Il rating di legalità

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3 febbraio 2015 Autore: avv. Luigi Occhiuto IL RATING DI LEGALITÀ Potenzialità e prospettive applicative

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Autore: avv. Luigi Occhiuto

IL RATING DI LEGALITÀ

Potenzialità e prospettive applicative

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Potenzialità e prospettive applicative

Introduzione: cosa c'è in gioco

In estrema sintesi, il rating di legalità, introdotto nel nostro ordinamento nel 2012, consiste in

un meccanismo di incentivazione e sostegno rivolto alle aziende eticamente virtuose operanti

in Italia. L'intento è quello di premiarne l'impegno sul fronte della legalità attraverso strumenti

di facilitazione dell'accesso al credito, nonché, in prospettiva futura, di preferenza

nell'aggiudicazione di appalti pubblici.

Rinviando al seguito l'approfondimento del funzionamento pratico dell'istituto, preme mettere

subito in evidenza quali e quanto importanti siano gli interessi collettivi che ne stanno alla

base e che fanno apparire poco condivisibile l'atteggiamento eccessivamente critico di chi,

rilevandone gli innegabili limiti attuali, ha sentenziato l'inutilità del nuovo "bollino".

Grazie alla moderna riflessione in merito all'impatto della criminalità sulla società civile è

ormai chiaro a tutti come essa non esponga a rischio solo l'incolumità del singolo individuo,

ma provochi effetti distorsivi dalle conseguenze disastrose soprattutto sulla vita economica

delle nostre comunità.

Per quanto riguarda l'attuale situazione italiana, secondo il parere pressoché unanime di tutti

gli analisti, sono soprattutto gli illeciti delle organizzazioni mafiose e la corruzione a impedire

o rallentare fortemente la ripresa economica anche ora che la fase di crisi più acuta dovrebbe

potersi dire superata.

In particolare, è noto che le organizzazioni mafiose sono oggi in grado di penetrare anche nei

mercati legali attraverso il riciclaggio e l'impiego degli enormi proventi della loro attività

illecita (circa 190 miliardi di euro, già di per se accumulati, in gran parte, attraverso

l'estorsione ai danni delle imprese sane) in imprese nuove o in aziende preesistenti nelle quali

riescono ad infiltrarsi, esercitando una concorrenza estremamente sleale contro le imprese

regolari operanti nel medesimo settore.

Come in un circolo vizioso, l'alterazione delle condizioni di concorrenza del mercato

determina il progressivo impoverimento delle aziende sane - quando non la loro espulsione da

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esso - e la necessità di ricorrere all'indebitamento che, per via delle attuali politiche di

austerità, viene negato nei canali ufficiali (istituti di credito ed enti pubblici). Il disperato

ricorso all'usura chiude il cerchio a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali.

L'indisponibilità degli istituti di credito a concedere finanziamenti e l'incapacità della P.A. di

onorare i propri impegni economici verso i privati finiscono con l'essere terreno fertile per le

mafie, che vedono ingigantirsi il proprio potere economico e la propria influenza nel tessuto

sociale del paese. Per questo l'accesso al credito, oltre ad essere indispensabile per riattivare

gli investimenti produttivi e facilitare la ripresa, diventa vero e proprio strumento di contrasto

alle mafie. Non è un caso, dunque, se nell'impianto originario del rating si è ritenuto di

individuare lo strumento di premialità proprio sul terreno dell'accesso al credito.

Non minori sono gli scempi provocati dalla corruzione. Al di là delle cifre, note e

impressionanti, che descrivono la perdita economica netta che ogni anno questo cancro

provoca alla nostra economia, sconcerta il dato per cui, secondo una stima del Ministero

dell'Economia, le aziende che operano in un contesto corrotto crescono in media del 25% in

meno rispetto alle concorrenti che operano in un'area di legalità.

Secondo quanto riferisce il Centro Studi di Confindustria, se il livello di corruzione dell’Italia,

attualmente fanalino di coda tra i paesi europei, si riducesse fino al livello della Spagna,

potremmo beneficiare di un incremento del PIL stimato nello 0,6% del totale, mentre se esso

fosse stato pari a quello della Francia negli anni fino al 2014, il PIL attuale sarebbe stato di

quasi 300 miliardi di euro superiore.

Sbalordisce ancor di più leggere, in un passaggio dell'ultima Relazione Ocse sulla corruzione

in Italia, una descrizione del rapporto tra corruzione ed "alte sfere" secondo cui"

soprattutto la

".

Mafia e corruzione, insieme con l'ipertrofia legislativa e l'eccessiva pressione fiscale, fanno da

deterrente per qualsiasi investimento straniero (in maniera ben peggiore di quanto non faccia

la nostra regolamentazione del mercato del lavoro, che pure sembra aver tolto il sonno ai

recenti governi) e finiscono, anche in questo senso, per sottrarre possibili risorse alle nostre

aziende.

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In un contesto come quello appena descritto, l'ambizione del rating di legalità è proprio quella

di compensare le distorsioni attualmente esistenti sul mercato a causa dell'elevato tasso

d’illegalità ed espellere da esso le aziende illegali, al fine di restituire competitività alle

imprese sane ed efficienza al sistema produttivo.

Quest’ambizioso obbiettivo non può che avere un orizzonte di medio – lungo periodo ed è

perseguito a partire dal basso, stimolando le imprese ad investire in legalità. I conseguenti

benefici nell'accesso al credito sono, allo stesso tempo, strumento di contrasto essi stessi alla

criminalità organizzata (poiché sottraggono possibili prede alle trappole degli usurai) e

incentivo di breve periodo per i destinatari della normativa.

Infatti, se è giusto guardare al rating di legalità come ad uno strumento potenzialmente in

grado di coniugare, nel lungo periodo, gli interessi dell'intero sistema economico e sociale con

quelli dei singoli imprenditori, è altrettanto giusto prevedere di compensare questi ultimi per

le risorse a ciò dedicate, anche nell'immediato.

A tal fine, la P. A. e gli enti di credito, seppure questi ultimi in maniera più blanda, sono

chiamati ad agevolare le aziende virtuose nell'ottenimento delle risorse finanziarie ad esse

necessarie.

Alle banche, in particolare, sebbene esse siano subito apparse come l'anello debole del

meccanismo, si chiede di essere consapevoli dell'essenzialità del proprio ruolo ai fini della

diffusione del rating, da cui, per altro, potrebbero trarre non trascurabili benefici. Si pensi, ad

esempio, alla maggiore affidabilità che un'impresa eticamente responsabile può garantire loro,

almeno in termini generali, rispetto ad una che non si sia strutturata per il presidio della

legalità; oppure alla riduzione del rischio di venire a contatto con liquidità provenienti da

riciclaggio o con il provento di altro tipo di reati.

Proprio la diffusione sarà uno dei fattori determinanti per il successo o l'insuccesso del

processo avviato con l'introduzione del rating di legalità. In esso, come detto, gli interessi

collettivi di lungo periodo e gli interessi specifici della singola azienda virtuosa nel breve

periodo sono strettamente intrecciati, ed è realistico credere che possano trovare

contemporanea soddisfazione solo in un ambiente di diffusa legalità, tale da estromettere le

aziende illegali escludendole dalla competizione economica. Al contrario, se le aziende

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virtuose rimanessero sparute e isolate, è probabile che esse otterrebbero trascurabili vantaggi

dall'ottenimento del rating.

Tornando alla considerazione iniziale circa la non condivisibilità di certi atteggiamenti troppo

critici se non, addirittura, canzonatori nei confronti dei primi passi mossi dal rating di legalità

in questi due anni di vita, si ritiene che essi possano avere alla base una visione parziale

dell'istituto e non aver colto entrambi gli orizzonti temporali sui quali l'istituto si muove.

In particolare, l'attenzione dei primi commentatori pare essersi soffermata troppo sull'analisi

costi – benefici immediati nell'ottica dell'azienda richiedente ed aver del tutto trascurato

l'obiettivo di lungo termine.

In realtà, se proprio si vuol guardare al rating di legalità in un'ottica costi–benefici, dovrebbe

farsi riferimento non all'immediato vantaggio competitivo realizzabile dalla singola azienda e

nel breve periodo, ma ai benefici che ognuna delle aziende virtuose operanti nel mercato

potrebbe trarre dalla sua chiusura alle aziende illegali e, di conseguenza, da una maggiore

competitività ed efficienza dell'intero sistema economico di cui fanno parte.

In definitiva, pare legittimo guardare con benevolenza a questo nuovo istituto, il quale deve

senza dubbio maturare ma è potenzialmente in grado di incidere in profondamente sul

contesto economico nazionale.

Semmai, sarà opportuno vigilare che le future scelte legislative non abbiano a snaturarne lo

spirito originario, riducendo il rating ad un ennesimo bollino obbligatorio ma vuoto di

contenuti, come successo nei casi di molte altre forme di certificazione e come temuto da

alcune associazioni di categoria che non hanno fatto mistero delle loro riserve.

Funzionamento del rating in sintesi

Come anticipato, il rating di legalità consiste in uno strumento di premialità riservato alle

imprese individuali o in forma collettiva aventi sede operativa nel territorio italiano che

abbiano almeno due anni d’iscrizione nel Registro delle Imprese ed un fatturato minimo di 2

milioni di euro, riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza.

Esso è stato introdotto nel nostro Ordinamento con D.L. n. 1/2012, convertito con

modificazioni in L. n. 27/2012, ma risulta disciplinato puntualmente dal Regolamento

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Attuativo dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) n. 24075/2012, più

volte modificato in questi anni, e dal Decreto n. 57/2014 “MEF-MISE" concernente

l’individuazione delle modalità in base alle quali si tiene conto del rating ai fini della

concessione di finanziamenti.

L'ultima modifica del Regolamento Attuativo

anzidetto è del mese di dicembre 2014 e si è

resa necessaria per recepire gli accordi

contenuti in un recente protocollo d'intesa tra

l'Antitrust e l'Autorità Nazionale

Anticorruzione (ANAC).

I benefici con cui il Legislatore intende

premiare le imprese che abbiano conseguito il

rating di legalità, al momento attuale,

riguardano principalmente l'accesso al credito,

sia pubblico che privato.

Per quanto riguarda il pubblico, il

summenzionato Decreto Mef - Mise prevede

che in sede di predisposizione di provvedimenti

di concessione di finanziamenti alle imprese, le

P.A. predispongano, in favore delle aziende in

possesso del rating almeno un sistema di

premialità tra: preferenza in graduatoria,

attribuzione di un punteggio aggiuntivo e

riserva di quote di risorse finanziarie

impegnate.

Quanto al credito privato, invece, è stabilito che

le banche tengano conto del possesso del rating

nell'istruttoria delle richieste di concessione dei

finanziamenti al fine di ridurne sia i tempi che i

costi. Gli istituti di credito, inoltre, pur rimanendo, evidentemente, liberi di determinarsi in

merito alla convenienza del finanziamento, devono includere il rating di legalità tra le

Modalità di considerazione del

rating di legalità in sede di

concessione di finanziamenti da

parte delle pubbliche

amministrazioni.

- L'impresa che ha conseguito il rating di

legalità e' esonerata dalla dichiarazione

del possesso dei requisiti di cui

all'articolo 2, comma 2, del regolamento

di attuazione , fatta salva l'applicazione

delle disposizioni di cui al c.d. Codice

Antimafia. Resta fermo l'obbligo di

comunicare all'amministrazione

l'eventuale revoca o sospensione del

rating che fosse disposta nei suoi

confronti nel periodo intercorrente tra la

data di richiesta del finanziamento e la

data dell'erogazione del contributo.

- I provvedimenti di cui all'articolo 4,

comma 2, del decreto legislativo 31

marzo 1998, n. 123, nonché i bandi di cui

all'articolo 5, comma 2, e all'articolo 6,

comma 2, del medesimo decreto

legislativo prevedono almeno uno dei

seguenti sistemi di premialità delle

imprese in possesso del rating di legalità:

a) preferenza in graduatoria;

b) attribuzione di punteggio aggiuntivo;

c) riserva di quota delle risorse

finanziarie allocate.

- Il sistema o i sistemi di premialità sono

prescelti in considerazione della natura,

dell'entità e della finalità del

finanziamento, nonché dei destinatari e

della procedura prevista per

l'erogazione e possono essere graduati in

ragione del punteggio conseguito in sede

di attribuzione del rating.

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variabili utilizzate per valutare l'affidabilità dell'impresa. Esse inviano alla Banca d'Italia, con

cadenza annuale, un dettagliato

resoconto sui casi in cui il rating

non ha influito su tempi e sui costi

dell'istruttoria e/o sulle condizioni

economiche di erogazione,

illustrandone i motivi.

In prospettiva futura, fanno ben

sperare i contenuti del menzionato

protocollo d'intesa tra l'Antitrust e

l'ANAC in base ai quali è possibile

aspettarsi che il rating trovi posto

anche tra i requisiti di partecipazione

o di aggiudicazione degli appalti per

lavori pubblici, anche se questo

richiederà un nuovo intervento

legislativo sul Codice degli Appalti

e ci saranno da superare non poche

resistenze, già preventivamente

espresse, da parte di varie categorie

di interessati.

Venendo ai requisiti di

conseguimento del rating bisogna,

innanzitutto, ricordare che esso è

riservato alle imprese che:

1. abbiano sede operativa nel

territorio nazionale;

2. abbiano raggiunto un

fatturato minimo di due milioni di

euro nell’ultimo esercizio chiuso

nell’anno precedente alla richiesta di

Modalità di considerazione del rating di

legalità in sede di accesso al credito

bancario

- Le banche tengono conto della presenza del rating

di legalità attribuito alla impresa nel processo di

istruttoria ai fini di una riduzione dei tempi e dei

costi per la concessione di finanziamenti.

- Definiscono e formalizzano procedure interne per

disciplinare l'utilizzo del rating di legalità e i suoi

riflessi su tempi e sui costi delle istruttorie.

- Considerano il rating di legalità tra le variabili

utilizzate per la valutazione di accesso al credito

dell'impresa e ne tengono conto nella

determinazione delle condizioni economiche di

erogazione, ove ne riscontrino la rilevanza rispetto

all'andamento del rapporto creditizio.

- L'impresa che chiede il finanziamento dichiara di

essere iscritta nell'elenco di cui all'articolo 8 del

regolamento dell'Autorità e si impegna a

comunicare alla banca l'eventuale revoca o

sospensione del rating intervenuta tra la data di

richiesta del finanziamento e la data di erogazione.

- Le banche, nei casi in cui abbiano tenuto conto del

rating di legalità nella determinazione delle

condizioni economiche di erogazione del credito,

verificano, in sede di monitoraggio del credito, la

persistenza del rating di legalità e del punteggio di

rating attribuito all'impresa ai fini dell'eventuale

revisione delle suddette condizioni economiche.

- La Banca d'Italia vigila sull'osservanza da parte

delle banche delle presenti disposizioni.

- Le banche trasmettono annualmente alla Banca

d'Italia una dettagliata relazione sui casi in cui il

rating di legalità non ha influito sui tempi e sui costi

di istruttoria o sulle condizioni economiche di

erogazione illustrandone le ragioni sottostanti. Della

suddetta relazione ciascuna banca fornisce adeguata

pubblicità attraverso il proprio sito internet.

- In base alle informazioni ricevute dalle banche ai

sensi del precedente comma, la Banca d'Italia

pubblica annualmente, a fini statistici, dati

aggregati relativi ai casi di omessa considerazione

del rating di legalità.

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rating, riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza e risultante da un bilancio

regolarmente approvato dall'organo aziendale competente e pubblicato ai sensi di legge;

3. alla data della richiesta di rating, risultino iscritte nel Registro delle Imprese da

almeno due anni.

Soddisfatti tali prerequisiti, affinché possa essere attribuito il punteggio minimo, che si

sostanzia in una stelletta, è necessario che siano rispettate tutte le condizioni previste dal

secondo comma dell'art. 2 del Regolamento AGCM 24075/2012.

Sul sito web del Garante Antitrust dette condizioni sono sintetizzate come segue: "Per

’ v h h ’

rilevanti ai fini del rating (direttore tecnico, direttore generale, rappresentante legale,

amministratori, soci) non sono destinatari di misure di prevenzione e/o cautelari,

sentenze/decreti penali di condanna, sentenze di patteggiamento per reati tributari ex d.lgs.

74/2000, per reati ex d.lgs. n. 231/2001, per i reati di cui agli articoli 346, 346 bis, 353, 353

bis, 354, 355 356 ’ 2 1 1 b

463/1983, convertito dalla legge n. 638/1983. Per i reati di mafia, oltre a non avere subito

condanne, non deve essere stata iniziata azione penale ai sensi dell'art. 405 c.p.p., né

l'impresa dovrà essere destinataria di comunicazioni o informazioni antimafia interdittive in

corso di validità. Nei confronti dell'impresa, inoltre non dovrà essere stato disposto il

commissariamento in base al d.l. n.90/2014 successivamente v L’

stessa non deve essere destinataria di sentenze di condanna né di misure cautelari per gli

illeciti amministrativi dipendenti dai reati di cui al citato d.lgs. n. 231/2001.

L’ v b h

condannata per illeciti antitrust gravi o per violazioni del codice del consumo, per mancato

rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, per violazioni

degli obblighi retributivi, contributivi, assicurativi e fiscali nei confronti dei propri dipendenti

e collaboratori. Non dovrà inoltre avere subito accertamenti di un maggior reddito

imponibile rispetto a quello dichiarato, né avere ricevuto provvedimenti di revoca di

finanziamenti pubblici per i quali non abbia assolto gli obblighi di restituzione e non essere

destinataria di provvedimenti di accertamento del mancato pagamento di imposte e tasse.

Dovrà inoltre dichiarare di non ess vv ’ANAC

di natura pecuniaria e/o interdittiva e che non sussistono annotazioni nel Casellario

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’ 8 D P R 207/2010 h h

alla stipula di contratti con la Pubblica amministrazione o alla partecipazione a procedure di

gara o di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture.

L’ v h

ammontare superiore alla soglia di mille euro esclusivamente con strumenti di pagamento

tracciabili.

Il regolamento prevede 6 ulteriori requisiti che, se rispettati, garantiranno alle imprese il

punteggio massimo di 3 stellette. Se ne verranno rispettati 3 si otterranno due stellette. In

particolare le aziende dovranno:

- P M ’I

Confindustria, delle linee guida che ne costituiscono attuazione, del Protocollo sottoscritto

dal Ministero ’I L C v livello locale dalle Prefetture e

dalle associazioni di categoria;

- utilizzare sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per importi inferiori rispetto a quelli

fissati dalla legge;

- adottare una struttura organizzativa che effettui il controllo di conformità delle attività

v b ’ v

del d.lgs. 231/2001;

- adottare processi per garantire forme di Corporate Social Responsibility;

- essere iscritte in uno degli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori

non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa;

- avere aderito a codici etici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni di

categoria;

-aver adottato modelli organizzativi di prevenzione e di contrasto della corruzione.

S v h ’

v R ’ liari e

b q ’ ’ "

In termini pratici, per poter ottenere l'attribuzione del rating di legalità è necessario farne

domanda attraverso la compilazione e l'invio telematico all'Autorità Garante della

Concorrenza e del Mercato di un apposito formulario in cui il Legale Rappresentante

dell'impresa dovrà attestare il possesso dei requisiti visti sopra.

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L’Autorità, entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta, comunica al richiedente

l’esito della medesima. Se esso è

positivo, l’Autorità inserisce l’impresa

nell’elenco delle imprese dotate del

rating da essa stessa tenuto in

un'apposita sezione del suo sito web.

Ove, invece, intenda negare

l’attribuzione del rating, l'Autorità

deve comunicare all’impresa i motivi

ostativi. Entro il termine di quindici

giorni dal ricevimento della

comunicazione, l’impresa ha il diritto

di presentare per iscritto le proprie

osservazioni.

Il rating di legalità ha durata di due

anni dal rilascio ed è rinnovabile su

richiesta. In sede di rinnovo, l’impresa

invia all’Autorità, nei sessanta giorni

precedenti la scadenza, una

certificazione sottoscritta dal legale

rappresentante che attesti la

permanenza di tutti i requisiti.

A seconda delle situazioni, alla

scadenza il rating può essere

confermato, revocato o modificato.

Anche prima della scadenza il rating è

sempre passibile di revoca,

sospensione e riduzione. La revoca

consegue alla perdita di uno dei

requisiti minimi per l'attribuzione del rating ed ha decorrenza dal momento in cui il requisito

è venuto meno. Laddove il rating sia stato rilasciato sulla base di dichiarazioni false o

La verifica dei requisiti

Dopo aver ricevuto la richiesta di attribuzione del

rating l'Autorità Antitrust ne trasmette copia

integrale al Ministero dell’Interno, al Ministero

della Giustizia e all’Autorità Nazionale

Anticorruzione - Anac, i quali possono formulare

eventuali osservazioni entro trenta giorni dal suo

ricevimento. In questo caso, il termine è prorogato

di trenta giorni.

Le richieste vengono trasmesse, altresì, alla

Commissione Consultiva rating, composta da un

rappresentante dell’Autorità, un rappresentante

del Ministero dell’Interno, un rappresentante del

Ministero della Giustizia, un rappresentante

dell’Anac e un rappresentante del mondo

imprenditoriale. La Commissione, entro il termine

di venti giorni dalla ricezione della richiesta,

segnala l’eventuale sussistenza di elementi e

comportamenti oggettivamente rilevanti ai fini

della valutazione delle suddette richieste, anche

sotto il profilo della violazione di regole di

diligenza e del mancato rispetto dei principi di

legalità informatori dell’ordinamento. Ove

vengano segnalati dalla Commissione, ovvero da

istituzioni preposte al controllo della legalità,

elementi o comportamenti rilevanti l’Autorità

sospende il procedimento per un periodo di tempo

non superiore ai dodici mesi, prorogabile

motivatamente in casi di particolare gravità, al

fine di svolgere i necessari accertamenti.

Sulla base di quanto dichiarato dal legale

rappresentante dell’impresa, l’Autorità può

compiere le verifiche necessarie, anche

richiedendo a tal fine informazioni a tutte le

pubbliche amministrazioni sulla sussistenza dei

requisiti dichiarati dal richiedente per

l’attribuzione del rating di legalità. Le

informazioni richieste alle pubbliche

amministrazioni devono pervenire entro il termine

di quarantacinque giorni dalla richiesta, decorso il

quale l’esistenza dei requisiti dichiarati dalle

imprese si intende confermata. La richiesta di

informazioni alle pubbliche amministrazioni

sospende, per un periodo non superiore a

quarantacinque giorni, il termine di attribuzione.

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mendaci, l’Autorità dispone la revoca a far data dal momento in cui viene a conoscenza della

natura falsa o mendace della dichiarazione.

La sospensione è sempre disposta in conseguenza dell'adozione di misure cautelari personali

o patrimoniali, nell'ambito di un procedimento penale per uno dei reati ostativi all'attribuzione

del punteggio minimo di cui all’articolo 2 del Regolamento e si protrae sino al perdurare

dell’efficacia delle misure cautelari.

Essa è facoltativa, inoltre, nei casi in cui siano pendenti procedimenti per reati il cui

accertamento costituisce motivo di mancata concessione o revoca del rating solo in seguito ad

inoppugnabilità e passaggio in giudicato. L'Autorità, in relazione alla gravità dei fatti e

all'acquisizione di maggiori informazioni relativamente agli stessi, può disporre la

sospensione del rating fintanto che l'accertamento non sia divenuto definitivo.

La riduzione del rating si verifica in seguito al venir meno di uno dei requisiti per

l'ottenimento dei punteggi superiori al minimo, ossia delle “stellette aggiuntive”.

L'Autorità, prima della formale adozione del provvedimento di revoca, di riduzione del

punteggio o di sospensione, comunica all’impresa i motivi che vi danno luogo. Entro il

termine di quindici giorni dal ricevimento della comunicazione, l’impresa ha il diritto di

presentare per iscritto le proprie osservazioni.

Particolarmente rilevante è la previsione normativa per cui anche le informazioni circa la

sospensione e la revoca del rating vengono registrate nell'apposito elenco pubblicato sul sito

web dell'Autorità, poiché, ad avviso di alcuni commentatori, essa costituisce uno degli aspetti

più delicati della disciplina.

A causa di tale forma di pubblicità, l'azienda che abbia ottenuto il rating, magari anche con

punteggio superiore al minimo (il che sta a significare l'adozione di strumenti interni di

presidio attivo della legalità) e che, successivamente, si venga a trovare in una delle situazioni

cui conseguono la sua revoca o sospensione, potrebbe subire, in termini di reputazione, effetti

deteriori rispetto alle concorrenti che non abbiano mai fatto richiesta del rating o non lo

possano ottenere per la sussistenza di una o più circostanze ostative.

Seppure criticabile sotto l'aspetto appena evidenziato, tale meccanismo di pubblicità finisce

con l'avere anche qualche effetto positivo: ad esempio, rende indispensabile che l'impresa si

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preoccupi di mantenere nel tempo le condizioni di legalità che hanno permesso l'attribuzione

del punteggio e le “impone”, a tal fine, ad adottare strumenti di controllo interno e gestione

del rischio.

Prospettive applicative del rating ed interazioni con altri istituti

Rating di legalità e appalti pubblici

Dopo aver suscitato più dubbi che consensi nei primi due anni di vita, il rating di legalità

sembra ora godere di considerazione sempre crescente. Lo dimostra pure il fatto che se ne

stiano attualmente studiando possibili applicazioni nel settore degli appalti pubblici, anche

oltre il ristretto ambito delle procedure informali in cui esso, già ad oggi, sembra

pacificamente utilizzabile.

Una svolta in questo senso è particolarmente caldeggiata dall'Autorità Nazionale

Anticorruzione che già durante l'iter di approvazione del Decreto Legge 133/2014, c.d.

Decreto Sblocca Italia, era riuscita a far inserire in bozza una norma che avrebbe consentito,

in via sperimentale fino al 31 dicembre 2015, l'aggiudicazione di gare di appalto per

l'affidamento di piccole opere sulla base del rating di legalità posseduto dalle imprese

concorrenti.

Più precisamente, si prevedeva che nell'ambito delle gare di affidamento di opere pubbliche di

valore compreso tra 200.000 ed un milione di euro, stabilita preventivamente la percentuale

massima di ribasso ed in caso di parità tra concorrenti che avessero offerto lo stesso ribasso, le

stazioni appaltanti aggiudicassero l'appalto all'impresa che risultasse detenere il rating di

legalità più alto alla data di presentazione dell'offerta. In caso di parità di rating, l'appalto

avrebbe dovuto essere aggiudicato mediante sorteggio pubblico.

Tuttavia, nel testo definitivo del decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 12

settembre 2014 non vi è stata più traccia delle disposizioni prima contenute negli articoli 18 e

18 bis, così come di vari altri strumenti la cui introduzione era stata annunciata dall'Esecutivo

nell'ambito del più generale intervento volto a ridurre alcuni eccessi di burocrazia.

Più di recente, in favore del rating di legalità si sono registrate due importanti iniziative

dell'ANAC che si dimostra molto sensibili alle potenzialità dello strumento quale mezzo di

contrasto della corruzione.

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La prima è rappresentata dalla sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra la stessa ANAC e

l'Antitrust che ha comportato la revisione di alcuni articoli del Regolamento Attuativo del

rating di legalità (con delibera dell'Antitrust n.25207 del 4 dicembre 2014 pubblicata in

Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 2014) e, segnatamente:

- la previsione, tra i reati ostativi all’attribuzione del rating, del millantato credito (art. 346

c.p.), del traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.), della turbata libertà degli incanti (art.

353 c.p.), della turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis c.p.),

dell’astensione dagli incanti (art. 354 c.p.), dell’inadempimento di contratti di pubbliche

forniture (art. 355 c.p.) e della frode nelle pubbliche forniture (356 c.p.);

- l'inclusione, tra le altre condizioni impeditive all'attribuzione del rating, della sussistenza di

provvedimenti sanzionatori dell’ANAC di natura pecuniaria e/o interdittiva, nonché di

annotazioni nel Casellario informatico delle imprese di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 207/2010

che implichino preclusioni alla stipula di contratti con la Pubblica Amministrazione o alla

partecipazione a procedure di gara o di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi o

forniture, ed in particolare annotazioni di episodi di grave negligenza o errore grave

nell'esecuzione dei contratti ovvero gravi inadempienze contrattuali, anche in riferimento

all'osservanza delle norme in materia di sicurezza e degli obblighi derivanti da rapporto di

lavoro, divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato nel biennio

precedente la richiesta di rating;

- la previsione dell’impossibilità di rilasciare il rating alle imprese nei cui confronti sia stato

disposto il commissariamento di cui all’art. 32, comma 1, del decreto legge 24 giugno 2014,

n. 90, convertito in legge dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114. (la cui

proposta spetta al Presidente dell’ANAC);

- la previsione dell’incremento del rating (un segno +) per le imprese che abbiano adottato

modelli organizzativi di prevenzione e di contrasto della corruzione;

- la modifica al procedimento di attribuzione del rating che ora prevede che la relativa

richiesta sia trasmessa (anche) all’ANAC la quale può svolgere osservazioni.

La seconda, notevole iniziativa svolta dall'Anticorruzione con l'obiettivo di introdurre il rating

di legalità nei meccanismi di scelta dei contraenti privati in sede di appalto pubblico è

contenuta nelle “Linee guida per l’affidamento degli appalti pubblici di servizi postali” di cui

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alla Determina del 9 dicembre 2014 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2015.

Essa prevede che “per gli appalti di maggiori dimensioni, le stazioni appaltati possono

valutare l'opportunità di attribuire un punteggio aggiuntivo e proporzionato alle imprese in

possesso del rating di legalità rilasciato dall'Agcm ai sensi dell'art. 5-ter decreto-legge 24

gennaio 2012, n. 1 o di certificazioni equivalenti rilasciati alle imprese straniere da altri

organismi o autorità pubbliche. Ciò poiché possono richiedere il rating di legalità

esclusivamente le imprese italiane con un fatturato superiore ai due milioni di euro. Pertanto,

al fine di garantire l'effettiva partecipazione alle gare, a parità di condizioni, delle piccole e

medie imprese, si suggerisce di introdurre tale criterio di valutazione esclusivamente per gli

appalti per i quali il fatturato minimo di partecipazione, per le imprese che partecipano

h q ”

A proposito delle suddette linee guida, possono trarsi considerazioni interessanti dal modo in

cui si è pervenuti all'inserimento del rating tra i possibili criteri d’incremento del punteggio.

Nella bozza di determinazione originariamente predisposta dall'ANAC e sottoposta alla

valutazione dei potenziali interessati attraverso consultazione on line, non vi era alcun

riferimento al rating di legalità.

L'utilizzo del rating in funzione selettiva del concorrente aggiudicatario è stato suggerito,

durante la fase di consultazione pubblica, dalla FISE Are, l'associazione di Confindustria che

rappresenta le aziende private di recapito e distribuzione postale, secondo la quale “sarebbe

opportuno tenere c ’AGCM ’ 5

d.l. 1/2012, quanto meno ai fini di un punteggio aggiuntivo. Non ci sarebbe infatti contrasto,

v h b ’A v esclusione

previste dal Codice dei contratti pubblici qualora tale requisito fosse previsto ai fini del

calcolo del punteggio e non come requisito escludente. Il rilascio del rating certifica tutta una

serie di principi etici e darebbe concretezza ai principi di carattere generale richiesti dal

Codice dei contratti pubblici”.

In un primo momento, l’ANAC aveva osservato che, allo stato attuale della normativa, del

rating di legalità si potrebbe tenere conto esclusivamente in sede di concessione di

finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni ed in sede di accesso al credito

bancario e non quale requisito di partecipazione negli appalti pubblici, anche perché ciò

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sembrerebbe porsi in contrasto con il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito

dall’art. 46, c. 1-bis,

del Codice degli

Appalti.

Alla fine, il

suggerimento della

Fise ARE è stato

accolto ed il rating

introdotto nelle

Linee Guida quale

possibile criterio per

l'ottenimento di un

punteggio

aggiuntivo.

Tuttavia, il dubbio

sulla compatibilità di

tale soluzione con

l'attuale quadro

normativo in materia

di appalti rimane, e

non è difficile

immaginare che sarà

affrontato in sede

giudiziaria,

nell'eventualità, in

vero assai probabile,

che essa dia luogo a

ricorsi da parte dei

soggetti che se ne ritengano danneggiati e salvo, ovviamente, che prima non intervenga

l'attesa riforma del settore a chiarire se ed in che misura le stazioni appaltanti possano

effettivamente tenere conto del rating.

Precedenti giurisprudenziali analoghi

la questione dell'utilizzabilità del rating di legalità nell'ambito degli

appalti pubblici non è stata ancora affrontata dalla Giurisprudenza.

Tuttavia, negli anni passati, una questione analoga aveva riguardato

la possibilità di riconoscere incrementi di punteggio alle aziende

dotate di certificazione di qualità ed era stata per lo più risolta, dai

Tribunali Amministrativi chiamati a giudicare, in senso negativo,

proprio sulla base del già citato principio di tassatività, nonché del

principio di separazione fra i criteri soggettivi di qualificazione e

quelli oggettivi di valutazione dell’offerta.

È da registrare anche una recente decisione giurisprudenziale in

controtendenza che, con specifico riferimento ai “protocolli di

legalità”, ha affermato la legittimità del loro inserimento tra i

requisiti di ammissione alla gara.

Il riferimento è alla decisione del Consiglio di Giustizia

Amministrativa per la Regione siciliana di cui alla sentenza non

definitiva n. 490 del 2014, in merito all'impugnazione di un

disciplinare di gara, nella parte in cui esso comminava la sanzione

espulsiva per la mancanza della dichiarazione di accettazione del

protocollo di legalità. Il Consiglio ha ritenuto, nella suddetta sentenza

non definitiva, che – sebbene nell’ordinamento italiano viga il

principio della tassatività delle cause di esclusione – nondimeno l’art.

46, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006 considera legittime le

esclusioni disposte in base alle leggi vigenti. In questo caso la norma

legittimante è stata rintracciata nell'art. 1, comma 17 della Legge n.

190 del 2012, la c.d. Legge Anticorruzione, secondo il quale “le

stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o

lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei

protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di

esclusione dalla gara”.

Seppur convinto della correttezza della propria interpretazione dal

punto di vista del diritto interno, il Consiglio di Giustizia Siciliano ha

espresso dei dubbi residui in merito al profilo della compatibilità con

il diritto dell’Unione europea di una clausola che preveda la sopra

descritta causa di esclusione, posto che la direttiva 2004/18/CE, del

pari ispirata a un principio di tendenziale tassatività dei motivi di

esclusione, non contempla un’analoga previsione. A fronte di questi

dubbi, la questione è stata sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia

Europea che, a quanto consta, non si è ancora pronunciata.

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Per concludere in punto di utilizzabilità del rating di legalità nei procedimenti di evidenza

pubblica, in attesa di chiarimenti definitivi da parte della Giurisprudenza o del Legislatore

della riforma, è utile rilevare una divisione tra le associazioni di rappresentanza delle varie

categorie di operatori del mercato.

Se da un lato associazioni come quelle facenti capo a Confindustria guardano con favore a

tale soluzione, riconoscendo le potenzialità degli strumenti di self regulation, altre, come

l'ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) e l'Assonime (Associazione fra le Società

Italiane per Azioni) manifestano ampie resistenze che, a ben guardare, derivano non dalla

diffidenza verso lo strumento in sé, ma dal timore (giustificabile, purtroppo) che di esso possa

farsi un mero mercimonio trasformandolo in un ennesimo e costoso orpello burocratico a

carico delle imprese.

Quel che è certo è che un generalizzato recepimento dell'istituto del rating di legalità

all'interno della normativa sugli appalti, potrebbe ottenere il doppio risultato di dare un

impulso determinante e definitivo allo strumento, superando ogni resistenza fondata

sull'incertezza o sulla scarsa attrattiva degli attuali benefici, e di stimolare le imprese a

competere sul piano della legalità ai fini dell'aggiudicazione delle gare.

Nella prospettiva del Pubblico, parallelamente, tale soluzione consentirebbe di effettuare una

selezione delle imprese più affidabili poiché impegnate a raggiungere e mantenere nel tempo

determinati standard nel presidio della legalità all'interno delle proprie organizzazioni.

Beni sottratti alla criminalità

Fin dalla sua introduzione, è stata riconosciuta al rating di legalità la propensione a fornire

sostegno agli strumenti giuridici riguardanti i beni sottratti alla criminalità. Già nell'originaria

formulazione, accogliendo le osservazioni avanzate da Confindustria in sede di pubblica

consultazione, il Regolamento Attuativo prevedeva una parziale deroga alle norme

disciplinanti i requisiti minimi, tale da consentire l'attribuzione del rating anche ad imprese

sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno

1992, n. 306, nonché ad imprese sottoposte alle misure di prevenzione patrimoniale del

sequestro o della confisca ai sensi del c. d. Codice Antimafia (decreto legislativo 6 settembre

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2011, n. 159), qualora esse fossero state affidate ad un custode o amministratore giudiziario o

finanziario per finalità di continuazione o ripresa dell’attività produttiva.1

Non che non vi siano state resistenze. L’Ance, ad esempio, ha fin da subito espresso la propria

contrarietà a tale soluzione. In una nota pubblicata sul proprio portale web, essa ha

evidenziato “ h h ò ’

vantaggio di quelle imprese che hanno operato e proliferato grazie a comportamenti illeciti

propri della criminalità organizzata. Vale la pena ricordare, infatti, che tali imprese sono

cresciute ed hanno prosperato grazie a comportamenti criminali, proprio in danno alle

imprese sane che, al contrario, hanno agito in modo etico e trasparente su quegli stessi

territori. Sarebbe opportuno, invece, che il punteggio aggiuntivo, ai fini del rating di legalità,

venisse attribuito solo nel caso in cui la gestione fosse affidata a un soggetto imprenditoriale

privato, scelto mediante un confronto concorrenziale pubblico, indetto, entro una data

predeterminata non super ’

Giudice ai sensi dell'art. 12 sexies, del DL 306/1992 convertito con modificazioni in legge

356/92. Il soggetto imprenditoriale, costituito nelle forme societarie individuali o consortili

previste dalla legge, dovrà, oltre ad essere in regola con la normativa antimafia, possedere

tutti i requisiti previsti dal Regolamento attuativo del rating di legalità.

E’ h h ’ ’ e

’ v b

’ v v bb

imprenditoriali, in grado, grazie ad un progetto industriale, di offrire una soluzione alla

gestione delle aziende e, allo stesso tempo, di salvaguardare posti di lavoro”.

Ciononostante, la deroga in favore delle aziende sequestrate, confiscate ed assoggettate a

misure di prevenzione patrimoniale è rimasta ferma anche in seguito alle successive

modifiche del regolamento Attuativo ed è presente nel testo attualmente vigente.

Essa appare opportuna se si pensa alle già gravi difficoltà finora incontrate nel tentativo di

dare continuità alle attività produttive sottratte al malaffare, soprattutto a causa

dell'indisponibilità di mezzi finanziari con cui custodi e amministratori si vengono a misurare

1 L'art. 2, comma 2 n. 5 prevede, altresì, che il rating possa essere attribuito se i beni aziendali oggetto di confisca definitiva

siano stati destinati all’affitto o alla vendita in favore di società o imprese pubbliche o private per finalità di continuazione o

ripresa dell’attività produttiva con provvedimento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione, la gestione e la destinazione

dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ai sensi dell’articolo 48, comma 8 del decreto legislativo 6

settembre 2011, n. 159.

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all'indomani dell'affidamento, anche in quei casi in cui l'azienda aveva goduto della fiducia

degli istituti di credito fino al momento della sottrazione.

Per altro verso, è innegabile che attraverso il sostegno prestato alle aziende oggetto di

provvedimenti antimafia si persegue il fine di interesse generale di salvaguardarne il valore

economico ed occupazionale e ciò finisce per ridimensionare l'aspetto, per così dire,

anticoncorrenziale sottolineato dall'ANCE.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive è possibile che nelle osservazioni avanzate da quest'ultima si

fosse colto nel segno ravvisando un favor forse eccessivo per le aziende sottratte alla

criminalità, cui si riconosce una sorta di “riacquisizione della verginità”, quanto ai trascorsi

penali, per il solo fatto che esse siano state affidate all'amministratore o al custode per la

ripresa dell'attività produttiva.

Se è vero che le potenzialità del rating dovrebbero essere misurate avendo riguardo ai

vantaggi collettivi che un suo uso generalizzato da parte di amministrazioni ed aziende

potrebbe portare all'intero sistema economico, allora l'attuale apertura in favore delle aziende

sequestrate e confiscate dovrebbe essere intesa non nel senso di garantire loro, in ogni caso,

l'attribuzione del rating, ma di non precludere tale “premio” ai soggetti chiamati a gestirle,

qualora s’impegnino fattivamente in un processo di ripristino della piena legalità e nella

costruzione di un sistema organizzativo che faccia ad essa da presidio nel tempo.

In altri termini, va bene permettere alle aziende qui considerate di ottenere l'attribuzione del

rating nonostante la mancanza di uno o più requisiti minimi richiesti in via generale, ma a

fronte di tale favore potrebbe, forse, pretendersi che i nuovi amministratori intraprendano un

percorso d’innovazione sul piano della legalità e della diffusione dei valori etici, nonché,

almeno nelle realtà le cui dimensioni lo permettano, predispongano strumenti organizzativi

idonei a impedire la commissione di nuovi reati.

Illeciti antitrust e pratiche commerciali scorrette

Forse, sono rimaste poco esplorate le potenzialità del rating di legalità quale fattore di

ulteriore deterrenza (rispetto alle sanzioni già previste nelle normative specifiche) in relazione

agli illeciti antitrust e alle pratiche commerciali scorrette.

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Nei confronti delle grandi imprese e soprattutto per le infrazioni al codice del consumo spesso

capita che le sanzioni applicate e applicabili dall'Autorità competente risultino avere limitata

efficacia dissuasiva. Ciò può succedere perché viene percepita una bassa probabilità di subire

effettivamente la sanzione, oppure perché la misura (quanto alle sanzioni pecuniarie) o gli

effetti (quanto alle sanzioni di altro genere) di quest'ultima vengono, per così dire, accettati

come costo o come rischio d'impresa.

In altri termini, può darsi che il guadagno atteso da una o più operazioni che potrebbero dare

luogo a sanzione sia grandemente più rilevante rispetto alla sanzione che si rischia di subire (o

anche che si è certi di subire!). Ciò va a tutto svantaggio della concorrenzialità del mercato e

dei diritti dei consumatori che, spesso, si trovano privi di efficaci strumenti di tutela

preventiva.

Come accennato in precedenza, l'esistenza di provvedimenti di condanna subiti per illeciti

antitrust gravi o per pratiche commerciali scorrette o per inottemperanza a quanto disposto

dall'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato ai sensi dell'art. 27 c.12 del Codice del

Consumo che siano divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato nel

biennio precedente la richiesta di rating, ne impedirebbero l'ottenimento ovvero, qualora

fossero successivi alla sua concessione, ne comporterebbero la revoca. Il rating, inoltre,

potrebbe essere sospeso, avuto riguardo alla gravità dei fatti, nel periodo intercorrente tra

l'intervento del provvedimento e la sua eventuale inoppugnabilità.

Ovvio che per aziende molto grandi, allo stato attuale della normativa sul rating, ciò non

costituisca un problema. Per esse il rating di legalità continuerà ad avere uno scarso appeal2

fino a quando i benefici ad esso collegati saranno limitati alla sfera dell'acceso ai

finanziamenti pubblici ed al credito privato. Tuttavia, se veramente si riuscissero a superare,

anche con le opportune riforme normative, le resistenze che, ad oggi, impediscono di

utilizzare detto strumento ai fini della selezione delle imprese private nell'ambito delle

commesse provenienti dalla Pubblica Amministrazione, allora esso potrebbe diventare, anche

per le grandi aziende, un vero e proprio asset da conseguire e conservare.

In questo caso, il rischio di non poter accedere al rating o di poterlo perdere, laddove già

ottenuto, potrebbe giungere a costituire il vero fattore deterrente nell'insieme delle

2 Secondo i dati diffusi dall'Antitrust, circa l’80% delle imprese che hanno richiesto il rating di legalità realizza un fatturato

tra i 2 e i 50 milioni di euro all’anno. Sono meno del 3% invece quelle che hanno un volume d’affari superiore ai 300 milioni.

La maggior parte ha meno di 100 addetti (78%), contro un 3% che occupa più di mille persone.

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conseguenze che l'ordinamento ricollega agli illeciti antitrust (gravi) ed alle pratiche

commerciali scorrette. Non è difficile immaginare che tale rischio, sarebbe percepito come

grave (anche se confrontato con gli ipotizzati vantaggi dell'attività vietata) e darebbe luogo

alla necessità di specifico presidio attraverso una mirata compliance.

Rapporti con la responsabilità degli enti

Nel meccanismo del rating di legalità gioca un ruolo fondamentale la normativa dettata dal

D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 in materia di responsabilità amministrativa delle persone

giuridiche.

Com’è noto, a decorrere dalla sua entrata in vigore nel nostro Ordinamento, anche le persone

giuridiche possono essere chiamate a rispondere del compimento di determinati reati da parte

di persone fisiche che, a vario titolo, fanno parte della loro organizzazione, a condizione che i

reati stessi siano stati commessi nell'interesse o a vantaggio di esse.

Tale forma di responsabilità non è conseguenza di qualsiasi tipo d’illecito, ma solo di quelli

tassativamente indicati negli articoli 24 e seguenti del Decreto 231/01, i cosiddetti “reati

presupposto”. Nei casi da esso disciplinati, da un'unica fattispecie criminosa possono

discendere conseguenze afflittive sia nei confronti dell'autore materiale che dell'ente nel suo

complesso. Si tratta di due forme di responsabilità diverse ed autonome e ben può capitare che

l'ente sia condannato in assenza di condanna dell'autore materiale o viceversa.

Il punto di contatto più importante tra le due normative consiste nel fatto che gli illeciti

ostativi alla concessione ed al mantenimento del rating di legalità sono, in gran parte,

individuati dal Regolamento Attuativo attraverso il rinvio ai “reati presupposto” del Decreto

231/01 e ciò non solo per quanto riguarda gli enti collettivi (originari destinatari di tale

normativa), ma anche per quanto riguarda le ditte individuali.

È importante rimarcare, per quanto riguarda gli enti, che le eventuali condanne per uno dei

“reati presupposto” rilevano non solo nel caso in cui l'ente stesso abbia subito una sentenza di

condanna, ma anche nel caso in cui, pur in assenza di conseguenze per quest'ultimo, siano

stati i suoi amministratori o il direttore generale o il direttore tecnico o il rappresentante legale

o i soci persone fisiche titolari di partecipazione di maggioranza, anche relativa, ad aver

subito condanne o altri strumenti di repressione penale per uno dei reati presupposto.

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In altre parole non è necessario che la società sia stata condannata ai sensi del Decreto 231/01,

ma è sufficiente che uno dei reati da esso previsti sia stato accertato in capo a uno dei soggetti

indicati dal secondo comma lettera b) del Regolamento Attuativo.

Essendo il catalogo dei reati presupposto del Decreto 231/01 soggetto a continua integrazione

e modifica (per altro in maniera non sempre coerente), il rinvio ad esso operato dal

Regolamento Attuativo rende anche l'insieme degli illeciti incompatibili con l'ottenimento ed

il mantenimento del rating abbastanza fluido e variabile.

A fronte dell'introduzione, in danno delle società, del rischio di essere sanzionate per i

comportamenti illeciti posti in essere dai propri rappresentanti, amministratori e dipendenti, il

Decreto 231/01 individua esplicitamente il presidio che esse possono mettere in atto per

andare esenti da responsabilità. È, infatti, attribuita efficacia esimente alla circostanza che gli

enti, prima della commissione del fatto, avessero adottato ed efficacemente attuato un

modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire i reati analoghi a quello contestato,

ne avessero affidato la vigilanza ad un organismo interno (organismo di vigilanza) dotato di

autonomi poteri di controllo e iniziativa e che, nonostante ciò, l'illecito sia stato reso possibile

da una fraudolenta elusione del modello da parte del suo autore materiale.

Si tratta, in buona sostanza, di sistemi di gestione e controllo delle attività aziendali che fanno

applicazione delle best practice di gestione dei rischi d'impresa individuate a livello

internazionale, applicandole al presidio del rischio di commissione dei reati.

Essi costituiscono il secondo punto di contatto tra la normativa sulla responsabilità

amministrativa degli enti ed il rating di legalità, il cui Regolamento Attuativo prevede che ai

richiedenti in possesso dei requisiti minimi possa essere concesso anche un punteggio

ulteriore qualora abbiano adottato un modello organizzativo ai sensi del Decreto 231/01.

Con una certa approssimazione, tuttavia, ai fini dell'attribuzione del maggior punteggio, il

Regolamento Attuativo equipara l'adozione dei modelli organizzativi alla costituzione di una

funzione compliance interna o esterna all'azienda “che espleti il controllo di conformità delle

attività aziendali a disposizioni normative applicabili all'impresa”, nonostante le due

alternative siano tutt'altro che equivalenti.

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Infatti, i modelli richiamati dal Decreto 231/01 dovrebbero essere dei veri e propri sistemi di

gestione nei quali tutte le funzioni (o, meglio, i processi) delle aziende, compresa quella di

compliance, dovrebbero essere integrate con l'obiettivo di impedire la commissione dei reati.

Rispetto al semplice controllo di conformità, essi costituiscono qualcosa di molto più ampio e

“impegnativo” per le organizzazioni collettive, e sono destinati all'inefficacia qualora non

siano tali da consentirvi l'instaurazione di un clima di legalità e di rispetto delle regole.

Se questi sono gli aspetti che rendono esplicito il collegamento tra le due discipline qui

richiamate, non possono trascurarsi alcune ulteriori connessioni forse meno evidenti.

Entrambi gli istituti condividono la circostanza di rappresentare un incentivo alle imprese ad

agire eticamente e nel rispetto della legalità. Entrambi prefigurano un vantaggio diretto

conseguibile dalle imprese virtuose – l'esenzione dalla responsabilità amministrativa nel caso

del Decreto 231/01 e l'accesso al credito nel caso del rating – ma entrambe hanno come fine

ultimo la lotta ai fattori distorsivi dell'efficienza e della concorrenzialità del mercato.

Essi possono darsi vicendevole sostegno. Nell'ottica dell'impresa che voglia investire in

legalità come fattore di innovazione al fine di trarne un vantaggio competitivo nel medio-

lungo periodo, l'ottenimento del rating, con i suoi benefici in termini di accesso al credito,

potrebbe consentire di rientrare, già nel breve periodo, delle risorse impegnate per l'adozione

e l'attuazione dei modelli organizzativi di gestione. Questi ultimi, a loro volta, sono l'unico

strumento veramente efficace per prevenire il rischio che eventuali sospensioni o revoche del

rating ne annullino gli effetti positivi, non ultimo sotto l'aspetto della reputazione, attraverso

il criticato meccanismo della pubblicazione nell'elenco tenuto dall'Antitrust.

La diffusione del rating e sue potenzialità per il Sud Italia

Consultando l'elenco pubblico presente sul portale web dell'Autorità Antitrust è possibile

ricavare il numero complessivo delle aziende cui è stato riconosciuto il rating di legalità. Alla

data di chiusura del presente lavoro esse erano 297 e, tra di loro, ben poche erano quelle cui è

stata attribuita solo la prima stelletta. Questo non è un elemento da poco, se si considera che

tra i requisiti di concessione delle stellette aggiuntive ci sono quelli che maggiormente

rivelano un atteggiamento attivo dell'impresa nella prevenzione dell'illegalità che va oltre

l'adempimento di ciò che è obbligatorio, nonché, in alcuni casi, la sua attenzione verso gli

attualissimi temi della responsabilità sociale e della sostenibilità.

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Il dato numerico complessivo sconta una partenza in sordina nel primo biennio successivo

all'introduzione del rating, ma il trend è sicuramente di crescita, anche grazie all'aumentare

dell'interesse dei media, alla definizione degli strumenti premiali attraverso il citato Decreto

MISE-MEF del 2014 e alla prospettata estensione all'ambito degli appalti pubblici.

Secondo le stime dell'Antitrust, le richieste sono più che raddoppiate nel 2014, rispetto

all'anno precedente. Nel 2013 esse furono 142, contro le 402 del 2014, per un totale di 544 al

31 dicembre scorso, e continuano ad aumentare di giorno in giorno anche nel nuovo anno.

In complesso, dall’entrata in vigore del Regolamento Attuativo a tutto il 2014 il rating è stato

attribuito ad una percentuale pari quasi al 50% delle aziende richiedenti, contro 12 dinieghi.

In 64 casi le richieste sono state considerate non valutabili, perché il fatturato delle aziende

non raggiungeva la soglia minima, mentre erano 173 le richieste in corso d’esame.

Allo stesso tempo, non può essere sottovalutato il dato che vede le imprese già in possesso del

rating, distribuite su tutto il territorio nazionale con una certa omogeneità (rapportata,

ovviamente, alla diversa densità di attività produttive rilevabile nelle varie Regioni). Al

contrario di quello che si potrebbe superficialmente pensare, anche nelle Regioni meridionali

ci sono imprese la cui domanda di legalità è forte e che sono pronte a investirvi tempo e

risorse.

Se c'è un'area del Paese dove fare business in modo etico e nel pieno rispetto della legalità è

davvero una “impresa” meritevole di massimo sostegno ed appoggio da parte di tutte le

Istituzioni, dove l'esigenza di far emergere le esperienze positive e virtuose è più impellente,

dove è vitale distinguere le aziende marce da quelle sane e rendere disponibili a queste ultime

dei canali preferenziali per l'accesso alle risorse finanziarie, quella è certamente il Meridione

d'Italia poiché i luoghi in cui la criminalità organizzata di tipo mafioso ha avuto origine sono

anche quelli in cui essa esercita il maggior ostacolo alla crescita ed il più penetrante controllo

sociale.

Con il giusto sostegno da parte di tutti gli attori istituzionali e con le necessarie riforme

normative, il rating di legalità potrebbe davvero costituire per le aziende che operano in

queste aree un vantaggio competitivo con cui cercare di colmare il gap che le separa dalle

aziende del resto d'Italia e d'Europa.

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Conclusioni

Per valutare l'efficacia di un qualsiasi strumento è necessario considerarne le qualità, anche

potenziali o latenti, ed i margini di sviluppo senza lasciarsi condizionare dal giudizio sul

soggetto che ne dovrà far uso.

Nel caso di un congegno normativo deputato a incentivare soggetti privati ad adottare

comportamenti etici e conformi alla legge può essere forte la tentazione di ritenere che esso

non potrà che essere disapplicato o fuorviato a causa della scarsa propensione italiana al

rispetto delle regole. Oppure che esso si ridurrà ad un mero adempimento burocratico o un

affare per società di consulenza e certificazione. O, ancora, che sia uno strumento

concettualmente sbagliato poiché non dovrebbe darsi un premio alle aziende rispettose della

legge, ma punire sempre e gravemente quelle che non fanno altrettanto.

Purtroppo, è vero che molte delle esperienze passate legittimano una certa prudenza

nell'esprimersi in favore del rating di legalità.

Tuttavia, è opinione di chi scrive che il successo di questo strumento possa essere facilitato da

una crescente domanda di legalità che non è più solo dei cittadini o delle istituzioni. Sembra

di intravvedere, finalmente, una richiesta di legalità che PARTE dalle aziende italiane, le

quali paiono aver abbandonato l'inconfessabile convinzione che l'illegalità possa essere una

strategia conveniente anche nel lungo periodo.

La legalità è faticosa, certo, ma non è un lusso di cui si possa fare più a meno, poiché senza di

essa non vi è crescita. Ed il rating può essere un valido incentivo ed un supporto per le

imprese che abbiano maturato questa consapevolezza.

Se si riconosce ad esso una capacità almeno potenziale di incidere positivamente sulla

competitività e sull'efficienza del mercato, bisogna essere anche consapevoli che ciò non è

ipotizzabile se non con una diffusione molto ampia dello strumento e che un eccessivo

pessimismo, ancorché giustificabile, costituirebbe certamente un ostacolo in tal senso.

Dubitare che il rating possa proseguire il percorso ipotizzato è sicuramente lecito, ma

l'investimento in legalità può essere comunque una scommessa vincente. Esso è in grado di

ripagarsi da solo ed anche senza riconoscimenti esterni, poiché – rating o non rating - potrà

comunque consentire all'azienda un più incisivo controllo delle performance, conferire

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maggiore affidabilità di fronte ai partner commerciali, migliorare la reputazione e, in caso di

necessità, rendere possibile l'esenzione dalla responsabilità amministrativa a carico delle

società prevista dal Decreto 231/01.