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Presentazione

Il presente lavoro è il risultato del progetto “EDUCHIAMO ALLA LEGALITÀ”, realizzato

durante l'anno scolastico 2017-2018, nell’ambito delle attività inerenti all’Alternanza scuola

lavoro, in collaborazione fra Associazione Antiracket e Antiusura Trapani e l’Istituto Tecnico-

Economico Europa 2000.

Il progetto si è incentrato sui temi dell'educazione alla legalità, del vivere civile al fine di

incrementare, tra le nuove generazioni, la coscienza dei valori democratici della partecipazione in

una prospettiva di sviluppo sociale.

Attraverso la realizzazione di specifici momenti formativi è stato raggiunto l’obiettivo educativo,

trasmettendo agli studenti una conoscenza del contesto sociale, culturale ed economico del

territorio in cui vivono, per stimolarli a percepire la centralità della persona e la necessità della sua

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valorizzazione affinché ciascuno, nell’elaborazione e realizzazione del proprio progetto di vita,

effettui scelte consapevoli, congruenti alla propria identità e fondate sui valori di legalità.

Il contesto di partenza dalle classi III, IV, V, è apparso, sin dall’inizio piuttosto disomogeneo per

conoscenze e competenze di base, nonché per motivazione e interesse all’apprendimento.

Nonostante tutto, le attività progettuali programmate sono state portate a termine correttamente.

Gli studenti, oltre ad avere acquisito conoscenze sul mondo circostante, hanno maturato adeguate

competenze sociali e civiche ed una più ampia consapevolezza culturale.

Gli alunni sono stati coinvolti in un’attività di identificazione di dati qualitativi e quantitativi

relativi a comportamenti legali e illegali, nell’elaborazione di ipotesi operative finalizzate al

potenziamento dei primi e al contrasto dei secondi.

Le attività, pienamente condivise sia da parte della scuola che dalla Associazione Antiracket

Antiusura Trapani, hanno avuto, attraverso il coinvolgimento dei consigli di classe, un impatto

positivo sul profitto degli alunni nelle varie discipline.

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L'attività formativa è stata suddivisa in moduli: primo modulo “La necessità delle regole”, il cui

obiettivo era fornire conoscenze sui principi fondamentali dalla Costituzione Italiana per una civile

convivenza (principio di uguaglianza, diritti fondamentali, principio della separazione dei poteri),

sulle norme sociali e le norme giuridiche, sul diritto alla difesa nel processo penale.

Un secondo modulo, “Abbasso i prepotenti! No al bullismo”, il cui obiettivo era quello di

sensibilizzare gli studenti sulla necessità di imparare a confrontarsi con gli altri rispettando le

esigenze dell’altro, anche se diverso, facendosi rispettare.

Un terzo modulo, “Impresa e Legalità”, il cui obiettivo è stato quello di far conoscere il contesto

ambientale, occupazionale, sociale ed economico del territorio in cui lo studente vive e con cui

deve relazionarsi affinché possa effettuare delle scelte consapevoli ed appropriate per una corretta

integrazione nel contesto socio-economico.

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In quest’ambito gli studenti, guidati dal giornalista Gianfranco Criscenti, dai docenti di economia

aziendale e di diritto, hanno dato vita ad un vero e proprio laboratorio giornalistico, realizzando

attività di ricerca ed interviste sui temi affrontati.

Il quarto modulo, dal titolo “Il disonore della mafia - ricordare per non dimenticare”, ha

riscontrato maggiore interesse da parte degli alunni. Obiettivo è stato quello di tenere viva la

memoria di quanti si sono spesi, fino a sacrificare la loro stessa vita, al fine di contribuire a

diffondere nei giovani una nuova cultura di legalità. Si è voluto trasmettere il messaggio che per

vivere in una società libera dalla illegalità, dalla mafia, da qualsiasi condizionamento si deve

conosce il Passato; in esso vi è la Storia, rappresentata anche da quanti si sono battuti e sono morti

perché in questa Terra non si perpetuasse il cancro del malaffare, della prevaricazione, della

sopraffazione del più forte sul più debole o sul più onesto, spesso indifeso e deriso per le proprie

idee e per il proprio operare.

Il percorso ha trattato l’origine, lo sviluppo e la configurazione dell’attuale fenomeno mafioso,

inteso come sistema di potere economico e politico esercitato con la violenza. Sono stati esaminati

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alcuni fatti di notevole rilevanza accaduti sul territorio: le vicende di Franca Viola, prima donna a

rifiutare il matrimonio riparatore; l’avvento dei Corleonesi; l’omicidio di Piersanti Mattarella; la

vicenda Peppino Impastato; l’omicidio del giornalista Mauro Rostagno; la strage di Pizzolungo; il

1992 - Anno delle stragi (Capaci e Via D’Amelio); le testimonianze di Rita Atria e Piera Aiello

che hanno contribuito alla nascita di una nuova cultura antimafia; il fenomeno delle lenzuola sui

balconi di Palermo; il movimento antimafia alimentato da Associazioni per la legalità, la lotta al

racket del pizzo e l’usura; il rapporto Mafia-Politica-Istituzioni; Le contraddizioni della società

attuale.

I ragazzi hanno partecipato ad incontri, hanno visionato dei film, fra cui particolarmente apprezzati

sono stati La moglie più bella, (di Damiano Damiani, 1970) sulla vita di Franca Viola e la

commedia In Guerra per Amore (di Pif, 2016) sul fenomeno mafioso durante il secondo

dopoguerra. Dopo la visione è seguito un dibattito sui temi trattati, un approfondimento degli

argomenti con esperti presenti o collegati in via telefonica ed una produzione di elaborati ad opera

degli studenti.

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In occasione dell’anniversario delle morte di Mauro Rostagno gli studenti hanno partecipato ad

una conferenza sulla vita del giornalista e sulla sua tragica fine ed hanno approfondito la tematica

in classe con la docente di diritto. Alcuni ragazzi hanno elaborato una mappa concettuale mettendo

in relazione la libertà di espressione, ex art. 21 Cost., con l’attività professionale di Mauro

Rostagno. Altri, dopo aver letto parte della sentenza pronunziata dalla Corte di Assise di Trapani,

hanno ricostruito la figura di Mauro Rostagno, sulla base di quanto risulta negli atti processuali.

Gli studenti hanno preso parte alle iniziative curate dall’Associazione Antiracket, in occasione

della presentazione del libro, La mafia dopo le stragi, di Attilio Bolzoni, che ha colpito i ragazzi

alla luce degli eventi (caso Montante) avvenuti poco dopo e sui quali gli stessi, interessati, hanno

chiesto ulteriori approfondimenti.

L’ultimo incontro, conclusivo del progetto, ha visto i ragazzi protagonisti in prima persona che,

divisi in gruppi, mettendo a frutto l’esperienza acquisita, e con la collaborazione del giornalista

Gianfranco Criscenti, hanno intervistato la testimone di giustizia, Piera Aiello, sull’importanza di

denunciare il fenomeno mafioso e di diffondere la cultura della legalità; un altro gruppo di studenti

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ha posto delle domande al Presidente dell’Associazione, Prof. Vicenzo Guidotto e all’Avvocato

Giuseppe Novara, su come la diffusione della legalità possa sconfiggere la sub-cultura mafiosa e

sul ruolo delle associazioni nel contrasto alla criminalità organizzata.

Alcuni incontri sono stati dedicati alla cultura di impresa al fine di sensibilizzare gli studenti sui

temi riguardanti le opportunità di inserimento, da protagonisti, nel mondo del lavoro. In particolare

si sono evidenziate le grandi potenzialità derivanti dal settore turistico.

Gli elaborati di seguito riportati sono, dunque, la sintesi dell'ampia attività (risultante in dettaglio

dal registro alternanza scuola- lavoro) svolta dagli studenti dell'Istituto Tecnico Europa 2000 di

Erice.

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Maledetta Mafia!

Intervista a Piera Aiello, testimone di Giustizia e neo-parlamentare, che nel 1985 sposa Nicolò

Atria, figlio del boss mafioso Vito Atria. Nove giorni dopo il matrimonio il suocero verrà ucciso

dai Corleonesi. Il 24 giugno 1991, nel ristorante di Piera Aiello, in sua presenza, verrà ucciso anche

il marito. A seguito di quest'evento, deciderà di denunciare gli assassini del marito ed iniziare a

collaborare con la polizia e la magistratura, unitamente alla cognata Rita Atria.

Per meglio comprendere la sua decisone, in un contesto complesso e pericoloso, quale il comune

di Partanna nella seconda metà degli anni ’90, le poniamo alcune domande.

1. Che cosa la spinse all’epoca a collaborare con la giustizia?

Ho vissuto in una famiglia onesta che mi ha portato a sua volta ad esserlo. Viste le condizioni in

cui viveva il mio paese, in uno stato di angoscia e paura, ho detto basta e ho deciso di denunciare.

Mi ero stancata della “finta” grandezza di “quelle persone” ed è stato un modo per riscattarmi.

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Volevo il bene per il mio paese, volevo veder passeggiare le persone in tranquillità e non volevo

più guardare le donne sottomesse, con il famoso “fazzoletto nero” che copriva il loro volto.

2. Com’è cambiata la sua vita e quali sono stati i suoi momenti più difficili?

La mia vita è cambiata tantissimo, sono dovuta andare via dal mio paese, cambiare il mio nome e

per un periodo non ho avuto alcun documento di riconoscimento. Ero la signora “Nessuno”. Dopo

sei anni ho ottenuto il cambio di generalità e ho iniziato a vivere una vita “normale”. Vivere con

un altro nome, in un posto dove non conosci nessuno, dove non hai amici stravolge il tuo modo di

vivere.

3. Nel primo periodo come ha fatto ad avere garantita un’assistenza medica?

Non ho avuto assistenza medica, se mi ammalavo dovevo “farmi prestare” nome e cognome di

altre persone.

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4. Cosa ha comportato l’involontaria diffusione, negli anni passati, della località

segreta?

Ho dovuto di nuovo cambiare località e ricominciare da capo, è stato deleterio sia per me che per

la mia famiglia.

5. Quali ripercussioni ci sono state a livello familiare in seguito alla scelta fatta?

Io e mia figlia abbiamo dovuto avere un supporto psicologico privato, visto che lo Stato non ci ha

garantito tale diritto, non avevamo più un riferimento sociale. È difficile reintegrarsi e ciò ti porta

ad uno sconforto psicologico non indifferente.

6. I giovani come possono contribuire a diffondere la cultura della legalità?

Voi giovani siete, prima che il nostro futuro, il nostro presente. Adesso grazie alla scuola siete più

informati e capaci di decidere se stare dalla parte del bene o del male. La lotta alla mafia non è

soltanto denunciare i grandi boss, ma aiutare chi di fianco a noi è in difficoltà e ha bisogno del

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nostro aiuto per affrontare i propri problemi, ad esempio droga, facendogli capire dove sbaglia e

accompagnarlo per la via giusta.

7. Alla luce delle ultime notizie di stampa cosa pensa dell’antimafia di “facciata”? E dei

professionisti dell’antimafia?

L’antimafia di facciata esiste e noi dobbiamo credere che riusciremo a sconfiggerla. L’antimafia

di facciata è quella che molti politici fanno, spacciandosi per anfitrioni di questa lotta ma in verità

non concludono nulla. Noi dobbiamo stare attenti e capire cosa vogliamo veramente dalla vita. Io

dalla vita voglio la verità e la trasparenza, non scenderò mai a compromessi. E credo che un giorno

questo fenomeno mafioso verrà sconfitto, proprio come diceva Giovanni Falcone «ha avuto un

inizio e avrà una fine».

8. Vede un futuro per il nostro territorio?

Certo, adesso il nostro territorio non è più dormiente come una volta. Ci sono persone, come me,

che vanno nelle scuole a parlare della propria esperienza e i ragazzi ne hanno sempre fatto tesoro.

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9. Perché ha deciso di scendere in politica?

Ho deciso di affiancare il Movimento 5 Stelle perché ho visto persone che credevano nella

giustizia. La prima cosa che ho detto è che non sarei mai scesa a compromessi e che avrei tenuto

gli occhi aperti e avrei denunciato chiunque avesse fatto qualcosa di sbagliato. Io stessa ho chiesto

di aver assegnato la Commissione Parlamentare Antimafia per interagire legislativamente sul

territorio. Lotterò per portare leggi nuove, e sistemerò quelle vecchie per far sì che il nostro sistema

sia il più chiaro possibile.

10. Lei rifarebbe le stesse scelte?

Si, rifarei le stesse scelte di nuovo, errori compresi. Perché dagli errori si può imparare tanto ed io

non mi pento del mio percorso.

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La cultura della legalità per combattere la

sub-cultura mafiosa

Intervista al Prof. Vincenzo Guidotto, Presidente Associazione Antiracket Antiusura Trapani e

Presidente dell’Osservatorio Veneto sul Fenomeno Mafioso

1. Professore abbiamo avuto modo di approfondire in classe alcuni suoi scritti in cui

tratta di cultura mafiosa, può spiegarci meglio di cosa si tratta?

Per cultura mafiosa, infatti, non si deve intendere soltanto, in senso restrittivo, il modo di

concepire la vita e i rapporti sociali tipico degli “uomini d’onore”. Nel significato più ampio e

generale, la cultura mafiosa - come l’ha definita il cardinale Salvatore Pappalardo - «è

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clientelismo e favoritismo insieme, è sentirsi sicuri perché protetti da un amico o da un gruppo

di persone che contano; è pretesa di fare a meno della legge e di poterla impunemente violare».

Sono tipiche manifestazioni di tale atteggiamento : il voler fare sempre il proprio comodo con

la violazione sistematica delle norme e regolamenti che presiedono, anche in piccole cose,

all’ordinato svolgersi della vita civile; l’assenteismo dal lavoro; la pretesa di non spettanti

indennità e vantaggi di carriera; l’evasione fiscale organizzata e protetta e tanti altri piccoli e

grandi maneggi e compromessi di vario genere che finiscono sempre per risolversi a scapito dei

più deboli ed indifesi. Simili atteggiamenti non si riscontrano solo in individui o gruppi

caratterialmente delinquenti ma anche in tanti che con il loro abituale comportamento arrogante

e pretenzioso si dimostrano culturalmente mafiosi anche se ostentano una rispettabilità sociale.

2. Lei ha definito in più occasioni, la “Mafia- problema Nazionale” a cosa fa

riferimento?

Il fenomeno mafioso ha assunto una dimensione nazionale perché negli ultimi decenni le

organizzazioni che lo alimentano (Cosa Nostra siciliana, Ndrangheta calabrese, Camorra

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campana e Sacra Corona Unita pugliese), non sempre adeguatamente ostacolate dalle pubbliche

istituzioni e dalla società civile, sono riuscite ad operare – gradualmente ma con continuità - in

tre precise direzioni: in un primo tempo hanno sviluppato in tutto il Paese una vera e propria

economia mafiosa, formata da attività di acquisizione, riciclaggio e investimento nel settore

legale di capitali di provenienza illecita; successivamente si sono mosse come sempre alla

ricerca di collegamenti con i pubblici poteri anche a livello centrale, per avere protezioni ed

aiuti d’ogni tipo; infine hanno esercitato, nel Sud come nel Centro-Nord, varie forme di violenza

mafiosa e di intimidazione contro quei magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti,

imprenditori, professionisti, sacerdoti ed uomini della democrazia che nello svolgimento

dell’azione di contrasto hanno operato coraggiosamente in prima linea, ad oltranza e senza

guardare in faccia nessuno.

Basti pensare – ma soltanto per fare qualche esempio particolarmente significativo – alla

diffusione dei traffici di stupefacenti; all’acquisto, da parte di boss mafiosi, di azioni di società

in Borsa, denunciato a chiare lettere da Giovanni Falcone già negli anni Ottanta; al “Clan delle

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tangenti” di Savona del quale faceva parte il presidente della Regione Liguria, iscritto alla P2;

all’inchiesta palermitana su “Mafia e appalti” che nel luglio del 1991 coinvolse amministratori

di varie società del Centronord; alla vicenda milanese della “Duomo Connection”, un intreccio

di politica, affari, mafia e massoneria; allo scioglimento dei Consigli Comunali di Bardonecchia

(Torino) nel 1995 e di Nettuno (Roma) nel 2005 perché condizionati da associazioni mafiose;

ai grandi delitti e alle stragi in Sicilia e agli attentati a Roma, Firenze e Milano; all’eliminazione,

nel 1979 a Milano, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore – per incarico della Banca

d’Italia - di una banca di Michele Sindona, anello di congiunzione fra Cosa Nostra e la P2, poi

condannato come mandante del delitto; all’uccisione del Procuratore della Repubblica di Torino

Bruno Caccia nel 1983, proprio nel momento in cui aveva scoperto inquietanti contatti tra boss

trapiantati al Nord ed alcuni suoi colleghi.

Fino a poco tempo fa, nel panorama della criminalità organizzata nazionale, spiccava Cosa

Nostra, entrata in crisi a seguito degli importanti arresti registrati degli ultimi tempi. Oggi

l’organizzazione più potente è la Ndrangheta. Per quanto riguarda la Camorra ed i gruppi

pugliesi basta leggere giornalmente le notizie di cronaca. Ma ciò che più inquieta è la situazione

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denunciata a chiare lettere dal dottor Piero Grasso proprio nel momento in cui ha lasciato la

Procura di Palermo per assumere l’incarico di capo della Direzione Nazionale Antimafia: da

inchieste in corso – ha detto – risulta che operatori economici, per fare affari ed accaparrare

appalti pubblici, dal Sud si dirigono verso le regioni del Nord e dal Nord tendono a spostarsi

verso le regioni del Sud.

3. Quali i principali fattori di questa escalation?

Secondo le analisi formulate dalle fonti più attendibili, le ramificazioni territoriali delle

tradizionali organizzazioni meridionali si sono estese oltre le regioni del tradizionale dominio

perché hanno trovato un po’ dappertutto ambienti e situazioni resi favorevoli alla loro

penetrazione da quella cultura mafiosa che ha rappresentato il “fertilizzante” ideale del

malaffare.

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4. È possibile ipotizzare accordi tra organizzazioni criminali diverse e di diverse

nazionalità?

Alle tradizionali organizzazioni malavitose nate e cresciute nel Meridione, negli ultimi anni si sono

affiancati in tutto il Paese gruppi consistenti delle cosiddette mafie straniere e che tutte insieme

hanno conferito al fenomeno un carattere transnazionale. Ciò malgrado, tanti sono ancora convinti

che le varie mafie esistono solo quando si rendono responsabili di clamorosi fatti di violenza ed

operano esclusivamente nel Meridione e che nelle altre aree geografiche del Paese la gente si possa

tranquillamente disinteressare del fenomeno anche perché non può far niente per contribuire a

contrastarlo. La mancanza di fondamento di questi luoghi comuni, tanto diffusi quanto errati, è

confermata giornalmente dai massimi esponenti delle istituzioni.

5. È corretto parlare di corruzione come comportamento illecito idoneo ad

avvicinarsi alla logica mafiosa?

Nella cultura mafiosa così concepita rientra a pieno titolo la “logica delle tangenti”, emersa un po’

dappertutto. «Per quanto riguarda il rischio mafia, …, dovete preoccuparvi soprattutto della

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corruzione, perché la corruzione è l’anticamera della mafia» aveva detto il giudice Paolo

Borsellino nel maggio del ‘90 in un incontro pubblico a Castelfranco Veneto. In che senso? «Il

motivo - aveva spiegato - è facile da capire: se un esponente delle organizzazioni mafiose va in

cerca di punti di riferimento per riciclare o investire nell’economia legale capitali di origine

illecita fuori dalla propria regione non può che rivolgersi a politici o ad amministratori corrotti,

cioè a persone che hanno rivelato una certa inclinazione».

Con l’andar del tempo, tanti fatti che si sono verificati in varie regioni del Centronord gli hanno

dato ampiamente ragione.

6. Cosa si può fare per sconfiggere la cultura mafiosa?

La mia proposta è orientata non solo a far conoscere il fenomeno mafioso nel suo sviluppo secolare

e nella dimensione attuale, ma anche a far capire che l’azione di contrasto non può continuare ad

essere affidata esclusivamente alle forze dell’ordine e alla magistratura come se le varie mafie

presenti nel Sud come nel Centronord fossero delle semplici forme di criminalità organizzata. Il

fenomeno mafioso, come si deduce dall’esame dei tre elementi costitutivi elencati all’inizio

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(economia mafiosa, collegamento con i pubblici poteri, violenza mafiosa), ha infatti assunto

storicamente la configurazione di un vero e proprio potere economico e politico esercitato con la

violenza che si è collocato nel più ampio contesto di quel “sistema eversivo”, responsabile dei

crimini e misfatti che hanno caratterizzato la “notte della Repubblica” , costituito da politici

complici e conniventi con boss mafiosi e terroristi rossi e neri, alti funzionari statali infedeli,

burocrati collusi, soggetti deviati dei servizi segreti, esponenti senza scrupoli dell’alta finanza

sporca, gruppi eversivi e logge massoniche coperte.

Inoltre, per troppo tempo, la “piovra” ha tratto alimento e forza non soltanto dai proventi derivanti

dall’attività economica svolta, dal sostegno garantito da esponenti dei pubblici poteri e dall’omertà

provocata dalla violenza intimidatrice, ma anche dagli elementi nutritivi ed energetici che ha

trovato nel suo ideale liquido di coltura, costituito dalla cultura mafiosa.

Stando così le cose l’unica via da seguire è quella di passare dalla “visione globale” del fenomeno

alla predisposizione di un “progetto globale” per il suo superamento, articolato su quattro versanti

da percorrere contemporaneamente: giudiziario, economico, istituzionale, democratico. Lungo il

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versante giudiziario un’azione energica ed efficace è possibile a condizione che ci sia un costante

potenziamento e perfezionamento della legislazione in materia e delle strutture della magistratura,

delle forze di polizia, dell’apparato penitenziario, dell’amministrazione finanziaria centrale e

periferica e degli organismi che vigilano sulle società commerciali, sul sistema bancario e sugli

altri enti di intermediazione finanziaria. Lungo il versante economico si possono raggiungere

buoni risultati attraverso provvedimenti capaci di rimuovere le condizioni che nel Meridione hanno

favorito la nascita e la crescita del fenomeno e di evitare che le stesse possano crearsi altrove. Da

ciò l’esigenza improrogabile di promuovere, da un canto, un armonico sviluppo del Paese per

superare i tradizionali squilibri territoriali e risolvere il problema della disoccupazione che

rappresenta la maggiore riserva di manovalanza per le organizzazioni malavitose; e di varare,

dall’altro, una seria politica di incentivazione e di oculato controllo dei finanziamenti e degli

appalti pubblici per salvaguardare e sostenere l’economia sana minacciata, nel Sud come nel

Centro-Nord, dall’invadenza della mafia imprenditrice e finanziaria. Lungo il versante

istituzionale bisogna tendere al risanamento morale delle istituzioni, soprattutto rappresentative,

nazionali e locali, attraverso un’azione diretta a disinquinare i “palazzi” dalle infiltrazioni di

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esponenti dei poteri criminali ed occulti ed a ripristinare quella chiarezza, quella trasparenza,

quella linearità e quell’efficienza che rappresentano la condizione indispensabile per recuperare

ed elevare il grado di fiducia dei cittadini verso lo Stato. Lungo il versante democratico, infine,

occorre intensificare la promozione di iniziative di approfondimento culturale e di

sensibilizzazione civica sul problema per perseguire il duplice obiettivo di far capire a tutti la reale

portata e la potenziale pericolosità che il potere mafioso e la cultura mafiosa presentano per la

società, l’economia, la democrazia, la politica e le istituzioni e di favorire una presa di coscienza

sempre più profonda sul ruolo del “popolo sovrano” in uno Stato autenticamente democratico : un

ruolo di vigilanza e di stimolo nei confronti di quanti operano all’interno delle Istituzioni perché

si adoperino con tempestività e determinazione nei tre precedenti settori e contribuiscano

all’eliminazione delle logiche clientelari che hanno minato alla base il nostro sistema

rappresentativo. Il compito di operare nel campo culturale ed educativo all’insegna del motto “la

conoscenza crea coscienza” - spetta alla famiglia, alla Chiesa, alla Scuola, agli Enti Locali, ai

Sindacati, alle associazioni ed ai gruppi di impegno civico.

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Il ruolo delle associazioni nel contrasto alla

criminalità organizzata

Quando si parla di lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso oltre a fare riferimento ai

ruoli istituzionali (Magistratura, Forze dell’Ordine), si registrano, anche, forme e modalità di

reazione al fenomeno mafioso provenienti “dal basso”, dalla gente comune “non addetta ai lavori”.

Iniziative siffatte si inquadrano nell’ambito della cosiddetta antimafia sociale, una peculiare forma

di resistenza alle organizzazioni criminali mafiose, di cui sono attori gruppi di cittadini,

imprenditori, sindacati.

Tra le iniziative in parola, un ruolo di spicco ricopre l’associazionismo antiracket; con tale

espressione si fa riferimento a quei movimenti di soggetti animati dalla volontà di infrangere il

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muro di omertà (che normalmente fa da scudo all’estorsione del pizzo), che si aggregano per

promuovere una cultura della legalità in opposizione al fenomeno mafioso. Sull’argomento ne

parliamo con l’Avv. Giuseppe Novara, legale dell’Associazione Antiracket Antiusura Trapani.

1. Cosa fa l’Associazione Antiracket e Antiusura Trapani?

L’Associazione Antiracket e Antiusura persegue scopi di solidarietà sociale ed opera nel settore

della promozione culturale, sociale ed economica con lo scopo di promuovere la cultura della

legalità, della solidarietà, della integrazione dei soggetti svantaggiati (cittadini italiani, comunitari,

extracomunitari ed apolidi, immigrati) in conformità ai principi della Costituzione Italiana, della

Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali,

nonché dell’ordinamento giuridico in generale.

L’associazione è uno strumento prezioso per contrastare la solitudine degli imprenditori vittime di

estorsioni ed usura.

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2. Quando sono sorte le prime associazioni?

Le prime Associazioni Antiracket nascono negli anni ’90 dopo la drammatica esperienza di Libero

Grassi, l’imprenditore palermitano ucciso dalla mafia per essersi rifiutato di pagare il pizzo e

lasciato solo dai propri colleghi e dalla Associazione degli Industriali a cui era iscritto. Dopo la

morte di Libero Grassi nascono Associazioni Antiracket in Sicilia, in Puglia, in Campania, facendo

assumere al fenomeno una valenza nazionale. Questa novità del fenomeno associativo ha

determinato una crescita delle denunce da parte di imprenditori stanchi di subire vessazioni da

parte di criminali spregiudicati.

3. Quale ruolo svolgono?

Il ruolo che svolgono le Associazioni Antiracket è soprattutto quello di non fare sentire soli gli

imprenditori vittime di racket, di estorsioni, di usura. Infatti, rivolgendosi all’Associazione non

sarà più il singolo cittadino a fare la denuncia, ma tutta l’Associazione nella sua interezza.

L’associazione segue la vittima dal momento della denuncia fino al processo, nelle sue varie fasi.

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Rappresenta, anche, uno strumento di collaborazione con le forze di Polizia e con la Magistratura

per portare alla luce episodi di estorsione e usura.

4. Cosa significa costituzione di parte civile in un processo penale?

La costituzione delle Associazioni nel processo penale rappresenta l’esercizio dell’azione civile

nel processo penale, in quanto, essendo gli enti in questione portatori di interessi collettivi e diffusi,

quando è leso un interesse proprio ritengono di esser stati danneggiati da un reato e chiedono,

pertanto, un risarcimento per i danni subiti. Secondo un orientamento consolidato in

giurisprudenza «Gli enti e le associazioni sono legittimati all’azione risarcitoria, anche in sede

penale mediante costituzione di parte civile, ove dal reato abbiano ricevuto un danno ad un

interesse proprio, sempre che l’interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un

diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l’interesse perseguito in riferimento

ad una situazione storicamente circostanziata, da esso preso a cuore e assunto nello statuto a

ragione stessa della propria esistenza e azione».

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5. Che ruolo svolge l’Associazione Antiracket e Antiusura Trapani?

La nostra Associazione opera con l’impegno sinergico di tutte le forze sociali, affinché ogni tipo

di illegalità e abuso possano essere contrastate ed eliminate. Le attività delle organizzazioni

mafiose, l’illegalità diffusa, impediscono, infatti, lo sviluppo delle attività economiche e

professionali e limitano la sicurezza dei cittadini. Dinanzi alla logica perversa del sopruso, della

prepotenza, dell’illegalità, l'Associazione agisce con fermezza offrendo alle vittime opportunità di

tutela dei propri diritti per la riaffermazione di quei principi di legalità e giustizia previsti e tutelati

dall’ordinamento giuridico. L’Antiracket Trapani si costituisce nei processi penali con imputati

di reati associativi, estorsioni, usura, sia per tutelare le vittime che si rivolgono all’associazione

sia per dare un segnale di incoraggiamento alla società civile ed all’imprenditoria sana che intende

operare nel rispetto della legalità e del libero esercizio dell’iniziativa economica, garantita dall’art.

41 della Costituzione

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6. Chi può rivolgersi alla vostra Associazione?

All’associazione può rivolgersi chiunque - singoli cittadini o imprenditori - si trovi in difficoltà a

seguito di soprusi, violenze, intimidazioni. La nostra associazione ha attivato, anche, uno Sportello

di Solidarietà ed Ascolto che, oltre ad assicurare gratuitamente consulenza legale alle vittime

dell’estorsione e dell’usura, intende anche sollecitare una loro assunzione di responsabilità nella

consapevolezza che senza di essa la prospettiva di un reinserimento non si avvicina. Lo Sportello

svolge anche azioni di sostegno all’uso responsabile del denaro e di ausilio ai soggetti in difficoltà

a causa del sovra-indebitamento incolpevole.

7. Quali sono i vantaggi per gli imprenditori che denunciano?

Le vittime del racket e dell’usura, se denunciano, possono essere assistite dalle associazioni

antiracket, in tutte le fasi processuali, nonché nella presentazione di istante di agevolazioni. Le

istanze di ammissione ai benefici di legge si presentano alla Prefettura della provincia nella quale

si è verificata l’evento lesivo.

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Le vittime di estorsioni che denunciano possono chiedere la concessione di una “elargizione (pari

al danno subito a beni mobili, immobili, al mancato guadagno ovvero a lesioni personali) nonché,

una provvisionale nella misura massima del 70%. La vittima di usura, che esercita attività

economica, può chiedere un mutuo senza interessi (pari al danno subito per effetto degli interessi

usurari e del mancato guadagno) rimborsabile in 10anni, nonché un’anticipazione del 50%. In ogni

caso chi si rivolge all’Associazione trova figure di supporto che “accompagnano” la vittima ad

uscire dalla situazione di sottomissione in cui è caduta.

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Turismo ecosostenibile

I dati del Rapporto sul Turismo 2017, curato da UniCredit in collaborazione con Touring Club

Italiano, mostrano come il fenomeno turistico sia in crescita nella Regione Sicilia, la quale con

oltre 14,5 milioni di presenze turistiche nella scorsa stagione, si è classificata al 9° posto fra le

regioni italiane (ai primi posti si confermano il Veneto con 63,2 milioni, la Toscana con 44,3

milioni e la Lombardia con 37,8 milioni.) Per quanto riguarda invece la distribuzione percentuale

delle presenze turistiche nelle province siciliane risulta in testa Messina con il 24,3% del dato

complessivo regionale, trainata dai flussi turistici legati a Taormina, a seguire vi sono poi, ai primi

posti, Palermo (20,2%), Trapani (14,9%), Catania (13,6%), Siracusa (9,7%) e Agrigento (8,9%).

Nello specifico per quanto riguarda la Provincia di Trapani i dati forniti dall'Ufficio Statistica del

Libero Consorzio Comunale di Trapani evidenziano come nel 2017 la provincia di Trapani, abbia

registrato un numero di arrivi pari a 714.411, ovvero il 6,6% in più rispetto al 2016. Di questi arrivi

496.855 sono stati in strutture alberghiere (+5,2%), mentre 217.556 (+10,1%) in strutture

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extralberghiere. Ne parliamo con un imprenditore del settore turistico alberghiero, la Dott.sa

Cinzia Plaia amministratore dell’Agriturismo Tenute Plaia, di Scopello.

1. Alla luce dei recenti dati statistici ritiene che le attività turistiche in Sicilia siano in

crescita?

Negli ultimi 5 anni si è assistito ad un risveglio della Sicilia come meta preferita dai turisti, questo

ha portato ad un aumento notevole delle attività turistiche, soprattutto nel settore extralberghiero.

Il numero dei posti letto è notevolmente incrementato, anche se, di pari passo, cresce il fenomeno

dell’“effetto iceberg”, costituito dalle attività riferibili al c.d. sommerso, cioè gli affitti di abitazioni

per periodi brevi ad uso turistico la cui registrazione e le relative statistiche risultano molto difficili

da ricavare.

2. Turismo nel nostro territorio: cosa si è fatto? E cosa si deve ancora fare?

La provincia di Trapani ha conosciuto un grande incremento turistico, la presenza di Birgi e

l’avvento di Ryanair sono state un volano per la provincia, portando ad un incremento delle

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presenze, ma soprattutto incentivando quello che è stato l’aumento delle attività turistiche sul

territorio. È chiaro che parlare di turismo non significa soltanto pensare all’alloggio questa è solo

una tipologia di attività che si muove intorno agli arrivi. L’ospitalità è soltanto uno degli elementi:

poi ci sono ristoranti, bar, negozi, tutto un indotto che si muove attorno al turismo. Si è fatto tanto,

sono stati migliorati i centri storici che risultano più eleganti, raffinati, pieni di attività, ma turismo

significa qualcosa di più! Un’ organizzazione programmatica, revisione del piano cittadino

affinché la viabilità delle città non venga messa in discussione dalle presenze turistiche. I due

fattori cittadini e turisti devono convivere in modo tranquillo e sereno: per far ciò occorre risolvere

i problemi attinenti allo smaltimento dei rifiuti, alla pulizia delle strade, agli accessi al mare,

rivalutazione di tutta la costa; molte località della provincia sono ancora senza depuratore e questo

sicuramente non permette di raggiungere degli alti livello di qualità del nostro mare, il che è un

peccato, dal momento che quella della provincia di Trapani è considerata una delle coste più bella

della Sicilia.

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3. Esiste sufficiente cultura d’impresa e preparazione ad affrontare il mercato da parte

degli imprenditori turistici?

Si deve fare principalmente programmazione, che muove su più aspetti, quali preparazione del

territorio, eventi, servizi informazioni, coadiuvare il lavoro dei privati in un progetto unico ed

avere una visione dell’offerta turistica che si vuole presentare. Negli ultimi anni si è assistito ad

una diffusione della cultura d’impresa, una maggiore preparazione degli operatori turistici

nell’affrontare il mercato, ma sono ancora presenti sul territorio organizzazioni precarie, mirate a

cogliere l’attimo di questo momento d’oro del turismo, più che rivolte ad una crescita programmata

con un obiettivo definito. Sembra che l’offerta sia variegata e non targhettizzata od orientata a

mercati ben precisi. Oggi il web porta le strutture ad essere si presenti, ma non a settorializzarsi e

specializzarsi per essere rispondenti ad un vero e proprio progetto d’impresa. Ancora persiste la

concezione che per “sistemare” il figlio disoccupato si realizzi un B&B piuttosto che l’affitta

camera senza essere preparati a questo. È pur vero che in Sicilia c’è un elemento che ci

contraddistingue che è il senso di ospitalità, che rappresenta un aiuto “enorme” nel fare attività

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turistica. Ma fare turismo non significa soltanto questo ma anche servizi, conoscenza dei flussi,

della stagionalità, cercare di allungare il periodo delle prenotazioni, essere inseriti in un pano

strategico del territorio.

4. Ritiene che le infrastrutture presenti nel nostro territorio siano sufficienti ad

accogliere i flussi turistici o sarebbe opportuno migliorare qualcosa?

Le infrastrutture nel nostro territorio non sono sufficienti ad accogliere flussi turistici e ciò lo

dimostra il fatto che molto spesso d’estate le città e i paesi a vocazione turistica vadano in

sovrappopolazione. Lo vediamo nelle spiagge, nelle strade ed autostrade. Sembra che tutto il

sistema ad un certo punto vada in blocco. Evidentemente non è mai stata pensata la provincia di

Trapani in prospettiva veramente turistica; non si è mai fatto nulla per migliorare le infrastrutture.

Si assiste al contrario a lavori in corso che durano anni, se non decenni, dando una immagine

sbagliata della nostra Sicilia, che in realtà sarebbe una vera perla del Mediterraneo.

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5. Cos’è il turismo ecosostenibile?

Si tratta di un tipo di turismo che presta particolare attenzione al rapporto tra la natura e l’uomo; è

un turismo in grande crescita negli ultimi anni, moltissime sono le strutture turistiche che

propongono il risparmio energetico, l’utilizzo dell’energia solare per quanto riguarda l’acqua calda

o impianti di condizionamento a basso consumo o a basso impatto ambientale. Ma turismo

ecosostenibile significa anche rispettare l’ambiente e collocare il turismo stesso all’interno della

natura senza stravolgerlo, soprattutto mirando alla conservazione dell’ambiente naturale. Per la

Sicilia questo tipo di turismo è una grandissima risorsa se consideriamo la quantità di zone

coltivabili e la grande importanza che ha la natura, dimostrata dall’elevato numero di riserve

naturali presenti nella Regione. Il turismo ecosostenibile andrebbe incentivato in due modi:

aumentando la cultura degli operatori al rispetto della natura e dell’ambiente, non solo risparmio

energetico ma anche nella realizzazione di strutture a bassissimo impatto ambientale con prodotti

che rispettino l’ambiente. Dall’altra parte incentivando la preservazione del territorio,

implementando le riserve e le informazioni su di esse.

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6. Quali le modalità per attuarlo?

Sicuramente potenziando i percorsi ciclabili, affinché i turisti sulle due ruote possano godere del

paesaggio in tutta serenità senza curarsi delle auto e dei pericoli che una strada trafficata può

provocare. Va considerato che il cicloturismo è un turismo in evoluzione, indubbiamente cresciuto

nella nostra provincia ma che va ancora incentivato. Va potenziato anche il turismo per i

camminatori, il c.d. trekking, potenziando i percorsi naturalistici a piedi, mantenendo in buone

condizioni quelli già esistenti per permettere a questi turisti di immergersi nella natura siciliana e

apprezzare le nostre colture.

7. Nel lungo periodo quali sviluppi del settore turistico possiamo prevedere?

Nel lungo periodo lo sviluppo del turismo dovrebbe andare verso l’ecosostenibilità, sostenendo il

paesaggio culturale. Il visitatore che viene nella provincia di Trapani deve percepire l identità del

territorio in tutte le sue forme, che siano il cibo, il vino, la cultura o il paesaggio. Un territorio che

manifesta identità e personalità può permettersi di destagionalizzare, legando tradizioni cultura

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cibo ecc.. Una programmazione turistica che risponde ad un’identità ben definita può garantire un

lungo periodo di attività durante l’anno. Promozione di tradizioni come il presepe vivente di

Custonaci o la processione dei Misteri a Trapani durante il periodo pasquale sono esempi di

valorizzazione dell'identità.

8. Come attrarre flussi turistici di alto livello e destagionalizzare?

Per attrarre flussi turistici di target elevato è importante qualificare il livello dell’ospitalità,

migliorare le infrastrutture e la promozione all’estero. La destagionalizzazione è fortemente

collegata agli eventi e quindi occorre dare un’immagine alla Sicilia non solo mare, ma anche meta

culturale, paesaggistica, enogastronomica: una destinazione a 360 gradi.

9. Quali sono le esigenze immediate degli operatori turistici?

Programmazione ben precisa delle tratte aeree, tenendo in considerazione la provenienza dei flussi

turistici di rilievo. Programmazione che sia aperta non solo alla primavera-estate, ma annuale.

Oltre a ciò, non si può dimenticare la necessaria riorganizzazione dei servizi che interessano il

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pubblico, dalla gestione dei rifiuti al mantenimento della pulizia, dal decoro, alla segnaletica. Tutto

ciò che serve alle nostre città per apparire, ed essere, più accoglienti.

10. Consiglierebbe ai giovani, dopo il diploma, di investire nel settore turistico?

Si decisamente, ma con consapevolezza e percezione di cosa significa fare questo lavoro, che non

è solo accoglienza ma anche molto di piu: far vivere un pezzo di Sicilia ai nostri visitatori, regalare

un’esperienza ai nostri ospiti. Per far questo serve preparazione e programmazione, non basta

avere un’abitazione e realizzare un B&B, bisogna essere formati culturalmente a fare ciò.

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• « PRIMA DI COMBATTERE LA MAFIA DEVI FARTI UN AUTO-ESAME DI COSCIENZA E POI, DOPO AVER SCONFITTO LA MAFIA DENTRO DI TE, PUOI COMBATTERE LA MAFIA CHE C'È NEL GIRO DEI TUOI AMICI.

LA MAFIA SIAMO NOI E IL NOSTRO MODO SBAGLIATO DI COMPORTARCI.

BORSELLINO SEI MORTO PER CIÒ IN CUI CREDEVI, MA IO SENZA DI TE SONO MORTA»

RITAATRIA, 1992

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Rita Atria è una testimone di Giustizia, vittima indiretta della Mafia. Nasce a Partanna(Tp) il 4 settembre 1974 da Giovanna Cannova e Vito Atria (ufficialmente allevatore dipecore, in realtà piccolo boss locale); morirà a Roma il 26 luglio 1992, dopo la strage diVia D’Amelio.Rita cresce a Partanna, che negli anni ‘60 da paese prevalentemente agricolo, si trasformain un luogo di traffico e commercio di sostanze stupefacenti e di armi.Negli anni dell'ascesa al potere dei Corleonesi, i comuni del Belice erano lo scenario dilotte per il potere tra clan rivali.Vito Atria rientrava tra «i mafiosi vecchio stampo», tra coloro che preferivano averecontatti con la politica, piuttosto che «sporcarsi le mani» con la droga. Questo, all'epoca,significava mettersi contro i Corleonesi che stavano invadendo il trapanese di raffinerie dieroina.Per tale ragione nel 1985, due giorni dopo le nozze di Nicola Atria (fratello di Rita) conPiera Aiello, don Vito venne ucciso in un agguato.

Biografia

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Rita innanzi a quel cadavere crivellato di colpi, anche se appena dodicenne,dentro di sé, cominciò a desiderare vendetta. Ma la morte del padre le lasciò unvuoto immenso, per sopperire al quale si legò ancor di più al fratelloNicola. Fratello che nel breve tempo assunse il ruolo di capofamiglia.Nicola Atria, in paese era considerato un "pesce piccolo" che con il traffico delladroga aveva fatto i soldi, ma non aveva conquistato ancora il “potere”.Quello fra Rita e suo fratello divenne un rapporto molto intenso, fatto ditenerezza, amicizia, complicità, confidenze.Fu Nicola, infatti, a raccontarle delle persone coinvolte nell'omicidio del padre, delmovente, di chi comandava in paese, delle gerarchie.Trasformando così una ragazzina che avrebbe dovuto giocare con le bambole, incustode di segreti più grandi di lei.

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Rita si fidanzerà con Calogero (Gero) Cascio, un giovane del suo paese, facenteparte della consorteria. Da Calogero Rita apprenderà moltissimo.L’idea diffusasi in paese era che in presenza di Rita si potesse parlare ospacciare.Nel giugno del 1991, anche, Nicola Atria fu vittima di un agguato indetto daiCorleonesi.Piera Aiello, cognata di Rita, presente all'omicidio, decise di denunciare gliassassini alla polizia. Divenne una collaboratrice di giustizia e dovette trasferirsi inuna località segreta con i suoi figli.Mentre Rita restò a Partanna, ma fu rinnegata dal fidanzato e dalla madre, cheritenevano disonorevole avere contatti con una parente che aveva deciso dirompere il muro dell'omertà.

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A pochi mesi di distanza dalla morte del fratello, la diciassettenne, per dar voceal suo desiderio di rivalsa su quel mondo in cui non aveva scelto di nascere, mache sceglieva di rifiutare, seguì l'esempio di Piera chiedendo allo Stato giustiziaper l'omicidio del padre e del fratello.La vendetta tanto desiderata, a poco a poco, si trasforma in "voglia di vederealtre donne denunciare e rifiutare la mafia".È Paolo Borsellino, al tempo Procuratore a Marsala, a raccogliere ledichiarazioni di Rita Atria.Nel primo incontro con il giudice, Rita si mostrava come una ragazza piccolina,timida, ma coraggiosa. Borsellino era, invece, un uomo buono dal sorriso dolce,che le ispirava fiducia e lei iniziò a parlare, a raccontare fatti, a far nomi.Quel magistrato alla ragazza sembrava un papà, i loro incontri non eranoformali, erano fatti di abbracci e tanta tenerezza. Per Rita, raccontare,ricostruire, anche cose successe quando era molto piccola era facile.

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Le deposizioni di Rita e Piera consentirono ai magistrati di fare luce sugliingranaggi che regolavano le cosche mafiose del trapanese e della Valle delBelice.Trasferita a Roma sotto protezione con un falso nome, Rita viveva isolatacostretta a frequenti cambi di residenza.Invano, Borsellino tentò più di una volta di far sì che la madre accettasse la sceltadella figlia, ma fu inutile, questa la rinnegò per l'affronto recato alla famiglia.I giorni passavano, il rapporto di Rita con Borsellino diventava più profondo.Quel giudice che la chiamava picciridda era l’unico conforto, l’unica speranza.Ecco perché la Strage di via D'Amelio, avvenuta il 19 luglio del 1992, gettò Ritanello sconforto.Il 26 luglio, una settimana dopo la morte dello "zio Paolo", Rita Atria si suicidògettandosi dal settimo piano del palazzo in cui viveva.

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Il funerale di Rita si celebrò a Partanna, né la madre né ilpaese partecipano alla commemorazione. A distanza diqualche mese la madre distrusse, con un martello, la lapidedella figlia posta sulla tomba di famiglia, per cancellare lapresenza scomoda di una «Fimmina lingua longa e amicadegli sbirri»Per lungo tempo la memoria di Rita non trovò pace, sullasua tomba non vi fu foto che ricordasse la picciridda.Ma il suo sacrificio non fu inutile, perché le sue rivelazionifurono inserite in atti processuali.

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Di seguito si riportano le parole che Rita scrisse, in un tema, dopo la strage di Capaci (23.05.1992):«L ’un ica speranza è non arrenders i mai . F inché g iud ic icome Falcone , Pao lo Borse l l ino e tant i come loro v i v ranno ,non b isogna arrenders i mai , e la g ius t i z ia e la ver i tàv i vrà contro tu t to e tu t t i . L 'un ico s i s tema per e l iminareta le p iaga è rendere cosc ient i i ragazz i che v i vono tra lamaf ia che a l d i fuor i c ' è un a l t ro mondo fat to d i cosesempl i c i , ma be l l e , d i purezza , un mondo dove se i t ra t ta toper c iò che se i , non perché se i f ig l i o d i ques ta o d i que l lapersona , o perché hai pagato un pizzo per far t i fare que lfavore . Forse un mondo ones to non es i s te rà mai , ma chi c iimped isce d i sognare . Forse se ognuno di no i prova acambiare , forse ce la faremo . »

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http://www.wikimafia.it/wiki/index.php?title=Rita_Atria

http://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/237-vedi/50693-rita-atria-racconto-tutto-a-paolo-borsellino-sp-1684286431.html

http://www.ritaatria.it/Testimoni/RitaAtria.aspx

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Franca Viola

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Franca Viola era figlia di una coppiadi coltivatori diretti e, all'età di quindici anni, conil consenso dei genitori si fidanzò con FilippoMelodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi emembro di una famiglia benestante. Tuttavia inquel periodo Melodia venne arrestato per furto eappartenenza ad una banda mafiosa e ciò indusseil padre di Franca, Bernardo Viola, a rompereil fidanzamento; per queste ragioni, la famigliaViola fu soggetta ad una serie di violente minacceed intimidazioni: il loro vigneto venne distrutto, ilcasolare annesso bruciato e Bernardo Violaaddirittura minacciato con una pistola al grido di"chista è chidda che scaccerà la testa a vossia”,ma tutto ciò non cambiò la sua decisione.

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Il 26 dicembre 1965 il Melodia, con la sua banda di amici, si ripresenta a casa Viola e, dopo aver distrutto tutto e gravemente malmenato la madre, si porta via Franca e il fratellino che le si è aggrappato alle gambe nel tentativo di proteggerla. Il fratellino viene rispedito a casa, mentre Franca viene tenuta prigioniera prima in un casolare isolato e poi in casa della sorella del Melodia, ad Alcamo. “Rimasi digiuna per giorni e giorni. Lui mi dileggiava e provocava. Dopo una settimana abusò di me. Ero a letto, in stato di semi-incoscienza”.

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Dopo la liberazione di Franca e l’arresto del Melodia e i suoi complici, le viene proposto un matrimonio “riparatore” che avrebbe scagionato il Melodia; ma Franca, anche grazie al sostegno della sua famiglia si rifiutò di sposare il suo violentatore e decise di andare a processo.

Il padre Bernardo decise di costituirsi parte civile malgrado le pressioni esercitate per dissuaderlo. L’attenzione di tutta la stampa locale e nazionale era altissima, sia perché era la prima volta che una donna scelsee di dichiararsi “svergognata” e sfidare le arcaiche regole di un “onore” presunto e patriarcale, sia perché in questa vicenda si ravvisava l’occasione di intaccare, almeno in parte, il potere della mafia.

Franca Viola fu presente a tutte le udienze e testimoniò contro il Melodia, al quale fu comminata una pena di 11 anni.

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Nel 1968 si sposò con il giovane compaesano amico d'infanziaGiuseppe Ruisi, ragioniere, che insistette nel volerla sposarenonostante lei cercasse di distoglierlo dal proposito, per timoredi rappresaglie; la coppia ebbe tre figli e vive ancora ad Alcamo.

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Nonostante il primo e coraggioso esempio di FrancaViola nello sfidare il senso della morale dei suoi tempiin Sicilia, una legislazione che proteggeva chi aveva fattola violenza piuttosto che chi l’aveva subita, si dovetteroaspettare gli anni ‘80 per ottenere l’abrogazione delleleggi riguardanti il matrimonio riparatore e il delittod’onore.

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Dalla vicenda del rapimento, della violenza su Franca Viola ed il relativo processo ne è stato tratto un film, “La moglie più bella”, interpretato da una giovane Ornella Muti.

“ Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivodi fare, come farebbe oggi ogni ragazza. Ho ascoltato il miocuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire iloro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia moltodiversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei lorocuori”.

Franca Viola

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FilmLa moglie più bella, di Damiano Damiani, 1970

https://it.wikipedia.org/wiki/Franca_Viola

http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/franca-viola/

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La sentenza Rostagno Secondo quanto risulta dalla Sentenza N. 2/2014 pronunciata dalla Corte di Assise di Trapani il

15 maggio 2014, l'omicidio di Mauro Rostagno è stato disposto ed eseguito in un contesto mafioso

per un movente da individuare nell'attività giornalistica della vittima. L’operato di Rostagno

costituiva, infatti, un costante pericolo per le attività illecite, tra cui principalmente il traffico di

armi e droga, in cui operavano le famiglie di Cosa Nostra della provincia di Trapani, così come

l’attività di Mauro Rostagno rischiava di scoperchiare i rapporti della Mafia con la politica, con la

massoneria, la Pubblica Amministrazione corrotta e connivente, che favoriva l’infiltrazione

mafiosa. Argomenti che Rostagno trattava ogni giorno, adottando un linguaggio semplice,

comprensibile da tutti e quindi efficace. Rostagno certamente era a conoscenza dei pericoli che

correva nella propria attività giornalistica. Pericoli che invece sembra fossero ignoti agli organi di

Polizia. Secondo il racconto della Sig.ra Roveri, il maresciallo Cannas, amico di Rostagno, aveva

ricevuto le preoccupazioni di Rostagno, alle quali non aveva dato peso, tant'è vero che la pista

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mafiosa, nella fase iniziale delle indagini dei Carabinieri, non era considerata credibile, circostanza

confermata anche dal Colonnello Montante che, in pubblica udienza, si è definito, “un passacarte”.

Rostagno attaccava alla base l'organizzazione mafiosa cercando di evidenziare le attività delittuose

perseguite da cosa nostra, che ne avevano accresciuto il prestigio ed il potere economico, in

particolare il traffico di sostanze stupefacenti, ma anche quello delle armi, infine quello allora

nascente del business dei rifiuti. Rostagno denunciava la centralità di Trapani nel traffico di armi

e droga come sede di raffinerie di eroina, nonché ancora una volta l'importantissimo ruolo svolto

dalle famiglie mafiose trapanesi, quale collegamento operativo fra quelle catanesi e palermitane,

senza trascurare la circostanza che Agate Mariano, era pienamente coinvolto in tale settore, come

dimostrato in quel periodo dalle sue prime condanne definitive, riportate proprio per traffico di

sostanze stupefacenti. Pertanto, l’Agate non era certo soddisfatto di essere costantemente

menzionato o additato come uno dei responsabili della crescita di tale fenomeno nella provincia di

Trapani, e causa delle numerose morti di giovani per overdose, che Rostagno contava giorno per

giorno nell'intento di evidenziare all'opinione pubblica l'allarme per questa piaga sociale. Altro

tema che aveva particolarmente interessato Rostagno, in diversi redazionali, era quello connesso

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allo smaltimento dei rifiuti, la “monnizza”, trattato nell'ambito del degrado morale e civile che

attraversava all'epoca la città di Trapani. L'interesse di Rostagno, per questa tematica, dava molto

fastidio a Cosa Nostra, anche perché si trattava di una questione non particolarmente avvertita

dalla collettività. È stato accertato, solo molti anni dopo le denunce di Rostagno, che Virga

Vincenzo aveva costituito numerose società cooperative (la Lex, la Edilviro, la Trapanese

Trasporti, L'ecotrinacria, e soprattutto la Promozionale Servizi). Rostagno aveva visto più avanti,

addirittura, dei mafiosi, del Virga che, nel gennaio dell'89, avvia quella società e quel business.

Rostagno era stato uno dei pochissimi a Trapani, che aveva indagato sulle vicende più

chiacchierate della politica locale, sugli imbrogli di Palazzo, come li definiva lui, e che aveva

denunciato apertamente la malapolitica, come emerge dalla visione dei servizi televisivi, e dalla

lettura dei redazionali da lui realizzati che avevano evidenziato le ambigue relazioni di connivenza

fra l'universo mafioso e il mondo della politica trapanese. La classe politica trapanese, e comunque

locale, è stata rappresentata e svergognata all'opinione pubblica nella sua dimensione di

meschinità. Tanto è vero che Rostagno parla il 22 aprile del 1988 del Consiglio Comunale di

Palazzo Dalì, come del palazzo di “Alì Babà e dei quaranta ladroni”, a causa dei numerosi arresti

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per malversazione del pubblico denaro, corruzione e tangenti. Parla anche di funzionari e

dipendenti pubblici dei quali evidenza la poca trasparenza e la inettitudine nella gestione della cosa

pubblica; parla di imprenditori privati, non trascurando quanti operano nell'ombra dando luogo ad

accordi e spartizioni sottobanco, soprattutto di posti di lavoro. Rostagno era molto ben informato,

già dal febbraio del 1988 e intendeva informare la società civile, per cui rendeva pubblici i legami

tra la mafia trapanese, le logge massoniche segrete di Trapani e la P2 di Licio Gelli. Dalla lettura

della sentenza emerge che Rostagno aveva capito che dietro la facciata del centro culturale

Scontrino e all'interno delle logge massoniche ivi operanti si celava un sodalizio ben strutturato

che, mediante una nutrita rete di rapporti, collegamenti, referenti delle più svariate categorie

sociali, agiva per interessi personali ed incremento di potere del gruppo stesso esercitando indebite

pressioni e intromissioni nell'esercizio delle istituzioni e degli apparati burocratici, alterandone il

regolare svolgimento. Le risultanze dibattimentali hanno dimostrato che l'attività di inchiesta di

Rostagno, approfondita e mirata sul centro studi Scontrino, oltre a rivelare le relazioni con

esponenti della loggia segreta P2, con i cavalieri del lavoro di Catania, mirava a rendere noti i

rapporti fra rappresentanti delle istituzioni, mondo della politica, dell'economia, esponenti mafiosi

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come Agate Mariano o Natale L'Ala. L’attività giornalistica aveva spinto Rostagno a fare domande

indiscrete e a ipotizzare a Trapani insospettabili presenze come quella di Gelli o dei cavalieri del

lavoro di Catania. La attenzione continua sul centro Scontrino era stata notata, aveva creato fastidio

al suo interno, come ha spiegato il teste Giaquinto, tant'è vero che era stato incaricato da Grimaudo

di organizzare un incontro con Rostagno al fine di escludere categoricamente i rapporti con Licio

Gelli. Ma dinanzi al fallimento di questa iniziativa e all'insistenza del giornalista nel raccontare i

poteri forti è scaturita la reazione cioè l’ordine di eliminare l’ostacolo rappresentato dal Rostagno.

Molti avrebbero avuto interesse ad eliminare Mauro Rostagno ma solo Cosa Nostra era in grado

di dare esecuzione all’omicidio. Non v'è dubbio che la mafia trapanese sia stata insofferente

all'attività di Rostagno che da RTC ogni giorno sfidava la mafia, come aveva fatto anche Peppino

Impastato, ucciso dalla mafia perché costituiva un costante pericolo agli interessi delle famiglie

mafiose del Palermitano.

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New York, 1943 Arturo Giammarresi, palermitano emigrato in America, è innamorato di Flora, la nipote del proprietario del ristorante dove lavora come cameriere. Ma lei è già stata promessa dallo zio a Carmelo, figlio del braccio destro di Lucky Luciano. Flora suggerisce ad Arturo di chiedere la mano direttamente al padre, ingenuamente pensando di superare in questo modo la volontà dello zio: il padre però si trova in Sicilia. Arturo accetta la proposta, e per suggellarla si fa un autoscatto con Flora sullo sfondo del Ponte di Brooklyn, per portare la fotografia con sé in Sicilia e mostrarla al padre di Flora.

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Arturo si arruola, ma vista la sua inettitudine è relegato a gestire gli asini da soma. Nel frattempo, in Sicilia, Saro Cupanee Mimmo Passalacqua, uno cieco e l'altro zoppo, in vedetta sulle falesie della costa, osservano lo sbarco degli americani e tentano di avvisare del pericolo gli abitanti del vicino paese di Crisafulli. Gli americani bombardano le case dei civili, procurando morti e distruzione.A sbarco avvenuto avviene il primo contatto con i mafiosi del paese. Don Calò assicura al comandante Vincent Maone che in breve tempo tutti i militari si arrenderanno, e che il paese accoglierà festosamente gli americani liberatori. Così avviene, ed il comandante resta quindi in attesa della lista di mafiosi da liberare vista la preziosa collaborazione prestata, e che deve essere consegnata da un agente OSS appositamente paracadutato: il tenente Philip Catelli.

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Nel frattempo, a New York, don Tano architetta con il figlio l'uccisione di Arturo, e fa recapitare al capomafia del paese di Crisafulli, don Calò, una lettera con le indicazioni anagrafiche del caso. Arturo è diventato amico di Catelli, di cui ammira lealtà e coraggio nel denunciare al maggiore Maone che stanno liberando delinquenti, ricevendo in prestito dal tenente la giacca da ufficiale in modo da fare una buona impressione ai genitori di Flora. Ciò favorisce Arturo, che mostrando la fotografia con Flora sotto il Ponte di Brooklyn, ottiene il consenso alle nozze. Lo scambio di giacca però sarà fatale a Catelli che, avendo preso il posto di Arturo, viene scambiato per lui ed ucciso da mano mafiosa

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Ormai i mafiosi sono prossimi al potere e don Calò viene nominatosindaco sotto l'egida del nuovo partito: la Democrazia Cristiana.

Arturo torna negli Stati Uniti portando con sé la lettera didenuncia delle collusioni con la mafia che Catelli aveva indirizzato alpresidente Franklin Delano Roosevelt. La consegna personalmente alposto di guardia della Casa Bianca, e si siede su una panchina adaspettare fiducioso la reazione del presidente, che però non lomanda a chiamare.

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Pif, con la sua commedia soloapparentemente romantica, cerca dispiegare al resto del mondo cosa sia lamafia e ciò che tutti i siciliani sanno dasempre: che gli americani si allearonocon i mafiosi per facilitare lo sbarco,contenere le perdite e aiutare anche ilcontrollo sociale durantel’occupazione. Il classico adagio“nemico del mio nemico è mio amico”.Successivamente, dato che l’“intesa”funzionò così bene, questo rapportoalleati-mafia si estese anche all’altraguerra, quella “fredda” per il“contenimento” dei comunisti. E qui lamafia diventò un alleato di ghiaccio, dinuovo quello “strumento di governolocale” come lo era già stata per ipiemontesi dal 1860, dopo lo sbarco diGiuseppe Garibaldi. La storia che siripete…

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• Film: In Guerra per Amore, di Pif, 2016

• https://it.wikipedia.org/wiki/In_guerra_per_amore

• https://www.youtube.com/watch?v=ydJY-01ko3o

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Cosa è oggi la mafia? Tratto dal libro di Attilio Bolzoni, La mafia dopo le stragi.

Scrive Letizia Battaglia, la nota fotografa palermitana che con le sue immagini ha immortalato per

decenni vicende di mafia:

“Da dove incomincio? Come la racconto, dove vado? Cosa rispondo alla rivista americana che

mi chiede foto nuove della mafia? […] Fotografie della mafia oggi non ce ne sono. […] I mafiosi

non sembrano più mafiosi […] rassomigliano fisicamente troppo alle persone per bene, spesso

appartengono alle famiglie importanti, spesso non sono più neanche siciliani. E qui è il punto e la

difficoltà. Un gran casino per noi fotografi e, forse, anche per la verità […]”.

La risposta ai quesiti di Letizia Battaglia potrebbe venire dall’intervento di Claudio Fava,

parlamentare e figlio del giornalista Pippo Fava ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984, il quale

così scrive nel medesimo libro:

“[…] Dove cercare la mafia? Io vi dico dove non cercarla. Non cercatela nell’odore del napalm,

che non appesta più i cieli palermitani come in certe calde estati degli anni ’90 […] Non cercatela

nella collezione di pennacchi, lustrini, premi, trombette e berretti a sonagli che decorano una

certa antimafia, esibita ed esibizionista, ludica e luttuosa, furba e rumorosa. Non cercate la mafia

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nel petto scoperto di taluni eroi capaci di andare per comizi indossando il giubbotto antiproiettile

come si fa con l’abitino della festa. Non cercate la mafia in quelli che dicono io sono un

condannato a morte della mafia e se lo sono stampato pure sul biglietto da visita. Non cercatela

nelle fiction, nei film, al cinema, perché quella è solo mafia di cartapesta, è meno pericolosa di

una pernacchia […] Cercatela invece dove non la cerca più nessuno. In certi insospettabili

consigli di amministrazione. Nelle logge massoniche coperte. Nelle carriere fulminee di certi

oscuri ragionieri. Nei cantieri della civilissima Brianza. Nei subappalti per il movimento terra a

mille chilometri dalla Sicilia. Cercate la mafia in prossimità delle parole eleganti e discrete con

cui vi spiegano che la mafia è sempre altrove, altre sono le emergenze, ben altro chiede il Paese.

Infine, cercatela tra i vivi, non solo tra il mesto elenco dei morti. Perché a cantare messa ai morti

sono bravi tutti, onesti e infami […] Parlare dei vivi fa male, ci divide, ci denuda”.

In conclusione, usando le parole di Attilio Bolzoni, possiamo dire “che della mafia oggi sappiamo

tutto e niente. Le mafie hanno preso altre forme, sono élite criminali che puntano ad accorciare

le distanze fra mondo legale e mondo illegale. Sono diventate apparentemente sempre meno

aggressive e sempre più collusive, attraenti”.

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Progetto realizzato con la collaborazione di:

Dirigente Scolastico

Prof. Anna Maria Campo

Docenti

Prof. Armando Bauleo

Prof. Angelo Liuzza

Prof. Teresa Mondino

Prof. Emanuela Romano

Prof. Valeria Rodolosi

Tutor Scolastico

Prof. Alessandra Novara

Giornalista Pubblicista

Gianfranco Criscenti

Tutor Associazione Antiracket Antiusura Trapani

Avv. Giuseppe Novara

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Un ringraziamento per la disponibilità al Prof. Vincenzo Guidotto, al giornalista Fabio Pace,

all’On. Piera Aiello, alla Dott.ssa Cinzia Plaia e a quanti hanno contribuito alla realizzazione del

progetto.

Progetto grafico: Dott. Simone La Porta

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Classe III

Cialfi Yuri, Favuzza Salvatore, Furia Anna Maria, Fiorello Miriam, Magro Simona, Nola

Domenico, Schifano Irene.

Classe IV

Cusumano Giovanni, Genco Daniele, Grammatico Davide, La Porta Mario, Lucido Giovanni,

Marino Luigi, Scaturro Vittorio, Simonte Mariano Alessandro, Valenti Luca.

Classe V

Augugliaro Dalila, Barraco Vito, Buffa Michele, Candela Dario, Cintura Sebastiano, Cutugno

Danilo, Di Discordia Simona, Di Giovanna Francesco, Di Pietra Giulia, Favuzza Giusy, Ferlito

Giovanni, Giammanco Alfredo, Martinelli Francesco, Mastrolembo Davide, Miceli Alberto,

Milana Michelangelo, Morante Fabio, Pisani Fabio Giuseppe, Savona Gianluca, Signorello Giulia,

Vultaggio Marco.

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