Preparazione Psicologica Alla Difesa Personale

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PREPARAZIONE PSICOLOGICA ALLA DIFESA

PERSONALE

 L'apprendimento di tecniche di autodifesa è

 sostanzialmente inutile senza un adeguato training

 psicologico.

 In questo articolo chiariamo il perché. 

Ultimo aggiornamento 23/1/2!

 

 Non basta girare armati,

apprendere un'arte

marziale, aver frequentato

un corso di autodifesa per

 poter dire "mi so

difendere".Chi dice così,

semplicemente, non si è

mai trovato veramente nei

guai e sta coltivando

 pericolose oltre che false

sicurezze.

 Non basta allenarsi

duramente, magari per

anni, a tirare pugni e calci

ad una sacco, o faresparring con i compagni in

 palestra.

 Non basta nemmeno munirsi di armi varie (legali o meno per essere in grado di difendersi.

!erch quando si affronta la realt#, magari rappresentata da un vero picchiatore da strada o da un

 bandito armato, lo scenario per il quale credevamo di essere preparati, cambia totalmente.

$ così leggiamo i casi di istruttori di arti marziali, o comunque di praticanti avanzati, come cinture

nere o simili, i quali nel momento della verit#, magari nel sottopassaggio della stazione, hanno

sperimentato un'umiliante incapacit# di reagire efficacemente. %ubendone le conseguenze, è chiaro.

&e performance di alcuni portatori di armi, poi, sono al limite del grottesco, visto che qualcuno è

riuscito a spararsi su un piede nel convulso tentativo di tirare fuori l'arma.

Certi portatori di coltello, o di spra accecante, nemmeno sono riusciti a estrarre dalla tasca il

marchingegno, disorientati e shocati com'erano.

)lcuni sotto l'effetto del panico, si sono addirittura dimenticati di averlo appresso, salvo

ricordarsene a cose finite...

Cos'è successo quindi*

!erch persone tecnicamente preparate a difendersi (almeno sulla carta hanno dato una prova così

deludente*

&a risposta è complessa e risiede tanto nell'aspetto per così dire "cognitivo" che in quello

 psicofisico e caratteriale della vittima.

+. !er quanto riguarda il primo punto, quello cognitivo, il pi delle volte è mancata laconoscenza dei rituali di attacco del combattente da strada e il fattore sorpresa ha giocato a

sfavore della vittima.

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-n palestra, difficilmente vengono affrontati questi argomenti prima di un combattimento ci

si saluta, a volte ci si da la mano, poi inizia un duello leale, con tanto di regole ed un arbitro

che garantisce sul loro rispetto.

!er strada, chiaramente, non è così. &a prima regola è che non ci sono regole e poi il rituale

che porta allo scontro il pi delle volte è coperto, subdolo.

%e non conoscete questo rituale, vi trovate a chiedervi se quello ha veramente intenzione di

attaccarvi, e mentre ve lo chiedete vi arriva un pugno in faccia che vi stende. Nelle palestre, così come nei corsi di autodifesa, troppo spesso si allenano le persone a

reagire all'aspetto "fisico" dell'aggressione. &'istruttore dir# "$cco, lui vi afferra così, voi vi

girate e colpite col gomito...", per fare un esempio.

 Non dico che sia sbagliato tecnicamente. -l problema, semmai, è quello di agire prima di

dover reagire e ci/ è possibile solo giocando d'anticipo, capendo al volo che tipo di

avversario vi trovate di fronte ed in che modo agir#.

!urtroppo, nessun delinquente vi attaccher# dandovi il tempo di reagire.

!er fare questo ricorrer# alla sorpresa e per avere la sorpresa dalla sua parte, ricorrer#

all'inganno. !er questo un ruolo importantissimo è dato dalla lettura ed interpretazione del

linguaggio del corpo, l'unico in grado di darci indizi attendibili sulle vere intenzioni

dell'altro.&'incapacit# di riconoscere i segni premonitori di un attacco, far# sì che la vittima, magari

reduce da mesi di allenamento in palestra, si trovi 01 ancora prima di realizzare che

l'aggressione è in corso.

2. -l secondo punto è la sostanziale impreparazione dei pi nel fronteggiare le reazioni

 psicofisiche legate alla paura.

3ivere al riparo della societ# civile, o almeno nella presunzione che sia così, ha di fatto

ridotto la nostra abitudine a fare i conti con questa emozione primaria. -l risultato è che,

quando ci imbattiamo in situazioni di pericolo, non abbiamo pi schemi adeguati per farvi

fronte.

)llora è normale sperimentare paralisi e indecisioni che possono risultare disastrose quando,invece, sarebbero richieste reazioni immediate e risolutive.

&e persone che cadono vittime degli eventi, facilmente rimangono disorientate e bloccate a

causa dei sintomi fisiologici che si accompagnano alla paura intensa dispnea, tachicardia,

tremori, secchezza delle mucose, limitazioni del capo visivo (il cosiddetto "effetto tunnel",

rigidit# dei movimenti, fino alla paralisi, ecc.

)ddestrare una persona a combattere la paura non è facile, soprattutto perch ognuno di noi

reagisce in modo diverso alle diverse situazioni di pericolo e perch ognuno di noi ha una

soglia di sopportazione diversa rispetto agli eventi stressanti. Così ci sono persone che

 precipitano nel panico di fronte a stress moderati, come il parlare in pubblico, e altri che

sembrano reagire con freddezza a situazioni di rischio estremo.

4n'altra complicazione è data dal fatto che per imparare a vincere la paura l'unico mezzorealmente valido è... 5uello di provare paura pi e pi volte, in modo da diminuire la nostra

sensibilit# verso quest'emozione primaria. 4na sorta di "vaccinazione", quindi, che passa

attraverso la presa di coscienza delle nostre reazioni di fronte al pericolo.

3a da s che è praticamente impossibile riprodurre in un corso di autodifesa la situazione di

stress emotivo che si genera durante un'aggressione, senza far correre seri rischi all'allievo.

&'addestramento a vincere la paura rappresenta quindi una delle sfide pi ardue per chi si

occupa di formare le persone all'autodifesa.

6. -l terzo punto, ma non per importanza, è legato agli aspetti caratteriali ed educativi della

 persona.

-n questo senso, il combattente da strada ha caratteristiche ben precise e non possederlerappresenta uno svantaggio incolmabile, quando si deve combattere per la vita.

$' inutile possedere un'arma, avere il miglior addestramento tecnico, sapere controllare la

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 paura se poi, al momento della verit#, esiterete perch vi ripugna vedere schizzare il sangue

dal naso del vostro avversario, oppure vi fa ribrezzo l'idea di infilargli un dito in un occhio

 per cavarglielo.

!urtroppo, un protocollo di autodifesa efficace, specialmente quando esiste un forte divario

di forze come nell'autodifesa femminile, prevede quasi esclusivamente tecniche "sporche",

se non proprio da voltastomaco.

%aper coltivare nell'allievo un'aggressivit# feroce e priva di inibizioni, il cosiddetto "illerinstinct", è il compito pi difficile e delicato di un istruttore. -nfatti non si tratta di

trasformare persone miti e socievoli in assassini abbruttiti, ma si tratta di far sì che l'allievo

sappia scatenare la propria furia in modo finalizzato, ovvero in un contesto in cui la sua

sopravvivenza è a rischio.

Come è intuibile si tratta di un compito arduo, sempre in bilico tra il rischio di fornire un

training troppo blando e quello di trascendere, creando nuovi e pericolosi disadattamenti

sociali e psicologici.

Come dicevo nessun corso di autodifesa è in grado di fornire soluzioni convincenti per imparare a

fare tutto questo.

)lcuni istruttori sostengono di addestrare e non allenare. &a differenza è evidente chi allena pensaai muscoli e ai riflessi, che addestra pensa alle situazioni e alle circostanze.

-n un caso o nell'altro quasi nessuno pensa alla singola persona e al suo personalissimo modo di

rispondere alla paura, alla sua capacit# di utilizzare al meglio le sue risorse oppure al suo rimanere

interdetta e non riuscire a reagire.

5uesti istruttori continueranno imperterriti a insegnare le loro tecniche per cavare occhi, castrare a

 pedate stupratori usciti dall'ombra, disarmare mani armate di coltello (evito ogni commento,

diventerei volgare... o di pistola (idem come prima..., magari tenteranno di rendere "realistico" il

loro allenamento (o "addestramento" secondo i pi convinti inondando i loro allievi di adrenalina 

allo stato puro, ottenuta con ritmi forsennati o colpi sferrati a piena forza, come se correre il rischio

di un infarto in palestra fosse lo stesso di una coltellata in metropolitana, di un pestaggio in strada, o

di un "vero" stupro... No, non è la stessa cosa e non lo sar# mai.

-l panico è una cosa seria, e non lo si otterr# mai in un contesto "amico", dove tutti sono pronti a

farsi intorno a me per soccorrermi nel caso in cui dovessi soccombere all'allenamento (o

addestramento "realistico".

 Nessuno è in grado di riprodurre in modo legale un contesto che sia lontanamente realistico in una

 palestra ci vorrebbero le vie di uscita chiuse a chiave ed un istruttore sadico munito di machete, e

gli schizzi di sangue sulle pareti.

)llora forse si, chi ne uscisse vivo, tutto d'un pezzo e non definitivamente traumatizzato, potrebbe

dire "%i... 1ra so cos'è la paura, e so come reagire ad essa..."

7a questa è fantasia.

-n un mondo ideale, l'istruttore dovrebbe essere una specie di mentore in grado di rinforzare ed

allenare anche gli strati emotivi e psicologici che stanno sotto ai muscoli dell'allievo.

Ci sono persone che hanno una reazione allo stress pi accentuata di altri e che quindi hanno pi

difficolt# a gestire gli stati di paura.

)ltre persone sono vissute fino ad oggi in un ambiente iperprotettivo e non hanno sviluppato un

adeguato spirito di iniziativa. $' naturale che persone così si trovino in difficolt# quando la

situazione diventa critica e la capacit# di improvvisazione pu/ fare la differenza.

-n ultimo, c'è un aspetto di fragilit# ed insicurezza che rende pi difficile a certe persone ad

affermare il proprio diritto di esistere e di affermarsi nelle relazioni con gli altri (specialmente le

donne.

4n allenamento "realistico" dovrebbe essere orientato a questi aspetti meno "muscolari" ma non

meno essenziali, se l'obiettivo è formare alla sopravvivenza e non la riscossione della retta mensile.

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