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Sezione B Approfondimento su agricoltura, agro-alimentare e turismo – profilo e sfide Sezione B Premessa 103 4. Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo 105 5. Il profilo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo 125

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Sezione B Approfondimento su agricoltura, agro-alimentare e turismo – profi lo e sfi de

Sezi

one

B

• Premessa 103

• 4. Un’analisi qualitativa di agricoltura,

agro-alimentare e turismo 105

• 5. Il profi lo quantitativo di agricoltura,

agro-alimentare e turismo 125

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Dopo la focalizzazione del 2004 sui capitalisti personali impegnati nei settori creativo-

comunicazionali e della net-economy, il contributo del Consorzio A.A.STER al secondo

Rapporto sul “Capitalismo dei piccoli”, promosso da UniCredit Banca, è stato rivolto

ad alcuni settori altrettanto strategici della piccola imprenditoria e del Made in Italy:

agricoltura, agro-alimentare e turismo.

Il punto di osservazione privilegiato su questi settori è rappresentato da quel movimento

di convergenza che agricoltura, ospitalità e Made in Italy stanno oggi compiendo nel

segno della qualità e dell’intreccio tra nuove pratiche e tradizione. L’attenzione per questi

settori si iscrive a pieno titolo nel più ampio interesse manifestato dal gruppo per il

riconoscimento di un segmento fondamentale del Made in Italy che si è concretizzato,

ad esempio, nel debutto della Fondazione Symbola, impegnata nel più vasto tema

della valorizzazione della qualità attraverso il rafforzamento del rapporto tra impresa e

territori. Ma anche in iniziative locali quali, ad esempio, quella promossa dal Comitato

Locale Alessandria-Asti-Cuneo sul sistema Langhe-Monferrato – tante comunità per un

sistema eccellente – o ancora il progetto Wine & Food Lab, portato avanti da UniCredit

Banca con lo scopo di accompagnare il riposizionamento competitivo delle imprese del

settore vinicolo.

Dal punto di vista dei materiali di ricerca utilizzati per la composizione del Rapporto ci si è

avvalsi di quanto emerso da un focus group organizzato presso la sede di UniCredit Banca

a Bologna nel giugno 2005. Protagoniste di questo incontro, che ha inteso rappresentare

anche un’occasione di confronto con il top management della banca, sono state una

trentina di micro e piccole realtà imprenditoriali guidate da giovani imprenditori agricoli,

dell’agro-alimentare e del turismo, segnalate tra l’altro da Coldiretti, Confartigianato e

Confcommercio Emilia Romagna.

A completamento della parte qualitativa sono state svolte alcune interviste ai big players

dei diversi settori, onde acquisire il punto di vista dei soggetti che, oggi, appaiono

sempre più in grado di influenzare i mercati di riferimento della piccola impresa grazie

al posizionamento strategico dentro la dinamica tra flussi (di merci, di informazioni, di

persone) e caratteristiche specifiche dei luoghi, di cui la piccola impresa è fortemente

impregnata.

Premessa

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A supporto dell’indagine qualitativa è stata svolta una rilevazione di tipo quantitativo

presso i giovani associati di Coldiretti, al fine di ottenere ulteriori informazioni utili a

delineare il profilo delle nuove imprese agricole e dei loro punti di forza e di debolezza,

senza dimenticare di affrontare il delicato rapporto con il mondo del credito e della

finanza.

Infine è parso opportuno integrare queste due parti di ricerca sul campo con una sezione

che desse conto dell’evoluzione quantitativa dei fenomeni analizzati. In questo senso

sono stati elaborati e commentati i dati resi disponibili dalle principali fonti istituzionali e

associative (ISTAT, EUROSTAT, ISMEA, Coldiretti, Confartigianato, Federalberghi).

Premessa

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Capitolo 4

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

a cura di Aldo BonomiConsorzio A.A.STER

4.1 Gli elementi di convergenza dei settori

Le esperienze imprenditoriali che hanno preso parte al focus group hanno posto in luce,

semmai ce ne fosse stato ulteriore bisogno, la grande versatilità e dinamicità dei piccoli

imprenditori. Provenienti da tutta Italia, hanno raccontato le proprie strategie di sviluppo

in un momento di stagnazione dell’economia nazionale che li vede coinvolti in forma forse

meno drammatica di altre aree del Made in Italy.

Anzi, il clima di crisi e la retorica del declino sembrano avere ulteriormente stimolato e

affinato lo spirito di ricerca di nuove forme attraverso le quali conquistare o consolidare

il posizionamento delle imprese dentro filiere e nicchie di mercato. E, se è forse scontato

che le imprese del settore turistico siano tradizionalmente attente all’evoluzione della

domanda, anche il racconto dei titolari delle imprese artigiane dell’agro-alimentare

o agricole evidenzia la progressiva metabolizzazione di quella sensibilità necessaria a

maneggiare gli strumenti del marketing e della comunicazione, il tutto a configurare una

diffusa e crescente attenzione per il tema della qualità.

Questa tendenza, che si traduce, ad esempio, nella diversificazione delle produzioni

agricole, nella diffusione del biologico, nell’avvio di iniziative agrituristiche di qualità,

ma anche nell’attenzione al packaging delle produzioni agroindustriali di qualità o

alla sperimentazione di nuove modalità di gestione delle risorse idriche, sino ad

arrivare all’ibridazione di modelli “di fare turismo” pienamente inscrivibili nell’ambito

dell’economia delle esperienze, è spesso frutto della necessità da parte delle piccole

imprese di sottrarsi a un difficile rapporto con i big player della grande distribuzione e

del tour operating oppure da una progressiva marginalizzazione dettata dai processi di

globalizzazione.

Non sono rari infatti gli esempi di strategie finalizzate ad accorciare le filiere alla ricerca di

un rapporto più diretto con il consumatore finale. Emblematico, da questo punto di vista,

è l’esempio di un’impresa agricola storicamente impegnata nella coltivazione di un bene

standard, sottoposto ad un forte pressione competitiva sul prezzo come il riso, che ha

saputo puntare con successo su una produzione qualitativa limitata, certificata e tutelata,

in grado di accrescere in modo decisivo le chances di sopravvivenza dell’impresa.

Strategie simili emergono anche da altre esperienze del settore agricolo che – a smentire la

fama di ambito economico poco permeabile all’innovazione – appare sempre più in grado

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di incorporare saperi formali e conoscenze sofisticate, sia nel percorso di convergenza verso

il turismo di qualità, sia nell’innesto di soluzioni tecnico-scientifiche su una tradizione

agricola apparentemente statica e ferma ai saperi informali tramandati nel corso delle

generazioni.

Nel primo caso occorre evidenziare le esperienze di tutte quelle aziende agricole che

abbinano sempre più produzioni di nicchia e lavorazioni tipiche ad un’offerta turistica che

si muove dentro circuiti enogastronomici, nei quali fondamentale appare la dimensione

associativa e di partnership tra le imprese localizzate in determinati territori.

Sono queste le esperienze che evidenziano in forma più immediata la necessità di

porre al centro dell’attenzione le potenzialità di una cooperazione basata su sinergie,

specializzazioni complementari e coordinamento istituzionale. È infatti anche su questa

base che si vanno delineando differenziali competitivi non trascurabili tra aree nelle quali

è diffusa la consapevolezza dell’importanza dei fattori di contesto di sistema ed aree

(specie nel Mezzogiorno), nelle quali questo processo non è ancora giunto ad uno stato di

maturazione apprezzabile.

Nel secondo caso sono da segnalare le applicazioni ingegneristiche ai processi produttivi

per la gestione delle risorse idriche nella produzione di riso e cereali, quelle chimico-

biologiche nella selezione di una particolare varietà di zucca per la produzione di spugne

vegetali, quelle agronomico-informatiche nella produzione orticola e floro-vivaistica.

È evidente come gran parte di queste applicazioni, derivanti da conoscenze formali, siano

inscritte dentro una cultura che ha fatto della sostenibilità ambientale uno dei parametri

fondamentali di orientamento del business. La filiera agro-alimentare diventa sempre più

complessa e incorpora progressivamente la necessità di salvaguardare quella componente

ambientale, elemento fondamentale del prodotto.

È infatti evidente a tutti gli imprenditori agricoli che hanno partecipato al focus il fatto che

la vendita del prodotto è fortemente legata al valore rappresentato da un determinato

territorio. Da qui anche il collegamento con il turismo, che incorpora geneticamente il

valore del territorio e della cultura di cui è depositario.

Fare appello alla dimensione territoriale, significa per questi piccoli imprenditori agire

anche al di là della pura sfera economica, per inglobare elementi quali la coesione sociale

o la sostenibilità ambientale. Del resto la stessa Politica Agricola Comunitaria appare oggi

fortemente orientata verso la sicurezza alimentare e ambientale, che significa anche una

politica capace di valorizzare le risorse climatiche e ambientali per le produzioni agricole.

D’altra parte, dal focus group sono emerse esperienze imprenditoriali totalmente terziarie

impegnate nella progettazione e gestione di attività nell’intera filiera ambientale

dell’educazione ambientale, della cultura e del turismo di qualità.

Si tratta quindi di un insieme di esperienze imprenditoriali alla base del successo delle

quali vi sono sostanzialmente gli stessi ingredienti rintracciati nell’approfondimento del

precedente Rapporto sul Capitalismo dei Piccoli: centralità dei beni relazionali e attitudine

alla valorizzazione del proprio capitale sociale individuale, che ha nel territorio la sua base

di accumulo originaria e che, come già accennato, codetermina le possibilità di successo

delle imprese.

Capitolo 4

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La centralità del capitale umano e culturale, come dotazione di conoscenze e saperi tecnici,

civici, organizzativi e la propensione alla costruzione di processi di rete di integrazione,

sono tutti elementi che caratterizzano le storie imprenditoriali del settore agricolo e agro-

alimentare, nonché di quello turistico.

Quest’ultimo, anche sulla base di quanto raccolto nel corso del focus group, appare oggi

investito dalla necessità di rinnovarsi in modo radicale onde contenere l’aggressività di

un’offerta sempre più globalizzata e posizionarsi rispetto alle strategie dei grandi tour

operator nazionali ed internazionali, ormai padroni dei flussi turistici.

Trovare una collocazione in un mercato sempre più determinato da soggetti fortemente

integrati in senso verticale e in grado di coprire l’intera catena del valore, che si muovono

a livello globale, dotati di marchi capaci di soddisfare diversi segmenti di mercato, che

investono ingenti risorse in vettori aerei, in attività collaterali alla gestione alberghiera,

nell’entertainment e nella distribuzione, richiede sempre più di porre il cliente, o meglio

un determinato suo profilo, al centro di una miriade di iniziative1.

4.2 Le imprese del settore turistico

Viaggi più frequenti, di durata sempre più breve, hanno cambiato il tradizionale concetto

di vacanza sul quale era nato il Sistema Italia. Sebbene i quindici giorni estivi continuino

ad essere una pratica diffusa, emergono nuovi modelli di fruizione desincronizzata.

Oltre al “dove stare”, per il turista diventa decisivo il “cosa fare”. La motivazione al viaggio

è elemento determinante degli attuali consumi. Si assiste all’avanzare di una domanda

nuova e diversamente segmentata i cui flussi sono inclini alle vacanze brevi e diversificate,

sempre più influenzati da fattori inerenti alla qualità e dagli elementi di ordine culturale,

edonistico e ambientale. La vacanza tende sempre più ad essere coniugata con qualche

forma di impegno, sia esso intellettuale, culturale, sportivo, formativo, etc.

“Abbiamo piccole società collegate, dai 10-15 dipendenti arriviamo ad avere 40-50

dipendenti a seconda degli eventi, fatturiamo 2, 2,5 milioni di euro, a seconda delle realtà

che portiamo a casa. Con la fiera di Rimini abbiamo fatto un evento importante sul ciclismo

avviando l’evento “Rimini bicycle show”. Con le Canarie abbiamo un rapporto di partnership

per portare turisti abbinando il concetto sportivo. Abbiamo inventato il primo grande stadio

da spiaggia qui a Cervia (3.000 posti) dove con questo sistema di motivazioni sportive

passiamo dal beach soccer al rugby alla pallamano.

Un altro evento che ci ha dato visibilità sono stati i mondiali dei castelli di sabbia: ha mosso

70.000 persone in 15 giorni e lega il bambino al nonno. Attraverso questo evento si crea

circolazione di gente e di soldi, porta quello che oggi serve all’impresa per fare sistema. Ci

siamo inventati anche i matrimoni in spiaggia e attraverso la stampa, ultimamente siamo

riusciti ad avere molta visibilità. Abbiamo fatto il pacchetto con aziende di Milano dove

avevano albergo, torneo di beach-volley, il sindaco che si metteva a disposizione per sposare

le coppie, ristorante a buffet ecc.”. (C.F., imprenditore turismo)

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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L’elemento di sperimentazione, in questo caso, si amalgama con il riposo e la rigenerazione

ed è legato alla richiesta di vivere un’esperienza spesso a diretto contatto con la natura,

per recuperare un rapporto autentico con il contesto ambientale teatro di viaggio.

Questi fenomeni provocano modificazioni strutturali e organizzative nelle imprese:

aumentano le richieste di case, villaggi, appart-hotel, b&b e cambia il modo di fornire

ospitalità e servizi per il ricettivo alberghiero che rappresenta, con oltre 33.000 attività, il

corpo del settore.

Riqualificare, aggiornare le dotazioni strutturali, ampliare e migliorare i servizi, crescere

in qualità, fornire animazione e proposte per il tempo libero è l’imperativo delle imprese

turistico-ricettive.

In questo quadro le pratiche e le strategie emerse nel corso del focus group individuano

nella diversificazione, nell’integrazione e nell’ibridazione modalità complementari

utilizzate per segmentare il mercato, mentre le possibilità di disintermediazione fornite

dalla rete vanno diffondendosi tra piccoli tour operator capaci di passare dalla fornitura di

servizi on-line alla realizzazione di software dedicati.

“I piccoli tour operator hanno la chance, oggi più che mai fondamentale, che è quella di dire:

attraverso la rete posso essere immediatamente sullo stesso piano in termini di visibilità

rispetto ad un brand consolidato. Il piccolo tour operator può battere il grosso con facilità di

accesso, con tecnologia e con il prezzo e questa è un po’ la logica di sempre, ma che oggi

attraverso la rete dà un pochino più di opportunità”. (S.C., I Viaggi del Ventaglio)

La diversificazione e l’ibridazione si esprimono secondo diversi gradi di complessità. Si

passa dalla dimensione dei servizi, perseguite dalle piccole attività alberghiere della

riviera romagnola specializzate nei servizi per l’infanzia, alla contaminazione tra ospitalità

alberghiera e passione per la musica antica, come il caso di un albergo sardo. Ma anche

dalla commistione architettonica tra hotel e club a Bari, agli usi plurimi della spiaggia

(sport, intrattenimento, moda, fitness, etc.) sino alla progettazione di una spiaggia

riscaldata per l’inverno, ben al di là del trinomio classico: pensione, spiaggia e piadina.

“Credo nel potenziamento dei servizi per i bambini. Abbiamo 2 nursery, passeggini a

disposizione, 3 animatrici, un calendario di animazione con almeno 2 eventi a settimana,

8 burattini o Nutella-party. Coccoliamo il cliente in ogni momento. Questo ha portato ad un

buon aumento di fatturato, adesso il nostro stabilimento sembra più un asilo”. (S.B., gestore

stabilmento balneare)

“Abbiamo pensato ad un albergo che essendo adiacente ad una discoteca è diventato “hotel

musica e colore” dove ogni camera ha un colore differente, musica differente, l’abbiamo

chiamato “Giubileo Hotel Club, non ci dormirete la notte”. Ci ha chiamato molta gente a

chiederci cosa si facesse in questo hotel se non si dormiva”. (N.P., imprenditore turismo)

“L’idea dell’albergo diffuso è venuta al proprietario, nonché amministratore della società

che organizzava da tempo seminari di musica antica (che catalizzavano un pubblico di un

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certo tipo sulla zona). Il titolare, che è anche maestro di musica ha immaginato di poter

trasformare in impresa questa attività: passione per la musica e per la ristorazione insieme.

Il nostro albergo diffuso si inserisce in un particolare contesto che è quello di un centro

storico tra i meglio conservati della regione e un mix di cultura popolare. L’albergo è nato

alla fine del 2000: 3 antiche dimore adattate a camere d’albergo più una quarta struttura

che è ristorante tipico e ricezione. Tutte sono collocate nel centro storico e a meno di 200

metri l’una dall’altra. La proposta è quella dell’ambiente e della cultura locale che traspare in

ogni momento e la qualità tipica del 3 stelle alberghiero. La ristorazione è tipica ed è stato

l’elemento trainante”. (D.L., imprenditore turismo)

Vi sono camping che hanno inglobato il turismo termale, accrescendo notevolmente il

proprio giro d’affari e consorzi di alberghi trentini che hanno impostato una comune politica

per la realizzazione e la promozione di centri benessere. Vi sono panetterie e pescherie

trasformate in location per l’intrattenimento basato sulla spettacolarizzazione del lavoro e

che si rivolgono ad un pubblico attento al design e all’architettura internazionale.

“Il settore di cui ci occupiamo va stranamente bene paragonato all’apocalisse che si sente

in giro. È un settore legato al genialoide: uno dei locali è una panetteria aperta giorno e

notte progettata dall’architetto Silvestrin. Dall’esterno del locale si possono vedere al lavoro

i panettieri con una spettacolarizzazione del lavoro. Apparentemente non è turismo ma se si

va a vedere chi frequenta il locale si trova un pubblico attento al design, un pubblico attento

all’architettura internazionale. Un altro esempio sono i negozi del pesce che, in serata, si

trasformano locali per aperitivi. Questi locali sono legati alle idee, all’innovazione, è questo

il nostro punto di vista. Non è il locale classico ma il locale classico può essere utilizzato in

un’altra maniera”. (N.T., eventologo)

Tutte iniziative, insomma, finalizzate al miglioramento della qualità dell’offerta così da

intercettare una domanda sempre più qualificata e portatrice di sensibilità peculiari cui

offrire la possibilità di sperimentare nuove esperienze. Poiché non vi è dubbio che oggi, più

che in passato, quote consistenti di consumo si trasferiscono dall’acquisto di beni materiali

alla spesa per soddisfare esigenze culturali, affettive, sociali e, appunto, esperienziali2.

L’esplosione, nel corpo sociale, d’identità molteplici, abilita l’emergere di una domanda di

consumi pluridimensionale, che alimenta le forme stesse del riconoscimento sociale. Non

a caso, nel corso degli ultimi decenni, si sono create le basi materiali per neologismi quali

“comunità del gusto”, “comunità del sentire”, e via di seguito.

Il tipo di consumo, in altri termini, definisce i confini delle aree di appartenenza di

gruppi sociali sempre più ristretti, generatisi attraverso un processo di “specializzazione

funzionale” del mercato a una dimensione. Si tratta di un processo di differenziazione

orizzontale del consumo.

È quindi evidente come le esigenze dei nuovi utenti-clienti siano molteplici e differenti tra

loro, e questo abbia portato alla gemmazione di nuovi turismi, tra essi in rapporto complesso,

abitati da un insieme eterogeneo di operatori. Il modello tradizionale convive oggi con

un’infi nità di stili diversi di vivere la vacanza e ha dato vita ad una molteplicità di operatori

che detengono esigenze ed aspettative differenti, poiché servono turismi differenti.

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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Parchi tematici, locali innovativi, fiere, eventi sportivi e culturali, centri benessere, tour

operator e amministrazioni pubbliche locali sono solo alcune delle realtà incontrate

durante il percorso di ricerca, che hanno la comune necessità di comunicare e di rendersi

maggiormente visibili.

La possibilità, parimenti diffusa tra i ceti abbienti e meno abbienti, di accedere alle

medesime tipologie di beni (inclusi quelli effimeri ed edonistici, quali viaggi, spettacoli,

merci culturali, abbigliamento di moda, tecnologie informative e comunicative), ha trasferito

la stratificazione dei modelli di consumo dalla “possibilità di accesso” alla “qualificazione”

del bene medesimo. A fornire “valore” al prodotto è l’esperienza intangibile che vi è

inclusa, la quale, nel conferire significato al bene (che in sé non ne possiede), gerarchizza

i consumi lungo un asse verticale.

Operare nel settore dell’intrattenimento, significa posizionarsi all’intersezione tra relazioni

di mercato (produttore/consumatore) e relazioni sociali. Nel definire l’offerta, pertanto,

è determinante che i produttori sappiano intercettare i flussi e le pulsioni incubate

dalla società, per mutuarli in fattori che alimentino l’innovazione. Nell’economia delle

esperienze, agire economico e agire sociale devono necessariamente trovare un punto

d’equilibrio.

In modo speculare, il cliente non è più solo un fruitore di servizi d’intrattenimento, ma allo

stesso tempo un “produttore di segnali” ed una rappresentazione vivente delle merci che

consuma. Il cliente diventa dunque sia produttore di segnali da cogliere e trattare come

informazioni strategiche da immettere nel sistema dell’offerta, ma anche rappresentazione

della merce in qualità di “consum-attore”, “produttore di stili e tendenze che determinano

la produzione”.

“C’è la possibilità di accontentare tutti i tipi di clientela, dalla famiglia ai giovani. Il locale

è stato ideato da Marco Lucchi, sicuramente è un modo nuovo di vivere l’attività serale.

Ho anche delle discoteche ma sono in crisi: i pagamenti del biglietto, del parcheggio, del

guardaroba sono un problema. Tutti possono accedere al locale gratuitamente, riusciamo a

fare anche 25.000 persone in una sera con un totale di 700 mila persone nel 2003, anno

di inaugurazione. L’investimento e l’impatto visivo è notevole: 7,5 milioni di euro. La gente

giovane ha apprezzato molto le nostre idee, mentre gli adulti tradizionalisti non molto.

Abbiamo 120 dipendenti, 2 milioni di euro di fatturato ma potremmo arrivar tranquillamente

a 3 con gli sponsor (vista la location). Non si può più pensare solo ad imbiancare le cabine,

bisogna inventarsi (come noi) la sabbia riscaldata (anche se mi hanno bocciato il progetto).

Questa era un’idea per riempire Rimini anche d’inverno”. (M.P., Torquoise Rimini)

L’economia dell’intrattenimento, in seconda istanza, è socialmente e territorialmente situata.

Socialmente, perché i desideri individuali si ricompongono lungo linee d’appartenenza

verticali e orizzontali, che generano una domanda internamente articolata e polimorfa.

Territorialmente, perché s’intreccia con le caratteristiche culturali, sociali ed economiche

dell’area che le ospita o che riesce a raggiungere col proprio raggio di mercato.

Ne consegue che nell’offerta d’intrattenimento, l’esperienza che, concretamente, è

proposta, deve contenere prerogative congrue alla popolazione di riferimento.

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I gruppi sociali e le aggregazioni territoriali, com’è ovvio, presentano caratteristiche

differenti per gusti culturali, tradizioni e modi della socialità. Secondo alcuni, tuttavia,

non è più l’impresa del piacere ad adeguarsi e modellarsi al territorio, ma avviene proprio

il contrario.

Marketing e promozione sono strumenti indispensabili per la conquista di nuovi mercati e

nuovi segmenti di domanda. Essi rappresentano tuttavia il software del sistema turistico.

Il problema dell’hardware attiene ad una dimensione che esula le strategie delle singole

imprese e che tocca invece problematiche di sistema e dei sotto-sistemi territoriali.

La questione della mobilità, della viabilità e dei trasporti è indubbiamente un freno alla

crescita sia delle piattaforme turistiche più mature sia di quelle in divenire. Autostrade,

strade, porti e aeroporti rappresentano la base logistica sulla quale si muove l’economia

del turismo. Le piattaforme mature, quelle del turismo balneare (Romagna, Marche,

Versilia, Liguria e Veneto) e del turismo invernale (Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta)

hanno bisogno di piani strutturali che migliorino la mobilità e la fruibilità delle loro

destinazioni.

Inoltre, in queste aree, è decisivo il tema dell’attrattività. Gli operatori pubblici e privati

si interrogano sulla questione della “rottamazione” al fine di riconsegnare spazi e luoghi

a turisti sempre più esigenti. Puntano a modificare la “cartolina” delle loro città, per

riqualificare l’offerta nel suo insieme, promuovendo la trasformazione urbana e migliorando

la qualità del sistema ricettivo. Nei distretti e nelle regioni dove il turismo cresce

rapidamente, o è in via di sviluppo (il Sud e le Isole) il problema, rilevante sotto questo

aspetto è la raggiungibilità. È questa anche l’opinione dei big player del tour operating:

È vero che c’è magari l’albergo ben organizzato ma tutto quello che c’è esternamente o

è chiuso o non ha affinità con la proposta dell’albergo. C’è una distonia completa rispetto

a quello che un cliente dovrebbe aspettarsi nel momento in cui affronta un viaggio e si

posiziona su certi servizi”. (S.C., I Viaggi del Ventaglio)

Tempi e costi dei trasporti diventano componenti fondamentali per la competizione con altre

destinazioni del Mediterraneo. I cambiamenti nella charteristica aerea e l’ingresso delle

compagnie low-cost hanno prodotto benefici effetti su arrivi e presenze. Occorre dotare

gli aeroporti delle necessarie risorse tecniche ed economiche per stabilire partnership

lunghe e strategiche con i vettori aerei. La nautica ed i porti turistici rappresentano,

poi, un importante volano per l’economia delle nostre coste. È un turismo sempre meno

elitario che ha bisogno di infrastrutture moderne e capaci di soddisfare le esigenze dei

naviganti. Una delle questioni fondamentali rimane, dunque, quella dell’attrazione degli

investimenti.

4.3 Le imprese del settore agricolo e agro-alimentare

Numerose sono le testimonianze raccolte nel corso del focus group che evidenziano il

dinamismo delle piccole imprese agricole e dell’agro-alimentare, a testimonianza di una

situazione nella quale il primato del cliente, la ricerca e l’invenzione di nicchie di mercato,

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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l’ibridazione con l’ospitalità, delineano una figura imprenditoriale sempre più complessa.

Questo dinamismo appare legato principalmente a due fenomeni già citati: i mutamenti

culturali e sociali che investono il consumatore, la necessità di occupare gli spazi interstiziali

non assoggettati alla logica della grande distribuzione e quindi più redditizi.

“Abbiamo iniziato a vendere alla grande distribuzione. Al tempo stesso abbiamo tagliato

la filiera. Abbiamo avvicinato il produttore al consumatore. Poi abbiamo aperto un punto

vendita aziendale per la vendita di piantine e per la vendita dei prodotti. Gli investimenti che

abbiamo fatto negli anni hanno portato ad aprire prossimamente un’azienda agrituristica.

Quattro anni fa abbiamo intrapreso un percorso per la certificazione della qualità per

certificare i nostri prodotti: salse e pesti. Ci siamo rivolti ad una nicchia di mercato molto alta

con prodotti curati e lavorati a mano. Pensiamo di trasformare il punto vendita aziendale

in una sala degustazioni. Infatti sono diversi anni che vengono da noi scuole a visitarci. Ci

siamo resi conto che la gente non ha più il contatto con la natura e la filiera, quindi noi

forniamo anche un servizio in più. Stiamo lavorando anche con circoli e gruppi d’acquisto

per offrire prodotti freschi ad un minor costo ed avere un rapporto immediato basato sulla

fiducia”. (M.C., imprenditore agricolo)

“Ho cercato di applicare un’idea che avevo fino ai tempi dell’università: passare da una

vendita di risone all’industria alla vendita diretta di riso bianco. Mi sono resa conto subito

che la concorrenza era forte, altre aziende si erano già buttate su quest’idea. Avevamo la

necessità di caratterizzarci molto rispetto agli altri. Ci siamo inventati una linea di risotti

pronti a base di frutti, fiori ed erbe biologiche. Il primo anno è stato un periodo di test,

apportando le dovute correzioni ho realizzato i prodotti ad hoc. Il fatto di essere piccoli è

stato un bene: abbiamo un dialogo diretto e costante con i nostri clienti. Realizziamo prodotti

per enoteche, gli abbinamenti del riso con i vini di punta, nelle zone universitarie forniamo

prodotti con confezioni più piccole. Per il futuro abbiamo molte idee. Abbiamo un trend di

crescita costante. Io sono partita da zero e ho sempre investito quello che ho guadagnato.

Mi sono ritagliata un punto vendita in azienda ed un laboratorio. Abbiamo due obiettivi:

affacciarci al mercato estero, siamo presenti in Spagna ad una fiera dell’agro-alimentare,

pensiamo di andare in Germania”. (F.R., imprenditrice agricola)

La consapevolezza del primato del consumatore, l’attenzione verso i gusti di cui è portatore,

sembra separare culturalmente in modo netto le ultime generazioni di agricoltori dai

padri e dai nonni che hanno condotto le proprie aziende agricole senza troppo doversi

preoccupare di tutto ciò che accadeva al di fuori del ciclo di produzione dei beni.

Rari sono gli esempi di strategie imprenditoriali che trascurino di porre al centro

dell’attenzione aspetti quali la commercializzazione, la comunicazione o il marketing,

quand’anche non perseguiti con mezzi particolarmente sofisticati.

Il tema della centralità del cliente viene declinato alle “rivoluzioni silenziose” che hanno

interessato la cultura dei tradizionali target di consumatori. Tutto ciò a testimoniare il

passaggio da una cultura basata sulla libertà dal bisogno/i ad una libertà del bisogno/i,

cioè ad una consapevolezza che i bisogni rappresentano una scelta e non una necessità

imposta dalla scarsità.

Capitolo 4

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Tradizionalmente il rapporto domanda/offerta si basava su una delega del consumatore

alla produzione che definiva i bisogni e i significati in cambio della possibilità di accedere

a prodotti standardizzati a costi limitati. Oggi si prefigurano modalità di organizzazione

del rapporto produttore/consumatore basate principalmente sull’interazione. Le stesse

strategie che coinvolgono il processo produttivo sono del resto impostate all’ottenimento

di marchi e certificazioni da comunicare al cliente.

“Negli ultimi 5 anni la realtà è molto cambiata perché siamo passati dal grossista alla

grande distribuzione. Il prodotto si è svilito a causa della concorrenza, abbiamo fatto una

tavola rotonda con tutta la famiglia e deciso di cambiare rotta: il cioccolato come pretesto

per vendere confezioni e servizi al cliente. Abbiamo diversificato la produzione, non più solo

grande distribuzione. Pensiamo di avere nuovo lavoro anche con il turismo agro-alimentare:

abbiamo richieste dal basso Piemonte e dalla Toscana di diversi circoli che organizzano i

viaggi abbinati a percorsi enogastronomici”. (L.L., artigiano settore alimentare)

“Stiamo vivendo un momento difficile con tutti nostri prodotti, dai cereali alla barbabietola

e agli orticoli. Allora abbiamo cercato qualcosa di diverso: la coltivazione di una particolare

zucchina da cui si ricavano spugne per la cosmesi (luffa). Partiamo dalla coltivazione e

arriviamo al confezionamento e alla vendita, dalla grande distribuzione al privato che voglia

acquistare… siamo elastici ci siamo imposti una regola: non dire mai di no ad un cliente.

Abbiamo aperto un negozietto per vendere i nostri prodotti non in azienda ma in centro,

approfittando di una legge apposita. Ne abbiamo poi aperto anche altri due, non vendono

solo frutta e verdura ma anche centinaia di scelte di prodotti di stagione dell’agricoltura

bolognese e alcuni prodotti tipici di altre zone, unica regola è che provengano direttamente

dagli agricoltori, dalla Liguria alla Calabria. Da qui vorremmo toccare anche il settore del

turismo e dell’intrattenimento. Il negozio funziona bene, a differenza che in altre zone d’Europa

dove la grande distribuzione raggiunge l’80% qui c’è voglia di tornare alle origini delle cose,

guardare in faccia a chi produce. Diversificare l’offerta dell’azienda agricola mantenendo la

storia dell’azienda. Vorremmo allungare l’orario di apertura serale e integrare con un locale

aperitivo in cui fare cultura, informazione”. (E.D.O., imprenditore agricolo)

Molto spesso le dichiarazioni degli intervistati relative alle strategie di posizionamento

denotano la necessità di adottare comportamenti finalizzati a riconquistare la fiducia

del consumatore. Se si confronta l’attuale situazione con quella di qualche decennio fa

appare chiaro come la fiducia del consumatore nel sistema agro-alimentare sia diminuita,

benché la qualità e la sicurezza dei prodotti siano sostanzialmente migliorate. Questa crisi

di fiducia è attribuibile alla progressiva perdita di contatto tra consumatori e il sistema

produttivo. I consumatori delle grande città non hanno la più pallida idea di quale sia

l’origine e la storia dei prodotti alimentari che acquistano e consumano. Hanno forse una

qualche fiducia nel verduraio, nel macellaio o nel panettiere che li serve da decenni, ma

si rendono conto sempre più spesso che, salvo eccezioni, né il verduario né il macellaio

conoscono molto della filiera che li rifornisce.

La volontà di recuperare un rapporto diretto con il cliente non esplicita esclusivamente

la volontà di emanciparsi dal rapporto capestro con la grande distribuzione ma tende a

rendere più trasparente la relazione attraverso pratiche di tracciabilità di tante micro-filiere.

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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Questa tracciabilità contiene due messaggi rassicuranti: quello di rendere trasparente il

processo produttivo e il contesto ambientale e quello di rendere responsabile il produttore

verso il consumatore. In questo modo la relazione tra produttore e consumatore non è più

generica e anonima, ma personale ed esplicita, un ingrediente essenziale della fiducia.

In questo modo la dichiarazione di tracciabilità produce un significativo effetto di attrazione

sul consumatore costituendo un interessante strumento di promozione e di valorizzazione

dei prodotti.

Il consumo si fa più “intelligente” e propositivo, i soggetti connettono autonomamente i

propri bisogni con i propri significati ed interagiscono con la produzione per soddisfarli. Il

consumatore non appare più come individuo atomizzato, che condivideva il proprio mondo

e le proprie esperienze all’interno di una cerchia limitata di persone e che poteva essere

fidelizzato attraverso forme comunicative (ad esempio la pubblicità) che prescindevano dalle

peculiarità del contesto di riferimento. Il mutamento culturale sommato all’affermarsi delle

tecnologie dell’informazione, anche se non ha totalmente sostituito i canali tradizionali,

rende gli individui capaci di condividere la propria esperienza individuale all’interno di reti

comunicative tendenti a coinvolgere in modi differenziati altri consumatori ed imprese.

In questa stessa prospettiva si muovono le associazioni di rappresentanza delle imprese

dell’agro-alimentare che tendono sempre più a farsi interpreti della necessità di

promuovere e difendere comportamenti di trasparenza tra i propri associati e di mettere a

punto alleanze strategiche per la valorizzazione delle tante tipicità del territorio.

“Molto spesso il sinonimo di prodotto artigianale nell’agro-alimentare automaticamente

comporta qualità. Ci sono alcune grandi questioni aperte, interessi che si scontrano, e punti

di divergenza con le industrie, basti pensare alla questione del pane. Su questo prodotto,

il nostro paese è straordinario dal punto di vista della qualità, della tipicità, dal numero

ai tipi di pane; siamo ammazzati in realtà dai semilavorati e dai prodotti congelati, che

diventano per ragioni di fast quello che uno compera al supermercato. Un altro aspetto

è quello di migliorare, e qui ci sono ambiti di miglioramento straordinario, il rapporto fra

turismo, fruizione dei nostri territori, valorizzazione di quelle tipicità per cui negli ottomila

comuni, quasi, ci sono ottomila modi di lavorare le carni suine e farne dei salami che

assumono i nomi più diversificati, o l’Italia degli olii, che consente oggi ai ristoranti di avere

ormai la carta degli olii.[…] Noi stiamo studiando con il mio collega Pasquali di Coldiretti una

connessione tra trasformatori artigiani e produttori agricoli per alzare la qualità, restituire

maggiori certezze al consumatore“. (C. Fumagalli, Segretario nazionale Confartigianato)

L’organizzazione storica dell’impresa agricola, fondata sulla famiglia contadina proprietaria

di piccoli appezzamenti, ha resistito anche negli anni in cui altrove si compiva il passaggio

alla moderna azienda meccanizzata. Oggi le aziende agricole iniziano a strutturarsi e ad

accrescere le proprie dimensioni, che restano però sostanzialmente ridotte. L’insieme di

questi elementi “di ritardo” è stato determinante per la mobilitazione di mercato che ha

portato determinati territori ad imporsi come marchi territoriali di presidio della qualità.

“Produciamo Barbera d’Asti, con forte rivalutazione (meno produzione, più qualità) esportato

in tutto il mondo. Il nostro fatturato, che si attesta in circa 250 mila euro è fatto per circa il

Capitolo 4

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70% di esportazioni: Svizzera, Germania e Giappone. Siamo un’azienda biologica e quindi

esportiamo maggiormente in quei paesi che sono più attenti a quell’aspetto. L’agriturismo

è stata un’idea lungimirante della mia famiglia, tant’è che vantiamo la prima licenza della

provincia di Asti come agriturismo. È un’attività che usiamo per la promozione, non vogliamo

fare ristorazione. Di recente abbiamo costituito un consorzio per l’esportazione chiamato

consorzio export Piemonte, 8 aziende che hanno la finalità corale di uscire il più possibile dal

territorio per fare un promozione sfegatata. Sviluppare il contatto con il pubblico, attirare il

cliente e nello stesso tempo affiancarci di più ai distributori”. (E.R., imprenditore agricolo)

Il successo delle produzioni vitivinicole, di altri prodotti tipici dei territori, coniugata con

la qualità paesaggistica, il sapiente riutilizzo in chiave promozionale della tradizione

culturale, gastronomica e letteraria, hanno favorito l’avvio di un flusso turistico che

recentemente ha raggiunto dimensioni di tutto rispetto, alimentando circuiti promozionali

e di servizi di ospitalità che, a loro volta, hanno contribuito a sviluppare la nicchia delle

attività turistiche, in forte connessione con le produzioni eno-gastronomiche.

“Il mio progetto è quello di valorizzare il prodotto tenendo un legame con il territorio. Castel

d’Arquato è un paese che può essere valorizzato dal punto di vista turistico, valorizzare

l’azienda agricola su una traccia di sostenibilità ambientale è l’obiettivo. Penso che dal punto

di vista turistico il vino può dare un grosso aiuto perché il vino è il biglietto da visita per un

territorio. La mia volontà di fare innovazione per produrre vini di ottimo pregio. La mia zona

non è delle più famose come produzione vinicola di qualità, spero che altre aziende puntino

su questo. Il vino legato al territorio è l’unico valore aggiunto”. (M.S., imprenditore agricolo)

Specifiche aree del paese sono divenute un brand territoriale, intimamente collegate all’idea

del buon vivere, della qualità alimentare, di uno stile alternativo (o complementare) alla

way of life urbana. Il vero salto di qualità, in definitiva, il sistema lo ha compiuto quando ha

incorporato, nel suo pur eccellente repertorio di produzioni tangibili, il valore immateriale

generato da quelle funzioni terziarie senza le quali, nell’economia delle esperienze, nessun

bene singolo o collettivo, com’è il territorio, può imporsi sui competitori.

“Facciamo un po’ di tutto, da 15 anni facciamo diversificazione produttiva. Ci siamo inventati

la grappa al riso, il liquore al riso, i biscotti, la birra, una linea benessere ecc. Danno valore

aggiunto, sono complementari al reddito aziendale ma sicuramente ci diversificano rispetto

alla concorrenza locale. La nostra azienda è legata al territorio sia per un prodotto d’eccellenza

sia per il prodotto. Qui si mangia spesso il riso, vendiamo molto riso nella zona. Vendiamo

solo a negozi di nicchia evitando la distribuzione organizzata. Stanno avvicinandosi alla

produzione di nicchia ma fino ad oggi ci hanno troppo trascurato e poi non sono vicini al

territorio. Nel ‘96 abbiamo avuto la denominazione zona geografica protetta. Abbiamo locali

per i corsi di cucina e stiamo dotandoci di una sala didattica, anche dall’estero, pure dal

Giappone. Non siamo solo agricoli ma facciamo di tutto, abbiamo una risotteria come vetrina

dell’azienda”. (G.M., imprenditore agricolo)

In questo processo di terziarizzazione dell’agricoltura vi è spazio anche per un uso

accresciuto della conoscenza nella produzione di valore.

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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Come visto non si tratta di conoscenza hard come quella codificata nella scienza o nell’high

tech, ma di forme soft o high touch che sono diffuse in tutte le attività e che si legano alle

capacità e all’intelligenza degli uomini.

Il valore si concentra nelle fasi a valle della catena del valore, quelle che hanno rapporto

col cliente finale o con la catena distributiva. La produzione agricola è utile se diventa

strumento, retroterra, “servizio” per le funzioni pregiate che coinvolgono il cliente finale

in esperienze, progetti, significati.

Innovazione, dunque, non è più sinonimo di introduzione di una nuova macchina o del varo

del nuovo prodotto (materiale). Al contrario, innovare signifi ca sviluppo di nuove capacità di

relazione e progettazione di servizi complessi, dove l’oggetto materiale è solo un componente

(e non quello di maggior valore) dell’offerta che si rivolge al consumo fi nale.

“Vengo da una famiglia agricola che si occupava di cereali e di riso. La mia entrata in azienda

ha visto una riconversione dal punto di vista dei servizi. Ho creato un’impresa fortemente

legata alla ricerca e all’innovazione. Un’impresa a livello territoriale che cerca di costruire nuovi

processi produttivi che poi potrebbero essere presi ad esempio dalle altre imprese agricole,

questo in partnership con la Regione e l’Università. Siamo un’azienda agricola di tipologia

sperimentale. Stiamo studiando l’eco-compatibilità nella produzione, più precisamente ci

stiamo interessando di risparmio idrico. Qui non ci sono mai stati problemi idrici ma vedendo

l’aumento da parte di altri settori, il maggiore utilizzatore fi no ad oggi, l’agricoltura, deve

restringere i propri utilizzi ed eliminare gli sprechi”. (A.M., imprenditore agricolo)

La piccola impresa agricola si dimostra, quindi, in grado di introdurre elementi di conoscenza

formale-scientifica in grado di innestarsi sul terreno della tradizione famigliare cresciuta

sulla stratificazione successiva di conoscenze contestuali, che oggi tuttavia non sarebbero

ormai più in grado di assicurare un futuro all’impresa. Da qui, un altro segnale della

volontà di entrare a pieno titolo nella modernità con la chiara intenzione di dismettere i

panni della marginalità cui storicamente è stata relegata l’agricoltura.

Da questo punto di vista gli interlocutori del focus group hanno sicuramente inteso

rivendicare piena cittadinanza nella modernità configurandosi come soggetti economici e

sociali di primario interesse per la modernizzazione dell’intero Sistema-Paese.

4.4 Il punto di vista della Grande Distribuzione Organizzata

Verso la fine degli anni ’90 il panorama della grande distribuzione organizzata italiana

vede affermarsi massicciamente le tendenze già in atto in Europa: concentrazione e

internazionalizzazione3. Al pari delle medio e grandi imprese industriali le imprese

della grande distribuzione si collocano in una posizione di forza all’interno della catena

del valore.

Anzi, nel caso della GDO, emerge in maniera forse più chiara la complessità del rapporto.

Sono da tenere in considerazione: le relazioni con i fornitori, spesso piccole imprese, con

scarso controllo del mercato finale e sempre più caratterizzati da un rapporto di dipendenza

dall’impresa commerciale, ma anche la vicinanza dei consumatori e la possibilità di

interpretarne le aspettative e non solo di consumo.

Capitolo 4

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Da considerare anche il forte innesto nel territorio con potenzialità di integrazione e varietà

nelle proposte di offerta e di intervento maggiori che per un’impresa industriale.

Sempre alla fine degli anni ‘90 le imprese della grande distribuzione commerciale avviano

nuove azioni finalizzate inizialmente alla soddisfazione del consumatore e, successivamente,

alla fidelizzazione dello stesso al marchio e al punto vendita. Emerge l’esigenza di attivare

processi di crescita migliorando la redditività dei singoli punti vendita, puntando sulle

potenzialità ancora latenti dei clienti fedeli o cercando di rafforzare il rapporto con quelli

che fedeli non sono.

Le tradizionali politiche promozionali non consentono più di raggiungere efficacemente

questo risultato, perché offrono vantaggi in modo indiscriminato, che finiscono col favorire

i clienti meno interessanti in termini di fatturato. I programmi di fidelizzazione tendono

a tradursi, quindi, in un vantaggio comune. In altre parole, il cliente fornisce informazioni

in cambio di un’offerta complessiva premiante, in termini di assortimento, prezzi e

promozioni, e rispondere alla sue esigenze.

Si rafforza nelle imprese di grande distribuzione la convinzione che le promozioni a pioggia

non servono. Non centrano più di tanto gli obiettivi possibili, soprattutto in rapporto al target

che rappresenta per supermercati e ipermercati, il maggior cliente. Occorre invece puntare

su altri obiettivi: focalizzare l’attenzione sui clienti, sui comportamenti di acquisto, e, nello

stesso tempo, individuare le variabili nell’assortimento. Il fattore che allora diventa decisivo

è fedeltà e fi ducia. Tutelare i consumatori e offrire loro garanzie di qualità dei prodotti, di

rispetto delle norme igienico-sanitarie, di adeguati valori dei rapporti tra prezzi e qualità,

diventa normale prassi operativa dei principali marchi della grande distribuzione.

“Bisogna partire da quelle che sono le esigenze del consumatore. Cosa ti chiede il

consumatore? Se parliamo di carne vuole delle caratteristiche sulla qualità di quella carne.

Qualità è una parola un po’ ampia, la devi strutturare su quello che lui ti chiede. La carne

la vuole chiara, perché chiara è sinonimo che la vuole giovane, la vuole con un sapore

non forte, la vuole tenera. Se questi sono i tre elementi, noi dobbiamo dare questi input al

mondo produttivo per andare a costruire un tipo di carne che abbia queste caratteristiche.

Qui parliamo di creare la qualità che il consumatore deve percepire e quindi andiamo a

scegliere le razze, i tipi di allevamento, l’età che deve avere l’animale alla maturazione

e come è la sua alimentazione. In base a questo poi andiamo a vedere altri elementi di

distintività che ci chiede il consumatore. Il consumatore ci chiede come priorità assoluta

la salubrità e nell’ambito di questa ci mette anche l’OGM, cioè dice no all’OGM. Quindi

ci dà un altro mandato che noi vediamo come fattibile dal punto di vista di un rapporto

ancora più allargato rispetto al mondo degli allevatori, perché l’allevatore ci può fare qualità

organolettica, se dobbiamo andare fino agli OGM bisogna che spostiamo il nostro rapporto

fino al coordinamento della produzione delle materie prime che servono per l’alimentazione.

È naturale che nei capitolati/disciplinari che abbiamo creato per il marchio Coop sulle carni,

ci sono tutte queste cose che vanno fino al produttore agricolo”. (R.F., COOP Italia)

I clienti più fedeli tendono a delegare il marchio a scegliere prodotti e marche più adeguate

e quindi la gestione di un assortimento vincente deve tenere conto delle preferenze

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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dei clienti che mostrano una elevata brand loyalty. Il punto vendita, di media o grande

dimensione, viene sempre più considerato una macchina per vendere, non casuale ma

attentamente programmata, progettata, strutturata, organizzata, gestita, controllata e

rinnovata.

Fin quando il settore distributivo è stato connotato da piccole dimensioni ed elevata

frammentazione, ad esso era delegata una pura funzione logistica, gli era semplicemente

richiesto di portare un prodotto dal produttore al consumatore. A seguito del processo di

concentrazione e crescita dimensionale della distribuzione si è modificato profondamente

non solo il potere contrattuale della controparte commerciale, ma anche il ruolo stesso

del distributore. Sotto la crescente pressione competitiva a cui il settore commerciale è

sottoposto, la lotta per il mantenimento e l’accrescimento della propria quota di mercato è

avvenuta lungo quattro differenti direzioni, spesso compresenti nelle strategie dei singoli

attori commerciali:

• l’innovazione, intesa come proposizione di nuove formule e messa a punto di nuovi

prodotti commerciali (ipermercato, hard e soft discount, convenience store, etc.);

• la differenziazione delle insegne e l’incremento del valore aggiunto intermediato

attraverso la creazione delle marche commerciali;

• la ricerca continua di nuove aree di mercato e, quindi, la penetrazione nei mercati di

consumo non alimentari;

• l’internazionalizzazione non solo delle imprese, ma anche degli approvvigionamenti.

“Il libero mercato c’è, a tutti gli effetti, con un’evoluzione della grande distribuzione

che purtroppo, noi diciamo, in molti casi è di target straniera, con una quota di mercato

importante e come tale è naturale che in questa concorrenza con una distribuzione di tipo

europeo/mondiale ci troviamo a dover dare delle risposte che in molti casi non sono più solo

su produzioni italiane ma anche su produzioni che vengono da lontano […] Il consumatore

può scegliere ciò che vuole. Si può anche avere la necessità di prezzi ancora più bassi

e cominciano ad arrivare problemi, perché se oggi si lavora in Italia per raggiungere la

differenza giocando sulle razze per avere una scala prezzi che è rappresentata dai mercati,

se si gioca in Europa si amplia la possibilità, c’è l’Irlanda che nelle carni produce a meno, c’è

la Spagna che nella frutta produce a meno. Se poi dobbiamo andare a ricercare nel mondo

probabilmente c’è un Brasile che produce a meno dell’Irlanda o una Argentina che produce

a meno dell’Irlanda”. (R.F., COOP Italia)

Complessivamente, la distribuzione moderna organizzata si è mossa nella direzione di

guadagnare una funzione attiva di proposta e indirizzo nei confronti del consumatore.

Tutto ciò contribuisce ad accelerare la concorrenza tra imprese produttrici e le obbliga

alla selezione di proprie specifiche strategie di risposta, spesso rapidamente obsolete. La

conseguenza di tale processo è la selezione di un parco produttori di diverse dimensioni

ma capaci di pensare in grande: disposto a scegliere le proprie strategie in modo

complementare e congiunto a quelle del distributore, ma anche in grado di gestire una

maggiore complessità secondo segmentazioni prodotto/formula/cliente e orientato

a relazioni di lungo periodo in cui si investe insieme (produttore e distributore) per

guadagnarsi il consumatore finale.

Capitolo 4

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È abbastanza scontato pensare che tali trasformazioni spiazzino il piccolo produttore,

l’azienda con un prodotto anonimo e poco orientata alla collaborazione strategica. Il

processo di rapida concentrazione della distribuzione commerciale, specialmente nel

comparto agro-alimentare, spiazza la controparte produttiva anche perché connotata da

una piccola dimensione.

Oggi la grande distribuzione presidia quasi totalmente gli sbocchi della filiera agro-

alimentare ed anche ad essa è affidato il destino della produzioni agricole italiane. Sino

ad oggi, il rapporto tra grande distribuzione e piccoli produttori ha spinto questi ultimi a

ricercare circuiti distributivi complementari o alternativi, mentre la GDO ha privilegiato

il rapporto con fornitori medio-grandi capaci di assicurare il migliore mix tra volumi,

continuità, qualità, efficienza e logistica. Il piccolo agricoltore specializzato su produzioni

di qualità conquista spazi ristretti in quanto funzionali a soddisfare i target di consumatori

con maggiore capacità di spesa.

Tuttavia, in un’ottica di tutela delle produzioni agro-alimentari italiane resta molto da

fare per individuare equilibri soddisfacenti per i diversi attori in gioco. Da una parte la

conoscenza approfondita dei diversi profili di consumo e la capacità di influenzare la

domanda attribuisce alla grande distribuzione una ragionevole capacità di prevedere quali

saranno i prodotti agricoli con maggiori possibilità di vendita, dall’altra, il produttore si

trova schiacciato su margini di guadagno molto risicati di cui si ritiene responsabile la

grande distribuzione.

“Le varietà sono una componente importante e però qui vai a toccare un altro grande

elemento che è come è il mio mondo produttivo, che se è di piccole dimensioni e il piano

culturale di quel coltivatore diretto è fatto in base alla sua forza lavoro, tu hai un’agricoltura

che magari può sopportare mercati di crisi perché c’è un imprenditore in prima persona con

la sua forza lavoro. Però tu non hai nessun tipo di programmazione, tu hai comunque una

fi liera che non ha l’effi cienza, a meno che l’effi cienza non gliela fai pagare a lui perché tu hai

una serie di costi che esplode dal campo fi no a chi mi fa il carico completo.

[…] Noi abbiamo provato con un progetto nel 2002, in occasione della nostra assemblea, a

mandare 10 messaggi al mondo produttivo, partendo dal prodotto marchio Coop, dicendo

“noi poniamo queste quantità, questi volumi, li mettiamo a disposizione per vedere se si può

avere una azienda più efficiente e più efficace”, denunciando già allora che avremmo avuto

un allargamento che avrebbe aperto il mercato mondiale. Io fino ad oggi ho avuto lettera

quasi morta, nel 2005 siamo in piena crisi.

Questa filiera vive con dei corpi separati, la filiera deve essere efficiente e non è detto

che deve garantire costi di produzione da una parte e dall’altra. Tu però devi essere più

efficiente. Se da noi alla Spagna per produrre la frutta c’è il 20% di differenza nei costi di

produzione, bisogna andare a vedere dov’è quel 20%. Se è nei contributi unificati per la

manodopera bisogna vedere cosa si può fare, se è nei costi di trasporto perché là il petrolio

ha meno ricarichi di accisa rispetto all’Italia bisognerà vedere come fare delle agevolazioni,

se il concime costa il 20% in più in Italia che in Spagna bisognerà vedere.

Io dirò che sono disponibile ad ottimizzare il tutto, farò azioni che abbiano degli equilibri

alla vendita verso il consumatore, però l’imprenditore non può dire: lavoro “per conto”,

l’imprenditore divento io. La grande distribuzione deve dare indirizzi”. (R.F., COOP Italia)

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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La posizione della grande impresa commerciale al dettaglio, ultimo anello della catena del

valore, dispone naturalmente di uno sguardo ampio che abbraccia tutta la sequenza di fasi e

passaggi che caratterizzano la realizzazione e commercializzazione di un prodotto o servizio.

Il problema di dare trasparenza e quindi garanzie per l’intera fi liera è espresso in termini

di “rintracciabilità”. L’attenzione che viene posta al problema della rintracciabilità esprime

la necessità di una visione globale dei processi, che ricostruisce i percorsi per conoscerli,

controllarli ed, eventualmente, gestirli in proprio o attraverso una rete di relazioni che

risalgono a monte, fi no ai soggetti e luoghi delle prime fasi di produzione – coltivazione

– estrazione – prime fasi di trasformazione, per garantire qualità ed equilibrio complessivo

alle componenti di prodotto, ma anche alle valenze ambientali e sociali dei processi.

4.5 Il rapporto con il sistema bancario

La smaterializzazione progressiva dell’economia legata al turismo e, in misura crescente,

anche all’agricoltura, determina un impatto piuttosto negativo nel rapporto con il sistema

bancario, il quale, specie nella fase di start-up, fatica ad individuare criteri di giudizio

relativi alle potenzialità del business.

Più in generale, i piccoli imprenditori che hanno partecipato al focus group hanno lamentato

un’eccessiva e crescente burocratizzazione dei rapporti con il proprio referente bancario

tradizionale, così da determinare un significativo spostamento verso realtà bancarie di

medio-piccole dimensioni, ritenute più adatte a fornire risposte rapide alle esigenze

dell’impresa, più disponibili ad instaurare un clima di fiducia, ma forse meno capaci di

affiancare le imprese e di coadiuvarle nelle loro scelte di prospettiva.

“I rapporti con le banche non sono stati poi così belli, ci rapportavamo con una banca di livello

nazionale ma era molto poco sensibile alle esigenze dell’azienda: c’era una burocratizzazione

esagerata con tempi lunghissimi. Da qualche anno a questa parte lavoriamo con un banca

locale e ci troviamo relativamente bene. Abbiamo constatato che le banche sono fatte dalla

persona del direttore. Un direttore ha strutturato bene la filiale e quelli che sono venuti dopo

hanno approfittato, ancora oggi ci avvaliamo di lui quando abbiamo bisogno di risolvere

i problemi. Non è il marchio della banca ma le persone che ci stanno dietro. Non ci sono

problemi finanziari con le banche ma semmai problemi burocratici, sia con la banca che con

le istituzioni”. (L.L., artigiano settore alimentare)

“Quando sono entrato io in azienda ho tagliato i ponti per un problema di troppa burocrazia. Ho

cercato rapporti con la Cassa di Risparmio di Asti dove troviamo la persona che prende a cuore il

caso e ci dà risposte subito. La nostra fortuna è che ci siamo riavvicinati alla dimensione locale,

i rapporti hanno qualcosa di umano, la telefonata, la fi ducia”. (E.R., imprenditore agricolo)

“Vorrei che la banca aiutasse l’impresa. Se avessi trovato i capitali 3 anni fa oggi sarei

probabilmente quotato in borsa con 50 milioni di euro. Avendo dovuto fare tutto con le

nostre forze ci abbiamo messo molto per arrivare fin qui. Fortunatamente avevo una buona

credibilità e sono riuscito a fare quello che ho fatto”. (A.B., Web Tour)

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“Il rapporto con le banche necessita di interlocutori che possano cogliere gli imprenditori più

innovativi che possono andare avanti. Per quanto riguarda il futuro sono ottimista del nostro

settore a condizione che ci sia un lavoro sinergico non solo da parte delle banche ma anche

delle varie amministrazioni e dal governo centrale”. (N.P., imprenditore turismo)

Tra le cause principali che hanno contribuito ad rendere più complicato il rapporto tra

banca e piccola impresa vi è il processo di ristrutturazione proprietaria e organizzativa che

ha portato alla formazione di grandi gruppi bancari che, almeno in un primo momento,

sembrano avere perso di vista la piccola impresa.

Oggi appare invece più evidente come le grandi realtà bancarie hanno ricominciato

nuovamente a considerare quale possa essere l’approccio migliore al sostegno delle economie

locali e della piccola impresa, cercando di coniugare la grande dimensione della banca –

ritenuta indispensabile per competere nei mercati fi nanziari – e l’accentramento conseguente

delle sedi decisionali, con l’indispensabile vicinanza della banca alla piccola impresa, così da

risolvere i problemi di asimmetria informativa e di prestazione delle garanzie.

Gli imprenditori agricoli, che hanno partecipato al focus group, si trovano oggi nella

condizione di affrontare in modo più complesso rispetto al passato il rapporto con il sistema

bancario.

Se infatti, in passato, gli agricoltori hanno potuto usufruire di un’ampia gamma di

agevolazioni finanziarie, che si accordava ad una diffusa ritrosia all’investimento, non

vi è dubbio che, oggi, essi siano portatori di una domanda più articolata che adombra le

problematiche tipiche del rapporto tra istituti bancari e piccola impresa e che attengono ai

tema della trasparenza delle imprese e della capacità valutativa degli istituti di credito.

Le piccole imprese dispongono per definizione di un capitale finanziario relativamente

esiguo. Se da un lato sono molto agili nell’adattare la produzione e il servizio alle esigenze

del mercato, dall’altro questo pregio diventa quasi una necessità, in quanto il loro piccolo

dimensionamento finanziario le rende più esposte al rischio, e più vulnerabili nelle

situazioni di difficoltà.

In tutto questo, si chiede al sistema bancario di farsi carico di una situazione problematica:

finanziare le piccole imprese locali non è immune da rischi – anche se non bisogna

dimenticare le garanzie derivanti dalla proprietà di più o meno ampi appezzamenti –

perché la scarsa liquidità e la marcata dipendenza alle oscillazioni e all’instabilità del

mercato, le rendono dei soggetti deboli, all’interno dell’attuale scenario economico. Alle

difficoltà strutturali, vanno poi aggiunti anche i già citati problemi contingenti, relativi alle

difficoltà congiunturali dell’economia italiana e al contemporaneo ingresso nei mercati di

concorrenti agguerriti e molto competitivi.

“Rapporti buoni anche se il settore agricolo soffre di un rapporto non ottimale, cronico, con gli

istituti di credito. L’accesso al credito è diffi coltoso. Le problematiche stanno dalle due parti.

In passato l’agricoltore usufruiva dei tassi agevolati, oggi, che serve innovazione e ricerca,

non ricorre più al credito perché ha costi troppo alti. Inoltre ci deve essere un nuovo criterio

di valutazione dei progetti aziendali da parte delle banche”. (A.M., imprenditore agricolo)

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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“Il discorso banche per noi non è un problema, abbiamo la terra e quindi non è difficile

aver il denaro. Non mi piace però la banca, in lei vorrei un partner, un persona che investa

con me, che la banca possa avere del capitale con me (se lo può permettere e ha persone

qualificate). Sarebbe bello se la banca potesse mettere al fianco delle aziende piccole

come noi dei consulenti, degli esperti per consigliarle dove andare, se fare determinati

investimenti”. (E.D.O., imprenditore agricolo)

“I problemi sono tanti, il rapporto con le banche va bene anche se mi sembrano carenti sul

credito verso l’agricoltura. E poi con Basilea 2 avrò il problema della fideiussione fra me e

mio padre, avrò dei problemi grossi di rating”. (M.S., imprenditore agricolo)

Il tessuto delle imprese del comparto turistico si trovano di fronte ad un diffuso problema

di sottocapitalizzazione destinato, secondo gli intervistati, a peggiorare con l’applicazione

delle regole di Basilea 2.

Accedere al credito e utilizzare strumenti finanziari appare già piuttosto complicato

data la storica separazione, spesso solo formale, fra proprietà degli immobili e titolarità

dell’impresa che lo gestisce. Nello specifico del settore del turismo in molte aree del Paese,

specie in quelle mature, la rendita dell’attività fatica a remunerare la rendita immobiliare

per gli effetti della bolla speculativa del mattone.

A ciò occorre aggiungere il fatto che, a ricambio generazionale avvenuto, i fi gli tendono ad

affi ttare l’azienda anziché gestirla direttamente. Strumenti di carattere fi nanziario, ma anche

di tipo fi scale, si rendono perciò necessari per orientare l’evoluzione e sostenere l’innovazione.

Come emerso anche nel corso del focus group, il sistema turistico italiano non potrà competere

per il livello dei prezzi ma per l’originalità e la qualità ospitale delle proprie imprese. Il sistema

fi nanziario e bancario ha peraltro già individuato qualche strumento signifi cativo: private equity

found (compartecipazione al capitale di rischio delle imprese turistiche), fondi chiusi, bond di

distretto, sistemi attraverso i quali sarà possibile affrontare e sostenere nuovi investimenti.

I rappresentanti delle associazioni di queste tipologie di micro e piccole imprese

sottolineano quanto segue:

• la relazione con gli istituti di credito sono improntati esclusivamente al soddisfacimento

delle esigenze di credito;

• per le imprese di dimensione apprezzabile è possibile ragionare su un primo livello di

attività finanziaria (prestiti partecipativi, cambiali finanziarie, crediti di scopo);

• per una fascia di PMI con fatturati superiori a 2,5 milioni di euro, il rapporto con la finanza

può cominciare ad assumere caratteristiche più complesse (emissioni obbligazionarie,

banche estere corrispondenti).

Queste ultime sono quelle che richiedono sin da ora servizi avanzati ed in particolare la

contrattazione di prodotti volti ad accrescere il capitale sociale, uscendo anche da una pura

logica di finanziamento bancario.

Occorre saper socializzare gli imprenditori all’apprendimento, sviluppando parallelamente

relazioni economiche e fiduciarie. D’altra parte il fattore fiduciario accresce la sua

importanza in un contesto generale di tassi di interesse ed inflazione stabilmente bassi,

quando cioè nella relazione banca-impresa occorre creare le condizioni per saper valutare

Capitolo 4

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123

l’importanza di richieste di credito di medio-lungo periodo, rispetto a quelle di breve del

periodo prevalenti sino a qualche lustro fa.

Finanziare a tassi bassi, a bassa infl azione vuol dire quindi anche valutare la signifi catività

dell’investimento industriale produttivo, il che si traduce nella capacità da parte delle banche

di attrezzarsi per passare, come ha sottolineato un intervistato, “dalla garanzia immobiliare

alla garanzia imprenditoriale”. A rendere complesso il rapporto banca e piccola impresa

interviene poi anche la tanto dibattuta questione della trasparenza dei conti delle imprese e

della riluttanza a dare una rappresentazione di bilancio improntata a criteri di trasparenza.

Qualsiasi banca si ritrae di fronte a comportamenti opachi dell’imprenditore. Il risultato è

una frammentazione del rapporto tra banca e impresa, con piccole e medie imprese che

spesso lavorano anche con quindici banche contemporaneamente. Nessun istituto vuole

impegnarsi a fondo, e così l’indebitamento aziendale viene suddiviso con il sistema del

multi affidamento. Questo sarà anche un modo per ridurre il rischio, ma per le aziende

significa maggiori costi.

Alla luce degli accordi di Basilea 2, molte banche si sono già dotate di sistemi di valutazione

interni, con i quali sviluppano un monitoraggio sistematico della clientela sulla base di

dati contabili e bancari. Infatti, la nuova disciplina del capitale bancario, dovendo essere

rapportata direttamente alle diverse classificazioni della clientela (in termini di rischiosità

di insolvenza), comporta una valutazione dell’impresa cliente, che si esprime in un voto.

Fondamentale importanza è assegnata al valore e al riconoscimento delle garanzie,

strumento spesso basilare per rettificare la valutazione dell’impresa e, di conseguenza,

consentirne l’accesso al credito.

In questo contesto prende corpo il ruolo degli organismi di garanzia collettiva fidi, i quali

dispongono di conoscenze e informazioni sulle piccole imprese associate di grandissimo

valore e che permette di influenzare il processo di rating interni agli istituti di credito.

Storicamente un contributo fondamentale a risolvere le questioni legate al tema della

garanzia è stato svolto alle associazioni delle piccole imprese che, attraverso l’istituzione

di cooperative di garanzia, sono intervenute in modo efficace attraverso un meccanismo

di mutualismo. Le cooperative di garanzia hanno chiuso il cerchio della relazione banca-

piccola impresa, innescando un processo virtuoso che ha accompagnato lo sviluppo locale

sino alla fine degli anni ’90.

L’accesso ai consorzi fi di appare strategico non tanto dal punto di vista del potenziale di

business – dato che, a detta degli stessi rappresentanti artigiani, alcune banche tendono ad

offrire condizioni di credito migliori con tempi più rapidi di istruttoria – ma perché costituisce

per la banca un momento di visibilità che permette di accreditarsi presso coloro, appunto le

associazioni di rappresentanza, che fungono da fi duciari presso il tessuto delle imprese.

D’altra parte, nella strutturazione di relazioni non valgono solo criteri di efficienza di breve

periodo ma elementi fiduciari di medio-lungo periodo, specie per una realtà che intende

affacciarsi al territorio per la prima volta.

Da qui la possibilità del sistema bancario di agire per la riqualificazione di queste

iniziative, che potrebbero contribuire ad estendere le reti di relazione con le associazioni

Un’analisi qualitativa di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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di rappresentanza locale e con le autonomie funzionali, le quali mantengono sul territorio

un forte ruolo di intermediazione tra sistema del credito e sistema delle imprese. Molto

spesso quando le associazioni presentano per conto dei soci una domanda alla banca

hanno già svolto un serie di attività di anamnesi e di consulenza, che funge da punto di

riferimento per le decisioni bancarie.

Quando invece le operazioni si fanno più complesse è la banca a svolgere un compito di

consulenza più incisivo, mentre l’associazione funge da garante fiduciario verso le imprese.

Tutti questi processi presuppongono, tuttavia, la presenza di un clima collaborativo basato

sulla fiducia reciproca tra i diversi attori in gioco che non sempre è presente.

Un ulteriore punto di debolezza nel rapporto con la piccola impresa riguarda l’intreccio

tra grado di autonomia decisionale e velocità di riposta dell’interlocutore bancario. La

problematica, per altro diffusa in una certa misura anche tra le banche di media dimensione,

attiene alla scarsa autonomia degli operatori bancari locali e alla conseguente difficoltà

di stare sui tempi di piccole imprese che, nello stato di sottocapitalizzazione cronica in cui

si trovano, misurano l’efficienza di una banca sulla velocità di risposta alle domande di

credito per gli investimenti.

Diventa consapevolezza diffusa che la cooperazione tra imprese e tra agenzie locali tende a

massimizzare l’uso della conoscenza, poiché ciascuno benefi cia della conoscenza dell’altro.

Più in generale, le produzioni locali possono trarre benefici oppure subire ripercussioni

negative, a seconda che “funzionino” o meno tutti i fattori che compongono la business

culture locale: valori di riferimento, norme comportamentali, convenzioni e stili di

interazione. In assenza o in carenza di valori di riferimento, di norme comportamentali

e di modelli di interazione ampiamente condivisi, la continua e inevitabile insorgenza

di conflitti di interesse tra gli agenti economici costituisce una minaccia costante alle

capacità di funzionamento del sistema.

Per questo, sullo sfondo di una crescente apertura internazionale delle società locali,

l’attenzione di quanti operano ai livelli territoriali inferiori tende a svilupparsi in direzione

della creazione di una “strutturazione ambientale” elevata. Della creazione, cioè, di contesti

locali in cui risorse di diversa provenienza trovino la loro migliore combinazione in termini

di vantaggi per i sistemi locali, presi nel loro insieme, e per l’attività dei singoli operatori.

1 Negli ultimi dieci anni l’attività di tour operating in Italia è cresciuta in maniera sensibile e continua. Nel 1995 il giro d’affari in Italia era pari a circa 2.600 milioni di euro, mentre nel 2003 si è attestato intorno a 4.500 milioni di euro con una crescita media annua compresa tra il 5% e il 7%. Nel 1995 la metà del fatturato complessivo del settore era realizzato dai primi 13 tour operator, mentre nel 2003 la stessa percentuale di fatturato è stata realizzata dei primi 5 tour operator.

2 Questo nuovo stadio della valorizzazione è stato defi nito da Pine e Gilmore, con felice espressione, economia delle esperienze. L’economia delle esperienze, nella prospettiva adottata dai due autori, non è un’evoluzione dell’economia dell’informazione, ma è giustapposta ai tre gruppi merceologici tradizionali: commodity, beni e servizi. L’offerta di esperienze ha luogo “ogni qualvolta un’impresa utilizzi intenzionalmente i servizi come palcoscenico e i beni come supporto per coinvolgere un individuo”. In altri termini, “l’impresa – il regista di esperienze – non offre più soltanto beni e servizi, ma l’esperienza che ne deriva, ricca di sensazioni, creata dal cliente”.

3 La quota di mercato detenuta dai primi cinque gruppi distributivi in Italia era pari al 62,7% nel 2000 e all’89,4% nel 2002; contemporaneamente la quota di mercato delle centrali di acquisto legate a gruppi internazionali è passata dal 3,5% del 1995 al 49% del 2002.

Capitolo 4

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125

5.1 La rilevazione presso i giovani associati di Coldiretti

Dati strutturali e andamento del fatturatoIn questa sezione vengono riportati i risultati di una rilevazione svolta presso un campione

casuale di 134 giovani associati a Coldiretti, titolari di piccole e micro-imprese agricole.

Tra gli obiettivi principali dell’indagine, oltre alla ricostruzione del profilo delle imprese,

sono da annoverare la volontà di ricostruire il punto di vista degli imprenditori sui fattori

che determinano il vantaggio competitivo nei mercati di riferimenti, gli obiettivi strategici,

il rapporto con il mondo dei servizi finanziari e la domanda di servizi di accompagnamento

alla crescita dell’attività.

Il profilo degli intervistati, riportato sinteticamente nella tabella 5.1, evidenzia una netta

prevalenza della componente maschile con età compresa tra i 25 e i 30 anni (l’età media

del campione è di 27,2 anni). La distribuzione relativa ai titoli di studio pone in luce una

maggioranza assoluta di diplomati superiori, mentre relativamente significativa è la quota

dei laureati, sensibilmente superiori tra le femmine.

5.1 Profi lo degli imprenditori

%

Sesso M 79,2

F 20,8

Classi di età Sino al 1975 23,5

1976-1980 50,8

Dopo il 1980 25,8

Titolo di studio Licenza elementare 1,5

Licenza media 16,7

Diploma professionale 9,8

Diploma di maturità 58,3

Laurea breve 2,3

Laurea 11,4

Fonte: Questionario Coldiretti

Capitolo 5

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

a cura di Aldo BonomiConsorzio A.A.STER

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Quanto riportato nella tabella 5.2 presenta alcuni dati strutturali delle imprese agricole

di cui sono titolari gli intervistati. Il 70% delle imprese opera principalmente nel settore

ortofrutticolo, mentre il 30% è rappresentato da aziende dedite all’allevamento.

Oltre due imprese su tre si configurano come ditte individuali, è significativa la quota

delle società di fatto, mentre appaiono assolutamente marginali le società di capitali.

Buona parte delle imprese è stata fondata dopo il 1980, in particolare una su tre dopo il

2000. La distribuzione per classi di anzianità dell’impresa secondo la natura giuridica non

evidenzia particolari mutamenti nel corso del tempo, così come la distribuzione relativa

agli addetti che, almeno nel quinquennio 2000-2004, mostra una crescita dei valori medi

molto contenuta (+5,9%).

Con una media di 4,26 addetti nel 2004 le micro-imprese censite si collocano quasi

totalmente (89,3%) al di sotto della soglia di fatturato di 500.000 euro, mentre la metà

non oltrepassa i 100.000 euro annui.

5.2 Profi lo delle imprese

%

Natura giuridica Ditta individuale 69,2

Società di fatto 14,6

Società cooperativa 3,1

SAS 3,8

SRL 0,8

Altro 8,5

Anno di fondazione Sino al 1980 29,1

1981-2000 37,8

Dopo il 2000 33,1

Addetti (valore medio, 2000 4,01

compresi titolari e soci) 2002 4,11

2004 4,26

Classi di fatturato 2004 (euro) <100.000 50,4

100-500.000 38,9

500-1.000.000 6,1

>1.000.000 4,6

Andamento del fatturato Crescita 37,7

ultimi tre anni Stabile 43,1

Diminuzione 19,2

Previsione fatturato prossimi Crescita 31,3

tre anni Stabile 33,5

Diminuzione 17,6

Non sa 17,6

Fonte: Questionario Coldiretti

Capitolo 5

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127

Secondo quanto dichiarato dalla maggioranza relativa degli intervistati (43,1%) l’andamento

aggregato del fatturato negli ultimi tre anni è stato sostanzialmente all’insegna della

stabilità. Una quota piuttosto significativa ha sperimentato una dinamica di crescita

(37,7%), mentre poco meno di un’impresa su cinque avrebbe conosciuto una dinamica

negativa. La percentuale di imprese con andamento positivo risulta più ampia al crescere

della classe di fatturato, passando dal 33,8% delle imprese poste al di sotto dei 100.000

euro al 62% delle imprese con oltre 500.000 euro di fatturato nel 2004.

Per quanto attiene alla previsione per il futuro prevale ancora la percezione di stabilità

(33,5%) seguita a breve distanza dalle aspettative di crescita (31,3%).

Forte è la correlazione tra andamento degli ultimi tre anni e aspettative per il futuro, dal

momento che il 77% delle imprese che prevedono una crescita hanno sperimentato una

dinamica positiva negli ultimi anni. Il che porta con sé un forte legame tra aspettative di

crescita e dimensioni del fatturato. Sono le imprese più grandi ad essere più inclini ad una

visione positiva del futuro.

Il grafico 5.3 indica come poco meno della metà degli intervistati (48,5%) giudichino

“discreta, ma con qualche preoccupazione” la condizione competitiva delle imprese in

prospettiva, mentre uno su quattro paventa una situazione “critica, con difficoltà che ancora

non si sa come affrontare”. Significativo il dato secondo il quale le situazioni critiche sono

particolarmente numerose tra le imprese fondate negli anni ’80 e ’90, mentre tra le più

anziane e tra quelle fondate a partire dal 2000 prevale una visione discretamente positiva.

Infine, occorre precisare come gli allevatori risultino sensibilmente più pessimisti sulle

prospettive future rispetto agli imprenditori del comparto ortofrutticolo.

Localizzazione e ampiezza dei mercatiDal punto di vista dell’ampiezza geografica del mercato servito, i dati raccolti evidenziano

come la metà delle imprese (50,6%) operi esclusivamente nel mercato locale (provinciale),

mentre il 45% si rivolge a mercati di dimensione regionale o nazionale. Infine il 16,7%

delle imprese si muove anche a livello europeo, mentre il 6,7% a livello mondiale.

Poco meno del 40% delle imprese ha conseguito una qualche forma di certificazione della

qualità. Si tratta di imprese che, pur equamente distribuite tra coltivatori e allevatori,

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

5.3 Come giudica la condizione competitiva dell’impresa, considerando anche le prospettive del prossimo futuro?

Fonte: Questionario Coldiretti

Eccellente, ci sono grandi possibilità 2,3%

Buona, l’impresariuscirà sicuramentea svilupparsi 20,8%

Discreta, ma abbiamo qualchepreoccupazione 48,5%

Critica, ci sono difficoltàche non sappiamo ancora

come affrontare 25,4%

Negativa 3,0%

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presentano una quota più significativa di soggetti con aspettative positive per il futuro e

che nel passato recente ha sperimentato un andamento positivo del fatturato.

Le determinanti del vantaggio competitivoLa tabella 5.4 riporta la graduatoria dei fattori che determinano il vantaggio competitivo

della propria impresa secondo il parere degli intervistati. Da questo punto di vista, al primo

posto, si colloca la qualità dei prodotti/servizi offerti, aspetto sottolineato soprattutto dalle

imprese del comparto ortofrutticolo, con fatturato in crescita e con ulteriori prospettive in

questo senso. Al secondo posto si attesta la capacità di contenere i costi di produzione,

aspetto questo più diffuso tra gli allevatori e tra le imprese con fatturato stabile. Su valori

medi molto simili, compresi tra il 3,95, relativo alla professionalità delle risorse umane,

ed il 3,63 del fattore legato all’innovazione di prodotto/servizio, si raggruppa un vasto

numero di variabili, mentre tre sono gli aspetti competitivi che si attestano su valori

sensibilmente più contenuti: la comunicazione e il marketing, la capacità di presidio dei

canali distributivi e l’ampiezza e varietà della gamma dei prodotti/servizi.

Ora – se quest’ultimo è un fattore che rimanda alla forte specializzazione delle imprese –

comunicazione e presidio dei canali distributivi rappresentano, senza dubbio, fattori critici

sui quali gli intervistati torneranno ad esprimersi più oltre nella rilevazione.

5.4 Utilizzando una scala da 1 a 5, quale importanza per il vantaggio competitivo nei mercati di riferimento viene assegnata dall’impresa ai seguenti fattori?

1 (v.%) 2 (v.%) 3 (v.%) 4 (v.%) 5 (v.%) Votazione media

Qualità dei prodotti/servizi offerti 1,7 4,1 9,9 26,4 57,9 4,35

Costi di produzione/gestione dell’attività 4,9 3,3 17,9 17,9 56,1 4,17

Professionalità delle risorse umane 3,3 8,3 20,8 25,0 42,5 3,95

Immagine aziendale 5,0 10,0 17,5 20,8 46,7 3,94

Qualità dell’ambiente 3,4 10,9 16,8 30,3 38,7 3,90

Livello di servizi al cliente 4,3 7,7 18,8 34,2 35,0 3,88

Qualità e aggiornamento delle tecnologie 4,2 5,0 21,0 39,5 30,3 3,87

Innovazione di prodotto/servizio 5,8 15,0 19,2 30,8 29,2 3,63

Comunicazione e marketing 11,7 13,3 25,0 17,5 32,5 3,46

Presidio dei canali distributivi 8,5 18,8 29,1 24,8 18,8 3,26

Ampiezza e varietà della gamma di prodotti/servizi 9,4 20,6 30,8 23,9 15,4 3,14

Fonte: Questionario Coldiretti

Piuttosto articolato appare il quadro degli obiettivi strategici perseguiti in modo prioritario

dalle imprese censite (grafico 5.5). Innanzitutto la ricerca di nuove nicchie di mercato (45%),

fortemente perseguita dalle imprese del settore ortofrutticolo, l’ulteriore specializzazione

sui prodotti/servizi nei campi dove l’impresa vanta alti standard di produzione (32,9%),

aspetto sul quale puntano maggiormente gli allevatori. Comune ai due settori è l’esigenza

di allargare l’ampiezza geografica del mercato servito (32,8%).

Capitolo 5

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Leggermente al di sotto della soglia del 30% dei casi si attesta l’obiettivo di ridurre i costi

attraverso l’introduzione di nuovi macchinari o processi, il 26% ritiene importante stipulare

accordi con altre imprese, il 24,4% intende certificarsi (specie tra gli allevatori), mentre

su valori molto bassi si collocano temi quali l’aumento della capacità di adattamento alle

richieste del cliente e la diversificazione della gamma produttiva.

Al fine di migliorare la capacità competitiva dell’impresa, gli intervistati sono stati chiamati

ad indicare quali siano i soggetti con i quali occorrerà migliorare i rapporti.

In questo senso, la maggioranza (62,6%) individua nello sviluppo di rapporti con nuovi

partner commerciali la principale opzione, seguita a distanza da due tipologie di attori:

le associazioni di categoria (42%) e le banche (38,2%). Meno significativi risultano, su

questo piano, attori quali la scuola e la formazione professionale (18,3%), la PA/CCIAA

(19,8%) e l’Università (22,1%).

Il rapporto con il sistema bancarioIl grafico 5.6 propone i dati relativi al grado di soddisfazione espresso dagli intervistati, in

relazione ad alcuni aspetti che caratterizzano il rapporto tra l’impresa e il mondo bancario.

Da questo punto di vista, due sono gli aspetti della relazione che riscuotono il consenso

della maggioranza degli intervistati: il primo attiene alla gestione pagamenti e incassi

(64,5% di molto o abbastanza soddisfatti), mentre il secondo rimanda al credito a medio/

lungo termine (52,8% di molto o abbastanza soddisfatti).

Poco al di sotto della soglia del 50% si collocano dimensioni quali la gestione della liquidità

(49,6%), il credito a breve termine (48,3%) e il credito agevolato (47,5%). Quest’ultimo è

tuttavia anche il tema che raccoglie la percentuale più consistente di soggetti poco o nulla

soddisfatti (43,3%), cui si affianca la questione dell’assistenza commerciale (42,8%). Vi

è poi una vasta gamma di prodotti e servizi relativamente poco utilizzati: servizi di home

banking (non utilizzati dal 37,9%), l’assistenza per export (44,2%), il factoring (60,7%) e

il leasing (55,6%).

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

5.5 Obiettivi strategici dell’impresa (massimo tre risposte)

Ricercare nuove nicchie di mercato45,0

Fonte: Questionario Coldiretti

Specializzarsi nei prodotti/servizi dove si riesce meglio32,9

32,8

29,8

Allargare l’ampiezza geografica del mercato servito

Ridurre i costi introducendo nuovi macchinari o nuovi processi

Stipulare accordi, reti, consorzi, fusioni, ecc., con altre imprese

Certificare la qualità

Investire in comunicazione e marketing

Posizionarsi su prodotti e/o mercati di maggiore qualità

Aumentare la velocità di risposta al mercato

Diversificare la gamma delle produzioni/servizi offerti

Aumentare la capacità di adattamento alle esigenze del cliente

26,0

24,4

22,9

18,3

17,6

14,5

13,0

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La tabella 5.7 riporta una serie di valori relativi al grado di soddisfazione per i servizi

finanziari. La disaggregazione per settore evidenzia un costante maggior grado di

soddisfazione per le imprese dell’ortofrutticolo, ad esclusione dei servizi assicurativi che

invece raccolgono maggiori consensi tra gli allevatori.

La suddivisione per andamento del fatturato mostra invece una situazione sensibilmente

più articolata. Le imprese in crescita presentano quote di molto o abbastanza soddisfatti

più accentuate per quanto attiene ai servizi di credito a medio/lungo termine, a quelli di

assistenza commerciale e ai servizi assicurativi. Il segmento delle imprese stabili sono invece

più soddisfatte della gestione dei pagamenti/incassi, del credito a breve e per l’assistenza

all’export. Le imprese con fatturato in diminuzione sono invece più frequentemente

soddisfatte della consulenza economica e fi nanziaria e per il credito agevolato.

Per i servizi finanziari, il 64,3% delle imprese si rivolge a diverse banche di livello locale

o nazionale, il 19,4% ha usufruito dei finanziamenti concessi da Consorzi Fidi (più diffusi

tra gli allevatori), il 17,8% opera in proprio (pratica nettamente più diffusa tra allevatori),

mentre il 7% si serve esclusivamente di banche locali.

5.7 Percentuale di molto + abbastanza soddisfatti per prodotti/servizi fi nanziari per settore e andamento del fatturato

Gestione pagamento

incassi

Credito a breve

Credito a medio/lungo

Assistenza commerciale

Assistenza export

Consulenza fi nanziaria

Credito agevolato

Servizi assicurativi

Ortofrutticolo 70,5 56,4 55,7 40,6 22,8 48,1 52,0 40,0

Allevamento 51,7 34,4 40,7 32,3 13,3 41,9 41,9 45,2

Crescita 65,2 47,8 58,7 43,2 19,1 46,6 52,3 47,7

Stabile 70,8 51,0 49,1 34,0 20,8 42,3 41,2 36,0

Diminuzione 52,2 43,5 45,9 39,1 14,4 52,2 56,5 31,8

Fonte: Questionario Coldiretti

Capitolo 5

5.6 Soddisfazione dei prodotti/servizi fi nanziari a cui eventualmente ricorre per le esigenze dell’impresa

Fonte: Questionario Coldiretti

Gestionepagamento

incassi

Creditoa medio/

lungotermine

Gestioneliquidità

Creditoa brevetermine

Creditoagevolato

Consulenzaeconomica

e finanziaria

Serviziassicurativi

Assistenzacommerciale

Servizihome

banking

Assistenzaexport

Factoring Leasing

Molto/abbastanza Poco/per nulla Non usa

64,552,8 49,6 48,3 47,5 45,1 39,8 38,7 31,9

18,5 15,2 13,1

28,236,0 39,3 41,1 43,3

40,235,6 42,8

30,237,3

24,1 31,3

7,3 11,2 11,1 10,6 9,2 14,724,6

18,5

37,9 44,260,7 55,6

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Il 73,8% delle imprese ha in programma qualche investimento nell’ambito della propria

attività imprenditoriale. Tra queste il 56,3% ricorrerà a finanziamenti esterni all’impresa,

il 29,2% ricorrerà al capitale aziendale (modalità più diffusa tra le imprese del settore

ortofrutticolo), mentre il 14,5% non ha ancora reperito finanziatori disponibili (problematica

più evidente tra gli allevatori).

Tra le imprese con fatturato in crescita, la percentuale di quante affronteranno nuovi

investimenti sale all’85%, a fronte del 65% delle imprese stabili e di quelle in diminuzione.

In particolare gli investimenti delle prime verranno sostenute, oltre che con finanziamenti

esterni, in maniera cospicua anche dal capitale aziendale.

Il 78,1% degli intervistati dichiara che gli investimenti saranno orientati all’acquisto di

nuovi macchinari e attrezzature, il 56,2% intende investire in nuovi impianti produttivi,

mentre notevolmente inferiori sono le quote di imprese che si accingono ad investire in

nuovo personale (14%), in nuovi marchi (15%) o in formazione (14,3%). Queste ultime

due opzioni risultano piuttosto concentrate tra le imprese con fatturato in crescita.

Per quanto riguarda il quadro dei servizi sul territorio di localizzazione dell’impresa da

incrementare in vista di una crescita competitiva dell’impresa, gli intervistati (grafico

5.8) sottolineano con particolare forza la necessità di migliorare la dotazione di servizi

per l’innovazione tecnologica (43,8%), seguiti da altri due aspetti: i servizi per la

commercializzazione con l’estero (35,9%) e la formazione imprenditoriale (35,2%). Su valori

più bassi, ma pur sempre significativi, si attestano i servizi finanziari (27,3%), la formazione

professionale (23,4%) e l’efficienza della PA (21,9%), mentre su valori progressivamente

più contenuti si collocano questioni quali il miglioramento dei collegamenti infrastrutturali

(17,2%), del sistema fieristico locale (17,2%), sino al 3,1% raccolto dai servizi di

smaltimento rifiuti, la disponibilità residenziale e la qualità dell’ambiente.

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

5.8 Quali tra questi servizi erogati sul territorio di localizzazione dell’impresa andrebbero incrementati o resi più effi cienti per aumentare la competitività della sua impresa? (massimo tre risposte)

43,8

Fonte: Questionario Coldiretti

Servizi per l’innovazione tecnologica

Servizi per la commercializzazione con l’estero

Formazione imprenditoriale

Servizi finanziari

Formazione professionale

Efficienza della PA

Collegamenti infrastrutturali

Sistema fieristico locale

Cablaggio del territorio

Rapporti con l’Università

Servizi energia

Servizi acquedotto

Servizi smaltimento rifiuti

Disponibilità residenziale

Qualità dell'ambiente

35,9

35,2

27,3

23,4

21,9

17,2

17,2

10,9

8,6

6,3

5,5

3,1

3,1

3,1

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132

Sensibilmente diverso il quadro a seconda del settore considerato. Gli allevatori sono

particolarmente interessati al miglioramento dei servizi per l’innovazione tecnologica

(61,3%), mentre gli imprenditori dell’ortofrutticolo sono più interessati al tema dei servizi

per la commercializzazione con l’estero (41%) e della formazione imprenditoriale (39,8%).

Le imprese con fatturato in crescita risultano particolarmente interessate al miglioramento

dei servizi per la commercializzazione con l’estero (43,5%), a quello della formazione

imprenditoriale (42%) e delle infrastrutture (40,9%).

In conclusione, il questionario ha inteso indagare presso i giovani imprenditori di

Coldiretti quali debbano essere attualmente le caratteristiche di un imprenditore di

successo. Da questo punto di vista, se si esclude l’importanza scontata attribuita alla

conoscenza del prodotto/servizio offerto, tre sono gli aspetti ritenuti molto importanti:

la capacità di curare i rapporti esterni (77,4%), la capacità di selezionare i collaboratori

(77,3%) e la conoscenza degli aspetti finanziari che attengono alla gestione dell’impresa

(73%), mentre sensibilmente meno importanti sono ritenuti aspetti quali lo sviluppo

di relazioni cooperative all’interno dell’azienda (51,2%) e il coinvolgimento dei

collaboratori (53%).

5.2 La consistenza e la congiuntura delle imprese agricole e biologiche

Le imprese censite dall’ISTAT nel corso del 5° Censimento Generale dell’Agricoltura

nel 2000 sono poco meno di 1.600.0001, con una ripartizione territoriale che vede la

prevalenza del Mezzogiorno (56,3%), seguito dall’area settentrionale (29,6%) e da quella

centrale (14,1%).

La ripartizione della superficie agricola vede scendere la quota del Mezzogiorno (43,5%),

salire nettamente quella della Nord Italia (38,7%) e in misura minore quella del Centro

(17,8%). Questo determina una superficie media sensibilmente più scarsa tra le imprese

agricole del Sud, (5,83 ha) rispetto agli oltre 9,5 ha del Centro e del Nord, per un dato

nazionale pari a 7,56 ha (7,52 ha nel 1990).

Da notare che le dimensioni medie più contenute fanno capo alle tre regioni, Campania,

Puglia e Sicilia, più importanti per numero di imprese e che, aggregate, rappresentano

il 39,8% delle imprese italiane e il 23,3% della superficie agricola totale. È questa l’area

nella quale la variazione percentuale negativa tra il 4° e il 5° censimento è stata minore:

-7,4% rispetto al -9,7% del Centro e al -29,2% del Nord.

Capitolo 5

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133

5.9 Imprese agricole e relative superfi ci agricole utilizzate per regione e ripartizione geografi ca

Imprese % Imprese

Superfi cie (ha)

% Superfi cie

Superfi cie media per impresa

(in ha)

Variazione % imprese

1990-2000

Piemonte 86.325 5,4 1.022.808 8,5 11,85 -38,2

Valle d’Aosta 4.534 0,3 67.867 0,6 14,97 -27,4

Lombardia 61.023 3,8 1.006.837 8,4 16,50 -42,6

Trentino-Alto Adige 40.569 2,5 397.452 3,3 9,80 -5,0

Veneto 143.944 9,0 813.773 6,8 5,65 -15,6

Friuli-Venezia Giulia 29.186 1,8 232.000 1,9 7,95 -39,1

Liguria 17.510 1,1 44.515 0,4 2,54 -38,3

Emilia-Romagna 89.570 5,6 1.074.030 8,9 11,99 -28,4

Toscana 49.522 3,1 733.243 6,1 14,81 -7,6

Umbria 31.856 2,0 332.608 2,8 10,44 -2,7

Marche 46.054 2,9 475.195 3,9 10,32 -18,1

Lazio 97.087 6,1 607.415 5,0 6,26 -10,0

Abruzzo 48.990 3,1 389.822 3,2 7,96 -22,5

Molise 22.424 1,4 200.599 1,7 8,95 -18,6

Campania 165.626 10,4 521.286 4,3 3,15 -9,4

Puglia 240.499 15,2 1.152.799 9,6 4,79 +0,5

Basilicata 44.884 2,8 472.972 3,9 10,54 -1,7

Calabria 81.772 5,1 414.472 3,4 5,07 -7,6

Sicilia 224.872 14,2 1.127.625 9,4 5,01 -9,5

Sardegna 67.621 4,2 951.717 7,9 14,07 -4,8

ITALIA 1.593.868 100,0 12.039.038 100,0 7,55 -14,2

Nord 472.661 29,6 4.659.283 38,7 9,86 -29,2

Centro 224.519 14,1 2.148.461 17,8 9,57 -9,7

Sud 896.688 56,3 5.231.293 43,5 5,83 -7,4

Fonte: ISTAT 2000, 5° Censimento Generale dell’Agricoltura

L’agricoltura italiana si caratterizza così per la ridotta dimensione media che, anche nel

corso degli ultimi anni, non conosce particolari fenomeni di concentrazione.

La dimensione media delle imprese agricole, secondo quanto segnalato dall’ISMEA, appare

nettamente al di sotto della media UE, pari a 18,7 ha nel 2000, nonché distante da quanto

fatto registrare nei principali paesi europei (UK 67,7 ha, Germania 36,3 ha e Francia 42 ha).

Il 93,1% delle imprese è a conduzione diretta del coltivatore (8,04 ha di superficie media)

a totale o prevalente manodopera familiare, mentre il 6,8% risulta a conduzione con

salariati (52,3 ha di superficie media). Le imprese a carattere societario rappresentano lo

0,7% del totale a fronte di una dato medio UE pari al 4%.

Il 37,5% delle imprese agricole risulta condotta da soggetti con un’età superiore a 65 anni,

il 5,6% da soggetti con età inferiore ai 30 anni, mentre il restante 56,9% da soggetti con

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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134

età compresa tra 30 e 65 anni. Rispetto ai dati del 4° Censimento del ’90 si registra una

crescita del peso delle due classi estreme: +0,9% per gli under 30 anni e +5,7% per gli

over 65 anni.

5.10 Imprese agricole con produzioni di qualità per regione e ripartizione geografi ca

Produzioni di qualità

% P. di Q. Totale

di cui: produzioni biologiche

% Biologico Vegetali Zootecniche

Piemonte 20.987 12,9 2.066 5,8 1.727 524

Valle d’Aosta 1.621 1,0 22 0,1 10 14

Lombardia 7.218 4,4 900 2,5 595 431

Trentino-Alto Adige 24.196 14,8 495 1,4 406 149

Veneto 15.836 9,6 1.054 2,9 870 279

Friuli-Venezia Giulia 1.833 1,1 195 0,5 151 73

Liguria 1.034 0,6 223 0,6 177 110

Emilia Romagna 20.664 12,6 3.234 9,0 3.105 348

Toscana 11.533 7,0 1.762 4,9 1.602 370

Umbria 2.048 1,2 635 1,8 581 132

Marche 4.004 2,4 1.263 3,5 1.173 240

Lazio 7.147 4,3 1.599 4,5 1.459 273

Abruzzo 4.513 2,7 478 1,3 421 92

Molise 622 0,4 254 0,7 219 71

Campania 3.991 2,4 1.244 3,5 1.159 161

Puglia 7.034 4,3 3.611 10,1 3.544 146

Basilicata 3.422 2,1 615 1,7 556 186

Calabria 4.287 2,6 2.840 7,9 2.658 462

Sicilia 13.175 8,0 6.020 16,8 5.868 316

Sardegna 9.257 5,6 7.308 20,5 7.042 667

ITALIA 164.422 100,0 35.818 100,0 33.323 5.044

Nord 93.389 56,8 8.189 22,9 7.041 1.928

Centro 24.732 15,0 5.259 14,7 4.815 1.015

Sud 46.301 28,2 22.370 62,4 21.467 2.101

Fonte: ISTAT 2000, 5° Censimento Generale dell’Agricoltura

In ogni caso, la struttura per classi di età dei conduttori appare assai diversa da quella espressa

da paesi come Francia e Germania, dove la quota degli over 65 anni risulta minoritaria.

La stima relativa al lavoro impiegato nelle imprese agricole avviene per giornate di lavoro.

Nel 2000 queste sono state circa 284.500.000 per una media di 178 giornate per impresa.

I dati Eurostat indicano una continua diminuzione della manodopera agricola che ha

registrato un calo del -2,8% nel periodo 1995-2000 e del -2,1% nel periodo 2000-2004 a

livello europeo, mentre in Italia la contrazione è stata del -3,9% e del -1,5%.

Capitolo 5

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135

In Italia il costo del lavoro nel settore agricolo si attesta su livelli prossimi a quelli francesi.

Gran Bretagna e Germania sono paesi nei quali si registra un costo del lavoro agricolo

decisamente più elevato, mentre nel 2004 la Spagna si posiziona ancora al di sotto del

livello italiano.

La produttività del lavoro del settore agricolo, misurata dal valore aggiunto per occupato, pone

in luce una certa debolezza della dinamica nazionale nei confronti dei principali competitor

europei per un’evoluzione che tende ad evidenziare un ulteriore aumento del gap.

Le imprese di qualità sono 164.422. Di qualità secondo ISTAT “vuol dire che ottengono dalla

propria attività vegetali e/o animali con pratiche finalizzate a promuovere l’impiego di metodi

che riducono gli effetti inquinanti dell’agricoltura”. Dal punto di vista geografico questa

tipologia di impresa appare notevolmente più diffuso nel Centro-Nord, in particolare in

Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Veneto, mentre

risultano particolarmente poco diffuse in Puglia, Molise e Campania.

Il 21,8% delle imprese classificate di qualità sono anche biologiche, di queste il 87% è a

carattere “vegetale” mentre il 13% è rappresentato da allevamenti.

Dal punto di vista territoriale, sono le aree del Mezzogiorno ad avere una forte concentrazione

di imprese biologiche, con una percentuale pari al 62,4% del totale nazionale. In particolare

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

5.11 Densità imprese agricole e imprese di qualità per abitante

oltre 61

da 41 a 60

da 21 a 40

fino a 20

oltre 700

da 301 a 700

da 101 a 300

fino a 100

Abitanti/imprese agricole Abitanti/imprese agricole di qualità

Fonte: ISTAT

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136

da segnalare che il 20,5% delle imprese biologiche è localizzato in Sardegna, il 16,8% in

Sicilia e il 10,1% in Puglia. In definitiva, mentre al Nord vi è un’impresa biologica ogni 67

imprese agricole, questa proporzione scende ad 1 a 47 nell’aree del Centro sino ad 1 a 19

nel Mezzogiorno.

5.12 Variazione del numero di imprese secondo le principali forme di utilizzazione del terreno (anni 1990-2000)

Variazione % imprese 1990-2000

Seminativi -22,5

Cereali -31,2

Frumento -35,8

Granoturco -35,4

Patate -50,3

Barbabietole -33,0

Piante industriali -42,9

Ortive -31,5

Foraggere avvicendate -36,2

Coltivazioni legnose -12,2

Vite per vini DOC e DOCG +17,5

Vite per altri vini -36,2

Vite per uva da tavola -36,4

Olivo +7,2

Agrumi -10,6

Fruttiferi -19,2

Boschi -22,0

Fonte: ISTAT 2000

Per quanto riguarda l’andamento delle imprese secondo le principali forme di utilizzazione il

confronto tra i dati censuari 1990-2000 indicano un forte calo della gran parte delle tipologie

di imprese, ad esclusione di quelle dedicate alla coltivazioni di vini DOC e DOCG e all’olivo.

Capitolo 5

5.13 Andamento delle imprese biologiche e delle superfi ci bio e in conversione(valori espressi in migliaia)

Fonte: Biobank-Simab

Imprese70

60

50

40

30

20

10

0

1.400

1.200

1.000

800

600

400

200

0

Superficie

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

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137

Nel corso degli ultimi 10 anni si è verificato un forte aumento delle imprese agricole

biologiche e delle relative superfici dedicate. Tra il ’95 e il 2001 la crescita delle imprese

è stata del 582% (da 10.851 a 63.156) mentre le superfici del 585% (da 202.208 ha a

1.182.403 ha). A partire dal 2001 il trend di crescita ha subito una contrazione significativa

pari al -35% tra le imprese e al -19,3% delle superfici.

Tale contrazione ha toccato soprattutto alcune regioni del Mezzogiorno: Sardegna

(-77%), Puglia (-53%), Calabria (-48%) e Sicilia (-48%), mentre nelle altre 16 regioni la

diminuzione media è del -3,5%.

A fine 2004 sono attivi in Italia 772 agriturismo e 251 ristoranti biologici. Dal punto di vista

territoriale gli agriturismo bio si concentrano nell’area del Centro Italia (42,5%), specie in

Toscana, dove è localizzato il 23,6% del totale nazionale. A seguire l’area del Nord Italia,

nella quale opera il 31% di agriturismo bio, un terzo dei quali in Emilia Romagna, mentre

nel Mezzogiorno è localizzato il restante 26,5%. La maggioranza dei ristoranti bio è invece

concentrata nel Nord del Paese (52,6%), in particolare in Lombardia e in Emilia Romagna,

una quota sensibilmente inferiore è localizzata nel Centro (30,7%), mentre il 16,7% nel

Mezzogiorno.

5.3 La consistenza e la congiuntura delle imprese del settore agro-alimentare

Secondo il censimento ISTAT dell’industria e servizi, il comparto agro-alimentare italiano è

costituito, nel 2001, da 66.936 unità locali e 446.785 addetti. Il confronto con i due censimenti

precedenti pone in luce una crescita delle imprese pari all’8,1% rispetto al 1991 ma in calo

rispetto al 1996 del 4%. Gli occupati sono invece diminuiti del 4,2% rispetto al 1991, con

una crescita rispetto al 1996 dell’1%. All’interno del macrosettore, è la fabbricazione di

altri beni alimentari (panetteria, pasticceria, paste, spezie, etc.) a rappresentare la quota

più rappresentativa con il 70,2% delle imprese e il 49,6% degli occupati, per una crescita

rispettivamente del 16,2% delle imprese e del 3% degli occupati nel decennio 1991-2001.

5.14 Andamento dell’industria agro-alimentare

Unità locali 1991

Addetti 1991

Unità locali 1996

Addetti 1996

Unità locali 2001

Addetti 2001

Produzione, lavorazione e conservazione della carne 3.758 56.081 3.855 54.920 3.672 57.769

Lavorazione e conservazione del pesce 402 7.658 393 6.478 415 6.640

Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi 1.588 36.913 1.933 27.821 1.933 30.317

Fabbricazione oli e grassi vegetali 4.717 19.079 5.061 17.468 4.416 16.216

Industria lattiero-casearia 4.339 58.956 6.388 58.629 3.927 54.936

Lavorazione granaglie e produzione amidacei 2.681 14.712 2.303 13.264 1.962 12.310

Prodotti per alimentazione animale 558 10.316 657 10.518 607 9.097

Fabbricazione altri alimentari 40.430 215.136 45.845 212.528 46.995 221.642

Industria delle bevande 3.430 47.295 3.321 40.674 3.005 37.858

TOTALE 61.903 466.146 69.756 442.300 66.936 446.785

Fonte: ISTAT

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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138

È questo l’unico settore a registrare una crescita comune di imprese e addetti, mentre vi

sono settori che hanno sperimentato un aumento delle imprese e una diminuzione degli

addetti: +21,7% per la imprese che trasformano frutta e ortaggi (-17,9% degli addetti),

+8,8% per le imprese che producono alimentazione animale (-11,8% degli addetti), +3,2%

per le imprese che lavorano il pesce (-13,3% degli addetti).

Secondo le rilevazioni ISMEA, l’indice della produzione dell’industria alimentare evidenzia,

nell’ultimo quinquennio (2000-2004), una maggiore dinamicità rispetto alla media della

UE, a fronte di un indice della produzione industriale complessiva in flessione. Ciò ad

indicare una maggiore solidità del comparto alimentare rispetto al totale dell’industria.

La produttività del lavoro si colloca leggermente al di sotto della media UE, anche se, a

partire dal 2001, vi è una dinamica crescente più favorevole rispetto alla media UE.

A differenza del settore agricolo la crescita della produttività è avvenuta in una situazione

di crescita occupazionale, che l’Italia ha condiviso con la Francia.

Come già nel settore agricolo anche quello dell’industria di trasformazione alimentare

conferma il prevalere della dimensione aziendale ridotta. In termini di numero di addetti

per singola impresa, quella italiana ne conta poco più di 5, rispetto ad una media UE di

13 unità. Inoltre, a fronte di una situazione di stasi in Italia, si riscontra un incremento

del dato medio relativo ai principali partner europei. La quota delle imprese individuali

ammonta nel settore alimentare al 53%, seguita dalle Snc con il 25,3%, mentre le SpA

rappresentano il 2,2%.

La misurazione dell’attività innovativa del settore agro-alimentare può essere delineata

sulla base del numero dei brevetti, sebbene in questo particolare settore si esprima

soltanto l’1,3% delle domande di brevetto nella UE (2% negli USA). In ogni caso, fatta

salva la posizione dominante della Germania (45%), l’Italia si posiziona al terzo posto,

appena dopo la Gran Bretagna.

Capitolo 5

5.15 Andamento degli occupati nell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco

5%

0%

-5%

-10%

-15%

-20%

Germania Spagna Francia Italia UK UE 15

2001/2000 2002/2001

Fonte: ISMEA su dati EUROSTAT

-5,6%

-0,1% -0,7%

0,9% 2,4% 0,9% 0,4%2,1%

3,9%0,8%

-15,7%

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139

Facendo tesoro della ricerca svolta da Confartigianato su “Imprese artigiane e Made in

Italy” del maggio 2005, restringiamo l’analisi sulle dinamiche del settore alimentare a

quell’insieme di prodotti rispetto ai quali l’Italia vanta una effettiva specializzazione

internazionale e saldi commerciali normalizzati molto significativi2.

5.17 Unità locali e addetti nell’agro-alimentare - 2001, bilancia commerciale - 2004

UL Addetti Import Export Saldo

Alimentari 49.976 230.341 1.526.994.040 4.894.099.956 3.367.105.916

Prodotti di panetteria e di pasticceria fresca 38.798 127.955 79.774.097 258.412.012 178.637.924

Condimenti e spezie 140 1.125 89.224.785 370.971.725 281.746.940

Prodotti a base di carne, anche conservata 2.083 25.671 208.503..658 747.935.824 539.432.166

Frutta e ortaggi trasformati e conservati 2.055 27.779 825.773.689 1.555.596.566 729.822.877

Fette biscottate e biscotti; prodotti di pasticceria conservati

1.326 24.167 293.641.300 713.591.631 419.950.331

Paste alimentari, cuscus e prodotti farinacei simili 5.574 23.644 30.076.511 1.247.592.189 1.217.515.678

Bevande 3.899 36.406 546.564.880 3.617.634.182 3.071.069.302

Acque minerali e bibite analcoliche 432 11.225 172.457.663 360.814.394 188.356.731

Caffé e té 1.138 7.493 120.057.311 409.188.807 289.131.496

Vini e uve 2.329 17.688 254.049.906 2.847.630.981 2.593.581.075

Totale 53.875 266.747 2.073.558.920 8.511.734.138 6.438.175.218

Fonte: ISTAT e Confartigianato

A rappresentare questo particolare segmento dell’agro-alimentare sono poco meno di

54.000 unità locali e di 267.000 addetti. Il 92,8% delle UL e l’86,3% degli addetti fanno

parte del comparto alimentari. In particolare, è il settore della produzione di prodotti

di panetteria e pasticceria fresca a rappresentare la quota principale di UL e addetti,

rispettivamente con il 72% e con il 48%.

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

5.16 Domande di brevetti per l’industria alimentare in Europa (anno 2003)

Fonte: ISMEA su dati EPO

Spagna 5%

Francia 12%

Italia 19%

UK 19%

Germania 45%

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140

Ponendo a confronto i dati censuari, del 1991 e del 2001, il segmento alimentari export-

oriented qui in questione, è cresciuto dell’11,5% in termini di UL e dell’1,8% in termini di

addetti. Tutto l’aumento di UL e addetti è da ricondurre al comparto alimentari, cresciuto

del 13,2% nelle UL e del 4,3% negli addetti, mentre in calo sono i numeri delle UL

(-6,9%) e degli addetti (-11,5%) del comparto delle bevande. Da notare comunque che,

pur rappresentando una quota minoritaria in termini di UL e addetti il comparto delle

bevande costituisce il 47,7% del saldo commerciale con l’estero del settore alimentare,

gran parte del quale dovuto all’export di vini e uve. L’analisi dei flussi dell’export evidenzia

un arresto evidente delle dinamiche di esportazione anche del settore alimentare dove

gli andamenti del primo biennio (2000-2002) sono molto positivi (+17,4%, +17,8% per

gli alimentari e +17% per le bevande), rispetto alla fase di stallo del biennio successivo

(+1,7%, +0,9% per gli alimentari e +2,7% per le bevande).

Capitolo 5

5.18 Il saldo della bilancia commerciale del settore alimentari (mln €), (anni 2000, 2002, 2004)

Fonte: ISTAT

Import6.000

5.000

4.000

3.000

2.000

1.000

0

4.000

3.500

3.000

2.500

2.000

1.500

1.000

500

0

2000 2002 2004

Saldo (scala dx)Export

5.19 Il saldo della bilancia commerciale del settore bevande (mln €), (anni 2000, 2002, 2004)

Fonte: ISTAT

Import4.000

3.500

3.000

2.500

2.000

1.500

1.000

500

0

3.2003.1003.0002.9002.8002.7002.6002.5002.4002.300

2000 2002 2004

Saldo (scala dx)Export

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141

Focalizzando l’attenzione sul peso assunto dalla componente artigiana all’interno dei

segmenti del settore alimentare orientato all’export, i dati censuari indicano per il 2001

una percentuale di UL artigiane pari all’81,8% e degli addetti pari al 50,4%. Il confronto

con i dati del 1991 evidenziano un ulteriore frammentazione del settore, considerato che

la quota di UL artigiane era all’epoca del 68,9% e degli addetti del 41,9%. Nell’intervallo

1991-2001 è continuata la proliferazione di piccole imprese: le UL artigiane sono aumentate

del 32,4% mentre gli addetti del 22,5%.

In base all’indagine di Confartigianato su un campione di imprese artigiane del settore

circa il 30% delle imprese risulta orientata all’export da cui ricavano mediamente il

27,5% del fatturato. Il mercato di riferimento è quello della UE per il 97% delle imprese

censite, mentre significativa appare la percentuale di imprese coinvolte nel mercato nord-

americano (34,3%).

Il 64,4% del fatturato derivante dalle esportazioni alimentari delle imprese artigiane

è ottenuto da paesi della UE, area nella quale gli stessi artigiani ripongono particolare

fiducia in vista di un’ulteriore crescita delle quote di export. Limitata appare la fiducia nei

confronti del mercato americano, mentre crescente appare l’interesse per l’Est Europa e,

in misura più contenuta, per l’Asia. Nel corso del 2003 le imprese artigiane alimentari

5.20 Dinamica delle Unità locali e degli addetti (totale e UL artigiane) del comparto alimentari

Fonte: ISTAT

UL70.000

60.000

50.000

40.000

30.000

20.000

10.000

0

300.000

250.000

200.000

150.000

100.000

50.000

01991 2001

Addetti (scala dx)UL artigiani Addetti UL artigiani

5.21 Dinamica delle Unità locali e degli addetti (totale e UL artigiane) del comparto bevande

UL5.000

4.000

3.000

2.000

1.000

0

50.000

40.000

30.000

20.000

10.000

01991 2001

Addetti (scala dx)UL artigiani Addetti UL artigiani

Fonte: ISTAT

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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142

hanno registrato un andamento del fatturato migliore di quello di altri settori portanti del

Made in Italy.

In particolare il 31,4% ha segnalato aumenti del fatturato, rispetto al 19,3% del settore

della meccanica e macchine o al 13,9% del settore moda.

5.4 La struttura dell’offerta e della domanda del comparto turistico

L’analisi resa disponibile dal WTO, evidenzia come l’Europa stenti, negli ultimi anni, a

tenere i ritmi di crescita del turismo mondiale caratterizzandosi per la presenza di turismi

maturi consolidati da tempo e perciò soggetti a tassi di sviluppo deboli.

In questo contesto internazionale è da valutare con preoccupazione la posizione dell’Italia

che, secondo le prime stime avanzate dall’ISTAT, nel 2004 sembra avere visto una

diminuzione dello 0,5%, sensibilmente inferiore alla media europea pari all’1,7%. Per

quanto riguarda gli arrivi di stranieri, con 39,6 milioni nel 2003, l’Italia è preceduta da

Francia (75 ml), Spagna (51,8 ml) e USA (41,2 ml).

5.22 L’ospitalità italiana nel 2003

Alberghi 33.480 Musei statali 551

Campeggi e villaggi turistici 2.530 - di cui: Dimore storiche 29.500

Agriturismo 9.474 Riserve naturali 481

Bed and breakfast 5.774 Parchi nazionali 22

Altro 62.086 Aree naturali marine e riserve marine 23

Abitazioni disponibili per vacanze di terzi 750.000 Centri congressuali 860

Litorale (km) 7.375 Imprese balneari 6.390

Costa balneabile (kmq) 5.017 Trasporti con funivia 350

Superficie forestale (kmq) 86.751 Località termali 185

Superficie aree protette (kmq) 29.118 Aziende termali 390

Addetti diretti attivati da consumi turistici 1.600.000 Imprese di ristorazione (UL) 95.070

Addetti indiretti attivati da consumi turistici 777.000 Bar, caffé e gelaterie (UL) 146.536

Parchi tematici 155 Rete stradale primaria 155.254

Agenzie di viaggio e TO 10.719 Rete autostradale km 6.487

Pro Loco attive 4.650 Aeroporti 45

Musei ed istituti 4.203 Posti barca nei porti turistici 51.024

Fonte: aggiornamento dei dati presentati nel XIII Rapporto sul turismo italiano, Mercury 2004-Federalberghi

Focalizzando l’attenzione sull’offerta alberghiera italiana i dati del WTO collocano l’Italia a

terzo posto, dopo USA e Giappone, con 999.792 camere nel 2003 a rappresentare il 5,8%

dell’intera offerta mondiale.

Capitolo 5

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143

5.23 Offerta alberghiera in Italia (anni 1990, 1995, 2000, 2002 e 2003)

1990 1995 2000 2002 2003

Esercizi

5 stelle e 5 stelle lusso 106 77 131 164 197

4 stelle 1.707 2.292 2.709 3.036 3.222

3 stelle + RTA 9.423 11.466 14.070 15.213 15.776

2 stelle 11.557 10.945 9.491 8.852 8.516

1 stella 13.373 9.516 6.960 6.146 5.769

Totale 36.166 34.296 33.361 33.411 33.480

Camere

5 stelle e 5 stelle lusso 10.470 7.184 12.617 15.650 18.533

4 stelle 129.096 163.142 190.124 213.630 221.515

3 stelle + RTA 364.512 420.132 489.221 517.342 528.581

2 stelle 257.081 228.139 183.224 157.873 156.910

1 stella 176.982 125.504 90.952 75.901 74.183

Totale 938.141 944.101 966.138 980.396 999.722

Posti letto

5 stelle e 5 stelle lusso 18.873 13.876 24.274 31.267 37.762

4 stelle 235.520 308.796 372.822 420.057 446.166

3 stelle + RTA 686.797 797.536 962.297 1.030.779 1.060.867

2 stelle 453.759 399.660 332.071 304.391 290.461

1 stella 308.593 218.163 162.637 143.050 134.239

Totale 1.703.542 1.738.031 1.854.101 1.929.544 1.969.495

Fonte: dati ISTAT su elaborazione Federalberghi

Nel corso degli ultimi 13 anni, l’offerta alberghiera italiana ha visto un lento ma progressivo

spostamento qualitativo verso le categorie alberghiere più alte. Se infatti si è verificato

un calo complessivo degli esercizi (-7,4% nel periodo 1990-2003) ed una contemporanea

crescita del numero di camere (+6,6%) e dei posti letto (+15,6%), dall’altra è evidente la

crescita del peso assunto dagli esercizi inclusi nelle categorie medio-alte (3,4 e 5 stelle),

a fronte di una crescente erosione delle quote detenute dalle categorie più basse.

Il peso degli esercizi 5 stelle, cresciuti dell’85% nel periodo 1990-2003, sale dallo 0,3%

allo 0,6% del totale, con una crescita misurata sul numero di camere del 77% e sui posti

letti del 100%. Il peso degli esercizi 4 stelle passa dal 4,7% del 1990 al 9,6% del 2003,

con un incremento dell’88,7% in termini di esercizi, del 71,5% delle camere e dell’89,4%

dei posti letto.

Nel corso del periodo considerato l’insieme degli esercizi 3 stelle e delle residenze

turistiche alberghiere (RTA) ha conquistato il peso preponderante dell’offerta alberghiera

passando dal 26% del 1990 al 47,1% del 2003 con una crescita del 67,4% degli esercizi,

del 45% delle camere e del 54,5% dei posti letto.

A partire dal 2000, oltre la metà delle camere e dei posti letto rientra nella categoria 3

stelle. I dati indicano invece una progressiva perdita di importanza dell’aggregato degli

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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144

esercizi a 1 o 2 stelle che, nell’insieme, passano dal 69% del totale degli esercizi del 1990

al 42,6% del 2003.

Dal punto di vista territoriale la distribuzione degli esercizi a 4 e 5 stelle vede la prevalenza

di tre regioni: Lombardia (11,8% del totale dei posti letto 4 e 5 stelle nel 2003), Lazio

(11,2%) e Veneto (10,4%).

Per quanto riguarda gli esercizi 3 stelle sono invece Emilia Romagna (15,5% del totale dei

posti letto 3 stelle nel 2003), Toscana (9,1%) e Veneto (8,6%) a registrare le quote più

signifi cative. Se invece si guarda la composizione per categorie delle regioni, è la Campania

ad annoverare la quota più signifi cativa di posti letto in esercizi 4 e 5 stelle (41,2% del

totale dei posti letto regionali nel 2003), seguita da Sardegna (38%) e Lazio (38%).

Il valore medio nazionale è pari al 24,6%, mentre alcune tra le regioni a maggiore presenza

turistica vedono una bassa dotazione di posti letto 4 e 5 stelle: Emilia Romagna (14,3% di

posti a 4 o 5 stelle), Bolzano (11,3%) e Trento (11%).

Dal punto di vista territoriale la distribuzione degli alberghi indica una certa concentrazione

quantitativa nelle aree del Nord-Est, nel quale è localizzato il 44% delle strutture

alberghiere italiane, oltre metà delle quali in Emilia Romagna e in Provincia di Bolzano,

mentre il peso delle altre aree appare sostanzialmente equivalente.

Sensibilmente diversa è tuttavia la dimensione media delle strutture. Se nel Nord

prevalgono, infatti, strutture di piccole dimensioni con una media di 50 posti letto o poco

più, tale valore sale a 63,1 nel Centro e a 84,3 nel Mezzogiorno, così da determinare un

aumento del peso di quest’ultima area in termini di camere e letti disponibili.

Inoltre, nel corso del periodo 1995-2003 l’area del Mezzogiorno ha conosciuto una crescita

del 10,8% degli esercizi alberghieri a fronte di una diminuzione rilevante nel Nord-Ovest

(-7,2%) e nel Nord-Est (-6,8%). In particolare occorre segnalare la crescita a due cifre di

alcune regioni del Mezzogiorno: +25,2% per la Puglia, +16,1% per la Sardegna, +15,7%

per la Sicilia e +15,6% per la Calabria, cui fanno da contro canto le cifre negative di Liguria

(-16%) ed Emilia Romagna (-11,3%).

Capitolo 5

5.24 Variazione offerta alberghiera per categoria (anni 1991-2001)

Fonte: ISTAT

40%

30%

20%

10%

0%

-10%

-20%

Esercizi Letti Camere

25%

5 stelle 4 stelle 3 stelle 2 stelle 1 stella Residenzeturistico

alberghiere

29%

24%

12%

10%13

%

8% 7% 5%

-7%

-8%

-10%

-12%

-13%

-12%

13%

11%

12%

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145

5.25 Numero di alberghi, di camere e di posti letto nelle regioni nel 2003

Esercizi alber.

Letti CamereEsercizi

%Letti

%Camere

%

Dimensione medie

per letti

Dimensionemedia per

camere

Var. % esercizi ‘95/’03

Piemonte 1.471 68.094 36.361 4,4 3,5 3,6 46,3 24,7 -4,4

Valle d’Aosta 490 23.349 11.191 1,5 1,2 1,1 47,7 22,8 -4,1

Lombardia 2.878 160.535 85.760 8,6 8,2 8,6 55,8 29,8 -3,2

Bolzano 4.415 147.297 72.681 13,2 7,5 7,3 33,4 16,5 -4,4

Trento 1.622 92.093 47.832 4,8 4,8 4,8 58,6 29,5 -4,4

Veneto 3.130 189.746 102.236 9,3 9,6 10,2 60,6 32,7 -3,8

Friuli-Venezia Giulia

721 37.523 18.418 2,2 1,9 1,8 52,0 25,5 -8,2

Liguria 1.679 73.766 40.896 5,0 3,7 4,1 43,9 24,4 -16,0

Emilia Romagna 4.837 278.733 152.672 14,4 14,2 15,3 57,6 31,6 -11,3

Toscana 3.002 175.660 82.633 9,0 8,9 8,3 58,5 27,5 2,6

Umbria 539 26.935 13.931 1,6 1,4 1,4 50,0 25,8 8,2

Marche 1.089 59.798 31.742 3,3 3,0 3,2 54,9 29,1 2,7

Lazio 1.792 142.748 70.966 5,4 7,2 7,1 79,7 39,6 3,1

Abruzzo 802 48.708 24.585 2,4 2,5 2,5 60,7 30,7 5,7

Molise 101 5.679 2.958 0,3 0,3 0,3 56,2 29,3 8,6

Campania 1.466 95.634 48.833 4,4 4,9 4,9 65,2 33,3 2,2

Puglia 790 65.421 31.325 2,4 3,3 3,1 82,8 39,7 25,2

Basilicata 214 20.692 7.873 0,6 1,1 0,8 96,7 36,8 -4,0

Calabria 748 80.798 38.456 2,2 4,1 3,8 108,0 51,4 15,6

Sicilia 958 90.272 43.061 2,9 4,6 4,3 94,2 44,9 15,7

Sardegna 736 83.014 35.312 2,2 4,2 3,5 112,8 48,0 16,1

ITALIA 33.480 1.969.495 999.722 100,0 100,0 100,0 58,8 29,9 -2,4

Nord-Ovest 6.518 325.744 174.208 19,5 16,5 17,4 50,0 26,7 -7,2

Nord-Est 14.725 748.392 393.839 44,0 38,0 39,4 50,8 26,7 -6,8

Centro 6.422 405.141 199.272 19,2 20,6 19,9 63,1 31,0 3,2

Sud e Isole 5.815 490.218 232.403 17,4 24,9 23,2 84,3 40,0 10,8

Fonte: ISTAT-Federalberghi

Per quanto riguarda la dinamica della domanda nel complesso delle strutture ricettive

italiane il dato ISTAT relativo al 2003 indica in 82,7 mln gli arrivi e 344,4 mln le presenze,

mostrando un leggero calo delle presenze rispetto al 2002 (-0,2%) ed un leggero aumento

degli arrivi (0,8%). Tale andamento delinea uno scenario meno pessimistico di quanto

previsto ed appare sostanzialmente legato alla compensazione tra flussi di stranieri, che

hanno subito una contrazione del 3,7% in termini di arrivi e flussi di italiani, cresciuti del

4,5%. Tuttavia occorre tenere conto che la quota degli stranieri sul totale degli arrivi in

Italia è passata dal 35,3% nel 1990 al 42,3% del 2003.

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

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146

Se infatti tra il 1990 e il 2004 il totale degli arrivi è cresciuto del 40,1%, questa percentuale

sale al 67,8% nel caso degli stranieri a fronte di un aumento del 24,9% degli italiani.

Dopo un lungo periodo di crescita a partire dal 2002 l’afflusso di stranieri è quindi in

preoccupante diminuzione mentre sembra tenere quello degli italiani, che pure è cresciuto

con tassi annui inferiori.

Nel corso del periodo considerato diminuisce il peso degli arrivi negli esercizi alberghieri

sul totale degli arrivi. Se nel 1990 l’87,5% (88,4% per gli italiani, 85,9% tra gli stranieri)

degli arrivi si indirizzava all’offerta alberghiera, nel 2003 tale percentuale scende all’81,4%

(82,1% per gli italiani, 80,5% per gli stranieri).

Se da una parte il peso delle strutture alberghiere va diminuendo in termini di domanda

trattata, è anche vero che l’insieme degli esercizi tende a risentire in maniera più contenuta

della stagionalità. Il comparto extra-alberghiero è attivo sostanzialmente durante il picco

estivo (giugno-settembre) nel quale si concentra il 78,5% delle presenze rispetto al 53,7%

del comparto alberghiero.

Capitolo 5

5.26 Flussi turistici e fl ussi turistici alberghieri (arrivi)

Fonte: Federalberghi

90

80

70

60

50

40

30

20

10

0

Italiani

Stranieri

Totale

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Totale alberghiStranieri alberghiItaliani alberghi

5.27 Distribuzione % della stagionalità fra i vari mesi dell’anno per le presenze alberghiere, extra-alberghiere e complessive (anno 2003)

Fonte: Federalberghi

Extralberghiero

Alberghiero35%

30%

25%

20%

15%

10%

5%

0

Complessivo

gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic

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147

Secondo quanto elaborato da Federalberghi, dall’analisi dei fl ussi turistici emergono risultati

disomogenei, dal momento che alcune regioni hanno ottenuto una crescita complessiva

positiva, mentre altre hanno sperimentato signifi cative riduzioni della domanda sia

di italiani sia di stranieri. Dando uno sguardo alla dinamica delle macroaree, si evince

una crescita del Nord-Ovest, sia in termini di arrivi (+3,7%) che di presenze complessive

(+1,1%). La diminuzione di stranieri, in queste regioni, appare meno accentuata rispetto

alle altre aree. Qui gli arrivi di stranieri sono in lieve aumento (+1,3%), specie in Valle

d’Aosta e Lombardia, mentre le presenze si sono ridotte, rispetto al 2002 del solo 0,3%.

Fra le regioni del Nord-Est la forte contrazione complessiva di turisti stranieri (-4% delle

presenze rispetto al 2002) risulta parzialmente compensata dall’incremento dei flussi

interni (+3,2% di presenze).

Il decremento dei flussi di stranieri ha interessato soprattutto Friuli Venezia Giulia (-7,1%)

ed Emilia Romagna (-7,4%). Le regioni del Centro registrano un calo sensibile degli arrivi

(-2,9%) e delle presenze (-2,4%), mentre le regioni del Mezzogiorno mostrano una crescita

percentuale che, pur minore di quella del Nord-Ovest, si traduce in un aumento del 2,1%

degli arrivi e del 1,3% delle presenze. Le proiezioni del 2004 indicano un accentuarsi

della tendenza negativa che investe anche il Nord-Ovest (-3,3% delle presenze), mentre

il Mezzogiorno si mantiene sulle posizioni acquisite nell’anno precedente.

1 Ammontare delle imprese che hanno commercializzato almeno un prodotto.2 Secondo il criterio adottato dallo studio su Il ruolo dei distretti industriali nel Made in Italy dall’Uffi cio Studi Montedison,

CRANEC Università Cattolica di Milano, i settori del Made in Italy sono convenzionalmente composti da: - gruppi merceologici ISTAT, che hanno presentato nel 2004 esportazioni per almeno 640 milioni di euro con un valore dell’export pari almeno

a 1,5 volte quello dell’import.

Il profi lo quantitativo di agricoltura, agro-alimentare e turismo

Page 47: Premessa 103 Sezione B - Il Sole 24 Ore · avviando l’evento “Rimini bicycle show”. Con le Canarie abbiamo un rapporto di partnership per portare turisti abbinando il concetto

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