Presentazione di Marino Regini - Roma, 14/04/2011

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Il modello di Università: diverse funzioni, diversi modelli? Marino Regini Università degli Studi di Milano Giornata di studio del PD su “L’Università per la nuova Italia”, Roma, 14 aprile 2011

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La presentazione di Marino Regini al convegno "L'Università per la nuova Italia" organizzato a Roma dal Partito Democratico il 14/04/2011.

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Il modello di Università:diverse funzioni, diversi modelli?

Marino ReginiUniversità degli Studi di Milano

Giornata di studio del PD su “L’Università per la nuova Italia”, Roma, 14 aprile 2011

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Modelli di università:convergenza e mutamento

I modelli di Università sono diversi perché sono nati in diversi contesti istituzionali; e variano nel tempo per adattarsi alle differenti domande che la società rivolge al suo sistema di istruzione superiore (SIS).

Ma negli ultimi 30 anni, i SIS dell’Europa continentale si sono trovati esposti a grandi sfide largamente comuni, a cui governi di qualunque colore hanno fornito risposte analoghe doppio processo di convergenza e di profondo mutamento.

I governi italiani hanno seguito in ritardo, con notevoli contraddizioni e soprattutto in modo non organico questi processi di mutamento.

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La trasformazione delle università europee

A. Dalla università di élite alla università di massa domanda generalizzata di ‘accesso’ al SIS (paesi OCSE: da < 15% a 56% coorte di età)

B. Dalla torre d’avorio alla ‘economia della conoscenza’ domanda di utilizzo economico-sociale dei ‘prodotti’ del SIS (capitale umano e ricerca)

C. Dalle peculiarità nazionali al ‘Bologna process’ domanda di ‘armonizzazione’ dei SIS europei e processi di imitazione e competizione fra università

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La sfida al vecchio modello di università

Problema comune: come conciliare questi profondi mutamenti con alcuni valori fondanti del vecchio modello?

come riaffermare la centralità della ricerca scientifica e della formazione di capitale umano a elevata qualificazione e l’assenza di condizionamenti esterni sulla comunità accademica nel libero svolgimento di queste funzioni,

ma al tempo stesso prendere atto che per rispondere alla domanda sociale le università devono diventare luogo non solo di elaborazione, ma anche di circolazione della conoscenza, strumenti di crescita economica e non solo culturale e civile?

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Le risposte dei governi europei: entri il mercato?

I governi europei hanno reagito a queste sfide cercando di imitare il modello inglese e la riorganizzazione thatcheriana del settore pubblico apertura dell’università alla domanda sociale mediante l’introduzione di alcuni elementi di competizione e di mercato nel SIS

le logiche di mercato che hanno fatto la loro apparizione nei SIS europei non sono il risultato della domanda di attori esterni (imprese, attori economici), come di solito si ritiene

elementi di mercato sono stati invece introdotti dallo stato e talvolta dagli stessi atenei, cioè dagli attori interni dei SIS

l’intensificarsi dei rapporti fra università e sistema economico è stato l’esito di incentivi o pressioni dei governi

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Due ragioni dei governi per introdurre elementi di

mercato Ragione economica: l’enorme aumento dei costi

necessari a finanziare un SIS di massa. I governi cercano di esternalizzare alcuni di questi costi, spingendo a collaborare con le imprese. Al tempo stesso usano i fondi pubblici per orientare l’agenda di ricerca verso aree considerate di maggior interesse socio-economico

Ragione culturale: diffusione dei principi del ‘New Public Management’ (managerialismo, misurazione della performance, trasparenza, autonomia seguita da valutazione). La governance dei SIS dell’Europa continentale, tradizionalmente basata su una dettagliata regolazione burocratica del loro funzionamento, si trasforma in modello di “guida a distanza” dello stato, in cui si dettano poche regole generali e si incoraggiano gli attori ad affidarsi ai meccanismi del mercato

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Quale altro modelloper rispondere alle sfide?

L’introduzione di elementi di mercato e di gestione manageriale delle università (sui quali si concentrano tanti tabù ideologici) appare inevitabile. Ma esiste un’alternativa almeno parziale alla strada seguita dai governi europei? Io credo di sì, se si riesce a superare un altro tabù ideologico:

a) un modello di Università che ne riconosca e ne valorizzi la pluralità di “missioni”

b) un modello di Università che di conseguenza accetti e persegua la differenziazione interna al sistema

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a) La pluralità di“missioni”

dell’UniversitàPluralità di funzioni che la Commissione Europea

assegna alla European Higher Education Area (EHEA):

1. produzione di conoscenza mediante la ricerca scientifica

2. formazione di capitale umano a livello variabile di specializzazione (di base, specialistica, dottorale)

3. contributo agli scambi internazionali di capitale umano e di saperi

4. riqualificazione del capitale umano esistente (formazione permanente)

5. scambio di conoscenze e trasferimento dei risultati della ricerca al sistema economico

6. contributo allo sviluppo territoriale

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a) La pluralità di“missioni”

dell’Università (cont.)Nei SIS formalmente “unitari” come quello

italiano prevale una concezione “monistica” o indifferenziata dell’Università: tutti gli atenei (e tutte le parti di un ateneo) si organizzano per svolgere le prime tre funzioni, mentre trascurano le altre tre.

Ma, anche se in Italia non esiste un canale terziario professionalizzante distinto dal canale accademico (come in D, F, NL), il mix fra le 6 funzioni indicate dalla CE non può essere lo stesso in tutti gli atenei e in tutte le aree disciplinari e articolazioni (dai trienni ai dottorati) di un ateneo.

E’ necessaria una differenziazione interna

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b) La differenziazioneinterna al SIS

In tutta Europa, i SIS tendono a differenziarsi al loro interno.

D: Obiettivo di differenziazione interna esplicitamente perseguito dal governo mediante l’ExzellenzInitiative, che ha mobilitato ingenti risorse per creare alcune “top universities” capaci di competere con quelle americane

F: Il governo ha cercato di decomporre la tradizionale struttura del SIS (università- grandes écoles – IUT - CNRS) e di ricomporla mediante differenti aggregazioni territoriali (PRES)

UK: Legando il finanziamento alla valutazione nazionale delle università, il RAE rafforza la loro tradizionale differenziazione

In generale, la diffusione dei rankings internazionali erode l’idea stessa di un “sistema” nazionale di istruzione superiore basato su una formale omogeneità interna e spinge le università a definire missions differenziate anche al loro interno

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b) La differenziazioneinterna al SIS (cont.)

In Italia l’obiettivo di un SIS internamente differenziato anche dal punto di vista formale è un tema politicamente sensibile perché riprodurrebbe largamente le fratture fra le aree del paese.

Ma la differenziazione potrebbe essere perseguita all’interno di ciascun ateneo, con un sistema di governance capace di compiere scelte non spartitorie ma selettive, un’allocazione delle risorse basata davvero sulla valutazione del merito, e la regia a distanza di un governo realmente interessato a valorizzare i punti di forza del sistema e non solo a punire e ridimensionare.

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Conclusioni:un modello plurale e

differenziato?A mio parere un nuovo modello di Università non può

che essere plurale e internamente differenziato. Un modello in cui ciascuna Università, e ciascuna struttura o articolazione al suo interno, deve individuare le funzioni nelle quali ritiene di potere eccellere in un quadro comparativo, e di conseguenza definire gli obiettivi sui quali ottenere risorse.

Chi governa deve valutare la congruenza fra obiettivi e risorse e stabilire per ciascuna Università, struttura e articolazione interna, un mix adeguato fra le diverse funzioni che un SIS deve svolgere.

La selezione (e il finanziamento!!) dei progetti che ne consegue non deve implicare una gerarchia di importanza delle diverse strutture ma una esigenza di allocazione ottimale delle risorse fra le diverse funzioni dell’università.

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Conclusioni (2):un modello plurale e

differenziato?Solo in questo modo è possibile modernizzare l’Università

italiana e renderla competitiva a livello internazionale. Chiedere finanziamenti adeguati in % al PIL è sacrosanto ma non basta. Se tutte le Università vogliono fare le stesse cose e in tutte le aree (dalle Scuole di dottorato alla formazione permanente, dalla ricerca di punta alla consulenza per il territorio), la performance media sarà scadente e presto o tardi saranno le esigenze del mercato a dettare l’agenda.

Per rimanere pubblico e diventare vincente, il nostro modello di Università deve favorire l’eccellenza scientifica e della formazione alla ricerca delle strutture realmente competitive, ma al tempo stesso indurre quelle che non lo sono a dedicarsi alle altre funzioni, premiandone la qualità.

Chi di noi chiede con forza che si investa sull’Università per il futuro del Paese deve dimostrare la capacità e il coraggio di scegliere.

GRAZIE