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1 Prefazione La Shoah è stata e resterà per sempre un momento doloroso della storia dell’uomo, un buco nero nella coscienza di chi ha avuto la forza e il coraggio di portare a termine con impressionabile freddezza un progetto di demolizione di un intero popolo: gli ebrei. I nazisti sono riusciti, non solo a togliere la vita a milioni di uomini, ma soprattutto a escogitare squallidi sistemi per distruggere l’uomo dentro, ad annientare in ognuno di loro anche la forza di pensare, a ridurli in larve umane che, privati di tutto, inevitabilmente hanno “toccato il fondo”, come afferma Primo Levi nel suo libro “Se questo è un uomo”. Tutto ciò diventa ancora più doloroso, quando si pensa che la stessa sorte è toccata ad un milione di bambini ebrei, ai quali è “stata rubata” la loro infanzia, ai quali sono stati negati tutti i diritti. Per muoversi nel dedalo delle crudeltà commesse dai nazisti ai danni dei bambini ebrei, questo percorso didattico ha privilegiato proprio il criterio dei diritti negatiche ha permesso di effettuare una selezione ordinata del materiale reperito. Grande rilevanza in questo progetto hanno avuto la collaborazione e l’interesse degli alunni che, fortemente motivati dall’argomento, hanno partecipato attivamente non solo alla realizzazione delle attività, ma anche alla progettazione delle stesse, partendo dall’analisi dei testi selezionati effettuata dai gruppi cooperativi. Il coinvolgimento emotivo di ogni allievo alle varie vicende prese in considerazione, realizzato con attività che hanno permesso di stabilire un parallelismo tra l’esperienza analizzata e la propria vita vissuta, ha favorito in ogni alunno lo sviluppo di sentimenti di empatia nei confronti degli ebrei, e quindi delle persone che vengono oltraggiate e private dei propri diritti, ma anche atteggiamenti di rifiuto verso tutte le forme di violenze messe in atto dai nazisti. Inoltre, il progetto ha permesso di impegnare gli alunni in tutte le modalità di ricerca, lettura e analisi di testi di vario tipo, da quello storico a quello narrativo espressivo, oltre a favorire differenti attività di scrittura: sintesi, registrazione di conversazioni, commenti, invenzione di monologhi, riflessioni, ecc. Per non parlare della perfetta integrazione che è stata realizzata tra l’italiano e la storia: dai documenti storici scritti e iconografici analizzati e dalle pagine di vita vissuta dei protagonisti della Shoah è stato possibile rilevare tutte le informazioni storiche necessarie per ricostruire, sebbene in un quadro a grandi maglie, gli avvenimenti storici più importanti, ai quali hanno dato “un’anima” i sentimenti e gli stati d’animo espressi da chi, purtroppo, ha dovuto subire, senza possibilità d’appello, tutte le violenze di questo mondo. Se la partenza di ogni capitolo della presente raccolta dei lavori, effettuata dagli alunni, prende le mosse da una situazione buia” (il fatto storico e le esperienze tristi vissute dai protagonisti), alla fine vede “la luce” con i diritti riconosciuti ai bambini

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Prefazione

La Shoah è stata e resterà per sempre un momento doloroso della storia dell’uomo,

un buco nero nella coscienza di chi ha avuto la forza e il coraggio di portare a termine

con impressionabile freddezza un progetto di demolizione di un intero popolo: gli

ebrei. I nazisti sono riusciti, non solo a togliere la vita a milioni di uomini, ma

soprattutto a escogitare squallidi sistemi per distruggere l’uomo dentro, ad

annientare in ognuno di loro anche la forza di pensare, a ridurli in larve umane che,

privati di tutto, inevitabilmente hanno “toccato il fondo”, come afferma Primo Levi

nel suo libro “Se questo è un uomo”.

Tutto ciò diventa ancora più doloroso, quando si pensa che la stessa sorte è toccata

ad un milione di bambini ebrei, ai quali è “stata rubata” la loro infanzia, ai quali sono

stati negati tutti i diritti.

Per muoversi nel dedalo delle crudeltà commesse dai nazisti ai danni dei bambini

ebrei, questo percorso didattico ha privilegiato proprio il criterio dei “diritti negati”

che ha permesso di effettuare una selezione ordinata del materiale reperito.

Grande rilevanza in questo progetto hanno avuto la collaborazione e l’interesse degli

alunni che, fortemente motivati dall’argomento, hanno partecipato attivamente non

solo alla realizzazione delle attività, ma anche alla progettazione delle stesse,

partendo dall’analisi dei testi selezionati effettuata dai gruppi cooperativi.

Il coinvolgimento emotivo di ogni allievo alle varie vicende prese in considerazione,

realizzato con attività che hanno permesso di stabilire un parallelismo tra l’esperienza

analizzata e la propria vita vissuta, ha favorito in ogni alunno lo sviluppo di sentimenti

di empatia nei confronti degli ebrei, e quindi delle persone che vengono oltraggiate e

private dei propri diritti, ma anche atteggiamenti di rifiuto verso tutte le forme di

violenze messe in atto dai nazisti.

Inoltre, il progetto ha permesso di impegnare gli alunni in tutte le modalità di ricerca,

lettura e analisi di testi di vario tipo, da quello storico a quello narrativo espressivo,

oltre a favorire differenti attività di scrittura: sintesi, registrazione di conversazioni,

commenti, invenzione di monologhi, riflessioni, ecc. Per non parlare della perfetta

integrazione che è stata realizzata tra l’italiano e la storia: dai documenti storici scritti

e iconografici analizzati e dalle pagine di vita vissuta dei protagonisti della Shoah è

stato possibile rilevare tutte le informazioni storiche necessarie per ricostruire,

sebbene in un quadro a grandi maglie, gli avvenimenti storici più importanti, ai quali

hanno dato “un’anima” i sentimenti e gli stati d’animo espressi da chi, purtroppo, ha

dovuto subire, senza possibilità d’appello, tutte le violenze di questo mondo.

Se la partenza di ogni capitolo della presente raccolta dei lavori, effettuata dagli

alunni, prende le mosse da una situazione “buia” (il fatto storico e le esperienze tristi

vissute dai protagonisti), alla fine vede “la luce” con i diritti riconosciuti ai bambini

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dalla Convenzione ONU del 1989 (testo regolativo), riscritti con parole semplici dai

gruppi cooperativi in cui è suddivisa la classe. Il lavoro di selezione e riscrittura degli

articoli non è stato semplice, ma, pur avendo preteso una forte guida dell’insegnante

nella fase iniziale, è riuscito a far acquisire agli alunni l’abilità di decodificare un

linguaggio specialistico, ma soprattutto di prendere coscienza che, anche prima dei

diciotto anni, la Legge tutela i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Cassano All’Ionio, 11 giugno 2015

L’insegnante

Maria Celeste Donadio

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I gruppi di lavoro

Le aquile:

Casalnuovo Chiara

Fragale Luigi

Fasanella Francesco

Pricoli Aurora

Fiocchi di neve:

Di Cunto Matteo

Gallo Marco

Garofalo Claudia

Giardini Chiara

I cristalli

Arcidiacono Giuseppe

Cosenza Giuseppe

Garofalo Luana

Zingone Aurora

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Le fate del bosco

Corrado Alice

Fazio Evelin

Furiato Swamy

Tricoci Veronica

Le stelle

Birzu Daria

Cirone Ilaria

Elia Sara

Le tigri

Corrado Gabriele

Faillace Fabrizio

Maffia Daniele

Paternostro Andrea

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La classe

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Sabato , 3 settembre 1938

1938

Vignetta tratta dalla rivista «La Difesa

della Razza», novembre 1938

Diritto

all’istruzione:

negato

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Essere ebreo a scuola

Frediano Sessi, Ultima fermata: Auschwitz, Einaudi

10 maggio 1938

Ho scoperto di essere ebreo solo stamattina. Entrando in classe il bidello mi ha

indicato il banco dove avrei dovuto sedermi, lontano dagli altri compagni, e da Paolo,

tra tutti il più caro.

Quando è arrivato il signor Direttore, con il maestro Baratti al suo fianco, ho saputo

che, al termine delle vacanze estive, la mia situazione sarebbe potuta peggiorare: si

parlava di espulsione, mi si diceva che non ero più degno di frequentare la scuola e,

tutto ciò, dopo quattro anni di studio e di lavoro comune.

[…] Subito, tutti mi guardarono con disprezzo, quasi come se mi fossi macchiato di

una grave colpa, o se l’avere scoperto di essere ebreo mi avesse immediatamente

gettato nella categoria dei ladri, da cui bisognava difendersi. Mi sembrava di essere

un appestato. Pecoroni: solo un attimo prima giocavamo insieme, ma pur di farsi

notare dall’autorità scolastica, adesso i miei compagni si adeguavano, pronti a tradire

l’affetto e la fiducia che avevano per me

Le nostre riflessioni

Questo povero ragazzo ha dovuto subire la tortura di essere allontanato da tutti

soltanto perché era un ebreo!

Mi dà proprio fastidio sentire che un pazzo qualunque ha ucciso milioni di persone e

la cosa che mi fa raggiungere il culmine della rabbia è che di mezzo ci sono andati

anche i bambini senza colpa. Che coraggio che hanno avuto i seguaci di Hitler e lui

stesso!

Mi devo vergognare di essere italiana perché l’Italia ha accettato quelle inutili leggi

razziali. Anche se sono meno pesanti dei campi di concentramento … in realtà sempre

lì arriviamo. Per fortuna è acqua passata!

Speriamo che l’ISIS non faccia passare brutti momenti anche a noi!

Claudia

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Questo brano, tratto dal libro “Ultima fermata: Auschwitz” di Frediano Sessi, parla di un

ragazzo che ha scoperto solo la mattina del 10 maggio 1938 di essere ebreo.

Il ragazzo, che si chiama Arturo, viene messo in isolamento, lontano dai suoi compagni e

loro, quando scoprono che è ebreo, lo guardano con disprezzo. A me dispiace per lui

perché al suo posto mi sentirei proprio male, anzi malissimo! Vedere i miei cari

compagni guardarmi con disprezzo, mi farebbe sentire diversa da tutti, triste e delusa

perché sono i miei compagni e mi farebbe male veder cambiare il loro atteggiamento

nei miei confronti. Quando il dirigente dice ad Arturo che non può frequentare la

scuola, mi viene tanta rabbia dal profondo del mio cuore, perché lui non può negare il

diritto all’istruzione, dato che siamo tutti uguali.

L’unica cosa che posso dire dei nazisti è che sono stati veramente cattivi!

Ilaria

Se mi metto nei panni del bambino, provo un grande dolore, ma anche tanta rabbia

contro i compagni che non sono stati capaci di pensare con la loro testa e si sono fatti

condizionare dalle parole del Direttore, forse non riuscirei a sopportare l’umiliazione

e me ne andrei prima che lo dicessero loro.

Comunque questa storia mi piace molto perché mi ha fatto capire che l’uomo è

facilmente condizionabile.

Luana

Questa storia è triste perché il povero Arturo è stato allontanato da tutti i compagni.

Se fossi stato al posto suo, avrei provato tanta rabbia. Arturo Finzi, il protagonista

della storia, doveva essere espulso dalla scuola solo perché era ebreo. I compagni,

che due minuti prima giocavano con il povero ragazzo, due minuti dopo lo

guardavano con disprezzo: come sono strani gli uomini! Basta poco per cambiare il

loro comportamento nei confronti degli altri!

Andrea

A me dispiace molto per Arturo! Gli ebrei sono stati sterminati per colpa dei nazisti.

Arturo era un povero ragazzo ebreo messo da parte da tutti e da tutto. I compagni lo

evitavano e per un ragazzino, secondo me, non era piacevole. Mi dispiace molto per

lui e anche per tutti gli ebrei. Quando penso alle cose brutte che hanno fatto i nazisti,

sto male e mi metto a piangere per i poveri ebrei innocenti che hanno dovuto subire

senza protestare.

Alice

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A me questo testo non è piaciuto perché ho sentito tutta la tristezza di Arturo quando

veniva isolato e ho capito che i nazisti trattavano gli ebrei come oggetti. La cosa che

mi ha dato più fastidio è che hanno levato ai poveri ebrei anche il diritto ad andare a

scuola.

Sara

Questo brano tratto dal libro di Frediano Sessi mi piace molto, anche se ci sono

momenti di sofferenza

Il protagonista Arturo Finzi non sapeva nemmeno di essere un ebreo, l’ha scoperto il

primo giorno di scuola A me questa cosa che gli ebrei devono stare isolati dalle altre

razze, come Arturo che doveva stare alla larga dagli Italiani, non mi piace.

Secondo me, Hitler ha fatto più male al mondo dell’ISIS. Egli trattava i suoi seguaci

come burattini, i quali dovevano ammazzare le persone per fare lo “Spazio vitale”

(parole di Hitler) ai tedeschi.

Daniele

Provo a mettermi nei panni di questo povero bambino per scoprire quale sentimento

regnava nell’animo di chi ha vissuto l’allontanamento degli amici che, per far vedere

all’insegnante che anche loro provavano assoluto ribrezzo verso un ebreo, erano

pronti a rompere il filo dell’amicizia che fino a poco prima era ben legato ad Arturo.

Mi meraviglio anche del comportamento del maestro Baratti, che invece di

richiamare i suoi alunni che stavano disprezzando Arturo, stava a fianco al direttore

che si godeva la scena.

Luigi

Dopo aver letto il brano “Essere ebreo a scuola”, ho capito che il protagonista del

racconto, Arturo, si è sentito un appestato. Secondo me, il comportamento di Hitler e

di tutti i suoi seguaci è stato molto brutto, si sono comportati come dei matti. Mi

sorge spontanea una domanda: come si è sentito quel bambino, Arturo, quando è

stato allontanato da tutti, quando prima giocava e scherzata con i suoi compagni di

classe?

Questa è cattiveria pura, come dico io, al posto del cuore hanno un profondo buco

nero.

Noi tutti desideriamo provare amore verso l’altro e non odio e gelosia, noi tutti

speriamo in un mondo migliore!

Chiara C.

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A me questo racconto non è piaciuto perché parla di un bambino, Arturo Finzi, che ha

scoperto di essere ebreo a scuola, quando il bidello l’ha messo ad un banco lontano

dai compagni, ma anche dal suo amico più caro, Paolo. Ho provato dolore per Arturo,

quando i compagni l’hanno guardato con disprezzo solo perché era ebreo. A me non

piacciono i racconti che parlano dei campi di concentramento, perché agli ebrei

venivano negati tutti i diritti. Se io fossi stato Arturo Finzi, avrei detto alla mia famiglia

di scappare il più lontano possibile, anche se con la guerra sarebbe stata una missione

difficile. Immagino come si sarà sentito quel bambino a non giocare, a non

chiacchierare e a non collaborare con i compagni. Secondo me, Hitler ha fatto molto

male a tutti gli ebrei. Vorrei sapere come ha fatto Gesù a perdonare i nazisti, ma

attenzione, sta arrivando una nuova minaccia: l’ISIS che potrebbe far nascere la terza

guerra mondiale! Quindi chiedo a Gesù di proteggerci!

Matteo

Secondo me, le cose che hanno fatto a questo povero bambino ebreo (Arturo Finzi),

non sono cose belle, perché essere trattato come un cane oppure essere messo in un

angolo della classe è brutto. Se i miei compagni mi trattassero così, mi sentirei sola e

triste. Se un mio compagno fosse ebreo, io non lo tratterei male, perché è un atto di

inciviltà e di razzismo, lo tratterei come chiunque altro e ci giocherei sempre.

Aurora Z.

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La nostra cara vecchia scuola A cura di Alan Adelson, Il diario di Dawid Sierakowiak, Einaudi

Domenica, 10 settembre 1939, Lodz

I primi segni dell’occupazione tedesca: rastrellano gli ebrei per scavare. Un certo

professore in pensione che abita all’undicesimo caseggiato mi ha messo in guardia sul

fatto di andare in città. Un buon vecchio - un cristiano. E adesso che cosa si fa?

Domani è il primo giorno di scuola. Chissà cosa ne è stato della nostra cara vecchia

scuola! I miei amici vanno domani per vedere che cosa bolle in pentola, mentre io

devo rimanere a casa. Devo! I miei genitori dicono che non hanno intenzione di

perdermi proprio adesso. Oh, la mia cara scuola! … Accidenti a tutte le volte che mi

sono lamentato perché dovevo alzarmi presto o per i compiti in classe. Se solo potessi

riavere indietro tutto questo!

Mettetevi nei panni di Dawid e inventate un monologo interiore.

Lavori di gruppo

“Perché gli ebrei devono soffrire così tanto? Perché i nazisti hanno tanto odio verso di

noi? Oh, sì, lo so! Loro pensano di appartenere a una razza superiore!

Sono molto triste: domani è il primo giorno di scuola e non posso andarci perché i

nazisti hanno limitato la nostra libertà!

Rimpiango i vecchi tempi! Quelli in cui frequentavo la scuola, andavo in città, mi

divertivo con gli amici ed eravamo liberi!

Che fine faremo?

Ci stanno trattando come animali!

In quale gabbia hanno serrato il loro cuore?”

Gruppo: I cristalli

“Ho paura, vorrei andare in città, ma non ci riesco! Meglio ascoltare quel professore

pensionato che mi ha messo in allerta sulla città.

Vorrei andare a scuola, ma i miei genitori me lo impediscono perché hanno paura di

perdermi e io non voglio perdere loro.

Vorrei andare con i miei amici, ma non devo uscire!

Vorrei tornare indietro, a quando mi lamentavo per la scuola!

Ora rimpiango tutto …”

Gruppo: Le stelle

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“Ho paura! Stanno rastrellando tutti gli ebrei; che ne sarà di me? E della mia famiglia?

Della mia città?

Che comportamento è quello dei nazisti? Come possono fare tutto questo?

Non posso andare a scuola, la mia cara vecchia scuola! Con tutti i divieti che ci hanno

imposto, ci hanno tolto la vita!

Che cosa hanno intenzione di fare? Vivremo a lungo? E’ arrivata la fine della nostra

città, la fine di Lodz!

Noi poveri ebrei dobbiamo sopportare tutte le violenze che ci fanno questi nazisti

senza cuore!

I bei tempi sono finiti!”

Gruppo: Fiocchi di neve

“Perché i nazisti ci perseguitano? Perché il professore in pensione mi ha detto di

stare in guardia e di non andare in città?

Ormai la città è buia! Questo Paese (Polonia) non ha più colore, i fiori non crescono

più, il nostro animo è triste, la nostra vita è incerta!

Mi manca la scuola! La nostra cara vecchia scuola, dove mi divertivo con gli amici.

Rimpiango tutto! Ma rimpiango soprattutto i bei tempi e la mia cara libertà!

Gruppo: Le fate del bosco

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La vita a scuola sotto il regime nazista

M. J. Harris, D. Oppenheimer, Into the Arms of Strangers – stories of the Kindertransport, 2001, Bloomsbury

Publishing London

A scuola diventai più consapevole di chi ero e introversa. Gli altri bambini, nel migliore dei casi, non si mostravano amichevoli nei miei confronti. Sedevamo a coppie e nessuno volle più condividere il banco con me. Così io sedevo in un banco nell’angolo, in fondo, da sola. Quando si faceva lezione sulla razza, alla quale non potevo partecipare, dovevo rimanere fuori, nel corridoio, per tutta l’ora. Gli insegnanti e i bambini che mi passavano accanto mi rivolgevano uno sguardo divertito. Mi faceva paura rimanere lì da sola. Alla fine dell’ora, quando tornavo in classe, si poteva percepire la tensione. Potevi sentire i loro occhi addosso. Ti guardavano come se fossi stato un parassita. Mi era molto difficile affrontare tutto questo. Mi ricordo che una volta l’insegnante aveva spiegato ai bambini come misurare il cranio. C’era un cranio che dicevano fosse tipicamente germanico, non ricordo esattamente i particolari, mentre si diceva che gli ebrei avessero la fronte bassa, rivolta all’indietro. L’insegnante chiese ai bambini di misurarsi il cranio l’un l’altro e quando entrai, alla fine della lezione, disse: ‘Ora andate a misurare il cranio di Ursula’. Non osai dire nulla e l’insegnante era molto seccato perché le mie misure non corrispondevano a ciò che egli si aspettava”. *…+ “La ricreazione era un incubo per me. Almeno in classe potevo rimanere seduta al mio banco e, anche se gli altri bambini di solito gettavano l’inchiostro sui miei compiti, in generale non andava così male. Questo potevo gestirlo. Ma al termine di ogni lezione bisognava andare in cortile dove mi trovavo ad affrontare non solo la mia classe ma anche gli altri bambini. Mi sarebbe piaciuto essere invisibile, sparire dentro la terra.”

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Discussioni di gruppo

Quale momento dell’esperienza di Ursula ti ha colpito particolarmente?

Gruppo: Le Aquile

Luigi: “Mi ha colpito il fatto che i nazisti, pur di dimostrare la superiorità della loro razza,

s’inventavano cretinate, tipo quella della misurazione del cranio. Che bugiardi! Un altro

momento triste di questa esperienza è la solitudine della bambina che veniva rifiutata dai

compagni.

Aurora: La cosa che mi ha impressionata è quel “banco, nell’angolo, in fondo,” mentre gli altri

bambini sedevano a coppie e ancora quando Ursula è stata mandata nel corridoio per non

seguire la lezione sulla razza.

Chiara: A me ha colpito la paura di Ursula quando scendevano in cortile, dove era costretta ad

affrontare non solo la sua classe, ma anche gli altri bambini.

Francesco: Sono stato colpito da due momenti particolari: dai dispetti che le facevano i

compagni di classe quando le buttavano l’inchiostro sui compiti e dagli sguardi divertiti degli

altri bambini quando la vedevano da sola nel corridoio.

Gruppo: le tigri

Daniele: Mi ha colpito il fatto che Ursula, nonostante fosse emarginata, resisteva in quella

scuola che la rifiutava. A quei tempi essere ebreo era proprio brutto!

Fabrizio: Mi è sembrato strano il fatto che Ursula venisse esclusa dalle lezioni e mandata nel

corridoio. Il momento che mi ha provocato dolore è stato il desiderio della bambina di “essere

invisibile” per le cattiverie che era costretta a subire.

Gabriele: Sono stato colpito dal fatto che Ursula veniva trattata male sia dai professori che

dagli alunni e tutto questo a lei non piaceva affatto.

Andrea: Mi ha colpito la cattiveria dei bambini che si accanivano contro Ursula senza un

motivo valido, dato che neanche la misurazione del cranio di Ursula rispondeva alle cose

stupide che avevano inventato per dimostrare che i nazisti erano superiori agli ebrei.

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Gruppo: Fiocchi di neve

Marco: In questo testo mi ha colpito la parte finale, in cui Ursula dice che veniva rifiutata da

tutti i bambini della scuola: nel leggere quelle parole ho provato un dolore insopportabile,

come se una spina mi fosse entrata nel cuore! Io non sarei stato capace di sopportare una

situazione simile!

Chiara G. : Era terribile non poter partecipare alle attività scolastiche come accadeva ad

Ursula. Io mi sentirei malissimo! Capisco anche quel suo desiderio di voler “essere invisibile,

sparire dentro la terra”.

Matteo: Ursula non poteva partecipare alla lezione sulla razza, non poteva stare seduta al

banco con gli altri, tutti la deridevano, le facevano dispetti, si sentiva minacciata dagli sguardi

degli insegnanti e dei compagni, aveva paura degli altri alunni della scuola: tutto questo solo

perché era ebrea! Ecco cosa mi ha colpito: il motivo stupido della persecuzione!

Claudia: Essere ebreo, al tempo del regime nazista, è stato terribile! Nel racconto di questa

esperienza si vedono le conseguenze di ciò che pensavano i nazisti sulla razza ebrea. La

bambina veniva trattata come un animale, anzi neanche, perché gli animali sono trattati

meglio! Veniva esclusa da tutto e da tutti: era una situazione mortificante e dolorosa!

Gruppo: Le stelle

Daria: Ho capito che Ursula si sentiva sola e che i suoi compagni la disprezzavano. La cosa che

mi ha colpito è la mancanza di felicità della bambina.

Ilaria: Tutto il brano è un’esperienza di disprezzo nei confronti degli ebrei. A me ha colpito la

lezione sulla razza. Non sapevano proprio cosa inventare i nazisti per discriminare quei poveri

ebrei, parlavano persino di “fronte bassa”!

Sara: Mi ha colpito la solitudine della bambina e lo “sguardo divertito” degli alunni della

scuola, quando la vedevano nel corridoio.

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Gruppo: Le fate del bosco

Swamy: Mi ha colpito soprattutto l’odio dei nazisti nei confronti di una bambina ebrea

innocente, che veniva isolata da tutti e messa da parte come un oggetto. La lettura di

quest’esperienza mi ha emozionata molto.

Veronica: Sono stata impressionata dal fatto che la bambina veniva tenuta lontana da tutti e

che veniva esclusa anche da alcune attività. Non mi è piaciuto quando le hanno misurato il

cranio.

Alice: La vita di Ursula doveva essere davvero dura: a scuola veniva messa da parte e la

maestra la prendeva in considerazione solo quando serviva per dimostrare che la sua razza

era inferiore a quella dei nazisti (misura del cranio).

Evelin: Io ho capito che Ursula soffriva molto. Mi ha colpito il momento in cui la maestra le

ha fatto misurare il cranio.

Gruppo: I cristalli

Giuseppe C.: Mi ha colpito la tristezza di Ursula: i compagni e gli insegnanti facevano a gara

per farla sentire inferiore! La ricreazione, che per noi è un momento bellissimo, per lei era

un incubo. Povera bambina!

Giuseppe A.: Ho capito che la protagonista soffriva molto perché veniva discriminata e

presa in giro. Sono rimasto impressionato dai sentimenti di paura che provava quando era

da sola nel corridoio e da quelli di terrore che aveva al momento della ricreazione, quando

in cortile doveva sopportare i dispetti di tutti gli alunni della scuola.

Aurora Z.: Ursula è una bambina ebrea che mi fa tanta tenerezza, soprattutto quando le

fanno i dispetti.

Luana: E’ ingiusto essere separati dagli altri solo perché si appartiene ad un’altra razza:

questo è l’aspetto che mi ha particolarmente colpito. Ho provato a immaginare

l’isolamento di Ursula e sono stata davvero male!

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Informazioni storiche ricavate dai testi narrativi

analizzati integrate dalla ricerca eseguita su documenti

primari e secondari

1938 - Anche in Italia vengono emanati decreti contro gli ebrei.

Insegnanti e alunni di razza ebraica sono esclusi dalle scuole (Regio Decreto,

Legge 5 settembre 1938, n. 1390)

1 settembre 1939 – Invasione della Polonia da parte dei nazisti (Dawid, nel

suo diario, parla dell’occupazione tedesca).

In Germania si tenevano lezioni sulla razza, alle quali non potevano

partecipare gli ebrei che, in quell’ora, venivano allontanati dalla classe (Lo dice

Ursula nel suo racconto)

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Oggi

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Convenzione ONU 1989 …

… in parole semplici

Articolo 28

Ho il diritto all’istruzione.

Devo ricevere un’istruzione

primaria che dev’essere

gratuita.

Dovrei poter frequentare

anche le scuole secondarie.

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La strage degli innocenti:

i ragazzi del ghetto di Terezin

Diritto ad avere

una famiglia:

negato

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Ricerca di informazioni storiche sul ghetto di Terezin

effettuata utilizzando fonti scritte secondarie e

iconografiche (fotografie)

Ricercate nel materiale informativo che avete a disposizione tutte le

informazioni storiche e riportatele in una tabella costruita a livello autonomo.

Lavori di gruppo

Informazioni sulla costruzione del ghetto di Terezin

Informazioni sulla vita all’interno del ghetto di Terezin

Informazioni sul luogo dove sono state conservate le testimonianze del ghetto di Terezin

Terezin è stato costruito dall’imperatore Giuseppe II, nel 1780 in onore di sua madre Maria Teresa, da cui prese il nome.

Vi furono rinchiusi

15.000 bambini

“strappati” ai loro

genitori (1942-44).

A gruppi furono

deportati ad

Auschwitz in cui

vennero uccisi

Sono sopravvissuti

soltanto un centinaio

di bambini

Uomini e donne,

anch’essi deportati,

avevano il compito di

sorvegliare i bambini

Grazie a loro oggi abbiamo delle testimonianze: 4000 disegni e 66 poesie realizzati facendo studiare i bambini.

Le testimonianze (4000 disegni e 66 poesie) sono conservate nel Museo Ebraico di Praga.

Gruppo: Fiocchi di neve

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Informazioni storiche Giudizio di valutazione dello storico

Terezin era una fortezza, fu costruita nel 1780, il suo nome deriva da Maria Teresa, madre “Una mostruosa invenzione

dell’imperatore Giuseppe II.

Tra il 1942 e il 1944 diventò “il ghetto dell’infanzia “. aggiunge che rappresenta

Dentro il ghetto furono rinchiusi 15.000 bambini strappati alle loro famiglie.

A gruppi i bambini furono deportati ad Auschwitz, dove vennero avvelenati e bruciati.

Dei 15.000 ragazzi soltanto un centinaio si salvarono.

Nel ghetto di Terezin furono portati anche uomini e donne che riuscirono a mantenere viva la speranza di quei bambini.

I 4000 disegni e le 66 poesie sono custodite nel museo ebraico di Praga. “Un’ incancellabile ferita delle storia

A gruppi i bambini furono portati ad Auschuitz dove vennero avvelenati e brucDei 15.000 ragazzi soltanto un centinaio si salvarono .

Lo storico definisce Terezin

“ Una mostruosa invenzione della follia tedesca”

“Un’incancellabile ferita della storia dell’umanità”

Gruppo: Le fate del bosco

Terezin, la fortezza

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Informazioni storiche

Informazioni tratte da documenti iconografici

Terezin era una fortezza costruita nel 1780 dall' imperatore Giuseppe II, il quale diede a questa fortezza il nome della madre Maria Teresa, da cui deriva il nome Terezin.

Nella prima immagine vediamo che l'ingresso del ghetto di Terezin era sorvegliato dai soldati tedeschi.

Il ghetto di Terezin racchiudeva 15.000 bambini che venivano strappati ai genitori e sottoposti ad una vita brutale.

Nella seconda immagine vediamo i bambini del ghetto di Terezin dormire su tavolacci privi di materassi e avvolti in coperte che sembrano stracci.

Raccolti in gruppi, vennero trasportati ad Auschwitz, dove furono prima avvelenati e poi bruciati.

Nella terza e ultima immagine vediamo una guardia che sorveglia l'ingresso del campo di concentramento. Sul ponte c'è un sacerdote. Forse andava a portare conforto ai bambini.

Quando arrivarono le truppe sovietiche, solo 100 ragazzi su 15.000 erano sopravvissuti al ghetto.

Gli uomini e le donne, che si occupavano della sorveglianza dei bambini, provavano affetto verso di loro, calore umano e, mentre li facevano lavorare e studiare, tenevano su la speranza di uscire da quella situazione.

Gruppo: le aquile

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Gruppo: I cristalli

Unità d’informazione

Informazioni storiche

Origine del nome

Terezin era una fortezza, costruita nel 1780 dall’imperatore Giuseppe II per dedicarla alla madre Maria Teresa, da cui deriva il nome.

Ghetto dell’infanzia

Dal 1942 al 1944, durante la seconda guerra mondiale, diventò il “ghetto dell’infanzia”

Brutale regime di vita dei bambini

Circa 15.000 bambini furono "strappati" ai genitori, rinchiusi nel ghetto e sottoposti ad una vita dura.

Il trasporto ad Auschwitz

A gruppi furono trasportati ad Auschwitz e là furono avvelenati e bruciati nei forni crematori

I pochi superstiti ritornati a casa Solo 100 bambini su 15.000 furono trovati vivi dai russi nel ghetto.

La sorveglianza dei bambini

Nel ghetto c'erano anche uomini e donne che si prendevano cura dei bambini facendoli lavorare e e studiare, ma soprattutto davano loro la voglia di vivere, tenendo alta la speranza del ritorno a casa.

Testimonianze storiche

Oggi, nel museo ebraico di Praga, si custodiscono 4000 disegni e 66 poesie che ci parlano di quei poveri bambini.

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Informazioni storiche

Nel 1780 l’ imperatore Giuseppe II fondò la città di Terezin dedicandola alla

madre Maria Teresa, da cui deriva il nome.

Tra il 1942 e il 1944 , durante la seconda guerra mondiale, diventò il “ghetto

dell’infanzia“.

Quindicimila bambini furono levati ai loro genitori, rinchiusi nel ghetto e

sottoposti ad un regime di vita veramente duro.

I bambini venivano portati a gruppi ad Auschwitz, dove venivano bruciati nei forni

crematori.

Dei quindicimila bambini solo un centinaio sono rimasti vivi. ( 100 su 15000).

Anche uomini e donne furono rinchiusi in questo ghetto e furono proprio loro a

dare un senso alla vita dei ragazzi e la speranza di uscire.

Oggi 4000 disegni e 66 poesie dei bambini sono custoditi nel Museo Ebraico di

Praga.

Gruppo: Le stelle

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A Terezin

(1943, Teddy L 410, I bambini di Terezin, Feltrinelli)

Appena qualcuno arriva qui

ogni cosa gli sembra strana.

Come, devo coricarmi per terra?

No, io non mangerò quella sudicia patata nera.

E questa sarà la mia casa? Dio com’è lurida!

Il pavimento è solo fango e sporcizia

e qui io dovrò distendermi.

Come farò senza sporcarmi?

C’è sempre un gran movimento quaggiù

e tante, tante altre mosche:

le mosche non portano le malattie?

Ecco qualcosa mi ha punto: una cimice forse.

Com’è orribile Terezin!

Chissà quando ritorneremo a casa.

Cosa pensi e cosa provi nel leggere le parole di Teddy?

Cosa provo? Provo tanto dolore per questi ragazzi perché essere strappati ai propri

genitori dev’essere una bruttissima cosa! Provo tristezza perché non hanno un

materasso su cui dormire, non hanno da mangiare, non possono giocare, non hanno

medicine per curarsi.

Tutto questo, sì, che mi fa male, tanto male! Mi dispiace tanto tanto. Se mi metto in

quella situazione, senza qualcuno che provi affetto per me, mi sento soffocare dal

dolore. Mi dispiace per tutti i bambini che sono stati uccisi durante la persecuzione

nazista!

Ilaria

Povero Teddy! Come ha fatto a resistere nel ghetto? Mangiavano poco e male,

dormivano nelle cuccette di legno oppure a terra nel fango. Mi vengono i brividi solo

a pensarci. Se fossi stato strappato alla mia famiglia, mi sentirei spaventato e

angosciato, e avrei tanta nostalgia della mia casa.

Gabriele

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La poesia di Teddy mi ha provocato un dolore atroce. Non posso sopportare che i

nazisti abbiano trattato così male gli ebrei, ma soprattutto i bambini. Io non avrei mai

avuto il coraggio di farlo. Come si può mandare un bambino nei forni crematori,

bruciarlo e far finta che non sia successo niente. Io mi chiedo sempre: “I nazisti

avevano un cuore?” Secondo me, no! Poveri bambini, strappati alle loro famiglie e

portati in un luogo sconosciuto, allontanati dalle proprie case, costretti a mangiare

poco o niente e a non lavarsi! Nell’ ultimo verso Teddy esprime un dubbio, ma spera

ancora di poter ritornare a casa: non tornerà più!

Alice

Poveri bambini! Chi ce la farebbe a sopportare una sofferenza simile, io no di sicuro!

Già mi lamento a casa! Se penso alla disperazione che provavano i bambini quando

erano costretti a mangiare cibi disgustosi, a dormire ammassati l’uno contro l’altro,

provo un dolore dentro. Che arriva al cuore? No! Ancora più in fondo, fino al centro

del cuore. Un qualcosa che non prova nessuno, un dolore non fisico, ma morale,

accompagnato da odio verso i nazisti e le loro cattiverie. Non so come hanno potuto

torturare quei bambini innocenti e trattali come “l’ultima ruota del carro”. Secondo

me, i nazisti con la testa non stavano bene. Oggi ho capito che vivere in quei posti

era la fine!

Il dolore diventa più forte quando arrivo al verso della poesia dove Teddy dice:”

Chissà quando ritorneremo a casa?” Aveva ancora la speranza di tornare alla vita

precedente, non sapeva che l’aspettava Auschwitz, dove, infatti, morì.

Claudia

Quando leggo questa poesia, provo nell’animo tanta tristezza, perché i bambini

erano costretti a lasciare le loro comode case per entrare in una struttura sporca,

lurida, con il pavimento fangoso e pensavano: “Questa sarebbe la mia casa?”.

Mangiavano patate sudice, nere e marce. Poveri bambini come erano maltrattati!

Un’altra cosa brutta, ma molto brutta era che non potevano stare con i genitori

perché li avevano separati.

Prendevano malattie, infatti, nella poesia, Teddy dice: “Ecco qualcosa mi ha punto:

una cimice forse.” Stavano proprio male! E non potevano neanche essere consolati

dalle loro famiglie!

Fabrizio

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Mentre leggevo la poesia ho provato una tristezza profonda. Solo a pensare di dover

vivere in quelle condizioni, mi viene un brivido in tutto il corpo. Quello che hanno

fatto i nazisti è veramente orribile!

Mi hanno colpito i versi in cui Teddy dice: “Questa sarà la mia casa?” Ma purtroppo si

doveva abituare! Nella parte finale della poesia ho provato un grande dolore perché,

per Teddy, Terezin è orribile, ma spera di tornare dalla sua famiglia.

Marco

Quando leggo questa poesia, io mi sento male perché penso ai maltrattamenti che

hanno dovuto subire i bambini di Terezin.

Appena arrivavano, sembrava che entrassero in un carcere che li avrebbe mandati

fuori soltanto per morire.

Io provo molto ma molto dolore quando “vedo” i bambini che vengono strappati alle

proprie famiglie.

L’ultimo verso, anche se esprime un dubbio, mi piace perché mi fa vedere la speranza

di Teddy.

Luana

Nel leggere la poesia provo rabbia nei confronti dei nazisti e tristezza nei confronti dei

bambini. Mi dispiace per i 15.000 bambini prigionieri nel ghetto di Terezin perché

dormivano a terra, cioè nella sporcizia, mangiavano patate nere, vivevano in una casa

lurida con le mosche che portano tante malattie.

Io non saprei stare senza la mia famiglia, la mia casa e tutte le mie cose. Come hanno

fatto ha sopportare tutto questo? Inoltre mi chiedo: ”Ma i nazisti come facevano a

non aver compassione neanche dei bambini?”. Secondo me, pagheranno per quel che

hanno fatto.

Era una brutta situazione quella del ghetto!

Non è stato giusto per gli ebrei! Dio ci ha dato la vita non per togliercela o per farcela

togliere dai pazzi nazisti!

Sono stati veramente crudeli!

Matteo

L’arrivo di alcuni bambini ebrei a Terezin

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A me la poesia di Teddy piace, mi porta un'emozione inspiegabile, ma anche tristezza,

perché i bambini venivano trattati peggio degli animali che almeno hanno un nome,

al contrario, i poveri ebrei avevano un numero tatuato sul braccio.

Poverini! Io non riesco a sgridare neanche mio fratello più piccolo, Daniel, e i nazisti

con freddezza hanno ucciso 15.000 bambini, ma con quale coraggio l'hanno fatto?

Ancora non l'ho capito!

Andrea

Quando leggo questa poesia, provo dolore per quei bambini, però allo stesso tempo

provo gioia per me perché sono stato fortunato per non essere vissuto all' ’poca di

Teddy. Un povero ragazzo senza genitori, senza casa, senza familiari e senza amici. A

me rattrista sapere che sono esistite persone così crudeli che hanno fatto tutto

questo male a 15000 bambini innocenti. Prima li avvelenavano e poi li bruciavano nei

forni crematori e così non rimaneva più traccia di quei bambini. Quante sofferenze

hanno dovuto sopportare gli ebrei! Chissà se ci sarà altra violenza del genere in

futuro?

Daniele

Mentre leggo la poesia "A Terezin" di Teddy, provo ribrezzo verso i nazisti che hanno

costretto questi poveri bambini ad abitare la fortezza che li ha "ospitati" (se si può

parlare di ospitalità!). Se provo a mettermi nei panni di questi poveri esseri che hanno

subito tante angherie, sto male, perché io non ce la farei a staccarmi dai miei genitori

e ad abbandonare ogni cosa che mi è cara, come hanno fatto i bambini che sono stati

costretti a vivere dentro quella fortezza maledetta che, ahimè, ha fondato

l'imperatore Giuseppe II quando correva l'anno 1780.

Sicuramente i malcapitati hanno provato odio verso chi li ha raccolti e mandati in

questo "edificio". Provo dolore per questi bambini senza futuro e che sono morti

quasi tutti ad Auschwitz. Poverini!

Luigi

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Mentre leggo la poesia “A Terezin” di Teddy, provo malinconia, molta malinconia,

perché appena i bambini arrivavano a destinazione, ogni cosa sembrava strana.

Potevano ammalarsi a causa di quella mosche, infatti, Teddy, probabilmente, è stato

punto da una cimice. Questi bambini vorrebbero tanto tornare a casa, ma non

possono! Che vita! Come hanno potuto fare questo i nazisti? Non dimenticherò mai

quello che ho letto!

Se mi fossi trovata in quel campo di concentramento, non avrei fatto altro che

piangere, per la nostalgia dei miei genitori, di mio fratello, di tutti i miei parenti e

delle cose a cui tengo molto. Non voglio neanche immaginare la vita che hanno

passato quei bambini, molti di loro anche più piccoli di me, molto più piccoli di me.

Chiara C.

Disegni e poesie dei bambini del ghetto di Terezin

Disegno di Holga Weissova , bambina sopravvissuta

a Terezin

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Dopo la visione di due filmati sul ghetto di Terezin …

Guardando i due filmati ho visto che non c’era felicità, che i bambini venivano messi

in questo ghetto grande e brutto. Mi hanno davvero commosso le immagini

dell’interno di quel posto perché lo immaginavo in modo diverso, ma ora che l’ho

visto, provo ancora più dolore.

Ilaria

Mentre ero immerso nell'osservazione e nell'ascolto dei filmati, notavo che dopo ogni

disegno si vedevano bambini che correvano alla ricerca del rispettivo genitore. I

nazisti hanno calpestato i fiori più belli dell'universo: i bambini! Erano ormai destinati

a morire, in un modo o nell'altro, e le loro ceneri erano, invece, destinate a ricoprire il

cielo di Terezin di malinconia e sofferenza.

Luigi

Questa mattina, a scuola, abbiamo visto due filmati su Terezin e ho fatto una

scoperta: i bambini venivano portati al ghetto con i treni merci. Il documentario mi ha

fatto conoscere i sentimenti dei ragazzi: paura, tristezza, solitudine, nostalgia,

dolore… Lo speaker ha detto che i nazisti uccidevano così tanto che i fiori non

crescevano più e ancora oggi, se si alzano gli occhi al cielo, si possono vedere le

lettere iniziali dei nomi dei bambini morti!

Gabriele

I due filmati sono stati molto commoventi perché nel primo parlava lo speaker che ha

fatto sentire il dolore dei bambini, invece nel secondo si vedeva la bruttezza del

ghetto. Tutti e due i video erano tristi, ma quello che ce li faceva sembrare orribili

erano le metafore usate dallo speaker.

Giuseppe C.

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Dopo aver guardato i due filmati ho scoperto che i bambini venivano trasportati con il

treno merci, infatti erano tutti ammucchiati e dai finestrini vedevano solo le stelle; si

dice che le stelle portano una bella sensazione, ma per quei bambini significavano

morte.

Daniele

Disegno realizzato da un bambino del

ghetto di Terezin

I miei pensieri sui due filmati relativi al ghetto di Terezin sono molto brutti perché

quei bambini stavano davvero male.

A vedere quelle immagini capisco la loro tristezza nello stare rinchiusi in quella che i

tedeschi chiamavano casa che, per loro, era solo un carcere.

Luana

In questi due filmati ho capito che, quando venivano portati nel ghetto di Terezin, i

bambini venivano ammucchiati nei vagoni di un treno merci. Lo speaker, nel primo

filmato, diceva che il sole si copriva di cenere (la cenere dei bambini bruciati nelle

camere a gas).

Matteo

I filmati mi hanno dato un’idea precisa di com’ era la vita nel ghetto di Terezin.

Lo speaker ci ha spiegato come si viveva tristemente in quel posto, l’ha fatto usando

metafore come " Qui i fiori non crescono più " e poi ancora " Il cielo era ricoperto di

polvere”. Quale polvere? Era cenere, la cenere dei cadaveri bruciati da quegli uomini

senza cuore …

Giuseppe A.

Guardando questi filmati ho scoperto che i bambini non avevano un giocattolo con

loro, anzi li avevano portati, però i nazisti glieli avevano tolti. L’altra cosa che mi ha

impressionato è che anche loro, come gli adulti, venivano stipati nei treni merci,

vedevano solo le stelle, le vedevano da un piccolo buco.

Fabrizio

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Oggi

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Convenzione ONU 1989…

… in parole semplici

Articolo 9

Ho il diritto di non essere

separato dai miei genitori

Il mio allontanamento dai

genitori potrebbe

avvenire solo per il mio

bene: se sono maltrattato

e picchiato.

Se i miei genitori sono

separati, ho il diritto di

contattare facilmente

l’altro.

Articolo 19

Ho il diritto ad essere

protetto dallo Stato da

ogni forma di violenza.

Neanche i miei genitori

possono farmi del male.

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Un bambino di

Terezin

Diritto ad avere

una casa,

cibo e vestiti:

negato

Ebrei deportati a Treblinka Foto scattata di nascosto da un soldato austriaco, 22 agosto 1942

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Esilio nel ghetto Trudi Birger, Ho sognato la cioccolata per anni, Il battello a vapore

In luglio e agosto i tedeschi imbarcarono i trentamila ebrei rimasti a Kovno e,

attraverso il fiume Nemunas, li portarono alla periferia del quartiere di Slobodka,

dove istituirono un ghetto. Impiegarono giorni interi per trasportarceli tutti. Questa

fu la fine della nostra vita “agiata”.

Adesso, con le decine di migliaia degli altri ebrei di kovno strappati dalle loro case,

non avevamo altro che le poche cose che eravamo riusciti a portare con noi. presi

qualcuno dei miei bei vestiti e qualche ninnolo che consideravo gioielli di valore. Non

ero più una bambina, ma portai lo stesso con me gli orsacchiotti e la bambola, che mi

avevano seguito dappertutto. Erano l’ultimo avanzo della mia infanzia felice, e cercai

di tenerli con me fino alla distruzione del ghetto. (pag. 54)

[…] Il 15 agosto 1941 i nazisti recintarono con filo spinato l’intero ghetto. I soldati

tedeschi non ci perdevano d’occhio quando ci spostavamo all’interno del ghetto,

minacciandoci con gli altoparlanti perché ci muovessimo in fretta. Nessuno osava

aprir bocca per protestare, o anche solo per fare una domanda. Ci potevano sparare

in qualsiasi momento. Anche oggi, quando sento un altoparlante per la strada, vengo

colta dal panico.

Diventammo dei prigionieri, ammassati in alloggi inadeguati, tagliati fuori dal mondo

esterno, privati dal contatto con le altre comunità ebraiche, senza protezione. Non

c’era un tribunale imparziale o un governo indipendente a cui potessimo appellarci.

Non avevamo alcun potere né potevamo accedere ai mezzi di informazione. (pag. 57)

[…] Ripensandoci, mi rendo conto che solo l’orrore assoluto dei campi di sterminio

può far sembrare normale la vita nel ghetto. I nazisti facevano di tutto per annientarci

psicologicamente, distruggendo la nostra umanità. Ero giovane, e i giovani si

adattano facilmente. Ma non mi rassegnai mai al modo in cui ci costringevano a

vivere, negandoci perfino lo spazio vitale. La nostra povertà era inimmaginabile. I

nostri indumenti erano macchiati e laceri, i mobili e gli utensili pochi e inadeguati, il

cibo insufficiente. La fame era tale che a volte ci dava allucinazioni.

Le malattie dilagavano nel ghetto. Se ti ammalavi, c’erano i medici ma non le

medicine, e i malati non avevano diritto alle razioni. La morte divenne un fatto

normale e i cadaveri non furono più una vista sconvolgente.

Quello che ci indeboliva di più, almeno spiritualmente, era il nostro completo

isolamento. Nessuno si occupava di noi, nessuno ci proteggeva dai crimini che

venivano commessi quotidianamente, nessuno protestava per ciò che veniva

perpetrato contro di noi. Eravamo stati dimenticati. (pag. 89)

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Come immaginate la vita di Trudi Birger nel ghetto di

Slobodka?

“Raccontate alcune scene” con disegni e parole.

Trudi Birger, prima di partire verso il ghetto, cercò di portare con sé le cose che le

potevano servire: vestiti, gioielli, ma soprattutto degli orsacchiotti e una bambolina

che le ricordano la sua felice infanzia.

“Dove andrò?”, ”Quale sarà il mio futuro?”, ”Sarà bello il nuovo posto?”, ”Uscirò via

da lì o morirò?”, queste forse saranno state le domande che si fece la ragazza. Chissà

come si sentiva disorientata e addolorata nel lasciare tutto ciò che le era caro!

Se ci mettiamo nei suoi panni, proviamo il dolore di lasciare la casa, di lasciare i nostri

oggetti ai quali siamo particolarmente legate

Gruppo: Le stelle

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Trudi Birger è stata costretta a lasciare la propria casa perché doveva andare ad

abitare nel ghetto, recintato dai nazisti nel quartiere di Slobodka. In questo ghetto

sono stati trasportati 30.000 ebrei. Mentre avveniva lo spostamento nel ghetto, Trudi

pensava all’Esodo dall’Egitto dei suoi antenati, con la differenza che gli ebrei di

tremila anni prima passavano dalla schiavitù egiziana alla libertà, mentre lei stava per

affrontare il passaggio dalla libertà alla schiavitù.

Gruppo: I cristalli

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Il 15 agosto 1941 i nazisti recintarono il ghetto con il filo spinato.

I poveri ebrei erano tenuti sotto dura sorveglianza. Mentre si spostavano nel ghetto,

venivano minacciati dagli altoparlanti e dovevano muoversi in fretta, altrimenti

morivano come le mosche, infatti i muri del quartiere di Slobodka erano tutti

macchiati di rosso.

Gruppo: Le fate del bosco

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Secondo noi, la vita di Trudi Birger è stata molto dura e quasi insostenibile, perché è

stata costretta a vivere in case dove c’erano pochissimi mobili, utensili insufficienti e

poco adatti, ha sofferto la fame, non poteva circolare liberamente nel ghetto, doveva

sempre correre, altrimenti i nazisti le sparavano.

Nonostante tutta questa sofferenza, la ragazza dice che la vita nel ghetto era più bella

di quella vissuta nel campo di sterminio.

Gruppo: Le aquile

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I nazisti hanno trattato Trudi come una cosa! Si sentiva sola, dimenticata da tutti. La

vita della ragazza nel ghetto era un inferno. L’avevano privata di tutto, persino del

suo spazio vitale e del cibo che, a volte, a causa della sua mancanza, le faceva venire

le allucinazioni.

Gruppo: Fiocchi di neve

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Heinz Jost fotografa il ghetto di Varsavia

Heinz Jost (soldato tedesco appassionato di fotografia) il 19 settembre 1941, giorno del suo

compleanno, entrò nel Ghetto di Varsavia (dove era stato e sarebbe stato più volte) e realizzò

129 fotografie. Non parlò mai di queste immagini allora. Sono state esposte per la prima

volta nel 1988 a Gerusalemme.

Controllo all’entrata del Ghetto

effettuata da un soldato tedesco sotto lo

sguardo di un poliziotto polacco.

Migliaia di bambini denutriti e

malvestiti abitavano le strade.

Vita quotidiana nel Ghetto e strade

affollate: 500.000 persone abitavano in

4 kmq.

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La casa

Dolore della casa Primo Levi, Se questo è un uomo, Euroclub

Quando si lavora, si soffre e non si ha tempo di pensare: le

nostre case sono meno di un ricordo. Ma qui il tempo è per

noi: da cuccetta a cuccetta, nonostante il divieto, ci scambiamo visite, e parliamo e

parliamo. La baracca di legno, stipata di umanità dolente, è piena di parole, di ricordi

e di un altro dolore. “Heimweh” si chiama in tedesco questo dolore. È una bella

parola, vuol dire “dolore della casa”.

Sappiamo donde veniamo: i ricordi del mondo di fuori popolano i nostri sonni e le

nostre veglie, ci accorgiamo con stupore che nulla abbiamo dimenticato, ogni

memoria evocata ci sorge davanti dolorosamente nitida. (pag. 67)

Casa? Cesare Moisè Finzi, Il giorno che cambiò la mia vita, Topipittori

Casa? Varcata la soglia di casa ci troviamo in un locale chiuso da una larga tenda

dietro la quale si scorge un letto matrimoniale e un comodino; nelle pareti laterali si

aprono due porte. La signora ci fa strada ed entriamo in un’altra camera da letto più

grande, ma quasi completamente occupata da un letto matrimoniale e da due lettini

posti ai lati; un piccolo armadio, due comodini e un lavabo con catino e brocca

completano l’arredamento. Capiamo che dobbiamo mettere qui le nostre valigie e mi

passa per la mente una domanda: cosa ci sta a fare il letto matrimoniale

nell’ingresso?

[…+ Nel letto matrimoniale dell’ingresso dormiranno i padroni di casa con il bimbo;

l’altra camera è per noi: i padroni vi hanno rinunciato; la cucina dovrà servire per

tutte e due le famiglie.

(pag. 117)

Il campo di Thorn (città polacca) Trudi Birger, Ho sognato la cioccolata per anni, Il battello a vapore

I campi non avevano attrezzature. Dormivamo per terra all’aperto con qualsiasi

tempo, a due a due sotto un’unica coperta leggera. Dovevamo lavarci in secchi e

barili ed evacuare nei fossi. Portavamo gli stessi vestiti giorno dopo giorno finché non

furono incrostati di sudore e di terra, un impasto che li teneva insieme meglio della

trama consunta del tessuto. L’unica cosa che ci davano da mangiare era una schifosa

zuppa di bucce di patate. Quando penso a quella zuppa, sento ancora la terra sotto i

denti. (pag.109)

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Messa a confronto delle testimonianze dei superstiti

eseguita dai gruppi cooperativi

Il primo testo “Dolore della casa”, tratto dal libro “Se questo è un uomo di Primo Levi,

dice che gli ebrei, quando lavoravano, non avevano neanche il tempo per pensare,

ma, quando si sera si trovavano nelle “cuccette”e cominciavano a parlare, i ricordi di

quello che avevano lasciato li faceva stare male. Lo scrittore mette in risalto una

parola tedesca:”Heimweh” che significa “dolore della casa”, infatti loro sentivano in

modo impressionante questo dolore.

Il secondo testo tratto dal libro “Il giorno che cambiò la mia vita” di Cesare Finzi

descrive la nuova casa del protagonista che, insieme alla famiglia, è costretto a

rifugiarsi in un posto nuovo e in una casa che doveva condividere con i proprietari,

tutto questo per evitare di essere arrestati dai tedeschi e deportati nei campi di

concentramento.

Nel terzo testo “Il campo di Thorn”, Trudi Birger racconta la vita quotidiana in questo

campo che non era neanche attrezzato. La povera ragazza era costretta a mangiare

zuppa di bucce di patate, si lavava nei secchi e portava sempre gli stessi vestiti.

Come facevano a vivere così?

Secondo noi, la situazione migliore è quella di Cesare Finzi che è riuscito a evitare il

campo di concentramento, nonostante le sofferenze del dover abbandonare tutto ciò

che amava per nascondersi.

Gruppo: Fiocchi di neve

Mettendo a confronto le tre esperienze abbiamo trovato delle differenze.

Nel primo testo il protagonista parla del dolore per la mancanza della casa.

Nel secondo testo Cesare Finzi è stato fortunato, in quanto ha trovato una casa in cui

è stato ospitato da alcune persone.

Nel terzo testo Trudi Birger è stata deportata come Primo Levi, ma in un campo meno

attrezzato dove si soffriva di più.

Quello che ci ha colpito in modo negativo è stato Il campo di Thorn.

Invece l'esperienza più fortunata, secondo noi, è quella di Cesare Finzi, dato che

almeno lui ha trovato un rifugio.

Gruppo: Le tigri

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Nel primo testo “Dolore della casa” si parla del ricordo della propria casa che

tormentava gli ebrei. Abbiamo capito che gli ebrei soffrivano di nostalgia per la casa e

per il mondo che si trovava fuori, dormivano nelle cuccette.

Nel secondo testo si parla di Cesare Moisé Finzi che è riuscito a salvarsi dal campo di

concentramento rifugiandosi in una casa in alta montagna.

Nel terzo testo “Il campo di Thorn” tratto dal libro di Trudy Birger “Ho sognato la

cioccolata per anni”, Trudy, una ragazza di sedici anni, dormiva per terra con qualsiasi

temperatura, inoltre, ancora oggi sente sotto i denti la terra delle bucce delle patate

che mangiava.

Secondo noi, la situazione migliore è quella di Finzi, dato che almeno lui aveva un

tetto sulla testa!

Gruppo: Le aquile

Nei tre testi l’argomento generale è la casa, ma tutti e tre i protagonisti non dicono la

stessa cosa, perché ognuno racconta la propria esperienza.

Nel campo di concentramento dove è andato Primo Levi gli ebrei provavano un

grande dolore per la mancanza della casa. Nel secondo testo Cesare Finzi viene

portato in una piccola abitazione dove all’ entrata trova un letto matrimoniale e un

comodino perché la vera stanza da letto era stata affittata dal padre di Cesare. Nel

terzo testo quello di Trudy Birger, gli ebrei vengono portati in un campo di

concentramento per niente attrezzato.

L’ esperienza migliore secondo noi è quella di Cesare Finzi, perché nonostante le

sofferenze, è riuscito ad evitare il campo di concentramento.

Gruppo: Le fate del bosco

Nel brano di Primo Levi si parla della nostalgia che provano gli ebrei per la loro casa

nei campi di concentramento. La differenza dalle altre esperienze che abbiamo letto

è che loro dormivano nelle cuccette.

Nel secondo brano tratto da “Il giorno che cambiò la mia vita” di Cesare Finzi, si parla

del protagonista che andò a vivere in una casa in cui si dovevano nascondere.

L’aspetto positivo di questa testimonianza consiste nel fatto che Cesare Finzi dormiva

su un letto, mentre Primo Levi nelle cuccette e Trudi Birger per terra.

Nell’ultimo brano tratto da ”Ho sognato la cioccolata per anni”, si racconta che la

ragazza dorme a terra, mangia bucce di patate e indossa sempre gli stessi vestiti

incrostati di sudore.

L’unica cosa in comune che hanno tutte e tre le esperienze è l’argomento “ casa”.

Gruppo: le stelle

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Pensa a cosa ti piace della tua casa: quali sono i tuoi

oggetti preferiti, quelli che ti danno sicurezza e ti fanno

sentire al riparo dai pericoli?

Come ti sentiresti se fossi costretto ad abbandonare le tue

comodità e le cose che ami?

Nella mia casa sono tante le cose, ma anche gli animali e le persone, che mi fanno

sentire al riparo dai pericoli e dai quali non mi vorrei mai separare.

Primo tra tutti è il mio cane. Sembrerà strano, ma, quando c'è lui, mi sento protetto e

al sicuro; anche se é molto piccolo, io lo ritengo il mio protettore. L’oggetto di cui

sentirei la mancanza è il mio zainetto a forma di tigrotto che sin dall'asilo è ancora

con me, da piccolo facevo finta che parlasse e, infatti, ancora oggi lo conservo come

ricordo dell'infanzia. La terza cosa che amo é la mia tigre bianca che mi è stata

regalata da mio zio e, siccome per me ha un grande valore affettivo, ho costretto

mamma a metterla al centro della stanza da pranzo.

Per me queste cose sono fondamentali, sono la mia vita, la mia infanzia e non potrei

mai riuscire ad allontanarmi da essi: mi sentirei inutile perché, oltre ai miei genitori,

sono il mio tutto.

Giuseppe C.

I miei oggetti preferiti, quelli che mi danno sicurezza e mi fanno sentire lontano dai

pericoli, sono i seguenti: xbox 360, TV e PC. Per me tutti questi oggetti, ai quali tengo

molto, significano tanto. Infatti, con la consapevolezza di possederli, posso

tranquillizzarmi sul fatto del divertimento illimitato che regna nella mia cameretta

per mezzo del gioco, della televisione e del computer. Per questo mi pongo sempre la

stessa domanda che frulla nella mia testa: “Come hanno fatto tutte le persone che

hanno trascorso un po' o gran parte della loro vita nel campo di concentramento e ad

abbandonare le loro cose e i loro beni? Ebbene sì, non ci crederete, e siete liberi di

farlo, ma alcune persone ebree hanno lasciato tutto ciò che avevano perché i nazisti li

hanno deportati nei campi di concentramento o di sterminio. Secondo me, lasciare le

cose a cui vogliamo strettamente bene è duro, anche perché talvolta i ricordi di

questi oggetti ti tormentano la mente. Io, se un giorno dovessi farlo, mi sentirei

abbastanza malinconico e inoltre sentirei la mancanza dei tre oggetti che ho elencato

precedentemente, e, anche se forse non c'entra nulla con gli oggetti, rimpiangerei

anche la mancanza dei miei genitori e quindi della mia famiglia.

Luigi

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Non saprei come fare! Sono milioni le cose che mi danno sicurezza e mi fanno sentire

al riparo. Ma le cose a cui sono più strettamente legata sono i peluches perché

ognuno di essi mi è stato regalato da un componente della mia famiglia. Una cosa da

cui non mi potei mai separare è l’amore dei miei genitori e di mio fratello: senza di

loro io non potrei proprio vivere. Mi sentirei … a pezzi senza la mia famiglia e di tutto

ciò che mi hanno regalato con il cuore.

Claudia

A me della mia casa piace tutto: la mia stanza, la mia soffitta, ecc. I miei oggetti

preferiti sono il pallone, la wii, la play- station, il computer, il tablet e il telefonino. Io

se dovessi abbandonare tutte le cose che ho, mi sentirei triste, la mia non sarebbe

una vera vita, ma solo un tormento.

Daniele

Se dovessi lasciare la mia casa, mi sentirei triste perché ci sono molto affezionata,

non lascerei neanche i miei giochi perché io mi sento sicura e al riparo dai pericoli con

essi.

Se dovessi lasciare tutto ciò che ho e le mie comodità, pur di sopravvivere, mi sentirei

molto male, ma per salvare la vita, lo farei!

Così come ha dovuto fare Trudi Birger, che con grande dolore, ha dovuto lasciare

tutto quello che aveva per andare prima nel ghetto e poi nel campo di

concentramento.

Luana

Nella mia casa le cose che mi piacciono di più sono i miei giochi.

I miei oggetti preferiti sono tre: la mia bambola, il mio computer e la casetta delle

bambole. Per me questi tre giochi sono come gli amici e mi fanno sentire sicura

perché mi stanno sempre vicini.

Se io dovessi abbandonare tutte le mie cose, mi sentirei molto triste perché i miei

giochi sono come la mia vita e non li abbandonerei mai; la stessa cosa farei con la mia

casa e le persone che amo.

Aurora Z.

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A me della mia casa piace tutto. I miei oggetti preferiti sono un pupazzo e una

bambola come quelli di Trudi Birger. Le cose che mi fanno sentire al riparo dai pericoli

e mi danno sicurezza sono le persone, le pareti della mia stanza e la casa. Le persone

mi possono proteggere, le pareti e la casa servono a darmi un rifugio.

Io se dovessi lasciare tutte le cose che mi piacciono, la comodità e le cose che amo,

mi sentirei molto male, perché ci tengo, però è meglio sopravvivere!

Sara

A me della mia casa piace tutto, non la cambierei per qualsiasi cosa al mondo, ho

tanti oggetti che mi fanno sentire sicuro. Se io dovessi abbandonare la mia casa, mi

sentirei malissimo e non sarei più io.

Fabrizio

Io amo la mia casa, quando ritorno dopo una giornata trascorsa fuori, sono felice di

rientrare nella mia dolce casetta. Quello che amo della mia casa è il calore e il

profumo che ritrovo ogni volta che ritorno. Nella mia casa ci sono tanti oggetti che

hanno per me un grande significato, ma quelli che preferisco e che mi danno

sicurezza sono i seguenti: il divano della cucina, la mia scrivania e una statuetta di

ballerina che ho ricevuto in regalo il primo anno di danza. Il divano della cucina mi

piace perché è il posto dove ho trascorso più tempo abbracciata ai miei genitori, da

quando sono nata sono stata cullata e coccolata su questo divano e, anche se è

diventato piccolino per tutti noi, tutt’ora la sera ci stiamo seduti tutti insieme

abbracciati, sento di essere al sicuro in mezzo ai componenti della mia famiglia.

Quando ho bisogno di stare da sola, di dover fare i compiti in tranquillità, di ascoltare

musica e di giocare, mi siedo alla mia scrivania che è il posto dove mi sento meglio e

al sicuro. La statuetta della ballerina di porcellana che mi ha regalato la mia

insegnante il primo anno di danza, seguita da altre regalate negli anni successivi, mi

ricorda il mio grande amore per la danza.

Se dovessi abbandonare tutto ciò per sopravvivere, mi sentirei malissimo, avrei un

buco nel cuore, come se perdessi una parte di me.

Ilaria

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La fame

Nel ghetto A cura di Alan Adelson, Il diario di Dawid Sierakoviak, Einaudi

Giovedì, 13 agosto 1939, Lodz

Non arriva più cibo nel ghetto. Abbiamo finito tutte le patate, e da domenica non

abbiamo niente da cucinare.

[…] Nessuno sa la ragione per cui non inviano cibo, dal momento che i raccolti sono

stati abbastanza buoni. E’ a causa della campagna antisemita che si è intensificata, o

solo un momentaneo ritardo? Ad ogni modo nel ghetto è cominciato di nuovo un

periodo di fame incredibile.

Nel rifugio Anna Frank, Diario, Einaudi

Martedì, 27 aprile 1943

[…] Il nostro cibo è miserabile. Colazione con pane secco e

surrogato di caffè. Pranzo: da quattordici giorni sempre

spinaci e insalata. Le patate con i germogli lunghi venti

centimetri hanno un sapore dolciastro e sanno di marcio.

Chi vuol dimagrire venga ad abitare nell’alloggio segreto!

Nel lager Primo Levi, Se questo è un uomo, Euroclub

Ma come si può pensare di non aver fame? Il lager è la fame: noi stessi siamo la fame,

fame vivente. (pag.92)

Nell’orfanotrofio Howard Greenfeld, After the Holocaust, Greenwillow Books, New York, 2001

Gisele Warshawsky (nata in Germania, a Lipsia nel 1934, nel 1938 fu costretta a rifugiarsi con

la famiglia ad Anversa, nel Belgio) fu mandata in un orfanotrofio cattolico gestito da suore

che ospitava circa novanta bambini, trentacinque dei quali erano ebrei. A ognuno di essi fu

dato un nuovo nome e fu ordinato di non rivelare a nessuno la propria religione. Solo la

madre superiora e Padre Benoit, che diceva messa, erano al corrente della reale identità dei

piccoli ospiti. In questo orfanotrofio la vita era molto dura: le suore infatti non offrivano né

calore né compassione, ma solo rifugio.

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Non avevamo cibo. Ci davano un pane molto, molto cattivo. Le suore mangiavano

pane buono ma i bambini no. Noi avevamo le rimanenze di una panetteria della città.

In estate era così cattivo che non si poteva mangiare. Era rancido. Ci servivano le

aringhe sulle quali strisciavano i vermi: dovevamo togliere la pelle e i vermi per

mangiare ciò che si trovava all‟interno.

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Quale esperienza ti ha colpito in modo particolare?

Perché?

Tra le quattro testimonianze mi ha colpito di più quella del lager, perché almeno negli

altri luoghi c'era un poco di cibo, invece nel campo di concentramento si moriva di

fame, infatti Primo Levi dice che quel posto era la "fame vivente”. Secondo me,

quello che ha vissuto malissimo è stato Primo Levi nel lager.

Daniele

La testimonianza che mi ha colpito di più è quella dell'orfanatrofio.

Io pensavo che le suore fossero brave e gentili nei confronti dei bambini, invece

quelle di cui parla Gisele davano cibo scaduto e residui ai bambini, mentre loro

mangiavano cibo buono. Già erano senza genitori e potevano essere trasportati da un

momento all'altro nei campi di concentramento, poi erano trattati anche male!

Poveri bambini che brutta esperienza che hanno vissuto!

Giuseppe C.

Tra le esperienze che ho letto, quello che mi ha colpito di più è stato il

comportamento delle suore, perché non davano nemmeno un pezzo di pane buono a

quei poveri bambini. Davano loro un pane molto, molto disgustoso, al contrario delle

suore che mangiavano pane buono.

In estate i bambini non potevano mangiare nemmeno il pane perché era rancido. Poi

ho letto una cosa assurda: i bambini dovevano mangiare le aringhe dove sopra

c’erano i vermi, dovevano togliere la pelle dell’aringa, cacciare i vermi e mangiare ciò

che c’era all’interno.

Per me le suore al posto del cuore avevano un profondo buco nero. Che vita! Come

hanno potuto fare questo? A me dispiace molto per quei bambini, però una cosa

positiva c’era: avevano un riparo!

Chiara C.

A me ha colpito molto la storia dell'orfanotrofio, perché i bambini mangiavano

rimanenze di una panetteria e in estate il pane non lo potevano neanche assaggiare

perché diventava marcio. Ciò che mi ha impressionato è stato il comportamento

delle suore che mangiavano pane buono, mentre i bambini no. E’ vero che li

salvavano perché li nascondevano, ma potevano anche fare un'opera di carità e dare

ai bambini il loro cibo. Che suore erano?

Giuseppe A.

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La testimonianza che mi ha colpito di più è quella dell’ orfanotrofio. Come si può

trattare così un bambino? Come si può dare da mangiare loro pane rancido e altre

cose disgustose. Poveri bambini! Almeno si sono salvati e hanno avuto un tetto sopra

la testa.

Alice

La testimonianza che mi ha impressionata è quella di Primo Levi: anche se ha detto

poco ho sentito un dolore immenso nel cuore, io rifiuto un sacco di cibi e lui non

aveva neanche il cibo per sopravvivere. L’espressione che mi ha colpito in modo

particolare è “Fame vivente” perché c’era talmente tanta fame che era come se fosse

viva. Quando la mia mamma prepara qualcosa che a me non piace, ogni cinque

minuti esclamo: “Che schifo! Che cos’è questa porcheria?!". Adesso, quando mi

troverò in questi momenti, ripenserò al lager e mangerò con piacere.

Claudia

Tra le testimonianze che ho letto, quella che mi ha colpito di più è stata l’esperienza

del lager, perché Primo Levi dice che il "lager è fame, fame vivente"…

Io penso che il campo di concentramento era il posto peggiore, perché gli ebrei

morivano di fame, invece in tutti gli altri luoghi si poteva vivere meglio, anche se per

poco.

Francesco

La testimonianza che mi ha colpito di più è quella dell'orfanotrofio perché le suore

non hanno avuto compassione per i bambini e non hanno dato loro calore, ma solo

quel rifugio. Davano loro da mangiare pane rancido e le aringhe con i vermi che

dovevano togliere per mangiare l' interno. Altro che suore! Erano streghe!

Matteo

A me la testimonianza che ha colpito di più è stata quella di Gisele Warshawsky

perché lei stava nell’ orfanotrofio dove non c’era affetto e compassione da parte

delle suore che le davano un pane schifoso. La cosa positiva era che almeno viveva

sotto un tetto, anche se dovevano soffrire la fame.

Fabrizio

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Mancanza di relazioni umane

Howard Greenfeld, After the Holocaust, Greenwillow Books, New York, 2001

(Nella primavera del 1942, i genitori di Rachelle Goldstein decisero di nascondere i loro

figli. Vivevano in Belgio e il costante aumento di deportazioni di ebrei dal Belgio faceva loro

temere per i propri bambini. Organizzarono di nasconderli in un orfanotrofio nei dintorni di

Bruxelles. Rachelle, che non aveva ancora tre anni, si ritrovò in orfanotrofio con i fratelli e i

cugini. L’anormale le appariva normale: tutti i bambini erano senza genitori, quindi non

c’era ragione di credere che la vita dovesse essere diversa. Tuttavia, il giorno del suo terzo

compleanno si sentì sola.)

“Avevo qualcosa, non ricordo cosa, forse gli orecchioni. Mia zia venne a trovare i suoi figli e

mi portò la torta di cioccolato da parte della mamma, davvero uno squisitezza. Me lo ricordo.

Ero in isolamento – mi misero in una stanza a parte perché ero malata – così non riuscii

neppure a vedere mia zia. Qualcuno entrò, mi diede la torta di cioccolato e disse: “questo è da

parte di tua madre”. E mi ricordo che mi sedetti, mangiando la mia torta di cioccolato, con le

lacrime che mi rigavano le guance”

Padre Bruno insieme ad alcuni bambini ebrei

che egli aveva nascosto ai Tedeschi. Yad Vashem

riconobbe Padre Bruno "Giusto fra le Nazioni".

Belgio, tempo di guerra.

I familiari dicono addio a un bambino

attraverso il recinto della prigione

centrale del ghetto, dove i più piccoli,

i malati e gli anziani venivano tenuti

prima di essere deportati a Chelmo,

durante l'operazione "Gehsperre".

Lodz, Polonia, settembre 1942.

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Hai mai sentito nostalgia dei tuoi genitori? Dove e in

quale circostanza? Racconta.

In molte circostanze ho sentito la mancanza dei miei genitori.

Un giorno ero al centro commerciale, mi ero fermata davanti a una vetrina a vedere

dei bellissimi vestiti, mentre i miei genitori avanzavano pensando che io ero con loro.

Appena mi sono girata, non li ho visti più, ho cercato e guardato da tutti le parti, però

non li vedevo. Ad un certo punto il mio cuore si è spezzato! Dopo qualche secondo,

ho sentito una mano che mi toccava ed era il mio papà che mi aveva trovata: le mie

lacrime erano acquazzoni. Io appena ho rivisto i miei genitori, ho chiesto scusa per

essermi fermata davanti alla vetrina. Spero che mai nessuno mi porterà via la mia

famiglia, infatti il nostro motto è il seguente: finché morte non ci separi!

I nazisti sono stati crudeli veramente crudeli a dividere i componenti di una famiglia,

facendo finta di niente.

Alice

I miei genitori solitamente non mi lasciano da sola. È capitato una volta, quando mia

zia è andata all'ospedale a Palermo, mi hanno lasciata con i miei parenti, ma per

motivi seri perché i miei nonni non c'erano.

Allora ho sentito nostalgia dei miei genitori e la loro mancanza mi provocava dolore.

Aurora Z.

Per me i genitori sono una cosa cara, perché mi danno tutto: affetto, amicizia, anche

se li faccio arrabbiare, in fondo mi vogliono bene, e il sentimento più grande che mi

danno è l’amore.

Io dovunque vado, sento nostalgia dei miei genitori, ma la circostanza dove sento di

più la loro assenza è quando vado ai campi invernali ed estivi con gli Scout, anche se

sono con più di venti persone, io mi sento sola. Non so come faccio, ma sono con

persone grandi e piccole, ci sto, mi diverto, ma sento lo stesso la mancanza della mia

mamma e del mio papà (solo di sera, strano!), proprio per questo i vecchi lupi mi

hanno dato la preda (un impegno per migliorare il carattere, la personalità ecc.):

restare al campo estivo.

Chiara C.

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E’ stato orribile stare lontano da mia madre e da mio padre!

Erano andati a Milano. Io ero piccola e non ricordo tutto bene, ricordo soltanto che

ogni giorno mi sentivo sempre più sola, come se fossi stata in un deserto. C’era mia

nonna che si occupava di me, ma nessuno giocava o scherzava con me. Era una

situazione strana! Io credevo che non fosse così orribile stare lontano dai miei

genitori, pensavo che avrei resistito, ma solo dopo due giorni sono caduta in una

grande tristezza. Passata una settimana, sono tornati e non mi sono sentita più sola e

abbandonata: ero felice!

Chiara G.

I miei genitori mi portano sempre con loro da ogni parte, ma purtroppo è capitato

che una volta non è stato possibile. Da quanto mi ricordo è stata un’esperienza

bruttissima da non augurare a nessuno. Quando è morto mio nonno paterno è

successo che tutta la mia famiglia (tranne io che sono rimasta con mia nonna

materna tre giorni, davvero un incubo!) è andata al paese dove si trovava l’ospedale

in cui avevano operato mio nonno e che io e mio fratello chiamiamo “il paese che non

si può nominare”. La prima notte non ho dormito per le lacrime che rigavano il mio

viso e il dolore che mi distruggeva il cuore. Volevo i miei genitori! Li bombardavo di

telefonate e messaggi che mandavo a stento per la stanchezza. Avevo paura che

potessero rimanere là per sempre, anche se ero con mia nonna e i miei genitori mi

avevano assicurato che sarebbero tornati subito. Quei tre giorni sono stati un inferno.

Domandavo a mia nonna perché non mi avessero portato con loro, ma poi ho intuito

da sola la risposta: non era un posto adatto a me. I giorni passavano tra lacrime e

lacrime. Non voglio che la mia famiglia si allontani da me e tanto meno non amo stare

da sola. Io non capisco! Come faceva Rachelle di tre anni a stare senza genitori? Io ne

ho dieci e non posso vivere, se sto lontano da loro soltanto pochi minuti.

Claudia

Quando mia madre e mio padre partono, sto male.

Un giorno sono partiti per andare a Palermo per quattro giorni, mi sono sentito da

solo e sono stato sempre a piangere. Ogni ora mi veniva da piangere, piangevo

sempre nella loro stanza da letto.

Gabriele

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Solo una volta ho sentito la nostalgia dei miei genitori: quando sono andato al mare

con i miei nonni e ci sono stato un mese. Nei primi giorni la mancanza era molto

forte, ma poi piano piano, con il passare del tempo, la mia sofferenza è diminuita.

Quando sono ritornato, scoppiavo dalla gioia. Io la nostalgia dei miei genitori l'ho

sentita solo per un mese, ma non voglio immaginare la sofferenza dei bambini ebrei

costretti a stare nell'orfanotrofio per anni. Poveri bambini!

Giuseppe A.

I miei genitori non sono mai partiti senza noi figli, però una volta é capitato.

Papà doveva andare a fare una visita a Trieste, quindi io, Claudia e Ian siamo andati a

dormire da mia nonna.

Mia nonna è brava, buona, gentile, ma soprattutto non mi fa mai mancare niente,

però l'affetto che danno i genitori nessuno lo può dare.

Ricordo che una notte, non riuscivo a dormire, ero agitato: avevo nostalgia di loro.

Io non riesco a stare a lungo lontano dai miei genitori, infatti, in quei due giorni, sono

stato davvero male.

Giuseppe C.

Ho avuto qualche volta nostalgia dei genitori, soprattutto quando ho dormito da

qualche amica o con gli Scout.

Uno degli episodi di nostalgia è stato quando sono andata a dormire al monte, due

anni fa, dalle mie cugine di secondo grado: Emanuela, Siria e Maria. Era finito il

pigiama-party ed era l’ora di dormire, mi sono messa comoda nel letto di sopra,

perché era a castello, ho cominciato a chiudere gli occhi, dicendo con voce stanca

“buona notte” e mi sono immersa nei sogni. Sognando, ho cominciato a vedere i miei

genitori che litigavano, dicevano che mancavo loro, che non mi dovevano mandare a

dormire da un’altra parte, io a vederli ho provato un dolore molto forte, sentivo la

loro mancanza, il cuore mi batteva a mille per la nostalgia. Mi sono svegliata di colpo

e ho visto tutte e tre le mie cugine che dormivano, ho preso l’orologio: erano le

03:30, io mi stavo agitando perché pensavo a quello che stavano facendo i miei

genitori, volevo chiamarli, ma non potevo: era troppo presto! Allora ho deciso di

immergermi di nuovo nei sogni, sperando di dormire e di non sentire la loro

mancanza.

Ilaria

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I miei genitori non si allontanano mai, ma quella volta che è capitato, mi sono sentita

sola.

Io ho avuto nostalgia dei miei genitori, quando sono andata a dormire da mia zia,

perché la mia mamma era andata con i miei zii a Forlì per due giorni e mi è mancata

tanto.

Quando la mia mamma se n'è andata, io mi sono sentita male, ma proprio male.

Spero che non mi capiti più una situazione come questa, perché io sono molto

affezionata ai miei genitori e non voglio perderli e non voglio andare in un’ altra

famiglia senza mia sorella e mio fratello.

Luana

Provare nostalgia dei nostri genitori o di un solo genitore è brutto e quelle poche

volte che capita ti senti isolato e ripensi ai più bei momenti che hai passato con la

mamma o con il papà, oppure insieme con loro. A me è capitato quanto racconterò in

seguito e vi assicuro che è una sensazione assai brutta da provare. Ero all'ospedale a

causa dell'appendicite e stavo provando un dolore atroce, perché ero uscito dalla

sala operatoria e, come se non bastasse, mi sono ricordato della mia mamma che era

a casa, dato che doveva assistere i miei fratelli che sono piccoli. Nei giorni di degenza

non vedevo l'ora di ritornare nella mia dolce casa, per rivederla.

Luigi

Una volta ho provato tanta nostalgia per i miei genitori. Questo è avvenuto quando

sfortunatamente mia sorella è stata malata ed è andato all' ospedale a Roma per 30

giorni con i miei genitori. Io, invece, sono rimasto a casa. In quei giorni, sono stato

solo, senza i miei genitori ed è stato veramente bruttissimo stare senza un padre e

una madre!

Marco

Io non riesco a stare lontana dai miei genitori.

Quando sono andata a Paola con i miei zii, ho sentito la loro mancanza perché mi

sono separata da loro per una giornata intera. Quando sono tornata, li ho abbracciati

e baciati come se li avessi visti per la prima volta dopo anni di lontananza. Io non

cambierei i miei genitori con nessuno, perché solo loro mi vogliono tantissimo bene,

anzi un mondo di bene.

Sara

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Io ho sentito nostalgia dei miei genitori in molte circostanze, ma la più brutta è stata

quella in cui la mia mamma è andata all'ospedale e mi ha lasciata dalle mie zie.

In quei giorni ho sentito molto la sua mancanza. Doveva andare per un motivo grave

di salute e ho capito che, anche se sentivo la sua mancanza, si doveva curare. Io non

riuscivo a far finta di niente, perché la mia mamma mi mancava molto. La sera che è

partita e se n'è andata a Roma, il mio cuore si è chiuso.

Oggi mia madre sta molto meglio, quindi non deve più partire per Roma e io non

trascorrerò più momenti neri come quelli.

Swamy

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Oggi

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Convenzione ONU 1989…

… in parole semplici

Articolo 27

Ho il diritto ad avere un

livello di vita sufficiente

per permettere il mio

sviluppo fisico, mentale,

spirituale, morale e

sociale.

Ciò significa che i miei

genitori hanno l’obbligo

di assicurarmi cibo, vestiti

e alloggio.

Se i miei genitori non

possono, lo Stato

dovrebbe aiutarli.

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58

Due fratellini posano per un

ritratto di famiglia, nel ghetto di

Kovno. Un mese più tardi

saranno entrambi deportati nel

campo di concentramento di

Majdanek.

Kovno, Lituania, Febbraio 1944.

Alcuni sopravvissuti del "Blocco 66" di

Buchenwald (un edificio destinato ad

ospitare i bambini) fotografati poco dopo

la liberazione.

Germania, dopo l'11 aprile 1945.

Diritto ad avere

un nome:

negato

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Questo è il nome che mia madre aveva prima.

Stefanie Seltzer aveva quattro anni quando lei e la sua famiglia furono costretti a cambiare identità:

“Avevamo appena cambiato nome, io stessa avevo un altro nome. Quando arrivò il

postino e chiese di mia madre – lo ricordo con estrema chiarezza – io ero fuori e dissi:

„Questo è il nome che mia madre aveva prima‟. Oggi non avrebbe alcuna importanza,

vero? Ma allora era importante e noi fummo costretti a scappare. La donna con cui

stavamo mi sentì di sfuggita. Forse il postino non mi avrebbe tradita. Era un gioco di

probabilità: forse il postino mi avrebbe tradita, forse no. Ma siccome nessuno sapeva

come avrebbe reagito questo postino, noi fummo costretti a fuggire”.

Divento Cesare Franzi. Cesare Moisè Finzi, Il giorno che cambiò la mia vita, Topipittori

Due giorni dopo, ci vengono comunicate le nostre nuove identità; i documenti

saranno pronti verso il 10 di novembre. A giorni, io non sarò più Cesare Finzi, ma

Cesare Franzi, non abiterò più a Ferrara, ma a Milano in viale degli Abruzzi 55 (la casa

è andata distrutta a causa dei bombardamenti e, lì sotto, risultano essere rimasti

anche i nostri precedenti documenti).

Credete sia facile inventarsi una nuova identità e una nuova vita? Provate un po’ voi!

Non si tratta di un gioco, c’è di mezzo la vita di tutti. Come spiegarlo ai più piccoli, si

chiedono gli adulti, specie a Silvana e a Graziana che da poco hanno imparato a dire i

loro nomi e indirizzi veri? Ecco, allora, che in casa è tutto un susseguirsi di

presentazioni e di risposte, di firme e controfirme … Un caos! (pag.107)

Il marchio tatuato sul braccio sinistro Primo Levi, Se questo è un uomo, Euroclub

Ho imparato che io sono un Haftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati,

porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro.

L’operazione è stata lievemente dolorosa, e straordinariamente rapida: ci hanno

messo tutti in fila, e ad uno ad uno, secondo l’ordine alfabetico dei nostri nomi, siamo

passati davanti a un abile funzionario munito di una specie di punteruolo dell’ago

cortissimo. […] E per molti giorni, quando l’abitudine dei giorni liberi mi spinge a

cercare l’ora sull’orologio a polso, mi appare invece ironicamente il mio nuovo nome,

il numero trapunto in segni azzurrognoli sotto l’epidermide.(pag.30)

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Riflessioni di gruppo

L’argomento generale dei tre testi è la mancanza del diritto ad avere un nome che

c’era durante la persecuzione nazista nei confronti degli ebrei.

A noi non ci sono piaciuti molto perché parlano della sofferenza dell’ uomo che non

può avere un nome.

Cesare Finzi racconta che dovette cambiare nome in Cesare Franzi, per non far

scoprire la sua vera identità. Mentre Primo Levi al posto del nome aveva un numero il

174.517, tatuato sul braccio sinistro. Purtroppo i poveri ebrei sono stai obbligati a

stare sotto il dominio dei nazisti. Ci dispiace molto per tutti gli ebrei, ma soprattutto

per quei poveri bambini che avrebbero potuto avere davanti a loro una lunga vita!

Gruppo. Le fate del bosco

Nel primo testo si parla di Stefanie, una bambina che un giorno disse al postino che

sua madre non aveva più quel nome. Il postino capì subito che erano ebrei e

dovettero lasciare la casa.

Nel secondo testo, il protagonista racconta di aver cambiato identità per sfuggire alla

persecuzione dei nazisti.

Nel terzo testo Primo Levi, il protagonista, racconta come i nazisti effettuarono un

tatuaggio sul braccio sinistro di ogni ebreo per mettere un numero che era il nome di

ciascuno di loro.

Le tre esperienze sono molto tristi, perché i nazisti non lasciavano neanche il nome a

quei poveri ebrei!

Gruppo: le aquile

Nel primo testo si parla di Stefanie, una bambina ebrea che ha rivelato ad un postino

che la sua mamma aveva cambiato nome. La famiglia era preoccupata perché non

sapeva se il postino fosse andato a raccontare l'accaduto ai nazisti, allora Stefanie e i

suoi genitori furono costretti a fuggire.

Nel secondo testo Cesare Finzi racconta di aver cambiato la sua identità e di aver

preso il nome di Cesare Franzi.

Nel terzo testo Primo Levi dice che, nel campo di concentramento, i nazisti gli fecero

cambiare il nome con un numero tatuato sul braccio sinistro, il suo era 174.517.

Tutte e tre queste testimonianze raccontano esperienze tristi, perché parlano di

persone che, per sopravvivere, sono state costrette a rinunciare al loro nome.

Gruppo. Le tigri

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Dai tre testi che abbiamo letto possiamo capire la rassegnazione degli ebrei a

rinunciare a tutto, persino al nome.

Come sempre il più fortunato é stato Cesare Finzi che ha avuto i documenti falsi e ha

vissuto sotto falsa identità.

Nei campi di concentramento il nome diventava addirittura un numero scritto sul

braccio.

Secondo noi, gli ebrei hanno sofferto molto.

Fortunatamente, oggi, abbiamo diritto ad avere un nome.

Gruppo: I cristalli

Tutte e tre le testimonianze ci fanno vedere uno dei diritti negati agli ebrei: il diritto

al nome.

Nella prima esperienza si parla di Stefanie che rivelò al postino il vero nome della

madre, così lei e i suoi familiari furono costretti a fuggire perché non potevano

prevedere la reazione del postino.

Nella seconda testimonianza si narra che Cesare Finzi dovette cambiare nome in

Cesare Franzi, perché dovevano sfuggire ai nazisti.

Nel terzo testo si racconta che Primo Levi non aveva un nome, ma un numero tatuato

sul braccio sinistro.

Leggendo queste tre testimonianze, noi abbiamo provato tanta tristezza, perché

avere un nome è importante e cambiarlo è veramente difficile, mentre diventa

orribile sostituirlo con un numero!

Gruppo: Le stelle

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Oggi

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Convenzione ONU 1989…

… in parole semplici

Articolo 7

Ho il diritto ad avere un

nome e una nazionalità.

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Per concludere …

Demolizione di un uomo Primo Levi, Se questo è un uomo, Euroclub

Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra

lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la

demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi

profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo.

Più giù di così non si può andare: condizione umana più

misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci

hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo,

non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero.

Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo,

dovremo trovare in noi la forza di farlo, di far sì che dietro al

nome, qualcosa ancora di noi, di noi quale eravamo,

rimanga. (pag. 29)

Riflessioni collettive

I nazisti, con la Shoah, hanno avuto il potere e il coraggio di distruggere l’uomo,

togliendogli tutto ciò che possedeva.

Nei campi di concentramento hanno privato gli ebrei di tutto: case, capelli, abiti,

scarpe, cibo, nome, relazioni umane, sentimenti, libertà, personalità, pensieri.

Non avevano neanche la forza di ribellarsi! Gli ebrei erano persone senza diritti!

Secondo noi, i nazisti avevano un “cuore di pietra” e non provavano compassione per

nessuno, neanche per i bambini che uccidevano senza pietà.

Sono stati veramente crudeli!

Noi pensavamo che questo fatto non si sarebbe mai più ripetuto nella storia

dell’uomo, in realtà, ancora oggi, nel mondo non c’è pace, perché esistono degli

uomini che sono egoisti e provano piacere a fare del male!

Nonostante tutto, noi ragazzi speriamo sempre di avere, in futuro, un mondo

migliore.

La classe

Alcuni bambini sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz, 27 gennaio 1945.

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Indice Prefazione ................................................................................................................................................ 1

Diritto all’istruzione: negato ................................................................................................................... 6

Essere ebreo a scuola ............................................................................................................................... 7

La mia cara vecchia scuola ................................................................................................................... 11

La vita a scuola sotto il regime fascista ................................................................................................. 13

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convenzione ONU 1989)…………………………………………………….18

Diritto ad avere una famiglia: negato ................................................................................................... 19

I ragazzi di Terezin ……………………………………………………………………………………………………………………………20

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convenzione ONU 1989)…………………………………………………….32

Diritto ad avere una casa, cibo e vestiti: negato …………………………………………………………………………… 33

Esilio nel ghetto………………………………………………………………………………………………………………………………..34

La casa………………………………………………………………………………………………………………………………………………41

La fame…………………………………………………………………………………………………………………………………………….47

Mancanze di relazioni umane……………………………………………………………………………………………………………51

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convenzione ONU 1989)…………………………………………………… 57

Diritto ad avere un nome: negato……………………………………………………………………………………………………58

Questo è il nome che mia madre aveva prima………………………………………………………………………………….59

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convenzione ONU 1989)…………………………………………………….62

Per concludere…………………………………………………………………………………………………………………………………63