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Lo Stato-Rete e la regolazione dei conflitti fra Amministrazioni nell’ambito della produzione degli strumenti urbanistici territoriali e generali 29 Ottobre 2016 Gianpaolo Messina

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Lo Stato-Rete e la

regolazione dei conflitti fra

Amministrazioni nell’ambito

della produzione degli

strumenti urbanistici

territoriali e generali

29 Ottobre 2016

Gianpaolo Messina

- Introduzione all’argomento

- Lo Stato-Rete»

- La regolazione del conflitto fra Enti e Amministrazione

nell’ambito del modello di relazioni ispirato al principio di

cooperazione

a) le leggi n.142 e n.241 del 1990

b) i principi di cooperazione e sussidiarietà

- La Riforma in senso ‘cooperativo’ del sistema di

pianificazione

Indice

- Processi decisionali efficaci: dagli Accordi agli Accordi

di pianificazione

- La cooperazione nelle leggi regionali di governo del

territorio:

a) Emilia Romagna

b) Toscana

c) Liguria

d) Umbria

e) Basilicata

f) Lazio

- Il territorio a geometria variabile: ritorno alle origini

Indice

Introduzione

La comunicazione precedente –nell’esaminare il Piano Regolatore Generale

di Roma quale caso «esemplare» di piano «perequativo»- ha riguardato

appunto il tema della perequazione urbanistica, trattata da un punto di vista

di tecnica della pianificazione.

All’origine dell’introduzione di meccanismi perequativi all’interno dei piani

urbanistici c’è la volontà di superare e gestire i conflitti che derivano,

inevitabilmente, dal trattamento diseguale dei proprietari di aree rispetto alle

scelte di pianificazione.

Il tema dell’insorgenza e della gestione del conflitto ha caratterizzato, a

lungo, la discussione teorico-disciplinare, in campo urbanistico, sia per ciò

che riguarda la fase dell’assunzione delle decisioni sia per ciò che riguarda la

fase dell’attuazione delle scelte di piano, a tutti i livelli della pianificazione.

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Introduzione

Jean Ruegg, ad esempio, ha definito l’Urbanistica come la particolare politica

pubblica che serve da intermediaria per risolvere i conflitti di utilizzazione del

suolo.

(*) Ruegg, J., «Negoziazione e Urbanistica», in IRES – Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte, Di questo

accordo lieto. Sulla risoluzione negoziale dei conflitti ambientali, Torino, Rosemberg & Sellier ed., 1994

Il conflitto è considerato un fatto insito all’esercizio dell’attività di

pianificazione: esso caratterizza l’interazione tra i soggetti coinvolti nel

singolo processo decisionale, poiché i diversi interessi in gioco, che sono

funzione dei diversi attori, entrano normalmente in contrasto tra loro.

Perché si possa giungere a una decisione occorre che il conflitto possa

essere composto, cioè che possa essere «trattato». Il problema, infatti, non è

tanto quello di «eliminare» il conflitto, bensì di gestirlo.

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Introduzione

L’insorgere del conflitto caratterizza non solo il rapporto tra la Pubblica

Amministrazione e i soggetti (i «privati») che «subiscono» gli effetti delle

decisioni pubbliche - assunte da soggetti pubblici (Enti e Amministrazioni) cui

compete la potestà delle scelte in tema di pianificazione- in materia di

pianificazione, ma si verifica anche ad un altro livello.

Esiste, infatti, un conflitto, tutto interno alla parte pubblica, che caratterizza

le relazioni tra le diverse articolazioni della Pubblica Amministrazione (P.A.),

cioè dello Stato. Ed è un conflitto che si genera proprio in relazione alla

struttura e alle caratteristiche che, mano a mano, è andata assumendo la

P.A./Stato e che, ad esempio, Luigi Bobbio ha definito come Stato-rete.

Lo Stato inteso non più come un soggetto monolitico ma, piuttosto, articolato in una complessa rete di strutture sia in senso

verticale sia in senso orizzontale, con riflessi significativi in riferimento all’assunzione delle decisioni in materia di

pianificazione.

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Introduzione

Gestire il conflitto, nell’ambito dell’attività della Pubblica Amministrazione -

laddove le azioni devono necessariamente in atti amministrativi, in decisioni

formali- equivale a disporre di idonei meccanismi procedurali.

Si tratta di un terreno di ricerca che è stato esplorato nell’ambito delle «teorie

dei processi decisionali» e ai paradigmi interpretativi che sono stati elaborati

in quell’ambito di ricerca (razionale-comprensivo cioè del decisore unico;

cognitivo; incrementale; ecc.) , alla luce dei quali si è inteso interpretare i

meccanismi decisionali anche in ambito urbanistico.

Nella realtà delle decisioni politiche e di governo del territorio si è oscillato

spesso e ancora oggi –mi pare- si oscilla tra una tendenza a «semplificare»

la complessità dei processi decisionali, privilegiandone la dimensione

«autoritaria», o al contrario esaltando la dimensione orizzontale nelle

relazioni tra «attori» delle decisioni.

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Introduzione

L’idea è che accettando la complessità della struttura reticolare dello Stato e,

contemporaneamente, riconoscendo l’effettiva evoluzione, nel tempo, del

sistema di pianificazione da un modello «autoritario», il sistema di

pianificazione «a cascata» definito dalla legge urbanistica del 1942, dapprima

verso un sistema di pianificazione definito «a gerarchia degli interessi» e,

infine, verso un sistema di pianificazione definito di tipo «cooperativo» si

dovesse e potesse innovare anche rispetto alla definizione di schemi

procedimentali idonei al conseguimento delle decisioni in materia urbanistica

nel rispetto delle condizioni al contorno.

Questi temi erano al centro del lavoro che ho svolto per la mia tesi di

dottorato che, allora, intitolai «Lo spazio dell’accordo», titolo che, ancora

oggi, mi appare significativo ed espressivo.

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Introduzione

Laddove l’ «accordo» è visto come una forma di processo decisionale

efficace secondo un modello che considera come fattori utili a determinarne il

successo:

Il ricorso a strategie inclusive per la selezione degli attori;

Il ricorso preferenziale a forme di coordinamento interattivo;

Il carattere informale dell’interazione (che non sostituisce le procedure

formali e legali ma si pone accanto ad esse);

L’individuazione di una figura terza cui affidare il coordinamento del

processo decisionale;

Il carattere preventivo della consultazione;

Il carattere volontario e non coercitivo della partecipazione

Il risultato del processo decisionale consiste, quindi, in un accordo che deve

poi essere tradotto nei singoli atti imputabili a ciascuno dei soggetti.

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Introduzione

«Alla complessità dei processi decisionali si può reagire, sostanzialmente, in

due modi: o immaginando una loro drastica semplificazione (ad esempio

escludendo dai processi soggetti che pure sono parti in causa, o sposando

l’idea secondo cui per ogni problema dovrebbe esistere una e una sola

istituzione in grado di gestirlo), oppure prendendo atto della complessità,

sforzandosi di immaginare soluzioni positive che non soffochino la voce dei

reali interessi in gioco.

Rispetto al 1942, quando venne approvata la legge urbanistica che

disciplinava l’uso e le trasformazioni del territorio, lo scenario politico

istituzionale e l’articolazione della Pubblica Amministrazione sono mutate

radicalmente e così le condizioni entro cui maturano le decisioni. Per lungo

tempo, invece, è rimasto immutato il percorso procedurale che quella legge

definiva, le relazioni fra soggetti che quella legge disegnava.

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Introduzione

L’evoluzione del sistema di pianificazione in direzione di un sistema ispirato al

principio di cooperazione rappresenta, in sostanza, una semplice presa di

coscienza di un dato di realtà. Si tratta cioè di adeguare i meccanismi di

approvazione degli strumenti e delle politiche urbanistiche, le procedure, alla

realtà del nuovo contesto amministrativo e istituzionale caratterizzato da una

notevole frammentazione.»

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Introduzione

Lo Stato-Rete

Secondo Luigi Bobbio (*) il modello che meglio di altri descrive oggi

l’organizzazione degli Stati è quello dello Stato-rete.

Una rete formata da apparati, enti, istituzioni, uffici, agenzie, che

intrattengono rapporti reciproci altamente variabili che può essere descritta

come una matrice costruita su due dimensioni: le aree di intervento (le

politiche) e i livelli territoriali di governo.

Lo Stato-rete si caratterizza, appunto, per una spiccata frammentazione dei

poteri pubblici e per il moltiplicarsi dei centri decisionali, che tendono ad

assumere pari dignità. Pertanto, in questo contesto, la costruzione delle

decisioni relative alle diverse politiche pubbliche diviene policentrica.

Anche nel caso della pianificazione territoriale e urbanistica qualsiasi scelta di

pianificazione, alle diverse scale, vede il concorso di più livelli di governo cioé

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Lo Stato-Rete

(*) Bobbio, L., La democrazia non abita a Gordio. Studio sui processi decisionali politico-amministrativi, Milano, Franco

Angeli ed., 1996, pp.108

di Enti e Amministrazioni che, esercitando ciascuna le proprie peculiari

competenze, devono necessariamente porsi in relazione tra loro.

Nell’ambito di questo scenario è allora molto frequente imbattersi in situazioni

di conflitto che, spesso, anche in conseguenza dell’insorgere di vere e

proprie patologie e perversioni, si risolvono nell’impossibilità di giungere

all’assunzione di decisioni.

Secondo altri autori (*) anzi, la possibilità che i diversi interessi pubblici si

trovino in contrasto tra loro, a causa della loro moltiplicazione, è un dato

fisiologico allo svolgimento dell’azione amministrativa.

Il tema riguarda, in generale, le relazioni tra soggetti della P.A., ma riveste un

particolare interesse nell’ambito delle decisioni che devono essere assunte

nell’ambito dei processi di formazione degli strumenti di governo del territorio

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Lo Stato-Rete

(*) Stella Richter, P., Ripensare la disciplina urbanistica, Torino, Giappichelli ed., 1997

La regolazione del

conflitto fra Enti e

Amministrazione

nell’ambito del modello di

relazioni ispirato al

principio di cooperazione

In effetti, nel tempo, si è sviluppata una specifica riflessione sul tema.

Pertanto, si è detto che (*) a fronte della riconosciuta complessità della

gestione dei processi di governo del territorio si potesse e si dovesse agire

- da un lato, sulla ridefinizione del sistema di relazione fra soggetti non più

organizzato secondo un modello piramidale (nella pianificazione il c.d.

modello «a cascata») che non sembrava non corrispondere più alla realtà di

fatto ma, invece, secondo un modello che riconoscesse l’effettiva

articolazione degli interessi per come essi si dispiegano

- da un altro lato mediante l’adozione di strumenti che potessero soddisfare

l’esigenza di far fronte alla articolazione dei poteri rispondendo ad una logica

di orizzontalità

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La regolazione del conflitto

(*) De Rita, G., «Proliferazioni e addensamenti del territorio: 1985-1995», in Clementi, A. (a cura di), Infrastrutture e piani

urbanistici, Roma, Fratelli Palombi ed., 1996

Tra la fine degli Anni ‘80 e nel corso degli Anni ‘90 del Novecento una serie di

riforme hanno effettivamente interessato il funzionamento e l’organizzazione

della Pubblica Amministrazione e, prendendo atto della frammentazione,

hanno introdotto nel nostro ordinamento una serie di meccanismi di

concertazione.

In quegli anni, alcuni strumenti procedurali destinati a favorire il

coordinamento e la cooperazione tra i soggetti della P.A. hanno incontrato un

certo favore all’interno del nostro ordinamento, da principio nell’ambito delle

politiche di programmazione economica.

Tali strumenti hanno in effetti trovato una loro precisa definizione all’interno

della Legge Finanziaria del 1997 (L. 23 dicembre 1996, n.662 – Misure di

razionalizzazione della finanza pubblica).

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Gli strumenti di regolazione

Tra la fine degli Anni ‘80 e nel corso degli Anni ‘90 del Novecento una serie di

riforme hanno effettivamente interessato il funzionamento e l’organizzazione

della Pubblica Amministrazione e, prendendo atto della frammentazione,

hanno introdotto nel nostro ordinamento una serie di meccanismi di

concertazione.

In quegli anni, alcuni strumenti procedurali destinati a favorire il

coordinamento e la cooperazione tra i soggetti della P.A. hanno incontrato un

certo favore all’interno del nostro ordinamento, da principio nell’ambito delle

politiche di programmazione economica.

Tali strumenti hanno in effetti trovato una loro precisa definizione all’interno

della Legge Finanziaria del 1997 (L. 23 dicembre 1996, n.662 – Misure di

razionalizzazione della finanza pubblica).

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Gli strumenti di regolazione

20

Gli strumenti di regolazione la legge 23 dicembre 1996, n.662, Finanziaria 1997

In particolare, al comma 203 dell’articolo 2 della legge, si è stabilito che gli

interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati e

implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle

amministrazioni statali, regionali e delle province autonome nonché degli enti

locali potessero essere regolati sulla base di molteplici forme di accordo:

La Programmazione negoziata;

L’ Intesa istituzionale di programma;

L’ Accordo di programma quadro;

Il Contratto di programma

Il Patto territoriale

Il Contratto d’area

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Gli strumenti di regolazione la legge 23 dicembre 1996, n.662, Finanziaria 1997

La Programmazione negoziata è la regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il pubblico soggetto competente e le parti,

pubbliche o private, per l’attuazione di un sistema integrato di interventi finalizzati allo sviluppo

economico e sociale

L’ Intesa istituzionale di programma è l’accordo fra soggetti istituzionali – Stato, Regione, Provincia autonoma- per la definizione di un piano

pluriennale di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati tra loro

L’ Accordo di programma quadro è l’accordo che lo Stato, o la Regione, o la Provincia autonoma promuovono con gli Enti Locali e gli altri

soggetti pubblici e privati, in attuazione di una Intesa istituzionale di programma per la definizione di un

programma esecutivo di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati. L’Accordo è

vincolante per tutti i soggetti che vi partecipano. Esso indica, in particolare, le attività e gli interventi da

realizzare, i soggetti responsabili dell’attuazione, gli eventuali Accordi di programma (definiti ai sensi

dell’art.27 della legge 142/1990), le eventuali conferenze di servizi o convenzioni necessarie per

l’attuazione dell’accordo, gli impegni di ciascun soggetto, i procedimenti di conciliazione o definizione

dei conflitti fra i soggetti che partecipano all’accordo, le risorse finanziarie occorrenti, le procedure e i

soggetti responsabili per il monitoraggio e la verifica dei risultati

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Gli strumenti di regolazione la legge 23 dicembre 1996, n.662, Finanziaria 1997

Il Contratto di programma Previsto già a partire dalla seconda metà degli Anni Ottanta, è un contratto stipulato tra

Amministrazione pubblica e grandi imprese o grandi gruppi industriali o consorzi di imprese, per la

realizzazione di specifici interventi oggetto di programmazione negoziata

Il Patto territoriale è l’accordo relativo all’attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di

promozione dello sviluppo locale, che viene promosso dagli enti locali, le parti sociali o da altri soggetti,

pubblici o privati, con i contenuti dell’Accordo di programma quadro. Lo strumento del Patto territoriale è

stato varato nel 1993 in occasione del passaggio dall’intervento straordinario nel Mezzogiorno ad un

intervento per via ordinaria che riguardasse, in generale, le «aree depresse» del Paese. E’ stato

pensato come strumento di programmazione per la promozione dello sviluppo locale a partir dal basso.

Il Patto, la cui approvazione è di competenza del Ministero del Bilancio e della Programmazione

Economica deve essere attuato attraverso un accordo tra le parti che individui gli adempimenti, gli atti

da adottare, le scadenze temporali, ecc.

23

Gli strumenti di regolazione la legge 23 dicembre 1996, n.662, Finanziaria 1997

Il Contratto d’area è lo strumento operativo concordato tra Amministrazioni pubbliche, rappresentanze di lavoratori e

imprenditori e altri soggetti interessati alla realizzazione di azioni finalizzate ad accelerare lo sviluppo e

l’occupazione in ambiti territoriali circoscritti. Tali ambiti sono individuati tra le «aree di crisi» o tra le aree

di sviluppo industriale e i nuclei di industrializzazione situate in territori oggetto di particolari misure di

sostegno definite in ambito nazionale o europeo. Il Contratto d’area è approvato dal Ministro del

Bilancio e della Programmazione Economica.

Obiettivo principale di queste forme di accordo era quello di assicurare il

concorso e la collaborazione dei diversi soggetti interessati all’attuazione di

politiche di sostegno economico alle imprese e di sviluppo dell’occupazione.

In alcuni casi (Patti territoriali) queste forme di accordo implicavano anche

trasformazioni di carattere fisico e spaziale (localizzazione di nuovi impianti o

realizzazione di nuove infrastrutture). D’altra parte, anche gli strumenti di

intervento fisico sulla città (ad es. i Programmi complessi) in quegli stessi

anni incorporavano obiettivi di carattere sociale, occupazionale ed economico

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Gli strumenti di regolazione la legge 23 dicembre 1996, n.662, Finanziaria 1997

In un certo senso è stato possibile osservare un fenomeno di convergenza

tra programmazione economico finanziaria e pianificazione urbanistica.

Gradualmente, l’impiego degli «accordi» è stato esteso, dapprima, alla

definizione di programmi e progetti di carattere attuativo e, quindi, alla

formazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica di livello

generale.

In misura sempre più ampia, all’interno delle normative statali e regionali

sono state incluse procedure che, mentre cercavano di rispondere a obiettivi

generali di snellimento procedurale, improntavano a principi nuovi le relazioni

inter-istituzionali.

Ciò sulla spinta di diversi fattori. Già nel 1988 la Corte Costituzionale

pubblica due sentenze, la n. 214 e la n. 302, che sollecitano ad una

revisione dei rapporti tra Stato centrale e autonomie locali.

25

Gli strumenti di regolazione Le leggi n. 142 e n. 241 del 1990

In particolare, con l’approvazione della Legge 8 giugno 1990, n.142 –

Ordinamento delle autonomie locali (oggetto di giudizi contrastanti sul

piano dell’effettivo sviluppo del modello autonomista)

si dava una nuova configurazione al quadro delle istituzioni territoriali sia

attribuendo alla Provincia le funzioni di Ente territoriale intermedio tra i

Comuni e la Regione e precise competenze in seno al sistema di

pianificazione territoriale e urbanistica, sia istituendo un nuovo Ente, l’Area

metropolitana, pensata quale risposta a livello di architettura istituzionale e

amministrativa alle trasformazioni dei sistemi insediativi;

si indicava e stabiliva un nuovo principio alla base dei rapporti tra Enti

territoriali: il principio di cooperazione;

26

Gli strumenti di regolazione Le leggi n. 142 e n. 241 del 1990

si stabiliva che gli Accordi di programma diventassero strumento

ordinario dell’azione amministrativa in tutti quei casi in cui per la

definizione e l’attuazione di determinati interventi fosse da prevedere il

coordinamento dell’azione di più enti, cioè non solo e non ancora in

modo esplicito nel caso della formazione degli strumenti urbanistici.

La Legge n. 142/1990 pertanto, non si limitava a stabilire il nuovo principio

ma ne individuava anche lo strumento di esercizio.

La legge 7 agosto 1990, n. 241 – Nuove norme in materia di

procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti

amministrativi è di poco successiva alla precedente e introduce un ulteriore

strumento di semplificazione dell’azione amministrativa, specificamente con-

27

Gli strumenti di regolazione Le leggi n. 142 e n. 241 del 1990

cepito per consentire di effettuare in modo contestuale l’esame dei vari

interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. Questo

strumento è la Conferenza di servizi.

La Conferenza di servizi rappresenta, da parte dell’Amministrazione che

promuove il procedimento, il momento istituzionale e formalizzato di

evidenziazione degli orientamenti dei diversi soggetti coinvolti e di

acquisizione del consenso sulla propria iniziativa.

E’ in relazione a questo scopo che tale strumento ha assunto un ruolo

preciso nell’ambito dei procedimenti di formazione degli strumenti urbanistici

improntati ad un metodo cooperativo.

Tuttavia è possibile riconoscere, anche riguardo a questo tipo di strumento,

alcune «oscillazioni» nella impostazione e negli obiettivi.

28

Gli strumenti di regolazione

Il principio di cooperazione

Il principio di cooperazione è introdotto nella nostra legislazione con la

legge n. 142/1990, senza che la legge ne dia una precisa definizione.

Esso è comunque alla base di molte delle discipline regionali approvate nel

corso degli anni ’90 in materia di Governo del Territorio.

Nell’ambito della pianificazione territoriale e urbanistica la cooperazione può

assumere la forma della copianificazione, termine che sta ad indicare,

appunto, l’attività congiunta di redazione degli strumenti urbanistici e di

determinazione degli indirizzi e delle scelte.

Il principio di cooperazione è stato successivamente riaffermato all’interno

della legge 15 marzo 1997 n.59 – Delega al Governo per il conferimento di

funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica

Amministrazione e per la semplificazione amministrativa

29

Gli strumenti di regolazione

Il principio di sussidiarietà

La medesima legge n. 59/1997 introduce nel nostro ordinamento anche il

principio di sussidiarietà già accolto, a livello europeo, nel trattato istitutivo

dell’Unione Europea sottoscritto a Maastricht (Olanda) il 7 febbraio 1992. Nei settori che non siano di sua esclusiva competenza la Comunità Europea interviene, secondo il

principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono

essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o

degli effetti dell’azione in questione essere realizzati meglio a livello comunitario. Tale principio,

pertanto, limita la possibilità di intervento della Comunità stabilendo che le decisioni devono essere

prese al livello più vicino possibile al cittadino, compatibilmente con l’efficacia della richiesta e tenendo

conto dell’importanza dei problemi posti e che, dunque, la preferenza dell’ordinamento comunitario

rispetto a quello nazionale o regionale, si giustifica solo se gli obiettivi dell’azione prevista non possono

essere sufficientemente realizzati dagli ordinamenti intermedi.

Il principio di sussidiarietà regola, in effetti, solo l’esercizio delle competenze

tra Unione Europea e gli Stati membri e non vi era obbligo alcun di introdurlo

nei rapporti tra autonomie interne, tuttavia la legge n. 59/1997, appunto ne

introduce l’applicazione nel nostro Paese.

30

Gli strumenti di regolazione

Il principio di sussidiarietà

La legge stabilì che il conferimento alle Regioni e agli Enti locali di tutte le

funzioni e dei compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla

promozione dello sviluppo delle rispettive comunità (ecc.) avvenisse nel

rispetto del principio di sussidiarietà con l’attribuzione della generalità dei

compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle

comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e

organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le

dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di

favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte

delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e

funzionalmente più vicina ai cittadini interessati.

In sé il principio di sussidiarietà riferendosi esclusivamente alla tutela

dell’autonomia e della sfera di competenza di ciascun ente non ha alcun

carattere cooperativo.

31

Gli strumenti di regolazione

I principi di sussidiarietà e di cooperazione

Tuttavia i due principi rappresentano, insieme, le due facce di uno stesso

problema.

Infatti, una delle questioni fondamentali legate all’ipotesi di una riforma

generale del sistema di pianificazione sulla base dello sviluppo della

cooperazione fra soggetti istituzionalmente competenti in materia di Governo

del Territorio è quella di riuscire a promuovere la partecipazione di tali

soggetti nel rispetto delle competenze, dell’autonomia e della dignità di

ciascuno.

La riforma in senso

‘cooperativo’ del

sistema di

pianificazione

33

Evoluzione del sistema di pianificazione

Tabella comparativa

34

Evoluzione del sistema di pianificazione

Tabella

Processi decisionali

efficaci. Dagli Accordi

agli Accordi di

pianificazione

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Gli accordi

L’accordo come processo decisionale efficace

L’«accordo» è visto come una forma di processo decisionale efficace

secondo un modello che considera come fattori utili a determinarne il

successo:

Il ricorso a strategie inclusive per la selezione degli attori;

Il ricorso preferenziale a forme di coordinamento interattivo;

Il carattere informale dell’interazione (che non sostituisce le procedure

formali e legali ma si pone accanto ad esse);

L’individuazione di una figura terza cui affidare il coordinamento del

processo decisionale;

Il carattere preventivo della consultazione;

Il carattere volontario e non coercitivo della partecipazione

Il risultato del processo decisionale consiste, quindi, in un accordo che deve

poi essere tradotto nei singoli atti imputabili a ciascuno dei soggetti.

La cooperazione nelle

leggi regionali di governo

del territorio

38

La cooperazione nelle leggi regionali di governo del territorio

Seppure con accenti e sfumature diverse alcune Regioni, assumendo in

modo più o meno esteso il «modello cooperativo», hanno inserito nella

propria disciplina tentativi di formalizzazione di procedure a carattere

cooperativo per l’approvazione degli strumenti urbanistici, sia di tipo ordinario

sia di tipo straordinario.

Si tratta di formalizzazioni che rappresentano altrettanti «stadi evolutivi» del

campo di applicazione di tale tipo di procedure che, dapprima limitate alla

«soluzione» di alcune situazioni specifiche, hanno trovato, infine,

applicazione quale modalità ordinaria di approvazione degli strumenti di

pianificazione.

Le procedure disciplinate si richiamano, tutte, ai due modelli dell’Accordo di

programma, definito dalla L. 142/1990, e della Conferenza di servizi, prevista

dalla L. 241/1990.

39

La cooperazione nelle leggi regionali di governo del territorio

Per quanto riguarda gli accordi, una innovazione significativa, rispetto al

modello, si è avuta con la Legge Toscana n. 5/1995, che ha individuato

nell’Accordo di pianificazione la modalità per variare o definire anche un

singolo atto di pianificazione per la cui approvazione fosse comunque

necessario l’assenso di più amministrazioni.

L’Accordo di pianificazione della legge toscana, seppure limitato ad alcune fattispecie, rappresenta

l’anello di congiunzione con quanto, infine, è stato previsto dalla Legge Basilicata n. 23 del 1999.

Per l’approvazione in via ordinaria degli strumenti urbanistici si è preferito

fare ricorso, nell’ambito delle procedure a carattere cooperativo, alle due

forme della Conferenza di partecipazione e della Conferenza di

pianificazione, ispirate, invece, al modello della Conferenza di servizi.

40

La cooperazione nelle leggi regionali di governo del territorio

legge Regione Emilia Romagna n.6 del 1995

legge Regione Toscana n.5 del 1995

legge Regione Liguria n.36 del 1997

legge Regione Umbria n.31 del 1997

legge Regione Basilicata n.23 del 1999 stabilisce per la prima volta che Accordi e Conferenze di pianificazione diventino l’ordinaria procedura

di formazione degli strumenti urbanistici.

legge Regione Lazio n.38 del 1999 Quale meccanismo «straordinario» con modifica successiva all’approvazione si introduce una norma

specifica per l’approvazione del PRG di Roma (Art. 66 bis - Disposizioni transitorie per la formazione

ed approvazione dello strumento urbanistico generale del Comune di Roma) mediante un accordo di

pianificazione: «il Comune di Roma, in deroga alla norma transitoria di cui all’articolo 66 e nelle more

dell’approvazione del PTPG, provvede alla formazione ed approvazione dello strumento urbanistico

generale mediante la conclusione di un accordo di pianificazione, secondo le forme e le modalità di

cui ai commi successivi (…)»

Il territorio a geometria

variabile: ritorno alle

origini

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Il Piano di area vasta della l. 1150 Introduzione

Il 17 Agosto 1942, dopo un dibattito durato tre lustri, viene approvata la LU

fondamentale n.1150, che disciplina l’attività urbanistica e ne fissa gli scopi.

Il testo originale della legge indica quattro strumenti per l’esercizio della

pianificazione territoriale e urbanistica: i PTC – Piani territoriali di

coordinamento; il PRGI – Piano regolatore generale intercomunale; il PRG –

Piano regolatore generale; il PPE – Piano particolareggiato di esecuzione, di

livello attuativo.

I diversi piani sono posti tra loro in un rapporto gerarchico di tipo verticale: si

assume, infatti, che la pianificazione proceda in successione temporale, dal

PTC al PRG e, quindi, al PPE. Si dice, appunto, che i piani sono posti in una

successione a ‘cascata’.

Il modello risulta ispirato a un principio di gerarchia delle fonti: il piano di ranfo

superiore detta prescrizioni cui lo strumento di rango inferiore ha l’obbligo di

conformarsi, escludendo in tal modo la possibilità che lo strumento di livello

43

Il Piano di area vasta della l. 1150 Introduzione

inferiore possa andare in variante allo strumento di livello superiore.

Dei quattro strumenti inquadrati nel sistema gerarchico a ‘cascata’ sono

imputabili al livello statale, cioè al Ministero dei Lavori Pubblici, il PTC e il

PRGI, mentre al Comune competono la redazione del PRG e la

responsabilità del PPE.

L’analisi dell’evoluzione del piano di area vasta quale si sviluppo nel dibattito

che precedette l’approvazione della legge offre spunti molto interessanti

anche in riferimento all’idea di come debba essere caratterizzata la

produzione di un piano di area vasta nell’ambito del sistema di pianificazione

di tipo cooperativo.

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Il Piano di area vasta della l. 1150 Il Piano regionale del 1932

Nel corso delle fasi di avvio del dibattito che portò all’elaborazione e, infine,

all’approvazione della legge fu presa in considerazione l’ipotesi di un singolo

strumento per la pianificazione di area vasta, denominato Piano regionale.

Il Piano regionale aveva carattere facoltativo, così come, in seguito, il PTC

e il PRGI. Nelle prime ipotesi la questione dell’ente cui affidarne la redazione

assume un carattere di indifferenza tanto che, per la sua redazione, vengono

individuate ben quattro diverse procedure. L’iniziativa del Piano avrebbe

potuto essere assunta, indifferentemente:

• dai Comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, che fossero

sedi di industrie, chiedendone preventivamente autorizzazione al Prefetto;

• da più Comuni interessati, in accordo tra loro, senza necessità di

preventiva autorizzazione;

• dal Prefetto, d’ufficio, sentito il parere del Comitato urbanistico regionale,

dandone incarico all’Ufficio del Genio Civile;

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Il Piano di area vasta della l. 1150 Il Piano regionale del 1932

• dal Ministro dei Lavori Pubblici, nel caso che i Piani abbracciassero più

Province.

Anche allora, in ogni caso, era chiaro che un simile strumento, che riuniva

diversi Enti attorno alla definizione di strategie e obiettivi comuni, avrebbe

potuto favorire l’insorgere di conflitti fra gli stessi soggetti partecipanti e si

ritenne opportuno proporre che la sua redazione avvenisse in contraddittorio

tra l’Ente incaricato della sua compilazione, i Comuni e i diversi proprietari

interessati.

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Il Piano di area vasta della l. 1150 Il Piano territoriale del 1933

Una impostazione simile a quella descritta caratterizza anche la prima

formulazione del Piano territoriale contenuta nel Progetto di legge urbanistica

del 1933. Si prevedeva, infatti, che il PTC dovesse essere redatto solo in

base alla sollecitazione di una consolidata domanda locale, da parte dei

Comuni o delle Province, e si prospettava l’ipotesi di un decentramento

dell’ente incaricato di redigere il progetto.

Questa ipotesi, ispirata –secondo Massaretti (*)- ad un modello

paradigmatico, concertativo e opzionale delle politiche urbane, viene poi

abbandonata nel testo finale per dichiarare con forza la gerachicità delle

decisioni, la grammaticale schematicità delle procedure.

(*) Massaretti, P.G., «La città e la regola. Per una archeologia della Legge generale urbanistica n.1150/1942», in Falco, L. (a

cura di), Le riforme possibili. Le proposte dell’INU per la legislazione urbanistica a partire dalla formazione della legge del

1942, n.6 della Collana «Urbanistca Quaderni», anno I, Roma, Istituto Nazionale di Urbanistica, 1995

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Il Piano di area vasta della l. 1150 Il Piano territoriale di coordinamento del 1942

Nel testo di legge infine approvato viene stabilito che il PTC debba essere

predisposto dal Ministero dei Lavori Pubblici d’intesa con le altre

Amministrazioni interessate, tra le quali non compaiono però i Comuni, che

pure sono i soggetti attuatori e i principali destinatari delle direttive del Piano.

L’esigenza cui il PTC deve dare risposta è il coordinamento delle attività

urbanistiche del territorio, nei casi in cui sia ravvisabile un comune interesse

a definire le linee di sviluppo degli insediamenti e delle vie di comunicazione.

Il PTC risulta essere, pertanto, esclusivamente uno strumento di indirizzo.

Esso non incide direttamente sulla sfera giuridica dei privati e, infatti, il

procedimento di approvazione -che non prevede alcuna fase di

partecipazione degli interessi privati attraverso la proposizione di

osservazioni o altri analoghi modelli di evidenziazione di quegli interessi- non

segue lo schema in due fasi (adozione-approvazione) tipico degli strumenti

urbanistici conformativi della proprietà.

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Il Piano di area vasta della l. 1150 Il Piano territoriale di coordinamento del 1942

Il PTC non è strumento obbligatorio, ha anzi carattere facoltativo, e non è

riferibile ad una dimensione territoriale predeterminata.

Esso, invece, viene a costruirsi in relazione ad un ambito territoriale

individuato, di volta in volta, in funzione dell’interesse che deve trovare

composizione.

Nella Legge del 1942 furono posti in rapporto gerarchico non solo gli

strumenti ma anche gli Enti e si stabilì che l’approvazione del PRG non

spettasse al Comune, cioè all’Ente responsabile della sua redazione, ma al

Ministero. In un sistema di pianificazione quale quello del 1942, basato su

due soli livelli istituzionali, la scelta di attribuire al Ministero il potere di

approvazione dello strumento comunale aveva in ogni caso lo scopo di

osservare una qualche forma di coordinamento e di assicurare un certo livello

di coerenza tra le prescrizioni contenute negli strumenti di comuni contermini.

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Il Piano di area vasta ‘cooperativo’ Il territorio a geometria variabile

Nell’ambito di un sistema di pianificazione di tipo cooperativo i diversi Enti

sono collocati su un piano di pari dignità.

La costruzione del processo decisionale richiede che ad esso partecipino non

solo gli Enti territoriali ma che tutte le Pubbliche Amministrazioni che hanno

competenza sul medesimo territorio intervengano nella definizione delle

scelte di assetto, dal momento che ciascuna di esse è portatrice di specifici

interessi che devono trovare una composizione all’interno del processo di

elaborazione del piano, piuttosto che a valle di esso.

Ciò può avvenire in diversi modi. Si può discutere sulla base di una bozza di

piano o, piuttosto, sulla base di un documento di indirizzi, ma certamente

riguarda tutte le scale (anche quella comunale) e tutti gli ambiti settoriali della

pianificazione, nel rispetto dell’esigenza di coerenza, nel tempo e nello

spazio, delle diverse scelte di pianificazione.

Soprattutto, è bene che il confronto tra le diverse opzioni avvenga in una fase

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Il Piano di area vasta ‘cooperativo’ Il territorio a geometria variabile

iniziale del processo di elaborazione degli strumenti e, in particolare, nel

momento delle definizione degli obiettivi strategici.

L’esame degli interessi avverrebbe contestualmente e in modo congiunto da

parte dei diversi soggetti.

Nel modello cooperativo la formazione degli strumenti assume le

caratteristiche di un tavolo, attorno al quale ciascun Ente rappresenta gli

interessi pubblici di cui è titolare.

Il ricorso a schemi procedurali ispirati al modello del ‘tavolo’ rende possibile,

in teoria, affrontare efficacemente il problema della ‘giusta dimensione’ della

pianificazione territoriale e di settore.

L’ambito interessato dagli strumenti di area vasta è stato fatto coincidere con

quello di specifici ambiti amministrativi (la Regione, la Provincia, l’Area

Metropolitana, ora la Città Metropolitana, un insieme di Comuni) e,

similmente, nel caso della pianificazione di settore , c’è stata la tendenza a

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Il Piano di area vasta ‘cooperativo’ Il territorio a geometria variabile

definire, per ciascuna delle esigenze di volta in volta emergenti, uno

strumento riferibile ad un preciso ambito territoriale e imputabile ad un Ente,

spesso non elettivo, appositamente creato (Autorità di bacino; Ente Parco).

Tuttavia si potrebbe immaginare un’altra via secondo l’idea della definizione

di un territorio a ‘geometria variabile’ (Roberto Gambino), disponibile ad

adottare la propria estensione sulla base delle necessità specifiche della

politica da attuare.

(Pier Carlo Palermo) «Il tentativo di trovare una corrispondenza ideale tra un campo problematico e una

forma istituzionale specifica è generalmente destinato all’insuccesso. La scala vasta deve essere

probabilmente intesa come un campo di relazioni, nel quale interagiscono in modi rilevanti diverse

famiglie di problemi o processi e diversi attori istituzionali. La pianificazione a scala vasta dovrebbe

tendere essenzialmente alla costruzione di una rete compatibile di interessi, strategie e progetti, tra tutti

gli attori e le istituzioni pertinenti. [Una] dimensione interattiva-cooperativa (…) poco sperimentata»

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Il Piano di area vasta ‘cooperativo’ Il territorio a geometria variabile

Il metodo cooperativo consentirebbe di pensare a diverse ipotesi, in relazione

alla forma che possono assumere gli strumenti, e cioè

• alla definizione di un unico strumento che raccolga in sé le diverse

prescrizioni formulate da ciascun ente e discusse nel tavolo per verificarne

i livelli di compatibilità e la non contraddittorietà con altre prescrizioni

• all’accoglimento all’interno di ciascuno degli strumenti di competenza degli

enti territoriali elettivi di specifici obiettivi (di tutela, di sviluppo delle

infrastrutture, ecc.) definiti da atti di indirizzo e da particolari politiche di

scopo

Nel modello cooperativo potrebbe essere realizzato (Susanna Menichini) «il

passaggio da una pianificazione per livelli amministrativi a una pianificazione

per ambiti circoscrivibili in rapporto a problemi e a relazioni di natura

orizzontale tra i fenomeni».

Grazie per l’attenzione

Gianpaolo Messina

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