Europe Network e degli Sportelli Europa, il sistema camerale piemontese fornisce gratuitamente informazioni operative su:• finanziamenti, programmi e gare d’appalto comunitarie• normativa comunitaria e degli altri Paesi europei relativa alle attività d’impresa• cooperazione fra imprese e ricerca di partner commerciali o produttivi all’estero.

Vengono organizzati, inoltre, corsi e seminari sulle più importanti novità in ambito comunitario e viene offerto alle imprese piemontesi un servizio gratuito di aggiornamento via e-mail sulle principali novità normative e sulle opportunità di collaborazione con altre imprese europee.

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Data la sensibilità e la complessità degli argomenti trattati, si ritiene opportuno segnalare che le informazioni contenute in questo volume sono tratte da fonti ritenute attendibili ed aggiornate a maggio 2010. Tuttavia, essendo soggette a possibili modificheed integrazioni periodiche da parte degli organismi di riferimento, si precisa che le stesse non hanno carattere di ufficialità, bensì valore meramente orientativo. Pertanto, il loro utilizzo da parte del lettore nello svolgimento della propria attività professionale richiede una puntuale verifica presso le autorità e gli organismi istituzionalmente competenti nella/e materia/e di riferimento.

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Introduzione

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1. Aspetti generali della Direttiva Servizi 6 1.1 Contesto 6 1.2 Ambito di applicazione della Direttiva Servizi 8 1.3 La Direttiva Servizi in relazione alle altre disposizioni comunitarie 10

1.3.1 Riconoscimento delle qualifiche professionali 11 1.4 Semplificazione amministrativa 14

1.4.1 Sportelli unici 15 1.5 Libertà di stabilimento 21 1.6 Libera prestazione di servizi 25 1.7 Qualità dei servizi offerti 27

1.7.1 Assicurazioni e garanzie in caso di responsabilità professionale 29 1.8 Contratto di prestazione di servizi in ambito UE 30

1.9 Stato di recepimento della Direttiva Servizi nei Paesi membri 38

2. Aspetti fiscali nella prestazione dei servizi 40

2.1 Che cos’è l’IVA? 40 2.2 Il concetto di soggetto passivo 43

2.2.1 Soggetti passivi stabiliti in un Paese UE 43 2.2.2 Soggetti passivi stabiliti in un Paese extra-UE 44 2.2.3 Soggetti passivi misti o ibridi 45 2.2.4 Società non operative 46 2.2.5 Stabili organizzazioni 46 2.2.6 Soggetti esteri identificati ai fini IVA nel Paese del prestatore 47 2.3 Il concetto di prestazione di servizi sotto il profilo IVA 47

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3. Regola generale e criteri speciali nella prestazione dei servizi 52

3.1 Prestazioni di servizi disciplinate in deroga alle regole generali 54

3.1.1 Servizi relativi ai beni immobili 54 3.1.2 Servizi di trasporto passeggeri 56 3.1.3 Servizi di ristorazione e catering 57 3.1.4 Servizi di noleggio a breve termine di un mezzo di trasporto 58 3.1.5 Servizi culturali, artistici, sportivi, scientifici, ricreativi e affini, quali fiere ed esposizioni 60

4. La fatturazione e le dichiarazioni INTRASTAT 64

4.1 Fatturazione e registrazione delle operazioni 64

4.1.1 Servizi disciplinati dalla regola generale (servizi generici): esempio di servizi resi a soggetti esteri 64 4.1.2 Servizi disciplinati dalla regola generale (servizi generici): esempio di servizi acquistati presso soggetti esteri 65 4.2 Elenchi INTRASTAT 66 4.3 Rimborso dell’IVA subita all’estero 67

5. Invio di personale in altro Paese UE 69 5.1 Aspetti generali 69 5.2 Sicurezza sociale 69 5.3 Aspetti assicurativi 70 5.4 Trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente prodotto nel Paese estero 72

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6. Aspetti applicativi e casistica operativa 75 6.1 Impresa italiana che presta servizi in altro Paese UE 75 6.2 Impresa straniera (Paese UE) che presta servizi in Italia 78 6.3 Casistica operativa per servizi eseguiti da operatori italiani a favore di committenti esteri 79

6.3.1 Lavori edili 79 6.3.2 Fornitura e installazione di impianti di riscaldamento 83 6.3.3 Realizzazione di impianti elettrici 85 6.3.4 Prestazioni di consulenza tecnica o legale rese da professionisti 87 6.3.5 Artisti e sportivi 89

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Introduzione

Il mercato unico europeo rappresenta una fonte di opportunità per gli imprenditori italiani che desiderano espandere la propria attività oltre i confini nazionali.

Il processo di integrazione europea, iniziato ormai da più di 50 anni, è ed è stato sicuramente un processo complesso che ha portato alla progressiva aperturadei mercati, attraverso centinaia di disposizioni volte ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione di merci, capitali, persone e servizi.

In questo quadro generale, tappa fondamentale per il completamento del mercato unico è la Direttiva 2006/123/CE, relativa alla libera circolazione dei servizinel mercato interno, che introduce molte novità volte a rimuovere le barriere alla prestazione di servizi nei Paesi UE.

La presente guida, realizzata dall’Enterprise Europe Network di Unioncamere Piemonte e Camera di commercio di Torino con la collaborazione del Centro Estero per l’Internazionalizzazione del Piemonte, rappresenta uno strumento pratico rivolto agli operatori economici che intendono prestare i propri servizi negli altri Paesi europei, attraverso un quadro introduttivo sulle principali novità apportate dalla Direttiva Servizie approfondimenti dedicati agli aspetti fiscali, assicurativi e legati al trasferimento di personale dipendente.

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Come reperire i testi normativi on-line

Normativa europeaTutte le normative comunitarie citate nella presente Guida sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (GUUE), consultabile gratuitamente tramite il portale EUR-LEX:

http://eur-lex.europa.eu/it/index.htm

Il metodo più semplice per ricercare il testo di un provvedimento di cui si conoscono gli estremi (ad esempio Direttiva 2006/123/CE) è quello di accedere alla sezione “Ricerca semplice” ed effettuare una ricerca per numero del documento, selezionando (nella voce “Riferimento del documento”) il tipo di normativa che si sta ricercando (ad esempio, nel nostro caso, “Direttiva”), l’anno (“2006”) e il numero (“123”).

È anche possibile effettuare ricerche con altri criteri, per esempio per argomento, parole nel titolo o nel testo dei provvedimenti, tipo di atto. Se il provvedimento è stato modificato, è generalmente possibile consultare anche la versione consolidata, sarebbe a dire integrata con le modifiche successive.Si segnala anche il sito comunitario:

http://europa.eu/legislation_summaries/index_it.htm

dove è possibile reperire schede di sintesi (spesso anche in italiano) delle politiche e delle normative comunitarie.

Normativa italianaI numeri della Gazzetta Ufficiale italiana sono consultabili gratuitamente sui seguenti siti:

http://www.gazzettaufficiale.it

[per i numeri più recenti]

http://gazzette.comune.jesi.an.it

[per i numeri dal 1998 ad oggi].

Per ricerche su provvedimenti meno recenti, segnaliamo il portale Normattiva: http://www.normattiva.it

I testi dei D.lgs. attuativi delle Direttive comunitarie sono raccolti sul sito internet del Parlamento Italiano in ordine cronologico a partire dal 1996:

http://www.parlamento.it

[selezionare Leggi / Decreti Legislativi].

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1. Aspetti generali della Direttiva Servizi

1.1 Contesto I servizi hanno un’importanza determinante nello scenario economico attuale sia a livello nazionale sia a livello comunitario; a sostegno di questa affermazione è sufficiente ricordare che, nell’Unione europea, più dei 2/3 del Pil e dei posti di lavoro fanno riferimento al settore terziario. L’Italia, su questo piano, non è da meno: nel nostro Paese, infatti, i servizi rappresentano quasi il 70% del valore aggiunto prodotto [Statistiche Eurostat 2006].

Non a caso, dunque, il settore dei servizi è stato caratterizzato da un’importante produzione normativa a livello comunitario. L’Unione europea è oggi impegnata in una fase politica molto importante: il completamento del mercato unico. Nell’ambito di questo processo e per il suo completamento, è necessaria una fase dedicata al mercato dei servizi, che, come detto, riveste un ruolo di primaria importanza. Si tratta quindi di abbattere tutte le barriere, soprattutto di carattere burocratico, ancora esistenti tra gli Stati membri.

L’esigenza di perfezionare la liberalizzazione del mercato dei servizi in Europa ha condotto all’adozione della Direttiva 2006/123/CE sulla libera circolazione dei servizi nel mercato interno (detta anche Direttiva Bolkestein, dal nome del Commissario per il mercato interno che la propose nel 2004,o Direttiva Servizi) che è stata ultimamente recepita anche dall’Italia(si veda il box blu a pagina 17).

La Direttiva Servizi trova la sua base giuridica nel Trattato della Comunità europea, oggi modificato dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Gli articoli a fondamento della Direttiva Servizi sono quelli relativi al mercato interno, inteso come uno spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione dei servizi (attuale art. 26 TFUE), nel quale è riconosciuta la libertà di stabilimento (attualeart. 49 TFUE) e in cui è sancito il diritto di prestare servizi all’interno della Comunità (odierno art. 56 TFUE). La Comunità, infatti, considera l’eliminazione delle barriere allo sviluppo del settore dei servizi tra Stati membri come uno strumento essenzialeper la realizzazione di una maggiore competitività necessaria a promuovere la crescita economica e a creare nuovi posti di lavoro nell’Unione europea.

La relazione del 2002 della Commissione sullo “Stato del mercato internodei servizi” aveva individuato numerosi ostacoli che impedivano ai prestatoridi servizi di esercitare oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno le opportunità offerte dal mercato unico europeo. Gli ostacoli individuati erano particolarmente dannosi per le piccole e medie imprese (PMI), che ancora oggi rivestono un ruolo predominante nel settore dei servizi. Dalla relazione emergeva infatti che, nonostante fossero

ASPETTI GENERALI DELLA DIRETTIVA SERVIZI

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trascorsi dieci anni dal previsto completamento del mercato interno, sussisteva ancora un notevole divario tra il progetto di economia integrata europea e la realtà percepita e vissuta dai cittadini e dai prestatori di servizi europei; le cause principali erano attribuibili a procedure amministrative eccessivamente gravose, incertezza giuridica caratterizzante le attività transfrontaliere e mancanza di fiducia reciproca tra Stati membri.

Al fine di realizzare il mercato unico dei servizi, era quindi necessario eliminare numerosi ostacoli per consentire agli operatori di prestare i propri servizi scegliendo liberamente, in funzione della propria strategia di sviluppo, se stabilirsi o meno negli Stati membri in cui intendevano operare. L’eliminazione di questi ostacoli richiedeva un preliminare coordinamento delle legislazioni nazionali, anche al fine di istituire una cooperazione amministrativa tra i diversi Paesi comunitari.

La Direttiva Servizi in tale ottica istituisce un quadro giuridico generale basato su un approccio dinamico che permette di eliminare in via prioritaria gli ostacoli che possono essere rapidamente rimossi e avviare un processo di valutazione, consultazione ed armonizzazione per quelli più impegnativi; grazie a questo processo sarà possibile modernizzare progressivamente e in maniera coordinata i sistemi nazionali che disciplinano le attività di servizi.

La Direttiva Servizi costituisce ormai il testo per eccellenza in materia di terziario, un settore in precedenza concettualmente dominato, se non monopolizzato, dalle telecomunicazioni, dai trasporti e dai servizi finanziari.

Gli aspetti più importanti toccati dalla Direttiva possono essere così sintetizzati:• emanazione di regole volte ad ottenere una semplificazione amministrativa• facilitazione nelle procedure per l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie

ai prestatori di servizi• ulteriore implementazione del principio di libera prestazione di servizi• emanazione di regole volte a garantire la qualità dei servizi offerti e la tutela

dei destinatari• nuove strategie di cooperazione amministrativa tra gli Stati membri.

Per ulteriori approfondimenti consulta il sito internet della Direttiva Servizi:

http://ec.europa.eu/internal_market/services/services-dir/index_en.htm

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Il valore delle Direttive comunitariePrima di entrare nel merito delle disposizioni della Direttiva Servizi, può essere utile ricordare che le Direttive comunitarie (art. 288 TFUE) sono rivolte agli Stati membri e sono vincolanti con riferimento al risultato da raggiungere; lasciano quindi agli Stati membri la libertà di decidere gli strumenti normativi più opportuni per il raggiungimento degli obiettivi indicati. Le Direttive comunitarie dunque, contrariamente ai Regolamenti,non si rivolgono direttamente ai cittadini europei. Nonostante ciò si parla di efficacia diretta delle Direttive perché i singoli cittadini possono, a determinate condizioni, farne valere in giudizio l’efficacia se hanno subito un danno direttamente connesso alla mancata applicazione delle stesse (a causa quindi dell’inadempimento dello Stato), se è scaduto il termine per il recepimento e se la Direttiva comunitaria contiene obblighi “chiari, precisi ed incondizionati” a carico degli Stati membri. La Corte di giustizia ha infatti ritenuto che, se ciò non fosse possibile, la portata delle Direttive sarebbe ristretta.

L’art. 44 della Direttiva Servizi indicava il 28 dicembre 2009 quale termine ultimo affinché gli Stati membri provvedessero al recepimento all’interno dei singoli ordinamenti. L’Italia è intervenuta in merito in due fasi: dapprima è stata emanata la “Legge comunitaria 2008” (L. 88/2009), il cui art. 41 delegava al Governo l’attuazione della Direttiva; alla delega è stata data attuazione con il D.lgs. 59/2010 “Attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”.

In un secondo momento le Regioni, che hanno competenza esclusiva per molti dei servizi che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva, hanno provveduto a disciplinare le procedure amministrative e gli aspetti di loro competenza. In Piemonte, il riferimento è la L.R. 38/2009, di cui si dirà in seguito (si veda il box blu a pagina 19).

1.2 Ambito di applicazione della Direttiva Servizi

La Direttiva Servizi segna, come osservato sopra, un riferimento importante nell’ambito della normativa relativa al settore terziario. L’innovazione è stata perseguita anche grazie alla scelta del Legislatore europeo di non individuare i settori toccati dalla Direttiva ma, al contrario, di definire le attività escluse dal campo di applicazione; attraverso questa tecnica legislativa, si è voluto quindi predisporre uno strumento che comprendesse qualsiasi servizio fornito dietro corrispettivo economico, ad eccezione delle esclusioni contemplate all’art. 2.

Il novero dei servizi a cui la Direttiva si applica risulta essere così molto ampio: • servizi prestati alle imprese (quali, ad esempio, i servizi di consulenza manageriale

e gestionale, di certificazione e collaudo, di gestione delle strutture - compresi i servizidi manutenzione degli uffici - di pubblicità, quelli connessi alle assunzioni e i servizi degli agenti commerciali)

• servizi prestati sia alle imprese sia ai consumatori (quali, ad esempio, i servizi di consulenza legale o fiscale, quelli collegati con il settore immobiliare - agenzie

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immobiliari, edilizia, compresi i servizi offerti dagli architetti, la distribuzione, l’organizzazione di fiere, il noleggio di auto, le agenzie di viaggi)

• servizi prestati ai consumatori (quali i servizi nel settore del turismo, comprese le guide turistiche, i servizi ricreativi, i centri sportivi, i parchi di divertimento e, nella misura in cui non sono esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva, i servizi a domicilio).

La definizione di servizi comprende sia i servizi resi a favore dei privati (consumatori e imprese), sia quelli resi a favore delle pubbliche amministrazioni.

Le suddette attività rientrano nell’ambito della Direttiva Servizi indipendentemente dalle modalità di prestazione. La Bolkestein è quindi applicata se il prestatore del servizio si sposta in un altro Stato membro, se si sposta il destinatario della prestazione o se, infine, i servizi vengono erogati a distanza o via internet.

Tra i servizi esclusi (art. 2) vanno annoverati:• servizi non economici d’interesse generale• servizi finanziari (quali l’attività bancaria, il credito, l’assicurazione e la

riassicurazione, le pensioni professionali o individuali, i titoli, gli investimenti,i fondi, i servizi di pagamento e quelli di consulenza nel settore degli investimenti)

• servizi e reti di comunicazione elettronica (in relazione alle materie disciplinate dalle Direttive in materia)

• servizi di trasporto (compresi i servizi portuali)• servizi offerti dalle agenzie di lavoro interinale• servizi sanitari (a prescindere dalle modalità di organizzazione e di finanziamento,

indipendentemente cioè dal fatto che vengano prestati o meno nel quadro di una struttura sanitaria e dalla natura pubblica o privata della stessa. Rimane impregiudicato tuttavia il diritto riconosciuto al cittadino europeo di farsi curare in qualsiasi struttura sanitaria di qualsiasi Stato membro)

• servizi audiovisivi (compresi i servizi cinematografici e radiofonici)• giochi d’azzardo (comprese lotterie, casinò e scommesse)• attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri• taluni servizi sociali (nel settore degli alloggi, dell’assistenza all’infanzia

e del sostegno alle famiglie e alle persone bisognose)• servizi privati di sicurezza• servizi forniti da notai e ufficiali giudiziari.

Viene anche escluso il settore fiscale (ad esempio la riscossione dei tributi) che per natura è di competenza statale.

Gli Stati in cui si applica la Direttiva ServiziLa Direttiva Servizi trova applicazione in tutti gli Stati membri UE e negli Stati EFTA (Norvegia, Islanda e Liechtenstein).

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1.3 La Direttiva Servizi in relazione alle altre disposizioni comunitarie

La Direttiva Servizi stabilisce (art. 3) che in caso di conflitto della stessa “con disposizioni di altri atti comunitari che disciplinano aspetti specifici dell’accesso ad un’attivitàdi servizi o del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche,le disposizioni di questi altri atti comunitari prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche”.

I principali atti che, in caso di contrasto, prevalgono sono elencati (non esaustivamente) dalla Direttiva stessa:• Direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito

di una prestazione di servizi• Regolamento 71/1408/CEE sul coordinamento dei regimi di sicurezza

sociale• Direttiva 89/522/CEE inerente l’esercizio delle attività televisive• Direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali.

In merito al delicato tema delle professioni regolamentate (tra cui architetti, avvocati, medici, veterinari e farmacisti), la Direttiva (art. 24) stabilisce che gli Stati membri debbano sopprimere tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali/pubblicità previsti per tali professioni e provvedere affinché le comunicazioni commerciali emanate dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali in conformità al diritto comunitario, con particolare riguardo all’indipendenza, alla dignità e all’integrità della professione nonché al segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione.

La Direttiva stabilisce inoltre che le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali non devono essere discriminatorie, ma proporzionate e giustificate da motivi imperativi di interesse generale. Già in precedenza, con una Direttiva sul commercio elettronico (Direttiva 31/2000/CE), il Legislatore comunitario aveva introdotto il principio secondo cui gli Stati avrebbero dovuto evitare ogni divieto generale di comunicazione commerciale delle professioni regolamentate per le attività on-line; la Direttiva Servizi amplia quindi l’ambito di tale “divieto di vietare” anche alle comunicazioni commerciali che non avvengono tramite internet.

Lo stesso approccio è stato utilizzato dal Legislatore comunitario con riferimento alle attività multidisciplinari, in merito alle quali la Direttiva Servizi stabilisce che gli Stati membri provvedano affinché i prestatori non siano assoggettati a requisiti che li obblighino ad esercitare esclusivamente una determinata attività specifica o che limitino l’esercizio, congiunto o in associazione, di attività diverse (art. 25).

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Gli unici limiti che gli Stati possono imporre, per le professioni regolamentate e per i servizi di certificazione, omologazione, controllo, prova e collaudo tecnici, sono quelli funzionali al rispetto di norme di deontologia nonché quelli necessari a garantirne l’indipendenza e l’imparzialità.

Si osserva che l’impegno del Legislatore europeo finalizzato alla liberalizzazione dei servizi non ha trascurato l’aspetto qualitativo degli stessi, come dimostrano varie norme del Capo V della Direttiva (si veda il paragrafo 1.7).

La struttura della Direttiva ServiziCapo I - Disposizioni generaliCapo II - Semplificazione amministrativaCapo III - Libertà di stabilimentoCapo IV - Libera circolazione di servizi

Capo V - Qualità dei serviziCapo VI - Cooperazione amministrativaCapo VII - Programma Convergenza

1.3.1 Riconoscimento delle qualifiche professionaliLa Direttiva 2005/36/CE si occupa del riconoscimento delle qualifiche professionali tra Stati europei. In particolare, fissa le regole con cui uno Stato membro può regolamentare l’accesso a determinate professioni (le cosiddette professioni regolamentate) nel proprio territorio nazionale ed individua i principi per cui gli Stati possono decidere o meno di riconoscere determinate qualifiche professionali acquisite dall’interessato in uno o più Stati membri diversi.

La Direttiva si applica in tutti i Paesi UE, nei Paesi EFTA e in Svizzera, sia nel caso di prestazioni di servizi in qualità di lavoratore subordinato, sia nel caso di lavoratori autonomi e liberi professionisti che intendono esercitare una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali.

Il concetto di professione regolamentata è definito dalla Direttiva come l’attività il cui accesso ed esercizio, o le cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali (ne costituiscono un classico esempio le professioni mediche e legali).

Il riconoscimento della qualifica professionale permette al beneficiario di esercitare la professione regolamentata alle stesse condizioni poste ai cittadini dello Stato membro ospitante.

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L’art. 5 prevede che, in termini generali, gli Stati membri non possano limitare, per ragioni attinenti alle qualifiche professionali, la libera prestazione di servizi. Quindi: • se il prestatore è stabilito in un altro Stato membro ed esercita

legalmente la stessa professione regolamentata, in via di principio, lo Stato ospitante dovrebbe sempre concedere il riconoscimento della qualifica professionale

• se nello Stato d’origine la professione non è regolamentata, lo Stato ospitante dovrebbe permettere l’esercizio dell’attività se l’interessato dimostra di averla praticata in maniera continuativa per almeno due anni nel corso dei dieci anni che precedono la richiesta.

Queste regole si applicano esclusivamente nel caso in cui il prestatore si sposti nello Stato ospitante per esercitare in modo temporaneo ed occasionale la professione. Il carattere temporaneo della prestazione è valutato caso per caso, in funzione della durata, della frequenza, della periodicità/continuità della prestazione stessa.

L’art. 7 prevede che gli Stati membri possano esigere che, quando il prestatore si sposta per la prima volta, informi in anticipo l’autorità competente con una dichiarazione scritta contenente informazioni sulla copertura assicurativa (o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva) per la responsabilità professionale. Tale dichiarazione dovrà essere rinnovata annualmente.

Inoltre, nel caso di professioni regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, l’autorità competente dello Stato membro ospitante può procedere ad una verifica delle qualifiche professionali del prestatore precedentemente alla prima prestazione di servizi. Questa verifica preliminare è possibile solo se finalizzata ad evitare danni gravi alla salute o alla sicurezza del destinatario del servizio e deve concludersi entro un mese al massimo dalla ricezione della dichiarazione e dei documenti del richiedente.

In caso di differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante, l’autorità competente è tenuta ad offrire al prestatore la possibilità di dimostrare di avere acquisito le conoscenze o le competenze mancanti, mediante una prova attitudinale.

In caso di richiesta di stabilimento (e non dunque per la prestazione temporanea ed occasionale), le competenze professionali vengono suddivise in livelli (art. 11 della Direttiva); lo Stato membro ospitante accorderà l’accesso alla professione regolamentata se il richiedente dimostra di possedere un attestato di competenza/titolo di formazione:• rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro• di un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello

immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante.

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L’accesso alla professione e il suo esercizio sono consentiti anche ai richiedenti che abbiano esercitato a tempo pieno la professione per due anni nel corso dei precedenti dieci, in un altro Stato membro che non la regolamenti, e abbiano uno o più attestati di competenza o titoli di formazione. Questi ultimi devono:• essere stati rilasciati da un’autorità competente • attestare un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello

immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante• attestare la preparazione del titolare all’esercizio della professione interessata.

A garanzia della qualità dei servizi, la Direttiva prevede anche la possibilità a favore degli Stati membri di richiedere l’esercizio di un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o di una prova attitudinale (la scelta tra le due opzioni spetta generalmente al candidato). Lo Stato membro può richiedere questo ulteriore requisito se:1) la durata della formazione ricevuta dall’interessato è inferiore di almeno un anno

a quella richiesta nello Stato membro ospitante2) la formazione ricevuta dall’interessato riguarda materie sostanzialmente diverse

da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto nello Stato membro ospitante3) la professione regolamentata nello Stato membro ospitante include una o più

attività professionali regolamentate, mancanti nella corrispondente professione dello Stato membro d’origine.

A questo proposito (art. 16 e seguenti), le attività vengono suddivise in 3 elenchi (contenuti nell’allegato 4 della Direttiva) che seguono criteri di riconoscimento diversi.Senza scendere eccessivamente in dettaglio, anche perché in questo settore esiste una certa discrezionalità a favore degli Stati

membri, il riconoscimento dell’esperienza può essere concesso se il beneficiario:• ha esercitato come lavoratore autonomo/dirigente d’azienda per un periodo

compreso dai 3 ai 6 anni consecutivi (a seconda dell’elenco considerato)• ha esercitato come lavoratore autonomo/dirigente d’azienda per un periodo

inferiore a quello sopra considerato, se fornisce prova di aver in precedenza ricevuto, per l’attività in questione, una formazione per un periodo adeguatoe/o se dà prova di aver esercitato l’attività in questione per un certo periodo come lavoratore subordinato e/o con mansioni tecniche che implichino la responsabilità di almeno uno dei reparti dell’azienda.

La Direttiva dedica un apposito approfondimento ai requisiti che possono essere richiesti per le professioni mediche (medici, veterinari, ostetrici, farmacisti), e per quella di architetto.

La Direttiva prevede anche la possibilità di riconoscere l’esperienza professionale.

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Ulteriori informazioni Lista delle professioni regolamentate per Stato membro:

http://ec.europa.eu/internal_market/qualifications/index_en.htm

[selezionare Database on regulated profession a sinistra e poi Regulated professions per country)

Guida della Commissione europea Tutto quello che vorreste sapere sul riconoscimento delle qualifiche professionali scaricabile da:

http://ec.europa.eu/internal_market/qualifications/ docs/guide/users_guide_it.pdf

Portale EURES - Portale europeo della mobilità professionale:

http://ec.europa.eu/eures

1.4 Semplificazione amministrativa

La tematica della semplificazione amministrativa, oggetto del Capo II della Direttiva Servizi, ne rappresenta certamente una delle colonne portanti. Come autorevolmente osservato (D’Acunto S., Direttiva servizi (2006/123/CE): genesi, obiettivi e contenuto, Milano 2009, p. 48), la Direttiva innesca un’importante azione di modernizzazione, intesa ad individuare ed eliminare gli ostacoli strutturali presenti nelle procedure nazionali sotto forma di ritardi, costi eccessivi, complessità e pesantezze amministrative inutili, formalismi ed arbitrio dei poteri decisionali, termini prolissi, duplicazione dei documenti e degli adempimenti a carico dei prestatori di servizi.

La semplificazione assurge dunque a metodo generale: la Direttiva prevede che gli Stati membri debbano esaminare le procedure e le formalità previste per l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi e, laddove esse non siano sufficientemente semplici, abbiano l’obbligo perentorio di semplificarle (art. 5).

Gli Stati membri che richiedono ad un prestatore di servizi di fornire un certificato, un attestato o qualsiasi altro documento comprovante un particolare requisito, devono accettare documenti rilasciati da altri Stati membri per finalità equivalenti o dai quali comunque risulti che il requisito in questione è rispettato. Gli Stati non possono imporre che la presentazione di documenti rilasciati da altri Stati membri avvenga in originale, in copia conforme o con traduzione autenticata; fanno eccezione, e dunque possono essere richieste le traduzioni autenticate, i casi in cui esistano altre norme comunitarie o ricorrano motivi imperativi d’interesse generale, fra cui l’ordine pubblico e la sicurezza.

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Le eccezioni previste dalla Direttiva ServiziCostituiscono eccezioni contemplate dalla Direttiva:• la Direttiva 2005/36/CE in materia di riconoscimento delle qualifiche

professionali (si veda il paragrafo 1.3.1)• la Direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure

di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi stabilisce (art. 45.3) che le amministrazioni aggiudicatrici possano richiedere come prova sufficiente ad attestare che l’operatore economico non si trovi nelle situazioni personali di esclusione dalla partecipazione agli appalti pubblici, la presentazione di un estratto del casellario giudiziale oppure, in mancanza di questo, di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato di origine o di provenienza. Le amministrazioni aggiudicatrici possono anche richiedere certificati rilasciati dalle autorità competenti per lo Stato di provenienza al fine di attestare che il prestatore sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali, con le imposte e con le tasse, secondo la legislazione del Paese dove il prestatore è stabilito o del Paese dell’amministrazione aggiudicatrice. Qualora non siano rilasciati, i documenti o i certificati possono essere sostituiti da una dichiarazione giurata o da una dichiarazione solenne resa dinnanzi a un’autorità giudiziaria o amministrativa competente, a un notaio o a un organismo professionale qualificato del Paese d’origine o di provenienza.

1.4.1 Sportelli unici Lo sportello unico è certamente uno degli aspetti più innovativi della Direttiva Servizi, che ha voluto indirizzare gli Stati membri verso un sistema di semplificazione amministrativa che consenta ad ogni singolo prestatore di servizi, sia in forma individuale sia in forma societaria, di disporre di un unico interlocutore istituzionale, ossia di un unico ufficio a cui rivolgersi.

È di tutta evidenza il vantaggio di avere, in un qualsiasi Stato membro, un solo interlocutore pubblico per assolvere a tutti gli adempimenti previsti per la prestazione di servizi: vantaggio che si concretizza in risparmio di tempo, di denaro e nell’eliminazione di incognite e complicazioni connesse alla precedente necessità di rivolgersi a più autorità per l’espletamento di pratiche diverse, il che non di rado scoraggiava le imprese, soprattutto le PMI, dalla realizzazione di tali iniziative imprenditoriali.

La Direttiva stabilisce (art. 6) che gli Stati membri provvedano affinché i prestatori possano espletare mediante i singoli punti di contatto, denominati sportelli unici, tutte le procedure e le formalità necessarie per poter prestare i servizi (dichiarazioni, notifiche, istanze, domande di inserimento nei registri e nelle banche dati, iscrizioni agli ordini o alle associazioni professionali).

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La Direttiva sancisce inoltre un diritto all’informazione dei prestatori e dei destinatari dei servizi (art. 7), a cui le amministrazioni devono assolvere tramite gli sportelli unici. Attraverso gli sportelli unici, gli interessati devono poter agevolmente accedere a tutte le informazioni relative a:• requisiti applicabili ai prestatori stabiliti sul territorio dello Stato membro,

in particolare relativi alle formalità necessarie ad esercitare le attività (gli Stati membri devono anche provvedere affinché i prestatori e i destinatari possano ricevere, su richiesta, informazioni in un linguaggio semplice e comprensibile anche in merito all’interpretazione e all’applicazione concreta di detti requisiti. Questo obbligo, naturalmente, non implica di prestare consulenza legale per ogni singolo caso)

• dati necessari ad entrare in contatto con le autorità competenti• condizioni di accesso alle banche dati e ai registri pubblici • mezzi esistenti per la soluzione delle controversie sia con le autorità competenti

sia tra prestatori o tra questi ultimi e i destinatari dei servizi• contatti di associazioni o organizzazioni, diverse dalle autorità competenti, presso

cui i prestatori o i destinatari dei servizi possono ottenere assistenza pratica.

Le informazioni devono essere erogate dagli sportelli unici in modo chiaro e non ambiguo, possibilmente anche in lingue diverse; devono essere facilmente accessibili anche a distanza e per via elettronica ed essere aggiornate. Inoltre gli sportelli unici e le autorità competenti devono rispondere con la massima sollecitudine alle richieste di informazioni o di assistenza e, in caso di richiesta irregolare o infondata, ne devono informare senza indugio il richiedente.

L’importanza dello sportello unico è potenziata dall’obbligo di rendere possibile l’espletamento delle procedure relative all’accesso alle attività di servizio per via elettronica (art. 8 della Direttiva).

Dal seguente sito è possibile accedere agli sportelli unici di tutti gli Stati membri dell’Unione europea:

http://ec.europa.eu/eu-go

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Il recepimento della semplificazione amministrativa in ItaliaL’Italia ha recepito la Direttiva Servizi con qualche mese di ritardo rispetto al termine previsto dalla stessa: il D.lgs. 59/2010 (Attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) è infatti stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2010 ed è entrato in vigore qualche giorno più tardi (l’8 maggio).

La realizzazione del servizio di sportello unico, che rappresenta come abbiamo visto un pilastro della semplificazione amministrativa prevista dalla Direttiva, riguarda in Italia, come in altri Paesi europei, principalmente le amministrazioni locali, in considerazione del decentramento che da alcuni anni ha caratterizzato lo sviluppo del sistema amministrativo. Nel nostro Paese sono infatti i Comuni ad essere competenti per gli sportelli unici, con facoltà di delega alle Camere di commercio.

I Comuni gestiranno, inoltre, tramite la propria associazione nazionale (ANCI), il portale impresa.gov che assume la denominazione di “impresainungiorno” e che diverrà il punto di contatto a livello nazionale previsto dall’art. 6 della Direttiva (è in corso di valutazione la possibilità di offrire alcune informazioni in lingua inglese).

http://www.impresa.gov.it

Il recente D.lgs. 59/2010 ha previsto che lo sportello unico venga attuato in Italia tramite la semplificazione e il riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive (già previsto dal Dpr 447/1998 e per le cui attività, in particolare per la modifica di impianti produttivi di beni e servizi, lo sportello unico permane competente).

Le amministrazioni italiane hanno completato la rassegna del sistema autorizzativo e dei requisiti per l’accesso e l’esercizio delle prestazioni di servizi di cui sono responsabili; un’apposita commissione tecnica, composta da rappresentanti del Governo e dei sindacati, stabilirà gli emendamenti ritenuti opportuni. Le amministrazioni statali stanno lavorando, inoltre, in stretta collaborazione con le Regioni, al fine di concludere anche lo screening delle leggi regionali.

Importanti novità si avranno per i liberi professionisti attualmente assoggettati al cosiddetto regime autorizzatorio che evolverà in un nuovo regime di libera iniziativa. La Direttiva infatti, come anche il Decreto di recepimento, prevede che i regimi autorizzatori potranno essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità. Di conseguenza, negli articoli dal 49 al 63 del Decreto vengono previste modifiche alla regolamentazione di alcuni ordinamenti e figure professionali

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(quali, ad esempio, avvocati e procuratori, dottori agronomi e dottori forestali, agrotecnici, periti agrari, giornalisti, dottori commercialisti ed esperti contabili, biologi, consulenti del lavoro, geometri, periti industriali, assistenti sociali).

Il Decreto innova anche la materia del commercio (artt. 64 - 72):• vengono unificati i requisiti di accesso al commercio, eliminando

le differenze precedentemente esistenti tra le varie Regioni e unificando su tutto il territorio nazionale i requisiti di onorabilità e di professionalità

• nel caso di apertura di esercizi di vicinato nonché per le forme speciali di vendita (spacci interni, apparecchi automatici, vendita per corrispondenza, ecc.) è stata prevista la Dichiarazione di inizio attività (DIA) ad efficacia immediata in luogo della comunicazione. La DIA immediata consente l’avvio dell’attività contestualmente all’invio della comunicazione al Comune competente per territorio (la precedente disciplina obbligava invece l’aspirante commerciante ad attendere il decorso di trenta giorni a far data dalla comunicazione)

• per le strutture di vendita di dimensione medio-grande viene mantenuta l’autorizzazione rilasciata nell’ambito della programmazione urbanistica, essendo giustificata da motivi di interesse generale (la conciliazione dell’attività commerciale con gli aspetti ambientali e sociali)

• per la somministrazione di alimenti e bevande il Decreto prevede il mantenimento del provvedimento di autorizzazione, vista la necessità di garantire particolari tutele

• per il commercio su aree pubbliche viene regolamentato l’utilizzo del suolo, limitando il numero delle concessioni disponibili; in ottemperanza alla Direttiva tale tipologia di commercio può assumere qualsiasi forma giuridica.

Altre misure di semplificazione hanno riguardato attività di tipo artigianale come, ad esempio, acconciatori ed estetisti.

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Legge regionale 38/2009La Regione Piemonte, con la L.R. 38/2009, ha adeguato la normativa regionale in materia di turismo, attività di estetista ed acconciatore, artigianato, commercio, attività nautiche e concessioni demaniali alla Direttiva Servizi: viene quindi assicurata la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi dei prestatori degli Stati europei nel territorio regionale.

Turismo: viene previsto che le attività del settore (campeggi, case vacanze, rifugi escursionistici, affitta-camere, aziende alberghiere, attività agrituristiche, attività di organizzazione ed intermediazione di viaggi e turismo, maestri di sci e guide alpine, guide turistiche) vengano sottoposte al nuovo regime della dichiarazione di inizio attività la cui assenza comporta, oltre all’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla stessa norma, la cessazione dell’attività medesima.

Attività di estetista ed acconciatore: la dichiarazione di inizio attività, per queste categorie, deve essere corredata dalla documentazione relativa agli apparecchi elettromeccanici per uso estetico impiegati e ai requisiti di idoneità dei locali adibiti all’esercizio dell’attività di estetista, nonché alle eventuali altre prescrizioni contenute nei regolamenti comunali adottati in attuazione dell’art. 6 L. 54/1992 e dalla dichiarazione della direzione dell’impresa stessa da parte di persona in possesso della qualifica professionale. Ogni variazione relativa a stati, fatti, condizioni e titolarità indicati nella dichiarazione di inizio attività deve essere comunicata, entro e non oltre i dieci giorni successivi al suo verificarsi, al Comune competente.

Artigianato: in base all’art. 14 della L.R. 38/2009, che modifica in parte il Testo Unico in materia di artigianato (L.R. 1/2009), la Regione promuove la costituzione di centri di assistenza tecnica istituiti dalle confederazioni regionali artigiane e da altri soggetti competenti in possesso di particolari requisiti di rappresentatività delle imprese artigiane, prevedendo forme di accreditamento e di incentivazione. La Giunta regionale con proprio provvedimento deve prevedere le modalità ed i criteri di finanziamento per la costituzione dei centri di assistenza tecnica e per lo svolgimento delle attività istituzionali ad essi affidate.

Attività di commercio al dettaglio negli esercizi di vicinato: si intendono per esercizi di vicinato, nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq oppure a 250 mq, nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti (D.lgs. 114/1998, art. 4). Anche per questi servizi si introduce la procedura della dichiarazione di inizio attività.

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La Comunicazione Unica In base al D.lgs. 59/2010, dal 1° aprile 2010 è diventata obbligatoria per tutte le tipologie di impresa l’utilizzo della Comunicazione Unica. La Comunicazione Unica è quindi, oggi, indispensabile per far fronte a tutti gli adempimenti amministrativi che le imprese devono eseguire a fini fiscali, previdenziali, assicurativi e pubblicitari, rispetto ai quali non sono più possibili modalità diverse di comunicazione.

La Comunicazione Unica è una procedura che consente di eseguire contemporaneamente e con un’unica modalità di presentazione, attraverso il Registro imprese, tutti i principali adempimenti amministrativi necessari per l’avvio dell’impresa ai fini della pubblicità legale nel Registro imprese, ma anche ai fini fiscali (IVA), previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL). La stessa procedura si applica anche alle successive domande, denunce e dichiarazioni di modifica e di cessazione.

La Comunicazione Unica, quindi:• evita ad imprese individuali e società di rivolgersi a una pluralità

di amministrazioni o di recarsi fisicamente presso di loro• consente di attivare con un solo adempimento procedimenti e formalità

spesso molto diversi fra loro.

La Comunicazione Unica viene presentata alla Camera di commercio competente territorialmente (ufficio del Registro imprese) che provvede immediatamente a darne comunicazione alle amministrazioni interessate, smistando loro le domande/dichiarazioni di competenza. Le informazioni, quindi, dal Registro imprese vengono inviate all’albo imprese artigiane, all’INPS, all’INAIL, all’Agenzia delle Entrate; una volta che le informazioni sono state “recapitate“, ogni ente si occuperà della parte di propria competenza.

Tutti i file della Comunicazione Unica devono essere firmati digitalmente dal o dai soggetti legittimati. La presentazione di una Comunicazione Unica presuppone che l’impresa abbia un proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Presso tale indirizzo l’impresa riceverà tutti gli atti, i documenti e le comunicazioni provenienti dalle amministrazioni interessate relativi alle pratiche Comunicazione Unica presentate.

Per ulteriori informazioni e per scaricare gratuitamente tutti i programmi informatici necessari è possibile consultare i siti del Registro imprese e delle Camere di commercio territorialmente competenti.

Registro imprese:

http://www.registroimprese.it

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Camera di commercio di Torino:

http://www.to.camcom.it/comunica

Riepilogando, la procedura per l’avvio di una nuova attività di impresa è ora la seguente:1) l’interessato presenta all’ufficio del Registro imprese della Camera

di commercio competente territorialmente, per via telematica o su supporto informatico, la Comunicazione Unica

2) l’ufficio del Registro imprese, contestualmente alla consegna della Comunicazione Unica, rilascia una ricevuta (che ai sensi dell’art. 9 c. 3 costituisce “titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale, ove sussistano i presupposti di legge”) e ne dà notizia alle amministrazioni competenti

3) le amministrazioni competenti comunicano immediatamente all’interessato e al Registro imprese, per via telematica, il codice fiscale e la partita IVA; entro i successivi 7 giorni comunicano anche gli ulteriori dati relativi alle posizioni registrate.

Questa procedura si applica anche in caso di modifica o cessazione dell’attività d’impresa; la comunicazione, la ricevuta e gli atti amministrativi di cui sopra sono adottati in formato elettronico e trasmessi per via telematica. A tale fine le Camere di commercio assicurano, gratuitamente, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, il necessario supporto tecnico ai soggetti privati interessati.

1.5 Libertà di stabilimento

Il luogo di stabilimento del prestatore si determina, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, in base all’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata mediante l’insediamento in pianta stabile. Lo stabilimento non deve necessariamente assumere forme specifiche ma può consistere, ad esempio, in un ufficio gestito dal personale del prestatore o da una persona indipendente autorizzata ad agire su base permanente per conto dell’impresa, come nel caso di una rappresentanza.

Tale requisito può dunque essere soddisfatto anche nel caso delle società costituite a tempo determinato o in caso di affitto di un fabbricato/impianto per lo svolgimento delle proprie attività. Esso può altresì essere soddisfatto allorché uno Stato membro rilasci autorizzazioni di durata limitata soltanto per particolari servizi.

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La Direttiva definisce il regime di autorizzazione (art. 4) come “qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio”. A tale proposito la Direttiva stabilisce

(artt. 9 e 10) che gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto alle condizioni seguenti:1) non discriminazione (ad esempio, il regime di autorizzazione non può applicarsi

solo ai prestatori stranieri)2) necessità (il regime di autorizzazione deve essere giustificato da un motivo

imperativo di interesse generale: ordine pubblico, sicurezza pubblica, incolumità pubblica, sanità pubblica, tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, tutela dell’ambiente, della salute degli animali, tutela del patrimonio nazionale storico ed artistico, tutela della proprietà intellettuale, obiettivi di politica sociale e culturale)

3) proporzionalità (solo se l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, ad esempio quando un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia)

4) chiarezza, inequivocabilità5) oggettività6) previa pubblicità7) trasparenza e accessibilità.

I regimi di autorizzazione devono quindi basarsi su criteri che inquadrino l’esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti, affinché tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario (art. 10). Inoltre le condizioni di rilascio dell’autorizzazione non devono rappresentare un doppione di requisiti e controlli equivalenti o sostanzialmente comparabili, quanto a finalità, a quelli ai quali il prestatore sia già assoggettato in un altro Stato membro. L’autorizzazione, infine, deve essere concessa non appena siano soddisfatte le condizioni stabilite per il suo rilascio.

L’art. 10 della Direttiva stabilisce che, a parte il caso del rilascio di un’autorizzazione, qualsiasi decisione delle autorità competenti, ivi compreso il diniego o il ritiro di un’autorizzazione, deve essere motivata e poter essere oggetto di un ricorso dinanzi a un tribunale o ad una diversa sede di appello.

In tema di libertà di stabilimento (oggetto del Capo III della Direttiva Servizi) è di cruciale importanza l’aspetto dei regimi autorizzatori.

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In tema di durata dell’autorizzazione (art. 11), la Direttiva prevede che essa non debba essere limitata, ad eccezione di alcuni casi (rinnovabile automaticamente o esclusivamente soggetta al costante rispetto dei requisiti; numero di autorizzazioni disponibili limitato da un motivo imperativo di interesse generale o comunque durata limitata giustificata da un motivo imperativo di interesse generale).

Qualora invece il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili (art. 12), gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i potenziali candidati che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura di selezione e del suo svolgimento e completamento. In tali casi l’autorizzazione deve essere rilasciata per una durata limitata adeguata, senza rinnovo automatico né altri vantaggi concessi al prestatore uscente o a soggetti e persone ad esso legati.

Infine, in tema di procedure di autorizzazione, oltre alla prescrizioni imposte in materia di criteri di autorizzazione (chiarezza, pubblicità preventiva, obiettività, imparzialità), la Direttiva stabilisce (art. 13) che esse non debbano essere dissuasive né complicare o ritardare indebitamente la prestazione del servizio ma al contrario essere facilmente accessibili, a costi ragionevoli per i richiedenti. Tali procedure devono rispettare dei termini ragionevoli prestabiliti (che iniziano a decorrere dal momento in cui viene presentata tutta la documentazione del richiedente) e resi pubblici preventivamente. Qualora il prestatore presenti una domanda incompleta, le autorità competenti devono informarlo quanto prima in merito alla necessità di integrare la documentazione presentata.

Il termine di conclusione del procedimento, in caso di questioni complesse, può essere prorogato una sola volta e per un periodo di tempo limitato dall’autorità competente; la proroga e la sua durata devono essere motivate e notificate al richiedente prima della scadenza del periodo iniziale. In particolare tali procedure devono fondarsi sul principio del silenzio - assenso (ossia in mancanza di risposta entro il termine stabilito - o prorogato - l’autorizzazione si considera rilasciata).

La Direttiva Servizi contiene, inoltre, due liste di requisiti relativi al diritto di stabilimento. La prima (art. 14, requisiti vietati), che la dottrina ha definito “lista nera”, contempla tutti quei requisiti che gli Stati membri devono eliminare; la seconda (art. 15, requisiti da valutare) è stata definita “lista grigia”, poiché contiene quei requisiti che gli Stati devono valutare caso per caso (e decidere se mantenere o eliminare).

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Gli articoli 14 e 15 della Direttiva Servizi La Direttiva (art. 14, la cosiddetta “lista nera”) stabilisce che gli Stati membri non possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio ai seguenti requisiti:• requisiti discriminatori fondati direttamente o indirettamente sulla

cittadinanza o, per quanto riguarda le società, sull’ubicazione della sede legale (in particolare requisiti di nazionalità e residenza per il prestatore, il suo personale, i detentori di capitale sociale o i membri degli organi di direzione e vigilanza)

• divieto di avere stabilimenti in più di uno Stato membro o di essere iscritti nei registri o ruoli di organismi, ordini o associazioni professionali di diversi Stati membri

• restrizioni alla libertà del prestatore di scegliere tra l’essere stabilito a titolo principale o secondario, in particolare non può sussistere l’obbligo per il prestatore di avere lo stabilimento principale sul territorio nazionale; non possono sussistere neanche altre restrizioni alla libertà di scelta tra la forma di rappresentanza (succursale, filiale, ecc.)

• condizioni di reciprocità con lo Stato membro nel quale il prestatore ha già uno stabilimento (salvo quelle previste in atti comunitari riguardanti l’energia)

• verifiche caso per caso di natura economica che subordinano il rilascio dell’autorizzazione alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, alla valutazione degli effetti economici potenziali/effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall’autorità competente (tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale)

• coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in seno agli organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o dell’adozione di altre decisioni delle autorità competenti, ad eccezione degli organismi od ordini e delle associazioni professionali o di altre organizzazioni che agiscono in qualità di autorità competente (tale divieto non riguarda la consultazione di organismi quali le Camere di commercio o le parti sociali su questioni diverse dalle singole domande di autorizzazione, né la consultazione del grande pubblico)

• obbligo di presentare, individualmente o con altri, una garanzia finanziaria o di sottoscrivere un’assicurazione presso un prestatore o un organismo stabilito sul territorio nazionale (ciò non pregiudica la facoltà, per gli Stati membri, di esigere un’assicurazione o delle garanzie finanziarie in quanto tali come pure i requisiti relativi alla partecipazione a un fondo collettivo di indennizzo, ad esempio per i membri di organismi, ordini od organizzazioni professionali)

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• obbligo di essere già stato iscritto da un determinato periodo nel registro dello Stato membro in questione o di aver in precedenza esercitato l’attività sul territorio nazionale per un determinato periodo.

La Direttiva (art. 15, la cosiddetta “lista grigia”) stabilisce che, se gli Stati membri prevedono i seguenti requisiti per l’accesso ad un’attività di servizi o per il suo esercizio, ne debbano verificare la conformità alle condizioni di non discriminazione, necessità e proporzionalità (di cui sopra, art. 9):• restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare,

di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori

• obbligo di assumere una determinata forma giuridica• obblighi relativi alla detenzione del capitale • requisiti diversi da quelli relativi alle questioni disciplinate dalla Direttiva

2005/36/CE (riconoscimento delle qualifiche professionali) o da quelli previsti in altre norme comunitarie, che riservano l’accesso alle attività di servizi in questione a prestatori particolari a motivo della natura specifica dell’attività

• divieto di disporre di più stabilimenti sullo stesso territorio nazionale• requisiti che stabiliscono un numero minimo di dipendenti• tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare• obbligo per il prestatore di fornire, con il suo servizio, altri servizi specifici.

1.6 Libera prestazione di servizi

Uno degli aspetti più rilevanti della Direttiva riguarda la disciplina da applicare ai soggetti di uno Stato membro che prestano i loro servizi presso un altro Stato (art. 16).

La Direttiva riafferma il principio comunitario della libera prestazione dei servizi (pilastro del mercato unico e, in quanto tale, già consolidato nelle norme e nella giurisprudenza dell’Unione europea), precisando che gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio sul proprio territorio a restrizioni, se non per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, sanità pubblica o di tutela dell’ambiente e, comunque, sempre nel rispetto dei principi cumulativi di non discriminazione, necessità e proporzionalità.

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Come è stato in parte già accennato nel paragrafo precedente, sono specificamente individuati dalla Direttiva alcuni requisiti la cui imposizione da parte degli Stati membri è considerata illegittima in quanto restrittiva della libera circolazione dei servizi, quali:

• l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul territorio dello Stato membro in questione

• l’obbligo per il prestatore di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l’iscrizione in un registro o a un ordine professionale, salvo i casi previsti dalla Direttiva o da altri strumenti di diritto comunitario

• il divieto imposto al prestatore di dotarsi sul territorio dello Stato membro in questione di una determinata infrastruttura (ad esempio uffici e studi) necessaria all’esecuzione delle prestazioni

• l’applicazione di un regime contrattuale particolare tra il prestatore e il destinatario che impedisce o limita la prestazione di servizi a titolo indipendente (fatte salve, come stabilito dall’art. 17, le disposizioni riguardanti gli obblighi contrattuali, compresa la forma dei contratti, e non contrattuali determinate in base al diritto internazionale privato)

• l’obbligo per il prestatore di essere in possesso di un documento di identità specifico per l’esercizio di un’attività di servizi rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro in cui intende operare

• i requisiti, a eccezione di quelli in materia di salute e di sicurezza sul posto di lavoro, relativi all’uso di attrezzature e di materiali che costituiscono parte integrante della prestazione del servizio.

Inoltre la Direttiva (art. 19) vieta agli Stati membri di realizzare restrizioni alla libera prestazione dei servizi da parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri tramite l’imposizione di requisiti ai destinatari dei servizi stessi, quali ad esempio autorizzazioni, dichiarazioni e discriminazioni rispetto a finanziamenti.

La Direttiva (art. 17) prevede tuttavia alcune categorie di servizi cui non si applicano le suddette regole in materia di libera prestazione (tra i quali il settore postale, i settori dell’energia elettrica, del gas, delle forniture idriche e delle acque reflue, il trattamento e il trasporto dei rifiuti), oltre che ad alcune specifiche materie (ad esempio il distacco dei lavoratori).

Gli Stati membri possono infine stabilire deroghe anche in casi individuali se a titolo eccezionale, relative alla sicurezza dei servizi e nel rispetto di condizioni determinate.

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1.7 Qualità dei servizi offerti

La Direttiva (Capo V) assoggetta i prestatori di servizi ad obblighi di trasparenza riguardanti sia i soggetti prestatori sia le condizioni del servizio da prestarsi, al fine ultimo di garantire la qualità dei servizi offerti, a prescindere dalla nazionalità del prestatore.

La Direttiva prevede due categorie di informazioni: • quelle che il prestatore deve mettere sempre a disposizione (art. 22.1) • quelle da fornire solo su richiesta del destinatario (art. 22.3).

Per quanto riguarda le informazioni da fornire sempre, la Direttiva indica (art. 22.2) alcune modalità possibili, a scelta del prestatore: • comunicazione ad iniziativa del prestatore• agevole accessibilità al destinatario nel luogo di prestazione del servizio o di stipula

del contratto• agevole accessibilità al destinatario per via elettronica tramite un indirizzo

comunicato dal prestatore• presenza delle informazioni in questione su tutti i documenti informativi che

il prestatore fornisce al destinatario per la presentazione in dettaglio dal servizio offerto.

Inoltre è importante considerare che tutte le informazioni di cui al Capo V della Direttiva in tema di qualità dei servizi devono essere esatte(art. 27) e comunicate o rese disponibili in modo chiaro, senza ambiguità e in tempo utile prima della stipula del contratto o, in assenza di contratto scritto, prima che il servizio sia prestato (art. 22.4).

Naturalmente le informazioni imposte dalla Direttiva si aggiungono a quelle eventualmente già previste dal diritto comunitario e che gli Stati membri impongono ai prestatori stabiliti sul loro territorio (ad esempio nel settore del franchising).

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L’articolo 22 della Direttiva Servizi

Art. 22.1 - Informazioni che devono essere sempre forniteGli Stati membri provvedono affinché i prestatori mettano a disposizione del destinatario le informazioni seguenti:• il nome del prestatore, il suo status e forma giuridica, l’indirizzo postale

al quale il prestatore è stabilito e tutti i dati necessari per entrare rapidamente in contatto e comunicare con il prestatore direttamente e, se del caso, per via elettronica

• ove il prestatore sia iscritto in un registro commerciale o altro registro pubblico analogo, la denominazione di tale registro ed il numero di immatricolazione del prestatore o mezzi equivalenti atti ad identificarlo in tale registro

• ove l’attività sia assoggettata ad un regime di autorizzazione, i dati dell’autorità competente o dello sportello unico

• ove il prestatore eserciti un’attività soggetta all’IVA, il numero di identificazione di cui all’articolo 22.1 della Sesta Direttiva (77/388/CEE)

• per quanto riguarda le professioni regolamentate, gli ordini professionali o gli organismi affini presso i quali il prestatore è iscritto, la qualifica professionale e lo Stato membro nel quale è stata acquisita

• le eventuali clausole e condizioni generali applicate dal prestatore• l’esistenza di eventuali clausole contrattuali utilizzate dal prestatore

relative alla legge applicabile al contratto e/o alla giurisdizione competente• l’esistenza di un’eventuale garanzia post vendita non imposta dalla legge• il prezzo del servizio, laddove esso è predefinito dal prestatore

per un determinato tipo di servizio• le principali caratteristiche del servizio, se non già apparenti dal contesto• l’assicurazione o le garanzie di cui all’art. 23.1 della Direttiva,

in particolare il nome e l’indirizzo dell’assicuratore o del garante e la copertura geografica.

Art. 22.3 - Informazioni che devono essere fornite a richiesta del destinatarioGli Stati membri provvedono affinché i prestatori, su richiesta del destinatario, comunichino le seguenti informazioni supplementari:• ove non vi sia un prezzo predefinito dal prestatore per un determinato

tipo di servizio, il prezzo del servizio o, se non è possibile indicarlo esattamente, il metodo di calcolo del prezzo per permettere al destinatario di verificarlo, o un preventivo sufficientemente dettagliato

• per quanto riguarda le professioni regolamentate, un riferimento alle regole professionali in vigore nello Stato membro di stabilimento e ai mezzi per prenderne visione

• informazioni sulle loro attività multidisciplinari e sulle associazioni che sono direttamente collegate al servizio in questione, nonché sulle

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misure assunte per evitare conflitti di interesse (dette informazioni devono essere inserite in ogni documento informativo nel quale i prestatori danno una descrizione dettagliata dei loro servizi)

• gli eventuali codici di condotta ai quali il prestatore è assoggettato, nonché l’indirizzo al quale tali codici possono essere consultati per via elettronica, con un’indicazione delle versioni linguistiche disponibili

• se un prestatore è assoggettato a un codice di condotta o è membro di un’associazione commerciale o di un organismo o ordine professionale che prevede il ricorso ad un meccanismo extragiudiziale di risoluzione delle controversie, informazioni a questo riguardo. Il prestatore deve inoltre specificare in che modo è possibile reperire informazioni dettagliate sulle caratteristiche e sulle condizioni di ricorso a tali meccanismi.

1.7.1 Assicurazioni e garanzie in caso di responsabilità professionale

Mentre le proposte iniziali prevedevano che i prestatori di qualunque servizio dovessero dotarsi di un’assicurazione o fornire una garanzia in caso di responsabilità professionale, nel testo definitivo della Direttiva Servizi (art. 23) si fa obbligo agli Stati membri di imporla solo per i prestatori di servizi che presentino un rischio diretto e particolare (ossia un rischio derivante direttamente dalla prestazione del servizio) per la salute o la sicurezza del destinatario o di un terzo (ossia la prevenzione del decesso o di gravi danni corporali) o per la sicurezza finanziaria del destinatario (ossia la prevenzione di perdite significative di denaro o del valore di un bene).

L’operatore che già disponga di una copertura equivalente o essenzialmente comparabile in uno Stato membro, ha il diritto a vedersela riconosciuta anche nel diverso Stato membro in cui voglia stabilirsi. Gli Stati membri sono tenuti ad accettare, quale prova, un attestato rilasciato da istituti di credito e assicuratori stabiliti nell’altro Stato membro. Qualora l’equivalenza sia solo parziale, gli Stati membri possono esigere una garanzia complementare per gli aspetti non ancora coperti.

La Direttiva Servizi, nel capo dedicato alla qualità, tratta anche della comunicazione commerciale da parte delle professioni regolamentate e delle attività multidisciplinari (artt. 24 e 25), argomenti qui già trattati al paragrafo 1.3, nonché delle politiche degli Stati membri in tema di qualità (art. 26).

Gli Stati membri sono chiamati a incoraggiare i prestatori a garantire su base volontaria la qualità dei servizi, ad esempio tramite la certificazione delle attività e l’elaborazione di carte di qualità, nonché attraverso marchi di qualità e collaudi comparativi.

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In tema di controversie la Direttiva (art. 27) prevede che i prestatoriforniscano i propri dati completi, inclusi quelli della sede legale, se non coincidente con quella operativa, affinché i clienti possano richiedereinformazioni o inviare reclami, cui i prestatori devono rispondere con sollecitudine, dando prova di buona volontà nella ricerca di soluzioni soddisfacenti.

1.8 Contratto di prestazione di servizi in ambito UE

Gli obblighi di informativa spianano la strada alla conclusione del contratto di appalto di servizi: se si considera infatti che, prima della conclusione del contratto, il cliente deve essere informato sulle condizioni contrattuali applicate dal prestatore (anche se in forma di condizioni generali), dunque sulle principali caratteristiche del servizio, l’eventuale garanzia, il prezzo e le clausole relative alla legge applicabile e alla giurisdizione competente, nonché sugli eventuali meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle controversie (art. 22), si comprende che il contenuto del contratto, o meglio della proposta contrattuale del prestatore, deve essere delineato e portato a conoscenza del cliente anticipatamente. Ciò implica indubbiamente uno sforzo organizzativo del prestatore ed un obbligo di trasparenza verso il cliente, i quali non possono che giovare alla chiarezza dei rapporti tra le parti, alla qualità del servizio e alla prevenzione delle controversie.

Emerge dunque che ciò che è stato da sempre consigliabile in tema di contratto d’appalto di servizi, nell’interesse del prestatore come del cliente, ossia la definizione contrattuale del contenuto delle prestazioni (caratteristiche del servizio, dell’eventuale garanzia e del prezzo), è divenuta imperativamente oggetto di comunicazioni precontrattuali e quindi, possibilmente, di trattativa.

Altri aspetti degni di considerazione in tale fase sono rappresentati dalle modalità di pagamento e dalle eventuali penali per sanzionare l’inadempimento del prestatore (ad esempio il ritardo). A tale proposito si ricorda che al prestatore giova un pagamento a tranches, che, anche nell’interesse del destinatario, può essere subordinato all’approvazione di successivi “stati avanzamento lavori”, mentre le penali per gli eventuali inadempimenti possono giovare, a diverse condizioni, ad entrambe le parti.

La clausola penale (prevista dalla legge italiana all’articolo 1382 del Codice civile) può infatti essere variamente formulata. Al prestatore conviene che la penale non sia di elevata entità ma abbia, come previsto dalla legge italiana, l’effetto di escludere ulteriori responsabilità del prestatore inadempiente nei confronti del cliente che abbia subito dei danni.

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Per esonerare il prestatore da responsabilità in caso di inadempimento è anche possibile formulare una clausola di forza maggiore. Tale clausola, prevista nei contratti più accurati, esclude la responsabilità del prestatore nel caso in cui l’adempimento agli obblighi contrattuali sia reso impossibile da eventi imprevedibili e fuori dal controllo della parte. Tuttavia, nell’interesse del prestatore, è possibile elaborare tali clausole attenuando i criteri dell’imprevedibilità dell’evento o dell’impossibilità della prestazione.

È bene tuttavia ricordare che, secondo la legislazione della maggior parte dei Paesi del mondo, non è possibile escludere responsabilità in caso di dolo della parte inadempiente e di frequente nemmeno in caso di colpa grave. La legge italiana infatti stabilisce che sia nullo qualsiasi patto che esclude o limita la responsabilità per dolo o colpa grave (articolo 1229 del Codice civile). È opportuno quindi, per assicurarsi la validità ed efficacia della clausola pattuita, accertare quale legislazione nazionale sia applicabile al contratto; a tal fine si consideri che la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali si determina, per i contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009, in base al Regolamento CE 593/2008 (cosiddetto Roma I), di cui si dirà oltre.

Diversi saranno invece gli obiettivi dell’impresa destinataria dei servizi, la quale vorrà pattuire scadenze tassative per la prestazione dei servizi e, anche a scopo deterrente, una sanzione immediata per l’inadempimento del prestatore, oltre a garantirsi il diritto di essere indennizzata per tutti i danni effettivamente subiti o addirittura ottenere la risoluzione del contratto. È interessante osservare che lo strumento della clausola penale (articolo 1382 del Codice civile) si rivela utile anche per conseguire la maggior parte di tali obiettivi.

In tal caso tuttavia la penale dovrà essere però formulata diversamente da quanto sopra detto. Al committente conviene infatti che essa sia di adeguata entità e preveda espressamente che, qualora il danno effettivamente subito superi l’importo dovuto dal venditore a titolo di penale, il committente abbia diritto di chiedere risarcimento del maggior danno. A quest’ultimo proposito è bene sapere che la penale è dovuta per il solo fatto dell’inadempimento (ad esempio ritardo della prestazione rispetto al termine concordato), ossia anche se il committente non ha, in effetti, subito danni dovuti all’inadempimento e può essere richiesta anche con strumenti giudiziari più rapidi e semplici (ad esempio procedimenti ingiuntivi), e addirittura essere “riscossa” tramite compensazione (anche parziale) con prezzo di vendita.

Per ottenere il risarcimento dei danni, invece, l’onere della prova a carico del cliente è molto più gravoso: egli deve infatti provare di aver effettivamente subito i danni (costi o mancato guadagno), la loro entità, nonché il nesso causale tra i danni e l’inadempimento. In particolare, la prova del danno rappresentato dal mancato guadagno è spesso complessa, così come quella del nesso di causalità tra inadempimento e danno. Queste difficoltà lasciano ampio spazio alle eccezioni avversarie e il prestatore potrà anche sostenere che il risarcimento non sia dovuto, in quanto il destinatario non si è comportato in maniera ‘diligente’ (articolo 1227 del Codice civile), poiché ad esempio avrebbe dovuto ottenere da prestatori terzi servizi sostitutivi

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per evitare il danno. Inoltre si consideri che il cliente può ottenere il risarcimento dei danni, salvo il caso di adempimento spontaneo del prestatore, solo tramite un procedimento giudiziario più complesso e di maggior durata (causa di merito), implicante in genere anche l’attività di periti, i cui costi si assommano alle altre spese legali.

Come si vede, quindi, la clausola penale è uno strumento utile non solo per il prestatore, che può così limitare la propria responsabilità, ma anche per il destinatario, che si garantisce un indennizzo di più facile ottenimento. Infine è da ricordare, a proposito dell’ammontare della penale, che esso può essere diminuito equamente dal giudice, se manifestamente eccessivo, tenuto conto dell’interesse dell’altra parte (articolo 1384 del Codice civile).

Come fare se il servizio è stato prestato in maniera non conforme? Cosa fare se il credito del prestatore è rimasto, anche solo in parte, impagato?

Se le parti hanno sedi in Paesi diversi le difficoltà sono maggiori rispetto a quando il rapporto commerciale intercorre tra connazionali, innanzitutto perché si pongono a confronto i due diversi sistemi giuridici dei Paesi di appartenenza delle parti. Prima ancora di risolvere la controversia concreta, quindi, è necessario dare una risposta ad alcune importanti questioni preliminari: A che giudice può rivolgersi? A quello italiano o a quello straniero?Quali norme saranno applicabili alla controversia?Quanto durerà la controversia e quali ne saranno i costi per l’impresa?

È del tutto consigliabile che questi interrogativi l’impresa se li ponga prima di concludere l’affare con l’impresa straniera e, a tal fine, senz’altro giova l’obbligo di informativa previsto dalla Direttiva, che ha la funzione di richiamare l’attenzione delle parti, sin dalla fase precontrattuale, sugli aspetti della legge applicabile, del giudice competente e degli eventuali meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle controversie. L’impresa potrà in tal modo negoziare la soluzione più rapida, meno costosa e più cautelativa dei suoi interessi, oppure, non riuscendoci, valuterà anche questo aspetto nel generale rischio d’impresa comportato dall’operazione. Si ricorda inoltre che, come detto sopra (paragrafo 1.7), la Direttiva (art. 27) prevede che i prestatori forniscano ai destinatari i propri dati completi, inclusi quelli della sede legale (se non coincidente con quella operativa), affinché i clienti possano richiedere informazioni o inviare reclami, cui i prestatori devono rispondere con sollecitudine, dando prova di buona volontà nella ricerca di soluzioni soddisfacenti.

Se invece la controversia derivante dal contratto internazionale di prestazione di servizi non può giungere all’auspicata soluzione stragiudiziale, vengono ad assumere particolare rilevanza i due distinti aspetti che caratterizzano la soluzione giudiziale delle controversie: la legge applicabile e il giudice competente (salva la facoltà, esposta in seguito, di scelta dell’alternativa rappresentata dall’arbitrato).

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Innanzitutto è bene ricordare che sia la legge applicabile sia il giudice competente per le controversie che derivano dal contratto internazionale di prestazione di servizi possono essere, nei contratti tra parti comunitarie, oggetto di una libera scelta indicata nel contratto stesso (così dispongono rispettivamente il Regolamento CE 593/2008, art. 3, e il Regolamento CE 44/2001, art. 23). La scelta deve, senz’altro, essere espressa validamente e questo implica la necessità di porre particolare attenzione al processo di negoziazione e al conseguente momento conclusivo del contratto, che spesso è rappresentato da uno scambio di documenti (offerta, ordine e conferma d’ordine) dove si rischiano incertezze sulle condizioni effettivamente concordate dalle parti. Spesso le parti del contratto internazionale avranno, sulla scelta della legge applicabile e del giudice competente italiano o straniero, interessi contrapposti, in quanto, in linea generale, ogni impresa ha interesse a standardizzare al massimo le proprie procedure, incluso il recupero crediti: in questo senso potersi rivolgere al proprio tribunale comporta in genere costi minori e un maggior grado di prevedibilità dell’impegno e dell’esito.

In assenza di scelta delle parti, la legge applicabile si determina generalmente in funzione del Paese nel quale ha sede la parte tenuta alla prestazione caratteristica del contratto (Regolamento CE 593/2008, art. 4.2), salvo alcuni contratti specificamente disciplinati, tra cui il contratto di prestazione di servizi. Per la prestazione di servizi, infatti, si applica la legge del Paese nel quale ha sede il prestatore di servizi (Regolamento CE 593/2008, art. 4.1.b).

Per quanto riguarda il giudice competente per la risoluzione delle controversie che originano dal contratto internazionale, sempre in assenza di scelta delle parti, si presenta la duplice alternativa a scelta della parte che inizia il processo tra il giudice competente per la sede della parte contro cui si agisce in giudizio (Regolamento CE 44/2001, art. 2) oppure il giudice del luogo situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto (Regolamento CE 44/2001, art. 5.1.b).

È bene quindi considerare che oggi nei rapporti tra prestatori di servizi e destinatari appartenenti a Paesi comunitari diversi, la tutela giudiziaria dei diritti non incontra più alcun ostacolo formale: il Regolamento CE 44/2001, oltre a stabilire le regole per determinare il giudice competente, conferma il riconoscimento e l’esecuzione in tutta l’Unione europea delle sentenze civili e commerciali emesse in tutti i Paesi membri (già riconosciuto dalla precedente Convenzione di Bruxelles del 1968, colonna portante dell’unificazione europea). Il Regolamento CE 805/2004 ha inoltre istituito il titolo esecutivo europeo, che consente di eseguire sentenze e altri atti riguardanti crediti non contestati in un altro Paese comunitario senza alcun procedimento di riconoscimento; il Regolamento CE 1896/2006 ha infine creato un nuovo strumento specifico per il recupero dei crediti, detto procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento.

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Il titolo esecutivo europeo In base alle previsioni del Regolamento CE 805/2004, possono diventare titolo esecutivo europeo• le decisioni giudiziarie emesse da un giudice di uno Stato membro• le transazioni giudiziarie• gli atti pubblici (la cui autenticità sia attestata da autorità pubblica dello

Stato membro da cui proviene)che abbiano ad oggetto crediti non contestati (art. 3).

Un credito si considera non contestato se:• il debitore ha espressamente riconosciuto nell’ambito di un procedimento

giudiziario (art. 3.1.a)• il debitore ha espressamente riconosciuto in un atto pubblico

(art. 3.1.d, forma con la quale può essere stilata anche una transazione stragiudiziale)

• il debitore non ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario (art. 3.1.b, quale è da considerarsi il decreto ingiuntivo non opposto entro il termine)

• pur avendo contestato inizialmente il credito stesso nel corso del procedimento, il debitore non è comparso, nemmeno tramite rappresentante, ad un’udienza, sempre che tale comportamento equivalga a un’ammissione tacita del credito o dei fatti sostenuti dal creditore (art. 3.1.c).

Con l’applicazione del Regolamento CE 805/2004 è quindi possibile ottenere con un semplice modulo, se ricorrono le condizioni di cui sopra, il titolo esecutivo europeo sia per le decisioni giudiziarie (inclusi decreti ingiuntivi non opposti), sia per le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici, evitando così gli adempimenti precedentemente necessari per l’esecuzione di una sentenza in un altro Stato dell’Unione europea.

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La nuova ingiunzione di pagamento europeaSempre sulla via della semplificazione e dell’accelerazione del recupero dei crediti in materia civile e commerciale in altri Stati membri, l’Unione europea ha emanato il Regolamento CE 1896/2006 che istituisce una nuova procedura ingiuntiva, detta ingiunzione di pagamento europea.Questo strumento è caratterizzato da sostanziali novità volte ad agevolare il percorso di recupero del credito, specie da parte delle imprese che avranno modo di organizzare internamente le relative attività, dato che:• non è necessariamente richiesta l’assistenza di un avvocato• la procedura si svolge tramite moduli prestampati• il termine per il pagamento o per l’opposizione è più breve di quello

del decreto ingiuntivo ordinario (di norma 30 giorni anziché 50)• è possibile rinunciare preventivamente al giudizio in caso di contestazioni

promosse in via di opposizione da parte del debitore.

Per utilizzare questo nuovo strumento, supplementare e alternativo (non sostitutivo) rispetto al procedimento ingiuntivo ordinario, deve trattarsi di crediti di denaro, determinati e scaduti.

La domanda di ingiunzione può essere richiesta dall’impresa direttamente al giudice competente (determinato sempre in base al Regolamento CE 44/2001) compilando un modulo allegato al Regolamento e fornendo alcune informazioni, principalmente relative al creditore e al debitore (nome, indirizzo), e al credito (importo, fatture, interessi, rapporto e circostanze da cui il credito deriva).

La procedura prosegue tramite la compilazione di moduli: il giudice può chiedere integrazioni o rettifiche della domanda e emettere l’ingiunzione che il debitore potrà opporre, instaurando un giudizio di opposizione ordinario, entro 30 giorni. Tuttavia, novità molto interessante, l’impresa creditrice può dichiararsi contraria al passaggio al procedimento ordinario in caso di opposizione da parte del debitore e decidere di rinunciare. La domanda può sempre essere riproposta, anche in via ordinaria.

Infine si accenna, come ulteriore possibile soluzione delle controversie, alle strategie alternative alla causa civile rappresentate dall’arbitrato, che costituisce spesso l’unica strada percorribile con partner aventi sede al di fuori dell’Unione europea, e dalla conciliazione, quest’ultima avente natura stragiudiziale.Si può ricorrere all’arbitrato se le parti hanno espresso questa scelta al momento della conclusione del contratto, prevedendo un’apposita clausola, oppure, cosa che avviene di rado, sottoscrivendo un compromesso arbitrale successivamente all’insorgere della controversia.

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Per la soluzione delle controversie delle PMI, un valido strumento è rappresentato dall’arbitrato rituale ed amministrato, ossia gestito da un’istituzione, in base ad un regolamento da essa predisposto. Questo tipo di arbitrato conduce ad una decisione, il lodo rituale, che ha efficacia di sentenza, e dunque, pur con altre forme, ha la medesima funzione del giudizio statale.

Altri tipi di arbitrato, che si ritengono meno consigliabili per le controversie delle PMI all’estero, sono invece:• l’arbitrato irrituale, che conduce ad un lodo che ha un mero valore negoziale

(e non di sentenza)• l’arbitrato non amministrato da un’istituzione arbitrale (cosiddetto arbitrato ad

hoc), che non consente di beneficiare dell’organizzazione dell’istituzione arbitrale, del suo regolamento (che ne disciplina i tempi) e del suo tariffario (che ne disciplina i costi).

L’arbitrato rituale ed amministrato rappresenta una scelta consigliabile anche nei rapporti con i partner aventi sede fuori dall’Unione europea.

Infatti, ad eccezione dei pochi Paesi con i quali l’Italia ha stipulato accordi bilaterali sul reciproco riconoscimento delle sentenze al di fuori dell’Unione europea, le sentenze italiane non sono facilmente eseguibili, a causa dei complessi e incerti procedimenti (detti exequatur) previsti, nei vari Paesi stranieri, per il vaglio delle sentenze estere.

I lodi arbitrali possono invece trovare esecuzione grazie ad una Convenzione internazionale di ampio consenso mondiale: attualmente 144 Paesi hanno ratificato la Convenzione di New York del 1958 impegnandosi al reciproco riconoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali.

Per approfondimenti consultare il sito della Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto Commerciale Internazionale (UNCITRAL):

http://www.uncitral.org

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La Camera Arbitrale del PiemonteIn materia di arbitrato, le Camere di commercio piemontesi hanno collaborato tra loro per offrire un servizio uniforme sul territorio; dal 1995 è stata infatti istituita la Camera Arbitrale del Piemonte, che gestisce le procedure di arbitrato e quelle di conciliazione relative al contenzioso tra imprese. Dal 2004 la Camera Arbitrale del Piemonte si è rinnovata, con la partecipazione a livello regionale anche degli ordini professionali: avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, notai. La Camera Arbitrale del Piemonte ha predisposto modelli di clausole arbitrali e di compromessi che possono essere inseriti nei contratti o adattati secondo le esigenze e possono essere reperiti, insieme al regolamento e al tariffario, sul sito internet dell’ente:

http://www.pie.camcom.it/cameraarbitralepiemonte

In alternativa ad un procedimento contenzioso (giudizio statale o arbitrato), l’imprenditore può decidere di intraprendere una trattativa con la controparte estera per ricercare una soluzione concordata della controversia.

L’imprenditore può tentare di negoziare la suddetta soluzione personalmente con la controparte oppure può, in accordo con la controparte, incaricare un terzo neutrale che li aiuti a raggiungere un accordo gradito ad entrambi: in questo consiste la procedura di conciliazione.

La conciliazione è infatti uno strumento di risoluzione delle controversie commerciali informale e volontario che, in caso di insuccesso, non impedisce di rivolgersi successivamente al giudice ordinario o all’arbitro. In caso di successo, l’accordo raggiunto dalle parti ha valore di contratto e forse avrà maggiori probabilità di essere rispettato in quanto condiviso auspicabilmente in un’ottica di conservazione dei rapporti. In ogni caso i diritti delle parti basati sull’accordo conciliativo possono essere tutelati in giudizio con le modalità esposte nei punti precedenti.

Per ulteriori informazioni sui servizi in Piemonte consultare il sito della Camera Arbitrale:

http:/www.pie.camcom.it/cameraarbitralepiemonte

Per maggiori informazioni sulla conciliazione delle Camere di commercio consultare il seguente sito internet:

http:/www.conciliazione.camcom.it

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1.9 Stato di recepimento della Direttiva Servizi nei Paesi membri

Il termine di recepimento previsto dalla Direttiva Servizi era il 28 dicembre 2009, tuttavia la Direttiva richiedendo un notevole processo riformatorio delle normative in vigore e dell’organizzazione della pubblica amministrazione degli Stati membri sta subendo dei ritardi.

Si ricorda che il Programma di Convergenza della Direttiva (artt. 37 - 43) è finalizzato a costruire una serie di cantieri destinati a completare l’architettura del mercato interno dei servizi, che si aggiungono ai lavori di attuazione e di gestione ordinaria affidata ad uno specifico comitato (art. 40). I singoli Stati membri hanno quindi dovuto fornire una serie di relazioni (art. 39) e di documenti alle istituzioni europee, non limitandosi, come spesso accade per la normativa comunitaria, al recepimento tout court.

Il Consiglio dell’Unione europea, nel corso del Consiglio Competitività del 25 - 26 maggio 2010, ha presentato lo stato di avanzamento dei lavori relativo all’implementazione della Direttiva Servizi nei diversi Stati UE. È attualmente in corso una valutazione approfondita di tutti gli aspetti del processo attuativo nei 27 Stati membri, che continuerà nei prossimi mesi. Se del caso, la Commissione adotterà le misure necessarie a garantire che la Direttiva venga attuata correttamente e in tutte le sue parti.

Finora sono 20 gli Stati membri che hanno adottato una normativa orizzontale, di cui sette a fine febbraio 2010 (tra cui l’Italia).

In altri tre Stati membri (Austria, Cipro e Lussemburgo), la normativa è attualmente discussa in Parlamento. In 2 Stati membri, Irlanda e Portogallo, la normativa orizzontale è ancora in fase di elaborazione.

Germania e Francia hanno scelto di inserire i principi generali della Direttiva in vari atti legislativi (senza adottare una normativa orizzontale) e i lavori sembrano essersi quasi conclusi in entrambi i Paesi, anche se lo Stato francese è più indietro nel processo.

La fase più complessa è costituita dall’adeguamento della normativa settoriale specifica: sono attualmente 12 gli Stati membri che hanno comunicato alla Commissione di aver conformato la propria legislazione nazionale.

Germania e Italia hanno pressoché concluso l’adozione delle modifiche alla normativa settoriale specifica ad eccezione, per entrambi i Paesi, di una parte della legislazione regionale. In altri 7 Paesi (Austria, Cipro, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Slovenia) l’elaborazione delle dovute modifiche alla normativa specifica settoriale sembra aver accumulato un notevole ritardo.

La realizzazione degli sportelli unici costituisce come abbiamo detto una colonna portante della Direttiva Servizi; 22 Stati membri sembrano essere a buon punto nella predisposizione degli sportelli. Non dispongono invece ancora di uno sportello nazionale di riferimento 5 Paesi: Grecia, Italia, Romania, Slovacchia e Slovenia.

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Il Consiglio ha quindi evidenziato le priorità di azione per i prossimi mesi: • nel caso di Irlanda e Portogallo, è essenziale che venga ultimata la stesura

del progetto di normativa orizzontale• Austria, Cipro, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Slovenia devono

portare a termine l’elaborazione delle dovute modifiche alla normativa settoriale in vigore

• riguardo agli sportelli unici, è necessaria un’azione urgente nei Paesi in cui questi non esistono ancora o le cui funzioni sono chiaramente insufficienti (Grecia, Italia, Romania, Slovacchia e Slovenia)

• la maggior parte degli Stati membri dovrà rafforzare l’impegno volto a permettere che tutte le procedure e le formalità possano essere espletate attraverso gli sportelli unici.

Per ulteriori informazioni consultare il seguente documento al link:

http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/10/st09/st09475.it10.pdf

Per valutare lo stato di avanzamento del recepimento della Direttiva Servizi nei diversi Paesi europei:

Sito degli sportelli unici in Europa:

http://ec.europa.eu/internal_market/eu-go

Commissione Europea, DG Mercato interno:

http://ec.europa.eu/internal_market/services/services-dir/implementation_en.htm

Schede Paese sul recepimento della Direttiva ServiziAl fine di offrire alcune informazioni pratiche relative alla prestazione di attività professionali ritenute di maggiore interesse (elettricista, idraulico, commerciante), a complemento della presente guida, sono state redatte delle Schede Paese per alcuni Stati europei particolarmente importanti per gli operatori italiani (ad esempio Francia, Regno Unito).

In considerazione delle materie trattate, che possono subire frequenti modiche, si è deciso di inserire queste informazioni in schede pratiche (di facile aggiornamento) reperibili on-line nella pagina dedicata a questa guida.

Per maggiori informazioni consultare i seguenti siti:

http://www.to.camcom.it/guideUE

http://pie.camcom.it/sportello.europa

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ASPETTI FISCALI NELLA PRESTAZIONE DEI SERVIZI

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2. Aspetti fiscali nella prestazione dei servizi

2.1 Che cos’è l’IVA?

L’Imposta sul valore aggiunto (in Italia IVA) nasce come un’imposta europea ed è stata introdotta nella Comunità attraverso le due Direttive 67/227/CEE e 67/228/ CEE dell’11 aprile 1967.

Con la Direttiva 67/227/CEE in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari, il Legislatore comunitario ha affermato che l’eliminazione delle barriere di natura fiscale sarebbe stata possibile soltanto con l’eliminazione progressiva dei sistemi di imposta cumulativa sul valore pieno (che venivano applicati a cascata, come la vecchia IGE, Imposta generale sull’entrata, in Italia) e con l’adozione, da parte di tutti gli Stati, di un sistema comune di imposta sul valore aggiunto, ossia di un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni o servizi, a prescindere dal numero di transazioni intervenute nel processo di produzione o distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione.

L’Imposta sul valore aggiunto consentiva, inoltre, di realizzare meglio il principio della tassazione nel Paese di destinazione dei beni, fatto proprio dagli accordi GATT (General Agreement on Tariff and Trade) del 1947, eliminando la doppia imposizione internazionale indotta dall’applicazione delle imposte sugli scambi strutturate in base al valore pieno.

L’IVA è, quindi, un’imposta elaborata a livello di Unione europea: essa è stata estesa a tutti gli Stati membri mediante l’emanazione di una lunga serie di atti.

In Italia l’IVA è stata introdotta a far data dal 1° gennaio 1973 a seguito dell’approvazione del Dpr 633/1972, anche detto Decreto IVA.

La Direttiva fondamentale in materia è stata, per lungo tempo, la “Sesta Direttiva” (Direttiva 388/1977/CEE), ma in data 28 novembre 2006 il Consiglio ha adottato in via definitiva la Direttiva 2006/112/CE, che è entrata in vigore il 1° gennaio 2007. Si tratta di una Direttiva di rifusione: ciò significa che il Legislatore comunitario ha deciso di adottarla per riorganizzare la materia riunendo in essa la “Sesta direttiva” e un’altra trentina di Direttive adottate nel corso degli anni).

Il 12 febbraio 2008 il Consiglio ha adottato il cosiddetto VAT Package.

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Il VAT Package è così strutturato:• Direttiva 2008/8/CE sul luogo delle prestazioni di servizi• Direttiva 2008/9/CE sulle nuove modalità di rimborso dell’imposta

a soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro del rimborso, ma in altro Stato membro

• Regolamento CE 143/2008 relativo alle modalità di cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni in considerazione delle disposizioni in materia di luogo delle prestazioni di servizi, regimi speciali e procedura di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto.

Le due Direttive precedenti modificano, con effetto dal 1° gennaio 2010, la Direttiva 2006/112/CE.

In data 16 dicembre 2008, a completamento del “pacchetto”, sono stati adottati:• la Direttiva 2008/117/CE volta a combattere la frode fiscale connessa alle

operazioni intracomunitarie• il Regolamento CE 37/2009 relativo alla cooperazione amministrativa in materia

d’imposta sul valore aggiunto per combattere la frode fiscale connessa alle operazioni intracomunitarie.

In Italia, l’art. 1, c. 1, della L. 88/2009 (cosiddetta “legge Comunitaria 2008”) ha delegato il Governo a recepire le Direttive sopra indicate. Il Consiglio dei Ministri l’11 febbraio 2010 ha approvato il D.lgs. 18/2010, che è entrato in vigore il 20 febbraio 2010.

Nel seguito, ci si limiterà a trattare della Direttiva 2006/112/CE, intendendo fare riferimento a tale Direttiva come modificata dagli atti sopra citati, con effetto dal 1° gennaio 2010.

Al momento attuale tra i vari Stati membri sussistono ancora numerose difformità in tema di applicazione dell’IVA, in particolare riguardo alle aliquote applicate.

Nella tabella che segue sono riportate le aliquote in vigore nei vari Paesi UE al 1° maggio 2010.

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Stati membri Codice PaeseAliquota

super ridottaAliquota ridotta

Aliquota standard

Austria AT - 10/12 20

Belgio BE - 6/12 21

Bulgaria BG - 7 20

Cipro CY - 5/8 15

Danimarca DK - - 25

Estonia EE - 9 20

Finlandia FI - 8/12 22

Francia FR 2,1 5,5 19,6

Germania DE - 7 19

Grecia EL 5 10 21

Irlanda IE 4,8 13,5 21

Italia IT 4 10 20

Lettonia LV - 10 21

Lituania LT - 5/9 21

Lussemburgo LU 3 6/12 15

Malta MT - 5 18

Olanda NL - 6 19

Polonia PL 3 7 22

Portogallo PT - 5/12 20

Regno Unito UK - 5 17,5

Rep. Ceca CZ - 10 20

Romania RO - 9 19

Slovacchia SK - 6/10 19

Slovenia SI - 8,5 20

Spagna ES 4 7 16

Svezia SE - 6/12 25

Ungheria HU - 5/18 25

Per ulteriori informazioni consultare il seguente link:

http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/vat

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2.2 Il concetto di soggetto passivo

L’art. 9 della Direttiva 2006/112/CE afferma che: “Si considera soggetto passivo chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”.

2.2.1 Soggetti passivi stabiliti in un Paese UELa nuova regola generale ricollega la rilevanza territoriale dell’operazione con il luogo di stabilimento del committente. Si è in presenza di un soggetto passivo stabilito in un determinato Paese, nel caso in cui il soggetto in questione, in tale Paese possieda alternativamente:• la sede della propria attività economica• una stabile organizzazione.

Non si considera soggetto passivo stabilito in un determinato Paese, un soggetto che nel Paese in questione è semplicemente identificato ai fini IVA (direttamente o a mezzo di rappresentante fiscale).

Nel caso di relazioni con committenti di un altro Paese UE, al fine di appurare se gli stessi sono qualificabili come soggetti passivi d’imposta stabiliti in tale Paese, occorre verificare se sono o meno dotati del numero di identificazione IVA (attribuito in qualità di soggetti stabiliti).

Il fornitore italiano deve quindi verificare l’esistenza e la correttezza di tale numero identificativo IVA secondo le modalità attualmente previste per gli scambi intracomunitari di beni e servizi (si veda la Circolare 85/E del 15 aprile 1999 del Ministero delle Finanze), svolgendo le ulteriori indagini necessarie per stabilire l’esatta posizione fiscale del committente.

Per effettuare la verifica dei numeri identificativi IVA, le imprese italiane possono fare riferimento, nell’ambito del sistema VIES (VAT Information Exchange System), al sito dell’Agenzia delle Entrate:

http://www.agenziaentrate.gov.it

[selezionare Servizi, Partite IVA comunitarie].

Al riguardo è opportuno ricordare quanto previsto dall’art. 21 della bozza (di revisione) del Regolamento CE 1777/2005, il quale detta disposizioni di attuazione e di carattere interpretativo riguardo alla Direttiva 2006/112/CE, come modificata dalla Direttiva 2008/8/CE. In tale documento si considera che il prestatore abbia agito in buona fede nel determinare che il destinatario stabilito nella Comunità sia un soggetto passivo se ha soddisfatto tutti i requisiti seguenti:

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1) ha accertato che il destinatario è un soggetto passivo tramite il numero di identificazione IVA comunicatogli dal destinatario stesso o mediante qualsiasi altra prova attestante che il destinatario è un soggetto passivo o una persona giuridica non soggetto passivo identificata ai fini dell’IVA

2) ha ottenuto conferma della validità di detto numero di identificazione IVA o di altra prova fornita dal destinatario

3) ha effettuato una verifica di ampiezza ragionevole dell’esattezza delle informazioni fornite dal destinatario applicando le procedure di sicurezza esistenti.

Nel caso di servizi (soggetti alla regola generale del Paese del committente) resi a stabili organizzazioni, come meglio si esaminerà nei paragrafi successivi, vale il luogo di ubicazione della stabile organizzazione. Al riguardo l’art. 44 della Direttiva 2006/112/CE afferma che se i servizi sono prestati ad una stabile organizzazione del soggetto passivo, situata in un luogo diverso da quello in cui esso ha fissato la sede della propria attività economica, il luogo delle prestazioni di tali servizi è il luogo in cui è situata la stabile organizzazione.

2.2.2 Soggetti passivi stabiliti in un Paese extra-UE

Valgono le stesse regole stabilite per i soggetti passivi UE. Relativamente ai soggetti di Paesi extra-UE occorre distinguere tra:• operatori economici (imprese, professioni o arti), da considerare quali

soggetti passivi d’imposta• consumatori finali, da non considerare soggetti passivi d’imposta.

A questo riguardo l’art. 21 della bozza (di revisione) del Regolamento CE 1777/2005 considera che il prestatore ha agito in buona fede (nel determinare che il destinatario stabilito al di fuori della Comunità sia un soggetto passivo d’imposta) se ha ottenuto un certificato rilasciato dalle autorità fiscali competenti per il Paese del destinatario dove si attesti che questi svolge un’attività economica che gli dà diritto ad ottenere il rimborso dell’IVA a norma della Direttiva 86/560/CEE.

La Direttiva in questione è attualmente applicabile anche agli operatori economici residenti in Israele, Norvegia e Svizzera. Questi Paesi, infatti, in via di reciprocità riconoscono il rimborso dell’IVA agli operatori economici italiani.Alternativamente, il prestatore deve provare tutti o alcuni dei seguenti requisiti:1) di disporre del numero IVA o di un numero analogo utilizzato per identificare

le imprese attribuito al destinatario dal proprio Paese di stabilimento 2) di disporre di estratti stampati provenienti dal sito internet delle autorità

fiscali competenti per il Paese del destinatario che ne confermino lo status di soggetto passivo

3) di essere in possesso dell’ordinativo del destinatario recante il suo indirizzo commerciale e il numero di registrazione commerciale

4) di disporre di prove provenienti dal sito internet del destinatario attestanti che questi svolge un’attività economica.

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In pratica, nei rapporti con operatori economici di Paesi extra-UE è possibile adottare le seguenti soluzioni:• se si tratta di operatori residenti in Israele o Norvegia o Svizzera, è possibile

chiedere agli stessi l’invio di un certificato di attribuzione del numero identificativo IVA rilasciato dalla competente Autorità fiscale del loro Paese. Tra l’Italia e tali Paesi, in materia IVA (rimborso dell’IVA subita in uno di tali Paesi da un operatore economico italiano e viceversa), esiste infatti un rapporto di reciprocità nell’ambito del quale la qualifica di operatore economico è attestata dal certificato di attribuzione del numero identificativo IVA

• se si tratta di operatori di altri Paesi extra-UE: è necessario chiedere agli stessi l’invio di un certificato di attribuzione di numero identificativo IVA o di altra imposta sugli scambi in vigore nei loro Paesi, rilasciato dalla competente Autorità fiscale; pretendere l’invio di ordini di acquisto scritti e verificare la correttezza dei dati anagrafici contenuti negli stessi, accedendo al sito del cliente o a banche dati del Paese del cliente.

2.2.3 Soggetti passivi misti o ibridi Si considerano soggetti passivi misti, ad esempio:• persone fisiche che esercitano un’attività d’impresa, arte o professione• enti non commerciali che, a fianco dell’attività istituzionale (non commerciale),

esercitano un’attività commerciale.

A riguardo, l’art. 23 della bozza (di revisione) del Regolamento CE 1777/2005 afferma che: “Si considera che un soggetto passivo o una persona giuridica non soggetto passivo assimilata a soggetto passivo che riceve servizi destinati al suo uso personale o a quello dei suoi dipendenti o, più in generale, a scopi estranei alla sua impresa non agisca in qualità di soggetto passivo ai fini dell’articolo 44 della Direttiva 2006/112/CE.Tale soggetto è considerato un soggetto non passivo ai fini dell’applicazione delle norme sul luogo delle prestazioni di servizi”.

Nel caso di servizi resi a favore dei soggetti esteri in questione, occorre distinguere tra le seguenti situazioni:• servizi resi a favore di persone fisiche. Occorre verificare se i servizi sono

acquistati nell’ambito della loro sfera economica o nell’ambito della loro sfera privata (e cioè in qualità di consumatore finale). Nel primo caso si è in presenza di una prestazione eseguita a favore di soggetto passivo d’imposta stabilito in altro Paese UE; nel secondo caso, invece, si è in presenza di una prestazione di servizi eseguita a favore di consumatore finale

• servizi resi a favore di enti non commerciali (identificati ai fini IVA nel loro Paese). Ai fini dell’applicazione delle regole relative al luogo delle prestazioni di servizi, tali soggetti sono considerati passivi riguardo a tutte le prestazioni che gli sono rese, salvo che le stesse siano acquistate nell’interesse dei propri dipendenti, nel quale caso si tratta di acquisti eseguiti non in qualità di soggetti passivi d’imposta.

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Limitatamente ai rapporti con operatori economici UE, l’art. 43

della Direttiva 2006/112/CE afferma che ai fini dell’applicazione delle regole relative al luogo delle prestazioni di servizi la persona giuridica che non è soggetto passivo e che è identificata ai fini dell’IVA è considerata soggetto passivo.Si tratta dell’ipotesi degli enti non

commerciali puri (che non svolgono alcuna attività commerciale) i quali nel momento in cui pongono in essere acquisti intracomunitari di beni (pronti per l’uso) per un importo superiore ad una determinata soglia (ad esempio, 10.000 euro per l’Italia), sono costretti a chiedere l’attribuzione della partita IVA. In questo caso, se tali enti hanno assunto un numero identificazione IVA, ai fini delle regole di territorialità in tema di prestazioni di servizi, assumono la natura di soggetti passivi d’imposta. L’impostazione adottata dall’art. 43 riguardo a questi ultimi enti non commerciali era già stata anticipata dalla sentenza della Corte di Giustizia UE del 6 novembre 2008, causa C-291/07.

2.2.4 Società non operativeLa maggior parte delle società, ai fini IVA, si qualifica come soggetto passivo pieno (e cioè per tutte le attività esercitate). Vi sono tuttavia delle eccezioni:• le holding di puro godimento (passive holding companies), che sono generalmente

società non soggetti passivi d’imposta (prive cioè di numero identificativo IVA). Con loro si applicano le regole B2C.

• le holding di gestione (active holding companies), che in alcuni ordinamenti sono considerate soggetti passivi d’imposta relativamente ad una parte della loro attività. Si tratta di società aventi il carattere di soggetti misti (o ibridi), per le quali si applicano le regole sopra delineate in merito a tali soggetti.

Ad esempio, nel caso di società italiane, l’art. 4 c. 5 del Dpr 633/1972 afferma che: “non sono considerate, inoltre, attività commerciali, anche in deroga al secondo comma: (...) il possesso, non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire dividendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività finanziaria, ovvero attività di indirizzo, di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate”.

2.2.5 Stabili organizzazioniLa Direttiva 2006/112/CE e la normativa italiana sull’IVA non definiscono il concetto di stabile organizzazione. Ai fini delle imposte sui redditi la definizione è contenuta nell’art. 5 del modello OCSE di Convenzione contro la doppia imposizione, dalle convenzioni stesse e dall’art. 162 del Dpr 917/1986.

Secondo la Corte di Giustizia, la stabile organizzazione deve presentare un grado sufficiente di permanenza e una struttura dal punto di vista delle dotazioni umane

Quanto sopra affermato vale sia nel caso di rapporti con operatori economici UE che con operatori economici extra-UE.

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e materiali idonee a rendere possibile, in modo autonomo, la fornitura delle prestazioni di servizi considerate. Sempre secondo l’orientamento della Corte, la semplice presenza di dotazioni materiali (e l’assenza di quelle umane) non è idonea a realizzare la fattispecie della stabile organizzazione.

Nei rapporti tra operatori economici, la stabile organizzazione viene considerata solo nel caso in cui la stessa partecipi fattivamente all’effettuazione delle operazioni (in veste di soggetto cedente/prestatore o di soggetto acquirente/committente).

L’art. 15 della bozza (di revisione) del Regolamento CE 1777/2005 afferma che per stabile organizzazione si intende un’organizzazione di dimensioni minime permanentemente dotata di risorse umane e tecniche in misura sufficiente a consentirle di:• ricevere e utilizzare i servizi che le sono resi (nel caso dei servizi di cui all’art. 44

della Direttiva 2006/112/CE)• fornire i servizi oggetto della sua attività (nel caso dei servizi di cui all’art. 45 della

Direttiva 2006/112/CE).

Si ricorda che (sentenza della Corte di Giustizia - causa C-210/04) le prestazioni di servizi intercorrenti tra la casa madre estera e le stabili organizzazioni della stessa, avendo luogo all’interno dello stesso soggetto d’imposta, sono da considerare fuori del campo di applicazione dell’IVA.

2.2.6 Soggetti esteri identificati ai fini IVA nel Paese del prestatoreAlla luce di quanto previsto dall’art. 44 della Direttiva 2006/112/CE, nel caso di prestazioni di servizi sottoposte alla regola generale ed eseguite a favore di un soggetto passivo d’imposta estero, vale la regola del Paese del committente (anche nell’ipotesi in cui tale soggetto sia identificato ai fini IVA in Italia).

E viceversa, nel caso di prestazioni di servizi sottoposte alla regola generale ed eseguiti da un soggetto estero a favore di un soggetto passivo d’imposta italiano, vale la regola del Paese del committente (anche nell’ipotesi in cui il soggetto italiano sia identificato ai fini IVA nel Paese estero).

2.3 Il concetto di prestazione di servizi sotto il profilo IVA

L’art. 24 della Direttiva Servizi (Direttiva 2006/123/CE) afferma che “si considera prestazione di servizi ogni operazione che non costituisce una cessione di beni”. Una similare definizione è contenuta nell’art. 3 del Dpr 633/1972.

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Come si può ben notare, si tratta di una definizione di carattere residuale che include tutte quelle operazioni che non comportano uno scambio di beni. Occorre considerare che la classificazione delle operazioni da parte dei vari Paesi UE non è perfettamente armonizzata: può succedere che una determinata operazione venga considerata “cessione di beni” in un Paese UE e “prestazione di servizi” in un altro.Di conseguenza non sempre è facile comprendere se si è in presenza di una cessione di beni o di una prestazione di servizi.

EsempioOperazioni di riparazione con inserimento di beni, di ammontare rilevante, da parte del fornitore.

Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia e dell’Agenzia delle Entrate italiana il criterio discriminante è costituito dalla volontà delle parti. L’individuazione della volontà delle parti passa obbligatoriamente dall’interpretazione del contratto, che deve essere eseguita secondo i canoni previsti dalla normativa civilistica, avendo cioè riguardo alla comune intenzione delle parti nonché alla connessione tra le diverse clausole contrattuali.

Riguardo ai criteri da adottare per distinguere tra cessioni di beni e prestazioni di servizi, si veda anche:• Sentenza della Corte di Giustizia UE del 29 marzo 2007 (causa

C-111/05), che riprende il caso di una società che provvedeva alla fornitura e alla posa in opera di un cavo in un fondale sottomarino senza alterarne la natura o adattarlo alle esigenze del cliente veniva considerato dalla Corte come cessione di beni

• Risoluzione 272/E/2007, che riprende il caso di una società italiana incaricata di realizzare un prodotto utilizzando per il 25% componenti forniti dal committente, per il 30% materie prime fornite dalla società italiana e per il 45% attività di lavoro svolta dalla società italiana.

In questa situazione, applicando il criterio dell’interpretazione del contratto, l’Agenzia delle Entrate rilevava l’intenzione dei contraenti di dar vita ad un contratto d’opera e, quindi, a una prestazione di servizi.Si veda, altresì, la sentenza della Corte di giustizia europea dell’11 febbraio 2010, causa C-88/09.

Le regole di territorialità Sino al 31 dicembre 2009, riguardo alle regole in tema di territorialità IVA, le prestazioni di servizi erano suddivise in due categorie.1. Servizi intracomunitari, che nei rapporti tra operatori economici identificati

ai fini IVA erano disciplinati dalla regola del Paese del committente (art. 40, del D.l. 331/1993). Si trattava dei seguenti servizi:• servizi di conto lavoro, conto perizia e conto riparazione relativi a beni che

si spostano all’interno del territorio UE

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• servizi di trasporto intracomunitario di beni e relative prestazioni di intermediazione

• servizi accessori ai trasporti intracomunitari di beni e relative prestazioni di intermediazione (tra soggetti identificati ai fini IVA si applica la regola del Paese del committente)

2. Altri servizi che, a loro volta, si distinguevano in:• servizi specifici, per ciascuno dei quali l’art. 7, c. 4 del Dpr 633/1972 fissava

delle regole specifiche• servizi generici, per i quali l’art. 7, c. 3 del Dpr 633/1972 fissava la regola

generale del Paese del prestatore.

A partire dal 1° gennaio 2010, in Italia le regole in tema di territorialità delle prestazioni di servizi sono state inserite nell’art. 7 (dal 7-ter al 7 septies) del Dpr 633/1972. Sono quindi entrate in vigore due nuove regole generali in tema di territorialità delle prestazioni di servizi.

Queste regole si applicano ove non espressamente derogate da altre norme della Direttiva 2006/112/CE per i seguenti tipi di servizi.• Servizi B2B (operazioni poste in essere tra operatori economici): il servizio

si considera effettuato nel Paese del committente (art. 44 della Direttiva; art. 7-ter, c. 1, lett. a del Dpr 633/1972)

Committente italiano Prestatore francese

IVA italiana

• Servizi B2C (operazioni poste in essere nei confronti di consumatori finali): il servizio si considera effettuato nel Paese del prestatore (art. 45 della Direttiva; art. 7-ter, c. 1, lett. b del Dpr 633/1972).

Committente italiano Prestatore francese

IVA francese

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Deroghe alle regole generali Sono previste alcune deroghe (disposizioni speciali) rispetto alle regole generali. Le seguenti deroghe si riferiscono a tutti i contribuenti (rapporti B2B e B2C):

• Prestazioni di servizi relativi a beni immobili (art. 47 della Direttiva; art. 7-quater, lett. a, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di trasporto di passeggeri (art. 48 della Direttiva; art. 7-quater, lett. b, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi culturali, artistici, sportivi, scientifici, ricreativi e affini, quali fiere ed esposizioni (art. 53 della Direttiva; art. 7-quinquies, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi di ristorazione e di catering (art. 55 della Direttiva; art. 7-quater, lett. c, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi di ristorazione e di catering destinati al consumo a bordo di una nave, un aereo o un treno (art. 57 della Direttiva; art. 7-quater, lett. d, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi di noleggio a breve termine di un mezzo di trasporto (art. 56 della Direttiva, art. 7-quater, lett. e, Dpr 633/1972).

Altre deroghe riguardano solo i rapporti B2C:• Prestazioni di servizi rese da un intermediario a favore di persone non

soggetti passivi d’imposta (art. 46 della Direttiva; art. 7-sexies, lett. a, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di trasporto di beni a favore di persone non soggetti passivi d’imposta (artt. da 49 a 52 della Direttiva; art. 7-sexies, lett. b e c, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi accessori ai trasporti a favore di persone non soggetti passivi d’imposta (art. 54 della Direttiva; art. 7-sexies, lett. d, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di perizie e di lavori relativi a beni mobili a favore di persone non soggetti passivi d’imposta (art. 54 della Direttiva; art. 7-sexies, lett. d, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi di locazione anche finanziaria, noleggio e simili, non a breve termine, di mezzi di trasporto (deroga in base a normativa italiana, criterio dell’effettivo utilizzo; art. 7-sexies, lett. e, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi elettronici a persone che non sono soggetti passivi (art. 58 della Direttiva; art. 7-sexies, lett. f, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi di telecomunicazione e di teleradiodiffusione (deroga in base a normativa italiana, criterio dell’effettivo utilizzo; art. 7-sexies, lett. g, Dpr 633/1972)

• Prestazioni di servizi (immateriali) a persone che non sono soggetti passivi fuori della Comunità (art. 59 della Direttiva; art. 7-septies, Dpr 633/1972).

Per maggiori informazioni si veda il capitolo 3 di questa guida.

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La Direttiva 2008/8/CE, relativamente ad alcuni servizi, prevede alcune modifiche alle deroghe per gli anni successivi al 2010:• Prestazioni di servizi culturali, artistici, sportivi, scientifici, ricreativi e affini,

quali fiere ed esposizioni (art. 53 della Direttiva). A partire dal 1° gennaio 2011, nei rapporti tra operatori economici, saranno disciplinate dalla regola generale del Paese del committente, esclusi i servizi per l’accesso alle manifestazioni (ad esempio, biglietteria) per le quali continuerà a valere la regola attuale (del Paese della manifestazione)

• Prestazioni di servizi di noleggio non a breve termine di un mezzo di trasporto a favore di soggetti non soggetti passivi d’imposta (art. 56 della Direttiva). A partire dal 2013, saranno disciplinate dalla regola del luogo di stabilimento del destinatario (con qualche ulteriore distinzione riguardo al noleggio delle imbarcazioni da diporto)

• Prestazioni di servizi elettronici resi a persone che non sono soggetti passivi (art. 58 della Direttiva). A partire dal 2015, saranno disciplinate dalla regola del luogo di stabilimento del destinatario.

L’art. 59 bis della Direttiva 2006/112/CE, al fine di prevenire casi di doppia imposizione, non imposizione o distorsione, concede agli Stati membri di utilizzare il parametro dell’effettiva utilizzazione e dell’effettiva fruizione (cosiddetto use and enjoyment provisions) per determinate prestazioni di servizi.

Viene previsto l’obbligo di presentazione degli elenchi (modelli INTRA, per approfondimenti si veda il capitolo 4) dei servizi resi e dei servizi acquistati anche per le prestazioni di servizi resi/acquistati a/da soggetti passivi d’imposta di altro Paese UE. La Direttiva 2008/8/CE non prevede l’obbligo di presentazione dell’elenco per gli acquisti di servizi; molti Paesi UE hanno infatti scelto di presentare solo l’elenco dei servizi resi.

Al fine di consentire la verifica incrociata delle informazioni che gli operatori comunicano con gli elenchi delle cessioni e delle prestazioni, vengono ristrette le possibilità di scelta per i singoli Paesi UE riguardo alla competenza delle operazioni.

A questo proposito la Direttiva stabilisce che:• i modelli devono essere presentati con riferimento al momento in cui

l’imposta è diventata esigibile• non è più consentito differenziare il momento dell’esigibilità rispetto

al momento in cui si verifica il fatto generatore dell’imposta (in pratica, come meglio si dirà in seguito, secondo la Direttiva il listing deve essere predisposto con riferimento al momento di effettuazione dell’operazione).

La normativa italiana di recepimento ha modificato l’art. 6 del Dpr 633/1972 riguardo alle operazioni di lunga durata; per le altre è stato mantenuto il criterio dell’incasso/pagamento. Al momento, quindi, l’attuale normativa italiana su tale punto non è conforme ai principi fissati dalla Direttiva comunitaria.

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5252

REGOLA GENERALE E CRITERI SPECIALI NELLA PRESTAZIONE DEI SERVIZI

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3. Regola generale e criteri speciali nella prestazione dei servizi

Come abbiamo detto, le regole generali sulla prestazione dei servizi prevedono che: • nei rapporti tra operatori economici (soggetti passivi stabiliti) vale

la regola del Paese del committente• nei rapporti con consumatori finali vale la regola del Paese del prestatore.

Nei rapporti tra operatori economici sono disciplinati dalla regola generale i seguenti servizi:

• trasporti di beni (interni all’Italia, intracomunitari, da/verso Paesi extra-UE, tra Paesi esteri)

• prestazioni accessorie ai trasporti di beni, quali servizi di carico, scarico, manutenzione (o, meglio, handling) e altre prestazioni derivanti da contratti a lungo termine di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili di mezzi di trasporto

• prestazioni derivanti da contratti di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili di beni mobili materiali diversi dai mezzi di trasporto

• cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore, quelle relative a invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne, nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti

• prestazioni pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica o legale • prestiti di personale e cessioni di contratti relativi alle prestazioni di sportivi

professionisti• prestazioni di elaborazione e fornitura di dati e simili• operazioni bancarie, finanziare e assicurative• prestazioni di servizi tramite mezzi elettronici (commercio elettronico diretto)

e servizi di telecomunicazione e di tele-radiodiffusione• servizi per l’accesso a sistemi di distribuzione di gas naturale e di energia elettrica,

nonché del servizio di trasporto o trasmissione mediante gli stessi e fornitura di altri servizi direttamente collegati

• prestazioni di intermediazione relative alle precedenti operazioni.

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I servizi complessi e le nuove tipologie di serviziNel caso di servizi complessi composti da più prestazioni, che considerate separatamente sarebbero soggette a regole diverse, occorre condurre un’attenta analisi per stabilire se si tratti di un unico servizio o di una pluralità di servizi.

Al riguardo, si veda l’orientamento dato dalla Corte di Giustizia (causa C-349/96).Per decidere, ai fini dell’IVA, se una prestazione di servizi composta da più elementi debba essere considerata come una prestazione unica o come due o più prestazioni autonome che devono essere valutate separatamente, si deve tener conto della seguente duplice circostanza:• in base alla Direttiva 2006/112/CE discende che ciascuna prestazione di

servizi deve essere considerata di regola come autonoma e indipendente• la prestazione costituita da un unico servizio sotto il profilo economico

non deve essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA.

Si configura una prestazione unica, quindi, nel caso in cui uno o più elementi devono essere considerati come prestazione principale, mentre uno o più elementi devono essere considerati prestazione accessoria cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale.

Una prestazione deve essere considerata accessoria ad una prestazione principale quando essa non costituisce un fine a sé stante per la clientela (bensì un mezzo utilizzato per fruire nelle migliori condizioni possibili del servizio principale offerto dal prestatore). In tale circostanza, il fatto che un prezzo unico sia fatturato non riveste un’importanza decisiva.

Alla luce di quanto sopra, in sede di trattativa commerciale:• è opportuno giungere alla predisposizione di un contratto scritto nel quale

vengano analiticamente descritte le prestazioni oggetto dello stesso• è necessario indagare attentamente quale sia l’oggetto del contratto.

In base a quanto definito: • se è possibile configurare una gerarchia delle prestazioni (con

una/più prestazione/i principale/i che caratterizza/ano il contratto) l’inquadramento fiscale sarà dettato dalla prestazione principale

• se, invece, si ha una pluralità di prestazioni, di rango equivalente, è opportuno prevedere la fissazione (se possibile) di corrispettivi specifici in relazione alle singole prestazioni dedotte in contratto. In tale situazione, ogni prestazione dovrà trovare il suo specifico inquadramento fiscale.

Nel caso di introduzione di nuove tipologie di servizi non previsti dalle deroghe attuali, si applicheranno automaticamente le regole generali.

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Se, in futuro, venissero introdotte nuove tipologie di servizi e/o la prassi elaborasse nuove tipologie contrattuali, esse, almeno nei rapporti tra operatori economici, ai fini della territorialità, sarebbero disciplinate dalla regola del Paese del committente.

3.1 Prestazioni di servizi disciplinate in deroga alle regole generali

Rientrano all’interno dei servizi disciplinati in deroga alle regole generali i seguenti servizi:• servizi relativi ai beni immobili• trasporto passeggeri• ristorazione e catering• locazione breve di mezzi di trasporto• attività culturali, artistiche, ricreative, scientifiche, educative, sportive.

3.1.1 Servizi relativi ai beni immobiliL’art. 47 della Direttiva 2006/112/CE afferma che: “Il luogo delle prestazioni di servizi relativi ad un bene immobile, incluse le prestazioni di periti, di agenti immobiliari, la fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzione analoga, quali i campi di vacanza o i terreni attrezzati per il campeggio, la concessione di diritti di utilizzazione di un bene immobile e le prestazioni tendenti a preparare o a coordinare l’esecuzione di lavori edili come, ad esempio, le prestazioni fornite dagli architetti e dagli uffici di sorveglianza, è il luogo in cui è situato il bene”.

L’art. 7-quater del Dpr 633/1972 afferma che: “In deroga a quanto stabilito dall’art. 7-ter, c. 1, si considerano effettuate nel territorio dello Stato: (...) le prestazioni di servizi relativi a beni immobili, comprese le perizie, le prestazioni di agenzia, la fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzioni analoghe, ivi inclusa quella di alloggi in campi di vacanza o in terreni attrezzati per il campeggio, la concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili e le prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dell’esecuzione dei lavori immobiliari, quando l’immobile è situato nel territorio dello Stato”.

Committente italiano Prestatore italiano

IVA tedesca

utilizza un’agenziaper affittareun immobilein Germania

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Alla luce di quanto sopra esposto, a partire dal 1° gennaio 2010, rientrano nell’ambito delle prestazioni di servizi relativi a beni immobili le seguenti prestazioni:• prestazioni di servizi relativi alla costruzione, riparazione, manutenzione

di immobili• perizie relative a beni immobili• prestazioni di agenzia relative a beni immobili• locazione e sublocazione di un bene immobile• fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzione

analoga, quali campi di vacanza o terreni attrezzati per il campeggio• concessione dei diritti di utilizzazione di un bene immobile• prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dei lavori immobiliari• servizi di pulizia di beni immobili• pedaggi autostradali.

Classificazione nel caso di prestazioni concernenti gli impiantiUn aiuto alla classificazione può essere fornito dalla norma di comportamento n. 31 emanata dalla Libera associazione dei dottori commercialisti in cui si sostiene che: “Nella voce immobili vanno quindi classificati solo quegli impianti fissi che, privi di specifica individualità, costituiscono normale e indispensabile complemento di ogni edificio, quali l’impianto idraulico e quello elettrico di base. Tutti gli altri impianti, invece, prescindendo dal loro grado di incorporazione al fabbricato e dalla circostanza che non sia stato pagato un prezzo distinto da quello dell’immobile (il che crea unicamente problemi nella separazione dei valori), devono essere classificati come impianti, da ammortizzare in base al loro deperimento, tenendo conto dei coefficienti di ammortamento, stabiliti dal DM 29 ottobre 1974. Infatti tale Decreto elenca tra gli impianti da ammortizzare con aliquote proprie gli impianti di condizionamento, di produzione, presa e distribuzione di energia, di trasporto interno e gli altri impianti industriali, anche se incorporati negli immobili, mentre considera tra i fabbricati le opere idrauliche fisse, cui non può non aggiungersi l’impianto elettrico di base”.Nella risposta data dall’Agenzia delle Entrate in tema di impianti fotovoltaici (Il Sole 24 Ore, 4 giugno 2010, pagina 30) viene affermato che: “A parere della scrivente [...] si è in presenza di beni immobili quando non è possibile separare il bene mobile dall’immobile (terreno o fabbricato) senza alterare la funzionalità dello stesso o quando per riutilizzare il bene in un altro contesto con le medesime finalità debbono essere effettuati antieconomici interventi di adattamento”.

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Nel nostro ordinamento, il concetto generale di bene immobile è delineato dall’art. 812 del Codice civile: “Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni”.

Sono state considerate prestazioni relative a beni immobili:• le prestazioni di ingegneria relative a beni immobili • le prestazioni di ingegneria necessarie per la realizzazione di un sistema di condotte

sottomarine • la progettazione e la realizzazione di un osservatorio astronomico munito

di telescopio • la messa a disposizione di spazi espositivi in occasione di fiere • le prestazioni di studio rese nel bacino di un fiume tese a memorizzare dati generali

climatologici e idrologici• la posa in opera di tubi sul fondo marino • la realizzazione di opere edili all’estero e la progettazione di architettura degli

interni e degli arredi • il servizio di prenotazione di camere d’albergo via web • l’utilizzo di autostrade.

Relativamente ai pedaggi per il transito nei trafori (Frejus e Monte Bianco), pur riconoscendo che si tratta di una prestazione di servizi relativi agli immobili, per ragioni di semplificazione, si è adottata la soluzione del luogo di entrata nei trafori.

Nell’ambito del settore agricolo, sono esempi di servizi relativi a beni immobili la potatura delle piante, la raccolta della frutta e l’abbattimento delle piante.

3.1.2 Servizi di trasporto passeggeri L’art. 48 della Direttiva 2006/112/CE afferma che: “Il luogo delle prestazioni di trasporto di passeggeri è quello dove si effettua il trasporto in funzione delle distanze percorse”.

L’art. 7-quater del Dpr 633/1972 afferma che: “In deroga a quanto stabilito dall’art. 7-ter, c. 1, si considerano effettuate nel territorio dello Stato: (...) le prestazioni di trasporto di passeggeri in proporzione alla distanza percorsa nel territorio dello Stato”.

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575757

Prestatore italiano

offre un serviziodi trasporto passeggeri

2/3 in Portogallo 2/3 IVA portoghese

1/3 in Spagna 1/3 IVA spagnola

L’art. 9, c. 1, n. 1 del medesimo Dpr aggiunge: “Costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili: i trasporti di persone eseguiti in parte nel territorio dello Stato e in parte in territorio estero in dipendenza di unico contratto”.

Ad esempio, nel caso di trasporto aereo di persone da Torino a Parigi, ai fini dell’IVA italiana:• la tratta italiana è in campo IVA, ma non imponibile ai sensi dell’art. 9, c. 1, n. 1

del Dpr 633/1972, trattandosi di trasporto internazionale di persone• la tratta estera è fuori campo IVA.

3.1.3 Servizi di ristorazione e catering L’art. 55 della Direttiva 2006/112/CE afferma che: “Il luogo delle prestazioni di servizi di ristorazione e di catering diversi da quelli materialmente effettuati a bordo di una nave, di un aereo o di un treno nel corso della parte di un trasporto di passeggeri effettuata nella Comunità è il luogo in cui le prestazioni sono materialmente eseguite”.

L’art. 7-quater del Dpr 633/1972 afferma che: “In deroga a quanto stabilito dall’art. 7-ter, c. 1, si considerano effettuate nel territorio dello Stato: (...) le prestazioni di servizi di ristorazione e di catering diverse da quelle di cui alla lettera d), quando sono materialmente eseguite nel territorio dello Stato; le prestazioni di ristorazione e di catering materialmente rese a bordo di una nave, di un aereo o di un treno nel corso della parte di un trasporto di passeggeri effettuata all’interno della Comunità, se il luogo di partenza del trasporto è situato nel territorio dello Stato”.

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5858

Prestatore italiano

offre un serviziodi catering

per un meeting presso un’azienda situata in Francia

IVA francese

per una festa privata presso una famiglia residente in Spagna

IVA spagnola

In base a quanto previsto dagli artt. 8 e 9 della bozza (di revisione) del Regolamento CE 1777/2005, i servizi di ristorazione e di catering consistono nella fornitura di cibi preparati o non preparati o di bevande o di entrambi, destinati al consumo umano, accompagnata da servizi di supporto sufficienti da permetterne il consumo immediato. Nel caso della ristorazione tali servizi sono forniti nei locali del prestatore, mentre nel caso del catering in locali diversi da quelli del prestatore.

La fornitura di cibi o bevande o di entrambi costituisce solo una componente dell’insieme in cui i servizi prevalgono ampiamente: se la consegna, con o senza trasporto, non è accompagnata da altri servizi di supporto, non viene considerata come servizio di ristorazione o di catering. Se la fornitura è effettuata da un soggetto passivo e la fornitura dei servizi di supporto che ne consentono il consumo immediato è effettuata per lo stesso destinatario da un soggetto passivo diverso, ciascuna fornitura è esaminata singolarmente, purché non esistano prove di abuso di diritto.

3.1.4 Servizi di noleggio a breve termine di un mezzo di trasporto L’art. 55 della Direttiva 2006/112/CE afferma che: “ 1. Il luogo delle prestazioni di servizi di noleggio a breve termine di un mezzo

di trasporto è il luogo in cui il mezzo di trasporto è effettivamente messo a disposizione del destinatario.

2. Ai fini del paragrafo 1 per noleggio a breve termine si intende il possesso o l’uso ininterrotto del mezzo di trasporto durante un periodo non superiore a trenta giorni e, per quanto riguarda i natanti, non superiore a novanta giorni”.

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L’art. 7-quater del Dpr 633/1972 afferma che: “In deroga a quanto stabilito dall’art. 7-ter, c. 1, si considerano effettuate nel territorio dello Stato: (...) le prestazioni di servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, a breve termine, di mezzi di trasporto quando gli stessi sono messi a disposizione del destinatario nel territorio dello Stato e sempre che siano utilizzate all’interno del territorio della Comunità. Le medesime prestazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando i mezzi di trasporto sono messi a disposizione del destinatario al di fuori del territorio della Comunità e sono utilizzati nel territorio dello Stato”.

Committente italiano

IVA tedescaAuto a disposizionein Germania

Servizio di noleggio auto fino a 30 giorni

In base a quanto previsto dall’art. 42 della bozza (di revisione) del Regolamento CE 1777/2005, la durata del possesso o dell’uso ininterrotto di un mezzo di trasporto noleggiato è determinata sulla base dell’accordo contrattuale concluso fra le parti, compreso un tacito accordo. Il contratto costituisce una presunzione che può tuttavia essere confutata con qualsiasi mezzo di fatto o di diritto che consenta di stabilire la durata effettiva del possesso o dell’uso ininterrotto. Un superamento del periodo di noleggio fissato nel contratto dovuto a circostanze chiaramente definite che sfuggono al controllo delle parti non incide sulla durata stabilita del possesso o dell’uso del mezzo di trasporto.

Se il noleggio di un mezzo di trasporto è coperto da due o più contratti consecutivi conclusi fra le stesse parti, oppure se l’intervallo fra i contratti è di non più di due giorni, la durata del possesso o dell’uso ininterrotto del mezzo di trasporto nell’ambito di un contratto tiene conto del possesso o dell’uso di tale mezzo di trasporto previsti dai contratti precedenti. Purché non esista abuso di diritto, la durata del possesso o dell’uso ininterrotto di un mezzo di trasporto nell’ambito di un contratto non tiene conto dell’eventuale possesso o uso di detto mezzo di trasporto previsti da contratti successivi. Se il mezzo di trasporto oggetto dei contratti di noleggio non è lo stesso, la durata del possesso o dell’uso ininterrotto del mezzo di trasporto nell’ambito di ciascun contratto è determinata separatamente, purché non esistano prove di abuso di diritto.

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Servizi di noleggio non a breve termineI servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili di mezzi di trasporto non a breve termine: • se posti in essere tra operatori economici, sono disciplinati dalla regola

generale del Paese del committente• se posti in essere nei confronti di consumatori finali, sono disciplinati

dalla regola del Paese del prestatore, con alcuni vincoli dovuti all’operare della clausola dell’effettivo utilizzo del mezzo (si veda l’art. 7-sexies, lett. e, Dpr 633/1972).

Committente italiano Prestatore francese

IVA italiana

affitta un’auto da

Committente francese Prestatore italiano

IVA italiana

Servizio di noleggio auto superiore ai 30 giorni

affitta un’auto da

Dal 1° gennaio 2013 i servizi di locazione (anche finanziaria, noleggio e simili di mezzi di trasporto non a breve termine) nei confronti dei consumatori finali si considereranno effettuati nel Paese di residenza del committente, con il conseguente obbligo di identificazione IVA da parte del fornitore estero.

3.1.5 Servizi culturali, artistici, sportivi, scientifici, ricreativi e affini, quali fiere ed esposizioniL’art. 53 della Direttiva afferma che: “Il luogo delle prestazioni di servizi relativi ad attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative o affini, quali fiere ed esposizioni, ivi compresi i servizi prestati dall’organizzatore di tali attività, nonché i relativi servizi accessori, è il luogo in cui tali attività si svolgono materialmente”.

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L’art. 7-quinquies del Dpr 633/1972 afferma che: “In deroga a quanto stabilito dall’art. 7-ter, c. 1, le prestazioni di servizi relativi ad attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative e simili, ivi comprese fiere ed esposizioni, le prestazioni di servizi degli organizzatori di dette attività, nonché le prestazioni di servizi accessorie alle precedenti si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando le medesime attività sono ivi materialmente svolte. La disposizione del periodo precedente si applica anche alle prestazioni di servizi per l’accesso alle manifestazioni culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative e simili, nonché alle relative prestazioni accessorie”.

Prestatore italiano

IVA spagnola

offre un servizioartistico

ad esempiogestione dispositivi suoni/luci per una conferenza aziendale, presso un’azienda in Francia

ad esempioservizio fotografico

per un matrimonio, in Spagna

IVA francese

La norma sopra citata comprende nel suo ambito applicativo anche le prestazioni “degli organizzatori di detta attività nonché, eventualmente, le prestazioni di servizi accessori a tali attività”. Ciò significa che tutte quelle prestazioni che assumono natura strumentale al risultato finale di un servizio artistico, ricreativo, sportivo, didattico e simili, seguono la territorialità di queste prestazioni e si considerano effettuate nel luogo ove l’avvenimento, la manifestazione o lo spettacolo viene materialmente eseguito.

Rientrano in tale ambito le seguenti prestazioni:• servizi di cantanti, attori, ballerini• servizi di sportivi• servizi degli organizzatori di manifestazioni• servizi di accesso alla manifestazione• servizi degli allestitori di stand fieristici• servizi di sorveglianza e pulizia svolti nei locali della manifestazione• servizi degli organizzatori della partecipazione alle fiere• servizi dei tecnici del suono e delle luci • servizi di formazione e di addestramento del personale non inseriti in una più ampia

prestazione di consulenza

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• servizi scientifici• servizi di animazione turistica svolti in villaggi e altre strutture ricettive• servizi fotografici.

Riguardo alle fiere ed esposizioni, l’art. 53 della Direttiva recepisce quanto stabilito nella sentenza della Corte di Giustizia (causa C-114/05 del 9 marzo 2006), facendo rientrare nell’ambito della presente previsione normativa anche l’organizzazione di manifestazioni espositive. Secondo la citata sentenza, tale qualificazione trova fondamento non tanto nella natura artistica dell’attività svolta dal soggetto organizzatore, quanto nelle seguenti circostanze:• prestazione complessa• fornita ad una pluralità di destinatari• in occasione di una specifica manifestazione• in un luogo precisoelementi che caratterizzano, normalmente, le manifestazioni artistiche, sportive e ricreative.

I soggetti (ad esempio ICE, Centro Estero per l’Internazionalizzazione del Piemonte, consorzi export) che, a fronte di specifica richiesta delle imprese interessate, si impegnano a:• prendere in locazione lo spazio dall’ente fiera (nella dimensione desiderata dalle

imprese espositrici)• curare l’allestimento degli stand, l’allacciamento agli impianti elettrici e telefonici• mettere a disposizione del cliente lo stand • curare il servizio di interpretariato• svolgere altri servizi volti a favorire la diffusione della conoscenza dei prodotti

o servizi e dell’impresa espositrice stessa tra il pubblico dei visitatoripur non organizzando direttamente le manifestazioni, pongono sicuramente in essere una serie di attività funzionali ed accessorie a queste ultime. È quindi da ritenere (anche sulla scorta di quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 267/E del 6 agosto 2002 riguardo all’inquadramento delle prestazioni propedeutiche alle manifestazioni sportive), che relativamente all’attività di tali soggetti, trovi applicazione quanto affermato dalla norma relativa ai servizi culturali e affini.

A decorrere dal 1° gennaio 2011, le prestazioni relative alle attività, nei rapporti tra operatori economici, saranno disciplinate dalla regola generale del Paese del committente, mentre le prestazioni di accesso alle manifestazioni continueranno a essere disciplinate dalla regola del luogo della manifestazione.

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Riguardo alle prestazioni fieristiche, è opportuno segnalare la posizione dell’amministrazione finanziaria tedesca, che le considera relative a beni immobili. Nel caso in cui l’amministrazione finanziaria tedesca non modifichi la propria normativa, in Germania tutto rimarrebbe invariato anche dopo le modifiche di cui sopra, in vigore dal 1° gennaio 2011. La stessa conclusione vale, relativamente al Regno Unito, per le attività di organizzazione della partecipazione di imprese alle fiere e ad altri eventi, considerate quali servizi per l’accesso dall’amministrazione finanziaria di tale Paese.

Riguardo alle manifestazioni organizzate in questi due Paesi, a partire dal 1° gennaio 2011, si verrebbe, di conseguenza, a delineare una situazione di doppia imposizione, sicuramente contraria alle Direttive UE. È auspicabile, quindi, che le Autorità fiscali tedesche e inglesi modifichino la loro attuale impostazione, adeguandosi a quanto previsto dalla Direttiva 2006/112/CE.

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LA FATTURAZIONE E LE DICHIARAZIONI INTRASTAT

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4. La fatturazione e le dichiarazioni INTRASTAT

4.1 Fatturazione e registrazione delle operazioni

Ai fini di una corretta fatturazione, occorre tenere presente i principi illustrati nei precedenti capitoli e, quindi, distinguere tra due diverse tipologie di operazioni:• prestazioni disciplinate da norme in deroga. L’impresa italiana,

per i servizi svolti in Italia, applica l’IVA italiana (salvo disposizioni specifiche in tema di esenzione o di non imponibilità); per i servizi svolti all’estero può doversi identificare ai fini IVA nel Paese di esecuzione della prestazione

• prestazioni disciplinate dalla regola generale. L’impresa italiana, nel caso di servizi svolti a favore di committenti italiani, applica l’IVA (salvo disposizioni specifiche in tema di esenzione o di non imponibilità); nel caso di servizi svolti a favore di committenti esteri (soggetti passivi stabiliti nel Paese estero), pone in essere operazioni non soggette/fuori campo IVA; relativamente alle operazioni in questione (poste in essere nei confronti di committenti di altro Paese UE) deve essere presentato il modello INTRA servizi.

4.1.1 Servizi disciplinati dalla regola generale (servizi generici): esempio di servizi resi a soggetti esteriSulla base di quanto previsto dall’art. 21, c. 6 del Dpr 633/1972, è opportuno distinguere tra due tipologie di operazioni:1. Operazioni non soggette (art. 7-ter), fatture emesse nei confronti di soggetti

passivi stabiliti in altro Paese UE: • non concorrono a formare il volume d’affari (art. 20, c. 1 del Dpr 633/1972)• non concorrono a formare il plafond• devono essere inserite nel modello INTRA servizi• nella fattura occorre indicare il numero identificativo IVA del prestatore

e del committente• occorre assolvere l’imposta di bollo (se l’importo addebitato è superiore

a 77,47 euro).

2. Operazioni fuori campo IVA (art. 7-ter), fatture emesse nei confronti di soggetti passivi stabiliti in un Paese extra-UE: • non concorrono a formare il volume d’affari (art. 20, c. 1 del Dpr 633/1972) • non concorrono a formare il plafond• occorre assolvere l’imposta di bollo (se l’importo addebitato è superiore

a 77,47 euro).

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TOPOLINO SrlCorso Palestro, 510126 TORINO

N° identificativo IVA IT 12345678900

Torino, 20 gennaio 2010Fattura n. ...

Spettabile(nome impresa)(indirizzo)USt - DE123456789

A Vostro debito per servizi di consulenza tecnica svolti a Vostro favore, in data 20 gennaio 2010:10 ore x 200/euro/ora = 2.000,00 euro

Operazione non soggetta, art. 7-ter, c. 1, lett. a) del Dpr n. 633/1972

(bollo su originale)

Riferimenti prestatore

Riferimento legislativo Imposta di bollo

Riferimenti committente

Importofattura

4.1.2 Servizi disciplinati dalla regola generale (servizi generici): esempio di servizi acquistati presso soggetti esteriOccorre distinguere tra due diverse ipotesi:1. Servizi art. 7-ter acquistati presso un fornitore di un altro Paese UE:

• emissione di autofattura o numerazione e integrazione della fattura estera, con IVA o senza IVA, a seconda della tipologia di servizio acquistato

• annotazione dell’autofattura o della fattura estera integrata sul registro fatture emesse e sul registro acquisti

• presentazione modello INTRA servizi.

2. Servizi art. 7-ter acquistati presso un fornitore di un Paese extra-UE:• emissione di autofattura, con o senza IVA, a seconda della tipologia di servizio

acquistato• annotazione dell’autofattura sul registro fatture emesse e sul registro acquisti.

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ENERGY ENERGY144, Edmund Hillary Street

AberdeenVAT N. GB 123456789

Aberdeen, 20 gennaio 2010Fattura n. ...

Spettabile(nome impresa)(indirizzo)Numero identificativo IVA: IT 01234567890

A Vostro debito per prestazione di servizi di manutenzione di macchinario, eseguita in Italia, presso il vostro stabilimento, in data 11-13 gennaio 2010, 2.500 GBP

NUMERAZIONE E INTEGRAZIONE FATTURA AI SENSIDELL’ART. 17, C. 2 DEL DPR N. 633/1972:

Registro fatture emesse n. .......Registro acquisti n. .......

Corrispettivo 2.500 GBPControvalore in euro(1 euro= 0,87950 GBP) 2842,52 euroIVA 20% 568,50 euro

Totale fattura 3.411,02 euro

Riferimenti prestatore

Totale fattura (IVA compresa)

Riferimenti committente

Importofattura

Riferimento a Registro Fatture Registro Acquisti

4.2 Elenchi INTRASTAT

L’obbligo di presentazione degli elenchi delle cessioni e degli acquisti di merci è sorto a partire dal 1° gennaio 1993. A partire da tale data, con l’abolizione delle frontiere doganali tra i singoli Paesi UE e la creazione del mercato unico comunitario, è risultato necessario da parte degli Stati membri:• sorvegliare il rispetto delle regole concernenti l’imposta sul valore aggiunto• raccogliere i dati statistici del commercio tra i singoli Paesi membri.

Per rispondere alle suddette esigenze, è stato previsto l’obbligo da parte degli operatori dei singoli Paesi membri di informare le rispettive Autorità circa le operazioni intracomunitarie poste in essere.

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Come già affermato, l’art. 262 e seguenti della Direttiva 2006/112/CE e successive modifiche prevedono l’obbligo di presentazione dei listings relativamente ai servizi resi. L’art. 50, c. 6 del D.l. 331/1993 prevede l’obbligo per i contribuenti di presentare in via telematica all’Agenzia delle dogane gli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari, nonché delle prestazioni di servizi di cui all’art. 7-ter del Dpr 633/1972, rese nei confronti di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato UE e quelle da questi ultimi ricevute.

In alcuni Paesi UE, attualmente, con riferimento ai beni viene previsto l’obbligo della presentazione della dichiarazione solo per i beni ceduti (EC Sales Listing). Deve essere notato che gli operatori economici della gran parte dei Paesi UE, in relazione alle operazioni intracomunitarie, a differenza, ad esempio, di quelli

italiani e francesi, presentano due distinte segnalazioni:• una segnalazione a valenza fiscale. I Recapitulative Statements (ESL - EC Sales

Listings), per comunicare le cessioni intracomunitarie di beni e, in alcuni Paesi, gli acquisti intracomunitari di beni. La gran parte dei Paesi UE non presenta gli Statements of acquisition

• una segnalazione a valenza statistica. I modelli INTRASTAT, per comunicare le spedizioni e gli arrivi di merci, in ambito comunitario.

L’Italia, invece:• riguardo ai beni, ha scelto la soluzione di indicare nello stesso modello

sia i dati di carattere fiscale sia quelli di carattere statistico• riguardo ai servizi, ha scelto di prevedere l’obbligo di presentazione

del modello INTRA sia per i servizi resi che per quelli acquistati.

4.3 Rimborso dell’IVA subita all’estero

Nel caso in cui un operatore italiano, per ragioni di lavoro, si trovi a dover subire l’IVA di un altro Paese UE (ad esempio in occasione della partecipazione a fiere o ad altre manifestazioni commerciali o scientifiche, in occasione di viaggi d’affari), ha la possibilità di presentare una domanda di rimborso.

Sino al 31 dicembre 2009, la domanda di rimborso si presentava su supporto cartaceo all’amministrazione estera interessata.

Gli elenchi riepilogativi delle prestazioni di servizi non comprendono le operazioni per le quali non è dovuta l’imposta nello Stato membro in cui è stabilito il destinatario.

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A partire dal 1° gennaio 2010, a seguito dell’entrata in vigore della Direttiva 2008/9/CE, la domanda viene presentata in via informatica accedendo al sito dell’Agenzia delle Entrate italiana.

http://www.agenziaentrate.gov.it

[selezionare Modulistica].

La Direttiva è stata recepita dal Legislatore nazionale con l’introduzione dell’art. 38-bis1 del Dpr 633/72 (Rimborso dell’imposta assolta in altri Stati membri della Comunità).

Il rimborso avviene secondo la seguente procedura:• la nuova procedura riguarda le domande di rimborso presentate a partire dal

1° gennaio 2010• l’operatore, entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di riferimento,

accede al portale elettronico dell’Agenzia delle Entrate italiana e predispone le domande distinte per singolo Paese di rimborso (la Direttiva prevede l’uso di codici numerici, in modo da limitare l’uso della lingua straniera del Paese di rimborso)

• l’Agenzia delle Entrate controlla che, sotto il profilo soggettivo, il contribuente abbia titolo al rimborso e trasmette la domanda in via telematica all’amministrazione finanziaria del Paese UE interessato

• lo Stato di rimborso notifica senza indugio al richiedente, con mezzi elettronici, la data in cui gli è pervenuta la richiesta e, entro quattro mesi dalla ricezione della stessa, comunica la propria decisione di approvarla o respingerla. Il rimborso, che dovrebbe avere luogo entro 4 mesi dalla ricezione della richiesta, può in casi particolari avvenire entro 6 o 8 mesi dalla medesima

• qualora siano necessarie, lo Stato membro di rimborso chiede informazioni aggiuntive; notifica al richiedente la propria decisione di approvare o rifiutare la richiesta di rimborso entro 2 mesi dal giorno in cui le informazioni integrative gli sono pervenute.

In merito alla decisione di rimborso, valgono le regole di detrazione di imposta previste dallo Stato membro di rimborso.

Per i Paesi extra-UE che in via di reciprocità riconoscono il rimborso dell’IVA agli operatori italiani (Israele, Norvegia e Svizzera), si continua ad utilizzare la vecchia procedura cartacea (di cui alla Direttiva 86/560/CEE).

Per ulteriori informazioni consultare il seguente documento al link:

http://liguria.agenziaentrate.it/sites/liguria/files/public/guide/guida_iva_unione_europea_2010.pdf

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INVIO DI PERSONALE IN ALTRO PAESE UE

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5. Invio di personale in altro Paese UE

5.1 Aspetti generali

In caso di distacco di lavoratori in altro Paese UE, per l’esecuzione della prestazione di servizi, continua ad applicarsi la Direttiva 96/71/CE.

Tale Direttiva garantisce al lavoratore distaccato l’applicazione delle disposizioni dello Stato di destinazione (al fine di evitare una concorrenza dannosa con i lavoratori di tale Paese) per quanto concerne:• i periodi massimi di lavoro e i periodi minimi di riposo• la durata minima delle ferie annuali retribuite• le tariffe minime salariali, comprese quelle maggiorate per lavoro straordinario• le condizioni del distacco• la sicurezza, la salute e l’igiene sul lavoro• i provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione

di gestanti o puerpere, bambini e giovani• la parità di trattamento tra uomo e donna.

In Italia la Direttiva 96/71/CE è stata recepita con il D.lgs. 72/2000. Il Ministero del Lavoro, a commento di tale norma, ha emanato la Circolare 82/2000 (che però si riferisce ai rapporti con i Paesi extra-UE).

Di seguito si utilizzerà il termine “distacco”, nel suo significato ampio (quello di cui alla Direttiva 96/71/CE sopra citata) di invio di personale all’estero per lo svolgimento di una prestazione di servizi.

5.2 Sicurezza sociale

Il personale continua a fruire delle coperture previdenziali previste dalla normativa italiana, durante il periodo nel Paese UE in cui è stato temporaneamente inviato per l’esecuzione della prestazione. Al fine di evitare che il datore di lavoro italiano sia costretto ad aprire posizioni previdenziali nel Paese di esecuzione, è opportuno dotare il personale all’estero di un apposito certificato di distacco (modello A1), rilasciato dall’INPS.

È possibile compilare il modello A1 se il distacco dei lavoratori dura fino a 2 anni. Se il periodo dovesse essere superiore, l’impresa potrà ottenere un prolungamento a seguito di conforme accordo tra le Autorità competenti dei due Paesi interessati. Superato tale periodo, le coperture previdenziali andranno pagate nello Stato ospitante. Nel caso l’impresa debba inviare i propri dipendenti all’estero con estrema frequenza e per brevi periodi (durata prevedibile non superiore a 3 mesi), può richiedere all’INPS la consegna di più modelli A1 precompilati da utilizzare all’atto del distacco dei singoli lavoratori.

Sino al 30 aprile 2010, valevano i Regolamenti sulla sicurezza sociale:• Regolamento CEE 1408/71• Regolamento CEE 574/72.

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A partire dal 1° maggio 2010 sono entrati ufficialmente in vigore i nuovi Regolamenti europei di sicurezza sociale:• il Regolamento CE 883/2004 (cosiddetto Regolamento di base) relativo

al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, sostituisce il Regolamento CEE 1408/71

• il Regolamento CE 988/2009 modifica il cosiddetto Regolamento di base e determina il contenuto dei relativi allegati

• il Regolamento CE 987/2009 (cosiddetto Regolamento applicativo) stabilisce le modalità di applicazione del Regolamento CE 883/2004 (che sostituisce il Regolamento applicativo 574/72 attualmente in vigore).

Un’innovazione particolarmente importante apportata dai nuovi Regolamenti è direttamente legata all’utilizzo di Internet: gli organismi socio-previdenziali europei saranno tenuti a dialogare tra loro unicamente per via informatica; verrà quindi superato l’invio di documentazione e moduli in formato cartaceo.

Tale innovazione sarà resa possibile dall’istituzione di un network informatico denominato EESSI (Electronic exchange of social security information), che collegherà tra loro tutti gli enti previdenziali europei.

È previsto che la nuova rete EESSI (un’evoluzione del sistema TESS, già in uso con funzioni limitate da parte di alcune amministrazioni nazionali) divenga operativa in tutti i 27 Paesi dell’Unione europea entro due anni (maggio 2012).

La rete EESSI è operativa in sei Paesi (Austria, Finlandia, Bulgaria, Italia, Paesi Bassi e Germania) dal 1° maggio 2010 in via sperimentale e per un periodo transitorio di 24 mesi. In questa fase ogni singolo Stato potrà utilizzare le procedure automatizzate nazionali compilando e trasmettendo i formulari automatizzati o cartacei.Nei rapporti con i Paesi SEE (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e con la Svizzera si continuano a utilizzare i vecchi formulari E101 ed E102.

È possibile reperire ulteriori informazioni sul sito:

http://www.inps.it

[sezione Modulistica].

Ai fini di poter beneficiare nell’altro Paese UE della necessaria assistenza sanitaria il lavoratore deve essere munito del tesserino sanitario (in mancanza dello stesso occorre richiedere il modello A1 all’INPS).

5.3 Aspetti assicurativi

L’INAIL afferma che il lavoratore distaccato è colui che esercita un’attività subordinata presso un’impresa, con sede nel territorio di uno Stato, e che viene inviato, per un limitato periodo di tempo, in un altro Stato per svolgervi un lavoro.

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In merito all’assicurazione sugli infortuni sul lavoro, il lavoratore distaccato rimane soggetto alla legislazione dello Stato in cui ha sede l’impresa (lo stesso principio è stabilito anche per il personale viaggiante, settore trasporti, membri di ambasciate e consolati e loro familiari).

Occorre distinguere in base al Paese di destinazione del lavoratore:• nei Paesi UE il lavoratore rimane soggetto alla legislazione dello Stato membro

in cui ha sede la propria azienda per un periodo fino a 24 mesi• nei Paesi extra-UE convenzionati, il periodo di distacco massimo è regolamentato

da ogni singola Convenzione.

Possibilità di esonero dall’obbligo di denuncia dei cantieriNel caso di cantieri di breve durata, relativamente a determinati lavori, è possibile presentare domanda all’INAIL al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo di denuncia dei cantieri.

Esempio di domanda di esonero

Impresa .....................................P.I. IT ........................................... Spettabile INAIL Sede di ....................................... Via ................................................

Oggetto: richiesta di esonero dall’obbligo di denuncia dei singoli lavoratori edili, stradali, idraulici ed affini di breve durata

Il sottoscritto.............................., nato a .................. il .............., residente in ......................, via .......................... n° ........, codice fiscale n° ..........................., legale rappresentante dell’impresa ............................ con sede in ...................... via.................................., n°......., con codice fiscale n°........................... e partita IVA n° ..........................., titolare della posizione assicurativa territoriale n° ............................ esercente attività di ......................, classificata alla/e voce/i ..........., poiché i singoli lavori realizzati dall’impresa sono di breve durata e di modesta entità

CHIEDE

ai sensi dell’articolo 10 del decreto ministeriale 12 dicembre 2000, per l’impresa ............................ la dispensa dall’obbligo di denuncia dei singoli lavori classificabili alla/e voce/i di tariffa ed alla posizione sopra indicate, qualora gli stessi richiedano l’impiego di non più di cinque persone ed abbiano una durata non superiore a 15 giorni.

Nulla ricevendo entro 30 giorni dalla presente, la dispensa si riterrà senz’altro concessa.

(data)

Cordiali saluti,

(firma)

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5.4 Trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente prodotto nel Paese estero

Per il trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente prodotto all’estero, le regole generali sono:• per distacco di lavoratori inferiore a 183 giorni (durante l’anno solare

o 12 mesi successivi), se non si realizza lo stabilimento, il reddito da lavoro è tassato solo nello Stato di origine

• se si realizza lo stabilimento, il reddito da lavoro è tassato anche nello Stato ospitante.

In ogni caso, è necessario fare riferimento alle regole bilaterali derivate dalle convenzioni per evitare la doppia imposizione firmate dai rispettivi Paesi.

Riguardo alle imposte sui redditi relative al reddito prodotto dal lavoratore dipendente durante la sua permanenza nel Paese estero, le convenzioni contro la doppia imposizione stipulate dal nostro Paese contengono un articolo (normalmente si tratta dell’art. 15) che, in presenza di determinate condizioni, riserva il diritto di applicare l’imposta allo stato di residenza del lavoratore beneficiario.

Ad esempio, l’art. 15 della Convenzione Italia - Francia del 5 ottobre 1989, prevede che, fatte salve le disposizioni degli artt. 16, 18, 19, 20 e 21, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato riceve in corrispettivo per un’attività dipendente siano imponibili soltanto in detto Stato (nello Stato di residenza), a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato. Se l’attività è svolta nello stato di “non-residenza”, le remunerazioni percepite a tale titolo sono lì imponibili.

Il c. 2 dello stesso articolo prevede però che, nonostante le disposizioni del par. 1, le remunerazioni che un residente di uno Stato riceve in corrispettivo per un’attività dipendente svolta nell’altro Stato siano imponibili soltanto nel primo Stato se:• il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non

oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato• le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non

è residente dell’altro Stato• l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una

base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.

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EsempioSe un’impresa italiana, che non ha sedi secondarie o stabili organizzazioni in Francia, distacca per un periodo di 30 giorni un lavoratore in Francia, in base a quanto appena detto, il corrispettivo per le attività svolte sarà imponibile in Italia. Questo perché:• tra l’Italia e la Francia è in vigore una Convenzione bilaterale per evitare

la doppia imposizione• il lavoratore soggiorna meno di 183 giorni • il datore di lavoro (l’impresa) è italiano• l’impresa non ha stabile organizzazione/base fissa in Francia.

La prestazione di servizi transfrontalieri, in funzione delle modalità di presenza del prestatore nel Paese di esecuzione della prestazione, può comportare risvolti anche ai fini delle imposte sui redditi nei seguenti casi:• nel caso in cui le prestazioni vengano eseguite in regime di libera prestazione

di servizi, è possibile che nel Paese di esecuzione della prestazione sia previsto l’obbligo di assolvimento delle imposte sui redditi (mediante ritenuta alla fonte o mediante dichiarazione sui redditi da presentare da parte del soggetto prestatore), salvo diversa disposizione recata dalla Convenzione contro la doppia imposizione esistente tra il Paese del prestatore e il Paese del committente

• nel caso in cui le prestazioni vengano eseguite in regime di libertà di stabilimento, occorre tenere presente che, in linea generale, ai fini fiscali si realizza la stabile organizzazione del soggetto prestatore. Ne consegue l’obbligo da parte del prestatore di registrarsi ai fini fiscali nel Paese di stabilimento e di adempiere agli obblighi fiscali previsti in tale Paese (al pari di un’impresa o di un professionista residente nello stesso).

In presenza di lavori all’estero occorre pianificare attentamente la durata del cantiere; la possibilità che nel Paese estero venga a realizzarsi una stabile organizzazione in relazione, ad esempio, all’attività edile o di installazione/montaggio, dipende infatti dalla durata del cantiere.

A tale riguardo il commentario al modello OCSE contro la doppia imposizione fiscale afferma che: “Un cantiere esiste a partire dalla data da cui l’appaltatore inizia la sua attività e comprende i lavori preparatori effettuati nello Stato in cui la costruzione deve essere edificata, ad esempio, nel momento in cui viene installato un ufficio per la pianificazione della costruzione. Come regola generale, il cantiere continua ad esistere fino a che i lavori sono completati o del tutto abbandonati. Un cantiere non deve considerarsi come cessato quando il lavoro è interrotto temporaneamente. Le interruzioni stagionali o temporanee devono

In sede di analisi dei risvolti ai fini delle imposte sui redditi, è necessario tenere presente che il nostro Paese ha firmato convenzioni contro la doppia imposizione con tutti i Paesi UE.

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essere considerate ai fini della determinazione della durata del cantiere. Le interruzioni stagionali ricomprendono quelle causate dalle cattive condizioni atmosferiche. Le interruzioni temporanee potrebbero essere causate, ad esempio, dall’assenza di materiali o dalla scarsità di manodopera [….] Se l’impresa appaltatrice incaricata di eseguire l’insieme dei lavori di un cantiere subappalta una parte dei lavori ad altre imprese (subappaltatrici) il tempo trascorso da ciascun subappaltatore nel cantiere deve essere considerato come periodo trascorso dall’appaltatrice nel cantiere”.

Anche il subappaltatore ha una stabile organizzazione nel cantiere se vi esercita la sua attività per un periodo superiore a quello previsto dalla normativa del singolo Paese interessato, tenuto conto della Convenzione contro la doppia imposizione in vigore con l’Italia.

Le convenzioni contro la doppia imposizione stipulate dall’Italia con gli altri Paesi UE, riguardo al realizzarsi della stabile organizzazione, prevedono le seguenti soglie temporali:• 6 mesi: Cipro e Portogallo• 9 mesi: Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania • 12 mesi: Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Francia,

Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia

• 24 mesi: Ungheria.

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ASPETTI APPLICATIVI E CASISTICA OPERATIVA

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6. Aspetti applicativi e casistica operativa

6.1 Impresa italiana che presta servizi in altro Paese UE

L’impresa italiana che presta servizi in un altro Paese UE (ad esempio servizi di carattere edile, realizzazione di impianti in loco) deve verificare, ai fini fiscali, in funzione soprattutto della durata della permanenza, se la sua presenza nel Paese estero realizzi o meno gli estremi della stabile organizzazione.

L’istituto del reverse charge o inversione contabileNel caso in cui un operatore economico di un Paese UE (Paese X) esegue una prestazione di servizi in un altro Paese UE (Paese Y) a favore di un operatore economico stabilito in tale ultimo Paese, in virtù dell’istituto del reverse charge o inversione contabile, non è obbligato ad identificarsi ai fini IVA in tale Paese (Paese Y), potendo trasferire l’obbligo fiscale in capo al committente, il quale, conseguentemente, diventa debitore dell’imposta e deve assoggettare l’operazione all’IVA del proprio Paese.

Sotto profilo documentale, in tale evenienza:• il prestatore estero emette fattura senza applicazione dell’imposta• il committente emette autofattura con IVA nazionale e la annota sul

registro fatture emesse e sul registro acquisti.

A titolo esemplificativo, sono presentati di seguito due casi.

Caso 1Impresa italiana che presta servizi in un altro Paese UE senza realizzare gli estremi della stabile organizzazione.

Per quanto concerne gli eventuali obblighi IVA, si possono distinguere due ipotesi:1. nel caso di prestazione di servizi a favore del consumatore finale, l’impresa

italiana deve aprire una posizione IVA nel Paese estero al fine di addebitare l’IVA al committente

2. nel caso di prestazione di servizi a favore di soggetto passivo stabilito nel Paese di svolgimento della prestazione, l’impresa italiana non è, in linea generale, obbligata a identificarsi ai fini IVA in quanto torna applicabile la procedura del reverse charge. Occorre comunque verificare questa possibilità Paese per Paese. In questo caso, il reddito si considera interamente prodotto in Italia.

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Ove nel Paese estero, l’impresa committente, applichi una ritenuta alla fonte sui compensi corrisposti all’impresa italiana, questa deve operare come segue:1. chiedere al committente l’applicazione del regime previsto dalla Convenzione

contro la doppia imposizione esistente tra l’Italia e il Paese di residenza del committente stesso, allegando la certificazione di residenza fiscale in Italia (da richiedere all’Agenzia delle Entrate)

2. farsi rilasciare la documentazione probatoria dal committente estero, circa l’importo della ritenuta operata

3. se la ritenuta è stata operata in conformità alla Convenzione, farla valere in detrazione dell’IRES (o dall’IRPEF per impresa individuale/società di persone).

L’imposta subita all’estero, operata in conformità di quanto previsto dalle disposizioni della Convenzione, può essere considerata quale credito per imposte subite all’estero come previsto dalla Convenzione (in genere articolo 24 della Convenzione) e dall’art. 165 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). In caso contrario (ritenuta operata nonostante il diverso disposto della Convenzione o operata in misura eccedente rispetto alla previsione della Convenzione), la ritenuta (o l’eccedenza di ritenuta) non può essere scomputata dalle imposte italiane ma deve essere chiesta a rimborso all’amministrazione finanziaria del Paese estero.

L’articolo 24 della Convenzione Italia - Francia del 5 ottobre 1989 Secondo l’art. 24 (Disposizioni per eliminare le doppie imposizioni) la doppia imposizione è eliminata nella seguente maniera: “Se un residente dell’Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili in Francia, l’Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito specificate nell’articolo 2 della presente Convenzione, può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non vi si oppongano. In tal caso, l’Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate l’imposta sui redditi pagata in Francia, ma l’ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo. Tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta alla fonte a titolo di imposta su richiesta del beneficiario del reddito in base alla legislazione italiana”.

Caso 2Impresa italiana che presta servizi in un altro Paese UE mediante stabile organizzazione.

Si hanno conseguenze operative sia nel Paese estero dove viene realizzato un centro di profitto con conseguenti obblighi di: • apertura di una posizione fiscale sia ai fini IVA, sia per le imposte sui redditi• tenuta della contabilità (relativamente alle operazioni della stabile organizzazione)

ai sensi di quanto previsto dalla normativa locale

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sia in Italia dove la stabile organizzazione viene considerata un “pezzo” dell’impresa italiana all’estero e quindi:• occorre tenere una contabilità separata ai fini delle imposte sui redditi (art. 14

del Dpr 600/1973)• nel caso di scambi di beni/servizi tra la casa madre e la stabile organizzazione

all’estero, occorre procedere a degli addebiti/accrediti interni (aventi rilevanza al fine di scomporre il reddito riferibile alla gestione domestica rispetto a quello riferibile alla gestione estera)

• al termine dell’esercizio (o periodicamente) è necessario recepire nella contabilità italiana i saldi contabili della stabile organizzazione estera (art. 110, c. 2del Dpr 917/1986).

L’aspetto IVA più rilevante è costituito dall’inquadramento fiscale dei rapporti che intervengono tra:1. casa madre/stabile organizzazione estera2. stabile organizzazione estera/committente.

Nel caso di rapporti casa madre/stabile organizzazione estera, trattandosi dello stesso soggetto giuridico, non vengono a configurarsi veri e propri rapporti di tipo contrattuale. Occorre distinguere tra:

1. scambi di beni, l’operazione può essere inquadrata nell’ambito della cessione intracomunitaria (non imponibile ai sensi dell’art. 41, c. 2, lett. c, D.l. 331/1993)

2. prestazioni di servizi, irrilevanti ai fini IVA trattandosi dello stesso soggetto giuridico.

Nel caso di rapporti stabile organizzazione estera/committente, la società italiana presente nel territorio del Paese estero mediante una stabile organizzazione assume la qualificazione di “soggetto stabilito”; la stabile organizzazione deve adempiere a tutti gli obblighi IVA previsti per i contribuenti locali.

Ai fini delle imposte sui redditi, le operazioni che intervengono tra l’impresa italiana e la stabile organizzazione estera devono essere valorizzate in base ai valori normali di mercato. Il reddito prodotto dalla stabile organizzazione estera va considerato:• ai fini della fiscalità del Paese di localizzazione• ai fini della fiscalità italiana.

Sul piano pratico, al termine dell’esercizio occorre predisporre un unico bilancio, articolato in due parti: gestione Italia e gestione stabile organizzazione estera.

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Esempio

Gestione ItaliaGestione stabile

organizzazioneRettifiche Conto

Economico

RICAVI

vendite a terzi 300.000 100.000 400.000

trasferimento a S.O. 70.000 - 70.000 -

SPESE

acquisti da terzi 30.000 10.000 40.000trasferimento da casa madre - 70.000 - 70.000 -

MARGINE LORDO 340.000 20.000 - 360.000

Occorre, infatti, tenere presente che l’impresa italiana riguardo ai redditi prodotti dalla stabile organizzazione estera dovrà:• pagare le imposte sui redditi nel Paese estero• pagare le imposte sui redditi in Italia, ma con diritto a scomputare le imposte

pagate all’estero (nei limiti in cui l’imposta italiana grava sul reddito prodotto all’estero).

6.2 Impresa straniera (Paese UE) che presta servizi in Italia

Per quanto riguarda un’impresa di altro Paese UE che presta servizi in Italia, valgono le stesse considerazioni delineate per l’ipotesi precedente.

Caso 1Impresa estera che presta servizi in Italia senza realizzare gli estremi della stabile organizzazione.

Ai fini dell’IVA, occorre distinguere tra due ipotesi:1. nel caso di prestazione di servizi a favore del consumatore finale, l’impresa estera

deve aprire una posizione IVA in Italia (direttamente o a mezzo rappresentante fiscale) al fine di addebitare al committente l’IVA italiana

2. nel caso di prestazione di servizi a favore di un soggetto passivo stabilito in Italia, l’impresa estera non è obbligata a identificarsi ai fini IVA in Italia in quanto torna applicabile la procedura del reverse charge (obbligatorio).

Ai fini delle imposte sui redditi italiane (ritenute alla fonte di cui all’art. 25 del Dpr 600/1972), nel caso di prestazioni rese a favore di soggetti passivi d’imposta stabiliti in Italia (sostituti d’imposta), l’impresa estera che presta il servizio deve far pervenire al committente la richiesta di applicazione della Convenzione esistente tra l’Italia e il proprio Paese con in allegato un certificato di residenza fiscale del percettore, rilasciato dalla competente autorità fiscale.

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Caso 2Impresa estera che presta servizi in Italia mediante stabile organizzazione.

L’impresa estera deve adempiere a tutti gli obblighi di carattere fiscale previsti per le imprese italiane, ovvero:• dichiarare l’inizio attività ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi• istituire la contabilità fiscale obbligatoria• comunicare l’apertura dell’unità locale all’Agenzia delle Entrate• emettere ed annotare le fatture attive• annotare le fatture passive• liquidare le imposte• adempiere agli obblighi dei sostituti d’imposta• presentare le dichiarazioni fiscali.

In tale evenienza, viene meno l’esonero da imposte sui redditi di lavoro dipendente riguardo ai lavoratori esteri trasferiti (temporaneamente) in Italia. I singoli lavoratori devono dichiarare in Italia il reddito di lavoro dipendente e pagare le relative imposte.

6.3 Casistica operativa per servizi eseguiti da operatori italiani a favore di committenti esteri

6.3.1 Lavori ediliLa Direttiva 2006/112/CE, come modificata dalla Direttiva 2008/8/CE, afferma che il luogo delle prestazioni di servizi relativi a un bene immobile è il luogo in cui è situato il bene.

L’art. 7-quater del Dpr 633/1972 afferma infatti che si considerano effettuate nel territorio dello Stato: “le prestazioni di servizi relativi a beni immobili, comprese le perizie, le prestazioni di agenzia, la fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzioni analoghe, ivi inclusa quella di alloggi in campi di vacanza o in terreni attrezzati per il campeggio, la concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili e le prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dell’esecuzione dei lavori immobiliari, quando l’immobile è situato nel territorio dello Stato”.

Relativamente ai lavori edili, l’impresa italiana deve, come prima cosa, verificare se il cantiere estero, in relazione alla sua durata, realizzi o meno la fattispecie della stabile organizzazione.

Se realizza la stabile organizzazione, l’impresa italiana deve registrarsi ai fini fiscali nel Paese estero e applicare le stesse regole previste per le imprese locali.

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Se, invece, non realizza la stabile organizzazione, l’impresa italiana deve verificare se il committente della prestazione è un soggetto passivo d’imposta stabilito nel Paese estero:• in caso affermativo, l’impresa italiana, in linea generale, potrà emettere fattura

senza applicazione dell’IVA italiana relativamente ai lavori eseguiti (operazione fuori campo IVA, ai sensi dell’art. 7- quater, lett. a del Dpr 633/1972)

• in caso negativo, l’impresa italiana dovrà aprire una posizione IVA nel Paese di esecuzione del lavoro ed emettere le fatture con applicazione dell’IVA di tale Paese.

È comunque consigliabile verificare le previsioni della normativa locale mediante l’aiuto di un consulente fiscale. Ad esempio, in Germania, in caso di lavori edili, la normativa obbliga il cliente ad operare una ritenuta del 15% sulle somme corrisposte al prestatore estero, salvo che questi, a fronte di specifica domanda da presentare al competente Ufficio tributario tedesco (Bundesampt fur Finanzen), ottenga un certificato di esonero dalla ritenuta. Tale certificato, a fronte di lavori che non superano i 12 mesi, viene generalmente rilasciato senza particolari problemi.

Esempio 1L’impresa italiana ha ricevuto in assegnazione l’incarico di realizzare una costruzione in Francia a favore di un consumatore finale francese. Per la realizzazione di tale costruzione essa intende affidare alcuni lavori in subappalto ad altre imprese italiane.

L’impresa deve aprire una posizione IVA in Francia, al fine di applicare l’IVA francese al cliente finale.

Committente francese Prestatore italiano

IVA francese

Le imprese sub-appaltatrici, lavorando per un’impresa identificata ai fini IVA in Francia, alla luce delle modifiche legislative francesi, a partire dal 1° settembre 2006, possono addebitare le loro prestazioni all’impresa italiana principale senza necessità da parte delle stesse di aprire una posizione IVA in Francia.

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Committente italiano(prestazione realizzata

in Francia)

Prestatore italiano(prestazione realizzata

in Francia)

IVA francese(il committente italiano

svolge la procedura del reverse charge

in Francia)

Le fatture delle imprese sub-appaltatrici dovranno essere emesse a carico della posizione IVA dell’impresa committente italiana in Francia con i seguenti riferimenti:• ai fini italiani, la dicitura “Operazione fuori campo IVA, art. 7-quater,

lett. a del Dpr 633/1972”• ai fini francesi, la dicitura “Prestations de services réalisées par un

assujetti non établi en France – article 283-1 CGI – Code Général des Impôts – TVA due par le client”.

L’impresa committente italiana, ai fini dell’IVA francese, dovrà procedere all’autofatturazione in Francia (mediante la posizione IVA francese).

Considerando che l’operazione si sviluppa in due diversi Paesi, è opportuno che sulla fattura vengano indicati i riferimenti di entrambe le normative nazionali.

La normativa francese consente l’utilizzo della procedura del reverse charge anche nel caso in cui il committente non sia un soggetto passivo stabilito in Francia, ma sia soltanto identificato ai fini IVA in Francia. Altri Paesi UE (ad esempio Germania, Italia e Spagna) sono molto più restrittivi al riguardo, in quanto il reverse charge viene consentito solo nei confronti dei soggetti stabiliti nei rispettivi Paesi.

È possibile consultare la normativa francese sul seguente sito internet:

http://www.legifrance.gouv.fr

[si vedano gli artt. 283 e 259 A del Codice Generale delle Imposte francese]

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Esempio 2La nostra impresa italiana riceve l’incarico da una società portoghese di realizzare un capannone industriale in Portogallo.

Committente portoghese Prestatore italiano

IVA portoghese

Per la realizzazione dell’opera da parte dell’impresa italiana, si decide di utilizzare in parte dipendenti italiani da “distaccare” in Portogallo e in parte imprese locali. Si decide di acquistare i materiali necessari per la realizzazione dell’opera in parte in Portogallo, in parte in Italia e in parte in altri Paesi UE.

È necessario innanzitutto verificare se la durata del cantiere comporta o meno il realizzarsi di una stabile organizzazione. La Convenzione con il Portogallo (art. 5) prevede che: “l’espressione stabile organizzazione comprende in particolare: un cantiere di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i sei mesi”.

Caso 1Si supponga che, in relazione alla durata prevista per i lavori, non venga a realizzarsi la stabile organizzazione (non più di sei mesi). L’impresa italiana deve comunque aprire una posizione IVA in Portogallo al fine di:• ricevere i materiali inviati dai fornitori italiani e degli altri Paesi UE,

espletando la procedura acquisti intracomunitari• annotare le fatture (con IVA portoghese) dei fornitori locali di beni e di servizi• emettere le fatture (con IVA portoghese) di acconto e saldo, a carico

dell’impresa committente portoghese• liquidare periodicamente l’imposta• presentare le dichiarazioni periodiche e annuali IVA.

Relativamente al personale distaccato dall’Italia:• ai fini fiscali, occorrerà applicare le norme previste per le trasferte

(art. 51, c. 1-8 del Dpr 633/1972). In base all’articolo 15 della Convenzione il reddito di lavoro dipendente non è soggetto a imposta in Portogallo

• ai fini previdenziali, occorrerà munire detto personale della documentazione necessaria per evitare il pagamento dei contributi in Portogallo (Modello A1)

• ai fini INAIL, occorrerà eseguire una segnalazione all’Istituto• ai fini sanitari, occorrerà munire i dipendenti del tesserino sanitario.

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Caso 2Si supponga che, in relazione alla durata prevista per i lavori, venga a realizzarsi la stabile organizzazione (cantiere con durata superiore ai 6 mesi).

L’impresa italiana dovrebbe registrarsi ai fini fiscali in Portogallo e adempiere alle regole previste per le imprese portoghesi, ovvero:• emettere fattura a carico del committente con applicazione dell’IVA

portoghese• presentare la dichiarazione dei redditi e pagare le imposte sui redditi

in Portogallo relativamente al reddito prodotto mediante la stabile organizzazione.

Il reddito spettante al personale dipendente italiano per il periodo di permanenza dello stesso in Portogallo dovrebbe essere assoggettato alle imposte sui redditi portoghesi, con diritto a scomputo delle stesse dall’IRPEF italiana, ai sensi delle disposizioni della Convenzione Italia - Portogallo e della normativa interna italiana (art. 23 del Dpr 600/1973 e art. 165 del Dpr 917/1986).

6.3.2 Fornitura e installazione di impianti di riscaldamentoPrima di passare all’esame degli aspetti operativi, è opportuno chiarire le differenze tra la fornitura di beni (contratto di vendita) e la prestazione di servizi (contratto d’appalto o contratto di prestazione d’opera). Ai sensi dell’art. 1655 del Codice civile, l’appalto è il contratto con il quale una parte, dietro il pagamento di un corrispettivo, assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera (appalto d’opera: ad esempio la realizzazione di un impianto o di un edificio) o lo svolgimento di un servizio (appalto di servizio: ad esempio la manutenzione di un impianto o di un edificio).

In alcuni casi, la distinzione tra le due tipologie contrattuali può non essere semplice; è complicato, ad esempio, distinguere tra contratto d’appalto e vendita di cosa futura perché per entrambi i contratti si tratta di realizzare un bene nuovo:• si ha appalto, se il bene da realizzare rappresenta un qualcosa di nuovo (quid novi)

rispetto alla normale serie produttiva• si ha vendita di cosa futura, se il bene viene realizzato in conformità ad un tipo

o a un modello di abituale produzione per il soggetto realizzatore. Nel settore edilizio si tratta della situazione tipica delle iniziative immobiliari (acquisto del terreno, realizzazione della costruzione, vendita della stessa in modo unitario o frazionato).

L’appalto, sotto il profilo civilistico, si differenzia dalla vendita avendo ad oggetto un fare e non un dare. Tale criterio di distinzione vale anche ai fini fiscali.

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Nel settore dell’edilizia e dell’impiantistica è importante distinguere tra fornitura con posa in opera e appalto. La prassi fa rientrare i contratti misti tra quelli di vendita se la fornitura prevale sul lavoro; la prevalenza va riscontrata sull’effettiva volontà espressa dalle parti nel contratto. Quando la volontà dei contraenti non è agevolmente rilevabile, il Ministero delle Finanze ha affermato che si è in presenza di:• una cessione, quando la fornitura riguarda beni prodotti in serie dal fornitore

stesso o da lui commercializzati• un contratto d’appalto, quando l’appaltatore si impegna a consegnare prodotti con

caratteristiche completamente diverse rispetto a quelli dal medesimo fabbricati in serie o commercializzati.

A titolo esemplificativo, il Ministero considera contratti di vendita (e non di appalto) quelli concernenti la fornitura, anche se con posa in opera, di impianti di riscaldamento, condizionamento d’aria, lavanderia, cucina, infissi e pavimenti qualora il fornitore sia lo stesso fabbricante o chi fa abitualmente commercio di detti prodotti (Risoluzione n. 360009 del 5 luglio 1976).

Al riguardo si ricorda che il Ministero delle Finanze nella Circolare n. 26 del 3 agosto 1979 ha affermato che si considerano cessioni all’esportazione (ma l’affermazione vale oggi anche per le cessioni intracomunitarie) “le consegne all’estero di beni anche in dipendenza di contratti d’appalto, limitatamente al corrispettivo dei beni esportati”.

Quando sulla base dell’analisi compiuta si giunge a stabilire che si tratta di una cessione di beni, l’impresa italiana deve verificare se il cantiere estero, in relazione alla sua durata, realizzi o meno la fattispecie della stabile organizzazione.In caso affermativo, l’impresa italiana deve registrarsi ai fini fiscali nel Paese estero e applicare le stesse regole previste per le imprese locali; i componenti dell’impianto verranno trasferiti dalla posizione IVA italiana alla stabile organizzazione estera con emissione di fattura interna senza applicazione dell’IVA italiana (operazione non imponibile, art. 41, c. 2, lett. c del D.l. 331/1993).In caso negativo, l’impresa italiana deve verificare se il committente dell’operazioneè un soggetto passivo stabilito nel Paese di svolgimento dei lavori:• se non si tratta di un soggetto passivo stabilito in tale Paese, l’impresa italiana

deve aprire una posizione IVA nel Paese di esecuzione ed emettere le fatture con applicazione dell’IVA di tale Paese

• se invece si tratta di un soggetto passivo stabilito in tale Paese, l’impresa italiana, relativamente alla fornitura eseguita, in linea generale, potrà emettere fattura senza applicazione dell’IVA italiana (operazione non imponibile art. 41, c. 1, lett. c del D.l. 331/1993), con presentazione dei modelli INTRA 1 e INTRA 1 bis.

Riguardo a quest’ultimo punto, si tenga presente che non in tutti i Paesi UE l’operazione di cessione con installazione può essere eseguita senza disporre di una posizione IVA locale.

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Apertura di posizione IVA nel Paese UE di installazione/montaggio del macchinario

Paesi per cui non sussiste l’obbligatorietà di apertura di una posizione IVA:• Austria• Belgio• Bulgaria• Repubblica Ceca• Cipro (previa autorizzazione dalla locale autorità fiscale)• Danimarca• Estonia• Finlandia• Germania• Gran Bretagna (previa notifica al HMCE)• Irlanda

• Italia• Lettonia• Lituania • Malta• Olanda• Polonia• Portogallo• Romania• Slovenia• Slovacchia• Spagna• Svezia• Ungheria

Paesi per cui sussiste l’obbligatorietà di apertura di una posizione IVA:• Francia (solo ai fini del DEB - modello INTRA francese per forniture

di ammontare superiore a 150.000 euro/anno) • Grecia • Lussemburgo

6.3.3 Realizzazione di impianti elettriciNel caso di impresa italiana che si reca in un altro Paese UE al fine di realizzare un impianto elettrico, fornendo i relativi componenti (fili, tubi, interruttori), si è normalmente in presenza di un contratto d’appalto di servizi. Per prima cosa occorre verificare se, in funzione della durata dei lavori nel Paese estero, venga o meno realizzata la fattispecie della stabile organizzazione.

Caso 1Lavori di breve durata (inferiore alla soglia temporale prevista per la stabile organizzazione)

Ai fini dell’IVA italiana, considerando l’operazione come prestazione relativa a beni immobili, essa è da considerarsi fuori campo IVA (italiana) ai sensi dell’art. 7-quater, lett. a del Dpr 633/1972 (rileva, infatti, per tale tipologia di prestazioni, il luogo di ubicazione dell’immobile).

Ai fini dell’IVA dell’altro Paese UE, ove viene realizzata la prestazione, occorre distinguere tra due situazioni:1. se la prestazione viene realizzata a favore di soggetto passivo d’imposta, stabilito

in tale Paese, che acquista la prestazione per scopi professionali/imprenditoriali,

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in linea generale, l’impresa italiana non è obbligata ad aprire una posizione IVA in tale Paese (può emettere fattura senza applicazione dell’IVA italiana - operazione fuori campo IVA ai sensi dell’art. 7-quater, lett. a del Dpr 633/1972); il committente estero espleta la procedura del cosiddetto reverse charge.

Committente francese Prestatore italiano

IVA francese(immobile in Francia),anche senza apertura

di una posizione IVA in Francia(committente soggetto IVA)

appalta un servizio relativo ad un immobile

situato in Francia

2. se la prestazione viene invece resa a favore del consumatore finale, l’impresa italiana deve aprire una posizione IVA nel Paese estero ed applicare l’IVA di tale Paese.

Committente francese Prestatore italiano

IVA francese(immobile in Francia),

con obbligo di aperturadi una posizione IVA in Francia

(committente privato)

appalta un servizio relativo ad un immobile

situato in Francia

In caso la normativa del Paese estero prevedesse l’obbligo di pagare le imposte sui redditi (per i redditi prodotti in loco anche in assenza di stabile organizzazione), l’impresa italiana può, generalmente evitare tale obbligo sulla base delle disposizioni contenute nella Convenzione contro la doppia imposizione stipulata tra l’Italia e il Paese di esecuzione dei lavori. Nell’ipotesi in cui l’imposta debba essere assolta mediante ritenuta operata dal committente, l’impresa italiana, al fine di evitare la stessa, deve inviare al committente estero:• la lettera di richiesta della Convenzione• il certificato di residenza fiscale in Italia rilasciato dal competente Ufficio delle

Entrate italiano.

Caso 2Nel caso in cui, a causa della durata dei lavori, l’impresa italiana dovesse realizzare nel Paese estero la fattispecie della stabile organizzazione, essa dovrebbe registrarsi ai fini fiscali nel Paese estero e adempiere agli stessi obblighi previsti per le imprese locali.

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6.3.4 Prestazioni di consulenza tecnica o legale rese da professionistiPer prestazioni di consulenza tecnica/assistenza tecnica e legale devono intendersi tutte quelle attività professionali che si estrinsecano in giudizi, precisazioni, chiarimenti o pareri. Si tratta, quindi, di prestazioni per le quali è preminente la valutazione soggettiva del consulente, anziché la rilevanza obiettiva di una determinata realtà, come avviene nelle perizie. I servizi in argomento, ai fini della territorialità, sono disciplinati dalle regole generali di cui all’art. 7-ter del Dpr 633/1972 (già ricordate nell’ambito del presente lavoro, si veda pagina 52):• regola del Paese del committente, se questo è un soggetto passivo stabilito

nell’altro Paese UE che ha acquistato il servizio per scopi professionali• regola del Paese del prestatore, se il committente è un consumatore finale

di un altro Paese UE.

In genere, le convenzioni contro la doppia imposizione prevedono un articolo che si occupa della tassazione sui redditi di carattere professionale.

EsempiL’art. 14 della Convenzione Italia - Spagna dell’8 settembre 1977 stabilisce che per le professioni indipendenti “i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività indipendenti di carattere analogo sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale residente non disponga abitualmente, nell’altro Stato contraente, di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa”. L’espressione libera professione comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.

Fanno eccezione le convenzioni con Estonia, Lettonia, Lituania, Malta e Portogallo che contengono una disposizione per cui “qualora una persona fisica residente di uno Stato contraente dimori nell’altro Stato contraente per un periodo o periodi superiori a 183 giorni complessivi nell’arco di dodici mesi che inizi o termini nel corso dell’anno fiscale considerato, si considera che disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa e il reddito che egli ritrae dalle summenzionate attività esercitate in detto altro Stato sono attribuibili a tale base fissa”.

L’art. 14 della Convenzione Italia – Lituania del 4 aprile 1996 stabilisce che per le professioni indipendenti “i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente

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di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa”. A tal fine, qualora una persona fisica residente di uno Stato contraente dimori nell’altro Stato contraente per un periodo o periodi superiori a 183 giorni complessivi nell’arco di 12 mesi, che inizi o termini nel corso dell’anno fiscale considerato, si considera che disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa e il reddito che ritrae dalle summenzionate attività esercitate in detto altro Stato sono attribuibili a tale base fissa.

Alla luce di quanto affermato:• per prestazioni di consulenza rese da professionista italiano nei confronti

di un committente soggetto passivo d’imposta stabilito in un altro Paese UE (che ha acquistato il servizio per scopi professionali), il professionista italiano emette fattura (per “prestazione non soggetta a IVA, art. 7-ter, c. 1, lett. a del Dpr 633/1972”), applica sulla stessa l’imposta di bollo da 1,81 euro (se l’importo della fattura è superiore a 77,47 euro) e presenta il modello INTRA servizi

• per prestazioni di consulenza rese da un professionista italiano nei confronti di un committente consumatore finale di un altro Paese UE, il professionista italiano emette fattura con applicazione dell’IVA italiana ai sensi dell’art. 7-ter, c. 1, lett. b del Dpr 633/1972 e non presenta il modello INTRA servizi. La stessa regola viene applicata nel caso in cui il committente estero abbia acquistato il servizio per scopi personali o dei propri dipendenti.

In virtù delle disposizioni di cui sopra, il professionista italiano che abbia eseguito la prestazione senza l’utilizzo di una base fissa nel Paese estero (effettiva o presunta), in base a quanto previsto dalle convenzioni contro la doppia imposizione stipulate dal nostro Paese, deve dichiarare l’eventuale reddito conseguito per la prestazione svolta all’estero, solo ai fini delle imposte italiane. Nel caso in cui il committente estero, in base alla sua normativa interna, dovesse applicare una ritenuta alla fonte sul reddito corrisposto al professionista italiano, questi può evitare di subire la ritenuta alla fonte, inviando al committente estero:• una lettera di richiesta della norma della Convenzione esistente tra l’Italia e il Paese

di residenza del committente• un certificato di residenza fiscale in Italia del lavoratore autonomo, rilasciato

dal competente Ufficio delle Entrate.

Se il professionista dispone nell’altro Paese UE di una base fissa (che equivale alla stabile organizzazione), con riguardo a tale struttura, dovrà registrarsi ai fini fiscali nel Paese estero; otterrà in attribuzione un numero identificativo IVA e, ai fini fiscali, per i servizi resi partendo da tale base fissa dovrà comportarsi come un qualunque professionista locale.

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Riguardo ai redditi prodotti:• deve pagare le imposte sui redditi nel Paese estero• ai fini italiani dovrà inserire tale reddito nell’ambito del reddito professionale

italiano, calcolare l’IRPEF (e l’IRAP); dall’IRPEF relativa al reddito estero ha titolo a scomputare le imposte pagate all’estero nei limiti e alle condizioni fissate dalla Convenzione contro la doppia imposizione e dall’art. 165 del Dpr 917/1986. A tal fine deve chiedere al committente estero l’invio della documentazione che provi l’importo delle imposte pagate nel Paese estero. Il valore della produzione derivante da attività svolte all’estero è escluso dall’IRAP (art. 12, c. 1, D.lgs. 446/1997)

6.3.5 Artisti e sportiviL’art. 53 della Direttiva 2006/112/CE afferma che “Il luogo delle prestazioni di servizi relativi ad attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative o affini, quali fiere ed esposizioni, ivi compresi i servizi prestati dall’organizzatore di tali attività, nonché i relativi servizi accessori, è il luogo in cui tali attività si svolgono materialmente”.

Relativamente alle prestazioni in argomento, il criterio di collegamento tra prestazione e territorio è rappresentato dal luogo della materiale esecuzione della prestazione.

Di conseguenza, se un artista italiano si reca in un Paese estero per svolgere la propria prestazione, occorre distinguere tra due situazioni:1. la prestazione è eseguita a favore di soggetto passivo d’imposta stabilito in tale

Paese. L’artista in questo caso può (normalmente) evitare di identificarsi ai fini IVA in tale Paese, in quanto torna applicabile la procedura del reverse charge

2. la prestazione è eseguita a favore di consumatore finale di tale Paese. L’artista in questo caso deve identificarsi ai fini IVA in tale Paese e deve applicare l’IVA locale.

Ai fini delle imposte sui redditi, le convenzioni contro la doppia imposizione stipulate dal nostro Paese, relativamente alle prestazioni in argomento prevedono normalmente quanto segue:

Articolo 17 - Artisti“1. Nonostante le disposizioni degli articoli 14 e 15, i redditi che un artista dello spettacolo (quale artista di teatro, del cinema, della radio o della televisione o un musicista, nonché uno sportivo) ritrae dalle sue prestazioni personali in tale qualità sono imponibili nello Stato contraente in cui dette attività sono esercitate.2. Quando il reddito proveniente dalle prestazioni personali di un artista in tale qualità è attribuito ad una persona diversa dall’artista medesimo, detto reddito può essere tassato nello Stato contraente dove dette prestazioni sono svolte, nonostante le disposizioni degli articoli 7, 14 e 15”.

Fanno eccezione a quanto detto, le convenzioni con Bulgaria, Danimarca, Francia, Germania, Lettonia, Polonia, Ex repubblica di Jugoslavia (applicabile anche alla Slovenia), Romania e Ungheria. Queste convenzioni prevedono clausole particolari diverse per le manifestazioni finanziate da fondi pubblici e per quelle realizzate in virtù di scambi culturali o sportivi.

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Il commentario al modello OCSE di Convenzione contro la doppia imposizione chiarisce che non rientrano nell’ambito di applicazione della disposizione in tema di redditi spettanti agli artisti e agli sportivi, i redditi corrisposti al personale amministrativo o di supporto, tra cui vengono espressamente richiamati i tecnici delle riprese, i produttori, i registi, i coreografi e il personale tecnico.

Secondo il Ministero delle Finanze italiano (Risoluzione 421035/1980) le prestazioni delle indossatrici rientrano nell’ambito delle prestazioni generiche.

Risvolti operativiL’artista italiano (lavoratore autonomo dotato di posizione IVA italiana) che svolge attività di spettacolo in Italia applica l’IVA italiana. Se svolge attività di spettacolo in un altro Paese UE, con committente di tale Paese, si deve distinguere tra due situazioni:1. prestazione svolta per un soggetto passivo stabilito nel Paese della

prestazione. L’artista italiano emette fattura senza applicazione dell’IVA (operazione fuori campo IVA, art. 7-quinquies del Dpr 633/1972) a carico del cliente estero

2. prestazione svolta per un consumatore finale. L’artista italiano deve identificarsi ai fini IVA nel Paese estero e applicare l’IVA di tale Paese.

Ai fini delle imposte sui redditi, l’artista italiano:• paga le imposte nel Paese estero, con riferimento ai redditi conseguiti

in tale Paese; normalmente è lo stesso committente estero che opera la ritenuta alla fonte secondo le aliquote previste nel Paese estero considerato

• in Italia deve dichiarare il reddito ovunque prodotto, calcolare l’IRPEF (e l’IRAP) e dall’IRPEF relativa al reddito estero avrà titolo a scomputarele imposte pagate all’estero nei limiti e alle condizioni fissate dalla Convenzione contro la doppia imposizione e dall’art. 165 del Dpr 917/1986. A tal fine deve chiedere al committente estero l’invio della documentazione che prova l’importo delle imposte pagate nel Paese estero.

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