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Carta dei Servizi 2016

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Premessa

Carta dei Servizi

2016

Roma, 28 febbraio 2016

Premessa

BeFree cooperativa sociale contro tratta violenze discriminazioni nasce con l'intento di mettere al centro della propria attività il tema della violenza contro le donne, della tratta di esseri umani e delle discriminazioni: queste tematiche sono analizzate e confrontate in tutti i loro aspetti e complessità nel contesto del sistema culturale, legale ed etico che le genera e le rafforza.

Bisogna dunque attivare, per contrastare efficacemente la politica della negazione, una serie di interventi diversificati, ma tuttavia tutti coerenti con l'ottica di base, improntata al valore dei diritti umani di genere, e volta al perseguimento dell'empowerment, tanto per il target di riferimento quanto per le operatrici stesse, e alla diffusione del concetto di mainstreaming, con l'obiettivo di favorire modificazioni positive nella percezione socialmente diffusa sulle donne, gli altri, le diversità, e di veicolare una cultura della relazione e del rispetto.

Nata nel 2007, BeFree ha ottenuto l’affidamento di svariati servizi, essenzialmente grazie alla partecipazione a bandi pubblici, e ha potuto realizzare molte attività di formazione, sensibilizzazione, comunicazione.

Il veloce affermarsi della sigla è sicuramente dovuto all’esperienza pregressa della socie, che erano già state attive, per anni in altri enti del privato sociale dediti al sostegno delle vittime di violenza di genere, di tratta e di sfruttamento. In particolare, tutte le socie fondatrici hanno precedentemente lavorato in Centri antiviolenza, anche occupando ruoli di rilievo, ed addirittura, almeno in un caso, avendo progettato e realizzato il Centro stesso.

L'esperienza vissuta presso altri organismi del privato sociale ci ha reso consapevoli di alcune criticità che si sono “annidate”, nel tempo, all'interno della metodologia di intervento e nell'operatività degli enti “storici”, e che è nostra aspirazione/ambizione superare grazie ad una forte copartecipazione/coprogettazione all'interno del gruppo, dalle quali discendono linee progettuali che vanno a definire uno specifico processo produttivo, diventando i cardini di una produttiva potenzialità.

I principi della Carta dei Servizi

BeFree ha identificato come princìpi fondamentali della Carta dei Servizi, le seguenti azioni:

· Progettare servizi, formazione, eventi, in grado di contrastare in maniera integrata ed olistica la cultura della violenza, della discriminazione e del disconoscimento;

· Promuovere la rete ed applicare una politica mai autoreferenziale, favorendo iniziative di coinvolgimento di enti pubblici, del governo territoriale e del sociale in rete con la cooperativa finalizzate al miglioramento continuo;

· Prendersi cura di sé – ovvero delle socie e delle/dei collaboratrici/ori, favorendone il benessere all’interno della loro attività professionale.

Il contesto sociale

Le migliaia di vicende dolorose che le donne ci hanno raccontato in tanti anni di lavoro frontale a sostegno delle vittime di violenza spesso sollecitano nella nostra mente scenari inquietanti, e ci fanno venire alla mente un’immagine drammatica: la donna, sola con il suo dolore e sola ad affrontare le violenze, i maltrattamenti e gli abusi, si staglia come una silhouette in un deserto morale che, tuttavia, pullula di gente: i vicini di casa, gli amici e le amiche, parenti. Tutti che vedono, o che potrebbero vedere. Tutti che non capiscono, anche se potrebbero capire. Tutti che non intervengono, che non offrono un aiuto che potrebbe essere risolutivo.

Differentemente da altre criticità/ problematiche, inoltre, il ragionamento sul problema della violenza nelle relazioni di coppia coinvolge sfere profonde dell'identità e del vissuto personali, perché avviene nell'ambito delle relazioni affettive, e suscita sovente giudizi e pareri che non prescindono da sistemi valoriali e gerarchici (uomo/donna, supremazia/sottomissione, diritto/dovere) profondamente e spesso inconsapevolmente introiettati dal sistema sociale, politico, culturale contemporaneo. In buona sostanza, la collocazione domestica-intima della violenza agita dagli uomini nei confronti delle partner (e anche dei figli) ne “stempera” la connotazioni di reato, che, invece, viene riconosciuta dalla giurisprudenza nazionale e da tutte le dichiarazioni, direttive e raccomandazioni sovranazionali/ internazionali (UE, NU ecc.).

Riteniamo dunque quali criteri fondamentali che orientano la nostra progettazione e la nostra operatività i seguenti:

1) Impostazione di genere

2) Impostazione organizzativa

i) Supervisione clinica

ii) Supervisione tecnica

iii) Formazione continua

3) Approccio integrato e olistico

1) Impostazione di genere

La pratica della relazione politica tra donne nei servizi antiviolenza ha di fatto creato un modo diverso dell’approccio: equidistante dal colloquio analitico e dall’intervista del Servizio Sociale, e basato sulla formidabile intuizione della dimensione di genere.

Un’intuizione che ha permesso di raggiungere risultati notevoli e che tuttavia, a nostro parere, va ulteriormente affinata.

L’enorme lavoro frontale svolto ha sottratto tempo alla riflessione su cosa è un colloquio, su quali aspettative entrano in campo, sul fascino e la precarietà delle figure che entrano in contatto – donna vittima, operatrici.

L’orgoglioso abbandono di format già strutturati – quelli dello psicoterapeuta e dell’assistente sociale – hanno lasciato briglia sciolta ad una sorta di navigazione in mare aperto pericolosamente a rischio di ripetitività, massificazione, proiezioni inconsapevoli dell’operatrice, disagio e insoddisfazione dell’utente.

Molti anni di esperienza in servizi dedicati ci hanno condotto alla certezza dell’importanza di elaborare e attuare modalità d’approccio meditate. Buone pratiche perfettibili, “gabbie” metodologiche in cui racchiudere l’indicibile. Esercitazioni di competenza per l’operatrice, che vive dall’interno e sperimenta quotidianamente il binomio “operatività/studio-ricerca”. Nutrimento continuo della competenza comunicativa, è corollario implicito della pratica del “partire da sé” che informa l’agire in favore delle donne con un approccio di genere, che non può essere affidato unicamente all’empatia ed alla condivisione, ma deve prevedere protocolli condivisi, rassicuranti per l’operatrice quanto per la donna accolta.

Il ruolo dell’operatrice antiviolenza è sicuramente meno definito di quanto non sia quello dell’assistente sociale o del terapeuta, psicologo o psichiatra.

Meno netti sono i confini dell’alterità, giacché l’operatrice sente profondamente di condividere la sofferenza della donna vittima di violenza, perché è consapevole di condividere lo spazio sociale e simbolico nel quale la violenza avviene.

Nella pratica, tuttavia, la condivisione sovente genera confusione, in mancanza di protocolli stabiliti e condivisi, dei quali si sente un grande bisogno.

Bisogna dunque riflettere su come creare una forma ed un contenuto adatti a questo particolarissimo tipo di colloquio, così importante per realizzare la fuoriuscita dalla violenza di genere, anche attingendo alle modalità di altre e più convenzionali discipline.

È necessario attingere al patrimonio di competenze creato in molti anni di lavoro frontale, per trovare il modo di approccio più rispettoso della singola donna, e più consapevole del fenomeno in sé. Bisogna dunque prestare attenzione alla modalità dell’intervento, perché non sia interpretato dalla donna come intrusivo e precettistico – perché, in altre parole, non replichi, mutatis mutandis, l’attitudine direttiva del partner abusante

L’intervento mira comunque a incardinare un processo d’aiuto che la donna seguirà successivamente, seguendo i suoi tempi, che il servizio rispetta totalmente.

Si considera questa “attribuzione di senso” al sentire-percepire-percepirsi della donna un’operazione adeguata ad una maieutica affermazione del Sé – del percepirsi e del desiderare.

Le storie individuali delle donne che subiscono violenza da parte del partner vanno analizzate alla luce di un unico comune denominatore: il loro avvenire in un contesto sociale, in una cultura, in un sistema di ruoli, pregiudizi e stereotipi ancora improntato ad un concetto di subalternità di tutte le donne.

Condurre le donne seguite ad affrontare in questa ottica le vicende che le hanno segnate rappresenta un nodo fondamentale dell’accoglienza specializzata, perché consente alle “vittime” di sciogliere una serie di dubbi, di inadeguatezze e colpe personali in una visione chiara del contesto generale che ha fatto da “sfondo” alla propria biografia, e fa sì che l’operatrice si muova nei loro confronti con un atteggiamento empatico e non giudicante, e sia capace di individualizzare gli interventi e dare vita a progetti personalizzati adeguati.

Le loro biografie sono vicende che si collocano in un contesto di relazioni storiche tra i generi nel quale la predominanza del maschile è ancora netta, e gli archetipi fondanti del sistema patriarcale si percepiscono con grande evidenza.

Accompagnarle verso questa consapevolezza significa restituirle alle proprie potenzialità, aiutarle ad affrontare ed a superare i traumi subiti, dotarle di uno sguardo critico sul mondo che le circonda.

L’operatrice, da parte sua, riuscendo a contestualizzare nel “sistema” in cui la vittima si è trovata coinvolta molte criticità e molte difficoltà nella relazione d’aiuto, alleggerisce la percezione di peso del lavoro frontale, ed è facilitata nell’empatizzare e nel solidarizzare, nel praticare un ascolto attivo, nel “sistematizzare” molti fatti che emergono nel colloquio attraverso la propria conoscenza dei meccanismi psicologici dell’assoggettamento, nel contenimento delle ansie e delle angosce.

E questo sicuramente aiuta ad avere un atteggiamento equilibrato e realmente non-giudicante nei confronti delle donne che si sono imbattute in un’esperienza di relazione violenta, e ne hanno dovuto sorbire fino all’ultima goccia le conseguenze. Quelle nefaste, e quelle ambigue. Quelle di negazione, e quelle di (obliquo fin che si vuole) riconoscimento.

Facile cadere nella tentazione di considerarle semplicemente vittime, e di adoperarsi per assisterle, eterodirigendole, sostituendo ai diktat dei partner violenti una precettistica bonaria e/o intransigente. Sbagliato è praticare un’accoglienza basata su una (spesso inconscia) proprietà transitiva: è buono per te quello che è buono per me, per la società cui appartengo.

Le donne che chiedono di essere inserite nei progetti personalizzati di fuoriuscita sono state violate, stuprate, illuse e disilluse, rese vittime di reati camuffati da una distorta e diffusa percezione sociale che confonde la smania di possesso maschile con l’Amore dell’uomo nei confronti della donna.

Sono state immiserite nella propria percezione di sé, sono state minate nella loro autostima, sono rimaste impigliate per periodi anche lunghi in relazioni di coppia che hanno voluto o dovuto ritenere “d’amore”.

Un’efficace relazione d’aiuto nei loro confronti deve avere la competenza di tutti i reati che hanno subito, ed il know how adatto a intervenire su ciascuno di essi.

Non possono essere considerate semplicemente “soggetti in difficoltà”, da inserire in contesti d’accoglienza neutri e non improntati al punto di vista di genere.

Arduo e affascinante è dunque definire il più adeguato modello di accoglienza, capace di generare percorsi personalizzati di ri-promozione sociale, volti a devittimizzare le donne, animate da un sincero desiderio di elaborare i meccanismi che le hanno fatte cadere vittime della violenza, e di non scivolare mai più in quel vischioso territorio a ridosso delle proprie insicurezze, dovute a un contesto sociale complessivo nel quale la differenza delle donne nei confronti degli uomini è pensata, vissuta, elaborata come un “minus”.

L’esito, il valore aggiunto, le criticità, i ripensamenti e le affermazioni di una pratica di sostegno ispirata alla pratica politica delle relazioni tra donne è un oggetto ancora molto poco conosciuto, un materiale sostanzialmente in fieri, del quale non esistono sistematizzazioni.

Il lavoro deve essere dunque un continuo mutuare-travasare-attualizzare buone pratiche da un settore in un altro. Nella consapevolezza che il saper fare obbliga ad una serie di ripensamenti ed aggiustamenti di tiro; l’elaborare ne deve prendere atto, affinché il fare si rimodifichi e riattualizzi, in un processo continuo che può portare al conseguimento di difficili certezze.

2) Impostazione organizzativa: le politiche di valorizzazione del personale come strumento per l’empowerment dell’utenza

Le pratiche dell’accoglienza e del sostegno a donne in difficoltà, richiedono la presenza di uno staff altamente qualificato, in grado di lavorare in equipe, e centrato sui bisogni e sui progetti delle donne.

Da qui deriva la centralità della selezione, della formazione permanente e della supervisione sia clinica che tecnica delle risorse umane.

La peculiarità dei nostri progetti è l’essere tutti coesi ad un unico grande progetto di empowerment per le donne accolte e/o ospitate, nonché per il territorio e per la società civile in generale.

Questo fa sì che le operatrici abbiano un compito alto: penetrare il senso di questo complesso meccanismo e trovare, al suo interno, le modalità personali e condivise per collaborare alla riuscita del progetto generale e dei progetti individuali delle donne.

Tutto ciò non è possibile senza l’adeguato sostegno e riconoscimento al gruppo di lavoro, che deve essere formato da personale fisso, coeso, garantito – almeno per la durata del progetto -, costantemente formato e supervisionato.

Mutuando dal Rapporto del Gruppo di esperti sulla Tratta di esseri umani nominato dalla Commissione Europea, possiamo affermare che le operatrici di un Servizio come quello proposto debbono praticare un approccio non pregiudizievole, basato sul rispetto dei diritti umani, sensibile alle questioni di genere, rispettoso della cultura di appartenenza. La condicio sine qua non che le ONG debbono considerare per garantire protezione e empowerment, è assicurare una metodologia dell’accoglienza e del sostegno di tipo olistico e integrato, fornita da un gruppo di lavoro stabile, coeso, adeguatamente formato, aggiornato e supervisionato.[footnoteRef:1] [1: Tratta degli esseri umani – rapporto del gruppo degli esperti nominato dalla Commissione Europea – Roma 2005]

La rotazione delle operatrici, ovvero il susseguirsi di gruppi di lavoro diversi nel corso dell’anno solare (modalità organizzativa purtroppo diffusa, benché in ambiti fortunatamente ristretti e delimitati) è assolutamente dannosa per le utenti, che debbono trovare nel Centro persone adeguate ad offrire adeguata accoglienza, figure stabili, capaci di diventare riferimento autorevole, e di collaborare proficuamente all'importante progetto perseguito da ciascuna delle donne che vi si rivolgono.

Le operatrici costrette a lavorare per brevi periodi seguiti da lunghe disoccupazioni vanno incontro a gravi problemi personali, dei quali la struttura profondamente risente.

Il senso della precarietà affievolisce la motivazione professionale e politica, la breve tempistica della permanenza nel servizio impedisce la costruzione delle competenze, la consapevolezza della aleatorietà dell’impiego e l’esiguità dei compensi costringono le operatrici a conservare attività lavorative altre, anche di basso profilo, e sovente del tutto non attinenti, distogliendo energie che assai più proficuamente potrebbero essere rese disponibili al progetto di sostegno di donne in difficoltà.

Non si possono attivare progetti di empowerment nelle utenti se non si è, in prima persona, donne almeno mediamente soddisfatte e appagate dal proprio status.

Di più: l’aleatorietà dell’impegno in un luogo gravido di problematiche sensibili spesso fa sì che l’approccio alle tematiche sia volontaristico, assistenziale, permeato di buon senso e di buon cuore, connotato da una percezione di alterità e distanza dalle utenti o, al contrario, da anomale e non funzionali contaminazioni e dualismi, che possono arrivare ad espressioni di vittimizzazione vicaria, con grave nocumento per la stabilità emotiva di assistenti e assistite e, in generale, della relazione di aiuto.

L’impossibilità di essere presenti nelle varie fasi dei progetti spesso fa sì che le operatrici diventino a loro volta frustrate, demotivate o ferocemente motivate. Provano sentimenti di inadeguatezza, di prostrazione e di sfiducia nelle proprie capacità. L'investimento emotivo, che pure è parte della motivazione e va a configurare un – di per sé positivo – senso di appartenenza, non viene canalizzato in una struttura atta ad organizzare e contenere le relazioni, ma utilizzato, non senza ambiguità, come tramite per una fidelizzazione delle lavoratrici.

Non sostenuti nelle implicazioni inerenti il vissuto, queste ultime sono lasciate in balìa del burn-out.

Burn-out non del tutto scongiurato in condizioni di maggiore stabilità lavorativa ed economica, alla cui prevenzione un’organizzazione efficace/efficiente può provvedere con esiti positivi, dando attenzione alla prevenzione e alla gestione dei fattori stressogeni, che potrebbero provocarlo.

La lettura scientifica indica i fattori del burn-out nelle seguenti criticità:[footnoteRef:2] [2: F. Pellegrino, S. Abate, D. Della Porta, Burn-out, mobbing e malattie da stress, ed. Positive Press, 2005]

· sovraccarico di lavoro

· lavorare in strutture amministrative malgestite

· non avere rapporti soddisfacenti con i colleghi di lavoro

· mancanza di autonomia decisionale

· non avere buoni rapporti con i superiori

· presenza di problemi personali di tipo familiare o relazionale

· scarsa retribuzione

· mancanza di possibilità di collaborare e di scambiare idee con i colleghi

· non avere spazi e tempi prefissati per la propria crescita professionale

· la scarsa attenzione alla valorizzazione delle risorse umane

· la presenza di sistemi incentivanti non equi

· la mancanza di prospettive di carriera

· la presenza di un clima lavorativo carico di tensioni

· l’ambiguità di ruolo

· le incertezze rispetto alla stabilità del lavoro

· la burocrazia

Un’organizzazione del gruppo di lavoro attenta al benessere delle lavoratrici può sicuramente contrastare l’insorgere delle problematiche suesposte, e l’attenzione a coloro che si prendono cura delle altre è la chiave di volta per la costruzione di un team in grado di affrontare le criticità che dovessero presentarsi.

Strumenti fondamentali rivolti alle operatrici di BeFree sono:

i) Supervisione clinica

ii) Supervisione tecnica

iii) Formazione continua

i) Supervisione clinica

Il lavoro all’interno di un Servizio Antiviolenza mostra una complessità di intervento a più livelli (personale, organizzativo, d’equipe, di relazione, di obiettivi, di risorse) che se non interrogata ed esplorata costantemente e professionalmente rischia di divenire criticità statica, improduttiva sia per le donne che si rivolgono al Centro che per chi al suo interno lavora.

Uno dei rischi più comuni che un’operatrice antiviolenza può correre è infatti quello dell’identificazione: ovvero, l’operatrice può entrare talmente in risonanza con la donna che ha di fronte, da identificarsi con lei; i confini della relazione possono diventare sempre più labili fino a sviluppare la tendenza a sostituirsi alla donna, attivandosi al suo posto, spingendola così a mettere in campo soluzioni non elaborate autonomamente.

All’opposto del meccanismo di identificazione, l’operatrice può invece maturare un atteggiamento di proiezione verso la donna. Il rischio maggiore in cui può incorrere la relazione è, in questo caso, quello della polarizzazione operatrice-forte-salvifica e donna-vittima-da-salvare.

Anche l’onnipotenza - impotenza è un pericolo presente in chi opera in questi ambiti: chi interviene potrebbe concentrare su di sé tutto il potere, rimandando un’immagine di autorità e infallibilità che priva la donna di ogni possibilità di contrattare e intervenire attivamente nel proprio percorso.

Questo possibile slittamento di ruoli e di responsabilità può portare l’operatrice ad assumersi dei compiti e a mettere in atto degli interventi che non tengono minimamente conto della donna coinvolta, sopravvalutando o sottovalutando il suo percorso, ponendola di fronte a scelte difficili, non ancora maturate. Quando la donna non risponde alle aspettative dell’operatrice è facile che quest’ultima sviluppi poi un forte senso di frustrazione e di impotenza.

Infine, non si può tralasciare l’aspetto della vittimizzazione vicaria (o secondaria): l’immedesimazione che si può verificare quando le cicatrici e le ferite dell’operatrice sono riattivate dai racconti di violenza che ascolta dalle vittime. L’operatrice si può addossare le reazioni emotive della donna facendole proprie e non riuscendo a mantenere una giusta distanza e un’appropriata lucidità.

La vittimizzazione si riferisce, nello specifico, ad una trasformazione del trauma della donna accolta/ospite nella propria esperienza interna, risultante dall'incontro empatico con il materiale traumatico della donna stessa; gli effetti possono invadere anche la vita privata e relazionale dell'operatrice, con conseguenze estremamente complesse e dannose.

Di fronte a tali fattori di rischio la possibilità di incorrere in un’esperienza emozionale di burn-out per l’operatrice, e a cascata per l’equipe intera, è quindi alta ma non per questo non prevenibile o trattabile.

È proprio la consapevolezza di tali rischi che ha portato a maturare sempre di più l’esigenza di un confronto e di uno spazio dove poter accogliere anche le difficoltà vissute dall’equipe. Difficoltà però che non sono riducibili ai soli aspetti personali della singola operatrice. Spesso infatti il burn-out, come precedentemente affrontato, è il prodotto di una cultura organizzativa che necessita di revisionare/supervisionare le proprie premesse per far fronte alle criticità che si generano. Le sofferenze di un singolo operatore sono infatti da leggere come il sintomo manifesto di un disagio organizzativo latente. Proprio perché il disagio non è riconducibile unicamente alle caratteristiche o alla storia personale della singola operatrice ma è solitamente la manifestazione di una complessità gruppale - d’equipe diviene fondamentale richiedere l’intervento di un professionista esperto nella trattazione di tali dinamiche e che soprattutto sia esterno all’equipe stessa, al fine di poterle sviscerare e trasformare in materiale costruttivo.

Il già citato Rapporto del Gruppo di esperti sulla Tratta della Commissione Europea, ribadisce l’importanza della supervisione in particolari gruppi di lavoro che svolgono essenzialmente di cura.

È per tali ragioni che tutte le équipe dei vari servizi gestiti da Be Free si giovano dell’intervento di un supervisore esterno allo staff di lavoro, in grado di sostenere le miriadi di complicanze/ripercussioni emotive e lavorative che un lavoro sociale di questo tipo inevitabilmente presuppone.

È indubbia infatti l’influenza delle risonanze emotive che la relazione operatrice-donna vittima di violenza può avere sul vissuto di entrambe, così come quella derivante dalla relazione tra le operatrici dell’equipe stessa e quella tra contesto interno ed esterno e quanto questo, se non debitamente gestito ed elaborato possa indurre in “errori” di gestione del lavoro stesso.

È quindi necessario un supervisore esterno al team di lavoro che possa essere in grado di cogliere quegli elementi di criticità che potrebbero recare non solo malessere personale ma anche organizzativo andando ad incidere negativamente sull’andamento e sulla qualità del servizio offerto, al fine di poter sviluppare nell’equipe stessa quella competenza necessaria per intervenire in ottica di sviluppo e non di scarto dalla norma.

Riteniamo che il burn-out sia facilmente “allontanabile” se il gruppo di lavoro ha a disposizione la possibilità di affrontare insieme ad un esperto le eventuali difficoltà emotive e/o organizzative che nel corso del progetto potrebbero presentarsi; e se e soprattutto ad esso venga garantita anche una stabilità lavorativa che permetta un maggiore investimento nel lavoro stesso, un equo e libero dialogo tra tutti i lavoratori e l’assenza di un sovraccarico di ore di lavoro.

La supervisione rappresenta inoltre una valutazione di processo, in itinere, sull’operatività del gruppo di lavoro ed una possibilità di programmare e sviluppare gli interventi successivi, a partire dalla riflessione circolare tra l’accaduto e l’accadente, ovvero tra il là ed allora ed il qui ed ora. Funzione della spazio di supervisione è infatti quello di offrire una spazio di pensabilità che generi competenza riflessiva.

ii) Supervisione tecnica

Per supervisione tecnica esterna intendiamo l'attività di una professionista con grande esperienza nel sostegno alle vittime di violenza che presta la sua opera presso il Servizio gestito da BeFree soltanto in occasione di riunioni di staff specificatamente dedicate alla messa a punto dei progetti individuali delle donne e al monitoraggio delle azioni intraprese.

La supervisora rappresenta un punto di riferimento importante per:

· Affrontare i casi più complessi

· Mettere a punto una metodologia sempre più accurata e modellata su parametri sempre più efficaci

· Acquisire competenza e conoscenza delle buone pratiche applicate negli altri Paesi.

Nello specifico, attengono alla supervisione tecnica:

· Analisi dei progetti attivati, rilevazione delle criticità incontrate nell’attuazione dei piani individuali, eventuale ri-indirizzo dei progetti qualora necessario;

· Approfondimento di competenze giuridiche e tecniche qualora se ne ravvisi la necessità;

· Analisi dello svolgimento complessivo del progetto, rilevazione delle difficoltà incontrate, individuazione delle cause, concertazione di azioni volte alla comunicazione del servizio e alla strutturazione di protocolli con presidi territoriali e con Enti del privato sociale;

· Aggiornamento continuo su leggi e strumenti d’intervento utili alla realizzazione dei progetti individuali delle donne seguite.

Questa figura dialoga con tutta l'equipe e collabora in maniera diretta con la Responsabile.

La ratio di questo specifico ruolo risiede nella necessità di creare un occhio valutativo non sottoposto alle quotidiane routine ed ai meccanismi che possono derivarne, ed in grado, dunque, di esercitare la propria competenza in maniera più neutra, mantenendo un sostanziale distacco dalle utenti, con le quali non interagisce.

Il suo ruolo è anche inteso, dunque, come recupero del valore dell'alterità, che informa di sé le professioni di cura convenzionali. Una risorsa, questa, che contribuisce ad attribuire efficacia agli interventi di psicologici, psicoterapeuti, assistenti sociali, ma che non può essere applicata nella metodologia dell'accoglienza in un centro antiviolenza, che per definizione si basa sul valore della relazione politica tra donne e su una esplicitata solidarietà.

Si tenta dunque una sorta di sincretismo tra prassi diverse, nel tentativo di mettere a punto buone prassi esportabili anche su altri contesti di azione e nella messa a punto di protocolli condivisi tra i Centri Antiviolenza riuniti nell'associazione nazionale DI.R.E cui i proponenti aderiscono.

iii) Formazione continua

Tutte le operatrici nei servizi gestiti da BeFree hanno ricevuto una formazione specifica sulle tematiche legate alla violenza di genere, con particolare riferimento alla metodologia dell’accoglienza specificatamente rivolta a questo target.

Le più “anziane” in questo tipo di prestazione professionale, svolgono il ruolo di docenti nei corsi di formazione dedicati.

BeFree ritiene inoltre imprescindibile la necessità di rendere continua detta formazione, sia per essere sempre aggiornate sulle novità legali sia per monitorare e rafforzare la propria motivazione, anche in una proficua sinergia con le colleghe. In particolare, BeFree realizza dei corsi specifici, destinati alle operatrici e alle aspiranti tali, nonché alle tirocinanti dalle Facoltà con cui sono stabilite convenzioni (cfr. Cv BeFree).

Pur rappresentando un notevole sforzo organizzativo, questi corsi sono puntualmente realizzati, perché nascono dalla constatazione dell’enorme fabbisogno formativo delle operatrici sociali che svolgono la propria attività a sostegno delle donne e dei minori vittime di violenza.

Benché il tema della violenza contro le donne sia negli ultimi tempi molto “nominato”, anche in ragione dei tanti casi di aggressioni intrafamiliari – anche fatali – riportati dalle cronache, e benché in Italia esistano oltre 100 Centri, Case e Sportelli dedicati, non si è ancora costituito un esaustivo “corpus” bibliografico di elaborazione, riflessione, orientamento, che possa essere reso disponibile alle operatrici del privato sociale che approcciano il problema in ottica di genere, ma anche agli operatori sociosanitari e delle forze dell'ordine, in modo tale da rendere organico ed efficace il sistema degli interventi a sostegno delle vittime.

Contemporaneamente, si percepisce l'esigenza di creare occasioni di incontro e formazione congiunta per i vari attori che intercettano questa tematica nell'ambito della propria professione.

Si evidenzia inoltre che costruire competenze sul tema non consiste soltanto nel favorire l'acquisizione di know-how, ma anche nell'attivare processi di analisi delle proprie personali percezioni/implicazioni/ reazioni rispetto al tema. Differentemente da altre criticità/ problematiche, infatti, il ragionamento sul problema della violenza nelle relazioni di coppia coinvolge sfere profonde dell'identità e del vissuto personali, perché avviene nell'ambito delle relazioni affettive, e suscita sovente giudizi e pareri che non prescindono da sistemi valoriali e gerarchici (uomo/donna, supremazia/sottomissione, diritto/dovere) profondamente e spesso inconsapevolmente introiettati dal sistema sociale, politico, culturale contemporaneo. In buona sostanza, la collocazione domestica-intima della violenza agita dagli uomini nei confronti delle partner (e anche dei figli) ne “stempera” la connotazioni di reato, che, invece, viene riconosciuta dalla giurisprudenza nazionale e da tutte le dichiarazioni, direttive e raccomandazioni sovranazionali/ internazionali (UE, NU ecc.)

Possiamo affermare che la mancanza di una scuola specifica e di un'impostazione metodologica scientifica per gli operatori che si imbattono nel problema della violenza di genere fa sì che l'approccio alla tematica sia sovente volontaristico, assistenziale, permeato di buon senso e di buon cuore, connotato da una percezione di alterità e distanza dalle vittime o, al contrario, da anomale e non funzionali contaminazioni tra operatori e utenti, che possono arrivare ad espressioni di vittimizzazione vicaria, con grave nocumento per la stabilità emotiva di assistenti e assistite e, in generale, della relazione di aiuto.

Gravate da una (spesso inconsapevole) aspettativa di alte e determinanti performances da parte dell'operatrice/operatore, che sperimenta così il suo ruolo salvifico, le donne-utenti sovente dissimulano le contraddittorietà e le confusioni del proprio stato d'animo, combattuto da una miriade di sentimenti e percezioni, e si adeguano al ruolo che gli/le operatori/operatrici hanno pre-costituito per loro. Di fatto, ri-vittimizzandole.

Operatrici/operatori all'eventuale fallimento del progetto emancipatorio delle loro assistite, diventano a loro volta frustrate/i, demotivate/i o ferocemente motivate/i. Provano sentimenti di inadeguatezza, di prostrazione e di sfiducia nelle proprie capacità. L'investimento emotivo, che pure è parte della motivazione e va a configurare un – di per sé positivo – senso di appartenenza, viene spesso tralasciato dai vari enti di appartenenza (pubblici o privati), e talvolta utilizzato come tramite per una fidelizzazione dei/delle lavoratori/lavoratrici.

Non sostenuti nelle implicazioni inerenti il vissuto, queste/i ultime/i sono lasciati in balia del burn-out.

Le donne seguite che non si sono rivelate all'altezza delle progettualità previste, da parte loro, percepiscono fortemente il biasimo e la colpevolizzazione di cui sono bersaglio, e, nel tempo medio-lungo che segue la fuoriuscita dal progetto, difficilmente metteranno in atto nuovi tentativi di fuga dalla violenza (che, a sua volta, continua nella relazione, e si amplifica).

Possiamo affermare che questa sorta di “improvvisazione” nell'affrontare il tema della violenza nelle relazioni di coppia sottrae importanza al tema stesso, relegandolo nel novero delle materie sulle quali, in linea generale, chiunque può vantare competenza. Toglie importanza, in definitiva, tanto al tema quanto alle persone che ne sono vittime.

I corsi/seminari organizzati da BeFree non sono strutturati in termini di pacchetto di nozioni e lezioni precostituite da impartire (formazione pedagogica-didattica), in un rapporto di mimesi con l’insegnamento scolastico, ma, ispirati al modello PAMOR (Partecipazione, Aspettative, Metodo, Obiettivi, Regole), mirano ad erogare una formazione di tipo psicosociale che, lungi dall’essere definita, sia “costruita” insieme agli attori della formazione stessa.

Vanno annoverate tra le occasioni formative alcune iniziative precipue della cooperativa, come la Scuola residenziale estiva di politiche di genere e le numerose presenze ai convegni e ai seminari, in Italia e all’estero, delle socie, che sono chiamate in qualità di speaker/relatrici. Alle operatrici sono inoltre rivolti corsi seminariali residenziali, volti all’approfondimento di tematiche specifiche e alla costruzione e al rafforzamento del team.

3) L’approccio integrato e olistico

BeFree progetta e realizza interventi nel sociale a tutto campo, spendendosi su tutti i fronti che vengono ritenuti giusti ed adeguati per provocare mutamenti nella percezione sociale della violenza, della disparità, delle ingiustizie, e per favorire una riflessione critica sugli stereotipi e sulle false credenze che informano di sé la società attuale.

Per questo, il cv associativo riporta interventi di prevenzione dei comportamenti aggressivi nelle scuole, per aiutare le/gli adolescenti nella riflessione sui propri atteggiamenti e sui propri sentire/agire, nella certezza che il germe della violenza si annida negli anni giovanili, e si declina assumendo tratti di aggressività o di sottomissione. Ma, contemporaneamente, in maniera molto meno formale ma assai efficace, organizziamo anche serate nei locali frequentati dai giovani, per poterli approcciare e coinvolgere proponendo loro riflessioni ed evidenze da mettere a tema delle proprie riflessioni.

Mostre, concerti, conferenze stampa, seminari e convegni vengono rivolti, con lo stesso obiettivo, alla società civile.

Un’attenzione particolare riveste il dialogo con il mondo degli uomini, attraverso la co-gestione di progetti con associazioni specializzate (Maschile plurale, Il cerchio degli uomini ecc.), nella certezza che sia giunto il momento di elaborare un nuovo patto tra uomini e donne in questo Paese. Per meglio capire i termini di una frequente invivibilità di rapporti uomo-donna basati sul rispetto e sull’accettazione, BeFree realizza inoltre progetti volti agli uomini maltrattanti, in collaborazione con il Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio e con l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna del Ministero di Giustizia.

Per meglio veicolare questi valori e meglio realizzare questo impegno, BeFree ha fondato la casa editrice “Sapere Solidale”, dotata di codici ISBN e registrata a termini di legge.

L’organizzazione

La struttura organizzativa è caratterizzata da tre macrosettori:

· Realizzazione di progetti innovativi ed eventi

· Formazione

· Gestione degli sportelli di ascolto ed accoglienza

Obiettivi ed impegni

Gli obiettivi condivisi da tutte le associate sono sintetizzabili in:

· Contrastare il fenomeno della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale/lavorativo, delle violenze contro le donne e i minori, delle discriminazioni.

· Offrire un’accoglienza specializzata e altamente qualificata al target suesposto.

· Contribuire alla diffusione di una cultura del rispetto e del riconoscimento attraverso eventi, pubblicazioni, formazione agli operatori socio sanitari e delle Forze dell’Ordine, interventi di prevenzione dei comportamenti aggressivi nelle scuole, pubblicazioni.

I Servizi

La Cooperativa Befree svolge attività di progettazione, formazione e sensibilizzazione per

· Operatrici dei Centri Antiviolenza

· Operatrici/operatori dei Servizi anti-tratta

· Operatori sanitari, sociali e delle forze dell'ordine

· Uomini autori di violenza

· Scolari e studenti

· Giovani

· Immigrate/i

· Giornalisti

Nella gestione degli sportelli di ascolto ed accoglienza, la Cooperativa Befree opera attraverso:

· Ascolto telefonico

· Ascolto telematico

· Accoglienza

· Interventi in emergenza H24

· Consulenza professionale specialistica (legale, medica, psicologica)

· Mediazione culturale

· Implementazione di una rete tra i servizi che si occupano di violenza e non

· Pronta reperibilità telefonica: interazione con la rete dei presidi territoriali interessati

· Gruppi di auto-mutuo aiuto (AMA) o self-help

· Supervisione delle operatrici

· Supervisione tecnica

· Azioni in favore delle bambine e dei bambini e della relazione madre/figli

· Campagne di comunicazione sociale

Sistema delle relazioni con l’associazione

1. Informazione e assistenza

Presso gli sportelli, il servizio è attivo 24h su 24, per 365 giorni l’anno. Le attività erogate debbono essere in grado di coniugare la capacità progettuale relativa al disagio individuale e l’offerta informativa sui servizi dedicati.Il servizio si rivolge a donne italiane e straniere, vittime di violenza, abusi, maltrattamento e tratta, o con problematiche legate a forme di discriminazioni di genere, e a minori vittime e/o testimoni di violenza.

Tutela e riservatezza dei dati

I dati raccolti durante le fasi realizzative dei progetti sono gestiti in forma assolutamente anonima e costituiranno elementi in ingresso delle attività di progettazione e ricerca-azione.

2. Anomalie, criticità e reclami

L’Ufficio Qualità provvede alla raccolta ed analisi delle eventuali segnalazioni inerenti i propri servizi che dovessero provenire dagli enti in rete e promotori di progetti, dalle Donne sostenute dalla Cooperativa e dalle operatrici stesse.

3. Gli indirizzi e i contatti

Sede legale

Viale Glorioso 14, Roma

Sede operativa

Via della Lungara 19, Roma

Tel. 06.64760799

Sito web: www.befreecooperativa.org

Blog: www.thinkingbefree.it

Segreteria/[email protected]

[email protected]

Ufficio [email protected]

Carta dei servizi 2016 – Cooperativa Befree Pag. 8/15