Premio Nobile - AREA Science Park

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE

Facoltà di Ingegneria

Corso di laurea specialistica in Architettura

Dipartimento di Ingegneria Civile

ARCHITETTURA IN MOVIMENTO:PROGETTO DI UNA UNITÀ MOBILE DI SOCCORSO SANITARIO (U.M.S.S.)

RelatoreProf. Lodovico Tramontin

CorrelatriceDott.sa Anna Poggi

Anno Accademico 2007/2008

LaureandaChiara Pasut

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ARCHITETTURA IN MOVIMENTO:

PROGETTO DI UNA UNITÀ MOBILE DI SOCCORSO SANITARIO (U.M.S.S.)

Laureanda: Chiara Pasut _ Relatore: Prof. Lodovico Tramontin _Correlatrice: Dott.sa Anna Poggi

Università degli Studi di Udine _ Facoltà di Ingegneria _ Corso di laurea specialistica in Architettura _ Dipartimento di Ingegneria Civile _ A.A. 2007/08

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I N D I C E

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EMERGENZA E PROGETTAZIONE

UNITÀ MOBILE DI SOCCORSO SANITARIO_UMMS_

ARCHITETTURA IN MOVIMENTO

L’ARCHITETTURA MOBILE PER ECCELLENZA: LA TENDA, LE SUE DECLINAZIONI MODERNE E L E I N N O V A Z I O N I T E C N O L O G I C H E

LE MAXI EMERGENZE, IL PMA ELE ALTRE T IPOLOGIE DI UNITÀMOBILE DI SOCCORSO SANITARIO

PROGETTO DI UNA UNITÀ MOBILE DI SOCCORSO SANITARIO (UMMS)

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013 INTRODUZIONE

021 CAP.1_ EMERGENZA E PROGETTAZIONE 023 Il ruolo dell’architetto nel progetto per le situazioni di emergenza 029 I primi progetti per l’emergenza 034 L’architettura contemporanea in risposta alle situazioni di emergenza 055 Shigeru Ban | paper tube 063 Emergenza tra architettura ed arte: Lucy Orta

069 CAP.2_ ARCHITETTURA IN MOVIMENTO 076 Richard Buckminster Fuller | Living in motion 086 Lo scenario contemporaneo 093 Architettura trasportabile 095 Architettura trasformabile 099 Architettura fl essibile 101 Architettura adattabile 103 Il fattore movimento: tra necessità e possibilità

107 CAP.3_ L’ARCHITETTURA MOBILE PER ECCELLENZA: la tenda, le sue declinazioni moderne e le innovazioni tecnologiche 109 La tenda come architettura mobile: dalle origini alle recenti innovazioni tecnologiche

116 Le declinazioni moderne della tenda: tensostruttura e pressostruttura come campi di ricerca per i materiali 125 Il controllo climatico: l’aerogel, le sue proprietà e il suo utilizzo nelle membrane 133 Tensotherm™ Nanogel® 137 Possibili nuovi scenari

141 Il reperimento delle informazioni e il ruolo di internet

143 Normative

147 CAP.4_ LE MAXI EMERGENZE,IL PMA E LE ALTRE TIPOLOGIE DI UNITÀ MOBILE DI SOCCORSO SANITARIO 149 Linee guida per le maxi emergenze 156 Il triage 159 Il PMA (posto medico avanzato): defi nizione di Unità Mobile di Soccorso Sanitario piu’ vincolante 165 Tipologie delle unità mobili di soccorso sanitario 177 Esperienze sul campo

185 CAP.5_ PROGETTO DI UNA UNITÀ MOBILE DI SOCCORSO SANITARIO (UMMS) 188 Concept progettuale

190 Organizzazione funzionale 191 Sviluppo della forma 194 Layer organizzativi

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197 Organizzazione interna

206 Supporto logistico 209 Soluzioni progettuali 209 Pavimentazione livellante 214 Struttura principale 223 Membrane 234 Struttura secondaria 248 Impianto di illuminazione 255 Carrello medico 258 Lettino pieghevole per le prime cure e brandine degenza 262 Porte e collegamenti con altre U.M.S.S. 265 _Calcolo dei probabili pesi dell’U.M.S.S. 267 _Modellino

271 CONCLUSIONE

275 BIBLIOGRAFIA

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I N T R O D U Z I O N E

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Il tema della mobilità è sempre stato un concetto che ha affascinato numerosi architetti.

Il sogno di poter svincolare l’architettura dal concetto di staticità che è insito nella sua defi nizione ha prodotto innumerevoli

progetti e visioni. La mobilità può essere interpretata in diverse maniere nell’ambito edilizio, può essere vista come edifi cio

che si muove da un luogo ad un altro, o come singolo componente mobile facente parte di un’architettura tradizionale, ecc.

Molti pensano che l’essere mobile sia una caratteristica dell’architettura contemporanea, in cui i sistemi trasportabili e

facilmente trasformabili vengano richiesti come spazi temporanei ospitanti manifestazioni itineranti, mostre o attività che

hanno una durata limitata nel tempo. Questo è in parte vero, ma esiste anche un ambito architettonico che si basa sulla

temporaneità dell’architettura e del costruito, che è quello dei ripari temporanei, comunemente chiamati shelter.

Gli shelter in genere sono dei sistemi assemblati a secco che devono provvedere a fornire un riparo alle persone, possono

essere abitazioni, luoghi di lavoro, spazi per la collettività, comunque tutti temporanei.

Questa tesi vuole affrontare il concetto di shelter come unità mobile di soccorso sanitario in caso di maxi emergenza.

Quindi garantire un riparo al personale sanitario in una situazione di crisi in cui sono coinvolte un numero medio alto di

persone, le quali devono necessariamente ricevere le prime cure sul luogo del sinistro prima di venir smistate ai vari ospedali.

Dal punto di vista medico questo genere di situazioni, nelle nazioni più evolute, è strettamente regolamentato e vi sono dei

protocolli comuni che dovrebbero garantire la corretta catena dei soccorsi. In questa, è precisamente defi nito il tipo di shelter

da utilizzare e le funzioni che tale struttura deve assolvere.

Proprio perché le situazioni di crisi non sono strettamente prevedibili e gli scenari possono essere innumerevoli, gli shelter

devono essere facilmente trasportabili, trasformabili, fl essibili ed adattabili.

È stato dunque necessario approfondire la tematica della progettazione a supporto delle situazioni d’emergenza, della mobilità

nell’ambito architettonico e le relative tecnologie, ed infi ne i protocolli che regolano le varie attività mediche.

Il risultato è il progetto di una unità mobile di soccorso sanitario (UMMS) che è concepita come luogo funzionale al

corretto svolgimento delle operazioni mediche e come architettura mobile, facilmente trasportabile (facendo attenzione quindi

anche al fattore peso), fl essibile a possibili cambiamenti dello scenario della crisi e adattabile ai possibili ambienti.

Il primo capitolo della tesi affronta il tema del rapporto tra progettista e situazione di emergenza, in cui il professionista viene

chiamato per defi nire delle soluzioni a supporto della crisi. La maggior parte delle richieste da parte delle organizzazioni

umanitarie e degli enti governativi ai progettisti è quella di pensare e rendere fattibile un riparo che riesca a garantire, in

brevissimo tempo, la sicurezza delle persone coinvolte.

Le considerazioni di Cameron Sinclair, a capo dello studio di architettura Architecture for Humanity, vengono intrecciate con

quelle di Enzo Mari relative al percorso progettuale di un industrial designer.

In entrambi i casi, per quei campi progettuali che hanno un grado di complessità elevato, viene segnalata la necessita di

collaborare con persone che per professione si occupano costantemente della tematica per poter individuare in maniera

rapida i problemi.

Vengono poi individuati in generale i vari momenti di intervento in situazioni di crisi (emergenza, riabilitazione, ricostruzione)

e i requisiti caratterizzanti il progetto per l’emergenza attraverso le linee guida dell’International Conference on Disaster Area

Housing . Per concludere tali considerazioni si sottolinea come i quattro punti che propone Enzo Mari per poter ottenere un

buon progetto (componente etica, qualità culturale, strumenti di produzione e attinenza tra prodotto e possibile produzione)

siano fondamentali quando si parla di progetto per l’emergenza.

Il capitolo prosegue con una veloce presentazione dei primi progetti che fi no alla prima metà del XX secolo hanno cercato di

garantire un riparo alle persone sfollate sia a causa di disastri naturali, ma soprattutto della Seconda Guerra Mondiale. Dopo

questo drammatico evento si è cominciato a trattare sistematicamente il problema della fornitura di shelter alla popolazione,

dapprima come forma temporanea di abitazione e successivamente come struttura di supporto anche per le altre attività,

comprese quelle mediche.

I progetti che vengono presentati sono relativi a soluzioni studiate per le crisi umanitarie in quanto questo campo è da sempre

il settore in cui, purtroppo, vi è la maggiore richiesta di shelter. Inoltre l’UNHCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU,

fornisce dei manuali e dei documenti dove vengono fornite dettagliate informazioni circa l’allestimento e l’utilizzo degli shelter.

Queste sono rivolte principalmente agli operatori UNHCR ma sono utili anche ai progettisti che intendono cimentarsi con il

progetto per l’emergenza in quanto defi niscono in modo chiaro e preciso le problematiche, le necessità e le caratteristiche di

uno shelter. Per questo, sebbene tali progetti non siano legati strettamente al campo medico, è stato utile studiare le soluzioni

adottate per affrontare la fase progettuale. Si è potuto così constatare che non sempre la soluzione ottimale è defi nita attra-

verso un progetto contenete dell’alta tecnologia, ma che anche piccoli accorgimenti possono risolvere problematiche che

possono rivelarsi drammatiche sul lungo periodo.

Un esempio è senza dubbio l’utilizzo dei paper-tube introdotto da Shigeru Ban per le strutture delle tende dei campi profughi

in Ruanda e il successivo utilizzo degli stessi nelle città colpite da terremoti in Giappone, Turchia ed India.

Con i tubi di cartone nel primo caso si è evitato il disboscamento delle aree limitrofe ai campi profughi che avrebbe potuto

portare a smottamenti e successive ulteriori situazioni di pericolo.

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La presentazione dei progetti per l’emergenza umanitaria è introdotta da quelle soluzioni che hanno riconsiderato la

tradizionale tenda, composta da un singolo telo di plastica sostenuto da pali, utilizzata dalle organizzazioni umanitarie come

primo supporto alla popolazione; si è proseguito con l’illustrazione di strutture più stabili e protettive e si è fi nito con due

esempio di prodotti industriali atti a migliorare le condizioni di vita degli utilizzatori.

A fi ne capitolo si è voluto analizzare l’opera di Lucy Orta per dimostrare come l’arte permetta, citando le parole di Sigfried

Giedion, “di scorgere ciò che per nostro conto non siamo stati capaci di afferrare” .1

Il secondo capitolo è dedicato all’approfondimento dell’architettura in movimento, del suo maggior esponente, Richard

Buckminster Fuller, e all’analisi dello scenario contemporaneo.

Colui che probabilmente per primo ha sperimentato le possibilità della mobilità in architettura e soprattutto ha ridefi nito

lo standard degli shelter è Richard Buckminster Fuller. Figura quasi leggendaria, inventore ed esploratore delle possibilità

costruttive è stato il primo a intravedere nella riconversione dell’industria bellica e nel transfert tecnologico tra industria

aerospaziale ed architettura, la strada verso il rinnovamento del campo edilizio. Con la sua Dymaxion Development Unit, poi

diventata House, ha rivoluzionato il concetto di abitazione, ancor prima di quella di shelter, con una grado di fl essibilità e

adattabilità raggiunto da pochi.

Ancora più importanti i suoi studi relativi alle cupole geodetiche, strutture capaci di avere un equilibrio interno grazie

all’interazione tra forze di trazione e compressione. Queste strutture trovarono largo impiego nel settore militare, come riparo

per i radar e varie attrezzature militari, ma riuscirono ad imporsi anche come elemento architettonico, sottoforma di abitazioni

e padiglioni.

Il lascito di Fuller che più ha condizionato ed infl uenzato le generazioni successive è probabilmente l’idea di contaminare il

progetto con i saperi dei settori a più alto grado di innovazione per migliorare le condizioni abitative.

Nello scenario contemporaneo possono essere individuati tre livelli di “portabilità”, individuati da Robert Kronenburg2,

dell’architettura mobile: i portable buildings, i relocateble buildings e i demontable building.

Nel primo caso sono sistemi che vengono trasportati intatti e possono essere identifi cati con il termine di “semovente”

proposto da Alessandra Zanelli3; nel secondo caso hanno parti preassemblate e sono parzialmente integrati al sistema

di trasporto, possono essere detti anche “semi-autonomi”; infi ne quei sistemi che sono pensati per essere assemblati e

dissassemblati, detti anche “portatili”.

Trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità, adattabilità sono le parole chiave per un progetto generalmente detto di architettura

portatile.

La trasportabilità è a sua volta correlata con la leggerezza o la pesantezza del sistema; la trasformabilità permette un

diverso utilizzo del sistema grazie al suo cambiamento di forma, colore, apparenza; la fl essibilità permette all’elemento di

poter rispondere in maniera ottimale ai cambiamenti d’uso e di localizzazione; infi ne un edifi cio adattabile è concepito per

poter rispondere in maniera rapida alle differenti funzioni, confi gurazioni e richieste degli utenti.

Nel quarto paragrafo viene affrontata la mobilità dal punto di vista del sistema mobile per eccellenza: la tenda.

Questa infatti, grazie alla sua storia millenaria, è riuscita a rimanere una dei sistemi di shelter più utilizzati, soprattutto dalle

popolazioni nomadi. Il suo punto di forza è senza dubbio la facilità di trasporto, la leggerezza, la fl essibilità d’uso.

Già le popolazioni nomadi hanno imparato a ripararsi dalle avverse condizioni ambientali attraverso alcuni accorgimenti

apportati ai tessuti, ma è attualmente nelle tende per spedizioni alpinistiche che la ricerca ha permesso di avere un

avanzamento tecnologico.

Parallelamente in ambito architettonico si sono sviluppati i sistemi tensostrutturali e presso strutturali.

I primi vengono oggigiorno visti con estremo interesse per perseguire la strada della leggerezza, la quale non signifi ca

solamente chiara idea progettuale ma anche risparmio di materiali durante la costruzione di un edifi cio.

Nel campo delle tensostrutture si può trovare uno dei settori di innovazione dell’edilizia. Le aziende produttrici di membrane

infatti stanno cercando di attuare dei transfert tecnologici dal settore aerospaziale per migliorare i loro prodotti.

Uno di questi casi è quello del prodotto Tensotherm della ditta Birdair che ha applicato alla tradizionale membrana in PTFE

uno strato intermedio di aerogel di silice. L’aerogel è un materiale molto leggero che però garantisce un elevato isolamento

termico su spessori limitati. Inoltre assolve anche alla funzione di isolante acustico.

Nell’approfondimento sull’aerogel si può vedere come questo materiale, dapprima utilizzato dalla Nasa come materiale per

raccogliere la polvere stellare, negli ultimi anni ha destato l’attenzione anche dei progettisti edili per le sue eccellenti proprietà

isolanti.

Vi è poi anche una rifl essione su un possibile ulteriore miglioramento delle prestazioni della membrana se venisse utilizzato

l’aerogel addizionato con i materiali a cambiamento di fase (brevetto WO/2007/014284) e sulla questione della mancanza di

1 Sigfried Giedion, Spazio, Tempo, Architettura, Ulrico Hoepli editore, 1965, Milano

2 Robert Kronenburg, Portable Architecture. Design and Technology, Birkhauser Verlag AG, 2008, Basel- Boston - Berlin

Robert Kronenburg, Flexible,architecture that responds to change, Laurence King Publishing, 2007, Londra

3 Alessandra Zanelli, Trasportabile/Trasformabile. Idee e tecniche per architetture in movimento, Libreria Clup, 2003, Milano.

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uno standard comune alle aziende del settore edile per la diffusione delle principali caratteristiche.

Nel campo delle tensostruttre non tutti i produttori ad esempio inseriscono nelle loro schede tecniche il peso del materiale,

altri non indicano i valori di rifrazione delle radiazioni, ecc.

Un confronto prestazionale preciso risulta essere diffi coltoso per il progettista soprattutto se deve confrontarsi con quei termini

che sono il fi lo conduttore della ricerca di questa tesi: trasportabilità, trasformabiltà, fl essibilità ed adattabilità.

Quindi con questioni come quelle del peso, quelle climatiche e di adattabilità ambientale.

Con il quinto capitolo si sono identifi cati i requisiti principali prescritti dalle varie normative, direttive e protocolli che una unità

mobile di soccorso sanitario deve avere.

Necessario è risultato introdurre il concetto di maxi-emergenza, cioè quella situazione che prevarica il normale funzionamento

dei soccorsi ospedalieri e in cui i sistemi medici mobili devono operare; una situazione eccezionale, che vede il

coinvolgimento di un numero signifi cativo di persone e che richiede un fi ltraggio dei feriti prima che questi vengano trasportati

nei vari ospedali.

Per far fronte a queste situazioni gli ospedali sono attrezza con strutture chiamate PMA, posti medici avanzati, che a

seconda delle loro tipologie possono essere direttamente ricondotte alla classifi cazione proposta da Kronenburg.

Esistono infatti PMA che possono essere considerati dei portable buildings (PMA furgonati), relocateble buildings

(PMA conteinerizzati ), demontable building (PMA sottoforma di tende), ognuno ha i propri vantaggi e svantaggi che sono stati

analizzati e comparati.

I PMA sono le unità mobili di soccorso sanitario che comportano più limitazioni progettuali in quanto sono sistemi che devono

essere disponibili e assemblabili in un breve lasso di tempo (in genere 1 ora dall’arrivo sul luogo del sinistro).

La funzione di PMA è infatti quella di essere il fi ltro tra l’area del sinistro (cantiere in termine medico) e gli ospedali.

Tale operazione è necessaria in quanto non è possibile trasportare tutti i feriti in un unico ospedale, magari in quello più vicino.

Ogni ospedale è predisposto ad accogliere un numero limitato di feriti gravi contemporaneamente, non è possibile per i medici

seguire contemporaneamente più di un numero prestabilito di casi in cui le funzioni vitali del sinistrato siano seriamente a

rischio.

Per questo l’unità mobile è predisposta per eseguire il cosiddetto triage, cioè quella procedura che stabilisce il grado di

criticità della situazione del paziente, la stabilizzazione di quest’ultimo e il successivo smistamento verso l’ospedale più

attrezzato ad affrontare la patologia.

Essendo una struttura mobile, come per altro indica il nome, che deve essere a disposizione in un breve lasso di tempo,

l’unità mobile di soccorso sanitario è un dispositivo che deve rispondere appieno ai quattro termini caratterizzanti

l’architettura mobile, cioè trasportabilità, trasformabiltà, fl essibilità ed adattabilità.

Per prima cosa la struttura deve essere facilmente trasportabile in qualunque luogo; per questo nel progetto si è deciso di non

integrarla con il sistema di trasporto; si è optato per un sistema “demontable”/disassemblato, da montare direttamente sul

luogo, facendo particolarmente attenzione alla questione “peso” in modo da poterne garantire il trasporto anche con un

elicottero civile tramite gancio baricentrico. La scelta è quindi ricaduta su una struttura riconducibile alla tipologia della

tenda.

Questo ha reso necessaria una rifl essione: se nelle altre tipologie il container o il mezzo furgonato vengono attentamente

allestiti per le immaginabili problematiche relative al limitato spazio a disposizione, nei sistemi a tenda la cura nell’introduzione

di facilitazioni per le operazioni di soccorso è sempre molto scarsa. La tenda ha sì una grande fl essibilità di utilizzo, ma questo

alle volte diventa l’alibi per il non-progetto di questa caratteristica.

Le foto del PMA allestito in occasione di una manifestazione sportiva in provincia di Udine mostrano chiaramente come la non

predisposizione di una integrazione tra shelter e impiantistica porti a notevoli diffi coltà operative.

Compito del progettista è quindi defi nire il limite tra le esigenze legate all’emergenza, quindi velocità di assemblaggio, e la

funzionalità dello spazio interno.

Non si può dimenticare comunque che le diffi coltà create da una scarsa organizzazione interna ricadono drammaticamente

sull’operatività dei soccorritori, sia da un punto di vista strettamente materiale che emozionale.

Da ricordare che l’emergenza è una situazione di alto stress anche per coloro che la scelgono come scenario lavorativo; il

progettista dovrebbe considerare che altre fonti di stress, quali impedimenti riconducibili alla struttura, provocano scarsa

effi cienza nei soccorsi.

Utilizzando le parole di Wright si potrebbe dire che questa tesi cerca di creare un’unità medica di soccorso sanitario

organicamente organizzata.

Lo scopo del progetto quindi è quello di garantire una struttura mobile con agevolazioni che facilitino le operazioni di soccorso,

evitando la confusione e rendendo autonoma la struttura per un certo periodo qualora la situazione lo imponesse (ad esempio

il prolungamento delle operazioni anche durante la notte in una zona diffi cilmente raggiungibile dai mezzi di terra).

Il sesto capitolo cerca quindi di essere la sintesi progettuale delle precedenti ricerche, seppur condotte in ambiti alle volte

molto distanti. L’approfondimento delle tematiche dell’architettura in movimento e dell’evoluzione della tenda ha permesso

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di poter predisporre accorgimenti utili a limitare effetti di disagio e aumentare alcune prestazioni, come l’isolamento termico;

la ricerca nel campo degli shelter per l’emergenza ha permesso di avere una visione più ampia delle problematiche delle

persone in diffi coltà, degli scenari con limitate agevolazioni e delle prescrizioni dettate da decenni di esperienza come quelli

accumulati dell’UNHCR; gli approfondimenti sulle tecnologie e sulle innovazioni nel campo dei materiali ha garantito l’utilizzo

di prodotti che garantiscono prestazioni di alto livello del sistema; infi ne la fi gura di Richard Buckminster Fuller ha aumentato

la curiosità per tutti quei settori che non sono strettamente architettonici ma che possono comunque essere d’ispirazione per

il progettista.

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E M E R G E N Z A E P R O G E T T A Z I O N E

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Numerosi architetti negli ultimi decenni si sono imbattuti in progetti che dovevano essere sviluppati in modo da poter far fronte

a vari tipi di emergenze. La maggior considerazione nella programmazione delle emergenze delle varie organizzazioni ha

fatto in modo che il fermento attorno a progetti di architettura mobile, temporanea e di emergenza riprendesse vigore dopo

le sperimentazioni del secolo scorso.

Ma cos’è una emergenza? E soprattutto quali sono i diversi approcci per l’emergenza nell’ambito architettonico?

Dal vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli:

Emergenza: circostanza o eventualità imprevista, specialmente pericolosa.

Quindi un’emergenza è un evento in genere imprevisto e pericoloso.

Nello specifi co possiamo rifarci al Manuale per le Emergenze dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati che,

sebbene sia stato redatto specifi camente per le emergenze umanitarie, può essere d’aiuto nell’approfondimento.

Il manuale dice che nella defi nizione di un’emergenza “la distinzione si basa sulla gravità del fenomeno” che in questo caso

è “qualunque situazione in cui, in mancanza di un’azione immediata e appropriata, la vita o il benessere dei rifugiati possano

essere in pericolo, e che richiede una risposta straordinaria e misure eccezionali.”

Quindi si può dire che in generale l’emergenza è una circostanza straordinaria che necessita di una risposta eccezionale che

prevarica le capacità dei singoli, ma richiede la collaborazione di più persone e/o organizzazioni per risolverla nel più breve

tempo possibile.

Le emergenze che richiedono l’ausilio dell’architettura e che in parte verranno analizzate in questa tesi riguardano in genere

la possibilità di dare, entro un breve l’asso di tempo, riparo e assistenza a coloro che si trovano nello stato di emergenza.

Fortunatamente questa situazione è eccezionale, almeno nei Paesi industrializzati e che in genere tende a risolversi e a

lasciare il posto ad una condizione di normalità entro tempi brevi. Invece nei Paesi meno avvantaggiati lo stato di emergenza è

purtroppo molte volte la normalità. Basti pensare alle epidemie, alle carestie, allo spostamento di un gran numero di persone

che scappano da confl itti, agli eventi naturali non previsti e che colpiscono territori non attrezzati per affrontare tali situazioni,

ecc.

Negli ultimi anni, si sta cercando di prevedere e formulare protocolli sempre più precisi per affrontare queste situazioni,

soprattutto nei Paesi sviluppati e all’interno di tutte quelle organizzazioni che operano a stretto contatto con territori e

popolazioni svantaggiate. Purtroppo gli effetti di tali provvedimenti ha un riscontro diverso a seconda che vengano posti in

atto in territori dotati di infrastrutture o meno. Si pensi ad esempio ad un terremoto; nel caso questo colpisca una metropoli

l’obiettivo è cercare di porre in atto, nel minor tempo possibile, le attività di ricerca, soccorso e ricostruzione.

Questo è possibile perché da tempo si cerca di prevenire possibili cause di emergenza, si provvede a pianifi care un iter di

operatività durante l’emergenza e soprattutto vi è un controllo e un’accessibilità al territorio e alle sue parti in genere buona.

In territori svantaggiati, di diffi cile accesso, l’obiettivo primario sarà invece quello di riuscire a raggiungere il luogo

dell’emergenza sempre nel minor tempo possibile, che però può signifi care giungere sul posto quando le attività di ricerca di

persone sopravvissute hanno minime possibilità di riuscita, in quanto, in genere, gli aiuti signifi cativi provengono da nazioni

straniere. Per questo le attività saranno concentrate sul dare conforto ai sopravvissuti.

Se nel primo caso l’architettura ha avuto un ruolo nell’emergenza precedente all’evento stesso, con l’attuazione ad esempio

dei dispositivi quali il corretto dimensionamento antisismico degli edifi ci, nel secondo caso l’architettura ha un ruolo postumo,

cioè si occupa dell’assistenza attraverso shelter e della ricostruzione.

Ma come fare a mettere a fuoco realmente le esigenze a cui un progettista deve far fronte in una situazione di generale

emergenza?

Cameron Sinclair dello studio Architecture for Humanity rispondendo ad una intervista dice:

“In generale il primo accorgimento consiste nel coinvolgere il maggior numero di persone estranee al mondo dell’architettura:

medici, scienziati, professionisti, persone comuni. In questo modo si evita di appiattirsi sulle questioni di stile. I criteri variano

a seconda delle situazioni, ma oltre alle valutazioni tecnico-scientifi che assumono grande rilievo gli aspetti economici, e non

è detto che si debba a ogni costo risparmiare, perché può essere più interessante - per esempio - una soluzione che apra la

possibilità di generare profi tti per la comunità.

Un singolo problema, come la scarsità d’acqua, può essere affrontato dal punto di vista del trasporto minuto, del fi ltraggio,

della raccolta, del riciclo, della questione igienica a seconda della convenienza rispetto al luogo: per ognuno di questi problemi

il design ha elaborato soluzioni ingegnose.”1

IL RUOLO DELL’ARCHITETTO NEL PROGETTO PER LE SITUAZIONI DI EMERGENZA

1 http://www.architectureforhumanityitaly.org/download/Il%20manifesto%2007.04.2007.pdf

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Citando Enzo Mari possiamo infatti dire che il progettista si deve porre proprio in quella situazione tipica del design, cioè:

“il designer (qualunque sia la specifi ca tipologia d’intervento) deve necessariamente svolgere il proprio lavoro con la

consapevolezza dei due mondi: quello dell’utopia e quello del reale” 2,

defi nizione che funziona anche per il progetto per l’emergenza. Il progettista deve far in modo che tutto il suo bagaglio

culturale e architettonico (anche utopico) si metta in relazione con tutte le contingenze del reale, e specifi camente con le

condizioni dettate da una situazione d’emergenza.

Sempre Mari :

“Questo gli consente, molto più che ad altri, di avvicinarsi alla comprensione di ciò che concretamente condiziona la nostra

modernità (per chi vuole anche «post»). Trasmettere in modo comprensibile la conoscenza di tali contraddizioni è oggi forse

il primo obiettivo del buon progetto.” 3

Similmente a Sinclair, anche Mari descrive come in quei progetti che prevedono una qualche complessità, devono essere

coinvolte, direttamente o indirettamente, più persone con ruoli e specializzazioni diverse.

Secondo il loro modo di porsi e interagire nella complessità del progetto ci possono essere due esiti: il primo favorevole, nel

momento in cui le diversità riescono a procedere le proprie ricerche e confrontarsi con gli altri inducendo momenti di dialogo;

il secondo sfavorevole, nel momento in cui ognuno procede separatamente riducendo lo scambio di informazioni al minimo.

Questa seconda situazione porta alla realizzazione di un progetto improprio 4.

Enzo Mari. Schemi delle due modalità di interazione tra i partecipanti ad un progetto, il primo con esito favorevole, il secondo con esito sfavorevole.

A sostegno di questo vi è anche una caratteristica fondamentale che viene sottolineata dall’UNHCR che, anche se si

riferisce alla fase acuta della emergenza, può ritenersi valida anche per il progetto architettonico a sostegno dell’emergenza;

questa caratteristica è l’approccio multisettoriale. Inoltre è necessario un continuo riesame dell’effi cacia della risposta e un

adeguamento nel momento in cui si riscontrino delle esigenze differenti.

La necessita della progettazione di shelter per far fronte alle emergenze è ribadita da Sinclar:

“Nessuno vuole investire nella prevenzione. Sono le grandi ondate emotive che seguono le catastrofi a mobilitare le energie,

il denaro, il potere necessario a fare partire le idee, e spesso neanche quelle sono suffi cienti. Prendiamo il caso di New

Orleans: il rischio di inondazione era noto, e nonostante questo non si è voluto prevenirla. Il tasso di povertà degli abitanti era

inammissibile per una città degli Stati Uniti, nessuno si era reso conto di quanta gente potesse essere esposta alla rovina

totale dall’uragano Katrina.

Il risultato è noto: nessuno ha capito bene come reagire ed è stato uno sfacelo, uno spreco di risorse e vite umane.” 5

2-3 Enzo Mari, Progetto e passione, Bollati Boringhieri Editore, 2001, Torino

4 Enzo Mari, Progetto e passione, Bollati Boringhieri Editore, 2001, Torino

5 www.architectureforhumanityitaly.org/download/Il%20manifesto%2007.04.2007.pdf

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La seconda guerra mondiale fu l’avvenimento che segnò un grande cambiamento all’interno della gestione delle emergenze:

la nascita delle NGO, nongovernmental organization, le organizzazioni non governative.

Con l’eccezione del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che fu fondata negli anni 60 dell’’800 da Henri Dunant, la

gran parte delle organizzazioni e delle agenzie che sono attive tutt’oggi sono state fondate sulla base dell’esperienza dalla

seconda guerra mondiale.

Queste includono non solo le Nazioni Unite, ma anche altre agenzie governative come l’agenzia degli Stati Uniti per lo

Sviluppo Internazionale (USAID), organizzazioni di aiuto umanitario come l’International Rescue Committee, CARE, e l’Oxfam,

e organizzazioni religiose come Catholic Relief Services.

Da questo momento in poi, le organizzazioni non governative hanno giocato un ruolo fondamentale nel provvedere ai rifugi di

emergenza per i rifugiati o a sostegni dopo i disastri naturali.

Dopo la fi ne della guerra e la fi ne della colonizzazione, il problema delle emergenze, come già detto, si è spostato dall’Europa

e dall’America ai Paesi in via di sviluppo.

La Croce Rossa ha stimato che nelle passate due decadi, più di 75˙000 persone sono state uccise annualmente da disastri

naturali o prodotti dall’uomo, altri 211 milioni sono state interessate dai disastri ogni anno, 98% delle quali risiedevano in

Paesi in via di sviluppo. Inoltre si è visto come nell’ultimo decennio il numero di eventi calamitosi, e di conseguenza il numero

di persone coinvolte, sono in costante aumento.

Con l’aumento del numero delle NGO, queste hanno migliorato molto la parte dello sviluppo e della creazione di sistemi

sanitari e di approvvigionamento di acqua, e nella costruzione di abitazioni.

Solo negli ultimi anni però si è sottolineata l’importanza di associare all’intervento umanitario il rispetto per le realtà in cui si

interviene.

Questo aspetto va tenuto presente soprattutto dopo la fase della primissima emergenza, in cui bisogna ricostruire, dove

possibile, nel territorio colpito.

Ian Davis, consulente per i rifugi temporanei per le Nazioni Unite e che ha collaborato con Fred Cuny, uno dei primi ad

interessarsi negli anni ’70 alla pianifi cazione dei campi profughi e alle tematiche relative all’emergenza, misteriosamente

scomparso in Cecenia nel 1995 con due medici russi, sottolinea come

“When you told them (ai rifugiati) that you can build a permanent house in Bangladesh in three days for the same amount of

money they were proposing to spend on temporary housing, they igored you.”

La distruzione dell’uragano Katrina a New Orleans nell’agosto del 2005

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Fred Cuny in Somalia nel 1992 accanto al veicolo dell’ONU danneggiato da un attacco armato a Mogadiscio. Tre anni dopo, all’età di 50 anni, Cuny

sarebbe sparito in Cecenia durante una missione di pace.

Il progettista quindi deve sempre relazionarsi con i parametri del luogo in cui andrà ad intervenire e non con quelli del suo

Paese d’origine. Il rischio è quello di creare una struttura totalmente inutile ed ineffi cace per affrontare l’emergenza. Tanto che

le tende – la soluzione scelta dalla gran parte delle agenzie – possono essere spedite a grande distanza a un costo accessibile

ma magari non vengono utilizzate perché arrivano troppo tardi o vengono montate in campi lontani dalle case e dai luoghi di

attività economica.

Nel 1977 si tentò di decodifi care una linea di intervento comune a tutte le organizzazioni attraverso l’“International Conference

on Disaster Area Housing” a Istambul.

Si individuarono tre momenti per l’intervento del soccorso:

-emergenza: come immediato impatto con gli effetti del disastro e i relativi problemi abitativi in termini di riparo, di ricovero;

-riabilitazione: intermedia tra l’emergenza e la risistemazione defi nitiva, che viene individuata con la durata variabile da molte

settimane a mesi e anche anni, durante il quale “il massimo sforzo è rivolto a procurare un minimo di condizioni ambientali

per le attività umane e alla costruzione di abitazioni temporanee che devono durare fi no a quando non siano terminate le

costruzioni a carattere permanente”;

-ricostruzione: il complesso dei provvedimenti legislativi, economico-fi nanziari e dei processi produttivi e costruttivi tesi ad

approntare le condizioni generali e a realizzare le operazioni per tornare alla normalizzazione della vita.

Da tutto ciò vengono dedotti alcuni fattori e requisiti caratterizzanti:

- adattabilità a qualsiasi tipo e condizione di terreno;

- accettabilità del comfort idro-termico ed acustico;

- compatibilità dimensionale dei componenti ai vincoli imposti dai mezzi di trasporti;

- massima leggerezza degli elementi e dell’insieme sia per ragioni economiche, sia per facilitare il trasporto, l’assemblaggio

e garantire la massima sicurezza;

- massima riduzione di mano d’opera specializzata e minimo ricorso ad attrezzature speciali nell’assemblaggio dei

componenti;

-potenzialità allo smontaggio e ri-montaggio in altro sito e per altre, analoghe, ricorrenza.

Alla conferenza di Istambul segue quella di Oxford organizzata da Ian Davis, “International Conference on Disasters and Small

Dwelling”, promossa dall’University College locale.

Il tema centrale è stato quello dello Shelter After Disaster, inteso nel senso di ricovero di primo soccorso e defi nito come

“accettabile protezione dagli elementi (freddo, caldo, vento, pioggia, ecc) dal momento del disastro fi no alla disponibilità di un

ricovero temporaneo o permanente”.

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Bisognerebbe tener comunque sempre conto di quelli che Enzo Mari indica come le qualità di un progetto6:

- la componente etica;

- la qualità culturale;

- il possesso degli strumenti di produzione;

- i tipi di coincidenza tra progetto e produzione.

Se solo dalla seconda metà dello scorso secolo si è cominciato a sottolineare la problematica progettuale di quelli che

vengono chiamati shelter, cioè rifugi, già da molto tempo prima, i progettisti hanno affrontato il tema dell’emergenza,

soprattutto sotto il profi lo abitativo.

Facendo un salto nel tempo possiamo risalire forse al primo progetto che cercò di far fronte ad una emergenza tentando un

approccio di post-riscostruzione. Fu il caso di Lisbona, che nel 1755 venne colpita da un terremoto e successivo tsunami.

Con il progetto denominato gaiola (gabbia), si creò una struttura fl essibile di legno formata da puntoni diagonali rinforzati e da

un reticolo di elementi sempre di legno verticali ed orizzontali, in modo da rendere in qualche modo “antisismici” i nuovi edifi ci

in previsione di un successivo terremoto.

Ma l’evento che forse decretò l’inizio delle strategie di intervento fu il terremoto del 18 aprile 1906 che devastò San Francisco.

Fu infatti l’evento catastrofi co più imponente dell’epoca di prima industrializzazione.

In un primo momento la Croce Rossa, fondata solo 25 anni prima, quindi senza una signifi cativa esperienza, e i volontari

fornirono prima delle tende ai sopravvissuti e successivamente alcune baracche che si rivelarono ben presto costose e

ineffi caci. Si resero quindi conto che l’obiettivo doveva essere quello di ricostruire nel più breve tempo possibile la città per

riportare tutti alla normalità.

Per questo una combinazione di concessioni e prestiti ai più abbienti per l’edifi cazione di nuove case e la costruzione tra il

settembre 1906 e marzo 1907 di più di 5610 cottage progettati dagli ingegneri dell’esercito (tra i 13 e i 37 m2 e per un costo

variabile tra i 100 e i 741 dollari) di facile successiva dismissione, portò alla rapida normalizzazione.

Purtroppo a più di 100 anni di distanza, quello che oggi è una prassi della veloce ricostruzione nei Paesi industrializzati, per

6 Enzo Mari, Progetto e passione, Bollati Boringhieri Editore, 2001, Torino

Fasi di riabilitazione e ricostruzione di territori colpiti da calamità

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la gran parte del mondo è un traguardo ancora molto lontano.

Per decenni gli architetti hanno discusso sull’opportunità e la necessità di provvedere alla defi nizione di nuovi rifugi per far

fronte alle situazioni di crisi. Da quando i progettisti hanno confi dato nell’idealismo dell’era delle macchine, nella crescente

ascesa del progresso tecnologico e nello sviluppo di idee a prima vista spesso utopiche, c’è stato uno sviluppo di soluzioni

e progetti per il supporto sia alla popolazione che agli operatori che devono far fronte alle problematiche delle situazioni di

crisi, come il provvedere a un riparo temporaneo, alla garanzia di acqua potabile, all’assistenza sanitaria alle famiglie che

necessitano.

Col tempo però, il mondo del soccorso e sviluppo post evento catastrofi co si è separato dal mondo dell’architettura e del

design. Quello che i progettisti da sempre hanno considerato una sfi da, i soccorritori invece lo considerano come un problema

di pianifi cazione e politica.

Questa disconnessione ha portato ad alcuni interrogativi, espressi anche da Kate Stohr nel saggio sui 100 anni di design

umanitario per il libro edito dallo studio newyorkese Architecture for Humanity7, quali: che ruolo deve avere la

progettazione nella defi nizione e soddisfazione delle esigenze di un primo riparo? Come possono gli architetti indirizzare al

meglio la progettazione per soddisfare i bisogni della cittadinanza colpita? E, andando al cuore della questione, il design

deve essere considerato un bene di lusso o una necessità, un mezzo per il semplice godimento estetico o in prima istanza,

la soddisfazione primaria dei bisogni?

Questo problema ha da sempre interrogato non solo gli architetti ma anche i pianifi catori, i politici e le organizzazioni di

soccorso , dibattendo per bilanciare il bisogno logistico di provvedere ad un riparo con il bisogno/desiderio dell’uomo di avere

un luogo da poter chiamare casa.

7 Architecture for Humanity, Design Like You Give a Damn, Architectural Responses to Humanitarian Crisis, Published by Metropolis Books, 2006, New York

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La storia del design, inteso come progetto, umanitario/sociale ha le sue radici nei primi movimenti dei cittadini che tra il 1800

e il 1900 cominciarono a rivendicare e promuovere la riforma delle condizioni sociali e abitative delle fasce povere della

società. Parallelamente a progetti di architettura “convenzionale”, cominciavano a farsi largo anche tipologie di architettura

mobile.

Nel 1917 in varie località della Francia vennero erette delle case di legno completamente assemblabili a secco per dare un

primo rifugio stabile ai rifugiati della Prima Guerra Mondiale.

Le abitazioni, donate dall’ American Friends Service Committee, erano composte da due stanze.

Demontable Wooden House, 1917, Francia

Nel 1936 Wally Byam costruì la prima roulotte aerodinamica, la Durham Portable House, che costava tra i 1˙500 e i 3˙000

dollari, che non solo imitava la casa convenzionale, ma fu anche precursore del “double-wide”, cioè poteva essere trasportata

in due parti e assemblata in loco come singola abitazione (in genere hanno dimensioni che possono raggiungere i 9 metri di

larghezza e i 27 di lunghezza).

La casa mobile non fu il solo successo delle abitazioni prodotte per la grande massa in America prima della Seconda Guerra

Mondiale. Tra il 1908 e il 1940 il venditore americano Sears, Roebuck and Co. Vendette più di 100˙000 case dal proprio

catalogo. Le case venivano vendute in più di 30˙000 parti, complete di istruzioni di assemblaggio e due alberi per il giardino

e per un breve periodo queste case offrirono una valida alternativa alle costruzioni tradizionali. Le case potevano essere

acquistate a un prezzo che andava da 650 per le più piccole, da fi no a 1˙000 dollari per le medie. In più la società garantiva

che “un uomo di medie capacità” poteva costruire con il kit a disposizione, la casa in soli 90 giorni” 8.

“The Winona”, Sears Modern Homes, Akron, Ohio, USA

I PRIMI PROGETTI PER L’EMERGENZA

8 www.searsarchives.com/homes/index.htm

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In merito al MOMA di New York da luglio a ottobre (2008) vi è la mostra “Home Delivery: Fabricating the Modern Dwelling” che

ripercorre la prefabbricazione in ambito edilizio in America, nella quale vi sono alcuni esempi di case self-made per gli strati

della popolazione meno abbienti (www.momahomedelivery.org).

Nel continente africano, uno degli esempi più signifi cativi di sperimentazione dello stile self-help housing, cioè dell’auto

costruzione, fu il lavoro di Hassan Fathy in Egitto. Nel 1930 Fathy iniziò a sperimentare le costruzioni fatte in mattoni di

fango.Dopo aver costruito alcune case di campagna con i tradizionali tetti a volta e i mattoni di fango, inclusa una sede

dimostrativa per la Mezza Luna Rossa in un villaggio distrutto da un’inondazione, fu chiamato dal Dipartimento delle Antichità

del suo paese per progettare e ricostruire un villaggio, il villaggio di Gourna.

Per Fathy la costruzione della nuova città, vicino ad un sito archeologico, fu l’opportunità per testare le sue idee di

un’architettura basata su sistemi a basso costo di costruzione e con tecniche sostenibili per il territorio, prese direttamente

dalle tecniche costruttive dei suoi avi. Anche perché i nuovi abitanti di Gourna non avrebbero potuto nemmeno permettersi le

tanto pubblicizzate case prefabbricate.

La costruzione si protrasse tra il 1946 e il 1953 ma non si ottenne il risultato sperato per l’incomprensione con gli abitanti che

si aspettavano di avere subito una casa completamente terminata, come fosse l’ennesimo prodotto.

Il problema del self-help housing è che si viene a negare il ruolo stesso dell’architetto, che è relegato al semplice ruolo di

insegnante delle tecniche costruttive.

Hassan Fathy, piano per il villaggio di New Gourna, Egitto, 1946

Allo stesso tempo un altro progetto più fortunato di quello di Fathy fu iniziato dal governo di Puerto Rico per ricostruire e

ridistribuire la terra. A 67˙000 lavoratori agricoli fu dato un piccolo appezzamento che comprendeva 3 acri. La costruzione

delle case iniziò nel 1949, e le famiglie furono organizzate, per tali lavori, in gruppi di 30 persone. Inoltre le famiglie erano

libere di decidere come progettare e costruire le proprie abitazioni utilizzando ogni metodo che potesse avere un senso, che

comprendesse un metodo costruttivo tradizionale o meno. Agli inizi degli anni ’60 erano già state costruite tra le 30˙000 e le

40˙000 piccole abitazioni.

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Con la Seconda Guerra Mondiale per la prima volta nella storia il numero dei civili morti superò quello dei soldati, la distruzione

delle città e dei paesi non aveva precedenti e praticamente tutta l’Europa doveva essere ricostruita.

Da questo momento in poi l’attenzione dei progettisti si spostò sui rifugi di emergenza, i quali divennero la priorità per dare

un tetto ai milioni di sfollati.

L’architetto fi nlandese Alvar Aalto sviluppò un rifugio di emergenza temporaneo che poteva essere trasportato e utilizzato da

quattro famiglie con un sistema di riscaldamento centralizzato.

Transportable Primitive Shelter, Alvar Aalto, Helsinki, Finlandia, 1939-40 circa

Nell’ottica della ricerca di sistemi e processi idonei a soddisfare le esigenze dell’utenza sfollata ad avere spazi ridotti (quindi

poco costosi) ma sempre più dinamici e fl essibili, in Francia Jean Prouvè propone soluzioni l’impiego di semilavorati industriali

per la produzione di costruzioni per l’emergenza. Tra queste le écoles volantes, scuole per bambini rifugiati, e il Pavillon 6x6.

Quest’ultima unità abitativa fu concepita per rispondere alle richieste di 450 abitazioni provvisorie avanzata dal Ministero

della Ricostruzione francese. La possibilità dell’assemblaggio da parte di pochi uomini e a secco permetteva che questi rifugi

fossero disponibili in breve tempo e senza aggiunta di altri materiali oltre quelli che uscivano dalla fabbrica produttrice.

La copertura si poggiava su puntoni in lamiera che costituivano la struttura principale e veniva successivamente

controsoffi ttata. Il pavimento era in legno, sollevato da terra e sostenuto da una intelaiatura metallica. Gli elementi di chiusura

verticale erano pannelli di legno con anima di alluminio.

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Interessante, anche sotto l’ottica della diversità culturale tra Europa ed America, è notare come nel continente americano tra

il 1940 e il 1945 circa otto milioni di persone hanno trovato un nuovo alloggio con il programma edilizio nazionale della

National Housing Agency che comprendeva varie tipologie quali: trailers, mobile houses, demountables, dormitories,

temporary houses, ecc.

E sono proprio gli Stati Uniti d’America i pionieri nella progettazione e creazioni di case o semplici “shelter” montabili in poco

tempo e trasportabili.

Le linee di ricerca principali erano due: quella di Richard Buckminster Fuller che utilizzava le industrie che si stavano via

via convertendo dalla produzione bellica e quella dalle varie agenzie per la casa che proponevano delle case facilmente

trasportabili generalmente di legno.

Nel secondo caso, identifi cato dall’alloggio unifamiliare in legno come la portable unit cottage della TVA, Tennessee

Valley Authority, la sperimentazione avveniva tutta in fabbrica e le fasi di montaggio che potevano essere più complicate per

l’acquirente venivano eseguite già in fase di produzione.

Airstream Clipper, Wally Byam, Los Angeles, California, USA, 1936, New Demountable Cottage,T.V.A. Tennessee Valley Authority, 1940

Walter Gropius, durante la sua esperienza ad Harvard intraprese una prestigiosa collaborazione con la General Panel

Corporation.

Insieme a Wachsmann condussero una formulazione più matura ed esaustiva del sistema strutturale prefabbricato.

La loro interpretazione delle strategie connesse con la prefabbricazione intendeva rispondere all’assemblaggio della struttura

tramite la connessione di parti a loro volta assemblate in fabbrica.

La ricerca svolgeva verso il superamento delle rigide schematizzazioni determinate dalla produzione industriale con la volontà

di giungere a combinazioni fl essibili dei vari elementi costituenti l’alloggio garantendo fl essibilità e modifi cabilità.

Scriveva Wachsmann: «Lo sviluppo del modulo degli elementi delle superfi ci universali viene determinato in sostanza da due

condizioni opposte. Mentre un elemento di costruzione dovrebbe venire dimensionato il più grande possibile, per avere un

minor numero di giunzioni, che sono pur sempre i punti più deboli, è necessario nello stesso tempo che esso sia il più

La costruzione del Pavillon 6x6, Jean Prouvè, France, 1944

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piccolo possibile, perché la sua maggiore o minore utilità dipende dalla sua capacità di adattamento in relazione ad infi nite

combinazioni, sia al momento della progettazione che dell’applicazione».

Konrad Wachsmann e Walter Gropius in cantiere per il montaggio del Package House System. Sullo sfondo le pareti del sistema in fase di allestimento.

Nel 1945 negli Stati Uniti la US Federal Public Housing Autority preparò circa 30˙000 abitazioni temporanee prefabbricate

di prima emergenza da spedire in Gran Bretagna. Le piombature e i fi ssaggi venivano spediti assieme alla struttura, ma non

venivano forniti gli arredi interni.

Houses for Britain, 1945

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L’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA IN RISPOSTA ALLE SITUAZIONI DI EMERGENZA

Precedentemente è stata defi nita l’emergenza come una situazione eccezionale, con un livello di gravità che pregiudica il

normale funzionamento delle strutture come possono essere gli ospedali.

Se ci si trova in Paesi industrializzati sarà più semplice che l’emergenza duri un lasso di tempo inferiore rispetto a Paesi in via

di sviluppo e che abbia effetti meno signifi cativi.

Ciò nonostante, nella ricerca condotta per questa tesi, si è visto come ad oggi, la maggior sperimentazione in ambito

architettonico riguardante situazioni di emergenza sia stata fatta attraverso concorsi che vedono come scenario principale

Paesi con un grado di infrastrutture e supporto logistico insuffi ciente, come i Paesi africani o del sud est asiatico.

Vi sono alcuni tentativi di inserire nell’ambito delle città occidentali l’architettura “d’emergenza”, cioè che risponde in maniera

rapida a situazioni precarie, ma i tentativi in genere si risolvono in installazioni temporanee.

Il concetto che lega l’architettura alle emergenze è quello di shelter, cioè di rifugio, che viene defi nito in “Tents, A Guide to

the use of family tents in humanitarian relief” edito dall’ Offi ce for the Coordination of Humanitarian Affair delle Nazioni Unite

come “an habitable, covered living space”, ma viene anche specifi cato che non deve essere solo un tetto, un riparo, ma deve

contenere una serie di comfort, accessori e la possibilità di accedere facilmente ad alcuni servizi. Nel caso dei rifugiati questi

saranno ad esempio dei vestiti, delle coperte, delle stufe, cioè tutte quelle cose che una persona in fuga non può portare con

se.

Per uno shelter ad uso sanitario si dovranno predisporre tutte quelle facilitazioni che permettono un agile lavoro al personale

medico. Al progettista non spetta tanto la defi nizione esatta delle quantità degli accessori, bensì il pensare a tutte le possibili

attività che potrebbero svolgersi all’interno dello shelter, progettando delle soluzioni che permettano l’utilizzo dello spazio in

modo ottimale.

La guida delle Nazioni Unite dà poi delle indicazioni che possono sembrare banali ma che meritano di essere citate per iniziare

a comprendere le primarie necessità di cui bisogna tener presente nella progettazione di uno shelter.

Nel precedente paragrafo “Il ruolo dell’architetto nel progetto per le situazioni di emergenza” venivano specifi cate le

caratteristiche che deve garantire un rifugio, cioè mantenere in un buono stato di salute gli occupanti, garantirne una minima

sicurezza e un grado, anche se minimo, di dignità.

Campo profughi, Macedonia, maggio 1999

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Nelle emergenze le tende, principale tipo di rifugio, utilizzato dalla maggior parte delle organizzazioni, soprattutto per la facilità

con cui possono essere spedite in tutto il mondo, avendo un facile stoccaggio, assicurano i precedenti fattori nel seguente

modo:

- salute: le tende proteggono dagli agenti climatici esterni (pioggia, neve, vento, polvere, sole);

- privacy e dignità: garantiscono un grado di privacy e un riparo dignitoso alle persone che hanno appena perso tutto;

- sicurezza: provvede a una sicurezza fi sica, riducendo ad esempio il rischio di furti, e da una sensazione di protezione alle

persone che vivono all’interno. I campi devono comunque avere altri sistemi di sicurezza.

- mezzo di sicurezza di supporto: la tenda permette alle persone di allontanarsi per prendere cibo e combustibile,

mantenedo sotto controllo i fi gli e potendo così condurre altre attività essenziali.1

Campo profughi in Etiopia, febbraio 1985

In genere la costruzione di rifugi d’emergenza è strettamente dipendente dalle condizioni locali; ripari possono essere costruiti

con materiali provenenti da edifi ci danneggiati, o reperiti direttamente in loco, come teli di plastica, legno, corde,ecc.

La costruzione di rifugi con questi materiali può coinvolgere attivamente la popolazione, divenendo inoltre disponibili più

velocemente e ad un costo inferiore rispetto alle tende spedite dai Paesi soccorritori.

Teli di plastica, pali, corde in genere sono le prime cose ad essere distribuite dalle organizzazioni umanitarie, in modo tale da

evitare il disboscamento delle aree limitrofe all’accampamento e garantendo la costruzione di tali rifugi in tempi brevissimi.

Deve esserci però la capacità costruttiva delle persone coinvolte; bisogna tener presente che se ci si trova in climi estremi

queste soluzioni non sono però suffi cientemente adeguate. Per questo a volte è preferibile costruire rifugi utilizzando le

tecnologie del luogo, in che modo possano essere costruiti in breve tempo e garantire un riparo più stabile e dignitoso.

Prime due foto: campo profughi di Mokindo, Rwanda, novembre1993; ultima foto: Campo profughi in Congo, dicembre 1995

1 Offi ce for the Coordination of Humanitarian Affair, Tents, A Guide to the use of family tents in humanitarian relief, 2004, United Nations Publication

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La costruzione di questo tipo di rifugi in alcuni casi può rivelarsi meno costosa del trasporto delle tende; sono inoltre più

appropriati culturalmente e migliori per quella che potrebbe essere una futura riconversione.

Per far fronte a emergenze umanitarie vengono anche fornite delle strutture a tunnel, che per disposizione dell’UNHCR sono

costituiti , per una struttura standard di 7x4m, da:

- 3x6m x tubi per l’acqua in Polietilene a media densità con diametro esterno di 63mm;

- 3x3,6m x 12mm di barre di metallo per l’irrigidimento orizzontale,

- 6x0,5m x 12mm di barre di metallo per il fi ssaggio,

- 1x7m x 4 m di telo di plastica per la copertura,

- 2x2m x 2m di telo di plastica per le porte,

- 32 m di corda.

Il vantaggio di queste strutture è che garantiscono un immediato supporto per i programmi sanitari e per

l’approvvigionamento dell’acqua, quindi in genere vengono utilizzate come supporto logistico.

Tende con struttura a tunnel, prescrizioni UNHCR

Tenda con struttura a tunnel della Croce Rossa

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Nella progettazione degli shelter per le popolazioni in situazioni di crisi vi sono più approcci. In genere vi sono

progetti che con un livello di tecnologia minimo garantiscono le prestazioni basilari e quelli che, aumentando via via l’apporto

tecnologico, cercano di creare un ambiente più stabile e duraturo nel tempo. Normalmente infatti le soluzioni di base, tipo le

tende, dovrebbero essere utilizzate per un tempo limitato, cioè solo nella prima fase dell’emergenza per poi lasciare posto a

soluzioni sempre più durature fi no al ristabilimento della normalità, anche in ambito architettonico.

Purtroppo però i dati che ci provengono dalle organizzazioni umanitarie non sempre confermano questa evoluzione degli

eventi. Dati UNHCR riportano come la media della permanenza di un rifugiato in un campo profughi è passata dai 9 anni del

1993 ai 17 del 2003, e considerando che il 47% dei rifugiati ha età inferiore ai 18 anni si può facilmente capire l’effetto di

tali dati sulla società del paese colpito: mancanza di scolarizzazione, delle minime garanzie sanitarie, ecc.

Di seguito si presentano alcuni progetti che, con diversi gradi di complessità e tecnologia, possono far comprendere i diversi

approcci progettuali e come vengono risolte le varie problematiche relative agli shelter.

LIGHTWEIGHT EMERGENCY TENT

Location.................................................Varie

Data........................................................dal 2002

Organizzazione......................................UNHCR (Alto Commissariato per I Rifugiati delle Nazioni Unite)

Cliente finale..........................................Rifugiati

Consulente progettuale......................Ghassem Fardanesh

Produttore.............................................H. Sheikh Noor-ud-Din & Sons (Pvt.) Limited, Lahore, Pakistan

Costo per unità....................................≈ 100$

Area........................................................16,5 m2

Occupazione..........................................4-5 persone

Dimensione............................................5,5 x 3 x 2,1m

Peso........................................................41,5 kg

Nei Paesi colpiti dalla guerra o da disastri naturali la presenza delle tende dell’UNHCR è uno dei primi segnali di aiuto alla

popolazione. L’incarico dato ai progettisti era quello di ripensare la tenda base in dotazione all’organizzazione.

Nel tempo sono stati pensate e testate varie soluzioni, dalle strutture prefabbricate, ai container, alle tende di poliuretano, ma

nessuno di questi presidi ha dato un signifi cativo sviluppo all’assistenza ai rifugiati.

Molte soluzioni hanno fallito perché semplicemente altri sistemi di riparo erano già disponibili al momento dell’emergenza e

il tempo per sviluppare soluzioni alternative non era suffi ciente. Altre volte i progetti proposti non sembravano delle soluzioni

temporanee ma avevano carattere “permanente” rendendo da un lato di diffi cile accettazione il loro posizionamento in loco e

dall’altro più diffi cile il ritorno dei rifugiati alle loro case. In altri casi si sono rivelati troppo costosi o di diffi cile produzione in

serie.

Come già visto in genere la distribuzione dei teli di plastica può essere, a seconda della gravità della crisi, la prima soluzione

o l’unica perché è la più semplice per far fronte all’emergenza.

Comunque, nel caso in cui non potesse essere possibile reperire in loco materiali per costruire strutture più permanenti,

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dove le famiglie non hanno possibilità di trovare accoglienza negli edifi ci comunitari, l’UNHCR provvede a fornire soluzioni più

durature, tipicamente una tenda rigida o una formata da doppio tessuto in tela. Però queste tende non sono resistenti, sono

ingombranti da trasportare e costose da spedire, si deteriorano facilmente e non possono essere stoccate per lungo tempo.

L’usura e gli strappi riducono ancora drasticamente la vita di queste tende.

Nel 2002 l’agenzia ha cominciato a testare nuove tende per le famiglie.

Le tende dovevano essere ben illuminate ed avere una vita più lunga di quelle precedenti.

La prima considerazione che è stata fatta fu quella di ridurne il volume, il peso e le dimensioni in quanto è più costoso spedirle

che produrle; parlando di quantità che vanno dalle 50˙000 alle 100˙000 tende il dato non è trascurabile.

Il risultato progettuale è stato un tunnel per la massimilizzazione degli spazi e la più ampia versatilità.

La produzione attuale prevede che il telo di copertura sia di materiale sintetico, di minor peso (da 110 kg a 41,4 kg) e con la

possibilità di stoccarle in grandi quantità,.

Un telo interno provvede all’isolamento del piano di calpestio e l’aria circola attraverso dei fori e fi nestre riparate con

zanzariere per non permettere la trasmissione della malaria.

Le corde esterne permettono sia l’ancoraggio che il corretto distanziamneto dalle altre tende.

Per garantire la privacy, cosa molto importante per la sicurezza di un campo profughi, soprattutto per evitare violenze su donne

e bambini o attriti tra gruppi, i progettisti hanno dotato ogni tenda di un tessuto che può ripartire lo spazio interno della tenda,

dove le donne possono cambiarsi e i genitori dormire separati dai fi gli.

La partizione può essere utilizzata anche per creare degli spazi semi- pubblici.

L’agenzia inizialmente ha prodotto 10˙000 unità e il nuovo prodotto è stato testato in Ciad (in risposta alla crisi del Darfur) e

nelle aree dell’Indonesia colpite dallo tsunami del dicembre 2004.

Trasporto e montaggio Lightweight Emergency Tent

“In our business it’s really diffi cult to say,

- I have something new, and let’s replace (the old version).-

The tent we have now has been under surveillance for 20 years.

This is a newborn baby.”

Ghassem Fardanesh, senior physical planner, UNHCR

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In questo progetto è da notare come piccoli accorgimenti possono garantire un grado di comfort più elevato

anche se il rifugio è una struttura di per sé precaria. Far pronte alle più elementari esigenze dell’essere umano e

garantirne un senso di sicurezza in situazioni d’emergenza, fa si che i piccoli progetti possano avere successo.

È già stato citato il libro “Tents, A Guide to the use of family tents in humanitarian relief” dell’ Offi ce for the Coordination

of Humanitarian Affair. Il libro deriva dall’esperienza di numerose organizzazioni quail OXFAM GB, CARE, CHF, UNHCR rac-

colte da Tom Corsellis del Martin Center for Architectural and Urban Studies dell’Università di Oxford, che insieme ad altri

collaboratori ha dato origine al progetto Shelterproject.

SHELTERPROJECT

Data........................................................dal 1997

Progettista............................................Martin Center for Architectural and Urban Studies, University of Cambridge

Team di progetto.................................Joseph Ashmore, Dr. Tom Corsellis, Peter Manfi eld, Antonella Vitale

Partner di progetto.............................Oxfam, Gran Bretagna

Consulenti..............................................Consulenze da numerose organizzazioni umanitarie

Clienti finali.............................................Sfollati

Website.................................................www.shelterproject.org

Nel 1997 il Dr. Tom Corsellis, che aveva già lavorato con organizzazioni umanitarie quali CARE e UNHCR, insieme a un gruppo

di progettisti, cercò di ripensare il rifugio d’emergenza. Per anni il progetto delle tende per le emergenze si è focalizzato su

due problemi: il costo e la facilità di montaggio.

Molte tende venivano costruite con tessuto, che però è pesante e costoso da trasportare, facilmente deteriorabile e non può

essere lasciato in magazzini per lunghi periodi.

Inoltre le tende dovrebbero essere utilizzabili sia in climi rigidi che caldi. Altre volte vengono montate senza pensare a problemi

come il drenaggio dell’acqua, la resistenza al fuoco e altri fattori critici. Conseguentemente le tende sono state utilizzate con

vari gradi di successo a seconda degli scenari e dell’organizzazione dei campi.

Iniziata nel 1995 la collaborazione con OXFAM GB e grazie all’apporto dell’esperienza di altre organizzazioni, è stato possibile

per il team di progetto lo sviluppo di linee guida per le tende che sono state pubblicate nel libro “TENTS”, edito nel 2004.

Più recentemente il progetto di ricerca ha approfondito la tematica dell’organizzazione e pianifi cazione tra lavoro di primo

soccorso e la successiva programmazione dello sviluppo futuro della zona colpita.

Nel 2005 vennero pubblicate le linee guida per un miglior intervento “Transitional Settlements: Displaced Populations”.

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Studio per la suddivisione in settori di un campo profughi

test delle tende a Bamyan, Afghanistan, febbraio 2003

test delle tende a Panjwai, Kandahar, febbraio 2003

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SHELTER FRAME KIT _ Q-SHELTER

Location.................................................Varie

Data........................................................dal 1983

Organizzazione......................................World Shelter

Consulente progettuale......................Steven Elias, Bruce LaBel

Partner di progetto.............................Buckminster Fuller Institute

Clienti finali.............................................Popolazione sfollata, campi per operazioni d’emergenza

Costo per unità....................................365$

Superficie...............................................25 m2

Dimensione...........................................7,4 x 3,4 x 2,6m

Dimensione imballaggio......................38 x 38 x152cm

Peso........................................................30 kg

Il progettista Bruce LaBel ha avuto il primo approccio con la progettazione in situazioni d’emergenza dopo il terremoto che nel

1976 ha colpito il Guatemala, poi nel 1977 ebbe modo di lavorare con Buckminster Fuller.

Poi lavorò per la The North Face, che fu la prima ditta ad utilizzare il concetto di Fuller sulla tensegrity nelle sue tende e

dove Bob Gillis con Bruce Hamilton svilupparono la prima tenda impacchettabile con asticelle fl essibili che è la medesima

tecnologia che è stata utilizzate per il progetto del Shelter frame Kit.

Il progetto prevede la costruzione di una tenda attraverso l’utilizzo dei teli di plastica in dotazione all’organizzazione USAID

(United States Agency for International Development) e dei semplici tubi di PVC.

La struttura è derivata chiaramente dai progetti di Fuller e l’aggancio tra il telo di plastica e i tubi è garantito attraverso delle

clip inventate dal designer Robert Gillis chiamate GripCLips.

IL Q-shelter ha tutti i vantaggi relativi alla leggerezza, alla trasportabilità e al facile montaggio delle tende, ma ne eredita anche

gli svantaggi. La ventilazione è relegata alle aperture usate come ingresso, l’isolamento viene effettuato attraverso l’utilizzo di

un secondo telo, soluzioni che accoppiate aumentano la possibilità di avere la formazione di condensa interna.

Tenda medica allestita in Uganda, consegna di un Shelter Frame Kit a dei medici dello Sri Lanka colpiti dallo tsunami del 2004

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GRIDCLIPS

Location.................................................Varie

Progettista............................................Robert Gillis

Produttore.............................................Shelter System

Costo......................................................8-10$ per il set da 4 elementi

Il progetto è una semplicissima soluzione per il fi ssaggio dei teli alle strutture delle tende. La clip è adatta per tutti i tipi di teli

e per i più utilizzati sistemi di fi ssaggio, quali fascette di plastica e metallo ma anche semplici cordini.

È composta da due elementi: il primo viene fi ssato alla struttura, mentre il secondo viene incastrato al primo dopo aver

posizionato il telo di plastica. La semplice rotazione del secondo elemento sul primo crea un incastro grazie al particolare

disegno delle due parti.

Una tenda fi ssata alla struttura con i GridClips

Page 43: Premio Nobile - AREA Science Park

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Ci sono invece dei progetti che mirano a garantire una più dignitosa vita alle popolazioni disagiate e che vogliono superare

le problematiche sia tecnologiche, come la ventilazione, ma anche sociali, come il fatto di vivere in un ambiente diverso dal

proprio abituale luogo domestico.

Ma questo spesso si scontra con la proibizione dei governi a costruire degli alloggi permanenti agli sfollati, sia perché essi si

trovano in territorio straniero, sia per la preoccupazione di una edilizia selvaggia.

Quindi il progettista si trova a dover mediare tra le esigenze delle vittime e le restrizioni burocratiche.

A questo proposito una soluzione interessante è il progetto Bold (Building Opportunities and Livelihoods in Darfur).

BOLD

Location.................................................Darfur , Sudan

Data........................................................2004-05

Organizzazione.....................................CHF International

Progettista............................................Scott Mulrooney, Isacc Boyd

Consulente progettuale......................Richard Hill

Maggior finanziatore...........................USAID

Clienti finali............................................Popolazione sfollata

Costo per unità....................................90$

Superficie...............................................6,5m2

Il progetto prevede la creazione di shelter che usino le tecniche costruttive tradizionali e dalla forma tipica delle rakubas, cioè

le tipiche costruzioni in bamboo del Sudan.

Le costruzioni hanno infatti una struttura di bamboo che è tenuta insieme attraverso pneumatici e corde di materiale riciclato

ed è ricoperta dai tipici tessuti in fi bra vegetale.

Le abitazioni “Bold” montate e utilizzate dai rifugiati

Page 44: Premio Nobile - AREA Science Park

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GLOBAL VILLAGE SHELTER

Location.................................................Grenada

Data.......................................................1995 - 2005

Progettista............................................Ferrara Design Inc.

Team di progetto.................................Daniel A. Ferrara, Jr., Mya Y. Ferrara

Consulente per i materiali..................Ferrara Design Inc., Weyerhaeuser, Inc.

Produttore.............................................Weyerhaeuser, Inc.

Maggior finanziatore...........................Architecture for Humanity, Weyerhaeuser, Inc., Ed Plant, e altre donazioni private

Clienti finali............................................Popolazione sfollata

Costo per unità....................................400$

Durata del prodotto............................8-12 mesi

Il team di progetto formato da padre e fi glia e arrivata al progetto dell’elegante, semplice, relativamente a basso costo, rifugo

dopo aver sperimentato più di 100 differenti confi gurazioni.

Fatto con cartone laminato corrugato, il rifugio può essere montato in meno di un’ora da due persone usando solamente un

set di informazioni per il montaggio.

Il cartone ha la funzione di irrobustire, dare privacy e permettere un facile trasporto del rifugio.

Solamente tre ditte che trattavano il cartone erano disponibili per la realizzazione, ma solo la Weyerhaeuser, Inc. era in grado

di trattare lastre di cartone corrugato così grandi da permettere la realizzazione completa del rifugio.

Lavorando con la stessa ditta la prima idea venne perfezionata riuscendo a fornire un miglior isolamento e una resistenza

maggiore all’acqua. Si decise di impregnare il cartone con un prodotto ritardante la combustione e dotando la porta d’accesso

di una chiusura meccanica per garantire la sicurezza degli occupanti.

Purtroppo, come ogni struttura trasportabile e temporanea i costi per le spedizioni sono molto maggiori rispetto ai costi della

produzione. La Weyerhaeuser, Inc. ha stimato che 88 unità possono essere stivate in un container standard da spedizione, in

rapporto a 500-1000 tende.

Un campo di prova fu l’isola Grenada, in cui un uragano aveva pressoché distrutto l’85% delle abitazioni.

Furono montati 70 rifugi distribuiti nelle aree rurali per essere utilizzate come abitazioni transitorie e cliniche ambulatorie.

I rifugi sono stati appositamente studiati per durare poco tempo, anche su suggerimento delle Nazioni Unite, in quanto

strutture troppo resistenti possono successivamente ritardare il rientro della popolazione nelle loro case e creare situazioni di

nuova povertà.

Montaggio e moduli assemblati

Page 45: Premio Nobile - AREA Science Park

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Global Village Shelter, istruzioni di montaggio

Lo studio Ferrara Design Inc., come tutti i progettisti che si trovano a lavorare sull’architettura per l’emergenza, sono

consapevoli del fatto che progettare un nuovo rifugio che possa competere con la tenda è un’operazione quasi impossibile.

Le persone che si trovano in situazioni critiche diffi cilmente accettano drastici cambiamenti. Per loro è diffi cile anche pensare

ad una spesa maggiore per un riparo quando ogni centesimo è fondamentale per la sopravvivenza.

È per questo che molte soluzioni rimangono solo dei progetti, come il caso di 139 Shelter e Concrete Canvas.

139 SHELTER

Location.................................................Etiopia

Data.......................................................1989, ma mai costruito

Progettista............................................Future System

Team di progetto.................................Jan Kaplicky, David Nixon

Consulente strutturale.......................Atelier 1

Ingegneria meccanica.........................ARUP (Ove Arup & Partners)

Maggior finanziatore...........................Architecture for Humanity, Weyerhaeuser, Inc., Ed Plant, e altre donazioni private

Persone coinvolte................................200

Persone per l’assemblaggio..............12 persone in 30 minuti

Dimensioni.............................................500m2

Costo per unità....................................30˙000$

Furono le immagini della popolazione etiope affamata e che assaliva i centri di distribuzione del cibo nel 1985 che spinse Jan

Kaplicky e David Nixon a progettare 139 Shelter. Voleva essere un riparo per la popolazione che dal nord del paese andava

verso sud. Il rifugio può ospitare fi no a 200 persone, può essere facilmente trasportato con un aereo cargo e poi agganciato

a un camion o paracadutato. Una volta in sito necessita di 12 persone per essere assemblato.

La forma è ad ombrello ed ancorata al terreno con sacchi di sabbia. La copertura di Pvc, rifl ettendo più dell’80% del calore

solare, garantisce un’effi cace zona d’ombra durante il giorno ed un effi cace riparo durante le notti più fredde.

La ventilazione è garantita da una ventola centrale.

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Metodi di trasporto

Meccanismo di apertura

Sistema di ventilazione

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CONCRETE CANVAS

Data.......................................................2003-2004

Team di progetto................................Peter Brewin, William Crawford

Dimensioni............................................16m2 - 230 kg

Costo per unità...................................2˙000$ (prototipo)

Website.................................................www.concretecanvas.org.uk

Inventato da Peter Brewin, William Crawford, ingegneria al Royal College of Art, “Concrete Canvas” è un “edifi cio in una

sacca”. Gonfi ata la sacca, 12 ore dopo il rifugio è pronto per essere utilizzato.

Entrambe i progettisti hanno avuto precedenti esperienze militari prima di iscriversi al Royal College e sono convinti che

questa soluzione potrebbe essere utilizzata in scenari di crisi, per cliniche mobili in situazioni di emergenza medica o come

luogo per stoccare cibo e materiale.

Il funzionamento è il seguente: si prende la sacca di tessuto impregnato di cemento e la si riempie di acqua (la dimensione

della sacca controlla la giusta quantità che deve essere usata, eliminando quella in eccesso).Si lascia in posa per 15 minuti

in modo che il cemento si reidrati ed una matrice di fi bre tessili insieme ad un agente legante acqua-assorbente, producono

una reazione chimica che miscela il cemento.

Poi, si apre la struttura, che viene gonfi ata come un materassino ad aria attraverso un pacchetto chimico che rilascia un

volume controllato di gas. Una volta gonfi ata la si lascia in posa fi nchè non indurisce e successivamente si tagliano le porte e

i fori per la ventilazione. Infi ne si lascia che la struttura indurisca per tutta notte.

Il risultato è una sottile struttura in calcestruzzo di 16 m2. Una fodera aderente all’interno di plastica provvede a creare un

ambiente sterile impermeabilizzato.

Sebbene l’idea di poter avere un rifugio resistente che può essere riposto in uno zaino è ottima, il peso e la necessità di

avere a disposizione una grande quantità di acqua, fa si che questa idea debba essere maggiormente sviluppata e non sia

immediatamente utilizzabile in scenari di crisi in corso in Paesi non industrializzati.

Montaggio con relativa tempistica; posizionamento, idratazione, gonfi aggio, fi niture

Due elementi montati e interno del Concrete Canvas

Page 48: Premio Nobile - AREA Science Park

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Uno dei problemi principali nella creazione degli shelter è il reperimento dei materiali che magari si pensa di trovare in

loco. Nel progetto precedente la disponibilità d’acqua veniva data per scontata, senza tener conto che in una situazione di

emergenza questa può scarseggiare, sia perché il luogo può esserne privo (Paesi in via di sviluppo) sia perché le infrastrutture,

quali le tubature o le strade che potrebbero essere utilizzate da mezzi con cisterne, potrebbero essere danneggiate (Paesi

sviluppati). Naturalmente se si dispone di un apparato di tipo militare questi problemi possono essere superati in tempi brevi

grazie allo spiegamento di mezzi, ma ciò non può essere garantito se ci si trova ad agire in campo civile.

Il reperimento del materiale in loco è comunque un problema tenuto in grande considerazione dalle agenzie dell’ONU. Infatti

il ricorso senza controllo a materiale da costruzione locale per far fronte alla prima emergenza può provocare successivi gravi

danni nella gestione della crisi. Il disboscamento di ampie zone per reperire legname per la costruzione provoca la distruzione

della vegetazione e di conseguenza anche la mancanza di zone ombreggiate, l’evaporazione dell’acqua e la sua dispersione.

Da queste considerazioni nacque la collaborazione tra l’architetto Shigeru Ban e l’UNHCR.

PAPER TUBE EMERGENCY SHELTER

Location.................................................Byumba Refugee Camp, Rwanda

Data.......................................................1999

Progettista............................................Shigeru Ban

Progetto e prototipo...........................Primavera 1995 – luglio 1996

Costruzione e montaggio...................Febbraio – Settembre 1999

Committente........................................UNHCR

Cliente finale.........................................Rifugiati ruandesi

Finanziatore..........................................UNHCR

Un tipico campo profughi e un campo attrezzato con gli shelter progettati da Shigeru Ban

Nel 1995 Shigeru Ban fu chiamato dall’ UNHCR per progettare delle dimore temporanee per più di 2 milioni di ruandesi che

scappavano dal genocidio in corso per trovare rifugio in Tanzania e Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo).

Il progetto nella sua forma fi nale arrivò dopo una serie di ipotesi sui possibili materiali utilizzabili (bamboo, alluminio,

plastica e tubi di cartone). Numerosi fattori portarono alla scelta fi nale dei tubi di cartone. In primo luogo il grave problema

della deforestazione per la richiesta di legname da parte dei rifugiati per la stessa costruzione di ripari improvvisati. In secondo

luogo i tubi di cartone sono poco costosi e di facile trasporto. Infi ne era anche possibile produrre gli stessi in loco, riducendo

così le spese di spedizione, il tempo di attesa e gli scarti di lavorazione.

La costruzione di tre prototipi, avvenne nella primavera del 1995. Questi rifugi, che venivano coperti da teli di plastica di 4 x

6 m e garantivano la copertura di 16 m2, furono costruiti in collaborazione con Vitra e testati per garantirne la manutenzione,

i bassi costi di produzione e la resistenza termica.

La prima tipologia venne costruita come una semplice tenda a forma triangolare con un tubo di cartone posto in

corrispondenza della fi ne di ogni timpano e delle corde a garantire la giusta tensione.

La seconda fu costruita come un rifugio assimetrico che permette un utilizzo più funzionale dello spazio interno rispetto al

primo modello. I tubi di catone creano una forma a V in corrispondenza di ogni fi ne timpano e le corde permettono di mettere

in tensione la struttura.

L’ultimo prototipo, più grande e con 3 fogli di plastica (uno grande e due più piccoli) può essere connesso ad altri moduli

dello stesso modello alla fi ne dei timpani. Questo modello permette un’area coperta maggiormente utilizzabile, rendendola

disponibile per piccole cliniche o altri servizi.

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I tre prototipi proposti

Il terzo fu il prototipo scelto per essere utilizzato dall’UNHCR. Dopo vari test da Vitra, il rifugio fu trasferito nel Luglio 1996 nel

giardino delle nazioni Unite a Ginevra per la presentazione fi nale all’ UNHCR.

Nella seconda fase di progettazione fu esplorata la possibilità della produzione in loco. Nel febbraio 1997, specialisti della

Sonoco, fabbrica di tubi di cartone, sono andati al centro logistico di Medici Senza Frontiere a Bordeaux in Francia portandosi

un macchinario e il materiale per la produzione dei tubi, volendo dimostrare la fl essibilità della produzione anche in larga

quantità nei luoghi delle emergenze. Per Ban la fase finale del progetto, nel 1999, è stata quella del monitoraggio

delle costruzione di 50 rifugi.

L’evento che fece capire la necessità della costruzione di abitazioni più stabili per le persone che improvvisamente non

avevano più la propria casa, fu il terremoto che colpì il Giappone, in special modo la città di Kobe, nel 1995.

Infatti in quel caso Ban potè affrontare e testare in tempo reale i suoi progetti.

La prima soluzione fu quella di spostare le residenze temporanee fuori dal centro cittadino, ma fu subito chiaro che i campi

provvisori allestiti in centro città continuavano a persistere perché vicini ai luoghi di lavoro.

Quindi Ban con i suoi studenti costruirono le prime 21 case in tubi di cartone (Paper Long House) vicino ai maggiori centri di

produzione. Queste case vennero poi migliorate con l’esperienza del terremoto del 1999 in Turchia e del 2001 in India.

Pagine dall’allegato D, procedure di assemblaggio dal manuale edito per i Paper Tube Shelter

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Pagine dall’allegato D, procedure di assemblaggio dal manuale edito per i Paper Tube Shelter

Allestimento dei Paper Tube Shelter nel campo profughi di Byumba in Ruanda, 1995-1999

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Il problema ambientale durante le fasi di emergenza è sempre più tenuto in considerazione. Infatti la scarsa attenzione a tale

tema durante la fase pianifi catrice degli interventi e durante gli stessi può provocare, come per altro già detto, delle situazioni

critiche nell’immediato futuro. Così, come Shigeru Ban nelle sue Paper House, sempre più progetti mirano alla salvaguardia

ambientale anche attraverso la corretta progettazione di shelter e costruzioni permanenti.

BAREFOOT COLLEGE

Location................................................Tilona, Rajasthan, India

Data.......................................................1986-89

Progettista capo.................................Bunker Roy

Team di progetto................................Bhanwar Jat, Neehar Rain e Barefoot Architects, strutture geodetiche di Rafeek

Mohammed e Barefoot Architects.

Costruttori...........................................Bhanwar Jat con abitanti del posto

Clienti finali...........................................Abitanti di Tilona

Maggior finanziatore..........................Social Work e Research Center, Governo indiano, Nazioni Unite, German Argo Action,

HIVOS- Humanist Institute for Development Cooperation, Plan Internazional

Costo.....................................................21˙430$

Superficie..............................................2800 m2 (sito 35000 m2)

All’interno della costruzione del Barefoot Colege a Tilona, nella regione del Rajasthan, in India, gli architetti impegnati nella sua

costruzione hanno utilizzato le cupole geodetiche ideate da Buckminster Fuller come elemento integrante di una architettura

sostenibile. Infatti il problema della deforestazione in questa regione dell’India è urgente ed allarmante a causa del taglio

indiscriminato del legname per la costruzione delle tipiche case.

Rafeek Mohammed e sette altri architetti del programma hanno costruito le cupole con materiali di scarto dell’agricoltura,

inclusi i pezzi non più utilizzati dei carri e alcune sezioni delle pompe. Le hanno poi ricoperte con paglia, conferendo così

un aspetto tradizionale a queste nuove costruzioni. Le strutture geodetiche sono tutt’ora utilizzate come laboratori medici,

dispense, uffi cio postale e internet caffè.

Page 52: Premio Nobile - AREA Science Park

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Ci sono poi progetti che nascono specifi catamente per essere utilizzati nell’ambito delle grandi metropoli, per dar modo alle

persone meno abbienti di aver a disposizione un luogo da chiamare casa, un luogo i cui rifugiarsi, anche se non rispecchia

l’idea tradizionale di “domesticità”. Sono progetti che si confrontano strettamente con il concetto di existens minimum e che

alle volte, come si potrà vedere successivamente, arrivano a confondersi con la performance artistica, con la sola differenza

che il performer, in questo caso, è una persona in evidente stato di emergenza abitativa.

DOMEVILLAGE

Location................................................Los Angeles, California, USA

Data.......................................................dal 1993

Concept................................................Ted Hayes, Craig Chamberlain

Progettista...........................................Craig Chamberlain

Organizzazione....................................Justiceville, Usa

Cliente finale........................................Senzatetto

Maggior finanziatore..........................IARCO Corporation

Costo totale.........................................250˙000$

Costo per unità..................................10˙000$

Area per unità.....................................29 m2

Il Dome Village consiste in 20 sfere ognuna di 6,1m di diametro e alta 3,6m con una superfi cie di 29 m2 .

Ogni sfera è formata da 21 pannelli di fi bra di vetro e poliestere poi uniti con 150 bulloni di Tefl on, rendendo la struttura

impermeabile. In meno di 4 ore, due persone possono assemblare una Omni-Sphere usando una scala, un cacciavite e una

chiave inglese. È stato progettato per offrire un riparo stabile ai senzatetto e cercare così di ridare una prospettiva di vita alle

persone che non posseggono nulla.

L’interno di una Dome

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Per fi nire questa rassegna di progetti sviluppati per far fronte a situazioni di emergenza si segnalano alcuni progetti che non

riguardano strettamente il campo architettonico, ma sono forse più vicini al mondo del design. Questo per dimostrare come il

processo della progettazione, che si tratti di un rifugio, di una casa o di un semplice recipiente richiede lo stesso iter, cioè una

fase di individuazione delle problematiche, lo stato delle condizioni in cui dovrà inserirsi il progetto, l’utilità e la fattibilità,ecc.

Ancora una volta si può vedere come soluzioni low-tech possono convivere con tecnologie hig-tech e che le une non

escludono le altre. Si tratta solamente di vedere in che modo si può dare risposta nel modo ottimale alle richieste che vengono

fatte al progettista.

paraSITE

Location................................................New York, Baltimora, Boston, Cambridge

Data.......................................................dal 1998

Progettista...........................................Michael Rakowitz

Consulenti............................................vari senzatetto

Cliente finale........................................senzatetto

Finanziatore.........................................autofi nanziato

Costo totale.........................................5$

Website................................................www.michaelrakowitz.com

paraSITE è un rifugio temporaneo per persone che vivono in strada. Il riparo è un elemento gonfi abile costruito da due fogli di

plastica e un nastro (materiali facilmente reperibili dai senzatetto).

Una serie di tubi vuoti interconnessi creano una struttura che ha come parte fi nale un singolo tubo.

Per gonfi are la struttura bisogna connettere la parte fi nale agli sfi atatoi degli impianti di ventilazione degli edifi ci. Il calore

attraversa i tubi e gonfi a la doppia membrana strutturale, creando istantaneamente un riparo caldo. Al mattino il riparo può

essere semplicemente ripiegato e riposto in una borsa facilmente trasportabile.

Rakowitz ha costruito il primo prototipo nel 1997 a Cambridge, nel Massachussetts, per un senzatetto di nome Bill Stone. Da

quel giorno ha costruito 30 prototipi di paraSITE, ognuno personalizzato per ogni utilizzatore fi nale.

Un altro lato di questo progetto è il fatto che, dovendosi attaccare ai sistemi di ventilazione degli edifi ci, paraSITE diventa un

elemento visibile e che denuncia agli abitanti più benestanti il dilagare del problema delle persone che non hanno più una

casa, problema in aumento negli Stati Uniti d’America.

paraSiITE può essere trasportato dai senzatetto in una borsa e all’occorrenza posizionato alle prese d’aria, fatto che attira l’attenzione dei passanti

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HIPPO WATER ROLLER

Location................................................Sud Africa

Data.......................................................dal 1993

Progettista...........................................Grant Gibbs

Team di progetto................................Pettie Petzer, Johan Jonker

Produttore...........................................Imvubu Projects

Consulenti esterni..............................Robin Drake, Piet Hickley

Maggior finanziatore..........................Africa Foundation

Costo per unità...................................circa 75$

Website................................................www.hipporoller.org

Il progetto Hippo Water Roller ha permesso a migliaia di donne e bambini di poter trasportare l’acqua necessaria al

sostentamento giornaliero delle famiglie senza doversi caricare sulle spalle innumerevoli quantità d’acqua in recipienti in

genere contenenti 20 litri.

L’idea principale del progetto è stata quella di non dover per forza caricare l’acqua sulle spalle, ma semplicemente farla

rotolare all’interno di un contenitore in polietilene cilindrico di 90 litri. Il sistema permette alle persone di trasportare molta più

acqua e un notevole risparmio di tempo; inoltre il peso percepito facendo rotolare il contenitore è di 10 kg contro i 90 kg che

si avrebbero se l’acqua venisse trasportata con i tradizionali metodi, con un notevole vantaggio per la salute delle persone che

trasportano i contenitori e della famiglia che può avere a disposizione più acqua per cucinare e per la propria igiene.

L’Hippo roller in una foto da catalogo

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REPORT

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SHIGERU BAN | I PAPER TUBE

Shigeru Ban ha costruito la sua prima struttura in paper-tube nel 1989, chiamata Paper Arbor (un padiglione per il

World Design Expo a Nagoya in Giappone) ed ha continuato la ricerca raggiungendo espressioni formali di alto livello, come

dimostrano le esperienze del Japan Pavilion per l’Expo di Hannover del 2000 e il Paper Arch del museo di arte moderna di

New York.

Nell’analisi di questi edifi ci si potrà facilmente capire come l’innovazione all’interno dell’architettura può percorrere due

strade, come per altro già anticipato precedentemente: quella che vede un apporto di innovazione relativamente basso,

low technologies, cioè tecnologie desunte dall’esperienza e in genere a basso costo; e quella della high technologies, cioè

tecnologie ad alto contenuto di innovazione, in genere derivati da settori in cui gli investimenti nella ricerca sono signifi cativi,

come quello aerospaziale o dei trasporti.

Nel capitolo riguardante le soluzioni tecnologiche utilizzate nelle architetture mobili si avrà modo di approfondire tale tema, ma

è necessario, per comprendere il lavoro di Ban con i paper-tube, “dire che i termini e i concetti «avanguardia» e «tradizione»,

applicati alla civiltà orientale, non hanno signifi cato, o meglio, hanno signifi cato solo se li si intende come concetti e termini

opposti: in tale civiltà, infatti, essi vanno intesi come sinonimi di «innovazione» e di «stabilità» in una relazione reciproca di

dipendenza.” 1

“In campo architettonico tale approccio trova esempi signifi cativi nelle esperienze di Toyo Ito, Kazuyo Sejima e Shigeru Ban,

le cui opere danno continuità alla cultura giapponese pur impiegando un linguaggio architettonico e tecniche costruttive tese

alla ricerca del nuovo.” 2

Ban è un esempio di progettista che sa muoversi tra soluzioni progettuali che percorrono la strada dell’ high-tech, come nel

caso della Neked House, e soluzioni che invece privilegiano il low-tech, come le abitazioni Paper Log House.

In un’intervista della rivista Detail, Ban ha detto “Cerco sempre di lanciare nuove idee, ma non ho «inventato» nulla; utilizzo

materiali standard, solo in modo nuovo”.

Dai dati tecnici reperibili sulle strutture in paper-tube, per le Paper House si nota come c’è stata una grossa fase di verifi ca

delle proprietà meccaniche della nuova struttura che si è svolta tra il 14 ottobre e il 20 novembre 1991, nel dipartimento di

Scienze e Ingegneria della Scuola di Architettura a Tokyo.

Nel caso in esame i tubi di cartone sono utilizzati come delle vere colonne. Lo scopo di una parte degli esperimenti era quello

di indagare la risposta, entro tempi brevi, del papaer-tube attraverso un test a piegatura (bendino test), a compressione e a

taglio. I tubi utilizzati avevano diametro esterno di 280mm e quello interno di 250mm.

1 G. Pasqualotto, Yohaku, Forme di ascesi nell’esperienza estetica orientale, Esedra, 2001, Padova in Nicola Sinopoli, Valeria Tatano, a cura di, Sulle tracce dell’innovazione.

Tra tecniche e architettura, Angeli, 2002, Milano.

2 Nicola Sinopoli, Valeria Tatano, a cura di, Sulle tracce dell’innovazione. Tra tecniche e architettura, Angeli, 2002, Milano.

Page 56: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

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“The average compressive strenght of paper tube was 113.9 kgf/cm2”

“The bending strenght is more than 1.42 times the compressive strength”

“The single shear strength was 581 kgf per lag screw”3

Paper Log Houses

A Kobe, a Kaynasli e a Bhuj le Paper Log House vennero costruite per dare un riparo alle

migliaia di persone sfollate dopo i violenti terremoti che avevano colpito tali città.

Le Log House, di 4m2, erano costruite con travi di cartone e con muri fatti di tubi dal

diametro di 108mm e spessi 4mm.

La base fu costruita con casse di birra collegate con sacchi di sabbia. Il soffi tto e il tetto,

ognuno dei quali rivestito con una membrana di PVC, furono separati per permettere la

circolazione dell’aria, mantenendo fresco l’interno d’estate con l’apertura del timpano e

invece lasciandolo caldo in inverno attraverso la sua chiusura.

Quando le famiglie numerose necessitavano di avere due unità collegate si creava

un’area comune tra le due parti in cui i tetti venivano collegati.

Per ogni casa era necessario disporre di 10 operai, incluso il capomastro.

Le prime 6 case si poterono costruire in sole otto ore e, di seguito, ne vennero costruite

21 nel giro di un mese al costo di 250˙000 yen l’una (1˙500 euro circa). Queste case

erano meno costose e più facili da montare rispetto alle tradizionali case prefabbricate e

il fatto di essere facilmente riciclabili contribuì al successo del progetto.

In Turchia le case vennero costruite invece con una dimensione di 18m2, fatto dovuto

alla dimensione di produzione del compensato nel Paese. Inoltre le case vennero meglio

isolate attraverso l’inserimento di carta da scarto all’interno dei tubi lungo le pareti e

l’utilizzo di fi bra di vetro nel soffi tto.

Nel caso indiano invece, vi furono problemi nel reperimento di alcuni materiali come

le casse di birra da utilizzare per la base. Per questo si decise di utilizzare il pietrisco

ricavato dalle macerie degli edifi ci distrutti per poi costruirci sopra un pavimento in fan-

go, tipico della tradizione costruttiva locale come la stuoia tessuta con canne la quale,

accoppiata con un mantello di plastica chiara cerato proteggeva l’interno dalla pioggia.

La ventilazione veniva garantita attraverso dei fori nella stuoia del frontone caratteristica

che diede la possibilità alle donne di cucinare all’interno della casa, evitando il fastidioso

problema delle zanzare.

Quindi si può notare come la tecnologia dei peper-tube e del loro assemblaggio è stata

mutuata a seconda delle esigenze e delle caratteristiche costruttive del luogo.

Location: Nagata, Kobe, Giappone

Data: settembre 1995

Ing. strutturali: Minoru Tezuka, TSP

Taiyo

Location: Kaynasli, Turchia

Data: Gennaio 2000

Arch. associati: Mine Hashas, Hayim

Beraha, Okan Bayikk

Location: Bhuj, India

Data: Settembre 2001

Ing. strutturali: Kartikeya Shodhan

Associates

Kobe, shelter allestiti prima dell’arrivo

delle Paper Log House; Paper Log House

e montaggio.

3 Matilda McQuaid, Shigeru Ban, Phaidon Press, 2003, Londra

Page 57: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

57

Paper Log House, Bhuj, India, 2001: esploso assonometrico; interno di una Log House usata come scuola; interno.

Paper Log House, Kaynasli, Turchia, 1999: fasi della costruzione.

Paper Log House, Kobe, Giappone, 1995: esploso assonometrico; interno.

Page 58: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

58

Paper Church

La costruzione della Paper Church fu fatta accanto alle macerie della chiesa di Takatori a

Kobe. La comunità era per la maggior parte composta da rifugiati vietnamiti le cui case

furono a loro volta rase al suolo dal terremoto che ha colpito la città nel 1995. la pianta

rettangolare di 10x15m ha una pelle di rivestimento in pannelli di policarbonato. La parte

frontale e metà di ogni lato laterale può essere aperto, facilitando la ventilazione interna

e permettendo, in caso di necessità, la partecipazione ai riti anche a numerose persone

che altrimenti non avrebbero potuto entrare nella chiesa.

Lo spazio interno è reso dinamico dalla disposizione ovale dei 58 paper-tube di 5m di

altezza, con diametro di 33cm e 15cm di spessore, e può contenere 80 persone.

Location: Nagata e Kobe, Giappone

Data: settembre 1995

Ing. strutturali: Minoru Tezuka, TSP

Taiyo

Paper Church: montaggio

Paper Church: interni; esploso assonometrico; particolare del l’interfaccia paper-tube - tetto; estremo.

Page 59: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

59

Paper Dome

La Paper Dome è uno shelter permanente progettato da una specifi ca richiesta di un

contractor di case in legno.

Le richieste del cliente furono chiare fi n dall’inizio. Il riparo di 28x25m doveva essere

progettato considerando che doveva essere agevole per i lavori esterni di movimentazione

del materiale della ditta, particolarmente resistente alla neve e il sistema di assemblaggio

doveva essere così facile da poter essere fatto dai carpentieri del cliente stesso.

Il progetto di Ban prevedeva la costruzione di un arco di 27.7m, con un altezza massima

di 8m, realizzato con tre materiali accoppiati. Siccome non potevano essere prodotti

dei paper-tube così grandi e curvi senza una perdita delle caratteristiche meccaniche

tipiche, si dovettero creare 18 segmenti per ogni arcata, ognuno di 1.8m e di diametro

esterno di 29cm, connessi tra loro con giunti in legno laminato.

Trasversalmente, un sistema di 28 segmenti lunghi 0.9m e 14cm di diametro, si

connettono alle arcate in modo da garantire la rigidezza strutturale.

I paper-tube vennero resi impermeabili attraverso del poliuretano trasparente spalmato

prima dell’assemblaggio, in modo da minimizzare l’espansione e la contrazione degli

elementi dovute all’umidità e ai cambiamenti estremi delle temperature tipici della

zona.

La rigidezza laterale venne ottenuta mediante uno strato di compensato posato

esternamente al reticolo strutturale dei paper-tube; inoltre tali pannelli vennero ricoperti

con fogli di policarbonato corrugato.

Cavi in acciaio in tensione e rinforzi sempre in acciaio, vennero aggiunti per garantire

la sicurezza della struttura anche sotto carichi eccezionali come quelli dovuti al grande

accumulo di neve.

Paper Dome: interno ed esploso assonometrico della copertura

Location: Masuda, Giappone

Data: gennaio 1998

Ing. strutturali: Minoru Tezuka, VAN

structural design

Paper Dome: esterno e particolare

copertura

Page 60: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

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Japan Pavilion

Il padiglione fu progettato per l’Expo di Hannover del 2000 dal titolo

“Humankind-Nature-Technology: A New World Arising”, sulla scia dell’idea dello sviluppo

sostenibile e dell’Earth Summit tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992.

Shigeru Ban ha collaborato per la realizzazione dell’opera con Frei Otto, architetto e

ingegnere strutturale conosciuto per le costruzioni con tensostrutture, proponendogli la

realizzazione di un tunnel di 74x25x16m.

Partendo dalla considerazione che i paper-tube possono essere fabbricati con qualsiasi

lunghezza, l’idea era quella di costruire una struttura a griglia tridimensionale senza

alcun tipo di giunto tra i cilindri di carta.

Questo avrebbe anche permesso di abbattere i costi per l’acquisto dei giunti.

L’accortezza fu quella di richiedere tubi lunghi 20 metri per poterli facilmente trasportare

e l’utilizzo di collegamenti di legno per evitare quelli classici e costosi metallici.

Il team di progetto decise di adottare infatti un sistema di unioni fl essibili per collegare le

varie parti della griglia tridimensionale che doveva essere sollevata da terra per prendere

poi la caratteristica forma una volta elevata. Inoltre sia Ban che Otto vollero che questi

sistemi derivassero da un materiale low-tech, come il tessuto o del nastro metallico, in

accordo con il tema dell’Expo. Il nastro avrebbe permesso il collegamento dell’angolo tra

i tubi e il successivo sollevamento per creare la curvatura tridimensionale. Otto propose

anche una cornice rigida esterna formata da archi accoppiati a due a due, con dei pioli

a collegamento, e dei puntoni a unione degli stessi archi accoppiati. Questa soluzione

avrebbe permesso una maggiore rigidezza alla struttura, l’aggancio della membrana che

avrebbe fatto da copertura e la futura manutenzione della struttura.

Japan Pavilion: esploso assonometrico della copertura; vista interna ed esterna

Location: Hannover, Germania

Data: maggio 2000

Consulente: Frei Otto

Ing. strutturali: Buro Happold

Japan Pavilion: particolare

Page 61: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

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Paper Arch_ The Museum of Modern Art

Per le celebrazioni del nuovo millennio il Museo di Arte Moderna di New York ha fatto

costruire a Ban un arco alto 9.1m, con una apertura di 26.5m all’interno del giardino

dello Sculpture Garden all’Abby Aldrich Rockefeller, trasformando questo spazio in una

monumentale sala esterna.

Il museo aveva già commissionato, nella sua storia, delle architetture temporanee; iniziò

nel 1949 con il tema “House in the Garden” proposto a Marcel Breuer, per fi nire 10 anni

dopo con le “Tre strutture” di Richard Buckminster Fuller.

La produzione e costruzione dell’arco avvenne in una ditta di impalcature a Maspeth,

poco fuori New York.

La struttura venne divisa in otto segmenti e trasportata al museo, dove venne sollevata

mediante una gru e poi unita nuovamente. La curvatura dell’arco è il risultato dell’azione

del peso proprio della struttura stessa.

I collegamenti tra i vari peper-tube avvenne sia tramite fascette di plastica che tramite

tiranti d’acciaio.

Paper Arch: particolari e vista dall’alto

Location: New York, Usa

Data: aprile 2000

Arch. associati: Dean Maltz, Kamonsin

Chathurattaphol

Ing. strutturali: Takenaka Corp.

Progetto esecutivo: Buro Happold

Consultino Engineers

Paper Arch: particolare

Page 62: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

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Boathouse, Centre d’interpretation du Canal de Bourgogne

A Bah venne commissionata prima la costruzione di una boathouse e poi dell’istitu-

to dedicato alla storia del Canale de Bourgogne per la comunità di piccoli villaggi nel

Burgundy.

La boathouse è una struttura in paper-tube che fa da riparo ad una caratteristica barca

del canale.

Il tunnel, di 20m, è composto da una griglia formata da un reticolo a base triangolare

di paper-tubes. Il diametro esterno del tunnel, 11 metri, riprende quello delle gallerie

che si trovano lungo il canale. Per la prima volta Ban ha utilizzato dei giunti in alluminio

pressofusi in modo da poter utilizzare la stessa dimensione dei paper-tube utilizzati per il

Japan Papillon e di conseguenza utilizzare gli stessi test meccanici per poter certifi care

la sicurezza della struttura.

La struttura è stata poi ricoperta da pannelli di policarbonato corrugato semitrasparente

ma è completamente aperta sui fronti.

Boathouse: viste esterne ed interne

Location: Pouilly-en-Auxois, Francia

Data: settembre 1998-agosto 2002,

fi ne lavori 2005

Arch. associati: Jean de Gastines

Architecte DPLG

Ing. strutturali: Buro Happold, Terrel

Rooke and Associates

Boathouse: particolari di studio dei

collegamenti strutturali

Page 63: Premio Nobile - AREA Science Park

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“L’artista in realtà rappresenta spesso la parte dell’inventore o dello scopritore scientifi co: tutti e tre cercano nuovi rapporti

fra l’uomo e il suo mondo. I rapporti scoperti dall’artista sono emotivi invece di pratici o conoscitivi. L’artista creativo non vuol,

per un verso, copiare quanto lo circonda, e neppure, dall’altro, mostrarcelo attraverso i suoi occhi. Egli è uno specialista che

ci permette di scorgere nella sua opera, come in uno specchio, ciò che per nostro conto non siamo stati capaci di afferrare: la

condizione della nostra anima. Egli trova i simboli esteriori per i sentimenti che in realtà ci dominano, ma che in realtà restano

per noi soltanto stimoli caotici, e quindi inquietanti ed ossessivi. Questo è il motivo per cui gli artisti ci sono tuttora necessari;

nonostante le diffi coltà che mettono in pericolo il loro posto nel mondo moderno.”1

Lucy Orta con il marito Jorge dal 1991 stabiliscono il loro studio a Parigi. La loro ricerca artistica si basa sull’investigazione

della realtà, per sottolineare alcune contraddizioni insite nella nostra società, analizzandone i problemi e le convinzioni, alle

volte stereotipizzanti.

Nel loro lavoro cercano di trovare un punto di giunzione tra il senso etico e il senso estetico; non mancano però le

contaminazioni della moda, del design, dell’architettura, del teatro, della pianifi cazione urbana e delle arti visive.

In ogni opera degli artisti si può ritrovare una mistura di aspetti che attingono da tutte queste discipline e un uso dei singoli

linguaggi che viene di volta in volta contaminato.

Grazie agli studi nel campo della moda di Lucy e quelli in architettura di Jorge, i primi lavori si sono basati sul signifi cato che

ricoprono i vestiti nell’immaginario moderno. Nell’opera Refuge Wear – City Interventions l’abito è come un fi lm a protezione di

una superfi cie, un “biglietto da visita” della nostra personalità, elemento con cui comunicare, ma allo stesso tempo portatore

dell’istanza di protezione, stabilità e sicurezza.

Lucy + Jorge Orta: Refuge Wear - City Interventions, 2001

Naturalmente la ricerca non si è basata solo sulla defi nizione e progettazione di un abito, ma bensì di un “rifugio”, usato per

far sorgere domande e dubbi allo spettatore. Le loro creazioni possono essere considerate delle architetture portatili, oggetti

indossabili, tra l’impegno sociale e l’immaginario futuribile. Fanno in modo che lo spettatore non venga solo attratto dall’abito

in sé, ma anche dalle relazioni interne ed esterne che si vengono a creare durante le installazioni. Esprimono la mancanza di

comunicazione sociale, un senso di solitudine, ma anche la volontà di uscire da questo isolamento. Le grandi città, secondo

gli artisti stanno diventando grandi concentratori di solitudine e soprattutto emarginano coloro che sono impossibilitati a

comprare i beni di consumo tanto cari alle società occidentali. Per questo lo studio Orta propone le propri opere nell’intento di

ridare visibilità a queste persone e a tutte quelle che non hanno un’immagine affascinante agli occhi della società: senzatetto,

rifugiati politici o, come negli ultimi lavori, la grande quantità di cibo sprecata.

Quello che propongono è una ri-socializzazione della comunità che va fatta su vari livelli.

E M E R G E N Z A T R A A R C H I T E T T U R A E D A R T E : L U C Y O R T A

1 Sigfried Giedion, Spazio, Tempo, Architettura, Ulrico Hoepli editore, 1965, Milano

Page 64: Premio Nobile - AREA Science Park

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Nel lavoro Refuge Wear – City Interventions dichiarano: “Living without a shelter for prolonged periods rapidly destroys phy-

sical and moral health. The lack of adequate sleep increase stress, weakens the immune system and accelerates the loss of

identity and desocialization” 2

Lucy + Jorge Orta: Refuge Wear - City Interventions, 2001

In questo lavoro, che in realtà si snoda attraverso vari modelli dal 1992, le fi bre tessili vengono trasformate in un’architettura

portatile, il primo layer sta a contatto con la pelle, il secondo, più resistente, è l’interfaccia con l’esterno ma funge anche da

rifugio inespugnabile.

L’abito e l’architettura in questo caso sono il limite, sia psicologico che fi sico, tra l’individuo e la società.

Lucy + Jorge Orta: Refuge Wear - Habitent, 1992-93; Refuge Wear - City Interventions, 1993-96

2 Roberto Pinto, Nicolas Bourriaud, Maia Damianovic, Lucy Orta, Phaidon Press, 2003, Londra

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Con il lavoro Vehiconnectro, M.I.U. hanno trasformato un vecchio veicolo militare utilizzato come ambulanza in una unità per

civili, decorate con immagini inerenti la sopravvivenza. Da un lato di un veicolo immagini di mucche e riciclo di

materiali, dall’altra le immagini dei rifugiati ruandesi e la fortuna di bere latte. Un’altra via per porre questioni etiche alla

società occidentale.

Lucy + Jorge Orta: M.I.U. I+II, G8 Environmente Summit Trieste, 2001

Con il lavoro denominato Antartica lo studio Orta esplora il tema dello shelter associandolo a quello della migrazione e dei

rifugiati. Gli shelters, concepiti come le tradizionali tende, sono composte da parti di bandiere delle nazioni da cui le persone

fuggono per guerre o carestie. Nel numero 5003 si vuole invece sottolinea come il nome Antartic derivi dal Trattato Antartico

del 1959 in cui veniva stabilita la libertà scientifi ca e di ricerca nel continente ghiacciato, la protezione ambientale e la

proibizione di qualsiasi attività militare. Nel numero 5002, ricoperto di stracci, il messaggio è quello della drammatica

situazione di milioni di persone costrette all’esilio dai loro paesi nativi a causa delle disastrose condizioni economiche, delle

guerre e del terrore politico.

Lucy + Jorge Orta: Antarctic Village - No Borders, ephemeral installation in Antarctica, 2007

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Lucy e Jorge Orta fanno loro le parole di Poul Hartling, Commissario Onu per i Rifugiati: “There are many challenges facing

the international community today but few, in my mind, are more pressing than those of fi nding humanitarian solutions to

refugee problems. We talk of regional confl icts, of economic and social crises, of political instability, of abuses of human rights,

of racism, religious intolerance, inequalities between rich and poor, hunger, over-population, under-development and I could

go on and on. Each and every one of these impediments to humanity’s pursuit of well-being are also among the root causes

of refugee problems.”

Lucy + Jorge Orta, Antarctic Village - Dome Dwelling, 2007

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A R C H I T E T T U R A I N M O V I M E N T O

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L’approfondimento delle questioni che riguardano quell’ambito dell’architettura che si pone come obiettivo quello di

intervenire e proporre soluzioni per le situazioni di emergenza non può prescindere dalla cultura architettonica in generale.

Nella ricerca condotta per questa tesi infatti non si è solo voluto conoscere e comprendere qual è lo stato dell’arte nel

particolare ambito di progetto, ma si è volto lo sguardo anche a tutto quel retaggio di architettura mobile che da sempre

si contrappone ma anche dialoga con la convenzionale staticità che generalmente si accompagna all’idea di manufatto

edilizio.

Parole quali trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità, adattabilità saranno il fi lo conduttore di questo capitolo che

analizzerà esempi progettuali e tecniche dell’architettura mobile.

Questo tema è sempre stato di grande fascino per i progettisti perché si può concepire e declinare in diversi modi; architettura

mobile può essere un padiglione che deve essere esposto in varie località ma può essere anche la singola componente di un

tradizionale manufatto edilizio, basti pensare alle strutture retrattili di molti stadi.

Probabilmente il grande avanzamento teorico e tecnologico per introdurre il movimento all’interno dell’architettura

tradizionalmente intesa è l’eredità lasciataci dalla grande sperimentazione, sia teorica che pratica, dello scorso secolo; si

pensi alla ricerca di Richard Buckminster Fuller, degli Archigram, di Cedric Price, solo per citarne alcuni.

Come già detto nel primo capitolo, durante il secondo confl itto mondiale si registra una cospicua richiesta di spazi a uso

temporaneo, per far fronte a situazioni legate alle contingenze belliche e alle emergenze umanitarie. È per rispondere a queste

richieste che si avviano, in ambito militare, studi fi nalizzati alla messa a punto di sistemi costruttivi temporanei, caratterizzati

da leggerezza, reversibilità, adattabilità.

È con la riconversione post bellica che vi è la necessità di trovare nuovi campi d’impiego per i sistemi portatili, in modo da

valorizzarne le potenzialità. Inoltre si assiste al primo utilizzo delle plastiche, materiale che permette la diminuzione radicale

del peso degli oggetti, e alla rinnovata disponibilità dell’alluminio.

È in questo scenario che si colloca il lavoro di Richard Buckminster Fuller, le ricerche di Jean Prouvè e Frei Otto.

In contesti e tempi differenti tutti questi protagonisti hanno contribuito allo sviluppo dei sistemi costruttivi a carattere

temporaneo, sperimentando sistemi di assemblaggio, materiali e tecnologie che ancor oggi possono ritenersi attuali nel loro

percorso di ricerca. A testimonianza del grande fermento di questo periodo vi sono i progetti teorici non realizzati, come quelli

dei già citati Archigram e Cedric Price, che alla luce delle attuali possibilità tecniche, sono di grande attualità, sia per il loro

bagaglio culturale, sia per la visionaria componente tecnologica.

È per queste motivazioni che si è deciso di inserire un approfondimento sulla fi gura di Richard Backminster Fuller in questo

capitolo che tratta l’architettura mobile contemporanea.

L’eredità di Fuller, diretta o indiretta, è imprescindibile per la comprensione dei progetti contemporanei.

Archigram, Plug in City, 1964; Frank Lloyd Wright, Airhouse for the US Rubber Company all’ International Home Exposition, New York, 1959

Oggi il pericolo è quello di porre l’attenzione più sui singoli termini che descrivono questo tipo di architettura che

sull’architettura stessa.

Negli anni ’60 l’introduzione in maniera quasi violenta dei termini e delle teorie sull’architettura mobile non era mirata a un

puro esercizio stilistico ma alla sovversione ideologica e architettonica delle accademie. I progetti, anche se utopici, parlavano

comunque di architettura, abbracciando tutti gli ambiti progettuali.

Nel libro “Philosophy of Fine Arts” Hegel, il quale viene anche ripreso da Bernard Tschumi in “Architettura e disgiunzione”,

ARCHITETTURA IN MOVIMENTO

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distinse convenzionalmente cinque arti, dando loro un ordine: architettura, scultura, pittura, musica e poesia.

Al primo posto mise l’architettura perché pensava precedesse le altre per ragioni sia storiche che concettuali, ma non senza

diffi coltà. Infatti anche lui si trovò di fronte alla questione che da sempre perseguita gli architetti: le caratteristiche funzionali

e tecniche di una casa o di un tempio erano i mezzi per un fi ne che escludeva proprio quelle caratteristiche? Dove fi nisce la

capanna e comincia l’architettura? Il discorso sull’architettura riguardava solamente ciò che non era in relazione al “costruire”

stesso? Hegel ha dato risposta a questo quesito dicendo che l’architettura è tutto quello che in una costruzione non mira

all’utilità. L’architettura è una sorta di “supplemento artistico” aggiunto alla semplice costruzione. Ma la diffi coltà di un simile

argomento appare evidente quando si prova a concepire una costruzione che sfugga l’utilità dello spazio, una costruzione che

non voglia avere nessun altro scopo che ‘”architettura”.

Tschumi aggiunge che “dopo più di mezzo secolo di pretese scientifi che, di teorie sistematiche che la defi nivano come

l’intersezione tra industrializzazione, sociologia, politica ed ecologia, l’architettura si domanda se può esistere senza dover

cercare i propri signifi cati o le proprie giustifi cazioni in qualche fi nalizzata necessità esterna.”1

Steven Hall, edifi cio per appartamenti con pareti mobili a Fukuoka, Giappone, 1992

Jean Nouvel, Insitute du Monde Arabe, Parigi, Francia, 1987; facciata e particolare del maccanismo che permette la regolazione del a luce entrante

L’essere “mobile” dà all’architettura un valore aggiunto quando esprime una funzione, una fi nalità dell’architettura stessa che

colma un’impossibilità di quella tradizionale.

Si potrebbe pensare che la mobilità sia un argomento di interesse in questi ultimi anni solo per la diffusione delle teorie sul

nomadismo dell’uomo moderno. Questo è vero in parte ma non vi è un reale legame di causa ed effetto, infatti, come vedremo

in seguito, l’architettura mobile ha radici ben più lontane, legate alle culture delle popolazioni nomadi che in genere vivevano

e in alcuni casi ancora vivono in ambienti estremi.

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Durante gli anni 60, l’indagine condotta sulla mobilità da parte del mondo architettonico diede il via a numerose

sperimentazioni che si inserirono nell’ambito della generale contestazione, ma come dice Tschumi “Se l’organizzazione dello

spazio può temporaneamente modifi care il comportamento dell’individuo o del gruppo, non signifi ca che cambierà la struttura

socio-economica di una società reazionaria.” 2

Molto spesso il fi ne di quell’architettura era quello dell’uso e del signifi cato che gli veniva attribuito, non tanto quello della

ricerca formale.

Ad esempio, in Francia, le case-guerriglia erano, dal punto di vista architettonico, semplici rifugi, baracche di cantieri, ma

quando vennero chiamate “Case del popolo” acquisirono tutti quei signifi cati legati al movimento di contestazione politica:

libertà, uguaglianza e potere. Lo spazio in sé era neutrale e per comprovarne il signifi cato politico erano necessari due

simboli specifi ci: o assegnandogli un particolare nome o attuando azioni politiche che coinvolgessero l’edifi cio stesso (come

la costruzione di una casa per il popolo su una proprietà privata o statale).

La seconda tipologia di sperimentazione del periodo era più strettamente collegata alla prassi architettonica, nell’ impiego dei

mezzi espressivi a disposizione degli architetti (piante, planimetrie, prospettive, collage ecc.) per denunciare le

disastrose conseguenze di una pianifi cazione imposta da amministrazioni e governi conservatori. “No-Stop City” di

Archizoom o “Monumento continuo” di Superstudio costituivano due possibili modelli.

Archizoom, No-Stop City, 1969

Uno degli aspetti più importanti di queste ricerche era la volontà di creare delle interferenze tra architettura e gli ambiti della

cultura, dell’economia e della politica, diventando consapevoli della possibilità di poter contaminare i vari ambiti della vita

dell’uomo moderno.

Per Archigram il futuro era delle strutture spaziali modifi cabili, spostabili e fl essibili. Anticipatori delle tecnologie digitali ed

i sistemi di informazione globale del nostro tempo, incentrarono la loro ricerca nell’interazione tra comunicazione, mobilità e

sviluppo urbano.

Gli alloggi e le strutture ideate dal gruppo di Peter Cook erano progetti che già all’epoca anticiparono le tematiche del

nomadismo moderno, in cui si permetteva una libertà nuova che l’architettura convenzionale non aveva mai consentito

prima.

“Oggi ci sono molte cose da dire a proposito dell’idea del plug-in. Anche gli architetti più mainstream difendono il progetto di

alloggi modifi cabili. E fi nalmente possiamo usare la televisione e altri sistemi in quadricromia per descrivere il nostro futuro.

Alcuni nostri studenti (e anche noi, speriamo) dovranno realizzare capsule usa e getta. I nostri lavori possono essere citati e

copiati, ma non dovranno mai diventare i giocattoli di una cultura povera ma sofi sticata.

Non ci siamo organizzati politicamente come un gruppo, ma un desiderio di emancipazione sta alla base dei nostri progetti.

L’uomo è a un passo dal baratro: svilupperà tutte le proprie potenzialità oppure rinuncerà alla propria esistenza per sempre.

In Inghilterra, in questo momento, siamo pronti a sfruttare la nostra genialità: l’uomo deve reinventare se stesso, al di là delle

scelte terribili che lo aspettano in questo momento, e deve inventarsi una vita che gli conceda la possibilità di scegliere e

dirigere i propri consumi. Noi pensiamo ai nostri progetti come oggetti di consumo.

La casa capsula è un oggetto da negozio: le parti che la compongono possono essere cambiate e scambiate, possono essere

giustapposte all’infi nito. La natura del “luogo” sarà transeunte nella defi nizione delle proprie parti, ma la vera personalità del

proprietario verrà rivelata molto più facilmente. Leggete “casa”, ma pensate “uomo”.”

“Allo stesso modo i nostri alloggi a capsule riproducono la stessa domanda e la stessa risposta tecnologica. La scala e il

1-2 Bernard Tschumi, Architettura e disgiunzione, Edizioni Pendragon, 1996, Bologna

3 Peter Cook in un articolo della rivista Perspecta di Yale nel 1967

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grado di complessità sono superiori, ma la base fi losofi ca è la stessa. E se il preconfezionato diventasse l’oggetto preferito?

Si tratterebbe di una semplice rigenerazione della tradizione della simbologia dell’architettura. La colonna ionica era l’oggetto

preferito di una certa epoca. La pellicola d’alluminio potrebbe diventare il nostro simbolo preferito. Nei nostri lavori più recenti

ci siamo accorti che dobbiamo aggiornare e futurizzare alcune parti (almeno dal punto di vista dell’immagine) non appena

appaiono obsolete. Solo allora staremo interpretando i valori e i simboli di un’architettura spendibile.” 3

Analogamente ai Futuristi, gli Archigram erano affascinati dal potenziale estetico della tecnologia.

E ciò è principalmente rappresentato dal culto che essi avevano per la mobilità e la dinamicità. Ma questo, nelle loro intenzioni,

non fece della tecnologia un mito, essa fu sempre considerata come un mezzo.

Citando Giovanni Corbellini nel suo Ex-Libris nel gruppo britannico si possono riconoscere le attente ricerche relative alla

velocità nell’immaginario del gruppo britannico.

“ll confronto con gli spazi della mobilità, e con le condizioni percettive che li contraddistinguono, comporta infatti la riduzione

alla superfi cie delle partizioni architettoniche e il loro ibridarsi con la grafi ca, la pubblicità e il cinema.

La necessità di apertura verso forme partecipate e indipen¬denti trasforma la solidità dello spazio architettonico in

un’organizzazione fl uida di elementi infrastrutturali e di parti mobili, esplorata da Cedric Price nei progetti per la Potteries

Thinkbelt (1964) e per il Fun Palace (1961-72). Entrambi rinunciano all’idea di durata, introducendo l’obsolescenza program-

mata e differenziata dei loro componenti con l’obiettivo di cogliere occasioni non ancora all’orizzonte.” 4

Cedric Price, Fun Place, 1961-72

La sperimentazione nel campo dei materiali può essere considerata l’altra faccia della medaglia delle sperimentazioni teoriche

degli Archigram.

Coop Himmelblau ad esempio esplorò il potenziale dell’architettura pneumatica, una nuova tecnologia che nel momento in

cui nacque parve offrire un’architettura immediata, fl essibile ed organica, costruzioni leggere, ambienti non fi sici.

Le opere di Haus-Rucker-Co oscillano tra l’arte e l’architettura, ed aspirano ad essere autentici esempi stupefacenti, un

mezzo e non un fi ne, per stimolare il processo di ricerca e di esperienza personale di ciascuno di noi.

Coop Himmelblau, Villa Rosa, 1968; Hans-Rucker-Co, Cuore Giallo in esposizione alla collezione permanente del Centre George Pompidou, Parigi

Nel momenti in cui tutta la società moderna ha visto aumentare la propria mobilità, quest’ultima ha cominciato a divenire una

tematica ricorrente anche nel di architetti e progettisti che in genere si sono occupati del costruito più tradizionale.

4 Giovanni Corbellini, Ex Libris, 16 parole chiave dell’architettura contemporanea, 22 Publishing, 2007, Milano

5-6 Aldo Rossi, Autobiografi a scientifi ca, Nuova Pratiche Editrice, 1999, Milano

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Negli anni 80 si è avuto forse l’esempio più poetico di architettura mobile:

“Stando il teatro sull’acqua si vedeva dalla fi nestra il passaggio dei vaporetti e delle navi entravano nell’immagine del teatro

costituendo la vera scena fi ssa e mobile.” 5

Il Teatro del Mondo di Aldo Rossi venne costruito su una chiatta in un bacino di Fusina, un piccolo porto della laguna di

Venezia in occasione della Biennale del 1979/80. Fu rimorchiato a Venezia ed ormeggiato alla Punta della Dogana, sul Canal

Grande, di fronte a Piazza San Marco e alla fi ne della manifestazione raggiunse, attraversando l’Adriatico, Dubrovnik. L’edifi cio

era costituito da una struttura portante in tubi di acciaio rivestita da un tavolato di legno e raggiungeva una altezza di 25 metri.

Il corpo principale era costituito da un parallelepipedo a base quadrata di circa 9,5 metri di lato per una altezza di 11 metri.

Sulla sua sommità un tamburo ottagonale sosteneva una copertura a falde in zinco. Il palcoscenico era centrale ed il pubblico

prendeva posto ai lati o nelle gallerie al piano superiore raggiungibili tramite scale poste ai lati del parallelepipedo. Il Teatro

poteva accogliere fi no a 400 spettatori di cui 250 seduti.

“Perché questo mi piaceva soprattutto: l’essere una nave e come una nave subire quei movimenti della laguna, leggere

oscillazioni, il salire e il scendere, così come nelle ultime gallerie alcune potevano provare una leggera nausea che disturbava

dall’interesse ed era aumentata dalla linea dell’acqua che si vedeva oltre le fi nestre.” 6

Aldo Rossi, Teatro del Mondo, 1979/80; schizzo e fotografi a con il Teatro in laguna

Attualmente un rinnovato interesse per i sistemi trasportabili e trasformabili è motivato dalla continua e sempre più diffusa

richiesta di spazi temporanei pronti all’uso e di componenti dell’edifi cio ad alto grado di adattabilità e trasformabilità. Le carat-

teristiche quindi dell’architettura che cerca di dare risposta a queste richieste sono la leggerezza e la reversibilità costruttiva,

la facilità di assemblaggio e disassemblaggio, la possibilità di riconfi gurazione spaziale in base alle mutevoli condizioni o al

variare delle esigenze e infi ne la temporaneità dell’assetto in un dato contesto.

La temporaneità di queste costruzioni ha due possibili declinazioni: temporaneità come breve permanenza in un luogo per poi

spostarsi in un altro e temporaneità di esistenza della stessa architettura.

Nel secondo caso molte volte non è concepita la trasportabilità, ma l’architettura, in genere padiglioni, è trasformabilie,

fl essibile e adattabile. Trasformabile perché dopo la fi ne del suo utilizzo può essere smontata e i materiali possono essere riu-

tilizzati, fl essibile per poter assolvere a più funzioni contemporaneamente, adattabile per poter far fronte ai parametri mutevoli

come i cambiamenti climatici, di luce, ecc.

Un esempio di questo interesse è l’iniziativa della Serpentin Gallery che ogni anno, grazie ai fi nanziamenti di alcune istitu-

zioni inglesi e a proventi pubblici del gioco del Lotto, fa realizzare ai più quotati architetti dei padiglioni temporanei da allestire

nei Kensington Gardens. Dal 2000 ad oggi, Zaha Hadid, Daniel Liebeskind con Ove Arup, Oscar Niemeyer, Toyo Ito, Alvaro

Siza con Eduardo Souto de Moura, Rem Koolhaas, Olafur Eliasson con Kjetil Thorsen e per il 2008 Frank Gehry hanno ideato

dei piccoli saggi di architettura, ipotesi progettuali e prototipi strutturali. Il tema della tenda, architettura mobile primordiale, è

risultato essere il modello più effi cace per creare delle forme e delle strutture archetipe.

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RICHARD BUCKMINSTER FULLER | L IVING IN MOTION

Richard Buckminster Fuller (1895 Milton, Massachusetts-Los Angeles 1983) non era un architetto, ricevette un diploma

che lo abilitava a praticare la professione quando aveva 79 anni, a titolo onorifi co, e forse proprio non essendo un architetto

vedeva il problema dell’edilizia come questione della distribuzione e dell’organizzazione sociale, oltre che della scelta dei

materiali e dei procedimenti costruttivi più opportuni.

“Non è possibile migliorare il mondo limitandosi a parlargli. Per essere effi cace la fi losofi a deve avere un’applicazione

meccanica” diceva per questo le sue teorie si traducevano in performance, dimostrazioni pubbliche delle leggi strutturali da

lui enunciate, in strutture prima immaginate e poi realizzate, dalle automobili a tre ruote Dymaxion alla cupola geodetica e alle

città fl uttuanti Cloud Nine.

Gli edifi ci di Fuller erano progettati per essere mobili, per essere aerotrasportati in un qualsiasi terreno dove potesvano essere

ancorati. Per questo sono poche le realizzazioni originarie ancora visibili, come lo scheletro carbonizzato della cupola dell’Expò

’67 di Montreal (nota come La Biosphere), oppure la cupola di Baton Rouge in Louisiana, la cupola Carbondale nell’Illinois,

dove Fuller ha abitato, e la Wichita Dymaxion House, trasferita dal sito originario del Kansas per trovare oggi, restaurata, una

nuova sede in Michigan, nel Ford Dearborn Museum.

Legate alla collaborazione tra Fuller e l’esercito americano sono le Radome, che all’epoca della guerra fredda servivano per

alloggiare e proteggere le delicate apparecchiature radar nelle condizioni climatiche proibitive dei territori (Canada e Alaska)

dove correva la linea DEW ( Distant Early Warning = allarme precoce a distanza).

Una Radome elitrasportata e posizionata in vetta al monte Fuji in Giappone

Alcune strutture ispirate alle idee di Fuller che si possono ancora vedere sono: la Spaceship Earth nell’Epcot Center di Disney,

l’Eden Project di Nicholas Grimshaw, in Cornovaglia e la cupola geodetica sovrastante il teatro della memoria progettato da

Salvador Dalì a Figueres, concepito dall’artista come dimostrazione paradossale dell’idea secondo cui un progetto votato al

fallimento è come una costruzione edile che porta al tetto.

Spaceship Earth ed Eden Project

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Molti altri progetti possono essere ricondotti all’esperienza fulleriana, benché il risultato progettuale non si esprima chiara-

mente attraverso cupole geodetiche.

Fuller infatti aggiunge una caratteristica che è alla base di molte architetture contemporanee: la quarta dimensione, ovvero

l’architettura basata sul tempo (edifi ci pensati come entità temporali e non solo spaziali) associata all’uso dei materiali più

leggeri, alla tensione come principio normativo dell’edilizia, all’esperienza diretta della cantieristica navale aeronautica e la

consegna dei manufatti edili per via aerea.

La straordinarietà dell’opera di Fuller sta nel lascito teorico. Non a caso ha ispirato tutta una generazione di progettisti e

aziende che attraverso le sue teorie geodetiche e della tensegrity hanno intrapreso una via alternativa alle consolidate teorie

statiche.

Proprio perché mirava a produrre edifi ci più leggeri Fuller si dedicò all’analisi delle strutture basate sulla tensione anziché

sulla compressione.

Nell’estate del 1948, quando Fuller arrivò al Black Mountain College, gli fu assegnato uno studente d’arte che doveva aiutarlo

a preparare i modellini per il seminario. Nell’inverno del 1948 Snelson, questo il nome dell’assistente, fece vari esperimenti

con strutture mobili modulari, somiglianti ai mobile di Alexander Calder: sostituì tutti gli elementi di sostegno, costituiti da cavi

metallici, con spago, e per rendere stabili le sue strutture provò varie soluzioni aggiungendo altri cavi in tensione.

Alla fi ne arrivò a un progetto in cui un pezzo di legno a X era sospeso, sfi dando all’apparenza la forza di gravità, al di sopra

di un altro pezzo di legno a X. I due pezzi non si toccavano, e le loro punte, sospese nello spazio, costituivano i vertici di un

ottaedro invisibile.

Come riferisce Snelson, “benché non vi fosse più nessun movimento, la struttura statica era la cosa più strana che potessi

immaginare: parti rigide fi ssate nello spazio l’una all’altra solo per mezzo di fi li” .

Kennet Snelson, Wooden X-piece, 1948

La scommessa fu poi quella di dimostrare che simili strutture potevano essere estese in forma modulare in tutte le direzioni,

in modo da creare pilastri di sostegno e altre strutture di grandi dimensioni.

Fuller defi niva questi sistemi strutturali “tensegrity” (tensegrali), una parola che combinava tension (tensione, trazione) e

integrity (integrità) e secondo lui la tensegrity era il modo più economico di realizzare grandi strutture stabili con le componenti

più leggere.

Nei capitoli successivi si vedrà come anche le aziende produttrici di tende per spedizioni alpinistiche estreme, come la The

North Face®, hanno sviluppato dei prodotti ispirati al lavoro di Fuller o creati proprio dall’esperienza dei suoi allievi.

Buckminster Fuller amava spiegare che lui lavorava nel futuro, con un anticipo di cinquant’anni, e che le sue idee sarebbero

state accettate soltanto allora.

Nel ventesimo secolo è stato uno dei pochissimi a brevettare un sistema di proiezione cartografi ca, e anche a brevettare una

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forma geometrica: la travatura a ottaedro – tetraedro. Ai suoi studenti faceva fi rmare moduli con cui li autorizzava a usare

la sua nuova geometria “sinergica”, ma a condizione che tutte le loro eventuali scoperte diventassero una sua proprietà

intellettuale.

Sebbene il suo obiettivo fosse quello di trasformare il concetto di abitazione, il quale a sua volta avrebbe potuto modifi care

il comportamento di chi abitava, le sue strutture ebbero un successo enorme per usi extradomestici, come padiglioni per le

fi ere commerciali e alloggiamenti dei radar. Per un breve periodo negli anni Settanta le cupole geodetiche si diffusero presso

le comunità hippie, ma quell’esperimento fu poi in gran parte abbandonato.

Il suo modo di affrontare e risolvere le tematiche della residenza e in particolare di quella temporanea - come la Wichita

House - utilizzando componenti per la fabbricazione di aeroplani della Beech Aircraft, offre uno dei più importanti esempi

di trasferimento tecnologico. Non era più necessario adeguare il progetto ai materiali disponibili, l’ingegneria navale ed

aeronautica dimostravano la possibilità di essere applicate alla vita quotidiana di tutti, riducendo il distacco tra scienza ed

architettura.

Secondo Fuller, la casa unifamiliare era un microcosmo della Terra e gli strumenti necessari per comprendere i principi della

struttura architettonica potevano essere trovati in Natura, nella dimensione minima dei cristalli e dei microrganismi. Fuller

è morto prima del 1985, quando fu scoperto il Buckminsterfullerene ovvero la “Buckyball”, la molecola di carbonio 60 dalla

forma di un pallone da calcio, per la quale nel 1996 sir Harold W. Kroto, Richard E. Smalley e Robert F. Curl junior hanno rice-

vuto il premio Nobel per la Chimica; se avesse assistito a questa scoperta l’avrebbe senza dubbio considerata una conferma

indipendente delle sue teorie strutturali.

La defi nizione che più volentieri dava di se stesso era quella di “scienziato del design totale e anticipatore”.

“Totale” perché trattava i problemi del design in modo sistematico, “anticipatore” perché era come un marinaio che scrutava

con ansia le correnti della storia per individuare le tendenze a lungo termine, “scienziato del design” perché Fuller vedeva il

design come una scienza radicata nelle leggi rigorose dell’economia e dell’effi cienza.

Nel 1928, anno del volo inaugurale del Graf Zeppelin di Hugo Eckener, pareva che i dirigibili dovessero avere un avvenire di

successo. L’esplosione dello Hindenburg, nel 1937, pose però fi ne all’età d’oro dei dirigibili e sembrava avesse reso impos-

sibile da realizzare il sogno di Fuller di produrre e muovere edifi ci aerotrasportati. Nel 1954 però si dimostrò che l’obiettivo

di Fuller era realizzabile: un elicottero Sikorski del corpo dei marines degli Stati Uniti sollevò una cupola geodetica. Sul retro

della fotografi a che ricordava l’evento, Fuller scrisse: “Primo trasporto aereo della storia di un alloggio (shelter) utilizzabile

dall’uomo.(…)”

Fuller assiste al primo trasporto aereo di uno shelter grazie ad un elicottero Sikorsky, Raleigh, North Carolina, USA, 1954

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Con lo scoppio della seconda guerra mondiale crebbe la domanda di alloggi di pronto impiego per le famiglie sfollate.

Prevedendo i bombardamenti sulle città britanniche, nel 1940 la War Relief Organization (Organizzazione per gli aiuti ai

civili in tempo di guerra) invitò Fuller a progettarne uno. Mentre viaggiava in auto nel Midwest insieme all’amico, lo scrittore

Christopher Morley, Fuller notò i depositi per granaglie in accaio, prodotti in serie dalla società Butler, e si rese conto che

trasformare un silo come quelli in casa abitabile non avrebbe richiesto una spesa esagerata.

Nacque così la Dymaxion Deployment Unit (DDU). La struttura del primo prototipo era composta da fogli di lamiera

ondulata; la forma cilindrica racchiudeva maggior spazio di un cubo della medesima superfi cie, si presentava più rigida e

non richiedeva supporti interni. In una fase successiva, l’unità-alloggio fu perfezionata nell’isolamento delle pareti metalliche,

realizzate in pannelli di due fogli ondulati e fi bra di vetro.

Il pavimento era composto di tre strati metallici incrociati, con rivestimento di pannelli di masonite (pannelli costituiti da un

conglomerato di fi bre di legno di poco pregio) pressata ed isolante. Lo spazio interno era diviso da tende con meccanismo

automatico e prevedeva un fornello ed un frigorifero al kerosene. Il bagno era sistemato in un’altra unità anch’essa cilindrica

e dalle stesse caratteristiche strutturali, che poteva essere collegata tangenzialmente in corrispondenza di un’apertura di

passaggio.

La copertura conica lavorava come una cupola, scaricando tutti gli sforzi sul perimetro del cilindro di bordo, rendendo inutile

un appoggio centrale verticale. Essa veniva assemblata a terra, ricoperta da una doppia membrana di tessuto

impermeabilizzante e da uno strato intermedio di fi bra di vetro per migliorane l’isolamento termico ed acustico.

Ogni settore di membrana veniva poi infi lato in guide radiali di alluminio, curvate in modo tale da disegnare la curvatura della

copertura che veniva poi sollevata per potervi assemblare i pannelli perimetrali costituenti le pareti.

Le unità potevano essere parzialmente interrate con l’impiego di vari materiali isolanti. Tutta la struttura, completa di aperture

schermate, arredamento ed impianti poteva essere prodotta in serie con un costo minimo.

Alla fi ne il governo britannico si ritirò dal progetto (l’acciaio serviva per fabbricare armi), ma la Dymaxion Deployment Unit fu

usata da meccanici e avieri russi ed americani durante la Seconda guerra mondiale, soprattutto nel Golfo Persico. La Butler

Manufacturing Company infatti si attrezzò per una produzione giornaliera di 1.000 unità destinata a scopi militari.

R.B. Fuller, Due Dymaxion Development Unit; planimetria con il collegamento modulare; interni, 1940

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Come per molti suoi progetti, anche per la Dymaxion Deployment Unit Fuller trovò una disponibilità di gran lunga maggiore

nei militari che nell’edilizia civile.

Fuller continuò a considerare il mondo militare adatto a sperimentare materiali, tecnologie e principi nuovi da cui solo in

seguito e molto lentamente sarebbero scaturiti vantaggi per la popolazione civile.

La Dymaxion Dwelling Machine, ovvero la Wichita House (l’unico prototipo prodotto), era un esempio immediato del

tentativo di convertire l’industria dell’armamento in quella che Fuller chiamava “industria dell’alloggiamento”.

Con questa espressione si riferiva all’uso delle più moderne innovazioni tecniche non ai fi ni militari, come avveniva di solito,

ma per migliorare la vita delle persone in tutto il mondo.

Fuller aveva mostrato ai militari i disegni di una casa in alluminio modifi cata, costruita intorno ad un albero centrale e rialzata

rispetto al terreno chiamata “Airbarac” (aerocaserma) Dymaxion Dwelling Machine poteva trovare impiego come alloggio

uffi ciali, caserma e perfi no ospedale a più piani.

Il sistema era concepito come integrazione tra elementi che lavorano a compressione e a trazione ed una volta posto il primo

anello-solaio metallico, un altro poteva essere posto superiormente, centro su centro, fi no ad assemblare un edifi cio a più

piani, come dimostra la soluzione della 4D-Tower del 1928.

R.B.Fuller, uno dei primi progetti per la 4D Tower, 1928

Nel 1944 la Beech Aircraft, principale industria di bombardieri, decise di usare la propria attrezzatura d’avanguardia e lo staff

di ingegneri aeronautici per realizzare il progetto di Fuller.

Tra il 1944 e 1946 furono prodotti due prototipi, entrambe presentavano superiormente un foro orientabile per la ventilazione

munito di un timone. La struttura, che pesava tre tonnellate e poteva essere spedita in un container cilindrico predisposto per

il trasporto negli aerei merci, era progettata per resistere ai tornado.

Oltre alla leggerezza, grazie ai principi tensostrutturali, la struttura permetteva di avere un ampio spazio fl essibile in quanto era

necessario l’utilizzo di un solo elemento portante verticale, liberando così lo spazio dalle altre colonne portanti dei tradizionali

sistemi strutturali a compressione. Tutte le parti della struttura collaborano sinergicamente per migliorare la resa funzionale

dell’insieme.

Nella distribuzione funzionale interna vi è una completa integrazione degli spazi e l’insieme non è un mero contenitore, ma

diventa un “micro organismo attrezzato”, in grado di soddisfare le esigenze abitative di ogni abitante.

Fuller aveva provveduto a dotare le Dymaxion Dwelling Machines diventate Dymaxion Houses di sistemi per il

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raggiungimento di un’autosuffi cienza e l’eliminazione delle produzione di inquinanti. Infatti le abitazioni potevano essere

dotate di impianti per la produzione e l’impiego dell’energia eolica, per lo smaltimento dei rifiuti, serbatoi d’acqua e

combustibili localizzati nella fondazione, schermi solari di facciata per il controllo dell’apporto di calore dell’energia solare.

La possibilità della modulazione degli ambienti interni fa si che ogni Dymaxion House potesse adattarsi alle diverse esigenze

di chi l’avrebbe abitata.

R.B.F., plastico della Dymaxion House, 1929

È ora chiaro perché i concetti di trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità, adattabilità siano da attribuire in prima istanza alla

fi gura e alle idee di Richard Buckminster Fuller.

La Beech Aircraft era intenzionata ad arredare l’interno delle Dymaxion Houses con mobili tradizionali per far apparire la

nuova costruzione più familiare ai futuri acquirenti, ma Fuller ne fu sempre contrariato, come immaginabile, tanto che l’aveva

progettata, nella defi nizione base, già corredata da.

- una Dymaxion Bahroom, composta principalmente dell’assemblaggio di quattro elementi in rame. Ne furono prodotti

solamente dodici blocchi dalla Phelps-Dodge, all’epoca la terza compagnia per la lavorazione del rame nel mondo; dopo la

seconda guerra mondiale furono realizzati in fi bra di vetro da una industria tedesca e, dopo circa venti anni dalla sua proget-

tazione, ebbe un buon successo.

- dagli scaffali O-volving, progettati tra il 1928 e il 1929, che si facevano ruotare azionando un interruttore.

R.B.F., scaffali O-volving, 1946

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La pubblicità data dai media a questo prodotto provocò 3˙500 ordinazioni ma alcuni elementi della casa risultarono

problematici. Ad esempio le correnti di convezione “rinfrescanti” avevano l’effetto di risucchiare l’aria dal tetto della casa

e la espellevano attraverso i fori di aerazione nel pavimento, praticamente con l’effetto contrario di quello che Fuller aveva

immaginato.

Si sarebbero dovute realizzare industrialmente, secondo i calcoli di Fuller, 60.000 unità abitative all’anno, con dimensioni

diverse a secondo delle necessità. Il costo medio era di circa 6˙500 dollari (circa 33˙000 dollari attuali) quando una casa della

medesima superfi cie all’epoca poteva costare all’incirca 12˙000 dollari.

Alla fi ne ne fu venduta solo una, la Witchita House, per un dollaro ad un uomo d’affari del posto che la costruì sul proprio

giardino attuando numerose modifi che.

R.B.F., Wichita House, Wichita, Kansas, 1944

Le strutture ideate da Fuller, fi no alla Wichita House del 1946 compresa, erano in sostanza costituite da piani orizzontali

sospesi centralmente ad un asse verticale. Una parziale eccezione fu la Dymaxion Deployment Unit, anche se per essere

installata, richiedeva necessariamente un congegno per la sospensione centrale e la sua simmetria si riferiva a un asse

privilegiato, quello verticale.

Nei primi anni Quaranta, Fuller intraprese un percorso di sperimentazione che lo avrebbe portato a progettare strutture con

assi di simmetria multipli e non ortogonali, un’apparente sfi da alla gravità.

È in questo modo che nasce l’avventura dello studio delle strutture geodetiche.

Secondo Fuller, la trasformazione, il passaggio, dai poliedri alle cupole geodetiche poteva avvenire attraverso tre metodi.

- Il primo metodo opera direttamente sulla faccia piana del poliedro d’origine. Esso consiste nel suddividere ogni faccia del

poliedro generatore in tanti triangoli e poi proiettare i vertici così ottenuti sulla superfi cie della sfera circoscritta.

- Il secondo metodo opera sulla faccia del poliedro sferico, ossia gli spigoli del poliedro di origine vengono proiettati sulla

sfera e poi suddivisi in parti uguali; per questi punti si fanno passare le geodetiche ottenendo cosi il reticolo per realizzare la

cupola.

- Il terzo metodo consiste nel suddividere in parti uguali l’angolo al centro sotteso allo spigolo del poliedro generatore. Questo

terzo metodo coincide nei risultati con il secondo, differenziandosene solo nella procedura di calcolo della lunghezza delle

aste.

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Appare probabile che Fuller sia arrivato alla cupola geodetica seguendo un percorso che cominciava con la sovrapposizione

alla sfera di solidi regolari, costruendo plastici delle circonferenze massime che gli permettevano di testare direttamente

la stabilita delle strutture geodetiche triangolate, e infi ne concependo strutture architettoniche basate sulle circonferenze

massime. La cupola geodetica emerse nella sua forma defi nitiva grazie all’elaborazione del concetto di frequenza (numero

di parti in cui viene diviso lo spigolo del poliedro), a sua volta derivato dallo studio che gli aveva permesso di arrivare alla

Dymaxion Map suddividendo le facce dei solidi sferici.

Ma iI cubottaedro della Dymaxion Map ideata da Fuller nel 1943 avrebbe potuto essere una forma appropriata per uno spazio

abitativo?

Purtroppo la sua eccezionale robustezza strutturale entra in gioco soltanto quando il solido e sospeso dal nodo centrale, ossia

dividendo lo spazio in scomode cellule a forma di tetraedri e di mezzi ottaedri.

Fuller si accorse che facendo pressione su una delle facce triangolari il corpo centrale del cubottaedro si torceva.

La forma attraversava alcune fasi distinte: in primo luogo i vertici defi nivano un icosaedro regolare, poi, se si continuava

a far pressione, si appiattiva diventando un ottaedro regolare. Quando poi si torceva il triangolo superiore, l’intero sistema

collassava, formando un triangolo in piano.

Ripiegando su se stessi i triangoli si può ottenere un tetraedro, che Fuller chiamò “sistema minimo dell’Universo”.

Smettendo di esercitare pressione sul tetraedro, il solido tornava alla forma originale di cubottaedro. A questo movimento di

torsione, una sorta di danza geometrica, Fuller dette il nome di Jitterburg Trasformation.

R.B.F., Dymaxion Map, 1943

Tutti questi progressi si verifi carono, sembra, molto rapidamente fra il 1948 e il 1950, l’anno in cui presso Montreal fu

innalzata la prima cupola geodetica di Fuller pienamente riuscita, costruita su un reticolo a icosaedro sferico.

Fuller disegnò la cupola per poterla poi installare nelle terre artiche. La struttura era formata da puntoni di alluminio, ognuno

dal peso di circa mezzo chilo. La struttura era così leggera che non fu necessario nessuna gru o albero centrale per erigerla.

R.B.F., prima cupola geodetica eretta a Montreal nel 1950

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Prima della cupola di Montreal ci fu una importante realizzazione che diede il via alla vera e propria sperimentazione

geodetica. Nell’autunno del ’49 Fuller insegnò all’Institute of Design di Chicago dove diede il compito ai suoi studenti di pro-

gettare l’arredo di una roulotte per 6 persone. Lo Standard of Living Package era un progetto complementare allo studio

delle cupole, in quanto doveva fornire un ambiente abitativo portatile. Infatti la ricerca di soluzioni ottimali portò Fuller a trovare

un nuovo collegamento dei puntoni delle cupole geodetiche attraverso tubi metallici rigidi, infi lati su una fune.

Da questa soluzione prese origine il nome della cupola che poi venne costruita con la collaborazione degli studenti di Chicago:

Necklace Dome (cupola a collana).

R.B.F., Standard of Living Package; Nacklace Dome, 1949

Da queste prime cupole scaturì un grande interesse per le cupole geodetiche tanto che sia Fuller che altre persone

cominciarono a sperimentare nuovi materiali, connessioni, destinazioni d’uso.

Si è gia accennato all’inizio come negli anni Settanta la comunità hippie vide nelle cupole geodetiche un sistema per costruire

autonomamente e a basso costo una abitazione.

Vennero pubblicati libri su come auto-costruirsi una cupola geodetica, con diversi materiale e diversi sistemi di

assemblaggio.

Vi erano cupole costruite con struttura in legno e copertura in plastica, come la Sun Dome, con la descrizione delle possibili

alternative di fi ssaggio dei vari pezzi di struttura; la Alluminum Triacon Dome, tutta composta di alluminio con spalmatura

interna di schiuma isolante; la Sheet Metal Dome, composta da una struttura lignea e ricoperta con pannelli di alluminio

sovrapposti in modo da garantire una maggior tenuta d’acqua, ecc.7

Senza dubbi la cupola geodetica più bella di Richard Buckminster Fuller fu quella costruita per il padiglione degli Stati Uniti

all’Expo di Montreal 1967.

La cupola era alta 76 metri con struttura in acciaio e rivestimento trasparente acrilico composto da una serie di lenti esa-

gonali che, mediante opportuni fi ltri azionati elettronicamente, controllavano l’ingresso della luce e del calore all’interno del

padiglione.

La cupola, costruita in collaborazione con Sadao, la Geometrics Inc. e Associated Architects, geometricamente era tre quarti

di una sfera. I visitatori vi entravano trasportati da una futuristica monorotaia sopraelevata e all’interno potevano trovare

attività accumunate dal tema “America creativa”, come la mostra di pittura “American Painting Now”, con opere di Warhol e

Lichtenstein, la Dymaxion Air-Ocean Map a icosaedro ideata sempre da Fuller e un modulo spaziale Apollo.

La cupola era resa impermeabile da un rivestimento trasparente di pannelli di vetro acrilico, oscurati in caso con un sistema

di tende da sole mobili, di forma triangolare che si muovevano a seconda della posizione del sole.

“ Dentro la cupola sembra che le chiusure tendano ad uscire; questo è uno straordinario effetto psicologico in quanto si ha

la sensazione che non esistano chiusure... la gente al suo interno sembra felice. E ciò non è stato realizzato secondo i canoni

dell’estetica dell’architettura come si fa solitamente. E stata fatta sem¬plicemente con lo scopo di realizzare il massimo con

il minimo.” 8

Nel 1976, durante i lavori di manutenzione, a causa di un saldatore poco attento, il rivestimento di acrilico prese fuoco e

6 AA.VV, Domebook 2, Pacifi c Domes, 1971, Bolinas , California, USA

7 Note del regista Robert Snyder, riportato da Martin Pawley, Design Heroes: Buckminster Fuller, Grafton, 1990 e da Laura Angeletti, Innovazione tecnologica ed architettura,

Gangemi Editore, Roma

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trasformò la cupola in una palla di fuoco.

R.B.F., Cupola per l’Expo ‘67 di Montreal, 1967

Più o meno nello stesso periodo Fuller abbozzò una possibile applicazione architettonica, denominata Your Private Sky.

Un congegno simile a un planetario personale, consistente in una cupola basata sulla circonferenza massima.

Le circonferenze massime, arricchite dagli elementi di un planisfero stellare, permettevano all’abitante di eseguire

osservazioni esatte del cielo e di “vedere in modo corretto la sua geografi a”, osservando la posizione della Stella polare e cosi

via. Fuller arrivo a proporre una piscina semisferica che poteva essere decorata con le costellazioni del cielo corrispondente

all’emisfero opposto, permettendo all’abitante di contemplare l’ordine del cosmo mentre galleggiava nell’acqua.

Fuller con alcuni modellini di cupole geodetiche

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Trasportabile e trasformabile identifi cano e qualifi cano due differenti modi di essere dei manufatti edilizi, molto lontani dai

caratteri di solidità, massività, pesantezza, staticità e permanenza generalmente attributi all’architettura: trasportabilità, come

possibilità di insediamento in luoghi di volta in volta differenti; trasformabilità, come attitudine a cambiare confi gurazione

rispetto alle diverse condizioni ambientali; trasportabilità e trasformabilità insieme, come risposta a modalità d’uso in continua

evoluzione.

In generale si può dire che l’architettura trasportabile, ha come oggetto l’architettura progettata per essere spostata;

l’architettura trasformabile, riguarda l’architettura in grado di modifi care il proprio assetto.

Nella prefazione al libro di Alessandra Zanelli, “Trasportabile/Trasformabile. Idee e tecniche per architetture in movimento”,

Andrea Campioli dice: “leggerezza, molteplicità, fl essibilità, mobilità, reversibilità appaiono come assunti paradigmatici:

leggerezza, implicando la ricerca di nuovi rapporti dimensionali, di nuovi modelli di trasparenza, di nuovi materiali, o di

interpretazioni inedite di materiali della tradizione costruttiva; molteplicità e fl essibilità, delineando una prospettiva progettuale

all’interno della quale una soluzione non e data una volta per tutte ma è sottoposta a continue trasformazioni, a continui

mutamenti, a un continuo alternarsi delle confi gurazioni possibili; reversibilità, proponendo l’adozione di soluzioni in grado di

assecondare i processi trasformativi dell’architettura, consentendo facili adattamenti rispetto a diverse situazioni di contesto,

verifi cando la compatibilità tra i singoli componenti e tra i componenti e l’intero edifi cio a partire da una attenta analisi dei

rispettivi cicli di vita.”

Robert Kronenburg, scrittore di numerosi libri riguardo la mobilità in architettura e la sua conseguente infl uenza tecnologica,

distingue tre livelli di portabilità:

- i portable buildings, ossia i sistemi che sono trasportabili intatti, autosuffi cienti, adattabili a qualsiasi contesto, ma

caratterizzati da un grado minimo di flessibilità di utilizzo e dalla limitatezza delle dimensioni in relazione al mezzo di

trasporto;

- i relocatable buildings, ossia i sistemi in parte preassemblati e in parte assemblabili in sito, spesso parzialmente

integrati al sistema di trasporto, così da conciliare i vantaggi di facilità e velocità di assemblaggio con una maggiore

disponibilità di spazio rispetto alle dimensioni di trasporto;

- i demontable buildings, sistemi progettati per essere smontabili e riassemblabili, costituiti da un numero fi nito di

componenti in grado di confi gurare spazi, anche di notevoli dimensioni, del tutto o quasi svincolati dai limiti imposti dal mezzo

di trasporto.

A completamento di questa distinzione è utile aggiungere anche quella proposta da Alessandra Zanelli 9, in grado di

evidenziare soprattutto le interrelazioni risultanti tra gli elementi del kit di montaggio e il sistema di trasporto.

Da sempre sono il criterio di assemblaggio e le modalità di trasporto a dettare i limiti dimensionali e il peso dell’unità

trasportata e, proprio dall’analisi di tali parametri, emergono signifi cative differenze tra i sistemi attuali e quelli a cui sono

ispirati.

- Sistemi portatili: il sistema di trasporto è completamente indipendente dall’unità trasportata. In fase di progetto il

parametro della portabilità detta il vincolo dimensionale del volume trasportabile. Ma ciò che non è trasportabile su

un autoarticolato lo è su due o più, e in questo senso il vincolo maggiore diventa il costo.

Dal punto di vista dell’assemblabilità, le unita di questa categoria sono progettate come insieme di componenti da montarsi

sul luogo, oppure possono essere parzialmente o completamente preassemblate in offi cina. Nessuna integrazione è prevista

tra il sistema di assemblaggio e quello di trasporto.

- Sistemi semi-autonomi: unita caratterizzate da una parziale integrazione tra il sistema di trasporto e quello di

assemblaggio, con una notevole riduzione delle operazioni da svolgersi manualmente e del tempo complessivo di messa in

opera. Può essere posta in atto in due maniere: o i mezzi di trasporto sono dotati di strumenti elettrifi cati cooperanti alla fase

di assemblaggio dell’unità, o il mezzo di trasporto può essere standard mentre l’unità stessa, spesso già preassemblata, è

dotata di sistemi automatizzati che cooperano al raggiungimento dell’assetto di esercizio. Gli automatismi di assemblaggio in

genere sfruttano i cinematismi dei sistemi pieghevoli azionabili manualmente, oppure la spinta dell’aria pressurizzata, oppure

ancora la potenza dei sistemi oleodinamici.

- Sistemi semoventi: mezzo di trasporto e le parti trasportate costituiscono una unita inscindibile e preassemblata.

LO SCENARIO CONTEMPORANEO

9 Alessandra Zanelli, Trasportabile/Trasformabile. Idee e tecniche per architetture in movimento, Libreria Clup, 2003, Milano.

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La peculiarità di questa categoria e di rendere libero l’utente fi nale nell’interazione diretta con la mobilita della cellula,

per spostarla oppure per modifi carne l’assetto spaziale, senza il ricorso ad alcuno sforzo fi sico. In questo caso si tratta di

progettare un mezzo di trasporto vero e proprio e insieme defi nirne i gradi di trasformabilità. La fase di esercizio può infatti,

in alcuni casi, comportare il movimento di alcuni elementi semoventi per il raggiungimento di un assetto spaziale più ampio e

confortevole rispetto al volume trasportabile. È possibile distinguere, all’interno di questa categoria, da un lato le unità

trasportabili, confi gurate in modo univoco e in cui solo il sistema integrato di trasporto ne determina la semovenza, dall’altro

le unita ampliabili, in cui la semovenza non si traduce soltanto in autonomia di spostamento, ma riguarda anche la possibilità

di movimento di alcune componenti della cellula trasportabile, come la copertura o le pareti verticali, allo scopo di rendere

disponibile in fase di utilizzo una confi gurazione più ampia e variabile rispetto all’assetto di trasporto.

Kronenburg Zanelli

Trasporto intatto Portable building Sistemi semoventi Integrazione totale tra struttura e unità mobile

Preassemblaggio Relocateble building Sistemi semi-autonomi Integrazione parziale tra struttura e unità mobile

Assemblaggio totale Demontable building Sistemi portatili Indipendenza tra struttura e unità mobile

P O R T A B L E B U I L D I N G S

FLOATING PAVILION: Fumihiko Maki

Il Floating Pavilion è una struttura multifunzionale che viene trasportata lungo i canali grazia a un rimorchiatore. Lo scopo,

oltre a ospitare attività culturali, è quello di capire come l’architettura, in questo caso mobile, cambiando localizzazione evoca

nello spettatore scenari nuovi e a sua volta infl uenza il paesaggio stesso che attraversa. Infatti la struttura a doppia spirale e

ricoperta da una leggera membrana in poliestere bianco traslucido, scivolando nei canali di Groningen (Olanda), si fondeva

con la nebbia del mattino, diventando un elemento fantastico.

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MOBILE HIV AIDS CLINIC: Jeff Alan Gard

Il Floating Pavilion è una struttura multifunzionale che viene trasportata lungo i canali grazia a un rimorchiatore.

Lo scopo, oltre a ospitare attività culturali, è quello di capire come l’architettura, in questo caso mobile, cambiando

localizzazione evoca nello spettatore scenari nuovi e a sua volta infl uenza il paesaggio stesso che attraversa.

Infatti la struttura a doppia spirale e ricoperta da una leggera membrana in poliestere bianco traslucido, scivolando nei canali

di Groningen (Olanda), si fondeva con la nebbia del mattino, diventando un elemento fantastico.

R E L O C A T A B L E B U I L D I N G S

MARKIES: Eduard Bohtlingk

Concepita come una casa mobile per le vacanze, Markies durante la circolazione misura 2,2 x 4,4m. Una volta collocata

sul luogo prescelto la sua superfi ci e triplica in pochi attimi. Le due pareti laterali possono infatti essere aperte grazie ad un

meccanismo elettronico e l’area risultante può essere ricoperta con delle tende a fi sarmonica. Al centro si trovano la cucina

con la zona pranzo ed il bagno, da un lato il soggiorno e dall’altro la camera da letto. La tenda del soggiorno è semitrasparente

e aprendola totalmente crea uno spazio-terrazza; quella della zona notte è invece opaca. Lo spazio interno è stato pensato

seguendo l’idea di una distribuzione fl essibile, pur integrando tutti gli elementi necessari ad un comodo soggiorno: armadi ad

incasso, sedili, letti (fi no a quattro), un frigorifero, la cucina, la doccia e il bagno.

Page 89: Premio Nobile - AREA Science Park

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LanMAS: FTL Studio

Progettata come ricovero di grandi dimensioni per l’esercito Americano, in genere per gli elicotteri, la tenda LanMASS (Light

Area Night Maintenance Shelter) è un sistema che si distingueva per un’alta autonomia di installazione, grazie all’impiego di

archi pres¬surizzati. Le tende LanMAS sono molto leggere in fase di trasporto, grazie all’uso della fi bra di klevlar in sostituzio-

ne della più diffusa membrana in poliestere. Ogni arco portante, di circa 7 metri con cavità di soli 300mm, pesa intorno ai 34

kg e, sopporta un carico di oltre 317 kg con una infl essione di soli 100 mm. Una tenda di 800-1000 mq può essere montata

in meno di 24 ore da dieci uomini ed e trasportabile in due soli container.

D EMO N T A B L E B U I L D I N G S

MUSEUM OF MOVING IMAGE (MOMI TENT): Eduard Bohtlingk

Il MOMi fu progettato e costruito per il National Film Theatre a Londra. London’s South Bank.

È stato immaginato come una struttura leggera che poteva essere riutillizata per altri eventi.

Sei persone possono montare e smontare la struttura nell’arco di due giorni. La struttura ha un pavimento rialzato assemblato

con pannelli di alluminio, in cui trovano alloggio gli impianti. La copertura è in membrana Tenara® prodotta dalla ditta Gore

tesa sugli archi in vetroresina.

IBM TRAVELLING PAVILION: Renzo Piano Building Workshop

Nel 1983 l’IBM decise di promuovere la propria innovazione attraverso un padiglione itinerante che avrebbe dovuto

posizionarsi nei parchi urbani delle maggiori città europee, a stretto contatto con la natura.

La progettazione è stata affi data a Renzo Piano che, mutuando la tradizione del Cristal Palace, ne richiamò i principi di

modularità e trasparenza ma utilizzando materiali molto diversi dal ferro e dal vetro. Piano utilizzò il policarbonato, il legno

lamellare e l’alluminio. Il padiglione era composto da 34 archi autoportanti assemblati in sequenza; la struttura primaria di

ogni arco venne realizzata in legno lamellare con giunti in fusione di alluminio, cui si annettevano gli elementi piramidali (6

piramidi per ogni semiarco) in policarbonato, leggeri e resitenti, che costituivano la pelle trasparente dell’edifi cio. Guarnizioni

di neoprene e tiranti di acciaio furono utilizzati per creare le giunzioni tra i diversi materiali. Il padiglione complessivamente

misurava 48 metri in lunghezza, 12 di larghezza e 6 di altezza.

Per lo spostamento dell’edifi cio furono necessari 23 camion, 21 contenenti la struttura vera e propria e 2 per le tecnologie

informatiche e il sistema di condizionamento.

Alcune delle tecnologie esposte all’interno del padiglione erano sensibili al calore per cui si rese necessaria la creazione di

pannelli isolanti in Perspex con una lastra separata di alluminio da applicare ad alcune parti del policarbonato e l’aggiunta di

membrane per ridurre i rifl essi sugli schermi dei computer.

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90

La struttura poteva essere assemblata in tre settimane; per permettere la contemporaneità dell’evento in più città, ne venne

realizzata una seconda.

Kronenburg sottolinea come il termine “architettura” è stato sdoganato anche per gli edifi ci mobili contemporanei, i quali

sono visti alla pari delle strutture statiche, come ad esempio i padiglioni. Dall’altra parte vì è ancora un certo preconcetto a

considerare alcune tipologie dell’architettura mobile, ad esempio le case mobili, come un elemento standardizzato, come un

prodotto industriale. (Robert Kronenburg, Portable Architecture. Design and Technology).

Lo sviluppo dell’architettura mobile è un campo di ricerca che potrebbe portare a un incremento

dell’innovazione tecnologica, soprattutto per quanto riguarda I sistemi “a secco”. In molti casi vi è

infatti la contaminazione con altri saperi, come l’industria dei veicoli, il product design e lo sviluppo di

nuovi materiali.

È da notare inoltre che i buoni progetti di architettura mobile in genere producono un sentimento di iden-

tificazione, un senso di luogo, allo stesso modo delle architetture permanenti.

Questo perché nel loro insieme, le funzioni sono chiare, le facilitazioni e i comfort non sono sacrificati,

ma sono i medesimi richiesti dalle architetture tradizionali.

Gli approcci nella progettazione di un edifi cio permanente o di uno mobile sono i medesimi; la portabilità è solamente un

ulteriore fattore da tenere in considerazione, come può esserlo la progettazione luminosa, la sicurezza,ecc.

È per questo che il progetto d’architettura mobile dovrebbe essere giudicato secondo i parametri classici di: appropriatezza

allo scopo, al contesto, esteticamente bello, economico nell’uso.

In genere, in questo tipo di costruzioni, vi è un’onestà intrinseca nell’utilizzo dei materiali, cioè i materiali strutturali in genere

non vengono ricoperti, bensì espressi, perché nel caso contrario si avrebbe un ulteriore complessità non necessaria e un

aumento del peso.

È anche per questo fatto che vengono visti come territori di sperimentazione: esprimendo chiaramente i materiali, le loro

connessioni, i componenti, questi devono essere progettati in modo tale da essere inseriti organicamente nell’insieme,

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di conseguenza il metodo di costruzione e le tecniche di assemblaggio, se innovative, possono poi essere trasferite ai si-

stemi costruttivi tradizionali. L’utilizzo infatti di materiali sempre più leggeri, prefabbricati, riduce nettamente il lavoro della

manodopera in cantiere, il tempo di costruzione e i costi di trasporto.

I progetti sperimentali che nascono con l’obiettivo dichiarato di aprire nuove strade all’innovazione

sono una parte riconosciuta di quelle industrie che basano la loro competitività sul mercato mondiale

sulla ricerca e lo sviluppo, come ad esempio le industrie aerospaziali, quelle impegnate nei campionati

di automobilismo o motociclismo e quelle information di technology.

Essendo gli investimenti nell’industria edilizia molto scarsi, questo transfert tecnologico può avvenire solo attraverso pic-

coli componenti, ma la costituzione di un’intera e nuova visione della costruzione nel suo complesso è un’impresa che non

può essere affrontata. In alcuni casi, la competenza di alcuni progettisti ha portato a piccole innovazioni componentistiche

all’interno dell’industria edile, come le competenze ingegneristiche dello studio Buro Happold in Inghilterra e dell’ FTL Design

Engineering Studio in America (www.burohappold.com e www.ftlstudio.com).

Buro Happold con Norman Foster, British Museum, Londra; Buro Happold con DLA Architecture , Health and Safety Laboratory, Buxton, Gran Bretagna

La diffi coltà maggiore che si riscontra nel trasfert tecnologico sta nel fatto che molti progetti che hanno avuto un notevole

successo dal punto di vista della prototipizzazione, sono falliti in vista della commercializzazione su larga scala.

È però da sottolineare, analizzando alcuni casi progettuali, che, comparando la richiesta del cliente, la disponibilità economica

e il progetto fi nito, quest’ultimo ha molto spesso caratteristiche tecniche superiori a quelle inizialmente patuite. Il costo fi nale

è inferiore a quello previsto, la velocità di assemblaggio è maggiore e si riscontra una vita più lunga rispetto alle previsioni.

Un esempio è l’utilizzo delle membrane, siano esse utilizzate per tensostrutture o per strutture pneumatiche. Prestazioni sem-

pre migliori dovute all’innovazione nei materiali e soprattutto la relativa facilità della loro lavorazione, ha permesso ai progettisti

di ottimizzare l’utilizzo del materiale.

L’alluminio e l’acciaio rimangono poi i materiali strutturali per eccellenza, ma quando i budget lo permettono vengono utilizzati

materiali più performanti come le fi bre di carbonio o il Kevlar. Questi spin-offs inevitabilmente affi orano in prima istanza in quei

progetti in cui le richieste prestazionali e la leggerezza sono caratteristiche fondamentali.

L’innovazione nel campo dei materiali crea innumerevoli possibilità, ad esempio il LiTraCon, un calcestruzzo trasparente che

incorpora delle fi bre ottiche. Questo permette di avere dei muri di 20 cm ma con un grado di trasparenza che che permette

di distinguere le sagome delle persone e degli oggetti posti dall’altra parte.

Esempi di LiTraCon

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Lo SmallWrapp, creato dallo studio Timberlake Associates e dalla DuPont per sostituire la tradizionale e voluminosa parete, è

un fi lm di poliestere spesso 1 millimetro che protegge le superfi ci dagli agenti atmosferici ma permette di essere associato

ad altri layer che possono essere composti con materiali a cambiamento di fase, o con tecnologia OLED (light-emitting diode

display), quindi che possono avere la funzione di isolamento, di fonte luminosa, ecc. I vari tipi di layer possono essere trasferiti

sul fi lm SmallWrapp usando un sistema di stampaggio chiamato ‘Deposition Printing’, simile alla stampa inkjet printing.

SmartWrap Building, New York, USA, 2003

Trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità, adattabilità sono le parole chiave per un progetto generalmente detto di architettura

portatile. Come si sarà già notato infatti i termini molte volte sono intercambiabili e non è detto che uno ne escluda l’altro nella

descrizione di un progetto.

Per questo fare delle catalogazioni nette rispetto a questi termini dei progetti presi in esame durante le ricerche per questa tesi

è impensabile, ma è possibile invece leggerne alcune peculiarità. Per questo di seguito gli esempi progettuali presi in esame

per ogni parola chiave saranno catalogati in maniera puramente simbolica, solo per sottolinearne un aspetto signifi cativo, non

per escludere in modo netto gli altri termini.

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Architettura trasportabile

Molte volte si tende ad associare l’architettura mobile esclusivamente con le soluzioni progettuali prefabbricate. Questo non è

corretto, e non è corretto nemmeno pensare che tutte le costruzioni prefabbricate possano essere facilmente trasportate.

Per essere mobile una architettura deve avere alcuni parametri base che possono essere riassunti in:

1. leggerezza dei materiali impiegati;

2. reversibilità delle tecniche costruttive, in grado di garantire rapidità di assemblaggio e

disassemblaggio (trasportabile) e ripetibilità degli atti legati al cambiamento di assetto

(trasformabile);

3. temporaneità, in termini di permanenza limitata in un dato contesto (trasportabile) o in un

medesimo assetto (trasformabile).

Sin dall’antichità infatti, il successo di un sistema costruttivo mobile era direttamente collegato al fattore peso. Tutti i sistemi

costruttivi per architetture provvisorie o temporanee del passato, le tende nomadi e i tendoni dei circhi, ma anche i ponti

smontabili da guerra, le baracche e le strutture provvisorie dei cantieri possono defi nirsi sistemi leggeri, in quanto in tali

sistemi si presuppone che le operazioni di assemblaggio possano essere totalmente a carico di pochi uomini e che i singoli

elementi del sistema siano facilmente maneggiabili.

La strategia più vincente per la movimentazione di un edifi co è il trasporto come singolo elemento (portable building).

Questo metodo ha il vantaggio che, una volta raggiunta la location desiderata, il sistema può essere subito a disposizione

dell’utente. Bisogna comunque tener presente che questa soluzione può far sorgere delle problematiche relative

all’inserimento dell’impiantistica e soprattutto nella defi nizione spaziale, in quanto prima di tutto deve sottostare ai limiti

dimensionali dettati dal metodo di trasporto.

Nel caso di relocateble o demontable buildings, cioè edifi ci che implicano una qual forma di assemblaggio, quest’ultimo deve

essere il più possibile facile e veloce, ma soprattutto ogni parte assemblata deve essere altrettanto facilmente disassemblata

e immagazzinata, per affrontare un nuovo trasporto. Nel caso dei sistemi trasformabili, le fasi della costruzione possono

essere paragonate a quelle di un edifi cio a carattere permanente. Senza dubbio, anche in questo caso, le parti trasformabili

dell’edifi cio devono essere progettate secondo una sequenza di movimento reversibile e ripetibile, in relazione ai cambiamenti

climatici e/o alla possibile modifi cazione delle esigenze d’uso.

A fi anco di una reversibilità che coinvolge le fasi di assemblaggio e le fasi d’uso, si può individuare una reversibilità che

si potrebbe defi nire di processo, cioè la possibilità che un componente o materiale una volta disassemblato possa essere

riutilizzato o reimmesso nella fi liera produttiva . Ad esempio, nel campo delle membrane, nuovi materiali a base vinilica, quali

per esempio l’etfe e il thv, vengono oggi prodotti mediante processi di stampaggio e di estrusione che permettono la realiz-

zazione di fi lm altamente performanti e competitivi con altri tessuti tecnici ma, al tempo stesso, possono essere riciclati per

circa il 95%, per ottener un nuovo fi lm con le medesime prestazioni.

The Screen Machine è il nome dato a un cinema mobile che doveva portare il cinema nelle remote e isolate località della

Scozia. Il cinema, progettato nel 1999 per l’Higlands and Islands Arts Ltd, è uno speciale camion rimorchio che una volta

giunto sul posto si espande lateralmente in modo da poter contenere un numero maggiore di spettatori, circa 100, e con la

possibilità di accesso anche alle persone in carrozzina. Inoltre all’interno vi sono tutti comfort di un cinema tradizionale: aria

condizionata, schermo widescreen e suono sourround, particolari che hanno decretato il vero successo dell’operazione.

Screen Machine 2, Gran Bretagna, 2002

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Una prioritaria caratteristica dei portable buildings e del loro effettivo successo è avere un alto grado di competitività

rispetto agli edifi ci statici. Infatti, per considerare questi edifi ci vera architettura, bisogna fare in modo che le caratteristiche

di trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità e adattabilità siano un di più rispetto a quelle che normalmente si richiedono agli

edifi ci, e non le uniche.

In alcuni casi addirittura si richiedono prestazioni superiori e per questo anche sperimentali, come per il caso dei Motorhome

della F1. I motorhome sono quelle strutture mobili che seguono la squadra nei vari Gran premi per dare supporto logistico e

servizi ai lavoratori e collaboratori delle varie squadre. Ma queste strutture sono soprattutto l’espressione della squadra, sono

uno dei modi di comunicare la propria superiorità tecnologica agli spettatori, alla stampa e soprattutto agli investitori.

I motorhome sono anche il luogo in cui generalmente le squadre diramano i comunicati stampa, tengono incontri, conferenze

per la stampa, sono quindi lo sfondo alle attività di comunicazione e della massima esposizione mediatica.

Un caso emblematico di sviluppo progettuale di un motorhome è stato quello della West McLaren Mercedes nel 2002

chiamato “Communications Centre”. La struttura veniva trasportata scomposta in 11 componenti distinti utilizzando 6

camion, dotati di tutte le dotazioni necessarie per l’assemblaggio.

La strategia utilizzata per poter montare una struttura del genere in uno spazio ristretto come quello dei parcheggi dei box

fu quella di creare 8 capsule ognuna con dei piedi idraulici che avrebbero abbassato la struttura dal livello dei cassoni dei

camion adibiti al loro trasporto fi no a terra.

Successivamente questi elementi venivano posizionati in modo corretto a terra e uniti sempre con giunti idraulici.

Due elementi erano provvisti anche di un piano superiore che veniva anch’esso rialzato tramite pistoni idraulici e la cui

copertura era una piramide trasparente prefabbricata che serviva per creare un atrio coperto ma al contempo luminoso.

Per il montaggio erano necessarie 8 persone e il tempo previsto era di 12 ore.

Negli anni si è poi acuita la rivalità dei team anche nella progettazione dei paddok e motorhome. Per esempio, la stessa

McLaren in concorrenza con il team della RedBull, che nel 2007 ha proposto l’ “Energy Station” progettato dallo studio

austriaco Kitz exklusiv specializzato in strutture e attrezzature mobili, ha ritenuto necessario richiedere un nuovo motorhome

per le gare di F1, il nuovo “Brand Center”. In effetti l’Energy Station aveva messo in ombra tutti gli altri motorhome in quanto

oltre alle classiche funzioni che in genere si svolgono all’interno dello stesso, ne aveva proposte alcune anche esterne, come

lo spazio privè con piscina allestito per il Gran Premio di Montecarlo.

Inaugurato per il British Grand Prix del 2007 il nuovo motorhome della McLaren è alto ben 3 piani, ha una facciata rivestita di

pannelli rifl ettenti. Il piano terra è a pianta libera, al secondo piano alloggiano gli uffi ci e al terzo vi è la galleria per gli ospiti.

Sono previste inoltre delle speciali stanze per i piloti con tutti i comfort possibili, docce, console per i giochi, stazioni MP3,

ecc.

La struttura necessita di 48 ore per essere montata e altrettante per lo smontaggio; per il trasporto sono necessari 12 tir.

McLaren Comunication Center, Red Bull Energi Station, Motorhome Bmv, Motorhome Ferrari

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Architettura trasformabile

Un edificio trasformabile è un edificio che cambia forma, colore, apparenza, attraverso

l’alterazione della sua struttura, del rivestimento o della superficie interna, permettendo un

significativo cambiamento del modo in cui viene utilizzato o percepito.

È un’architettura che si apre, si chiude, si espande e si contrae.

Non è facile introdurre quesa caratteristica in quanto vi sono almeno tre caratteristiche fondamentali dell’architettura trasfor-

mabile che possono essere causa di numerosi problemi: i meccanismi che provocano il movimento di qualche componente,

la perfetta adesione di partizioni interne ed esterne e il corretto funzionamento dei vari servizi in condizioni diverse. I mecca-

nismi utilizzati per permettere il movimento di parti architettoniche devono essere robusti, non devono richiedere frequenti

manutenzioni, devono essere facili nell’utilizzo e affi dabili. Questo signifi ca, in particolari situazioni domestiche, che l’energia

utilizzata per il loro funzionamento deriva solamente dalla forza umana, fatto che comporta la stretta reazione tra utente ed

edifi cio. Nuovi materiali hanno reso queste operazioni più facili, come ad esempio l’uso del neoprene per le guarnizioni tra

le parti mobili, sistemi di movimentazione elettrica, idraulica e pneumatica che però devono garantire un utilizzo in estrema

sicurezza. Un importante parte del successo di questi elementi nell’architettura è il loro perfetto funzionamento e soprattutto

la loro competitività rispetto ai tradizionali sistemi statici.

La sperimentazione nella trasformabilità in architettura è stata fatta anche con il particolare scopo di poter adattare

climaticamente edifi ci tradizionali.

Infatti poter aprire o chiudere in brevi tempi una copertura permette di usufruire in modo dinamico dello spazio architettonico,

una molteplicità di utilizzo dello spazio stesso e una modulazione delle condizioni acustiche in relazione a specifi che esigenze.

Questi sistemi derivano tutti dal velarium romano che, grazie agli sviluppi dell’industria chimica, ha potuto trovare il proprio

erede moderno nella tecnologia delle tensostrutture a membrane, le cui prime realizzazioni risalgono al 1955 con il progetto

del Bandstand di Frei Otto.

Tra il 1965 e il 1975 si costruirono diverse coperture trasformabili, caratterizzate da superfi ci tensostrutturali, retrattili

lungo direzioni libere di movimento e da un sistema fi sso di cavi, con la duplice funzione di sostegno della membrana e di

scorrimento della stessa. Le strutture sportive e ricreative appaiono come gli ambiti più adatti a questi tipi di soluzioni perché

devono essere utilizzate in qualsiasi condizione climatica.

Negli edifi ci tradizionali le coperture trasformabili possono essere:

- retrattili a forma libera: caratterizzate da una superfi cie tensostrutturale in membrana tessile, retrattile lungo direzioni libere

di movimento, e da un sistema fi sso di cavi con funzione si sostegno tensostrutturale e di scorrimento della tela;

- retrattili ad ombrello: nelle forme più semplici, un’asta centrale sorregge delle bacchette radiali che a loro volta sostengono

la membrana di rivestimento in tensione. La connessione tra l’asta centrale e le bacchette può essere rigida o dotata di gradi

di libertà, in modo da permettere l’apertura e la chiusura dello stesso ombrello.;

- scorrevoli a elementi rigidi: sono strutture costituite da parti mobili lungo un perimetro di forma geometrica defi nita e

invariabile durante le fasi di trasformazione.

Roger Taillibert, copertura retrattile in Kevlar sospesa con 26 cavi d’acciaio per lo stadio di Montreal, 1987[

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SL Rasch, ombrello 10x10m con sistema a braccio pieghevole, 1988; ombrelli per ombreggiamento ripiegabili, Il Cairo, Egitto; Lisbona, Portogallo

Pino Zoppini, Piscina alla Sciorba, Genova, 1993

Le tipologie strutturali con le quali oggi è possibile realizzare coperture convertibili sono tre:

- sistema strutturale a membrana, che può avere:

a) movimento secondo direzioni libere,

b) movimento a scorrimento parallelo,

c) movimento radiale;

- sistema pneumatico, che a livello di trasformabilità sono competitivi per:

a) il sistema costruttivo è composto da un numero più limitato di elementi e la sua

stabilizzazione non comporta il pensionamento di cavi e funi anche a distanze

considerevoli rispetto all’area da coprire,

b) possono essere installate coperture pneumatiche in contesti di limitate dimensioni o

in situazioni critiche per diffi coltà di manovra nelle fasi di assemblaggio,

c) le fasi di apertura e chiusura della superfi cie trasformabile sono in gran parte regolate

unicamente dal sistema pneumatico e pertanto sono ridotti al minimo i problemi

ricorrenti nelle tensostrutture, relativi alla sincronizzazione del movimento dei trattori e

dei carrelli scorrevoli su complessi sistemi di cavi.

- sistema a elementi rigidi, che possono essere:

a) sistemi scorrevoli e telescopici,

b) sistemi “up and down” e pivotanti,

c) sistemi estensibili

Dr. Kamal Ismail, Architekturbiiro Dr. Bodo Rasch, copertura per i cortili della Moschea, Medina, Arabia Saudita, 1991; Nicolas Michelin, Fin Geipel,

copertura pneumatica dell’arena di Nimes, 1988; SIAT, Hangar per dirigibili , Brand, Germania, 2000

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Chuck Hoberman è un progettista e inventore il cui lavoro esplora le possibilità delle geometrie cinetiche che defi niscono lo

spazio e la struttura attraverso sistemi ripiegabili ed estensibili.

Il suo lavoro più famoso è la Hoberman Sphere, una sfera pieghevole che si espande in una grande formagrazie a un

movimento continuo dei suoi componenti interconnessi.

I progetti di Hoberman sono concepiti sulla base di elementi cinetici, collegati tra loro per il trasferimento delle forze che

vengono poi convertite in movimento.

Hoberman ha costruito un gran numero di strutture a grande scala, inclusa la Retractable Dome per l’Expo 2000 ad

Hanover, in Germania, e l’Expanding Hypar per il Science Center a Los Angeles nel 1995. Il suo più grande progetto fu

realizzato per i Giochi Olimpici Invernali di Salt Lake City in America nel 2002.

Hoberman creò una “tenda” meccanica di 22 metri chiamata Hoberman Arch per il palco che avrebbe dovuto ospitare tutte

le cerimonie di assegnazione delle medaglie, chiudendo e aprendo l’arco, l’utilizzo della struttura sarebbe stata così garantita

in qualsiasi condizione climatica. Una volta chiusa, la struttura cinetica avrebbe occupato solo una fascia di 1.8 metri.

L’arco fu costruito con alluminio strutturale e 96 pannelli traslucidi fi bro rinforzati. Il meccanismo per il movimento era azionato

da un motore elettrico di 30 Hp.

Più di 500 luci controllate da un computer furono integrate nella struttura in modo da creare degli spettacolari giochi luminosi

durante l’apertura e la chiusura del sistema.

Gli elementi mobili producevano un duplice effetto: creavano un evento all’interno dell’evento stesso della manifestazione e

stupivano gli spettatori nel vedere il movimento all’interno dell’elemento architettonico da sempre considerato statico.

Chuck Hoberman, Hoberman Arc, Salt Lake City, USA, 2002

Chuck Hoberman, Expanding Geodesic Dome, Liberty Science Center, Jersey City, NJ, USA, 1991

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Il Beng Sjostrom/Starlight Theatre è stato progettato dallo studio Gang O’Donnel, ora Gang Architects, per il Rock Valley

College dell’Illinois. Doveva rimpiazzare la sede all’aperto del teatro preesistente ma i clienti volevano che allo stesso tempo si

facesse fronte alla necessità di avere un luogo riparato dalla pioggia ma poter anche godere del sole o del cielo stellato.

I progettisti quindi idearono un edifi cio che potesse essere costruito con un programma della durata di tre anni che avrebbe

permesso al College di continuare ad organizzare le normali performance ed eventi estivi. L’elemento fondamentale del

progetto è il tetto trasformabile, che è concepito come una piramide composta da sei pannelli triangolari identici fi ssati sul

bordo inferiore alla restante parte della copertura.

Il meccanismo di apertura e chiusura è reso possibile da un sistema idraulico.

Gang Architect, Beng Sjostrom/Starlight Theatre, Rockford, Illinois, USA, 2003

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Architettura f lessibi le

In generale gli edifici flessibili sono concepiti in modo da rispondere in maniera ottimale ai cambiamenti

d’uso e di localizzazione. È una architettura concepita per adattarsi, trasformarsi, muoversi, interagire

con l’utente.

Molto spesso viene contaminata da altri ambiti e per questo è legata alle tematiche dell’innovazione e dell’espressività

artistica. Comunque la fl essibilità non deve essere vista come un fenomeno, ma come una caratteristica dell’edifi cio che

si è evoluta assieme alle abilità costruttive dell’essere umano; quando in genere vi sono problemi rispetto alla funzionalità

dell’edifi cio, la fl essibilità dello stesso permette di trovare soluzioni ottimali.

Le strategie per creare la fl essibilità all’interno degli edifi ci sono molteplici e diffi cilmente categorizzabili, possono essere però

identifi cati dei fattori comuni.

Ci sono quattro modi in cui la progettazione può creare delle istanze di fl essibilità nell’architettura che possono avere

applicazione generale in qualsiasi edifi cio:

- elementi trasformabili: spazi che in genere vengono concepiti come ospitanti solamente una sola funzione possono essere

progettati in modo da supportare o incoraggiare altre modalità di utilizzo;

- spazi adattabili: utilizzo dello spazio in prospettiva multifunzionale;

- funzionamento interattivo: l’attenta pianifi cazione e organizzazione dello spazio con la progettazione dello stesso edifi cio

dovrebbe incoraggiare la libertà di movimento del visitatore e aumentare l’interazione con l’utente;

- elementi mobili: l’edifi cio dovrebbe permettere l’allestimento di componenti mobili che possono essere localizzati nello spazio

in molteplici modi.

La visione dell’architettura di Cedric Price, come disciplina che vede i suoi prodotti materiali con una vita limitata, fl essibile

piuttosto che forma fi ssa, lo condusse ad esplorare il concetto di edifi cio come oggetto che defi nisce uno spazio pubblico

piuttosto che spazio defi nito da confi ni netti. Price ha sfi dato costantemente la credenza che gli edifi ci debbano essere una

risposta univoca al problema della statica. Nel 1964 con il progetto Potteries Thinkbelt utilizzò miglia di binari per la creazione

di un’università fl essibile per 20˙000 studenti. Un nuovo luogo si sarebbe creato su terreni industriali non utilizzati con servizi

prefabbricati e mobili, non solo ridefi nendo e riqualifi cando i terreni industriali, ma defi ndendo l’idea di quello che è probabilmente

l’università dovrebbe essere.

Centrale nel pensiero di Price fu l’idea che attraverso l’uso corretto delle nuove tecnologie i cittadini avrebbero potuto avere un

controllo senza precedenti sull’ambiente in cui vivono, avrebbero potuto soddisfare pienamente i loro bisogni e decidere quali

attività avrebbero dovuto insediarsi specifi catamente in quel luogo.

Dal 1971 Price progettò per Londra il Kentish Town Inter-Action Centre, basato sulla sua prima idea per il Fun Palace

(1960-1), incluse una cornice di acciaio aperta nella quale, attraverso una gru che sollevava i componenti, si potevano inserire

muri prefabbricati, gradini e moduli di servizio come preferito dall’utente. Erano inclusi anche studi, uffi ci, un club ed un asilo

nido. Price aveva già pensato che la struttura avrebbe dovuto avere una vita limitata di 20 anni,sebbene in questo lasso di tempo

avrebbe continuamente cambiato conformazione. Le idee di Price avranno importanti infl uenze sulla successiva generazione di

architetti, come Peter Cook degli Archigram e Richard Rogers.

Cedric Price, disegni per Potteries Thinkbelt, Staffordshire, Inghilterra,1965

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Un edifi cio che è stato progettato specifi catamente attorno al concetto di “meeting place” è l’AT&T Global Olimpic Village

dello studio FTL Design Engineering, creato nel 1996 per i Giochi Olimpici ad Atlanta, Stati Uniti. Sebbene la maggior parte

delle installazioni costruite per i Giochi Olimpici fossero parte di un più generale programma di riqualifi cazione urbana per il

miglioramento futuro dei servizi per i cittadini di Atlanta, ci sono delle funzioni che non possono essere riassegnate facilmente

ad un nuovo uso. È per questo che è necessario concepire anche edifi ci provvisori. La funzione primaria dell’AT&T Global

Olimpic Village doveva essere un luogo per facilitare la comunicazione sia per i turisti che per gli atleti con le loro famiglie nei

paesi natali attraverso postazioni telefoniche, fax e internet point.

A questa funzione era poi associata anche quella di favorire gli incontri tra le delegazioni, attraverso luoghi informali in cui

rilassarsi, ristoranti e sale per conferenze.

L’architettura stessa fu concepita come strumento di comunicazione. Consisteva in due padiglioni con copertura a membrana,

sostenuta da un portale in acciaio, fi ssato su una struttura a due piani. La membrana fu usata come un schermo, con proiettori

controllati da computer in modo da poter far vedere al pubblico gli eventi sportivi in corso senza dover subire la deformazione

del supporto tensostrutturale. L’edifi cio diventò così il fondale del palcoscenico del principale spettacolo che ogni sera veniva

proiettato.

AT&T Global Olimpic Village, FTL Design Engineering Studio, Atlanta, USA, 1996

Un edifi cio fl essibile dovrebbe rappresentare l’architettura che offre innumerevoli opportunità all’utente, un luogo pieno di

opzioni e sfi de che dovrebbero migliorare la vita quotidiana delle persone.

Un’architettura che non esprime la visione di edifi cio chiavi in mano e pronto all’uso, ma una visione proiettata nel futuro, in

cui l’utente modifi ca lo spazio a seconda delle mutate esigenze funzionali.

Pensiamo ad esempio a quanti palazzi, prima dimore signorili, sono ora edifi ci per uffi ci. Questo scenario non è quasi mai

tenuto in considerazione dai progettisti che si accingono a ideare un nuovo elemento architettonico.

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Architettura adattabile

Gli edifici adattabili sono concepiti per poter rispondere in maniera rapida a differenti funzioni, varie

configurazioni d’uso e specifiche richieste degli utenti; tali edifici sono frequenti nei progetti di edilizia

che prevedono la vendita degli spazi con funzione di uffici o spazi vendita.

Sono edifi ci con spazi poco defi niti, che possono essere facilmente adattabili alle richieste degli appaltatori e dei progettisti.

Questo tipo di edifi ci signifi cano anche un più cospicuo e sicuro ritorno economico per l’investitore, al cambiamento delle

esigenze del mercato, l’edifi cio può essere facilmente modifi cato.

Il ricorso ad una progettazione adattabile sottolinea come il processo di sviluppo dell’idea progettuale non è sempre

qualcosa che può essere intrapreso da un singolo soggetto o un team per creare un progetto fi sso, statico, ma è un processo

di collaborazione tra un numero maggiore di individui.

Comunque la principale caratteristica dell’architettura adattabile è che questa permette all’utilizzatore fi nale dell’edifi cio di

infl uenzare le decisioni progettuali.

Un esempio di architettura adattabile è il caso dell’aggiunta denominata INO all’Insel University Hospital Campus a Berna,

in Svizzera (Suter + Partner Architekten).

Dopo anni di attesa per decidere un programma per creare nuovi servizi, continuamente contrastata dai cambiamenti di staff,

di spazio e di richieste operative, fu adottato un nuovo concetto di pianifi cazione che ponesse in primo piano la possibilità di

adattare il nuovo edifi cio. Il progetto INO fu diviso in tre sistemi: un primo sistema mirato a 100 anni, un secondo a 20 anni,

ed un terzo a 10 anni. Il primo sistema, detto anche “base building”, fu assegnato a Peter Kamme Kundig Architects, ed è

basato su una griglia di 8.4metri con il compito di provvedere alla progettazione dei collegamenti verticali e di alcuni servizi.

Il progetto del sistema secondario è basato sull’uso attuale dell’ospedale già esistente ma tenendo in considerazione

possibili e differenti scenari futuri, con possibilità di riadattamento delle stanze, di cambiamento delle attrezzature e sistemi.

I livelli superiori dell’edifi cio utilizzati per i macchinari hanno permesso il facile aggiornamento di questi per permettere un

miglioramento di tutto l’edifi cio, soprattutto in previsione del futuro utilizzo plurifunzionale previsto come tematica del terzo

sistema. Sistema fondamentale per l’adattabilità di un edifi co, in quanto questa caratteristica è in più stretta relazione con

l’impiantistica (condizionamento, illuminazione, sistemi di sicurezza) rispetto alla semplice riqualifi cazione spaziale.

Sutern + Patner Architekten, INO Hospital, Berna, Svizzera, 2001 -

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Un altro esempio di adattabilità è il progetto del Ferry Terminal di Yokoama, in Giappone, progettato da Farshid

Moussavi e Alejandro Zaera Polo dello studio Foreing Offi ce Architects di Londra. Il progetto è risultato il

vincitore del concorso di riqualifi cazione del terminal portuale per le navi da crociera bandito nel 1994.

L’idea vincente è stata quella di considerare la possibilità che lo stesso molo diventasse un sistema a più liveli, in cui

il fl usso dei veicoli fosse separato da quello dei pedoni. L’ultimo lembo della propaggine del terminal è diventata una

struttura che ha ridefi nito il landscape del luogo, divenuto un’estensione della città di Yokoama, e un luogo simbolo

della stessa città, anche grazie alla pavimentazione in assi di legno, in netto contrasto con le classiche lastre di

cemento caratterizzanti i moli. Il terminal oltre a mantenere il tale ruolo è diventato un luogo di relazione dei cittadini

della città con numerosi servizi per la collettività.

Foreign Offi ce Architects, Yokohama Ferry Terminal, Giappone, 2002

Infi ne si prende ad esempio la Millennium Dome di Richard Rogers e Buro Happold eretta nel 1999 per i festeggiamenti

per il nuovo millennio.

L’idea progettuale sfi dò la volontà del governo di creare più padiglioni indipendenti; i progettisti decisero di proporre una

grande struttura che dopo le celebrazioni potesse essere riutilizzata. Oggi la Millenium Dome, dopo aver ospitato diverse

manifestazioni, è considerato un successo ingegneristico, tanto che è già stato pensato di adattarla a palestra e centro per la

pallacanestro nelle Olimpiadi che vedranno protagonista Londra nel 2012 e come futuro complesso sportivo per i residenti.

Richard Rogers, Buro Happold, Millennium Dome, Londra, Gran Bretagna, 1999

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L’architettura mobile è una forma intelligente di abitare un ambiente in un determinato luogo ed in un determinato tempo,

capace di reagire e di interagire con i sempre crescenti cambiamenti sociali e culturali, con le città complesse ed i territori

incerti, i limiti imprecisi, le strutture cangianti.

Il fattore movimento in architettura può essere sia necessità che possibilità. La necessità può essere quella di dover far

fronte a successivi e numerosi cambi di localizzazione, dettati da spostamenti lavorativi delle persone occupanti (camper,

case trasportabili), necessita di presidiare logisticamente un territorio (container attrezzati, moduli prefabbricati), necessita

di dover allestire un evento in un luogo caratterizzante ma mobile, sia per la promozione che per costi di locazione (tendoni,

tensostrutture mobili),ecc.

La possibilità è quella di poter utilizzare il movimento come idea, concept progettuale.

La necessità di inserire il movimento come caratteristica fondamentale è stato il problema principale nell’ideazione di una

struttura per gli scienziati impegnati nella ricerca antartica.

La base di ricerca Halley British Antarctic doveva localizzarsi su una piattaforma ghiacciata nell’Antartide. Il problema

non era lo spessore del ghiaccio (150m) ma il fatto che questo non era statico, infatti si muove di 400 metri l’anno verso il

mare fi no a rompersi in numerosi iceberg. Di conseguenza il bando di concorso redatto nel 2004 prevedeva che nei progetti

fosse tenuto conto di questo evento naturale, oltre naturalmente delle rigide temperature (fi no a -30°C) e ad avere un minimo

impatto sull’ecosistema del polo. Quindi la mobilità come caratteristica necessaria per poter spostare in caso di necessità la

struttura in un luogo più sicuro nel momento in cui le condizioni del ghiaccio fossero diventate proibitive.

I vincitori del concorso sono stati gli ingegneri dello studio Faber Maunsell Ltd, che già in passato avevano intrapreso porgetti

antartici, coadiuvati dallo studio di architettura Hugh Broughton Architects. L’idea è quella di considerare l’edifi cio come

una serie di moduli separati, appoggiati su degli sci che permettono la facilità di spostamento sulla superfi cie ghiacciata. Il

modulo principale sarebbe stato quello più grande e in cui avrebbero trovato luogo tutti i servizi comuni alla comunità dei

ricercatori. Gli altri moduli sarebbero stati attrezzati per avere postazioni di lavoro, aree per il riposo e risorse per la produzione

facilitata di energia. Il progetto prevedeva l’utilizzo di materiali leggeri per la costruzione dei moduli e un alto grado di isola-

mento, in modo da garantire il comfort degli utenti e la facilità di movimentazione.

I moduli sarebbero stati tarsportati in Antartide via mare e poi trasportati sino al luogo della postazione di ricerca grazie agli

sci.

Hugh Broughton Architects, Halley British Antarctic, 2005

Il movimento può essere anche una possibilità progettuale, per poter diventare l’elemento riconoscibile in luoghi diversi e

permettere l’interattività tra la struttura architettonica e l’utente.

Questi sono i casi del Nomadic Museum di Shigeru Ban, della Tower of Winds di Toyo Ito e la Son-O-House del gruppo

Nox.

Nel primo caso il movimento è inteso sia come fattore che porta l’esposizione fotografi ca di Gregory Colbert in mostra nelle

principali città del mondo, sia come elemento di concept progettuali allorché il progettista ha deciso di utilizzare come ele-

mento strutturale proprio uno degli strumenti tipici del trasporto merci, cioè il container.

Nella Tower of Winds il movimento è invece considerato come fattore produttivo dell’illuminamento dell’architettura stessa. Il

mutare di fl ussi della viabilità vicina alla torre stessa provoca il cambiamento e la diversa illuminazione a seconda dell’affol-

lamento e del movimento delle autovetture transitanti.

I L F A T T O R E M O V I M E N T O : T R A N E C E S S I T À E P O S S I B I L I T À

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Infi ne la Son-O-House, un’installazione artistica permanente sita a Son in Breugel, in Olanda, nella quale il movimento dei vi-

sitatori genera una sequenza di suoni. A seconda dell’approccio dell’utente all’architettura, il suono (programmato dall’artista

Edwin Van der Heide) cambia rendendo la visita un’esperienza unica

(udibili in www.revver.com/video/482781/i-was-in-the-son-o-house/ e http://www.youtube.com/watch?v=NRyfQmlenrI ).

Shigeru Ban, Nomadic Museum; Toyo Ito, Tower of Winds, Yokohama, Giappone, 1986; NOX, Son-O-House, Son in Breugel,Olanda, 2004

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L’ARCHITETTURA MOBILE PER ECCELLENZA: LA TENDA, LE SUE DECLINAZIONI MODERNE E L E I NNOVAZ ION I T ECNOLOG ICHE

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Giancarlo Cataldi, dice che “in genere un riparo (dal latino reparare = proteggere) può essere considerato un qualsiasi orga-

nismo ligneo monostrutturale e monofunzionale a impianto prevalentemente circolare, rispondente ai bisogni di protezione

occasionale. [...]. Suo archetipo naturale e l’albero, i cui rami, opportunamente curvati e intrecciati, possono aver dato lo

spunto per le prime esperienze costruttive umane” 1.

La tenda, in tutte le forme e tipologie costruttive messe a punto dai diversi popoli nomadi in relazione alle specifi che esigenze,

rappresenta la forma più evoluta del riparo e con il più alto grado di adattamento ambientale.

La tipologia costruttiva attuale più vicina a quella esperienza sono i circhi. Essi conservano infatti ancora oggi la semplice

impostazione strutturale delle antiche tende nomadi; in entrambi i casi gli elementi portanti puntiformi (pali) sopportano i

carichi della soprastante copertura in materiale fl essibile (tessuto). Sia i circhi che le più semplici tende possiedono inoltre un

sistema di funi destinate a mettere in tensione la copertura e a garantire l’equilibrio dell’intero sistema tendostrutturale.

La principale caratteristiche delle tende utilizzate dalle popolazioni nomadi sono quelle di avere una grande versatilità e

fl essibilità per il fatto di poter cambiare confi gurazione seconda delle esigenze, sia abitative che ambientali.

Questi ripari in genere sono uno spazio unico costruito con materiali come le fi bre tessili, pelle e legno, materiali poveri ma

che in genere riescono a garantire un buon riparo dagli agenti esterni.

Inizialmente lo sviluppo di abitazioni mobili era dovuta all’esigenza di spostarsi per cacciare, successivamente per proteggere

anche gli animali domestici che accompagnavano il nomade lungo i suoi percorsi ed ora per dare un alloggio a tutte quelle

persone che devono viaggiare per lavoro o per turismo.

In prima istanza il riparo delle popolazioni nomadi doveva garantire la facilità di trasporto, ma in seguito, soprattutto in

quelle popolazione divenute più stanziali, l’abitazione doveva garantire anche una certa fl essibilità e rispondere alle necessità

determinate dal luogo. È proprio la diversifi cazione dei luoghi in cui le popolazioni nomadi si sono sviluppate che ha prodotto

le varie tipologie di tende oggi ancora esistenti.

L A T E N D A C O M E A R C H I T E T T U R A M O B I L E : D A L L E O R I G I N I A L L E R E C E N T I I N N O V A Z I O N I T E C N O L O G I C H E

1 Giancarlo Cataldi, a cura di, Attualità del primitivo e del tradizionale in architettura, Alinea, 1989, Firenze

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Tralasciando le molte variazioni sul tema, in genere si possono classifi care tre principali tipi di tende nomadi: il tipi, la tenda

nera e la yurta dell’Asia Centrale.

Il tipi è la tradizionale abitazione degli Indiani delle pianure del Nord America e in lingua Sioux signifi ca “da usare per

riposarsi”. I primi tipi erano piccoli, con copertura semicircolare composta dalle cinque alle sette pelli di bufalo cucite assieme.

I pali venivano prima sbucciati e lisciati in modo da rimuovere tutti i nodi e le imperfezioni che potevano causare infi ltrazioni

d’acqua.

Con l’introduzione della copertura in tela la struttura del tipi veniva eretta attorno a tre, quattro pali, più inclinati per resistere

ai venti dell’est. La struttura a terra non aveva più una forma circolare, ma a forma d’uovo.

Vari Tipi delle popolazioni del Nord America

La tenda nera è la dimora delle popolazioni nomadi più diffusa e può essere direttamente ricondotta alle attuali tensostrutture

tanto che i beduini la chiamano “la casa d’aria”.

Le possibilità di adattamento delle tende dei nomadi sono principalmente due. La prima è la possibilità di adattare la copertura

a seconda della situazione climatica esterna, la seconda è la possibilità di variare le dimensioni dello spazio interno, in genere

con l’eliminazione o l’aggiunta di pali.

La tenda nera, man mano che veniva eretta in nuove zone, veniva adattata all’ambiente particolare. Sulle montagne, dove

talvolta pioveva, il tetto si alzava ripido perché l’acqua scivolasse via, nel deserto era appiattito ed abbassato per proteggere

dal sole e dalle tempeste di sabbia.

Tenda beduina nel deserto del Sahara, Marocco; accampamento in Tunisia; tenda nomade in Giordania

La yurta è la tipica tenda delle popolazioni dell’Asia Centrale (per stragrande maggioranza mongoli), utilizzata da più di 2˙000

anni dalla Mongolia alla Turchia, dai Monti Altai fi no alla Siberia meridionale, all’Afghanistan.

Il termine è di origine turca e signifi ca “luogo/spazio sopra il quale è posta la tenda”.

La struttura generalmente è composta da una parete circolare fatta di legni intrecciati e da pali che, partendo dal reticolo di

base, culminano al centro a formare la copertura. Il tutto è ricoperto da coperte di feltro che, nei casi dei climi più rigidi, può

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consistere in numerosi strati.

Yurte della Mongolia e relativo montaggio

I principali tipi di tende nomadi possono quindi distinguersi in base alle caratteristiche strutturali, alle confi gurazioni

geometriche della pianta, ai materiali di copertura e anche alle peculiarità d’uso.

In relazione alle caratteristiche strutturali, le tende nomadi si possono distinguere in:

- tende autoportanti, come la yurta della popolazione della Mongolia;

- tende in trazione, come la tenda nera.

I materiali che costituiscono la copertura si differenziano in relazione alle aree climatiche e alla loro stessa reperibilità in

natura: tessuti di pelo di cammello a trama rada (tenda nera), pellami di animali e stuoie pesanti realizzate con arbusti

intrecciati e strati di feltro (yurta).

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Le tipologie delle tende tradizionali vengono utilizzate come base per lo sviluppo di più tipologie formali utilizzate ad esempio

nel campo dell’assistenza umanitaria, dove vi è la necessità di garantire un certo comfort e una quantità di spazio suffi ciente

per ospitare, in genere, una famiglia sfollata.

Nel manuale “Tents” delle Nazioni Unite vengono riportate le più comuni tende con i relativi vantaggi e svantaggi per fare in

modo che chi si appresta ad organizzare una missione di soccorso possa rendersi conto della soluzione migliore a seconda

del luogo di utilizzo e delle condizioni ambientali. Esse sono:

- ridge tent: è la tradizionale tenda per il primo soccorso, necessità di 2-3 pali verticali e uno di irrigidimento orizzontale,

l’area coperta risulta essere di 12-16m2; ormai è un dispositivo testato ma vi è la limitazione dell’altezza nelle

parti laterali a causa della pendenza della copertura; il peso varia dai 75 ai 120kg;

- center pole tent (tall wall): è la tenda che necessita di un palo centrale per sorreggere la copertura e permette di avere

una altezza laterale maggiore; le pareti laterali sono sostenute da pali; l’area coperta risulta

essere di 16-24m2; l’altezza laterale è un vantaggio ma può risultare negativa in presenza di

forti venti; il peso è in genere di 120kg;

- center pole tent (lower wall): tenda con un palo centrale ma basse pareti laterali; l’area coperta risulta essere di 16-

24m2; il vantaggio è di essere relativamente leggera (50-100kg) ma la limitazione

dell’altezza laterale può essere un problema per gli occupanti;

- hoop tent: è una tenda a forma di tunnel, copre un’area di 12-18m2, ha una altezza suffi ciente ma richiede numerosi

pali ed è ancora in fase di sperimentazione; il peso si aggira tra i 40-80kg;

- frame tent: è una tenda composta da componenti semirigidi, di 16m2, ha un’altezza che ne permette l’utilizzo agevole in

ogni sua parte, richiede però numerosi pali e a volte può essere molto costosa, pesa in genere 100-120 kg;

- nomadic tent (traditional): comprende tutte le tipologie utilizzate dai popoli nomadi, può avere una superfi ci che varia dai

10 ai 30 m2; si adatta molto bene ai climi di varie zone ma una produzione su larga scala in

tempi brevi non è pensabile; il peso si aggira tra i 200 e i 300kg.

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Attualmente la maggior sperimentazione tecnologica nel campo delle tende è fatta da due tipologie di aziende:

- le aziende del campo sportivo, le cui innovazioni, soprattutto nel campo dei materiali, vengono prima applicate sui prodotti

per le spedizioni (soprattutto alpinistiche) e successivamente trasferite sui prodotti per campeggio; ad esempio: The North

Face®, Salewa, Mountain Hardwear;

- le aziende del campo militare, della protezione civile, della sicurezza, del soccorso medico; ad esempio Aerosekur,

Eurovinil

Non mancano i casi in cui la stessa azienda lavora sia nel campo sportivo che in quello della protezione civile, delle

attrezzature per i soccorsi medici, della sicurezza sul lavoro: ad esempio Ferrino (attrezzature alpinistiche e per primo

soccorso medico o di protezione civile), Camp (attrezzature alpinistiche e di sicurezza sul lavoro), Bertoni® (attrezzature per

sport outdoor e per comunità civili e militari).

Spesso si assiste all’introduzioni di una tecnologia nel campo edilizio dopo che questa è stata sperimentata in settori più

piccoli e specifi ci.

In genere il campo del design, in ogni sua declinazione, può essere un incubatore di innovazioni

tecnologiche estremamente efficiente per tutto l’ambito architettonico. In genere il design è sempre

stato sia più ricettivo ad assorbire le novità e a pensare nuove soluzioni, dando un significativo ap-

porto alla ricerca tecnologica.

Un motivo è che, essendo in genere oggetti di piccole dimensioni, il costo della prototipizzazione può essere minore rispetto

a quello che sarebbe se la tecnologia fosse immediatamente applicata in ambito architettonico. Ma probabilmente vi è anche

una ragione relativa agli investimenti e ai ritorni economici; in genere, come già accennato, il campo edilizio non ha una

signifi cativa immissioni di fondi per la ricerca che è ad appannaggio quasi totalmente delle grandi aziende che in genere ap-

plicano il transfert tecnologico da altri campi in cui sono impegnati (es: industria chimica). Non si dimentichi poi la diffi denza

del consumatore verso le innovazioni, queste devono presentarsi con test che certifi chino le reali prestazioni e non presunte.

In genere è diffi cile che una novità introdotta nell’ambito architettonico sia immediatamente recepita da un considerevole

numero persone, solitamente si tende a fi darsi solamente quando la si vede già applicata in un manufatto.

All’interno di uno sviluppo tecnologico possiamo così distinguere quattro fasi:

- fase iniziale, quando l’innovazione viene introdotta,

- fase di reazione da parte degli operatori e del mercato,

- fase di assimilazione parziale della nuova tecnologia da parte della società,

- fase di diffusione all’interno della totalità del sistema tecnologico.

È proprio per la diffi coltà di diffusione nell’intero sistema che molte aziende creano dei concorsi appositi per far sperimentare

ai progettisti nuovi materiali, staccando quest’ultimi dalle responsabilità di un progetto “privato” con la conseguente scia di

garanzie da dare al cliente.

Molte volte gli stessi concorsi vengono creati per testare le stesse possibilità della nuova tecnologia proposta, proprio

perché i produttori non sempre sanno quali applicazioni può avere il nuovo prodotto o perché vogliono cercarne nuovi settori

di utilizzo.

Nel campo delle tende per spedizioni alpinistiche e nella componentistica per l’attrezzatura di supporto, la ricerca di

soluzioni funzionali e di grande affi dabilità è fondamentale. Si pensi alla necessità di garantire un’impermeabilizzazione

ottimale, anche attraverso speciali saldature dei tessuti nei punti di giunzione, o strutture sempre più leggere ma al contempo

resistenti ai forti venti. La Ferrino® si avvale per le sue tende Highlab del tessuto Texit®, prodotto dal gruppo Frizza, in quanto

devono resistere a condizioni climatiche ed ambientali estreme,.

La tecnologia si basa su nuovo fi nissaggio ad alta traspirabilità, su base poliuretanica, che consente il mantenimento della

temperatura corporea ottimale , in modo che, conseguentemente allo stato di attività, sarebbe destinata a salire nelle zone

di contatto con indumenti esterni o accessori. La mancata eliminazione di questo effetto genererebbe la formazione di

condensa fra il corpo e l’indumento o l’accessorio, nel caso della Ferrino® la tenda, con relativa sensazione di fastidio e

conseguente situazione non confortevole.

L’attivazione di questo automatismo, nel caso di tessuti TEXIT, è immediata “al contrario delle membrane attualmente sul

mercato che invece necessitano, per attivarsi, di tempi di reazione molto più lunghi e intensità signifi cative, con conseguente

creazione di situazioni di disagio per l’individuo”. (wwww.frezzagroup.it)

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I tessuti così trattati possono garantire prestazioni anche oltre a 10˙000mm di colonna d’acqua (valore di misura

dell’impermeabilità dei tessuti) ed alta resistenza all’abrasione, con qualsiasi tipo di armatura, anche dal lato interno del

tessuto senza particolari necessità di protezione o creazione di tessuti multistrati.

Possiamo affermare che i tessuti TEXIT riescono a combinare, in maniera ottimale, le esigenze di protezione dai fattori esterni

e le necessità di comfort del nostro corpo.

“TEXIT “ è applicabile a tutte le costruzioni tessili, anche elastiche, e alle principali fi bre utilizzate nella realizzazioni di

soluzioni tessili.

Tende Higlab Ferrino, modello Expè, Snowbound 2, Colle Sud e Portaledge utilizzato dagli scalatori.

Nel campo delle tende, soprattutto quelle per gli utilizzi più estremi, si è assistito (e questo è uno dei pochi esempi) ad un

tranfert da conoscenze architettoniche. Infatti per prima la The North Face® nel 1975 presenta Oval Intention, disegnata da

Robert Gillis, studente di Fuller, la prima tenda a cupola geodetica, di peso leggero, caratterizzata dall’impiego di paleria in

alluminio fl essibile. Il design di questa tenda ha stabilito lo standard per tutte le tende d’alta quota e per spedizioni estreme.

Nel 1978 viene presentata la VE-24, la tenda che applica perfettamente la teoria di Buckminster Fuller che prevede “massima

effi cienza con un impiego minimo di materiale”, 4 kg al prezzo di 550$.

Robert Gillis, Oval Intention; VE-24

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La lezione di Buckminster Fuller quindi è stata fondamentale anche per lo sviluppo del design nelle tende per le spedizioni

estreme; oggi infatti praticamente tutti i produttori di questo genere di attrezzature hanno nel loro catalogo almeno una tenda

di tipo geodetico:

_ Ferrino:

Campo Base : 15kg, circa 700euro

Colle Sud: 15 kg, 1900 euro

-The North Face:

Dome 5 :15.88kg, 1800$

The North Face, Dome 5

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Oltre al campo delle tende per alte prestazioni ve ne è un altro che può essere da spunto al progettista di shelter. Esso ha avuto

sviluppo sempre dalla tipologia della tenda ma ha trovato larga applicazione nel campo architettonico.

Le tensostrutture infatti derivano direttamente dai principi costruttivi delle tende. Frei Otto, uno dei maggiori esponenti

nel campo delle tensostrutture infatti dice: “I nostri tempi richiedono maggior leggerezza, maggiore risparmio di energie,

maggiore mobilità e adattabilità; in breve esigono costruzioni più sintonia con la natura, capaci al tempo stesso di non

disattendere le domande di sicurezza e protezione. Queste rinnovate richieste rendono necessario un ulteriore sviluppo delle

costruzioni leggere, quali tende, gusci, tendoni e coperture pneumatiche, e promuovono anche l’applicazione di nuovi criteri

di mobilità, fl essibilità e variabilità nelle costruzioni.” 2

Quindi una ricerca di quelle caratteristiche di trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità, adattabilità che già si sono prese in

esame per descrivere l’architettura in movimento ma che possono descrivere anche un progetto di architettura statica.

La ricerca progettuale attorno alle membrane è sintomo di una volontà di perseguire quei principi di chiarezza, funzionalità,

stabilità e leggerezza che già molte volte nel corso della storia l’architettura ha cercato di esprimere, sebbene con risultati a

volte molto diversi.

Frei Otto, complesso dello stadio Olimpico di Monaco, 1972

L’architettura a membrana moderna strutturalmente è costituita da una superfi cie tessile che grazie alla forma datale e alla

sua fl essibilità è in grado di sostenere i carichi. Lo sviluppo di questa nuova modalità costruttiva è stata resa possibile dallo

sviluppo di tecniche di tessitura e fi latura attraverso macchine nel 19°secolo, con una diffusione commerciale avvenuta a

cavallo tra Ottocento e Novecento.

Le tensostrutture vengono oggi viste con estremo interesse per perseguire la strada della leggerezza, la quale non signifi ca

solamente chiara idea progettuale ma anche risparmio di materiali durante la costruzione di un edifi cio. Tale ricerca può però

essere agevolata solamente se vi è una continua sperimentazione di tecniche produttive, di nuovi materiali,con una corretta

scelta dei materiali più performanti e il loro corretto utilizzo.

LE DECLINAZIONI MODERNE DELLA TENDA:TENSOSTRUTTURA E PRESSOSTRUTTURA COME CAMPI DI RICERCA PER I MATERIALI

2 Frei Otto, Verso un’architettura minimale, in Brian Foster, Marijke Mollaert, Associazione Tensinet, Progettare con le membrane, tensostrutture e presso strutture, materiali

e tecnologie, ed. italiana a cura di Alessandra Zanelli, Maggioli Editore, 2007, Santarcangelo di Romagna, Rimini.

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Se la leggerezza sembra essere il punto forte di questo tipo di materiali, la trasportabilità, la trasformabilità, la fl essibilità e

l’adattabilità possono rivelarsi delle opportunità progettuali notevoli.

Infatti “le novità introdotte nel settore chimico e il rinnovamento dei processi di produzione dei tessuti contribuiscono ad

ampliare continuamente la gamma dei materiali tessili disponibili per il progettista. Tessuti fl essibili e pieghevoli, fi lm sottili

trasparenti e ultraleggeri, ma anche elementi di rinforzo per i materiali compositi o per pennellature a più strati, le membrane,

non solo offrono una molteplicità di applicazioni possibili, ma si fanno portavoce in tutti i casi di un’architettura minimale la cui

diminuzione di peso proprio va pari passo con un incremento delle prestazioni dell’effi cienza complessiva.” 3

Ad oggi il settore delle tensostrutture è probabilmente il comparto nel settore edile in cui vi è il più alto grado di innovazione e

avanzamento tecnologico. Tipologie costruttive e soprattutto materiali vedono un notevole sviluppo, ad esempio si sviluppano

strutture a reti di cavi, pneumatiche. I materiali impiegati perseguono la strada della leggerezza associata alle alte prestazioni,

come gli acciai speciali, le leghe, i materiali compositi, tessuti tecnici e fi lm.

Per poter applicare l’innovazione, il progettista deve reperire tutti i dati disponibili sul materiale o

sulla tecnologia che intende applicare. Deve saper analizzare, confrontare e valutare questi dati per

costruire ipotesi di possibili soluzioni.

Queste considerazioni, che sono strettamente correlate con la metodologia e le teorie dell’industrial

design, porteranno alla definizione della risposta progettuale più conforme.

Le tecnologie non ancora esplorate in campo edilizio, ma che derivano da settori produttivi diversi o che rappresentano

soluzioni diverse da quelle per cui sono state pensate, possono essere la risposta ad alcuni problemi o tematiche

progettuali.

Parole chiave, quando si parla di tecnologia, sono ricerca, sviluppo e trasferimento che nell’ambito edilizio possono

essere defi nite come:

_ Ricerca di base e applicata;

_ Sviluppo;

_ Applicazione e divulgazione;

_ Trasferimento;

_ Obsolescenza.

La procedura usualmente legata allo sviluppo della tecnologia è chiamato problem solving process e si compone in:

- Identifi cazione del problema. Informazioni preliminari e defi nizione dei vincoli e dei limiti.

- Sviluppo delle soluzioni del problema. Alcune possibili soluzioni del problema sono sviluppate e rifi nite attraverso

l’ideazione e la procedura brain-storming (pensiero creativo).

- Isolamento e dettaglio della soluzione migliore. La soluzione migliore è selezionata e dettagliata.

- Progettazione e valutazione della soluzione. Modelli fi sici e/o grafi ci della soluzione selezionata sono prodotti e testati.

- La soluzione fi nale è selezionata e preparata per la produzione e l’uso.

Si può affermare che molta della ricerca di base all’interno del sistema tecnologico in generale si attua attraverso lo studio

di nuovi materiali. Le ricerche sono svolte principalmente nelle università e nei centri di ricerca di particolari industrie, per

esempio automobilistiche, chimiche e aeronautiche e generalmente non riguardano direttamente il settore edile.

L’applicazione all’edilizia si attua così, come già accennato, attraverso il trasferimento tecnologico, specie per quanto

riguarda l’applicazione dei cosiddetti materiali innovativi, quali le leghe metalliche, le plastiche, i materiali compositi, ecc.

Nel trasferimento delle tecnologie al campo edilizio, le ricerche si basano principalmente sullo studio di comportamenti e

prestazioni, chimiche, fi siche, meccaniche e termiche, al fi ne di accentuarne le possibilità per l’applicazione.

Lo sviluppo delle membrane è sia legato alla ricerca di materiali che possano assolvere alla necessità di leggerezza intesa

come tematica progettuale, sia come ricerca di metodologie costruttive volte al risparmio energetico e costruttivo.

Una struttura tessile infatti non è affascinante solo per la sua forma, ma offre anche una serie di vantaggi concreti e pratici:

_ tempi brevi di costruzione e montaggio veloce;

_ possibilità di coprire grandi spazi senza l’ausilio di sostegni;

3 Alessandra Zanelli, Progettare con le membrane nel contesto italiano, in in Brian Foster, Marijke Mollaert, Associazione Tensinet, Progettare con le membrane,

tensostrutture e presso strutture, materiali e tecnologie, ed. italiana a cura di Alessandra Zanelli, Maggioli Editore, 2007, Santarcangelo di Romagna, Rimini.

Page 118: Premio Nobile - AREA Science Park

118

_ connubio tra economicità e bellezza;

_ buon isolamento termico in estate grazie all’alta capacità riflettente;

_ buona resistenza ai sismi grazie alla sua massa leggera.

PRINCIPALI MATERIALI PER L’ARCHITETTURA TESSILE: LE PRESTAZIONI3

TIPO DI TESSUTO Poliestere/PVC Poliestere/PVC Vetro/PTFE Vetro/silicone PTFE/PTFE

Tipo di fi nitura

superfi ciale

acrilico PVDF _ _ _

Durata garantita

(anni)

10 15 30 20 30

Resistenza

all’invecchiamento,

max •••••

•• ••• ••••• •••• •••••

Resistenza allo

sporco, max •••••

• •• ••••• •• •••

Traslucenza 12% 12% 14% 20-40% 20-40%

Resistenza al fuoco,

max •••••

••• ••• •••• ••••• •••••

Resistenza alla piega-

tura, max •••••

•••• ••• • •• •••••

Metodo di saldatura ad alta frequenza ad alta frequenza a caldo a caldo con nastro

adesivo

a caldo o ad alta

frequenza

Costo molto basso basso alto medio medio alto

Applicazione

consigliata

trasportabili

industriali

temporanee permanenti permanenti trasformabili

retrattili

Massimiliano Fuksas, Dorina Fuksas, Zenith, Strasburgo, Francia, 2008, membrana tessile in vetro/silicone

3 Heindrum Bögner-Balz, Alessandra Zanelli, a cura di, Ephemerl Architecture. Time and texiles, Proceedings of Tensinet Symposium 2007, 16-18 Aprile 2007, Politecnico

di Milano, Clup, 2007, p.43

Page 119: Premio Nobile - AREA Science Park

119

Le membrane possono essere costituite da diversi materiali, ognuno dei quali con proprie specifi che possibilità e propri

limiti:

1. tessuto spalmato;

2. tessuto non spalmato;

3. fi lm.

Tessuti spalmati

I tessuti spalmati sono il materiale più usato per le membrane. Il tessuto di base è prodotto con fi bre ad altissima resistenza e

spalmato da entrambi i lati. In tal modo è protetto dai raggi UV (in caso di tessuto in poliestere), dall’umidità (in caso di tessuto

in fi bra di vetro), dallo smog, dagli agenti inquinanti e diventa impermeabile.

Il tessuto in poliestere, spalmato con PVC, è normalmente utilizzato per piccole e grandi luci, ma ha una durata limitata nel

tempo rispetto ai materiali convenzionali.

Attraverso un’ulteriore spalmatura sulla superfi cie, il tessuto in poliestere, spalmato con PVC, può essere protetto dallo smog

e dagli agenti inquinanti, rendendo più duratura sia l’immagine esteriore sia l’utilizzabilità.

Le spalmature possono essere effettuate con lacca acrilica, con polivinilidenfl uoruro (PVDF) e con rivestimenti Tediar®.

Il tessuto in fi bra di vetro, spalmato di Tefl on® (PTFE), è il tessuto standard per le strutture che necessitano di un’alta

resistenza e una durata nel tempo paragonabile a quella dei materiali edilizi convenzionali.

Le fi bre utilizzate sono rivestite con un tessuto protettivo e nella maggior parte dei casi sono le seguenti:

- fi bra di poliestere (Trevira, Terylene, Dacron);

- fi bra di composti vinilici (Vinylon);

- fi bra di vetro (Fiberglass);

- fi bre di composti poliammidici (Nylon).

I tipi di spalmatura (rivestimento) più utilizzati sono:

- spalmatura in PVC (polivinilcloruro);

- spalmatura in composti della famiglia delle gomme sintetiche: cloroprene (Neoprene), cloruro di polivinile (PVC), polietilene

e clorosulfanato, politetrafl uoruroetiliene PTFE, polifl uoro-carbonio (Tefl on).

I tessuti esistenti ad oggi maggiormente utilizzati sono:

- tessuti in fi bra poliestere PET rivestiti con PVC;

- tessuti in fi bra poliestere rivestite con PVC e Tediar® (fl uoro di polivinile) più laccatura di polivinile e fl uoruro PVF;

- tessuti in fi bra poliestere PET.

Tessuti non spalmati

Sono molto fl essibili, ma poco impermeabili, così come limitati nella durata nel tempo e nella resistenza; sono soprattutto di

cotone e di PTFE.

I Film

I fi lm si distinguono per la grande rigidezza. La loro alta trasparenza, unita alla traslucidità, non è raggiunta da nessun altro

materiale di membrana. La durata dei fi lm in PVC è limitata, mentre per quelli in etilentetrafl uoroetilene (ETFE) è molto alta.

CARATTERISTICHE MECCANICHE DELLE MEMBRANE

Tessuto Rivestimento N° fi bre/cm Tens. di Rott. (N/cm) All. a Rott. (%) Modulo E (N/cm)

vinilico gomma sintetica 6/16 1330/1370 28/27 4750/4900

vinilico PVC 18/14 580/530 25/19 2350/2800

vinilico PVC 18/13 530/460 33/25 1440/-

poliestere gomma sintetica 8/9 1330/1330 30/30 4440/4440

fi bra di vetro PTFE 7/11 1300/1000 4.7/8.9 35000/25000

poliestere PVC 9.5/9.5 660/620 14/20 -/-

poliestere PVC 14/15 1000/1000 15/23 -/-

Kevlar PVC _/_ 6000/5500 2,4/2,4 160000/150000

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La scelta delle membrane da utilizzare dipende dalla tipologia dell’edifi cio che si sta progettando; per un edifi cio temporaneo

o stagionale, il quale deve essere assemblato e dissassemblato con regolarità, bisogna orientarsi verso la scelta di membrane

tessili e supporti di dimensioni e peso contenuti.

Da tenere presente che in genere i tessuti vengono prodotti in larghezze che variano tra i 2 e i 5 metri e quindi nella

progettazione bisogna tener presente che ci dovrà essere la fase in cui la membrana verrà decomposta e sagomata in modo

da assecondare le caratteristiche produttive dell’azienda che fornirà il materiale e i metodi di saldatura.

Le tecniche di giunzione variano a seconda dei materiali è possono essere fatta attraverso:

- cucitura;

- saldatura: termica o ad alta frequenza;

- incollaggio-impiego di adesivi;

- sistemi misti (cucitura-saldatura, usate soprattutto nelle presso strutture).

Se il progetto prevede una grande metratura di membrana dovrà essere presa in considerazione la possibilità di unire varie

parti di membrana direttamente in loco.

In genere poi bisogna pensare che è utile prevedere un rinforzo per il bordo delle membrane, attraverso l’utilizzo di

materiale anche fatto della stessa fi bra del tessuto della membrana stessa, in modo da mantenere una omogeneità nel

comportamento meccanico.

Utilizzare le membrane per la copertura offre, ad esempio, accanto ai “vantaggi della membrana”, anche la possibilità di

risparmio energetico, per l’illuminazione e per la climatizzazione, secondo il luogo e la necessità: le membrane, lasciando

trasparire la luce, di solito non richiedono l’illuminazione artifi ciale durante il giorno, e così non occorre neppure condizionare

l’ambiente. La climatizzazione non è d’altra parte necessaria nemmeno in zone climatiche calde, poiché possono essere

facilmente inserite delle aperture per l’aerazione e, utilizzando un tessuto in fi bra di vetro e politetrafl uoroetilene (PTFE), gran

parte dell’irraggiamento viene rifl esso dal tetto.

Page 121: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

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OMBRELLONI PER LA MOSCHEA DEL PROFETA | CONTROLLO CLIMATICO

Location...............................................Medina, Arabia Saudita

Data......................................................1992

Committenti........................................SBG Saudi Binladin Group, Jeddah

Architetti............................................. progetto generale: Dr. Kamal Ismail Membrana: Architekturbiiro Dr. Bodo Rasch

Ingegneri strutturisti.........................SL Sonderkonstruktionen und Leichtbau GmbH Statica: Buro Happold

Consulenti specializzati.....................climatizzazione: Fa. Krantz, Dr.-ing.Haaf Supervistone tempi e costi: Buro Happold

+ SL Sondakonstruktionen und Leichtbau GmbH

Appaltatore.........................................Saudi Binladin Group

Subappaltatore...................................SL Sonderkonstruktionen und Leichtbau GmbH

Membrana..........................................KOIT High-tex GmbH

Meccanica e acciaio:.........................Liebherr-Werk Ehingen GmbH

Per la realizzazione di una copertura per le corti della moschea del Profeta a Medina, dove si radunano ogni giorno

decine di migliaia di fedeli, era necessario sviluppare un progetto che migliorasse le condizioni climatiche, senza far perdere

all’ambiente che le circonda la propria identità. La soluzione ha previsto l’installazione di 12 grandi ombrelloni mobili di 17m

x 18me alti 14m, che si inseriscono perfettamente nella corte interna rispettandone le proporzioni. Sei parasoli che si aprono

tra i pilastri e il porticato che circonda la corte, riproducono l’effetto delle volte traslucide grazie alla membrana a forma di

imbuto. La climatizzazione avviene regolando la chiusura e l’apertura idraulica degli ombrelloni evitando in tal modo forti sbalzi

termici che incidono sul clima di tutto l’edifi cio.

In estate, gli ombrelloni aperti durante il giorno, creano nella corte la penombra e, grazie al bianco tessuto di PTFE della

membrana, rifl ettono la maggior parte dell’irradiazione solare incidente; durante la notte, gli ombrelloni chiusi permetto alle

superfi ci calde dell’edifi cio di rilasciare l’energia accumulata. In inverno, quando la temperatura media è relativamente bassa,

gli ombrelloni aperti durante la notte evitano che l’edifi cio disperda troppo calore, mentre, chiusi durante il giorno, permettono

ai raggi del sole invernale di raggiungere l’interno della corte e di riscaldarla.

L’apertura e la chiusura degli ombrelloni è regolata elettronicamente attraverso un computer in funzione della posizione del

sole, della stagione, della temperatura esterna, del vento e della nuvolosità. Durante la stagione estiva, quando la temperatura

dell’aria può superare i 45°C all’ombra, il sistema di ombrelloni è affi ancato da un impianto di condizionamento che rende

più confortevole l’ambiente all’interno della corte. Quando piove poi, l’acqua corre lungo la forma a imbuto della membrana

ed è incanalata a terra tramite la colonna.

In ogni parasole sono installate 4 luci che illuminano la corte durante la notte.

Nella fase di progettazione è stata posta particolare attenzione alla forma della struttura del parasole chiuso e alle pieghe

della membrana. Lungo i bracci a sbalzo sono stati posti lembi di protezione particolarmente leggeri, di laminato di resina

sintetica rinforzato con fi bre di carbonio che si muovono grazie ad un meccanismo di aste e cerniere azionato dai bracci stessi.

Quando l’ombrellone è chiuso i lembi formano, insieme al rivestimento metallico dei bracci superiori, un involucro rigido per

la membrana.

Page 122: Premio Nobile - AREA Science Park

122

Oltre alle applicazioni tensostrutturali, cioè membrane tensionate e stabilizzate mediante l’azione di pretensione meccanica,

le membrane tessili trovano utilizzo anche nelle pressostrutture, strutture curvate a forma di sfera e stabilizzate mediante

pressurizzazione dell’acqua o dell’aria.

La differenza di pressione è generata da compressori che immettono l’aria in una membrana chiusa ermeticamente. In genere

non c’è bisogno di elementi di supporto, ma, se sottoposte a condizioni di carico non uniformi e dissimetriche dovute al vento

o alla neve, si destabilizzano.

Questo tipo di strutture hanno trovato impiego anche nelle applicazioni a supporto dell’emergenza. Molte ditte produttrici

di tende campali per uso civile o militare, hanno progettato strutture pressurizzate che fungono da sostegno strutturale alla

membrana di copertura.

Tenda pneumatica

Un esempio di applicazioni degli elementi pressurizzati in architettura è il rivestimento a membrana variabile Texlon, in ETFE

(etilene-tetra-fl uore-etilene), costituito da un insieme di cuscini pneumatici bloccati da estrusi in alluminio.

La particolarità di questo prodotto sta nel fatto che mediante l’impressione di particolari motivi grafi ci sulle membrane

dei diversi strati i materiale e grazie a sistemi pneumatici, è possibili variare la sovrapposizione dei grafi smi modifi cando

l’irraggiamento e la luminosità degli spazi. I sensori solari e della temperatura determinano la pressurizzazione delle camere

d’aria superiori consentendo alla luce di penetrare; con l’aumento della temperatura e dell’irraggiamento le camere d’aria

inferiori vengono pressurizzate in modo da ridurre il livello di irraggiamento.

PTW, The Water Cube National Aquatics Center; Beijing, Cina

Page 123: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

123

FESTO KG | AIR ARCHITECTURE

Location...............................................Esslingen, Germania

Data........................................................1996-2000

Committenti........................................Festo KG

Architetti............................................. Festo Corporate Design Rasch

Festo è azienda leader nella produzione di membrane pressostrutturali che per dimostrarne le possibilità dei nuovi materiali,

nel 1996 fece realizzare dagli architetti consulenti della ditta un padiglione dimostrativo. Lo scopo era quello di pubblicizzare

la air-tecture, cioè l’architettura che ha come elemento strutturale l’aria.

Per questo anche il design del padiglione non doveva avere precedenti. Con un area di 375m2, 6 metri di altezza, è una delle

prime pressostrutture in cui tutti gli elementi (330) sono ben distinti e pressurizzati separatamente. Spiccano le particolari

colonne a forma di Y derivanti dalla forma delle ali della libellula, le quali, ancorate a terra, sorreggono la copertura. Grazie alla

particolare geometria, in cui zone di pressione e depressione creano una piastra rigida, e alla pressione di esercizio di circa

1bar, la stessa copertura può sorreggere carichi di circa 50kg/m2.

Le pareti sono realizzate con due membrane in poliammide con camera d’aria interposta di 200mm e ad una pressione di

0,5 bar.

La luminosità interna è garantita da fasce verticali e orizzontali in copertura, poste a intervalli regolari, in fi lm Velaglas

trasparente, una nuova membrana derivata dall’alterazione chimica della gomma naturale.

Cavi in acciaio sono necessari per mantenere distanziate le colonne esterne di sostegno e per garantire la stabilità del

manufatto.

Page 124: Premio Nobile - AREA Science Park

124

Riassumendo, le membrane hanno quindi delle qualità che ben si adattano ai concetti guida di questa tesi (trasportabilità,

trasformabilità, fl essibilità, adattabilità):

- leggerezza del materiale;

- traslucenza: in questo modo si può garantire l’apporto necessario di luce solare;

- flessibilità: possibilità di deformazione sotto carico senza comportare danneggiamenti;

- funzionalità: nell’utilizzo e nella manutenzione;

- protezione dagli agenti atmosferici;- mobilità e temporaneità: la leggerezza e la flessibilità del materiale permettono a strutture con

membrane di essere facilmente trasportate e montate;

- adattabilità e trasformabilità: nella sistemazione spaziale e nelle variazioni climatiche.

Page 125: Premio Nobile - AREA Science Park

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Passi avanti sono stati fatti anche nel controllo del comportamento termico delle membrane, in genere per fare ciò si

aumentano gli strati tessili che costituiscono la pelle dell’involucro; questo però riduce le proprietà di trasparenza. Tale perdita

può essere motivata dai fattori positivi come: la riduzione del trasferimento di calore, la riduzione del rischio di condensa sullo

strato più interno, il miglioramento delle prestazioni acustiche e il potenziamento della resistenza al fuoco.

In genere negli involucri multistrato viene lasciata una lama d’aria di circa 100-500mm e, per evitare la formazione di

condensa, quando una tensostruttura è composta da una membrana multistrato, è possibile ventilare la camera d’aria

interposta, indipendentemente dalle condizioni di comfort interno richiesto; questo permette anche di rimuovere l’eccessivo

calore solare che durante le stagioni calde surriscalda la parte esterna della membrana.

Ora però l’intercapedine può essere riempita con altri materiale che offrono prestazioni nettamente superiori.

Uno di questi materiali è l’Aerogel.

L’aerogel, come i materiali a cambiamento di fase, è un nanomateriale, cioè creato dalla manipolazione su scala nanometrica

dei propri componenti: molecole, atomi.

A seconda delle dimensioni spaziali d’ordine nanometrico avremo: fi lm, lamelle (una dimensione nanometrica), nanotubi,

nanofi li (due dimensioni nanometriche), nanoparticelle con tre dimensioni nanometriche.

L’aerogel, conosciuto anche con il nome di “frozen smoke”, cioè fumo ghiacciato, è la sostanza solida meno densa, cioè più

leggera al metro cubo esistente al mondo. Per un paragone si pensi che l’aerogel ha una densità dell’ordine di 1 mg/cm3,

mentre quella dell’aria è di 1,2 mg/cm3 (si veda il fi lmato su: http://w1.cabot-corp.com/controller.jsp?entry=product&N=23

+4294967252+1000)

L’aerogel di silice riesce a sopportare grandi carichi; campione di aerogel di silice

Le prime molecole di Aerogel,

definito come la struttura rimanente di un alcolgel nel quale la parte liquida viene rimossa senza

intaccare appunto la struttura primaria,

furono create nel 1931 da Steven Kistel. La ricerca era basata sull’idea di poter creare un gel in cui era stata tolta tutta la

componente liquida lasciandone inalterata la struttura molecolare. I primi tentativi prevedevano che la parte liquida del gel

venisse fatta semplicemente asciugare, ma in questo modo la struttura collassava.

Kistel intuì che la parte solida del gel dovesse essere microporosa e che nel momento dell’evaporazione della parte solida

quest’ultima dovesse esercitare delle forze di tensione superfi ciale che distruggessero la struttura dei pori; bisognava

quindi sostituire il liquido con aria.

Per la produzione di aerogel possono essere utilizzati materiali diversi ma il più comune è il gel di silice. In questo gel le

particelle componenti la struttura sono di anidride silicica, lo stesso materiale che costituisce la sabbia e il vetro, che ha la

caratteristica di avere moltissimi e soprattutto piccoli pori.

I l c o n t r o l l o c l i m a t i c o : L ’ a e r o g e l , l e s u e p r o p r i e t à e i l s u o u t i l i z z o n e l l e m em b r a n e

Page 126: Premio Nobile - AREA Science Park

126

L’aerogel di silice consiste, a livello microscopico, in atomi di ossigeno e silicio vincolati in lunghe serie

che poi vengono collegate casualmente lasciando delle sacche d’aria tra esse di circa 100nm (ma che

possono variare a seconda del metodo di produzione).

L’aerogel visto al microscopio elettronico

Specifi catamente il processo inizia mescolando un alcol liquido come l’etanolo un precursore Si(OR)4 (alcossido di silicio) che

porta alla formazione di gel di silice (sol-gel).

Il processo infatti definito “sol-gel” implica il passaggio da una fase liquida di sol a una fase solida di

gel.

Dal gel di silice, attraverso un processo defi nito essiccamento supercritico, l’alcol viene rimosso dallo stesso gel. Ciò viene

tipicamente realizzato utilizzando acetone, che solubilizza l’etanolo per poi venire entrambe rimossi dalla CO2 supercritica.

Il risultato fi nale consiste nella rimozione di tutta la fase liquida dal gel che viene rimpiazzata da gas, senza permettere all’in-

tera struttura del gel un collasso o una diminuzione del proprio volume.

Supercritical Process, fonte Cabot Corporation

Page 127: Premio Nobile - AREA Science Park

127

Il gel può anche essere addizionato di sostanze dopanti con lo scopo di conferire particolari proprietà al solido vetroso

ottenuto. Può essere sfruttato in diversi ambiti produttivi, tra i quali la produzione di ceramiche, la fabbricazione di pezzi per

colatura del fuso, per la produzione di aerogel e rivestimenti molto sottili di ossidi metallici.

A seconda dei diversi tipi di precursore che portano alla formazione del gel di silice, l’aerogel fi nale avrà diverse

caratteristiche:

- Diversa conducibilità termica: precursore conducibilità termica [ W/mK ]

TEOS tetraethylorthosilicate 0.060

TMOS polyethoxydisiloxane 0.020

PEDS tetramethoxyorthosilicate 0.015

- Diversa trasmissione ottica:

Fotografi a dei campioni di aerogel di silice utilizzando i diversi precursori: (a) TEOS, (b) TMOS and (c) PEDS, fonte: P.B. Wagh, R. Begag, G.M. Pajonk, A.

Venkateswara Rao, D. Haranath, Comparison of some physical properties of silica aerogel monoliths synthesized by different precursors, Material Chemi-

stry and Physics, n° 57,1999, pagg. 214-218

Le principali proprietà dell’aerogel, che al tatto si presenta come una schiuma leggera ma rigida, sono strettamente

collegate con la sua struttura molecolare. Esse sono:

- elevata superfi cie, elevata porosità, bassa densità: per la sua stessa struttura molecolare;

- resistenza alla compressione: riesce a sopportare una forza di compressione di 400 volte il suo peso;

- isolamento termico: gli aerogel sono ottimi isolanti termici sia per la struttura interna, sia, per il caso degli aerogel di silice,

per la scarsa conduttività del silice stesso, quelli di carbonio, invece per la capacità di assorbire la radiazione infrarossa;

- isolamento acustico: gli aerogel hanno la capacità di controllo del suono dovuta alla bassa velocità di propagazione delle

onde sonore aerotrasportate attraverso il mezzo poroso e la bassa trasmissione di vibrazione solida a causa della

struttura tenue;

- friabilità: cercando di piegare una lastra di aerogel, questo si spezza facilmente;

- forte essicante: a causa della sua natura igroscopica;

- idrofobo: se trattati attraverso processi chimici, in quanto inizialmente sono idrofi li. I trattamenti idrofobi possono

riguardare solo la parte superfi ciale o anche quella interna; è facile immaginare che quelli trattati anche nella

parte interna sono meno suscettibili al degrado. Questi tipi di trattamenti favoriscono le lavorazioni successive,

come il taglio ad acqua;

- colorazione: essendo costituito per gran parte da aria, l’aerogel è semitrasparente. Il colore azzurrognolo è dovuto al feno

meno chiamato scattering Rayleigh, cioè la diffusione di un’onda luminosa provocata da particelle più piccole

della lunghezza d’onda dell’onda stessa.

I principali tipi di aerogel sono:

- Aerogel di silice: è il tipo più comune, e quello trattato in questa tesi, e anche quello che ha più applicazioni.

Grazie alla caratteristica di assorbire fortemente la radiazione infrarossa, l’ottimo isolamento termico e la sempre maggior

trasparenza, negli ultimi anni nell’ambito architettonico viene sperimentato e prodotto all’interno di elementi quali le fi nestre,

i lucernai, ecc.

La conducibilità termica è estremamente bassa (da 0,03 W/mK a 0,004 W/mK), la densità è di 1 mg/cm3.

Lastre di aerogel sono usate nello spazio come raccoglitori di polvere di comete.

- Aerogel di carbonio: la densità è compresa tra 0,25 e 0,8 g/cm3. L’areogel di carbonio viene prodotto anche in fogli come

conduttore elettrico. Assorbendo la radiazione infrarossa compresa tra 250 e 14,3 μm, viene utilizzato per immaganizzare

l’energia solare.

- Aerogel di allumina: composti da ossido di alluminio, questi aerogel trovano applicazione come catalizzatori e nel caso di

quelli di nichel-allumina sono utilizzati dalla NASA per catturare le particelle spaziali iperveloci.

Page 128: Premio Nobile - AREA Science Park

128

- Calcogel: sono ottenuti dalle sostanze calcogene come il platino; hanno la caratteristica di assorbire i metalli pesanti e le

loro future applicazioni guardano verso la possibilità di utilizzarli nella depurazione delle acque inquinate da mercurio, piombo

e cadmio.

- SEAgel: Il SEAgel (Safe Emulsion Agar gel, ovvero “emulsione sicura di gel di agar”) è stato creato da Robert Morrison del

Lawrence Lawrence Livermore National Laboratory (un laboratorio di ricerca dell’United States Department of Energy

gestito dall’University of California) nel 1992 . È un eccellente isolante termico con densità di 1-500 mg/cm3. Viene prodotto

utilizzando l’agar, un carboidrato ottenuto dall’alga bruna kelp (Laminaria Japonica) e dalle alghe rosse, e per questo motivo

è completamente biodegradabile.

L’AEROGEL DI SILICE

Una delle proprietà più interessanti a livello architettonico degli aerogel è quella di essere buoni isolanti termici.

In realtà negli anni ’30, all’epoca della loro scoperta, questa proprietà non era vista come quella fondamentale, ma dagli

anni ’80, con il crescente interesse verso le questioni ambientali, il risparmio energetico e l’abbattimento delle emissioni di

clorofl uorocarburi, ha riscosso nuovamente l’interesse degli scienziati. Infatti si profi lava l’idea di sostituire i vecchi sistemi di

isolamento garantendo maggior effi cienza e un maggior rispetto ambientale.

L’aerogel su cui si è rivolta la ricerca scientifi ca e di cui oggi possiamo avere i primi prodotti fi niti anche nell’ambito

architettonico è l’aerogel di silice.

Le proprietà dell’aerogel di silice sono soggette a variazione a seconda del metodo di produzione dell’aerogel e dei trattamenti

di post-produzione.

Oltre alle proprietà precedentemente citate se ne aggiungono di seguito altre che possono essere interessanti per

considerazioni architettoniche:

Proprietà Valore Note

Densità 0.003-0.35 g/cm3 La più comune è di ~0.1 g/cm3

Superfi cie interna 600-1000 m2/g

Percentuale solida 0.13-15% Generalmente 5% (95% di spazio libero)

Diametro dei pori ~20 nm

Diametro delle particelle primarie 2-5 nm

Indice di rifrazione 1.0-1.05 Molto bassa per un materiale solido

Coeffi ciente di espansione termica 2.0-4.0 x 10-6 Determinata usando metodi ultrasonici

Modulo di Young 106-107 N/m2

Resistenza alla trazione 16 KPa Con densità di 0.1 g/cm3.

Alla conducibilità di un materiale isolante contribuiscono:

- la conducibilità solida;

- la conducibilità gassosa;

- la radiazione termica.

La somma di questi tre meccanismi dà la conduttività termica totale di un materiale.

Nel caso degli aerogel di silice, contenendo una percentuale solida molto bassa, una composizione

delle catene molecolari terminanti molto spesso senza un unione ad altre catene (dead-ends) e con

andamento tortuoso, permette che la conduttività termica venga ridotta di molto rispetto a un ma-

teriale solido.

I pori hanno dimensione minore della lunghezza d’onda della radiazione solare e della lunghezza dei

percorso del movimento libero delle molecole d’aria, cosicché la conduzione termica è inferiore a quel-

la dell’aria immobile.

Tipicamente gli aerogel di silicie hanno una conduttività termica totale di circa 0,017 W/mK, circa

R 10/inc nel sistema di misurazione anglosassone, ma si possono raggiungere anche valori di R 12

(nella scala di valori R, più è alto il valore, più il materiale ha proprietà isolanti).

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Materiale Conducibilità termica (W/mK)

Acciaio da costruzione 50

Calcestruzzo normale 2,1

Mattoni pieni 0.96

Vetro 0.8

Poliuretano 0,35-0,58

Legname di latifoglie 0.2

Polistirolo 0,13-0,16

Aria 0,024

Anidride carbonica 0,016

Vuoto 0

Un vantaggio degli aerogel di silice per le applicazioni come materiale isolante è la sempre maggiore trasparenza che

permette l’uso nelle vetrocamere delle fi nestre o in pannelli di lucernai. Infatti il caratteristico colore azzurrastro è stato già

eliminato producendo gli aerogel in ambiente microgravitazionale, nel quale si possono ottenere particelle di dimensioni più

uniformi che riducono lo scattering Rayleigh.

La produzione industriale degli aerogel è iniziata attorno al 2000 e solo negli ultimi anni sono iniziate le applicazioni in campo

architettonico.

Le aziende che per prime hanno investito sperimentato nel campo degli aerogel sono la BASF, la Airglass, l’Armstromg,

l’Aerojet e la Cabot Corporation.

_ Proprietà, caratteristiche ed applicazioni dell’areogel, tratto da: Lawrence W. Hrubesh, Aerogel applications, Journal

of Non-Crystalline Solids, n° 225, 1998, pagg. 335-342

Property Features Applications

thermal conductivity • best insulating solid

• transparent

• high temperature

• lightweight

• architectural and appliance insulation,

portable coolers, transport vehicles,

pipes, cryogenic, skylights

• space vehicles and probes, casting

molds

density/porosity • lightest synthetic solid

• homogeneous

• high specifi c surf, area

• multiple compositions

• catalysts, sorbers, sensors, fuel Storage,

ion exchange

• targets for ICF, X-ray lasers

optical • low refractive index solid

• transparent

• multiple compositions

• Cherenkov detectors, lightweight optics,

lightguides, special effect optics

acoustic • lowest sound speed • impedance matchers for transducers,

range fi nders, speakers

mechanical • elastic

• lightweight

• energy absorber, hypervelocity particle

trap

electrical • lowest dielectric constant

• high dielectric strength

• high surface area

• dielectrics for ICs, spacers for vacuum

electrodes, vacuum display spacers.

• capacitors

Page 130: Premio Nobile - AREA Science Park

130

_ Campi di applicazione dei prodotti contenenti aerogel, tratto da: M. Schmidt, F. Schwertfeger, Application for silica

aerogel products, Journal of Non-Crystalline Solids, n° 225,1998, pagg. 364-368

_ Coeffi ciente di assorbimento acustico per differenti dimensioni delle particelle componenti l’aerogel in

relazione alla frequenza del suono, tratto da: M. Schmidt, F. Schwertfeger, Application for silica aerogel products, Journal

of Non-Crystalline Solids, n° 225,1998, pagg. 364-368

_ Coeffi ciente di assorbimento acustico e coeffi ciente della resistenza termica di diversi materiali con uno

spessore di 20mm, tratto da: M. Schmidt, F. Schwertfeger, Application for silica aerogel products, Journal of Non-Crystalline

Solids, n° 225,1998, pagg. 364-368

Page 131: Premio Nobile - AREA Science Park

131

Attualmente l’aerogel Nanogel viene già sperimenatato in architettura per migliorare le prestazioni di alcuni prodotti come:

- pannelli strutturali compositi

- pannelli in policarbonato e sistemi di coperture trasparenti

- sistemi vetrati

e nell’ultimo anno lo si è applicato anche a

- membrane tensostrutturali, con il prodotto Tensotherm™ prodotto dalla Birdair che verrà di seguito analizzato essendo un

materiale utilizzato nel progetto di tesi.

Kalwall, pannelli sandwich traslucidi

Scobatherm, pannelli isolanti traslucidi

Page 132: Premio Nobile - AREA Science Park

132

Documento WIPO (World Intellectual Property Organization ) sul brevetto del Nanogel (aerogel di silice) della Cabot Corporation

Page 133: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

133

T E N S O T H E RM™ N A NOG E L ®

Attualmente la ditta che produce una membrana con aerogel è la Birdair.

Il nome commerciale della membrana è Tensotherm™ ed è composta da due membrane esterne di PTFE, le quali proteggono

lo stato isolante di aerogel di silicio ( in questo caso è il Nanogel® della Cabot Corporation).

Dalla documentazione ricevuta direttamente dalla ditta Americana (Amherst, NY) si nota come il prodotto venga presentato

come altamente performante: “with the most effi cient insulation material” .

A corredo ti tale informazione vi un è una tabella di comparazione delle proprietà isolanti tra l’aerogel e gli altri materiali

comunemente usati.

Insulation Values of Existing Building Insulation Products

(valus are per 1inch/25mm of material)

Materiale R-value

Aerogel 8

Mineral wood 4

Loose-Fill cellulose 3,5 circa

Fiberglass Blanket 3

Rockwool poco meno di 3

Perlite 2,5

I valori sono espressi tramite i’ R-Value, tipico del sistema anglosassone, il quale viene defi nito tramite h•ft2•F/Btu.

La defi nizione del valore R si basa sull’apparente conducibilità termica, la quale descrive il calore trasmesso da tutti e tre i

meccanismi: conduzione, radiazione e convezione.

Il fattore di conversione per poter comparare i dati americani con quelli europei espressi in resistenza termica è.

1 F•h•ft2/Btu = 0.1761 Km2/W (o 5.67446 F•h•ft2/Btu = 1 Km2/W)

4 http://www.reuters.com/article/pressRelease/idUS240388+09-May-2008+PRN20080509

Page 134: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

134

Nei depliant informativi mancano delle specifi che precise riguardo il prodotto Tensotherm™, non viene indicato un R-value

preciso, solamente dai comunicati stampa è possibile scoprirlo:

“The composite fabric system is less than two inches thick, yet it has an insulation value of R-12,

meeting Virginia energy codes.”4

Quindi convertendo in unità europee abbiamo che la membrana Tensotherm™ ha una resistenza termica di

2,1 Km2/W.

È interessante paragonare tale risultato con le caratteristiche del materiale più utilizzato attualmente nell’isolamento: il pan-

nello termoisolante in polistirene espanso.

In questo caso si sono prese a riferimento le tabelle della Basf.

I valori di resistenza termica più vicini a quello della membrana della Birdair sono:

- a ribasso: 1,80

- a rialzo: 2, 3

Nel primo caso tale risultato è ottenuto grazie a pannelli di spessore non inferiore ai 60mm; nel secondo caso il valore prevede

un pannello dello spessore non inferiore ad 80mm.

Quindi la membrana Tensotherm™ della Birdair può vantare un’alta resistenza termica su uno

spessore di pochi millimetri, 0,5 pollici pari a 12,7 millimetri, riducendo di un quinto lo spessore di

materiale che sarebbe necessario utilizzando il polistirene espanso.

Disegno illustrativo della membrana Tensotherm e tabella delle caratteristiche dei pannelli di polistirene espanso della BASF

Da non dimenticare poi che la membrana Tensotherm™ ha anche proprietà di leggerezza (dovute anche all’inconsistenza

dell’aerogel), della traslucenza (garantendo l’apporto della luce solare all’interno ma bloccando la radiazione infrarossa), può

essere modellato a seconda della creatività del progettista essendo fl essibile. Resistente agli agenti atmosferici, impermeabi-

le, e garantisce un ottimo isolamento acustico.

Purtroppo, anche dopo solleciti, la Birdair non ha fornito il peso preciso della membrana, ma da un calcolo con il campione di

membrana, si è potuto approssimare il valore di 2kg/mq.

Dalla veloce lettura di questi dati si può capire come tale membrana offra ai progettisti delle prestazioni di alto livello con un

apporto di materiale minimo.

Page 135: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

135

Per le caratteristiche sopra elencate, si è deciso di impiegare nel progetto di struttura medica mobile per le emergenze questo

materiale, in modo da garantire allo stesso tempo sia la leggerezza della struttura mobile sia un comfort interno elevato,

assolutamente migliore delle attuali soluzioni garantite dalle strutture attendate per l’emergenza.

Attualmente si conosce solo un progetto che dalla data di commercializzazione del prodotto (inizio 2008) utilizza la

membrana Tensoterm™, è quello per il rifacimento della copertura del Dadmon Athletic Center, alla Radford University,

VA,. Tale cantiere è ancora in corso.

“Cabot Aerogel and Birdair, Inc., Announce First New TensothermTM with Nanogel® Aerogel Fabric Membrane Roof Installation

Dedmon Athletic Center in VA Selects New Insulated Fabric Roofi ng System For Energy Effi ciency, Comfort and Design Ae-

sthetics”

Dadmon Athletic Center, Radford University, VA, USA

La Birdair sottolinea come con la membrana Tensotherm™ rispetta i principi della progettazione sostenibile, non solo per il

grande coeffi ciente di isolamento termico, ma anche perchè il materiale con cui è composta è completamente riciclabile.

Schema del funzionamento della membrana

Naturalmente il prodotto è anche idrorepellente e l’azienda da la garanzia che la membrana può resistere a condizioni

climatiche estreme senza danneggiarsi e richiederne la sostituzione.

Page 136: Premio Nobile - AREA Science Park

REPORT

136

DEFINIZIONI

Conducibilità termica: lambda;[ W/mK ]; la conducibilità termica è una caratteristica specifi ca dei materiali. Indica il fl usso di

calore che con una differenza di temperatura di 1 K passa attraverso uno strato di un materiale di area pari a 1m2 e spesso

1m. Tanto minore è la conducibilità, tanto migliore è la capacità isolante. Il valore lambda, in quanto valore di laboratorio, si

riferisce a materiali asciutti.1

Coeffi ciente di trasmissione termica: U; [ W/m2K ]; il valore U defi nisce la quantità di calore che passa attraverso 1m2 di un

materiale quando la differenza di temperatura degli starti di aria confi nanti sui due lati è pari a 1K e vengono considerate

dalle resistenze alla convenzione termica tra strati di aria e materiale dell’elemento di fabbrica. Il valore U è necessario per la

determinazione delle perdite di calore dovute alla trasmissione. 2

Più il valore è basso, migliore è l’isolamento.

Resistenza alla trasmissione termica: R; [ Km2/W ]; la resistenza alla trasmissione termica è composta dalla resistenza alla

conducibilità termica di un elemento di fabbrica e la resistenza alla convezione termica all’interno e all’esterno. È il reciproco

del coeffi ciente di trasmissione termica. 3

Nel sistema metrico anglosassone il valore R ha unità di misura [ ft2°F h/Btu ] e il fattore di conversione è:

1 ft2°F h/Btu ≈ 0.1761 Km2/W

1, 2, 3 Hegger Auch-Schwelk, Fuchs Rosenkranz, Atlante dei materiali, Utet, 2005, Monaco

Page 137: Premio Nobile - AREA Science Park

137

Un ulteriore incremento delle caratteristiche isolanti dell’aerogel potrebbe venire dall’accoppiamento di questo con materiali

a cambiamento di fase. Esiste già un brevetto per questo tipo di applicazione (WO/2007/014284).

I Pcm, “Phase changing material”, sono accumulatori di calore che sfruttano il fenomeno fi sico della transazione di fase

per assorbire il calore latente, immagazzinare un’elevata quantità di energia, mantenendo costante la propria temperatura e

restituendo il calore all’esterno durante un abbassamento successivo di temperatura.

Il calore latente è la quantità di energia che viene assorbita o rilasciata da un materiale quando cambia la sua fase mediante

fusione o cristallizzazione, cioè quando raggiunge quelle temperature alle quali passa da uno stato all’altro.

L’accumulo può essere realizzato attraverso il passaggio tra le fasi solido-solido, solido-liquido, solido-gassoso e

liquido-gassoso. L’unico cambio di fase usato per i PCM è la transizione tra solido-liquido. Cambi di fase di liquido-gassoso

non sono generalmente usati a causa dei grandi volumi o delle alte pressioni necessarie. I cambi di fase solido-solidi sono

tipicamente molto lenti e hanno un calore basso di trasformazione.

Fotografi a al microscopio elettronico di particelle di materiale a cambiamento di fase dal diametro di 10-15micron

Lo studio dei materiali a cambiamento di fase è interessante se si pensa di accoppiarli all’energia solare, cioè ricavare energia

dalla radiazione solare per poi immagazzinarla in questi stessi materiali.

È necessario scegliere il PCM più idoneo affi nché il range di fusione e di cristallizzazione coincida con la banda di esercizio

delle temperature della fonte di calore. In genere è possibile ripetere infi nite volte il processo di cambiamento di fase senza

aver perdite di resa del materiale.

I principali tipi di materiali a cambiamento di fase sono:

- le paraffi ne: hanno un range di temperature ampio, sono integrabili con i materiali da costruzione, sono chimicamente

stabili, sono riciclabili.

- Gli acidi grassi: range di temperature molto simile a quelle delle paraffi ne, ma il costo è circa il doppio.

- I sali idrati: hanno grande capacità di stoccaggio, basso costo, non infi ammabili.

Negli ultimi anni in commercio sono presenti varie forme di PCM: in polvere, incapsulati, in tubi o in pannelli di fi bra..

I materiali che contengono i Pcm possono essere diversi: cartongesso, legno, intonaco, plexiglas, e possono essere applicati

anche in soluzioni impiantistiche, quali riscaldamento, raffrescamento, collettori solari e scambiatori di calore.

La qualità di questi materiali è di essere termoregolanti, ottimizzano cioè le fl uttuazioni giornaliere della temperatura attraverso

la riduzione dei picchi di calore interni, consentendo un effettivo risparmio energetico e di climatizzazione dell’ambiente.

La BASF produce Micronal® PCM microcapsule applicate sia a intonaci che a pannelli (SmartBoard™) che combinano

un’elevata inerzia termica e una bassa conduttività, pur avendo uno spessore molto ridotto, di 15 mm, Conducibilità termica,

U: 0,18 W/m2K, sia capsule.

“All’interno delle capsule è immagazzinata della cera il cui punto di fusione è tra i 22 e i 26°C, quindi temperature

confortevoli. Quando la cera si fonde, l’energia, ossia il calore solare, viene consumata e fa sì che la temperatura nella stanza

non aumenti.

Analogamente, quando fa freddo, grazie alla cera contenuta nell’intonaco, la temperatura interna rimane costante: quando la

temperatura diminuisce la cera si solidifi ca e rilascia calore.

Al fi ne di poter realmente mescolare gli accumulatori di calore latente nell’intonaco, gli stessi devono essere protetti.

Affi nchè la cera liquida non sgoccioli dall’intonaco, essa viene inserita in capsule con un involucro di plastica, le cosiddette

P o s s i b i l i n u o v i s c e n a r i

Page 138: Premio Nobile - AREA Science Park

138

microcapsule.Tali capsule sono prodotte sotto forma di dispersione acquosa o di polvere. Grazie a questo procedimenti le

microcapsule Micronal® PCM possono venire introdotte nei materiali da costruzione.” 1

Basf, sfere di materiale a cambiamento di fase all’interno dell’intonaco

Nel brevetto WO/2007/014284, il nuovo materiale inventato da Stanley Lawton grazie ai fi nanziamenti della Boing,

prevede la miscelazione tra aerogel e materiali a cambiamento fase attraverso un legante formante la matrice che provvede

a trattenere assieme le varie particelle.

Il materiale a cambiamento di fase è capace di immagazzinare energia termica come calore latente.

L’invenzione offre un metodo per produrre un corpo isolante attraverso la co-deposizione, sopra un substrato, di particelle di

aerogel e di particelle, legate attraverso una soluzione formata dalla matrice e da un vettore. Il vettore viene poi rimosso per

formare un corpo isolante solido sul sobstrato.

Una seconda possibilità è quella di avere un metodo per formare un corpo isolante inserendo simultaneamente le due

soluzioni sopra un substrato. La prima soluzione comprende le particelle di aerogel e la seconda la matrice.

Depositandosi separatamente, le due soluzioni prevengono la degradazione e la friabilità delle particelle di aerogel durante la

stessa deposizione. Vengono evitati così i problemi relativi alla diffi coltà di mescolare le particelle di aerogel e la matrice prima

della alla deposizione su substrato.

Vi è poi un’altra invenzione registrata con il numero WO/2007/130315 e dal titolo AEROGEL/POLYMER COMPOSITE

MATERIALS in cui si è sviluppato un nuovo metodo per la produzione di materiali compositi.

Inventato da Martha Williams, Trent Smith, James Fesmire, Luke Roberson, LaNetra Clayton, il materiale è costituito da

aerogel mescolato con un polimero termoplastico in rapporto di 20:100.

Questo accoppiamento garantirà maggiore fl essibilità e minor fragilità a temperature basse rispetto ai materiali termoplastici

usuali.

Anche in questo caso il fi nanziatore è un ente aerospaziale, per la precisione the administrator of the national aeronautics and

space administration del governo degli Stati Uniti d’America.

1: http://www.basf-italia.it:8080/basfcms/product1.jsp?p=84

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139

Brevetto WO/2007/014284

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140

Brevetto WO/2007/130315

Page 141: Premio Nobile - AREA Science Park

141

Il ruolo di internet nel reperimento delle informazioni relative a innovazioni in genere, e nel campo dell’edilizia in particolare, è

fondamentale in quanto permette di avere un contatto pressoché immediato con le informazioni tecniche.

Poter accedere in tempo reale al sito internet dell’azienda e ai relativi prodotti è certamente un vantaggio per la comunicazio-

ne e la successiva presa in visione dei prodotti; in passato invece il progettista doveva basarsi sulle informazioni che poteva

reperire solo nelle fi ere specialistiche, dagli informatori o dai commercianti.

Nello sviluppo di prodotto è solo nelle ultime fasi che si decide se un’invenzione diventa veramente un’innovazione. Il puro

infl usso tec¬nico è rilevante all’inizio e diminuisce alla fi ne. Il contrario vale per la possibilità di infl uenza degli architetti in

quanto rappresentanti del mercato fi nale. È evidente che con il precoce coinvolgimento di tutti gli operatori alla catena di

creazione del valore si producono innumerevoli possibilità: si possono evi¬tare costosi errori o addirittura impedire proget¬ti

errati già nella fase di sviluppo.

Le possibilità di conoscenza dei materiali attraverso la rete telematica presenta degli aspetti che non sempre favoriscono il

progettista.

Nella ricerca svolta in questa tesi riguardo le membrane tessili e i relativi progetti infatti si è potuto notare come non sempre

l’informazioni tecnica è completa o confrontabile.

Il primo fattore problematico è proprio la non standardizzazione delle informazioni rispetto a materiali con le medesime

funzioni.

Nel caso delle membrane ad esempio le schede tecniche delle aziende si diversifi cano molto e non sempre informazioni

anche importanti sono presenti.

La Gore™ produttrice della membrana Tenera® nelle schede tecniche descrive, sottolineando che quelle che si stanno

leggendo sono “preliminary specifi cation”, i materiali utilizzati attraverso il peso e lo spessore, la larghezza massima, le

principali caratteristiche meccaniche, la percentuale di trasmissione luminosa e la classe di resistenza al fuoco.

Altre informazioni possono essere ricercate nei fi le pdf che si possono scaricare dal sito e che descrivono singole qualità,

come la trasmissione luminosa, l’infi ammabilita, la composizione chimica, la manutenzione ( www.gore.com/en_xx/products/

fabrics/architectural/gore_tenara_textile_products.html)

La Birdair, una delle prime aziende a sperimentare le tensostrutture grazie al fondatore Walter Bird, nell’illustrare il nuovo

materiale Tensotherm® invece,come si è visto, sia nel sito che nei depliant cartacei richiesti via posta, specifi ca solamente

le caratteristiche che rendono performante il materiale, ma non si fa nessun accenno a caratteristiche specifi che in termini

numerici rispetto agli altri parametri. Questo fa si che il progettista non possa confrontare immediatamente i due prodotti, ad

esempio per quanto riguarda la leggerezza.

Si ritiene quindi, che oltre alle specifi che relative alle prestazioni che rendono competitivo il prodotto, sarebbe necessario pre-

disporre uno standard informativo a cui le aziende potrebbero far riferimento per garantire agli addetti ai lavori le informazioni

basilari sui prodotti proposti.

Applicazioni di Gore Tenara: UN Studio, Mercedes Museum, Stoccarda, Germania, 2005; stazione degli autobus in Norvegia

I L R E P E R IM EN TO D E L L E I N F O RMA Z I ON I E I L R UO LO D I I N T E R N E T

Page 142: Premio Nobile - AREA Science Park

142

Realizzazioni Birdair

Bisogna invece sottolineare come, soprattutto nelle aziende estere, meno purtroppo in quelle italiane, l’assistenza al

progettista via telematica è molto più curata. In breve tempo, nel caso delle due aziende sopra citate, è stato possibile ricevere

informazioni cartacee sui prodotti ma soprattutto i campioni di questi.

Infatti non bisognerebbe mai dimenticare che dopo il primo momento in cui il progettista viene affascinato dal materiale o da

una tecnologia, ci dovrebbe essere un riscontro materiale del prodotto stesso.

Sentire con mano la leggerezza dell’Aerogel è tutt’altra cosa che leggerne solamente; capire effettivamente come la luce

solare passa attraverso una membrana è sicuramente più utile al fi ne del progetto e permette di evitare problemi in fase

avanzata esecuzione.

Page 143: Premio Nobile - AREA Science Park

143

STRUTTURE TEMPORANEE

Per quanto riguarda le strutture temporanee, come possono essere le tende e le loro declinazioni più avanzate, l’Italia ha

aggiornata la propria normativa in base alle disposizioni europee.

Dal 2006 infatti è in vigore la norma UNI EN 13782- 2006 dal titolo Strutture temporanee – tende – sicurezza

(Temporary – Tents – Safety) che stabilisce alcuni requisiti da osservare nella progettazione, nella verifi ca ai carichi,

nell’installazione e nella manutenzione di tutte le strutture temporanee.

Di seguito si riportano i passi più signifi cativi per una corretta progettazione.

Interessante è soprattutto la parte che riguarda il libro che deve accompagnare sempre le strutture temporanee, il

quale deve includere la documentazione relativa ai dettagli costruttivi, ai metodi di montaggio e alle relative operazioni di

manutenzione. Tale considerazione è importante per il fatto che le strutture temporanee vengono concepite alla pari delle

strutture statiche, per i componenti delle quali va presentata la documentazione del corretto funzionamento e della relativa

manutenzione.

Il libro allegato alla tenda dovrà contenere specifi catamente:

- La descrizione del progetto e le operazioni di montaggio/disassemblaggio.

- Disegni generali (con presentazione di tutte le risorse; in scala 1:100 o 1:50).

- Disegni di dettaglio (con un’accurata presentazione della struttura e delle sue parti di connessione; in scala 1:10 o 1:5

scale).

- Analisi statiche.

- Rapporti su specifi che ispezioni e controlli.

- Istruzioni scritte nelle lingue in cui verrà distribuito il prodotto (almeno in tedesco, inglese e francese).

Per tende con superfi cie inferiore a 50 m2 però non è necessario produrre un libretto della tenda e il produttore dovra fornire

solo una documentazione riguardante il comportamento al fuoco del tessuto e la stabilità della struttura.

Le principali caratteristiche dei tessuti utilizzati devono essere defi nite e provate attraversi dei test che provino le se-

guenti proprietà:

- Materiale del tessuto e del rivestimento

- Peso totale

- La resistenza a 23°C

- L’adesione

- Comportamento al fuoco

Ulteriori prove sono richieste per materiali contenenti il poliestere e il polivinilcloruro.

Vi sono poi particolari prescrizioni riguardanti i carichi derivanti dal vento e dalla neve per i quali in genere vengono eseguite

delle prove in galleria del vento o attraverso dei programmi di calcolo specifi ci.

Tutti i test dovranno essere eseguiti nel momento iniziale in cui si intende mettere sul mercato il nuovo prodotto, nelle

periodiche attività di monitoraggi richieste, dopo modifi che o incidenti accorsi, durante il controllo dell’adeguata installazione

in loco.

In aggiunta alle prescrizioni della normative sembra giusto sottolineare un fattore importante relativo alla resistenza al fuoco

delle membrane. In genere i tessuti sono diffi cilmente infi ammabili e un eventuale incendio pertanto non verrebbe alimentato

dalla membrana, ma il fattore di rischio principale consiste nello squarcio che il fuoco può produrre entrando direttamente a

contatto con il tessuto strutturale.

Nel caso poi di strutture presso-statiche lo squarcio e l’apertura delle uscite di emergenza causano lo sgonfi amento della

struttura.

Lo squarcio avviene in modo abbastanza rapido con conseguente affl osciamento della struttura se presenta una dimensione

superiore all’1% della superfi cie totale; se invece gli squarci sono inferiori allo 0,6% si è visto che l’aria calda provocata

dall’incendio contribuisce a sostenere la membrana per un certo periodo di tempo.

NORMAT I V E

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144

TENDE E COMPONENTI

Telo di copertura, pareti frontali e catino di base, archi pneumatici di sostegno e tubolari di collegamento

- Caratteristiche minime del tessuto senza spalmatura:

Caratteristica Norma di riferimento

Materia prima UNI ISO 2076:2004 e DL n°194 del 22/05/99 e Direttiva 97/37/

CE

Armatura UNI 8099

Titolo fi lato UNI 4783:1983; UNI 4784:1983; UNI 9275:1988; UNI EN ISO

2060:1997

Riduzione trama/ordito UNI EN 1049-2:1996

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LE MAXI EMERGENZE,IL PMA E LE A L T R E T I P O L O G I E D I U N I T ÀMOB I L E D I S O C COR SO S AN I TAR I O

04

Page 148: Premio Nobile - AREA Science Park

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149

“Un progetto non può che essere la risposta a un bisogno e questo non può che essere espresso da una domanda. (…)

Il bisogno espresso non è mai solo ma ne sottende altri, più o meno evidenti, che rendono ambigua la sua prima

interpretazione. È necessario quindi un approfondimento che continua per tutto l’arco del processo di progetto e termina,

temporaneamente, con la sua conclusione” 1

La frase di Enzo Mari riassume in modo molto chiaro quello che è stato l’iter progettuale di questa tesi. Infatti più il progetto

prendeva forma, più si rendevano necessari ulteriori approfondimenti delle tematiche relative all’operatività in campo sanitario

nelle situazioni di emergenza.

È per tale motivo che in questo capitolo non viene solo defi nito che cos’è il Posto Medico Avanzato, cioè la tipologia di

struttura mobile sanitaria che comporta maggiori vincoli progettuali, ma vengono resi noti anche ulteriori dati che, ad una

prima lettura possono essere visti come superfl ui, ma che si sono rivelati utili per la comprensione delle dinamiche dello

stesso PMA e dell’attività dei soccorritori.

“…la qualità delle scelte di progetto dipende da quella della loro implicita ricerca complessiva.Si determina così una contraddizione irrisolvibile: se il processo di ricerca non può avere limiti perché ogni risposta a una domanda contiene in sé la formulazione di domande successive, il progetto deve essere comunque concluso interrompendo il flusso delle domande. Per questo, ogni progetto teso alla globalità è sempre di qualità inferiore a quella della sua ricerca. Paradossalmente fallisce ogni volta: le scelte che vengono attuate nel momento della sua conclusione obbligata quasi sempre sarebbero diverse se si potesse dare risposta alle nuove domande ormai emerse.La qualità del progetto dipenderà quindi da quella del compromesso tra i dati conosciuti e quelli che non si conoscono ancora.” 2

Enzo Mari, fi gura che esprime l’idea di progetto globale

LINEE GUIDA PER LE MAXI EMERGENZE

1-2 Enzo Mari, Progetto e passione, Bollati Boringhieri Editore, 2001, Torino

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150

Citando testualmente il testo della Protezione Civile Italiana sulla pianifi cazione dell’emergenza “Non è purtroppo un’evenienza

rara che un ospedale si trovi, a seguito di una maxi-emergenza, a dover improvvisamente soccorrere un gran numero di feriti,

con conseguente inadeguatezza di servizi calibrati per lo svolgimento del normale carico di lavoro delle urgenze. Altrettanto

frequente è la possibilità che la struttura ospedaliera subisca dei danneggiamenti a causa di eventi naturali e non (terremoti,

incendi, ecc.) e che questo comporti ancora una volta la diminuzione della sua operatività, fi no ad arrivare a casi estremi di

evacuazione parziale o totale dei degenti” 3

Generalmente le maxi-emergenze sono quelle situazioni in cui sono coinvolte un numero significativo di

persone, nelle quali il trasporto immediato agli ospedali non è possibile ed è quindi necessaria una

pianificazione e un filtraggio dei pazienti per lo smistamento verso specifici ospedali, che non neces-

sariamente sono quelli più vicini.

È da tener presente che il fi ltraggio verso gli ospedali è indispensabile anche in queile zone che presentano un alto numero di

presidi ospedalieri sul territorio. Non è possibile infatti dirottare tutti i feriti nell’ospedale più vicino.

Basti pensare che un ospedale ha un numero defi nito di medici rianimatori, i quali possono prendere in cura, se la situazione

lo richiede, solamente una persona alla volta. Inoltre bisogna garantire la miglior assistenza possibile ai feriti, per cui se ad

esempio in un incidente vi sono degli ustionati gravi, questi probabilmente andranno dirottati verso un ospedale specializzato

e non in uno generico.

Un esempio di “congestionamento” di un ospedale a seguito di una maxi emergenza è avvenuto a Tokio il 20 marzo 1995,

a seguito dell’attacco con gas nervino Sarin del gruppo terroristico Aum Shinrikyo nella metropolitana, in cui circa 5.000

persone vennero a contatto con i vapori letali. Il fatto che molte persone fortunatamente sono state colpite da sintomi minori a

seguito dall’esposizione al gas, ha fatto si che queste si recassero autonomamente all’ospedale più vicino, che però non era

attrezzato per l’accoglienza di un numero così elevato di pazienti.

In Italia, grazie al DPCM 13 Febbraio 2001, “Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”, ogni

ospedale dovrebbe avere un piano per le emergenze (P.E.I.M.A.F. piano d’emergenza interno per massiccio affl usso di feriti)

in cui si defi nisce:

- l’assegnazione delle responsabilità alle organizzazioni e agli individui per effettuare azioni specifi che, progettate nei tempi e

nei luoghi, in un’emergenza che supera la capacità di risposta o la competenza di una singola organizzazione;

- la defi nizione delle azioni da coordinare e delle relazioni fra le organizzazioni;

- l’individuazione delle iniziative idonee a proteggere le persone e la proprietà in situazioni di emergenza e di disastri;

- l’identifi cazione del personale, dell’equipaggiamento, delle competenze, dei fondi e delle altre risorse disponibili da utilizzare

durante le operazioni di risposta;

- l’identifi cazione delle iniziative da mettere in atto per migliorare le condizioni di vita di eventuali evacuati dalle loro

abitazioni.

Possiamo dire quindi che le maxi-emergenze causano:

- un elevato numero di vittime, considerando non solo i morti e i feriti, ma anche coloro che sono stati

danneggiati psicologicamente;

- un improvviso, ma temporaneo, squilibrio tra le richieste delle popolazioni coinvolte e gli aiuti

immediatamente disponibili.

Da qui la necessità di organizzare la gestione dei soccorsi fi nalizzandola alla costituzione di una catena dei soccorsi, cioè

una sequenza di dispositivi funzionali e/o strutturali che permettono la corretta gestione dell’assistenza alle vittime, sia che

l’emergenza sia limitata o meno. Specifi camente consiste nell’identifi cazione, delimitazione e coordinazione dei vari settori e

operatori per il salvataggio dei feriti.

La catena dei soccorsi viene messa in moto quando la Centrale Operativa (C.O) del 118 viene allertata.

Una volta giunta la notizia di una catastrofe o di un fatto accidentale che può dar vita ad una calamità, le sale operative dei vari

Enti coinvolti nella gestione dell’emergenza (118, Prefettura, Protezione Civile, ecc.) dovranno poter acquisire

continuamente informazioni sulla situazione che si è determinata, in modo da poter defi nire correttamente la natura e

l’estensione del disastro.

3 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Servizio Emergenza Sanitaria, Comunicato relativo al decreto del ministero dell’Interno delegato

per il coordinamento della protezione civile 13 febbraio 2001 concernente: Adozione dei “Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”,

Gazzetta Uffi ciale, n°81 del 16 aprile 2001

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151

Catena dei soccorsi sanitari , fonte: Manuale della protezione civile, organizzazione dei soccorsi sanitari in situazioni di eccezionale emergenza

In ambito sanitario le informazioni dovranno riguardare:

- l’estensione della calamità;

- eventuali danneggiamenti alle strutture sanitarie e la funzionalità di quelle non danneggiate;

- una previsione del numero dei morti e dei feriti, la natura delle lesioni prevalenti (fratture, ferite, ustioni, intossicazioni, ecc.),

la situazione delle vittime (facilmente accessibili, da liberare, ecc.), le condizioni ambientali;

- l’orientamento sulle modalità di impiego dei mezzi, degli itinerari preferenziali, delle precauzioni per eventuali rischi tossici,

di esplosioni, di crolli, ecc.;

- il rischio ambientale, cioè la possibilità che lo scenario in cui si è verifi cato lo stato di emergenza sia in evoluzione, è molto

importante nella valutazione e nella defi nizione dell’organizzazione dei soccorsi.

Si pensi ad esempio ad uno scenario alluvionale in cui il sito colpito non è ancora in sicurezza e a rischio smottamenti;

in questo caso l’allestimento di ricoveri nella zona colpita sarà sconsigliato e attuato in zone sicure. Un secondo scenario

potrebbe riguardare rischi ambientali di tipo epidemiologico in cui la prima precauzione sarà quella di isolare la zona colpita.

Da ricordare infatti che i soccorritori devono essere sempre portati a lavorare in situazioni di sicurezza, salvaguardando la loro

incolumità. È dimostrato che al ferimento di un soccorritore, almeno due suoi colleghi saranno impegnati per il suo soccorso

e quindi sottratti dallo scenario dell’evento.

Occorre considerare che ogni tipologia di evento calamitoso presenta un andamento bifasico di risposta alle esigenze di

soccorso sanitario:

- risposta rapida, data dagli organi territoriali sulla base delle risorse locali immediatamente disponibili;

- risposta differita, che si andrà ad articolare nelle ore successive all’evento con l’apporto degli aiuti che giungeranno

dall’esterno all’area interessata.

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152

Entrambe le risposte prevedono:

- una Fase di allarme, nel corso della quale si cercheranno di acquisire tutti quegli elementi che possono essere utili a

dimensionare l’evento sia sotto il profi lo qualitativo che quantitativo.

Tale fase, qualora ci si trovi di fronte ad un evento prevedibile, può essere preceduta dalle Fasi di Attenzione e di Preallarme.

Nel caso in cui vi sia la possibilità che una situazione, inizialmente stabile, si evolva, è compito delle Autorità competenti

dichiarare lo stato di attenzione e pre-allarme;

- una Fase di emergenza nella quale si effettueranno tutti gli interventi necessari alla realizzazione della “Catena dei

soccorsi”.

A tali fasi corrispondono livelli di allarme delle centrale del 118:

1. Livello 0. E’ il normale livello di funzionamento della Centrale Operativa; sono attivate le risorse ordinarie e si utilizzano le

normali procedure di gestione.

2. Livello1. Viene attivato quando sono in corso situazioni di rischio prevedibili, quali concerti, manifestazioni sportive o altre

iniziative con notevole affl uenza di pubblico ecc. E’ attivato in loco un dispositivo di assistenza, dimensionato sulla base delle

esigenze ed in adesione a quanto previsto da specifi ci piani di intervento. La Centrale Operativa dispone di tutte le informazioni

relative al dispositivo, monitorizza l’evento ed è in grado di coordinare l’intervento.

3. Livello 2. Viene attivato quando vi è la possibilità che si verifi chino eventi preceduti da fenomeni precursori (alluvioni, frane

etc). Le risorse aggiuntive vengono messe in preallarme, in modo che possano essere pronte a muoversi rapidamente in

caso di allarme. Il medico coordinatore della Centrale Operativa può disporre eventualmente l’invio di mezzi sul posto per il

monitoraggio o per assistenza preventiva.

4. Livello 3. Viene attivato quando è presente una situazione di maxiemergenza. Il dispositivo di intervento più appropriato

viene inviato sul posto e vengono attivate le procedure per la richiesta ed il coordinamento di risorse aggiuntive anche

sovraterritoriali.

Anche per fi ni di progettazione di una Unità Mobile di Soccorso Sanitario vale la pena considerare, in particolare nel

caso di catastrofi naturali che:

• le prime ore dopo il disastro sono gestite unicamente dalle persone presenti sul territorio interessato;

• la grande maggioranza dei sopravvissuti si salva in quanto di per sé illesa o perché salvata immediatamente dopo l’evento

da “soccorritori occasionali”, i cosiddetti “testimoni”;

• l’organizzazione di soccorsi, che dopo le prime ore dall’evento può assumere a volte anche una notevole dimensione, a

fronte del grande spiegamento di forze, salva un numero relativamente basso di vittime, in quanto logicamente non

competitiva nei tempi;

• nella prima fase è inevitabile sempre e comunque, qualunque sia la dimensione dell’evento, la sproporzione tra esigenze

e disponibilità di uomini e mezzi;

• in determinate situazioni sarà quasi impossibile ottenere il personale di supporto previsto dai piani (della C.O. 118,

Intraospedalieri, ecc.) in quanto è credibile che tale risorsa sia comunque stata coinvolta fi sicamente o emotivamente

nella situazione, che non possa raggiungere la destinazione per la non percorribilità delle strade, che non sia contattabile

telefonicamente ecc.;

• l’impiego di mezzi su ruote o aerei non va mai dato per scontato per impercorribilità delle strade,

meteo avverso, ecc. ed è necessario evidenziare che a volte è indispensabile l’arrivo di mezzi di

sgombero prima delle autoambulanze;

• le notizie saranno necessariamente imprecise e scarse, e sarà necessario usare la dovuta cautela nelle scelte operative in

quanto poche notizie o poche richieste non sono indice di incidenti di piccola entità. 4

4 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Servizio Emergenza Sanitaria, Comunicato relativo al decreto del ministero dell’Interno delegato

per il coordinamento della protezione civile 13 febbraio 2001 concernente: Adozione dei “Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”,

Gazzetta Uffi ciale - serie generale- n°81 del 6 aprile 2001 (Suppl. Ordinario n° 116)

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Nell’ambito degli scenari ipotizzabili in una maxi-emergenza si possono individuare due tipologie di evento:

- evento catastrofi co ad effetto limitato;

- evento catastrofi co che travalica le potenzialità di risposta delle strutture locali.

La prima tipologia di evento é caratterizzata dall’integrità delle strutture di soccorso esistenti nel territorio in cui si manifesta,

nonché dalla limitata estensione nel tempo delle operazioni di soccorso valutata a meno di 12 ore.

L’intervento sarà pressoché basato sulle informazioni provenienti dalle segnalazioni dei “richiedenti soccorso” che dovranno

essere il più precise possibili per razionalizzare al massimo l’invio dei mezzi di soccorso necessari.

La seconda tipologia, sono quegli eventi catastrofi ci che devastano ampi territori e causano un elevato numero di vittime, il

coordinamento degli interventi risulterà estremamente diffi cile, almeno per molte ore, data la prevedibile diffi coltà a stabilire

le comunicazioni con il territorio interessato per mancanza di reti telefoniche attive, di transitabilità di strade, di energia, ecc.

In questo caso è ancora più marcata la sproporzione che si viene a determinare tra richiesta e disponibilità di uomini e mezzi

da impiegare sul campo.

E’ opportuno ribadire che:

- l’esperienza internazionale ha ampiamente documentato che, contemporaneamente o anticipatamente ai soccorsi sanitari,

è opportuno l’intervento di cospicui supporti tecnici per “urbanizzare” d’urgenza le aree colpite;

- la maggior parte dei sopravvissuti, come già detto, si salva in quanto di per sé illesa o perché salvata immediatamente dopo

l’evento da “soccorritori occasionali”. E’ pertanto indispensabile che soprattutto nelle zone ad alto rischio si provveda ad una

formazione diffusa e corretta sulle misure di primo soccorso sanitario.

Conoscere le caratteristiche delle unità mediche sul campo è molto utile ai fi ni progettuali; esse sono:

- possibilità di mobilitazione in tempi brevissimi, possedere una completa autonomia di almeno 3 gg per lo svolgimento

della funzione (materiali, farmaci, energia, ecc.) e per il supporto al personale ed ai mezzi (alimenti, acqua, abbigliamento,

carburante, ecc.) presupponendo l’impiego su qualsiasi tipo di terreno ordinariamente prevedibile ed in qualsiasi contesto

climatico nazionale;

- possibilità di usufruire di un idoneo sistema di tele – radio - comunicazioni che garantisca i collegamenti al di fuori del

normale luogo di impiego;

- presupposti e dimensioni di “colonna mobile” (la singola ambulanza proveniente da un territorio esterno al teatro operativo,

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scoordinata e senza collegamenti radio, crea solo problemi);

- non penalizzare il territorio di provenienza (dove l’urgenza ordinaria deve continuare ad essere garantita);

- aver reso noto per tempo i dati di eventuale trasportabilità totale o parziale a bordo di elicotteri, navi, aerei, treni;

- aver reso noto la prestazione sanitaria complessivamente fornibile in termini anche di qualità/quantità (naturalmente propor-

zionale alle “fi gure” previste ed alle dotazioni).5

Entrambe le tipologie di eventi, a carattere limitato o meno, hanno comunque in comune le procedure di intervento iniziali.

Nella prima fase di risposta immediata avviene l’attivazione di squadre di “prima partenza” che hanno il compito di

effettuare:

- la ricognizione del sito;

- il dimensionamento dell’evento;

- l’individuazione della tipologia prevalente dell’evento e delle conseguenze sulle persone;

- l’individuazione e segnalazione delle possibilità di accesso;

- l’individuazione dei luoghi più adatti all’allestimento eventuale degli elementi della “catena dei soccorsi” (PMA e UMSS);

- la suddivisione dell’area in settori, in modo tale che le squadre di soccorso abbiano assegnate zone specifi che;

- il primo triage, non appena terminati i compiti sopra riportati.

La fase di risposta differita consisterà invece in :

- mobilitazione delle risorse locali previste per le maxiemergenze;

- allestimento dei vari elementi della catena dei soccorsi.

Nel caso in cui la situazioni presenti un gran numero di persone ferite è opportuno seguire alcune

prescrizioni come quelle di non utilizzare i mezzi sanitari per l’evacuazione degli illesi o dei feriti lievi, evi-

tare l’invio di pazienti con codice verde negli ospedali vicini all’area, dare assistenza ai pazienti di codice

rosso solo dopo lo sgombero veloce dei pazienti a codice giallo nel caso di rischi in via di evoluzione.

In linea di massima nel nostro Paese la prima fase dell’emergenza raramente si prolunga oltre le

prime giornate, dopo le quali si comincia ad avere un graduale ritorno alla normalità e alla funzionalità

delle strutture sanitarie territoriali.

Nel libro “Medicina delle catastrofi ” di Noto, Huguenard e Larcan viene evidenziato come un funzionamento coerente della

catena dei soccorsi sanitari in situazioni di catastrofe, o d’urgenza, presuppone l’esistenza sul territorio di strutture di cura

provvisorie, capaci:

- di assicurare la raccolta ed il trattamento immediato delle vittime più gravi, ma anche quello dei feriti lievi, dei contusi, o dei

soggetti affetti da alterazioni acute del comportamento;

- di consentire l’attesa dei feriti prima dell’evacuazione verso i centri ospedalieri.

5 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Servizio Emergenza Sanitaria, Comunicato relativo al decreto del ministero dell’Interno delegato

per il coordinamento della protezione civile 13 febbraio 2001 concernente: Adozione dei “Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”,

Gazzetta Uffi ciale - serie generale- n°81 del 6 aprile 2001 (Suppl. Ordinario n° 116)

Page 155: Premio Nobile - AREA Science Park

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Pertanto queste strutture di cure provvisorie realizzano, come già sottolineato precedentemente, una

sorta di “struttura tampone” e consento agli ospedali di prepararsi al sovraccarico di lavoro.

Nel contesto dell’organizzazione dei soccorsi sanitari, in campo civile, queste strutture sono rappresentate da.

- posto medico avanzato (PMA)

- centro medico di evacuazione (CME)

- centro di triage

A seconda della grandezza del dispositivo di soccorso messo in atto l’evacuazione sanitaria si attua:

1) tra PMA e CME (piccola noria);

2) tra CME e ospedali (grande noria).

Si fa presente che la parola “noria” corrisponde all’evacuazione sanitaria delle vittime verso le retrovie, ma anche al ritorno

verso la zona avanzata dei mezzi e del personale di rinforzo o di ricambio.

I soccorritori assicurano così un sistema di catena senza fi ne, di rotazione per una utilizzazione permanente dei mezzi a

disposizione.

Page 156: Premio Nobile - AREA Science Park

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Il termine triage deriva dal verbo francese trier che signifi ca scegliere, smistare. Il primo ad utilizzare un protocollo di triage

fu il barone Jean Larrey, chirurgo della guardia imperiale ai servizi di Napoleone, che nel diciassettesimo secolo lo introdusse

nella classifi cazione dei feriti durante le battaglie contro gli inglesi al fi ne di razionalizzare l’uso dei medicinali disponibili.

Il triage è quel processo di suddivisione dei pazienti in classi di gravità in base alle lesioni riportate ed

alle priorità di trattamento e/o di evacuazione. 6

In campo militare la defi nizione del triage la si può trovare nell’ “Emergency War Surgery handbook” edito dalla Nato:

“Triage is the dynamic process of sorting casualties to identify the priority of treatment and evacua-tion of the wounded, given the limitations of the current situation, the mission, and available resources (time, equipment, supplies, personnel, and evacuation capabilities).…is the return of the greatest number of soldiers to combat and the preservation of life, limb, and eyesight in those who must be evacuated”.

In ambito civile lo scopo del triage è invece ben riassunto dalla massima di derivazione anglossassone: “ the greatest

good for the greatest number of casualties”.

Lo scopo del triage è quindi quello di razionalizzare le risorse, non infi nite, fi nalizzandole al singolo evento o all’insieme degli

eventi che si verifi cano.

I principali obiettivi del triage sono:

- rapida valutazione delle condizioni del paziente;

- immediata assistenza al malato che giunge in stato di emergenza;

- individuazione delle priorità assistenziali in base allo stato di salute del paziente;

- riduzione del rischio di peggioramento dello stato clinico attraverso un’assistenza rapida e una sorveglianza continua;

- smistamento dei pazienti non urgenti;

- riduzione dei tempi di attesa;

- miglioramento della qualità delle prestazioni professionali del personale sanitario;

- riduzione dell’ansia dei pazienti e delle famiglie con informazioni comprensibili e pertinenti;

- compilazione di una scheda con la registrazione dei risultati del triage per la valutazione della qualità dell’assistenza.

IL TRIAGE

6 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Servizio Emergenza Sanitaria, Comunicato relativo al decreto del ministero dell’Interno delegato

per il coordinamento della protezione civile 13 febbraio 2001 concernente: Adozione dei “Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”,

Gazzetta Uffi ciale - serie generale- n°81 del 6 aprile 2001 (Suppl. Ordinario n° 116)

Page 157: Premio Nobile - AREA Science Park

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L’assegnazione di un codice di priorità, in relazione alle possibilità di cura, rappresenta un passaggio fondamentale al fi ne

di stabilire correttamente l’accesso dei feriti ai soccorsi. Pur variando i modelli utilizzati a livello internazionale, il codice

assegnato al paziente è generalmente contraddistinto da una sigla, da un numero o più frequentemente da un colore.

Il sistema a sigla utilizza una scala defi nita attraverso abbreviazioni in cui si distinguono i vari stati del paziente come:

- EU: Estrema urgenza;

- UP: Urgenza primaria;

- US: Urgenza secondaria;

- NU: Nessuna urgenza.

Il sistema a codici numerici prevede:

- codice 3: Emergenza;

- codice 2: Urgenza;

- codice 1: Urgenza differibile.

In genere in Italia il sistema più usato è quello che prevede l’assegnazione di un codice colore al paziente che giunge

nell’area predisposta al triage.

Il codice colore più usato a livello internazionale è il modello S.T.A.R.T. (Simple Triage and Rapid Treatment) elaborato

dall’Hoag Memorial Presbyterian Hospital di Newport Beach, California e facilmente rappresentabile tramite un diagramma

di fl usso.

- codice rosso: priorità assoluta; indica un soggetto con almeno una delle funzioni vitali (coscienza, respirazione, battito

cardiaco, stato di shock) compromessa e che è quindi in pericolo di vita;

- codice giallo: urgente; indica una compromissione parziale delle funzioni dell’apparato circolatorio o respiratorio, non c’è

un immediato pericolo di vita;

- codice verde: urgente minore; il soggetto riporta delle lesioni che non interessano le funzioni vitali ma vanno curate;

- codice nero: paziente deceduto;

- codice arancione: pazienti contaminati;

- codice bianco (nessuna urgenza): indica un soggetto che non necessita del pronto soccorso e può rivolgersi al proprio

medico.

Schema operativo del metodo S.T.A.R.T.

Page 158: Premio Nobile - AREA Science Park

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Un altro protocollo messo a punto dall’Associazione Italiana Medicina delle Catastrofi prende il nome di C.E.S.I.R.A (Coscienza,

Emorragia, Shock, Insuffi cienza respiratoria, Rotture ossee, Altro) ed è basato sempre sulla valutazione delle funzioni vitali del

paziente ma necessita una preparazione sanitaria dell’operatore di più altro livello rispetto al metodo S.T.A.R.T.

In genere comunque si stima che per una valutazione del paziente attraverso triage sono suffi cienti 60 secondi.

Per quanto riguarda più strettamente le procedure di Triage, possono essere identificate in tre

livelli:

1. Triage primario: viene svolto sul posto del disastro ed ha come scopo quello di valutare

rapidamente la situazione di tutti i feriti per farne una prima selezione, individuando chi necessita di

cure immediate, in modo da poterlo inviare prontamente al P.M.A.;

2. Triage secondario: viene svolto al P.M.A. e serve per rivalutare i feriti, decidere le priorità di evacua-

zione ed individuare gli ospedali idonei al definitivo trattamento;

3. Triage ospedaliero: viene eseguito al momento dell’arrivo del ferito in ospedale al fine di stabilire

priorità ed iter diagnostico terapeutico.

Ne deriva quindi che in una struttura medica mobile è necessario un allestimento adeguato per il triage secondario.

Page 159: Premio Nobile - AREA Science Park

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Il Posto Medico Avanzato (PMA) è una definizione che viene attribuita a uno spazio, un luogo in cui

avviene il triage secondario in uno scenario di emergenza.

Questo comporta che esso possa essere sia uno shelter, un riparo costituito da tende o supporti mobili attrezzati, ma anche

uno spazio di strutture già esistenti, come può essere una palestra, un centro congressi, una scuola, ecc.

Per lo scopo che si è prefi ssato per questa tesi, si prenderà in considerazione il PMA come presidio mobile, cioè struttura

indipendente dallo scenario.

Da questo punto di vista, il Pma è la struttura sanitaria mobile con più restrizioni progettuali, in quanto deve avere le

caratteristiche di trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità, adattabilità tutte sviluppate e potenziate ai massimi livelli per poter

essere disponibile e funzionante nel minor tempo possibile.

Si vedrà durante la descrizione delle varie tipologie di strutture temporanee utilizzate con funzione di PMA come queste

prestazioni vengano relativamente soddisfatte adottando sistemi poco caratterizzati. Questo comporta da un lato una grande

trasportabilità e facilità di montaggio, ma dall’altro si è potuto constatare come l’architettura del sistema non sia a servizio

della funzione che si svolgerà all’interno.

Infatti le tipologie di shelter utilizzate come PMA sono praticamente le medesime che vengono poi utilizzate per sistemi

campali di assistenza medica con prospettive di attività a più lungo periodo.

Secondo la Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, L 20/23, 24.1.2008 (DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 20

dicembre 2007 recante modifi ca della decisione 2004/277/CE, Euratom per quanto concerne le modalità di applicazione

della decisione 2007/779/CE) che istituisce un meccanismo comunitario di protezione civile, il Posto Medico Avanzato

ha il compito di “Procedere alla selezione (triage) dei pazienti sul sito del disastro. Stabilizzare le condizioni del paziente e

prepararlo per il trasferimento verso la struttura sanitaria più consona perché sia sottoposto al trattamento defi nitivo” e una

capacità tale da “Procedere al triage di almeno 20 pazienti all’ora, disporre di una équipe medica in grado di stabilizzare 50

pazienti in 24 ore di attività, operando in due turni. Disporre di forniture suffi cienti al trattamento di 100 pazienti con lesioni

lievi nell’arco di 24 ore.”

È infatti un dispositivo funzionale di selezione e trattamento sanitario delle vittime, localizzato ai margini esterni dell’area di

sicurezza o in una zona centrale rispetto al fronte dell’evento. Può essere sia una struttura (tende, containers), sia un’area

funzionalmente deputata al compito di radunare le vittime, concentrare le risorse di primo trattamento e organizzare

l’evacuazione sanitaria dei feriti.

Da questa defi nizione si può capire come, secondo le circostanze, per l’allestimento di un PMA è possibile utilizzare le due

alternative già citate, cioè :

- l’impiego degli edifi ci esistenti;

- l’installazione di sistemi modulari (tende, cellule sanitarie autonome, modulari, trasportabili, shelter)

La localizzazione del PMA deve sottostare a vari criteri:

1. non essere troppo lontano dalla catastrofe, pur tenendo conto dell’eventuale rischio evolutivo legato al tipo di catastrofe.

Oltre che in rapporto al rischio, la localizzazione viene scelta in funzione di molti fattori: parametri meteorologici (rischio

legato alla presenza di sostanze tossiche nell’atmosfera), parametri tellurici ( rischio di crolli e movimento del suolo),

parametri di distanza e di latitudine ( rischio di esplosioni e di inondazioni), parametri di protezione da parte delle forze di

sicurezza ( quando si tratta di attentati per mezzo di esplosivi).

2. Vicinanza alle vie di comunicazione, che consentono l’accesso agevole ai diversi veicoli che convergono al PMA

(ambulanze in particolare) e, nello stesso tempo, disponibilità, sempre nelle vicinanze, di una elisuperfi cie, o di un campo

di aviazione.

3. Non trovarsi in una zona del suolo troppo umido, fangoso, malsano, che possa anche ostacolare il trasferimento dei

veicoli, quando si tratti di un PMA in ambiente rurale. 7

IL PMA (Posto Medico Avanzato): LA TIPOLOGIA DI UNITÀ MOBILE DI SOCCORSO SANITARIO PIÙ VINCOLANTE

7 Rene Noto, Pierre Huguenard, Alain Larcan, Medicina delle catastrofi , Masson Editore, 1989, Milano

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PMA allestito dalla Croce Rossa Militare italiana durante un’esercitazione

La Struttura sanitaria di Base o Posto Medico Avanzato (PMA), è un punto di passaggio obbligato per ogni persona recuperata

sul luogo del disastro. A questo livello si effettuano:

- la suddivisione delle vittime in funzione della gravità delle loro condizioni (triage);

- le cure di sopravvivenza: rianimazione e chirurgia vitale;

- la preparazione delle vittime all’evacuazione che potrà avvenire via terra, in aereo o in treno;

- il raduno degli sbandati;

- l’isolamento delle persone in preda al panico;

- la regolazione dei trasferimenti in funzione della patologia, delle disponibilità ospedaliere e dei mezzi di trasporto reperibili;

- la compilazione di una scheda di triage;

- la compilazione di una scheda medico-legale di identifi cazione.

Il trasporto delle vittime al PMA avviene in genere mediante barelle, ma possono essere anche utilizzati veicoli portalettighe di

fortuna. Al loro ritorno i soccorritori riportano sul cantiere il materiale necessario alle prime cure e allo sgombero.

Da tener presente che un PMA deve essere disponibile “a partire al massimo entro 12 ore dall’accettazione dell’offerta

(richiesta intervento). Il modulo deve poter essere operativo 1 ora dopo l’arrivo sul posto”.8

Studi sull’epidemiologia dei disastri dimostrano infatti che la maggior parte delle vittime muore, per i traumi riportati, entro le

prime 72 ore con un picco di decessi massimo entro le prime 12 ore.

È quindi ragionevole presupporre che, ad esempio, in caso di un terremoto di notevole entità si debba procedere

all’installazione di più strutture da campo entro le primissime ore allo scopo di praticare manovre di stabilizzazione alle vittime

del disastro.

8 Gazzetta uffi ciale dell’Unione europea, L 20/23, 24.1.2008, DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 20 dicembre 2007 recante modifi ca della decisione 2004/277/CE,

Euratom per quanto concerne le modalità di applicazione della decisione 2007/779/CE, Euratom del Consiglio che istituisce un meccanismo comunitario di protezione

civile

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161

Generalmente il PMA è suddiviso in tre zone:

1. Area di Triage.

2. Area di Trattamento.

3. Area di Evacuazione.

Organizzazione di un Posto Medico Avanzato, fonte: Manuale della protezione civile, organizzazione dei soccorsi sanitari in situazioni di eccezionale

emergenza

Nel caso in cui vi sia un gran numero di feriti che affl uiscono contemporaneamente al PMA possono essere approntati più

punti di Triage.

L’Area di Triage è l’area in cui il medico valuta le condizioni del paziente trasportato al PMA dal luogo del sinistro in cui

precedentemente era stato eseguito un triage primario dal soccorritore.

L’Area di Trattamento può a sua volta essere suddivisa in altri due settori:

- Settore terapeutico: nel quale vengono eseguiti gli interventi di emergenza al fi ne di stabilizzare le vittime e

renderle idonee al trasporto;

- Settore di attesa: nel quale vengono raccolti i pazienti con ferite ambulatoriali.

L’Area di Evacuazione deve essere costituita da una postazione in cui stazionano per breve tempo i pazienti in attesa della

presa in carico da parte degli equipaggi delle ambulanze e degli elicotteri.

L’evacuazione sanitaria propriamente detta è gestita dai medici, i quali decidono:

- chi evacuare,

- quando evacuare,

- come evacuare e chi lo deve fare,

- verso dove evacuare.

Deve essere infi ne prevista un’Area di raccolta per le vittime decedute. Questa deve trovarsi in un luogo vicino alla PMA, ma

accessibile soltanto al personale che gestisce l’emergenza. In tale area verranno svolte tutte le attività di riconoscimento delle

vittime e di intervento per evitare problemi di salute pubblica.

Le distinzioni tra le aree non è detto sia necessariamente fisica ma deve comunque aiutare i

soccorritori a creara un flusso di pazienti all’interno della struttura, per questo all’interno del PMA il

flusso dei feriti deve essere obbligatoriamente

unidirezionale (Area di Triage — Area di Trattamento— Area di Evacuazione).

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Nel PMA lavorano soccorritori e medici con i seguenti compiti:

- soccorritori: segreteria, gestione del materiale, collegamenti radiotelefonici, assistenza al personale sanitario;

- medici: medicalizzazione della zona avanzata, valutazione clinica delle vittime trasportate. Triage, prime cure e scelte delle

modalità di evacuazione, controllo dei deceduti e degli scampati. I francesi defi niscono questa serie di azioni con

la regola delle 3 E: Etiquetage, Emballage, Evacuation ovvero Classifi cazione, Stabilizzazione, Evacuazione.

Le componenti fondamentali di un PMA saranno quindi un’ “Equipe medica per ogni turno di 12 ore: triage con 1

infermiere(a) e 1 medico; cure intensive con 1 medico e 1 infermiere(a); lesioni gravi che non comportano pericolo di vita con

1 medico e 2 infermieri(e); evacuazione con 1 infermiere(a); personale specializzato di supporto con 4unità.

Tende: tenda(e) con zone collegate tra loro destinate al triage, al trattamento medico e all’evacuazione,tenda(e) per il

personale, una postazione di comando e un deposito logistico e per le forniture mediche.” 9

A livello di dotazione medica c’è una importante regola internazionale che interessa anche il progettista di PMA quando

prevede che la struttura possa essere trasportata e montata direttamente in loco assieme all’arrivo del materiale medico.

Infatti le squadre sanitarie “di prima partenza” o “di risposta rapida” non si differenziano solo in base ai compiti ma anche

rispetto all’equipaggiamento da quelle di “seconda partenza o di partenza differita”. L’operatività di queste ultime non è molto

diversa da quella abitualmente espressa nella gestione delle emergenze individuali quotidiane, anche se le loro dotazioni

devono essere potenziate con l’assegnazione dei “lotti catastrofe” contrassegnati dai quattro colori secondo i

criteri adottati a livello internazionale e come indicato nella G.U. 116/2001:

a) materiale non sanitario (colore giallo) il qual potrebbe essere utilizzato anche per contrassegnare il

materiale per l’allestimento del PMA;

b) materiale per supporto cardiocircolatorio (colore rosso);

c) materiale per supporto respiratorio (colore blu);

d) materiali diversi (colore verde)

Estremamente diverso è il compito che devono affrontare le squadre di risposta rapida. E’ infatti inverosimile che pochi

operatori possano realizzare gesti medici complessi per un elevato numero di pazienti soprattutto se questi operatori sono i

primi a presentarsi sulla scena del disastro. Le loro dotazioni risulterebbero infatti mediamente insuffi cienti ed il loro impegno

immediato ad erogare tecniche di supporto avanzato delle funzioni vitali si porrebbe in contrasto con le necessità globali di

gestione dello scenario. Pertanto le squadre sanitarie di prima partenza potranno utilizzare quanto abitualmente contenuto

all’interno del mezzo di soccorso.

La Protezione Civile Italiana ha pubblicato una “Guida alla compilazione della scheda censimento delle unità sanitarie

campali” (http://www.protezionecivile.it/cms/attach/guida_compilazione.pdf) in cui distingue molto chiaramente le tipologie di

strutture mobili per l’assistenza sanitaria in caso di emergenza riprendendo il Supplemento Ordinario della G.U. del 25/8/2003

n°196 concernente i Criteri di massima sulla dotazione di farmaci e dispositivi medici di un Posto Medico Avanzato di II

livello utilizzabile in caso di catastrofe.

Si distinguono:

- PMA I livello;

- PMA II livello;

- Ospedale da campo.

In generale possiamo dire che i PMA di I e II livello si distinguono per la durata della situazione di emergenza e per la capacità

di trattamento.

Infatti il PMA di I livello viene generalmente allestito in caso di “catastrofe ad effetto limitato” e cioè in eventi caratterizzati dal

mantenimento dell’integrità delle strutture sanitarie esistenti nonché dalla limitata estensione temporale delle operazioni di

soccorso. 10

Tale PMA presenta le seguenti caratteristiche:

- capacità di trattamento limitata (10 pazienti con codice di gravità giallo-rosso);

- impiego rapido (entro 1 h.);

- durata limitata dell’intervento ( max. 12 h.).

9 Gazzetta uffi ciale dell’Unione europea, L 20/23, 24.1.2008, DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 20 dicembre 2007 recante modifi ca della decisione 2004/277/CE,

Euratom per quanto concerne le modalità di applicazione della decisione 2007/779/CE, Euratom del Consiglio che istituisce un meccanismo comunitario di protezione

civile

10 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Servizio Emergenza Sanitaria, Comunicato relativo al decreto del ministero dell’Interno delegato

per il coordinamento della protezione civile 13 febbraio 2001 concernente: Adozione dei “Criteri massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”,Gazzetta

Uffi ciale - serie generale- n°81 del 6 aprile 2001 (Suppl. Ordinario n° 116)

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163

Il PMA di II livello è invece previsto in quelle situazioni le cui conseguenze travalicano le possibilità di riposta locale e deve:

- essere pronta all’impiego nel più breve tempo possibile dall’allarme max (3 - 4 h);

- essere in grado di trattare 50 pazienti /gg con codice di gravità rosso-giallo per tre giorni;

- avere 72 h di autonomia operativa.

L’ospedale da campo è una “struttura complessa composta da uomini e mezzi in grado di assicurare alle vittime della

catastrofe un livello di cure intermedio tra il primo soccorso ed il trattamento defi nitivo. Offre la possibilità di effettuare

interventi chirurgici di urgenza, assistenza intensivistica protratta, osservazione clinica, medicina di base.

Trattandosi di un complesso campale di notevole entità, la sua installazione sul luogo dell’evento potrà avvenire a distanza di

giorni dall’allarme e rimanere operativo per un tempo prolungato.” 11

Croce Rossa Italiana, Ospedale da campo in Africa, 1942

In generale possiamo dire però che l’architettura del Posto Medico Avanzato è la medesima che esso sia di I

o di II livello (naturalmente il PMA con unità chirurgica richiede attrezzature e accortezze particolari).

L’obbiettivo di progettare una struttura autonoma e facilmente allestibile può comunque garantire una operatività in stato di

comfort per il personale sanitario e per i pazienti per un periodo più prolungato rispetto alle 12 ore limite della classifi cazione

del PMA di I livello.

La capacità di trattamento di un numero maggiore di pazienti in genere può essere affrontata con l’installazione in sito di un

ulteriore PMA, con un corretto approvvigionamento di risorse e con una adeguata rotazione del personale medico.

Un aspetto rilevante della gestione di un P.M.A. è quello relativo all’organizzazione delle scorte di farmaci e di dispositivi medici

in vista di un’eventuale emergenza, in modo da essere immediatamente disponibili in stoccaggi standard, di essere adattati

ad ogni tipologia di emergenza e di essere facilmente rinnovabili.

Per facilitare gli approvvigionamenti si utilizza il codice ATC (Anatomica, Terapeutica, Chimica) che identifi ca ogni farmaco ed

un elenco descrittivo dei dispositivi medici e dei disinfettanti.

I farmaci sono stati suddivisi per classi terapeutiche riportando:

- principi attivi in commercio in Italia;

- dosaggi e formulazioni presenti in Italia;

- via di somministrazione;

- indicazioni generiche sulla posologia;

11 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Servizio Emergenza Sanitaria, Comunicato relativo al decreto del ministero dell’Interno delegato

per il coordinamento della protezione civile 13 febbraio 2001 concernente: Adozione dei “Criteri massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”, Gazzetta

Uffi ciale - serie generale- n°81 del 6 aprile 2001 (Suppl. Ordinario n° 116)

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- modalità di conservazione, quando necessarie;

- fase in cui il farmaco deve essere immediatamente disponibile;

- quantità da accantonare.

Gli antidoti suddivisi in:

- tossico;

- antidoto;

- via di somministrazione;

- posologia;

- note;

- quantità.

I disinfettanti e antisettici in:

- principio attivo;

- prodotti disponibili;

- indicazioni e applicazioni;

- caratteristiche;

- norme di conservazione e stabilità;

- avvertenze quantità da accantonare.

L’organizzazione per le altre voci relative a materiali di impiego “generico” può essere fatta attraverso al compilazione di una

lista di equipaggiamenti essenziali ma suffi cienti per affrontare i problemi che si incontrano in uno scenario di maxiemergenza.

Materiale indispensabile

(PMA)

Materiale utile

(PMA)

Materiale utile ma ridondante o con

problemi logistici (successive al primo

momento di emergenza)

Barelle

Teli portaferiti

Materiale per protezione termica

Acqua

Torce elettriche a batteria

Batterie

Lampade

Immobilizzatori per arti

Collari cervicali

Immobilizzatori per rachide

Ferri chirurgici di base

Megafoni

Radiotelefoni

Sacchi di plastica per rifi uti

Materassini a depressione

Compressori di aria

Generatori di corrente

Caricabatterie

Dispositivi per riscaldamento

Shelter (tende pneumatiche o altro)

Supporti per barelle

Telefoni cellulari con fax

Un aspetto importante e da sottolineare è che il PMA è utilizzato molto spesso in supporto a manifestazioni in cui si prevede un

grande affl usso di persone e/o della durata di più giorni.

In genere in base al numero di persone previste vengono allestiti uno o più Posti Medici Avanzati affi ancati da ambulanze o

semplici tende di degenza per le patologie minori.

In questo caso il PMA si prefi gge l’obiettivo di assicurare l’assistenza sanitaria in loco, per quanto possibile, senza gravare sul

normale lavoro degli ospedali. Per la maggior parte delle volte le situazioni che il PMA deve fronteggiare nelle manifestazioni non

sono di maxiemergenza ma di semplice assistenza a singoli pazienti.

Purtroppo però nella storia delle manifestazioni, soprattutto quelle in cui vi è un possibile rischio di maxiemergenza, si pensi alle

manifestazioni aeree, concerti con un numeroso affl usso di persone in luoghi con poche vie di fuga, l’esperienza di tragici eventi

ha portato la normativa a garantire la copertura sanitaria in modo massiccio e sistematico.

Page 165: Premio Nobile - AREA Science Park

165

Dallo studio tipologico dei sistemi mobili più utilizzati in caso di emergenze mediche si è visto come questi, in genere, non sono

concepiti partendo dalla funzione che devono ospitare, cioè quella medica, ma sono dei sistemi strutturali generali.

Questi poi divengono dei centri medici allorché viene predisposto un allestimento, alle volte ridotto ai minimi termini, che ne

identifi ca la funzione.

Le seguenti tipologie di shelter in genere possono ospitare sistemi di supporto medico e/o PMA:

- container;

- moduli prefabbricati;

- sistemi furgonati;

- tende.

I container in genere vengono utilizzati in supporto a emergenze sanitarie nelle quali è previsto che la durata dell’intervento

sarà prolungata nel tempo. Non è pensabile utilizzare un container per interventi che durino ore o alcuni giorni. Il trasporto

infatti richiede mezzi specifi ci e di cui si sia già pianifi cato l’utilizzo in fase di predisposizione delle misure da adottare in

situazioni di crisi.

In genere i container vengono utilizzati dagli eserciti o da organizzazioni per allestire gli ospedali da campo in zone di confl itto o

colpite da calamità. I container infatti possono essere facilmente allestiti in modo da poter assolvere a quasi tutte le specialità

che si possono trovare all’interno di un ospedale vero e proprio. Ogni container diviene così un reparto ospedaliero in cui può

trovare luogo il triage, la farmacia, il reparto oculistico, la radiologia, fi no a sale operatorie attrezzate per i casi più gravi.

Il vantaggio del container è che può essere allestito in genere come se fosse un vero e proprio settore dell’ospedale; inoltre

alcune tipologie, come tra l’altra si è già visto analizzando l’architettura mobile in generale, possono essere espandibili, e

quindi aumentare la propria superfi cie disponibile.

Brigata Alpina Julia, container con funzione di laboratorio e postazione di emergenza

Trasporto di un container a scopo medico; container espandibile allestibile per diverse funzioni mediche (www.uniteamcontainer.com)

TIPOLOGIE DI UNITÀ MOBILI DI SOCCORSO SANITARIO

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I moduli prefabbricati rientrano anch’essi nella tipologia di quei supporti che in genere non può supportare nell’immediato

l’emergenza. Sebbene composti da elementi preassemblati, il trasporto e l’assemblaggio in loco richiedono del tempo.

All’inizio di quest’anno, durante un’esercitazione internazionale di salvataggio in valanga che ha coinvolto il soccorso

alpino valdostano, quello della Repubblica slovacca e polacca, la Gendarmeria francese e il soccorso alpino della Guardia

di Finanza della cittadina di Entrèves, è stato testato un nuovo modulo di soccorso eli-trasportato della Protezione Civile

della Valle d’Aosta. Il modulo è stato progettato e prodotto dalla ditta Sicit S.p.a. in collaborazione con il dott. Pantaleo Lucio

Losapio e il dott. Carlo Vettorato, consulente sanitario della P.C. della Valle d’Aosta.

Il modulo, che si basa sull’esperienza nel campo della prefabbricazione della ditta produttrice, è denominato M.A.P.I.

(modulo multiuso, abitativo e sanitario a componenti elitrasportabili al gancio).

Dalla relazione tecnica si apprende che: “la struttura dispone di un sistema di montaggio rapido, con impiantistica di base e

arredi centrali essenziali a componenti assemblabili sull’area di intervento.

Struttura totalmente autonoma, predisposta per allacciamenti elettrico, idrico, fognario, dotata di angolo con piastre

elettriche, servizi igienici e arredi centrali. Caratterizzata da automonia, trasportabilità, rapidità d’istallazione, fl essibilità di

impiego, recupero totale e utilizzazione ripetuta.

L’elaborato è stato eseguito partendo dal modulo base MAPI, Modulo Abitativo dalla SICIT, e dal MAPI-H, realizzato con la

consulenza FIELD HOSPITALS.”

Quindi trasportabilità e fl essibilità come caratteristiche indispensabili anche nei sistemi prefabbricati.

Protezione Civile della Valle d’Aosta, modulo M.A.P.I. allestito in occasione dell’esercitazione in Valle d’Aosta

La relazione sottolinea inoltre come il modulo sia “scomponibile per l’elitrasporto al gancio e l’impiego in aree montane o

comunque isolate, con criteri di robustezza, elasticità e indeformabilità”. Infatti la Valle d’Aosta è una delle regioni italiane più

problematiche dal punto di vista del raggiungimento dei luoghi e delle comunità, l’orografi a è sicuramente delle più diffi cili.

In fase aperta di esercizio, il modulo è delle dimensioni esterne di cm. 752x617x230h.

Diviso in 3 parti è costituito da un modulo centrale con i blocchi servizi e impiantistica generale preassemblata nel sotto tetto,

comprendente impianto elettrico, illuminazione, riscaldamento, serbatoio acqua da lt.520 completato da impianto idrico di

adduzione e distribuzione e pompa per circuito a pressione.

La superfi cie interna complessiva è di circa mq 44.20, di cui mq 7.80 occupati dai servizi e circa mq 36.40 di superfi cie

utilizzabile a qualsiasi titolo.

“Il modulo MAPI - AOSTA ha, come caratteristica peculiare, quello di essere scomponibile in blocchi del peso massimo di 900

kg per elitrasporto al gancio, per essere impiegato in qualsiasi area, su qualsiasi piattaforma livellata e stabile, di superfi cie

minima di circa 1200x1000cm, di qualsivoglia fi nitura superfi ciale, anche ghiaia.”

Il problema principale, se il modulo dovesse essere utilizzato per fronteggiare una situazione di crisi

nell’immediato, è che ci vogliono ben 10 elitrasporti per poter disporre di tutto il materiale (20 tra

andata e ritorno).

Nelle conclusioni della relazione tecnica però si sottolinea come lo scopo principale sia stato quello di

poter predisporre una struttura di assistenza anche in zone isolate o non raggiungibili, con il

conseguente declassamento della caratteristica di trasportabilità, o, più precisamente, di velocità nella

trasportabilità.

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Protezione Civile della Valle d’Aosta, allestimento del modulo M.A.P.I con i vari elementi elitrasportati

Ancora dalla relazione tecnica: “il modulo MAPI-AOSTA è stato ridisegnato sulla base progettuale e concettuale dei moduli

MAPI (ad esclusivo uso abitativo) e MAPI-H (ad esclusivo uso sanitario), per essere destinato come modulo multifunzionale

a operazioni in zone isolate o diffi cilmente raggiungibili dai mezzi di trasporto; quindi le singole componenti nelle quali viene

suddiviso, vengono adeguate all’elitrasporto, con possibilità di posizionamento e montaggio dall’alto e di posa in opera, senza

l’ausilio di ulteriori mezzi di sollevamento, con una squadra di montatori composta da un caposquadra coordinatore delle

operazioni, e n° 6-8 persone addette alle singole operazioni, che avvalendosi del Manuale di montaggio, uso e manutenzione,

possono operare in tutta sicurezza all’assemblaggio dei singoli componenti sopra descritti.

Il modulo è pertanto dedicato alle situazioni di emergenza, per esigenze diverse, compresa quella di importante presidio

sanitario, considerando che trasporto e assemblaggio richiedono un tempo massimo di circa 6-8 ore, dipendenti

principalmente dalla distanza del campo base di arrivo del modulo dalla zona delle operazioni.”

Per quanto riguarda l’allestimento interno il modulo è composto da un blocco per i servizi igienici costituito da un elemento

delle dimensioni di circa cm. 250x150x220h, comprendente il pavimento corrispondente, le pareti laterali, il soffi tto, la

porta di accesso da cm. 100x210 (tutti i sanitari e la doccia sono pre-assemblati) e da un blocco denominato cucina-armadi

costituito da un elemento delle dimensioni di circa cm. 250x170x220h, comprendente il pavimento corrispondente, la parete

divisoria fra i due elementi, le due pareti di testata ed il soffi tto.

L’allestimento medico non viene trattato, viene solo mostrato un esploso assonometrico con vista dall’alto di come si confi gura

montato.

I pesi defi niti dalla ditta Sicit fanno riferimento ai moduli prefabbricati standard in produzione, che poi vengono organizzati per

diventare ad uso sanitario. Essi sono:

modello dimensioni chiuso dimensione aperto peso

MAPI 750 largo 2.44m, lungo 7.5 e alto

3.18

largo 7.32m, lungo 7.5 e alto

2.23

7˙5000/9˙200 kg

MAPI 912 largo 2.44m, lungo 9.12

metri e alto 3.18

largo 7.32m, lungo 9.12 e

alto 2.23

9˙200/11˙500kg

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Protezione Civile della Valle d’Aosta, presentazione dell’allestimento interno del modulo M.A.P.I. H

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I sistemi furgonati in genere si pongono l’obiettivo di trasportare tutto l’occorrente all’interno del mezzo di trasporto.

Il mezzo può essere un furgone vero e proprio allestito a scopi medici o essere un carrello che viene poi trainato da un

automezzo. In quest’ultimo caso il rimorchio può o essere già allestito per potervi lavorare all’interno o funge solo da trasporto

dell’attrezzatura medica e logistica per poter allestire un PMA attendato.

Il vantaggio di questi supporti sta nel fatto che possono trasportare in modo veloce l’attrezzatura necessaria nel luogo

dell’emergenza e possono rivelarsi più funzionali durante quelle attività di assistenza sanitaria che si svolgono all’interno

di manifestazioni affollate. Infatti, se permesso dalle normative, può risultare suffi ciente ad assicurare il presidio e non vi è

necessità di allestire tende.

I sistemi furgonati, sebbene abbiano all’interno tutto il necessario, hanno spazi molto ristretti e possono garantire l’assistenza

ad una sola persona alla volta, indipendentemente dal numero di personale medico presente. Questo sistema non è pensabile

per intervenire in situazioni che potrebbero comportare un prolungamento della situazione di crisi e un numero elevato di

persone necessitanti cure.

Lo svantaggio dei sistemi furgonati è quello di essere totalmente dipendenti dal mezzo di trasporto

(portable building – sistema semovente). Se da un lato può essere un vantaggio per la possibilità di avere già tutto il materiale

stoccato e pronto alla partenza, in territori con accessibilità limitata o impedita queste tipologie di supporto sono praticamente

inutili.

Esempi di sistemi furgonati

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Infi ne le tende, le strutture più leggere e più facilmente trasportabili.

In genere vengo utilizzate due tipi di tende: le classiche tende sostenute da pali e quelle invece sostenute tramite struttura

pneumatica.

Le tende tradizionali utilizzano gli stessi principi costruttivi già trattati nella spiegazione dei casi di emergenze umanitarie o nel

campo del tempo libero e dello sport.

Le tende a struttura pneumatica sono state introdotte con il tentativo di abbattere il tempo di montaggio. La struttura infatti

viene eretta tramite l’immissione di aria all’interno dei tubolari pneumatici.

Vi è comunque la necessità di montare delle aste distanziatici degli archi pressurizzati per conferire alla struttura stabilità nel

senso longitudinale.

Anche se le ditte produttrici assicurano che con le valvole di sicurezza la probabilità è remota, esiste la possibilità che alcuni

settori pneumatici, soprattutto in terreni disagevoli, si strappino, provocando uno sgonfi amento parziale. Inoltre in quasi tutti

i prodotti è necessario mantenere costantemente sotto pressione la struttura, con conseguente rumore del compressore e

spreco di energia.

Allestimento di un posto medico avanzato attraverso tende pneumatiche

Eurovinil, tipologie di archi utilizzati nell’allestimento di una tenda pneumatica; le varie parti sono saldate assieme tramite saldatura elettronica ad alta

frequenza; sotto: eurovinil, tenda pneumatica

Page 171: Premio Nobile - AREA Science Park

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Sia nelle tende pneumatiche che in quelle a scheletro metallico per aumentare l’isolamento termico vengono montati dei

secondi teli all’interno della struttura.

Se già solamente con il telo di copertura la condensa è uno dei problemi maggiori delle tende, con i due teli a contatto e la

mancata aerazione, questo viene amplifi cato.

Per l’utilizzo in ambienti fortemente soleggiati è inoltre necessaria l’installazione di una apposita struttura ombreggiante

esterna ancorata al suolo con picchetti e distanziata dal telo di copertura con appositi tubolari (su idea dell’esercito) per

permettere la ventilazione ed evitare la condensa.

Brigata Alpina Julia, interno di una tenda pneumatica con secondo telo interno per aumentare l’isolamento termico; sistema per creare una camera d’aria

e diminuire il soleggiamento della tenda

Page 172: Premio Nobile - AREA Science Park

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Le dimensioni delle tende pneumatiche sono in genere simili a quelle tradizionali, l’Eurovinil ad esempio nei modelli TPSE/06-032, TPSE/06-042,

TPSE/06-044, TPSE/06-052, TPSE/06-054, indica una larghezza pari a 540cm per lunghezze di 515cm se la tenda ha 3 archi pneumatici, 755 se ne ha

4 e 995 per 5 archi, con altezza di 2.80metri.

Le pressioni di esercizio al massimo gonfi aggio raggiungono i 0,35 bar e in genere garantiscono una resistenza per venti che arrivano fi no a 80 km/h.

Sempre nelle schede tecniche dell’Eurovinil viene indicato il peso e i colli necessari al trasporto dei vari componenti:

descrizione colli peso (+/-3%)

3A-2P 4A-2P 4A-4P 5A-2P 5A-4P

Tenda 1 120kg 165kg 175kg 210kg 220kg

Paleria 2 9kg 11kg 11kg 13kg 13kg

Picchetti e maz-

za

3 21kg 25kg 23kg 29kg 27kg

Kit gonfi atore

completo

4 9,5kg 9,5kg 9,5kg 9,5kg 9,5kg

PESO TOTALE 160kg 210kg 219kg 262kg 270kg

All’interno delle tende con struttura metallica vi è un dispositivo in produzione presso la ditta Eureka!

(military.eurekatents.com) chiamato Rapidly Deployable Shelter progettato da Chuck Hoberman (www.hoberman.com,

vedi anche Architettura trasformabile, cap.2 ) e premiato dall’Industrial Design Society of America. Questo sistema, che im-

piega le tecnologie utilizzate in realizzazioni più grandi dello stesso progettista, ha una struttura espandibile senza necessità

di montaggio.

Questo riduce notevolmente i tempi di assemblaggio e predispone un sistema a quasi immediato utilizzo.

Questa tenda è stata espressamente concepita su richiesta della Jonhson Outdoor (detentrice del marchio Eureka!) per poter

essere utilizzate in campo militare. Dalla schede tecniche si apprende come in produzione vi siano tre misure di tende: la

prima di 42m2 pesante 307kg, una di 56m2 per 358kg e una di 61m2 di quasi 400kg.

Chuck Hoberman, Rapidly Deployable Shelter

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Sebbene le tende siano la struttura che più viene utilizzata nelle situazioni d’emergenza (in quanto facilmente trasportabile,

trasformabile, fl essibile, adattabile), è interessante notare come queste non siano propriamente concepite per fi ni medici; la

stessa struttura è la medesima che viene utilizzata per allestire camerate, attività logistiche, ecc.

Si può quindi dire che non esita una “tenda medica”, cioè un riparo concepito per agevolare il lavoro

dei soccorritori, ma bensì è la grande flessibilità del sistema “tenda” che viene sfruttata anche per

ospitare questa particolare attività.

Brigata Alpina Julia, ospedale da campo

Le ditte che producono tende propongono come allestimenti letti per i triage, brande per la degenza, zaini contenenti il

necessario per il primo soccorso, ma non vi è un integrazione tra struttura e allestimento, cioè non vi sono dispositivi che

permettono un utilizzo più funzionale della tenda stessa quando questa diventa un supporto medico. Anche se vi sono ditte

che producono strumenti elettromedicali portatili o medesime facilitazioni, queste non dialogano in nessuna maniera con la

struttura in cui saranno ospitate.

Non vi è una coordinazione organica tra gli elementi componenti il punto medico d’emergenza. Questo comporta che il medico

si trovi a lavorare in situazioni di dis-comfort in quanto nessuno ha progettato il corretto modo in cui i vari elementi devono

posizionarsi ma soprattutto relazionarsi. Si è visto infatti come la necessità di avere un ambiente fl essibile all’interno della

tenda porta a non studiare una configurazione interna e, sebbene la flessibilità sia un requisito fondamentale, il non

progettarla produce un effetto negativo sull’organizzazione interna del lavoro.

Non considerare che gli apparecchi medici hanno dei cavi che possono ostacolare l’attività, signifi ca creare non pochi

problemi agli operatori. In una situazione d’emergenza tutto dovrebbe funzionare secondo i piani predisposti in fase

pianifi catoria, ma se un operatore deve perdere del tempo per trovare un luogo dove poter appendere la fl ebo, per esempio,

questo non solo può creare confusione all’interno della confi gurazione della tenda ma ricade anche sull’umore dello stesso

soccorritore, che inevitabilmente, in una situazione di crisi, si innervosisceper intoppi, magari banali, che si trova ad affrontare

però in situazioni di già pesante tensione emotiva.

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Posto Medico Avanzato allestito durante una manifestazione sportiva

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In generale si possono identifi care dei settori progettuali dei quali sarebbe necessario un approfondimento per migliorare la

qualità abitativa della tenda. Se poi questa dovesse essere il supporto per attività sanitarie più importante ancora sarà il lavoro

del progettista nella ricerca di soluzioni volte a garantire uno standard qualitativo maggiore.

Tali settori possono essere individuati come:

- isolamento termico: la garanzia di poter operare in un ambiente adeguato sotto il profi lo climatico crea immediatamente

una sensazione di comfort. La predisposizione di accorgimenti volti alla minor dispersione termica

e alla riduzione del fenomeno della condensa favorisce un ambiente di lavoro più salubre. Garantire

un buon isolamento termico signifi ca minor necessità di climatizzare l’ambiente, ridurre i volumi

dell’attrezzatura necessaria a tale scopo, il peso del materiale trasportato e i consumi.

- Illuminazione: garantire una corretta illuminazione in ogni punto della tenda, soprattutto se utilizzata come punto medico,

permette un sensibile miglioramento dell’attività medica e della vivibilità della tenda stessa.

-Flussi : internamente alla tenda, soprattutto se vi è la necessità di individuare aree con funzionalità diversa, è utile studiare

i possibili fl ussi interni, individuare se è necessario quale sia l’entrata e quale l’uscita.

- Privacy : sempre maggiore deve essere la sensibilità del progettista volta a garantire il rispetto della privacy degli occupanti

della tenda che potrebbero essere costretti, per cause maggiori (come in una situazione di emergenza), a dover

condividere lo spazio interno.

- Servizi: in genere sono esterni alla tenda ma bisogna considerare alcune particolari situazioni in cui o gli occupanti sono

impossibilitati a recarsi all’esterno (persone ferite) o in cui l’abbandono della tenda per un periodo medio lungo

potrebbe creare una situazione critica (soccorritori). Non sempre infatti vi è la possibilità di accedere ai servizi

entro un raggio di pochi metri e per i medici, ad esempio, vi può essere la necessità di lavarsi ripetutamente le

mani, avere uno spazio in cui poter lasciare i propri effetti personali, le scorte dei farmaci, i rifi uti speciali

La grande facilità di trasporto ha portato all’utilizzo delle tende anche per supporti medici che prevaricano la situazione di

crisi circoscritta. Infatti, con la semplice aggiunta di moduli di collegamento, è possibile formare con le singole tende un vero

e proprio ospedale con le varie unità. Gli ospedali da campo possono essere allestiti con tutti i tipi di shelter, tranne quelli che

sono indissolubilmente legati con il mezzo (furgonati); esistono ospedali da campo conteinerizzati o attendati, nel primo caso

il fattore trasporto però potrebbe rivelarsi limitativo, soprattutto se non si dispone di mezzi militari.

Resta il fatto che anche per gli ospedali da campo, se composti con tende, non rappresentano una specifi ca tipologia, ma

hanno solamente, come già detto, un allestimento specifi co per interventi medici, comunque sempre non organizzato con la

struttura.

Inoltre, dall’analisi di alcune schede tecniche di possibili confi gurazioni di ospedali da campo con tende, si nota come lo spazio

dedicato al lavoro dell’operatore medico sia molto spesso ristretto e disagevole.

Bisogna stabilire quanto la fase di emergenza giustifi chi un’operatività scomoda e limitata soprattutto quando vi sono

programmi di pianifi cazione degli interventi sanitari in scenari emergenziali.

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Eurovinil, dimensionamento di un ospedale da campo

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ESPERIENZE SUL CAMPO

Durante le ricerche fatte per questa tesi di laurea si sono rivelati fondamentali i suggerimenti dati dalle persone che sono

coinvolte quotidianamente in situazioni di emergenza. Durante i vari incontri fatti con medici, militari, volontari della protezione

civile si sono potute appurare le esigenze, le problematiche e i punti di forza delle varie tipologie di unità mobili di soccorso

sanitario.

Non potendo riportare tuttie le discussioni, i ragionamenti e i suggerimenti dati, si è deciso di predisporre un questionario

comune che è stato sottoposto alle persone coinvolte. Questo per far capire al lettore l’importanza, nel tentaivo di progettare

in modo corretto una unità mobile di soccorso sanitario, del coinvolgimento delle fi gure professionali che dovrebbero essere

gli utilizzatori fi nali.

(il termine shelter viene utilizzato di seguito in modo genrico, nel suo signifi cato primo di riparo, intendendo tutte le tipologie

mobili, ad uso medico e non, e non solamente ad indicare i container attrezzati commercialmente defi niti come shelter)

ANNA POGGI

Dirigente medico I° livello, Dipartimento ad Attività Integrata Medicina Perioperatoria, Terapia Intensiva ed Emergenza (D.A.I. - M.P.T.I.E.) azienda mista Ospedaliero - Universitaria, Ospedali Riuniti - Trieste, Ospedale di Cattinara

_ Professione/attività in cui ha operato con il supporto degli shelter (medico, militare, volontario, ecc.)

Protezione civile, con logistica alpina

_ In quale tipologia di shelter ha operato? Lo shelter era un P.M.A. (Posto Medico Avanzato), un riparo per l´organizzazione

logistica dell´emergenza, un luogo per lo stoccaggio di materiale, ecc.?

Le strutture in cui mi sono trovata ad operare sono state:

1. l’ospedale da campo dell´Associazione Nazionale Alpini sia strutture tendali, standard che tende pneumatiche;

2. come iscritta prima e responsabile dal 1998 del Gruppo Medico Pediatrico (Gruppo formato da sanitari con specifca

competenza materno-infantile, nato nell´ormai lontano 1988 per volere di uno sparuto numero di medici ed infermiere

dell´IRCCS “Burlo Garofolo” di Trieste, formazione regolarmente iscritta nei ruoli del Dipartimento di Protezione Civile e della

Regione Friuli-Venezia Giulia, che, dall´originaria sezione A.N.A. di Trieste, è passata nel corso del 1996 in carico alla Sezione

di Gorizia - Gruppo di Monfalcone), ho operato in un P.M.P.A. (Posto Medico Pediatrico Avanzato) progettato dagli iscritti al

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Gruppo. Tale P.M.P.A. era costituito da tre tende collegate tra loro, un container, ideato per fungere da sala operatoria con

attrezzature specifi che per eseguire interventi su donne e bambini, ed una tenda collegata a questo tramite un tunnel che ne

garantisse il più possibile l´isolamento. Per la diffi coltà (ed il costo!) di movimentazione del container, le cui dimensioni erano

6,5 x 2,5 x 2,5 metri, il P.M.P.A. è stato montato a volte utilizzando solo la parte tendale.

Dopo il terremoto del Pakistan del 2006, il Coordinamento A.N.A. Regionale ha donato parte della struttura alla Mezza

Luna Rossa Pakistana, ovvero il container e le tende ad esso collegate da tunnel su misura. Mi è stata data l´occasione di

progettare e, grazie al contributo della Fondazione di una Cassa di Risparmio Regionale realizzare, un ambulatorio mobile a

completamento del P.M.A. (questa volta Posto Medico Avanzato “tout-court”).

_ In quali luoghi ha operato operare e qual’era la tipologia d´intervento (catastrofi naturali, aiuti umanitari, ecc.):

Con l´ospedale da campo A.N.A. nel 1997 nel diffi cile momento attraversato dalle popolazioni delle Marche e dell´Umbria

durante il terremoto, nel 2000 a Torvergata per il Giubileo dei giovani e nel 2005 in Sri Lanka;

Come appartenente al Gruppo Medico Pediatrico in occasione di raduni di folla a Gorizia nel 2002, durante il giuramento degli

Alpini della Julia, e nel 2003, in occasione dell´80° della Sezione, durante l´adunata degli Alpini nel 2004 a Trieste e a Faedis

nel 2005 durante il Green Volley. Dal 2006 al 2008 sempre per raduni di folla, Adunate nazionali od esercitazioni Alpine è stato

utilizzato come P.M.A. l´ambulatorio mobile con tende del Gruppo o di altre Sezioni Alpine.

_ In quali tipo di shelter/P.M.A. in cui ha operato (container, tende pneumatiche, tende standard, ecc.):?

Tutti e tre.

_ Ha montato lei lo shelter o c´erano pelle persone addette a questa operazione?

Ho sempre avuto la fortuna di operare con una logistica dedicata, con cui ho cercato di collaborare per quanto mi era

possibile.

_ Ha dovuto intervenire sull’architettura dello shelter in particolari condizioni climatico/ambientali?

Caldo e umidità sono stati i peggiori nemici! A Torvergata, in particolare l´esperienza acquisita operando in tende pneumatiche

mi ha convinto a modifi care il progetto originario del P.M.P.A. in tende standard e non pneumatiche.

L´utilizzo di teli “ombreggianti”, stesi sulle tende o su parte di esse, lasciando uno spazio tra queste strutture, ha ridotto

il riverbero, migliorando la temperatura interna alle tende stesse, peraltro previste con impianto di condizionamento caldo

/freddo.

L´utilizzo di teli di plastica sopra le grelle di pavimentazione hanno consentito una pulizia più accurata delle strutture che, non

dimentichiamo, sono pur sempre dei punti sanitari!

_ Crede ci siano possibili miglioramenti che le renderebbero il lavoro all´interno dello shelter più agevole?

24-72 ore sono a parer mio vivibili con un po´ di spirito d´adattamento in qualunque situazione, se però ci troviamo a

dover operare per lunghi periodi, magari in zone distanti da casa, un minimo di “comfort” ci consente di lavorare bene e

contribuisce così a ridurre l´inevitabile stress di quel momento particolare di vita, personale e lavorativa, che ci vede per nostra

scelta coinvolti. Quando si decide di progettare un P.M.A. è indispensabile pensare ad una struttura a rapido montaggio, di

scarso ingombro, facilmente trasportabile via terra, acqua ed aria, ma per poterlo far funzionare bene si deve anche avere la

fortuna di avere a disposizione un gruppo affi atato che, pur rispettando i ruoli, sappia integrarsi per convivere in armonia tutto

il tempo durante il quale sarà impiegato.

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ROBERTO PERESSUTTI

Medico presso il dipartimento di anestesia e rianimazione dell’Ospedale civile di Udine

_ Professione/attività in cui ha operato con il supporto degli shelter (medico, militare, volontario, ecc.)

Medico della Croce Rossa Italiana

_ In quale tipologia di shelter ha operato? Lo shelter era un P.M.A. (Posto Medico Avanzato), un riparo per l´organizzazione

logistica dell´emergenza, un luogo per lo stoccaggio di materiale, ecc.?

Per l’adunata nazionale ANA a Udine abbiamo utilizzato diversi PMA: alcuni in aule scolastiche in diversi punti della città ben

segnalati e posti in punti strategici e una struttura articolata su una tenda decagonale con collegati: uno shelter carrellato per

manovre ALS (supporto avanzato funzioni vitali, codici rossi), una tenda per codici gialli in P.zza I Maggio.

In Irak sono andato per allestire una struttura tipo Role 2 (non un PMA di 1° livello, ma un PMA con possibilità chirurgiche)

In Sri Lanka era un PMA attendato con autogonfi abili con aria condizionata in zona controllata da Tamil.

_ In quali luoghi ha operato operare e qual’era la tipologia d´intervento (catastrofi naturali, aiuti umanitari, ecc.):

Terremoto Friuli 1976, terremoto Irpinia 1980, raduni di folla (visita del Santo Padre, adunate ANA, etc.), operazioni in Irak e

Sri Lanka.

_ In quali tipo di shelter/P.M.A. in cui ha operato (container, tende pneumatiche, tende standard, ecc.):?

Tutti e tre.

_ Ha montato lei lo shelter o c´erano pelle persone addette a questa operazione?

Per la maggior parte c’erano persone addette.

_ Ha dovuto intervenire sull’architettura dello shelter in particolari condizioni climatico/ambientali?

Per la maggior parte il problema è il caldo, in Sri Lanka le tende erano protette da contropeli i container hanno l’aria

condizionata

_ Crede ci siano possibili miglioramenti che le renderebbero il lavoro all´interno dello shelter più agevole?

Se è un PMA di primo livello, per essere utile deve essere veloce da montare, con logistica propria e carrello o pallet dotazioni

a parte, può essere svincolato dalla teleria.

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LUIGI ZIANI

Colonello (ris.) Cav. dell’esercito italiano, Coordinatore della protezione civile A.N.A. Sezione di Udine

_ Professione/attività in cui ha operato con il supporto degli shelter (medico, militare, volontario, ecc.)

Esercito, protezione civile.

_ In quale tipologia di shelter ha operato? Lo shelter era un P.M.A. (Posto Medico Avanzato), un riparo per l´organizzazione

logistica dell´emergenza, un luogo per lo stoccaggio di materiale, ecc.?

Sotto il nome di shelter, almeno nell’Esercito ma credo anche in altri settori, sono individuati quei manufatti atti a contenere

quello che mediamente sarebbe contenuto in una stanza, più o meno grande.

Le confi gurazioni attualmente in uso sono:

- UEO 1 di lungh. 2,2x largh.2,2x alt.2,45 mt;

- UEO 2 di lungh. 4,0x largh.2,0x alt.2,45 mt (per lavanderia, servizi igienici, panifi cio, docce, frigo, uffi cio;

- UEO 1C di lungh. 6,05x largh.2,435x alt.2,435 mt (per frigo monocella, cucina)

Può essere identifi carlo in un uffi cio, un centralino, una sala operatoria, una doccia, un panifi cio, ecc. che abbiamo la

necessità di realizzare in un posto ove non c’è nulla ed in tempi brevi.

Per risolvere, almeno in parte, la necessità di disporre di un locale più o meno grande, si possono posizionare più shelter

in maniera opportuna collegati tra loro da teli di collegamento. Un’alternativa è quella, sempre più usata ancorché più

complessa da posizionare, di impiegare gli shelter a geometria variabile. Da chiuso ha le stesse dimensioni di uno shelter

normale e, una volta posizionato a terra, si allarga quasi del doppio creando una stanza di quasi 14 mq.

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Qual è allora il concetto d’impiego dello shelter? E’ stato detto che può essere identifi cato in un uffi cio, un centralino, una sala

operatoria, un servizio igienico abbinato a docce o altro da posizionare in un posto qualsiasi ed essere impiegato, per quello

che è stato pensato, in tempi brevi.

Per comprendere meglio riporto alcuni esempi; all’interno di uno shelter adibito a uffi cio troveremo, almeno nelle parti essen-

ziali, un doppione dell’uffi cio in muratura, con dei contenitori da usare per archivio pratiche già appesi alla parete, dei tavoli,

sedie, l’impianto di illuminazione, l’impianto telefonico e l’impianto di condizionamento, il tutto già predisposto e chiuso in una

“scatola” di dimensioni standard e pronto all’uso.

Al momento della necessità saranno caricati i documenti e attrezzature mobili (telefoni, computer, fotocopiatori ecc.) e spedito

in qualche luogo. Quando gli operatori di quell’uffi cio/shelter, avranno raggiunto l’area di dispiegamento troveranno pronto

all’impiego il proprio uffi cio, chiamato shelter. Altro esempio su uno shelter servizi igienici e docce, dove l’interno dello shelter

è diviso in piccoli box attrezzati a doccia, lavabi e gabinetti, basterà, raggiunta la località d’impiego, collegare l’acqua, la cor-

rente elettrica e lo scarico delle acque per avere, in tempi brevi, fi no a 8 gabinetti o 8 docce. Così per un sala operatoria o

una farmacia, un centralino o una sala radio ecc.. I vantaggi che assicurano gli shelter, rispetto le tende, prefabbricati, camper

o roulotte si riassumono in:

- maggior sicurezza per il materiale contenuto;

- superiori prestazioni meccaniche;

- una più lunga durata operativa;

- una predisposizione di attrezzature complesse precedente all’impiego, non attuabile in tenda;

- idoneità all’installazione e protezione di apparecchiature ad alto livello tecnologico (es: centri ripetitori radio e TV, stazioni di

gruppi elettrogeni, stazioni di controllo navigazione aeree, centri sorveglianza geologica, laboratori analisi ecc.)

Da quanto fi nora detto, si comprende che gli shelter non sono adibiti a magazzino, per questo scopo sono impiegati i

containers.

Cos’è allora un container? E’ una sorta di “scatola” di dimensioni standard da 10, 20, 30, 40 e 45 piedi, con una porta o più

porte, a cielo aperto e frigoriferi. Lo sviluppo commerciale ha però privilegiato la diffusione di container da 20 piedi e da 40

piedi, gli unici utilizzati per il trasporto marittimo, dove fa premio gli schemi di caricamento sovrapponibili.

Questa scatole, chiamate Container, possono essere:

- da 20 piedi, 1C, della lunghezza di 6,058 mt x 2,438 x 2,438;

- da 40 piedi, 1A, della lunghezza di 12,19 mt x 2,438 x 2,438;

quelli da 20 piedi possono essere:

- Standard a una porta;

- Open side, può avere anche le porte laterali su tre lati, per facilitare il carico scarico delle merci;

- Open top, che ha la parte superiore, il tetto, aperto e coperto da un telo.

- Tank container che presenta una gabbia con all’interno un serbatoio da 21 m3 .

Esistono anche altre tipologie ad uso specialistico che non prendiamo in considerazione.

_ In quali luoghi ha operato operare e qual’era la tipologia d´intervento (catastrofi naturali, aiuti umanitari, ecc.):

Gli shelters possono essere impiegati in tutti gli ambienti mediamente “vivibili”. Sono stati impiegati con successo in tutte le

operazioni, sia in operazioni militari che di aiuto umanitario a seguito di catastrofi naturali e non. In Italia o all’estero, dall’Africa

australe alle fredde aree scandinave, dal Kosovo all’Afganistan.

_ In quali tipo di shelter/P.M.A. in cui ha operato (container, tende pneumatiche, tende standard, ecc.):?

1. Tende pneumatiche: incontrano il favore degli operatori per la relativa facilità di montaggio, il minor peso a parità di

dimensione da una tenda standard con paleria in ferro e conseguentemente minor tempo e meno operatori per il montaggio.

Questo si traduce anche in minor numero di mezzi da impiegare per il trasporto delle tende. Sono di varie misure che vanno

da 4x4 mt. per usi veloci e urgenti quali pronto soccorso in incidenti, alle tende 6x9 mt. usate per uffi ci, dormitori, infermerie,

degenza per ospedali da campo, alle 9x12, allungabili, mediamente usate per grandi uffi ci, sale briefi ng, refettori, magazzini

ecc.. La vivibilità all’interno di queste tende sono diverse in funzione delle condizioni meteo dell’area di impiego.

2. Tende con paleria standard: rimangono ancora valide per ricoveri di breve e piccola entità. A differenza delle tende

pneumatiche hanno il difetto di pesare di più e occupare più spazio nel trasporto. Hanno il pregio di non “sgonfi arsi” se bucate

come le sorelle pneumatiche e la vivibilità è maggiore grazie alla traspirabilità del tessuto di copertura.

_ Ha montato lei lo shelter o c´erano pelle persone addette a questa operazione?

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Normalmente la “scatola” shelter viene posta a terra dal mezzo che l’ha trasportata in un punto ben defi nito da un progetto

planimetrico dell’intera base che si vuol costruire. Gli operatori che impiegheranno lo shelter avranno poi il compito di allestirlo

e renderlo operativo e funzionale. Solo i collegamenti elettrici, telefonici e della rete verranno successivamente montati da

personale specializzato al seguito dell’organizzazione.

_ Ha dovuto affrontare particolari problematiche negli shelter in cui ha operato?

No ho trovato grandi problematiche. I cavi vanno sempre interrati nelle zone di attraversamento pedonale o carraio e, se non

possibile, vanno nascosti da apposite guide a prova di mezzi pesanti. I cavi elettrici, telefonici ecc. all’interno della tenda

possono provocare inciampi, ma se opportunamente “fasciati” e fatti scendere dall’alto verso il tavolo di lavoro o posizionando

i tavoli verso le pareti evita l’inconveniente

_ Ha dovuto intervenire sull’architettura dello shelter in particolari condizioni climatico/ambientali?

Nell’Esercito, l’impiego delle tende, degli shelter e dei containers è continuo specie nelle varie operazioni a cui le F.F.A.A.

vengono chiamate a svolgere. Anche grazie a questo continuo e massiccio impiego di tende, le ditte costruttrici sono

sensibili alle richieste di “aggiunte e varianti” al progetto del manufatto iniziale, pertanto, nel corso degli anni si sono raggiunti

standard di funzionalità ottimali. Alcuni esempi: nell’Africa australe le temperature all’interno delle tende era insopportabile

per la vivibilità degli operatori o per i ricoverati negli ospedali da campo. La semplice sovrapposizione di due stati di teli

ombreggianti distanti fra loro e la tenda di circa 20 cm riduceva la temperatura all’interno della tenda di parecchi gradi

tanto renderla vivibile. Con l’aggiunta di condizionatori nelle tende pneumatiche, più stagne di quelle tradizionali a paleria,

si raggiungevano temperature ottimali per la vivibilità, specie nelle sale ricovero. Tutte esperienze che, travasate alle ditte

costruttrici, hanno provveduto alla creazione di teli ombreggianti tenuti sollevati da appositi tubolari lungo tutta la tenda.

L’applicazione di teli coibentanti all’interno della tenda favorisce di molto il mantenimento di un ambiente vivibile specialmente

se abbinati a condizionatori/riscaldatori che immettono aria refrigerata dal basso e aspirano aria calda dall’alto o l’inverso se

usati quali riscaldatori. Con questi accorgimenti siamo sopravvissuti in aree scandinave e baltice con temperature fi no a 20°

sotto zero e in quelle africane con 45° sopra

_ Crede ci siano possibili miglioramenti che le renderebbero il lavoro all´interno dello shelter più agevole?

Come per le tende anche per gli shelter si sono raggiunti standard ottimali di vivibilità, ma le modifi che sono più lente per la

complessità del manufatto e per i costi conseguenti.

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GIORGIO VISINTINI

Funzionario della Protezione Civile della Regione Friuli Venezia Giulia

_ Professione/attività in cui ha operato con il supporto degli shelter (medico, militare, volontario, ecc.)

Protezione Civile e VV.F. - volontariato

_ In quale tipologia di shelter ha operato? Lo shelter era un P.M.A. (Posto Medico Avanzato), un riparo per l´organizzazione

logistica dell´emergenza, un luogo per lo stoccaggio di materiale, ecc.?

PMA (esercito), sala radio, cucine.

_ In quali luoghi ha operato operare e qual’era la tipologia d´intervento (catastrofi naturali, aiuti umanitari, ecc.):

Durante esercitazioni e soccorsi umanitari (Albania 1999).

_ In quali tipo di shelter/P.M.A. in cui ha operato (container, tende pneumatiche, tende standard, ecc.):?

Container, tende pneumatiche di varie tipologie, unità mobili.

_ Ha montato lei lo shelter o c´erano pelle persone addette a questa operazione?

Montate direttamente se trattasi di tende, da operatori addetti se trattasi di containers.

_ Ha dovuto affrontare particolari problematiche negli shelter in cui ha operato?

Ha dovuto intervenire sull’architettura dello shelter in particolari condizioni climatico/ambientali?

Le tende di tipo pneumatico, offrono sì la rapidità di montaggio, ma, nonostante alcuni miglioramenti apportarti da alcune

ditta(anche su mio suggerimento personale, soprattutto dopo d’emergenza in Pakistan del 2005) in particolare:

- necessità di corrente elettrica per il gonfi aggio

- alcuni modelli necessitano di mantenere costantemente acceso il gonfi atore e, se dovesse mancare corrente, la tenda si

affl oscia in tempi brevi

- fragilità dei cuscini tubolari di struttura, che, qualora necessiti lo spostamento della tenda, rischiano per l’abrasione di

provocare alla base degli stessi dei microfoni che sgonfi ano la tenda

- eccessivo peso dei colli

essendo la struttura composta prevalentemente di gomma, l’unidità e la condensa sono uno dei problemi, sia a tenda montata

(gocciolamento) che in fase di stoccaggio (se non asciutta deteriora il materiale) Alcune ditte hanno risolto il problema con un

controsoffi tto in garza di cotone e migliorando il tessuto (gomma-cotone ad esempio).

Per quanto riguarda i container, a parte l’aspletto climatico, (risolto ormai con i condizionatori-climatizzatori) l’unico aspetto

negativo è quello dell’area di manovra per lo scarrabile e la necessità della presenza di camio-gru o gru per il carico scarico.

Necessità da valutare in sede di allestimento area la presenza dell’impiantistica soprattutto acqua e scarichi per gli shelter-

containers ad uso cucina e sanitari

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PROGETTO DI UNA UNITÀ MOBILE DI S O C C O R S O S A N I T A R I O ( U M M S )

05

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Il progetto per una unità mobile di soccorso sanitario (UMSS) vuole essere una sintesi delle informazioni reperite attraverso lo

studio delle varie tematiche affrontate in questa tesi e delle esperienze delle persone che periodicamente lavorano all’interno

di unità mobili.

Per prima cosa si è scelta la tipologia di architettura mobile da adottare tra quelle proposte da Robert Kronenburg (portable

buildings, relocatable buildings, demontable buildings).

La scelta è ricaduta su un sistema totalmente assemblabile e disassembalbile in loco, cioè “demontable”.

Questo perché si è deciso di porre dei vincoli progettuali molto forti al sistema: garantire una totale indipendenza

tra l’unità e il sistema di trasporto, perseguire la massima leggerezza, fornire uno spazio funzionale

e flessibile agli utenti.

Dai numerosi incontri con medici ed operatori del settore e soprattutto grazie alla loro diretta esperienza con i vari tipi di

shelter, si sono potuti inquadrare i punti di forza e le varie problematiche di ogni supporto mobile.

Dai vincoli progettuali si è dedotto che il sistema più attinente allo scopo era la tenda, in quanto facilmente trasportabile e

relativamente leggera. I punti di forza e di debolezza sono:

- vantaggi: facilità di trasporto

leggerezza (rispetto agli altri sistemi)

assemblabile in breve tempo

fl essibile negli spazi

- svantaggi: scarso riparo dagli agenti atmosferici e dalla radiazione solare

mancanza di una organizzazione interna per la predisposizione di facilitazioni per i soccorritori.

In realtà la fl essibilità della tenda allestita per scopi medici è una falsa fl essibilità; l’utente allestisce l’interno in modo

totalmente casuale e non secondo uno schema tipologico di base.

Lo scopo di questo progetto è quello invece di creare una struttura adeguata che assicuri:

- un riparo adeguato dagli agenti atmosferici;

- uno spazio di lavoro dei medici idoneo;

- dei servizi a supporto per gli operatori;

- la massima flessibilità possibile dello spazio;

- la leggerezza;

- la facilità nel montaggio/ disassemblaggio.

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CONCEPT PROGETTUALE

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ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE

L’organizzazione funzionale interna all’unità mobile di soccorso sanitario è dettata da regole ben precise prescritte da

normative e protocolli.

Queste in genere riguardano l’organizzazione operativa dei soccorsi e non prendono in considerazione la configurazione

dell’allestimento interno, in quanto devono essere applicate a tutti i supporti logistici operanti in situazioni di crisi.

Queste prescrizioni, derivanti dalla ricerca svolta e riportata nel capitolo 4, sono state riassunte all’interno del progetto in

questi punti chiave:

- per facilitare le operazioni di soccorso si dovrà agevolare l’individuazione di un flusso interno ben

preciso;

- l’unità deve avere una entarta ed una uscita ben distinte;

- la zona in cui si prestano le cure urgenti al paziente dovrà essere in qualche modo separata dalla

zona di degenza;

- gli spazi interni, seppur contenuti, dovranno garantire la facilità delle operazioni di triage, soccorso

e monitoraggio;

- gli spazi interni, seppur contenuti, dovranno essere flessibili;

- le strumentazioni interne non dovranno ostacolare le operazioni dei soccorritori, ma agevolarle.

Queste considerazioni hanno fortemente infl uenzato l’architettura dell’unità mobile, ne hanno determinato la forma, la

struttura esterna ed interna, le soluzioni tecnologiche e il progetto delle attrezzature interne.

Organizzazione dell’unità mobile di soccorso ssnitario

U.M.S.S

OSPEDALE

ACCETTAZIONE

EMERGENZAAREA ROSSA

DEGENZA

EVACUAZIONE

SERVIZI

OSPEDALE

OSPEDALE

ZONA DI CRISI

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Sviluppo della forma

Organizzazione tradizionale

Organizzazione circolare

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Vista dall’alto: ingombro totale dell’unità mobile; prospetti: ovest ed est_scala 1:75_misure in metri

S

N

EO

INGRESSO

USCITA

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Layer organizzativi

01_BASE 02_VANI DI SERVIZIO 03_IMPIANTI

01 02

02

03

04_ZONA EMERGENZA 05_ZONA DEGENZA 06_ZONE DI ACCETTAZIONE E

DIMISSIONE

04

05

06

06

ORGANIZZAZIONE ORIZZONTALE DELLE FUNZIONI

ORGANIZZAZIONE

VERTICALE DELLE

STRUTTURE

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196

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197

Organizzazione interna

La parola chiave per l’organizzazione interna è fl essibilità.

Sebbene, come si è visto nel capitolo 4, l’allestimento di posti medici avanzati ovvero unità mobili di soccorso sanitario in

generelale sia regolamentata dal numero di persone coinvolte nell’emergenza, è sempre da considerare la possibilità che

lo scenario che si presenta ai soccorritori sia diverso da quello ipotizzato durante la fase di organizzazione della catena dei

soccorsi.

Per questo il progetto presenta una fl essibilità generale dell’unità, soprattutto nella zona nella quale vengono prestate le prime

cure al paziente.

Anche se gli spazi sono contenuti a causa delle esigenze di trasportabilità e leggerezza, sono state studiate due possibilità

base che rendono la zona “emergenza” fl essibie: la prima prevede la possibilità di allestire l’area con un solo lettino per il

trattamento del paziente; la seconda prevede che invece siano allestite due postazioni di soccorso.

Nella prima disposizione lo spazio per le manovre degli operatori sarà maggiore e permetterà una fruizione più comoda; tale

soluzione potrebbe essere utilizzata nel momento in cui o la situazione prevede il coinvolgimento di un numero relativamente

basso di persone o quando l’unità è allestita come presidio a supporto di manifestazioni che non presentano particolari rischi

di incidenti.

Nella seconda invece gli spazi sono ridotti ma consentono comunque lo svolgimento delle manovre di soccorso.

Per agevolare i fl ussi interni, dei quali si parlerà successivamente, in entrambe i casi è prevista una apertra di servizio che

attraversa il vano tecnico. Nel primo caso non infl uenzerà particolarmente l’organizzazione interna dei movimenti, ma nel

secondo caso, come si vedrà in seguito, sarà fondamentale per non creare interferenze con il fl usso entrante dei feriti.

Questo accorgimento, come ogni soluzione sia organizzativa che tecnica influenza in modo profondo

l’architettura dell’unità mobile di soccorso sanitario. Sebbene tutte le facilitazioni inserite nel layout

siano indipendenti tra di loro, tanto da poter pensare di allestire l’unità senza alcune di queste, esse

si influenzano reciprocamente. Le soluzioni progettuali definite per un elemeto dell’allestimento sono

frutto dello studio della funzione che deve svolgere, del suo posizionamento, della relazione con la

struttura principale, della relazione con gli altri elementi interni ed avendo sempre come sfondo le

parole chiave di questa tesi: trasportabilità, trasformabilità, flessibilità ed adattabilità.

Viste dell’unità mobile di soccorso sanitario con una e due postazioni nell’area emergenza

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Soluzione con una postazione nel l ’area “emergenza”

A A

Sezione a 2,5m: soluzione con una postazione in area “emergenza”_scala 1:50

Prospetto: linea di sezione a 2,5m_scala 1:100

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Dimensionamento delle zone “emergenza” e “degenza” nella soluzione con una postazione di soccorso_scala 1:50_misure in metri

Per chiarezza in questo disegno e in quelli successivi si riporterà solamente l’ingombro alla base della struttura primaria

formata dai montanti e dalle due membrane.

Le linee azzurre con relativa freccia indicano i divisori mobili che possono essere aperti o chiusi aseconda delle necessita.

Per maggiori specifi che vedere il paragrafo riguardante l’impianto di illuminazione

INGRESSO

USCITA

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200

Fondamentale nella progettazione di una unità mobile di soccorso sanitario stabilire quali debbano essere i fl ussi interni, sia dei pazienti che degli opera-

tori. Questi devono essere agevolati dall’architettura interna e non devono creare impedimenti alle operazioni di soccorso, anzi devono agevolarle.

La forma circolare ha permesso di creare un corridoio che collega l’entrata e l’uscita. Nelle tradizionali forme rettangolari questo corridoio è ricavato in

posizione centrale, tagliando la tenda in due parti. Questa divisione non identifi ca però due aree operative, impedendo una delimitazione funzionale degli

spazi e non garantendo alcun tipo di privacy.

INGRESSO

USCITA

PAZIENTI

Schematizzazione dei fl ussi interni, soluzione con un posto nella zona “emergenza”_scala 1:50

SOCCORRITORI

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201

PERSONALE SANITARIO per unità di soccorso mobile con una postazione per l’area “emergenza”

PER LE PRIME 12-24 ORE

ACCETTAZIONE (zona II triage1) :

_ 1 INFERMIERE PROFESSIONALE (anestesista/rianimatore, di terapia intensiva o D.E.A _dipar-

timento d’emergenza/accettazione, di medicina d’urgenza o pronto soccorso)

AREA CODICI ROSSI/GIALLI (emergenza):

_ 1 MEDICO

_ 1 INFERMIERE PROFESSIONALE (anestesista/rianimatore, di terapia intensiva o D.E.A _dipar-

timento d’emergenza/accettazione, di medicina d’urgenza o pronto soccorso)

_ 1 SOCCORRITORE

AREA DEGENZA:

_ 1 MEDICO

_ 1 INFERMIERE PROFESSIONALE (anestesista/rianimatore, di terapia intensiva o D.E.A _dipar-

timento d’emergenza/accettazione, di medicina d’urgenza o pronto soccorso)

_ 1 SOCCORRITORE

TOTALE: 7 PERSONE

1 Il primo triage si svolge all’interno della zona colpita dall’emergenza

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Soluzione con due postazioni nell’area “emergenza”

A A

Prospetto: linea di sezione a 2,5m_scala 1:100

Sezione a 2,5m: soluzione con due postazioni in area “emergenza”_scala 1:50

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203

Dimensionamento delle zone “emergenza” e “degenza” nella soluzione con due postazioni di soccorso_scala 1:50_misure in metri

Anche aggiungendo la seconda postazione nella zona “emergenza” si riesce ad avere uno spazio suffi ciente per l’operatività

dei medici soccorritori.

INGRESSO

USCITA

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204

PAZIENTI

Schematizzazione dei fl ussi interni, soluzione con due posti nella zona “emergenza”_scala 1:50

SOCCORRITORI

INGRESSO

USCITA

In questo secondo caso diventa fondamentale l’apertura ricavata attraverso il vano tecnico (1).

Grazie a questo accorgimento si evita di creare confusione (durante il trasporto del paziente in area degenza) nella zona più critica di tutto

il sistema, cioè l’entrata. Questa zona deve essere infatti sempre libera in modo da poter accogliere i feriti che arrivano dalla zona di crisi

e devono essere curati in zona emergenza. In accettazione ci sarà un infermiere professionale che rifarà per la seconda volta la procedura

del triage e potrà aggiornare il medico presente in area emergenza sulle condizioni della vittima.

Page 205: Premio Nobile - AREA Science Park

205

PERSONALE SANITARIO per unità di soccorso mobile con una postazione per l’area “emergenza”

PER LE PRIME 12-24 ORE

ACCETTAZIONE (zona II triage1) :

_ 1 INFERMIERE PROFESSIONALE (anestesista/rianimatore, di terapia intensiva o D.E.A _dipar-

timento d’emergenza/accettazione, di medicina d’urgenza o pronto soccorso)

AREA CODICI ROSSI/GIALLI (emergenza):

prima postazione_ 1 MEDICO

_ 1 INFERMIERE PROFESSIONALE (anestesista/rianimatore, di terapia intensiva o D.E.A _dipar-

timento d’emergenza/accettazione, di medicina d’urgenza o pronto soccorso)

seconda postazione_ 1 MEDICO

_ 1 INFERMIERE PROFESSIONALE (anestesista/rianimatore, di terapia intensiva o D.E.A _dipar-

timento d’emergenza/accettazione, di medicina d’urgenza o pronto soccorso)

_ 1 SOCCORRITORE

AREA DEGENZA:

_ 1 MEDICO

_ 1 INFERMIERE PROFESSIONALE (anestesista/rianimatore, di terapia intensiva o D.E.A _dipar-

timento d’emergenza/accettazione, di medicina d’urgenza o pronto soccorso)

_ 1 SOCCORRITORE

TOTALE: 9 PERSONE

1 Il primo triage si svolge all’interno della zona colpita dall’emergenza

Page 206: Premio Nobile - AREA Science Park

206

Schema del supporto logistico all’unità mobile di soccorso sanitario

TENDA APERTA PER

SUPPORTO LOGISTICO

A supporto di ogni tenda per soccorso sanitario vi sono alcune attrezzature per garantire l’autonomia temporanea della stessa

struttura. In genere tali attrezzature dipendono dal luogo in cui l’unità mobile andrà ad operare.

Si può considerare come strumentazione base un generatore portatile per il supporto di energia elettrica e il sistema di

riscaldamento / condizionamento, ma sono da prendere in considerazione anche quei supporti che possono rivelarsi

fondamentali in luoghi privi di ogni servizio, come possono essere i potabilizzatori, le attrezzature per poter scavare delle fosse

settiche, ecc.

È da considerare che nei luoghi predisposti allo stoccaggio dell’unità mobile di soccorso sanitario (sedi della

protezione civile, ospedali, ecc.) possano essere presenti tutte le attrezzature ma solo nel momento dell’allarme il

responsabile dell’organizzazione dei soccorsi decide quali attrezzature utilizzare.

Tali supporti possano essere trasportati nei luoghi di crisi in tempi diversi, ad esempio per prima cosa si provvederà a

trasportare il generatore elettrico per il supporto alle strumentazioni mentre il gruppo di condizionamento può essere anche

portato in un secondo momento essendo l’unità relativamente autonoma (grazie alle soluzioni tecnologiche adottate).

La scelta di utilizzare una unità esterna è dettata da alcune considerazioni che hanno trovato riscontro dalle esperienze degli

operatori.

Le strumentazioni sono in genere rumorose e per questo possono crearesituazioni di “dis-comfort” per gli utenti. La scelta di

non utilizzare tende gonfi abili è stata dettata anche ad esempio dal fatto di avere continuamente in sottofondo il rumore del

compressore. Inoltre le strumentazioni creano movimenti di aria, che in situazioni con terreno polveroso potrebbero generare

situazioni si scarsa igiene.

Supporto logistico

Page 207: Premio Nobile - AREA Science Park

207

Specifiche tecniche:

Categoria: Professionali

Installazione: Portatile

Potenza Max (monofase)(W): 3400

Potenza Con. (monofase)(W): 3300

Fattore Pot.: 1

Alternatore: Sincrono

Motore: YANMAR

Mod. motore: L 70 E

Raffreddamento: Aria

Cilindrata (cc): 296

Cilindri: 1

Potenza (HP): 6,1

Giri/Min: 3000

Alimentazione: Diesel

Capacità serbatoio (lt): 3,5

Autonomia 3/4 carico (h): 3,5

Capacità carter olio (lt): 1,1

Avviamento: Elettrico

Peso (Kg): 87

Dim. L (mm): 725

Dim. W (mm): 515

Dim. H (mm): 585

Potenza acustica LwA dB(A) 102

Pressione acustica (a 7m.) LpA dB(A) 77

Struttura: Aperta

Accessori disponibili su richiesta: marmitta riduzione

rumore

Gruppo elettrogeno

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208

Page 209: Premio Nobile - AREA Science Park

209

SOLUZIONI PROGETTUALI

Pavimentazione l ivel lante

Dall’esperienza maturata negli anni dagli operatori sanitari nell’ambito delle emergenze è stato necessario garantire una

superfi cie di livellamento ma soprattutto di distacco dal terreno per assicurare un minimo isolamento dall’umidità.

In genere i produttori di tende non prevedono una pavimentazione rigida nel set della tenda. L’equipaggiamento base per il

catino è costituito solamente da un telo di polietilene. Chiunque abbia passato una notte in una tenda sa però che questo non

è suffi ciente per garantire una barriera contro l’umidità.

In commercio esistono degli elementi chiamati grelle che provvedono a questa funzione. Si può dire che in genere i dispositivi

più utilizzati sono quelli distribuiti da due ditte: la Ferrino e l’Eurovinil.

Nel primo caso questi elementi misurano 50x50cm ma a causa della loro trama sono stati subito scartati dalla possibilità di

utilizzo nel progetto. Infatti i fori quadrati hanno più volte ostacolato le operazioni di soccorso in quanto le ruote delle barelle o

degli strumenti facilmente si incastrano nei fori. Per ovviare a questo, in genere si utilizzano le grelle fornite dall’Eurovinil che

invece presentano un disegno che impedisce tale inconveniente, ma anzi favorisce lo scorrimento.

Gli elementi misurano 120x60x0,25cm e sono fatte di polietilene a bassa densità. Il loro peso è di 4kg a modulo.

Considerata la superfi cie di progetto si è subito constatato che tale peso avrebbe gravato per circa la metà sul peso totale

della struttura (circa 460kg).

Il dato dunque sembrava in contrasto con la volontà di limitare al massimo il peso dell’unità mobile. Da un lato non si poteva

pensare di eliminare dal progetto questo elemento e dall’altro non era accettabile che la pavimentazione gravasse così tanto

sul peso fi nale. Si è dovuto quindi esplorare in generale il settore della pavimentazione da esterni per cercare una soluzione

alternativa. Fondamentale è stato rivolgersi ad uno dei maggiori rivenditori di attrezzatura da campeggio di Udine che, grazie

alla decennale esperienza, ha saputo capire le esigenze del progetto e indirizzare la ricerca sulle piastrelle che generalmente

si utilizzano per la pavimentazione dei giardini, indicando come possibile riferimento la ditta Brunner.

Dalla ricerca successiva si è potuto riscontrare come un particolare prodotto potesse essere quello che garantiva tutte le

caratteristiche necessarie al progetto. Era leggero, modulare, e permetteva anche la facile e corretta installazione dei picchetti

che permettono l’assemblaggio della struttura principale.

Le piastrelle Polifl ex infatti sono costituite, nella loro minima unità da quadrati di 7x7cm che possono facilmente rimossi o

assemblati tra loro. Si è quindi deciso di predisporre dei moduli di 120x60cm preassemblati.

Alcuni di questi presentano, nei moduli da rimuovere per l’installazione dei basamenti della struttura, un simbolo che indica

la corretta posizione e soprattutto la corrispondenza con i giusti elementi della struttura.

Inoltre ogni modulo è a sua volta contraddistinto da un colore e da un codice che ne permette la facile collocazione nella

pavimentazione nel suo complesso.

In fase di stoccaggio, sempre per agevolare le operazioni di montaggio, i moduli verranno suddivisi in base al loro colore e

codice; questo permetterà di poter facilmente individuare la corretta sequenza di montaggio.

Pavimentazione tradizionale Ferrino ed Eurovinil

Page 210: Premio Nobile - AREA Science Park

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Visualizzazione delle suddivisione dei moduli della pavimentazione; ogni sequenza corrisponde ad uno stoccaggio, il colore è utilizzato per distinguere le

varie parti e permetterne il corretto assemblaggio. Particolare attenzione è stata posta nell’utilizzare i 4 colori in cui le piastrelle sono commercializzate.

Conseguentemente però sarà necessaria una maggiore attenzione nel disassemblaggio in modo da garantire un corretto staccaggio del materiale.

PIASTRELLE POLIFLEX _ BRUNNER INTERNATIONAL

In polipeopilene resistente ai raggi UV, impiego universale sia in ambienti esterni

che interni. Montaggio e smontaggio rapidissimi, resistente alla maggior parte de-

gli agenti chimici, superfi cie antiscivolo, facile da pulire ed indeformabile.

Misure modulo base 30x30x1,2cm

Peso per m2: 2,5kg

Colori: grigio, rosso, vere chiaro e scuro

Il primo accorgimento per il corretto assemblaggio della struttura è quello di trovare un luogo privo di forti deformità e/o

dislivelli. Deciso il luogo per prima cosa si assemblerà la pavimentazione, la parte probabilmente più diffi coltosa di tutte le

operazioni previste per comporre la struttura.

Gli stoccaggi di piastrelle da utilizzare saranno 9. Il primo, di colore rosso è contraddistinto dal codice –a; i secondi, che

andranno predisposti secondo il disegno allegato, saranno di colore verde chiaro e contraddistinti dai codici bc e il; i terzi,

di colore grigio avranno codice de e mn, i quarti di colore verde scuro e codice fg e op, infi ne i quarti di colore grigio con

codice –h e –q.

La linea base sarà quella defi nita dalle grelle di colore rosso con numeri 0 1 2 3 4 -1 -2 -3 -4 (i numeri positivi saranno

disposti a destra dello 0, quelli negativi a sinistra), da questa si defi nirà tutto lo sviluppo secondo lo schema riportato.

Per il montaggio si consiglia di eseguire le seguenti istruzioni base:

- prendere il primo stoccaggio rosso -a;

- togliere la prima cinghia;

- separare le due parti di grelle (una contraddistinta con il codice –, l’altra con codice a);

- posizionare la grella 0 nel punto in cui si vuole che venga installato il palo della struttura centrale;

- posizionare le grelle 1 2 3 4 a destra della grella zero e le -1 -2 -3 -4 a sinistra;

Page 211: Premio Nobile - AREA Science Park

211

- posizionare le grelle 0a sotto la grella 0, quelle 1a 2a 3a 4 a sotto le grelle 1 2 3 4 e procedere allo stesso modo per le

grelle -1a -2a -3a -4a.

- prendere i secondi stoccaggi di colore verde chiaro contraddistinti dai codici bc e il;

- posizionare lo stock bc sotto le grelle precedentemente posizionate con codice a e lo stock il sopra le linea base;

- procedere nel posizionamento delle grelle della linea b e sotto queste quelle della linea c;

- contemporaneamente è possibile che un’altra persona/squadra posizionino gli stock i e l

- procedere con gli altri stoccaggi come nei precedenti casi e secondo lo schema riportato

Alla fi ne si dovrà ottenere delle righe di grelle con la corretta sequenza numerica -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 e delle colone che

avranno una sequenza, dal centro verso il basso, di – a b c d e f g h, dal centro verso l’alto di – i l m n o p q

Page 212: Premio Nobile - AREA Science Park

212

Dopo aver terminato le operazioni di posizionamento delle grelle sarà necessario sostituire quelle contrassegnate, con gli

appositi attacchi a terra della struttura.

Svolta questa operazione si posizionerà il telo di polietilene. Questo telo è provvisto di occhielli ai bordi per il fi ssaggio agli

attacchi della struttura e nei punti in cui è prevista la struttura secondaria interna.

Page 213: Premio Nobile - AREA Science Park

213

Defi nizione della pavimentazione, posizionamento degli attacchi a terra della struttura in relazione alle grelle del modulo in cui sono localizzati

_scala 1:75

77,4 m2 = 193,5Kg di pavimentazione piastrelle Polifex

- 266,5kg rispetto pavimentazione Eurovinil

Page 214: Premio Nobile - AREA Science Park

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Struttura principale

La struttura dell’unità mobile per soccorso sanitario è composta da 10 montanti di diametro 60mm.

Questi a terra si agganciano a dei picchetti formati da una base delle dimensioni di 15x15cm alla quale sono fi ssati 4

picchetti che permettono un sicuro ancoraggio a terra. Alla base è saldato inoltre l’alloggio per l’inserimento dei montanti;

alto 15cm è dotato di un sistema per il bloccaggio delle membrane. Gli occhielli delle due membrane principali e del telo di

pavimentazione vengono agganciati ai tre elementi avvitabili che ne bloccano i movimenti. La base è dotata di un incastro

laterale che permette la facile giunzione con gli elementi costituenti la pavimentazione.

I montanti, superiormente si agganciano ad un anello. Questo è agganciato ad un profi lato circolare estensibile che permette

il facile montaggio della struttura a terra, senza dover ricorrere ad operazioni in quota.

A completare il sistema del sostegno verticale vi sono due piatti sui quali vengono fi ssate le membrane.

Infi ne vi è un sistema di correnti orizzontali, posti a quota 2m di diametro 50mm, che garantiscono un irrigidimento della

struttura. Anch’essi si uniscono gli uni agli altri tramite un sistema ad incastro.

La struttura è stata prevista in due diversi materiali, a seconda delle possibilità produttive ed economiche:

- fi bra di carbonio

- duralluminio (avional serie 2000)

Tale distinzione è stata inoltre mantenuta tenendo presente la necessità di garantire la massima leggerezza del sistema.

È necessario chiarire che i diametri dei vari elementi potrebbero cambiare a seconda del materiale. Quelli proposti si

riferiscono ad elementi costituiti con fi bra di carbonio.

modulo di elasticità alla fl essione

N/mm2

carico di rottura alla trazione

N/mm2

peso specifi co massa volumica

kg/dm3

fi bra di carbonio 130000 1400 1,56

avional 72500 345 2,7

Page 215: Premio Nobile - AREA Science Park

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montanti verticali

struttura orizzontale

anello centrale

Pianta: struttura dell’UMSS_scala 1:50

Ogni montante viene identifi cato con una lettera. Questo permetterà il corretto assemblaggio con le relative basi e con i

correnti laterali.

Page 216: Premio Nobile - AREA Science Park

216

passaggio struttura orizzontale

diametro 60mm

A causa della forma data all’U.M.S.S. per

garantire la corretta fruizione degli spazi, la

struttura non è simmetrica e ciò si ripercuote

anche sulla lunghezza dei montanti.

Per evitare di dover far produrre 10 pezzi unici, si

è deciso di produrre profi lati a due a due uguali,

sciegliendo tra montanti di lunghezza simile, e

recuperare il diasavanzo sull’anello centrale.

Questo infatti è dotato di profi lati che, oltre a

permettere l’incastro con il montante stesso,

danno la possibilità di recuperare le lunghezze

mancanti.

Prospetti: schema della produzione dei montanti_scala 1:50

Page 217: Premio Nobile - AREA Science Park

217

aggancio ad anello centrale

aggancio giunti per il

fi ssaggio delle membrane

La regolarizzazione delle lunghezze permette un migliore stoccagio dei profi lati.

Prospetto: sistema d’assemblaggio del montante con l’elemento per il fi ssaggio a terra_scala 1:50

Tutti gli elementi costituenti gli 10 montanti della struttura

Page 218: Premio Nobile - AREA Science Park

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incastro da i due elementi del montante

incastro tra montante e giunto

distanziatore delle membrane

incastro tra montante e giunto

distanziatore delle membrane

Esploso assonometrico: sistema di incastro tra gli elementi costituenti il montante

Stoccaggio degli elementi costituenti la struttura principale

Page 219: Premio Nobile - AREA Science Park

219

Pianta: correnti orizzontali, denominazione e possibilità di sticcaggio_scala 1:50

A

A

L1

L

A2-D2

F1-I2

F

E1

E

A1

A2

B

B1

B2

C

C1

C2

D

D1

D2

E

E1

F

F1

F2

G

G1

G2

H

H1

H2

I

I1

I2

LL1

Page 220: Premio Nobile - AREA Science Park

220

Anel lo centrale e palo di sostegno

Come già accennato, l’anello centrale permette il fi ssaggio e il recupero delle

diverse lunghezze dei montanti. Per la corretta installazione, anche sull’anello

verranno segnalate le corrispondenze con i montanti attraverso le lettere A B C D

E F G H I L.

Il palo centrale garantisce maggiore stabilità alla struttura e ne favorisce il

montaggio. E’ costituito infatti da un elemento estensibile mediante l’azionamento

di una manovella che permette di eseguire le prime operazioni di allestimento

delle membrane senza pericolo.

MONTAGGIO:

1: installazione della base (operazione eseguita con il posizionamento delle grelle)

2: azionare la manovella per far salire il montante D quanto basta per operare

comodamente

3:inserire l’elemento F sul quale successivamente verrà montata la linea di luci

centrale per poi essere innalzata

4: inserire all’interno del montante D il piatto G

5: posizionare l’anello H sul piatto G

6: inserire l’ultimo piatto i all’interno del profi lato del piatto G

7: bloccare il sistema con lo spinotto a scatto predisposto

Pianta: anello centrale_scala 1:25; esploso del palo centrale; immagine dello spinotto a scatto per tubi

raggio esterno: 0.85m

raggio interno: 0,75m

diametro 60mm

I

H

G

F

D E

C

B

A

Page 221: Premio Nobile - AREA Science Park

221

blocca-membrane

membrana interna

telo pavimento

membrana esterna

vite di sicurezza

base con incastro laterale

per connessione con le grelle

Fissaggio a terra

Il fi ssaggio a terra avviene mediante una base costituita da

un elemento circolare di diamtro 64mm e alto 150mm, per

il posizionamento dei montanti verticali, e da 4 picchetti che

permettono il corretto ancoraggio a terra.

Il montante, una volta in sede, viene bloccato grazie ad una vite

di sicurezza posta a lato della sede stessa.

Sempre nella sede è previsto un sistema costituito da tre

elementi avvitabili (due verso l’interno ed uno verso l’esterno)

che permettono di bloccare le membrane (quella interna, il telo

di pavimentazione e quella esterna) in modo da garantirne la

tensione.

La base inoltre è dotata di un aggancio laterale che permet-

te l’integrazione dell’elemento con il sistema delle grelle di

pavimentazione.

sede del montante diametro

interno 64mm

picchetti

elementi per il fi ssaggio

della membrana interna

e del telo di pavimentazione

elemento per il fi ssaggio

della membrana esterna

Pianta e prospetto: base per fi ssaggio a terra della struttura_scala 1:5

montante

Page 222: Premio Nobile - AREA Science Park

222

picchetti

Sezione AA: base per fi ssaggio a terra della struttura_scala 1:5

blocca-membrane

membrana interna

telo pavimento

membrana esterna

montante

Page 223: Premio Nobile - AREA Science Park

223

Membrane

L’aria interna ad una struttura può veicolare il vapore acqueo prodotto da utenti ed apparecchiature e la quantità di vapore

che l’aria può assorbire aumenta con la sua temperatura. Questo fenomeno fa si che l’umidità relativa possa aumentare con

il raffreddamento dell’aria, sebbene la quantità di vapore acqueo non muti.

Se la temperatura cala ulteriormente, l’aria raggiunge la sua temperatura di saturazione e il vapore condensa in gocce (punto

di rugiada). Il vapore acque condensa su quelle superfi ci che hanno una temperatura più bassa del punto di rugiada.

La condensa, oltre a creare notevole disagio agli utenti, riduce signifi cativamente la vita utile dei materiali e può dare luogo a

muffe, corrosione su materiali metallici e degrado delle prestazioni termiche dei materiali isolanti.

La vulnerabilità delle membrane tessili è dovuta essenzialmente alla bassa inerzia termica e alle loro ridotte proprietà isolanti

ed all’idrorepellenza delle membrane prodotte con tessuti rivestiti.

In questo progetto si è cercato di ridurre la vulnerabilità utilizzando una membrana ad alte prestazioni isolanti, la Ten-

sotherm™ della Birdair.

Inoltre per non fare entrare in contatto gli utenti con una superfi cie che può essere luogo di deposito della brina, la

membrana isolante è stata accoppiata con un’ altra membrana, Tenera® della Gore™, in modo da costituire un sistema

formato da 2 membrane separate da uno spazio in cui vi è aria in movimento.

Tale soluzione è stata possibile inserendo la struttura dell’unità mobile di soccorso sanitario tra le due membrane e

distanziando quest’ultime ultime con dei giunti.

Membrana Tensotherm™ Birdair, membrana Tenara® Gore™

Caratteristiche principali:

Tensotherm™, Birdair: R-value 12, migliore isolamento (resistenza termica 2,1Km2/W)

Diffusione della luce

Attenuazione dei rumori

Tenara®, Gore™, modello 3T40HF: Light transmission 45%

Peso 925gr/m2

Page 224: Premio Nobile - AREA Science Park

224

DISAGIO PER GLI UTENTI

CIRCOLAZIONE DELL’ARIA

MIGLIORAMENTO DELLA

CONDIZIONE INTERNA

ISOLAMENTO

ULTERIORE MIGLIORAMENTO

DELLA CONDIZIONE INTERNA

MEMB. ESTERNA

MEMB. INTERNA

LA MEMBRANE ESTERNA FUNGE ANCHE DA

PROTEZIONE RISPETTO A QUELLA INTERNA

Per le membrane è stato deciso di mantenere la colorazione bianca.

Non è una scelta solamente dettata dalla maggior facilità nel reperimento delle membrane di questo colore ma anche dal

fatto che in campo internazionale vi è un rigido protocollo che regola la colorazione delle divise e dei supporti delle varie

organizzazioni. Ad esempio per gli eserciti sono codifi cati precisi colori e disegni a seconda dello Stato di provenienza.

Il colore bianco è identifi cato invece con organizzazioni o missioni umanitarie, basti pensare alle tende della Croce Rossa o

alle missioni di pace dell’Onu.

Per questo, essendo stata pensata per l’uso civile, l’unità mobile di soccorso sanitario avrà colore prevalentemente bianco che

potrà essere integrato con eventuali simboli delle organizzazioni che la utilizzeranno.

Page 225: Premio Nobile - AREA Science Park

225

Giunti per l ’aggancio del le membrana al la struttura

sistema di posizionamento

dei giunti per il fi ssaggio delle

membrane

Per permettere il corretto tensionamento delle membrane è necessario l’utilizzo di giunti.

Questi vengono integrati all’interno dei montanti, attraverso il loro posizionamento nei punti di giunzione dei vari elementi.

Il loro incastro è garantito dal solito sistema ad incastro con cilindri retrattili. Sul montante infatti sono presenti quattro

elementi per l’incastro: due sulla parte fi nale, la quale viene inserita nel modulo successivo, e due sulla parte iniziale.

In questo modo si garantisce un incastro sia tra i montanti, sia tra il giunto e ciascun montante.

I giunti hanno diametro di 67mm (sp.5mm), per permettere il loro inserimento nei montanti, e lunghezza di 150mm.

Leggermente diverso è il giunto che di trova a 2metri di altezza; questo infatti presenta dei fori laterali per permettere ai

correnti orizzontali il passaggio attraverso i montanti. Questo deve essere infi lato totalmente sul montante e fatto scorrere fi no

al punto in cui le sfere del montante si incastreranno nei fori del giunto. Lo scorrimento è reso possibile dal mantenimento

della medesima curvatura tra montante e giunto.

Prospetto: sistema montanti-giunti_scala 1:50

Vista del giunto a 2metri

Page 226: Premio Nobile - AREA Science Park

226

Il fi ssaggio delle membrane alla struttura principale avviene

attraverso un sistema di incastri maschio/femmina.

Nella membrana viene pre-installato una parte del giunto;

al momento di installare la membrana esterna, le due parti

vengono incastrate facendo una pressione laterale sulla parte

fi ssata al giunto.

Per garantire l’integrità del sistema, un elemento come

quello fi ssato alla membrana viene posto a protezione della

parte ancorata al giunto nel momento in cui il sistema viene

disassemblato.

Sistema A

Sistema di fi ssaggio delle membrane alla struttura

Sistema di fi ssaggio delle membrane alla struttura_scala 1:5

Page 227: Premio Nobile - AREA Science Park

227

Sistema B

piastra magnetica

membrana in neoprene con elementi radiali magnetici

apribile manualmente

Nel secondo metodo di fi ssaggio è previsto l’utilizzo di un

sistema formato da una piastra magnetica e una membrana in

neoprene in cui sono inseriti degli elementi radiali magnetici.

La membrana interna sarà dunque provvista di un foto nel

quale passerà il disco di neoprene.

Questo, dopo la sua apertura si salderà magneticamente alla

piastra che si trova dall’altro lato della membrana.

membrana aperta

Sistema di fi ssaggio delle membrane alla struttura

Sezione e pianta: sistema di fi ssaggio del giunto alla membrana esterna_scala 1:5

membrana rinforzata

membrana

piatto di fi ssaggio

piatto di fi ssaggio

attacco m/f

Grazie al sistema di prefi ssaggio

studiato è possibile, in caso di

rottura, sostituire l’attacco m/f

senza dovere sostituire tutta la

membrana .

Page 228: Premio Nobile - AREA Science Park

228

Piegatura del le membrane per lo stoccaggio

Per facilitare le operazioni di montaggio delle membrane è necessario ripiegare il tessuto nella maniera rappresentata dalla figura

precedente. Per prima cosa si ripiegherà la membrana dall’esterno verso l’interno partendo da due lati (fase 1); successivamente

si procederà nella direzione perpendicolare alla precedente (fase 2).

PIanta: metodo di piegatura della membrana; prospetto A, prospetto B: vista degli ingombri della membrana dopo la prima piegatura e dopo la

seconda_scala 1:20

Prospetto A: ingombro laterale della membrana piegata dopo la fase 1

Prospetto B: ingombro laterale della membrana piegata dopo la fase 2

Page 229: Premio Nobile - AREA Science Park

229

Tiranti

Per garantire la sicurezza della struttura anche sotto l’effetto dei venti è necessario predisporre dei tiranti che dalla membrana

giungono fi no a terra. Per fare ciò è necessario predisporre un’asola di rinforzo sulla membrana esterna, nella quale viene

saldata una banda di tessuto. Il tessuto è lo stesso della membrana esterna per evitare diversi comportamenti e risposte

meccaniche. Prima della saldatura tra l’asola di rinforzo e la fettuccia di tessuto, in quest’ultima viene inserito un anello

metallico, sul quale si aggancierà il tirante grazie ad un moschettone.

Questo anello è lo stesso che permette l’innalzamento della membrana esterna nelle fasi di montaggio della struttura.

asola di rinforzo

fettuccia di tessutoanello metallico

moschettone

tirante

membrana esterna

struttura

membrana interna

Pianta: vista del posizionamento dei tiranti sulla membrana esterna; pianta e sezione: composizione interfaccia tirante-membrana esterna

Page 230: Premio Nobile - AREA Science Park

230

Tensionamento del la membrana nel la parte terminale

membrana esterna

struttura

tasca per l’inserimento dei

pali in fi bra di vetro

Per garantire il corretto tensionamento della membrana nella parte terminale è utile inserire la paleria apposita in fi bra di vetro all’interno

delle tasche già predisposte nelle due membrane.

membrana interna

tasca per l’inserimento dei

pali in fi bra di vetro

membrana esterna

struttura

Particolari: tensionamento ulteriore della parte inferiore delle membrane

Page 231: Premio Nobile - AREA Science Park

231

Sequenze di montaggio del la struttura pr incipale e del le membrane

01_ posizionamento del primo piatto sul palo

centrale; fi ssaggio della prima membrana sul

piatto stesso.

02_ posizionamento dell’anello centrale e del

primo montante della struttura.

03_montaggio di altri due montanti della struttura, dei giunti e dei correnti orizzontali; ricordarsi di togliere la parte a

protezione del giunto distanziatore prima di iniziare l’operazione successiva; inserire gli elementi di aggancio delle luci alla

struttura.

persone da utilizzare nel montaggio: minimo 5

Page 232: Premio Nobile - AREA Science Park

232

04_ posizionamento del secondo piatto sul palo

centrale e fi ssaggio della membrana esterna.

05_fi ssaggio della membrana esterna ai giunti distanziatori; posizionamento dei sistemi per innalzare in sicurezza la struttura

(A)

A

Page 233: Premio Nobile - AREA Science Park

233

06_innalzamento della struttura tramite il palo centrale e gli elementi estensibili posti in corrispondenza di 4 montanti;

per facilitare l’operazione si deve o alzare manualmente la membrana o fi ssarla tramite il gancio predisposto agli anelli

utilizzati per l’aggancio dei tiranti; posizionamento dell’ultimo elemento del montante nella sede della base.

punti di fi ssaggio dei

puntelli estensibili

07_fi ssaggio della parte terminale della membrana esterna, inserimento della paleria in fi bra di vetro nelle apposite tasche

(vedi dettagli delle membrane); fi ssaggio della membrana interna (questa operazione può essere effettuata anche ad altezze

intermedie), prima di agganciare la membrana interna agli ultimi due giunti, togliere il puntello estensibile.

Page 234: Premio Nobile - AREA Science Park

234

Struttura secondaria

La struttura denominata secondaria permette la separazione degli spazi interni e la determinazione dei vani di servizio.

Grazie ad essa infatti possono trovare luogo all’interno della tenda i servizi per il personale medico e per i degenti.

Una carenza che da sempre i soccorritori riscontrano nelle tradizionali tende è il fatto di non avere a disposizione dei vani

tecnici in cui sitemare le attrezzature e un luogo in cui poter lavarsi le mani senza dover uscire dall’unità.

Questa struttura è totalmente indipendente da quella principale, per cui in caso di utilizzo diverso da quello previsto, la tenda

può diventare uno spazio unico.

Pianta: struttura interna_scala 1:50_misure in metri

Page 235: Premio Nobile - AREA Science Park

235

Prospetto: struttura interna_scala 1:50

montanti estensibili

attacco a terra

giunti

Page 236: Premio Nobile - AREA Science Park

236

membrana in neoprene saldata al telo del pavimento

per impedire imfi ltrazioni

base del montante

grella modifi cata

Pianta e prospetto: grella-base per i montanti interni_scala 1:2_misure in millimetri

Page 237: Premio Nobile - AREA Science Park

237

vano tecnico vano tecnico

servizi

soccorritori

servizi

degenti

spogliatoio

soccorritori

deposito

medicinali

deposito

rifi uti

Pianta: distribuzione funzionale della struttura interna

Distribuzione funzionale

Page 238: Premio Nobile - AREA Science Park

238

Pianta: misure della struttura interna; le frecce indicano gli accessi ai vani_scala 1:50_misure in metri

Page 239: Premio Nobile - AREA Science Park

239

Pezzi componenti la struttura secondaria_scala 1:50

I montanti sono indicati con le lettere maiuscole, i correnti orizzontali con le lettere minuscole, i

correnti orizzontali curvi delle parti laterali con i nuneri

MONTAGGIO:

1_Montaggio delle due zone laterali 1 e 2-3; montaggio delle parti curve sui montanti: HH AA

BB CC su 3 HH HH su 2 agganciare i due pezzi;

2_Installazione dei pezzi centrali GG GG FF (che si posizioneranno, nella parte superiore, grazie

al movimento telescopico, sulle guide predisposte nelle lampade per dare maggior sostegno

alle stesse);

3_Montaggio dei pezzi lll;

4_Montaggggio ii ii ii mm;

5_Innalzamnto delle parti;

6_Aggancio tra GG ed EE con correnti ii ed FF AA con correnti mm.

I montanti sono telescopici per permettere una più facile installazione e stoccaggio.

I teli divisori sono gia inseriti nei correnti orizzontali curvi, mentre si dovranno installare i tre teli

che separeranno i servizi

A

A

B

E

C

C C

AE

D

D

D

ED

B

B

F

F

F

G

G

G

G

G

H

H H

H H

H H

H H

HH

i

i i i

i i i

l

l l l

m

m

m

1

1

2

2

3

3

I montanti sono telescopici per permettere una più facile installazione e stoccaggio.

I teli divisori sono gia inseriti nei correnti orizzontali curvi, mentre si dovranno installare i tre teli che separeranno i servizi dal

vano tecnico e il deposito dei medicinali dal guardaroba.

Page 240: Premio Nobile - AREA Science Park

240

I teli utilizzati per schermare sono in Nylon Ripstop (55gr/m2) le cui proprietà principali sono la leggerezza, la resistenza al

fuoco e l’idrorepellenza. Per le sue qualità meccaniche, oltre al campo delle tende per escursionismo, è utilizzato anche per

la produzione di vele per imbarcazioni, palloni per mongolfi ere e paracadute.

Particolare dell’aggancio della tenda alla struttura secondaria

Page 241: Premio Nobile - AREA Science Park

241

Sezione AA: inserimento degli impianti all’interno della struttura secondaria_scala 1:50_misure in metri

Vano tecnico: inser imento degl i impianti

Impianto di riscaldamento/condizionamento dell’aria

1

2

3

Per il sistema di condizionamento si è deciso di utilizzare un sistema di riscaldamento/raffrescamento integrato prodotto dalla ditta

Danterm. Il sistema prevede la possibilità di poter utilizzare un singolo elemento contemporaneamente anche per il condizionamento di

due unità, grazie a due uscite d’aria. Nell’eventualità di dover allestire due unita mobili di soccorso sanitario quindi non servirà trasportare

sul luogo un secondo elemento.

Il modello è AC-M7(H) MK, condizionatore di tipo portatile equipaggiato con riscaldamento elettrico con guaina

flessibile da 225mm, sviluppato appositamente per il condizionamento e riscaldamento di tende o altre strutture temporanee.

Dalla scheda tecnica sappiamo: “L’unità è progettata per lavorare all’esterno dell’ambiente da condizionare/riscaldare. La fornitura e la

ripresa di area da e verso l’ambiente da condizionare/riscaldare è effettuata tramite guaine di tipo coibentato. Sviluppata in ambito militare,

l’unità è estremamente robusta e facilmente trasportabile. La movimentazione manuale è possibile grazie alle ruote gommate (amovibili e

collocabili nella cofanatura) collocate alla base dell’unità. Utilizzando le apposite incanalature l’unità può essere movimenta tramite veicoli

dotati di forche, o sollevata tramite gru attraverso gli anelli posti sulla cofanatura.”

Particolare 1: dettaglio sistema di condizionamento

Page 242: Premio Nobile - AREA Science Park

242

Specifiche tecniche:

potere refrigerante: 7,6 kW

potere riscaldante: 7,2 kW

gas refrigerante: R 134a

alimentazione: 3 x 400 V x 50 Hz

colorazione: verde Nato (RAL 6014)

Guaine fl essibili coibentate per la ripresa e la mandata dell’area, facilmente trasportabili.

Termostato con cavo, per la regolazione della temperatura all’interno dell’ambiente da

condizionare.

Disegno tecnico tratto dal manuale della ditta Dantherm; guaina fl essibile; termostato.

Page 243: Premio Nobile - AREA Science Park

243Particolare 2: dettaglio linee

TERMOSTATO

CONTROLLO

LUCI

LINEA ELETTRICA

PER PRESE

LINEA ELETTRICA

PER LUCI

1

1

2

2

3

3

3

3

2

2

4

4

23 1

1_ zip saldata

2_ rinforzo della membrana

3_ membrana in neoprene

4_ membrana esterna

5_ membrana interna

6_ guaina fl essibile coibentata

7_ linea elettrica 12V

8_ linea termostato

6

78

Dettaglio dell’apertura nella membrana: vista esterna e sezione_scala 1:5

1

1

2

2

3

3

3

3

2

2

5

5

Page 244: Premio Nobile - AREA Science Park

244

Impianto elettrico per il collegamento di dispositivi elettromedicali ed elettrici

Per facilitare tutte quelle operazioni che necessitano l’utilizzo di energia elettrica si sono predisosti degli elementi di interfaccia

tra la rete di adduzione della linea elettrica e l’utente.

Attualmente il sistema è quello di bloccare alcune prese volanti alla struttura della tenda. Vi è però il problema che i fi li di

tali prese rimangono ad intralcio degli operatori. Il progetto propone una soluzione in cui vi è un sistema di interfaccia dotato

di prese che viene installato sui correnti orizzontali della struttura interna. I fi li di adduzione sono nascosti dal vano tecnico

(coperto dai teli integrati al sistema di illuminazione) e l’utente vede solamente l’elemento di interfaccia.

Prospetto: quadro prese per alimentazione elettrica dotato di spine esterne CEE incassate nella scocca dotate di sportellino di chiusura;sportellini chiusi

ed aperti_scala 1:5_misure in millimetri

INTERRUTORE DI

SICUREZZA

Page 245: Premio Nobile - AREA Science Park

245

Vista laterale: quadro prese di alimentazione elettrica posto sulla struttura secondaria; lato sinistro zona emergenza, lato destro zona degenza_

scala 1_5_ misure in millimetri

TELO DIVISORIO LINEA ELETTRICA

CORRENTI ORIZZONTALI

TELO DIVISORIO

Nel telo divisorio sono già predisposte le bucature

per l’inserimento degli elementi

SCOCCA IN PLASTICA ABS La plastica ABS è ottenuta per copolimerizzazione

di acrilonitrile, butadiene e stirene.

È ut i l izzata per la produzione di manufatt i

particolarmente resistenti all’urto.

INTERRUTORE DI

SICUREZZA

SPINA DI

ALIMENTAZIONE

Page 246: Premio Nobile - AREA Science Park

246

Servizi, spogliatoio e depositi

Nel progetto si è ritenuto necessario provvedere a garantire un livello di servizi minimo per il personale e per i degenti.

La richiesta è venuta direttamente dagli operatori in quanto trovano scomodo non poter, ad esempio, lavarsi le mani all’interno della tenda,

Attualmente devono infatti uscire e cercare un luogo fornito di tali servizi.

Inoltre, sebbene la struttura sia concepita per il trattamento di persone soggette a pericolo di vita, c’è stata la richiesta di installare anche

un servizio per i degenti per rispondere ad una necessità di fl essibilità della struttura. Può capitare ad esempio che unità predisposte per

l’accoglienza di codici rossi e gialli venga utilizzata anche da persone che non necessariamente sono immobilizzate. Per questo bisogna

garantire un livello minimale di servizi anche nell’area degenza.

Una ulteriore richiesta è stata quella di fornire un luogo in cui il personale medico può riporre i propri effetti personali per garantire un

maggiore ordine all’interno dell’unità.

Questa zona è stata individuata accanto al servizio igienico per i soccorritori per due ragioni individuare una area “riservata” al personale

e creare una zona di rispetto tra l’area in cui si opera e il servizio stesso.

Infi ne si è ritenuto necessario designare due luoghi per il deposito del materiale sanitario e dei rifi uti.

Per il primo è stata individuata l’area più vicina alla porta d’accesso in modo da non ostacolare le operazioni dei soccorritori interne alla

tenda; per il secondo si è invece individuata una zona lungo il corridoio di servizio in modo da garantire, quando necessario, la rapida

evacuazione dei rifi uti senza dover passare attraverso la zona d’emergenza.

Toilette portatile modello PP 365

dimensioni: 379 x 419 x 414 mm (l x p x h)

sistema di risciaquo: manuale, pompa a pistone

capacità serbatoio di scarico: 21l

capacità serbatoio dell’acqua pulita: 15l

peso netto: 3,7kg

Toilette portatile

Servizi

Il sistema per garantire ai sanitari la possibilità di lavarsi le mani è stato pensato partendo dagli attuali sistemi che prevedono

un telaio generalmente di acciaio e l’utilizzo di taniche rigide (quando non ci sia la possibilità di allacciamento alla rete

idrica).

Sistemi esistenti di lavandini pieghevoli; Offi cine Stefanutto e Ferrino

Page 247: Premio Nobile - AREA Science Park

247

Guardaroba

Jumbo Box CS: armadio guardaroba con resistente asta

portavestiti, un ripiano interno ed un ripiano superiore

esterno. La parete posteriore dispone inoltre di un’apertura di

ventilazione.

Peso 5,4 Kg

57 x 47 x H140 cm aperto

70 x 50 x H12 cm chiuso

Il lavandino proposto prevede 4 montanti telescopici su cui

sono inseriti 4 ripiani in plastica abs.

Nel primo e nell’ultimo troveranno alloggio le due taniche

ripiegabili ( e che quindi in fase di stoccaggio non

occuperanno eccessivo posto).

Una guarnizione con tappo avvitabile permetterà di

agganciare lo scarico del lavandino con la tanica inferiore

che servirà da vaso di raccolta.

Un tradizionale tappo con rubinetto permette il dosaggio

dell’acqua.

Sistema telescopico

Armadietto Jumbo Box Cs, Brunner International

Page 248: Premio Nobile - AREA Science Park

248

Impianto di i l luminazione

LAMPADA A

LAMPADA B

LAMPADA A

LAMPADA C

L’impianto di illuminazione è stato progettato in modo da garantire una corretta illuminazione dell’interno ed agevolare le

attività mediche.

Durante la progettazione si è deciso di integrare il sistema delle luci con i teli divisori mobili che permettono di delimitare o

meno le diverse aree.

Conseguentemente, per garantire la più ampia fl essibilità dello spazio interno all’unità sanitaria, si è deciso di mantenere il

sistema appeso, senza presenza di montanti che possono ostacolare le attività.

In questo modo gli operatori sono totalmente liberi di scegliere la confi gurazione spaziale più idonea al momento.

Le lampade individuate con la lettera A hanno dei teli mobili divisori che presentano un appesantimento della parte inferiore

(tramite una fascia di materiale tessile aggiuntivo o piccole sfere di piombo) per impedire che con l’aria abbiano un effetto

vela. Nel caso in cui non servissero, i divisori possono essere agganciati tramite una clip al telo della struttura secondaria

posta sulla sinistra.

Le lampade C non presentano teli divisori ma hanno integrato l’interruttore per l’accesione o lo spegnimento delle luci.

Infi ne i teli delle lampade B copriranno il vano tecnico costituito dalla struttura secondaria.

Queste lampade, essendo appese solo al palo centrale, per sicurezza, avranno la possibilità di poggiare sui montanti centrali

del vano tecnico, realizzati leggermente più alti degli altri proprio per assolvere a questa necessità.

Impianto di illuminazione_scala 1:50_misure in metri

Elemento per il fi ssaggio del

telo divisorio tra due postazioni in area

d’emergenza

Page 249: Premio Nobile - AREA Science Park

249

Lampada A

1

2

2

3 3

4

5

6

1_ Aggancio alla struttura principale

2_Incastri per collegamento con altri

moduli

3_Lampade led

4_Vano si passaggio corrente elettrica

5_Sfera per lo spostamento del telo

separatore

6_Telo separatore

7_apertura della scocca per passaggio

luce con element in plastica trasparente

8_taglio nella scocca per permettere

(dopo l’allentamento delle viti di

colegamento) la sostituzione delle

lampade guaste

Scocca in materiale plastico antiurto

(ABS);aggancio a struttura in fi bra di

carbonio

2

2 77

8

Profi lo, sezione interna e prospetto della lampada A_scala 1:2_misure in millimetri

Page 250: Premio Nobile - AREA Science Park

250

Sezione lampada A_scala 1_2; profi lo lampada B; sezione lampada B _scala 1:5_misure in millimetri

Per permettere un facile stoccaggio delle lampade e dei teli separatori le parti terminali delle lampade hanno un tappo

rimovibile. In questo modo i teli con le relative sfere possono essere messi o tolti a seconda delle situazioni.

Lampada B

Le lampade B hanno una forma tale da permettere ai teli di coprire il vano tecnico in cui sono inseriti gli impianti.

Page 251: Premio Nobile - AREA Science Park

251

Schema di controllo delle luci e posizionamento degli interruttori

linea A

linea B

Per l’accensione e lo spegnimento alcuni moduli sono provvisti di un interruttore. Questo è collegato alla lampada attraverso un cavo

avvolgibile che permette di essere esteso quando le lampade sono installate. Al momento del disassemblaggio l’interruttore trova alloggio

all’interno del profi lo modifi cato della scocca della lampada.

Lampada C

Sezione lampada C con interruttore_scala 1:2_misure in millimetri

Page 252: Premio Nobile - AREA Science Park

252

B

Pianta: punti di agganzio delle lampade sulla struttura_scala 1:50

Aggancio alla struttura

B

B

Page 253: Premio Nobile - AREA Science Park

253

Sezione BB: interno dell’unità mobile di soccorso sanitario_scala 1:50_misure in metri

Particolare dell’aggancio delle lampade alla struttura principale_scala 1:5

MEMBRANA ESTERNA

MONTANTE

ELEMENTO PER IL

FISSAGGIO ALLA STRUTTURA

LAMPADA

ELEMENTO DI AGGANCIO

diametro 20mm

Page 254: Premio Nobile - AREA Science Park

254

Particolare dell’aggancio della tenda di separazione tra le due postazioni in zona emergenza in corrispondenza della lampada B

Page 255: Premio Nobile - AREA Science Park

255

Pianta: carrello con attrezzature sanitarie_scala 1:10_misure in millimetri

1_ lampada

2_ binario per scorrimento lampada

3_ porta fl ebo e tubi

4_ prese per alimentazione elettrica

5_ porta rotolo di carta

6_ presa di corrente generale

1

2

3

4

5

6

Il binario su cui scorre la lampada è dotato di una guaina elastica che segue il movimento dell’apparecchio in modo da coprire

lo stesso binario e impedire allo sporco di entrare. Per bloccare la lampada in una posizione è suffi ciente azionare i fermi

posti a lato.

La prima principale attrezzatura utilizzata dai medici in una unità mobile per il soccorso sanitario è un carrello o armadietto in

cui sono contenuti farmaci e attrezzature.

Nel progetto si è ripensato l’elemento some sistema integrato di tutte quelle facilitazioni utili al lavoro del medico.

Per prima cosa si è ritenuto necessario integrare al carrello una lampada che serve al soccorritore per vedere in maniera

ottimale la zona del corpo su cui interviene. Attualmente la lampada è indipendente e, a causa del cavo di alimentazione e

della pesantezza, interferisce notevolmente con le operazioni.

Il nuovo punto luce può invece scorrere lungo il carrello e raggiungere le zone da illuminare comodamente, grazie anche al

braccio fl essibile. In questo modo si dovrà solamente avvicinare il carrello al paziente per avere a disposizione il necessario.

Sul braccio rigido è stato predisposto un elemento ruotabile il quale presenta delle scanalature per il posizionamento di

eventuali tubi per la resipirazione/aspirazione e due portafl ebo

A supporto delle attrezzature elettromedicali sono state predisposte delle prese di corrente localizzate in posizione centrale;

è stato integrato un sistema per il fi ssaggio del rotolo di carta assorbente e a lato si è predisposto un piano ribaltabile che

all’ocorrenza può aumentare la superfi cie utile del carrello.

Il piano di lavoro ha un bordo rialzato per evitare la tracimazioni di eventuali liquidi dispersi.

Il carrello è dotato di 5 cassetti colorati secondo le prescrizioni per individuare in modo immediato la localizzazione di un tipo

specifi co di attrezzatura o medicinale (rosso: cardiocircolatorio, blu: supporto respiratorio; verde: materiali diversi) e di uno

scompartimento a ribalta da utilizzare come cestino).

La corrente elettrica viene attinta attraverso una presa di corrente posta sul retro.

Il basamento è completo di quattro ruote piroettanti, di cui due con freno.

Carrello medico

Page 256: Premio Nobile - AREA Science Park

256

Vista anteriore e posteriore: carrello con attrezzature sanitarie_scala 1:10_misure in millimetri

Page 257: Premio Nobile - AREA Science Park

257

Page 258: Premio Nobile - AREA Science Park

258

Lettino piegevole per le prime cure e brandine degenza

A completamento dell’allestimento dell’unità mobile di soccorso sanitario vi sono i lettini della zona emergenza e le brandine

per la zona degenza.

Sono già disponibili sul mercato elementi pieghevoli e facilmente trasportabili.

Per l’area emergenza si è adottato il lettino pieghevole per triage, mentre per l’area degenza la brandina de luxe tutto della

ditta Ferrino.

Nel secondo caso, per la scelta del prodotto, si è deciso di scegliere una brandina che fosse abbastanza comoda (che signifi ca

larghezza adeguata) ma che al contempo avesse un peso contenuto.

La brandina de luxe ha le seguenti caratteristiche:

_ misure aperta: 200x75x45 cm

_ misure chiusa: 100x20x13 cm

_ peso: 6,5 kg

In robusto alluminio con telo in poliestere leggermente imbottito per garantire un maggior isolamento

dall’umidità del terreno e con misure più ampie per un migliore comfort. Custodia con tracolla per il

trasporto.

Brandina de luxe, Ferrino

Per quanto riguarda il lettino in cui si prestano le prime cure nell’area emergenza si è aggiunta una modifi ca al lettino

pieghevole in commercio della Ferrino.

Dall’analisi dei fl ussi e della movimentazione dei feriti era necessario pensare a come i pazienti venissero trasportati

dall’area emergenza a quella degenza. Naturalmente un codice rosso-giallo non può camminare, in situazioni di emergenza

non vengano trasportate sul luogo della crisi e utiliizate, almeno nelle prime ore, barelle dotate di ruote e le tavole o i teli che

utilizzano i soccoritori per il recupero dei feriti devono essere riutilizzate nlela zona “cantiere” (si veda l’organizzazione dei

soccorsi_cap.4; cantiere: luogo dell’incidente seprarato dalla postazione di soccorso)

Prendendo quindi il lettino già in commercio è stato inserito un piano scorrevole sotto di esso in cui è lagata una tavola spinale

dalla ditta Kong (X trim 1). La caratteristica di questa tavola è quella di essere molto leggera, in quanto prodotta in fi bra di

carbonio, pieghevole in in due moduli e dallo spessore di 5mm. Questo tipo di prodotto è stato concepito per il trasporto su

eliambulanza, dove peso e spazio occupato devono essere ridotti al massimo.

Per permettere lo scorrimento del piano su cui è poggiata la tavola spinale è necessario porre il porta rotolo di carta (che serve

per garantire l’igiene ad ogni cambio di paziente) sul lato dove si posizionerà la testa del ferito.

Caratteristiche tecniche:

- LETTINO PIEGHEVOLE PER TRIAGE

_ peso: 24 kg

_ misure aperto: 200 x 60 x H 70 cm

_ misure chiuso: 100 x 60 x H 10 cm

Pratico lettino pieghevole per uso sanitario, ha un’ottima stabilità. Il materiale di rivestimento è

facilmente lavabile e disinfettabile

- X-TRIM 1 (Tavola spinale in carbonio)

_ peso: 4,5kg

Page 259: Premio Nobile - AREA Science Park

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Nuova tavola spinale in fibra di carbonio. Peso ed ingombro ridotti al minimo, meno di 5 kg per uno

spessore di 5mm, importantissimo per facilitare la manovra “roll on”. Priva di qualsiasi parte in

metallo, è completamente radio-trasparente e quindi può essere inserita direttamente in T.A.C.,

risonanza magnetica e altri apparati diagnostici, evitando lo spostamento del paziente.

Concepita e realizzata per qualsiasi tipologia di soccorso: ambulanza,moto-mediche, elicottero, ecc...

Particolarmente adatta all’impiego in ambiente impervio, studiata nei particolari per l’abbinamento

con teli verricellabili (es: KONG mod. EVEREST), ideale per l’utilizzo in elisoccorso.

Cinghie di bloccaggio paziente (mod. TAYLAN) fornibili separatamente.

Ferrino, lettino pieghevole

Kong, tavola spinale in fi bra di carbonio

Si ritiene necessario pensare che l’unità mobile di soccorso sanitario sia fornita di più di una o due (a seconda delle postazioni

per l’emergenza) tavole spinali X trem 1. Questo perchè potrebbe rivelarsi utile nella gestione del paziente pensare che questo

possa essere posizionato sulla tavola spinale e non più slegato da essa fi no al trasporto in ospedale, riducendo al minimo

il rischio lesioni spinali e non. Naturalmente ci sarebbe poi il problema del recupero delle tavole per renderle nuovamente

disponibili nell’U.M.S.S. ma si ritiene che la gestione paziente-supporto debba essere valutata da coloro che organizzano la

catena dei soccorsi e non può rientrare nelle competenze del progettista.

Rimane il fatto che può rivelarsi comunque utile la presenza di un numero maggiore di tavole spinali rispetto a quello minimo

da garantire.

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260

Vista dall’alto con tavola spinale e prospetto laterale: letto per la zona emergenza_scala 1:20_misure in millimetri

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261

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262INGRESSO

Porte e collegamenti con alte U.M.S.S.

USCITA

Page 263: Premio Nobile - AREA Science Park

263

La protezione dagli agenti atmosferici per le aperture d’ingresso ed d’uscita può essere fatta utilizzando due montanti

predisporti e innalzando la parte di membrana che si può aprire grazie a delle zip e che corrisponde all’ingresso (o uscita)

dell’unità. La membrana aperta può essere o arrotolata e fi ssata attraverso i ganci predisposti o appunto tesa sui due mon-

tanti. È poi possibile, attraverso i teli in dotazione, garantire anche la protezione laterale. Tutti i teli infatti sono dotati di zip che

permettono un rapido montaggio. La connessione di più moduli è resa possibile da un telo centrale dotato di due asticelle in

fi bra di vetro curvate che permettono all’acqua di scorrere verso i lati.

Nel caso in cui non si dovessero agganciare più moduli ma solo proteggere la singola entrata o uscita, la curvatura è resa

possibile dalle asticelle in dotazione per il tensionamento delle membrane nella parte inferiore.

È possibile inoltre installare sul lato interno della membrana esterna una zanzariera per ventilare l’interno evitando l’ingresso

di insetti.

Vista laterale del collegamento tra due moduli_scala 1:50_misure in metri

Schema degli elementi costituenti il collegamento tra i moduli_scala 1:50_misure in metri

Particolare dell’apertura delle membrane; particolare dell’attacco della zanzariera, vista interna

Page 264: Premio Nobile - AREA Science Park

264

Possibile organizzazione di più unità

Page 265: Premio Nobile - AREA Science Park

265

CALCOLO DEI PROBABILI PESI DELL’ U.M.S.S.

Di seguito si cerca di dare una indicazione relativa ai possibili pesi dell’U.M.S.S. per verifi care se lo scopo iniziale della tesi,

quello di garantire una struttura mobile relativamente leggera, che può essere trasportata con la maggior parte dei mezzi sia

stato raggiunto. In particolare si voleva cercare di limitare il peso della vera e propria struttura a meno di 1400kg, limite di

carico a gancio baricentrico dei modelli di elicottero civili utilizzati in Friuli Venezia Giulia dall’Elifriulia.

Da tenere in considerazione che tali pesi sono calcolati in base ai materiali e al dimensionamento ma potrebbero variare in

funzione delle lavorazioni.

In “Linee guida per l’organizzazione dei servizi di soccorso sanitario con elicottero” si sottolinea come “allo scopo di ridurre

i tempi di intervento di soccorso primario e di trasporto secondario a mezzo elicottero, nonché di poter disporre di maggiori

risorse immediatamente attivabili in caso di calamità o di maxi emergenze per ottimizzare l’utilizzo dei mezzi,

razionalizzandone l’impiego ed i costi relativi, si conviene di poter stipulare tra Regioni limitrofe confi nanti, e comunque nelle

zone interessate dalle possibilità operative dei mezzi aerei, convenzioni che assicurano il reciproco intervento degli elicotteri

disponibili per operazioni di soccorso”.1

Si riportano di seguito le caratteristiche dell’elicottero Ecureuil AS 350 B3 prodotto dall’Eurocopter utilizzato dalla ditta Elifriulia

per le attività di soccorso della Protezione Civile del Friuli Venezia Giulia:

Motori: 1 Turbomeca Arriel 2B

Potenza: Max al decollo 847 HP, MAX continua 728 HP

Posti: 1 pilota + 5 passeggeri

Pesi: Max al decollo kg 2250; carico pagante kg 950; gancio baricentrico kg 1400

Dimensioni: Lunghezza m.12,9 larghezza m.2,53 altezza m.3,14 diametro rotore m. 10,7

Prestazioni: Hovering fuori effetto suolo m. 3500, quota tangenza m. 5000 (pratica); velocità salità

m/sec 9,25: velocità max Kh/h 287; velocità max di crociera Km/h 245

Carburante: Serbatoio litri 540

Autonomia: Km 662

Verricello: Elettrico lunghezza cavo m.50; carico utile kg 204

Barella: Piguillem e Barella universale

AS 350 B3, immagini del modello e trasporto con gancio baricentrico

1 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province automome di Trento e Bolzano, Accordo, ai sensi dell’art.4

del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, recante “Linee guida per l’organizzazione dei servizi di soccorso dei servizi di soccorso sanitario con elicottero”

Page 266: Premio Nobile - AREA Science Park

266

ELEMENTO MATERIALE DIMENSIONI PESO PER UNITÀ TOTALEfi bra carb.

TOTALEavional

struttura principale

montanti verticali fi bra di carbonio

avional (duralluminio)

52100cm3/0,0512m3

52100cm3/0,0512m3

1560kg/m3

2700kg/m3

81,2kg

140,6kg

correnti orrizontale fi bra di carbonio

avional (duralluminio)

52100cm3/0,0512m3

52100cm3/0,0512m3

1560kg/m3

2700kg/m3

32,5kg

56,26kg

palo centrale con anello fi bra di carbonio

avional (duralluminio)

52100cm3/0,0512m3

52100cm3/0,0512m3

1560kg/m3

2700kg/m3

12kg

20kg

giunti fi bra di carbonio

avional (duralluminio)

52100cm3/0,0512m3

52100cm3/0,0512m3

1560kg/m3

2700kg/m3

8kg

15kg

struttura secondaria

divisori interni fi bra di carbonio

avional (duralluminio)

52100cm3/0,0512m3

52100cm3/0,0512m3

1560kg/m3

2700kg/m3

60kg

105,3kg

membrane

membrana interna Birdair Tensotherm circa 100m2 1.8kg/m2 180kg 180kg

membrana esterna Gore Tenara 3T40HF circa 100m2 0,925kg/m2 92,5kg 92,5kg

pavimentazione

livellante

Polifl ex

Brunner International

circa 77m2 2,5kg/m2 192,5kg 192,5kg

telo pavimento polietilene bassa densità circa 70m2 0,2kg/m2 14kg 14kg

teli divisori interni

mobili e fi ssi

Nylon Ripstop 70D circa 88m2 0,055kg/m2 4.8kg 4.8kg

totale: 677,6kg

totale: 820,6kg1

lampade2 plastica abs, altro - - -

ACCESSORI QUANTITÀ PESO PER UNITÀ TOTALE

lettini emergenza 2 24kg 48kg

tavole spinali 2 4,5kg 9kg

brandine degenza 4 6,5kg 26kg

ripostiglio vestiario 1 6,2kg 5,4kg

wc chimico 2 3,7kg 7,4kg

totale 96.6 773,4 916,4

lavandino portatile2 2 - - - -

carrello medico2 2 - - - -

1 Da considerare che il peso potrebbe essere maggiore vista la probabile necessità di aumentare il diametro dei profi lati rispetto a quelli in fi bra di

carbonio

2 Non è possibile calcolare il peso degli elementi progettati ex novo in quanto il loro peso non dipende solamente dai materiali prescelti per realizzarli

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MODELLINO

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C O N C L U S I O N E

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273

Trasportabilità, trasformabilità, fl essibilità, adattabilità e infi ne temporaneità sono stati i requisiti che hanno accomunato le

ricerche fatte per questa tesi nei diversi campi.

Il progetto di una unità mobile di soccorso sanitario (U.M.S.S.) ha infatti stimolato la curiosità verso tutti quegli aspetti che in

qualche modo infl uenzano e determinano le confi gurazioni delle architetture temporanee.

Fondamentale è stato capire che ruolo hanno avuto ed hanno tutt’oggi i progettisti nel momento in cui vengono chiamati a

defi nire un’architettura a supporto di una situazione di emergenza.

Come per ogni progetto, anche quello per l’emergenza richiede in prima istanza delle prestazioni basilari, ma se si cominciano

ad approfondire anche solo alcuni aspetti, si intuisce come la ricerca architettonica sia un continuo di rimandi, di richieste e

di esigenze che portano il progettista a percorrere una spirale di ricerca che sembra non avere mai termine.

Come dice Enzo Mari nel libro più volte citato “Progetto e passione”, “le diramazioni di ricerca individuate via via come prio-

ritarie corrispondono, secondo alternanze reciprocamente funzionali, a idee, procedure, materiali, tecniche e quant’altro” e “

se il processo di ricerca non può avere limiti perché ogni risposta a una domanda contiene in sé la formulazione di domande

successive, il progetto deve essere comunque concluso interrompendo il fl usso di domande.”

In questa tesi di certo non sono mancate le domande e i campi in cui si vedeva una possibile risposta a queste.

Ci siano stati principalmente due diversi fronti su cui si è realizzata la ricerca: il campo dell’architettura mobile e quello

dell’emergenza sanitaria, e come il progetto fi nale volesse essere un punto di sintesi di tutto il percorso fatto.

Fondamentale è stata poi la curiosità di scoprire come veramente vengano affrontate le emergenze direttamente da coloro i

quali le hanno scelte come scenario lavorativo.

Le competenze degli operatori della protezione civile, dei militari e dei medici (di cui sono riportati degli stralci delle interviste)

si sono rivelate imprescindibili per la progettazione di una unità mobile di soccorso sanitario che vuole essere funzionale e

realizzabile.

Dal punto di vista architettonico ho potuto appurare come il concetto di mobilità è portatore di innumerevoli rimandi, come

quello della leggerezza, della fl essibilità e dell’adattabilità, concetti che sono molte volte da stimolo per l’innovazione

tecnologica.

L’approfondimento che è stato fatto rispetto all’aerogel ha evidenziato come la ricerca prestazionale all’interno di quel settore

che è considerato per eccellenza il campo della leggerezza in architettura, cioè quello delle membrane tessili, ha portato

benefi ci a tutto il campo architettonico che richiede alti isolamenti termici.

È per questo motivo che ritengo che l’architettura mobile è da considerare di pari dignità di quella tradizionalmente intesa, ed

anzi, debba divenire il campo della possibile e vera sperimentazione architettonica. Ho infatti più volte sottolineato come nel

campo dell’edilizia le innovazioni tecnologiche in genere derivino da transfert tecnologici e non da “rivoluzioni” interne.

Nella defi nizione della nuova unità mobile di soccorso sanitario ho constatato come progettare un elemento dalle dimensioni

ridotte ma che richiede prestazioni eccellenti pone questioni e problematiche che non possono essere tralasciate; non

progettare e defi nire un particolare in una architettura mobile signifi ca molto probabilmente il fallimento in fase realizzativa.

Tutti i componenti infatti devono essere visti prima nella loro specifi cità e poi all’interno della globalità progettuale.

Il cambiamento di un componente comporta delle ripercussioni generali.

Se poi l’architettura mobile deve provvedere anche alle esigenze sanitarie la necessità di affrontare il progetto in modo

organico è fondamentale. Le alte prestazioni non devono essere garantite solamente dall’involucro, ma anche dalle risorse

interne, le quali a loro volta devono integrarsi con la struttura.

In conclusione si può dire che la progettazione di un’unità mobile di soccorso sanitario e di un’architettura mobile in generale

fa capire come il progetto architettonico è da considerarsi alla stregua di un viaggio nel quale vi sono delle tappe obbligate,

defi nite dalle richieste prestazionali di base, e delle tappe che non sono state pianifi cate in fase organizzativa, ma che il

viaggiatore-progettista ha voluto fare perché incuriosito o spinto dalla corrente delle idee.

Può succedere che durante il percorso il viaggiatore sia confuso, che alle volte non capisca proprio perché si ritrovi in quel

luogo, ma è alla fi ne del viaggio che diviene chiaro ed esplicito il fi ne di tutto, perché tutte le esperienze si concatenano

e trovano una loro posizione nel tutto. Credo che il progetto sia da considerarsi come la fi ne del viaggio, un sistema di

esperienze maturate nel tempo, di sensazioni e di pensieri. Sicuramente il viaggio poteva essere diverso e avrebbe portato

anche a risultati diversi ma

“ognuno di noi è al centro d’una leggenda meravigliosa: tutto il passato che conosciamo (e quindi viviamo nel nostro

presente), tutto il presente che conosciamo (e che quindi viviamo), tutto il futuro che intuiamo e prepariamo (e quindi viviamo:

operare è soltanto per il futuro) sono simultanei nella nostra conoscenza: esistono soltanto nella nostra esistenza….

La vita è una meravigliosa leggenda, ricchissima, inesauribile, nella quale concorrono simultaneamente il passato e il presente

che conosciamo, ed è una meravigliosa simultaneità di luoghi, di tutti i paesi che sappiamo.”

Giò Ponti_ Amate l’Architettura_

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B I B L I O G R A F I A

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277

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John Chilton, Atlante delle strutture reticolare, Utet, 2002, Torino

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278

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Paolo Deganello, La vecchia guardia non muore mai, Domus, n°908, novembre 2007, pagg. 76-84

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280

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NORMATIVA E DOCUMENTI RELATIVI AL SETTORE MEDICO E DELLA PROTEZIONE CIVILE

Gazzetta uffi ciale dell’Unione europea L 20/23, 24.1.2008

Decisione della Commissione del 20 dicembre 2007 recante modifi ca della decisione 2004/277/CE, Euratom per quanto

concerne le modalità di applicazione della decisione 2007/779/CE, Euratom del Consiglio che istituisce un

meccanismo comunitario di protezione civile.

Accordo ai sensi dell’art.4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province automome di

Trento e Bolzano, “Linee guida per l’organizzazione dei servizi di soccorso dei servizi di soccorso sanitario con elicottero”

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dell’emergenza intraospedaliera a fronte di una maxi-emergenza, settembre 1998

Gazzetta Uffi ciale, n. 44 del 23 febbraio 2005, Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri

Presidenza de Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, “Linee Guida per l’individuazione delle Aree di Rico-

vero per Strutture Prefabbricate di Protezione Civile”

Decreto del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, n° 1243 del 24 marzo 2005 (approvato con)

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, “Manuale tecnico per l’allestimento delle aree di

ricovero per strutture prefabbricate di Protezione Civile”

Gazzetta Uffi ciale - serie generale- n°81 del 6 aprile 2001 (Suppl. Ordinario n° 116), ALLEGATO A, “Criteri di massima

sulla dotazione di farmaci e dispositivi medici di un Posto Medico Avanzato di II livello utilizzabile in caso di catastrofe” in,

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Servizio Emergenza Sanitaria, Comunicato relativo

al decreto del ministero dell’Interno delegato per il coordinamento della Protezione Civile 13 febbraio 2001 concernente:

Adozione dei “Criteri massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi ”

Gazzetta Uffi ciale – serie generale – n. 81 del 6 aprile 2001 (Suppl. Ordinario n° 116), decreto,

“Criteri di massima sulla dotazione di farmaci e dispositivi medici di un Posto Medico Avanzato di II livello utilizzabile in caso

di catastrofe”

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Environmental Energy Technology Division - Lawrence Berkeley National Laboratory: //eetd.lbl.gov/ECS/Aerogels/sa-home.html

Nasa: http://curator.jsc.nasa.gov/stardust/aerogel.cfm

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http://stardust.jpl.nasa.gov/news/status/060207.html

Brevetti internazionali: www.wipo.int

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www.airglass.se

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w1.cabot-corp.com

www.cabot-corp.com/cws/Objects.nsf/objects/Nanogel_landing_page.html/$fi le/Nanogel_landing_page.html

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www.acralight.com

www.acralight.com/nanogel.html

www.cptsystems.com

www.alcaud.fr/site/rubrique.php3?id_rubrique=112

www.duo-gard.com

www.supersky.com

www.wascoskylights.com

www.roda.de/welcome.php

www.xtralite.co.uk

www.pilkington.com

www.okalux.de

www.birdair.com

PROGETTISTI - STUDI DI ARCHITETTURA -PROGETTI

www.adpsr.org

www.arqchile.cl/modulos_habitables.htm

www.arq.utfsm.cl _Departamento de arquitectura de la Universidad Tecnica Federico Santa

Maria, Val Paraiso, Chile

www.architectureforhumanity.org

www.architetturatessile.polimi.it

www.bfi .org _ Richard Buckminster Fuller Institute

www.burohappold.com

www.cameronsinclair.com

www.concretecanvas.org.uk

www.coop-himmelblau.at

www.fabermaunsell.com

Page 282: Premio Nobile - AREA Science Park

282

www.ftlstudio.com

www.future-systems.com

www.grunch.net/snelson

www.hoberman.com

www.homeandspace.org

www.itdg.org

www.kennethsnelson.net

//kierantimberlake.com/home/index.html

www.maki-and-associates.co.jp/e/index.shtml

www.noguchi.org

www.noxarch.com/

www.planning.org/25anniversary/infl uentials.htm

www.plataformaarquitectura.cl

www.shelterproject.org

www.strongangel.telascience.org

www.studiogang.net

www.tensinet.com _Associazione per lo studio interdisciplinare sulle tensostrutture

www.tilke-ac.de

www.under-construction.it

//worldshelters.org

TENDE - CONTAINER - CARRELLI

www.aerosekur.it

www.bertonitende.it

www.camp.it

www.edyprogetti.it

www.eurovinil.it

www.ferrino.it

www.gggele.it/pma.html

military.eurekatents.com

www.mschall.de

www.plastic-sheeting.org _download “Guidelines July 2007: Plastic sheeting 2007”

www.protezionecivile.ferrino.it

www.thenorthface.com

www.uniteamcontainer.com

ACCESSORI

www.kong.it _Sicurezza sul lavoro, accessori per soccorso alpino

www.brunnerinternational.com _Prodotti per attività outdoor

PROTEZIONE CIVILE

www.ispro.it _Istituto studi e ricerche sulla protezione e difesa civile

www.protezionecivile.it

www.protezionecivile.fvg.it

www.regione.vda.it/protezione_civile/default_i.asp

SANITÀ - ORGANIZZAZIONI UMANITARIE

www.118er.it _8 Emilia Romagna con manuali e normativa di riferimento

www.cri.it _Croce Rossa Italiana

www.doctorswithoutborders.org

www.icrc.org _International Committee of the Red Cross

www.ifrc.org _International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies

www.mfs.org _Medici Senza Frontiere

www.nsis.ministerosalute.it _Linee guida per l’emergenza del ministero della salute

www.oxfam.org _confederazione internazionale di 13 organizzazioni umanitarie non

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283

governative

//orgmail2.coe-dmha.org/dr/fl ash.htm _book online su disaster response, principle of preparation and

coordination

www.redr.org _Croce Rossa Inglese

www.sanita.segreteria.sm _CEMEC - Centro Europeo per la Medicina delle Catastrofi

www.sphereproject.org _È possibile scaricare il manuale “Humanitarian Charter and minimum

Standards in Disaster Response”

www.unhcr.org _Alto Commissariato ONU per i Rifugiati

www.usaid.gov _United State Agency for International Development

www.who.int _Organizzazione mondiale della sanità

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R I N G R A Z I A M E N T I

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I primi ringraziamenti vanno a tutti coloro che mi hanno aiutato durante questa avventura e senza i quali probabilmente non sarei mai

riuscita a sapere tutte le cose che mi sarebbero servite per il progetto:

la dottoressa Anna Poggi, sempre disponibile ad ogni mia richiesta

il colonnello Luigi Ziani, fonte di inesauribili informazioni

Giorgio Visintini della protezione civile del Friuli Venezia Giulia, Franco Picilli e Arrigo Natolini della sezione di Majano

il dottor Perraro, il primo che mi ha dato informazioni sulle emergenze sanitarie

il dottor Roberto Peressutti, per le fonti bibliografi che e non

Marco Villettaz, dell’uffi cio pianifi cazione e progettazione emergenza della protezione civile della Valle d’Aosta, che non ho mai

conosciuto di persona ma che mi ha mandato in tempi rapidissimi tutte le informazioni tecniche e le fotografi e del modulo di soccorso

elitrasportato M.A.P.I. H

l’Eurovinil e Umberto Zanobi per tutte le informazioni sui loro prodotti

Alessandro Aita e Christian Purdel per tutte le preziose informazione sull’aereogel e sul settore aeronautico

Francesco Sicchiero, grande amico, sempre disponibile e che senza di lui probabilmente non avrei mai conosciuto alcune delle persone

sopra citate.

il primo ringraziamento non tecnico è per mantenere una promessa fatta:

alla mia mamma...che quando ho cominciato la scuola materna pensava che non avrei mai potuto fi nire i tre anni previsti (in effetti uno

l’ho evitato grazie ad azioni di sabotaggio); che quando ho iniziato la scuola elementare pensava non sarei mai riuscita ad imparare a

leggere e scrivere; che quando ho iniziato la scuola media pensava, non si sa per quale motivo, non avrei mai studiato il dovuto; che

quando ho deciso di andare al Marinelli pensava che non ce l’avrei mai fatta; che quando ho deciso di andare a Milano si è rivolta a

tutti i santi disponibili, ma che dopo la prima laurea gli è sorto qualche dubbio.

A mia mamma che quando ho deciso di cambiare rotta e tornare a Udine mi ha sostenuto, anche se sapeva che quella scelta era

forse la più diffi cile che avessi mai preso.

Alla mia mamma che in realtà, sotto sotto, mi ha sempre spinto a seguire le mie passioni e a perseguire quello che desideravo.

Un grazie a papà (alla fi ne ce l’hai fatta a farmi laureare in Architettura!) per il sostegno e la sua preziosa esperienza, a Sabry per i

messaggi “incoraggianti” lasciati durante le visite a casa, naturalmente grazie a Luca per il supporto su tutti i fronti e per il fatto di essere

l’unico che ha letto e che probabilmente leggerà la tesi dall’inizio alla fi ne.

Un grazie ai nonni, perchè mi hanno insegnato tutte quelle cose che nessuna università potrà mai insegnare.

Infi ne gli amici, quelli di una vita, Alessia e Michele, quelli milanesi, la Ke, Carlo ed Ettore che sono stati per tre anni la mia seconda

famiglia (e un pò, sebbene la lontananza, lo sono ancora) , quelli udinesi, Alessia, Dario, Emanuele, Erica e Alessandro che nell’ultimo

anno hanno condiviso con me gioie e dolori univeristari.

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