Prefazione del Comandante Generale - Crono911 - Capire l'11 … · internazionale di matrice...

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Prefazione del Comandante Generale Le premesse dalle quali muove questo lavoro sono state essenzialmente due ed entrambe conseguenti alla recente evoluzione della minaccia terroristica: le risoluzioni ONU e i regolamenti comunitari. E’ sulla base delle linee d’azione da essi tracciate, infatti, che i Legislatori nazionali e tutti gli organismi di repressione (Autorità giudiziaria, Forze di polizia e Servizi di informazione e sicurezza) hanno impostato la controffensiva. Si tratta di una sfida che contempla l’ampliamento dello scenario strategico dal piano più strettamente militare a quello d’interdizione dei flussi di alimentazione del terrorismo internazionale. Fra questi particolare rilievo assumono quelli economici e finanziari. Appare, quindi, determinante la capacità di congelarli, specie nei confronti di quei fenomeni di estremismo e integralismo religioso che sono oggi avvertiti come i più pericolosi per l’equilibrio e la sicurezza mondiali. Questa caratterizzazione in senso economico-finanziario dell’azione di contrasto non può che accentuare il ruolo istituzionale della Guardia di Finanza. Da tali presupposti si è tratta la consapevolezza che le pulsioni e le manifestazioni del terrorismo internazionale d’ispirazione islamica non potevano essere comprese e impedite senza un’analisi dello scenario storico, religioso e culturale nel quale esso viene a collocarsi. Da qui la decisione di esaminare il fenomeno nell’ottica e per le finalità che più interessano al Corpo. Il risultato è costituito da questo rapporto di analisi che, muovendo da un ampio inquadramento del contesto geopolitico di riferimento, sofferma la propria attenzione sull’attuale situazione degli Stati con un più marcato influsso maomettano, nella regione mediorientale, nel nord Africa, in Asia centrale, nel sud est asiatico. Seguono approfondimenti sull’analisi della presenza musulmana in Italia e, per gli aspetti di più stretto interesse del Corpo, del sistema bancario e finanziario utilizzato dal mondo islamico. Viene infine proposta una panoramica della politica normativa internazionale e interna d’intervento, strutturata anche in tavole sinottiche che ne agevolano la comparazione. La Guardia di Finanza intende concentrare la propria attenzione sull’individuazione e disarticolazione dei meccanismi di passaggio di risorse finanziarie dalle attività economiche ai gruppi terroristici. Ciò nella consapevolezza che una minaccia così diffusa e insidiosa può essere affrontata solo con un’azione globale e coordinata. In tale ambito la Guardia di Finanza, attraverso la propria professionalità di corpo di polizia economico-finanziaria, potrà svolgere un ruolo di sicuro rilievo. Gen. C.A. Alberto Zignani

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Prefazione del Comandante Generale

Le premesse dalle quali muove questo lavoro sono state essenzialmente due ed entrambe conseguenti alla recente evoluzione della minaccia terroristica: le risoluzioni ONU e i regolamenti comunitari. E’ sulla base delle linee d’azione da essi tracciate, infatti, che i Legislatori nazionali e tutti gli organismi di repressione (Autorità giudiziaria, Forze di polizia e Servizi di informazione e sicurezza) hanno impostato la controffensiva.

Si tratta di una sfida che contempla l’ampliamento dello scenario strategico dal piano più strettamente militare a quello d’interdizione dei flussi di alimentazione del terrorismo internazionale. Fra questi particolare rilievo assumono quelli economici e finanziari. Appare, quindi, determinante la capacità di congelarli, specie nei confronti di quei fenomeni di estremismo e integralismo religioso che sono oggi avvertiti come i più pericolosi per l’equilibrio e la sicurezza mondiali.

Questa caratterizzazione in senso economico-finanziario dell’azione di contrasto non può che accentuare il ruolo istituzionale della Guardia di Finanza.

Da tali presupposti si è tratta la consapevolezza che le pulsioni e le manifestazioni del terrorismo internazionale d’ispirazione islamica non potevano essere comprese e impedite senza un’analisi dello scenario storico, religioso e culturale nel quale esso viene a collocarsi. Da qui la decisione di esaminare il fenomeno nell’ottica e per le finalità che più interessano al Corpo.

Il risultato è costituito da questo rapporto di analisi che, muovendo da un ampio inquadramento del contesto geopolitico di riferimento, sofferma la propria attenzione sull’attuale situazione degli Stati con un più marcato influsso maomettano, nella regione mediorientale, nel nord Africa, in Asia centrale, nel sud est asiatico. Seguono approfondimenti sull’analisi della presenza musulmana in Italia e, per gli aspetti di più stretto interesse del Corpo, del sistema bancario e finanziario utilizzato dal mondo islamico. Viene infine proposta una panoramica della politica normativa internazionale e interna d’intervento, strutturata anche in tavole sinottiche che ne agevolano la comparazione.

La Guardia di Finanza intende concentrare la propria attenzione sull’individuazione e disarticolazione dei meccanismi di passaggio di risorse finanziarie dalle attività economiche ai gruppi terroristici. Ciò nella consapevolezza che una minaccia così diffusa e insidiosa può essere affrontata solo con un’azione globale e coordinata. In tale ambito la Guardia di Finanza, attraverso la propria professionalità di corpo di polizia economico-finanziaria, potrà svolgere un ruolo di sicuro rilievo.

Gen. C.A. Alberto Zignani

Premessa

Questo rapporto di analisi strategica di intelligence ha essenzialmente due scopi: creare nella Guardia di Finanza una conoscenza generale del terrorismo internazionale di matrice islamica, tale da inserire in un adeguato contesto di base il contrasto al finanziamento di questo fenomeno, missione che il Corpo vuole sempre più perseguire e sviluppare, in linea con le sue precipue competenze;

individuare le conseguenti linee strategiche d’intervento.

E’ essenziale precisare preliminarmente che le informazioni utilizzate in questo

contesto sono esclusivamente provenienti da fonti aperte. Si è ritenuto infatti che il suddetto panorama informativo, generato da numerosi soggetti da tempo attivi nello specifico settore, fosse già abbastanza ampio e variegato, in relazione ai predetti obiettivi.

Si è, quindi, proceduto ad una vasta raccolta, selezione, esame e integrazione delle informazioni, per ottenere un prodotto organico che delinea, e in alcuni casi distilla, le caratteristiche generali dello scenario di riferimento da molteplici punti di vista, quali quello storico, culturale, religioso, geo-politico, economico-finanziario, criminale, normativo. E’ infatti questa olografica conoscenza - da cui possono emergere fattori chiave, elementi strutturali del fenomeno – che potrà condurre ad una corretta impostazione di lungo periodo della complessiva attività info-operativa.

Il rapporto è aggiornato a settembre 2002, per gli avvenimenti d’attualità, e a novembre 2002, per i provvedimenti normativi di maggior rilievo.

Naturalmente, data la natura dell’informazione elaborata, ossia intelligence proveniente da fonti aperte, va da sé che la maggior parte delle affermazioni necessita dei conseguenti riscontri investigativi. In ogni caso, il documento non si presta ad un’ampia diffusione, ma deve essere mantenuto all’interno di una ristretta cerchia di “addetti ai lavori”.

Posto quanto precede, per approfondimenti, scambi di esperienze o degli elementi informativi caratterizzati da una maggior riservatezza, è necessario far riferimento al Comando Generale della Guardia di Finanza – II Reparto.

I

Sintesi dei contenuti I primi capitoli sono dedicati al background storico-culturale dell’ Islam per cogliere le differenze essenziali tra quella mentalità e la nostra ed acquisire, quindi, le giuste chiavi di lettura per interpretare i fenomeni che si sviluppano nel mondo musulmano. L’obiettivo finale, infatti, non e’ solo quello di ricostruire, per esempio, i flussi di finanziamento del terrorismo internazionale, quanto piuttosto quello di inserire queste ricostruzioni in un contesto non solo logicamente coerente, ma anche culturalmente e storicamente piu’ nitido. Il capitolo sui profili culturali/religiosi è dedicato alle origini dell’Islam (Arabia centrale del VII secolo d.c.), alla suddivisione ed alle differenze tra sciiti e sunniti - nonché tra le diverse scuole che si muovono in quest’ultimo ambito -, alle fonti (Corano, Sunna, Shari’a), ai principali contenuti (i cosiddetti cinque pilastri) e significati (ad esempio, quelli di Umma, imam) della religione musulmana. Da questa prima disamina emerge già la centralità della zakat (l’elemosina), una specie di decima da applicare alle categorie di beni e secondo le percentuali indicate dalla legge islamica. Da notare che tra i possibili destinatari della zakat figura una categoria (quella degli amministratori) che comprende chi determina i beneficiari ultimi della beneficenza, chi raccoglie, contabilizza, gestisce, cura la distribuzione e controlla l’amministrazione della zakat stessa. E’ chiara l’importanza di un tale punto di snodo per ciò che si vedrà in seguito. Il successivo capitolo è dedicato al più che millenario cammino dell’islam nella storia, dalla rivelazione a Maometto (610 d.c.), passando per gli iniziali califfati e le dinastie omniade ed abbaside, continuando con l’ “età imperiale” (imperi ottomano, safavide e moghul) per arrivare al periodo di profonda decadenza economica e politica del XIX e XX secolo, che si accompagna al colonialismo delle potenze europee. Nel contesto delineato dalla disamina che precede, vengono illustrate le caratteristiche fondamentali dei movimenti culturali del riformismo (che pone l’esperienza occidentale quale modello cui tendere) e del radicalismo islamico (che postula l’inconciliabilità tra civiltà occidentale e religione musulmana). A questo punto dell’analisi emerge con chiarezza che uno dei temi fondamentali della storia del mondo musulmano nel XX secolo, è il percorso incrociato del nascente nazionalismo (con la formazione degli Stati indipendenti) e della persistente aspirazione

Dall’analisi del contesto culturale e religioso islamico, emerge conimmediatezza la centralità della zakat e degli “amministratori” della medesima

Nel mondo musulmano del XX secolo, si intrecciano il nazionalismo - fruttodella penetrazione coloniale - e la persistente aspirazione al panislamismo,all’unità della Umma (la comunità islamica mondiale).

II

al panislamismo. La penetrazione coloniale ha portato i popoli musulmani a diretto contatto con il modello occidentale imperniato sul nazionalismo. D’altra parte, qualsiasi movimento nazionalistico non può che attingere ed essere pienamente coerente con i valori culturali e religiosi islamici, che sottendono l’unità della Umma (la comunità islamica mondiale). Questo rende labile il confine tra i singoli programmi di lotta nazionale ed i programmi panislamici, che prefigurano la formazione finale di aggregati più ampi. Dopo l’inquadramento storico/culturale, viene delineata l’attuale situazione geo-politica dei principali Paesi in cui la diffusione della religione musulmana ha un peso significativo, passando anche per l’esame - dalle loro origini fino ai più recenti sviluppi - di crisi regionali di indubbia rilevanza per i fini di questa analisi: le questioni israelo-palestinese ed irachena ed il confronto tra Pakistan ed India. In quest’ambito, viene affrontata la questione dell’assetto in divenire dei rapporti tra Stati Uniti, Russia e Cina, specie in relazione all’evoluzione dell’importanza strategica dell’Asia centrale. Questa ampia panoramica mondiale precede la focalizzazione sulla presenza musulmana in Italia, sia dal punto di vista quantitativo (circa 700.000 unità provenienti soprattutto dal maghreb, dalla Somalia, dal Pakistan) che da quello delle forme di aggregazione in cui tale presenza si articola (dalle semplici sale di preghiera, alle moschee ed ai centri islamici, fino alle associazioni di rappresentanza). L’associazione più estesa è l’Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOII), che sembra avere l’obiettivo di fondo del ritorno alla purezza dell’islam, corrotto dalle negative influenze occidentali. A tal proposito, ci si sofferma sulle cause e sulle conseguenze del fenomeno dell’alienazione delle comunità islamiche in occidente, che viene ripreso anche nelle conclusioni. In tale ambito, si evidenzia come xenofobia, disoccupazione (determinata anche dalla crescente terziarizzazione dell’economia), difficoltà di confrontarsi con le culture delle civiltà ospitanti, disgregazione dei valori familiari, generano spesso situazioni di alienazione, che costituiscono terreno fertile per l’attività sociale e politica degli attivisti islamici nelle comunità musulmane in occidente. Tale circostanza contribuisce al mantenimento di un’ “atmosfera islamica” (di cui si parlerà più avanti), peraltro agevolata dal flusso di risorse proveniente dai più ricchi Paesi musulmani, che aiuta gli islamici a costruire e promuovere le proprie comunità separate. Ecco, quindi, lo sviluppo di un tessuto non integrato nell’ambito delle società democratiche occidentali, che può anche essere sfruttato, in vari modi (reclutamento, finanziamento, proselitismo), da gruppi islamici estremisti.

I 700.000 musulmani presenti in Italia hanno come punti di aggregazione sale dipreghiera, moschee, centri islamici, associazioni di rappresentanza, ma si muovonoin un ambiente fatto di alienazione rispetto alla comunità ospitante, terreno fertileper l’attività sociale e politica degli attivisti islamici e per influenze esterne.

III

Forte del percorso sinora compiuto, l’analisi continua entrando nel campo prettamente economico: i meccanismi di funzionamento e l’assetto mondiale del sistema bancario e finanziario islamico. Come emerge nel primo capitolo, nel mondo musulmano la dimensione religiosa è costante riferimento di tutte le dinamiche che si sviluppano nel contesto sociale. A questa regola di base non sfugge l’economia. Emerge, quindi, il concetto di banca islamica, da non confondere con quello di banca araba, termine che indica solo la “collocazione geografica” dell’istituto finanziario. Banca islamica, invece, significa banca “regolata”, in estrema sintesi, dal principio religioso della proibizione dell’interesse (riba). Questo ha portato all’adozione di una serie di contratti del genere Profit and Loss Sharing (PLS), cioè basati sulla suddivisione dei profitti e delle perdite e quindi tali da non garantire, ad una delle due parti, un profitto certo e determinato, legato solo al trascorrere del tempo. In questo quinto capitolo, è concettualmente stilizzato il bilancio di una banca islamica, con la descrizione dei principali strumenti finanziari sia dal lato dell’impiego che della raccolta. Le istituzioni bancarie islamiche sono ormai presenti, in maniera significativa dal punto di vista macroeconomico, in più di una cinquantina di Paesi. Il loro peso nello stesso mondo arabo è ancora modesto, ma fa registrare fortissimi tassi di crescita. I maggiori centri finanziari islamici sono oggi nel Golfo Persico ed in Malesia. I principali gruppi a livello mondiale – la cui composizione è stilizzata sempre nel quinto capitolo - sono il Dallah Albaraka Group (che ha recentemente intrapreso una fusione con il kuwaitiano The International Investor), il Dar Al Maal al islaami trust, l’ Al Rajhi banking and investment Corporation. Emerge l’origine saudita di questi tre gruppi; questa circostanza può trovare motivazione nella volontà dell’Arabia Saudita di svolgere un ruolo guida nello sviluppo del panislamismo sunnita. Una rete finanziaria internazionale islamica, infatti, sarebbe un ulteriore strumento nelle mani della monarchia saudita, per estendere la propria influenza nel mondo musulmano. Prima di passare alla trattazione del terrorismo di matrice islamica, il sesto capitolo si sofferma sui concetti di integralismo e fondamentalismo applicati al mondo musulmano. In particolare, viene evidenziato l’emerge di quello che viene definito “neofondamentalismo”, avente l’obiettivo finale dell’ “islamizzazione” della globalizzazione, come premessa per la ricostituzione della Umma (la comunità islamica mondiale). I neofondamentalisti puntano innanzitutto all’implementazione della Shari’a (la legge islamica) più che ad obiettivi politici in senso nazionale; è evidente la vicinanza alle posizioni di Usama bin Laden.

La caratteristica della banca islamica è la piena aderenza alla Shari’a (la leggeislamica), che, tra l’altro, proibisce l’applicazione dell’interesse.

Emerge il “neofondamentalismo”, che mira all’islamizzazione dellaglobalizzazione, senza avere obiettivi politici di carattere nazionale (panislamismo)

IV

Coerentemente, deve essere evidenziato come negli ultimi anni sembra aver perso importanza la sponsorizzazione degli Stati a fronte di una forma di “supporto pubblico” al terrorismo, legato soprattutto alla presenza di movimenti e gruppi che, pur non essendo implicati in violenza politica e terrorismo, contribuiscono ad alimentare una cosiddetta “atmosfera islamica”. Tale circostanza sarebbe determinata dal fatto che questi gruppi conducono, in nome dell’islam, importanti attività politiche, sociali, culturali ed educative a favore nel mondo musulmano e delle relative comunità in occidente. Questa atmosfera viene spesso sfruttata dai gruppi più estremisti e dalle organizzazioni terroristiche. In sintesi, la “cultura terroristica islamica” può essere schematizzata come una piramide, alla cui base stanno le attività su larga scala, anche in occidente, dei gruppi sociali non violenti islamici e la cui punta è rappresentata dai gruppi terroristici. Nell’area intermedia si svolgono anche processi che portano alla ridefinizione (distorsione) di istanze sociali in odio, vendetta, violenza, nonché al finanziamento del terrorismo anche da parte di persone inconsapevoli. Nel rapporto di analisi strategica, l’intero sesto capitolo è dedicato alla dettagliata panoramica mondiale di tutte le organizzazioni terroristiche di matrice islamica. Sono state elaborate ben 26 schede relative agli obiettivi, all’organizzazione, alla diffusione, all’operatività dei diversi gruppi terroristici islamici censiti a livello mondiale. Ci si sofferma in particolare su Al-Qaida e sul “Fronte internazionale islamico per la guerra santa contro gli ebrei ed i crociati”, creato da Usama bin Laden, nel 1998. Il riferimento ideologico del Fronte è il panislamismo, l’unione dell’umma musulmana. Al-Qaida rappresenta la struttura militare, che raccoglierebbe, dalla fine degli anni ottanta, arabi che hanno combattuto nel conflitto afghano. Nel passato, tale rete sarebbe servita per

Negli ultimi anni, si è assistito al passaggio dalla sponsorizzazione degli Stati aduna forma di “supporto pubblico” al terrorismo, legato all’alimentazione dell’“atmosfera islamica”

L’atmosfera islamica è alimentata da gruppi che conducono, in nome dell’islam,importanti attività politiche, sociali, culturali ed educative a favore nel mondomusulmano e delle relative comunità in occidente.

Il supporto al terrorismo che passa per l’alimentazione dell’atmosfera islamica siconfigura secondo un schema piramidale che vede - nell’area intermedia tra la base(attività sociali su larga scala condotte dalle NGO musulmane) e la punta (i gruppiterroristici) - la ridefinizione (distorsione) di istanze sociali in odio, vendetta, violenza,nonché il finanziamento del terrorismo anche da parte di persone inconsapevoli.

Attività sociale delle NGO musulmane (base)

Gruppi terroristici islamici (punta)

V

finanziare, reclutare, trasportare, addestrare estremisti islamici sunniti per la resistenza afghana contro l’Unione Sovietica. Nel rapporto sono evidenziati tutti i legami associativi sinora ipotizzati con altri gruppi terroristici, nonché la diffusione geografica mondiale della rete. Ferma restando la flessibilità della struttura operativa di Al-Qaida, le politiche e le strategie sarebbero formulate da un consiglio, detto Shura Majlis, composto da una dozzina di figure di primo piano. Ad esso farebbero riferimento quattro comitati operativi: il comitato militare, il comitato finanziario, il comitato per le fatwa e gli studi islamici, il comitato per i media e la pubblicità. Le cellule terroristiche sarebbero presenti in almeno 40 Paesi. In Europa, il principale compito sarebbe quello del supporto logistico (fornitura di documenti, luoghi sicuri, reclutamento, fund raising). Sembra che gran parte dei maggiori leader di Al-Qaida siano stati uccisi o catturati durante l’operazione enduring freedom ed interventi successivi. Nonostante questo, la lotta al finanziamento del terrorismo pare non riesca ad impedire l’afflusso di consistenti risorse. La gestione della rete terroristica sembra sia ora affidata a più di un leader, ognuno con l’autorità e la capacità organizzativa di ordinare attentati. Quella che viene definita la “nuova Al-Qaida” sarebbe un fenomeno maggiormente simile alla diffusa minaccia che esisteva prima che Usama Bin Laden trasformasse il terrore in un’operazione globale, alla fine degli anni novanta. Questo potrebbe essere la conseguenza di un temporaneo cambio di strategia, che porta a condurre attacchi di minore complessità. Per quanto più direttamente ci riguarda, la presenza del terrorismo islamico in Italia ha origini negli anni ottanta-novanta, quando gruppi maghrebini ed egiziani cominciano ad utilizzare il Paese come base logistica e per fare proselitismo. Il gruppo di maggior rilievo sembra essere quello degli integralisti tunisini, che agiscono come Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento. Altre presenze sono quelle del Gruppo islamico armato (Gia), di Takfir w-al-Higra (Anatema ed Esilio), degli egiziani Al-Jihad e Al-Gama’a al-Islamiya e di gruppi marocchini. Per i gruppi attivi in Europa, Al-Qaida verrebbe intesa come un polo che fornisce “servizi” (ad esempio, di addestramento dei militanti) in cambio di sostegno logistico in Europa (come documenti e armi). In Italia, i terroristi islamici agirebbero sotto la copertura di attività imprenditoriali (di solito import/export, call center o attività di commercio) o lavorative o di studio in genere. Il finanziamento passa spesso attraverso sistemi di cooperative. I luoghi di culto rimangono importanti centri di riferimento. Dopo questa ampia panoramica mondiale, il settimo capitolo è dedicato al finanziamento del terrorismo islamico. In considerazione dell’ipotizzato appoggio ad Usama bin Laden - consistente nella fornitura e movimentazione di fondi, servizi internet, comunicazioni telefoniche sicure - ci

In Italia, sarebbero attivi soprattutto gruppi maghrebini ed egiziani che intendono Al-Qaida come un polo che fornisce “servizi” (l’addestramento dei militanti) in cambio disostegno logistico (come fornitura di documenti, armi, luoghi sicuri). Spesso vengonousate, come copertura, attività imprenditoriali ed il finanziamento passa soventeattraverso sistemi di cooperative.

VI

si sofferma sulla rete Al Barakaat somala, un sistema di trasferimento “non ufficiale” (detto hawala) che è stato oggetto di interventi repressivi praticamente in tutto il mondo. A questo punto, sempre nel settimo capitolo, si cerca di trarre uno schema generale delle modalità di finanziamento al terrorismo internazionale di matrice islamica. Ne emergono sostanzialmente i tre canali di finanziamento sintetizzati nel prospetto che segue. Il primo canale riguarda le società che svolgono attività produttive, commerciali o di servizi, che possono: costituire canale di investimento del patrimonio delle rete; rappresentare, ove siano una fetta importante dell’economia di un determinato Paese,

un efficace mezzo per influenzare le decisioni di elementi dell’establishment politico; fungere da punto di contatto con gruppi di potere economico del mondo musulmano; agire da valida copertura per il movimento e per la presenza di persone nonché per il

trasferimento di capitali, immobili da utilizzare come basi logistiche o per il deposito di materiale bellico.

Gruppi di potere economico

appartenenti al mondo musulmano

RETE TERRORISTICA DIMATRICE ISLAMICA

Società che svolgono attività produttive,

commerciali o di servizi lecite, ma di copertura

proprietà o partecipazione

sostegno

Partecipazione ofinanziamento

Fondi della Zakat o altre forme di beneficenza

Centri di gestione della beneficenza

appartenenti al mondo musulmano

Organizzazioni caritatevoli o di mutua assistenza

islamica

sfruttamento

sostegno

attività criminali

esercizio

liquidità e

collegamenti

Schematizzazione dei canali di finanziamento al terrorismo internazionale

VII

Il secondo esempio di finanziamento è quello già accennato delle organizzazioni caritatevoli, molto significativo, anche in considerazione del peso delle zakat nel sistema islamico. La possibilità che le organizzazioni non governative (NGO) siano strumentalizzate è talmente concreta che una delle otto raccomandazioni formulate recentemente dal Gafi per il contrasto al finanziamento del terrorismo, prevede proprio la revisione delle normative relative alle organizzazioni non-profit, per evitarne l’abuso da parte delle organizzazioni terroristiche (sfruttamento quali conduttori del finanziamento, diversione di fondi originariamente destinati a scopi leciti ecc.). Da non trascurare poi le potenzialità in termini di copertura per comunicazioni, movimento e presenza di persone (anche in occidente). La terza ipotesi è l’esercizio, da parte dell’organizzazione terroristica, di attività criminali; nell’ambito del capitolo sono riportati alcuni esempi come il traffico di sostanze stupefacenti, la mediazione nel mercato dei diamanti estratti dai gruppi ribelli in Sierra Leone, Angola e Liberia, manovre speculative sui mercati finanziari, come quelle ipotizzate a ridosso degli attacchi dell’11 settembre 2001. In questo schema generale, l’inserimento dei gruppi che detengono il potere ufficiale è, ovviamente, ipotetica. Nel caso in cui, però, tale via di sostegno venga utilizzata, essa potrebbe concretizzarsi, anche attraverso un sistema di società “schermo”, nel finanziamento delle società facenti capo alla rete terroristica, ma anche nella veicolazione, verso le organizzazioni caritatevoli che si prestano ad attività di sostegno ai terroristi, dei fondi di beneficenza gestiti, direttamente o indirettamente, dai medesimi centri di potere. Dopo l’analisi della minaccia, nel capitolo ottavo si passa all’esame della reazione della Comunità internazionale. Il Consiglio di sicurezza ha formulato, nel tempo, delle richieste che sono divenute sempre più pressanti e dettagliate, fino ad arrivare alla risoluzione n. 1373 del 28 settembre 2001 (chiaramente provocata dagli attacchi di pochi giorni prima), con cui viene fissato un lungo elenco di misure di contrasto da adottare. La posizione espressa dal Consiglio di sicurezza è stata, quindi, ripresa dall’Unione Europea, che l’ha tradotta, sostanzialmente, in due posizioni comuni, con cui l’Unione ha ribadito la necessità che gli Stati membri adottino una serie di misure (che vanno dal congelamento di capitali, al potenziamento della cooperazione amministrativa e giudiziaria nell’ambito anche del III pilastro) . In data 27 dicembre 2001, poi, il Consiglio dell’Unione Europea, oltre ad esprimere il suddetto indirizzo politico, ha adottato un importante regolamento, il n. 2580, che ha reso immediatamente “operative”, nell’ambito dei singoli Stati membri, alcune misure di contrasto al terrorismo internazionale, tra cui, il congelamento di capitali, attività finanziarie e risorse economiche. Nel rapporto di analisi strategica tutti questi complessi provvedimenti sono descritti in dettaglio tramite schemi sinottici. Il percorso trasversale che collega le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, le posizioni comuni ed il regolamento dell’Unione Europea, arrivando anche alla produzione normativa ed ai comportamenti nazionali, è evidenziato in una specifica ed articolata tabella che consente di contestualizzare e, quindi, meglio comprendere le singole misure adottate dalla Comunità internazionale e dall’Italia per il contrasto al terrorismo internazionale. La Legge 438/2001 costituisce una delle risposte dello Stato italiano agli orientamenti dell’Unione Europea da attuare tramite interventi che esulano dalle possibilità di

VIII

ingerenza dell’Unione stessa (la legislazione penale e procedurale penale). In particolare, è stata introdotta la nuova fattispecie del reato di terrorismo internazionale, sono stati adeguati i relativi strumenti di contrasto investigativo disponibili e sancita l’applicabilità delle misure patrimoniali antimafia. Il quadro delle iniziative internazionali e nazionali volte al contrasto del terrorismo viene completato, nello stesso capitolo, con l’esame dell’analogo e parallelo filone normativo riferito alla questione afghana, nel cui ambito viene trattata l’organizzazione Al-Qaida, facente capo ad Usama bin Laden. In chiusura, è stata condotta un’analisi circa i principali soggetti oggi attivi sul fronte del contrasto al terrorismo, in modo da avere una “mappa” dei possibili referenti, a livello nazionale ed internazionale. Viene esaminato il ruolo, ad esempio, del Comitato di Sicurezza Finanziaria - creato presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze -, del Comitato di Coordinamento per la Cooperazione Internazionale contro il Terrorismo – presso il Ministero degli Affari Esteri -, del Comitato di coordinamento della ricerca informativa sulle attività finanziarie (Cesis), della Banca d’Italia, dell’Ufficio Italiano Cambi. Sul piano internazionale, sono attivi, in particolare, il Comitato per le sanzioni contro i Talibani ed il Comitato contro il Terrorismo (operanti in ambito Nazioni Unite), nonché il Gafi, gruppi di lavoro del G-8, Interpol ed Europol. Per finire, sono stati esaminati i principali provvedimenti adottati dall’amministrazione statunitense nella lotta al terrorismo, vista la centralità degli USA, a livello mondiale, nella conduzione dell’attività di contrasto. Spesso, infatti, da questi provvedimenti scaturiscono richieste di cooperazione internazionale, che possono essere così anticipate o quanto meno meglio comprese. A questo punto il rapporto di analisi strategica passa alle considerazioni conclusive ed alle raccomandazioni. Da quanto sin qui esaminato, sembra emergere una strategia terroristica che passa per lo sfruttamento e l’ “inquinamento” di quella che è stata definita l’ “atmosfera islamica”, che altrimenti potrebbe essere considerata semplicemente una legittima aspirazione dei musulmani ad alimentare una propria identità culturale e religiosa. Questa capacità di penetrazione dell’estremismo religioso è enfatizzata, peraltro, dal fatto che anche le suddette dinamiche di legittimo sostegno dell’ “atmosfera islamica”si sviluppano in un ambiente fatto spesso di marcato disagio economico e sociale e di alienazione verso la società occidentale ospitante. D’altra parte, proprio il flusso di risorse proveniente dai più ricchi Paesi musulmani, finalizzato ad alimentare la predetta “atmosfera islamica”, può essere annoverato tra i fattori alienanti, in quanto agevola la costituzione di comunità separate e dipendenti da istanze esterne. Per lenire i problemi legati all’alienazione, pare opportuno cominciare a pensare ad un approccio basato sul “dialogo selettivo”, rivolto cioè ad una comunità islamica che si dissoci apertamente e profondamente dall’uso di qualsiasi forma di violenza; una

Il congelamento di capitali, attività finanziarie e risorse economiche è introdotto dairegolamenti 2580/2001 (per il terrorismo internazionale) e 881/2002 (per Al-Qaida). Lalegge 438/2001 introduce il reato di terrorismo internazionale, adegua i relativi strumentidi contrasto investigativo e sancisce l’applicabilità delle misure patrimoniali antimafia.

IX

comunità che, nella disputa che agita il mondo arabo tra un’interpretazione bellicosa della Jihad ed un’accezione della stessa quale “sforzo interiore del fedele per migliorare se stesso ed avvicinarsi a Dio”, scelga quest’ultima strada. Per intraprendere questa strada serve però una comunità islamica italiana unitaria, integrata ed autonoma rispetto ad influenze ed infiltrazioni strumentali esterne: per dare inizio ad un processo dialettico, è necessario quindi propugnare la costituzione di un idoneo interlocutore. Questa nuova entità potrà, o meglio, dovrà dissociarsi effettivamente dal terrorismo e dai poteri ed interessi esterni che lo alimentano, contribuendo auspicabilmente al contrasto dei medesimi. In altre parole, l’obiettivo di questo passaggio non è quello di favorire solo l’integrazione, ma anche la creazione di un polo di responsabilità da cui pretendere “orientamento e controllo”, di un tessuto connettivo che costituisca filtro rispetto all’introduzione di messaggi estremisti. Ciò in contrapposizione all’attuale proliferazione di imam. Sovvengono inoltre alcune considerazioni di carattere geo-politico-economico, emergenti dal rapporto nelle parti dedicate alle panoramiche mondiali. Nel corso dell’esame condotto nei capitoli che precedono, è emerso il ruolo che sembrano aver avuto le enormi masse finanziarie mosse dai più ricchi Paesi musulmani. In particolare, si è fatto riferimento alla centrale posizione assunta dall’Arabia Saudita, nel mercato dell’offerta petrolifera, in conseguenza anche del decennale embargo ai danni dell’Iraq. Questa enorme disponibilità di risorse, accompagnata dall’aspirazione panislamica, avrebbe contribuito all’alimentazione della “atmosfera islamica” in occidente. Per acquisire strumenti di pressione, in definitiva, è necessario andare verso l’erosione del monopolio delle fonti energetiche. In tale ottica, nel rapporto si affronta la questione della politica occidentale in Asia centrale, sede di rilevantissime risorse energetiche che in futuro potranno competere e ridimensionare gli attualmente “insostituibili” idrocarburi mediorientali. E’ importante, però, che l’afflusso di risorse finanziarie in Asia centrale sia accompagnato da uno sviluppo economico e sociale, senza il quale si potrebbero ricreare in quest’area pericolose tensioni, che, ancora una volta, potrebbero essere sfruttate dal fondamentalismo islamico. Basti pensare ai già concreti rischi di radicalizzazione di formazioni come Hizb al-Tahrir al-Islami, nonché alla minaccia terroristica già rappresentata dal Movimento Islamico dell’Uzbekistan. A queste considerazioni bisogna aggiungere la prospettiva dell’ulteriore ridimensionamento dell’importanza del petrolio mediorientale (e di questa risorsa in generale) che sarà determinata dallo sviluppo dello sfruttamento energetico dell’idrogeno. Il passaggio dal vigente assetto monopolistico (o comunque oligopolistico) ad un regime di disponibilità diffusa dell’energia, rivoluzionerà i meccanismi di ricerca delle alleanze geo-politico-economiche e condurrà a nuovi equilibri mondiali.

Propugnare la costituzione di una comunità islamica italiana unitaria, integrata edautonoma rispetto ad influenze esterne, che possa fungere da interlocutore, da polo diresponsabilità e filtro rispetto all’introduzione di messaggi estremisti

X

Possono essere tratte delle considerazioni conclusive anche sul piano normativo, in merito alle specifiche misure che possono avere come oggetto le disponibilità finanziarie ed economiche del terrorismo internazionale. Con l’introduzione dell’articolo 270 bis del codice penale la fattispecie del delitto di terrorismo internazionale è stata compiutamente ed adeguatamente delineata e l’attività di polizia giudiziaria può essere svolta in piena aderenza alle caratteristiche del fenomeno da combattere. Agli ordinari strumenti di prevenzione e repressione, il legislatore italiano ha voluto inoltre aggiungere (L.438/2001) l’applicatilità delle misure patrimoniali antimafia. In definitiva, questa estensione, così come formulata, sembra presentare problematiche che potrebbero impedire alla medesima di esplicare appieno le proprie potenzialità. Potrebbe, quindi, risultare utile qualche correttivo legislativo (ispirato alle considerazioni esplicitate nel rapporto) che renda lo strumento pienamente aderente al fenomeno da contrastare. Lo strumento di contrasto al finanziamento al terrorismo attualmente più in voga appare il congelamento delle risorse finanziarie ed economiche, ex regolamenti del Consiglio dell’UE 2580/2001 e 881/2002. L’importanza dello strumento del congelamento sta proprio nell’automatico e simultaneo blocco delle disponibilità, in tutta l’Unione Europea, di un soggetto sospettato di terrorismo internazionale senza ulteriori formalità che non siano l’inserimento del nominativo nelle liste allegate ai due regolamenti. In definitiva, quindi, queste misure più che un nuovo mezzo di aggressione patrimoniale sono potenti mezzi di rapida cooperazione internazionale. Nel rapporto di analisi strategica, tuttavia, anche per il congelamento, sono evidenziate alcune problematiche che potrebbero stemperarne l’efficacia. Nel corso dell’analisi, sono stati delineati i possibili schemi di finanziamento seguiti dal terrorismo internazionale, evidenziando il ruolo che possono ricoprire società produttive o NGO, nonché la centralità dei fondi rivenienti dalla zakat o da altre forme di supporto di quella che è stata definita l’atmosfera islamica. Punto di partenza delle considerazioni che seguono è lo schema piramidale - già richiamato in precedenza – seguito dall’odierno “supporto pubblico” al terrorismo islamico internazionale. A quanto già evidenziato, è necessario aggiungere una prospettiva geografica, che si sostanzia nella distinzione tra l’area dei Paesi dai quali ci si può aspettare un’effettiva cooperazione giudiziaria e quella dei Paesi con cui tale cooperazione non è altrettanto plausibile e sostanziale. Seguendo tale approccio emergono quattro scenari – esaminati nel nono capitolo del rapporto - in cui potrebbe essere incardinata un’attività d’indagine. Le considerazione espresse nel corso dell’analisi suggeriscono di concentrare le risorse investigative nei due scenari che seguono.

Per un pieno sfruttamento delle potenzialità delle misure patrimoniali antimafia e per nonstemperare l’efficacia dello strumento del congelamento, sembrano opportuni interventianche legislativi, ispirati alle considerazioni dettagliate nel rapporto.

XI

Un primo scenario ipotizzabile è quello sopra schematizzato; le risorse hanno origine in Paesi “non cooperativi”, sotto forma di raccolta zakat o altri tipi di beneficenza e, con l’intermediazione o meno di gruppi di potere (ad esempio, gli amministratori della stessa zakat), le stesse affluiscono ad organizzazioni caritatevoli o di mutua assistenza che operano in Italia o comunque nell’area dei Paesi “cooperativi” (ad esempio, Paesi dell’Unione Europea). Si è nel caso dell’alimentazione di una base della piramide già situata nel nostro Paese. Ne consegue che il passaggio dalla base alla punta della piramide avviene interamente nella sfera d’azione delle forze di polizia nazionali o di collaterali esteri con cui possono essere allacciati proficui rapporti di collaborazione. Possono sorgere difficoltà ove si intenda approfondire l’attività investigativa a proposito dell’origine dei fondi – in pratica per verificare l’intenzionalità o meno circa la finale destinazione delle risorse - in quanto sarebbe necessaria la collaborazione di Paesi che definiamo, in questo scenario, “non cooperativi”; questo, però, è un problema che può essere affrontato in seconda battuta e non impedisce di colpire le attività svolte nell’area dei Paesi “cooperativi”. Simili opportunità ed ostacoli sorgono nell’ipotesi in cui i finanziamenti affluiscano direttamente alle cellule terroristiche, che magari operano sotto la copertura di organizzazioni produttive (che è plausibile abbiano rapporti economici con l’estero). Ancora più completa è la possibilità di contrasto ove le fonti di finanziamento abbiano origine nell’ambito del circuito dei Paesi “cooperativi” ed il percorso dalla base alla punta della piramide (rappresentativa dei gruppi terroristici) rimanga interamente nel medesimo circuito. Ferma restando la necessità di accertare eventuali (probabili) regie esterne, questo micro-circuito (dalla fonte alla destinazione) può essere completamente sterilizzato. Venendo alle linee strategiche “operative” che si possono trarre dalle considerazioni che precedono, l’azione della Guardia di Finanza in quanto Corpo di polizia a competenza specialistica nel settore economico e finanziario, dovrebbe essere concentrata su questo obiettivo di sintesi:

Area dei Paesi cooperativi

Area dei Paesi non cooperativi

Fonti di finanziamento

Area dei Paesi cooperativi

Fonti di finanziamento

XII

Nel perseguire l’obiettivo sopra inquadrato, il principale problema risiede nella totale apparente legalità delle transazioni effettuate, che assumono una veste completamente differente solo ove venga considerato il fine: il supporto, anche indiretto, ai gruppi terroristici internazionali. Questa parvenza rende vani gli sforzi investigativi che non siano agganciati alla conoscenza o, comunque, a certe ipotesi circa composizione e attività dei gruppi terroristici; solo così si dispone della giusta chiave di lettura per interpretare il significato di specifiche transazioni, per individuare società od organizzazioni non governative (oppure singoli membri delle stesse) collegate, per scoprire, attraverso questa nuova traccia, ulteriori ramificazioni dell’organizzazione criminale e raccogliere prove per sostenere le ipotesi investigative già formulate. Si profila quindi una necessaria e specifica strategia di coordinamento delle attività (e delle competenze) delle Forze di polizia. Seguendo la stessa logica, potrebbe anche essere rimodulato il flusso informativo con i Servizi per l’informazione e la sicurezza.

Individuare e disarticolare i meccanismi di passaggio di risorse finanziarie dalle attivitàcommerciali e delle NGO, prime destinatarie, ai gruppi terroristici. Tale obiettivodovrebbe essere perseguito avendo come riferimento i due scenari prima delineati.

Solo partendo dalla conoscenza o, comunque, da certe ipotesi circa composizione e attivitàdei gruppi terroristici, si dispone della giusta chiave di lettura per interpretare ilsignificato di specifiche transazioni, per individuare collegamenti con società o NGO, perscoprire così ulteriori ramificazioni dell’organizzazione criminale e raccogliere prove persostenere le ipotesi investigative già formulate. Per questo serve una specifica strategia di coordinamento delle attività delle Forze dipolizia ed una rimodulazione del flusso informativo con i Servizi per l’informazione e lasicurezza, che prevedano un adeguato sfruttamento dei poteri e del know how della poliziaeconomico finanziaria.

1

SOMMARIO

1 PROFILI CARATTERISTICI DELLA RELIGIONE E DELLA CULTURA MUSULMANA 4

1.1 ORIGINI...............................................................................................................................4 1.2 LE SCUOLE.........................................................................................................................5 1.3 I PILASTRI ..........................................................................................................................6 1.4 LE CORRENTI RELIGIOSE FONDAMENTALI..............................................................8

2 IL PERCORSO DELL’ISLAM NELLA STORIA....................................................................11

2.1 LA RIVELAZIONE DEL PROFETA E LA PRIMA “JIHAD” .......................................11 2.2 LA SUCCESSIONE A MAOMETTO E LO SCIISMO....................................................11 2.3 NASCITA E AGGREGAZIONE DEL MAGHREB.........................................................14 2.4 I TRE IMPERI: OTTOMANO, SAFAVIDE E MOGHUL...............................................14 2.5 COLONIALISMO OCCIDENTALE E RIFORMISMO ISLAMICO ..............................15 2.6 REAZIONE PANISLAMICA AL NAZIONALISMO......................................................16

3 ASSETTO GEO-POLITICO ATTUALE DEL MONDO MUSULMANO..............................20

3.1 LE TENSIONI TRA PAKISTAN ED INDIA ...................................................................20 3.2 IL MEDIO ORIENTE........................................................................................................24

3.2.1 La Questione Israelo-Palestinese...............................................................................24 3.2.2 Libano.........................................................................................................................36 3.2.3 Siria ............................................................................................................................38 3.2.4 Giordania ...................................................................................................................39 3.2.5 Iran .............................................................................................................................41 3.2.6 Iraq .............................................................................................................................45 3.2.7 Afghanistan.................................................................................................................54 3.2.8 Arabia Saudita............................................................................................................59 3.2.9 Yemen .........................................................................................................................62 3.2.10 Oman ..........................................................................................................................63 3.2.11 Emirati Arabi Uniti ....................................................................................................64 3.2.12 Bahrein .......................................................................................................................66 3.2.13 Kuwait ........................................................................................................................67

3.3 L’AFRICA MEDITERRANEA.........................................................................................68 3.3.1 Egitto ..........................................................................................................................68 3.3.2 Libia............................................................................................................................70 3.3.3 Tunisia ........................................................................................................................72 3.3.4 Algeria ........................................................................................................................74 3.3.5 Marocco......................................................................................................................76 3.3.6 Sudan..........................................................................................................................77 3.3.7 Somalia.......................................................................................................................79

3.4 L’ASIA CENTRALE ED IL TRIANGOLO USA-RUSSIA-CINA..................................80 3.4.1 I Rapporti Usa-Cina...................................................................................................80 3.4.2 I Rapporti Usa-Russia ................................................................................................81 3.4.3 I Rapporti Russia-Cina...............................................................................................82 3.4.4 Panoramica Sugli Stati Minori Dell’asia Centrale....................................................83 3.4.5 Gli Interessi In Gioco Nell’asia Centrale ..................................................................86

3.5 IL SUD EST ASIATICO ...................................................................................................88 3.5.1 Indonesia ....................................................................................................................88 3.5.2 Malaysia .....................................................................................................................90

2

3.5.3 Filippine ....................................................................................................................91 3.5.4 Singapore ...................................................................................................................92

4 LA PRESENZA MUSULMANA IN ITALIA...........................................................................93

4.1 CARATTERISTICHE STORICHE E DIMENSIONI DEL FENOMENO.......................93 4.2 I CENTRI DI PREGHIERA E LE ORGANIZZAZIONI ISLAMICHE IN ITALIA........93 4.3 DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA E FLUSSI MIGRATORI .........................................97 4.4 LE ALTRE COMUNITA’ ISLAMICHE IN OCCIDENTE..............................................99

5 IL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO ISLAMICO....................................................101

5.1 L’INTERESSE “PROIBITO” E ALTRE PECULIARITÀ DELL’ISLAMIC BANKING101 5.2 GLI STRUMENTI FINANZIARI....................................................................................103 5.3 LE BANCHE ISLAMICHE NEL MONDO....................................................................105

6 I GRUPPI TERRORISTICI DI MATRICE ISLAMICA.........................................................113

6.1 CONCETTI DI INTEGRALISMO E FONDAMENTALISMO .....................................113 6.2 LE POSIZIONI POLITICHE VERSO IL TERRORISMO .............................................113 6.3 DALLA SPONSORIZZAZIONE DEGLI STATI AL SUPPORTO PUBBLICO ..........114 6.4 SCHEMI SINOTTICI DELLE PRICIPALI ORGANIZZAZIONI TERRORISTICHE ISLAMICHE ................................................................................................................................116

6.4.1 Organizzazione Abu Nidal .......................................................................................117 6.4.2 Hamas.......................................................................................................................118 6.4.3 La Jihad Islamica Palestinese..................................................................................120 6.4.4 Fronte Di Liberazione Della Palestina ....................................................................120 6.4.5 Fronte Popolare Di Liberazione Della Palestina ....................................................121 6.4.6 Fronte Popolare Di Liberazione Della Palestina – Comando Generale.................121 6.4.7 Brigata Dei Martiri Di Al-Aqsa ...............................................................................122 6.4.8 ‘Asbat Al-Ansar ........................................................................................................122 6.4.9 Hizbullah ..................................................................................................................123 6.4.10 Al-Gama’a Al-Islamiyya...........................................................................................125 6.4.11 La Jihad Islamica Egiziana......................................................................................126 6.4.12 Organizzazione Mujahedin-E Khalq ........................................................................126 6.4.13 Gruppo Abu Sayyaf ..................................................................................................127 6.4.14 Jemaah Islamiya.......................................................................................................128 6.4.15 Kumpulan Mujahidin Malaysia................................................................................129 6.4.16 Gruppo Islamico Armato e Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento 129 6.4.17 Gruppo Combattente Tunisino .................................................................................130 6.4.18 Al-Jama’a Al-Islamiyyah Al-Muqatilah Bi-Libya ....................................................131 6.4.19 Al-Ittihad Al-Islami...................................................................................................131 6.4.20 Esercito Islamico Di Aden........................................................................................132 6.4.21 Movimento Islamico Dell’uzbekistan .......................................................................132 6.4.22 Harakat Ul-Mujahidin..............................................................................................133 6.4.23 Jaish-E-Mohammed..................................................................................................134 6.4.24 Lashkar-E-Tayyaba..................................................................................................134 6.4.25 Harakat Ul-Jihad-I-Islami .......................................................................................135 6.4.26 Harakat Ul-Jihad-I-Islami/Bangladesh ...................................................................135

6.5 IL “FRONTE INTERNAZIONALE ISLAMICO PER LA GUERRA SANTA CONTRO GLI EBREI ED I CROCIATI” ED AL-QAIDA..........................................................................136

6.5.1 Il “fronte”.................................................................................................................136 6.5.2 “La base”.................................................................................................................137

3

6.5.3 Il Network Internazionale.........................................................................................139 6.5.4 Il Leader ...................................................................................................................140 6.5.5 Dopo L’Inizio Della Campagna Contro Al-Qaida...................................................143 6.5.6 Le Investigazioni In Europa .....................................................................................146 6.5.7 Il Bilancio Delle Attività Di Contrasto.....................................................................148

6.6 LA SITUAZIONE IN ITALIA ........................................................................................150

7 FINANZIAMENTO AL TERRORISMO................................................................................152

7.1 LA RETE AL BARAKAAT SOMALA..............................................................................152 7.2 GLI SCHEMI DEL FINANZIAMENTO AL TERRORISMO INTERNAZIONALE ...154

7.2.1 Il Sostegno Da Società Produttive............................................................................155 7.2.2 La Mutua Assistenza Islamica..................................................................................156 7.2.3 L’autosostentamento Da Attività Criminali .............................................................158

8 RECENTE POLITICA DI CONTRASTO AL TERRORISMO INTERNAZIONALE (NORMATIVA E SOGGETTI).......................................................................................................160

8.1 LE RISOLUZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE E LE POSIZIONI COMUNI DELL’UNIONE EUROPEA..................................................................160 8.2 IL REGOLAMENTO 2580..............................................................................................161

8.2.1 Meccanismo Di Applicazione Delle Misure Ex 2580...............................................161 8.2.2 Concetto Di ( E Oggetto Del) Congelamento ..........................................................162

8.3 PROVVEDIMENTI RELATIVI ALLA QUESTIONE AFGHANA..............................164 8.4 IL CONCETTO DI CONGELAMENTO EX REG. 881 .................................................167 8.5 DEFINIZIONI ESSENZIALI IN AMBITO UE (DECISIONE QUADRO 13/6/2002/475/GAI) .....................................................................................................................168 8.6 SOGGETTI ATTIVI SUL FRONTE DEL TERRORISMO ...........................................199

9 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE, RIFLESSIONI E PROPOSTE ...................................206

9.1 LA COMUNITA’ ISLAMICA IN ITALIA: UNITA’, INTEGRAZIONE, AUTONOMIA, DISSOCIAZIONE........................................................................................................................206 9.2 ALLA RICERCA DI NUOVI EQUILIBRI MONDIALI................................................208 9.3 PROBLEMATICHE APPLICATIVE DEGLI STRUMENTI NORMATIVI VIGENTI209

9.3.1 Estensione Delle Misure Patrimoniali Antimafia Al Terrorismo Internazionale ....209 9.3.2 Il Congelamento Delle Risorse Finanziarie Ed Economiche...................................212

9.4 LINEE STRATEGICHE DELLA GUARDIA DI FINANZA PER IL CONTRASTO DEL FINANZIAMENTO AL TERRORISMO DI MATRICE ISLAMICA .......................................214

10 GLOSSARIO ...........................................................................................................................219

11 FONTI DI INFORMAZIONE .................................................................................................226

11.1 FONTI APERTE BIANCHE ...........................................................................................226 11.2 ALTRE FONTI DA INTERNET.....................................................................................246 11.3 FONTI “NORMATIVE”..................................................................................................249

4

1 PROFILI CARATTERISTICI DELLA RELIGIONE E DELLA CULTURA

MUSULMANA1 1.1 ORIGINI L’islam (parola che significa “attiva sottomissione a Dio” [1]) affonda le sue origini nell’Arabia centrale del VII secolo d.c., caratterizzata da un’organizzazione sociale articolata su tribù, dedite essenzialmente al commercio, alla pastorizia itinerante, nonché alla razzia e, quindi, orientate al nomadismo piuttosto che a stanziamenti sedentari [2]. Tali tribù erano prevalentemente politeiste; tra questa pluralità di dei, però, emergeva l’importanza di quelli localizzati alla Mecca, il cui santuario era già, prima ancora dell’avvento dell’islam, meta di un pellegrinaggio (hajj) praticato dalla maggioranza delle tribù arabe, che per l’occasione sospendevano tutti i conflitti in corso [1]. E’ diffusa l’opinione secondo cui quel pellegrinaggio fu il segnale del sorgere di una coscienza collettiva di comune appartenenza ad una struttura socio-culturale araba [1], che costituirà terreno fertile per il messaggio del Profeta Maometto (Muhammad), il quale, infatti, come sarà illustrato più avanti, inserì tra i pilastri della nuova religione proprio il hajj. Maometto nasce nel 570 d.c. , nel clan dei Banu Hashim2 della tribù dei coreisciti, che controllava l’importante centro mercantile e religioso della Mecca [2]. Nel 610 d.c., in una notte del mese di ramadhan (la “notte del destino”[2]), Muhammad, durante una delle frequenti meditazioni cui si dedicava per cercare la verità su Dio, riceve, tramite l’angelo Gabriele (Jibra’il), in una grotta del monte Hira, il testo del messaggio divino, il Corano, e prende coscienza della sua missione profetica [3]. Il Corano (Qur’an, che significa “recitazione”) si pone come l’ultima fase di una Rivelazione continua di Dio verso gli uomini, concretizzatasi precedentemente nel messaggio inviato a Mosè (la Torà degli ebrei) ed a Gesù (il Vangelo) [2]. La religione musulmana fa sue, così, le precedenti esperienze monoteistiche, ponendosi come perfezionamento di un processo di rivelazione, corrotto, peraltro, dalle errate interpretazioni dell’uomo nella storia3. D’altra parte, l’islamismo ha un rapporto “privilegiato” con cristiani ed ebrei, che vengono definiti “gente del libro” 4, a significare una comune radice o, comunque, una comune posizione monoteistica 5.

1 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da Scarcia Amoretti (1998) [1], Branca (2000) [2], Bowker (1997) [3]. 2 La definizione di hascemita, per l’attuale Regno di Giordania, trova ragione proprio nell’ascendenza della dinastia che lo governa. 3 Woodward, 2002. 4 Dove per libro si intende quello scritto direttamente da Dio, di cui il Corano è la sola perfetta copia (Woodward, 2002). 5 Ad esempio, l’uomo può sposare una donna non musulmana, purché appartenente alle “genti del libro”.

5

Il Corano si articola in 114 sure (capitoli) ed in ayat (versetti; letteralmente “segni”), nei quali sono presenti enunciazioni di carattere generale6[3]. Maggiori dettagli sui precetti religiosi da seguire sono contenuti nella Sunna, che costituisce, tra l’altro, la base della giurisprudenza islamica. Essa è l’insieme dei racconti, hadith, che riportano le azioni e gli insegnamenti di Muhammad; questi hadith nel IX-X secolo sono stati raccolti nei cosiddetti “cinque libri”: i due Sahih (“libri genuini”) di Al-Buhari e di Muslim e le tre Sunan (“tradizioni”) di Abu Da’ud, al-Tirmidhi, al-Nasa’i [2]. Sulla base del Corano e della Sunna - che sono, quindi, ritenuti di origine divina - gli “esperti di religione” hanno costruito - in un periodo che va dalla morte del Profeta al X secolo - la Legge (shari’a), che disciplina, ancor oggi, la vita della comunità islamica[2]. La sfera religiosa nel suo complesso può essere individuata con il termine din, che, nella civiltà musulmana, sta alla base di tutte le istanze riguardanti la sfera politica e sociale. Questa mancanza storica di distinzione tra livello religioso e politico è una delle principali differenze tra l’Islam e l’Occidente ed è alla base, come si vedrà meglio in seguito, delle spinte sottese all’integralismo [1]. 1.2 LE SCUOLE I musulmani, comunque, non seguono tutti la medesima scuola giuridica (madhhab). Le quattro scuole giuridiche “legittime” sono: Hanafita, Malikita, Shafi’ita e Hanbalita[3]. Le differenze tra le medesime ruotano attorno al ruolo attribuito al principio della analogia (qiyas) nell’opera di deduzione di nuove regole da parte dei giuristi (faqih). La scuola Hanafita (dal fondatore Abu Hanifa, m.767) prevede l’ampio ricorso alla valutazione del giurista per le situazioni non sufficientemente disciplinate dai testi, nonché la considerazione attribuita alla consuetudine (‘urf) ed a valutazioni di opportunità. Con l’avvento dell’impero ottomano, essa divenne la scuola ufficiale, ancorché non esclusiva, ed oggi è ancora l’orientamento maggiormente diffuso (Turchia, Asia centrale, India, Pakistan…) [2]. Anche la scuola Malikita (dal fondatore Malik ibn Anas, m.795), pur avendo un solido fondamento nella Sunna, consente il ricorso all’analogia e l’utilizzo di criteri sussidiari come la valutazione del bene comune. Oggi, è la corrente che prevale nel Maghreb (Tunisia, Algeria, Marocco) [2]. La scuola Shafi’ita (risalente a Muhammad al Shafi’i, m.820) prevede la riduzione, rispetto agli Hanafiti, del ricorso alla valutazione del singolo giurista, conferendo maggiore centralità alla Sunna. Con riferimento a quest’ultima, sono ritenute vincolanti solo le parti risalenti al Profeta, mentre viene allargato il ricorso al consenso (ijma). Il consenso, riferito a ciò su cui dotti e teologi sono unanimemente concordi, è, accanto al Corano, alla Sunna ed all’analogia (qiyas), l’ulteriore fonte del diritto musulmano. La scuola Shafi’ita fa riferimento al consenso di tutti i dotti in materia, senza limitarlo a quello dei dotti

6 Il Corano tratta, tra l’altro, dell’unità di Dio, del ruolo di Dio nella storia, della missione profetica di Muhammad, del giudizio finale, del dovere di aiutare gli altri, della famiglia, del matrimonio, di questioni legali, etiche e sociali.

6

appartenenti ad una determinata scuola o zona. L’orientamento Shafi’ita è oggi maggiormente diffuso in Bahrain, Yemen, Indonesia ed Africa orientale [2]. La scuola hanbalita (dal fondatore Ahmad ibn Hanbal, m.855), infine, è quella che si caratterizza per l’opposizione al ragionamento personale del giurista. Viene, in sostanza, rifiutato il ricorso alla qiyas (analogia) a favore di una stretta aderenza alla lettera dei testi sacri. Attualmente, questa scuola si concentra in Arabia Saudita [2]. A tal proposito, occorre fare cenno al particolare modo di interpretare l’appartenenza alla scuola giuridica hanbalita, fondato da Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab, nel XVIII secolo. Il wahhabismo predica il ritorno al Corano, all’applicazione letterale di ciò che il testo prevede. Un movimento riformatore che ha, sostanzialmente, le stesse istanze di base dei movimenti fondamentalisti odierni. Esso, nel passato, si trasformò in movimento politico-militare quando al-Wahhab strinse, con il principe Muhammad ibn Sa’ud, un’alleanza che prevedeva il ricorso alle armi per imporre l’osservanza del Corano [1]. La dinastia Sa’ud è quella ancora oggi al potere in Arabia Saudita7. Altri due importanti concetti sono quelli di dar al-Islam e dar al-harb, che rappresentano rispettivamente lo spazio in cui regna la fede in Dio (l’ecumene islamica) e quello della guerra (intesa come ribellione a Dio) [1]. 1.3 I PILASTRI Per quanto attiene ai contenuti, la religione musulmana poggia sui cosiddetti cinque pilastri (arkan al-islam) [2], che costituiscono la sovrastruttura comune di tutto l’islamismo e attorno ai quali si coagula la comunità musulmana di tutto il mondo, la umma8. Il primo pilastro è la Shahada: “Non c’è Dio tranne Iddio e Muhammad è il Messaggero di Dio”. Coerentemente, Allàh, in arabo, significa “il Dio”. [3] Il secondo pilastro è la Salat, cioè i cinque momenti della preghiera giornaliera, da compiere rivolti verso la Ka’ba, il santuario al centro della moschea della Mecca (costruito da Abramo con il figlio Ismaele). Prima della preghiera, il fedele deve purificarsi compiendo le abluzioni (con acqua o, in mancanza, con sabbia), deve dichiarare l’intenzione di pregare e scegliere un luogo puro in cui procedere all’orazione, che consiste nella recitazione di brani del Corano9 [3]. L’unica preghiera che si svolge in comunità è quella del mezzogiorno di venerdì in moschea [2]. Il terzo pilastro è il Sawm, cioè il digiuno nel mese del Ramadhan10. In questo periodo per il musulmano durante le ore del giorno sono vietati cibo, bevande, fumo e rapporti sessuali. 7 Maggiori dettagli saranno forniti nel capitolo in cui si illustrerà la storia recente e l’attuale assetto dell’Arabia Saudita. 8 Il fondamentale concetto di umma è un’importante causa di resistenza al nazionalismo - schema introdotto dalle potenze occidentali nell’epoca del colonialismo – e su di esso si basa la storica aspirazione al panislamismo [2], cui oggi si riferiscono anche ideologie islamiche estreme. 9 Esiste anche una forma di preghiera libera (du’a’), oltre ai rak’ah delle cinque fasi della preghiera giornaliera. 10 Da notare che i musulmani seguono un calendario lunare, articolato sempre su dodici mesi, ma della durata complessiva di 354/355 giorni. I mesi di questo calendario sono, nell’ordine: muhharam, safar, rabi al-awwal, rabi Ath Thani, jumada al-awwal, jumada Ath Thani, rajab, cha’ban, ramadan, shawal, dhul-Qa’da, dhul hijia. L’ultimo

7

Le serate del mese del Ramadhan trascorrono in riunioni conviviali seguite da veglie di preghiera e di ascolto del Corano. Il periodo si conclude con la festa del ‘id al-fitr (festa della rottura del digiuno) [3]. Per inciso, può essere d’interesse ricordare altre significative feste celebrate dagli islamici, che spesso si risolvono in grandi riunioni collettive11: capodanno/giorno dell’egira: l’anno islamico comincia il giorno che ricorda la partenza

di Maometto da La Mecca verso Medina; il mese di rabi al-awwal (terzo dell’anno islamico): celebra la nascita di Maometto e la

sua vita; laila al bar’h: è la notte del perdono, in preparazione del Ramadhan;

làilat al-qàdri: è la notte del destino, in commemorazione della rivelazione del Corano a

Maometto (cade nel mese del Ramadhan); id al-adha: festa del sacrificio, della durata di quattro giorni, celebrata alla fine del mese

del pellegrinaggio (il dodicesimo del calendario islamico), in occasione della quale si fanno sacrifici di animali.

Il quarto pilastro è la zakat (l’elemosina), una specie di decima da applicare alle categorie di beni e secondo le percentuali indicate dalla legge islamica. La zakat, da un lato, riflette il rifiuto di un eccessivo attaccamento alle ricchezze terrene e, dall’altro, risponde ad esigenze di solidarietà, strumentali anche alla realizzazione di opere pubbliche (ad esempio, costruzione di moschee) [2]. La zakat può essere distribuita solo ad otto possibili destinatari (asnaf)12. Ove non sia presente alcun centro per l’amministrazione della zakat, questa può essere pagata direttamente ai bisognosi. Tra le categorie di destinazione della zakat figurano13: i poveri (faqir/fuqara): coloro che non hanno mezzi di sopravvivenza e beni materiali; i bisognosi (miskeen): coloro che non hanno sufficienti mezzi di sopravvivenza per

soddisfare le proprie necessità basilari, nonostante il possesso di alcuni beni o la percezione di un reddito inferiore ad un minimo; gli amministratori della zakat (amil): questa categoria comprende, a sua volta, i gruppi

di persone che, prendendo contatto con la società, determinano chi ha i requisiti per essere beneficiario ultimo della zakat; chi raccoglie, contabilizza, gestisce, cura la distribuzione e controlla l’amministrazione della zakat;

capodanno musulmano (1/1/1423) è caduto nel giorno 15 marzo 2002 del calendario gregoriano (Fonte: http://www.arab.it/calendario/calendario1423.htm ). 11 Fonte: http://pages.ifrance.com/pages/fetes/fetes.htm#ramadan . 12 Fonte: sito www.islamiq.com 13 Altre categorie sono:

- i simpatizzanti (muallaf): coloro che sono inclini alla conversione o si sono già convertiti all’islam; - la liberazione dalla schiavitù (riqab); - i viaggiatori (ibnus sabil): la zakat può essere destinata ad aiutare i viaggiatori che incontrano difficoltà

durante il proprio viaggio, a causa, ad esempio, della perdita del denaro, la rottura del mezzo di trasporto…

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coloro che hanno debiti (gharimin): la zakat può essere usata per saldare i debiti di una persona che abbia contratto gli stessi per il mantenimento di un normale tenore di vita; la causa di Allah (fisabillillah): in questa categoria ricade l’uso della zakat per finanziare,

ad esempio, la costruzione di una moschea; Un’altra forma di donazione è la Sadaqah, che, però, è un atto volontario, ulteriore rispetto al versamento della zakat [2]. Il quinto pilastro è, come già accennato, il hajj, cioè il pellegrinaggio alla Mecca, durante il dodicesimo mese islamico; ogni musulmano deve compierlo almeno una volta nella vita, ove ne abbia la possibilità [3]. Ogni anno due milioni di pellegrini compiono il hajj14 che, favorendo l’incontro dei musulmani provenienti da tutto il mondo, rappresenta un’importante riconferma dell’appartenenza ad un’unica umma. Un altro concetto su cui è necessario soffermare l’attenzione è quello di jihad, normalmente richiamato anche dai gruppi terroristici di matrice islamica. Jihad significa letteralmente “sforzo” e può essere inteso come la tensione interna che deve caratterizzare l’uomo per divenire un miglior musulmano, per essere sempre più aderente allo spirito islamico. Nella storia, comunque, in nome della jihad sono state lanciate numerose campagne militari. Il Corano si riferisce alla jihad armata solo in chiave difensiva, in caso di attacco, espulsione dalle proprie case o persecuzione, a causa della propria professione di fede in Allah15. 1.4 LE CORRENTI RELIGIOSE FONDAMENTALI Prima di passare all’illustrazione dei principali passaggi della storia del mondo musulmano, è necessario trattare brevemente di una fondamentale scissione prodottasi, fin dalle origini, tra i sunniti (le predette scuole giuridiche sono tutte riconducibili al sunnismo) e gli sciiti. La principale caratteristica dello sciismo è quella di prevedere un fondamentale ruolo per l’imam, ricoperto da Alì e dai suoi discendenti16. L’imam è una sorta di mediatore tra l’uomo e Dio (figura assolutamente assente presso il resto dei musulmani, ove non esiste neppure un vero e proprio clero17), è il capo temporale e la guida spirituale della comunità, è l’interprete del significato nascosto della rivelazione. Gli insegnamenti dell’imam, che ha il privilegio dell’infallibilità, hanno la stessa dignità di quelli del Profeta. In pratica, gli sciiti continuano a riconoscere l’ijtihad, cioè lo “sforzo del dotto in materia giuridico-religiosa”, teso ad estrapolare dal Corano e dalla Tradizione quanto necessario ad emettere pareri conformi alla shari’a, ma adeguati ai tempi ed alla particolare

14 Brisard, Dasquié, 2002. 15 Dickey, 2002 16 Nel capitolo successivo verranno forniti ulteriori elementi in proposito. 17 In ambito sunnita il titolo di Imam designa generalmente colui che guida la preghiera comunitaria, senza prerogative o funzioni propriamente religiose [2].

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situazione. Per i sunniti, invece, dall’XI secolo la casistica possibile è completa ed è sufficiente adeguarsi a quanto già fatto e codificato, senza estrapolazioni [1]. L’ ijtihad è affidato ad una categoria di dotti che, nel tempo, si è strutturata. Recentemente si è arrivati a vere e proprie gerarchie che vanno, ad esempio, dal mullà all’ayatullah [1] A seconda della linea di discendenza di Alì riconosciuta come legittima, gli sciiti si dividono in imamiti o duodecimani (credo seguito dalla maggioranza degli iraniani e da buona parte degli iracheni), zayditi, ismailiti (a loro volta divisi in diverse diramazioni: Drusi, Taibiti, alawiti …) [2]. I duodecimani, che sono i più numerosi, sono così definiti perché riconoscono una successione di dodici imam, l’ultimo dei quali è scomparso nell’874 d.c., per ritornare prima della fine del mondo. Fino al suo ritorno, sono i dottori della legge, le autorità religiose organizzate in precise gerarchie, che debbono vigilare sul rispetto dei dettami islamici [2]. Gli zayditi (da Zayd, figlio del secondo imam, Hasan) ritengono che il titolo di iman spetti al più degno tra i discendenti della famiglia del Profeta. Una delle due dinastie che ne sono originate ha dominato in Yemen, fino all’avvento della Repubblica nel 1962 [2]. Gli ismailiti, invece, è dal settimo imam che si distaccano dalla serie riconosciuta dai duodecimani, ed hanno al loro interno varie ramificazioni, in relazione alle diverse linee di discendenza seguite. Gli ismailiti si caratterizzano per la centralità, oltre che del Corano e della Sunna, dell’insegnamento (ta’lim) del senso esoterico (batin) delle dottrine islamiche. Da ciò, il credo ismailita è detto ta’limismo o batinismo. A margine, può essere evidenziato che era ismailita il leggendario movimento degli assassini18 e lo sono oggi, ad esempio, i seguaci dell’Aga Khan [2]. Per finire, separatamente devono essere considerati i kharigiti, che si separarono dagli sciiti, per protesta contro l’insufficiente determinazione con cui furono combattuti gli avversari di Alì. La loro caratteristica fondamentale è quella che l’imamato può essere conferito a qualsiasi credente, ove questo si dimostri il più degno. La corrente che sopravvive tutt’oggi è quella degli Ibaditi, che ha scarsa diffusione e consistenza numerica19 [2]. Un discorso a parte deve essere fatto per il sufismo. Tale movimento è orizzontale rispetto a sunnismo e sciismo. Il sufi è un musulmano (sunnita o sciita) che cerca un’esperienza di intimità personale con Dio, distaccandosi dalle cose del mondo. Cerimonia significativa, in tal senso, è il Dhikr, attraverso la quale i fedeli cercano di intensificare la consapevolezza della presenza in se stessi di Dio [3]. I sufi si riuniscono in confraternite, che hanno nel maestro una guida spirituale. Ogni maestro fonda una scuola sufica (tariqa) ad esso facente riferimento[3]. Queste confraternite hanno talvolta anche un rilevante peso politico e sociale[2].

18 Protagonisti di attentati, che oggi si definirebbero terroristici, contro avversari politici e religiosi. Su questa setta si tornerà anche nel capitolo successivo. 19 L’altra corrente, oggi scomparsa, fu quella degli Azraqiti, fautori di una sorta di terrorismo politico-religioso.

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Secondo alcuni teorizzatori del panislamismo, il sufismo, con la sua mistica, ha “contaminato” la religiosità popolare, contribuendo all’allontanamento dalla razionalità dell’islam originario ed è, quindi, tra le cause del ritardo storico del mondo musulmano. Si sono verificati, anche nel passato, momenti di tensione tra i sufi ed i rappresentanti della religione ufficiale [1]. In ogni caso, nel corso della storia, le confraternite sufi sono state un efficace veicolo di diffusione della religione e, quindi, dell’influenza musulmana nel mondo[3]. A conclusione di questa breve illustrazione dei concetti che si ritengono fondamentali per una seppur elementare comprensione dell’universo musulmano, si può soffermare l’attenzione sul prospetto 1, contenente, per le più significative appartenenze religiose, il numero approssimativo di aderenti e le zone di maggiore concentrazione. Prospetto 1

Sunniti 700.000.000 Diffusi nella generalità del mondo musulmano

Ismailiti (Drusi, Nusairiti alawiti, Taibiti, Nazariti) 16.500.000 Siria (*), Libano (**), Israele (**),

Asia, Africa, India, Yemen.

Duodecimani 110.000.000 Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Afghanistan.

Sciiti

Zayditi 5.500.000 Yemen Kharigiti 1.100.000 Zanzibar, Algeria, Oman. Fonte: Focus Extra, n.5, 2001 (*) In particolare, Drusi e Nusairiti alawiti. (**) In particolare, Drusi.

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2 IL PERCORSO DELL’ISLAM NELLA STORIA20 2.1 LA RIVELAZIONE DEL PROFETA E LA PRIMA “JIHAD” Nell’ambito del capitolo che precede, si è già accennato al contesto in cui inizia la predicazione di Muhammad. A causa della reazione ostile e repressiva dei gruppi di potere della Mecca, il Profeta ed i suoi primi seguaci (i cosiddetti Muhajirun) compiono, nel 622, la hijra21, cioè l’emigrazione a Medina, rivale economica della Mecca. La comunità musulmana comprendeva, allora, i predetti Muhajirun e gli Ansar, cioè i convertiti medinesi, e si raccoglieva intorno al masjid, la moschea del Profeta[1]. Da Medina, Muhammad cerca alleanze e conversioni presso i capi delle tribù arabe dell’entroterra[1]. L’attacco agli arabi politeisti della Mecca inizia nel 624, a seguito di una rivelazione ricevuta dal Profeta, secondo cui: “E’ dato permesso di combattere a coloro che combattono perché sono stati oggetto di tirannia: Dio certo è ben possente a soccorrerli”. [1] E’ evidente l’influenza che un siffatto imprimatur divino può avere sulle jihad moderne. Risale al 627 la vittoria decisiva degli arabi musulmani in difesa di Medina, che porta al trattato di Hudaybiyya del 628. La situazione non ha, però, assunto un assetto definitivo; infatti, nel 630, i musulmani attaccano ed entrano alla Mecca[1]. Prima della sua morte, avvenuta nel 632, il Profeta continua a rafforzare ed estendere la rete di rapporti di “vassallaggio” intessuta ormai con la grande maggioranza delle tribù arabe. Per questo, peraltro, la penisola e l’etnia araba rappresentano il cuore del mondo musulmano, nel primo periodo della sua espansione[1]. 2.2 LA SUCCESSIONE A MAOMETTO E LO SCIISMO La morte di Muhammad porta i primi contrasti per la successione: da una parte chi sostiene che il successore debba essere cercato nella famiglia del Profeta22 e dall’altra la maggioranza, che ritiene che il capo debba essere individuato anche in base alle sue capacità. Prevale quest’ultima linea, che conduce alla scelta, quale “califfo” (in arabo “successore”, “vicario del profeta”), di Abu Bakr - della tribù del Profeta [1] . Dal 632 al 661, si succedono quattro califfi, detti i “ben guidati”. In questo periodo vengono intraprese campagne di conquista, che portano i musulmani – e la loro religione – in particolare, in Siria (importante ponte verso la penisola anatolica), Egitto e Iran23. La nomina a califfo del predetto Alì, nel 656, determina un conflitto interno che conduce ad un arbitrato sfavorevole allo stesso Alì, che comunque formalmente non viene deposto.

20 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da Scarcia Amoretti (1998) [1]. 21 Una prima emigrazione di alcuni seguaci, ma non di Muhammad, aveva già avuto luogo nel 615 verso la cristiana Abissinia. 22 Il quale avrebbe indicato il cugino e genero Alì (da qui il concetto di shi’a, partito di Alì, da cui lo sciismo). 23 Branca, 2000.

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All’interno degli sciiti, peraltro, si genera una divisione nel corso del conflitto medesimo, che determina la nascita dei kharijiti (gli uscenti)24, duramente repressi dallo stesso Alì[1]. E’ proprio per mano di un Kharijita che viene ucciso Alì25; la sua successione conduce alla dinastia26 omniade (661-749) ancora caratterizzata dall’egemonia araba nel mondo musulmano, che però diviene sempre più multietnico. La sede del califfato passa, sotto questa dinastia, a Damasco [1]. Nel periodo omniade si assiste allo scontro, anche militare, tra due linee strategiche: la prima orientata all’espansionismo, cui conseguirebbe uno stato di mobilitazione tale da mantenere la supremazia militare arabo-siriana; la seconda propensa a limitarsi al rafforzamento delle frontiere ed a concentrarsi sul progressivo inserimento della componente non araba (i mawali) nell’apparato califfale [1]. Proprio l’insofferenza dei mawali – componente in crescita a causa dell’espansione del califfato fino al fiume Indo, ad oriente, e fino ai Pirenei, ad occidente27 – nei confronti dell’egemonia araba, è tra le cause della rivoluzione, cui aderisce anche lo sciismo, che porta alla dinastia abbaside28, che dura fino al 1258. La sede del califfato viene portata a Baghdad [1]. A partire dalla seconda metà del IX secolo si verifica, comunque, un decentramento di fatto dei luoghi decisionali, con l’affermarsi di varie dinastie indipendenti nell’ambito dell’ecumene islamica29. Questo non genera la disgregazione di quest’ultima, in quanto viene mantenuto un formale rapporto di vassallaggio rispetto al califfo30, riconosciuto perciò come unico rappresentante del dar al-islam. Ne nascono tuttavia distinti profili storici accanto alla comune appartenenza al califfato. [1] Anche a livello centrale, la figura del califfo perde sempre più il potere politico, finchè, con l’avvento dei turchi Selgiucchidi31 (l’entrata a Baghdad risale al 1055), rimane al califfo solo un ruolo di rappresentanza, soprattutto religiosa, mentre è al Sultano (ruolo ovviamente monopolizzato dai Selgiucchidi) che passa l’intera gestione dell’Impero [1]. Dal punto di vista religioso, viene ripristinata l’egemonia sunnita e diffuso il madhhab dell’hanafismo (che rimarrà la scuola ufficiale anche dell’impero ottomano). Gli sciiti ismailiti e duodecimani vengono sistematicamente repressi [1].

24 Sfavorevoli all’arbitrato e propensi allo scontro armato diretto. 25 Questo non comporta ovviamente la fine dello sciismo. 26 La carica di califfo da elettiva diviene, di fatto, ereditaria. 27 Branca, 2000. 28 E’ bene precisare subito che non si tratta di una dinastia sciita. Continuano, invece, a verificarsi rivolte sciite (rivolte zaydite e Iraniche) e conseguenti repressioni. 29 Idrisiti (Marocco), Aghlabiti (Tunisia; conquistano, altresì, la Sicilia nel 827, che poi passa ai fatimidi, fino alla riconquista normanna del 1091), tahiridi, saffaridi, samanidi, ghaznavidi (area iranica), Tulunidi e ikhshiditi (Egitto), sciiti Hamdanidi (Jazira e Siria settentrionale) e altre dinastie [Branca, 2000]. 30 Salvo eccezioni, come il califfato Fatimida, cui si fa cenno oltre. 31 I Selgiucchidi sono turchi provenienti dalle steppe siberiane ai confini della Transoxiana (storica regione dell’Asia centrale oggi divisa tra Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan). Inizialmente fungono da mercenari, ma poi cominciano a combattere per propri obiettivi.

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Lo sciismo ismailita, comunque, ricopre una notevole importanza nel periodo in questione. Esso è all’origine alla dinastia fatimida, al potere tra il X e XII secolo in Egitto32 ed in buona parte dell’Africa settentrionale. I fatimidi danno vita ad un califfato sciita (in cui il califfo è l’imam) - in contrapposizione a quello sunnita abbaside di Baghdad - che raggiunge la massima estensione nell’ultimo decennio del X secolo, quando corre dall’Atlantico al Mar Rosso, includendo anche parte della Siria e dello Yemen ed esercita il controllo anche su Medina e la Mecca [1]. Sempre dal fronte sciita arriva un’ulteriore sfida al potere abbaside. Si tratta di un potere locale, ancora ismailita, stanziato in Iran, in una regione montuosa della catena dell’Elburz, vicino all’Azarbaigian: gli Assassini [1]. La sfida culturale dell’ismailismo, specie iranico, assume vieppiù importanza, in considerazione del fatto che nell’ambito sunnita le istituzioni musulmane si riducono a sovrastruttura ideologica, senza essere più costante riferimento della prassi politica e giuridica[1]. Intorno alla metà del XIII secolo, si verificano importanti eventi per il corso della storia della dar al-islam. In Egitto, Paese la cui importanza nel bacino mediterraneo è indiscutibile, dopo la parentesi della dinastia Ayyubide33 – che ripristina il sunnismo e riconosce il ruolo del califfo di Baghdad – si insedia la dinastia turca mamelucca34, che resiste fino all’avvento degli Ottomani nel XVI secolo. La stessa dinastia impone il proprio dominio anche alla Siria, confermando il legame tra l’Egitto e la regione sirio-palistinese[1]. I mamelucchi continuano nell’opera di restaurazione sunnita, anche se non si arabizzano mai completamente [1]. Nello stesso periodo (1258, anno dell’entrata a Baghdad) cade il califfato abbaside ad opera dei mongoli, la cui invasione, peraltro, viene arginata in Palestina proprio dai mamelucchi (1260). Tale penetrazione dalla Transoxiana, inizia con la conquista stabile dell’Iran, nell’ambito del quale viene definitivamente cancellato l’ismailismo degli Assassini (1256), cosa che non va interpretata, comunque, come un schieramento per il sunnismo da parte dei mongoli, che rimarranno sempre sostanzialmente indifferenti al fattore religioso [1]. A quella mongola, succede l’invasione di Tamerlano (XIV sec. ), che segue essenzialmente la stessa direttrice [1]. La due penetrazioni, comunque, non conducono a domini fortemente unitari e duraturi, tali da lasciare particolari impronte culturali.

32 Il Cairo (al-Qahira) “la vittoriosa” è fondata proprio dai fatimidi nel X secolo. 33 Fondata dal Saladino, estende, per circa un secolo, la propria sovranità su Egitto e Siria, sostituendosi alla dinastia sciita dei fatimidi. 34 I mamelucchi che prendono il potere in Egitto provengono dalle steppe centroasiatiche dei turcmeni ed erano preposti alla guardia personale dei sultani ayyubidi.

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2.3 NASCITA E AGGREGAZIONE DEL MAGHREB Intanto, nel Maghrib, dove l’elemento berbero assume una posizione di centralità, , si registra nel XII secolo la creazione dai parte degli Almohadi35 di una realtà politico-militare unitaria estesa al Marocco, Algeri, Tunisi, Tripoli, che ingloberà, ad un certo punto, anche parte della Spagna. Già nel XIII secolo si assiste, comunque, alla disgregazione almohade sotto la spinta di dinastie locali indipendenti. In Marocco si instaura quindi la dinastia marinide, che determina il ritorno al malichismo36, precedente agli Almohadi, con un forte impulso alle confraternite sufi. Viene altresì cercata un’accelerazione del processo di arabizzazione dei nomadi e pastori berberi [1]. 2.4 I TRE IMPERI: OTTOMANO, SAFAVIDE E MOGHUL Dopo questo periodo di relativa disgregazione, l’ecumene islamica si ricompatta in tre componenti principali: l’impero ottomano, l’impero safavide e l’impero moghul. Gli ottomani di pongono quali paladini del sunnismo hanafita, in prosecuzione dei Selgiucchidi. Come questi ultimi, gli ottomani sono di etnia turca. Il nucleo originario dell’impero si colloca nella parte occidentale della penisola anatolica. Inizialmente (XIV-XV secolo) l’espansione ottomana interessa essenzialmente le penisole anatolica e balcanica. In tale periodo iniziale, gli ottomani subiscono la parentesi dell’invasione di Tamerlano (1402) [1]. Data di particolare rilievo è il 1453, anno della presa di Costantinopoli, ad opera del Sultano Maometto II [1]. Le conquiste di questo periodo portano l’impero ottomano, all’inizio del XVI secolo, ad esercitare il proprio dominio (compreso il sistema degli Stati vassalli) su un’area comprendente l’intera penisola anatolica, la penisola balcanica (compresa Bosnia e Bulgaria), le coste del Mar Nero (compreso il Canato di Crimea) [1]. In questo secolo, l’impero raggiunge la sua massima estensione37, allargando la propria egemonia su Siria ed Egitto (soppiantando i predetti mamelucchi), la regione mediorientale, la penisola araba, parte dell’Iraq, Cipro, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco (quest’ultimo riconosce nominalmente l’autorità ottomana) [1]. L’espansione verso oriente degli ottomani è bloccata dall’affermarsi nel XVI secolo dell’impero safavide, l’altra grande realtà islamica del periodo. Il nucleo originario del futuro impero è costituito da alcune tribù turcmene giunte nell’XI secolo. Gli eventi dei secoli successivi, sui quali non è necessario soffermarsi, conducono alla formazione di un impero (la cui prima capitale è Tabriz38, nel 1501) esteso nell’Azarbaigian, nella Mesopotamia, nell’Iraq (compresa Baghdad) e nel Khuzistan39. In pratica, i safavidi riescono ad unificare la maggior parte del territorio iranico [1].

35 Berberi originari delle regioni sahariane. 36 Come già visto, il malichismo è una forma di sunnismo. 37 Per quanto attiene al fronte europeo, si ricordi che risale al 1529 l’assedio di Vienna da parte degli Ottomani. 38 Successivamente la capitale si sposterà sempre più a sud-est; Qazwin (1548) e Isfahan (1598). 39 Ad occidente, i safavidi sono arginati dagli ottomani, mentre ad oriente dagli uzbechi, che impediscono la penetrazione in Afghanistan e centroAsia.

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Mentre gli ottomani si sono proposti come paladini del sunnismo, l’impero safavide ha lo sciismo duodecimano quale religione di Stato40. In questo modo, oltre ai fattori territoriali e politici, anche quello religioso si pone quale ragione di scontro con l’impero ottomano41. L’elemento religioso, d’altra parte, riveste importanza centrale nell’autorità dell’imperatore safavide, almeno fino alla determinante sconfitta di Chaldiran (1514), ad opera degli ottomani, che ne compromette, da questo punto di vista, la figura.[1] Da quel momento, diventa assai più importante il potere politico dello scià rispetto a quello religioso[1]. Per quanto attiene alla religione, poi, vale la pena spendere qualche parola su una controversia che evidenzia la sua valenza politica già in epoca safavide, ma che avrà conseguenze anche nei secoli successivi. Si tratta della contrapposizione tra gli Akhbari - sostenitori dell’osservanza letterale del Corano e della Sunna - e gli Usuli, che propendono per un’interpretazione razionale, da parte dei dotti, delle fonti. Quest’ultimo orientamento prende piede nell’Iran safavide presso quel ceto da cui proviene la maggioranza delle personalità della struttura religioso-giuridica sciita, che svolge la funzione di tramite tra il potere centrale e le masse. L’enfatizzazione del ruolo dei dotti apre, altresì, la strada alla formazione di una sorta di clero.L’orientamento Akhbari, dal canto suo, porterà nel XIX secolo a spinte eversive e radicali nell’ambito dello sciismo42. L’impero cade nel XVIII secolo ad opera di un turcmeno sunnita. [1] La terza grande dinastia che prende forma nel XVI secolo è quella dell’impero moghul, che ottiene l’unificazione politica del subcontinente indiano, allora suddiviso in una serie di sultanati senza una stabile appartenenza (ad esempio, Bengala, Kashmir, Gujarat, Malwa, Deccan). La formula imperiale consente siffatta unificazione in quanto rispettosa delle diverse realtà socio-economiche e culturali locali, senza avere la pretesa di generare una identità indiana nazionale. L’orientamento religioso della dinastia, che segue il sunnismo43, è più improntato alla tolleranza che altrove. La discriminazione nei confronti di sciiti e indù si accentua durante la seconda metà del XVII secolo [1]. 2.5 COLONIALISMO OCCIDENTALE E RIFORMISMO ISLAMICO Nei secoli XIX e XX, si realizza un processo - che trova le sue origini nella scoperta delle Americhe - di spostamento dei centri di potere economico dal Mediterraneo all’Atlantico, accompagnato dall’esplosione della rivoluzione industriale[1]. In tale contesto, l’ecumene islamica vive un periodo di profonda decadenza economica e, conseguentemente, politica. Nasce nel XIX secolo (e si protrae fino al secolo successivo) dalla constatazione di tale decadenza, il movimento del riformismo islamico, quale via di

40 La sciitizzazione del paese avviene lentamente e principalmente attraverso l’amministrazione della giustizia. 41 La guerra decisiva, che pone fine alle ambizioni di espansione verso occidente dei safavidi, prende avvio in seguito ad una serie di rivolte ispirate alla fede sciita tra le tribù turcmene dell’Anatolia. 42 Branca, 2000 43 Si registra, comunque, la presenza di regni sciiti nel Deccan, appoggiati dall’impero safavide.

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reazione alla condizione di arretratezza che si stava creando rispetto alle potenze europee44. L’essenza di tale movimento, che rimarrà elitario ed a base urbana, è quella di porre l’esperienza occidentale quale modello cui tendere nell’opera, considerata ormai necessaria, di reinterpretazione del mondo musulmano. Una delle caratteristiche del modello europeo che veniva vista con favore dal riformismo era la divisione tra sfera religiosa e sfera politica (il secolarismo, essenzialmente), aspirazione diametralmente opposta a quella che caratterizza le istanze radicali ed integraliste che oggi infervorano i Paesi islamici. L’opera di riassetto delle istituzioni del mondo musulmano si traduce in riforme in campo amministrativo, politico, finanziario e culturale. 2.6 REAZIONE PANISLAMICA AL NAZIONALISMO In ogni caso, nei secoli XIX e XX, le regioni della Umma divengono obiettivo sempre più esplicito del colonialismo delle potenze europee, in cerca di mercati di approvvigionamento e sbocco. L’intervento militare sarà solo il sigillo di un processo già sostanzialmente portato a termine [1]. Le potenze del vecchio continente maggiormente attive nel dar al-islam sono la Gran Bretagna45 – in Egitto46, India47, Sudan48 -, la Francia – in Algeria49, Marocco, Tunisia50, Africa occidentale subsahariana, Siria e Libano51 – e la Russia, nei possedimenti europei dell’impero ottomano, in Caucaso ed Asia centrale [1]. Già nel XIX secolo, le masse musulmane cominciano a rivoltarsi verso l’invasore europeo, trovando spinta ed alimentazione nell’elemento religioso, simbolo di identità culturale52. La prima guerra mondiale porta alla definitiva cancellazione dell’Impero ottomano e all’assegnazione, da parte della Società delle Nazioni, del mandato francese su Siria e Libano e del mandato inglese su Palestina, Transgiordania ed Iraq. La Gran Bretagna 44 Choueiri, 1990. Alcuni nomi del riformismo islamico: Jamal al-Din (persiano), Sayyid Ahmad Khan (indiano), Muhammad Abdu (egiziano), Khayr al-Din (tunisino). Il movimento riformistico ottomano è quello che prende il nome di tanzimat. 45 L’atteggiamento britannico nei confronti delle diversità socio-culturali fronteggiate nei paesi colonizzati, consiste nel mantenere la separazione, evitando l’integrazione. I francesi, invece, cercano l’assimilazione dei colonizzati, dai quali si pretende la perdita della propria identità storico-culturale [1]. 46 L’ufficializzazione della presenza militare risale al 1882, ma la penetrazione economica nel Paese è indubbiamente precedente. Basti pensare che l’inaugurazione del Canale di Suez, segno di una già matura presenza, risale al 1869. 47 Veicolo della penetrazione britannica nel subcontinente è la Compagnia delle Indie orientali, istituita nel XVI secolo. Questa, tra il 1750 ed il 1820, da semplice detentrice del monopolio commerciale, si trasforma in potenza territoriale. La Corona assume nel 1858 il governo dell’India, posto nelle mani di un viceré e di un governatore generale. A proposito dell’egemonia britannica in India, è interessante sottolineare come questa sia stata facilitata proprio dalla già citata mancanza di una “identità indiana”, frutto delle forti differenze locali che caratterizzano le varie parti del subcontinente; questo, tra l’altro, permette agli inglesi di reclutare facilmente forze indiane. 48 Il dominio sul Sudan (1899) è diretta conseguenza del protettorato sull’Egitto. 49 Dopo lo sbarco del 1830, diviene parte del territorio metropolitano nel 1848 ed è oggetto di forti movimenti migratori dalla Francia. 50 Entrata a Tunisi nel 1881. 51 Intervento nel 1860. 52 A tal proposito, si possono ricordare le confraternite Qadiriyya (scuola sufica protagonista di sollevazioni in Algeria), la Mahdiyya (operante in Africa orientale e, ancor oggi, componente essenziale dello scenario politico sudanese), la Sanusiyya (in Libia) [1].

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mantiene, peraltro, il controllo su un Egitto formalmente indipendente. Nasce, altresì, la Repubblica turca, nella quale viene abolito il sultanato e viene riconosciuto il protettorato francese su Marocco e Tunisia. In Iran, ove si insedia la dinastia Pahlavi, è la Gran Bretagna ad esercitare la maggior influenza [1]. A questo punto, nel trattare della storia del mondo musulmano nel XX secolo, è necessario anzitutto cercare di orientarsi nel percorso incrociato del nascente nazionalismo, della formazione degli Stati indipendenti e della persistente aspirazione al panislamismo. La penetrazione coloniale porta i popoli musulmani a diretto contatto con i modelli occidentali, tra i quali, ad esempio, il sistema democratico delineatosi in Europa. D’altra parte, qualsiasi movimento nazionalistico - che in ultima analisi punta alla rivendicazione dell’indipendenza nazionale - non può che attingere ed essere pienamente coerente con i valori culturali e religiosi islamici. Questo rende labile il confine tra i singoli programmi di lotta nazionale ed i programmi panislamici, che prefigurano la formazione finale di aggregati più ampi - che riflettano, ad esempio, il concetto di “nazione araba” – in grado di superare i contingenti confini statuali[1]. Nell’ottica di confermare l’appartenenza ad una più ampia realtà islamica da parte degli Stati nazionali, può essere letta l’organizzazione, nel XX secolo, di numerosi “congressi islamici”, nel corso dei quali vengono discusse questioni di carattere generale riguardanti tutto il mondo musulmano[1]. Vengono, altresì, creati organismi come l’Alto Consiglio degli Affari Musulmani (1960), la Lega del Mondo Musulmano (1962), l’Organizzazione della Conferenza Islamica (nata nel 1973 ed ammessa all’ONU, come osservatore, nel 1995); addirittura al 1945, sotto dominio coloniale, risale la costituzione, al Cairo, della “Lega degli Stati arabi” (o “Lega Araba”) [1]. Oggi, la Lega araba conta 22 membri, che rappresentano circa 280 milioni di persone (da 68 milioni dell’Egitto ai 565.000 del Qatar), di cui circa il 38% sotto i 14 anni53. Considerata la presenza, più o meno sfumata, sullo sfondo, della prospettiva della “nazione araba”, le tensioni tra gli Stati musulmani – che impediscono il perseguimento compatto di una politica comune - può anche essere letta come effetto dell’aspirazione ad imporre la propria egemonia o comunque la propria determinante influenza, nell’ambito di questo futuro contesto [1]. E’ proprio da questi fermenti che nasce nel 1928, l’organizzazione dei “Fratelli musulmani”,54 oggi presente in tutto il mondo arabo e considerata la matrice del fondamentalismo islamico radicale [1]. D’altra parte, è del XX secolo l’affermarsi della corrente intellettuale culturale del radicalismo islamico, che, diversamente dal precedente riformismo, postula l’inconciliabilità tra civiltà occidentale e religione islamica55.

53 Fonte: The Economist. 54 I “Fratelli musulmani” fondano le proprie radici in Egitto, dove appoggiano il colpo di Stato dei “Liberi ufficiali” che porta, nel 1952, alla proclamazione della Repubblica. Nel 1954 sale al potere ‘Abd al-Nasir, che opera la repressione nei loro confronti. 55 Choueiri, 1990. Tale corrente si alimenta dei problemi socioeconomici seguiti, nel XX secolo, alla creazione degli Stati nazione (per lo più basata sul secolarismo) nell’ecumene islamica.

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Ad ogni modo, le spinte nazionalistiche conducono, nella seconda parte del XX secolo, all’indipendenza degli Stati costituenti l’ecumene islamica: il Marocco nel 1956 (sotto la spinta del “Partito nazionale” e la guida di re Muhammad V), l’Algeria nel 1962 (è il Fronte di Liberazione Nazionale FLN a condurre la lotta56 contro la Francia), la Tunisia nel 1956 (movimento di riferimento è il Neo-Dustur), la Libia nel 1951 [1]. In tale contesto, Libano e Siria sono caratterizzate da vicende particolari che verranno, come le altre, approfondite in seguito. Per quanto attiene, poi, alle dinamiche che interessano le realtà già indipendenti, la Turchia viene inglobata nell’Europa, per volontà franco-britannica, ed attua una decisa azione modernizzatrice e di avvicinamento all’occidente. In Iran, permane la dinastia Pahlavi, che però non riscuote la fiducia dei sudditi, in quanto considerata solo uno schermo dei poteri europei; questo conduce alla rivoluzione del 1979 [1]. Nel subcontinente indiano, la lotta per l’indipendenza si incrocia con l’antagonismo (alimentato storicamente dalla politica britannica di divisione confessionale, favorevole, peraltro, alla parte indù) tra musulmani e indù. Gli scontri interni tra queste due componenti e tra le stesse e gli inglesi conducono, nel 1947, alla creazione del Pakistan (musulmano) e dell’India indipendenti [1]. Nell’esame che si sta conducendo, non bisogna dimenticare che, sullo sfondo di questi fermenti nazionalisti ed indipendentisti, assume sempre maggior importanza il petrolio, che sposta il centro degli interessi europei nella regione del Golfo Persico, nella penisola araba, nell’area caspica di Baku e nella regione curda dell’alto Eufrate [1]. In generale, questo si traduce spesso nell’indipendenza formale dei Paesi produttori di petrolio, nell’ambito dei quali si instaurano regimi vicini proprio alle potenze coloniali [1]. E’ il caso, ad esempio, dell’Iraq, monarchia indipendente dal 1932, al quale era stata attribuita, nel 1926, la regione curda del Mossul, ricca di giacimenti petroliferi. Anche il predetto insediamento della dinastia Pahlavi in Iran è attuato con le medesime finalità [1]. Analoghe considerazioni valgono per la proclamazione del Regno dell’Arabia Saudita nel 1932, sotto la dinastia, tuttora regnante, della famiglia Sa’ud, che si pone quale alleato affidabile della Gran Bretagna[1]. Lo stesso Stato del Kuwait nasce, nel 1961, dai confini tracciati unilateralmente dalla Gran Bretagna rispetto all’Iraq[1]. Sempre nell’ottica della stabilità nella regione del Golfo Persico, funzionale allo sfruttamento petrolifero da parte delle potenze europee, nasce un sistema di piccoli Stati come il Bahrain, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti [1].

Lo storico Bernard Lewis (professore a Princeton) fa risalire l’origine dell’odierna “rabbia islamica” al fallito assedio di Vienna del 1683, che ha portato al trattato del 1699, nel quale, per la prima volta, i cristiani dettano le condizioni all’impero ottomano. Fino ad allora, secondo Lewis, a fronte di un periodo di stasi che caratterizza il medioevo in Europa, la civiltà islamica aveva conosciuto un periodo di splendore che la poneva all’avanguardia rispetto all’occidente. Il 1683 rappresenta un momento di svolta, dopo il quale il mondo musulmano si è sempre trovato in ritirata ovunque, soffrendo un sentimento generale di sconfitta e vergogna. (Manera, 2002). 56 In Algeria si assiste ad una partecipazione di massa alla lotta, che non si riscontra negli altri percorsi verso l’indipendenza, di connotazione elitaria [1].

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A questo punto la storia delle singole realtà islamiche diventa storia recente, che si differenzia in base ai diversi contesti statali, sebbene sia sempre presente l’influenza della comune appartenenza al contesto islamico. Per questo, al fine di meglio cogliere la struttura dell’attuale assetto del mondo musulmano mediterraneo, medio orientale e asiatico, può giovare l’analisi paese per paese sviluppata nel capitolo che segue. In linea generale, nel luglio 2002, il United Nations Development Programme UNDP ha pubblicato il “Arab Human Development Report”57. L’UNDP evidenzia alcune diffuse caratteristiche del mondo arabo attuale: la sopravvivenza di autocrazie assolute, lo svolgimento di “false elezioni”, la confusione tra potere esecutivo ed ordinamento giudiziario, limiti alla libertà dei media58 e della società civile, un ambiente sociale patriarcale, intollerante, a volte soffocante. In tale contesto, la democrazia figura come una concessione piuttosto che come un diritto. Tale situazione, sempre secondo l’UNDP, troverebbe radici nel secondo dopoguerra, quando la priorità era quella di emanciparsi dalla potenze occidentali: l’obiettivo era la libertà nazionale e non la libertà individuale. Alle amministrazioni coloniali si sarebbero sostituiti governi indipendenti che, con modalità e atteggiamenti quasi paternalistici, hanno conservato estrema centralizzazione e scarsa separazione tra i poteri.

57 Fonte: The Economist. 58 Nessun Paese arabo, precisa il predetto report, ha media che possano essere definiti liberi e solo in 3 Paesi si registra almeno una parziale libertà.

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3 ASSETTO GEO-POLITICO ATTUALE DEL MONDO MUSULMANO 3.1 LE TENSIONI TRA PAKISTAN ED INDIA59 Come evidenziato nel precedente capitolo, nel subcontinente indiano l’antagonismo alimentato storicamente da una politica di “divisione confessionale” porta, a metà del XX

secolo, allo scontro tra musulmani e indù. Gli scontri interni tra queste due componenti e tra le stesse e gli inglesi conducono, nel 1947, alla creazione del Pakistan (musulmano) e dell’India indipendenti. Per comprendere appieno la genesi della questione del Kashmir60 bisogna però risalire al 1846 quando, con il Trattato di Amritsar, nasce Jammu e Kashmir (J&K); è in pratica l’acquisto del Kashmir (già allora a maggioranza musulmana), dalla East India Company, da parte del re induista del Jammu. Nel tempo i musulmani ritengono di essere discriminati dalla dinastia induista. Nel 1932, i movimenti di opposizione al maharajah confluiscono nella All Jammu and Kashmir Muslim Conference poi

ribattezzata National Conference. La richiesta di base è l’abolizione del Trattato di Amritsar e la restituzione della sovranità ai kashmiri. Nel 1947, la Gran Bretagna decide un brusco disimpegno nella regione; la mezzanotte tra il 14 ed il 15 agosto viene posta come momento limite per la nascita ad est e ad ovest dell’India di due Stati islamici gemelli chiamati Pakistan61. Il maharajah di J&K decide l’annessione all’India. A ridosso di questa scelta i pashtun dalla “provincia afghana” conquistano una parte del Kashmir che viene denominata Azad Kashmir (Kashmir libero)62. Il 26 ottobre il maharajah sigla il trattato di annessione all’India, anche con l’accordo del National Conference a patto che venga poi tenuto un referendum di autodeterminazione63. Come reazione, il Pakistan invia truppe regolari a sostegno dei ribelli locali e dei pashtun. Ne segue la prima guerra tra India e Pakistan. Altri scontri aperti risalgono al 1965 ed al 199964. Come si vedrà meglio in seguito nel capitolo a ciò dedicato, a questa disputa territoriale è legato più di uno dei principali gruppi terroristici attivi nel panorama internazionale. 59 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da The Economist. Le cartine geografiche inserite nel capitolo sono tratte dal sito internet della Central Intelligence Agency CIA www.cia.gov 60 Le informazioni storiche qui riportate sono tratte da Trippodo, 2002. 61 Lo Stato ad est è divenuto oggi il Bangladesh dopo la guerra d’indipendenza del 1971. 62 E’ quello che da allora gli indiani chiamano Pok: Pakistani occupied kashmir. 63 Referendum che non si terrà; il mancato ritiro delle truppe pakistane (previsto da una risoluzione dell’ONU) indusse l’India a decidere che non sussistevano le condizioni per indire il referendum e nel 1954 venne formalmente ratificata l’annessione del J&K all’Unione indiana. 64 Da notare che nel 1962 si assiste anche ad una guerra tra Cina ed India; in una piccola parte del Kashmir nord orientale sono ancor oggi presenti truppe cinesi.

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Per questo è opportuno soffermarsi su questa situazione di conflitto che, peraltro, ha assunto una nuova rilevanza sullo scacchiere internazionale, atteso il ruolo che ha rivestito e che sta rivestendo il Pakistan nella lotta contro Al-Qaida. Durante la prima metà del 2002, il livello del confronto tra queste due potenze nucleari è drammaticamente salito. A fine maggio, l’ambasciatore pakistano è stato espulso da Delhi. Il 21 maggio è stato ucciso il più moderato dei separatisti kashmiri, che avrebbe potuto essere il protagonista di una soluzione negoziata con l’India. Intanto, si susseguivano attacchi terroristici ai campi militari indiani all’interno del Kashmir controllato dall’India, la quale minacciava rappresaglie armate65.

Il 22 maggio, il Primo ministro indiano si era rivolto ai soldati stanziati nel Jammu and Kashmir (la zona contesa attualmente amministrata dall’India) a ridosso della linea che lo divide dal Kashmir amministrato dal Pakistan, dicendo di prepararsi per la “battaglia decisiva”. Tutto questo si è verificato dopo che nel gennaio 2002, a seguito dell’attacco terroristico del 13 dicembre 2001 contro il parlamento indiano, il Generale Musharraf, aveva promesso di combattere l’estremismo e di impedire l’uso del Pakistan come base terroristica. In conseguenza di tali dichiarazioni, cinque gruppi estremisti islamici sono stati banditi e 2.000 dei loro membri arrestati

(inclusi leader di Lashkar-e-Tayyiba, Jaish-e-Mohammed 67). Per quanto attiene alla situazione interna, bisogna anche ricordare gli episodi di violenza che si stanno verificando nel Pakistan stesso68, tra cui i massacri in una chiesa di Islamabad (nel marzo 2002, in cui sono morte 5 persone, tra cui 2 americani) e presso un albergo di Karachi (nel maggio 2002, con l’uccisione di 13 persone, tra cui 11 ingegneri francesi), che possono essere letti come atti di pressione degli estremisti sul Generale Musharraf. Ultimamente, nel mese di agosto 2002, si sono verificati altri due preoccupati attentati terroristici (senza rivendicazione) che hanno preso di mira la locale comunità cristiana (un ospedale ed una scuola). Il governo pakistano ha accusato i nemici dello Stato, la cui strategia sarebbe quella di creare instabilità e problemi al Paese e di aprire un divario tra le comunità cristiana e musulmana69.

65 Che avrebbero potuto prendere la forma di interventi rapidi e mirati verso le basi terroristiche oppure della conquista di territorio al di là della linea di controllo che divide il Kashmir indiano da quello pakistano (per interdire o limitare il flusso di terroristi in entrata). 67 Veggasi il capitolo sui gruppi terroristici. Fonte: Patterns of global terrorism 2001. 68 Non bisogna dimenticare che il Generale Musharraf ha messo al bando gruppi islamici estremisti. 69 Corriere della Sera, 10 agosto 2002 (R.E.).

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In considerazione dell’importanza che attualmente riveste (per l’Occidente) la scelta del Generale Musharraf di appoggiare la coalizione internazionale e in particolare gli Stati Uniti, nella lotta al regime Talibano e ad Al-Qaida70 - la situazione è ancora più complessa. In particolare, è plausibile che gli Stati Uniti preferiscano che l’esercito del Generale Musharraf venga schierato a nord del Pakistan, allo scopo di scovare i militanti di Al-Qaida - che potrebbero aver trovato rifugio nell’area tribale proprio al confine con l’Afghanistan - piuttosto che a sud per fronteggiare le truppe indiane. Per un verso, è sempre più diffusa l’opinione che Talibani e membri di Al-Qaida si siano infiltrati in alcune delle maggiori città del Pakistan, alla ricerca, per giunta , di nuovi obiettivi71. A conferma di tale ipotesi, l’11 settembre 2002, le forze di sicurezza pakistane – in collaborazione con la Cia – hanno arrestato a Karachi un luogotenente di Usama bin Laden, Ranzi Binalshibh, insieme ad altri militanti72. L’India, da parte sua, sembra non avere dubbi circa il fatto che gli attacchi terroristici abbiano origine dal territorio pakistano. Inoltre, sempre secondo l’India, sono riapparsi campi di addestramento di terroristi nella parte del Kashmir controllata dal Pakistan. Nel giugno 2002, si è registrato un raffreddamento della situazione: l’India ha levato il divieto di entrata nel suo spazio aereo posto cinque mesi prima nei confronti dei mezzi civili pakistani; ha ritirato la proprie navi dalle acque vicine al Pakistan; ha nominato un ambasciatore per Islamabad. Tali iniziative sarebbero conseguite alla constatazione delle diminuite infiltrazioni terroristiche dal Pakistan. Prima di compiere altri passi, comunque, l’India pretenderebbe un’ulteriore diminuzione delle attività terroristiche e l’inizio dello smantellamento dei campi. Secondo fonti indiane, riportate dalla stampa73, le infiltrazione avrebbero registrato un nuovo incremento alla fine di giugno. Nel mese di luglio, si è addirittura verificato un nuovo attentato, al quale l’India non ha risposto. Nuove escalation sarebbero negative per le elezioni previste in Kashmir per l’autunno 200274; per l’India è importante convincere i locali partiti politici a non boicottare l’appuntamento elettorale e ad accettare soluzioni nel segno di una maggiore autonomia. Per quanto riguarda la situazione all’interno del Pakistan, nel mese di agosto 2002, il Presidente Musharraf ha emendato la Costituzione, assumendo nuovi poteri ed assicurando che le proprie prerogative non potranno essere messe in discussione dall’esito delle elezioni previste per il 10 ottobre 200275.

70 Secondo fonti pakistane, apprese dalla stampa, nei primi mesi del 2002 si sarebbero svolti fino a 50 raid contro Al-Qaida, compresi quelli che hanno portato alla cattura, a Faisalabad, del numero 3 dell’organizzazione, Abu Zubaydah. 71 Non bisogna dimenticare i legami (di cui si parlerà in seguito) di Al-Qaida con i gruppi Jaish-e-Muhammad e Lashkar-e-Taiba 72 Olimpio, 2002. Tale arresto si aggiunge a quello di Abu Zubaydah, considerato il numero tre di Al Qaida, operato sempre in Pakistan nei primi mesi del 2002. 73 Fonte: The economist. 74 In autunno si dovrebbero tenere le elezioni nel Kashmir controllato dall’India che, secondo il Primo ministro indiano, saranno “libere e giuste”. 75 Cremonesi, 2002.

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Intanto, a causa dell’appoggio fornito agli americani, Musharraf sarebbe divenuto il principale obiettivo di Al Qaida e dei locali gruppi terroristici ad essa alleati76.

76 The Economist. Sembra che in aprile Al Qaida avesse sistemato un’autobomba (che non è esplosa) su una strada presa da Musharraf a Karachi. Sembra che si sia formata una nuova coalizione, dal nome di Laskar-e-Omar, che include elementi di Al-Qaida e dei gruppi pakistani messi fuorilegge (Jaish-e-Mohammad, Laskar-e-Taiba, Laskar-e-Jangvi) Fonte: The New York Times, 3 luglio 2002 in Second report of the monitoring group, 9/2002. Si veda anche il capitolo dedicato ai gruppi terroristici.

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3.2 IL MEDIO ORIENTE77

3.2.1 LA QUESTIONE ISRAELO-PALESTINESE78 Per avere una chiave di lettura dell’attuale assetto geopolitico del medio oriente, è indispensabile un riferimento, seppur veloce, alla questione palestinese. Come già anticipato nel capitolo che precede, la fine della prima guerra mondiale aveva condotto all’assegnazione alla Gran Bretagna del mandato sulla Palestina - intesa come la fascia di terra che dal Mediterraneo porta al fiume Giordano. Nel periodo che separa le due guerre mondiali, nella terra palestinese, si era assistito ad un significativo afflusso di ebrei , con la creazione di colonie e kibbutz (fattorie collettive), nonché insediamenti militari. Da tutto ciò deriva la protesta del popolo palestinese[1]79. Quando si era ormai a ridosso degli eventi che porteranno alla nascita dello Stato di Israele, il suddetto insediamento aveva portato alla presenza ebrea su una fetta di territorio inferiore, comunque, al 10% della Palestina[1]. Nel 1947, la comunità internazionale interviene con la

risoluzione n. 181 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che prevede la spartizione della Palestina tra i due popoli (ebreo e palestinese) e l’affidamento di Gerusalemme al controllo internazionale[1]. L’azione militare israeliana prende avvio, in una Palestina ancora sotto il mandato britannico, nel marzo 1948 (piano Dalet) e conduce gli ebrei ad una prima unificazione ed espansione delle terre sotto il loro controllo. Nel maggio dello stesso anno gli israeliani

77 Le cartine geografiche inserite nel capitolo sono tratte dal sito internet della Central Intelligence Agency CIA www.cia.gov 78 Le principali fonti di informazione sono state Al-Rahman 2002 [1], The Economist [2], Scarcia Amoretti 1998 [3], Sema 2002 [4], Strazzari 2002 [5], Abu-Sitta 2002 [6], Schiavo 2002 [7], Desiderio 2002 [8]. 79 Nel 1917, con la dichiarazione di Balfour, la Gran Bretagna promette la costituzione di una nazione per gli ebrei. Ne consegue una consistente immigrazione, che però genera la protesta araba. Per mantenere l’equilibrio nella regione, con un documento segreto, la Gran Bretagna decide allora di limitare l’afflusso degli ebrei. Di fronte a questa situazione, inizia un’attività di terrorismo urbano da parte degli ebrei contro i britannici. Negli anni trenta, le persecuzioni naziste provocano ulteriori ondate di immigrazione ebrea in Palestina, che generano la rivolta araba. Il terrorismo ebreo si rivolge quindi anche contro gli arabi. Dopo la seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna cerca ancora di limitare l’afflusso degli ebrei, molti dei quali vengono dirottati su Cipro. La lotta terroristica viene quindi intensificata (tra i capi delle organizzazioni clandestine figurano personaggi di spicco dei futuri governi israeliani) finché nel 1946 una bomba distrugge il locale alto comando britannico. La Gran Bretagna decide di rivolgersi alle Nazioni Unite per uscire da quella situazione e l’ONU adotta la risoluzione del 1947, che prevede la creazione di due Stati in Palestina, con la fine del mandato britannico. Informazione interamente tratta da Amici, Piazza, 2002.

Tratto dal sito internet della CIA 1

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occupano una fascia di territorio, che assume la forma di una N, composta da una striscia costiera, dalla pianura del Marj bin ‘Amer fino al Giordano a nord del lago di Tiberiade80[1].

Il 14 maggio 1948 viene proclamato lo Stato di Israele. A questo punto, il territorio sotto controllo ebreo è ancora una piccola porzione della regione. I palestinesi ricordano questo evento come la Nakba, ossia la catastrofe[1]. Gli israeliani continuano ad occupare porzioni di territorio intorno alla originaria N, fino all’11 giugno, quando si assiste alla prima tregua[6]. Il conflitto riprende l’8 luglio e nel giro di una decina di giorni (fino alla seconda tregua del 18 luglio) l’esercito israeliano realizza altre significative conquiste: in particolare, a nord, parte della Galilea (compresa la città di Nazareth) e, più a sud, terre che consolidano il corridoio che conduce a Gerusalemme81[6]. Dopo la seconda tregua, le operazioni militari portano il territorio sotto controllo israeliano ad estendersi alla Palestina meridionale ed al Negev (fino al Mar Morto ed al Golfo di al-‘Aqaba) e, a nord, all’intera Galilea. Solo la striscia di Gaza resiste all’impatto[6]. Inoltre, il re ‘Abdullah cede ad Israele una fetta di territorio nella Palestina centrale[6].

La guerra ha sostanzialmente fine nel luglio 1949; i Paesi arabi confinanti intervenuti nel conflitto, ossia l’Egitto82, il Libano, la Siria, la Transgiordania e l’Iraq sono sconfitti[6]. A questo punto, Israele si estende su un territorio più ampio di quello previsto dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 1947; in particolare, comprende anche l’intera Galilea ed ampie zone della Palestina centrale, compresa Gerusalemme ovest[6]. In ogni caso, l’esito del conflitto si rivela distruttivo soprattutto per gli stessi palestinesi: oltre all’espansione di Israele, la striscia di Gaza passa sotto il controllo egiziano e la Cisgiordania viene inglobata dalla Transgiordania, con la nascita della Giordania. Una minoranza di palestinesi rimane in Israele, mentre la maggioranza sono fuggiti nei Paesi vicini, sistemandosi nei noti campi profughi (soprattutto in Giordania)83. La linea di armistizio del 1949 che separa Israele dalla Cirgiordania e da Gaza è detta la “linea verde” [6].

80 In quella striscia erano già compresi alcuni importanti centri come Jaffa,, Haifa, Tiberiade, Safad, nonché parte di Gerusalemme ovest. 81 Viene, altresì, eliminata un’ultima resistenza palestinese a sud di Haifa, completando in quella zona la continuità territoriale dello Stato di Israele. 82 L’armistizio con l’Egitto è firmato già nel febbraio 1949. 83 Secondo dati del United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees, la destinazione, al gennaio 2000, dei rifugiati palestinesi è la seguente: 1.565.400 in Giordania, 583.172 nel West Bank (Cisgiordania), 823.881 nella striscia di Gaza, 376.542 in Libano, 383.361 in Siria [2].

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Il 1967 è l’anno della guerra arabo-israeliana detta dei sei giorni84. La miccia viene innescata da ‘Abd al-Nasir, Presidente di un Egitto che ha allora assunto un ruolo di guida del mondo arabo. Nasir chiude alla flotta israeliana l’accesso al Mar Rosso85; ne consegue il fulmineo attacco di Israele, che distrugge a terra l’aviazione egiziana, occupa la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza[3]. La Siria e la Giordania, entrate in guerra a fianco dell’Egitto, perdono rispettivamente le alture del Golan86 e la Cisgiordania[3]. I territori conquistati nel 1967, però, non sono considerati da Israele come “annessi” (ad eccezione di Gerusalemme est), ma semplicemente “occupati”[3].

Questa occupazione viene condannata da risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel 1967 e nel 1968, che impongono ad Israele di ritirarsi fino ai confini precedenti al conflitto[1]. A seguito di questa “occupazione”, inizia comunque da parte di Israele una politica di insediamenti ebraici. Da parte dei palestinesi viene continuata un’azione di guerriglia nei territori occupati, a partire dalla Giordania e dal Libano meridionale. Questo comporta, chiaramente, rilevanti conseguenze anche in questi ultimi Paesi87, come si specificherà in seguito[3].

84 Secondo l’analisi di Michael Oren, pubblicata dalla Oxford University [2], le cause della guerra del 1967 sono essenzialmente riconducibili a tre fattori. In primo luogo, allora i Paesi arabi non avevano ancora accettato l’esistenza e la legittimità di Israele. Il conflitto politico si traduceva in raid palestinesi e rappresaglie israeliane. Scontri aerei e d’artiglieria con la Siria si verificarono nell’aprile del 1967. Il primo ministro israeliano, però, era determinato a prevenire le tensioni con la Siria, che avrebbero acceso un conflitto più ampio. Nasser, dal canto suo, non riteneva che gli arabi fossero ancora pronti ad una nuova guerra. Un secondo fattore da considerare era la guerra fredda in corso. L’Unione Sovietica riteneva fosse vantaggioso mantenere uno stato di tensione nella regione. Nell’aprile 1967, i sovietici avvertirono erroneamente gli egiziani, che Israele si stava preparando ad un’invasione della Siria. Il terzo fattore che avrebbe portato alla guerra sarebbe stato la eccessiva fiducia nei propri mezzi del Capo delle forze armate egiziane. Inizialmente, Nasser non fece altro che inviare le truppe egiziane nella penisola del Sinai. Tale mossa mise in agitazione il mondo arabo e Nasser chiuse lo stretto di Tiran alle navi israeliane. Questo provvedimento fece salire la pressione dei generali israeliani sul primo ministro, in ragione del fatto che mostrare debolezza avrebbe compromesso il potenziale di deterrenza di Israele. Dal canto loro, Egitto, Siria, Giordania e Iraq sembravano avere piani di guerra estremamente coordinati. Colpire per primi sembrò essere la sola via. 85 Deve essere sottolineato che negli anni cinquanta la politica di Nasir si è concretizzata nella nazionalizzazione della Compagnia del canale di Suez, con la conseguente rottura con Francia e Gran Bretagna, che intervengono militarmente appoggiate da Israele; quest’ultimo occupa la striscia di Gaza e la penisola del Sinai. Solo l'intervento dell'ONU, favorito sia dagli Stati Uniti che dall'Unione Sovietica, costringe gli israeliani a ritirarsi. In ogni caso, la conseguenza di questa rottura con le potenze europee è l'avvicinamento dell'Egitto all'Unione Sovietica, che entra così nello scacchiere medio orientale. 86 Le truppe israeliane arrivano vicinissime a Damasco. 87 Ad esempio, in seguito ad un attacco terroristico palestinese lanciato da una base in Giordania, l’esercito Israeliano compie un’incursione nel territorio giordano per catturare i responsabili. Alla fine interviene anche l’esercito di Giordania a difesa dei palestinesi e gli israeliani sono costretti al ritiro (Amici, Piazza, 2002).

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In Egitto a Nasir succede Anwar al-Sadat, che sposta il Paese dalla sfera di influenza sovietica a quella degli Stati Uniti [3]. Nel 1973, si svolge un’altra guerra con Israele88, a seguito della quale l’Egitto, nel 1979, sempre sotto la presidenza di Sadat, giunge ad una “pace separata” con Israele 89, che gli consente di riprendere gradualmente90 il Sinai, ma non la striscia di Gaza; per questa iniziativa, l’Egitto viene condannato dalla “Lega araba”, la cui sede viene spostata dal Cairo a Tunisi91[3]. Nel 1978, qualche mese prima del trattato di pace, sotto la presidenza di Carter, si era svolto negli Stati Uniti, un summit tra Sadat e Begin, conclusosi con gli Accordi di Camp David, che ambivano a tracciare il percorso verso la soluzione della questione palestinese[3]. Un altro evento di rilievo sullo scacchiere israelo-palestinese è lo scoppio della guerra civile del 1982, in Libano, che conduce anche all’invasione delle truppe israeliane, che, quindi, creano pure nel Libano meridionale una zona di occupazione, che sarà mantenuta fino al 2000[3]. Nel 1987, nei territori occupati della Cisgiordania e della striscia di Gaza, scoppia la cosiddetta “prima intifada”, cioè la ribellione del popolo palestinese nei confronti dell’autorità israeliana [3]. La situazione si sblocca il 13 settembre 199392, quando a seguito di trattative tra Israele e l’OLP93 (in esilio dal 1982 a Tunisi), con la mediazione degli Stati Uniti, si arriva alla Dichiarazione dei principi di Washington: è la storica intesa tra Rabin ed Arafat, alla presenza di Clinton[7]. Ne consegue la firma di Rabin e Arafat - al Cairo, il 4 maggio 1994 - dell’accordo detto Oslo I[7]. Con questi passaggi, sostanzialmente, Israele ottiene il riconoscimento da parte dei palestinesi circa il proprio diritto ad esistere, l’OLP cessa di essere considerata un’organizzazione terroristica, vengono poste le premesse per la nascita dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), primo embrione del futuro Stato94[7]. In particolare, quindi, nel maggio 1994 nasce l’Anp, che insiste su buona parte dei territori della striscia di Gaza e sulla zona di Gerico ed inizia un periodo di cinque anni da dedicare ai negoziati in vista dell’accordo finale[8]. Il 1 luglio 1994, Arafat ritorna trionfalmente a Gaza, dopo più di dieci anni di esilio a Tunisi[8].

88 Lo scontro inizia con un attacco a sorpresa di Egitto e Siria, nel giorno del Kippur. Successivamente, intervengono anche truppe irachene. La guerra dura meno di venti giorni. 89 Sadat per questo verrà ucciso da gruppi terroristici islamici. 90 Il processo di restituzione viene portato a compimento nel 1982. 91 La sede della “Lega araba” tornerà al Cairo solo nel 1990. 92 Da notare che nel frattempo c’è stata la Guerra del Golfo. 93 Sul quale si tornerà più avanti. 94 L’ipotesi della nascita di un’Autorità provvisoria di autogoverno palestinese, che sostituisse il governo militare israeliano, era già emersa negli Accordi di Camp David del 1978.

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Un altro positivo effetto del processo di stabilizzazione che era in corso, è stato l’accordo di pace tra Israele e Giordania del 26 ottobre dello stesso 1994, che si aggiunge a quello da tempo stipulato con l’Egitto[8]. Il 28 settembre 1995, il processo di pace tra palestinesi ed israeliani fa un altro passo avanti: viene firmato a Taba, sempre tra Rabin ed Arafat, l’accordo detto Oslo II, che prevede il passaggio di altre zone della Cisgiordania sotto il controllo palestinese[8]. Pochi giorni dopo, Rabin viene assassinato da un colono israeliano, contrario al procedere del negoziato[8]. Nel 1997, nel 199895, nel 199996, fino al marzo 200097, continuano gli accordi per la cessione di territori della Cirgiordania al controllo dell’Anp [8]. Nel maggio 2000, Israele prende una decisione che avrà pesanti ripercussioni sul prosieguo del processo di pace: il ritiro unilaterale dal Libano meridionale [7]. Questa scelta viene diffusamente letta nel mondo islamico come la vittoria della strategia di guerriglia degli Hizbullah sciiti, che ha contrastato l’occupazione ebrea98. A questo punto la situazione precipita. Il passaggio finale del più che quinquennale processo iniziato con la Dichiarazione dei principi di Washington, cioè il raggiungimento dell’accordo finale, naufraga a Camp David, il 25 luglio 2000, sotto gli occhi del Presidente degli Stati Uniti, Clinton; Barak ed Arafat non trovano l’intesa[7]. A fronte della situazione di stallo venutasi a creare, l’OLP annuncia la proclamazione unilaterale, poi rinviata, dello Stato autonomo della Palestina, che sarebbe dovuta avvenire il 13 settembre 2000. Il clima è ormai incandescente e, il 28 settembre 2000, inizia la seconda intifada (l’intifada di Al-Aqsa), scatenata dalla passeggiata di Sharon sulla spianata delle moschee[4]. Inizia, così, quella che sembra essere un’azione di guerriglia condotta congiuntamente da militanti di varie formazioni come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP), Hamas, la Brigata dei Martiri di al-Aqsa e la Jihad islamica[4]. Questi gruppi palestinesi sembra, inoltre, abbiano sviluppato accordi di cooperazione, addestrativa ed operativa, con gli Hizbullah sciiti libanesi, il cui successo contro l’esercito israeliano è preso ad esempio ed ispirazione[4]. Il 22 maggio 2001, a Beirut, Hizbullah ha organizzato addirittura il “Congresso di solidarietà per il supporto all’intifada”; la posizione che è chiaramente emersa è quella

95 Wye memorandum, del 23 ottobre 1998, tra Netanyahu e Arafat. Su questi accordi, che quindi vengono sospesi, si scioglie, però, la coalizione di Netanyahu. 96 I predetti accordi di Wye vengono sottoposti a revisione, con quelli di Wye II o Wye plus, detti anche Sharm el-Sheikh I, che prevedono il ritiro israeliano dall’11% della Cisgiordania, in tre fasi. Dal 25 ottobre 1999, i territori della Cisgiordania e della striscia di Gaza sono collegati dal cosiddetto “corridoio di sicurezza”, una strada lunga 44 chilometri da Eretz a Tarqumiyah, attraverso Israele. 97 Il 5 gennaio ed il 21 marzo 2000, si assiste ai ritiri di Sharm II e Sharm III. 98 Si consideri, in quest’ottica, anche l’offerta di ritiro dal Golan degli israeliani alla Siria, durante le trattative di Ginevra, nel gennaio dello stesso anno [7].

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della condanna della vigente leadership del popolo palestinese, il rifiuto dell’opzione del compromesso con Israele, la scelta della prosecuzione della lotta armata seguendo il vittorioso modello libanese. L’obiettivo di fondo è “islamizzare” l’intifada.99 In ogni caso, è certo che il livello dello scontro che si registra nella seconda intifada è ben più alto di quello della precedente, scoppiata nel 1987[4]. Israele reagisce con una decisa azione del proprio esercito, giustificata da Sharon100 con la necessità vitale di sradicare il terrorismo dalla Cisgiordania, distruggendo anche le infrastrutture del medesimo. Parte, così, l’operazione “muraglia difensiva” (defensive shield); è il marzo 2002[2]. Numerose città sono invase; tra queste Bethlehem101, Beit Jala, Tulkarm, Qalqiliya, Jenin, Salfit, Nablus, Dura, Bir Zeit, Hebron[2]. Arafat, leader dell’Anp, viene assediato ed isolato a Ramallah, la capitale provvisoria della Cisgiordania102: Israele lo accusa di essere il regista della strategia terroristica in atto e, quindi, rifiuta il medesimo come interlocutore103. Arafat viene liberato solo il 2 maggio[2]. Nel contempo, si registrano scontri anche sul confine settentrionale di Israele, dove sono ancora attivi gli Hizbullah [4]. Continuano gli attacchi suicidi nel cuore di Israele104 e le attività militari israeliane. Il governo israeliano, per limitare l’infiltrazione di terroristi suicidi, ha recentemente approvato ed iniziato la costruzione di un “muro”105 per la separazione rispetto ai territori occupati della Cirsgiordania (così come già fatto rispetto alla striscia di Gaza) [2].

99 De Giovannangeli, 2002 100 Oggi, Capo del Governo israeliano e, al tempo dell’invasione del Libano negli anni ottanta, Ministro della Difesa. 101 A Bethlehem circa 200 miliziani, con civili e religiosi cristiani in ostaggio, si sono rifugiati nella chiesa della natività, dove sono rimasti fino all’accordo, raggiunto anche grazie all’intervento diplomatico dell’Unione Europea, che ha garantito l’incolumità degli assediati ed il processo a Gaza o l’esilio dei sospetti di appartenere ad organizzazioni terroristiche; tre di questi ultimi hanno trovato collocazione in Italia, con lo status giuridico di collaboratori di giustizia ed il conseguente trattamento. 102 L’esercito israeliano distrugge anche il quartier generale delle forze di sicurezza dell’Anp, per ottenere la consegna di circa 50 persone sospettate di terrorismo. 103 Una delle principali obiezioni israeliane a chi osserva che Arafat è il leader designato dal popolo palestinese, è che le elezioni del 1996 non si sarebbero svolte secondo regole democratiche (mancata formazione di partiti alternativi, limitazione della libertà di stampa) [2]. 104 A proposito di attacchi suicidi, è interessante la notizia emersa nel mese di agosto 2002, secondo cui i servizi segreti israeliani sarebbero venuti in possesso di una registrazione telefonica, durante la quale la moglie di un capo di Hamas avrebbe rifiutato la martirizzazione del figlio. Questa notizia avrebbe generato reazioni negative tra i Palestinesi: “Preferiscono mandare a morire i poveri dei campi profughi, mentre loro, l’aristocrazia di Hamas ,tengono i figli a casa” (Micalessin, 2002). Secondo un autorevole commentatore la cultura dei martiri suicidi (gli shaheed) è una cultura popolare in crescita, fatta di canzoni, preghiere, insegnamenti nelle scuole. Lo status sociale delle famiglie dei kamikaze è immediatamente innalzato nell’ambito della società palestinese (Cremonesi L., 2002). L’applicazione della strategia degli attacchi suicidi in Palestina avrebbe le proprie origini nel 1992; nell’autunno di quell’anno il gruppo dirigente di Hamas e della Jihad islamica fu deportato da Israele in Libano. Qui la tecnica delle bombe umane aveva cominciato ad essere applicata già dieci anni prima. Il governo libanese rifiuta di farsi carico di questi profughi, che quindi trovano il sostegno degli Hizbullah. La dirigenza palestinese viene riammessa in Israele dopo circa un anno; ormai aveva assorbito il credo degli Hizbullah: il martirio (che è nelle mani dell’uomo) è più importante della vittoria (che è nelle mani di Dio). (Amici, Piazza, 2002). 105 Fatto di barriere, strade, sensori, pattugliamenti, lungo una linea di separazione di circa 360 km.

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Al giugno 2002, la Cisgiordania e Gaza sono divise rispettivamente in 220106 e 4 enclave militari isolate. Israele lancia l’operazione Determined path; l’esercito controlla sette delle otto principali città palestinesi, tra cui Ramallah, Hebron, Tulkarm, Qalqiliya, Bethlehem e Nablus[2]. Proprio il 24 giugno 2002, inoltre, Bush palesa la posizione degli Stati Uniti in relazione all’evolvere della crisi. La più importante affermazione del Presidente Usa riguarda Arafat: il percorso verso la pace avrebbe bisogno di una nuova leadership palestinese. Bush ha auspicato lo svolgimento di elezioni locali entro l’anno, per poi arrivare alla piena implementazione del sistema democratico, sotto una nuova dirigenza politica palestinese. Ove ciò si verifichi, gli Stati Uniti prevederebbero la creazione di uno Stato palestinese entro tre anni, nonché soluzioni provvisorie di sovranità nel più breve periodo. Per quanto attiene all’atteggiamento verso Israele, da quest’ultimo gli USA si aspettano il ritiro sulle posizioni antecedenti all’inizio della seconda intifada, il blocco dell’espansione degli insediamenti e l’assicurazione di libertà di movimento per le persone; tutto ciò man mano che si procederà verso una condizione di maggior sicurezza[2]. Non è ancora chiaro quale potrà essere la reazione dei palestinesi verso questo atteggiamento americano. E’ addirittura ipotizzabile che Arafat possa uscire rafforzato da questa presa di posizione, con la conseguenza di una vittoria anche in occasione della prossima chiamata alle urne[2]. Arafat, dal canto suo, lo stesso 24 giugno, ha indetto le elezioni presidenziali per il gennaio 2003[2]. A tal proposito, nomi emergenti del panorama politico palestinese sono, tra gli altri, quelli di Muhammad Dahlan - precedentemente capo delle forze di sicurezza dell’Anp a Gaza – e Marwan Barghouti – segretario generale della Cisgiodania[2]. Barghouti, dopo l’arresto del 15 aprile 2002 a Ramallah, è accusato di aver diretto un’organizzazione responsabile di vari attentati e sta affrontando il relativo processo in Israele. Barghouti si è dichiarato prigioniero politico, come membro del Consiglio legislativo palestinese108. Le prossime elezioni parlamentari potrebbero indurre alla candidatura anche membri di Hamas109, che sicuramente beneficerebbero, non solo del sostegno alla lotta armata, ma anche delle attività sociali svolte110 a favore del popolo palestinese[2]. Dopo il 24 giugno, Arafat ha rimosso quattro capi delle forze di sicurezza ed ha posto queste ultime sotto un solo comando, facente capo al Ministro dell’interno111. [2]. Da ultimo, l’11 settembre 2002, il parlamento palestinese ha costretto alle dimissioni l’esecutivo di Arafat, il quale ha due settimane di tempo per nominare nuovi ministri. 106 8 zone e 120 checkpoint. 108 Repubblica, 14/8/2002 (L.C.). 109 Il movimento non ha partecipato alle precedenti elezioni del 1996, per protesta contro il processo di Oslo. 110 Veggasi i capitoli successivi, a proposito del movimento di Hamas. 111 Una delle riforme dell’Anp richieste da tempo dall’occidente è l’unificazione delle forze di sicurezza.

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Questa espressione di sfiducia nei confronti di Arafat ha conciso con l’annuncio da parte di quest’ultimo della data delle elezioni presidenziali e legislative: il 20 gennaio 2003. Prima ancora di questa data, c’è chi vorrebbe la nomina di un primo ministro, che confini Arafat ad un ruolo onorifico, con la sostanziale individuazione di un nuovo leader119. Intanto, nel mese di agosto 2002, sono inizialmente falliti vari colloqui tra i responsabili della sicurezza israeliani ed i rappresentanti di Arafat per fermare la violenza nella regione120, mentre Sharon seguitava a dichiarare che non c’è possibilità di accordo politico con l’Autorità palestinese121. Nella seconda metà dello stesso mese, le forze militari israeliane hanno iniziato a lasciare Betlemme. Tale ritiro sarebbe la conseguenza di un accordo raggiunto tra israeliani e palestinesi che precede l’assunzione del controllo della striscia di Gaza e della regione di Betlemme da parte delle forze di sicurezza dell’Anp, con l’impegno di ivi bloccare la violenza e l’organizzazione di attentati in Israele (accordo detto Gaza e Betlemme first). In caso di successo della tregua, il ritiro si potrebbe estendere alla Cisgiordania. L’accordo è rigettato dai gruppi terroristici palestinesi che quindi potrebbero sabotare il medesimo122. Nel luglio 2002, sembrava imminente la proclamazione di una tregua concordata congiuntamente da Hamas, Brigate di Al-Aqsa, Jihad islamica, ma tale possibilità è stata annullata anche da un raid aereo israeliano, nella striscia di Gaza, con il quale è stato ucciso uno dei capi militari di Hamas, Abu Mustafà alias Salah Shehade123,ma anche numerosi civili. Nell’agosto 2002, sono falliti ulteriori tentativi di Arafat di giungere ad un accordo con le fazioni più violente della seconda intifada per arrivare ad un “cessate il fuoco”124. D’altra

119 Franceschini, 2002 120 L’ultima ipotesi di accordo fallito era il cosiddetto Gaza first, secondo cui le forze di sicurezza dell’Anp avrebbero ripreso di controllo di Gaza e se per un certo periodo (forse due mesi) l’Anp fosse riuscita a bloccare i gruppi estremisti, l’esercito israeliano si sarebbe ritirato dalla Cisgiordania occupata. Intanto a Washington (agosto 2002) una delegazione palestinese stava discutendo con i responsabili della Cia alcune proposte per riformare i sistemi di sicurezza dell’Anp (Cremonesi, 2002). 121 Cremonesi, 2002. 122 Cremonesi, 2002. 123 Insieme allo sceicco Yassin capo spirituale di Hamas, avrebbe scritto il comunicato che dette avvio alla prima intifada. Già nel 1986 faceva parte del “gruppo 44”, da cui sarebbe nata l’ala militare di Hamas (Ezzedin Al Qassam). Rimane in carcere dalla fine degli anni 80 fino all’ottobre 2000, quando, dopo l’inizio della seconda intifada, Arafath lo avrebbe fatto liberare (essendo stato consegnato nel 1999, come parte degli accordi di Oslo, all’Anp) (Micalessin, 2002). Salah Sehada sembra fosse una figura chiave della catena di comando che lega Hizbullah all’intifada palestinese (De Giovannangeli, 2002). 124 Le richieste nei confronti di Israele sarebbero la cessazione dell’eliminazione fisica degli estremisti considerati pericolosi, la liberazione dei prigionieri palestinesi, il ritiro delle truppe dai territori occupati. Per contro, però, Hamas, la Jihad ed Al Aqsa non intendono rinunciare al “diritto di resistenza” ed alle missioni suicide (Repubblica, 14/8/2002 L.C.).

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parte, nello stesso periodo, è giunta a maturazione la politica di Sharon di colpire le famiglie dei kamikaze attraverso la distruzione delle case e la deportazione125. Per quanto attiene all’accordo Gaza e Betlemme first, ad agosto 2002, nessun ritiro è stato ancora iniziato da Gaza126. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre 2002, operazioni dell’esercito israeliano nei territori occupati hanno portano a nuove vittime palestinesi; questo nonostante gli attentati suicidi dei terroristi si siano fermati al 4 agosto. Questo fatto ha generato tensione nella stessa società israeliana: il quotidiano israeliano Haaretz ha sottolineato che dal primo agosto al primo settembre sono stati uccisi 49 palestinesi, di cui almeno 30 civili, e ci sono stati almeno 180 feriti. I morti complessivi dall’inizio della seconda intifada, secondo la stessa fonte, sarebbero 1.830 palestinesi e 610 israeliani127. Il verificarsi di questi incidenti rischia sempre più di provocare la rottura della tregua di fatto in corso, essenziale, peraltro, per il successo dell’accordo Gaza e Betlemme first. Dopo l’ultimo episodio che ha portato all’uccisione di quattro palestinesi, il Ministro della difesa ha istituito una commissione incaricata di elaborare “raccomandazioni operative al fine di impedire il ripetersi di tali malaugurati incidenti”128. Proprio all’indomani di questi avvenimenti (il 4 settembre 2002) per la prima volta, Sharon ha dichiarato di intravedere la possibilità di un accordo politico con i palestinesi129. Intanto anche l’Unione Europea ha presentato un piano di pace130. I colloqui di pace tra le due parti sono fermi agli incontri di Taba131 (Egitto, gennaio 2002), dal quale sarebbero emerse (non ne sono scaturiti documenti ufficiali132) le posizioni delle

125 Cremonesi, 2002. Un tribunale militare, nei primi giorni del mese di agosto, ha ordinato l’espulsione di tre familiari di un palestinese ritenuto organizzatore di alcuni attacchi suicidi. Secondo il tribunale, i tre familiari sarebbero stati al corrente dell’attività terroristica del congiunto e nonostante questo gli avrebbero fornito alloggio e protezione. I familiari hanno negato ed hanno fatto ricorso alla Corte suprema, che ha sospeso per 15 giorni il provvedimento perché le espulsioni non sarebbero suffragate da prove certe e da un dibattito approfondito (Repubblica, 14/8/2002 L. C.). il 3 settembre 2002, l’Alta Corte israeliana ha deliberato che due dei tre familiari verranno deportati dalla Cisgiordania a Gaza. Secondo i giudici le responsabilità dei due palestinesi sarebbero state provate “senza ombra di dubbio” e anche in futuro le autorità militari dovranno fornire prove sicure per le eventuali proposte di nuove espulsioni. A fronte delle accuse di violazione della Convenzione di Ginevra, la sentenza sottolinea che quest’ultima vieta ad un potere occupante di espellere all’estero esponenti della popolazione locale, ma Cisgiordania e Gaza devono essere considerate un’unica entità territoriale. I provvedimenti dovrebbero essere letti, quindi, in termini residenza coatta o internamento all’interno del territorio, figure previste dalla Convenzione di Ginevra (Cremonesi, 2002). 126 Cremonesi, 2002. 127 Cremonesi, 2002. 128 Cremonesi, 2002. 129 Corriere della sera, 5/9/2002. 130 Senza voler entrare nel dettaglio, il piano di pace prevederebbe la creazione di uno Stato palestinese provvisorio entro il 2003 e la conclusione di un accordo di pace permanente entro il 2005 (Franceschini, 2002). 131 Tenutisi senza l’usuale partecipazione americana, ma sulla base, comunque, di una proposta di soluzione avanzata dal Presidente Clinton nel dicembre 2000 (essenzialmente, la nascita dello Stato palestinese sul 94-96% della Cisgiordania, con scambi di territori per compensare le annessioni di Israele; la divisione di Gerusalemme est, con i distretti ebrei sotto Israele ed i distretti arabi sotto la Palestina). Vanno anche citati il rapporto Mitchell (che esamina le cause di fondo dell’intifada ed avanza proposte per ridurre le tensioni e ricostruire la fiducia tra palestinesi ed israeliani. Sostanzialmente, all’Anp viene chiesto di impedire le azioni terroristiche ed al governo israeliano di interrompere la colonizzazione e togliere il blocco dei territori, che impedisce ai palestinesi di lavorare in Israele) ed il Rapporto Tenet (giugno 2001, per giungere ad un cessate-il-fuoco). Nel luglio 2002, l’international crisis group ha suggerito che Stati Uniti, Russia, EU e UN, Egitto, Giordania ed Arabia Saudita, si impegnino comunemente per la definizione di un piano di pace che ponga fine al conflitto. A tal proposito,

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due controparti circa i confini del nuovo Stato palestinese133, circa Gerusalemme134 e la questione dei profughi palestinesi135 e dei coloni ebrei136[2]. Secondo la posizione israeliana, l’inizio del processo politico verso la pace non può avvenire prima della riforma dell’ANP né prima che il terrorismo sia sotto controllo[2]. Una delle riforme dovrebbe, inoltre, riguardare l’unificazione delle forze di sicurezza palestinesi, attualmente suddivise in ben dodici entità137[2]. Le complessive proposte di riforma sinora avanzate da Arafat, però, non sembrano soddisfare né Israele né i mediatori statunitensi[2]. Per quanto attiene all’atteggiamento del mondo arabo/islamico, in relazione al procedere della seconda intifada, può essere utile qualche osservazione, così come emerge dall’esame di fonti aperte[2]. Il perdurare e la violenza degli scontri potrebbero portare a notevoli difficoltà in Giordania140 ed in Egitto, Paesi che hanno, come evidenziato, firmato la pace con Israele. Come riportato dalla stampa specie nel mese di aprile 2002, dimostrazioni sempre più preoccupanti sono state all’ordine del giorno[2]. Ricorrenti manifestazioni popolari, specie nei momenti più accesi del conflitto, sono state diffuse nel mondo arabo (Marocco, Tunisia, Sudan, Bahrein, Yemen, ….)142[2].

l’ICG ritiene che l’esercizio di una crescente pressione internazionale, associata alla promessa di risorse finanziarie, osservatori e forze di sicurezza, possa generare una spinta popolare nella giusta direzione. In sostanza lo schema suggerito per i termini dell’accordo, ricalca quello già emerso in passato (scambi territoriali per compensare l’annessione israelina del 4% della Cisgiordania, divisione di Gerusalemme, capitale di due Stati separati, compensazione per i rifugiati palestinesi) (fonte: The Economist). 132 Ciò che è noto circa l’esito dei colloqui di Taba è quanto riportato da Miguel Moratinos, che vi ha assistito quale inviato dell’Unione Europea nel Medio oriente. 133 A Taba, gli israeliani hanno presentato una mappa della Cisgiordania che prevedeva l’annessione del 6% di quella terra, mentre i palestinesi hanno offerto il 3,1%, compensato da un’adeguata cessione di altro territorio in contropartita. 134 Gerusalemme est, come già evidenziato, è stata annessa da Israele in esito al conflitto del 1967. Nell’ambito dei colloqui di Taba sembrava ormai maturato l’accordo circa la divisione di Gerusalemme, capitale di entrambi gli Stati: Gerusalemme ovest, Yerushalaim, capitale di Israele, Gerusalemme est, al-Quds, capitale della Palestina. Per quanto attiene Gerusalemme est, poi, da Taba sarebbe emersa concordia circa il principio generale che la sovranità palestinese dovrebbe coprire i quartieri arabi, mentre la sovranità israeliana i quartieri ebrei e parte del quartiere armeno nella città vecchia. Per quanto attiene ai luoghi santi, il controllo dovrebbe essere attribuito a chi li considera sacri. Ne deriva, ad esempio, che Israele avrebbe la sovranità sul Muro occidentale (o Muro del pianto). Il problema si porrebbe per quei luoghi santi per entrambi le religioni, come il monte del Tempio e Haram al-Sharif (la spianata delle moschee). 135 Stime recenti parlano di circa 5 milioni di palestinesi in esilio, di cui circa la metà sistemati nei 32 campi profughi in Siria, Libano, Giordania. Sembrerebbe che i palestinesi cerchino il riconoscimento del diritto dei profughi di ritornare nelle loro terre, pur non pretendendo di fatto l’assoluta applicazione di questo principio, che ormai lo scorrere degli eventi ha reso irrealizzabile. Molti palestinesi potrebbero trovare soddisfazione tramite meccanismi di compensazione, a valere su un fondo internazionale alimentato anche da Israele. Gli israeliani, da parte loro, sembrerebbero disposti ad accettare il ritorno di circa 25.000 rifugiati, sulla base di uno schema di ricongiungimenti familiari. 136 La proposta annessione ad Israele del 6% della Cisgiordania, risolverebbe il problema per circa l’80% dei coloni. L’idea era quella di mantenere due o tre blocchi di colonie sotto la sovranità di Israele: Gush Etzion, Ariel, Maale Adumim.I palestinesi, a Taba, sembravano disposti ad accettare almeno i primi due insediamenti. 137 Arafat nel giugno 2002, avrebbe accettato tale riforma, proponendo a Tenet (Direttore della CIA) la diminuzione a sei delle forze di sicurezza. Lo stesso Arafat avrebbe anche proposto la riduzione dei ministeri e nuove elezioni nel 2003[2]. 140 Non bisogna dimenticare che circa i due terzi dei giordani hanno origini palestinesi. In Egitto, invece, la situazione sarebbe aggravata dalla crisi economica in atto.

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L’Arabia Saudita, in rappresentanza dei Paesi arabi, chiede agli Stati Uniti un maggior impegno nella crisi medio orientale, per spingere gli israeliani al tavolo delle trattative ed ha proposto un piano di pace143[2]. L’ostilità verso Israele, peraltro, influenza anche l’atteggiamento verso gli Stati Uniti del mondo arabo e musulmano. Anche per questo, gli USA si sono impegnati in una serie di colloqui separati con rappresentanti del mondo arabo (in particolare, Arabia Saudita, Egitto e Giordania), con Arafat e con Sharon, per cercare una via per la soluzione del conflitto. [2] Prima di procedere oltre, occorre fare un cenno, che risulterà utile nel corso dell’analisi, ad un protagonista, già citato, della vicenda palestinese: l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)[3]. L’OLP nasce nel 1964 come una struttura democratica nella quale confluiscono più orientamenti144, tra cui i principali, nel tempo, sono quelli riconducibili a: Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP)145, Fronte popolare per la liberazione della Palestina – Comando unificato146, Fronte popolare democratico per la liberazione della Palestina (FPDLP)147, Sa’iqa148 [3]. L’egemonia in tale ambito è di Al-Fath, movimento nato in Egitto nel 1956, all’interno del quale emerge Arafat[3]. Prima la Giordania e poi il Libano, devono però essere abbandonate e, nel 1982, la dirigenza OLP è costretta a trasferirsi a Tunisi ed i combattenti si disperdono[3].

142 Può essere, altresì, interessante notare che in Turchia (il più “secolarizzato” dei Paesi a religione islamica e tradizionale alleato occidentale) secondo recenti sondaggi di opinione, se dovessero essere indette le elezioni generali, vincerebbe agevolmente un islamista, a capo del partito Ak (partito bianco; A e K sono le iniziali delle parole giustizia e sviluppo, in turco). Non sembra però che il partito abbia orientamenti estremisti o fondamentalisti, quindi una sua eventuale presa del potere potrebbe non essere tale da sconvolgere la politica interna ed estera della Turchia (Fonte: The Economist). Le prossime elezioni erano previste per l’aprile 2004, ma sono state anticipate a novembre 2002, a causa dell’attuale instabilità di governo (Ferrari, 2002). E’ significativo notare che nello stesso mese (agosto 2002) in cui sono state decise le elezioni anticipate, sono state approvate importanti riforme (tra cui l’abolizione della pena di morte, misure di apertura verso la minoranza curda, allargamento della libertà d’espressione), che rappresentano il sostanziale soddisfacimento delle condizioni per un ingresso nell’Unione Europea. Tali riforme sono state votate anche dai parlamentari dell’AK. I colloqui per l’ingresso della Turchia nell’UE potrebbero già iniziare il prossimo dicembre, in occasione del summit di Copenhagen (The Economist) In vista della scadenza elettorale, il panorama politico è in fermento; sul fronte “secolare” sta emergendo sempre più la figura di Kemal Dervis, ex vicepresidente della Banca Mondiale ed ex Ministro del governo Ecevit (Ansaldo, 2002). Appare evidente che la Turchia, da sempre a cavallo tra Europa e Medio Oriente, vivrà un periodo di scelte fondamentali per il suo futuro ed il futuro degli equilibri mondiali. 143 Questo, peraltro, confermerebbe il ruolo guida assunto in questo momento dall’Arabia Saudita nel mondo arabo. Gli stessi sauditi hanno presentato un piano di pace per uscire dalla crisi, basato sul concetto della pace in cambio dei territori. In sostanza, quindi, il ritiro di Israele nei confini precedenti al 1967, in cambio del riconoscimento da parte dell’Arabia Saudita e di tutto il mondo arabo. 144 Spesso riconducibili al “Movimento dei nazionalisti arabi” che, diffuso in molti paesi arabi, scompare dopo la guerra dei sei giorni generando diversi movimenti. 145 Di matrice marxista-leninista, emerso nel 1967, a seguito di un conflitto interno al “Movimento dei nazionalisti arabi”. Il leader più noto è stato George Habbash (veggasi scheda dedicata, nel capitolo sui gruppi terroristici). 146 Nato da una frattura realizzatasi in seno al FPLP. Guidato da Ahmad Jibril, si stacca dall’OLP e continua la sua attività dalla Siria (veggasi scheda dedicata, nel capitolo sui gruppi terroristici). 147 Filiazione di matrice marxista-leninista del FPLP, del 1969. 148 Fondata a Damasco dopo la guerra dei sei giorni, di osservanza ba’thista (partito fautore del socialismo arabo).

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Nel 1987, come già accennato, inizia la sollevazione popolare che va sotto il nome di prima intifada[3]. I negoziati tra Arafat e gli israeliani conducono alla ratifica, nel 1994, del predetto accordo Oslo I [3]. Il conflitto, però, come confermato dagli avvenimenti più recenti, è quanto mai aperto. Dopo questa breve illustrazione dei principali avvenimenti bellici che hanno scosso la regione medio orientale nella seconda metà del XX secolo, si può passare all’esame degli avvenimenti storici e delle caratteristiche essenziali proprie dei singoli Paesi arabi e musulmani, dall’ottenimento dell’indipendenza ad oggi.

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3.2.2 LIBANO149 Il Paese – che, come sottolineato, ha subito la colonizzazione francese - è una repubblica di tipo presidenziale, membro della “Lega araba”, suddivisa in cinque province: Nord

Libano, Beqa’, Libano montano, Beirut, Sud Libano. [1] La popolazione si divide tra sunniti (nell’area più settentrionale), sciiti (soprattutto, nella regione meridionale150) [1] e cristiani maroniti (61%).[2] L’indipendenza del Libano risale al 1943. Nell’occasione venne sancita la natura multiconfessionale del Paese, in base alla quale, in particolare, le massime cariche dello Stato furono suddivise in relazione alla consistenza numerica dei vari gruppi151. L’evoluzione demografica e sociale, con il tempo, ha determinato uno scollamento tra assetto istituzionale e

rapporto numerico tra le varie confessioni; in particolare, è aumentato sensibilmente il numero degli sciiti. Le tensioni esplodono nelle guerre civili del 1975-76 e 1982-83 (che portano ad una rilevante intrusione militare siriana ed israeliana) [1]. Alle suddette tensioni si aggiunge, fin dal 1948, l’esodo dei palestinesi determinato dalla proclamazione dello Stato di Israele152, che porta alla costituzione di numerosi campi profughi (che raccoglievano ancora al gennaio 2000, circa 400.000 individui). [1] Ai fattori interni di instabilità, quindi, si aggiungono le ripercussioni della questione palestinese che, come detto, a seguito dello scoppio della guerra civile, ha determinato l’occupazione di varie parti del territorio libanese: la valle della Beqa’ e la stessa Beirut, da parte dei siriani, il sud del Libano, da parte degli israeliani, in risposta ai movimenti di guerriglia ivi stanziati. [1] Nel 1990, gli eserciti stranieri lasciano il suolo libanese, ad eccezione della cosiddetta fascia di sicurezza mantenuta da Israele nel Sud del Paese. [2] Nel 1991, un trattato con la Siria determina una sorta di protettorato siriano sul Libano (la cosiddetta pax siriana) [1], confermato anche dalla vittoria elettorale dei movimenti filo siriani153.[2]

149 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da Dagradi Farinelli (1993) [1] e dal Calendario atlante De Agostini (2001) [2]. 150 Nella quale, come già detto, operano gli Hizbullah. 151 Si fa riferimento al censimento del 1938. I maroniti ottengono la Presidenza della Repubblica, i sunniti la Presidenza del Consiglio e gli sciiti la vice presidenza della Repubblica e la Presidenza dell’assemblea nazionale (potere legislativo). (Scarcia Amoretti, 1998) 152 La presenza palestinese in Libano aumenta nel 1967, a causa dell’occupazione della Cisgiordania da parte dei Israele, nonché, nel 1970, a causa dell’allontanamento dalla Giordania (vgs. in seguito il riferimento al settembre nero del 1970). 153 Usciti vittoriosi anche dalle elezioni del 2000, che hanno fatto seguito al ritiro israeliano.

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Nel maggio 2000, gli israeliani si ritirano definitivamente dalla fascia di sicurezza del Libano meridionale, ma non per questo termina l’attività degli Hizbullah. Il gruppo etnico largamente dominante (93%) è quello degli arabi. [2] Il Libano, oltre ad essere membro della Lega araba, partecipa anche all’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2] L’economia del Paese è in crisi, caratterizzata da un rilevante indebitamento, pochi investimenti esteri, persistente inflazione ed elevata disoccupazione (intorno al 20%). Il Libano non possiede risorse petrolifere proprie; le raffinerie sono alimentate da oleodotti provenienti dall’Iraq e dall’Arabia Saudita. [2] I Paesi europei hanno recentemente previsto un piano di aiuti finanziari, che vede protagonista la Francia. [2]

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3.2.3 SIRIA154

La Siria, come già evidenziato, è entrata a far parte fin dall’inizio del mondo musulmano, tanto che la dinastia omniade la erige a capitale fino alla sua sostituzione con Baghdad, al tempo degli Abbasidi. Limitandosi alla storia recente, dopo la caduta dell’impero ottomano, con la conferenza di San Remo del 1920, viene stabilito il mandato francese sulla Siria (oltre che sul Libano). Le truppe francesi lasciano il suolo siriano solo nel 1946. Su uno sfondo caratterizzato da un’elevata instabilità politica155, nel 1950, inizia l’ascesa del partito Baath (socialismo panarabo) che conduce al colpo di Stato nel 1963, da parte dei militari che portano al potere il Baath stesso156.[1]

La stabilità arriva, nel 1970, con la presa del potere da parte del Generale Hazef al-Assad, dopo la sconfitta nella guerra dei sei giorni e l’occupazione delle alture del Golan da parte degli Israeliani. [1] Oggi la Siria è una Repubblica, membro della “Lega araba” e dell’OCI, presieduta dal giovane Bashar al-Assad (succeduto ad Hazef), del partito Baath, che esprime anche il Primo Ministro e la maggioranza dell’Assemblea popolare tramite il Fronte nazionale progressista. [2] Come visto, la Siria, dopo l’intervento militare del 1976 nell’ambito della locale guerra civile, mantiene ancora una rilevante influenza sul Libano. Il gruppo etnico largamente dominante (90%) è quello arabo. Nel Paese trovano asilo anche circa 400.000 rifugiati palestinesi (dato aggiornato al gennaio 2000). Dal punto di vista religioso, è presente una minoranza drusa (sciiti). [2] Il sistema giudiziario è basato sul diritto francese e sulla Shari’a. [2] Le risorse petrolifere del Paese alimentano essenzialmente il consumo interno. Nella parte meridionale del Paese passa l’oleodotto saudita Al Qatif-Saida. [2] 154 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da Dagradi Farinelli (1993) [1] e dal Calendario atlante De Agostini (2001[2]). 155 Da non dimenticare che la Siria, dal 1958 al 1961, è stata unita all’Egitto, formando la Repubblica Araba Unita. 156 Dagli anni sessanta, al potere anche in Iraq.

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3.2.4 GIORDANIA157 Come già evidenziato, l’area compresa nell’attuale Giordania ha visto, dagli anni venti, il controllo inglese, finché, nel 1946, nasce il Regno hashemita158 di Transgiordania, che nel 1950 si allarga sulla Cisgiordania159, con la formale annessione della medesima. [1] Il regno, comunque, rimane allora sotto influenza della Gran Bretagna, da cui arrivavano aiuti finanziari. [1]

Nel 1957, viene sventato un tentativo di colpo di Stato dei progressisti e viene scongiurato l’intervento militare di Siria ed Egitto. [1] La guerra dei sei giorni porta l’occupazione militare israeliana della Cirgiordania e, nel 1968-69, la Giordania diviene sempre più terra di insediamento dei campi profughi palestinesi. [1] La crescente influenza dell’OLP induce il monarca Hussein ad intervenire militarmente, nel settembre 1970160 contro i palestinesi161.[1] Nel 1980, Hussein, nel conflitto Iran-Iraq, si schiera a favore di quest’ultimo, creando tensioni con la Siria, favorevole, invece, all’Iran. [1]

Nel 1986, viene iniziata una politica di appoggio della rappresentanza palestinese, che viene abbandonata a causa dell’avvio della prima intifada. In ogni caso, nel 1988, la Giordania rinuncia a qualsiasi diritto sulla Cirgiordania, in modo da agevolare la costituzione di uno Stato indipendente della Palestina. [1] La Giordania è una monarchia costituzionale, membro della “Lega araba” e dell’OCI. Le prime elezioni multipartitiche si sono svolte nel 1993. [2] Il sistema giudiziario si basa sulla legge coranica. [2]

157 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da Dagradi Farinelli (1993) [1] e dal Calendario atlante De Agostini (2001) [2]. 158 I motivi della definizione di hashemita sono stati già chiariti. 159 E diviene, così, Regno di Giordania. 160 E’ il cosiddetto Settembre nero, di cui si tratta anche più avanti. 161 Sulla base di dati aggiornati al gennaio 2000, trovano ancora asilo in Giordania più di un milione e mezzo di rifugiati palestinesi. Un nuovo flusso è stato generato dalla secondo intifanda tuttora in corso; la stampa locale avrebbe parlato di 70.000 palestinesi illegalemente installatisi in Giordania dal settembre 2000. Nel mese di luglio 2002, sarebbero state annunciate nuove regole per l’accoglienza dei palestinesi: a parte casi umanitari, i palestinesi dovrebbero mostrare un invito approvato dal Ministero dell’Interno e provare depositi bancari di almeno 2.800$. Nel frattempo, la Giordania avrebbe anche consistentemente ridotto il numero di palestinesi ammessi ad attraversare un ponte che costituisce punto di entrata nel Regno (fonte: The Economist)

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Attualmente (luglio 2002) il parlamento è sciolto, a seguito di un provvedimento del Re Abdullah, e le elezioni non sono ancora state fissate. In questo momento, in cui la stabilità della Giordania è minacciata dalla questione Palestinese162, non si registrano particolari pressioni internazionali. Funzionari giordani affermano che le nuove misure di sicurezza adottate sono il prezzo della stabilità, in un momento così difficile. D’altra parte, sembra che estremisti islamici giordani siano ritornati dall’Afghanistan per pianificare attacchi contro obiettivi occidentali163. Gli abitanti della Giordania sono prevalentemente arabi (98%) e sunniti (92%)164.[2] I giacimenti petroliferi sono insufficienti anche per il fabbisogno nazionale. [2] Gli Stati Uniti stanno fornendo aiuti alla Giordania, che ha, peraltro, beneficiato di prestiti preferenziali dalla World bank e dal Fondo Monetario Internazionale165.

162 Gran parte dei giordani hanno radici nella Palestina. 163 Fonte: The Economist 164 Il resto cristiani. 165 Fonte: The Economist.

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3.2.5 IRAN166

In questo paragrafo, è interessante riprendere la storia recente dell’Iran dalla significativa rivoluzione cui si è già fatto cenno (cfr. cap. 2). Nel 1978, si assiste ad una protesta popolare nei confronti del regime dello scià, vicino agli Stati Uniti, che si trasforma in rivolta tesa a sovvertire l’ordine costituito. E’ rilevante ricordare il ruolo svolto dalle donne in tale occasione: sembra siano state anche loro ad esprimere una rivendicazione di appartenenza all’Islam, che si sostanziava anche nella resistenza ai tentativi di occidentalizzazione praticati dalla dinastia Pahlavi167. Lo scià reagisce militarmente ed il

processo si conclude, nel 1979, con la sua uscita dall’Iran e l’avvento dell’ayatullah Khomeini168, cui viene conferito il titolo di Imam, non inteso come “Messia”, ma come colui che guida169.[1] Lo sciismo, come in epoca safavide, si propone come istanza unificatrice di un territorio e di una popolazione altrimenti fortemente diversificati. A seguito di un referendum, nasce la Repubblica islamica di Iran e viene approvata la Costituzione. [1] Nel 1980, l’Iraq provoca la nota decennale guerra che finisce nel 1988. L’Iraq, comunque, nell’agosto del 1990 (periodo della crisi del Golfo), accetta tutte le condizioni dell’Iran.

166 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da Dagradi Farinelli (1993) [1], dal Calendario atlante De Agostini (2001) [2], da The Economist [3]. 167 Scarcia Amoretti (1998) 168 Khomeini, uomo di religione sciita, già negli anni sessanta, si pone in contrapposizione con il regime Pahlavi, in nome della difesa dei principi dell’islam. Per questo viene incarcerato e deve, poi, lasciare il Paese. 169 Nessuno è autorizzato a sostituirsi all’Imam, inteso in senso proprio, che farà ritorno alla fine dei tempi.

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Nel 1989, con la morte di Khomeini, sostituito dall’ayatollah Alì Khamenei, e la Presidenza di ‘Ali Akbar Rafsanjani, inizia il riavvicinamento all’occidente. Per la prima volta dall’inizio della rivoluzione, l’autorità religiosa viene divisa dal vertice politico.[1] Oggi il nuovo governo di Khatami cerca di portare avanti un programma di riforme[3], osteggiato dalle autorità religiose, che controllano gran parte di magistratura e stampa. La costituzione, d’altra parte, pone al vertice dello Stato una guida religiosa (nominata da un Consiglio di 84 teologi), che ha il controllo sulle leggi e sugli organi dello Stato, compreso il Presidente della Repubblica. [2] Non è da trascurare neppure il fatto che per essere eletti al Parlamento bisogna essere inclusi in liste dette dei “buoni musulmani”. [2] Khatami è alla ricerca di una formula istituzionale che si presenti al mondo come esempio della coesistenza di un modello sociale pluralista e democratico e dell’osservanza della religione islamica170. Le forze che spingono per le riforme possono essere individuate nel popolo171, nel parlamento172, nella stampa173, in parte degli studenti174. Nel mese di luglio 2002, al coro dei riformisti si è aggiunta anche la voce di un religioso, Ayatollah Jalaluddin Taheri, il quale, tra l’altro, ha attaccato il potere di veto esercitato dai conservatori, che blocca le riforme politiche volute dalla maggioranza della popolazione. In segno di protesta, Taheri ha rinunciato al suo ruolo di leader della preghiera del venerdì di Isfahan.[3] Per comprendere gli attuali equilibri nel Paese, con particolare attenzione devono essere osservate anche le recenti esternazioni dei militari175, che potrebbero essere il segnale della volontà delle forze armate di porsi come soggetto politico176. I rapporti diplomatici con la sunnita Arabia Saudita sono normalizzati [2]. Di recente, è stato firmato un importante accordo di difesa e sicurezza con i sauditi. Nell’agosto 2002, il Presidente Khatami ha fatto visita al leader afghano Karzay, lanciando così il messaggio che l’Iran non può essere considerato estraneo agli equilibri che si verranno a determinare nel confinante Afghanistan177.

170 Nell’estate 2002, l’amministrazione statunitense ha criticato l’inefficacia dell’opera riformatrice del Presidente Khatami (The Economist). 171 Le ultime due elezioni hanno portato al potere Khatami, considerato un riformista. Bisogna però notare che la mobilitazione popolare sta conoscendo un periodo di relativa “apatia” (The Economist). A tal proposito, si apprende dalla stampa (The Economist) che sembra registrarsi una diminuita partecipazione alle recenti dimostrazioni tenute per la commemorazione annuale della grande protesta studentesca che ebbe luogo tre anni or sono. 172 Dominato dai riformisti, che però temono il Consiglio dei Guardiani, che può determinare la loro mancata rielezione nel 2004 e quindi la perdita dell’immunità parlamentare. (The Economist) 173 Negli ultimi tre anni sarebbero stati chiusi settanta giornali. Sembra che ormai la stampa riformista sia stata completamente eliminata (The Economist). 174 Il movimento studentesco sarebbe stato, di recente, colpito duramente. (The Economist) 175 Nel mese di luglio 1999, alcuni ufficiali del corpo dei pasdaran, i guardiani della rivoluzione, hanno chiesto pubblicamente a Khatami di reprimere la rivolta degli studenti nelle università iraniane. Da allora, è divenuta usuale la diffusione delle valutazioni di rappresentanti delle forze armate. In tale ambito, sono ricompresi anche i basigi, l’altro corpo armato di volontari. 176 Fonte: The Economist 177 Chiesa, 2002

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Il Paese non è membro della “Lega araba”, ma partecipa all’OCI. D’altra parte, il gruppo etnico prevalente è quello persiano, seguito da quello degli Azerbaigiani178. Gli arabi rappresentano solo una piccola minoranza. Dal punto di vista religioso, i musulmani sciiti sono la grande maggioranza (93,4%). Il sistema giudiziario si basa sulla Shari’a[2]. Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi iraniani inizia, nel 1909, con la Anglo-Persian Oil Company, rinominata Anglo-Iranian Oil Company, nel 1933. Questa compagnia, di proprietà maggioritaria dell’ammiragliato britannico, influenzava pesantemente la vita politica del Paese[1]. Nel 1951, si assiste alla nazionalizzazione della preziosa risorsa. Da quel momento, la proprietà delle istallazioni è iraniana e vengono solo distribuite concessioni[1]. Nonostante i gravi danni conseguenti alla guerra con l’Iraq, l’Iran è oggi uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio (membro dell’OPEC), prevalentemente destinato alle raffinerie del Paese[1]. All’orizzonte, nell’ottica di incrementare la produzione, potrebbe profilarsi il superamento della ritrosia rispetto all’ingerenza straniera nello sfruttamento della propria risorsa petrolifera: in tal senso, è anche stato recentemente firmato un accordo con l’italiana Eni, per lo sviluppo di un campo petrolifero.[3] Di centrale importanza per l’Iran è l’assetto che assumerà lo sfruttamento delle risorse del Mar Caspio [3]. Su quest’ultimo si affacciano sei Paesi: Iran, Azerbaijan, Russia, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan. [3] Recentemente, la Russia si è unita ad Azerbaijan, Turkmenistan e Kazakhstan nel richiedere una riduzione della “fetta” che sarebbe spettata all’Iran. [3] La Russia avrebbe già firmato un accordo bilaterale con il Kazakhstan, riguardante il Mar Caspio settentrionale e ne avrebbe un altro all’orizzonte con l’Azerbijan. [3] Questo nuovo atteggiamento della Russia, sembra incrementare l’isolamento dell’Iran179, al di là degli effetti negativi sulla suddivisione delle risorse caspiche.[3] Le pressioni statunitensi probabilmente porteranno inoltre alla costruzione del costoso oleodotto attraverso Georgia e Turchia verso il mar Mediterraneo180, che evita l’attraversamento dell’Iran. Anche su tale punto, l’opposizione della Russia non sembra essere più dura come in precedenza[3]. Il progetto sembra, comunque, rallentato dall’instabilità geopolitica delle zone da attraversare, dalla sismicità e dalla crisi finanziaria turca. Come riportato dal Patterns of global terrorism 2001 (PGT2001), l’Iran è ritenuto, dagli Stati Uniti, Paese attivo nella sponsorizzazione del terrorismo internazionale.

178 Veggasi il paragrafo dedicato all’Asia centrale, circa le aspirazioni alla formazione del Grande Azerbaijan. 179 Non bisogna dimenticare, da punto di vista geografico, che in Afghanistan potrebbe instaurarsi un governo alleato degli Stati Uniti e che tale scenario potrebbe aprirsi anche in Iraq, se e quando dovesse cadere il regime di Saddam Hussein. [3] L’Unione Europea ha inoltre differito un accordo di commercio e cooperazione con l’Iran. [3] 180 L’oleodotto BTC (Baku-Tiblisi-Cehyan), di cui si parlerà anche nel paragrafo dedicato all’Asia centrale.

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A proposito della sponsorizzazione dei gruppi terroristici anti-israeliani, il PGT2001 evidenzia anche la fornitura di fondi, addestramento, armi e rifugio all’Hizbullah, ad Hamas, alla Jihad islamica palestinese, al PFLP-GC181. Nel mese di agosto 2002, il Presidente Khatami ha dichiarato che il governo dell’Iran è impegnato affinché nel Paese non possano trovare rifugio Talibani o membri di Al-Qaida182. Oltre che sponsor del terrorismo internazionale, il Presidente Bush, con il discorso sullo stato dell’Unione del gennaio 2002, ha dichiarato di considerare l’Iran uno dei tre componenti dell’ “asse del male”, insieme a Iraq e Corea del Nord. Tale scelta ha avuto ovviamente pesanti conseguenze sul processo di riavvicinamento tra Stati Uniti ed Iran e sugli equilibri interni tra riformisti e conservatori in quest’ultimo Paese.

181 Veggasi relative schede nel capitolo a ciò dedicato. 182 Repubblica, 14/8/2002.

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3.2.6 IRAQ183 Come già accennato nel capitolo sulla storia dell’islam, la conferenza di San Remo del 1920, conseguente alla prima guerra mondiale, assegna il mandato sull’Iraq alla Gran

Bretagna. Il Paese diviene indipendente nel 1930. Dopo la seconda guerra mondiale, l’Iraq attua una politica estera antisovietica (patto di Baghdad, 1955). [1] Nel 1958, è significativo l’accordo stretto con la Giordania, in chiave conservatrice, in contrapposizione ad Egitto e Siria184.[1] Questi legami (patto di Baghdad e federazione con la Giordania) vengono recisi dal colpo di stato militare del 1958, che conduce alla Repubblica e, nella sostanza, ad una dittatura personale del Generale Karim Kassem. [1] L’opposizione al regime realizza un altro colpo di stato nel 1963, che porta al potere il partito Baath (socialismo

arabo)185. Un altro intervento militare, nel 1968, sancisce la vittoria dell’ala estremista del Baath, appoggiata dai sunniti. [1] Questo conduce al patto di cooperazione e di amicizia con l’Unione Sovietica, del 1972, che apre all’entrata al governo anche dei comunisti. [1] Dal 1979, Saddam Hussein è sia Presidente della Repubblica che Capo del governo[1]. Si è già detto della guerra con l’Iran, scoppiata, nel 1980, per la sovranità sullo Shatt al Arab.[1] Nell’agosto del 1990, l’Iraq invade il Kuwait186 (nel cui territorio si trova il ricco campo petrolifero di Rumailah), rivendicando la sua appartenenza alla provincia di Bassora sotto l’impero ottomano. L’invasione è condannata sia dall’ONU che dalla stessa “Lega araba”, di cui l’Iraq fa parte. [1] Nel gennaio 1991, una coalizione multinazionale bombarda e poi invade temporaneamente il Paese, liberando il Kuwait. [1]

183 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2]. Le informazioni circa gli avvenimenti più recenti sono tratte da The Economist [3] o da altre fonti di stampa indicate in bibliografia. 184 Che dal 1958 al 1961, costituiscono la Repubblica Araba Unita. 185 Al potere anche in Siria dal 1963. 186 Con l’intenzione di farne la diciannovesima provincia dell’Iraq.

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Dopo la “guerra del Golfo” (battezzata Desert storm dagli americani), in un Iraq sottoposto a sanzioni delle Nazioni Unite187, gli sciiti della regione di Bassora approfittano della situazione per insorgere, ma la rivolta è repressa nel sangue [1]. Al nord, sono i curdi a ribellarsi, ma subiscono il medesimo destino188. Politicamente, i curdi iracheni sono concentrati in due partiti, tra loro contrapposti, ma che attualmente stanno sempre più cooperando189: il Partito democratico curdo (concentrato nella parte centro occidentale del Kurdistan iracheno, guidato da Masud Barzani190) ed il Partito dell’Unione Patriottica curda (nella parte nord orientale, guidato da Jalal Talabani191). I curdi irakeni possono contare su circa 50.000 uomini in armi, che controllano una vasta area nel nord del Paese. Essi devono fronteggiare la minaccia rappresentata dall’esercito irakeno dal sud, anche se il loro spazio aereo è protetto da statunitensi e britannici. Bisogna considerare, inoltre, che la Turchia192 e l’Iran hanno, al loro interno, significative minoranze curde e, quindi, seguono con attenzione l’evoluzione delle rivendicazioni di questa etnia in Iraq. Dal canto loro, non sembra che l’obiettivo finale dei curdi irakeni sia l’indipendenza, ma un assetto federale dell’Iraq, nell’ambito del quale godere di sufficiente autonomia193. Per quanto attiene alla disponibilità dei medesimi ad impegnarsi in un’offensiva sul modello afghano, questa non sembra possa essere data per scontata, in quanto pare che Saddam Hussein stia già concedendo una certa autonomia in cambio della promessa di non belligeranza194. Dall’incontro dell’agosto 2002 tra opposizione irachena e Stati Uniti (su cui si tornerà più avanti) sarebbe, comunque, emersa anche “l’opzione curda” consistente nella concessione, da parte dei curdi, dell’uso del loro territorio come testa di ponte per l’eventuale offensiva contro l’Iraq195.

187 La risoluzione 661 del 1990 ha imposto l’embargo alle esportazioni petrolifere irachene. Nel 1991, a causa delle conseguenze sulla popolazione di tale politica, è stata approvata la risoluzione 706, che introduce l’oil for food program, che permette vendite di petrolio per finanziare acquisti per scopi umanitari. La risoluzione 712 dello stesso anno fissa il limite per OFFP ad 1,6 miliardi di dollari per un periodo semestrale. Nel 1995, la risoluzione 986 autorizza il concreto avvio di OFFP. Solo nel 1996 l’Iraq firma un Memorandum d’Intesa con cui accetta di utilizzare i ricavi della vendita del petrolio (decurtati dei fondi per la riparazione dei danni di guerra) per i previsti scopi umanitari. Le esportazioni iniziano nel dicembre dello stesso anno. Negli anni successivi, l’OFFP viene propogato ed adeguato con successive risoluzioni. E’ in corso un confronto nell’ambito delle Nazioni Unite per imporre un nuovo sistema di smart sanctions – un piano per togliere la maggior parte delle restrizioni sui beni destinati a scopi civili, rendere più stringente l’embargo sulle armi e chiudere le lucrative rotte di contrabbando irachene. http://www.msnc.com/news/789768.asp (sito Newsweek) 188 I curdi riparano in Turchia ed Iran, dove sono allestiti campi profughi. 189 http://www.msnbc.com/news/789768.asp (Newsweek) 190 La posizione geografica impone buoni rapporti con la Turchia, che mantiene una costante presenza militare nella “fascia di sicurezza anti-Pkk” (almeno 20 chilometri all’interno del territorio iracheno) (Trombetta, 2002). 191 La posizione di confine con l’Iran determina buone relazioni con quest’ultimo Paese (Trombetta, 2002). 192 Non bisogna dimenticare che la Turchia combatte, al proprio interno, la ribellione dei curdi turchi (basti pensare all’attività del PKK). Inoltre, si registra la presenza in Iraq di una cifra tra gli 800.000 ed i 2 milioni di turcomanni. 193 L’ipotesi all’altro estremo sarebbe l’aspirazione alla conquista non solo dell’indipendenza dall’Iraq, ma anche la riunificazione di tutte le terre considerate curde anche in Siria, Iran, Turchia (compreso il Kirkuq iracheno, ricco di petrolio) (The Economist). Nel caso in cui venga privilegiata l’opzione federale, sembra che i curdi aspirino ad un ampliamento della regione sotto il loro controllo, che arriverebbe ad estendersi su zone strategiche per la presenza di oleodotti (quello che dall’Iraq arriva al Mediterraneo via Turchia), dighe, risorse petrolifere (Trombetta, 2002). 194 Caretto, 2002. Dal maggio 1992 la zona curda ha assunto lo statuto di “regione autonoma” all’interno dello Stato unitario iracheno (Trombetta 2002). 195 Zampaglione, 2002.

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Nell’Iraq, il gruppo etnico dominate è quello arabo (77%), seguito da una consistente presenza curda (19%).[2] Il regime al potere è sunnita, ma nella popolazione prevale la componente sciita (sciiti 62%, sunniti 34%).[2] Il sistema giudiziario si basa sulla legge coranica. [2] L’Iraq è membro, oltre che della Lega araba, anche dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2] I principali giacimenti petroliferi del Paese si trovano nella regione di Kirkuk e Mosul, assegnati all’Iraq, nel 1926. Lo sfruttamento della risorsa petrolifera inizia nel 1927 da parte della Iraq Petroleum Company, multinazionale comprendente inglesi, americani, tedeschi e francesi. [1] Tra il 1972 ed il 1975, tutto il settore viene nazionalizzato. [1] Il potenziale estrattivo del Paese è enorme ma la capacità di produzione ha risentito delle vicende belliche che hanno visto protagonista il Paese. L’Iraq è membro dell’OPEC, ma gli attuali equilibri di mercato, in ragione del persistente embargo, sono tali in assenza dell’offerta irachena, compensata, sostanzialmente, dall’Arabia Saudita; quest’ultima anche per questo ha assunto nuove posizioni di potere sullo scacchiere medio orientale196.[1] Oleodotti portano il petrolio anche in Siria197 e Turchia198.[2] Ancor oggi, le sanzioni ONU prevedono un accordo detto “oil for food”, regolato da un apposito Comitato, detto Comitato 661, che permette la vendita di petrolio in cambio di beni di prima necessità destinati alla popolazione199. Per la fine delle sanzioni, con la risoluzione 1284/1999, le Nazioni Unite hanno chiesto l’immediato, incondizionato e libero accesso degli ispettori militari ONU in Iraq. Solo una conseguente dichiarazione della United Nations Monitoring, Verification and Inspection Commission (UNMOVIC), che certifichi la distruzione di tutte le armi di distruzione di massa e la realizzazione di un sistema di monitoraggio e verifica, potrebbe permettere alle Nazioni Unite di concedere il ritorno degli investimenti delle imprese petrolifere straniere. Dopo l’apertura in tal senso del primo agosto 2002, da parte di Saddam Hussein, il ritorno degli ispettori ONU – senza condizioni e limitazioni di movimento – è ritornata ad essere un’opzione in discussione, come alternativa ad un attacco militare statunitense. Come emerge dall’esame del Patterns of global terrorism 2001200, l’Iraq è ritenuto, dagli Stati Uniti, Paese sponsor del terrorismo internazionale. Secondo il PGT2001, l’Iraq fornisce

196 Nell’ambito del quale, peraltro, non pesa più la minaccia militare irachena. 197 Oleodotto chiuso in occasione della rottura delle relazioni diplomatiche, avvenuta nell’aprile del 1982, durante il conflitto Iran-Iraq. 198 Questo oleodotto ha assunto importanza strategica durante la guerra con l’Iran e in relazione alla chiusura dell’oleodotto “siriano”. 199 Nel 2001, si stima che le vendite di greggio siano state pari a 19 miliardi di dollari. http://msnbc.com/news/789768.asp (Newsweek). 200 Di cui si parlerà nel capitolo dedicato ai gruppi terroristici.

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basi, in particolare a gruppi terroristici come il Mujahedin-e-khalq, il PLF, l’Organizzazione Abu Nidal201. Significativi contatti sarebbero stati presi anche con il PFLP202. A ciò si aggiunga la creazione di una forza speciale – l’esercito di Al Quds – per la liberazione di Gerusalemme, pronto a marciare verso la città santa, non appena gli altri Paesi arabi consentiranno il passaggio dei loro confini [3]. Oltre ad essere considerato tra gli sponsor del terrorismo internazionale, l’Iraq è anche annoverato, dagli Stati Uniti, tra i componenti dell’ “asse del male”, insieme ad Iran e Corea del Nord. Bush ha annunciato - in occasione di un discorso del primo giugno all’accademia militare di West Point - che gli Stati Uniti adotteranno una politica difensiva, ma preventiva; in altre parole, saranno possibili interventi americani per prevenire attacchi piuttosto che per rispondere ad attacchi. Chiaramente, tale politica è rivolta, in primo luogo, ai Paesi che sponsorizzano il terrorismo o che hanno programmi di armamento nucleare204. Alla fine del mese di luglio 2002, le intenzioni statunitensi di rovesciare con la forza il regime iracheno sono state anticipate da notizie stampa205, secondo cui sarebbe stato prossimo un attacco militare americano. Sembra addirittura che fossero già stati consultati, a Londra, circa settanta ex alti ufficiali delle forze armate di Saddam Hussein; a ciò si aggiunga l’incontro, tenutosi nell’agosto 2002 a Washington, con sei leader curdi e dell’opposizione in esilio206. Le ipotesi formulate sulla stampa a proposito dell’azione militare contro l’Iraq sono diverse207: un attacco su tre fronti (nord, sud, ovest) da parte di circa 250.000 militari americani e

di truppe britanniche. Per l’attuazione di questa opzione ci sarebbe bisogno di basi in Kuwait, Arabia Saudita, Giordania e Turchia; impiego di poche migliaia di elementi delle truppe alleate sul terreno (in particolare

forze speciali) e di un massiccio fuoco aereo, per sostenere una guerra intrapresa dai locali gruppi di opposizione. L’operazione si aprirebbe con una penetrazione dall’Iraq settentrionale e, quindi, il piano necessita della Turchia come base di partenza; attacco americano concentrato su Baghdad ed altri centri nevralgici, con l’obiettivo di

decapitare il regime impedendone un’efficace reazione, specie con armi non convenzionali (la principale preoccupazione per questa campagna militare, vista la situazione senza vie d’uscita nella quale potrebbe trovarsi Saddam Hussein). In questo caso, potrebbero essere impiegati fino ad 8.000 militari.

201 Si ricordi la recente morte a Bagdhad di Abu Nidal, capo storico di ANO. Nel capitolo sui gruppi terroristici, una scheda è stata dedicata anche all’organizzazione Abu Nidal. 202 Veggasi le schede sui singoli gruppi terroristici, nel capitolo a ciò dedicato. 204 Tale nuovo orientamento sarà ratificato con la prossima presentazione al Congresso della “strategia per la sicurezza nazionale” del Presidente. 205 Caretto, 2002 206 Veggasi anche più avanti circa l’opposizione interna al regime iracheno. 207 The Economist e Corriere della Sera.

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Alla notizia dell’intenzione statunitense di intervenire unilateralmente, sono emerse opposizioni e perplessità tra gli alleati208, la Russia209, la Cina, l’India, la Turchia 210 e tra i Paesi arabi e perfino nell’ambito degli Stati Uniti. Lo stesso Brent Scowcroft (ex Consigliere della sicurezza di Bush senior ed attuale Presidente del Consiglio dei 40, autorevole organo consultivo della Casa Bianca) ritiene che debba prima essere affrontata la questione palestinese (la più importante per l’islam) e solo successivamente la minaccia Saddam Hussein. Un’inversione delle priorità farebbe saltare gli equilibri nella regione e comprometterebbe anche la guerra al terrorismo e ad Al-Qaida. Saddam Hussein cavalca proprio questo sentimento definendo il popolo palestinese come eroica avanguardia dell’islam e mantenendo la citata armata di Gerusalemme211. Da ultimo, in occasione del vertice dei Ministri degli Esteri, tenutosi il 31 agosto 2002 in Danimarca, l’Unione Europea ha definito la sua posizione nel senso di ricondurre la crisi nell’alveo delle Nazioni Unite, puntando innanzitutto al rientro degli ispettori ONU in Iraq; in caso di insuccesso le conseguenze saranno valutate nella sede del Consiglio di sicurezza212. Teoricamente, la linea di condotta degli Stati Uniti potrebbe essere anche quella di non ritenere necessaria una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, essendo sufficiente, secondo gli USA, la reiterata violazione delle precedenti risoluzioni. Il Presidente Bush ha comunque più volte ribadito che prima di un eventuale attacco consulterà gli alleati.

208 Sin da luglio la Germania insieme con la Francia aveva dichiarato che per un nuovo intervento in Iraq sarebbe necessaria una preliminare risoluzione dell’ONU (posizione francese ribadita da Chiraq a settembre – Altichieri, 2002). Successivamente la Germania ha irrigidito ancora la sua posizione, ribadendo la necessità di tentare la strada della ripresa delle ispezioni ONU, per verificare i piani iracheni di fabbricazione di armi di distruzione di massa; l’attacco all’Iraq avrebbe forti effetti destabilizzanti nella regione (in Corriere della sera, R.E. 2002). Il giorno 20 agosto 2002, un piccolo gruppo di individui – definitosi parte della sconosciuta “opposizione democratica irachena in Germania” – ha occupato l’Ambasciata trattenendo una decina di ostaggi. In poche ore le forze speciali tedesche hanno risolto la situazione, anche perché gli assalitori non avevano con sé armi. Il gesto dimostrativo sarebbe stato rivolto all’opinione pubblica tedesca dato che nel comunicato rilasciato dal gruppo si legge:”…inteso a far capire al popolo ed al governo tedesco che il nostro popolo aspira ad essere libero e agirà per questo.” Una fonte dell’opposizione in esilio attribuirebbe all’occupazione il significato di protesta contro il cancelliere Schroder, che critica la prospettiva di un intervento militare americano in Iraq. (Valentino, 2002). Anche Blair ha mostrato inizialmente cautela rispetto alla prospettiva dell’intervento militare (in Corriere della sera, R.E. 2002). Da ultimo, all’inizio di settembre, Blair ha promesso la prossima pubblicazione di un dossier sulle prove raccolte circa il riarmo di Saddam Hussein, che giustificherebbero l’uso della forza. Con riferimento all’Onu, Blair ha dichiarato che questa deve essere il mezzo per affrontare la situazione, non lo strumento di chi vuol evitare di farlo. (Altichieri, 2002). Questo progressivo avvicinamento alla posizione statunitense è culminato nelle dichiarazioni di settembre, successive all’incontro con Bush a Camp David, su cui ci si soffermerà più avanti. 209 Secondo la Russia un attacco all’Iraq avrebbe conseguenze negative nel mondo arabo; la guerra ad Usama bin Laden e a Saddam Hussein sono due problemi molto diversi. Dalla Russia viene sottolineato, altresì, che non esistono prove concrete di un sostegno dell’Iraq ad Al Qaida né della possibilità che armi chimiche o biologiche siano state fornite ad estremisti islamici (Farkas, 2002). 210 Negli ultimi giorni di agosto 2002, sono arrivate dichiarazioni di opposizione ad un intervento unilaterale armato degli Stati Uniti anche da Cina, India e Turchia (Ansaldo, 2002). 211 Caretto, 2002. 212 Una possibilità potrebbe essere quella di far adottare al Consiglio di sicurezza una risoluzione che richieda l’entrata, senza condizioni e limiti, degli ispettori e preveda essa stessa l’intervento militare in caso di inadempienza (Bonanni, 2002; Altichieri, 2002).

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In tale ottica si stanno svolgendo (mese di settembre 2002), una serie di colloqui bilaterali213. Le prime reazioni da parte di Francia, Germania, Russia e Cina214 sono state ancora critiche rispetto all’ipotesi dell’intervento armato. La posizione maggiormente favorevole agli Stati Uniti si è rivelata essere quella della Gran Bretagna215: i due Paesi sarebbero d’accordo nel perseguire la strada di un intervento dell’ONU per l’apertura dell’Iraq ad “ispezioni coercitive”216 e, in caso di inefficacia di tale soluzione, attacco militare tra ottobre 2002 e gennaio 2003217. In tale contesto, l’ultima proposta di Chirac è quella di ricorrere al Consiglio di sicurezza dell’ONU per un ultimatum di tre settimane affinché siano riammessi gli ispettori “senza condizioni”. In caso di rifiuto si potrebbe discutere dell’opzione militare (Caretto, 2002) Il Presidente del Consiglio Berlusconi, dopo essersi incontrato con i dirigenti del partito popolare europeo, il 14 settembre è stato a colloquio con Bush a Camp David.218 Nel medesimo periodo (settembre 2002) per quanto attiene all’atteggiamento dei Paesi arabi, è rilevante sottolineare una dichiarazione del monarca giordano Abdallah II: “La responsabilità per gli eventuali sviluppi futuri ricadrebbe tutta, in ultima analisi, sulle politiche sin qui seguite dalla stessa dirigenza irachena”219. Dal canto suo, l’Amministrazione americana sembra si stia ricompattando a favore dell’attacco all’Iraq. Intanto, circolano insistenti sulla stampa riferimenti al “possesso di armi di distruzione di massa, non solo chimiche e batteriologice”220 e circa “legami tra l’Iraq ed Al Qaida”221. Da parte sua, il capo degli ispettori delle Nazioni Unite ha dichiarato che non ci sono prove che indicano che l’Iraq stia producendo armi di distruzione di massa, ma ci sono “ancora molte domande a cui non è stata data una risposta”222.

213 Sembra che questi contatti riguarderanno, in particolare, Gran Bretagna, Russia, Cina, Francia, Canada. In relazione a tale possibilità, il Commissario UE alle relazioni esterne ha insistito che “ogni Nazione deve muoversi nel quadro dell’ONU”.(Caretto, 2002) 214 Il Presidente cinese ha rivelato di aver detto a Bush che “le risoluzione dell’ONU vanno rispettate, come la sovranità e l’integrità territoriale dell’Iraq (Caretto, 2002). 215 Caretto, 2002. Blair, dopo un incontro con Bush a Camp David, nei primi di settembre, ha dichiarato: “la Gran Bretagna deve essere pronta a pagare un prezzo di sangue: se pensassi che l’azione militare è sbagliata non la sosterrei”. Il Ministro degli esteri ha aggiunto: “Dare prova d’illimitata pazienza con l’Iraq sarebbe irresponsabile, nessun altro Paese ha violato a questo punto le disposizioni dell’ONU ed ha ostinatamente perseguito il riarmo” . Successivamente, ancora Blair: “Giusto affrontare Saddam attraverso l’ONU, ma se Saddam ignorerà ancora le decisioni dell’ONU l’azione scatterà…L’ONU deve essere il mezzo per neutralizzare la minaccia del rais, non per evitarla” (Caretto, 2002). 216 Per “ispezioni coercitive” si intenderebbero ispezioni appoggiate di una forza militare in stand by che garantisca collaborazione (Gardels, 2002). 217 Caretto, 2002. 218 Fuccaro, 2002. Di Caro, 2002. 219 Cianfanelli, 2002. 220 Secondo Cheney, Saddam Hussein sta cercando attivamente ed aggressivamente armi atomiche (Caretto, 2002). Secondo l’Istituto di Studi Strategici Internazionali (IISS), l’Iraq potrebbe, con “aiuti esterni”, ottenere l’atomica in pochi mesi. Senza tali aiuti, ci vorrebbero 5 anni. Inoltre, Saddam non possiederebbe i mezzi per attaccare a lunga distanza con armi chimiche e batteriologice (Caretto, 2002). Secondo il giornale tedesco Bild, per l’utilizzo di queste armi potrebbero però essere impiegati Mig 23 russi a comandi automatici con un raggio di 1000 Km (Caretto, 2002). Alle affermazioni del IISS, il vice Presidente iracheno ha ribattuto che qualunque Paese potrebbe costruire un ordigno nucleare con l’aiuto esterno (Cianfanelli, 2002). 221 Caretto, 2002. Si veda anche quanto riportato nel capitolo dedicato ai gruppi terroristici a proposito dell’organizzazione Al Ansar. 222 Cianfanelli, 2002.

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Il contesto è reso ancora più incerto e confuso dalla lettera indirizzata, il primo agosto, da Saddam Hussein alle Nazioni Unite, con cui il dittatore iracheno rivolge un generico invito al responsabile degli ispettori ONU per un prossimo incontro. D’altra parte, il Ministro delle difesa statunitense Rumsfeld ha dichiarato che dopo quattro anni223 le prove della produzione di armi di distruzioni di massa potrebbero essere state occultate in modo da renderne estremamente difficile l’individuazione da parte degli ispettori ONU [3]. Il periodo di forti pressioni statunitensi sui leader e sull’opinione pubblica mondiali è culminato nelle dichiarazioni di Bush davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite tenutasi il 12 settembre 2002. Dopo un intervento del Segretario Generale Kofi Annan, che ha ribadito che le Nazioni unite sono l’unica legittimazione possibile224, Bush ha indicato la strada che verrà seguita nelle prossime settimane dagli Stati Uniti: si lavorerà ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza (probabilmente nei termini già concordati con la Gran Bretagna) per poi rispondere militarmente in caso di inadempienza. Per quanto attiene al sostegno della propria linea, la Casa Bianca riferisce la convinzione del Presidente che “al momento giusto molti alleati lo appoggeranno”225. In effetti, dopo il ricompattamento interno dell’Amministrazione americana226, sembra che anche l’Europa stia andando (settembre 2002) verso il sostegno dell’iniziativa americana in seno all’Onu227. L’unica significativa incognita ormai è la posizione che assumeranno le potenze con diritto di veto (Russia e Cina). Secondo dichiarazioni del 15 settembre 2002 del Ministro degli Esteri saudita, sembra che in caso di mandato Onu anche l’Arabia Saudita potrebbe aprire all’uso delle basi militari nel suo territorio228. In caso di mancato accordo in seno all’Onu, Bush ha dichiarato (14 settembre 2002) che se gli Stati Uniti dovranno affrontare il problema da soli lo faranno229. I tempi dell’eventuale intervento230, nonostante inizialmente si parlasse addirittura dell’autunno 2002, sono incerti.

223 Gli ispettori ONU sono stati esplulsi dall’Iraq nel 1998 e da allora non vi sono stati controlli sulla produzione di armi di distruzione di massa. 224 Altre affermazioni significative di Kofi Annan: “nessuna nazione può agire da sola”, “chi sostiene la funzione della legge nel proprio Paese non può non sostenerla all’estero” (Buccini, 2002). 225 Caretto, 2002. 226 Per quanto attiene poi al fronte interno con il Congresso, la Casa Bianca ha diffuso ai membri di tale istituzione un dossier di 22 pagine (dal titolo “Un decennio di menzogne e provocazioni”) che, senza particolari nuove rivelazioni, raccoglie le accuse contro Saddam Hussein (le violazioni delle risoluzioni Onu, gli ostacoli alle ispezioni per il disarmo, la repressione interna, il sostegno al terrorismo, le violazioni dell’embargo, la detenzione di prigionieri stranieri) (Olimpio, 2002) 227 Il 14 settembre 2002, Bush ha dichiarato che Berlusconi, Blair, Aznar ed il Presidente polacco sono tra coloro che hanno raggiunto le sue stesse conclusioni (Caretto, 2002). 228 Caretto, 2002. 229 Caretto, 2002. 230 Non si fa riferimento ai tempi tecnici della preparazione dell’attacco. A tal proposito, si consideri che nella regione gli Stati Uniti mantengono una presenza “ordinaria” di circa 50.000 elementi, con importanti basi logistiche in Kuwait e Qatar [3]. Nel mese di settembre, sembra che il Ministro della difesa Rumsfeld abbia prospettato un attacco nell’inverno (Caretto, 2002). Dopo l’incontro del 14 settembre 2002, Berlusconi ha collocato non prima di gennaio-febbraio 2003 un eventuale attacco (Di Caro, 2002). Condoleeza Rice parla invece di novembre-dicembre 2002 (Caretto, 2002)

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In caso di attacco americano, secondo fonti di intelligence statunitensi, citate dalla stampa, la strategia di difesa irachena sarebbe quella di evitare scontri armati in campo aperto, puntando ad impegnare il nemico in scenari di guerriglia urbana, per causare, di conseguenza, numerose vittime civili (che avrebbero un negativo riflesso sull’opinione pubblica occidentale)231. Secondo il Washington Post, la questione del petrolio può avere un ruolo determinante nell’esito del confronto con l’Iraq232. Tra l’altro, l’immissione sul mercato delle risorse irachene ridimensionerebbe non poco l’influenza internazionale saudita. Saddam Hussein si starebbe adoperando per migliorare i propri rapporti con i Paesi arabi della regione, in modo da rafforzare il fronte contrario ad un intervento militare statunitense. [3] In occasione dell’ultimo anniversario della vittoria del 1988 sull’Iran, Saddam Hussein ha dichiarato: “Ci rammarichiamo di ciò che è accaduto. Non nutriamo odio né cattivi propositi verso il popolo iraniano. Speriamo che dimentichi e che collabori con noi all’allacciamento di rapporti prammatici di buon vicinato233”. Da ultimo, Baghdad ha anche riconosciuto il Kuwait, che prima considerava la sua diciannovesima provincia [3]. La situazione irachena, anche ove fosse possibile un intervento militare per rovesciare Saddam Hussein, comunque, riserva molti interrogativi, in relazione alla mancanza di coesione delle forze di opposizione e all’assenza di una leadership alternativa in grado di subentrare. Può essere utile tracciare un elenco delle principali componenti dell’universo dell’opposizione irachena234: Congresso nazionale iracheno: formato da curdi, sciiti e gruppi di sinistra fondato a

Vienna nel 1992235 - guidato da Ahmad Chalabi. Ha base a Londra e ad Amman; Accordo nazionale iracheno: formato da ufficiali dell’esercito e funzionari del partito

Baath e guidato dallo sciita Ayad Alawi; Consiglio iracheno libero: è una derivazione dell’Accordo nazionale iracheno, guidato

da Sa’ad Jabr ed ha base a Londra; Partito comunista iracheno; il gruppo potrebbe avere un buon sostegno all’interno

dell’Iraq ed è guidato da Aziz Muhammad. Ha base in Londra. Nel mese di luglio 2002, il Partito comunista iracheno assieme agli sciiti di al-Da’wa ed altri gruppi minori ha formato la “Coalizione delle forze nazionali irachene” , avente l’obiettivo di deporre Saddam Hussein a opera del popolo iracheno, senza interventi esterni. Oggi, il Pci è localizzato soprattutto nella zona curda, dove mantiene buoni

Secondo una dichiarazione del sottosegretario Usa White, a luglio sarebbero stati rafforzati gli armamenti in Kuwait ed un contingente di circa 6.000 uomini sarebbe ormai ai confini con l’Iraq. Inoltre, tra agosto e settembre, gli Stati Uniti avrebbero inviato nel Golfo Persico mezzi corazzati, navi ed aerei cisterna (Caretto, 2002). 231 Miller, Hendren, 2002. 232 Caretto, 2002. 233 Caretto, 2002. 234 Fonte principale: http://www.msnbc.com/news/789768.asp source: Foreign Policy in Focus Think Tank 235 Trombetta, 2002.

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rapporti con il Pdk e l’Upk. Si sta registrando anche un avvicinamento all’Assemblea suprema per la rivoluzione islamica236; Assemblea suprema per la rivoluzione islamica in Iraq: rappresenta l’opposizione

sciita, con cellule operanti soprattutto nel sud del Paese. E’ guidato da Muhammad Baqer al-Hakim. Il movimento può contare su 8-10.000 uomini organizzati nelle Brigate Sadr (dal nome dello sciita Muhammad Baqir al-Sadr, giustiziato a Baghdad nel 1980) ed oggi ha assunto un ruolo di maggior rilevanza rispetto alla storica formazione al-Da’wa237; Partito dell’unione patriottica curda; Partito democratico curdo; Movimento monarchico costituzionale: capeggiato dal sunnita erede al trono Sharif Ali

Bui Hussein (cugino di Faisal, deposto nel 1958) che da Londra chiede elezioni parlamentari rivendicando per sé la carica di Capo dello Stato; Adman al Pachachi: precedentemente Ministro degli Esteri, era stato proposto dagli Stati

Uniti come la figura che avrebbe potuto unire le fazioni opposte a Saddam Hussein. Nel mese di agosto 2002238, i leader del Congresso Nazionale Iracheno, dell’Accordo Nazionale Iracheno, dell’Assemblea Suprema per la Rivoluzione Islamica in Iraq, del Movimento Monarchico Costituzionale, del Partito dell’Unione Patriottica Curda e del Partito Democratico Curdo, si sono incontrati presso il Dipartimento di Stato americano con i vertici dell’Amministrazione statunitense, per pianificare il dopo Saddam Hussein. L’incontro costituirebbe fase preparatoria per una prossima più ampia conferenza di tutti gli oppositori di Saddam Hussein, che per adesso sembrerebbero essere ancora un fronte eterogeneo e diviso239.

236 Trombetta 2002. 237 Trombetta, 2002. 238 Un altro incontro si era tenuto nel luglio 2002 (Barry, Gutman, 2002). 239 Caretto, 2002. Secondo il Washington Post dietro l’apparente facciata di unità offerta nei giorni dell’incontro, ci sarebbe la Burson-Masteller, una delle più celebri società di pubbliche relazioni del mondo (Farkas, 2002).

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3.2.7 AFGHANISTAN240

Quello occupato dall’attuale Afghanistan è stato terreno dello scontro tra l’impero safavide e l’impero moghul, di cui si è precedentemente trattato (nel capitolo sul percorso dell’islam nella storia). L’Afghanistan nasce nel XVIII secolo per iniziativa di Ahmad Shah, dell’etnia pashtu, che riesce a creare un contesto unitario, di cui diviene re, nell’ambito di una struttura che, comunque, rimane tribale. [1] Il Paese, nel XIX secolo, assume un importante ruolo nel confronto tra la Gran Bretagna - preoccupata di garantire la sicurezza delle proprie posizioni, soprattutto in India - e la

Russia, che cerca di espandersi nell’Asia centrale. [1] Negoziati, campagne militari e guerre si succedono per tutto il secolo, finché, nel 1887, Inghilterra e Russia fissano le zone di reciproca competenza. Nel 1902, l’Afghanistan diviene indipendente, ma la Gran Bretagna, in cambio di sostegno economico, mantiene il controllo della politica estera. [3] Negli anni venti, il Paese raggiunge la piena indipendenza ed inizia un percorso di riforme [3], osteggiato, però, dai conflitti etnici interni e dal timore dei capi tribali di perdere le prerogative garantite dalla tradizione. Con la creazione del Pakistan, nel 1947, l’Afghanistan perde il ruolo di Stato cuscinetto che lo aveva sempre caratterizzato[3], e si sposta verso l’Unione Sovietica, da cui riceve aiuti per lo sviluppo economico241. Negli anni settanta si succedono due colpi di stato, l’ultimo dei quali, ad opera dei militari, porta alla proclamazione di una repubblica popolare di stampo comunista ed all’invasione dell’esercito sovietico, nel 1979242.[1]

240 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1], Calendario Atlante De Agostini (2001) [2], Sciarcia Amoretti (1998) [3]. Le informazioni circa gli avvenimenti più recenti sono tratte da The Economist [4] o da altre fonti di stampa indicate in bibliografia. 241 L’Unione Sovietica appoggiava anche le rivendicazioni dell’Afghanistan su una zona del Pakistan occidentale. 242 Tale episodio fu da molti interpretato come un pericoloso avanzamento dell’Unione Sovietica verso il Golfo Persico [4]

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Inizia così un lungo periodo di scontro tra la macchina bellica russa, che sostiene il governo, ed i guerriglieri. Questa fase si conclude nel 1989, con il ritiro dell’esercito sovietico243.[1] Si apre, però, un nuovo periodo di scontro (etnico e religioso, tra sunniti e sciiti) per la presa del potere, che nel 1994 vede emergere i sunniti Talibani. Le guide del movimento hanno spesso studiato in strutture religiose pakistane (madrass). Essi, partendo dalla conquista di Kandahar[3], ottengono il controllo di gran parte del Paese a discapito degli avversari uniti nell’Alleanza del Nord. Quest’ultima formazione è guidata formalmente da Rabbani (vgs. nota nel paragrafo) e militarmente dal generale Massud (di etnia tagica)244. La leadership dei Talibani è riconosciuta in Maulvi Muhammad ‘Umar, proveniente dal Partito islamico (Hizb-i Islami), uno dei partiti già attivi sulla scena politica245[3]. Anche la fase di dominio dei Talibani si è chiusa, a seguito dell’intervento militare occidentale, che ha appoggiato l’Alleanza del Nord246. Oggi si sta ricercando una formula di governo che permetta la pacifica convivenza di realtà anche fortemente differenziate dal punto di vista culturale, linguistico e organizzativo. A seguito della Conferenza di Bonn, Hamid Karzay è stato nominato Presidente ad interim (confermato, come si vedrà più avanti, dalla recente loya jirga) ed è stato deciso di far rientrare l’ex re, Muhammad Zahir Shah, da circa trent’anni in esilio a Roma. Il difficile obiettivo da perseguire nell’opera di ricostruzione democratica del Paese è quello di trovare il giusto equilibrio tra le aspirazioni dell’Alleanza del Nord, a dominanza tajika247, e l’etnia pashtu. Nel mese di giugno 2002, si è svolto un granconsiglio – loya jirga – per decidere il nuovo capo di Stato e la configurazione del nuovo governo. Al loya jirga hanno partecipato leader locali, tribali e religiosi (in tutto circa 1.500 delegati248). 243 Più avanti, ci si soffermerà sulle conseguenze di tale scontro, per quanto attiene allo sviluppo della figura di Usama bin Laden. 244 Raccoglie anche il movimento del generale Dostum (etnia uzbeca) e fazioni sciite. 245 Le altre formazioni già attive erano quelle dell’Associazione islamica (Jami’at-i Islami), facente capo a Rabbani, ed il Movimento rivoluzionario (Harakat-i Inqilabi), riferimento della comunità sciita di Kabul e Qandahar, guidato da Arif Muhsayni. Un’altra formazione vicina allo sciismo è il Partito dell’Unità (Hizb-i wahdat) il cui capo, Mazari, è stato ucciso dai Talibani nel 1995. All’interno del Partito islamico vi è anche una corrente rivale a quella di provenienza di ‘Umar, facente capo a Hikmatyar. 246 Vale la pena ricordare, l’uccisione, a opera di Al Qaida (alleata dei Talibani), del già citato Ahmed Shah Massud, capo dell’Alleanza del Nord, avvenuta il 9 settembre 2001. Poco tempo prima Massud aveva chiesto l’aiuto dell’occidente, contro quei terroristi che presto – avvertiva – avrebbero colpito Stati Uniti ed Europa. Tale uccisione può essere letta – sia in chiave logica che cronologica – come preparatoria all’attacco dell’11 settembre, visto che l’eliminazione del capo carismatico dell’Alleanza del Nord avrebbe plausibilmente diminuito la forza di questa fazione, che era prevedibile sarebbe stata appoggiata dall’occidente. La missione sembra sia stata affidata a due militanti, residenti in Belgio, ivi impegnati ad alimentare le locali cellule del Gruppo combattente tunisino (veggasi scheda dedicata nel capitolo sui gruppi terroristici). (Olimpio, 2002) 247 In particolare, la fazione tagika proveniente dalla valle del Panjshir. 248 L’individuazione dei distretti e dei gruppi aventi il diritto di indicare un delegato, non sempre si è svolta senza contestazioni o incidenti. Ad esempio: otto candidati sono stati uccisi; ad Herat, i delegati sono stati imprigionati; sono stati riportati numerosi casi di corruzione, intimidazione ed infiltrazione criminale; i pashtu si lamentano di essere sottorappresentati. Nel mese di febbraio, è stato ucciso il Ministro dell’aviazione civile e, in aprile, c’è stato un attentato al Ministro della difesa. Da non dimenticare, poi, l’uccisione - all’inizio del luglio 2002, con la loya jirga appena conclusa – di Haji Abdul Qadir - anch’esso di etnia pashtu – vice di Karzay. e governatore di Nagarhar. [4]

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Il principale ostacolo era riadattare la composizione etnica del governo stesso, in attesa dell’approvazione della nuova costituzione e delle conseguenti elezioni, previste dopo circa 18 mesi. Intanto, era rientrato dall’esilio l’ex re Zahir Shah, rimasto in esilio per 29 anni, a Roma. Quest’ultimo aveva dichiarato, comunque, di non voler restaurare la monarchia.[4] La loya Jirga si è conclusa con la conferma proprio di Karzay, minimi spostamenti negli equilibri di potere nel governo249. Nel nuovo governo è confermata quindi la forte influenza della componente tagika, che ha mantenuto, tra l’altro, i ministeri della difesa e degli affari esteri. L’altro significativo problema da affrontare è quello di ristabilire l’ordine, atteso che il mandato della ISAF (International Security and Assistance Force) è attualmente limitato a Kabul. [4] Al di fuori di questa zona, si assiste ancora a scontri tra fazioni rivali, per il controllo del territorio, che l’attuale governo afghano non è in grado di impedire. Spesso i comandanti locali contestano l’autorità centrale251: si crede, peraltro, che alcune zone beneficino ancora dei proventi del commercio dell’oppio. Le stime circa l’attuale situazione parlano di circa 75.000 soldati e 100.000 miliziani ancora sotto il controllo di comandanti locali. I governatori regionali sarebbero, peraltro, dotati di notevole autonomia; figure di spicco sono: Ismael Khan, a Herat (tagiko sciita), Gul Agha a Kandahar, Rashid Dostum a Mazar-i-Sharif (potente generale uzbeko)252. Nel mese di luglio, Karzay è stato oggetto di un primo attentato, dopo che nel mese di giugno era stato ucciso il suo vice, governatore della provincia di Jalalabad. In questa città, poi, nel mese di agosto, si è verificato quello che inizialmente è stato ipotizzato essere un attentato terroristico253. Le ultime dichiarazioni delle Autorità sono nel senso della natura accidentale dell’episodio. Nel mese di settembre, un doppio attentato dinamitardo nella città di Kabul254 è invece stato attribuito, da fonti governative, ad Al Qaida255. Nello stesso giorno, a Kandahar, qualcuno ha aperto il fuoco sul Presidente Karzay e sul locale governatore, che però non sono rimasti uccisi256. Uno degli attentatori viene identificato in un ex componente della polizia dei Talibani257.

249 Nicastro, 2002. 251 Ancora nel mese di agosto 2002, ad esempio, un “signore della guerra” (che controllerebbe circa 6.000 miliziani) sfida l’autorità centrale nella provincia di Paktia, piazzando posti di blocco, rifiutando di consegnare le armi e minacciando di destabilizzare la regione [4]. 252 Caprile, 2002 253 Sono esplosi (26 vittime afghane) i depositi di una società di costruzioni stradali (prima ONG antitalebana) nata con il sostegno americano ai tempi della difesa antisovietica, per la costruzione delle necessarie infrastrutture (Nicastro, 2002). 254 Le esplosioni (la più disastrosa delle quali provocata con la tecnica dell’autobomba) hanno causato numerosi morti e feriti. 255 Nicastro, 2002. 256 Olimpio, 2002. 257 Mo, 2002.

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Da alcuni viene avanzata l’ipotesi che dietro agli attentati degli ultimi mesi ci sia Gulbuddin Hekmatyar, in passato rivale di Massud258, che ha chiamato alla Jihad contro il governo di Karzay e contro i militari della forza multinazionale a Kabul. Gulbuddin Hekmatyar ha di recente dichiarato di non essere affiliato ad Al Qaida. Al quadro che precede si aggiunga pure che le forze della coalizione stanno ancora dando la caccia, soprattutto nella parte orientale del Paese - al confine con il Pakistan - ai membri di Al-Qaida e del regime dei Talibani, che si ritiene si trovino tuttora in quelle zone. I Paesi stranieri hanno mostrato disponibilità per sostenere la costituzione delle forze armate e di polizia del nuovo Afghanistan259, mentre non appare ipotizzabile un allargamento del mandato ISAF.[4] Dal canto loro, gli Stati Uniti manterrebbero il controllo di due grandi basi aeree afghane (a Bragram e Kandahar) che costituiscono un importante vantaggio strategico nella regione260. Il gruppo etnico più numeroso è proprio quello pashtu, seguito dai tagiki (sunniti). Si registra anche una rilevante presenza di Azeri (sciiti) ed Uzbechi. [2] La maggioranza è sunnita (75%). La componente sciita assomma il 24% della popolazione. [2] Dal punto di vista “economico”, vale la pena evidenziare che, nel 1999, l’Afghanistan pare abbia prodotto il 75% del totale mondiale del papavero da oppio261. L’attuale governo ha bandito la coltivazione dell’oppio, ma sembra che gli agricoltori, in mancanza di alternative praticabili262, stiano nuovamente volgendo la loro attenzione a questa attività. Stime preliminari delle Nazioni Unite, indicano che il potenziale produttivo per l’anno 2002 ha già raggiunto le 1.900-2.700 tonnellate di oppio. A questo già preoccupante quadro, si aggiunga l’incremento dei sequestri di eroina nella regione, indice dello sviluppo di una autonoma capacità di lavorazione263. All’indomani dell’intervento alleato, per contribuire alla ricostruzione dell’Afghanistan è stata creata la Afghan Assistance Coordination Authority, per gestire i contributi di 61 Paesi donatori e di numerose NGO (organizzazioni non governative). Gli investimenti del settore privato sono in attesa di un miglioramento della situazione dal punto di vista infrastrutturale e della sicurezza. Un consistente aiuto è atteso dal Afghanistan Reconstruction Trust Fund, gestito dalla Banca mondiale. [4] 258 Nicastro, 2002. Gulbuddin è stato uno dei protagonisti della guerriglia contro l’Unione Sovietica, ma anche della guerra civile seguita al disimpegno russo. Sarebbe tornato clandestinamente in Afghanistan, nella zona di Herat. 259 L’intenzione sembra essere quella di creare una forza di polizia di 75.000 elementi ed un esercito di 80.000 militari. 260 Nicastro, 2002. 261 Nel 2001 il regime talibano aveva vietato la coltivazione dell’oppio, ma non ha fermato la sua “esportazione”, che attingeva dai depositi situati per lo più lungo il confine con il Tajikistan (Deledda, 2002). 262 Per la mancanza non solo di sementi, ma anche di reti d’irrigazione, infrastrutture per la commercializzazione (Deledda, 2002) 263 Deledda, 2002.

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Un elemento in più per comprendere l’importanza strategica dell’Afghanistan: il Paese può costituire fondamentale punto di passaggio delle risorse (in particolare, petrolio e gas naturale) derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti dei confinanti Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakhstan. E’ una soluzione alternativa rispetto alla via russa o iraniana264. Il 30 maggio l’Afghanistan ha firmato con il Turkmenistan ed il Pakistan un protocollo d’intesa per la costruzione di un gasdotto per portare sull’Oceano indiano il gas del Mar Caspio265.

264 Brisard, Dasquié, 2002. Per un’analisi più approfondita, si veda il capitolo sull’Asia centrale. 265 Nicastro, 2002.

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3.2.8 ARABIA SAUDITA266 Con riferimento all’Arabia Saudita, può essere utile soffermarsi sul percorso storico che conduce alla sua attuale configurazione, atteso il ruolo guida che oggi ha nel mondo arabo e musulmano. Un evento di particolare importanza è l’incontro, a metà del XVIII secolo, tra il predicatore Mohammed Bin Abdul Wahhab267 (allontanato dalla regione di origine per il suo radicalismo religioso basato sulla rigorosa interpretazione letterale delle sacre scritture) e la tribù dei Saud, che controllano l’oasi di Dir’iyyah. [3] Ne segue un periodo di forte espansione territoriale dei Saud, cui reagisce, all’inizio del XIX secolo, l’impero ottomano, arrivando a distruggere la stessa Dir’iyyah. [3]

Nonostante la grave sconfitta, lo Stato saudita rinasce, con capitale a Riyadh, ma le lotte interne lo portano al dissolvimento nel 1880. [3] All’inizio del XX secolo, un discendente della dinastia saudita, Abd al-Aziz in esilio in Kuwait, appoggiato, contro gli ottomani, dagli inglesi e da Lawrence d’Arabia, riporta alla luce, nel 1918, un emirato autonomo nella regione di Neged268.[3] Comincia un nuovo periodo di espansione269 dei sauditi, sempre seguaci della dottrina wahhabita270, frenata solo dalle pressioni inglesi, che vedono minacciati gli equilibri dai medesimi creati nel medio oriente. [3] Si arriva così, nel 1932, alla fondazione del “Regno dell’Arabia Saudita”271, sulla base di un assolutismo teocratico e semifeudale. [3] Le ricchissime risorse petrolifere della regione attirano le compagnie americane; già nel secondo dopoguerra opera su larga scala la Aramco (Arabian American Oil Company)272 [1],

266 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1], Calendario Atlante De Agostini (2001) [2], Brisard, Dasquié (2002) [3]. 267 E’ da tale predicatore che deriva la scuola religiosa del wahhabismo, sulla quale ci si è già soffermati e che tuttora è l’orientamento seguito in Arabia Saudita. 268 Regione di origine della tribù dei Saud. 269 Particolare importanza assume la presa della Mecca, nel 1924. 270 Da evidenziare la rivalità, per il controllo del potere religioso, tra i sauditi e gli hascemiti, che si considerano discendenti di Maometto. 271 Il Regno dell’Arabia Saudita nasce dalla fusione tra il Neged e l’Higiaz. 272 Una prima concessione per la ricerca del petrolio viene ottenuta, nel 1933, dalla Oil Company of California, che crea la California Arabian Standard Oil Company. I primi pozzi vengono scoperti nel 1938. Nel 1944, la società cambia denominazione e diventa la Aramco. [3]

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che assume una notevole importanza, anche dal punto di vista politico, per i rapporti con il Paese arabo273. La forte presenza statunitense arriva a concretizzarsi nella base militare di Dharan274 [3]. Negli anni settanta, la famiglia reale acquista gradualmente le partecipazioni azionarie nella Aramco, che diviene Saudi Aramco, interamente nelle mani dell’Arabia Saudita. Il Paese è oggi membro dell’OPEC275. [1] Nel 1964, Faysal inaugura una stagione di apertura verso l’occidente e di modernizzazione ed industrializzazione del Paese. [1] Il forte rialzo del prezzo del petrolio negli anni settanta, ha garantito un imponente afflusso di denaro nel Paese. Anche grazie ai finanziamenti ed agli investimenti dei petrodollari, sia nel mondo arabo che in occidente, l’Arabia ha un importante peso politico. In tale ottica, il conflitto del Golfo ed il persistente embargo iracheno hanno contribuito al rilevante peso che oggi ha l’Arabia Saudita sullo scacchiere medio orientale: è questo Paese ad avere assorbito la mancanza di offerta irachena sul mercato petrolifero - consentendo il raggiungimento di un accettabile equilibrio – e ad aver beneficiato dell’enorme incremento di entrate finanziarie che ne è derivato. La ricerca di un ruolo guida nell’ambito di un panislamismo sunnita, d’altra parte, è una delle principali politiche dell’Arabia Saudita [3]. Conseguentemente, essa finanzia i movimenti islamici nel mondo, nonché i Paesi emergenti che sostengono, nel loro ambito, l’osservanza della religione musulmana, secondo la rigida dottrina seguita in Arabia Saudita.[3] I proventi dell’esportazione petrolifera sono stati investiti anche per costruire e mantenere moschee, scuole, università controllate dai religiosi, nonché organizzazioni internazionali e non governative come l’Organizzazione della Conferenza Islamica, la Lega Mondiale dei Musulmani278, il Congresso mondiale dei Musulmani, la Lega Mondiale della Gioventù Musulmana. L’Arabia Saudita può essere considerato il maggiore finanziatore delle organizzazioni caritatevoli musulmane nel mondo.279 Il Paese è membro della Lega araba e dell’Organizzazione della Conferenza Islamica[2]. La politica di apertura all’occidente ha provocato la reazione dei tradizionalisti islamici, che pone seri problemi di equilibrio alla dinastia regnante. Un episodio di rilievo è stato l’occupazione della Mecca, nel 1979. Venendo ad avvenimenti più recenti, nel 1991

273 La Aramco ottiene, nel 1945, il monopolio di fatto dello sfruttamento dei giacimenti sauditi. [3] 274 Che, peraltro, è stata oggetto di un attentato terroristico nel 1996. 275 L’Arabia Saudita si pone come mediatore tra l’occidente ed i Paesi OPEC. D’altra parte, di questo organismo, nato nel 1960, l’Arabia è membro fondatore. 278 Che può essere considerata la più grande organizzazione caritatevole islamica del mondo, con più di 100 filiali in più di trenta Paesi (Reuven Paz, 2000). 279 Reuven Paz, 2000

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addirittura settecento personalità religiose hanno presentato una petizione rivolta alla monarchia, per chiedere un ritorno alla purezza religiosa.[3] Il regno rimane oggi una monarchia ereditaria assoluta, con potere legislativo ed esecutivo concentrati nelle mani del sovrano. Il potere giudiziario, invece, fa capo ai tribunali religiosi.[2] D’altra parte, non bisogna dimenticare che, come già evidenziato, i sauditi osservano la scuola giuridico-religiosa wahhabita, la più rigida tra le scuole in cui si articola il sunnismo. Il gruppo etnico largamente predominante è quello arabo. Dal punto di vista religioso, è presente solo una piccola minoranza di musulmani sciiti. [2] E’ importante ricordare che, dopo la guerra del Golfo, sul territorio sono dislocati presidi militari e basi aeree statunitensi; fatto che crea notevoli tensioni in un Paese di così rigida osservanza sunnita. Per quanto attiene, invece, all’ “ingerenza” economica straniera, vale la pena ricordare la new foreign investment law, del 2000, che permette a società straniere la proprietà, fino al 100%, delle imprese operanti in Arabia Saudita e consente, altresì, il loro accesso a prestiti gestiti dal fondo di sviluppo industriale saudita280.[2] Il Paese è, inoltre, considerato il maggiore centro finanziario del Medio oriente. [2] In termini di rapporti con gli altri Stati della regione, può essere interessante, infine, evidenziare la recente firma di un accordo di difesa e sicurezza con l’Iran.

280 Questa legge, dell’aprile 2000, attribuisce agli investitori stranieri il diritto agli stessi benefici, incentivi e garanzie offerte agli individui ed alle società saudite. Essa, inoltre, permette agli stranieri di essere titolari di diritti di proprietà, sia congiuntamente con partner sauditi sia in modo completamente indipendente. La proprietà degli investitori stranieri viene anche protetta rispetto all’ipotesi della confisca, che potrà avvenire solo per esigenze di pubblico interesse e solo dopo un equo indennizzo. Dal punto di vista fiscale, questa nuova legge riduce del 15% le tasse imposte sulle società straniere che hanno un profitto annuale superiore ad una certa soglia. Per favorire ulteriormente l’afflusso di capitali e know how estero, il medesimo provvedimento crea anche la Commissione Generale per l’Investimento (CGI), che ha il compito di approvare le singole licenze, di formulare le politiche del Regno per la promozione ed il miglioramento degli investimenti interni e stranieri, nonché di definire piani per la creazione di un clima propizio all’investimento in Arabia Saudita. http://www.saudiembassy.net/publications/nesletter2000/05-a.html

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3.2.9 YEMEN281 Fino al 1990, esistevano due Stati: lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud. Il primo era sorto dall’abbattimento, tramite un colpo di stato militare, della precedente monarchia zaidita (sciita). La strada da allora intrapresa era stata quella dell’apertura

all’occidente. [2] Lo Yemen del Sud era sorto dalle rivolte per l’indipendenza della colonia e dei protettorati britannici di Aden. Dal 1970, vi era stato istaurato l’unico regime marxista leninista del mondo arabo. [1] Nel 1990, dopo una serie di riforme che hanno riavvicinato lo Yemen del Sud all’assetto dello Yemen del Nord, è stata realizzata l’unificazione. [1] Il Governo è contrastato da gruppi islamici che pongono in essere attentati e rapimenti di turisti stranieri (Aden-Abyan Islamic Army). [2] Per secoli, le scuole religiose yemenite sono state una

delle principali vie di diffusione dell’islam nell’Africa orientale e nell’estremo oriente. Dopo gli avvenimenti dell’11 settembre, le Autorità yemenite hanno minacciato di chiusura le scuole religiose, quale contributo alla lotta contro il terrorismo. Uno dei principali istituti religiosi è la scuola di Tarim, nella regione centrale del Hadramawt (di quello che, prima dell’unificazione, era lo Yemen del sud282). Dopo l’unificazione nord/sud dello Yemen, le Autorità avevano supportato la rinascita di seminari religiosi come Tarim. Nel 1994, è stata anche fondata, con il sostegno governativo, la Al Eman University, come risposta alla voce islamica del governo egiziano. Quando, nel 1994, i ribelli del sud (facenti parte del partito socialista) si sollevarono per la secessione, venne dichiarata la jihad contro questo pericolo e vennero usati gli studenti religiosi contro la minaccia separatista. Sembra che allora siano stati chiamati a sostegno i mujahideen arabi dall’Afghanistan e le scuole religiose siano state trasformate in campi di addestramento.283 Oggi, le Autorità yemenite stanno cercando di fondere l’insegnamento religioso e l’insegnamento secolare. L’intenzione è quella di insegnare in tutte le scuole, comprese quelle religiose, il programma statale, senza spazio per dottrine estremiste. La concretizzazione di questo orientamento, probabilmente, si scontrerà con la forza del fronte religioso284. E’ largamente prevalente il gruppo etnico yemenita. [2] Il sistema giudiziario si basa sulla legge coranica. [2] 281 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2]. 282 Da ricordare che, atteso il precedente orientamento marxista leninista dello Yemen del Sud, l’insegnamento religioso era represso. 283 The Economist. 284 The Economist.

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E’ ancora aperto un contenzioso con l’Oman per la sovranità sulle isole Kuria Muria[2]. Dal giugno 2002, invece, sono stati tracciati i confini con l’Arabia Saudita, incerti dal 1930[2].

3.2.10 OMAN285 Lo Stato dell’Oman di compone, dalla sua indipendenza raggiunta nel 1971, dell’imamato di Oman e del sultanato di Mascate[1]. Prima di tale data vigeva una sorta di protettorato della Gran Bretagna, esercitato, dal 1749, tramite la dinastia Al-Busaid, tuttora regnante. Oggi, infatti, l’Oman è ancora una monarchia assoluta. I suoi confini territoriali non sono stati nettamente forgiati dalla storia. Dal 1967, dell’Oman fanno parte anche le isole Kuria Muria, fonte di contrasto con lo Yemen, che le rivendica.[2] La configurazione orografica isola relativamente l’Oman dal resto della penisola; a questo si devono i

maggiori contatti, via mare, con le popolazione di Iran, India, Africa. [1] Tale circostanza si riflette anche nella composizione etnica: accanto alla maggioranza araba (73%), si registra una significativa presenza di indiani (13%) e pakistani (7,4%). E’ presente anche una piccola percentuale di egiziani (1,6%). Dal punto di vista religioso, domina il sunnismo. Una minoranza induista è giustificata dalla predetta composizione etnica. [2] In campo economico, lo sfruttamento della risorsa petrolifera, monopolizzato dalla compagnia nazionale Petroleum Development Oman (PDO), caratterizza lo sviluppo del Paese, dal 1967286.[2] I proventi del petrolio sono anche utilizzati per agevolare la modernizzazione dell’agricoltura287, che rimane l’occupazione principale di una popolazione che, peraltro, segue storicamente un assetto tendenzialmente stanziale. [1] L’Oman è membro della Lega araba e dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2]

285 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2]. 286 L’Oman ha partecipato alla recente realizzazione di un importante oleodotto nell’Asia centrale (vgs. Paragrafo dedicato a questa regione). 287 Attività favorita, rispetto ad altre parti della penisola arabica, dalle condizioni climatiche e dal buon sistema di sfruttamento delle acque, che ha permesso, peraltro, il sorgere di un nutrito numero di oasi tra lo collegate.

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Atteso il rilievo che può assumere in vista di una nuova guerra all’Iraq, è opportuno evidenziare che il Paese ospiterebbe truppe scelte britanniche288.

3.2.11 EMIRATI ARABI UNITI289

Gli Emirati Arabi Uniti sono una federazione di monarchie ereditarie assolute, sorta nel 1971 e composta da sette emirati: Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Ajman, Umm al Qaiwayn, Ras al Khaymah, Fujayrah).[1] Ogni Emiro è sovrano assoluto nell’ambito del proprio emirato e il

“Consiglio supremo dei sovrani” (formato dai sette Emiri) elegge al proprio interno il Presidente. Quest’ultimo nomina il Primo Ministro ed il Consiglio dei Ministri. [2] La popolazione stanziata in questi territori, a causa della prevalenza delle aree desertiche nell’interno, si è storicamente stanziata lungo la costa e dedicata anche alla pirateria nei confronti delle navi europee lungo la via delle Indie. [1] Ciò ha causato il conflitto con l’Inghilterra, conclusosi dopo il 1820 con la soppressione della pirateria e l’istallazione di una base militare inglese a Ras al Khaymah. E’ questa, sostanzialmente, l’origine di un protettorato inglese (formalmente avviato nel 1892) sulla regione. [1] Negli anni 1961-1971, la scoperta di ingenti giacimenti petroliferi, le rivendicazione dell’Arabia Saudita su alcune regioni ricche della nuova risorsa, il ritiro della Gran Bretagna, hanno indotto i suddetti emirati ad unirsi politicamente. [1] Dal punto di vista etnico, si assiste ad una certa disomogeneità: la popolazione, infatti, è suddivisa in arabi 25%, iraniani 17%, altri 58%.[2] La confessione religiosa prevalente è quella sunnita (80%), ma sono significativamente presenti anche i musulmani sciiti (16%).[2] Il sistema giudiziario è basato sulla legge coranica. [2] Il petrolio è la principale risorsa del Paese e viene largamente esportato. Gli Emirati Arabi Uniti sono membri dell’OPEC. [2] L’economia dell’emirato del Dubai sta passando dal petrolio all’alta tecnologia, nella quale si stanno reinvestendo i capitali accumulati. Nel giro di due soli anni è stata creata una sorta di silicon valley nella quale lavorano le più grandi imprese mondiali del settore (Microsoft, Ibm, Cisco, Canon, Cnn, Reuters …), nonché piccole start up e numerosi free 288 Zampaglione, 2002. 289 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2].

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lance. Per dare ancora più impulso a questa conversione dell’economia, è prevista l’esenzione fiscale290. Il sistema finanziario è significativamente sviluppato; sono presenti circa una trentina di filiali di banche internazionali. [2] Lo sviluppo urbanistico è sostenuto; la grande maggioranza della popolazione vive in città e sembra aver recepito l’atteggiamento occidentale verso il consumismo. [1] Il Paese è membro della Lega araba e dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2] 3.2.12. QATAR291

Anche il Qatar, come l’Oman e gli EAU, conquista l’indipendenza nel 1971, dopo un lungo periodo di protettorato britannico. [2] Il Paese è una monarchia ereditaria, con a capo la figura dell’emiro. [2] La composizione etnica vede la prevalenza del gruppo arabo (56%), cui tuttavia si aggiunge una rilevante presenza di iraniani (23%) e pakistani (7%).[2] La religione musulmana è praticata dal 95% della popolazione. [2] L’interno del Paese è desertico e questo ha storicamente spinto la popolazione sulle coste ed all’esercizio anche della pirateria. Attualmente, l’economia si basa sullo sfruttamento del petrolio, la cui estrazione è completamente nazionalizzata292[1]. Il Paese è membro dell’OPEC[2]. I proventi dell’esportazione sono, per lo più, collocati sui mercati finanziari internazionali, attese anche le scarse possibilità di contribuire allo sviluppo di un’agricoltura

fortemente limitata dalle condizioni climatiche aride e delle caratteristiche del terreno[1]. Il Qatar è membro della Lega araba e dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2]

290 Torelli, 2002 291 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2]. 292 Deve essere, però, evidenziato che le risorse petrolifere accertate sono limitate. Maggiore consistenza hanno le riserve di gas naturale.

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Il Paese, da tre anni, ospita la base militare americana di Al Udeid, la cui importanza strategica è enfatizzata, in questo periodo, da un’ipotesi di attacco militare statunitense all’Iraq senza l’appoggio dell’Arabia Saudita. Esiste la possibilità che presso tale base sia trasferito addirittura il quartier generale del Cencom (central command), attualmente in Florida293. Saddam Hussein ha minacciato il Qatar di rappresaglie, nel caso in cui permetta agli Stati Uniti di utilizzare le sue basi militari294. Nel 1996, l’Emiro del Qatar ha finanziato la nascita del network televisivo Al-Jazeera, conosciuto diffusamente come la CNN del mondo arabo/musulmano. Al-Jazeera ormai può contare su 350 giornalisti e 50 corrispondenti che lavorano in 31 Paesi.

3.2.12 BAHREIN295 Come altri Paesi della regione, il Bahrein ha un passato contraddistinto dal protettorato britannico (dal 1820) e da un’indipendenza maturata nel 1971. Il Bahrein è anch’esso tuttora una monarchia ereditaria, guidata dalla figura dell’emiro. [2] L’emirato gode dell’appoggio dell’Arabia Saudita296.[1] Il gruppo etnico prevalente è quello arabo (64%), mentre il resto della popolazione, sostanzialmente, è costituita da gruppi etnici asiatici. [2] Dal punto di vista religioso, il Bahrein ha la caratteristica di vedere la prevalenza degli sciiti (57%) sui sunniti (24%); sono nelle mani di questi

ultimi, però, le redini dell’economia e della politica. E’ significativa anche la presenza dei cristiani (8%).[2] Il sistema giudiziario, comunque, si basa sulla Shari’a. [2] Il Paese segue ufficialmente una politica filo occidentale. L’economia si basa sull’estrazione del petrolio, che, però, sembra in diminuzione297[2]. Tale attività iniziò prima qui (1932) che negli altri Paesi della regione [1]. Per questo, probabilmente, la differenziazione dell’economia appare aver raggiunto uno stadio più avanzato che altrove. Numerose sono le banche internazionali che operano nel Paese. Il Bahrein è membro della Lega araba e dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2] 293 Zampaglione, 2002. 294 Cianfanelli, 2002. 295 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2]. 296 Da notare, peraltro, che parte del greggio saudita viene raffinato nel Bahrein. 297 Sono , comunque, presenti rilevanti giacimenti di gas naturale.

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3.2.13 KUWAIT298

L’indipendenza del Kuwait, pur collocandosi nel medesimo periodo storico, è precedente a quella di altri Paesi della regione, in quanto risale al 1961. Anche il Kuwait ha vissuto il protettorato britannico (dal 1899), che, però, in questo caso è stato un fattore di sopravvivenza per il Paese, oggetto delle mire espansionistiche di Iraq ed Arabia Saudita[1]. D’altra parte, tali aspirazioni hanno trovato conferma nella recente guerra del Golfo (1990-1991). Il Paese ha ancora un ordinamento monarchico costituzionale ed è guidato

dalla figura dell’emiro. [2] Dal punto di vista religioso, nonostante la prevalenza sunnita (55%), si registra una forte presenza sciita (30%)[2]. Le caratteristiche desertiche del territorio giustificano la vocazione marittima della popolazione . [1] L’economia si fonda sul petrolio, fortemente esportato. Il Paese è membro dell’OPEC. [2] Il Kuwait fa parte della Lega araba e dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2] Il Paese ospita importanti postazioni militari statunitensi, di grande importanza strategica in caso di attacco all’Iraq, specie nell’eventualità di un rifiuto di collaborazione da parte dell’Arabia Saudita.

298 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2].

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3.3 L’AFRICA MEDITERRANEA299

3.3.1 EGITTO

Nel ripercorrere velocemente il cammino dell'Islam nella storia, più volte è emersa la centralità dell'Egitto nell'ambito della Umma e delle vicende del Mediterraneo: l'antagonismo fatimida al califfato arabo, il potente governo dei mamelucchi che argina l'avanzata dei mongoli, l'apertura del canale di Suez ... Come si è visto, la Gran Bretagna occupa militarmente l'Egitto nel 1882 e mantiene il protettorato fino alla formale indipendenza del 1922, che vede al trono re Fuad I, sotto tutela, però, delle truppe inglesi. [1] Solo nel 1936, l'Egitto ottiene l'effettivo esercizio della sovranità territoriale, con il ritiro dell'esercito britannico. [1] I problemi economici e sociali e la protesta antibritannica300 indeboliscono la

monarchia, che viene travolta, nel 1952, da un colpo di Stato militare, che porta all'instaurazione della Repubblica301, nel 1953. [1] Inizia così l'ascesa di Gamal Abd el-Nasser, che diviene Presidente della Repubblica nel 1954. [1] Nasser segue la via di un “socialismo arabo", che passa per una riforma agraria tesa alla formazione della piccola proprietà terriera e per una nazionalizzazione dell'economia finalizzata all'emancipazione rispetto all'occidente. [1] Sul piano della politica estera, l'Egitto assume un ruolo guida rispetto ai movimenti nazionalisti e progressisti del mondo islamico. [1] La nazionalizzazione della Compagnia del canale di Suez segna la rottura con la Francia e la Gran Bretagna e ne determina l'intervento militare appoggiato da Israele, che occupa la striscia di Gaza e la penisola del Sinai. Solo l'intervento dell'ONU, favorito sia dagli Stati Uniti che dall'Unione Sovietica, costringe gli israeliani a ritirarsi.[1] La conseguenza di questa rottura con le potenze europee è l'avvicinamento dell'Egitto all'Unione Sovietica e la prosecuzione del cammino verso un ruolo sempre più preponderante dello Stato nella vita del Paese. [1]

299 Le informazioni storiche e di carattere generale sono principalmente tratte da Dagradi Farinelli (1993) [1] e Calendario Atlante De Agostini (2001) [2]. Le cartine geografiche contenute in questo capitolo sono tratte dal sito internet della Central Intelligence Agency CIA www.cia.gov 300 La Gran Bretagna manteneva basi militari nel Paese. 301 L'Egitto si definisce "Repubblica araba con un sistema democratico socialista".

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Le difficoltà economiche, aggravate dalla nuova sconfitta del 1967 contro Israele (che occupa la striscia di Gaza e la penisola del Sinai), conducono ad una svolta ad opera del nuovo Presidente Anwar es Sadat, insediatosi nel 1970. Sadat avvia una politica diversa da quella della sinistra nasseriana, che si traduce in un allontanamento dall'Unione Sovietica ed in un'apertura (infitah) verso l'occidente (che passa anche attraverso la pace separata stipulata con Israele, dopo la guerra del kippur del 1973). Tale linea isola, però, l'Egitto rispetto al mondo arabo, nei confronti del quale viene perso quel ruolo di guida precedentemente assunto. [1] Assieme alla svolta dell'infitah, crescono i movimenti estremisti interni che vi si oppongo; la risposta violenta di tali gruppi si concretizza anche nell'assassinio dello stesso Sadat, nel 1981. [1] La successiva presidenza di Mubarak prosegue la linea dell'infitah, ma la situazione economica e sociale interna rimane molto difficile302. Sul fronte estero, Mubarak riesce anche a ristabilire i rapporti con i Paesi arabi, l'OLP e l'Unione Sovietica. [1] Oggi, l'Egitto è membro della Lega araba (riammesso nel 1989) e dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI). [2] Il gruppo etnico quasi esclusivo è quello egiziano, derivante dalla storica fusione tra arabi ed indigeni camiti. [2] Il 94% della popolazione è musulmana e la restante è essenzialmente cristiana copta[2]. Il nomadismo è ormai un fenomeno marginale. Ad Al-Azhar, si trova quella che è considerata la principale università del mondo arabo, fondata addirittura dai fatimidi. Il sistema giudiziario risente degli influssi britannici (common law) e francesi (codici napoleonici), ma anche della Shari'a. [2] Sono attivi diversi giacimenti petroliferi, serviti da un sistema interno di oleodotti[2].

302 Uno dei principali problemi è la scarsità di derrate alimentari, in rapporto ad una popolazione in forte crescita.

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3.3.2 LIBIA Il territorio libico, prima dell'occupazione italiana (1911-1942), non ha mai costituito un'autonoma ed integrata realtà. Le popolazioni costiere della Tripolitania e della Cirenaica non si sono mai integrate con quelle nomadi dell'interno, che tuttora abitano le regioni aride. [1] Dopo la seconda guerra mondiale, la Tripolitania e la Cirenaica passano sotto l'amministrazione britannica ed il Fezzan (regione interna) sotto quella francese. Dal 1951, anno dell'indipendenza, al 1969, regna Mohammed Idris Al Senussi, fino al colpo di stato dell'esercito, guidato dal colonello Muamman Gheddafi, che trasforma la Libia in una Repubblica

socialista. [1] Dal 1977, il nome del Paese può essere tradotto come "Stato delle masse arabo libico socialista popolare".[1] L'aspirazione a creare e consolidare un'identità nazionale può essere alla base della politica del governo libico, che, tra l'altro, ha condotto alla guerra, conclusasi solo nel 1982, con il Ciad (per questioni territoriali), al confronto con gli Stati Uniti, nel 1986, per la sovranità sulle acque del Golfo della Sirte[1], all'aperta posizione antioccidentale303... Anche all’esplosione aerea di Lockerbie, nel 1988, è legato il perdurare del negativo atteggiamento della Comunità internazionale verso la Libia (sanzioni delle Nazioni Unite, sanzioni statunitensi, inclusione nella lista USA degli Stati che sponsorizzano il terrorismo). Le sanzioni delle Nazioni Unite, in realtà, sono state sospese nel 1999, a seguito della consegna di due sospetti (uno dei quali agente dell’intelligence libica) per il caso Lockerbie, in relazione al processo in corso presso il Tribunale de L’Aja304. Il Colonnello Gheddafi ha, peraltro, condannato gli attacchi dell’11 settembre e sembra abbia fornito informazioni agli Stati Uniti circa gruppi alleati di Usama Bin Laden305. Sembra, quindi, che la Libia stia cercando di avanzare lungo un cammino di riabilitazione internazionale306.

303 La Libia figura tra i sette Paesi definiti, dagli Stati Uniti, sponsor del terrorismo. 304 The Economist. 305 The Economist. 306 The Economist.

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La Libia è sia membro della Lega araba che dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI). [2] La maggioranza appartiene all'etnia libica (79%).[2] La quasi totalità dei libici è musulmana sunnita. [2] Per l'economia della Libia, la risorsa petrolifera è importantissima ed è stata nazionalizzata dopo il 1970. L'estrazione è affidata a compagnie straniere. Sono in funzione raffinerie di petrolio ed un sistema interno di oleodotti. [2] La Libia, in crescita economica, è destinataria di flussi migratori da altri Paesi africani, ma anche dall'Asia centrale e orientale e dall'Europa. Cospicui sono gli investimenti libici in Italia. [2] I rapporti con l’Italia, riavviati nel 1999, hanno trovato concretizzazione nel 2001 con accordi per la progettazione e realizzazione, da parte di imprese italiane, di grandi infrastrutture nel Paese libico. [2]

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3.3.3 TUNISIA Come si è già visto, l'ondata islamica arriva in tutta l'afriqiya (odierna Tunisia) all'inizio dell'VIII secolo. In queste terre, si succede il dominio di diverse dinastie, tra cui, in particolare, gli Aglabiti (IX secolo), i Fatimidi307 (nel X secolo), gli Hafsidi (fino al XVI secolo). [1] L'impero ottomano vi stende il proprio dominio, che viene posto nelle mani di un governatore con il titolo di pascià. Nella sostanza, il potere passa progressivamente nelle mani degli ufficiali al comando dell'esercito turco stanziato a Tunisi, finché il titolo di pascià diviene, con il comandante Hussein Ben Alì, ereditario: nasce così la dinastia huseinita. [1] Il dominio ottomano, esercitato tramite tale dinastia, finisce nel 1881, quando a seguito dell'occupazione militare la Tunisia diviene protettorato di una Francia già presente in Algeria. La sovranità rimane formalmente al bey locale. [1] Il colonialismo francese colpisce duramente l'assetto sociale ed economico preesistente ed il disequilibrio generato da tale processo disgregativo porta alla costituzione del partito Destour (1920), divenuto Neo Destour, nel 1934. La lotta popolare, guidata da Habib Bourghiba, conduce all'indipendenza nel 1956 ed alla

proclamazione della Repubblica nel 1957, della quale viene assunta la Presidenza dallo stesso Bourghiba. [1] Circa trent’anni dopo, a seguito di un periodo di gravi disordini308, il Presidente a vita Bourghiba viene dichiarato "incapace per senilità e cattivo stato di salute" dal Generale Zin el Abidine Ben Alì. Quest’ultimo diviene contemporaneamente Presidente della Repubblica e Comandante delle Forze armate[1]; la sua ultima rielezione risale al 1999. [2] Sulla base di un recente referendum, la costituzione è stata modificata, con la conseguenza che Zin el Abidine Ben Alì potrà rimanere in carica per altri 12 anni, godendo dell’impunità giudiziale a vita309. Dalla composizione dell'Assemblea nazionale, emersa dalle elezioni del 1999, risultano presenti partiti socialdemocratici, socialisti ..., ma non partiti di ispirazione religiosa o integralista. Tale circostanza, però, non è molto indicativa del fermento integralista, atteso che è la costituzione a vietare i partiti su base religiosa. [2]

307 I Fatimidi, come già evidenziato, si estendono anche in Egitto. 308 Si ricordi la "rivolta del pane", del 1985, provocata da un consistente incremento del prezzo della farina. 309 The Economist.

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La Tunisia è membro della Lega araba e dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI). [2] Il gruppo etnico fortemente dominante è quello arabo (98%). Si registra una minima presenza berbera (1,7%).[2] La religione praticata dalla quasi totalità della popolazione è quella musulmana. [2] Il sistema giudiziario è basato sia sul diritto francese che sulla Shari'a. [2] Dal punto di visto socioeconomico, le aree interne, sempre più aride man mano che si procede verso sud, sono ancora caratterizzate da un'attività agricolo pastorale. Le fasce marittime, a nord e a est, oltre che un'agricoltura commerciale intensiva, presentano un certo sviluppo anche nei settori secondario e terziario, una elevata densità di popolazione concentrata in numerose città. [1] La regione più ricca del Paese è quella più a Nord (il Tell), nella quale si concentrano le risorse d'acqua e prevale la sedentarietà in contrapposizione al nomadismo delle aree più meridionali310.[1] Dopo l'indipendenza, il governo tunisino ha adottato un'impostazione dirigistica, prevedendo soprattutto un rilancio dell'agricoltura, basato sulla forma organizzativa della cooperativa forzosa. Gli scarsi risultati hanno indotto a recedere da questa impostazione, ispirata al socialismo. Si registra una forte crescita demografica, che alimenta anche una rilevante emigrazione, in particolare verso l'Italia e la Francia311.[2] Un peso rilevante nell'economia tunisina hanno le rimesse degli emigrati ed il turismo.[2] Per quanto attiene ai rapporti con l'occidente, è in vigore, dal 1998, un accordo di associazione all'Unione Europea, destinato a creare un'area di libero scambio.[2] Sono stati scoperti alcuni giacimenti petroliferi, tramite i quali la Tunisia riesce ad alimentare l'esportazione.

310 Si registra, comunque, una generalizzata tendenza all'inurbamento. 311 Questo nonostante la forte crescita iniziata negli anni novanta.

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3.3.4 ALGERIA Nel corso della storia, l'Algeria è stata raramente sede di un forte potere centrale ed ha sempre oscillato tra il dominio e l'influenza del potere musulmano (maggiormente affermatosi sulla costa) ed il mantenimento della struttura sociale berbera nell'interno. L'azione francese, motivata dalla necessità di fermare l'attività piratesca del pascià di Algeri, inizia nel 1830 e si conclude nel 1879, con la sottomissione delle città costiere, prima, e della popolazione dell'interno, poi. [1] Il progressivo peggioramento delle condizioni socioeconomiche del popolo algerino conduce ad una progressiva avanzata verso

l'indipendenza, osteggiata dai coloni francesi. [1] Al rifiuto della Francia, nel 1947, di concedere l'autonomia politica segue la rivolta armata popolare e la costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale (FNL, 1955). [1] Dopo anni di guerra popolare, si giunge alle trattative del 1961, che conducono all'indipendenza della Repubblica popolare e democratica d'Algeria, nel 1962. Il primo Presidente, Ahmed Ben Bella, viene rovesciato, nel 1965, da Houari Boumedienne. [1] Il FNL segue l'ideologia del socialismo312, andando progressivamente verso un assetto istituzionale caratterizzato da strutture amministrative burocratiche ed un forte apparato militare. [1] Il peggioramento delle condizioni socioeconomiche (aggravato dalla caduta dei prezzi del petrolio degli anni ottanta) conduce ad episodi di repressione delle manifestazioni popolari313 ed al montare del fenomeno dell'integralismo islamico[1]. Nel 1989, a seguito di agitazioni di piazza, una nuova costituzione sancisce la fine del sistema socialista a partito unico. Tra il 1990 ed il 1991, si assiste ad una prepotente affermazione politica del FIS (Fronte Islamico di Salvezza), chiara espressione dell'integralismo314.[1] 312 Avendo come riferimento soprattutto la via Yugoslava, basata sull'autogestione e la pianificazione. Una rivoluzione su larga scala interessa, in particolare, il settore agricolo. 313 Risale al 1988 la repressione, da parte dell'esercito, di una manifestazione di piazza motivata dall'elevato rincaro dei beni alimentari.

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La vittoria del FIS alle elezioni del dicembre 1991 provoca la reazione dell'establishment al potere (facente riferimento al partito FNL), che dichiara fuorilegge il partito stesso ed annulla i risultati elettorali. [1] Dopo le elezioni del 30 maggio 2002, il FNL detiene la maggioranza parlamentare. Un paio di partiti islamici moderati sono presenti in parlamento [2]. Nonostante i tentativi di riconciliazione nazionale, il Paese, presieduto da Bouteflika, è ancora teatro della guerriglia tra le forze governative ed i gruppi armati fondamentalisti. Nell’anno in corso, al mese di luglio, sono state già uccise circa 800 persone315. L'Algeria è membro della Lega araba e dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI). [2] Dal punto di vista etnico, a fronte di una netta maggioranza araba (82%), si registra la presenza di una significativa componente berbera316.[2] La quasi totalità della popolazione è musulmana sunnita e l'islam è la religione di Stato.[2] Il sistema giudiziario è basato sul diritto francese e sulla Shari'a.[2] In analogia a quanto visto per la Tunisia, il territorio algerino è essenzialmente costituito da una parte settentrionale litoranea urbanizzata ed agricola e da una parte più meridionale desertica, caratterizzata dal nomadismo.[1] Fin dagli anni cinquanta, sono stati scoperti giacimenti petroliferi che alimentano una significativa esportazione, anche di prodotti già raffinati317. Il Paese è membro dell'OPEC.[2]

314 Il FIS nasce - ed ottiene il riconoscimento dello Stato - nel 1989, dall’unione delle principali fazioni fondamentaliste islamiche. Una delle istanze del movimento (di interesse in relazione agli argomenti trattati nei capitoli che seguono) è la sostituzione del sistema bancario di modello occidentale con un sistema bancario islamico. 315 Fonte: The Economist. 316 Il malessere della popolazione berbera sta crescendo: dalla primavera 2002, è iniziato, nella regione di Kabylia, un movimento teso al riconoscimento dei diritti dell’etnia berbera, che ha già condotto ad episodi di insurrezione di massa oltre che al boicottaggio delle ultime elezioni. Secondo analisti algerini, tale situazione ha una risonanza nazionale.(The Economist) 317 Un ramo del sistema di oleodotti arriva a La Skhirra, in Tunisia[2].

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3.3.5 MAROCCO Il periodo coloniale ha portato in Marocco, come già evidenziato, il protettorato francese protrattosi dal 1912 al 1956. [2] Oggi il Marocco è una monarchia costituzionale, con a capo, dal 1999, Maometto VI[2], appartenente alla dinastia alauita risalente al XVII secolo, che si pone in linea di diretta discendenza rispetto al profeta Maometto. L’attuale coalizione di governo è guidata dal partito socialista, un tempo all’opposizione. Una dozzina di altri partiti hanno seggi in parlamento, compreso un partito islamico moderato. Le prossime elezioni sono previste per

l’autunno 2002318. Il Paese è stato raggiunto dall'ondata musulmana fin dall'inizio, nonostante la sua posizione periferica ed ha profondamente assorbito la cultura islamica. Dal punto di vista etnico, il Marocco è il Paese del Maghreb dove la componente berbera ha la più alta presenza (33%) che, comunque, rimane inferiore a quella araba (65%).[2] La quasi totalità della popolazione è musulmana.[2] Il sistema giudiziario è fondato sul diritto francese e sulla Shari'a.[2] Il Paese è membro della Lega araba e dell'Organizzazione per la Conferenza Islamica[2]. Il nomadismo sta sempre più lasciando il posto ad un assetto socioeconomico caratterizzato da una maggiore sedentarietà. [1] A ciò si accompagna un'evoluzione dei modelli di vita in senso occidentale, in particolare con un affievolimento del senso di appartenenza alla tribù dell'individuo e della terra, con una crescente affermazione dell'individualismo e dei ceti urbani. [1] La crescita economica appare sostenuta anche grazie ai flussi di investimento stranieri. [2] Il petrolio non è risorsa determinante come in altri Paesi del maghreb, in quanto non copre neppure i fabbisogni interni. [2] Il Marocco ha ancora aperta la questione del Sahara occidentale, che lo contrappone al Fronte Polisario319.[2]

318 The Economist

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3.3.6 SUDAN

Il Sudan ha importanti legami storici con l'Egitto. Il territorio sudanese è stato gradualmente islamizzato, nonostante preesistenti localizzate presenze cristiane. Nel 1820, si assiste addirittura all'occupazione turca, che fa del Sudan una provincia dell'Egitto. [1] Nel 1870, dopo un periodo di espansione territoriale sotto l'Egitto, l'amministrazione passa alla Gran Bretagna, che viene contestata da rivolte interne guidate da Mohammed Ahmed, il Mahdi. [1] Il dominio britannico diviene, nel 1899, dominio congiunto anglo-egiziano. [1] Sotto l'Inghilterra si registrano conflitti interni tra nord (arabo e musulmano) e sud

(nero e animista o cristiano). [1] Il Sudan raggiunge l'indipendenza nel 1956, come Repubblica. Essa, però, eredita la tensione nord/sud, che conduce al colpo di stato del Generale Abboud (1958). [1] L’affermazione sulla scena politica dell’integralismo islamico comincia negli anni sessanta con l’opera di Hassan al-Turabi, leader del Fronte Nazionale Islamico (Fni). Negli anni settanta, con il governo di Jaf’ar al-Numayri, l’Fni conquista posti chiave per il controllo dell’economia sudanese. L’obiettivo di al-Turabi diviene con il tempo quello di porre il Sudan al centro di un movimento islamico globale e, a tal fine, instaura contatti con l’islam politico di Algeria, Tunisia, Egitto, Giordania, Iran, Golfo Persico320. Gli avvenimenti che precedono si succedono sullo sfondo dei contrasti con gli autonomisti del sud che comunque si placano nel 1972, grazie ad un accordo favorito dalla mediazione etiopica[1]. Nel 1983, al-Numayri adotta però dei provvedimenti non accettati dal meridione del Paese, con conseguente ripresa della guerriglia che vede protagonisti People’s Liberation Movement (Splm) di John Garand ed il suo braccio armato Sudan People’s Liberation Army (Spla). 319 Negli anni settanta, il Marocco ha annesso diversi territori nell'area sahariana, ma tale operazione non ha trovato il riconoscimento della comunità internazionale ed è contrastata con le armi dal gruppo Polisario (Fronte popolare di liberazione del Saguiat el Hamra e del Rio de Oro)[2] 320 Gustincich, 2002.

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Dopo due nuovi colpi di stato (1985 e 1989), sono ancora i militari a guidare il Paese. [1] L’attuale governo è dominato da un’alleanza tra i militari ed il National Congress Party, che sposa una piattaforma islamica321. Dal 1989, è Presidente Omar Hassan al-Bashir, ultimamente rieletto. Tra gli oppositori figura ancora Hassan al Turabi, Presidente, fino a poco tempo fa, dell'Assemblea nazionale.[2] Nel luglio 2002, dopo un lungo periodo di pressioni internazionali e cinque settimane di colloqui in Kenya, il governo islamico ha offerto ai ribelli dello SPLA un accordo che comprende un’immediata spartizione del potere, l’esenzione dall’osservanza della legge musulmana e, in prospettiva, l’autodeterminazione. Questo passo potrebbe portare la pace in Sudan. Intanto gli scontri armati continuano322. Dal punto di vista etnico, il Sudan presenta una certa varietà; essenzialmente il 49% della popolazione è araba ed il 30% nilotica e camitica. [2] La religione musulmana è praticata dal 70% dei sudanesi, mentre la restante parte della popolazione è animista o cattolica. [2] Il sistema giudiziario è basato sulla common law e sulla Shari'a[2]. Il Sudan è membro della Lega araba e dell'Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI). [2] L'assetto sociale nomade è ancora diffuso nel Paese, a causa della configurazione del territorio, ma sta regredendo viste le politiche del governo tese a favorire il processo di sedentarizzazione. Nel Paese sono attivi giacimenti petroliferi e raffinerie. Circa il 75% delle risorse petrolifere si trova nel sud del Paese323; tale circostanza influenza chiaramente l’accennato conflitto interno. Sono, altresì, diffuse le banche islamiche324, coerenti con il profilo integralista dell'assetto di potere al governo. [2]

321 www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/su.html 322 Fonte The Economist 323 Fonte The Economist 324 Dettagli sul sistema finanziario islamico saranno illustrati nel capitolo dedicato.

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3.3.7 SOMALIA

L’attuale Repubblica della Somalia, indipendente dal 1960, è il risultato della recente fusione di due realtà: la Somalia sottoposta all’amministrazione fiduciaria italiana dal 1950 ed il protettorato britannico del Somaliland. Dopo la destituzione, nel 1991, del Generale Siad Barre (che deteneva il potere dal 1969), la Somalia è caduta nella guerra civile. Nel maggio del 1991 i clan del nord hanno dichiarato la Repubblica indipendente del Somaliland (zona nord occidentale). Sebbene non riconosciuta da nessun governo, questa entità ha mantenuto una stabile esistenza. Una simile autodichiarazione ha condotto alla Repubblica del Putland (zona nord orientale).

Le Nazioni Unite sono intervenute nel 1993, soprattutto nel sud del Paese, ma si sono ritirate nel 1995, dopo pesanti perdite, senza essere riuscite a ristabilire l’ordine. Nell’ottobre del 2000, è stato creato un Governo Nazionale di Transizione (GNT), a Djibouti, al quale partecipa una vasta rappresentanza dei clan somali. Il GNT ha un mandato di tre anni per la creazione di un Governo nazionale permanente. Sono ancora in corso combattimenti tra “signori della guerra” (capi clan) per il controllo di Mogadiscio e di altre regioni del sud325. Il gruppo etnico nettamente prevalente è quello somalo (98%); si registrano solo tracce della presenza araba (1%).[2] La popolazione è quasi esclusivamente sunnita. [2] La principale attività economica del Paese è l’allevamento seminomade. [2] Il petrolio non è una risorsa significativa della Somalia. [2] Il Paese è membro della Lega araba e dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (OCI) ed è associato all’Unione Europea328.[2]

325 Fonte: http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/ . 328 L’art. 131 del trattato che istituisce la Comunità Europea prevede l’associazione alla Comunità dei Paesi e dei territori d’oltremare non europei che mantengono con il Belgio, la Danimarca, la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi ed il Regno Unito delle relazioni particolari. Scopo dell’associazione è promuovere lo sviluppo economico e sociale di tali Paesi e l’instaurazione di strette relazioni economiche. L’associazione può coprire questioni relative agli scambi commerciali, agli investimenti , al diritto di stabilimento. L’elenco di Paesi e dei territori d’oltremare associati è contenuto nell’allegato IV del trattato. Tra essi figura, oltre alla Somalia, anche il Sudan, http://europa.eu.int/abc/obj/treaties/it/ittr6e.htm http://www.ligelong.it/documents/trattato_maastricht/ittr6h04.htm

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3.4 L’ASIA CENTRALE ED IL TRIANGOLO USA-RUSSIA-CINA Per l’illustrazione dell’attuale assetto del mondo musulmano e per avere una più chiara visione degli scenari internazionali interessati dal terrorismo di matrice islamica, è opportuno soffermarsi anche sulla situazione nell’area dell’Asia centrale, comprendente Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tajikistan, Kyrgyzstan, Azerbaijan. Qualche parola è stata già spesa, nel paragrafo dedicato all’Iran, in relazione alla questione della spartizione dello sfruttamento delle risorse del Mar Caspio. Quest’area è stata sconvolta dalle conseguenze della caduta dell’Unione Sovietica, ma, per le sue ricchezze di fonti d’energia e per la sua posizione geografica strategica, riveste ormai una rilevanza centrale nel panorama mondiale. A fattor comune, emerge il crescente coinvolgimento (militare, politico ed economico) degli Stati Uniti nella regione329. La politica statunitense dichiarata è quella di sostenere lo sviluppo delle società democratiche – società che non scelgono di unirsi a gruppi terroristici330. Viene da chiedersi come si giochi l’equilibrio in quest’area di tre protagonisti dello scenario mondiale attuale e, probabilmente, futuro: Stati Uniti, Russia e Cina. A tale questione sono dedicati i prossimi tre paragrafi331.

3.4.1 I RAPPORTI USA-CINA Per quanto attiene ai rapporti USA/Cina, possono essere elencati alcuni fattori chiave che costituiscono o evidenziano altrettanti elementi di incontro o scontro: l’importanza della Cina in chiave antisovietica, è diminuita drasticamente con la fine

della guerra fredda332; il bombardamento accidentale dell’ambasciata cinese a Belgrado, nel 1999, durante la

guerra del Kosovo [1]; la collisione tra un caccia cinese ed un aereo spia statunitense, nell’aprile 2001 [1]; la scoperta, all’inizio del 2002, di apparecchiature d’ascolto nascoste sull’aereo, di

fabbricazione americana, del Presidente Jiang Zemin [1]; la questione di Taiwan [1];

329 E’ evidente che lo sfruttamento delle risorse petrolifere caspiche ridurrebbe la dipendenza dell’occidente dal Golfo Persico. A tal proposito, non sarà sfuggito che Kazakhstan, Tajikistan e Kyrgyzstan confinano proprio con l’emergente potenza della Cina (l’ultimo Paese è addirittura attualmente sede di truppe americane) 330 Può essere significativo citare una frase di un opinionista politico moscovita, riportata da Businessweek: “Per lungo tempo, è stata la missione della Russia quella di proteggere la civiltà occidentale dagli asiatici. Se gli americani stanno per rilevare questo compito, che Dio li benedica.” (Starobin, 2002 in Businessweek) 331 Le informazione alla base di questi tre paragrafi sono tratte principalmente da Carpenter, 2002 [1], Cohen, 2002 [2], Shimin, 2002 [3]. 332 Trentin, 2002.

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il sostegno diplomatico cinese alla guerra contro il terrorismo 333; le spinte separatiste islamiche nello Xinjiang cinese334; l’accettazione, da parte della Cina, dei nuovi rapporti tra USA e Pakistan [1]; il ritiro statunitense dal trattato sui missili antibalistici, verso la fine del 2001, che

contribuirebbe a diminuire la deterrenza del potenziale nucleare cinese [1]; l’interscambio commerciale si aggira intorno ai 100 miliardi di dollari, segno di un

crescente legame tra le due economie. Sarebbero, altresì, circa 40 i miliardi di dollari investiti dagli americani in Cina335; la Cina potrebbe preferire l’influenza statunitense in Asia centrale, rispetto a quella

della Russia, che rimane pur sempre un competitore regionale [1]. Agli elementi di valutazione che precedono, si aggiunga il fatto che è imminente la successione del Presidente Jang Zemin [1].

3.4.2 I RAPPORTI USA-RUSSIA Per quanto attiene ai rapporti USA-Russia, si possono evidenziare le seguenti questioni chiave: ritiro statunitense dal trattato sui missili antibalistici, verso la fine del 2001, che

contribuirebbe a diminuire la deterrenza del potenziale nucleare russo336[1]; firma del patto costitutivo del Consiglio Russia-Nato, il 28 maggio 2002 - Pratica di

Mare [1]; richiesta della Russia di entrare nell’Organizzazione Mondiale del Commercio[2]; la plausibile aspirazione della Russia di trovare sempre più integrazione in Europa e

nell’alleanza euro-atlantica [2]; condanna degli attentati terroristici dell’11 settembre, da parte della Federazione russa; la questione del terrorismo ceceno337 e caucasico, nell’ambito della Federazione Russa.

Sembra, altresì, che l’estremismo islamico potrebbe estendersi anche al Caucaso settentrionale e persino alla valle del Volga [2]; accettazione della temporanea presenza militare americana338 - per la conduzione della

guerra in Afghanistan - nei Paesi dell’Asia centrale che ricadono storicamente nella

333 Patterns of global terrorism 2001 (PGT2001) 334 Si legge nel Patterns of global terrorism 2001 (PGT2001) che la Cina ha espresso preoccupazione circa la possibilità che membri del locale gruppo terroristico islamico Uighuri abbiano ricevuto addestramento ed ispirazione da Al-Qaida. Secondo alcune notizie stampa gli Uighuri avrebbero combattuto con gruppi islamici anche in Cecenia. Ne è stata rilevata la presenza anche nei combattimenti in Afghanistan. Alcuni Uighuri addestrati da Al-Qaida sarebbero tornati in Cina. (PGT2001). 335 Shimin, 2002. Sembra, comunque, che la Cina stia incrementano velocemente la propria presenza commerciale in Panama; tale comportamento potrebbe far parte di un tentativo di penetrazione diplomatica nel Paese e, in generale, nell’America centrale (Fonte: The Economist). 336 Una possibile diminuzione che non sembra, però, almeno nel breve periodo, poter essere tale da sconvolgere l’equilibrio nucleare tra le due potenze. 337 Una fazione ribelle, composta sia da ceceni che da combattenti mujahidin stranieri – in particolare arabi -, è connessa al terrorismo islamico internazionale ed usa metodi terroristici (Patterns of global terrorism 2001). 338 Sono, addirittura, state utilizzate ex basi militari sovietiche.

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sfera d’influenza russa [2]. Sembra, ora, che tale presenza militare potrebbe prolungarsi più del previsto; deficit delle finanze e delle forze armate, che non consentirebbe alla Russia il

mantenimento di una posizione egemone nell’Asia centrale [2]; rifiuto russo agli inviti dell’Opec a ridurre la produzione di greggio, per farne salire il

prezzo sul mercato mondiale [1]. In generale, la Russia svolge un ruolo di “bilanciamento” dell’Arabia Saudita339. A ciò si aggiunga la plausibile aspirazione russa a rafforzare la propria posizione di fornitore strategico di petrolio e gas per l’Europa.

3.4.3 I RAPPORTI RUSSIA-CINA Con riferimento alle relazioni Russia-Cina, possono avere rilievo i seguenti fattori chiave: nel 1996, i due Paesi si sono definiti in rapporto di cooperazione strategica. Tale

cooperazione non sembra, però, essere particolarmente ampia [1]; nel tempo, Russia e Cina hanno congiuntamente criticato la politica americana circa

l’allargamento della NATO, l’intervento militare nei balcani, i sistemi difensivi rispetto a missili balistici [1]; alla costituzione degli Stati indipendenti che attualmente vi insistono, non ha

corrisposto un allargamento dell’influenza della Cina nella zona [3]; nel 2001, è stata creata l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai340, nell’ambito

della quale collaborano anche Russia e Cina [1]; l’esportazione di risorse energetiche (gas, petrolio, energia idroelettrica) dalla Russia

alla Cina sembrerebbe costoso e realizzabile solo nel lungo periodo. La Cina sembra intenzionata a puntare sullo sfruttamento del proprio carbone[3]; l’interscambio si aggira solo intorno agli 8 miliardi di dollari [3].

339 Ormai, al luglio 2002, la Russia che producendo approssimativamente lo stesso quantitativo di petrolio dell’Arabia Saudita. Per mantenere tali livelli, sono però necessari nuovi investimenti in esplorazione e rinnovamento degli impianti. Anche per attirare capitali stranieri, le compagnie petrolifere russe (ad esempio, la Lukoil) stanno compiendo interventi interni. (The Economist) 340 Tale organizzazione verrà ripresa nel capitolo sui gruppi terroristici.

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3.4.4 PANORAMICA SUGLI STATI MINORI DELL’ASIA CENTRALE Le considerazioni che precedono danno l’idea della complessità dei rapporti tra USA/Russia/Cina e di come l’equilibrio mondiale sia attualmente improntato su uno schema triangolare in continua evoluzione. Buona parte degli sviluppi futuri di questo equilibrio si gioca nella regione centro asiatica, sia per ragioni geografiche sia per la presenza di risorse energetiche. Sfruttarle al meglio significherà stemperare sensibilmente l’influenza medio orientale negli equilibri energetici mondiali. Nelle realtà statuali sorte nella regione sembra registrarsi l’abbandono dell’ “opposizione legale” ai governi ed al sorgere di un’opposizione estremistica radicale anticostituzionale, rappresentata soprattutto dai gruppi islamici. Si può, addirittura, arrivare ad affermare che l’islam è ormai un attore politico regionale indipendente341. La “minaccia islamica” sembra stia prendendo corpo, specie dalla fine degli anni novanta. Per impostare una reazione comune sono quindi intervenuti i russi attraverso l’Accordo di sicurezza collettivo della Comunità degli Stati Indipendenti342 e, di concerto con i cinesi, tramite quella che oggi è l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai343. Dopo l’11 settembre 2001, sono entrati in scena anche gli Stati Uniti. Caratteristica dei Paesi dell’Asia centrale è stata una politica estera “a più vettori”, concretizzatasi in atteggiamenti di minore o maggior distacco dalla Russia, da più o meno diffusi timori nei confronti della Cina, nella più o meno accentuata ricerca dell’appoggio dell’occidente344, con ciò riflettendo l’assetto triangolare dei rapporti a livello mondiale345.

341 Panarin, 2002. Sempre da fonte aperta risulta quanto segue sul passato delle rivendicazioni politiche islamiche nella regione. Nel 1990, ad Astrakhan (Russia) nasce il “Partito della rinascita islamica” (Pri), come voce ufficiale dell’islam nell’Unione Sovietica. La frammentazione di quest’ultima determina un analogo destino del Pri (Fumagalli, 2002). Avendo come riferimento la valle di Fergana ed in alternativa al Pri, nel 1991, Yo’ldash e Namangani (futuri fondatori dell’IMU – si veda capitolo dedicato ai gruppi terroristici) costituiscono il partito Adolat, le cui moschee e madrase (scuole coraniche) si diffondono, specie sui versanti uzbeko e kirghiso. La valle della Fergana si estende tra Uzbekistan orientale, Kirghizistan meridionale, e Tajikistan settentrionale (Fumagalli, 2002). Adolat collaborava con le forze dell’ordine per colpire la delinquenza e la corruzione, con l’obiettivo ultimo della moralizzazione dello Stato. Adolat si muoveva su un concetto di giustizia consistente nel ritorno alla pura shari’a. La radicalizzazione del movimento, che inizia anche ad agire in modo autonomo, porta al suo scioglimento nel 1992. L’eredità di Adolat viene raccolta, nel 1996, da Akramiyya; quest’organizzazione scelse di agire in modo “puntiforme” attraverso la costituzione di singole comunità, strutturate sui valori originari dell’islam, che diffondessero l’esempio. All’orizzonte rimaneva la creazione del califfato (Buttino, 2002). A seguito della messa al bando in Uzbekistan di Adolat e Pri, Namangani ed i suoi seguaci si recano in Tajikistan dove partecipano alla guerra civile e nel 1997 si spostano in Afghanistan. Nel 1998, nasce formalmente a Kabul IMU (Fumagalli, 2002). Le attuali difficoltà di IMU sono legate all’affermarsi nell’Asia centrale di Hizb al-Tahrir al-Islami (Ht- Movimento islamico di liberazione) come movimento di opposizione regionale. Ht nasce a Gerusalemme nel 1953 ed è attualmente strutturato in cellule di 5-7 persone caratterizzate da elevata segretezza ed impermeabilità rispetto a tentativi di infiltrazione. Il principale veicolo di propaganda è costituito da volantini affissi nottetempo alle pareti delle case e sulle strade. Obiettivo sia di IMU (radicato nelle regioni rurali) che di Ht (che raccoglie più consensi tra l’intelligencija urbana) è la costituzione in Asia centrale del Califfato islamico, a partire dalla valle di Fergana. (Fumagalli, 2002) 342 Accordo che comprende Russia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikstan, Belarus, Armenia. 343 Vielmini, 2002. 344 Vale la pena ricordare anche l’avvicinamento, all’inizio degli anni novanta, alla Turchia. 345 Panarin, 2002

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Tale indirizzo di politica estera ha aperto la strada all’influenza statunitense ed alla perdita di egemonia della Russia346. Andando un poco più nel dettaglio, riguardo alla situazione dei singoli Stati, possono essere ricordati gli elementi di valutazione che seguono. L’Azerbaijan, in occasione del conflitto in Afghanistan, ha offerto l’uso delle proprie basi militari, condivisione delle informazioni e cooperazione di polizia. L’Azerbaijan aveva già fornito assistenza agli Usa anche con riferimento alle investigazioni sugli attentati dell’agosto 1998 in Kenya e Tanzania, attribuiti ad Usama bin Landen. Più recentemente, sono stati incrementati gli sforzi tesi smantellare la rete internazionale di supporto logistico ai mujahidin operanti in Cecenia347. Da sottolineare la presenza nel Paese di un movimento nazionalista etnico azero - di cui è difficile stimare la consistenza - che punterebbe ad inglobare il nord dell’Iran, considerato parte del grande Azerbaijan. Da ricordare, peraltro, che questo Paese è ancora protagonista di una disputa territoriale con l’Armenia348. Dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse petrolifere del Paese e dell’influenza occidentale, storico è il contratto stipulato, all’inizio degli anni novanta, da un consorzio guidato da Bp per il gruppo offshore di giacimenti di Guneshli, Cirag ed Azeri350. Nella confinante Georgia, consulenti statunitensi hanno fornito addestramento ed altra assistenza per rafforzare i controlli anti terrorismo; si ritiene che guerriglieri musulmani (anche legati al conflitto ceceno) abbiano trovato rifugio nella valle del Pankisi351. Ad ogni modo il Governo sta cercando di impedire l’uso del Paese per la fornitura di supporto finanziario e logistico ai guerriglieri del conflitto ceceno. Anche la Georgia, in occasione del conflitto in Afghanistan, ha offerto agli Stati Uniti l’utilizzo di basi e spazio aereo.352 Nel Kyrgyzstan, la campagna in Afghanistan ha portato all’installazione di una base militare statunitense (Manas, presso la capitale Bishkek), che potrebbe permanere a lungo. Si consideri che il Kyrgyztan confina con la Cina. Per quanto attiene, invece, alla Russia, va sottolineato che questa ha consentito tale presenza militare nonostante il Kyrgyzstan sia un Paese aderente all’Accordo per la sicurezza collettiva della Comunità degli Stati Indipendenti. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai ha deciso di creare un centro antiterroristico nel Paese. Sempre in Kyrgyzstan dovrebbe essere fissato il Quartier

346 Una diversa impostazione della politica estera avrebbe probabilmente lasciato questi Paesi esclusivamente dipendenti dalla Russia, per ragioni storiche, geografiche e per l’assetto delle esistenti vie di comunicazione. 347 Patterns of global terrorism 2001 (PGT2001). Per quanto attiene alle attività di contrasto al terrorismo, nel PGT2001 viene anche sottolineato l’arresto ed il processo di sei membri del Hizb ut-Tahrir (veggasi la scheda riguardante il gruppo terroristico IMU). Viene altresì evidenziata nel PGT2001 la revoca della registrazione della locale filiale di una NGO islamica, per sospetti di supporto al terrorismo. 348 Starobin (et al) 2002. Parte del suolo azero è occupato, dalla guerra del 1994, da truppe armene. 350 Sinatti, 2002 351 Come evidenziato la sicurezza in Georgia è fondamentale in relazione alla pianificata costruzione dell’oleodotto dal Mar Caspio al Mediterraneo. 352 Patterns of global terrorism 2001 (PGT2001)

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generale di una forza di reazione rapida dell’Accordo per la sicurezza collettiva della Comunità degli Stati indipendenti, destinata a rispondere anche alle minacce legate al terrorismo353. Sia nel 1999 che nel 2000, il Paese ha subito attacchi da parte del gruppo terroristico Islamic Movement of Uzbekistan; conseguentemente è stata creata una forza armata speciale di circa 6.000 componenti (Southern Group of Forces). I rapporti con l’Uzbekistan non sono buoni, anche a causa della decisione di quest’ultimo Paese di minare la linea di confine con il Kyrgyzstan354. Il Kazakhistan è destinatario di ingenti investimenti americani355. Dal punto di vista militare, è stato concluso un accordo per l’accesso delle forze statunitensi a basi aree del Kazakhstan.356 Il Kazakhstan è impegnato a prevenire la diffusione dei gruppi islamici militanti; a tal fine, ad esempio, sono stati arrestati individui mentre distribuivano opuscoli per il Hizb ut-Tahrir , che incitavano al rovesciamento dell’attuale governo. Il Paese, in relazione alle operazioni alleate condotte in Afghanistan, ha permesso l’utilizzo del proprio spazio aereo, ha incrementato lo scambio di informazioni ed ha consentito ad aerei della coalizione di aver base nel Paese.357 Anche l’Uzbekistan ospita truppe americane, giunte nell’ottobre 2001, nel quadro del dispiegamento militare connesso alla campagna in Afghanistan. Da ricordare, peraltro, che tale campagna ha anche aiutato il governo uzbeko, nella sua lotta contro i locali guerriglieri estremisti islamici, alleati dei Talibani. Nel Paese, come si vedrà anche nei seguenti capitoli, opera il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (Islamic movement of Uzbekistan IMU), legato ad Al-Qaida. A ciò si aggiunge l’Hizb-al-Tahrir, partito fondamentalista che ha l’obiettivo di rovesciare il regime in carica. Nell’ottobre 2001, questo gruppo ha distribuito volantini inneggianti alla resistenza contro il supporto del governo uzbeko alla coalizione condotta dagli Stati Uniti, che assieme alla Gran Bretagna avrebbe, dal loro punto di vista, dichiarato guerra all’islam358. Il Tajikistan359 non si è ancora ripreso dalla guerra civile finita cinque anni fa (1993-1997), che ha provocato una stima di 60.000 vittime360 ed ha visto protagonista anche il Partito della rinascita islamica (cartello di gruppi d’ispirazione musulmana)361. L’accordo raggiunto nel 1997 permette agli islamici di partecipare al governo (unico caso nell’Asia centrale). Per quanto attiene all’atteggiamento verso il movimento politico islamico radicale Hizb ut-Tahrir, nel 2001 più di 100 membri sono stati arrestati362.

353 Veggasi capitolo sui gruppi terroristici. 354 Patterns of global terrorism 2001. 355 Starobin, 2002. In particolare, si sono impegnate Chevron-Texaco, ExxonMobil. Si può definire storico il contratto stipulato, all’inizio degli anni novanta, tra la Chevron ed il Kazakhstan per i giacimenti del Tengiz (Starobin, 2002). 356 The Economist. 357 Patterns of global terrorism 2001. A proposito di Hizb ut-Tahrir, veggasi anche la scheda dedicata al gruppo terroristico IMU. 358 Patterns of glabal terrorism 2001. 359 Fonte The Economist. 360 L’economia è ancora in una situazione disastrosa Si assiste ad una forte migrazione maschile verso la Russia. 361 Deledda, 2002. 362 Patterns of glabal terrorism 2001.

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Il Tajikistan è pesantemente investito dalle rotte del flusso di stupefacenti proveniente dall’Afghanistan363. Stime ufficiose arrivano a quantificare i proventi di questo traffico nel 30% del prodotto interno lordo364. In occasione del conflitto in Afghanistan, il Paese ha invitato gli Stati Uniti ad utilizzare le proprie basi aeree365. Le relazioni con l’Uzbekistan sono tese, in quanto l’Uzbekistan ha deciso unilateralmente di dispiegare campi minati al confine 366.

3.4.5 GLI INTERESSI IN GIOCO NELL’ASIA CENTRALE In linea generale, si può affermare che la motivazione circa il permanere delle forze americane nell’Asia centrale potrebbe passare per la protezione delle fonti energetiche e degli oleodotti, il controllo del fondamentalismo islamico nella regione, il contenimento di eventuali ambizioni di Russia e Cina, l’uso di basi militari per future operazioni contro, ad esempio, l’Iraq. In ogni caso, l’Asia centrale è storicamente una zona d’influenza della Russia, che non può rinunciare completamente al controllo sulla regione. Basti pensare che le principali vie di comunicazione si dirigono tutte verso la Russia. A ciò si aggiungano argomenti legati alla complementarità delle due entità: eccedenza demografica dell’Asia centrale cui corrisponde una carenza di forza lavoro della Russia; la Russia ha una conformazione (piatta) del territorio, confina con forti consumatori di greggio, dispone di risorse idriche, infrastrutture, imprese per la raffinazione del petrolio, specialisti qualificati: tutti fattori che potrebbero essere funzionali all’ottimale (dal punto di vista economico) sfruttamento del potenziale di risorse energetiche dell’Asia centrale367. Con riferimento alla ricchezza di idrocarburi della regione, bisogna, però, anche considerare che la produzione dell’Asia centrale è una potenziale minaccia per l’export (e, quindi, per l’economia, ma anche per la posizione strategica sullo scenario internazionale) della Russia, specie ove tale produzione si diriga verso mercati significativi per la Russia stessa, magari aggirandone il territorio368. Le direttrici verso est (dal Kazakhstan alla Cina), verso sud-est (dal Turkmenistan in Pakistan, attraverso l’Afghanistan) non sono concorrenti rispetto a quelle russe; la direttrice sud (dal Kazakhstan e dal Turkmenistan verso il Golfo Persico, attraverso l’Iran) è economicamente svantaggiosa (e comunque avversata già dagli USA); la direttrice ovest (dal Kazakhstan al Mar Nero, attraverso la transcaucasia) presenta una bassa concorrenzialità economica, anche se ha un rilevante significato politico, paragonabile a quello della direttrice sud-ovest. La principale minaccia viene proprio dalla direttrice sud-ovest (dal Kazakhstan verso il Mediterraneo, attraverso Transcaucasia e Turchia). Ove il

363 Le azioni di attraversamento del confine da parte dei trafficanti assumono spesso la forma di vere operazioni militari contro le guardie di frontiera, di cui fanno parte anche truppe russe (Deledda, 2002). 364 Deledda, 2002. Tali rotte attraversano direttamente anche Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan. Successivamente poi le stesse si dipanano principalmente attraverso il Kazakhstan, l’Ucraina, la Federazione Russa, per entrare in Europa (Deledda, 2002). 365 Patterns of global terrorism 2001. 366 Patterns of global terrorism 2001. 367 Panarin, 2002. 368 Panarin, 2002

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Kazakhstan accettasse di appoggiarsi all’oleodotto Baku (Azerbaijan) - Ceyhan (Turchia), questo sarebbe un significativo passo nel senso dell’avvicinamento all’occidente (agli Stati Uniti) a discapito dell’influenza russa.369 Per adesso l’aggiramento della Russia è assicurato dall’oleodotto Baku-Supsa (porto georgiano sul Mar Nero), che è di limitata capacità. Dal canto suo, la Russia ha ristrutturato l’oleodotto Baku-Novorossijsk (eliminando il tratto ceceno e rafforzando quello daghestano) e costruito un nuovo oleodotto Tengiz-Novorossijsk (quest’ultimo con il contributo anche del Kazakhstan, dell’Oman e di compagnie europee ed americane).370 Per quanto attiene al citato spazio per flussi di emigrazione, c’è da considerare che, ove questi si verifichino, potrebbero costituire una delle strade per mantenere un collegamento sociale, culturale ecc. tra Russia ed Asia centrale. Nell’ottobre 2001, sono state avviate - e sono proseguite nell’aprile 2002 - le consultazioni tra Stati Uniti e Russia circa il futuro della regione.

369 Panarin, 2002 370 Sinatti, 2002

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3.5 IL SUD EST ASIATICO371

3.5.1 INDONESIA372

L’Indonesia, dopo un passato coloniale sotto l’Olanda, ha ottenuto l’effettiva l’indipendenza nel 1949373, con il ritiro delle truppe dei Paesi Bassi. Nel 1965, Mohamed Suharto, appoggiato dai militari, ha assunto il potere con un colpo di Stato e successivamente ha ottenuto riconferme elettorali sino al 1998. Dal luglio 2001, è Presidente Megawati Sukarnoputri374. La popolazione è estremamente eterogenea dal punto di vista etnico; può essere delineata una distinzione in due grandi gruppi: i protomalesi ed i deuteromalesi. Questi ultimi sono di religione islamica e lingua malese. Dal punto di vista religioso, in Indonesia si assiste ad una forte predominanza musulmana (87%), a fronte di una piccola percentuale di cristiani (9-10%). Se si considera che l’Indonesia ha più di 200 milioni di abitanti, essa è il Paese che raccoglie il più alto numero di islamici nel mondo. L’Indonesia è membro dell’OCI. Il Congresso del popolo375, in base alle ultime elezioni risalenti al 1999, vede 51 seggi conquistati dal Partito nazionalista islamico (su un totale di 500). 371 Le cartine geografiche inserite in questo capitolo sono tratte dal sito internet della Central Intelligence Agency CIA www.cia.gov 372 Le informazioni sono principalmente tratte da Calendario Atlante De Agostini. Conferme ed informazioni aggiuntive possono essere trovate in http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/id.html. 373 La formale proclamazione dell’indipendenza risale al 1945. 374 Fonte: http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/id.html 375 Organo che elegge il Presidente e determina le linee d’azione politica.

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Dal punto di vista economico, l’Indonesia ha cospicue risorse petrolifere ed è membro dell’OPEC. Nonostante questa ricchezza e gli aiuti del Fondo monetario internazionale, il Paese vive una lenta ripresa dalla dura recessione degli anni 1997-1998. L’Indonesia soffre la presenza di forti tensioni interne nella regione di Aceh (Sumatra settentrionale, per la separazione), nell’Irian Jaya (Papua occidentale, per la separazione), nelle Molucche (tra musulmani e cristiani), nel Borneo centrale (tra etnie dayak e maduriani). Nel 2002, è giunta a conclusione la lotta per l’indipendenza376 di Timor orientale, ex colonia portoghese annessa unilateralmente dall’Indonesia nel 1976. Dopo un referendum patrocinato dall’ONU, tenuto nel 1999377, dal 20 maggio 2002 Timor Est è internazionalmente riconosciuto come Stato indipendente. E’ ancora aperta una disputa territoriale con la Malesia riguardante le isole Sipadan e Ligitan.

376 Lotta condotta da Fretilin (Fronte di Liberazione Nazionale) 377 Cui sono seguiti la guerriglia anti separatista, l’intervento dei caschi blu dell’ONU (forza Intefet), la ratifica del referendum da parte del Congresso di Giacarta, l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per la costituzione di un’Amministrazione transitoria (Untaet).

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3.5.2 MALAYSIA378

Dopo un passato coloniale britannico, la Malesia nasce nel 1963 dall’unione degli undici Stati della preesistente Federazione della Malesia (indipendente dal 1957), del Sabah e del Sarawak (già parti del Borneo britannico) e di Singapore (che lascerà l’unione nel 1965). I primi anni di vita della federazione sono segnati dai tentativi dell’Indonesia di imporre la propria influenza e da rivendicazioni territoriali delle Filippine379. Il Paese è quindi formato da tredici entità dotate di un rilevante grado di autonomia380. La forma federale dello Stato prevede l’esistenza di un Parlamento federale bicamerale, cui risponde il governo che è guidato dal leader del partito vittorioso alle elezioni politiche. E’ prevista anche la figura del Capo supremo della federazione (Yang Di Pertuan Agong). Dal 1981, il Capo del governo è Mahatir Mohamad. I due principali gruppi etnici presenti sono quello malese (58%) e quello cinese (25%). Dal punto di vista religioso, si registra la netta predominanza dei musulmani381 (53%); i cristiani rappresentano solo il 6% della popolazione, superati numericamente anche dai buddisti (17%) e dagli induisti (7%). La Malesia è membro dell’OCI. Alle elezioni del 1999, il Partito islamico pan-malese ha conquistato 27 seggi della Camera dei rappresentanti su un totale di 193. La Malesia ha una notevole disponibilità di idrocarburi, la cui estrazione e produzione è gestita dalla Petronas (Petroliam Nasional Bhd), privatizzata nel 1995. Il Paese non risulta essere membro dell’OPEC.

378 Le informazioni sono principalmente tratte da Calendario Atlante De Agostini. Conferme ed informazioni aggiuntive possono essere trovate in http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/my.html. 379 http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/my.html 380 Ognuno ha addirittura proprie assemblee legislative e propri organi esecutivi. 381 La componente malese è di religione islamica.

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In generale, l’economia del Paese si è trasformata rispetto all’iniziale situazione degli anni settanta, e dalla fine degli anni novanta si può dire che la Malesia sia caratterizzata da un’economia emergente e multisettoriale, trainata anche dalle esportazioni di prodotti dell’elettronica382. Per quanto attiene al settore finanziario, si veda successivamente quanto riportato nel capitolo dedicato al sistema bancario islamico. La Malesia è coinvolta in una complessa disputa territoriale riguardante le isole Spratly con Cina, Filippine, Taiwan, Vietman e Brunei. Altre questioni territoriali sono aperte con Singapore, Indonesia, Thailandia, Filippine383.

3.5.3 FILIPPINE 384

Colonia spagnola dal XVI secolo e possedimento degli Stati Uniti dal 1898385, le Filippine nel 1946, dopo l’occupazione giapponese della Seconda guerra mondiale, sono divenute una repubblica indipendente386. Nel 1986, è stata abbattuta la ventennale dittatura di Ferdinando Marcos. Attualmente è Presidente della Repubblica e Capo del governo Maria Gloria Macapagal Arroyo. I gruppi etnici più numerosi sono quello neomalese (40%), indonesiano (30%), cinese (10%) e paleomalese (10%). Le Filippine sono caratterizzate dalla forte predominanza di cattolici (84%), a fronte di un esiguo numero di musulmani (4-5%). Gli idrocarburi estratti nel Paese sono ancora insufficienti anche alla soddisfazione del fabbisogno nazionale. Come si vedrà meglio nel capitolo dedicato ai gruppi terroristici, le Filippine sono infiammate dall’attività di guerriglia condotta, in particolare, dal gruppo separatista islamico Abu Sayyaf, operante nella zona meridionale. L’obiettivo è quello della costituzione di uno Stato

islamico indipendente nella parte occidentale di Mindanau e nell’arcipelago Sulu.

382 http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/my.html 383 http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/my.html 384 Le informazioni sono principalmente tratte da Calendario Atlante De Agostini. Conferme ed informazioni aggiuntive possono essere trovate in http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/rp.html. 385 A seguito dalla cessione da parte della Spagna, conseguenza della guerra ispano-americana. 386 http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/rp.html

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Gli Stati Uniti hanno chiuso la loro ultima base militare nelle Filippine nel 1992387. Il Paese è coinvolto in una complessa disputa territoriale riguardante le isole Spratly con Cina, Malesia, Taiwan, Vietman e Brunei. Altra questione territoriale è aperta con la Malesia.388

3.5.4 SINGAPORE 389 Singapore è un’ex colonia britannica390, che ha ottenuto l’autogoverno nel 1959. Risale al 1963 l’unione con la Malaysia, dalla quale Singapore si separa appena due anni dopo, divenendo una Repubblica indipendente. Attuali Presidente e Primo Ministro sono rispettivamente Sellapan Ramanathan e Goh Chok Tong391, entrambi appartenenti al Partito d’Azione Popolare, da sempre al governo del Paese392. Il gruppo etnico prevalente è quello cinese (76%), seguito a distanza da quello malese (14%).

La religione musulmana è professata dal 15% della popolazione, mentre la maggioranza è divisa tra buddismo (32%) e taoismo (22%). L’economia di Singapore si impernia su uno dei maggiori porti mondiali, al primo posto nel mondo per il traffico di container. Notevole rilievo hanno anche le attività finanziarie e bancarie, tanto che il Paese è la seconda piazza finanziaria d’Asia dopo Tokyo. A Singapore operano circa 300 multinazionali, soprattutto statunitensi ed europee.

A livello di relazioni internazionali è ancora aperta una disputa territoriale con la Malesia393.

387 http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/rp.html 388 http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/rp.html 389 Le informazioni sono principalmente tratte da Calendario Atlante De Agostini. Conferme ed informazioni aggiuntive possono essere trovate in http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/sn.html. 390 Fondata nel 1819 (http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/sn.html). 391 Quest’ultimo è Primo Ministro dal 1990 (http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/sn.html). 392 Alle ultime elezioni (2001) il PAP ha conquistato 82 seggi su 84 (http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/sn.html). 393 http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/sn.html

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4 LA PRESENZA MUSULMANA IN ITALIA394 4.1 CARATTERISTICHE STORICHE E DIMENSIONI DEL FENOMENO Secondo un Dossier statistico 2001 della Caritas di Roma395, in Italia si trovano, legalmente, 621.000 musulmani, pari al 37% del totale della popolazione immigrata. Se a ciò si somma una stima di 70.000 “irregolari”[3], si arriva ad un totale di circa 700.000, con una forte tendenza recente alla crescita. Questo fa della religione musulmana la più seguita in Italia, dopo il cattolicesimo. E’ negli anni ottanta che l’immigrazione islamica diviene un fenomeno di rilievo. L’Italia, non avendo un particolare passato coloniale, non accoglie in massa comunità specifiche, come i nord africani per la Francia (tre milioni), i pakistani per l’Inghilterra (un milione), i turchi per la Germania (due milioni e mezzo), gli indonesiani per l’Olanda. La presenza islamica assume, quindi, una certa varietà [3]396. L’atteggiamento degli immigrati nei confronti della società ospitante, risente del clima di “riscossa” alimentato da movimenti come quello dei Fratelli musulmani, dalla propaganda del nazionalismo panarabo e/o del panislamismo. Ne consegue, tra l’altro, la volontà di manifestare il proprio credo, la propria condizione di appartenente all’Islam. Questo non necessariamente si traduce in atteggiamenti di chiusura [3]397. 4.2 I CENTRI DI PREGHIERA E LE ORGANIZZAZIONI ISLAMICHE IN

ITALIA Uno dei principali segni della presenza islamica è la creazione di appositi spazi dedicati alla preghiera ed alla predicazione e, in generale, all’incontro ed al confronto [1]398. Tali spazi possono concretizzarsi all’insegna dell’improvvisazione e della risposta “artigianale” a queste esigenze (scantinati, case, cantine, garages ecc), ossia in luoghi di preghiera che hanno spesso la caratteristica dell’instabilità, in quanto legati all’iniziativa ed alla volontà di una sola persona, forse con più carisma o dotata di una maggiore preparazione, che si pone, magari, come guida di preghiera o insegnante del Corano. Ne consegue che lo spostamento dell’elemento catalizzatore può facilmente determinare il venir meno del luogo di preghiera [1].

394 Le informazioni contenute in questo capitolo sono tratte principalmente da Allievi, Dassetto, 1999 [1] e da Reuven Paz 2000 [2], Giannasi, 2000 [3]. 395 Sito internet www.caritasroma.it 396 I Paesi europei che presentano la più significativa presenza di musulmani sarebbero la Francia (4,2 milioni), la Germania (3,2 milioni) e la Gran Bretagna (1,3 milioni). Negli Stati Uniti la religione islamica è quella in più forte crescita (The Economist) 397 Secondo i sociologi dell’Università di Padova, che hanno condotto uno studio in tal senso, vi sono anche immigrati che non arrivano in Italia per necessità economiche, ma per usufruire della maggiore apertura culturale dell’occidente [3]. 398 Sempre legata a motivazioni religiose è la creazione delle macellerie islamiche, finalizzate al trattamento della carne secondo i dettami della Shari’a.

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L’emergere di queste guide spirituali “non professionali” dipende dal fatto che nel mondo musulmano, come già evidenziato, non esiste un vero e proprio clero[1]. E’ interessante notare che, allorquando più realtà organizzative del genere vengono create nella stessa città e talvolta nello stesso quartiere, può emergere un certo senso di rivalità [1]. L’esigenza di disporre di spazi ove esercitare il culto in modo appropriato si è accentuata negli anni ’70, a seguito dello shock petrolifero e delle politiche di contenimento dell’immigrazione adottate dai governi europei; i musulmani, non potendo tornare regolarmente nei propri Paesi (caratterizzati da elevata povertà), cercano di inquadrare in un’ottica di maggior stabilità la propria presenza [1]. Stime risalenti al 2000 quantificano in circa 500 le sale di preghiera presenti in Italia399. Finora si è genericamente fatto riferimento ai luoghi di preghiera ma un segno più visibile e stabile della presenza musulmana è rappresentato dalle vere e proprie moschee [1]. I criteri principali per definire la presenza di una moschea sono il prevalere di un’attività o di uno scopo religioso che comporta la regolare apertura del luogo di culto, non limitato a singole etnie, nonché una certa forma di pubblicità (in senso lato) [1]. Dal punto di vista architettonico, inoltre, la presenza del minareto e della mezzaluna sono caratteristiche peculiari, peraltro riscontrabili in Italia essenzialmente solo in tre edifici presenti a Roma, Milano e Catania[1]. La moschea di Roma fa capo al Centro Islamico culturale d’Italia (CICI), istituzione ufficiale nel cui consiglio siedono le rappresentanze diplomatiche dei paesi islamici. Nel CICI ha un ruolo preminente la linea adottata dall’Arabia Saudita, da cui, peraltro, giunge la maggior parte dei finanziamenti, attraverso la “Lega del mondo islamico”400, organismo missionario musulmano, con sede alla Mecca. Il progetto prese corpo con la messa a disposizione, negli anni settanta, da parte del Comune di Roma, di un’area di circa 30.000 mq non lontana dal quartiere Parioli, a seguito di pressioni sul Governo da parte della dinastia saudita (che si assunse anche il principale onere finanziario) nonché della maggioranza dei Paesi islamici. Per la nascita del progetto fu interpellata anche la Santa Sede, che accolse l’iniziativa non senza divergenze di opinioni interne, che scaturirono principalmente dalla mancata richiesta di reciprocità, da esercitare, ad esempio, nella stessa Arabia Saudita [1]. Altre forme di associazionismo di matrice islamica hanno preso corpo a partire dal massiccio movimento migratorio verso l’Italia. Le principali forme di aggregazione sono i Centri islamici (come il già citato CICI) e le associazioni di rappresentanza [1]. I Centri islamici sono strutture associative rivolte alla base dei fedeli; le più importanti nel panorama italiano sono il suddetto CICI di Roma ed il Centro Islamico di Milano e Lombardia (CIML). Quest’ultimo assume posizioni più militanti, con l’aspirazione di essere un punto di riferimento, a livello nazionale, per tutta la comunità islamica [1].

399 http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista_2000_3_4.htm 400 Da non confondere con la già citata Lega araba, avente sede a Il Cairo.

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Le associazioni di rappresentanza, invece, hanno essenzialmente lo scopo di raggruppare i vari Centri sparsi sul territorio e di porsi come riferimento di interlocutori esterni alla comunità musulmana, come lo Stato Italiano [1]. L’associazione più estesa è l’Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOII) [1], legate principalmente al CIML di Milano. Si ritiene che delle predette 500 sale di preghiera, almeno il 90% abbia l’ UCOII come riferimento401. Un’altra associazione è la Comunità Religiosa Islamica (COREIS) che, comunque, ha dimensioni modeste rispetto alla precedente, anche se si ritaglia notevole spazio nei media402. La costituzione dell’UCOII risale al gennaio 1990 ed è stata promossa da alcune istituzioni islamiche tra le quali l’USMI (Unione degli Studenti Musulmani in Italia), il predetto Centro islamico di Milano, nonché varie personalità a titolo individuale. I progetti organizzativi dell’UCOII si concretizzano nella fornitura di servizi culturali e formativi, assistenza sociale, creazione di un giornale (mensile “Il musulmano”) e di una propria agenzia di stampa diretta all’esterno della comunità islamica [1]. Ha, quale aspirazione di fondo, quella di diventare la rappresentanza ufficiale dell’islam in Italia ponendosi, quindi, quale interlocutore dello Stato italiano per i diritti della minoranza islamica [1]. A tale ultimo riguardo, è da rimarcare il tentativo nel novembre 1992 di promuovere un’intesa con lo Stato italiano attraverso la predisposizione di una “bozza di intesa tra la Repubblica Italiana e l’UCOII” [1]. L’orientamento dell’associazione è quello del ritorno alla purezza dell’Islam, “corrotto” dalle negative influenze occidentali403. L’associazione ha una certa rivalità con il CICI, anche se ultimamente si è realizzato un riavvicinamento, pure grazie ad un accordo con la Lega del Mondo Islamico, che opera, appunto, presso il Centro di Roma404. Il prospetto 2, che segue, fornisce un’immediata percezione della presenza sul territorio delle varie forme di aggregazione islamica.

401 http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista_2000_3_4.htm 402 http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista_2000_3_4.htm Per completezza, può essere citata anche l’Associazione Musulmani Italiani (AMI), che raggruppa i nostri connazionali convertiti all’Islam 403 http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista_2000_3_4.htm 404 http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista_2000_3_4.htm

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Fonte: elaborazione di informazioni ricavate dal sito www.islamitalia.it Prima di concludere, può essere interessante citare anche altre significative organizzazioni di matrice musulmana sorte in Italia[1]:

Il Calamo: nata a Milano, come casa editrice, nel 1991, da un’iniziativa di un italiano convertito all’islam nel 1974. La quasi totalità dei membri sono convertiti. Il Centro Islamico d’Informazione: situato in Lombardia, ha quale obiettivo

prioritario quello di essere luogo di coordinamento e di riflessione dei musulmani europei. Nato da un progetto di Abd al Wahid Pallavicini (fondatore del predetto COREIS) e promosso dal Centro studi metafisici “René Guénon”, cura la gestione di corsi e conferenze, incentrati sulla religione e la cultura islamica, rivolte al pubblico italiano. Unione Islamica in Occidente (Uio): ha sede a Roma ed è la più antica

organizzazione islamica dell’Italia repubblicana. Fa capo alla Do’wa libica (Società per l’appello all’islam). Di taglio laico, organizza una scuola per l’utenza araba nonché corsi e conferenze rivolti all’utenza italiana, finalizzati a veicolare un’immagine dell’islam anche diversa da quella proveniente da un luogo di preghiera o da una moschea. Università Islamica di Casamassima in Puglia: è considerata l’iniziativa islamica più

ambiziosa, seconda solo alla moschea di Roma. E’ nata da un’idea di un imprenditore e docente universitario barese, convertitosi all’islam negli anni ’70. L’obiettivo principale dell’iniziativa era quello di costruire un vero e proprio centro di studi e preghiera, in stretto collegamento con l’Institut musulman di Parigi.

REGIONE

Aggregazioni islamiche

PIEMONTE 25 LIGURIA 7 LOMBARDIA 18 VENETO 14 FRIULI 3 TRENTINO 4 EMILIA R. 14 MARCHE 2 TOSCANA 7 UMBRIA 4 LAZIO 7 SARDEGNA 2 ABRUZZI 2 CAMPANIA 11 PUGLIA 2 CALABRIA 1 SICILIA 10 TOTALE NAZIONALE 133

Prospetto 2

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Problemi finanziari e disaccordi con nuclei musulmani residenti in Italia portarono alla sospensione dei lavori; Centro Culturale Arabo Al-Farabi di Palermo: nato nel 1980 per iniziativa di un

cittadino libico e di alcuni italiani già attivi presso l’IDCAS (Istituto per la diffusione della cultura araba siciliana e mediterranea, esistente in Palermo), svolge attività culturale di impronta non religiosa. E’ finanziato da diversi consolati (Libico in particolare) nonché dai soci; usufruisce di contributi pubblici alla pari di altri centri culturali. Nell’ambito della propria attività, ha pubblicato diverse riviste di taglio socio-politico e di costume: tra di esse “Al-Farabi”, sino al 1985 - con inchieste shock, tra le quali spiccano “Marx e l’islamismo” (la cui pubblicazione determinò il taglio dei fondi da parte dei sauditi) e l’ ”Amore nei paesi musulmani” - e la rivista di studi e collaborazioni “Alifba” ; Unione degli Studenti Musulmani in Italia (Usmi): ha iniziato la sua attività nel

1970 e si è costituita ufficialmente nel 1971, a Perugia (città sede dell’Università per gli stranieri). La caratteristica principale dell’USMI è quella che gli studenti frequentatori - non solo dell’università sopra citata - che vengono a contatto con tale organizzazione, una volta che si trasferiscono in altri atenei contribuiscono alla nascita di altre sezioni dell’USMI (in Italia se ne contano una ventina), che ricalcano il modello organizzativo e politico dell’associazione base. L’USMI fa parte dell’IIFSO (International islamic federation of student organization) la cui sede centrale si trova in Kuwait e quella europea in Germania. Ha prodotto e distribuito pubblicazioni sull’islam e, annualmente, nel periodo natalizio, organizza incontri-convegno, di solito sulla riviera romagnola. L’organizzazione ha comunque un numero molto ridotto di iscritti.

4.3 DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA E FLUSSI MIGRATORI Per quanto attiene alla distribuzione dei musulmani sul territorio italiano, indipendentemente dalla diffusione delle varie forme di aggregazione, si registra la maggioranza delle presenze al centro-nord, dove ci sono più consistenti possibilità di trovare un lavoro stabile (Emilia, Veneto, Friuli, ma anche Lombardia e Piemonte). La prospettiva, infatti, è quella, specialmente per la componente araba, di rimanere in Italia anziché ritornare, dopo un certo periodo, al Paese di origine [3]405. Può, infine, essere utile prendere in considerazione la provenienza dei flussi migratori che interessano l’Italia. A tal proposito, si veda il successivo prospetto riguardante il Paese di provenienza degli stranieri residenti, aggiornato all’anno 2000. Chiaramente non può essere data per scontata la condizione di musulmano solo in base al Paese di origine, ma tale quantificazione può essere presa come un’utile indicazione dell’ordine di grandezza del fenomeno.

405 Diverso sembra essere, invece, l’approccio dei senegalesi, che aspirano a ritornare nei luoghi di origine.

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Prospetto 3: Cittadini stranieri. Popolazione residente in Italia distinta per sesso e cittadinanza al 31 dicembre 2000

Fonte: sito internet demo.istat.it

Cittadinanza

Cittadini stranieri maschi

Cittadini stranieri femmine

Cittadini stranieri totale

MAROCCO

127.993

66.624

194.617

FILIPPINE 27.008 45.267 72.275 TUNISIA 43.359 17.082 60.441 EGITTO 27.142 10.532 37.674 BANGLADESH 13.803 4.181 17.984 PAKISTAN 12.976 4.141 17.117 ALGERIA 10.671 2.320 12.991 SOMALIA 4.482 7.574 12.056 IRAN 5.107 3.403 8.510 LIBANO 2.621 1.198 3.819 GIORDANIA 2.358 712 3.070 SIRIA 1.729 853 2.582 LIBIA 1.246 702 1.948 IRAQ 1.076 446 1.522 INDONESIA 291 534 825 UZBEKISTAN 64 684 748 SUDAN 487 151 638 AFGHANISTAN 105 63 168 YEMEN 72 60 132 ARABIA SAUDITA 86 28 114 PALESTINA 97 17 114 KIRGHIZISTAN 8 26 34 TAGIKISTAN 8 9 17 EMIRATI ARABI UNITI

9 7 16

OMAN 12 4 16 QATAR 7 3 10 BAHREIN 1 0 1

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Prospetto 4: Cittadini stranieri. Bilancio demografico globale Anno 2000 ITALIA

Maschi

Femmine

Totale

Popolazione residente al 1° gennaio

690.239

580.314

1.270.553

Popolazione residente al 31 dicembre

792.591

671.998

1.464.589

Fonte: sito internet demo.istat.it 4.4 LE ALTRE COMUNITA’ ISLAMICHE IN OCCIDENTE Per concludere, un accenno alle principali manifestazioni del mondo islamico nell’occidente in genere [2]. Fenomeni come la xenofobia, la disoccupazione, la difficoltà di confrontarsi con le culture delle civiltà ospitanti, la disgregazione dei valori familiari generano spesso situazioni di alienazione, che costituiscono terreno fertile per l’attività sociale e politica degli attivisti islamici nelle comunità musulmane in occidente407.[1] Tale circostanza contribuisce al mantenimento di un’ “atmosfera islamica” (di cui si parlerà nei capitoli che seguono) che può agevolare, direttamente o indirettamente, i gruppi radicali nella loro opera di raccolta fondi e reclutamento di nuovi adepti. D’altra parte, può essere avanzata anche questa interpretazione: la prima generazione di immigrati ha cercato di integrarsi nelle società occidentali ospitanti ed era impegnata ad affrontare problemi prettamente economici; le generazioni successive sono cresciute con delle aspettative che non hanno trovato soddisfazione e questo ha generato un senso di alienazione nei confronti dell’occidente409, per giunta rinforzato dal flusso di risorse proveniente dai più ricchi Paesi musulmani per aiutare i medesimi a costruire e promuovere le proprie comunità islamiche410. Ecco, quindi, lo sviluppo di un tessuto non

407 Per quanto attiene alla disoccupazione (ed alla conseguente emarginazione) può essere ipotizzata anche la seguente catena causale: gli emigranti che arrivavano in Europa dagli anni sessanta agli anni ottanta cercavano lavori nell’industria manifatturiera (ad esempio, tessile in Gran Bretagna) e pensavano di tornare in patria non appena possibile. Spesso questo ritorno al Paese di origine non si è verificato, ma la struttura dell’economia occidentale è cambiata, cancellando numerosi posti di lavoro manuale e creando invece mansioni dove la padronanza del linguaggio e l’istruzione (che nel frattempo spesso non erano state raggiunte) sono fondamentali (The Economist). 409 Secondo esperti delle Nazioni Unite, per esempio, Al-Qaida avrebbe reclutato militanti tra i residenti in Europa e USA di seconda e terza generazione (Secon report of the monitoring group) 410 Proprio l’attività di queste NGO ed organizzazioni musulmane perpetua un forte legame con il Paese di origine, che impedisce (o sostituisce) l’integrazione con la società europea. D’altra parte, questa circostanza facilita il verificarsi di influenze esterne, anche pericolose (The economist).

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integrato nell’ambito delle società democratiche occidentali che può essere sfruttato, in vari modi (reclutamento, finanziamento, proselitismo), da gruppi islamici estremisti[2]. Un importante esempio di consolidamento della comunità musulmana in occidente si trova nel Regno Unito dove è stato addirittura creato il “Parlamento musulmano del Regno Unito” (che ha operato dal 1992 al 1998), come tentativo di dar vita ad un organo rappresentativo di tutti i gruppi islamici del Paese [2]411. La situazione attuale in Gran Bretagna è il risultato del passato coloniale (che ha favorito, specie nel secondo dopoguerra, un massiccio afflusso di pakistani), della tradizione di grande libertà di espressione e tutela dei diritti individuali e soprattutto dell’approccio britannico verso le diversità culturali e religiose che è sempre stato quello del riconoscimento nella separatezza, piuttosto che del tentativo di integrazione. Questo ha generato la crescita di una rete autonoma di organizzazioni confessionali impegnate in compiti di assistenza sociale e rappresentanza politica sul territorio e, in ultima analisi, di una società nella società412. In generale, negli anni novanta si è registrata una forte crescita del flusso di migranti e richiedenti asilo politico in occidente, anche a causa delle vicende belliche o, comunque, delle situazioni di estrema violenza verificatesi, ad esempio, nel Golfo Persico, in Iraq (curdi), Bosnia, Albania, Kosovo, Cecenia, Algeria e Afghanistan[2].

411 Più recentemente, durante un raduno di islamici britannici, tenutosi nella moschea di Finsbury Park in occasione dell’anniversario dell’11 settembre, è stata annunciata la creazione dell’ “Islamic Council of Britain”, finanziato dai sauditi e destinato a promuovere la Sharia in Gran Bretagna. (La Repubblica, 12/9/2002) 412 Varvello, 2002

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5 IL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO ISLAMICO414 5.1 L’INTERESSE “PROIBITO” E ALTRE PECULIARITÀ DELL’ISLAMIC

BANKING Come già ampiamente evidenziato nel corso dell’analisi che precede, nel mondo islamico la dimensione religiosa (din) è costante riferimento di tutte le dinamiche che si sviluppano nel contesto sociale. E’ questo il significato ultimo del concetto di integralismo: una forza avvolgente della religione rispetto alle istanze individuali e sociali dell’uomo. Ne consegue un funzionamento della società musulmana fortemente guidato dai precetti della Shari’a. A questa regola di base non sfugge l’economia. Per comprendere con immediatezza quale sia l’influenza delle norme religiose sulla configurazione del sistema economico e, in particolare, finanziario islamico è significativo considerare quanto segue. Nel Corano viene fatta un’esplicita distinzione tra il commercio (tigara) e l’interesse (riba); il primo è permesso da Dio, il secondo, invece, è proibito[1]. Basta tener presente la centralità del tasso di interesse nelle teorie economiche alla base dell’assetto economico-finanziario del mondo occidentale, per intuire che tale affermazione coranica ha in sé il germe per la nascita di un assetto differente. Appare superfluo, per i fini del presente lavoro, soffermarsi sulle ragioni di tale interdizione, che, comunque - al di là di riferimenti a concetti di giustizia, equità, equilibrio sociale - sono riconducibili, dal punto di vista economico, all’obiettivo di evitare forme di tesaurizzazione e di rendere più fitto e dinamico il tessuto “imprenditoriale”415. Il Corano fa più volte riferimento alla riba, ad esempio, ammonendo i credenti a temere Dio ed a rinunciare al residuo dell’interesse; se i credenti non lo faranno, riceveranno l’annuncio della guerra da parte di Dio e del suo messaggero; se, invece, i credenti si pentiranno, ai medesimi andranno i loro capitali e nessuno lederà o sarà leso416. E ancora, il testo sacro si rivolge ai credenti esortandoli a non mangiare inutilmente i loro beni tra loro[2] oppure evidenziando che ciò che verrà prestato ad usura perché aumenti sui beni degli altri, non aumenterà presso Dio[5]. Una particolare affermazione ha, peraltro, introdotto un dubbio circa la completa interdizione dell’interesse: “O voi che credete! Non praticate l’usura doppiando e raddoppiando”. Tale precetto ha aperto un dibattito circa il fatto che l’antireligiosità dell’interesse sia tale solo ove questo sia eccessivo (alla stessa stregua del mondo occidentale che condanna l’usura). Tale dibattito è generalmente superato nel senso dell’interdizione in forma assoluta[1].

414 Le informazioni contenute in questo capitolo sono principalmente tratte da Nienhaus, 1994 [1], Abdessatar Khouldi, 1994 [2], Uccello, 2001 [3], Piccinelli, 1994 [5], Galloux, 1994 [6]. 415 Volendo contestualizzare la nascita del precetto, si può ricordare l’organizzazione della penisola araba del VII secolo in città-stato mercantili, nelle quali non erano infrequenti crisi che conducevano a diffusa mancanza di liquidità. In tale contesto, alti tassi di interesse applicati ai commercianti nomadi (categoria fondamentale per la sopravvivenza dell’assetto economico-sociale) avrebbero scoraggiato la loro attività e, comunque, determinato un rilevante aumento dei prezzi. 416 Abelkader Sid Ahmed, 1994.

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In sostanza, anche sulla base di autorevoli fatwa succedutesi nel tempo417, è dominante l’impostazione secondo cui l’interesse è proibito, in tutte le sue forme, indipendentemente dalla sua entità e senza distinzione tra prestito al consumo e prestito alla produzione. Da sottolineare che è da considerare contrario alla Shari’a, non solo il dare a prestito ad interesse418, ma anche il prendere a prestito ad interesse[2]. Gli orientamenti espressi dalle competenti Autorità sono, peraltro, arrivati a ritenere proibito - per tutti i musulmani che hanno la possibilità di interagire con una banca islamica - trattare con una banca che agisce applicando interessi. Parallelamente, la costituzione di banche islamiche è stata configurata come un dovere nell’ambito delle comunità musulmane e, comunque, un servizio sostanziale a favore della Umma[2]. Il divieto di operare attraverso contratti ad interesse ha determinato, per le banche intenzionate a seguire i dettami della Shari’a, essenzialmente due conseguenze principali. In primo luogo, si sono dovuti adottare strumenti tali da non garantire, ad una delle due parti, un profitto certo e determinato, legato solo al trascorrere del tempo e non derivante dal lavoro e dall’attività dell’uomo419[5]. Il criterio di “liceità” individuato è, in sostanza, quello della partecipazione all’iniziativa che viene finanziata. In ultima analisi, tale partecipazione si può tradurre nella sopportazione del rischio imprenditoriale anche da parte di chi apporta il capitale[5]. Da tale impostazione, derivano una serie di strumenti finanziari caratteristici del panorama bancario musulmano, alcuni dei quali verranno illustrati più avanti. E’ intuitivo, comunque, che l’introduzione di nuove figure contrattuali, nonché la gestione delle attività in un mercato in continua evoluzione, che presenta sempre nuovi casi da affrontare, può creare incertezze circa la correttezza religiosa delle soluzioni adottate o da adottare. Da qui, la seconda conseguenza: l’istituzione, presso ogni banca islamica, di un Consiglio incaricato di controllare la conformità delle operazioni rispetto ai precetti della religione musulmana[2]. La presenza di siffatto organismo si evince dalla lettura degli statuti delle banche medesime[2]. Il Consiglio ha solitamente anche il compito di proporre soluzioni idonee a superare eventuali problemi di aderenza alla Shari’a[2]. Tutto ciò comporta che i componenti di tale organo di controllo devono avere una formazione ed un’esperienza polivalenti[2], senza le quali aumenterebbe la vischiosità del processo di adattamento degli strumenti bancari alle esigenze del mercato. Tali figure sono solitamente nominate dall’Assemblea generale degli azionisti, alla quale il Consiglio rivolge una relazione annuale circa la coerenza religiosa della gestione attuata[2]. Chiarito quanto precede, non rimane che illustrare brevemente alcuni dei principali strumenti finanziari utilizzati nel mondo bancario musulmano.

417 Da parte di soggetti come il Congresso islamico del gruppo di studi islamici, il Congresso della Banca islamica, il Gruppo del fiqh della Lega islamica mondiale[2]. 418 In caso di coinvolgimento in un’operazione ad interesse – a causa dell’assenza d alternative islamiche - quest’ultimo deve, comunque, essere dato in beneficenza. 419 Secondo la Sunna: “Il guadagno più lodevole è quello realizzato con il sudore della fronte di un uomo onesto o attraverso una transazione onesta” [2].

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5.2 GLI STRUMENTI FINANZIARI Come accennato, è necessario che al finanziamento si accompagni un’assunzione del rischio commerciale. Questo ha portato all’adozione di una serie di contratti del genere Profit and Loss Sharing (PLS)420. Una prima tipologia di negozio è la mudaraba, secondo cui il capitale necessario a sostenere una certa attività imprenditoriale viene interamente fornito dalla banca. La controparte partecipa all’iniziativa attraverso la propria opera e mantiene il diritto esclusivo di gestire l’attività. E’ predeterminata solo la modalità di ripartizione del risultato dell’operazione: in caso di perdita la banca non otterrà l’intera restituzione della somma prestata, mentre in caso positivo essa parteciperà agli utili secondo le modalità prefissate[1]. Un’altra forma di finanziamento è la musharaka, nella quale il capitale è fornito sia dalla banca che dall’imprenditore. In questo caso, il diritto ad intervenire nella gestione spetta ad entrambe le parti, ma una delle due (solitamente la banca) può rinunciare, almeno per quanto attiene all’operatività quotidiana. Le perdite ed i guadagni421 saranno, anche con questo strumento finanziario, ripartiti tra i contraenti[1]. La mudaraba e la musharaka erano negozi già praticati nell’Arabia preislamica, in particolare, per il commercio carovaniero[1]. Nella condizione dell’impresa moderna, gli atti di gestione si accavallano freneticamente ed il finanziamento è destinato al complesso dell’attività imprenditoriale. Il calcolo del profitto maturato in un determinato periodo di tempo è solo una stima e ciò comporta non trascurabili problemi nella quantificazione dei risultati che devono essere ripartiti tra i partecipanti allo strumento finanziario; problemi che aumentano ove il periodo di tempo sia addirittura più breve dell’anno o lo strumento sia agganciato solo ad un ramo delle attività svolte dall’impresa[1]. Possono essere citati altri negozi, che in concreto sono più frequentemente applicati dalle banche islamiche422, basati su pratiche di mark-up, cioè sull’aggiunta di un margine di guadagno rispetto al prezzo originario. Ad esempio, la murabaha: la banca acquista un bene da un fornitore su richiesta del cliente e rivende poi il bene al cliente stesso ad un prezzo maggiorato, che comprende un profitto a favore della banca (mark-up), che viene pagato in modo differito (di solito tre, sei mesi) [1].

420 Nella pratica le banche islamiche non prediligono le operazioni PLS pure, specie se a medio e lungo termine. Esse preferiscono l’adozione di negozi basati sul mark-up, che garantiscono maggiore liquidità, danno maggiore certezza circa il profitto e non richiedono dispendiosi studi circa la validità delle proposta imprenditoriale da finanziare né attenzione circa la possibilità di manipolazione della controparte sui profitti da dividere[1]. 421 La suddivisione delle perdite deve seguire esattamente la percentuale di apporto del capitale. Per quanto attiene alla ripartizione dei guadagni, vi è maggiore libertà contrattuale, sempre entro i limiti dettati dal generale criterio di equità e giustizia. 422 Veggasi precedente nota circa la pratica applicazione delle figure contrattuali.

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Benché sia lo strumento più utilizzato, rimane diffusa qualche perplessità in ambito musulmano circa la sua conformità alla Shari’a, attesa la similitudine economica rispetto all’applicazione dell’interesse[1]. Analogo contratto è il bay’ mu’aggal, che si differenzia dalla murabaha solo per il pagamento del prezzo concordato in forma rateale[5]. Altro negozio diffusamente adottato è la igara-wa-iqtina, figura contrattuale assimilabile al leasing. La banca, in questo caso, acquista il bene e lo affitta all’imprenditore, contro il pagamento di somme periodiche predeterminate. Diversamente, rispetto alla murabaha, la proprietà del bene rimane alla banca. L’imprenditore ha la possibilità di ottenere la proprietà del bene al termine del contratto[5]. A margine, possono essere ricordati il bay’ al-salam (praticato soprattutto in campo agrario, come vendita di cosa futura, cioè del raccolto prima della sua maturazione) ed il bay’ al-istisna, (con cui la banca finanzia la produzione di un macchinario ed il cliente paga delle rate in relazione, in genere, all’avanzamento delle fasi produttive) [5]. Naturalmente, tra le operazioni di impiego consentite dalla Shari’a possono essere annoverati i prestiti gratuiti, in relazione ai quali il cliente deve solo restituire il capitale ricevuto. Le ragioni che possono spingere le banche a realizzare operazioni di questo tipo possono essere varie. Ad esempio, il beneficiario potrebbe essere un cliente, che ha temporaneamente bisogno di liquidità, con il quale la banca ha già in atto altri rapporti423[1]. Un’altra ipotesi è quella del perseguimento di finalità sociali, come l’aiuto per incrementare la produttività di artigiani ed imprese marginali oppure semplicemente l’assistenza a famiglie povere. Tale forma di prestito sociale è detta qard hasan. I fondi utilizzati vengono prelevati dal fondo della zakat, che le banche stesse gestiscono per conto delle comunità locali o dei governi[5]. Il divieto di applicazione dell’interesse, come detto, vale, per la banca islamica, sia nel dare che nell’avere[5]. Questo significa che tale divieto vale anche nelle operazioni di raccolta. Le forme di deposito praticate dalle banche islamiche si possono dividere in conti correnti (wada ‘i’ gariyya), conti di risparmio (wada ‘i’ al iddikhar) e conti di investimento (wada ‘i’ al istithmar) [6]. Nel caso dei conti correnti, il cliente mantiene la possibilità di ritirare in ogni momento le somme depositate e la banca garantisce la restituzione, senza maggiorazioni. Non sussistono, quindi, complicazioni[1]. Dall’apertura di un conto di investimento, invece, possono derivare “utili” per il depositante, di cui deve essere accertata la conformità ai dettami religiosi. Nei conti di investimento, il cliente versa un determinato capitale alla banca, che non può essere 423 In questo caso, la gratuità è spesso solo formale, in quanto la maggiorazione prevista nel rapporto principale potrebbe tener conto della concessione del prestito senza interessi.

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ritirato prima della scadenza prestabilita. Con tale operazione è come se il cliente finanziasse la banca stessa e l’entità del capitale restituito dipende dagli utili e dalle perdite maturati. E’, quindi, una specie di mudaraba. Anche in questo caso, sorgono i predetti problemi di stima dei profitti e delle perdite maturati in un certo periodo. Nella pratica, il tasso di remunerazione dei fondi è stabile e sostanzialmente prevedibile, realizzando quindi un allineamento di fatto rispetto al sistema dei tassi di interesse “classico”424 [1]. Un’alternativa è che banca e cliente acquistino, invece, un pacchetto azionario, i cui risultati (al netto delle commissioni pagate per la gestione) saranno ripartiti tra i medesimi. A margine, si ritiene utile anche fare un breve riferimento al funzionamento delle imprese di assicurazione, che, comunque, si muovono sul mercato finanziario. Il termine arabo con cui viene fatto riferimento alle assicurazioni è takaful, che significa “solidarietà”. Le sharikat al-takaful gestiscono in fondi comuni di investimento (amwal mushtarak li-l-istithmar), le risorse raccolte sulla base dei contratti di assicurazione stipulati. In pratica, l’assicurato stipula una mudaraba con la società di takaful. Le somme versate entrano nel “fondo” gestito da quest’ultima società, che le investe, le utilizza per pagare gli indennizzi e le spese. Una quota dei profitti viene reinvestita, mentre un’altra viene distribuita tra la società e gli assicurati che non hanno richiesto indennizzi[5]. 5.3 LE BANCHE ISLAMICHE NEL MONDO Dopo aver illustrato le ragioni religiose alla base del funzionamento delle banche musulmane, i principali strumenti adottati e le forme di controllo di aderenza alla Shari’a, si può proficuamente passare all’illustrazione del percorso che ha portato all’attuale assetto del sistema bancario islamico. I primi passi della banca islamica vengono mossi negli anni settanta, anni del crescente panislamismo e del boom petrolifero. In particolare, in questo periodo, a seguito del fallimentare esito della guerra dei sei giorni, si assiste al passaggio da un’aspirazione panaraba e secolare, promossa dall’Egitto, alla centralità del progetto panislamico, guidato dall’Arabia Saudita425. Nel 1975 viene fondata la Islamic Development Bank (IDB) (al-Bank al-islami li-l-tanmiyya) a Gedda (Arabia Saudita), ad opera dei Paesi membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) [1]. Da notare che la IDB è una banca tesa alla promozione ed all’aiuto reciproco nell’ambito dell’islam e non una banca commerciale426. Il primo istituto commerciale nasce, sempre nel 1975, a Dubai[1].

424 I conti di risparmio si differenziano dai conti di investimento principalmente per il fatto che le perdite non colpiscono il capitale del depositante, mentre i risultati positivi sono distribuiti, con una certa discrezionalità, dalla banca, avendo come riferimento il tasso di profitto globale dell’anno. 425 Ibrahim Warde, 2000. 426 L’IDB ha come obiettivo quello di favorire lo sviluppo economico ed il progresso sociale nei Paesi musulmani membri, nonché aiutare finanziariamente le comunità islamiche in Paesi non musulmani.

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Nel 1979, il Pakistan “islamizza” tutto il settore bancario nazionale e analogo provvedimento viene adottato da Iran e Sudan, nel 1983427. Sulla base di dati aggiornati al 1998, operano 166 banche islamiche in 34 Paesi (più di 75 Paesi secondo dati di fonte diversa – Ibrahim Warde, 2000) e gestiscono circa 140 miliardi di dollari, con un tasso annuo di crescita del 15% (altra fonte arriva a stimare in 230 miliardi di dollari il peso finanziario islamico, peso 40 volte maggiore rispetto al 1982 – Ibrahim Warde, 2000).[3] Deve essere sottolineato, comunque, che, a differenza di quanto si può riscontrare per le banche arabe, le istituzioni finanziarie islamiche non sembrano generalmente essere emerse con l’appoggio dei governi (che dispongono dei proventi delle vendite del petrolio), che hanno accolto con “freddezza “ il fenomeno[1]. Già nei primi anni novanta, le banche islamiche erano presenti, ad esempio, in Egitto, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Qatar, Bangladesh, Malaysia, Indonesia, Sri Lanka, Kazakstan, Uzbekistan, Albania, ma anche in Gran Bretagna, Danimarca e Bahamas[1]. L’Islamic Banking (ossia le banche impostate secondo il modello sin qui descritto) pesava relativamente poco nel mondo finanziario arabo: secondo dati aggiornati al 1991, si poteva quantificare orientativamente intorno al 6-7%. Il fenomeno è, però, in forte crescita428[1]. I maggiori centri finanziari islamici sono oggi nel Golfo Persico ed in Malaysia[3]. Nell’ottobre 2001, è stata approvata la costituzione di un Centro bancario islamico, destinato ad essere il “quartier generale” del Arab-Malaysia Banking Group, avente l’obiettivo di “approfondire il mercato finanziario islamico”429. In Gran Bretagna, un considerevole numero di clienti musulmani si avvale dei servizi finanziari islamici. In Europa, anche Germania e Danimarca sono Paesi in cui è penetrato in certa misura il fenomeno[3]. Da un punto di vista economico, deve essere evidenziata la possibilità offerta in termini di mobilizzazione di risorse altrimenti tesaurizzate dai risparmiatori che non intendono rivolgersi alle banche convenzionali per motivi religiosi o per diffidenza [1]. Per rispondere a questa crescente concorrenza e per penetrare in un nuovo mercato, alcuni istituti finanziari occidentali hanno aperto rami aziendali che operano secondo la Shari’a (Abn-Amro olandese, Citibank americana430, Dresdner tedesca, Unione delle banche svizzere) [3].

427 Ibrahim Warde, 2000. 428 Secondo Nienhaus, le prospettive di sviluppo sembrano legate essenzialmente alla capacità delle banche islamiche di “conquistare” le aree rurali, sia dal punto di vista della raccolta (grazie alla maggiore fiducia che esse possono generare nella popolazione data la loro impostazione religiosa) che dell’impiego (essendo tali aree spesso trascurate dai centri finanziari “convenzionali”) nonché allo sviluppo di un efficiente mercato interbancario. [1] D’altra parte, Nienhau ritiene di poter classificare in tre tipologie le banche presenti sul mercato arabo: - banche possedute dallo Stato, impegnate nel finanziamento del settore pubblico; - banche private classiche, create dall’establishment economico, che raccolgono depositi dal pubblico a basso interesse e finanziano a basso costo le imprese; - banche straniere, attive principalmente nel finanziamento del commercio internazionale[1]. Sulla base di tale valutazione, sembrerebbe esserci effettivamente spazio per lo sviluppo della banca islamica. 429 http:www.bnm.gov.my 430 Nel 1996, la Citibank ha aperto una nuova filiale nel Barhein (Ibrahim Warde, 2000).

107

Complessivamente, comunque, le banche islamiche hanno un peso modesto nel panorama finanziario internazionale, derivante dallo sfruttamento di quella che può essere ancora considerata solo una nicchia di mercato, seppure in espansione[1]. Ormai, comunque, si registra un peso complessivo di più di 230 miliardi di dollari. Nell’ambito dei singoli Paesi, comunque, si può osservare che la presenza di tali istituzioni non è irrilevante, considerando la posizione di mercato delle principali banche islamiche rispetto a quelle convenzionali (dati fine 1991): Egitto (7a), Giordania (4 a), Qatar (2 a), Arabia Saudita (2 a), Tunisia (2 a), Emirati Arabi Uniti (9 a) [1]. Secondo dati più recenti, in Kuwait le banche islamiche si sono aggiudicate il 15% del mercato431[3]. Volendo orientarsi in questo universo in espansione, occorre tener presente che, negli anni novanta, si sono consolidati alcuni gruppi di notevole estensione, sia geografica che economica[3]. Un primo gruppo da citare è il Dallah Albaraka Group (Arabia Saudita) diffuso in tutto il mondo islamico, con filiali a Londra e negli Stati Uniti e uffici di rappresentanza a Ginevra[3]. Il gruppo è diretto (dato 1994) dall’uomo d’affari saudita Sheik Saleh A. Kamel[1], ex consigliere finanziario della dinastia saudita. Per avere un’idea della composizione del gruppo è stato elaborato il prospetto 5432, sulla base di informazioni tratte dalla rete internet. Altro gruppo di rilievo nel panorama della finanza islamica è The International Investor (Kuwait) che ha recentemente intrapreso una fusione proprio con il gruppo Dallah Albaraka. Altro importante ed esteso gruppo finanziario è il Dar Al Maal al islaami trust (i cui principali proprietari provengono sempre dalla regione del Golfo) con sede legale nelle Bahamas e uffici per l’Europa a Ginevra[6]. E’ guidato dal Principe saudita Mohamed al-Faisal al-Saud [1]. Il gruppo si compone di oltre 20 compagnie finanziarie e commerciali ed è rappresentato in 15 diversi Paesi. Le principali filiali del gruppo sono la Islamic Investment Company of the Gulf, la Faysal Islamic Bank of Bahrein (recentemente fusesi nella Shamil Bank of Bahrein)433. Anche con riferimento a questo gruppo viene proposto il prospetto 6, che schematizza alcune relazioni di controllo. Il prospetto 7, invece, evidenzia la struttura del Al Rajhi banking and investment Corporation (Arabia Saudita) dei gruppi finanziari del Golfo[3]. Il gruppo è particolarmente attivo nell’ambito del Regno saudita, con 373 branch (filiali) e 5.792 dipendenti434.

431 La Kuwait Finance House è stata sostenuta dallo Stato. 432 Tale schema, come anche i successivi, non è stato elaborato con pretese di esaustività, ma come indicazione di massima, basandosi sulle seguenti fonti: www.albaraka.com; www.tiikwt.com ; http://www.islamic-banking.com/news/kuwait/tii_dbg_0202.php; http://www.tii.com/ab_news.html#2001-2; http://www.tii.com/news_2001.html#2001-6 433 Fonte: http://www.faysalbank.com.pk/html/body_group_profile.html 434 Fonte http://www.alrajhibamk.com

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Deve essere notata l’origine saudita dei tre sopra citati gruppi. Questa circostanza può trovare motivazione, già evidenziata nei paragrafi che precedono, nella volontà dell’Arabia Saudita di svolgere un ruolo guida nello sviluppo del panislamismo sunnita. Una rete finanziaria internazionale islamica, infatti, sarebbe un ulteriore strumento nelle mani della monarchia saudita, per estendere la propria influenza nel mondo musulmano. Per individuare le principali banche islamiche operanti sul mercato, può essere utile anche prendere visione del prospetto 8, che, sulla base di dati risalenti alla fine del 1991 ed al 1997, indica la collocazione delle medesime tra le prime 100 banche arabe. Prospetto 8 BANCHE ISLAMICHE TRA LE PRIME 100 BANCHE ARABE (1) Nome Paese (2) 7 Al Rajhi Banking & Investment Corp. Arabia Saudita 5 * Kuwait Finance House Kuwait 35 40 Faysal Islamic Bank of Egypt Egitto 91 51 Dubai Islamic Bank Emirati Arabi

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53 Faysal Islamic Bank of Bahrein (3) Bahrein 63 57 Qatar Islamic Bank Qatar 96 61 Albaraka Islamic Investment Bank Bahrain 92 63 BEST Bank (gruppo Albaraka) Tunisia * 92 Jordan Islamic Bank (affiliata al gruppo

Albaraka) Giordania 89

100 Qatar International Bank Qatar * (1) Posizione nella classifica secondo il capitale. Fonte: Arab business Magazine, Dubai, Settembre 1992 (tratto da Nienhaus, 1994[1]). (2) Posizione nella classifica secondo il capitale. Fonte: www.arab.net/arab_banks/welcome.html Copyright 1997 arabNet (3) Oggi la Faysal Islamic Bank of Bahrein, essendosi fusa con la Islamic Investment Company of the Gulf, fa parte di un’istituzione finanziaria, la Shamil Bank of Bahrein, che ormai è la più grande realtà della regione, con un totale attività di 2,9 miliardi di dollari ed un capitale di 230 milioni di dollari. Per finire, al fine di comprendere quali possano essere i rapporti tra banche islamiche e governi dei singoli Paesi arabi, può essere significativo esaminare brevemente il caso della Faysal Islamic Bank of Egypt[6]. Nel momento in cui il fenomeno si è presentato, lo Stato ha scelto di concedere, nel 1977, la licenza di funzionamento. Questo per permettere la crescita di un’ “economia islamica” che contribuisse a contenere le pressioni sociali, sempre più espresse dalle rivendicazioni dei gruppi islamici, che rischiavano di alimentare il fondamentalismo. [6] Nel concedere la licenza, è stata attribuita anche tutta una serie di rilevanti privilegi, rispetto alla legislazione statale, che hanno condotto qualcuno (esagerando) a considerare la banca uno Stato nello Stato. Il capitale saudita, peraltro, ha un peso di circa la metà nel capitale della banca. Tale situazione non si ripropone, nel 1980, per la Banca Internazionale Islamica di Investimento, di capitale interamente egiziano[6].

112

Negli anni novanta, comunque, lo Stato egiziano non ha incoraggiato lo sviluppo della Faysal Bank, sia per quanto attiene all’espansione interna, sia controllando la sua apertura internazionale verso musulmani non egiziani (manovra espressione dell’aspirazione al panislamismo) [6].

113

6 I GRUPPI TERRORISTICI DI MATRICE ISLAMICA 6.1 CONCETTI DI INTEGRALISMO E FONDAMENTALISMO Prima di procedere all’elencazione ed all’illustrazione delle caratteristiche note dei principali gruppi terroristici di matrice islamica, pare opportuno soffermarsi sul concetto di integralismo applicato al mondo musulmano. Tale termine viene usato per riferirsi alla concezione dell’Islam quale sistema totalizzante, che, come già visto, non ammette separazione tra religione e Stato (din e dawla). A fronte di questo generale significato, si possono riscontrare atteggiamenti diversificati che vanno dalla applicazione letterale del testo coranico alla possibilità di una sua reinterpretazione (che quindi implica la possibilità del riformismo) finalizzata ad un ritorno alla purezza originaria considerata garanzia di promozione socio economica. Si parla di fondamentalismo435, invece, per sottolineare la scelta dell’interpretazione letterale del testo sacro che viene posto come principale se non unica fonte di autorità436. In sintesi, quindi, l’integralismo non necessariamente si accompagna al fondamentalismo, che più facilmente può tradursi in atteggiamenti “estremi”. In generale, il diffondersi ed il radicalizzarsi di questi orientamenti può chiaramente essere letto anche come risposta e resistenza alla diffusione, in chiave totalizzante, dei valori e degli stili di vita del mondo occidentale. Secondo Olivier Roy437, sta emergendo un “neofondamentalismo” con l’obiettivo finale dell’ “islamizzazione” della globalizzazione, come premessa per la ricostituzione della Umma438. I neofondamentalisti puntano innanzitutto all’implementazione della Shari’a più che ad obiettivi politici in senso nazionale o sopranazionale439. 6.2 LE POSIZIONI POLITICHE VERSO IL TERRORISMO Prima di passare all’esame riferito alle principali organizzazioni terroristiche di matrice islamica è utile fornire uno schema di quelle che sono le posizioni ufficiali dei vari Stati, nei confronti del terrorismo medesimo, nell’area geopolitica di specifico interesse. A tal proposito, si può ricordare che le entità nazionali che confinano in Asia con l’area medio orientale sono unite nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che ha tra i suoi obiettivi quello di combattere il terrorismo e l’estremismo religioso: Uzbekistan440, Tajikistan, Kyrghyzistan, Kazakhstan441, Russia e Cina442 (Patterns of global

435 Alcuni esempi riguardanti il Maghrib: il FIS (fronte islamico di salvezza, 1989) algerino, il MTI (movimento di tendenza islamico, 1981) ed il Nahda (rinascita, 1989) in Tunisia, al-‘Adl wa’l-Ihsan (giustizia e beneficio, 1979) in Marocco. (Scarcia Amoretti, 1998). 436 Scarcia Amoretti, 1998; Eco, 2001. 437 Già direttore di ricerca presso il Cnrs. 438 De Giovannangeli, 2002. 439 Fumagalli, 2002. 440 Entrato solo in un secondo momento nel 2001.

114

terrorism 2001). Tale posizione è giustificata dal potenziale destabilizzante che, anche per questi Paesi, ha il fondamentalismo islamico. La Federazione Russa, dal canto suo, è impegnata nella questione cecena443. Di fondamentale rilevanza è il protocollo, firmato nel maggio 2002, secondo cui la Russia parteciperà alle decisioni della NATO in alcuni settori, tra cui la lotta al terrorismo. Altra interessante informazione di fonte statunitense è l’indicazione, da parte dell’amministrazione americana, di sette governi considerati sponsor del terrorismo internazionale: Iran, Iraq, Siria, Libia, Corea del Nord, Cuba, Sudan444. Da notare che Iran, Iraq e Libia445 assicurano l’11% della produzione mondiale di petrolio ed il 35% delle importazioni OCSE di greggio446. 6.3 DALLA SPONSORIZZAZIONE DEGLI STATI AL SUPPORTO

PUBBLICO Deve essere evidenziato come negli ultimi anni sembra aver perso importanza la sponsorizzazione degli Stati a fronte di una forma di “supporto pubblico” al terrorismo, legato essenzialmente a quattro fattori sociali e psicologici447: il consolidamento nelle società arabe e musulmane dell’idea secondo cui sarebbe in

atto una cospirazione globale contro l’islam, come religione, cultura e stile di vita, che giustifica una lotta che si configura come autodifesa; molti musulmani sono stati convinti che la vera interpretazione dell’islam sia legata ad

un’impostazione fondamentalista della religione. Tale circostanza sarebbe stata favorita dall’assenza di centri religiosi “ufficiali”, unitari ed autorevoli, che avrebbe spesso lasciato nelle mani dei gruppi estremisti la guida spirituale della popolazione, anche in contrapposizione con i regimi al potere; la presenza di movimenti e gruppi che, pur non essendo implicati in violenza politica e

terrorismo, contribuiscono ad alimentare una cosiddetta “atmosfera islamica”. Tale circostanza sarebbe determinata dal fatto che questi gruppi conducono, in nome

441 Kazakhstan, Kyrgyzstan e Tajikistan, assieme a Russia, Bielorussia ed Armenia, hanno addirittura deciso di creare una forza di reazione rapida capace di rispondere alle minacce che dovessero emergere nella regione, incluse le minacce legate al terrorismo e all’estremismo religioso. Il Quartier generale dovrebbe essere fissato in Kyrgyzstan.(PGT2001) 442 In Cina, si registra una significativa presenza islamica nella regione dello Xinjiang, che lotta per la creazione dello Stato indipendente del Turkestan orientale (Sisci, 2001). 443 Nella quale sarebbero coinvolti anche miliziani di Al Qa’ida. 444 La designazione degli Stati sponsor del terrorismo internazionale spetta al Segretario di Stato, ove un certo governo abbia ripetutamente fornito supporto per atti di terrorismo internazionale. In conseguenza di tale designazione scattano varie sanzioni unilaterali; le principali possono essere raggruppate nelle seguenti categorie: - bando alla vendita ed esportazione di armi; - restrizioni all’esportazione di beni dual use; - proibizione dell’assistenza economica da parte del Governo degli Stati Uniti (tale politica comprende, ad esempio,

anche l’opposizione alla concessione di prestiti da parte della Banca Mondiale o di altre istituzioni finanziarie internazionali);

- imposizione di una serie di restrizioni commerciali e di altro tipo nei rapporti con i Governi sponsor del terrorismo. (fonte: Patterns of global terrorism 2001). 445 La Libia assicura il soddisfacimento del 30% del fabbisogno petrolifero italiano. 446 Fubini, 2001, che cita il Patterns of global terrorism. 447 Reuven Paz (2000).

115

dell’islam, importanti attività politiche, sociali, culturali ed educative a favore nel mondo musulmano e delle relative comunità in occidente. Questa atmosfera viene spesso sfruttata dai gruppi più estremisti; i gruppi di cui al punto precedente dispongono di infrastrutture, anche nel mondo

occidentale, che possono teoricamente essere sfruttate da gruppi terroristici. In sintesi, lo schema di riferimento è una piramide, alla cui base stanno le attività lecite su larga scala (anche presso le comunità in occidente) dei gruppi sociali non violenti islamici e la cui punta è rappresentata dai gruppi terroristici. Nell’area intermedia si svolgono anche processi che portano alla ridefinizione (distorsione) di istanze sociali in odio, vendetta, violenza, nonché al finanziamento del terrorismo anche da parte di persone inconsapevoli448.

448 Reuven Paz, 2000.

116

6.4 SCHEMI SINOTTICI DELLE PRICIPALI ORGANIZZAZIONI

TERRORISTICHE ISLAMICHE Di seguito vengono presentate, evidenziandone le principali caratteristiche, alcune organizzazioni terroristiche di rilievo. Lo schema seguito e le informazioni utilizzate sono tratte dal Patterns of Global Terrorism 2001, predisposto, nel maggio 2002, dall’Office of the Coordinator for Counterterrorism del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. In corrispondenza di alcuni dei gruppi terroristici che seguono verrà indicata la sigla FTO (foreign terrorist organization), volendo significare con ciò l’inclusione degli stessi in una specifica lista tenuta dal Segretariato di Stato. Tale inclusione determina, negli Stati Uniti, l’applicazione di una serie di sanzioni, comprendente il blocco dei fondi da parte delle istituzioni finanziarie, ed il divieto di fornire ai medesimi qualsiasi tipo di supporto449. Le informazioni inserite, in alcuni casi, provengono, oltre che dal PGT2001, anche da altre fonti aperte richiamate in nota. Nella sequenza di presentazione delle schede si è operato un raggruppamento di massima in relazione all’obiettivo perseguito/area geografica di riferimento.

449 Per ulteriori dettagli sul sistema statunitense per il contrasto al finanziamento del terrorismo, veggasi il capitolo dedicato alle recenti politiche normative.

Lo schema seguito e le informazioni utilizzate sono tratte dal Patterns of Global Terrorism2001, predisposto, nel maggio 2002, dall’Office of the Coordinator for Counterterrorism delDipartimento di Stato degli Stati Uniti.

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6.4.1 ORGANIZZAZIONE ABU NIDAL Organizzazione Abu Nidal (ANO) FTO nota anche come: Consiglio rivoluzionario Fatah, Brigate rivoluzionarie arabe,Settembre nero450, Organizzazione rivoluzionaria dei musulmani socialisti. Separazione dall’OLP, nel 1974. Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001451 Guidato, fino alla sua recentissima morte, da Sabri al-Banna (nome di battaglia Abu Nidal)452. Conta alcune centinaia di membri. Le capacità del gruppo sembrano diminuite a causa di problemi finanziari ed organizzativi. Al-Banna si era spostato in Iraq nel 1998453. Nel mese di agosto 2002, è stato trovato morto nel suo appartamento di Baghdad. Secondo fonti irachene, il terrorista si sarebbe suicidato dopo che alcuni funzionari dei servizi iracheni erano andati a prelevarlo per un interrogatorio454. Il gruppo mantiene una presenza operativa in Libano, inclusi alcuni campi profughi palestinesi. Le attività in Libia ed Egitto sono state, invece, fatte cessare dalle locali Autorità nel 1999. Attacchi in 20 Paesi, che hanno coinvolto quasi 900 persone. Gli obiettivi includono: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Israele, Palestinesi moderati, OLP, vari Paesi arabi. In Italia, questo gruppo terroristico è stato protagonista, in particolare, della strage all’aeroporto di Fiumicino del 1985 (lancio di bombe a mano al check in di Twa e della compagnia israeliana El Al)455. L’ultimo atto terroristico attribuito all’ANO è l’assassinio, nel 1994, di un diplomatico giordano in Libano. Non si registrano attacchi ad obiettivi occidentali dalla fine degli anni ottanta. Nel gennaio 1991, è sospettato di essere responsabile dell’uccisione del numero due dell’OLP, schieratosi (diversamente da Arafat) contro Saddam Hussein456. Ha ricevuto consistenti aiuti, compreso rifugio, addestramento, assistenza logistica e finanziaria da Iraq, Libia e Siria (fino al 1987).

450 Sotto la denominazione “Settembre nero” fu compiuta la strage dei undici atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 5 settembre 1972. Il settembre nero è il periodo del 1970 durante il quale la monarchia Giordana (per la crescente influenza politica nel Paese dell’OLP) attacca la resistenza palestinese, che è costretta a smantellare le proprie basi e riparare in Libano (Scarcia Amoretti, 1998). 451 Per il significato e gli effetti di tale inserimento, veggasi il capitolo concernente la recente politica normativa di contrasto al fenomeno del terrorismo internazionale. 452 Prima della guerra arabo-israeliana del 1973, al-Banna è stato rappresentante dell’OLP in Sudan ed in Iraq. Esce dall’OLP e fonda ANO (Farina, 2002). Non sembra che Abu Nidal fosse guidato dal fanatismo religioso (Ferrari, 2002). 453 Precedentemente era stato segnalato in Siria, Libia, Egitto (Farina, 2002) 454 Corriere della Sera, 22/8/2002. 455 Farina, 2002. 456 Ferrari, 2002

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6.4.2 HAMAS Hamas (Islamic Resistance Movement) FTO Il nome del gruppo è un acronimo che significa Harakat al Muqawama al Islamiyya (movimento di resistenza islamica457) L’ala terroristica di Hamas, la Hamas-Izz al-Din al-Qassem, è inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001. Nella medesima lista è stata anche inserita la Holy Land Foundation for Relief and Development458. Nasce nel 1987, con l’avvento della prima intifada459. Guida spirituale è Ahmad Yasin460. Il gruppo è concentrato nella striscia di Gaza ed in alcune aree del West bank (Cisgiordania). Nel 1999, le Autorità giordane hanno chiuso gli Uffici Politici del gruppo ad Amman, arrestando i leader e proibendo le attività sul suolo Giordano. Hamas è comunque presente anche in altre aree del Medio Oriente, compresi Siria, Libano ed Iran. Sembra, altresì, che Hamas abbia “punti di contatto” nella Repubblica della Moldavia (dove rimane aperta la destabilizzante questione della Transnistria)461. Le attività terroristiche sono oggi principalmente realizzate dagli attivisti di Izz el-Din al-Qassam Brigades (ala armata del movimento intitolata al protagonista della rivolta palestinese del 1936, contro gli inglesi e la crescente presenza sionista). Gli attacchi si sono molto intensificati nel 2001, in piena seconda intifada e sono diretti esclusivamente ad obiettivi israeliani. Alcuni membri operano segretamente, mentre altri sono apertamente attivi attraverso moschee e istituzioni di servizio sociale per il reclutamento, la raccolta di fondi,

457 Caruso, 2002. 458 Come precisato anche nel Patterns of global terrorism 2001, l’executive order 13224 (veggasi capitolo sulla recente politica normativa) ha colpito, oltre all’HLFRD, altre due presunte fonti di supporto finanziario ad Hamas (Beit el-Mal Holding e Al Aqsa Islamic Bank). 459 Caruso, 2002 460 Caruso, 2002. 461 Sartori, 2002. La Transnistria è una striscia di terra - ad est del fiume Nistru (Dnestr in lingua russa) e confinante con l’Ucraina - sottrattasi di fatto alla sovranità della Moldavia (ex repubblica sovietica), nel 1991-1992. Tale territorio è da allora sotto il controllo delle milizie transnistriane e della XIV armata russa (il cui ritiro è già stato oggetto di accordo tra Russia e Moldavia, ma viene ostacolato dalla transnistria). In tal modo il confine orientale del Paese non può essere sorvegliato dalle autorità moldave, che peraltro non hanno implementato controlli sostitutivi ai limiti del territorio transnistriano (cosa che significherebbe riconoscere l’esistenza delle transnistria). Ne consegue una situazione che favorirebbe il passaggio pressoché incontrastato (tramite la Moldavia e, quindi, in occidente) di armi, stupefacenti, materiali strategici e merci di contrabbando in genere provenienti dalle altre Repubbliche ex sovietiche e dall’Afghanistan. La situazione di instabilità della regione favorirebbe altresì lo sviluppo di gruppi criminali locali, nonché la penetrazione di mafie esogene, come come quella russa o italiana. In Moldavia vivono numerose persone di origine araba. Le Autorità moldave temono soprattutto individui provenienti dalla Cecenia, alcuni dei quali potrebbero fare diretto riferimento alle organizzazioni terroristiche operanti in Cecenia, in stretto collegamento con Al-Qaida e con i trafficanti d’armi della Transnistria, dai quali si approvvigionerebbero. In generale, nella Moldavia agirebbero diversi individui collegati con organizzazioni terroristiche islamiche, spesso con compiti limitati alla propaganda, al finanziamento ed al reclutamento. In tale contesto, spesso organizzazioni che appaiono come caritatevoli e/o culturali, sono basi logistiche e di supporto finanziario per i terroristi. (Sartori, 2002)

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propaganda… Dal punto di vista politico, Hamas ha anche gestito candidati alle elezioni in Cisgiordania per la Chamber of Commerce. Non è da escludere un suo coinvolgimento nelle prossime elezioni politiche462. Non è noto il numero dei militanti, ma Hamas gode certamente di decine di migliaia di simpatizzanti. L’organizzazione sarebbe strutturata sul territorio di Gaza e della Cisgiordania, suddiviso in distretti di attività. A livello distrettuale, opererebbero, poi, comitati per l’educazione, le pubblicazioni, le finanze, i prigionieri…463 L’obiettivo è la costituzione dello Stato islamico sull’intera Palestina. Non è riconosciuto alcun fondamento storico-politico-geografico dello Stato di Israele. Hamas è contrario al processo finalizzato ad arrivare ad una pace negoziata con Israele, che è, invece, la strada intrapresa dall’OLP con il processo di Oslo (si veda il capitolo dedicato alla questione israelo-palestinese). Questo ha portato a contrasti, anche violenti, in ambito palestinese. In particolare, Hamas rifiuta proprio gli accordi di Oslo. I tentativi di Arafat di cooptare Hamas nell’ambito della nascente Anp sono falliti. Nel 1997, addirittura, Arafat avrebbe congelato le attività di Hamas in Palestina464. Hamas conduce attacchi, specie suicidi, contro civili e militari israeliani. Nei primi anni novanta ha colpito anche palestinesi sospettati di collaborazionismo e membri rivali di al-Fatah (movimento di Arafat in seno all’OLP). Nell’ambito della seconda intifada, tuttora in corso, Hamas sembrerebbe aver sviluppato sinergie con gli Hizbullah libanesi465. Il gruppo riceve fondi da palestinesi espatriati, Iran, da benefattori privati in Arabia Saudita ed altri Paesi Arabi. Raccolta fondi e propaganda sono praticate anche nell’Europa occidentale ed in Nord America. Il trasferimento dagli Stati Uniti, almeno fino al provvedimento di congelamento ivi attuato, avveniva normalmente attraverso uffici di cambio, assegni di società estere registrate all’estero, trasferimenti da banche occidentali466. La cosiddetta triborder area (TBA; ove convergono i confini tra Argentina, Paraguay e Brasile e ove si registra una significativa presenza araba) sarebbe un importante perno per le attività di Hamas (oltre che di Hizbullah), specie dal punto di vista logistico e finanziario. I tre Paesi interessati hanno mostrato l’intenzione di combattere il fenomeno, conducendo anche interessanti operazioni.

462 Fonte: The Economist 463 Caruso, 2002. 464 Caruso, 2002. 465 Caruso, 2002. 466 Caruso, 2002.

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6.4.3 LA JIHAD ISLAMICA PALESTINESE Jihad islamica palestinese (PIJ) FTO Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001 Nasce tra i militanti palestinesi nella striscia di Gaza,negli anni settanta. La fazione Shiqaqi, attualmente guidata da Ramdan Shallah in Damasco, è la più attiva. Shallah sarebbe considerato un importante punto di contatto tra Hizbullaz e l’intifada palestinese467. PIJ opera in Cisgiordania, Gaza ed Israele e in altre parti del Medio oriente, inclusi Libano e Siria. Mantiene il proprio quartier generale in Siria. L’obiettivo è la creazione dello Stato islamico palestinese e la distruzione di Israele. Si oppone anche ai governi arabi moderati, che ritiene inquinati dal secolarismo occidentale. Anche gli Stati Uniti sono esplicitamente individuati come nemico, atteso il supporto ad Israele, anche se nessun attacco è mai stato condotto nei loro confronti. Nel passato, sono stati solo minacciati attacchi in caso di spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.468 Organizza attacchi suicidi in West bank (Cirgiordania), striscia di Gaza e Israele469. L’attività contro Israele è cresciuta nel 2001, durante la seconda intifada. Il gruppo riceverebbe sostegno finanziario dall’Iran e limitata assistenza logistica dalla Siria.

6.4.4 FRONTE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA Fronte di liberazione della Palestina (PLF) FTO Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001 Fondata negli anni settanta e successivamente divisasi in tre fazioni rispettivamente vicine all’OLP (guidata da Abu Abbas), alla Siria, alla Libia. La fazione di Abu Abbas ha avuto base in Tunisia fino alla vicenda della Achille Lauro. Ora ha base in Iraq. Sembra, altresì, che PLF abbia “punti di contatto” nella Repubblica della Moldavia (dove rimane aperta la destabilizzante questione della Transnistria)470 La fazione di Abu Abbas è nota per vari attacchi aerei ad Israele. Nel 1985, uccide un cittadino statunitense, nell’ambito della vicenda della Achille Lauro, in Italia. Il gruppo riceverebbe attualmente supporto dall’Iraq. In passato, sembra fosse sostenuto anche dalla Libia.

467 De Giovannangeli, 2002 468 PGT2000. 469 PGT2000 470 Sartori, 2002. Si veda nota in calce alla scheda dedicata ad Hamas.

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6.4.5 FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA Fronte popolare di liberazione della Palestina (PFLP) FTO Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001 Gruppo marxista leninista fondato, nel 1967, da George Habash, come membro dell’OLP. Si è unito all’Alleanza delle Forze Palestinesi (APF) per opporsi alla Dichiarazione di principio firmata nel 1993 (processo di Oslo) ed ha sospeso la partecipazione all’OLP. E’ uscito dell’APF nel 1996 per divergenze ideologiche. Nel 1999, si sono svolti incontri con il partito di Arafat e rappresentanti dell’OLP per discutere dell’unità nazionale e del rilancio dell’OLP medesimo. Si oppone tuttora ai negoziati in corso con Israele. Si basa su circa 800 membri. Opera in Siria, Libano, Israele, Cisgiordania e Gaza. Sembra, altresì, che PFLP abbia “punti di contatto” nella Repubblica della Moldavia (dove rimane aperta la destabilizzante questione della Transnistria)471 Responsabile di numerosi attacchi terroristici internazionali negli anni settanta. Dal 1978, ha condotto attacchi contro Israele ed obiettivi nei Paesi arabi moderati. L’attività terroristica è incrementata nel 2001, durante la seconda intifada (uccisione, ad esempio, del Ministro del Turismo israeliano). Il gruppo riceve rifugio ed una certa assistenza logistica dalla Siria.

6.4.6 FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA – COMANDO GENERALE

Fronte popolare di liberazione della Palestina – Comando Generale (PFLP-GC) FTO Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001 Si divide dal PFLP nel 1968, per concentrarsi nel combattimento più che sulla politica. Si oppone all’OLP di Arafat. Guidato da Ahmad Jabril, ex capitano dell’esercito siriano. Fortemente legato a Siria e Iran. Il quartier generale si trova a Damasco ed ha basi in Libano.Può contare su alcune centinaia di membri. Negli anni settanta ed ottanta ha condotto attacchi sia in Europa che in Medio Oriente. Attualmente, concentrato in operazioni di guerriglia nel sud del Libano ed attacchi su piccola scala in Israele, Cisgiordania, striscia di Gaza. Riceve supporto dalla Siria ed aiuto finanziario dall’Iran.

471 Sartori, 2002. Si veda nota in calce alla scheda dedicata ad Hamas.

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6.4.7 BRIGATA DEI MARTIRI DI AL-AQSA Brigata dei martiri di al-Aqsa (Kata’ib Shuhada’ al-Aqsa)472 FTO Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001 Questa organizzazione terroristica, che emerge nel 2001, comprende un imprecisato numero di piccole celle composte da attivisti affiliati alla fazione Al-Fath. Sorge nel 2001, durante la seconda intifada, di cui è tuttora uno dei principali protagonisti. L’obiettivo del gruppo terroristico sono civili e militari israeliani, che vengono colpiti, per lo più, tramite attacchi suicidi (nel gennaio 2002, ha rivendicato anche il primo attacco suicida condotto da una donna). La sua attività è limitata allo scenario su cui si svolge, appunto, l’intifada di al-Aqsa Dal PGT2001, eventuali aiuti esterni sono sconosciuti.

6.4.8 ‘ASBAT AL-ANSAR ‘Asbat al-Ansar (Lega dei partigiani) FTO Inserito nella lista allegata al regolamento 881/2002473. Gruppo terroristico basato in Libano, di ispirazione sunnita estremista, composto principalmente da palestinesi e collegato con Usama bin Laden (come testimoniato, appunto, dall’inclusione nella lista 881/2002). Si ritiene che il gruppo possa contare su circa 300 combattenti in Libano. La principale base operativa sarebbe il campo profughi palestinese ‘Ayn al-Hilwah, nel Libano meridionale. Tra gli obiettivi di ‘Asbat al-Ansar figura il rovesciamento del governo libanese. I primi attacchi attribuibili a questo gruppo risalgono ai primi anni novanta. Nel 1999, si è registrato il coinvolgimento in scontri nel Libano del Nord. Nel 2000, si è assistito ad un’intensificazione delle sue attività terroristiche, con attacchi contro obiettivi libanesi ed internazionali (tra cui l’ambasciata russa). Probabilmente riceve aiuto finanziario dalle reti internazionali dell’estremismo sunnita, nonché dalla rete di Al-Qaida.

472 http://www.palestinefacts.org/pf_1991to_now_plo_alaqsa_brigade.php 473 Per il significato e gli effetti di tale inserimento, veggasi il capitolo concernenti la recente politica normativa di contrasto al fenomeno del terrorismo internazionale.

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6.4.9 HIZBULLAH Hizbullah (Party of God) FTO nota anche come: Islamic Jihad, Revolutionary Justice Organization, Organization of the Oppressed on Earth, Islamic Jihad for the Liberation of Palestine Gruppo sciita radicale formatosi in Libano, nel 1982, a seguito dell’invasione israeliana. Stretto alleato dell’Iran (alla cui rivoluzione si ispira), da cui è stato spesso diretto. Nonostante non condivida l’orientamento secolare del regime siriano, Hizbullah è stato un importante alleato “tattico” della Siria. Il suo più alto organo di governo interno è il Consiglio consultivo (Majlis al-Shura), diretto da Hassan Nasrallah. Può contare su alcune migliaia di sostenitori ed alcune centinaia di terroristi attivi. Opera nella valle della Bekaa, Hermil, nella periferia sud di Beirut e, in genere, nel Libano meridionale. Ha cellule in Europa, Africa, Sud America, Nord America e Asia. Per quanto riguarda il Sud America, oltre alle attività nella TBA, vi sono prove della presenza di Hizbullah in Cile, in Colombia (vicino al confine con il Venezuela), nella Margarita Island (in Venezuela), nella colon free trade zone a Panama. Sembra, altresì, che Hizbullah abbia “punti di contatto” nella Repubblica della Moldavia (dove rimane aperta la destabilizzante questione della Transnistria)474 Il ritiro unilaterale delle truppe israeliane dal sud del Libano, nel 2000, è stato letto come la vittoria della guerriglia condotta dagli Hizbullah475. Questo ha dato una forte credibilità sullo scenario medio orientale al movimento, che sembra adesso aver stretto accordi di cooperazione con i movimenti terroristici palestinesi (come Hamas e la Jihad islamica476), per la conduzione della seconda intifada477. Da notizie stampa, sembra anche che sia stato stretto un significativo accordo tra Hizbullah ed Al-Qaida. Esso consisterebbe nel trasferire dallo Yemen in Libano 150-200 terroristi di Al-Qaida e stabilire rapporti operativi. I miliziani di Al-Qaida dovrebbero raggiungere due aree di schieramento (nella periferia meridionale di Beirut e nella valle della Bekaa) dove il loro addestramento sarà aggiornato, tenendo conto delle nuove contromisure adottate dalle polizie occidentali. La tattica suggerita dagli Hizbullah sarebbe quella di attaccare sia dal cielo (ad esempio, tramite piccoli deltaplani a motore), dal mare (per colpire - con azioni suicide di sub, barche, gommoni - le navi militari o da crociera occidentali) che tramite animali addestrati (da lanciare, carichi di esplosivo, verso obiettivi minori).478 L’obiettivo è quello di incrementare il proprio potere politico in Libano, dove vuol applicare pienamente le regole islamiche. Nonostante previe dichiarazioni di indisponibilità ad accettare il vigente sistema politico, ha partecipato alle elezioni parlamentari del 1992. Si oppone al processo di pace in Palestina, aspirando alla liberazione di tutte le terre arabe occupate ed all’eliminazione di Israele. Il movimento è, quindi, anti occidentale ed anti israeliano. 474 Sartori, 2002. Si veda nota in calce alla scheda dedicata ad Hamas. 475 Caruso, 2002. 476 De Giovannangeli, 2002 477 Veggasi il paragrafo dedicato alla questione israelo-palestinese. 478 Olimpio, 2002.

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E’ accertato o sospettato il suo coinvolgimento in numerosi attentati contro gli Stati Uniti, specie in Beirut. Negli anni novanta si sono verificati attacchi agli interessi Israeliani in Argentina. Hizbullah si sarebbe articolato in comandi operativi autonomi e cellule militari compartimentate meno soggette ad infiltrazione. I compiti operativi sarebbero inoltre accuratamente suddivisi (dall’individuazione del bersaglio, affidato ad unità di ricognizione, all’attacco condotto da unità specializzate che ricevono armamenti ed istruzioni solo all’ultimo momento)479. Come già detto, le truppe israeliane si sono ritirate unilateralmente dal Libano meridionale nel 2000. Secondo Hizbullah, la linea di ripiegamento israeliano (la cosiddetta linea “blu”) comprende ancora terre libanesi, dove peraltro le postazione di Tsahal

(l’esercito israeliano) sono di frequente oggetto di azioni di guerriglia (cui seguono rappresaglie da parte dello stesso Tsahal)480. Il gruppo riceve sostegno da Iran (finanziamenti, addestramento, armi, esplosivi, appoggio politico, diplomatico, organizzativo) e Siria (supporto politico, diplomatico e logistico). Sembra che in occasione del Congresso di solidarietà per il supporto dell’intifada, organizzato proprio da Hizbullah nel maggio 2001, siano state gettate le basi per il nuovo “partito della jihad”, teso verso l’obiettivo di fondo di “islamizzare” l’intifada. Da notare anche che Hizbullah ha una presenza significativa nel parlamento libanese. A completamento del “modello Hizbullah” può anche essere citato un complesso sistema mediatico (televisione, radio, settimanali, siti web)481 Per quanto attiene alle posizioni in Sud America, la cosiddetta triborder area (TBA; ove convergono i confini tra Argentina, Paraguay e Brasile e ove si registra una significativa presenza araba) sarebbe un importante perno per le attività di Hizbullah (oltre che di Hamas), specie dal punto di vista logistico e finanziario. I tre Paesi interessati hanno mostrato l’intenzione di combattere il fenomeno, conducendo anche interessanti operazioni. Da un’indagine, emergerebbe il trasferimento di milioni di dollari ad “operativi”, organizzazioni caritatevoli ed altre entità legati ad Hizbullah nel mondo. Anche in Cile è aperta un’inchiesta che interessa, in particolare, due imprese sospettate di condurre operazioni di copertura per trasferire milioni di dollari ad Hizbullah. Da notizia stampa, ripresa sempre dal Patterns of global terrorism 2001, sembra che Hizbullah abbia trasferito, in Medio Oriente, milioni di dollari ricavati dal commercio dei diamanti congolesi

479 De Giovannangeli, 2002. 480 De Giovannangeli, 2002. 481 De Giovannangeli, 2002.

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6.4.10 AL-GAMA’A AL-ISLAMIYYA Al-Gama’a al-Islamiyya (Gruppo islamico, IG) FTO Inserito nella lista allegata al regolamento 2580/2001. Il leader spirituale è lo sceicco Umar Abd al-Rahman, attualmente detenuto negli USA per gli attacchi al World trade center, del 1993 Dal 1999, Al-Gama’a al-Islamiyya ha dichiarato una tregua, che dal giugno 2000 non ha più il supporto dello sceicco Umar Abd al-Rahman. In ogni caso, non si registrano attacchi in Egitto dall’agosto 1998. Seppur non ufficialmente, il gruppo sembra essere diviso in due fazioni: una fazione, guidata da Mustafa Hamza, che continua a supportare il cessate il fuoco; un’altra ala, facente capo a Rifa’i Taha Musa, che vorrebbe un ritorno alla lotta armata. E’ il più numeroso gruppo militante egiziano, operante fin dalla fine degli anni settanta. La sua forza è attualmente sconosciuta, benché si possa affermare che, nel passato, potesse contare su alcune migliaia di membri e simpatizzanti. E’ presente soprattutto, oltre che in Egitto (soprattutto al sud e con supporto al Cairo, Alessandria e altre città), in Gran Bretagna, Afghanistan, Austria, Yemen. L’Egitto ha chiesto l’estradizione di un soggetto sospettato di appartenere alla AL-Gama’a al-Islamiyya, attualmente detenuto in Uruguay. Non è comunque emersa la presenza di cellule del gruppo terroristico in Uruguay. L’obiettivo è quello di rovesciare il governo egiziano e proclamare lo Stato islamico, ma alcuni membri (specie quelli vicini a Taha Musa e Abd al-Rahman) possono avere l’obiettivo di colpire interesse statunitensi ed israeliani. Ha rivendicato l’attentato, del 1995, al Presidente egiziano Mubarak, ad Adis Abeba. Altro attacco particolarmente noto è stato quello che ha portato, nel 1997, all’uccisione di 58 turisti, cui è seguita un’accentuazione della repressione da parte delle Autorità. Dal 1998, viene osservata una tregua. Rifa’i Taha Musa, nel febbraio 1998 ha incitato, insieme ad Usama bin Laden, all’attacco contro i civili statunitensi (veggasi più avanti il contenuto della fatwa). Nonostante ciò, il gruppo ha dichiarato di non supportare Usama bin Laden.Alla fine del 2000, Taha Musa è apparso in un video, non datato, insieme a Usama bin Laden e Ayman al-Zawahirj (capo della Jihad islamica egiziana) nel quale si minacciano rappresaglie contro gli USA, a causa della detenzione di Rahamn.482 Il governo egiziano crede che l’organizzazione sia supportata da Iran, Usama bin Laden e gruppi afghani. Potrebbe anche ottenere fondi da varie organizzazioni islamiche non governative.

482 PGT2000.

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6.4.11 LA JIHAD ISLAMICA EGIZIANA Al-Jihad/Egyptian Islamic Jihad FTO nota anche come: Jihad islamica egiziana, Al-Jihad egiziana,Gruppo Jihad, Nuova Jihad Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. Gruppo estremista islamico attivo dalla fine degli anni settanta. Stretto alleato di Usama bin Laden La fusione con Al-Qaida risalirebbe al giugno 2001, anche se il gruppo ha conservato una certa capacità di azione indipendente. Opera in Egitto (nell’area del Cairo) ed ha una rete che copre Yemen, Afghanistan, Pakistan, Libano e Gran Bretagna. Si ritiene possa contare su alcune centinaia di membri. Ha, comunque, subito numerosi arresti nel mondo; recentemente in Libano e Yemen483. Il principale obiettivo è rovesciare il governo egiziano per proclamare lo Stato islamico. A ciò si associa l’obiettivo di colpire gli interessi statunitensi ed israeliani in Egitto ed all’estero. Protagonista di numerosi attentati a rappresentanti del governo egiziano. E’ responsabile dell’uccisione del Presidente egiziano Sadat. Non colpisce all’interno dell’Egitto dal 1993, mentre risale al 1995 l’attentato all’ambasciata egiziana in Pakistan ed al 1998 il tentativo rivolto all’ambasciata statunitense in Albania. Il governo egiziano ritiene che il gruppo riceva il sostegno di Iran e Usama bin Laden. Esso potrebbe anche ottenere fondi attraverso varie organizzazioni islamiche non governative, imprese di copertura e atti criminali.

6.4.12 ORGANIZZAZIONE MUJAHEDIN-E KHALQ Organizzazione Mujahedin-e Khalq (MEK or MKO) FTO nota anche come: Esercito di liberazione nazionale dell’Iran (NLA, l’ala militare del MEK), Mujahidin del popolo dell’Iran (PMOI), National Council of Resistance (NCR), Società musulmana degli studenti iraniani (organizzazione di facciata usata per raccogliere supporto finanziario) Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001 (con espressa esclusione del “Consiglio nazionale di resistenza dell’Iran” NCRI. Non viene, altresì, menzionato l’NCR) Nasce negli anni sessanta seguendo un’ideologia che fonde marxismo ed islamismo. L’organizzazione viene espulsa dall’Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979. Negli anni ottanta, i leader di MEK fuggono in Francia ed il gruppo trova accoglienza in Iraq nel 1987. Sembra che, addirittura, il MEK svolga compiti di sicurezza interna per il regime iracheno. Il MEK mira attualmente all’instaurazione di un regime secolare. Tra gli altri, gli attacchi condotti, nell’aprile 1992, ad ambasciate iraniane in 13 differenti Paesi, testimoniano la capacità di organizzare operazioni su larga scala.

483 PGT2000

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Può contare su alcune migliaia di combattenti stanziati in Iraq. Negli anni settanta, il gruppo ha direttamente colpito statunitensi in Iran. Negli anni novanta e nel 2000-2001, il MEK ha rivendicato un crescente numero di attacchi ad obiettivi iraniani. Il movimento è supportato dall’Iraq484, ma dispone anche di organizzazioni di facciata che sollecitano contribuzioni dalle comunità iraniane espatriate.

6.4.13 GRUPPO ABU SAYYAF Gruppo Abu Sayyaf (ASG) FTO (nota anche come Al Harakat Al Islamiyya485) Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. E’ il gruppo separatista islamico più radicale operante nel sud delle Filippine. Alcuni dei suoi membri avrebbero legami con i mjuahidin, risalenti alla guerra in Afghanistan. Il gruppo è nato da una scissione dal Moro National Liberation Front nel 1991. Il suo iniziale leader Abdurajak Abubakar Janjalani è stato ucciso dalla polizia nel 1998. Sembra che il suo posto sia stato preso dal fratello Khadaffy Janjalani. Sarebbe composto da alcune centinaia di combattenti, ma almeno 1000 individui mossi da motivi economici (riscatto per ostaggi stranieri) si sarebbero uniti al gruppo nel 2000-2001. L’organizzazione è articolata in alcune fazioni semi autonome. Più di 1.000 soldati americani - che nel mese di luglio 2002 hanno cominciato ad essere ritirati - sono stati inviati nel sud delle Filippine per assistere le locali forze armate nello sforzo di sradicare questo gruppo terroristico. Tale iniziativa non sembra aver avuto successo, anche perché le truppe americane non hanno potuto partecipare direttamente ad attività operative (solo consulenza, addestramento ed equipaggiamento), in quell’ex possedimento coloniale486. L’obiettivo dichiarato è la costituzione di uno stato islamico indipendente nella parte occidentale di Mindanau e nell’arcipelago Sulu (aree delle Filippine meridionali fortemente popolate da musulmani), anche se sembra che l’attività terroristica venga sfruttata soprattutto per motivi economici. Nel 2000, ha compiuto operazioni anche in Malesia. Il gruppo è coinvolto in rapimenti a scopo di riscatto, attentati dinamitardi, assassini ed estorsioni. Potrebbe ricevere supporto da gruppi estremisti islamici del Medio Oriente e dell’Asia meridionale, senza contare i legami con la rete di Usama Bin Laden.

484 Ad esempio, nel corso di una conferenza stampa del marzo 2000, il portavoce del Dipartimento di Stato USA, Rubin, - dopo aver mostrato prove che Saddam Hussein conduce attività di contrabbando di petrolio che aggirano l’embargo internazionale – ha prodotto foto satellitari di un nuovo quartier generale costruito dal regime a favore dell’MKO, in grado di accogliere 3000-5000 membri; questo nuovo sito verrebbe utilizzato per coordinare le attività terroristiche e pianificare nuovi attacchi in Iran ed altrove (sito internet secretary.state.gov/www/briefings/003/00324db.html). 485 Nome indicato nel regolamento 881/2002. 486 Fonte:The Economist.

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6.4.14 JEMAAH ISLAMIYA Jemaah Islamiya (JI) (nota anche come Jema’ah islamiyah, Jemaah islamiyah, Jemaah islamiah, Jamaah islamiyah, Jama’ah islamiyah) Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. Gruppo estremistico islamico articolato in cellule operanti nel Sud est asiatico (Singapore, Malaysia e, secondo fonti di stampa, Indonesia e Filippine). Recenti arresti compiuti in Singapore, Malaysia e Filippine hanno fatto emergere collegamenti con Al-Qaida. Secondo fonti aperte, Al-Qaida rivolgerebbe particolare attenzione al sud est asiatico, area nella quale vive buona parte dei musulmani del mondo.A metà degli anni novanta, si sarebbe sviluppato il Jemaah Islamiyah,un gruppo affiliato con base in Malaysia, i cui membri sono tratti dall’area del sud est asiatico. Il Jemaah Islamiyah sarebbe divenuto essenzialmente il collegamento tra le basi afghane di Usama bin Laden e gli estremisti del sud est asiatico. Stretti contatti risulterebbero con il Moro Islamic Liberaration Front filippino487. Sembra che la leadership sia principalmente composta da indonesiani. Non si conosce il numero dei membri del gruppo; secondo fonti di stampa, le cellule malesi comprenderebbero circa 200 membri. E’ stata anche riportata la notizia di arresti eseguiti in Malesia a danno di soggetti associati a locali gruppi estremisti islamici legati ad Al-Qaida.Tra maggio e dicembre 2001, sono stati arrestati in Malesia circa 30 membri del gruppo Kumpulan Mujahidin Malaysia (KMM), con l’accusa di condurre attività che minacciano la sicurezza nazionale. Alcuni dei militanti arrestati avrebbero ricevuto addestramento militare in Afghanistan ed alcuni leader del KMM sarebbero legati a Jemaah Islamiya. La polizia malese starebbe indagando circa i collegamenti tra Jemmah Islamiah ed un terrorista dell’11 settembre. Il PGT2001 conferma anche che Jemaah Islamiah avrebbe legami non solo con KMM, ma anche con altre organizzazioni islamiche estremistiche in Indonesia (dove il leader del Majelis Mujahadeen Indonesia è stato interrogato circa i suoi possibili collegamenti con JI o KMM), Filippine e Singapore. In quest’ultimo Paese, la polizia, nel dicembre 2001, ha sventato un piano terrorista, arrestando alcuni soggetti ritenuti membri di Jemaah Islamiah (alcuni dei quali avrebbero ricevuto addestramento nei campi di Al-Qaida in Afghanistan). Le Autorità locali si dicono convinte dell’esistenza di forti legami tra JI ed Al-Qaida. L’obiettivo della Jemaah Islamiya è la creazione di uno Stato islamico comprendente Malaysia, Singapore, Indonesia ed il sud delle Filippine. Dal 1997, JI starebbe sviluppando piani per colpire interessi statunitensi in Singapore. E’ possibile il supporto di Al-Qaida.

487 The Christian Science Monitor, 2002 www.csmonitor.com

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6.4.15 KUMPULAN MUJAHIDIN MALAYSIA Kumpulan Mujahidin Malaysia (KMM) Gruppo creato, nel 1995, da un reduce del conflitto in Afghanistan, Zainon Ismail. Dal 1999, il movimento sarebbe guidato da Nick Adli Nik Abdul Aziz, attualmente detenuto. Secondo le Autorità malesi, dal KMM potrebbero essersi divisi piccoli gruppi, più violenti ed estremisti. Il numero dei membri del gruppo terroristico potrebbe aggirarsi intorno alle 70-80 unità. Tra maggio e dicembre 2001, sono stati arrestati circa 30 membri del KMM, con l’accusa di condurre attività che minacciano la sicurezza nazionale. Alcuni dei militanti arrestati avrebbero ricevuto addestramento militare in Afghanistan ed avrebbero combattuto nel conflitto contro i sovietici. Alcuni leader del KMM sarebbero legati a Jemaah Islamiya. Altri membri arrestati avrebbero legami con organizzazioni estremistiche islamiche in Indonesia e Filippine. L’obiettivo del KMM è il rovesciamento del governo e la creazione di uno Stato islamico comprendente Malaysia, Indonesia, Sud delle Filippine. Non si ha notizia di sostegno finanziario esterno.

6.4.16 GRUPPO ISLAMICO ARMATO E GRUPPO SALAFITA PER LA PREDICAZIONE E IL COMBATTIMENTO

Gruppo islamico armato (GIA) FTO Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento (GSPC) FTO GIA noto anche come: Al Jamma’ah Al Islamiah Al-Musallah, Groupement Islamique Armé488 Organizzazioni inserite nella lista allegata al regolamento 881/2001 e, quindi, considerate associate ad Usama bin Laden. Gruppo estremistico islamico algerino che ha iniziato ad operare in modo violento nel 1992 dopo l’annullamento della vittoria conseguita dall’ Islamic Salvation Front (FIS), nel dicembre 1991. Oggi si ritiene possa contare su circa 200 militanti. Recentemente 489è emersa una fazione ormai ritenuta il più pericoloso gruppo armato rimasto in Algeria: il Salafi Group for Call and Combat (GSPC); all’estero sembra aver in larga parte cooptato la rete del GIA, particolarmente attiva in Europa, oltre che in Africa e Medio Oriente. Anche il GSPC è esplicitamente inserito nella FTO e nella lista del regolamento 881/2002; secondo la stampa, alcuni membri del GSPC intratterrebbero contatti con estremisti nord africani favorevoli ad Al-Qaida. L’attuale consistenza del GSPC non è nota e potrebbe variare da alcune centinaia ad alcune migliaia, all’interno dell’Algeria. GIA ha l’obiettivo di rovesciare il regime secolare algerino e sostituirlo con lo stato islamico.

488 Nominativi contenuti nel regolamento 881/2002. 489 Il gruppo sarebbe nato nel 1996 e si sarebbe affermato nel 1998.

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Conduce frequenti attacchi a civili e funzionari governativi. Nel 1993 ha annunciato una campagna contro gli stranieri residenti in Algeria (da allora più di 100 omicidi). Il GSPC ha dichiarato di voler evitare attacchi nei confronti di civili, all’interno dell’Algeria e questo ha fatto guadagnare al medesimo un certo supporto popolare (in realtà attacchi ai civili si sono verificati). Supporto logistico e finanziario può provenire dagli algerini espatriati e dai membri del GSPC all’estero (per quanto attiene al GSPC), molti dei quali risiedono in Europa occidentale (arresti sono stati compiuti anche in Italia). Il Governo algerino ha accusato l’Iran ed il Sudan di supportare gli estremisti algerini negli anni passati.

6.4.17 GRUPPO COMBATTENTE TUNISINO Gruppo Combattente Tunisino (TCG) Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2001 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. Fondato probabilmente nel 2000 da Tarek Maaroufi e da Saifallah Ben Hassine. Il gruppo sarebbe associato ad Al-Qaida, nonché ad altri gruppi estremistici nord africani in Europa. In particolare, membri del gruppo manterrebbero rapporti con il Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento. TCG fa parte della rete del movimento Salafita internazionale. Il gruppo sarebbe presente in Europa occidentale ed Afghanistan. L’obiettivo del TCG è quello di instaurare il governo islamico in Tunisia e di colpire interessi tunisini ed occidentali Secondo le Autorità italiane, il Gruppo Combattente Tunisino sarebbe impegnato nel traffico di documenti falsi e, almeno nel passato, nel reclutamento per l’invio ai campi di addestramento afghani. Alcuni membri del TCG sono sospettati della pianificazione di attacchi ad interessi diplomatici statunitensi, algerini e tunisini a Roma in gennaio. Non si hanno elementi circa eventuale supporto esterno.

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6.4.18 AL-JAMA’A AL-ISLAMIYYAH AL-MUQATILAH BI-LIBYA Al-Jama’a al-Islamiyyah al-Muqatilah bi-Libya noto anche come: Gruppo Combattente Islamico Libico, Gruppo Islamico Combattente, Gruppo Combattente Libico, Gruppo Islamico Libico. Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. Creato, nel 1995, tra i libici che hanno combattuto in Afghanistan contro i sovietici. Alcuni membri sono concentrati sulla questione libica, mentre altri sono allineati con Al-Qaida o sono attivi nella rete internazionale dei mujahidin. L’organizzazione potrebbe contare su alcune centinaia di membri. Mantiene probabilmente una presenza clandestina in Libia, ma dalla fine degli anni novanta molti membri sono fuggiti in vari Paesi del Medio Oriente e dell’Europa. Ha l’obiettivo di rovesciare il governo di Gheddafi, ritenuto non islamico. Attualmente, il gruppo terroristico conduce alcuni attacchi ad interessi libici nel Paese o all’estero. L’organizzazione potrebbe riceve sostegno finanziario attraverso donazioni private, NGO islamiche, attività criminali.

6.4.19 AL-ITTIHAD AL-ISLAMI Al-Ittihad al-Islami (AIAI) noto anche come: Islamic Union Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. E’ la più grande organizzazione militante somala; ha acquisito potere a seguito della caduta, nei primi anni novanta, del regime di Siad Barre. Mantiene legami con Al-Qaida. I suoi membri potrebbero aver ricevuto addestramento in Afghanistan. Il gruppo può contare su circa 2.000 membri, cui si aggiungo milizie di riserva. AIAI è presente, oltre che in Somalia, anche in Etiopia e Kenya. L’organizzazione supporta anche programmi sociali islamici, come la gestione di orfanotrofi e scuole. AIAI ha l’obiettivo di instaurare in Somalia un regime islamico e di determinare la secessione dall’Etiopia della regione Ogeden. Le attività “militari” del gruppo sono dirette sia nei confronti delle forze etiopiche sia verso altre fazioni somale. AIAI riceverebbe fondi da finanzieri del Medio Oriente, oltre che dal sistema di rimesse dei numerosi somali emigrati in occidente. Nel passato, si sono registrate consegne di armi dal Sudan.

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6.4.20 ESERCITO ISLAMICO DI ADEN Esercito islamico di Aden (IAA) noto anche come: Aden-Abyan Islamic Army Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. Gruppo terroristico che emerge pubblicamente nel 1998, tramite una serie di comunicati con cui esprime supporto ad Usama bin Laden La zona delle operazioni è lo Yemen del Sud. IAA ha l’obiettivo di rovesciare il governo Yemenita e di colpire interessi statunitensi ed occidentali in Yemen. Agisce tramite attacchi dinamitardi e rapimenti di stranieri. Il leader dell’organizzazione, Zein al-Abidine al-Mihdar, è stato catturato, processato ed ucciso dal governo, nell’ottobre 1999. Non si dispone di elementi circa supporto esterno al gruppo terroristico.

6.4.21 MOVIMENTO ISLAMICO DELL’UZBEKISTAN Movimento islamico dell’Uzbekistan (IMU)490 FTO Harakat al-Islamiya Uzbekistan491 Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2001 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. Coalizione di militanti islamici dell’Uzbekistan e degli altri Stati dell’Asia centrale. Il movimento si costituisce formalmente nel 1998 a Kabul ad opera del mullah uzbeko Tohir Yo’ldash492. (leader politico ed ideologico) L’area delle operazioni include Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan, Afghanistan, Iran, Pakistan. L’attacco alleato in Afghanistan ha condotto alla cattura o uccisione di molti membri del gruppo. L’attuale numero di militanti potrebbe aggirarsi intorno alle 2000 unità, sparsi nell’Asia meridionale e Tajikistan493. Il leader militare del gruppo, Juma Namangani, è stato quasi certamente ucciso (The Economist).

490 Nella regione dell’Asia centrale opera anche un movimento politico islamico radicale denominato Hizb ut-Tahrir, (noto anche come Hizb al-Tahrir al-Islami – movimento islamico di liberazione (Fumagalli, 2002)) che auspica il ritorno al puro islam e l’instaurazione del califfato islamico nell’Asia centrale. Nonostante le affermazioni dei governi locali, gli Stati Uniti non hanno ancora trovato chiari legami tra l’Hizb ut-Tahrir ed attività terroristiche. 491 Fumagalli, 2002. Sembra che nel giugno 2001 il movimento si sia rinominato Partito Islamico del Turkestan (Fumagalli, 2002). 492 Fumagalli, 2002. 493 Secondo altre fonti (Fumagalli, 2002) parte dei militanti dell’IMU si sarebbero rifugiati anche al confine afghano-pakistano, nelle regioni tribali del Pakistan e nella valle del Kashmir. Segnali di allarme di un ritorno all’azione dei militanti dell’IMU si levano anche dal Kyrgyzstan.

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L’obiettivo è instaurare lo stato islamico in Uzbekistan. Si oppone, quindi, all’attuale regime secolare. Dopo l’attacco alleato in Afghanistan, l’obiettivo potrebbe allargarsi ad un contesto internazionale494. Per quanto attiene alle attività all’interno dell’Uzbekistan, è ritenuto responsabile di 5 auto bomba e della cattura di ostaggi. IMU sarebbe attivo anche nel traffico di droga; sembra che all’interno del movimento convivano due ali: una maggiormente focalizzata su tale attività ed un’altra più votata ad obiettivi politici495. Riceve supporto da altri gruppi estremistici islamici del Medio Oriente e dell’Asia centrale e meridionale. Le dichiarazioni del movimento sono trasmesse dalla radio iraniana.

6.4.22 HARAKAT UL-MUJAHIDIN Harakat ul-Mujahidin (HUM) (Movement of Holy Warriors) FTO Nota anche come: Al-Faran, Al-Hadid, Al-Hadith, Harakat ul-Ansar, HUA, Harakat ul-Mujahideen Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata a Usama bin Laden Guidato da Farooq Kashmiri. Leader storico è stato Fazlur Rehman Khalil, che, tra l’altro, nel febbraio 1998 ha incitato, insieme ad Usama bin Laden, all’attacco contro gli interessi statunitensi ed occidentali (veggasi più avanti il contenuto della fatwa). E’ legato al gruppo militante per il Kashmir al-Faran. E’ politicamente allineato con il partito politico radicale Jamiat-i Ulema-i Islam Fazlur Rehman (JUI-F). Da uno dei suoi leader, Masood Azhar, è nato Jaish-e-Mohammed, un gruppo rivale più radicale (vgs scheda dedicata), che ha sottratto membri al movimento originario (si ritiene circa i tre quarti). Il gruppo ha le proprie basi in Pakistan ed opera principalmente in Kashmir. I suoi militanti erano addestrati in Pakistan ed Afghanistan Il gruppo attacca truppe e civili indiani nel Kashmir. Nel 1999, il dirottamento di un aereo di linea indiano ha portato alla liberazione di Masood Azhar – importante leader del precedente gruppo Harakat ul-Ansar - che era stato arrestato nel 1994. Successivamente Massod Azhar ha fondato Jaish-e-Mohammed. Il gruppo raccoglierebbe donazioni dall’Arabia Saudita e altri Stati del Golfo ed islamici, dal Pakistan e dai Kashmiri. I metodi di raccolta finanziaria adottati includono la sollecitazione di donazioni tramite riviste ed opuscoli. In previsione dei possibili interventi di congelamento del governo pakistano, il HUM avrebbe ritirato i propri fondi dai conti bancari ed avrebbe investito in attività economiche legali. L’attività di raccolta in Pakistan è, comunque, molto diminuita a causa dell’attività repressiva condotta dal governo pakistano. 494 Più in generale l’obiettivo dell’IMU e dell’Hizb ut-Tahrir è l’instaurazione del Califfato islamico in Asia centrale a partire dalla valle di Fergana (si veda anche i paragrafi dedicati all’Asia centrale). 495 Deledda, 2002.

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6.4.23 JAISH-E-MOHAMMED Jaish-e-Mohammed (JEM) (Esercito di Maometto) FTO Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 881/2002 e, quindi, considerata associata ad Usama bin Laden. Gruppo islamico con base in Pakistan, rapidamente cresciuto dopo la sua recente formazione ad opera di Massod Azhar, precedente leader di Harakat ul-Ansar (vgs scheda dedicata a HUM). E’ politicamente allineato al partito Jamiat-i Ulema-i Islam Fazlur Rehman, radicale. Il gruppo è stato bandito dal governo pakistano ed i suoi beni sono stati congelati (gennaio 2002). Può contare su alcune centinaia di membri armati in Kashmir, Pakistan. L’organizzazione è composta da Kashmiri, Pakistani, ma anche afghani ed arabi veterani del conflitto in Afghanistan. Si basa in Pakistan e conduce gli attentati soprattutto in Kashmir. Fino all’attacco alleato dell’autunno 2001, gestiva campi di addestramento in Afghanistan. Il gruppo ha forti legami con i Talibani. L’obiettivo è unire il Kashmir al Pakistan. Il governo indiano considera JEM, insieme a Lashkar-e-Tayyiba, responsabile dell’attacco al proprio parlamento, nel dicembre 2001. Si sospettano aiuti finanziari da parte di Usama bin Laden. JEM raccoglie anche fondi tramite donazioni sollecitate a mezzo di riviste ed opuscoli. In previsione dei possibili interventi di congelamento del governo pakistano, avrebbe ritirato i propri fondi dai conti bancari ed avrebbe investito in attività economiche legali.

6.4.24 LASHKAR-E-TAYYABA Lashkar-e-Tayyaba (LET) (Army of the Righteous) FTO Organizzazione inserita nella lista allegata al regolamento 2580/2001 Il gruppo è l’ala armata di Markaz-ud-Dawa-Wal-Irshad (MDI), organizzazione religiosa sunnita anti-statunitense con base in Pakistan. Non ha collegamenti politici. E’ guidata da Abdul Wahid Kashmiri. Il gruppo è stato bandito dal governo pakistano ed i suoi beni sono stati congelati (gennaio 2002). Può contare su alcune centinaia di membri in Pakistan e nel Kashmir. I quadri dell’organizzazione sono soprattutto pakistani e veterani afghani. Campi di addestramento si trovano nel Kashmir amministrato dal Pakistan ed in Afghanistan (fino all’attacco alleato dell’autunno 2001). Intrattiene legami in varie parti del mondo dalle Filippine al medio oriente ed in Cecenia attraverso la rete MDI. L’obiettivo dell’organizzazione, che sarebbe basata in Pakistan. Ha condotto numerose operazioni contro truppe e obiettivi civili indiani in Kashmir dal 1993. Il movimento ha dimostrato anche la capacità di attaccare nel cuore dell’India e non solo nel Kashmir. A tal proposito, il governo indiano considera LET, insieme a JEM,

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responsabile dell’attacco al proprio parlamento, nel dicembre 2001. Riceverebbe donazioni dalla comunità pakistana nel golfo persico e in Gran Bretagna, da organizzazioni non governative islamiche e da uomini di affari pakistani e kashmiri. Il LET gestisce anche un sito internet (sotto il nome dell’organizzazione Jammat ud-Daawa) tramite cui vengono sollecitati fondi e vengono fornite informazioni circa le attività del gruppo. In previsione dei possibili interventi di congelamento del governo pakistano, il LET avrebbe ritirato i propri fondi dai conti bancari ed avrebbe investito in attività economiche legali.

6.4.25 HARAKAT UL-JIHAD-I-ISLAMI Harakat ul-Jihad-I-Islami (HUJI) noto anche come: Movement of Islamic Holy War E’ un gruppo sunnita estremista, fondata nel 1980 in Afghanistan per combattere contro i sovietici. Risulta affiliato con la fazione Jamiat Ulema-I-Islam Fazlur Rehamn (JUI-F) e la scuola Deobandi dell’islamismo sunnita. HUJI, guidato da Amin Rabbani, è composto principalmente da Pakistani e potrebbe contare su alcune centinaia di membri nel Kashmir. La zona interessata dal movimento è il Pakistan ed il Kashmir. Membri di HUJI avrebbero ricevuto addestramento in Afghanistan, fino all’attacco alleato dell’autunno 2001. Risultano legami con il gruppo militante al-Farah. Il gruppo ha l’obiettivo della liberazione del Kashmir e della sua annessione al Pakistan. Le operazioni terroristiche consistono principalmente nell’attacco di obiettivi militari indiani nel Kashmir. Non si hanno elementi circa supporto esterno all’organizzazione terroristica.

6.4.26 HARAKAT UL-JIHAD-I-ISLAMI/BANGLADESH Harakat ul-Jihad-I-Islami/Bangladesh (HUJI-B) noto anche come: Movement of Islamic Holy War HUJI-B ha legami con i gruppi pakistani Harakat ul-Jihad-I-Islami e Harakat ul-Mujahidin. Il movimento sembra poter contare su alcune migliaia di membri. Operazioni ed addestramento si concentrano in Bangladesh, dove si troverebbero almeno sei campi. Il gruppo ha l’obiettivo dell’imposizione delle regole islamiche in Bangladesh. HUJI-B sembra essere accusato dell’uccisione di un giornalista del Bangladesh e sospettato del tentato assassinio del Primo Ministro. La principale fonte di supporto sono le madrasse in Bangladesh. Il gruppo mantiene anche legami con i militanti del Pakistan, dai quali potrebbero arrivare finanziamenti.

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6.5 IL “FRONTE INTERNAZIONALE ISLAMICO PER LA GUERRA

SANTA CONTRO GLI EBREI ED I CROCIATI” ED AL-QAIDA Un paragrafo a parte deve essere dedicato ad Al-Qaida, visto il suo conclamato coinvolgimento nel conflitto afghano e, soprattutto, nei micidiali attacchi dell’11 settembre 2001.

6.5.1 IL “FRONTE” Nel voler individuare una data significativa da cui far partire il processo di globalizzazione del terrorismo, si può far riferimento al 1998, quando Usama bin Laden fonda il Fronte internazionale islamico per la guerra santa contro gli ebrei ed i crociati. Il principale obiettivo dichiarato è quello di liberare i luoghi sacri della Mecca e di Medina dalla presenza, sul suolo saudita, delle truppe americane, ivi stanziate dal periodo della guerra del Golfo. E’ un dovere di tutti i musulmani, dichiara nel 1998 Usama bin Laden, uccidere i cittadini statunitensi ed i loro alleati497. A tal proposito, Usama bin Laden, nel 1998, sottoscrive una specifica, seppur non rituale, fatwa498 secondo cui, sulla base delle seguenti premesse: da più di sette anni gli Stati Uniti stanno occupando il luogo più sacro delle terre

dell’Islam, la Penisola arabica, saccheggiando le sue ricchezze, dettando le regole ai suoi governanti, umiliando il suo popolo, terrorizzando i suoi vicini, usando la stessa come base per combattere contro il popolo musulmano; le sofferenze inflitte al popolo iracheno; l’intenzione americana di distogliere, tramite queste guerre lanciate contro il popolo

musulmano, l’attenzione dall’occupazione ebrea di Gerusalemme; la politica americana di fare degli Stati della regione – come Iraq, Arabia Saudita, Egitto

e Sudan – degli Stati di “carta” deboli e tra loro disuniti, chiama tutti i musulmani a uccidere gli americani ed i loro alleati – civili e militari -, come adempimento di ogni islamico, in ogni Paese, al fine ultimo di liberare la moschea di Al-Aqsa e la moschea santa e di ricacciare gli eserciti occupanti dalle terre dell’islam499. Il riferimento ideologico del Fronte è il panislamismo, l’unione dell’umma musulmana, il superamento, quindi, del nazionalismo introdotto dal colonialismo delle potenze occidentali500. 497 Desiderio, 2001. 498 Pubblicata su Al-Quds al-‘Arabi (quotidiano arabo pubblicato a Londra), il 28 febbraio 1998. Fonte: http://www.ict.org.il/articles/fatwah.htm 499 I musulmani vengono anche chiamati a saccheggiare il denaro degli americani, ovunque ed ogni qual volta ciò sia possibile 500 A tal proposito, veggasi anche i capitoli che precedono.

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Questo non significa che il Fronte non collabori con le organizzazioni terroristiche concentrate su progetti nazionalisti, come l’Hizbullah libanese, Hamas, la Jihad islamica palestinese, la Laskar-e-Taiba pakistana (battaglione della fede)506. Sulla base di fonti aperte, si ritiene che il Fronte sia direttamente presente in Africa507 (Tanzania, Kenya, Uganda, Etiopia, Somalia, Sudan, Eritrea, Egitto, Libia, Algeria, Marocco, Tunisia), Europa (Bosnia Erzegovina, Turchia), Paesi del Medio oriente (come Libano, Iraq, Arabia Saudita, Cirgiordania e Gaza…), Asia (Cecenia e Daghestan, Georgia508, Uzbekistan, Tajikistan, Kashmir, Xinjiang, Bangladesh, Myanmar, Malesia, Mindanao-Filippine, Indonesia).509

6.5.2 “LA BASE” La struttura militare direttamente facente capo ad Usama bin Laden va sotto il nome di Al Qaida (“la base”) e sarebbe costituita da migliaia di guerriglieri islamici addestrati in Afghanistan e, poi, utilizzati nelle operazioni terroristiche510. Si ritiene che Usama bin Laden controllasse (perlomeno prima dell’intervento alleato in Afghanistan) circa 15.000 elementi sparsi in una trentina di Paesi511. La rete raccoglierebbe, dalla fine degli anni ottanta, arabi che hanno combattuto nel conflitto afghano.

506 Allam, 2001. 507 Sulla base di quanto riportato da un rapporto di esperti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, gli uomini di Usama bin Laden agirebbero anche da mediatori in Sierra Leone, Angola, Liberia per la vendita e l’esportazione illegale dei diamanti estratti dai locali gruppi ribelli, che utilizzerebbero, poi, gli introiti per l’acquisto di armi. Veggasi anche più avanti nel paragrafo. 508 Secondo la stampa, la Cia avrebbe scoperto in Georgia una base segreta congiunta di guerriglieri ceceni e terroristi di Al-Qaida (Buongiorno, 2002). 509 Desiderio, 2001. 510 Prima dell’11 settembre, i combattenti di Usama bin Laden erano reclutati nelle moschee sparse nel mondo e portati in Afghanistan per l’addestramento, dopo il quale erano rispediti in vari Paesi del mondo ad alimentare le cellule terroristiche esistenti o a costituirne di nuove. Dopo l’11 settembre, almeno l’alimentazione dell’organizzazione, vista se non altro la mancanza dei campi dei addestramento afghani, dovrebbe essere significativamente diminuita. http://www.msnbc.com/news/791852.asp, in sito internet Newsweek, Karen Yourish. 511 Allam, 2001. Circa 5.000 in Afghanistan (prevalentemente attivi in Cecenia e Kashmir), 6.000 in Yemen (yemeniti, algerini, libici, eritrei, libanesi), altri 6.000 sparsi in Africa, Europa, America (ad esempio, in Canada – fonte Time 3 june). Emerge anche l’ipotesi che esistano collegamenti tra il terrorismo islamico e la criminalità organizzata a base islamica (ad esempio, con riferimento ai gruppi albanesi) (The Economist) Recentemente, anche i servizi israeliani stanno investigando circa la possibilità di operazioni di Al-Qaida in Cisgiordania (Time 3 June). Sospetti circa la presenza di cellule di Al-Qaida in America Latina non sono ancora corroborate da riscontri investigativi o informativi. (Patterns of global terrorism 2001). Sembra che Al-Qaida abbia punti di contatto anche nella Repubblica della Moldavia (Sartori, 2002). Secondo esperti delle Nazioni Unite, ci sono numerosi episodi che portano a ritenere che Karachi (Pakistan) sia divenuto un possibile centro per i gruppi terroristici legati ad Al-Qaida. Second report of the monitoring group, 9/2002

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Secondo il Direttore dell’FBI, l’Europa sarebbe preferita agli Stati Uniti come base operativa. Cellule di Al-Qaida esistono quasi certamente in Gran Bretagna512, Francia, Germania513, Spagna514, Italia ed Olanda.515 D’altra parte, bisogna considerare anche che l’UE confina con i balcani dove migliaia di combattenti mujahideen sono stati obiettivo di reclutamento da parte dell’estremismo islamico516. In generale, gli esperti del monitoring group del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite517, confermano che Al-Qaida ha sviluppato legami operativi con gruppi militanti islamici518 in Europa, Nord America, Nord Africa, Medio Oriente e Asia e mantiene tuttora la capacità di “lavorare” con (o dall’interno di) questi gruppi, per il reclutamento di nuovi membri e la pianificazione ed il lancio di nuovi attacchi519. Le cellule terroristiche di Al-Qaida sarebbero presenti in almeno quaranta Paesi. Quelle infiltrate in Europa provvederebbero al supporto logistico ed al finanziamento per gli attentati. Il supporto si concretizzerebbe in fund raising, fornitura di documenti d’identità o di viaggio falsi o rubati, nella disponibilità di luoghi sicuri per rifugiarsi, nel reclutamento (ispirato da un piccolo numero di religiosi che predicano la jihad)520. Al Qa’ida potrebbe contare, quindi, su alcune migliaia di membri. Alcuni di questi servono da punti di riferimento di un’organizzazione “ad ombrello” per una rete mondiale521 che include molti gruppi estremisti islamici sunniti. In generale Al-Qaida ha dimostrato la capacità di spingere i propri seguaci e sostenitori a superare le divisioni politiche, nazionali e religiose522.

512 Sembra sia emerso anche un personaggio con base in Londra, che sarebbe connesso con ogni operativo di Al-Qaida recentemente arrestato o identificato in Europa –Fonte Time 3 June 513 Una cellula basata in Germania – Amburgo, è particolarmente legata all’attacco dell’11 settembre – fonte Time 3 june (veggasi più avanti cenni sulle investigazioni condotte in Germania). Della cellula faceva parte, oltre che Mohammed Atta ed altri dirottatori, anche Ramzi Binalshibh, importante figura di Al Qaida arrestata in Pakistan nel settembre 2002 (Corriere della sera, 14/9/2002). In luglio, altri sette sospetti sono stati arrestati in Amburgo, in relazione ad ipotesi di ricostituzione di cellule terroristiche in loco (The economist). 514 Ad esempio, due uomini sono stati arrestati in Spagna con l’accusa di aver fornito denaro a più operativi di Al-Qaida. 515 The Economist. Già nel 1993, i servizi di intelligence segnalavano gruppi di estremisti, specie dall’Algeria, che si stavano infiltrando nell’UE, spesso sistemandosi inizialmente in Spagna (The Economist). 516 The Economist. Dopo gli accordi di Dayton del 1995, molti ex combattenti hanno trovato lavoro presso le filiali in Bosnia delle NGO islamiche. 517 Che opera per controllare e promuovere l’implementazione della risoluzione 1390 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Del meccanismo emerso dalle recenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, dalle posizioni comuni, decisioni e regolamenti dell’Unione Europea, si parlerà in modo esaustivo in un successivo capitolo. 518 Questi gruppi farebbero riferimento ad Usama bin Laden ed al suo “supremo consiglio” (shura majlis) per ispirazione e supporto logistico e finanziario. 519 Le cellule di Al-Qaida o elementi che operano sotto la sua “etichetta” spesso formano coalizioni con gruppi radicali locali per il raggiungimento di specifici obiettivi. 520 Second report of the monitoring group, 9/2002 521 Tra le immagini trasmesse dalla CNN, su cui si tornerà più avanti, compaiono miliziani arabi che combattono a fianco di separatisti ceceni contro i russi, militanti che si addestrano in Birmania, guerriglieri legati ad Al-Qaida in Yemen e simili scene da Kashmir, Algeria, Egitto, Libia, Bosnia, Uzbekistan (Corriere della sera, 24/8/2002). 522 Second report of the monitoring group, 9/2002. Da notare che in alcune occasioni Usama bin Laden è riuscito a far collaborare sciiti e sunniti nella lotta contro il comune nemico.

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6.5.3 IL NETWORK INTERNAZIONALE Per comprendere quale possa essere la configurazione della complessiva rete organizzativa terroristica facente capo ad Usama Bin Laden, si può far riferimento alla lista allegata al regolamento (CE) n. 881/2002, che individua le entità ritenute associate al medesimo, alla rete Al-Qaida ed ai Talibani523. Da un tale esame di evince che sono ipotizzati legami associativi con la Jihad islamica egiziana524, il Gruppo islamico armato (Gia) algerino, il Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento, il Gruppo combattente tunisino, il Gruppo islamico combattente marocchino, il Gruppo libico islamico combattente526, il movimento islamico dell’Uzbekistan, Asbat al Ansar, il gruppo Abu Sayyaf, l’Esercito islamico di Aden, l’Esercito di Maometto, il Al-Itihaad Al-Islamiya somalo (AIAI), Harakat Ul-Mujahidin, Movimento islamico del Turkestan orientale. Ferma restando la flessibilità della struttura operativa di Al-Qaida535, le politiche e le strategie sarebbero formulate da un consiglio, detto Shura Majlis, composto da una dozzina di figure di primo piano. Ad esso farebbero riferimento quattro comitati operativi: il comitato militare536, il comitato finanziario537, il comitato per le fatwa e gli studi islamici538, il comitato per i media e la pubblicità539. Nel mese di agosto 2002, la CNN ha mandato in onda delle immagini tratte da un archivio di circa 250 videocassette, rinvenuto in Afghanistan dal giornalista Nic Robertson, che sarebbe parte di un progetto teso a creare una sorta di “enciclopedia della jihad”541, con 523 Per i dettagli circa il meccanismo in cui è inserito questo regolamento del Consiglio dell’Unione Europea, veggasi il capitolo sulle recenti politiche normative. 524 Con a capo Ayman al Zawahry, braccio destro di Usama Bin Laden (Allam, 2001). Da notare, peraltro, che il 6 agosto 1998 la Jihad egiziana lanciò una chiara minaccia agli Stati Uniti ed il 7 agosto esplosero le bombe in Kenya e Tanzania (Brisard, Dasquié, 2002). 526 Veggasi anche più avanti per i legami con questa organizzazione terroristica. 535 Queste informazioni sulla struttura centrale di Al-Qaida sono contenute nell’ultimo rapporto del monitoring group delle Nazioni Unite (che le ha tratte da Inside Al Qaeda: Global Network of Terror by Rohan Gunaratna – Columbia University Press, New York) Second report of the monitoring group, 9/2002 536 Incaricato di occuparsi di reclutamento, addestramento militare, procacciamento, operazioni militari, sviluppo tattiche, acquisizione e fabbricazione armi speciali, raccolta inteligence. 537 Incaricato della gestione delle risorse finanziarie, con un budget annuo di circa 50 milioni di dollari. 538 Con il compito di giustificare le azioni di Al-Qaida, emettere regole islamiche, predicare e diffondere il modello Al-Qaida. 539 Si consideri che Al-Qaida gestiva una pubblicazione giornaliera, Nashrat al-Akhabar, e rapporti settimanali. 541 Nella quale sarebbero contenuti messaggi ideologici, ma anche istruzioni per la conduzione della guerriglia, per la fabbricazione di bombe con materiale di facile reperibilità, per la realizzazione e l’uso di armi chimiche…

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l’obiettivo di estendere e continuare le attività terroristiche, anche in caso di morte di Usama bin Laden542.

6.5.4 IL LEADER543 Usama bin Laden - di formazione salafita wahabita - fa parte di una famiglia di origine yemenita, che ha acquisito, grazie alle proprie attività imprenditoriali in lavori pubblici commissionati dal regime saudita, notevole ricchezza e potere in Arabia Saudita. Questo giustificherebbe i legami del terrorista con i circuiti finanziari ed economici544. Per quanto attiene ai collegamenti con i movimenti guerrigliero-terroristici, questi sono maturati nel periodo della sua partecipazione al conflitto afghano contro i sovietici e nel periodo di permanenza in Sudan545. Con riferimento al conflitto afghano, bin Laden funge principalmente da collettore di fondi e uomini. Sembra che nel 1978 Usama bin Laden abbia fondato l’organizzazione capace di portare in Afghanistan il contributo dei combattenti dell’Islam (la Legione islamica). Il sostegno sembra essere passato attraverso una fitta rete di organizzazioni di carità e di mutuo soccorso islamico che, in realtà, servivano per finalità di reclutamento ed addestramento. Le risorse finanziarie affluiscono alle organizzazioni umanitarie anche attraverso il meccanismo della zakat. [2] Nel 1982, Usama bin Laden fonda in Pakistan anche un primo centro di raccolta per combattenti volontari arabi, al quale ne succederanno altri. Questo gli consente di tessere un’ampia rete di rapporti. Si parla addirittura di un archivio informatico, nel quale erano inseriti tutti i nomi e le caratteristiche di coloro che passavano per questi centri di raccolta.[1] Nel 1989, a causa del suo crescente potere ed attivismo non più giustificato dalla minaccia sovietica, l’Arabia Saudita privò Usama bin Laden del passaporto[1]. In occasione della guerra del Golfo, Usama bin Laden si oppose all’entrata delle truppe occidentali sul suolo saudita, non ritenendola necessaria. Questo avrebbe provocato la rottura con il regime e la sua alleanza con i movimenti ad esso ostili, favorevoli alla chiusura nei confronti dell’occidente[1]. Nel 1991, fuggì dall’Arabia Saudita546 e trascorse un significativo periodo in Sudan, fino al 1995547, dove venne raggiunto da numerosi ex combattenti afghani e dove installò campi di addestramento548[2]. 542 Farkas, 2002 e Olimpio, 2002. 543 Le informazioni che seguono sono tratte da due fonti aperte: Guolo, 2001 [1], Brisard, Dasqiué, 2001 [2] 544 Brisard, Dasqiué, 2001 [2] 545 Guolo, 2001 [1]. 546 Secondo Ahmed Rashid, autore di un libro sulle vicende afgane, Usama, nel 1992 “ebbe un incontro infuocato con il Ministro dell’Interno, il Principe Naif, che apostrofò come traditore dell’islam. Naif protestò davanti al Re Fahd e bin Laden fu dichiarato persona non grata. (Romano, 2002) 547 In quell’anno, la Gama’a islamiyya, avente base in Sudan, attenta alla vita del Presidente egiziano Mubarak. Le forti pressioni internazionali che ne seguirono determinano l’uscita dal Sudan, anche di Usama bin Laden. Sembra addirittura che lo stesso Usama bin Laden abbia finanziato tale attentato avvenuto ad Adis Abeba [2]. 548 Oltre ai campi di addestramento finanziati in Sudan, sembra che nel 1995 siano stati creati campi di addestramento anche nel nord dello Yemen, al confine con l’Arabia Saudita[2].

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A questo punto deve essere aperta una parentesi circa le attività svolte da Usama bin Laden nei confronti del regime libico. Quest’ultimo è accusato, dai movimenti religiosi radicali libici, di aver assunto una posizione troppo moderata. Uno di questi movimenti è il suddetto Gruppo Islamico Libico Combattente, la Jamaa Al Islamica Al Muqatila, costituitosi negli anni novanta intorno ad un nucleo di ex combattenti libici della guerra afghana contro i sovietici. Usama bin Laden avrebbe appoggiato il gruppo terroristico verso l’obiettivo di rovesciare il regime di Gheddafi. [2] Dopo l’espulsione dal Sudan, inizia la stretta collaborazione con i Talibani549. Il 23 agosto 1996, Usama bin Laden diffonde un proclama che chiama alla guerra santa contro gli americani, che occupano il suolo sacro all’Islam, e si pronuncia per il rovesciamento del regime saudita[2]. Dopo il 1996, secondo il Sunday Times, la famiglia reale saudita avrebbe pagato 200 milioni di sterline ad Al Qaida ed ai Talibani550 affinché l’Arabia Saudita non fosse oggetto di attacchi terroristici o di tentativi di rovesciamento del regime551. L’esistenza di un tale accordo è stata smentita dall’Arabia Saudita552. Come già visto, il 1998 è l’anno della nascita del Fronte internazionale e della fatwa contro l’occidente. D’altra parte, già nel 1992, Usama bin Laden aveva ridefinito in tal senso i fondamenti di Al-Qaida: rifiuto della presenza statunitense sul suolo saudita, lotta alle forze armate americane presenti nel Corno d’Africa, soprattutto in Somalia [2]. Per sostenere l’organizzazione553, Usama bin Laden si avvarrebbe del patrimonio personale (250-300 milioni di dollari), di fondi provenienti dai movimenti politici coordinati dal FIIGS, di fondi raccolti tra i fedeli – compresa la zakat – dai gruppi islamici alleati, di contributi sottratti ad organizzazioni islamiche in occidente – anche in questo caso è fondamentale il peso della zakat -, di contributi sottratti ad associazioni caritatevoli islamiche specie nei Paesi arabi del Golfo554, di donazioni private da facoltosi simpatizzanti555. Dal punto di vista “geografico”, l’attività di raccolta fondi sembra incentrata in Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Croazia, Albania, Arabia Saudita, Pakistan, Singapore, Afghanistan.

549 Il loro leader, il mullah Muhammad Umar (vgs. capitolo sull’assetto attuale del mondo musulmano), è genero dello stesso Usama bin Laden. 550 Parte dell’accordo sarebbe anche l’indisponibilità ad estradare esponenti di Al Qaida e la promessa di forniture di petrolio al regime di Kabul. 551 Del Re, 2002 552 Miraglia, 2002. 553 Allam, 2001. 554 La maggior parte dei miliardi di dollari raccolti annualmente dalle organizzazioni di carità islamiche viene correttamente destinato. Si ritiene però che parte delle risorse sia diretta o “deviata” per il supporto del terrorismo. Per raggiungere questo scopo Al-Qaida si sarebbe infiltrato in queste NGO. Si consideri che parte di questi fondi è anche diretto a supportare una rete di istituzioni fondamentaliste radicali, scuole ed organizzazioni sociali che si ritiene forniscano rifugio, supporto logistico, reclutamento ed addestramento per Al-Qaida. Second report of the monitoring group, 9/2002. 555 Le donazioni private da sostenitori facoltosi sarebbero stimate in 16 milioni di dollari all’anno, cifra che si crede non sia tuttora attuale. Second report of the monitoring group, 9/2002

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Già nel Patterns of global terrorism 1996, Usama bin Laden era definito come uno dei più significativi sponsor finanziari delle attività estremiste islamiche nel mondo. Usama bin Laden sembrerebbe avere conti bancari e shell companies in Malesia, Singapore ed altri Paesi asiatici556. In generale, secondo gli esperti del già citato monitoring group, un notevole portafoglio di imprese557 apparentemente legali continua ad essere gestito per conto di Usama bin Laden ed Al-Qaida tramite intermediari ed associati in Nord Africa, Medio Oriente, Europa, Asia. Questo portafoglio includerebbe investimenti nei maggiori centri finanziari in Africa, America latina, sud est asiatico. A ciò si aggiungano centinaia di milioni di dollari di proprietà immobiliari in Europa ed altrove558. Il finanziamento di Al-Qaida, almeno prima dell’11 settembre, sarebbe stato controllato da un comitato finanziario centrale559. Oltre alle fonti già menzionate, parte delle risorse deriverebbe da piccole attività imprenditoriali e da attività illegali, comprendenti il contrabbando, piccoli crimini, rapine, estorsioni (a danno di imprese ed individui), frodi con carte di credito560. Secondo gli esperti del già citato monitoring group, i più stretti controlli attuati in Europa e nel Nord America avrebbero condotto Al-Qaida a trasferire molte delle proprie attività finanziarie in Africa, Medio Oriente e Asia ed a servirsi sempre di più di meccanismi bancari alternativi (come il sistema hawala). In particolare, sarebbero sempre più insistenti i segni di un rilevante incremento delle attività finanziarie di Al-Qaida nel sud est asiatico. Questo si concretizzerebbe nell’aprire imprese di facciata, conti bancari, cercare di trarre sostegno da organizzazioni caritatevoli ed altre, impegnarsi in attività illegali. D’altra parte, si ritiene che Al-Qaida abbia costituito cellule di supporto logistico e finanziario in Pakistan, Indonesia, Kashmir, Malaysia, Singapore, Filippine561. Per quanto attiene alla disponibilità di armi, secondo esperti delle Nazioni Unite, possibili rotte e luoghi per rifornirsi possono essere il Corno d’Africa e Stati africani reduci da guerre (Sierra Leone, Liberia, Angola), il Medio Oriente, l’area tra i Balcani ed il Mar Nero, gli Stati dell’Asia centrale, il Sud America sotto il controllo del FARC, la triborder area, l’Asia (con particolare riferimento al Pakistan ed ai Paesi del Triangolo d’oro562). In particolare, si ritiene che i trafficanti d’armi del triangolo d’oro riforniscano gruppi legati ad Al-Qaida, come Abu Sayyaf , il Moro Liberation Front, la Jemaah Islamya. I trafficanti cambogiani, inoltre, fornirebbero materiale bellico a gruppi come Laskhar-e-Tayyaba (anch’esso ritenuto aver legami con Al-Qaida).563 Le azioni attualmente ricondotte con maggior insistenza ad Usama bin Laden sono gli attentati dell’11 settembre e quelli alle ambasciate americane a Nairobi e Dar es-Salaam (7 agosto 1998).

556 Yael Shahar, 2001. 557 Il valore di tale portafoglio sarebbe stimato in circa 30 milioni di dollari, anche se alcuni arrivano ad ipotizzare cifre di 300 milioni di dollari. 558 Second report of the monitoring group, 9/2002 559 www.msnbc.com/news/791852.asp, in sito internet Nesweek, Karen Yourish. 560 Second report of the monitoring group, 9/2002 561 Second report of the monitoring group, 9/2002. 562 Myanmar, Thailandia, Cambogia. 563 Second report of the monitoring group, 9/2002

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Nel tempo, comunque, altri gravi episodi hanno colpito gli Stati Uniti: ad esempio, l’attacco alla nave da guerra Uss Cole nel porto di Aden (nel 2000) 564, l’esplosione di una bomba, nel 1996, nella caserma di al-Khobar, in Arabia Saudita 565, l’abbattimento di elicotteri e l’uccisione di militari statunitensi in Somalia nel 1993, attentati dinamitardi contro le truppe in Yemen, nel 1992. Usama bin Laden si ritiene legato ai seguenti piani non portati a termine: assassinio del Papa durante la sua visita a Manila nel 1994, attacco simultaneo alle ambasciate israeliana e statunitense a Manila nel 1994, l’abbattimento di una dozzina di voli statunitensi intercontinentali nel 1995, l’uccisione del Presidente americano Clinton a Manila nel 1995, attacchi al Los Angeles International Airport ed a siti turistici in Giordania566, nel 1999, ed alle ambasciate americane a Sarajevo e Parigi, nel 2001.

6.5.5 DOPO L’INIZIO DELLA CAMPAGNA CONTRO AL-QAIDA Dopo l’inizio della campagna alleata contro Al-Qaida, sono stati registrati i seguenti principali attentati o tentativi567: nel dicembre 2001, è stato sventato il tentativo di far esplodere un aereo della American

Airlines in volo da Parigi a Miami, con un ordigno nascosto in una scarpa568; nel dicembre 2001, sono arrestati in Singapore 13 membri della Jemaah Islamya, accusati

di pianificare un attentato contro le ambasciate d’Australia, Gran Bretagna, Israele e Stati Uniti569; nel gennaio 2002, viene rapito in Karachi e poi ucciso il giornalista Daniel Pearl570; nel marzo 2002, viene attaccata una chiesa protestante ad Islamabad571; nell’aprile 2002, un camion-bomba lanciato in una sinagoga a Djerba, in Tunisia, ha

ucciso 15 persone, tra cui turisti tedeschi (rivendicazione dell’Armata islamica per la liberazione dei luoghi sacri; stesso gruppo legato all’attacco alle rappresentanze diplomatiche, nel 1998)572; nel maggio 2002, un attacco suicida a Karachi, in Pakistan, ha colpito un bus militare

francese, uccidendo 14 persone573; nel maggio 2002, un cittadino americano574 è stato arrestato all’aeroporto di Chicago,

con l’accusa di pianificare l’esplosione di una dirty bomb575 in una città statunitense. In

564 Patterns of global terrorism 2000 www.usis.usemb.se/terror/rpt2000/index.html. Dal PGT2000, risulta che sostenitori di Usama bin Ladin sono sospettati. 565 Patterns of global terrorism 1996 www.usis.usemb.se/terror/rpt1996/index.html. 566 Questi ultimi sventati dal governo giordano, che ha processato 28 sospetti. 567 Un’interessante overview in Elliot, 2002. 568 Second report of the monitoring group 9/2002. 569 Second report of the monitoring group 9/2002. 570 Second report of the monitoring group 9/2002. 571 Second report of the monitoring group 9/2002. 572 www.cbsnews.com/stories/2002/04/16/attack/main506246.shtml 573 Second report of the monitoring group 9/2002. 574 Appartenente ad una gang latino americana e convertitosi all’islam in carcere. Un altro sospetto, che sembrerebbe legato a questo piano, è stato arrestato in Pakistan. E’ interessante ricordare che, nel 1987, 4 appartenente ad un’altra gang di Chicago furono condannati per la pianificazione di azioni terroristiche, per conto di entità islamiche (The Economist).

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generale, la presenza di elementi statunitensi che hanno abbracciato le dottrine estreme musulmane nei gruppi terroristici islamici576, apre a preoccupanti possibilità di infiltrazione nei contesti occidentali; nel giugno 2002, sono stati arrestati, in Marocco, sospetti terroristi sauditi accusati di

preparare assalti alle navi militari americane ed inglesi, in transito per Gibilterra577; nel giugno 2002, esplode una bomba fuori dal Consolato americano a Karachi facendo

12 vittime578; nel luglio 2002, sono stati sventati due attentati: il progetto di avvelenare le risorse

idriche statunitensi e un attacco con un’auto imbottita con mezza tonnellata di C4 a Kabul579; nel mese di agosto 2002, viene assalita una scuola missionaria cristiana a Murree

(Pakistan), con un bilancio di 6 morti. Nello stesso mese, sempre in Pakistan, viene attaccata la cappella di un ospedale presbiteriano: 3 vittime 580;

Il quotidiano londinese in lingua araba “Al Sharq Al-Awsat” aveva ricevuto una email nella quale Al-Qaida annunciava che il nuovo obiettivo era stato scelto e che sarebbe stato colpito prima dell’anniversario dell’11 settembre581. Nel mese di agosto 2002, è salito l’allarme con riferimento ad una segnalazione circa il progetto di un attacco aereo al Golden Gate, il famoso ponte di San Francisco582. Secondo il responsabile della task force sul terrorismo del Congresso Usa, Al Qaida può attaccare quando e come vuole; in genere, l’organizzazione terroristica agisce su più piani paralleli e diffondendo numerose false informazioni e solo all’ultimo momento sceglie il vero obiettivo583. Nel giorno dell’ “anniversario” dell’attacco, gli Stati Uniti hanno alzato il livello di allarme, temendo una nuova azione terroristica contro obiettivi americani nel mondo; sono stati chiusi 19 consolati ed ambasciate nei Paesi islamici, davanti al Pentagono sono stati armati missili antiaerei e la marina militare ha ammonito che le petroliere in navigazione nel Golfo Persico e nelle acque del Corno d’Africa avrebbero potuto essere attaccate584. Nonostante gli allarmi, nulla è accaduto. Dalla stampa si apprende che numerose informative legherebbero il prossimo attentato ad un eventuale attacco all’Iraq; esso potrebbe prendere la forma di un’intrusione nel sistema informatico di un sito di controllo della sicurezza che permetterebbe l’entrata in azione dei terroristi585. 575 Una dirty bom è una bomba convenzionale, cui viene aggiunto materiale nucleare (non solo di tipo militare, ma anche materiale radioattivo previsto per usi civili, come nel caso degli ospedali). L’esplosione ha l’effetto di diffondere questo materiale radioattivo e, quindi, di contaminare un’area più o meno estesa, a seconda di vari fattori, tra cui la potenza dell’ordigno e le condizioni metereologiche. Il materiale di uso civile che potrebbe essere utilizzato per la costruzione della dirty bomb, è molto diffuso, in quanto trova applicazione nell’industria, nella medicina, nella ricerca universitaria ed è spesso soggetto a smarrimento, furto, abbandono (ogni anno, negli USA, si registrano circa 200 casi). I controlli nel settore sono, in genere, scarsi (The Economist). 576 Presenza indicata da fonti di stampa (Biloslavo, 2002) 577 Second report of the monitoring group 9/2002. Schema già utilizzato per l’attentato alla USS Cole, in Yemen. 578 Second report of the monitoring group 9/2002. 579 Molinari, 2002 580 Second report of the monitoring group 9/2002. 581 Molinari, 2002. 582 Farkas, 2002. 583 Olimpio, 2002. 584 Caretto, 2002. 585 Sarzanini, 2002.

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Secondo fonti di stampa, sembra che Al Qaida stia sperimentando armi chimiche586 in collaborazione con l’organizzazione estremista curda Ansar al-Islam587 (i partigiani dell’Islam) nel nord dell’Iraq588. Secondo indiscrezioni di fonte americana, riportate dalla stampa, Ansar al-Islam potrebbe essere l’anello di congiunzione tra Al-Qaida ed il regime di Saddam Hussein589. Le conseguenze di una conferma di tale rapporto sulla prospettiva di attacco all’Iraq sono evidenti. Da ultimo, comunque, il Time, citando fonti della Cia e del Pentagono, riporta che non ci sarebbero prove di alleanze tra Usama bin Laden e Saddam Hussein590. Il capo di Ansar al-Islam, Mullah Krekar, sarebbe stato arrestato dalla polizia olandese a metà settembre 2002 ad Amsterdam, all’arrivo con un volo da Teheran591. Anche l’ultimo rapporto del già citato monitoring group delle Nazioni Unite riporta informazioni secondo cui Al-Qaida starebbe tentando di acquisire non specificate armi chimiche ed agenti biologici come botulino, peste, antrace. La stessa organizzazione sarebbe già riuscita a produrre piccole quantità di gas cianuro in un laboratorio in Darunta, vicino a Jalalabad592.

586 Secondo la stampa, l’intelligence USA aveva già raccolto informazioni circa i tentativi di Al-Qaida di sviluppare armi chimiche nei campi in Afghanistan, prima dell’intervento alleato (Olimpio, 2002). 587 Ansar al-Islam sarebbe un piccolo gruppo (composto da circa 500-600 militanti) curdo di ispirazione integralista sunnita, che nel tempo ha mutato più volte denominazione (Hezbollah, Jund Allah, Ansar). Per quanto attiene ai rapporti con le altre fazioni curde, sembra attribuibile ad Ansar al-Islam anche la strage di una colonna di partigiani curdi. (Olimpio, 2002) 588 (Farkas, 2002) Tale attività si starebbe svolgendo in una zona sotto il controllo dei curdi e non di Saddam Hussein. 589 Olimpio, 2002. 590 Olimpio, 2002. 591 Corriere della sera, 14/9/2002. Krekar avrebbe vissuto con moglie e figli in Norvegia. 592 Second report of the monitoring group, 9/2002

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6.5.6 LE INVESTIGAZIONI IN EUROPA Come già precisato a fattor comune in premessa, attesa la natura di questo rapporto vengono utilizzate solo fonti aperte. Per approfondimenti è necessario far riferimento al Comando Generale della Guardia di Finanza – II Reparto. Dall’esame del Patterns of global terrorism 2001, comunque, si può trarre la seguente visione delle investigazioni ultimamente condotte in Europa con l’obiettivo di colpire le reti del terrorismo internazionale di matrice islamica: ITALIA: Risalerebbe al gennaio 2001 la scoperta di un piano per attaccare, in particolare, l’Ambasciata statunitense a Roma. In generale, le organizzazioni terroristiche sospettate di progettare l’attentato sarebbero il Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento ed il Gruppo combattente tunisino. Una prima significativa ondata di arresti di sospetti terroristi islamici ha avuto luogo nel mese di aprile 2001 ed ha coinvolto, tra gli altri, Sami Ben Khemais Essid593 e Tarek Maaroufi594. Dopo gli attacchi dell’11 settembre, il 10 ottobre sono stati arrestati estremisti connessi a Khemais. A novembre, ci sono stati interventi nei confronti del Centro Culturale islamico di Milano e sono stati arrestati estremisti che potrebbero avere legami con Al-Qaida. Venendo ad episodi più recenti, dalla stampa si apprende anche un’altra notizia: nel settembre 2002 sono stati arrestati 15 clandestini pakistani arrivati un mese prima in Sicilia a bordo di una “carretta del mare” battente bandiera dell’Isola di Tonga, fermatasi a Gela per un’avaria. I 15 pakistani sono sospettati di essere terroristi vicini ad Al Qaida, destinati a rafforzare qualche cellula terroristica in Francia o Spagna. L’imbarco è avvenuto in Marocco ed il piano sembra prevedesse il passaggio, in acque internazionali, su un’altra nave diretta verso uno dei due Paesi595. BELGIO: Il 13 settembre 2001, le Autorità belghe hanno arrestato un tunisino (Nizar Trabelsi) ed un marocchino (Tabdelknim El Hadouti) in relazione ad un progetto di attentato all’Ambasciata statunitense a Parigi.

593 Sami Ben Kemais Essid, che peraltro avrebbe trascorso 2 anni in Afghanistan, dove avrebbe anche ricevuto addestramento per fungere da reclutatore per Al Qaida. Kemais sarebbe ritenuto figura leader del Gruppo combattente tunisino e capo delle operazioni di Al Qaida in Italia e svolgerebbe la sua attività di reclutamento e pianificazioni attentati dietro la copertura di un’impresa di sua proprietà. Sarebbero, altresì, emerse connessioni con altre cellule terroristiche in Europa (PGT2001). 594 Di Taker Maaroufi l’Italia avrebbe richiesto l’estradizione al Belgio (PGT2001). Il medesimo soggetto è stato inserito, in data 4 settembre 2002, nella lista allegata al regolamento 881/2002 (il significato di tale inserimento sarà ampiamente illustrato nel capitolo 8). 595 Cavallaro, 2002

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Nel dicembre 2001, è stato arrestato, per traffico di passaporti falsi, il cittadino belga di origini tunisine Tarek Maaroufi, sospettato, nell’ambito delle indagini condotte in Italia, di essere legato a cellule terroristiche. Sono anche in corso investigazioni a proposito di Richard Reid (fallito attentato del dicembre 2001 del cosiddetto shoe bomber) che avrebbe soggiornato in Belgio prima di imbarcarsi a Parigi sul volo che avrebbe dovuto far esplodere. FRANCIA: Nell’aprile 2001, Fateh Kamel è stato condannato ad otto anni di carcere per aver diretto una rete logistica del terrorismo legata ad Al Qaida. Un’altra indagine è in corso con riferimento ad un progetto di attentato ad interessi statunitensi in Francia ad opera di un gruppo legato ad Al Qaida. Le Autorità francesi hanno già ottenuto l’estradizione dagli Emirati Arabi Uniti di quello che è ritenuto il leader del gruppo. GERMANIA: In considerazione del fatto che alcuni dei dirottatori dell’11 settembre hanno risieduto in Amburgo, le forze di polizia tedesche hanno ivi compiuto delle perquisizioni. Il 18 ottobre 2001, le Autorità tedesche hanno emesso mandati di arresto internazionali per Zakariya Essabar, Said Bahaji, Ramzi Oman, in quanto sospettati di appartenere proprio alla cellula terroristica di Amburgo, che comprende tre dei dirottatori diretti da Mohamed Atta. Sempre in relazione a legami con la cellula di Amburgo, il 28 novembre 2001 è stato arrestato il marocchino, Mounir Motassadeq. Il 10 ottobre 2001, in stretto coordinamento con l’Italia, è stato arrestato vicino a Monaco il libico Lared Ben Henin, sospettato di legami con la rete terroristica di Al Qaida. L’estradizione verso l’Italia è avvenuta il 23 novembre. In luglio, sette sospetti sono stati arrestati in Amburgo, in relazione ad ipotesi di ricostituzione di cellule terroristiche in loco596. Per il mese di settembre, la polizia tedesca ha annunciato una significativa operazione che dovrebbe coinvolgere simpatizzanti di Al Qaida, nonché elementi di Hizbullah ed Hamas. SPAGNA: Tra settembre e novembre 2001, le forze di polizia spagnole hanno disarticolato due cellule terroristiche affiliate ad Al Qaida. BOSNIA HERZEGOVINA: Dopo gli attacchi dell’11 settembre, le Autorità bosniache hanno arrestato alcuni individui sospettati di condurre attività terroristiche. Tra questi, cinque algerini ritenuti elementi operativi della GIA. Già in aprile, era stato arrestato un altro soggetto sospettato di appartenere al GIA (Said Atmani, estradato in Francia) e in luglio, due membri di al-Gam’a al-Islamiyya (estradati in Egitto);

596 The Economist.

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6.5.7 IL BILANCIO DELLE ATTIVITÀ DI CONTRASTO Secondo dichiarazioni di esperti antiterrorismo statunitensi, apprese dalla stampa, 16 dei 25 maggiori leader di Al-Qaida sarebbero stati uccisi o catturati; 21 su 27 è la cifra raggiunta per i Talibani. In più la rete finanziaria di Al-Qaida sarebbe stata pesantemente colpita. Inoltre, 1.600 individui sospettati di essere unità operative sono stati arrestati in 95 Paesi597. A tal proposito, devono però essere evidenziate le conclusioni di un rapporto dell’ONU, anticipate nell’agosto 2002 dal Washington Post, secondo cui la lotta al finanziamento del terrorismo non starebbe riuscendo ad impedire l’afflusso di consistenti risorse598. Secondo gli esperti del già citato monitorino group, risorse continuerebbero ad essere disponibili grazie al patrimonio personale di Usama bin Laden, ai contributi di membri e finanziatori di Al-Qaida599, ai fondi distolti dagli scopi di organizzazioni caritatevoli. Si consideri inoltre che il collasso della costosa infrastruttura in Afghanistan avrebbe reso disponibili le usuali fonti finanziarie per usi alternativi, che includerebbero l’intensificazione dell’indottrinamento e del programma di reclutamento che comporta il supporto ad organizzazioni fondamentaliste radicali, scuole ed organismi sociali 600. I successi sinora ottenuti, quindi – anche ammesso che le notizie siano affidabili – non possono far ritenere che Al-Qaida sia sconfitta. Da notizie di stampa601, sembra che la gestione della rete terroristica sia ora affidata a sette leader, ognuno con l’autorità e la capacità organizzativa di ordinare attentati. Sembra602 inoltre che almeno 1000 combattenti di Al Qaida, compresi numerosi leader, siano riusciti a fuggire dall’Afghanistan via Pakistan603 ed Iran604. D’altra parte, una delle

597 Hirsh, Holland, 2002. 598 Sarzanini, 2002. Secondo gli esperti del già citato monitoring group, nonostante gli iniziali successi che hanno portato all’individuazione e congelamento di 112 milioni di dollari appartenenti ad Al-Qaida (che rappresenterebbero solo una piccola frazione delle disponibilità), questo gruppo terroristico continuerebbe ad avere accesso a considerevoli risorse finanziarie ed economiche. Basti pensare che dall’adozione della risoluzione 1390 (gennaio 2002) ci sono stati solo 10 milioni di dollari di congelamenti aggiuntivi (Second report of the monitoring group, 9/2002). 599 Incluse imprese ed altre entità. 600 Second report of the monitoring group, 9/2002 601 Rivelazioni, riportate dalla Repubblica, fatte da New York Times e Washington Post, sulla base di conclusioni di analisti di CIA ed FBI e delle informazioni che sarebbe emerse dagli interrogatori dei tre sauditi arrestati, nel giugno 2002, in Marocco, con l’accusa di progettare attentati alle navi americane e dei Paesi Nato nello Stretto di Gibilterra. 602 Fonte: in http://www.msnbc.com/news/791852.asp (Newsweek), Rod Nordland, Sami Yousafzai, Babak Dehghanpisheh, 2002. 603 A ridosso dell’Afghanistan si trova un’area tribale dove scarso è il controllo del Governo pakistano. In quell’area, l’esercito pakistano è entrato solo una volta, nel 1973, per domare una rivolta, che ha richiesto 18 mesi di sanguinosi combattimenti. Per rientrare in quella zona e dispiegare le proprie forze per “chiudere” il confine con l’Afghanistan e quindi la via di fuga dei combattenti di Al Qaida, Musharaff si è dovuto impegnare in una trattativa di due settimane con i capi tribali locali. A questo punto era già dicembre; proprio il mese in cui, a causa dell’attacco terroristico al parlamento indiano, è salita la tensione con l’India, che ha indotto Musharaff a concentrare le truppe sul confine meridionale, fermando il dispiegamento sul confine con l’Afghanistan. In definitiva, è plausibile che molti combattenti di Al Qaida siano riusciti ad esfiltrare attraverso i “porosi” confini con il Pakistan. (Nordland R. et al., 2002). 604 D’altra parte, sembra che l’Iran sia stato nel tempo un’area di passaggio per i reclutati in Europa diretti ai campi di addestramento in Afghanistan (Olimpio, 2002). Sempre da fonti di stampa, emergerebbe che prima dell’11 settembre

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figure chiave dell’organizzazione (forse il nuovo capo delle operazioni605), il palestinese Abu Zubaydah, è stato catturato in Pakistan, nel marzo 2002, mentre nel settembre dello stesso anno, Ramzi Binalshibh è stato arrestato a Karachi. Secondo notizie stampa dell’agosto 2002, i servizi statunitensi ed arabi, pur non avendo riscontri certi, riterrebbero presente in Iran un gruppo di miliziani di Al-Qaida, comprendente due importanti figure di comando. Intercettazioni di comunicazioni via telefono satellitare avrebbero messo in luce contatti con estremisti operanti in Italia. Secondo il parere di esperti americani, gli ambienti estremisti iraniani avrebbero l’intenzione di definire un’alleanza tattica con Al Qaida in chiave anti statunitense606. In generale, il governo iraniano ha dichiarato di aver arrestato circa 150 sospetti terroristi di Al-Qaida, la maggior parte dei quali sono stati consegnati a vari Paesi607. Secondo il parere di un autorevole esperto israeliano di antiterrorismo, pubblicato sul quotidiano Haaretz, circa 200 militanti di Al Qaida avrebbero trovato rifugio in un campo profughi palestinese in Libano. Recenti scontri verificatisi in tale campo, sarebbero il risultato dei tentativi degli uomini di Al Qaida di prenderne il controllo.608 La minaccia potrebbe venire da quella che il capo della divisione antiterrorismo del servizio di intelligence estero tedesco chiama la “nuova Al-Qaida: “un fenomeno maggiormente simile alla diffusa minaccia che esisteva prima che Usama Bin Laden trasformasse il terrore in un’operazione globale, alla fine degli anni novanta.”609 Sempre secondo il predetto esperto, questo potrebbe essere la conseguenza di un temporaneo cambio di strategia, che porta a condurre attacchi di minore complessità610. D’altra parte, molti delle migliaia di terroristi che sono transitati dai campi di addestramento di Usama Bin Laden erano combattenti, nell’ambito delle loro “jihad locali”, alle quali possono essere tornati. Ne consegue che saremmo in presenza di una minaccia articolata in numerosi gruppi di più difficile identificazione, con una incrementata knowledge comune611, in conseguenza dell’addestramento ottenuto612.

2001 l’asse Italia-Afghanistan passasse per il Pakistan; Di recente, ci sarebbe stato il dirottamento sulla “via iraniana” (Biondani, 2002). 605 In sostituzione di Mohammad Atef, che si ritiene essere morto sotto i bombardamenti alleati. 606 Queste accuse sono respinte dal Governo iraniano (Olimpio, 2002). Nel mese di agosto 2002, il Presidente riformatore iraniano Khatami ha altresì dichiarato che l’Iran è impegnato affinché nel Paese non possano trovare riparo militanti di Al Qaida o Talibani (Repubblica, 14/8/2002). Oltre alle ipotesi di alleanza tattica tra estremisti iraniani e Al Qaida, si vedano più avanti anche quelle relative agli accordi tra Hizbullah ed Al Qaida. 607 The Economist. Ad esempio, 16 sauditi sono stati rimpatriati a maggio. 608 La Repubblica (e.f.), 3/9/2002 609 Diffusa convinzione degli esperti europei ed arabi è appunto che le cellule terroristiche sparse per il mondo abbiano sviluppato una struttura orizzontale senza un evidente centro di coordinamento. E’ plausibile che le cellule per coordinarsi ed agire abbiano comunque bisogno di un “facilitatore” nell’area (Nordlan, Yousafzai, Dehghanpisheh, 2002). In ogni caso, in un’intervista di settembre, due leader di Al Qaida (Khaled Mohammed e Ramzi Bin Al Shibh) affermano che l’organizzazione continua ad avere un “Dipartimento dei martiri” ancora attivo (Coppola, 2002). I già citati esperti del monitoring group del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite confermano che l’organizzazione di Al-Qaida sarebbe caratterizzata da una diffusa leadership, da una struttura flessibile e dall’assenza di un unico centro di comando e controllo (Second report of the monitoring group, 9/2002) 610 Dopo l’11 settembre, le maggiori difficoltà di comunicazione e di leadership potrebbero generare difficoltà di coordinamento e quindi problemi per l’attuazione di attacchi importanti (Karen, 2002, in Newsweek). Per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, sembra che si sia verificato il passaggio dalle email (da biblioteche Usa, Internet da Peshawar, chat line da Amburgo) a messaggeri (Farina, 2002). 611 E, forse, anche con un comune senso di appartenenza, che potrebbe essere sempre “rispolverato” all’occorrenza.

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In generale, gli esperti del già citato monitoring group confermano che gli elementi di al-Qaida sarebbero disseminati in tutto il mondo e si sarebbero nascosti nei centri urbani, facendo affidamento sulle locali bande criminali per ottenere armi. D’altra parte, nuove cellule starebbero ancora sorgendo.613 Secondo quanto riportato dal New York Times, emerge anche l’ipotesi che molti militanti di Al Qaida stiano ritornando, a piccoli gruppi, in Afghanistan. Tale circostanza, sempre secondo il New York Times, sarebbe confermata da rilevazioni della Cia nel senso della “sparizione” di numerose figure precedentemente segnalate in Europa614. Una tale strategia, ove confermata, sarebbe sicuramente legata alla volontà di Al Qaida di impedire la già difficile stabilizzazione del Paese. 6.6 LA SITUAZIONE IN ITALIA615 La presenza del terrorismo islamico in Italia ha origini negli anni ottanta-novanta, quando gruppi maghrebini ed egiziani cominciano ad utilizzare il Paese come base logistica e per fare proselitismo. Tali gruppi - che ruotano intorno a luoghi di culto, moschee e centri islamici – conservano comunque identità ed obiettivi nazionali, pur collaborando tra loro. Il gruppo di maggior rilievo sembra essere quello degli integralisti tunisini, che agiscono come Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento616. Altre presenze sono quelle del Gruppo islamico armato (Gia), di Takfir w-al-Higra (Anatema ed Esilio), degli egiziani Al-Jihad e Al-Gama’a al-Islamiya e di gruppi marocchini. Nella metà degli anni novanta, la polizia scandinava ha scoperto dei documenti che descriverebbero presenza e strategia del terrorismo islamico in Europa. Secondo questi documenti i gruppi attivi nel continente erano alla ricerca di un coordinamento unitario nella regione617, che non farebbe però riferimento ad Al-Qaida. Questa verrebbe intesa come un polo che fornisce “servizi” (ad esempio, di addestramento dei militanti618) in cambio di sostegno logistico in Europa. Tra loro i gruppi integralisti, pur mantenendo la loro identità etnico-nazionale, sembrano collaborare anche nell’ottica della specializzazione: per esempio, in Italia nella fabbricazione di documenti falsi, in Germania nel traffico di armi. In Italia, i terroristi islamici agirebbero sotto la copertura di attività imprenditoriali (di solito import/export, call center, commercio) o lavorative o di studio in genere. Il finanziamento passa spesso attraverso sistemi di cooperative. 612 Hirsh, Holand, 2002. 613 Second report of the monitoring group, 9/2002. 614 Olimpio, 2002. 615 Le informazioni contenute in questo paragrafo sono da Rosato (2002). 616 Per ulteriori dettagli su questo gruppo terroristico, si veda la scheda nell’ambito del paragrafo dedicato. 617 Sembra che ogni cellula faccia capo al proprio “sceicco” anche se si sospetta che vi sia un centro di riferimento. Si parla addirittura di un Consiglio di “sceicchi” nella capitale britannica. 618 I militanti provenienti dall’Italia sembra arrivassero ai campi di addestramento afghani attraverso l’Iran.

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I luoghi di culto rimangono spesso importanti centri di riferimento. In generale, esperti del già citato monitoring group affermano che Al-Qaida avrebbe reclutato in Europa e negli Stati Uniti numerosi residenti musulmani di seconda o terza generazione619.

619 Second report of the monitoring group, 9/2002.

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7 FINANZIAMENTO AL TERRORISMO Quanto segue è attinto (come il resto delle informazioni contenute in questo rapporto) da fonti aperte. Come già precisato a fattor comune in premessa, per approfondimenti è necessario far riferimento al Comando Generale della Guardia di Finanza – II Reparto. 7.1 LA RETE AL BARAKAAT SOMALA Procedendo all’esame delle fonti di finanziamento di Usama Bin Laden, si rivela che tra le imprese oggetto dei provvedimenti di congelamento ex reg. 881/2002620, compare anche la Al Barakaat somala621, sospettata, secondo notizie stampa, di veicolare verso Al-Qaida fondi tratti, ad esempio, dalle commissioni gravanti sulle rimesse di ignari somali all’estero. Elementi di questa struttura finanziaria avrebbero operato in Italia623. La rete Al Barakaat (nata nel 1986 e decollata nel 1991, in occasione del crollo del sistema bancario somalo) sarebbe un esempio di sistema di trasferimento fondi “non ufficiale”, generalmente noto sotto il nome di Hawala624. Il 7 novembre 2001, le forze dell’ordine statunitensi avrebbero effettuato delle perquisizioni negli uffici di Al Barakaat in 5 Stati americani, sequestrando le registrazioni e congelando le attività. Analoghi provvedimenti sarebbero stati presi in Canada e negli Emirati Arabi Uniti (dove Al Barakaat avrebbe sede). Tutto ciò sulla base, affermerebbero fonti aperte statunitensi, di forti prove di collegamenti con Al-Qaida625. Come evidenziato, poi, l’inserimento di Al Barakaat nelle liste di congelamento del regolamento 881/2002, ha determinato il congelamento delle attività finanziarie anche in Europa. In generale, Al Barakaat avrebbe aiutato Al-Qaida fornendo e movimentando fondi, mettendo a disposizione servizi Internet, comunicazioni telefoniche sicure ed altri mezzi per inviare messaggi e condividere informazioni626. Dalle investigazioni svolte in ambito internazionale non sono ancora trapelate notizie circa la fondatezza o meno delle accuse.

620 Presupposto dell’inserimento nelle liste di congelamento ex 881/2002, come si vedrà meglio nel capitolo che segue, è proprio il sospetto di associazione ad Usama Bin Laden o ai Talebani. 621 Il Dallah Al-Baraka group ha precisato che la Al barakaat somala non fa parte del gruppo http://www.altawfeek.com/news3.htm. Analoga dichiarazione in http://www.albaraka.com.pk/press_releases/denies_any_association.html 623 Ad esempio, a Firenze è stata avviata un’inchiesta sul movimento integralista somalo “Al Ittihad al Islamiya” e sulla rete somala “Al Barakaat”. http://www.esteri.it/archivi/arch_eventi/schede/15/index.htm Lo stesso movimento “Al Ittihad al Islamiya” è inserito nella lista di congelamento ex 881/2002 e quindi è sospettato di associazione ad Usama Bin Laden od ai Talebani. 624 Oltre che sotto la denominazione Hawala i sistemi bancari informali sono conosciuti in diversi Paesi con altri nomi specifici. 625 Crawley, 2001. Vedi anche Robson, 2001. 626 Fonte: http://www.whitehouse.gov/news/releases/2001/11/20011107-6.html

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Un’altra grande rete somala di money transfer, la Dahab Shiil, non è stata colpita da analogo provvedimento627.

627 La Dahab Shiil (avente base a Londra) ha anch’essa diffusione mondiale, con uffici in 34 Paesi e 258 filiali, comprese 25 filiali negli Stati Uniti e 50 nella Gran Bretagna. Dal 1988, Dahab Shiil fornisce servizi di trasferimento di denaro, ma svolge anche attività di import/export, ha creato un sistema postale in Somalia, una compagnia di costruzioni ed è azionista della Somtel, che gestisce 10 stazioni di telecomunicazioni nel Paese. Fonte: www.dahabshiil.com/profile.htm.

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7.2 GLI SCHEMI DEL FINANZIAMENTO AL TERRORISMO

INTERNAZIONALE Nelle pagine che seguono vengono tratteggiati gli schemi ipotizzabili del meccanismo di finanziamento al terrorismo internazionale, che possono guidare lo sviluppo delle attività operative e, prima ancora, di ricerca informativa. In tale quadro, pare molto utile tenere a mente lo schema piramidale innanzi illustrato, tramite il quale meglio si percepisce la vastità e la profondità del fenomeno. Possono essere enucleati essenzialmente tre canali di sostegno (di cui uno è configurabile come autosostentamento) ad una rete terroristica di matrice islamica. Nel prospetto 9 che segue sono stati schematizzati questi tre flussi. Una precisazione preliminare: nello schema 9, l’inserimento dei gruppi che detengono posizioni di potere è, ovviamente, ipotetica. Nel caso in cui, però, tale via di sostegno venga utilizzata, essa potrebbe concretizzarsi - anche attraverso un sistema di società “schermo” (magari costituite in contesti che rendano difficile risalire alla composizione societaria) - nel finanziamento delle società facenti capo alla rete terroristica o nella veicolazione, verso le organizzazioni caritatevoli che si prestano ad attività di sostegno ai terroristi medesimi, dei fondi di beneficenza gestiti (direttamente o indirettamente) proprio da questi gruppi di potere.

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E’ bene precisare che (almeno nel caso di Al-Qaida) le stesse cellule dell’organizzazione sembrano anche essere responsabili del soddisfacimento delle proprie necessità finanziarie. Questo si tradurrebbe nella conduzione di piccole attività imprenditoriali o di attività criminali locali, come lo spaccio di droga, le rapine in banca, le frodi con carte di credito628.

7.2.1 IL SOSTEGNO DA SOCIETÀ PRODUTTIVE Una prima ipotesi si riferisce al ruolo che può essere rivestito da società che svolgono attività produttive, commerciali o di servizi. Queste società possono, nel contempo: costituire canale di investimento delle liquidità che affluiscono alla rete e, comunque,

forma di collocazione del patrimonio della rete stessa (che può anche avere origine dal patrimonio personale dei principali esponenti e sostenitori);

628 Second report of the monitoring group, 9/2002. Un gruppo terroristico arrestato in Giordania nel 1999, sospettato di legami con Al-Qaida, avrebbe confessato di pianificare rapine per finanziarsi, visto che i fondi ricevuti dall’esterno erano esigui. Stesse conclusioni sembrerebbero emergere nel caso di un gruppo islamico palestinese scoperto dalle forze israeliane nel 2000; in questo caso la maggior parte del finanziamento proveniva da Hamas (Reuven Paz, 2000)

Gruppi di potere economico

appartenenti al mondo musulmano

RETE TERRORISTICA DIMATRICE ISLAMICA

Società che svolgono attività produttive,

commerciali o di servizi lecite, ma di copertura

proprietà o partecipazione

sostegno

Partecipazione ofinanziamento

Fondi della Zakat o altre forme di beneficenza

Centri di gestione della beneficenza

appartenenti al mondo musulmano

Organizzazioni caritatevoli o di mutua assistenza

islamica

sfruttamento

sostegno

attività criminali

esercizio

liquidità e

collegamenti

Prospetto 9

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ove rappresentino una fetta importante dell’economia di un determinato Paese (come può accadere nel caso di Paesi islamici caratterizzati da uno scarso sviluppo economico), essere un efficace mezzo per influenzare le decisioni di elementi dell’establishment politico, che saranno propensi a fornire coperture alle attività dell’organizzazione; essere un punto di contatto con gruppi di potere economico del mondo musulmano,

che potrebbero compartecipare in queste imprese o, comunque, farvi affluire finanziamenti, potenzialmente utilizzabili in modo strumentale alla causa terroristica; fungere da valida copertura per il movimento e la presenza di persone nonché per il

trasferimento di capitali, immobili da utilizzare come basi logistiche o per il deposito di materiale bellico629.

7.2.2 LA MUTUA ASSISTENZA ISLAMICA Un altro canale di finanziamento significativo, in relazione alle caratteristiche del mondo musulmano, è quello delle organizzazioni caritatevoli o di mutua assistenza islamica630. In tale ambito può essere ricompreso il coinvolgimento di elementi operanti all’interno di istituti e centri culturali islamici631. La possibilità che le NGO siano strumentalizzate è talmente concreta che una delle otto raccomandazioni formulate recentemente dal GAFI per il contrasto al finanziamento del terrorismo, prevede proprio la revisione delle normative relative alle organizzazioni non-profit, per evitarne l’abuso da parte delle organizzazioni terroristiche (sfruttamento quali conduttori del finanziamento, diversione di fondi originariamente destinati a scopi leciti ecc.). D’altra parte, il flusso finanziario diretto verso le associazioni islamiche, attive anche in occidente, si è incrementato durante gli anni novanta, in considerazione dei nuovi equilibri del mercato petrolifero (favorevoli all’Arabia Saudita, che avrebbe “acquisito” la quota prima coperta dall’Iraq) e della decisione dei Paesi del Golfo di interrompere il sostegno all’OLP (vista la posizione assunta durante la guerra)632. 629 Sembra, ad esempio, che quando Al-Qaida, nel 1995, dovette abbandonare il Sudan, Usama bin Laden evitò la dispersione dei suoi seguaci facendo assumere i medesimi dalle sue imprese (Guolo, 2001) 630 Ad esempio, organizzazioni ritenute collegate ad Usama bin Laden od ai Talebani, tanto da essere inserite nella lista allegata al regolamento 881/2002, sono la Wafa (avente sede in Pakistan ed uffici in Arabia Saudita, Kuwait e Emirati Arabi Uniti), il fondo Al Rashid (alias The Aid Organization of Ulema, diffuso in Pakistan ed esercitante attività anche in Afghanistan, Kosovo e Cecenia), la Global Relief Foundation (avente sedi negli Stati Uniti, in Francia, Belgio, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Repubblica federale di Iugoslavia, Albania, Pakistan e Turchia), la Benevolence International Foundation (con indirizzi ed uffici negli Stati Uniti, Azerbaigian, Canada, Cina, Croazia, Paesi Bassi, Pakistan, Russia, Sudan, Arabia Saudita). 631 Si legge in “The Economist” che, a causa dell’assenza di un clero ufficiale nella religione islamica, a volte gli Imam (le guide spirituali) che emergono nelle varie comunità musulmane in Europa sono espressione (dal punto di vista del finanziamento e dell’addestramento) di poteri esterni (allocati in Stati del Nord Africa, Medio Oriente, Asia) alle medesime comunità stanziate in Europa. Questo, tra l’altro, genera facili punti di entrata per insegnamenti ed influenze estremiste dall’estero. D’altra parte, secondo esperti delle Nazioni Unite, Al-Qaida avrebbe reclutato in Europa e stati Uniti numerosi musulmani residenti di seconda e terza generazione (Second report of the monitoring group, 9/2002). 632 Reuven Paz, 2000.

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Questa nuova politica ha allargato la base della piramide – che è costituita da attività sociali lecite ed è alimentata in particolare proprio dall’Arabia Saudita633 - la cui punta può aver così beneficiato di maggiori risorse. La maggior parte dei miliardi di dollari raccolti annualmente dalle organizzazioni di carità islamiche viene correttamente destinato. Si ritiene però che parte delle risorse sia diretta o “deviata” per il supporto del terrorismo. Per raggiungere questo scopo Al-Qaida si sarebbe infiltrato in queste NGO. Si consideri che parte di questi fondi è anche diretto a supportare una rete di istituzioni fondamentaliste radicali, scuole ed organizzazioni sociali che si ritiene forniscano rifugio, supporto logistico, reclutamento ed addestramento per Al-Qaida. (Second report of the monitoring group, 9/2002). Nel caso in cui sia un’organizzazione caritatevole ad essere sfruttata dalla rete terroristica, essa può costituire il punto di reclutamento e di confluenza dei fondi offerti dalla comunità musulmana, in forza della zakat o di altre forme di beneficenza; tali fondi vengono, poi, convogliati a favore degli appartenenti all’organizzazione terroristica. Paesi come Iran, Arabia Saudita, Kuwait, Sudan, Pakistan finanziano massicciamente, in modo diretto o indiretto, le attività lecite che contribuiscono al mantenimento dell’ “atmosfera islamica”. Ogni anno, ad esempio, il governo saudita fornisce circa 10 miliardi di dollari attraverso il Ministero degli Affari religiosi. Questo ovviamente non significa che questi Paesi siano consapevoli di eventuali distrazioni dei fondi a favore di attività terroristiche. Spesso, come nel caso dell’Arabia Saudita e di alcuni Paesi del Golfo Persico, le donazioni provengono da individui facoltosi che, comunque, ricoprono alte cariche ufficiali (se non sono addirittura membri della famiglie reale); ne consegue che anche questa forma di sostegno viene percepita come governativa. Negli ultimi anni, le donazioni trovano origine anche dagli espatriati benestanti nell’Europa occidentale o negli USA.635 Non deve, inoltre, essere trascurata la possibilità di copertura che le NGO offrono, per quanto riguarda, ad esempio, le comunicazioni, il movimento e la presenza delle persone, anche in occidente. Dall’esame del Patterns of global terrorism 2001 (PGT2001), emerge come continuino a mantere una presenza in Albania varie NGO, con base in Medio Oriente. In alcuni casi, esse continuano a fornire assistenza agli estremisti islamici nella regione sotto forma, in particolare, di documenti falsi ed agevolazioni negli spostamenti. Nel mese di ottobre 2001, le forze di polizia albanesi sono intervenute nelle sedi centrali di quattro NGO islamiche sospettate di essere legate all’estremismo islamico internazionale. Da ottobre a dicembre 2001, sono state condotte due simili operazioni nei confronti di altrettante NGO, nonché una terza operazione verso un’impresa albanese posseduta da un sostenitore di Al Qaida, individuato dal Dipartimento del Tesoro USA. (PGT2001) Anche in Bosnia Herzegovina varie NGO, che si ritiene sostengano attività terroristiche, mantengono una presenza. In particolare, le NGO che arrivarono durante la guerra del 1992-1995, continuano a fornire assistenza agli estremisti islamici in Bosnia (inclusi documenti falsi e facilitazioni negli spostamenti). (PGT2001) 633 Viste le sue aspirazioni di guida del pan islamismo. 635 Reuven Paz, 2000; Yael Shahar, 2001.

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Analoga situazione circa la presenza di NGO, si registra in Kosovo, dove però sembra che queste organizzazioni (composte da un piccolo numero di estremisti islamici stranieri ed alcune dozzine di elementi radicali locali) non godano di un vasto supporto da parte della popolazione musulmana moderata del Kosovo. Nel mese di dicembre 2001, le truppe NATO hanno compiuto operazioni contro la Global Relief Foundation, per sospettati legami con organizzazioni terroristiche. (PGT2001)

7.2.3 L’AUTOSOSTENTAMENTO DA ATTIVITÀ CRIMINALI Un’ulteriore ipotesi è l’esercizio, da parte dell’organizzazione terroristica, di attività criminali. A questo proposito, può essere ricordata la condizione dell’Afghanistan, ritenuto il maggior produttore mondiale di oppio ed eroina grezza636; parte dei proventi della vendita di tali sostanze, può essere entrata nella disponibilità della rete Al-Qaida, che potrebbe aver avuto un ruolo centrale nella conduzione del relativo commercio illegale. Altra attività ipotizzabile può essere il traffico internazionale di armi, mercato nel quale la rete terroristica deve, comunque, operare per rifornirsi del materiale bellico necessario a condurre la propria attività principale. Un rapporto di esperti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU indica che gli uomini di Usama bin Laden potrebbero agire da mediatori, in Sierra Leone, Angola e Liberia, per la vendita dei diamanti estratti dai locali gruppi ribelli e la loro esportazione illegale, i cui introiti vengono per lo più utilizzati, poi, per l’acquisto di armi637. Secondo notizie stampa, riportate dal Patterns of global terrorism 2001, Al-Qaida avrebbe ricavato milioni di dollari dai diamanti estratti dai ribelli della Sierra Leone. In generale, esperti delle Nazioni Unite, con riferimento ad Al-Qaida, confermano il sospetto che, già prima degli attacchi dell’11 settembre, parte delle risorse siano state trasferite dal settore finanziario ad investimenti in beni preziosi di difficile individuazione (oro, diamanti ed altre pietre preziose), facilmente trasportabili ed occultabili ed aventi la caratteristica di mantenere il loro valore nel tempo. In caso di esigenze finanziarie, tali beni possono essere convertiti sul mercato in piccole quantità, senza attirare attenzione. Tale processo sarebbe iniziato nel 1998, in corrispondenza dei primi provvedimenti di congelamento attuati da Stati Uniti e da alcuni governi europei contro i Talibani638. Da ultimo, non sono trascurabili i profitti che possono derivare da manovre speculative sui mercati finanziari, come quelle ipotizzate a ridosso degli attacchi dell’11 settembre 2001.

636 Secondo fonti aperte, dopo la dichiarazione – nel luglio 2000 da parte dei Talibani - di contrarietà all’islam dell’oppio, la produzione sarebbe caduta del 94%. In precedenza, l’Afghanistan produceva il 70% dell’oppio mondiale ed il 90% dell’eroina venduta in Europa. Il bando dei Talibani non sarebbe, comunque, stato applicato al commercio, che grazie alle ingenti scorte accumulate negli anni precedenti avrebbe continuato a proliferare, con, peraltro, un forte aumento dei prezzi. Oggi, in Afghanistan, la coltivazione dell’oppio starebbe riprendendo, a causa di mancanza di alternative (The Economist). 637 Pennacchi, 2002. 638 Second report of the monitoring group, 9/2002

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Che esistano strette connessioni tra il terrorismo internazionale e la criminalità transnazionale, con riferimento, in particolare, al traffico di sostanze stupefacenti, al riciclaggio, al traffico illegale di armi, ai movimenti illegali di materiale nucleare, chimico e biologico è, d’altra parte, convinzione dell’intera Comunità internazionale, dato che questa affermazione compare tra le premesse delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in materia. L’esercizio “ufficiale” di attività criminali finalizzate al finanziamento, vista la motivazione religiosa di fondo, non è usuale tra i gruppi terroristici islamici, salvo eccezioni come nel caso di un pronunciamento di un’autorità religiosa legata alla Jihad islamica palestinese, nel 1983, che giustifica il furto delle proprietà degli ebrei. Atti “ufficiali” come il dirottamento di aerei o il rapimento sono intrapresi per ottenere la liberazione di prigionieri, ma non per ottenere riscatti in denaro. Anche nel caso di assalti ad arsenali per procurarsi le armi necessarie a condurre la lotta, l’ “immagine pubblica” dei gruppi terroristici è “salva”. Tale orientamento dovrebbe portare ad escludere ordinari collegamenti con la criminalità organizzata e comune640. Da quest’ultima affermazione si ritiene debba essere esclusa l’organizzazione di importanti traffici, come quello, ad esempio, dell’oppio afghano. Una rilevante eccezione a questa regola è, inoltre, rappresentata dal gruppo Abu Sayyaf, che pratica regolarmente il rapimento a scopo di riscatto. Non bisogna dimenticare, comunque, la fatwa di Usama bin Laden, del 1998, che spinge anche alla commissione di attività criminali contro gli infedeli (cfr. cap. 6). Per concludere, un dato quantitativo riguardante l’Italia: al 6 marzo 2002, le misure di congelamento adottate - in relazione a meccanismi disciplinati da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e da regolamenti dell’Unione Europea641 nonché in relazione a provvedimenti di sequestro giudiziario di competenza della magistratura642 – hanno riguardato circa 4,2 milioni di Euro.

640 Reuven Paz, 2000. 641 Per quanto attiene a queste specifiche misure, al 6 marzo 2002, risultato 84 conti congelati, di cui 47 conti bancari, 33 polizze assicurative e 4 fondi comuni di investimento, appartenenti a 88 soggetti o enti, per un ammontare complessivo di 240.419,09 Euro, di cui 108.924,40 Euro di conti bancari, 54.271,98 Euro di fondi comuni di investimento, 77.224,71 Euro di polizze assicurative. www.esteri.it/archivi/arch_eventi/schede/15/index.htm 642 I sequestri legati ad attività investigative ammontano a 4.073.096,91 Euro e 117.624 USD, consistenti in saldi attivi di conti correnti bancari, rapporti di affidamento, lettere e/o linee di credito. www.esteri.it/archivi/arch_eventi/schede/15/index.htm

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8 RECENTE POLITICA DI CONTRASTO AL TERRORISMO INTERNAZIONALE (NORMATIVA E SOGGETTI)

8.1 LE RISOLUZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI

UNITE E LE POSIZIONI COMUNI DELL’UNIONE EUROPEA L’attenzione della Comunità internazionale verso il terrorismo è senza dubbio cresciuta esponenzialmente a seguito degli attacchi agli Stati Uniti d’America dell’11 settembre 2001, ma era già alta in precedenza. Concentrando l’esame all’ultimo quinquennio, si nota che già il 13 agosto 1998 - in risposta ai gravi attentati del 7 agosto, alle rappresentanze diplomatiche statunitensi in Nairobi (Kenya) e Dar-es-Salaam (Tanzania) - il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva adottato una risoluzione di condanna rivolta al terrorismo internazionale. Per avere un’idea globale delle motivazioni che hanno spinto la Comunità internazionale ad intervenire nei confronti del terrorismo internazionale, si può far riferimento al prospetto 10, che riassume le principali premesse alla base delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite succedutesi nel tempo. In estrema sintesi, tali ragioni sono riconducibili alla consapevolezza che il terrorismo:

costituisce una seria minaccia per la pace e la sicurezza internazionale; ha stretta connessione con la criminalità transnazionale, i traffici di sostanze

stupefacenti, armi, materiali nucleari, chimici, biologici e il riciclaggio; può essere contrastato solo con un forte impegno di tutti gli Stati e con il

rafforzamento degli strumenti di cooperazione. Il Consiglio di sicurezza ha perciò rivolto, nel tempo, alla Comunità internazionale delle richieste che sono divenute sempre più pressanti e dettagliate, fino ad arrivare alla risoluzione n. 1373 del 28 settembre 2001 (chiaramente provocata dagli attacchi di pochi giorni prima) con cui viene fissato un lungo elenco di misure di contrasto da adottare. Il quadro complessivo di questa reazione internazionale, è stato compendiato nel prospetto 11. La posizione espressa dal Consiglio di sicurezza è stata, quindi, ripresa dall’Unione Europea, che l’ha tradotta, sostanzialmente, in due posizioni comuni, la 930 e la 931, del 27 dicembre 2001643 con le quali l’Unione ha ribadito la necessità che gli Stati membri adottino una serie di misure (che vanno dal congelamento di capitali, al potenziamento della cooperazione amministrativa e giudiziaria nell’ambito anche del III pilastro) coerenti, in particolare, con le richieste della predetta risoluzione 1373/2001. A tal proposito, una visione d’assieme può essere tratta dal prospetto 12.

643 Cui sono seguite anche le posizioni comuni 340 del 2 maggio 2002 (abrogata) e 462 del 17 giugno 2002. Le posizioni comuni del Consiglio dell’Unione Europea non sono strumenti direttamente applicabili nell’ambito dei singoli Stati membri (come un regolamento), ma hanno la funzione di esplicitare l’orientamento dell’Unione in merito ad una questione specifica.

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8.2 IL REGOLAMENTO 2580 In data 27 dicembre 2001, il Consiglio dell’Unione Europea, oltre ad esprimere il suddetto indirizzo politico, ha adottato un importante regolamento, il n. 2580, che ha reso immediatamente “operative”, nell’ambito dei singoli Stati membri, alcune misure di contrasto al terrorismo internazionale, tra cui, il congelamento di capitali, attività finanziarie e risorse economiche. I principali contenuti di tale regolamento sono riassunti nel prospetto 13.

8.2.1 MECCANISMO DI APPLICAZIONE DELLE MISURE EX 2580 E’ utile, a questo punto, soffermarsi sul meccanismo di applicazione delle misure rese “operative”, anche in Italia, dal suddetto regolamento 2580/2001. Innanzitutto, deve essere evidenziato che elemento centrale per l’esecuzione delle misure è una lista contenente persone, gruppi, entità. Tale lista è redatta dal Consiglio dell’Unione Europea, che deve deliberare all’unanimità, ed include coloro che commettono o tentano di commettere, partecipano o agevolano atti terroristici, nonché persone giuridiche, gruppi o entità di cui questi hanno la proprietà, il controllo o che agiscono per loro conto o su loro incarico. La centralità della lista deriva dal fatto che è solo nei confronti di chi è incluso in tale elenco che vengono congelati capitali, attività finanziarie e risorse economiche ed è vietato mettere a disposizione capitali, attività finanziarie e risorse economiche, nonché servizi finanziari ed altri servizi connessi. Assume notevole importanza, quindi, il meccanismo di formazione della suddetta lista. Essa, in base ai principi dettati dalla posizione comune 931/2001, ripresi dal regolamento 2580/2001, è redatta ed aggiornata dal Consiglio, sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulta che un’Autorità competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, gruppi ed entità interessati. Tale decisione può consistere nell’apertura di indagini o di azioni penali relative ad atti terroristici, basate su indizi seri e credibili, o in una condanna penale relativa a tali atti. In relazione a tale specificazione, è da ritenere che, in Italia, la predetta “Autorità competente” sia l’Autorità giudiziaria, dal momento che, peraltro, è in possesso degli elementi necessari per valutare la serietà e credibilità degli indizi. In aggiunta, viene precisato che nell’elenco possono essere incluse persone, gruppi, entità individuati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come collegati al terrorismo e contro i quali esso ha emesso sanzioni. Atteso che l’inclusione nella lista di cui si tratta comporta effetti immediati ed incisivi, il Consiglio deve seguire anche il principio di inserire nell’elenco dettagli sufficienti a consentire l’effettiva identificazione dei soggetti, in modo da consentire una più agevole discolpa in caso di omonimie.

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8.2.2 CONCETTO DI ( E OGGETTO DEL) CONGELAMENTO Il concetto di congelamento è definito dallo stesso regolamento: il divieto di spostare, trasferire, alterare, utilizzare o trattare i capitali in modo da modificarne il volume, l’importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura, la destinazione o da introdurre altri cambiamenti tali da consentire l’uso dei capitali in questione, compresa la gestione di portafoglio. Oggetto del congelamento devono essere (reg. 2580/2001) le attività di qualsiasi natura, materiali o immateriali, mobili o immobili, indipendentemente dal modo in cui sono state acquisite, e documenti o strumenti giuridici in qualsiasi forma, anche elettronica o digitale, da cui risulti un diritto o un interesse riguardante tali attività, tra cui crediti bancari, assegni turistici, assegni bancari, ordini di pagamento, azioni, titoli, obbligazioni, tratte e lettere di credito. Da quanto precede si deduce la natura onnicomprensiva dell’oggetto del congelamento, che, quindi, non si limita ai conti bancari o altri tradizionali strumenti finanziari; si noti, ad esempio, l’esplicito riferimento agli immobili. Atteso, poi, che tra i divieti che danno corpo alla misura del congelamento c’è quello, ad esempio, dell’uso tale da “modificare la collocazione”, si può dedurre che tale provvedimento comporta, con riferimento ai beni mobili, l’assoluta inutilizzabilità pratica644. Con il congelamento, quindi, viene bloccato ciò che ricade nella proprietà o nel possesso del soggetto. Per rendere completo il meccanismo di inibizione nei confronti dello stesso, il regolamento 2580/2001 impone, ai terzi, il divieto di mettere a disposizioni del medesimo le stesse tipologie di beni che devono essere oggetto di congelamento (compresi, in aggiunta, i servizi finanziari e gli altri servizi connessi). Viene così completato l’isolamento economico della persona, del gruppo o dell’entità inseriti nella suddetta lista. Il regolamento 2580/2001 contiene anche l’elenco delle autorità nazionali competenti (per l’Italia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze), cui fare riferimento quali:

destinatarie di informazioni, come quelle relative all’elusione delle disposizioni del regolamento, nonché, in generale, quelle atte ad agevolare l’osservanza del regolamento stesso (ad esempio, i conti e gli importi congelati); organismi abilitati a rilasciare autorizzazioni specifiche all’uso dei capitali

congelati. Da notare che l’Autorità competente non viene contemplata dal regolamento nel momento in cui si riferisce al meccanismo di formazione della lista, né a quello per lo scongelamento giustificato dalla tutela degli interessi della Comunità. Dalla disamina sinora proposta, si evince il legame trasversale che collega le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, le posizioni comuni ed il regolamento dell’Unione Europea. Una chiara visione di questo percorso trasversale, che trova un

644 Per ulteriori considerazioni circa il significato di “congelamento”, si rimanda alla parte del capitolo in cui viene illustrato il regolamento 881/2002, i cui contenuti potrebbero essere d’ausilio nell’interpretazione di questo concetto, anche per quanto attiene al reg. 2580 ora in esame.

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punto di arrivo nella produzione normativa e nei comportamenti nazionali, consente di contestualizzare e, quindi, meglio comprendere le singole misure adottate dalla Comunità internazionale e dall’Italia per il contrasto al terrorismo internazionale. A tal fine è stato elaborato il prospetto 14, con il quale si cerca - senza pretesa di esaustività o approfondimento interpretativo, che solo un’attenta lettura delle norme può garantire – di collocare le singole misure in connessione logico-temporale partendo dagli orientamenti e provvedimenti internazionali per arrivare a quelli nazionali. Nell’ambito del prospetto 14, la Legge 438/2001 viene interpretata come risposta dello Stato italiano agli orientamenti dell’Unione Europea tesi all’intensificazione del contrasto al fenomeno del terrorismo internazionale, da attuare tramite interventi che esulino dalle possibilità di ingerenza dell’Unione stessa. Quest’ultima, infatti, non può incidere direttamente sulla legislazione penale e procedurale penale degli Stati membri che, quindi, devono autonomamente introdurre le idonee modifiche al sistema normativo interno. A titolo esemplificativo, le Nazioni Unite e l’Unione Europea possono solo richiedere alle realtà statuali che le persone che partecipano al finanziamento, alla progettazione, alla preparazione ed alla perpetrazione di atti terroristici o al sostegno di atti terroristici siano assicurate alla giustizia. Può essere solo lo Stato italiano ad agire concretamente in direzione di tale aspettativa, introducendo specifiche ipotesi di reato (come il nuovo 270 bis del codice penale) o consentendo l’utilizzo di più incisivi strumenti investigativi. A tal proposito, è stato elaborato il prospetto 15, con l’obiettivo di fornire un’immediata percezione delle nuove fattispecie di reato configurate dalla legge 438/2001 e degli strumenti di contrasto investigativo disponibili con riferimento ai delitti con finalità di terrorismo. Ove in corrispondenza delle colonne “regolamenti C.E.” e “normativa nazionale” del prospetto 14 non siano riportati riferimenti, significa che le misure richiamate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o dagli orientamenti dell’Unione Europea non devono essere attuate tramite nuova produzione normativa, ma con lo sfruttamento, da parte degli organi deputati degli Stati membri, della normativa già esistente o tramite la definizione di ulteriori collegamenti operativi e/o informativi di collaborazione internazionale. Prima di proseguire, è opportuno fare una precisazione. La lista allegata alle posizioni comuni (da ultimo la 2002/462/PESC) contiene anche nominativi ed entità di organizzazioni terroristiche endogene (cioè interne agli Stati membri, come ad esempio l’ETA) che non vengono riprese dalla lista allegata al Regolamento 2580/2001. Tale difformità è determinata dall’attuale posizione, secondo cui il Regolamento può riguardare solo una minaccia esterna all’Unione, che giustifichi un evidente riferimento al II pilastro. Questa circostanza ricorre sicuramente nel caso delle reti terroristiche internazionali. Attualmente, quindi, per le organizzazioni endogene vale solo l’orientamento politico (contenuto sempre nelle stesse posizioni comuni) di rafforzare la cooperazione amministrativa e giudiziaria, nell’ambito del III pilastro. In generale (sia per minacce esogene che endogene), per quanto attiene all’applicazione di misure specifiche di cooperazione di polizia e giudiziaria per la lotta al terrorismo (sollecitata, come già visto, anche dalla posizione comune 2001/931/PESC), è stata

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avanzata dal Regno di Spagna una iniziativa tesa all’adozione di uno specifico provvedimento da parte del Consiglio dell’Unione Europea (2002/C126/15). Questa iniziativa prevede la designazione, da parte di ciascuno Stato membro, di un punto di contatto tra i suoi servizi di polizia. Tale punto di contatto avrà accesso alle informazioni645 pertinenti in merito alle indagini penali condotte dalle autorità di polizia, riguardanti i reati terroristici in cui siano implicati persone, gruppi o entità che figurano nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC. Le informazioni raccolte dal punto di contatto dovranno essere comunicate ad Europol, conformemente a quanto disposto dalla Convenzione Europol. Ciascuno Stato membro, inoltre, dovrà nominare anche un punto di contatto nell’ambito del proprio sistema giudiziario, che abbia accesso alle informazioni646 pertinenti in merito a procedimenti penali avviati dalle Autorità giudiziarie riguardanti reati terroristici in cui siano coinvolti persone, gruppi, entità che figurano nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC. Quel punto di contatto sarà il corrispondente nazionale dell’Eurojust, per le questioni legate al terrorismo nello Stato membro che lo ha designato. In ogni caso, ciascun Stato membro assicura che le informazioni raccolte dal punto di contatto “giudiziario” siano comunicate all’Eurojust, in base a quanto disposto dalla decisione istitutiva di Eurojust. E’ interessante notare anche la proposta che gli Stati membri assicurino che Europol ed Eurojust possano scambiarsi le informazioni loro trasmesse, in base ad un accordo di cooperazione da concludersi tra i due organismi. Ove approvata nei termini proposti, la decisione del Consiglio prevederà anche che gli Stati membri si avvalgano appieno delle possibilità offerte dalle squadre investigative comuni per indagare e reprimere i reati terroristici in cui siano coinvolti persone, gruppi o entità che figurano nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC. 8.3 PROVVEDIMENTI RELATIVI ALLA QUESTIONE AFGHANA Il quadro delle iniziative internazionali e nazionali volte al contrasto del terrorismo non è, però, completo se non si fa riferimento alla questione afghana, che ha, in definitiva, costituito l’elemento scatenante anche dalla sopra menzionata reazione. La necessità di analizzare anche tale filone normativo è resa pressante, in particolare, dal fatto che è in tale ambito che viene trattata l’organizzazione Al-Qaida, facente capo ad Usama bin Laden. Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (quadro generale delle premesse e delle richieste nei prospetti 16 ed 17) dapprima fanno riferimento, in generale, al confronto militare in corso in Afghanistan ed alle fazioni afghane in lotta e, poi, progressivamente si concentrano esplicitamente sulla fazione dei Talibani (dalla ris.

645 Almeno i dati per l’identificazione della persona, gruppo o entità, gli atti oggetto dell’indagine, il collegamento con altri casi, il ricorso a tecnologie di comunicazione, la minaccia rappresentata dal possesso di armi di distruzione di massa. 646 Almeno i dati per l’identificazione della persona, gruppo o entità, gli atti oggetto dell’indagine, il collegamento con altri casi, le richieste di assistenza reciproca, comprese le rogatorie, nonché i relativi risultati.

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1193/1998), su Usama bin Laden (dalla ris. 1267/1999) e sulla rete Al-Qaida (dalla ris. 1378/2001647). Può essere utile, altresì, osservare la successione cronologica degli interventi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (vgs. prospetto 18). L’attenzione è dapprima principalmente rivolta al conflitto afghano, in relazione al quale il Consiglio di sicurezza prevede le prime specifiche misure sanzionatorie con la risoluzione 1267 dell’ottobre 1999, rafforzate ed allargate esplicitamente, nel dicembre 2000, all’organizzazione terroristica Al-Quaida (risoluzione 1333). E’ con gli attacchi del 11 settembre 2001 che l’azione del Consiglio di sicurezza nei confronti del terrorismo internazionale - che già aveva preso corpo dopo gli attentati alle rappresentanze diplomatiche in Kenya e Tanzania – assume notevole concretezza, fino alle previsione di uno specifico sistema di misure di contrasto, con la risoluzione 1373 del 28 settembre 2001. In ogni caso deve essere sottolineato sin d’ora che il sistema di misure nei confronti della fazione dei Talibani e della rete Al-Qaida nasce in modo separato rispetto a quello rivolto al terrorismo internazionale. Questa diversa genesi ha prodotto due filoni d’azione paralleli che hanno condotto a provvedimenti dell’Unione Europea e nazionali non sovrapponibili. A tal proposito, è significativo notare come tra le premesse del predetto regolamento 2580/2001 sul terrorismo internazionale, figura la seguente affermazione: ”La comunità europea ha già attuato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1267/1999 e 1333/2000, adottando il regolamento (CE) n.467/2001, congelando le attività di determinate persone e gruppi e pertanto tali persone e gruppi non sono contemplate dal presente regolamento”. In definitiva, quindi, i membri dell’organizzazione Al-Qaida non sono oggetto del sistema di misure previsto per il terrorismo internazionale in generale, ma rimangono incardinati in quello nato dalla situazione afghana. Per questo, è opportuno proseguire anche nell’esame, seppur rapido, dei provvedimenti specificamente legati alle risoluzioni di cui ai prospetti 16 ed 17. L’insieme degli orientamenti e delle misure adottate dall’Unione Europea (prospetti 19 e 20648) non si discosta in modo significativo da quanto illustrato con riferimento al terrorismo internazionale. Prima dell’entrata in vigore del Reg. n. 881/2002, sussisteva una rilevante differenza rispetto al meccanismo di congelamento del reg. 2580/2001 (relativo al terrorismo internazionale), in quanto oggetto del provvedimento erano solo i capitali e le altre risorse finanziarie riferibili ai Talibani o ad Usama bin Laden ed alle persone ed entità associate. Adesso, il reg. 881/2002 (sulla scia della risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1390 del 16 gennaio 2002) fa esplicito riferimento anche alle risorse economiche.

647 La prima risoluzione successiva agli attacchi dell’11 settembre. 648 Dal raffronto tra posizioni comuni e regolamenti prima e dopo il 27 maggio 2002 (giorno dell’approvazione della posizione 2002/402/PESC e del regolamento 881/2002, attualmente in vigore), emerge che i cambiamenti sono essenzialmente legati alla sconfitta del regime dei Talibani, a seguito dell’intervento armato internazionale. Infatti, prima del 27 maggio 2002, orientamenti e misure avevano come riferimento il territorio controllato dai Talibani e comprendevano previsioni che presuppongono il preesistente controllo del territorio e del governo (ad esempio, il divieto di decollo o atterraggio di aeromobili, la chiusura di uffici delle linee aeree). Dopo tale data, il riferimento è alle persone (Usama bin Laden, membri di Al-Qaida, Talibani) e rimangono gli orientamenti e le misure di divieto di fornitura, divieto di consulenza, congelamento, divieto di messa a disposizione, divieto di ingresso e transito.

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Prima di procedere ancora nell’analisi dell’assetto normativo rivolto al contrasto al terrorismo internazionale, può essere interessante fornire, anche per il sistema di misure riferite ai Talibani ed Al-Quaida, una lettura trasversale che arrivi fino ai provvedimenti adottati a livello nazionale. A tal proposito, è stato elaborato il prospetto 21. Anche in quest’ambito, emergono dei ruoli attribuiti alle cosiddette Autorità competenti degli Stati membri649.

649 Per l’Italia, il Comitato di Sicurezza finanziaria, istituito nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

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8.4 IL CONCETTO DI CONGELAMENTO EX REG. 881 Da notare, peraltro, che il reg. 881/2002 formula una distinta definizione di “congelamento di risorsa economica”, che non viene, invece, fornita dal reg. 2580/2001. In tale ottica, quindi, può essere utile per una migliore interpretazione del concreto significato da attribuire al concetto di congelamento, anche nell’ambito del filone normativo riguardante il terrorismo internazionale in generale (2580/2001). Con tale provvedimento, in sostanza, viene interdetta l’utilizzazione della risorsa economica, al fine di impedire l’ottenimento di fondi, beni o servizi. In altre parole, sembra potersi affermare che il blocco dell’utilizzazione – cioè il congelamento - può essere attuato se e nella misura in cui sia finalizzato a questo obiettivo. Altra differenza sostanziale, tuttora sussistente, risiede nella formazione della lista, allegata al regolamento n. 881/2002, di persone, entità e organismi destinatari delle misure di contrasto. Come per il sistema di contrasto al terrorismo internazionale, assume rilevanza centrale tale lista di nominativi. Non vengono, però, precisati i principi da seguire per l’integrazione e modificazione dell’elenco, che sono, in ogni caso, affidate alla Commissione europea e non al Consiglio dell’Unione Europea. Inoltre, viene esplicitamente previsto che la Commissione agisce sulla base delle decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o del Comitato per le sanzioni contro i Talibani. Sembrerebbe, così, emergere un ruolo sostanzialmente “passivo” della Commissione europea, che, peraltro, è un organismo “tecnico” e non di alto livello politico come il Consiglio dell’Unione Europea. Il Comitato per le sanzioni contro i Talibani, che costituisce, quindi, centrale punto di riferimento per il sistema di misure relativo ai Talibani ed Al-Qaida, è un organo del Consiglio di sicurezza appositamente costituito per la concreta implementazione delle risoluzioni 1267/1999, 1333/2000 e, da ultimo, 1390/2002. Tale Comitato è incaricato, appunto, di mantenere una lista aggiornata, basata su informazioni fornite da Stati ed organizzazioni regionali, degli individui ed entità indicati come associati ad Usama bin Laden, inclusi quelli dell’organizzazione Al.Qaida; è seguendo tale canale che gli Stati possono entrare nel meccanismo di formazione della lista650.

650 L’ultimo rapporto del già citato monitoring group delle Nazioni Unite evidenzia la necessità che gli Stati sottomettano al Comitato, al fine del possibile aggiornamento della lista, i nomi ed i dati identificativi di membri ed associati di Al-Qaida e dei Talibani. In particolare, i nomi di persone ed entità le cui attività sono state congelate dai singoli Stati sulla base dell’appartenenza o dell’associazione ad Al-Qaida e Talibani e che ancora non appaiono sulla lista 881, devono essere sottoposti al Comitato stesso. Second report of the monitoring group, 9/2002

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8.5 DEFINIZIONI ESSENZIALI IN AMBITO UE (DECISIONE QUADRO

13/6/2002/475/GAI) Prima di passare ad una breve illustrazione dei soggetti oggi attivi nel panorama internazionale della lotta al terrorismo, deve essere menzionata la recente approvazione, da parte Consiglio dell’Unione Europea, di una specifica decisione quadro – la 2002/475/GAI del 13 giugno – che definisce, tra l’altro, ciò che gli ordinamenti giuridici nazionali dovrebbero considerare651:

reato terroristico: certi atti intenzionali (specificati dalla decisione652) definiti reati in base al diritto nazionale che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un'organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di:

o intimidire gravemente la popolazione; o costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione

internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto; o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali,

costituzionali, economiche o sociali di un paese o un'organizzazione internazionale.

organizzazione terroristica: l'associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere dei reati terroristici. Il termine "associazione strutturata" designa un'associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata; reato riconducibile ad un’organizzazione terroristica: la direzione di

un’organizzazione terroristica, la partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica, anche fornendole informazioni o mezzi materiali, ovvero tramite qualsiasi forma di finanziamento delle sue attività, nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose dell’organizzazione terroristica; reato connesso alle attività terroristiche: furto aggravato, estorsione e formazione

di documenti amministrativi falsi, collegati a reati di terrorismo. Viene altresì richiesta ad ogni Stato l’adozione delle misure necessarie a stabilire la propria giurisdizione per i reati in questione e vengono delineate le modalità di coordinamento da seguire nel caso in cui il reato rientri nella giurisdizione di più Stati membri. E’ previsto l’adeguamento a questa decisione quadro entro il 31 dicembre 2002.

651 Sono riportati solo sintetici cenni; per le complete e precise definizioni, si rimanda alla lettura della decisione quadro. 652 Tra cui, ad esempio, attentati alla vita, sequestro di persona e cattura di ostaggi, distruzioni di vasta portata di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, sequestro di aeromobili o navi o di altri mezzi di trasporto collettivo, fabbricazione, detenzione, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi da fuoco, esplosivi, armi atomiche, biologiche e chimiche.

Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riferite al terrorismo internazionale

1189 del 13 agosto 1998, 1269 del 19 ottobre 1999, 1368 del 12 settembre 2001, 1373 del 28 settembre 2001, 1377 del 12 novembre 2001

Principali premesse citate Gli atti di terrorismo internazionale del 7 agosto 1998 in Kenya e Tanzania. Gli attacchi terroristici del 11 settembre 2001 in New York, Washington e Pennsylvania. La preoccupazione per l’incremento degli atti di terrorismo internazionale motivati da intolleranza ed estremismo, che costruiscono una seria minaccia per tutti gli Stati e l’umanità intera. La convinzione che la soppressione degli atti di terrorismo internazionale è essenziale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. La determinazione della comunità internazionale ad eliminare il terrorismo internazionale e tutte le sue forme di manifestazione. La stretta connessione tra terrorismo internazionale e criminalità transnazionale, sostanze stupefacenti, riciclaggio, traffico illegale di armi, movimenti illegali di materiali nucleari, chimici, biologici, che richiede un miglioramento del coordinamento degli sforzi per rafforzare una risposta globale a questa grave sfida e minaccia alla sicurezza internazionale. Il dovere di ogni Stato membro di astenersi dall’organizzare, istigare, assistere, partecipare ad atti terroristici in altri Stati. Il dovere di ogni Stato membro di non acconsentire allo svolgimento di attività organizzate, nell’ambito del suo territorio, volte alla commissione di atti terroristici. L’evidenziazione che il finanziamento, la pianificazione e la preparazione e qualsiasi altra forma di supporto agli atti di terrorismo internazionale sono contrari ai propositi ed ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’esigenza di rafforzare la cooperazione tra Stati, al fine di adottare efficaci misure per prevenire, combattere ed eliminare tutte le forme di terrorismo che colpiscono l’intera comunità internazionale. In particolare, viene richiamata la necessità, per gli Stati, di adottare misure addizionali volte a prevenire e reprimere, nel proprio territorio, il finanziamento e la preparazione di atti terroristici. Il supporto agli sforzi per promuovere una partecipazione universale alle esistenti Convenzioni internazionali contro il terrorismo. Il diritto all’autodifesa individuale e collettiva riconosciute dalla Carta delle Nazioni Unite.

Prospetto 10

Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riferite al terrorismo internazionale

1189 del 13 agosto 1998, 1269 del 19 ottobre 1999, 1368 del 12 settembre 2001, 1373 del 28 settembre 2001, 1377 del 12 novembre 2001

Principali richieste succedutesi nel tempo Cooperazione, da parte di tutti gli Stati ed istituzioni internazionali, con riferimento alle investigazioni in Kenya, Tanzania e negli Stati Uniti (1189/1998). Adozione di misure efficaci per la cooperazione in materia di sicurezza, al fine di prevenire atti terroristici e di perseguire e punire gli autori di tali atti (1189/1998, 1368/2001). Piena implementazione delle convenzioni sul terrorismo internazionale di cui gli Stati sono parte ed adesione a quelle di cui ancora non sono parte (1269/1999, 1368/2001). Iniziative al fine di (1269/1999, 1368/2001): - cooperare tra loro, sul piano bilaterale e multilaterale, per prevenire e sopprimere gli atti

terroristici, proteggere i propri connazionali e le altre persone, portare davanti alla giustizia gli autori di tali atti;

- prevenire e sopprimere, nei propri territori, la preparazione ed il finanziamento di atti terroristici;

- negare rifugio ai chi pianifica, finanzia e commette atti terroristici; - adottare appropriate misure, al fine di assicurare che chi avanza domanda di asilo non abbia

partecipato ad atti terroristici; - scambiare informazioni e cooperare su questioni amministrative e giudiziarie, al fine di

prevenire la commissione di atti terroristici. - Cooperare, al fine di portare davanti alla giustizia gli autori, organizzatori, sponsor degli attacchi

terroristici dell’11 settembre (1368/2001). RISOLUZIONE 1373/2001 a.1373. prevenire e sopprimere il finanziamento di atti terroristici; b.1373. criminalizzare la provvista e la raccolta intenzionali, dirette o indirette, di fondi da parte

di propri cittadini o nei propri territori, con la finalità che i fondi siano usati, o sapendo che essi saranno usati, per atti terroristici;

c.1373. congelare, senza ritardo, fondi e altre attività finanziarie o risorse economiche di persone che commettono, o tentano di commettere, atti terroristici o partecipano o ne agevolano la commissione; di entità di proprietà o controllate, direttamente o indirettamente, da tali persone; di persone o entità che operano per conto di, o sotto la direzione di, tali persone ed entità. Sono inclusi i fondi derivati o generati da proprietà possedute o controllate, direttamente o indirettamente, da tali persone e da entità e persone associate;

d.1373. proibire ai propri cittadini ed a qualsiasi persona o entità nei propri territori di rendere disponibili, direttamente o indirettamente, fondi, attività finanziarie o risorse economiche, servizi finanziari o altri servizi connessi a beneficio di persone che commettono, o tentano di commettere, o agevolano o partecipano alla commissione di atti terroristici; di entità di proprietà o controllate, direttamente o indirettamente, da tali persone; di persone o entità che operano per conto di, o sotto la direzione di, tali persone;

e.1373. astenersi dal fornire ogni forma di supporto, attivo o passivo, ad entità o persone coinvolte in atti terroristici. E’ inclusa la soppressione del reclutamento di membri di gruppi

Prospetto 11

terroristici e la fornitura di armi ai terroristi medesimi; f.1373. intraprendere le necessarie iniziative per prevenire la commissione di atti terroristici,

compresa la comunicazione ad altri Stati di early warning, tramite scambio di informazioni;g.1373. negare rifugio a chi finanzia, pianifica, agevola o commette atti terroristici, o, a sua volta

fornisce rifugio ai medesimi; h.1373. negare a chi finanzia, pianifica, agevola o commette atti terroristici di usare il proprio

territorio per svolgere tali attività contro altri Stati ed i loro cittadini; i.1373. Assicurare che chi partecipa al finanziamento, pianificazione, preparazione, perpetrazione di

atti terroristici o al supporto degli stessi sia portato davanti alla giustizia. Assicurare che gli atti terroristici siano considerati dalla legislazione e regolamentazione nazionale come reati gravi adeguatamente puniti;

l.1373. prestarsi reciprocamente la massima assistenza nelle investigazione criminali e nei relativi procedimenti sul finanziamento o supporto di atti terroristici, inclusa assistenza nell’ottenere prove necessarie ai suddetti procedimenti;

m.1373. impedire il movimento dei terroristi o gruppi terroristici attraverso efficaci controlli alle frontiere e sull’emissione di documenti d’identità e di viaggio e attraverso misure per prevenire contraffazione, alterazione, uso fraudolento di documenti d’identità e di viaggio;

n.1373. trovare modalità per intensificare ed accelerare lo scambio di informazioni operative, soprattutto per quanto concerne le azioni ed i movimenti di terroristi o reti terroristiche, documenti di viaggio falsi o falsificati, traffico di armi, esplosivi e materiali sensibili, uso di tecnologie della comunicazione da parte di gruppi terroristici e la minaccia rappresentata dal possesso di armi di distruzione di massa da parte di gruppi terroristici;

o.1373. scambiare informazioni, in conformità al diritto nazionale ed internazionale, e cooperare in campo amministrativo e giudiziario per prevenire la commissione di atti terroristici;

p.1373. cooperare, al livello bilaterale e multilaterale, per prevenire e reprimere attacchi terroristici ed agire contro gli autori di tali atti;

q.1373. aderire alle convenzioni e protocolli relativi al terrorismo, inclusa la Convenzione sulla soppressione del finanziamento al terrorismo del 9.12.1999, ed implementarle pienamente (per l’Italia è arrivato alla fase conclusiva il procedimento di ratifica di questa Convenzione, che peraltro richiede limitati interventi di adattamento nel nostro sistema normativo, in particolare attinenti alla responsabilità delle persone giuridiche);

r.1373. adottare appropriate misure, al fine di assicurare che lo status di rifugiato non sia concesso a chi abbia pianificato, agevolato o partecipato alla commissione di atti terroristici e che tale status non sia sfruttato da chi ha perpetrato, agevolato o finanziato atti terroristici.

Creato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il Counter-terrorism Committee del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (ris. 1373/2001), avente i seguenti compiti: - monitorare l’implementazione della risoluzione 1373/2001; - individuare modalità di assistenza agli Stati per tale implementazione, quali la promozione di best

practice, inclusa la preparazione di modelli legislativi.

Posizioni comuni del Consiglio dell’Unione Europea riferite al terrorismo internazionale

2001/930/PESC del 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC del 27 dicembre 2001, 2002/340/PESC del 2 maggio 2002 (abrogata), 2002/462/PESC del 17 giugno 2002

Principali orientamenti succedutesi nel tempo Perseguibilità della messa a disposizione o della raccolta intenzionali, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, di capitali da parte di cittadini o nel territorio di ciascuno degli Stati membri dell’Unione Europea con il proposito, o la consapevolezza, di un loro utilizzo per compiere atti terroristici. Congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche delle: - persone che compiono, o tentano di compiere, atti terroristici o vi prendono parte o li agevolano; - entità possedute o controllate direttamente o indirettamente da tali persone; - persone ed entità che agiscono a nome o sotto la guida di tali persone ed entità, Sono inclusi i capitali provenienti o generati da beni posseduti o controllati direttamente o indirettamente da tali persone o da persone ed entità ad esse associate. I capitali, le risorse finanziarie o economiche, i servizi finanziari o altri servizi connessi non sono messi a disposizione, direttamente o indirettamente, delle predette persone ed entità. Adozione di idonee misure volte a reprimere qualsiasi forma di sostegno, attivo o passivo, ad entità o persone coinvolte in atti terroristici, incluse misure destinate alla repressione del reclutamento di membri di gruppi terroristici e alla soppressione della fornitura di armi ai terroristi. Adozione di misure volte a prevenire la perpetrazione di atti terroristici, anche attraverso il ricorso all’allarme tempestivo (early warnings) tra Stati membri o Stati membri e Paesi terzi mediante scambi di informazioni. Diniego di protezione alle persone che finanziano, progettano, sostengono o commettono atti terroristici, o assicurano rifugio al terrorismo. Impedimento all’utilizzo dei territori degli Stati membri dell’Unione Europea, alle persone che finanziano, progettano agevolano, o commettono atti terroristici contro gli stessi Stati o i Paesi terzi o i loro cittadini. Obbligo di assicurare alla giustizia le persone che partecipano al finanziamento, progettazione, preparazione e la perpetrazione di atti terroristici o al sostegno di atti terroristici. Classificazione di “atto terroristico” quale reato grave dalle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri; le relative pene dovranno, pertanto rispecchiare adeguatamente tale livello di gravità Gli Stati membri si prestano reciprocamente, o prestano ai Paesi terzi, la massima assistenza in relazione alle indagini giudiziarie o alle azioni penali concernenti il finanziamento o il sostegno di atti terroristici in conformità al diritto internazionale e interno. Impedimento dei movimenti di terroristi o gruppi terroristici, attraverso: - efficaci controlli alle frontiere nonché sul rilascio dei documenti di identità e di viaggio; - misure volte a prevenire la contraffazione, la falsificazione e l’uso fraudolento di documenti di

identità e di viaggio. Adozione di misure volte all’intensificazione ed all’accelerazione dello scambio di informazioni operative. Scambio di informazioni, tra Stati membri e tra questi ultimi ed i Paesi terzi, in conformità del diritto internazionale e interno e potenziamento della cooperazione amministrativa e giudiziaria al fine di prevenire la perpetrazione di atti terroristici. Potenziamento della cooperazione tra Stati membri e tra questi ultimi e Paesi terzi, in particolare

Prospetto 12

attraverso accordi e intese bilaterali e multilaterali, per prevenire e reprimere attentati terroristici e procedere contro le persone che li compiono. Adesione da parte degli Stati membri alle pertinenti convenzioni e protocolli internazionali concernenti il terrorismo e loro piena attuazione. Adozione di misure appropriate conformemente alle pertinenti disposizioni legislative nazionali e internazionali, ivi incluse le norme internazionali sui diritti dell’uomo, al fine di garantire che lo status di rifugiato non sia concesso a chi abbia progettato o agevolato la perpetrazione di atti terroristici o vi abbia partecipato. Adozione di misure in conformità del diritto internazionale finalizzate a garantire che le persone che compiono, organizzano o agevolano atti terroristici non approfittino dello status di “rifugiato” e che l’invocazione di motivi politici non sia riconosciuta come ragione per respingere richieste di estradizione di presunti terroristi. La posizione comune 2001/931/PESC introduce una lista delle persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici, nonché: - il significato, in generale di “persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici”, di “atto

terroristico”, di “gruppo terroristico”; - i criteri di definizione ed aggiornamento della predetta lista:

• essere basata su informazioni precise o elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, gruppi ed entità interessati, si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti. Nella lista possono essere inclusi persone, gruppi ed entità individuati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come collegati al terrorismo e contro i quali esso ha emesso delle sanzioni;

• inserimento di dettagli sufficienti a consentire l’effettiva identificazione di esseri umani, persone giuridiche, entità o organismi;

• revisione almeno semestrale, Con riferimento alle persone, gruppi o entità della lista (ultimo aggiornamento della lista contenuto nella posizione comune 2002/462/PESC): - ordina il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche; - garantisce che i capitali, le risorse finanziarie o economiche o i servizi finanziari o altri servizi

connessi non siano messi a disposizione, direttamente o indirettamente; - richiama ad avvalersi appieno degli esistenti strumenti di cooperazione di polizia e giudiziaria.

Regolamento del Consiglio dell’Unione Europea riferito al terrorismo internazionale

Regolamento (CE) n. 2580/2001 del 27 dicembre 2001 (vgs. anche decisione del Consiglio 2001/927/CE del 27 dicembre 2001, contenente il primo elenco di persone, aggiornato, poi, dalla decisione 2002/334/CE del 2 maggio 2002 e, da ultimo, dalla decisione 2002/460/CE del 17 giugno 2002 )

Principali contenuti Definizione di “capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche” (attività di qualsiasi natura, materiali o immateriali, mobili o immobili …). Definizione di “congelamento” . Definizione di “servizio finanziario” (è inserito anche un elenco esemplificativo). Definizione di “atto terroristico” (riferimento diretto alla posizione comune 2001/931/PESC). Definizione di possesso e di controllo di una persona giuridica, gruppo o entità. Congelamento di tutti i capitali, le altre attività finanziarie e le risorse economiche di cui una persona fisica o giuridica, gruppo o entità ricompresi in specifica lista detenga la proprietà o il possesso. Divieto di mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione delle persone fisiche o giuridiche, gruppo o entità in specifica lista, capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche. Divieto di prestare servizi finanziari alle persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità in specifica lista. Divieto di partecipazione, consapevole e intenzionale, ad attività che abbiano per oggetto o per effetto, direttamente o indirettamente, l’elusione delle tre misure sopra indicate (congelamento, divieto di messa a disposizione, divieto di prestazione). Obbligo per le banche, le altre istituzioni finanziarie, le società di assicurazioni, gli altri organismi e le altre persone, di fornire immediatamente tutte le informazioni atte ad agevolare l’osservanza delle misure previste dal regolamento (quali i conti e gli importi congelati) e di collaborare con le autorità competenti per verificare le informazioni fornite. Le autorità competenti sono in allegato al regolamento (per l’Italia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze). L’allegato può essere modificato dalla Commissione, in base alle informazioni fornite dagli Stati membri. Gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione si informano reciprocamente delle misure adottate ai sensi del regolamento e si comunicano le informazioni in loro possesso al medesimo connesse (in particolare, informazioni relative ad elusioni ed informazioni ricevute in base al previsto obbligo in capo a banche … - entrambe confluiscono alle autorità competenti indicate dall’allegato - , informazioni riguardanti le violazioni ed i problemi di applicazione o le sentenze pronunciate dai tribunali nazionali). La LISTA delle persone, gruppi, entità ai quali si applica il regolamento: a. è elaborata, riesaminata, modificata dal Consiglio dell’Unione Europea, con deliberazione

unanime; b. è basata su informazioni o elementi relativi a decisioni di un’autorità giudiziaria o equivalente

(viene fatto diretto rinvio alla posizione comune 2001/931/PESC); c. contiene dettagli sufficienti a consentire l’effettiva identificazione (viene fatto diretto rinvio alla

posizione comune 2001/931/PESC); d. è riesaminata almeno semestralmente (diretto rinvio alla posizione comune 2001/931/PESC); e. include persone fisiche, persone giuridiche, gruppi o entità che commettono o tentano di

commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano; f. include persone giuridiche, gruppi o entità di proprietà o sotto il controllo di una o più persone

fisiche o giuridiche, dei gruppi e delle entità di cui al punto e.; g. include persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità che agiscano per conto o su incarico di una

o più persone fisiche o giuridiche, dei gruppi e delle entità di cui al punto e.

Prospetto 13

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(A

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3 po

s.com

. 200

1/93

0/PE

SC)

Dev

e es

sere

ga

rant

ito

che

i se

rviz

i fin

anzi

ari o

altr

i ser

vizi

con

ness

i non

sian

o m

essi

a

disp

osiz

ione

, di

retta

men

te

o in

dire

ttam

ente

, de

lle

pers

one,

gr

uppi

ed

en

tità

elen

cate

in

appo

sito

alle

gato

(A

rt.3

pos.c

om. 2

001/

931/

PESC

). C

onge

lam

ento

dei

cap

itali

e de

lle a

ltre

riso

rse

finan

ziar

ie o

eco

nom

iche

del

le:

- pe

rson

e ch

e co

mpi

ono,

o

tent

ano

di

com

pier

e, a

tti t

erro

ristic

i o

vi p

rend

ono

parte

o li

age

vola

no;

- en

tità

poss

edut

e o

cont

rolla

te d

iretta

men

te

o in

dire

ttam

ente

da

tali

pers

one;

-

pers

one

ed e

ntità

che

agi

scon

o a

nom

e o

sotto

la g

uida

di t

ali p

erso

ne e

d en

tità,

in

clus

i i

capi

tali

prov

enie

nti

o ge

nera

ti da

be

ni p

osse

duti

o co

ntro

llati

dire

ttam

ente

o

indi

retta

men

te d

a ta

li pe

rson

e o

da p

erso

ne

ed e

ntità

ad

esse

ass

ocia

te. (

Art.

2, p

os.c

om.

2001

/930

/PES

C)

E’ o

rdin

ato

il co

ngel

amen

to d

ei c

apita

li e

delle

altr

e ris

orse

fin

anzi

arie

o e

cono

mic

he

delle

per

sone

, gr

uppi

ed

entit

à in

dica

ti in

ap

posi

to

alle

gato

. (A

rt.

2 po

s.com

. 20

01/9

31/P

ESC

).

Div

ieto

di

pres

tazi

one

di s

ervi

zi

finan

ziar

i de

stin

ati

alle

pe

rson

e fis

iche

o g

iurid

iche

, gr

uppi

o e

ntità

in

dica

te

in

appo

sito

al

lega

to

(*).

(Art.

2,

pa

ragr

afo

2,

Reg

. 25

80/2

001.

) D

ivie

to

di

part

ecip

azio

ne,

cons

apev

ole

e in

tenz

iona

le,

ad

attiv

ità c

he a

bbia

no p

er o

gget

to o

per

ef

fetto

, di

retta

men

te

o in

dire

ttam

ente

, qu

ello

di

elud

ere

il pr

edet

to

divi

eto

di

pres

tazi

one

di

serv

izi

finan

ziar

i (A

rt. 3

, pa

ragr

afo

1, R

eg. 2

580/

2001

). C

onge

lam

ento

di t

utti

i cap

itali,

le

altr

e at

tività

fin

anzi

arie

e

le

riso

rse

econ

omic

he

di

cui

una

pers

ona

fisic

a o

giur

idic

a, g

rupp

o o

entit

à in

dica

te i

n ap

posi

to a

llega

to

(*),

dete

nga

la

prop

rietà

o

il po

sses

so.

(Art.

2,

pa

ragr

afo

1,

Reg

. 25

80/2

001)

D

ivie

to

di

part

ecip

azio

ne,

cons

apev

ole

e in

tenz

iona

le,

ad

attiv

ità c

he a

bbia

no p

er o

gget

to o

per

ef

fetto

, di

retta

men

te

o in

dire

ttam

ente

, qu

ello

di

elud

ere

il pr

edet

to

cong

elam

ento

. (A

rt.

3,

para

graf

o 1,

Reg

. 258

0/20

01).

Nul

lità

degl

i at

ti co

mpi

uti

in

viol

azio

ne

delle

di

spos

izio

ni

reca

nti

… i

l co

ngel

amen

to d

i ca

pita

li e

di

altr

e ri

sors

e fin

anzi

arie

(art.

2, L

.431

/200

1).

La v

iola

zion

e de

lle d

ispo

sizi

oni

di c

ui s

opra

è p

unita

con

una

sa

nzio

ne

amm

inis

trat

iva

pecu

niar

ia

non

infe

riore

al

la

met

à de

l va

lore

del

l’ope

razi

one

stes

sa e

non

sup

erio

re a

l dop

pio

del

valo

re m

edes

imo.

(ar

t. 2,

L.

431/

2001

).

Qua

lsia

si

info

rmaz

ione

re

lativ

a al

l’elu

sion

e, g

ià a

vven

uta

o an

cora

in

cor

so, d

elle

dis

posi

zion

i del

Reg

. 25

80/2

001,

vie

ne c

omun

icat

a al

le

auto

rità

co

mpe

tent

i de

gli

Stat

i m

embr

i, el

enca

te

in

appo

sito

al

lega

to (*

*) e

d al

la C

omm

issi

one.

Fa

tte s

alve

le

rego

le a

pplic

abili

in

mat

eria

di

re

ndic

onta

zion

e,

riser

vate

zza

e se

gret

o pr

ofes

sion

ale,

e

in a

pplic

azio

ne d

ell’a

rt. 2

48 d

el

tratta

to,

le

banc

he,

le

altr

e is

tituz

ioni

fin

anzi

arie

, le

soci

età

di

assi

cura

zion

i, gl

i altr

i org

anis

mi e

le

altr

e pe

rson

e:

- fo

rnis

cono

im

med

iata

men

te

tutte

le

info

rmaz

ioni

att

e ad

age

vola

re

l’oss

erva

nza

del

Reg

olam

ento

25

80/2

001,

qua

li, a

d es

empi

o, i

co

nti

e gl

i im

porti

con

gela

ti in

co

nfor

mità

del

l’art.

2:

(1) a

lle

auto

rità

co

mpe

tent

i de

llo S

tato

mem

bro

in c

ui

risie

dono

o

sono

si

tuat

i, el

enca

te

nell’

appo

sito

al

lega

to (*

*);

(2) a

lla

Com

mis

sion

e,

per

il tra

mite

de

lle

auto

rità

com

pete

nti,

- co

llabo

rano

co

n le

au

tori

com

pete

nti

elen

cate

ne

ll’ap

posi

to a

llega

to (

**)

per

verif

icar

e le

in

form

azio

ni

forn

ite.

I so

gget

ti in

dica

ti ne

i re

gola

men

ti ad

otta

ti da

l C

onsi

glio

del

l’Uni

one

Euro

pea

sono

obb

ligat

i a c

omun

icar

e al

M

inis

tero

de

ll’E

cono

mia

e

delle

Fi

nanz

e,

Dip

artim

ento

de

l Tes

oro,

l’en

tità

dei c

apita

li e

delle

altr

e ri

sors

e fin

anzi

arie

og

gett

o di

con

gela

men

to, e

ntro

tre

nta

gior

ni d

alla

dat

a di

ent

rata

in

vi

gore

de

i re

gola

men

ti ov

vero

, se

succ

essi

va, d

alla

dat

a di

fo

rmaz

ione

de

i ca

pita

li o

delle

ris

orse

fin

anzi

arie

. L

’om

issi

one

o il

rita

rdo

della

co

mun

icaz

ione

, al d

i fuo

ri de

lle

ipot

esi

di c

onco

rso

nelle

altr

e vi

olaz

ioni

pre

vist

e da

l pr

esen

te

decr

eto,

son

o pu

niti

con

una

sanz

ione

am

min

istr

ativ

a pe

cuni

aria

non

inf

erio

re a

un

terz

o e

non

supe

riore

alla

met

à de

ll’im

porto

del

la s

anzi

one

di

cui

al

com

ma

2.

(Art.

2 L.

431/

.200

1)

In

otte

mpe

ranz

a ag

li ob

blig

hi

inte

rnaz

iona

li as

sunt

i da

ll’Ita

lia

nella

stra

tegi

a di

con

trast

o al

le

attiv

ità c

onne

sse

al t

erro

rism

o in

tern

azio

nale

e

al

fine

di

raff

orza

re l

’atti

vità

di

cont

rast

o ne

lle m

ater

ie d

i cu

i al

pre

sent

e de

cret

o,

è is

titui

to

per

il pe

riod

o di

un

anno

a d

ecor

rere

da

lla d

ata

di e

ntra

ta i

n vi

gore

de

l pr

esen

te

decr

eto

e se

nza

Ast

ener

si d

al f

orni

re o

gni

form

a di

su

ppor

to,

attiv

o o

pass

ivo,

ad

entit

à o

pers

one

coin

volte

in

atti

terr

oris

tici.

E’

incl

usa

la s

oppr

essi

one

del r

eclu

tam

ento

di

m

embr

i di

gr

uppi

te

rror

istic

i e

la

forn

itura

di

arm

i ai

ter

roris

ti m

edes

imi

(Ris

. 137

3/20

01)

Ado

zion

e di

idon

ee

mis

ure

volte

a

repr

imer

e qu

alsi

asi

form

a di

so

steg

no,

attiv

o o

pass

ivo,

ad

en

tità

o pe

rson

e co

invo

lte i

n at

ti te

rror

istic

i, in

clus

e m

isur

e de

stin

ate

alla

rep

ress

ione

del

rec

luta

men

to

di

mem

bri

di

grup

pi

terr

oris

tici

e al

la

sopp

ress

ione

de

lla

forn

itura

di

ar

mi

ai

terr

oris

ti (A

rt. 4

, pos

.com

. 200

1/93

0/PE

SC)

Tutte

le

in

form

azio

ni

forn

ite

o ric

evut

e ai

sen

si d

el p

rese

nte

artic

olo

sono

usa

te u

nica

men

te a

i fin

i pe

r i

qual

i son

o st

ate

forn

ite o

rice

vute

. Tu

tte

le

info

rmaz

ioni

ric

evut

e di

retta

men

te

dalla

C

omm

issi

one

sono

m

esse

a

disp

osiz

ione

de

lle

auto

rità

com

pete

nti

dello

St

ato

mem

bro

inte

ress

ato

e de

l Con

sigl

io.

(Art.

4, R

eg. 2

580/

2001

) G

li St

ati m

embr

i, il

Con

sigl

io e

la

Com

mis

sion

e si

in

form

ano

reci

proc

amen

te

delle

m

isur

e ad

otta

te

ai

sens

i de

l pr

esen

te

Reg

olam

ento

e

si

com

unic

ano

le

info

rmaz

ioni

in

lo

ro

poss

esso

co

nnes

se a

l pr

esen

te R

egol

amen

to,

in p

artic

olar

e qu

elle

rice

vute

ai s

ensi

de

gli

artt.

3

(elu

sion

e de

l co

ngel

amen

to, d

el d

ivie

to d

i mes

sa a

di

spos

izio

ne,

del

divi

eto

di

pres

tazi

one

di s

ervi

zi f

inan

ziar

i) e

4 (o

bblig

hi

di

info

rmaz

ione

fa

cent

i ca

po

a ba

nche

, al

tre

istit

uzio

ni

finan

ziar

ie

ecc.

) (A

rt.

8,

Reg

. 25

80/2

001)

oner

i ag

giun

tivi

a ca

rico

del

bila

ncio

del

lo S

tato

, pr

esso

il

Min

iste

ro

dell’

Eco

nom

ia

e de

lle F

inan

ze,

il C

omita

to d

i Si

cure

zza

Fina

nzia

ria

(CSF

) (*

**).

(Art.

1, L

. 431

/200

1)

L.

15

dice

mbr

e 20

01, n

. 438

Neg

are

rifu

gio

a ch

i fin

anzi

a, p

iani

fica,

ag

evol

a o

com

met

te a

tti t

erro

ristic

i o,

a

sua

volta

, fo

rnis

ce r

ifugi

o ai

med

esim

i. (R

is. 1

373/

2001

). N

egar

e a

chi f

inan

zia,

pia

nific

a, a

gevo

la

o co

mm

ette

atti

ter

roris

tici

di u

sare

il

prop

rio

terr

itori

o pe

r sv

olge

re

tali

attiv

ità

cont

ro

altri

St

ati

ed

i lo

ro

citta

dini

. (R

is. 1

373/

2001

). A

ssic

urar

e ch

e ch

i pa

rteci

pa

al

finan

ziam

ento

, pi

anifi

cazi

one,

pr

epar

azio

ne,

perp

etra

zion

e di

at

ti te

rror

istic

i o

al s

uppo

rto d

egli

stes

si s

ia

port

ato

dava

nti

alla

gi

ustiz

ia.

(Ris

. 13

73/2

001)

. A

ssic

urar

e ch

e gl

i att

i ter

rori

stic

i sia

no

cons

ider

ati

dalla

le

gisl

azio

ne

e re

gola

men

tazi

one

nazi

onal

e co

me

reat

i gr

avi

adeg

uata

men

te

puni

ti.

(Ris

. 13

73/2

001)

. In

trapr

ende

re l

e ne

cess

arie

ini

ziat

ive

per

prev

enir

e la

co

mm

issi

one

di

atti

terr

oris

tici,

com

pres

a la

com

unic

azio

ne

ad a

ltri

Stat

i di

ear

ly w

arni

ng,

tram

ite

scam

bio

di

info

rmaz

ioni

. (R

si.

1373

/200

1).

Din

iego

di

pr

otez

ione

al

le

pers

one

che

finan

zian

o,

prog

etta

no,

sost

engo

no

o co

mm

etto

no

atti

terr

oris

tici,

o as

sicu

rano

rif

ugio

al

te

rror

ism

o.

(Art.

6,

po

s.com

. 20

01/9

30/P

ESC

) Im

pedi

men

to a

ll’ut

ilizz

o de

i ter

rito

ri d

egli

Stat

i m

embr

i de

ll’U

nion

e Eu

rope

a,

alle

pe

rson

e ch

e fin

anzi

ano,

pr

oget

tano

ag

evol

ano,

o

com

met

tono

at

ti te

rror

istic

i co

ntro

gli

stes

si S

tati

o i P

aesi

terz

i o i

loro

ci

ttadi

ni. (

Art.

7, p

os.c

om. 2

001/

930/

PESC

) O

bblig

o di

ass

icur

are

alla

giu

stiz

ia

le

pers

one

che

parte

cipa

no a

l fin

anzi

amen

to,

prog

etta

zion

e,

prep

araz

ione

e

la

perp

etra

zion

e di

atti

terr

oris

tici o

al s

oste

gno

di

atti

terr

oris

tici.

(Art.

8,

po

s.com

. 20

01/9

30/P

ESC

) C

lass

ifica

zion

e di

“at

to t

erro

rist

ico”

qua

le

reat

o gr

ave

dalle

dis

posi

zion

i le

gisl

ativ

e e

rego

lam

enta

ri de

gli S

tati

mem

bri;

le r

elat

ive

pene

do

vran

no,

perta

nto

rispe

cchi

are

adeg

uata

men

te ta

le g

ravi

tà. (

Art.

8, p

os.c

om.

2001

/930

/PES

C)

Ado

zion

e di

mis

ure

volte

a p

reve

nire

la

perp

etra

zion

e di

at

ti te

rror

istic

i, an

che

attra

vers

o il

rico

rso

all’a

llarm

e te

mpe

stiv

o tr

a St

ati

mem

bri

o St

ati

mem

bri

e Pa

esi

terz

i med

iant

e sc

ambi

di i

nfor

maz

ioni

. (A

rt.

5, p

os.c

om. 2

001/

930/

PESC

)

L. 1

5 di

cem

bre

2001

, n. 4

38 L.

15

dice

mbr

e 20

01, n

. 438

L.

15

dice

mbr

e 20

01, n

. 438

L.

15

dice

mbr

e 20

01, n

. 438

Pres

tars

i re

cipr

ocam

ente

la

m

assi

ma

assi

sten

za n

elle

inve

stig

azio

ne c

rim

inal

i e

nei

rela

tivi

proc

edim

enti

sul

finan

ziam

ento

o

supp

orto

di

at

ti te

rror

istic

i, in

clus

a as

sist

enza

ne

ll’ot

tene

re p

rove

nec

essa

rie a

i su

ddet

ti pr

oced

imen

ti. (R

is. 1

373/

2001

) Im

pedi

re i

l m

ovim

ento

dei

ter

rori

sti

o gr

uppi

ter

rori

stic

i a

ttrav

erso

eff

icac

i co

ntro

lli a

lle fr

ontie

re e

sul

l’em

issi

one

di

docu

men

ti d’

iden

tità

e di

vi

aggi

o e

mis

ure

per

prev

enire

co

ntra

ffaz

ione

, al

tera

zion

e,

uso

frau

dole

nto

di

docu

men

ti d’

iden

tità

e di

via

ggio

(R

is.

1373

/200

1)

Tro

vare

mod

alità

per

int

ensi

ficar

e ed

ac

cele

rare

lo

scam

bio

di i

nfor

maz

ioni

op

erat

ive,

so

prat

tutto

pe

r qu

anto

Gli

Stat

i mem

bri s

i pre

stan

o re

cipr

ocam

ente

, o

pres

tano

ai

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Art. 270-bis Codice Penale (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico).

Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione e un organismo internazionale. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego.

Art. 270-ter Codice Penale (Assistenza agli associati).

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli articoli 270 e 270-bis è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se l'assistenza è prestata continuativamente. Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.

Strumenti di contrasto a delitti con finalità di terrorismo INTERCETTAZIONI [1]

STRUMENTO

Intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazioni; Intercettazione di comunicazioni tra presenti.

PRESUPPOSTO

Necessità per lo svolgimento delle indagini ove sussistano sufficienti indizi.

[1] Estensione dell’applicabilità dell’art. 13 del Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.

INTERCETTAZIONE E CONTROLLI PREVENTIVI SULLE COMUNICAZIONI [2]

STRUMENTO

Intercettazione di comunicazioni o conversazioni tra presenti anche se queste ultime avvengono nei luoghi indicati dall’art. 614 del codice penale.

PRESUPPOSTO

Elementi investigativi che giustifichino l’attività di prevenzione e la facciano ritenere necessaria.

STRUMENTO

Tracciamento delle comunicazioni telefoniche e telematiche per l’acquisizione dei dati esterni relativi alle comunicazioni telefoniche e telematiche intercorse nonché di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni.

PRESUPPOSTO

Elementi investigativi che giustifichino l’attività di prevenzione e la facciano ritenere necessaria.

[2] In ogni caso, gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso, le attività di intercettazione preventiva e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate.

PERQUISIZIONI [3]

STRUMENTO

Perquisizioni locali di interi edifici o blocchi di edifici

PRESUPPOSTO

Elementi investigativi che evidenzino il “fondato motivo di ritenere……” che si trovino armi, munizioni o esplosivi ovvero che si sia rifugiato un latitante o un evaso in relazione a taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero ai delitti con finalità di terrorismo.

[3] Estensione dell’applicabilità dell’art. 25-bis della Legge 7 agosto 1992, n. 356

Prospetto 15

ATTIVITÀ SOTTO COPERTURA

STRUMENTO

Non punibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria che, nel corso di specifiche operazioni di polizia, al fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano armi, documenti e stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato, o altrimenti ostacolano l’individuazione della provenienza o ne consentono l’impiego. Per le stesse indagini possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione. Possibilità di avvalersi di ausiliari nonché di temporanea utilizzazione di beni mobili e immobili.

PRESUPPOSTO

Acquisizione di elementi di prova

DISPOSIZIONI A TUTELA DELL’ORDINE PUBBLICO

Art. 18 – Legge 22.5.1975, n. 152 Estensione dell’applicabilità della legge 31.5.1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale. Tale estensione vale anche per istigatori, mandanti e finanziatori. E’ finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati. Il procuratore della repubblica può compiere, sia direttamente sia a mezzo della polizia giudiziaria, tutte le indagini necessarie a tal fine. Il giudice può aggiungere ad una delle misure di prevenzione previste dall’art. 3 L.1423/1956 (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto di soggiorno, obbligo di soggiorno) quella della sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni personali, esclusi quelli destinati all’attività professionale e produttiva, quando ricorrono sufficienti indizi che la libera disponibilità di essi agevoli comunque la condotta, il comportamento o l’attività socialmente pericolosa. Il giudice, ove lo ritenga sufficiente ai fini di tutela della collettività, può anche disporre solo tale sospensione.

Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riferite alla situazione Afghana

1076 del 22 ottobre 1996, 1193 del 28 agosto 1998, 1214 del 8 dicembre 1998, 1267 del 15 ottobre 1999, 1333 del 19 dicembre 2000, 1363 del 30 luglio 2001, 1378 del 14 novembre 2001, 1383 del 6 dicembre 2001, 1390 del 16 gennaio 2002.

Principali premesse citate La seria e crescente minaccia alla pace ed alla sicurezza regionale ed internazionale, le sofferenze umane, le distruzioni, i flussi di rifugiati causati dall’inasprimento del conflitto in Afghanistan, determinato dall’offensiva delle forze Talibane (questo specifico riferimento compare dalla ris. 1193/1998), nonostante i ripetuti appelli del Consiglio di Sicurezza a cessare i combattimenti. La disponibilità del United Front of Afghanistan di instaurare un dialogo politico con i Talibani (definitisi Emirato Islamico dell’Afghanistan) (nella ris. 1214/1998). Le notizia di persecuzioni etniche e religiose, particolarmente contro gli sciiti (dalla ris. 1193/1998). La preoccupazione circa la continua violazione della legge umanitaria internazionale e dei diritti umani. Viene fatto particolare riferimento alla cattura ed uccisioni di diplomatici iraniani (dalla ris. 1193/1998). La critica circa l’evacuazione, causata dalle misure prese dai Talibani, del personale umanitario delle Nazioni Unite (dalla ris. 1193/1998). La reiterazione dell’invito a cessare le interferenze negli affari interni dell’Afghanistan, compreso il coinvolgimento di personale militare straniero e la fornitura di armi e munizioni alle parti in conflitto. Il supporto alle attività delle Nazioni Unite, volte all’obiettivo della riconciliazione nazionale e della soluzione pacifica del conflitto. La convinzione che la soppressione del terrorismo è essenziale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Il continuo uso del territorio Afghano, specialmente delle aree controllate dai Talibani (specifico riferimento ai Talibani, dalla ris. 1214/1998), per il rifugio e l’addestramento dei terroristi, per la pianificazione di atti terroristici. La coltivazione, la produzione ed il traffico di sostanze stupefacenti in Afghanistan, specialmente nelle aree controllate dai Talibani (specifico riferimento ai Talibani, dalla ris. 1214/1998). Particolare cenno viene fatto alla crescita della produzione illecita di oppio, che rafforza, tra l’altro, la capacità dei Talibani di fornire asilo ai terroristi (dalla ris. 1333/2000). La condanna del fatto che i Talibani continuano a permettere ad Usama bin Laden ed ai suoi associati (dalla risoluzione 1378/2001, viene fatto esplicito riferimento alle rete detta Al-Qaida) di gestire una rete di campi di addestramento per terroristi e di usare l’Afghanistan come base da cui sponsorizzare le operazioni terroristiche internazionali (tale riferimento compare dalla ris. 1267/1999). La considerazione del indictment di Usam bin Laden e dei suoi associati da parte degli Stati Uniti d’America, in particolare, per gli attentati del 7 agosto 1998 alle ambasciate di Kenia e Tanzania (dalla ris. 1267/1999). La condanna della rete di Al-Qaida e di altri gruppi terroristici per i numerosi atti criminali terroristici (ris. 1390/2002).

Prospetto 16

Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riferite alla situazione Afghana

1076 del 22 ottobre 1996, 1193 del 28 agosto 1998, 1214 del 8 dicembre 1998, 1267 del 15 ottobre 1999, 1333 del 19 dicembre 2000, 1363 del 30 luglio 2001, 1378 del 14 novembre 2001, 1383 del 6 dicembre 2001, 1390 del 16 gennaio 2002

Principali richieste succedutesi nel tempo Cessazione delle ostilità armate, da parte di tutte le fazioni afghane (particolare riferimento ai Talibani comincia con la ris. 1214/1998), ed impegno in un dialogo politico teso alla riconciliazione nazionale. In tale ottica, viene chiesto, alla parti afgane, cooperazione rispetto alle attività a tal fine intraprese dalle Nazioni Unite (ad esempio, la United Nations Special Mission) Tutela, da parte di tutte le fazioni afghane (specifico riferimento ai Talibani comincia con la ris. 1193/1998), della sicurezza e della libertà di movimento del personale delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni umanitarie e internazionali. Cessazione, da parte di tutte le fazioni afghane, delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Astensione, da parte di tutti gli Stati, dall’interferire negli affari interni dell’Afghanistan, evitando il coinvolgimento di personale militare straniero, la fornitura di armi e munizioni alla parti in conflitto. Tutti gli Stati ed organizzazioni internazionali interessate sono incoraggiate a supportare gli sforzi delle Nazioni Unite rivolti a promuovere la pace in Afghanistan. Fermare, ad opera dei leader delle fazioni afghane, il terrorismo ed il traffico di droga, che trovano terreno fertile grazie al perdurare del conflitto in Afghanistan. In particolare, viene chiesto a tutte le fazioni afghane, di astenersi dal fornire asilo ed addestramento a terroristi. Il riferimento sono inizialmente, quindi, tutte le fazioni afghane. Investigazione, da parte dei Talibani, circa omicidi di membri del World Food Program, della United Nations Special Mission to Afghanistan, del United Nations Commissioner for Refugees (dalla ris. 1193/1998). Collaborazione, da parte dei Talibani, con le Nazioni Unite, alle investigazioni circa la cattura e/o uccisione di diplomatici iraniani (specifico riferimento ai Talibani, circa la sicurezza del personale diplomatico iraniano, comincia con la ris. 1193/1998). Interruzione, da parte dei Talibani, della fornitura di asilo ed addestramento ai terroristi internazionali ad alle loro organizzazioni e collaborazione per portare i terroristi alla giustizia (la risoluzione 1267/1999 riporta il primo riferimento alla consegna alla giustizia di Usam bin Laden, che, peraltro, giustifica le misure prese contro i Talibani). Da notare che il riferimento delle richieste sono divenuti specificamente i Talibani (dalla ris. 1214/1998). Anche per quanto attiene alla coltivazione, produzione e traffico di droga l’attenzione si sposta principalmente sui Talibani (dalla ris. 1214/1998). Con la risoluzione 1333/2000, rapida azione, da parte dei Talibani, per la chiusura di tutti i campi ove i terroristi sono addestrati

PRINCIPALI SPECIFICHE RICHIESTE A TUTTI GLI STATI (risoluzione 1267/1999) a1267. Negare il permesso al decollo dal ed all’atterraggio nel proprio territorio ad ogni aereo di

proprietà, affittato o gestito da o per conto dei Talibani (terminata esplicitamente con la risoluzione 1390/2002);

Prospetto 17

b1267. Congelare fondi ed altre risorse finanziarie, inclusi i fondi derivati o generati da proprietà possedute o controllate, direttamente o indirettamente, dai Talibani o da ogni impresa posseduta o controllata dai Talibani;

c.1267 Assicurare che né i predetti fondi né altri fondi e risorse finanziarie non siano resi disponibili, da parte di propri cittadini e ogni altra persona nel proprio territorio ai, o per il beneficio dei, Talibani o ogni impresa posseduta o controllata, direttamente o indirettamente, dai Talibani;

d.1267. Cooperare affinché Usama bin Laden sia portato davanti alla giustizia; considerare, altresì, ulteriori misure contro Usama bin Laden ed i suoi associati;

e1267. Procedere contro persone ed entità che, nell’ambito della propria giurisdizione, violano le misure a1267. (terminata) b1267 c1267., prevedendo appropriate sanzioni;

La condizione per il termine delle misure a1267.(terminata) b1267 c1267. è la consegna di Usama bin Laden alle Autorità di un Paese tramite le quali possa essere portato davanti alla giustizia. (risoluzione 1333/2000) a1333. Impedire la fornitura, la vendita, il trasferimento, diretti o indiretti, verso il territorio

dell’Afghanistan sotto il controllo dei Talibani, da parte dei propri cittadini o dal proprio territorio o usando navi o aerei sotto la propria bandiera, di armi e relativo materiale di ogni tipo (inclusi, ad esempio, veicoli militari ed equipaggiamento);

b1333. Impedire la fornitura, la vendita, il trasferimento, diretti o indiretti, verso il territorio dell’Afghanistan sotto il controllo dei Talibani, da parte dei propri cittadini o dal proprio territorio, di consulenza tecnica, assistenza o formazione relativi alle attività militari delle persone armate sotto il controllo dei Talibani;

c.1333 Impedire la fornitura, la vendita, il trasferimento, da parte dei propri cittadini o dal proprio territorio, di anidride acetica a persone nel territorio dell’Afghanistan sotto il controllo dei Talibani o a persone con il proposito di attività svolte in, o gestite dal, territorio sotto il controllo dei Talibani;

d.1333.Ritirare ogni funzionario, agente, consulente ed il personale militare presente in Afghanistan per consulenza ai Talibani per questioni militari o di relativa sicurezza;

e1333. Negare permessi a decollare da, atterrare nei o sorvolare i propri territori, se l’aereo proviene da o è destinato ad un luogo sotto il controllo dei Talibani;

f1333. Intraprendere iniziative per restringere l’entrata ed il transito sui propri territori delle personalità della fazione Talibana;

g.1333. Chiudere immediatamente e completamente tutti gli uffici Talibani e gli uffici della Ariana Afghan Airlines, nei propri territori;

h.1333. Congelare fondi ed atre attività finanziarie di Usama bin Laden e degli individui ed entità con lui associati (inclusi quelli di Al-Qaida), inclusi i fondi derivati o generati da proprietà possedute o controllate, direttamente o indirettamente, dagli stessi;

i1333. Assicurare che i predetti fondi né altri fondi e risorse finanziarie non siano resi disponibili, da parte di propri cittadini e ogni altra persona nel proprio territorio, direttamente o indirettamente, per il beneficio di Usama bin Laden, i suoi associati e le entità possedute o controllate, direttamente o indirettamente, dagli stessi (inclusa Al-Qaida);

l1333 Procedere contro persone ed entità che, nell’ambito della propria giurisdizione, violano le misure a1333, b1333, c1333, d1333, e1333, g1333, h1333, i1333, prevedendo appropriate sanzioni;

Le condizioni per il termine delle misure a1333, b1333, c1333, d1333, e1333, g1333, h1333, i1333. sono sostanzialmente la fine della concessione di asilo ed addestramento ai terroristi internazionali, la consegna di Usama bin Laden e la rapida azione per la chiusura dei campi di

addestramento di terroristi. (risoluzione 1390/2002) Continuano da precedenti risoluzioni le misure b1267., c.1267., h1333., i1333. (congelamento e divieto di messa a disposizione), secondo quanto segue: Obiettivo delle misure: Usama bin Laden, i membri di Al-Qaida ed i Talibani ed altri individui,

gruppi, imprese ed entità ai medesimi associati, secondo le liste ex risoluzioni 1267/1999 e 1333/2000, che saranno aggiornate regolarmente dall’originario comitato per le sanzioni contro i Talibani del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Contenuto delle misure: a1390. Congelare, senza ritardo, i fondi e le altre attività finanziarie o risorse economiche dei

soggetti sopra indicati, inclusi i fondi derivanti da proprietà possedute, controllate, direttamente o indirettamente, dagli stessi o da persone agenti per loro conto o sotto la loro direzione ed assicurare che né questi né altri fondi, attività finanziarie o risorse economiche siano resi disponibili, direttamente o indirettamente, a beneficio di tali persone, dai propri nazionali o da qualsiasi persona all’interno del proprio territorio;

b.1390. Prevenire l’entrata o il transito attraverso i propri territori dei sopra indicati individui ; c1390. Prevenire la fornitura, la vendita, il trasferimento, diretti o indiretti, agli individui sopra

citati, dai propri territori o attraverso propri nazionali fuori dei propri territori o usando aerei e navi sotto la propria bandiera, di armi e materiale collegato e consulenza tecnica, assistenza o addestramento relativi ad attività militari.

La risoluzione, inoltre, ricorda la necessità di applicare anche agli individui sopra citati, le misure della risoluzione 1373/2001 (riguardante, in generale, il terrorismo internazionale), ove abbiano partecipano al finanziamento, alla pianificazione, alla facilitazione ed alla preparazione o abbiamo perpetrato o supportato atti terroristici. d1390.Prendere immediati provvedimenti per implementare e rafforzare la legislazione e

regolamentazione “domestica” contro nazionali e altri individui o entità operanti nel proprio territorio, per prevenire e punire le violazioni alle misure introdotte dalla risoluzione 1390/2002;

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Posizioni comuni del Consiglio dell’Unione Europea riferite alla situazione Afghana

96/746/PESC del 17 dicembre 1996 (abrogata), 1999/727/PESC del 15 novembre 1999 (abrogata), 2001/56/PESC (abrogata dalla 2002/42/PESC del 21 gennaio 2002), 2001/154/PESC del 26 febbraio 2001 (abrogata), 2001/771/PESC del 5 novembre 2001 (abrogata), 2002/402/PESC del 27 maggio 2002

Principali orientamenti succedutisi nel tempo Divieto di fornitura, vendita, esportazione, diretta o indiretta, di armi e di materiale connesso…nel territorio dell’Afghanistan controllato dai Talibani e di consulenza tecnica, assistenza o formazione pertinente le attività militari del personale armato sotto il controllo dei Talibani…da parte di cittadini degli Stati membri o in provenienza dal territorio degli Stati membri, alle condizioni di cui alla risoluzione 1333/2000. Divieto di fornitura, vendita, esportazione di anidride acetica, da parte di cittadini degli Stati membri o in provenienza dal territorio degli Stati membri, a qualsiasi persona nel territorio dell’Afghanistan controllato dai Talibani … nonché a qualsiasi persona ai fini di qualsiasi attività svolta sul territorio controllato dai Talibani … o gestita a partire da tale territorio. Divieto di decollo da ed atterraggio nella Comunità o di sorvolo del territorio degli Stati membri per gli aeromobili decollati da, o diretti ad, un luogo situato nel territorio dell’Afghanistan controllato dai Talibani …, alle condizioni di cui alla risoluzione 1333/2000. Richiamo di tutti i funzionari, agenti, consiglieri e personale militare presente in Afghanistan per fornire ai Talibani consulenza su questioni militari o di sicurezza connesse. Chiusura di tutti gli uffici dei Talibani e della Ariana Afghan Airlines. Limitazione all’ingresso o al transito di personalità Talibane, alle condizioni di cui alla risoluzione 1333/2000. Congelamento dei fondi e le altre risorse finanziarie detenuti all’estero dai Talibani. secondo quanto stabilito dalla risoluzione 1267/1999. Congelamento di capitali e risorse finanziarie appartenenti ad Usama bin Laden e a persone e entità associate, alle condizioni di cui alla risoluzione 1333/2000. Divieto di mettere a disposizione di Usama bin Laden e delle persone ed entità associate, fondi o altre risorse finanziarie, alle condizioni di cui alla risoluzione 1333/2000.

Attuali orientamenti Ambito di applicazione: Usama bin Ladin, membri di Al-Qaida, Talibani e altri individui, gruppi, imprese, entità ad essi associati, quali figurano nell’elenco aggiornato dal Comitato per le sanzioni operante in ambito Nazioni Unite. Divieto di fornitura, vendita, esportazione, diretta o indiretta, di armi e di materiale connesso di qualsiasi tipo, in provenienza dal territorio degli Stati membri ovvero utilizzando navi o aerei delle rispettive compagnie di bandiera o da parte di cittadini degli Stati membri. Divieto di consulenza tecnica, assistenza o formazione pertinenti le attività militari, in provenienza dal territorio degli Stati membri ovvero utilizzando navi o aerei delle rispettive compagnie di bandiera o da parte di cittadini degli Stati membri. Congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche. Divieto di mettere a disposizione, direttamente o indirettamente, capitali e altre risorse finanziarie o economiche. Divieto di ingresso o transito nei territori degli Stati membri.

Prospetto 19

Regolamenti del Consiglio dell’Unione Europea riferite alla situazione Afghana

Regolamento (CE) n. 337/2000 del 14 febbraio 2000 (abrogato), Regolamento (CE) n. 467/2001 del 6 marzo 2001 (abrogato) (vgs. anche Regolamenti (CE) n. 1354/2001 del 4 luglio 2001, n. 1996/2001 del 11 ottobre 2001, n. 2062/2001 del 19 ottobre 2001, n. 2199/2001 del 12 novembre 2001, n. 2373/2001 del 4 dicembre 2001, 2604/2001 del 28 dicembre 2001, n. 65/2002 del 14 gennaio 2002, n. 105/2002 del 18 gennaio 2002 e n. 362/2002 del 27 febbraio 2002 della Commissione) Attualmente in vigore: Regolamento (CE) n. 881/2002 del 27 maggio 2002 (vgs. anche Regolamenti (CE) n. 951, n. 1580, n.1644, n. 1754, n. 1823, n. 1893, n. 1935 e n. 2083 rispettivamente del 3 giugno, del 4 e del 13 settembre, del 1, 11, 23 e 29 ottobre e del 22 novembre 2002 della Commissione).

Principali contenuti prima del reg. 881/2002 Definizione del territorio sotto il controllo dei Talibani (allegato III), come designato dal “Comitato delle sanzioni contro i Talibani”. La Commissione europea lo fissa e lo modifica sulla base delle decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o del Comitato delle sanzioni contro i Talibani.

Definizione di capitali (in sostanza, tutti strumenti finanziari).

Definizione di congelamento dei capitali (uguale a quella del Reg. (CE) 2580/2001 sul terrorismo internazionale).

Definizione dell’elenco dei soggetti (allegato I) che devono essere colpiti dai provvedimenti di congelamento. La Commissione europea lo modifica sulla base delle decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o del Comitato delle sanzioni contro i Talibani.

Congelamento di tutti i capitali e le altre risorse finanziarie, appartenenti a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità od organismo, designati dal comitato per le sanzioni contro i Talibani ed elencati nell’allegato I (Tale allegato comprende sia i Talibani sia gli associati di Al- Qaida).

Divieto di mettere, direttamente o indirettamente, fondi o altre risorse finanziarie a disposizione dei Talibani, delle persone, delle entità o degli organismi designati dal comitato per le sanzioni contro i Talibani ed elencati nell’allegato I (Tale allegato comprende sia i Talibani sia gli associati di Al- Qaida)

Divieto di fornitura, vendita, esportazione e spedizione, diretta o indiretta, di anidride acetica, a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo dell’Afghanistan controllato dai Talibani, nonché a qualsiasi persona, entità o organismo ai fini di qualsiasi attività svolta nell’Afghanistan controllato dai Talibani o gestita a partire da esso.

Divieto di concessione, vendita, fornitura, cessione, diretta o indiretta, di consulenza tecnica, assistenza o formazione pertinenti alle attività militari del personale armato sotto il controllo dei Talibani a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo stabiliti nell’Afghanistan controllato dai Talibani, nonché a qualsiasi persona, entità o organismo ai fini di qualsiasi attività svolta nell’Afghanistan controllato dai Talibani o gestita a partire da esso. Divieto per qualsiasi aeromobile decollato da uno dei punti di entrata o zone di atterraggio (allegato IV – modificabile dalla Commissione europea) dell’Afghanistan controllato dai Talibani o diretto ad uno di tali punti o zone a prescindere dal Paese di appartenenza, di decollare dal territorio della Comunità, atterrarvi o sorvolarlo.

Chiusura di tutti gli uffici che rappresentano gli interessi dei Talibani e della Ariana Afghan Airlines (nota anche come Bakhtar Afghan Airlines). Divieto di partecipazione ad attività collegate che abbiano per oggetto o per effetto, direttamente o

Prospetto 20

indirettamente, di promuovere le operazioni di cui sopra (congelamento e messa a disposizione di risorse finanziarie, traffico di anidride acetica, consulenze pertinenti attività militari, traffico aereo) o l’attività degli uffici dei Talibani o della Ariana Afghan Airlines o di eludere le disposizioni del regolamento 467/2001 facendo ricorso a persone fisiche o giuridiche, entità o organismi che agiscano da prestanome o da copertura, o con qualsiasi altra modalità.

Principali contenuti del reg. 881/2002 Definizione di “fondi”: disponibilità finanziarie e proventi economici di qualsiasi tipo. Definizione di “risorse economiche”: disponibilità di qualsiasi tipo, tangibili o intangibili, mobili o immobili, che non siano fondi, ma che possano essere utilizzate per ottenere fondi, beni o servizi. Definizione di “congelamento dei fondi”: simile a quella del reg. 2580/2001. Definizione di “congelamento di risorse economiche”: blocco preventivo della loro utilizzazione, ai fini di ottenere fondi, beni o servizi in qualsiasi modo, compresi, tra l’altro, la vendita, l’affitto e le ipoteche. Congelamento di tutti i fondi e risorse economiche appartenenti a, o in possesso di, soggetti individuati da apposito allegato. Divieto di mettere, direttamente o indirettamente, fondi a disposizione di soggetti individuati nell’apposito allegato, o di stanziarli a loro vantaggio. Divieto di mettere, direttamente o indirettamente, risorse economiche a disposizione di soggetti individuati nell’apposito allegato, o di destinarle a loro vantaggio, per impedire così facendo che il soggetto in questione possa ottenere fondi, beni o servizi. Divieto di concedere, vendere, fornire o trasferire, direttamente o indirettamente, consulenze tecniche, assistenza o formazione connesse ad attività militari…ai soggetti individuati dall’apposito allegato. Divieto di partecipare, consapevolmente e deliberatamente, ad attività per aggirare i predetti divieti e congelamenti.

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nzio

ni

ed

elen

cato

in

ap

posi

to

alle

gato

. T

utti

i fon

di e

le r

isor

se e

cono

mic

he

appa

rtene

nti

a, o

in

poss

esso

di,

una

pers

ona

fisic

a o

giur

idic

a, g

rupp

o o

entit

à de

sign

ato

dal

com

itato

per

le

sanz

ioni

ed

el

enca

to

in

appo

sito

al

lega

to so

no c

onge

lati.

Nul

lità

degl

i at

ti co

mpi

uti

in

viol

azio

ne d

elle

dis

posi

zion

i rec

anti

il di

viet

o di

es

port

azio

ne

di

beni

e

serv

izi..

.con

tenu

te

in

rego

lam

enti

adot

tati

dal

Con

sigl

io

dell'

Uni

one

euro

pea,

an

che

in

attu

azio

ne

di

risol

uzio

ni d

el C

onsi

glio

di

sicu

rezz

a de

lle N

azio

ni U

nite

. La

vi

olaz

ione

è

puni

ta

con

una

sanz

ione

am

min

istr

ativ

a pe

cuni

aria

no

n in

ferio

re

alla

m

eta'

del

valo

re

dell'

oper

azio

ne s

tess

a e

non

supe

riore

al

dop

pio

del v

alor

e m

edes

imo.

N

ullit

à de

gli

atti

com

piut

i in

vi

olaz

ione

del

l’art

. 5

del

Reg.

C.E

. 46

7/20

01 (A

rt. 1

, L. 4

15/2

001)

. Vi

olaz

ione

sa

nzio

nata

co

n la

pe

na

prev

ista

da

ll’ar

t. 24

7 de

l Co

dice

Pe

nale

. (Ar

t. 1,

L. 4

15/2

001)

C

on la

sent

enza

di c

onda

nna,

con

fisca

de

lle

cose

ch

e se

rvir

ono

o fu

rono

de

stin

ate

a co

mm

ette

re il

rea

to e

del

le

cose

che

ne

sono

il

prod

otto

o i

l pr

ofitt

o. (A

rt. 1

, L. 4

15/2

001)

N

ullit

à de

gli

atti

com

piut

i in

vi

olaz

ione

del

le d

ispo

sizi

oni

reca

nti

il… c

onge

lam

ento

di

capi

tali

e di

al

tre

riso

rse

finan

ziar

ie, c

onte

nute

in

rego

lam

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adot

tati

dal

Con

sigl

io

dell'

Uni

one

euro

pea,

an

che

in

attu

azio

ne d

i ris

oluz

ioni

del

Con

sigl

io

di si

cure

zza

delle

Naz

ioni

Uni

te.

La

viol

azio

ne

e' pu

nita

co

n un

a sa

nzio

ne a

mm

inis

trat

iva

pecu

niar

ia

non

infe

riore

al

la

met

a' de

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lore

Ass

icur

are

che

fond

i ed

al

tre

at

tività

fin

anzi

arie

o

riso

rse

econ

omic

he

non

sian

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ro

resi

di

spon

ibili

, di

retta

men

te

o in

dire

ttam

ente

, da

pa

rte

di

prop

ri ci

ttadi

ni

e og

ni

altra

pe

rson

a ne

l pr

oprio

terr

itorio

La C

omun

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urop

ea…

assi

cura

che

i

capi

tali

e le

ri

sors

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anzi

arie

o

econ

omic

he

non

sara

nno

resi

di

spon

ibili

, di

rett

amen

te

o in

dire

ttam

ente

, pe

r gl

i

indi

vidu

i, gr

uppi

, im

pres

e ed

en

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ricon

duci

bili

ad U

sam

a bi

n La

den,

ai

m

embr

i de

ll’or

gani

zzaz

ione

“A

l-Qai

da”

ed

ai

Talib

ani

nonc

ad a

ltri

indi

vidu

i, gr

uppi

, im

pres

e,

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à ad

es

si

asso

ciat

i, o

a lo

ro

vant

aggi

o.

È’

viet

ato

met

tere

dir

etta

men

te o

in

dire

ttam

ente

fon

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dis

posi

zion

e di

una

per

sona

fisi

ca o

giu

ridic

a, d

i un

grup

po o

di

un'en

tità

desi

gnat

i da

l co

mita

to p

er le

san

zion

i ed

elen

cati

in

appo

sito

alle

gato

, o

stan

ziar

li a

loro

va

ntag

gio.

È

vi

etat

o m

ette

re

dire

ttam

ente

o

indi

rett

amen

te r

isor

se e

cono

mic

he a

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spos

izio

ne d

i un

a pe

rson

a fis

ica

o gi

urid

ica,

ad

un g

rupp

o o

ad u

n'en

tità

desi

gnat

i da

l co

mita

to p

er l

e sa

nzio

ni

ed

elen

cati

in

appo

sito

al

lega

to,

o de

stin

arle

a

loro

va

ntag

gio,

pe

r im

pedi

re c

osì f

acen

do c

he la

per

sona

, il

grup

po o

l'en

tità

in q

uest

ione

pos

sa

otte

nere

fond

i, be

ni o

serv

izi.

Il co

n gel

amen

to d

ei f

ondi

, de

lle a

ltre

dell'

oper

azio

ne s

tess

a e

non

supe

riore

al

dop

pio

del v

alor

e m

edes

imo.

N

ullit

à de

gli

atti

com

piut

i in

vi

olaz

ione

de

ll’ar

t. 2

(tra

cui

cong

elam

ento

di

ca

pita

li ed

al

tre

riso

rse

finan

ziar

ie)

del

Reg.

C

.E.

467/

2001

(Art

. 1, L

.415

/200

1).

La v

iola

zion

e de

lla d

ispo

sizi

one

sul

cong

elam

ento

di

capi

tali

e de

lle a

ltre

riso

rse

finan

ziar

ie è

pun

ita c

on u

na

sanz

ione

am

min

istra

tiva

pecu

niar

ia

non

infe

rior

e al

la

met

à de

l va

lore

de

ll’op

eraz

ione

e

non

supe

rior

e al

do

ppio

del

val

ore

med

esim

o. (

Art.

1,

L.41

5/20

01).

N

ullit

à de

gli

atti

com

piut

i in

vi

olaz

ione

del

l’art

. 2

(tra

cui,

divi

eto

di m

essa

a d

ispo

sizi

one)

del

Reg

. C.E

. 46

7/20

01 (A

rt. 1

, L.4

15/2

001)

. La

vi

olaz

ione

è

puni

ta

con

una

sanz

ione

am

min

istra

tiva

pecu

niar

ia

non

infe

rior

e al

la

met

à de

l va

lore

de

ll’op

eraz

ione

e

non

supe

rior

e al

do

ppio

del

val

ore

med

esim

o. (

Art.

1,

L.41

5/20

01).

Prev

enirn

e l’e

ntra

ta e

d il

tran

sito

su

i pro

pri t

erri

tori

.

Gli

Stat

i m

embr

i ad

otta

no l

e m

isur

e ne

cess

arie

per

evi

tare

l'in

gres

so o

il

trans

ito

nei

loro

te

rrito

ri de

gli

indi

vidu

i, gr

uppi

, im

pres

e ed

en

tità

ricon

duci

bili

ad U

sam

a bi

n La

den,

ai

mem

bri d

ell’o

rgan

izza

zion

e “A

l-Qai

da”

ed a

i Tal

iban

i non

ché

ad a

ltri i

ndiv

idui

, gr

uppi

, im

pres

e, e

ntità

ad

essi

ass

ocia

ti

disp

onib

ilità

fin

anzi

arie

e

risor

se

econ

omic

he, o

l'o

mis

sion

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il rif

iuto

de

lla p

rest

azio

ne d

i se

rviz

i fin

anzi

ari,

riten

uti

in

buon

a fe

de

conf

orm

i al

pr

esen

te

rego

lam

ento

, no

n co

mpo

rtano

al

cun

gene

re

di

resp

onsa

bilit

à pe

r la

per

sona

fis

ica

o gi

urid

ica,

il

grup

po o

l'en

tità

che

lo

appl

ica,

pe

r i

suoi

di

retto

ri o

dipe

nden

ti, a

men

o ch

e si

dim

ostri

che

il

cong

elam

ento

è s

tato

det

erm

inat

o da

ne

glig

enza

. Fa

tte s

alve

le

nor

me

appl

icab

ili i

n m

ater

ia

di

rela

zion

i, ris

erva

tezz

a e

segr

eto

prof

essi

onal

e e

le d

ispo

sizi

oni

dell'

artic

olo

284

del

tratta

to,

le

pers

one

fisic

he e

giu

ridic

he, l

e en

tità

e gl

i or

gani

smi

sono

te

nuti

a:a)

fo

rnire

im

med

iata

men

te

alle

au

torit

à co

mpe

tent

i de

gli

Stat

i m

embr

i, el

enca

te i

n ap

posi

to a

llega

to

(per

l’Ita

lia, i

l CSF

), in

cui

risi

edon

o o

sono

si

tuat

i, e

alla

C

omm

issi

one,

di

retta

men

te

o at

trave

rso

dette

au

torit

à, q

uals

iasi

inf

orm

azio

ne p

ossa

fa

cilit

are

il ris

petto

de

l pr

esen

te

rego

lam

ento

881

, qua

li i d

ati r

elat

ivi a

i co

nti

e a g

li im

porti

co

ngel

ati.

In I s

ogge

tti in

dica

ti ne

i Reg

olam

enti

che

disp

ongo

no d

ivie

ti di

esp

orta

zion

e di

be

ni

o se

rviz

i ov

vero

re

cant

i il

cong

elam

ento

di

ca

pita

li ed

al

tre

risor

se

finan

ziar

ie

sono

ob

blig

ati

a co

mun

icar

e al

Min

iste

ro d

ell'e

cono

mia

e

delle

fin

anze

, D

ipar

timen

to

del

teso

ro, l

'entit

à de

i cap

itali

e de

lle a

ltre

risor

se

finan

ziar

ie

ogge

tto

di

cong

elam

ento

ent

ro tr

enta

gio

rni d

alla

da

ta

di

entra

ta

in

vigo

re

dei

rego

lam

enti

ovve

ro,

se

succ

essi

va,

dalla

dat

a di

for

maz

ione

dei

cap

itali

o de

lle ri

sors

e fin

anzi

arie

. L'

omis

sion

e o

il rit

ardo

de

lla

com

unic

azio

ne,

al

di

fuor

i de

lle

parti

cola

re,

si

devo

no

forn

ire

le

info

rmaz

ioni

dis

poni

bili

su fo

ndi,

beni

fin

anzi

ari

o ris

orse

ec

onom

iche

po

ssed

uti

o co

ntro

llati

dalle

per

sone

in

dica

te d

al c

omita

to p

er l

e sa

nzio

ni

ed e

lenc

ate

nell'

appo

sito

alle

gato

nei

se

i m

esi

prec

eden

ti l'e

ntra

ta i

n vi

gore

de

l pr

esen

te

rego

lam

ento

.b)

C

olla

bora

re

con

le

auto

rità

com

pete

nti

elen

cate

ne

ll'ap

posi

to

alle

gato

(p

er

l’Ita

lia,

il C

SF)

per

qual

sias

i ve

rific

a di

tal

i in

form

azio

ni.

2.

Tutte

le

in

form

azio

ni

forn

ite

o ric

evut

e a

norm

a de

l pre

sent

e ar

ticol

o so

no u

sate

uni

cam

ente

per

i fin

i per

i qu

ali

sono

sta

te f

orni

te o

ric

evut

e.3.

Tut

te le

info

rmaz

ioni

sup

plem

enta

ri ric

evut

e di

retta

men

te

dalla

C

omm

issi

one

sono

m

esse

a

disp

osiz

ione

del

le a

utor

ità c

ompe

tent

i de

gli S

tati

mem

bri i

nter

essa

ti.

È vi

etat

o pa

rteci

pare

, co

nsap

evol

men

te

e de

liber

atam

ente

, ad

at

tività

av

enti

l'obi

ettiv

o o

il ris

ulta

to, d

iretto

o in

dire

tto, d

i agg

irare

l'a

rtico

lo 2

(co

ngel

amen

to e

div

ieto

di

mes

sa a

dis

posi

zion

e) o

di p

rom

uove

re

le

oper

azio

ni

di

cui

all'a

rtic

olo

3 (fo

rnitu

ra d

i co

nsul

enza

…su

arm

i e

mat

eria

le c

onne

sso)

.

ipot

esi

di

conc

orso

ne

lle

altre

vi

olaz

ioni

, so

no

puni

ti co

n un

a sa

nzio

ne a

mm

inis

trat

iva

pecu

niar

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La

viol

azio

ne

degl

i ob

blig

hi

di

com

unic

azio

ne,

al

di

fuor

i de

lle

ipot

esi

di

conc

orso

ne

lle

altre

vi

olaz

ioni

pre

vist

e da

lla L

.415

/200

1, è

pu

nita

co

n un

a sa

nzio

ne

amm

inis

trat

iva

pecu

niar

ia

Nul

lità

degl

i at

ti co

mpi

uti

in

viol

azio

ne

dell’

art.

8(pa

rtec

ipaz

ione

ad

atti

vità

col

lega

te p

er p

rom

uove

re

oper

azio

ni in

vio

lazi

one

o pe

r elu

dere

) de

l Re

g.

C.E

. 46

7/20

01.

(Art

. 1,

L.

415/

2001

). Al

di f

uori

dei c

asi d

i con

cors

o ne

lle

viol

azio

ni a

lle d

ispo

sizi

oni d

i cui

agl

i ar

tt.

2,4,

5,6

e 7

del

Reg.

C

.E.

467/

2001

, la

vio

lazi

one

all’a

rt.

8 de

l ri

chia

mat

o Re

gola

men

to è

pun

ita c

on

una

sanz

ione

am

min

istra

tiva

pecu

niar

ia n

on i

nfer

iore

a 1

00.0

00

Euro

e n

on s

uper

iore

a 1

.000

.000

di

Qua

lsia

si i

nfor

maz

ione

in

base

alla

qu

ale

le

disp

osiz

ioni

de

l pr

esen

te

rego

lam

ento

sono

o so

no st

ate

aggi

rate

de

ve e

sser

e co

mun

icat

a al

le a

utor

ità

com

pete

nti

degl

i St

ati

mem

bri

e,

dire

ttam

ente

o

attra

vers

o de

tte

auto

rità,

alla

Com

mis

sion

e.

Euro

. (Ar

t. 1,

L.4

15/2

001)

.

199

8.6 SOGGETTI ATTIVI SUL FRONTE DEL TERRORISMO In chiusura dell’analisi svolta sulla recente produzione normativa, possono essere citati i principali soggetti oggi attivi sul fronte del terrorismo, in modo da avere una “mappa” dei possibili referenti, a livello nazionale ed internazionale. In primo luogo, deve essere ricordato il Comitato di Sicurezza Finanziaria (CSF), già citato nei prospetti che precedono, creato con il decreto legge 12 ottobre 2001, n. 369, convertito, con modificazioni, nella legge 14 dicembre 2001, n.431 (entrambi i provvedimenti sono precedenti alle già illustrate posizioni comuni 930/2001, 931/2001 ed al regolamento 2580/2001).La finalità di questo organismo è genericamente quella di rafforzare l’attività di contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale. Per una schematica illustrazione della composizione, dei flussi di informazione che convergono sul CSF e delle sue prerogative sono stati predisposti i prospetti 22 e 23. In estrema sintesi, si evince che il CSF è destinatario di informazioni riguardanti il funzionamento del sistema sanzionatorio collegato a divieti di esportazione o provvedimenti di congelamento, contenuti in regolamenti del Consiglio dell’Unione Europea (sia, quindi, il regolamento 881/2002, su Talibani ed Al-Quaida, ed il 2580/2001, sul terrorismo internazionale). In aggiunta, il CSF: per la materia di propria competenza (contrasto al finanziamento del terrorismo

internazionale), riceve informazioni dai soggetti elencati sulla sinistra del prospetto 23; riceve le informazioni che l’Autorità giudiziaria giudica utile trasmette al medesimo; può individuare, con propria delibera, d’intesa con la Banca d’Italia, ulteriori

informazioni, acquisite in base alla vigente normativa sull’antiriciclaggio, sull’usura e sugli intermediari finanziari, che le pubbliche amministrazioni sono obbligate a trasmettere ad esso; può chiedere accertamenti all’UIC, alla Consob ed al Nucleo Speciale di Polizia

Valutaria della Guardia di finanza; per la stretta finalità di rafforzare il contrasto al finanziamento del terrorismo, può

chiedere, alla Guardia di finanza, lo sviluppo di attività informative. Un’altra importante struttura creata in relazione all’emergenza palesatasi dopo l’11 settembre 2001, è il “Comitato di Coordinamento per la Cooperazione Internazionale contro il Terrorismo (CCIT)”, costituito presso il Ministero degli Affari Esteri, che ha il compito di promuove una trattazione unitaria ed un’azione coordinata dell’Italia nei fori internazionali competenti per la lotta al terrorismo (ad esempio, Nazioni Unite, G-7/G-8, Unione Europea, OSCE …) e nei rapporti bilaterali. In particolare, poi, questa struttura è stata individuata quale punto di contatto del Comitato contro il Terrorismo (CTC) istituito dal Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 1373/2001. Il CTC ha i seguenti compiti:

monitorare l’implementazione della risoluzione 1373/2001;

200

individuare modalità di assistenza agli Stati per tale implementazione, quali la promozione di best practice, inclusa la preparazione di modelli legislativi.

Un altro importante provvedimento preso dal Governo italiano è stato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in data 23 ottobre 2001, con il quale, nell’ambito del CESIS, è stato creato il “Comitato di coordinamento della ricerca informativa sulle attività finanziarie”, con il compito di coordinare l’attività degli organismi informativi in materia di ricerca nel campo del contrasto alle attività economico finanziarie contrarie alla sicurezza nazionale, con particolare riguardo a quelle collegate al fenomeno terroristico, con le iniziative assunte in proposito da altre Amministrazioni pubbliche. Questo comitato, che segue gli indirizzi del Presidente del Consiglio, agisce d’intesa con il Ministro dell’Economia e delle Finanze. Continuando nella menzione dei soggetti oggi attivi nel contrasto al finanziamento al terrorismo internazionale, la Banca d’Italia ha emanato istruzioni agli intermediari finanziari, affinché vengano segnalate all’Ufficio Italiano Cambi, le transazioni sospette riconducibili a persone, enti o società collegate a qualsiasi titolo agli eventi dell’11 settembre. L’UIC, inoltre, ha fornito specifiche istruzioni alle banche ed agli intermediari finanziari invitandoli, in particolare a:

comunicare le misure di congelamento adottate; segnalare le operazioni ed i rapporti che, in base alle informazioni disponibili, siano riconducibili a soggetti compresi nelle liste diffuse dallo stesso UIC; segnalare tempestivamente all’UIC operazioni e rapporti riconducibili ad attività di

finanziamento al terrorismo, onde consentire l’eventuale sospensione delle stesse653.

Ai fini del presente lavoro, ha minore importanza il Nucleo Politico-Militare (NPM) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha, in particolare, coordinato l’aggiornamento e la messa a punto del piano nazionale d’azione di emergenza in caso di attacchi NBC (anche in relazione alla minaccia “antrace”). In ambito NPM sono anche stati coordinati i piani d’azione in materia di sicurezza dei trasporti, di bioterrorismo, di rafforzamento delle attività di prevenzione e repressione affidate alle Forze dell’ordine e di potenziamento delle misure precauzionali a carattere sia civile sia militare. Sul piano internazionale, si è già parlato del Comitato per le sanzioni contro i Talibani e del Comitato contro il Terrorismo, operanti in ambito Nazioni Unite. In materia di scambio informativo, può essere citato il circuito del police working group on terrorism, del quale fanno parte, in particolare, i Paesi dell’Unione Europea, che consente l’immediata trasmissione delle informazioni tra gli organismi antiterrorismo specializzati. Nell’ottica della cooperazione di polizia, inoltre, devono essere ricordati i canali Interpol ed Europol. 653 L’UIC può stabilire il blocco provvisorio (per 48 ore) di fondi ritenuti sospetti, con provvedimento soggetto a conferma da parte dell’Autorità giudiziaria, che può disporre il sequestro.

201

Vale la pena di soffermarsi sulle principali iniziative adottate in ambito Gafi e G-8. Già nel mese di ottobre 2001, a Washington, si è tenuta una riunione plenaria straordinaria, a seguito della quale il mandato del Gafi è stato allargato al monitoraggio delle azioni di prevenzione e contrasto al finanziamento del terrorismo poste in essere dai Paesi aderenti. In aggiunta, è stata individuata una serie di raccomandazioni specifiche per il finanziamento del terrorismo, che si affiancano alle precedenti quaranta raccomandazioni in materia di antiriciclaggio. Queste otto raccomandazioni possono essere così sintetizzate:

ratifica ed implementazione degli strumenti adottati dalle Nazioni Unite; in particolare, viene fatto riferimento alla Convenzione, del 1999, per la soppressione del finanziamento del terrorismo; criminalizzazione del finanziamento del terrorismo e del riciclaggio associato; congelamento e confisca dei beni dei terroristi; segnalazione di transazioni sospette relative al terrorismo; massima cooperazione internazionale, sulla base di trattati, accordi o altri

meccanismi di mutua assistenza o di scambio di informazioni; controllo delle forme alternative di rimessa di risorse finanziarie; in particolare,

vengono sollecitati la registrazione e l’assoggettamento alle raccomandazioni FAFT valide per le banche, con riferimento alle entità che forniscono servizi per la trasmissione di denaro o altri valori (inclusa la trasmissione attraverso reti o sistemi di trasferimento informale); trasferimenti via filo; viene chiesta l’adozione di misure per indurre le istituzioni

finanziarie, inclusi i money remitter, ad includere significative informazioni sull’originatore (nome, indirizzo, numero di conto) circa i trasferimenti di fondi ed i relativi messaggi inviati. Tali informazioni dovrebbero, poi, rimanere legate al trasferimento lungo la catena di pagamento; revisione della normative relative alle organizzazioni non-profit, per evitarne l’abuso

da parte delle organizzazioni terroristiche (sfruttamento quali conduttori del finanziamento, diversione di fondi originariamente destinati a scopi leciti…).

Queste raccomandazioni avrebbero dovuto essere seguite entro il 30 giugno 2002654. Dopo questa data era pianificata la redazione di una lista dei Paesi non adeguatisi a queste regole per il contrasto al finanziamento del terrorismo. Nonostante gli sforzi sinora effettuati, la maggior parte dei Paesi non sono ancora in linea con le nuove otto regole. Per quanto attiene all’ambito G-8, infine, è stato adottato un piano d’azione contro il terrorismo, messo a punto congiuntamente dai Gruppi di lavoro contro il crimine organizzato (Gruppo di Lione) e contro il terrorismo (Gruppo di Roma). Questo piano si articola in 25 iniziative da intraprendere per una maggiore efficacia della lotta al terrorismo, anche per quanto attiene alle connessioni con il narcotraffico, il traffico illecito di armi, l’high tech crime, le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari, la sicurezza aerea. Per finire, può essere interessante un accenno ai principali provvedimenti adottati dall’amministrazione statunitense nella lotta al terrorismo. 654 Termine poi spostato al 1° settembre 2002.

202

All’indomani degli attacchi dell’11 settembre, il Presidente degli Stati Uniti ha adottato l’executive order 13224, del 24 settembre 2001655. Con tale provvedimento, nella sostanza, viene disposto il blocco dei beni di individui e/o entità indicati in apposito annesso (più volte modificato dal 24 settembre 2001) o individuati da Autorità come il Segretario di Stato, il Segretario del Tesoro e l’Attorney general, in ragione, ad esempio, anche di attività di assistenza, sponsorizzazione, finanziamento, supporto materiale o tecnologico al terrorismo. L’executive order, inoltre, consente di bloccare le attività statunitensi e di negare l’accesso a mercati statunitensi con riferimento a banche straniere che si rifiutano di cooperare nell’attuazione dei suddetti provvedimenti di congelamento656. E’ stata già citata la lista delle Foreign Terrorist Organization657 . L’inclusione in quella lista è decisa dal Segretario di Stato, in consultazione con l’Attorney general ed il Segretario del Tesoro658. L’inserimento è valido per due anni, trascorsi i quali, in mancanza di nuova designazione, l’organizzazione viene automaticamente depennata. La prima formazione della lista FTO risale al 1997. Per quanto riguarda gli effetti dell’inserimento:

è illegale fornire fondi o altro supporto materiale ad una FTO; ai rappresentanti ed a certi membri di una FTO può essere negato l’ingresso negli

Stati Uniti; le istituzioni finanziarie statunitensi devono bloccare i fondi dell’FTO e riferire il

blocco al Office of Foreign Assets Control del Dipartimento del Tesoro. In sintesi, si può affermare che la combinazione dell’executive order 13224 e del Foreign Terrorist Organizations crea negli Stati Uniti un sistema di contrasto analogo a quello introdotto nell’Unione Europea dai regolamenti 2580/2001 e 881/2002. Per completare il quadro delle “liste” americane costituenti il dispositivo di contrasto contro il terrorismo, bisogna citare, come ricorda il PGT2001, l’elenco degli Stati sponsor659 e la Terrorist exclusion list. Quest’ultima lista consente al Governo statunitense di proibire l’entrata o espellere stranieri che forniscano assistenza materiale alle organizzazioni indicate. Le designazioni spettano, anche in questo caso, al Segretario di Stato. Il Presidente americano Bush ha annunciato la prossima nascita di un nuovo Department of Homeland Security, che potrebbe divenire un importante soggetto nell’ambito della cooperazione internazionale. Tale nuovo Dipartimento raccoglierà circa 170.000 unità da 22 diverse agenzie governative e non includerà né FBI né CIA660.

655 Ultimo di una serie iniziata il 4 luglio 1999. 656 Patterns of global terrorism 2001. 657 usinfo.state.gov/topical/plo/terror/01100513.htm (U.S. Department of State) 658 Gruppi che conducono attività di terrorismo internazionale e minacciano gli interessi degli Stati Uniti (PGT2001) 659 Veggasi capitolo sui gruppi terroristici. 660 The Economist

203

Nel frattempo, il 14 settembre 2001, è stato costituito il Terrorist Asset Tracking Center, per coordinare gli sforzi di varie agenzie tesi a colpire finanziariamente le reti terroristiche661. Nel successivo mese di ottobre, il Dipartimento del Tesoro USA ha lanciato l’operazione Greenquest, consistente in un’iniziativa multi agency contro le fonti del finanziamento al terrorismo662.

661 http://www.businessweek.com Businessweek on line, October, 2001 662 http://www.whitehouse.gov/deptofhomeland/sect8.html

204

Direttore generale del Tesoro osuo delegato

Designato da Ministro

dell’Interno

Designato da Ministro della

Giustizia

Designato da Ministrodegli Affari esteri

Designato da Bancad’Italia

Designato da Ufficio

Italiano Cambi

Dirigente di Ministero

Economia e Finanze

Ufficiale della Guardia

di finanza

COMITATO DI SICUREZZA FINANZIARIA

Designato dalla Consob

Rappresentante della DNA

Ufficiale deiCarabinieri

Funzionario o ufficiale della DIA

In deroga al segreto d’ufficio, tutti iprovvedimenti di irrogazione di sanzioni peromissioni o ritardi nell’adempimento all’obbligodi comunicazione al Ministero dell’Economia edelle Finanze – Dipartimento del Tesoro,dell’entità dei capitali e delle altre risorsefinanziarie oggetto di congelamento.

In deroga al segreto d’ufficio, tutti i provvedimenti diirrogazione di sanzioni previste dal D.L. 28/9/2001,convertito in L. 27/11/2001, n. 415 (disposizionisanzionatorie…nei confronti …dei Talibani) per violazionedi disposizioni previste dal Reg. 467/2001: - art. 2: congelamenti di capitali e risorse finanziarie e

divieto di messa a disposizione di fondi o altre risorsefinanziarie;

- art. 4 e 5: divieti di fornitura di anidride acetica econsulenza militare;

- art. 6 e 7: divieti relativi ai voli e chiusura uffici; - art. 8: divieto di partecipazione ad attività collegate a quelle

di cui agli artt. 2, 4, 5, 6, 7;

In deroga al segreto d’ufficio, tutti iprovvedimenti di irrogazione di sanzionipreviste dal D.L. 28/9/2001, convertito in L.27/11/2001, n. 415 (disposizionisanzionatorie…nei confronti …dei Talibani) perviolazione dell’obbligo di comunicazione aMinistero dell’Economia e delle Finanze eMinistero delle attività produttive, dell’entità deicapitali e delle altre risorse finanziarie oggettodi congelamento.

In deroga al segreto d’ufficio, tutti i provvedimentidi irrogazione di sanzioni per violazioni di: - divieti di esportazione di beni e servizi; - disposizioni recanti il congelamento di capitali ed

altre risorse finanziarie, contenuti in regolamenti del Consiglio UE, anche in attuazione di risoluzioni del CSNU.

Prospetto 22

OBIETTIVO: Ottemperare agli obblighi internazionali assunti dall’Italia nella strategia di contrasto alle attività connesse al terrorismo internazionale e rafforzare l’attività di contrasto nelle materie oggetto del decreto stesso (decreto recante misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale, del 12/10/2001, convertito L. 431 del 14/12/2001). COLLOCAZIONE ISTITUZIONALE: Ministero dell’Economia e delle Finanze DURATA: 1 anno (che scade nell’ottobre 2002), prorogabile con DPCM. Sono previste immediate modifiche all’ordinamento interno della Guardia di finanza, che si sono concretizzate nella creazione, in seno al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria del Gruppo Antiriciclaggio Internazionale

205

C.S.F.

Ministero dell’Interno

Direzione investigativa

antimafia

Direzione nazionale antimafia

Consob

Ufficio italiano cambi

Banca d’Italia

Ministero degli Affari

Esteri

Ministero della Giustizia

Ministero dell’Economia e delle Finanze

Carabinieri

Guardia difinanza

Informazioni riconducibili alle competenze del CSF, in deroga al segreto d’ufficio

Autorità giudiziaria

Ogni informazione ritenuta utile ai fini del decreto istitutivo del CSF

Pubbliche amministrazioni

Dati ed informazioni, già acquisiti inbase alla normativa antiriciclaggio,usura e sugli intermediarifinanziari.

Tipologie di dati einformazioni individuate dal CSF,d’intesa con laBanca d’Italia

esiti degliaccertamenti richiesti

Ufficio Italiano Cambi

Nucleo speciale di polizia valutaria della

Guardia di finanza

Guardia di finanza

dati ed informazioni

Cesis Sismi Sisde

Collegamenti con analoghi

organismi internazionali

Consob

richieste di accertamenti

Richieste di attività

informative

esito delle attività

informative richieste

COMITATO DI SICUREZZA FINANZIARIA Prospetto 23

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9 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE, RIFLESSIONI E PROPOSTE Il percorso seguito in questa analisi, come anticipato nell’introduzione, è partito dalla descrizione delle basilari caratteristiche e peculiarità del mondo islamico per giungere progressivamente ad affrontare distorsioni e patologie di quel sistema, che si concretizzano anche nel sostegno delle istanze più radicali e violente. E’ ora il momento di trarre le conclusioni di questa lunga analisi e di formulare le conseguenti proposte. 9.1 LA COMUNITA’ ISLAMICA IN ITALIA: UNITA’, INTEGRAZIONE,

AUTONOMIA, DISSOCIAZIONE. Da quanto sin qui esaminato, sembra emergere una strategia terroristica che passa per lo sfruttamento e l’ “inquinamento” di quella che è stata definita l’ “atmosfera islamica”, che altrimenti potrebbe essere considerata semplicemente una legittima aspirazione dei musulmani ad alimentare una propria identità culturale e religiosa. Questo scenario rende complesso scindere il momento del legittimo sostegno religioso e sociale dal momento in cui si realizza la devianza che canalizza risorse a vantaggio del terrorismo. Questa capacità di penetrazione dell’estremismo religioso è enfatizzata peraltro dal fatto che anche le suddette dinamiche di legittimo sostegno dell’ “atmosfera islamica”si sviluppano in un ambiente fatto spesso di marcato disagio economico e sociale, in cui xenofobia, difficoltà di confronto culturale, disgregazione dei valori familiari, disoccupazione – accentuata dall’evoluzione delle economie occidentali verso il settore terziario - generano un forte senso di alienazione verso la società occidentale ospitante. D’altra parte, proprio il flusso di risorse proveniente dai più ricchi Paesi musulmani, finalizzato ad alimentare la predetta “atmosfera islamica”, può essere annoverato tra i fattori alienanti, in quanto agevola la costituzione di comunità separate rispetto al contesto in cui sono inserite e dipendenti da istanze esterne. Questa situazione di precario equilibrio (se di equilibrio si vuol parlare) in alcuni casi può essere facilmente esasperata tramite la strumentale introduzione ed estremizzazione del fattore religioso. Tale strategia, peraltro, trova terreno particolarmente fertile in una realtà, come quella islamica, in cui la religione è avvolgente rispetto a tutti gli altri aspetti dell’esistenza. Queste considerazioni introduttive impongono qualche preliminare riflessione proprio sugli aspetti religiosi e sociali. Nel percorrere l’opzione del dialogo è fondamentale la scelta degli interlocutori. Appare evidente che rivolgersi ai rappresentanti – più o meno dichiarati – delle istanze estreme e violente, potrebbe essere non solo inutile (visto il congenito rifiuto del dialogo da parte delle stesse), ma addirittura controproducente. Tale scelta, infatti, non farebbe altro che fornire ai terroristi legittimazione anche all’interno del mondo musulmano. Sembra obbligata, invece, una strategia di dialogo selettivo che si rivolga ad una comunità

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islamica che si dissoci apertamente e profondamente dall’uso di qualsiasi forma di violenza; una comunità che, nella disputa che agita il mondo arabo tra un’interpretazione bellicosa della Jihad (Jihad al qital) ed un’accezione della stessa quale sforzo interiore del fedele per migliorare se stesso ed avvicinarsi a Dio (Jihad al nafs), scelga quest’ultima strada664. Per intraprendere questa strada serve però una comunità islamica italiana unitaria ed autonoma rispetto ad influenze ed infiltrazioni strumentali esterne. Lo stato di alienazione e frammentazione precedentemente delineato induce ad una prima conclusione: per dare inizio ad un processo dialettico (indipendentemente dalla posizione più o meno intransigente che in tale ambito si voglia assumere) è necessario propugnare la costituzione di un idoneo interlocutore. Serve, in altre parole, una controparte che persegua un “proprio interesse all’integrazione” e non interessi esogeni, chiaramente orientati a mantenere un’alienazione che perpetua le possibilità di strumentalizzazione esterna. Senza questa unitarietà ed autonomia (che non significa distacco rispetto alle proprie origini culturali) l’Italia continuerà ad essere popolata da gruppi scollegati di immigrati (più o meno regolari) che continueranno a vedere gli attacchi alla civiltà che ciononostante li ospita, come aggressioni ad un soggetto estraneo e che seguiteranno perciò a cercare altrove solidarietà, ispirazione, “soddisfazione”, legami. Una volta che tale interlocutore “rappresentativo ed interessato” sarà cresciuto, si avrà allora un nuovo ed unico polo di assorbimento delle istanze della comunità musulmana, in contrapposizione ai precedenti “sostenitori” delle istanze anche più estreme. Questa nuova entità potrà quindi dissociarsi effettivamente dal terrorismo e dai poteri ed interessi esterni che lo alimentano, contribuendo auspicabilmente al contrasto dei medesimi. Ecco allora che le richieste di dissociazione dalla politica e dalla società civile italiana dovranno essere recepite e tradotte in effettivo distacco. In altre parole, l’obiettivo di questo passaggio non è quello di favorire solo l’integrazione, ma anche la creazione di uno polo di responsabilità da cui pretendere “orientamento e controllo” della parte sana della comunità di riferimento e conseguentemente “esplicita” dissociazione dalle componenti patologiche. L’attuale stato di frammentazione del mondo islamico – anche con riferimento ai vari gruppi immigrati in occidente – potrebbe peraltro essere una situazione scientemente mantenuta, in quanto non consente di individuare il soggetto da cui pretendere oggi la suddetta dissociazione, non solo personale ma anche della comunità rappresentata. D’altra parte, in assenza di un fronte compatto, i singoli soggetti che dovessero schierarsi apertamente contro le istanze estremiste, si esporrebbero a quantomeno probabili “condanne a morte” per apostasia provenienti da tali componenti violente; non sembra che la strada dell’eroismo individuale possa portare ad una qualche soluzione665. La proliferazione di iman e gruppi islamici tra loro scollegati, l’assenza di un tessuto connettivo che costituisca filtro rispetto all’introduzione di messaggi (e portatori di

664 La distinzione tra le due interpretazioni di Jihad è tratta da Magdi Allam (2002). Di fatto, secondo questo autore, in Italia si sarebbe affermata la tesi della Jihad al qital. 665 Non va sottaciuto, d’altra parte, il rischio a cui si esporrebbe qualunque autorità “moderata” nel dissociarsi dagli esponenti più radicali.

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messaggi) estremisti agevola pericolose infiltrazioni che sfruttano spazi creati dal disagio sociale ed economico di cui soffrono gli immigrati musulmani. L’assenza di punti di riferimento interni (che sarebbero i leader di questa prospettata comunità unitaria e integrata) genera una evidente permeabilità rispetto ad istanze esterne di ogni genere. Come si è visto, nella religione musulmana non è prevista la presenza di un vero è proprio clero “centralizzato”: questo non toglie che una comunità unitaria (strutturata, ad esempio, su stabili moschee piuttosto che su anonime e mobili sale di preghiera) ed i suoi leader possano essere in grado di orientare la funzione di “guida spirituale”, individuare soggetti proclivi a predicazioni che non rispondono all’esigenza dell’integrazione, della pace sociale e religiosa, impedendo quindi qualsiasi commistione con i proselitismi più radicali. 9.2 ALLA RICERCA DI NUOVI EQUILIBRI MONDIALI Prima di passare alle conclusioni direttamente riguardanti lo scopo ultimo di questo rapporto di analisi strategica (il contrasto del finanziamento al terrorismo) , vale la pena soffermarsi brevemente su alcune considerazione di carattere geo-politico-economico. Nel corso dell’esame condotto nei capitoli che precedono, è emerso il ruolo che sembrano aver avuto le enormi masse finanziarie mosse dai più ricchi Paesi musulmani. In particolare, si è fatto riferimento alla centrale posizione assunta dall’Arabia Saudita, nel mercato dell’offerta petrolifera, in conseguenza anche del decennale embargo ai danni dell’Iraq666. Questa enorme disponibilità di risorse, accompagnata dall’aspirazione panislamica, avrebbe contribuito all’alimentazione dell’ “atmosfera islamica” in occidente. Senza voler entrare nel merito della consapevolezza o meno del sistema o di singoli comparti circa le distorsioni del meccanismo, vale la pena evidenziare che difficilmente la politica dell’Arabia Saudita (come quella di altri Paesi in una simile posizione) avrebbe potuto essere efficacemente influenzata; il monopolio medio orientale nel mercato delle risorse energetiche si traduce nell’impossibilità di bloccare il flusso di risorse economiche diretto a quell’area e nell’estrema difficoltà di impedire “comportamenti” interni ed internazionali pericolosi per l’equilibrio mondiale. Per acquisire strumenti di pressione, in sostanza, è necessario andare verso l’erosione di questo monopolio. In tale ottica, si è parlato della politica occidentale in Asia centrale, sede di rilevantissime risorse energetiche che in futuro potranno competere e ridimensionare gli attualmente “insostituibili” idrocarburi mediorientali. E’ importante, però, che l’afflusso di risorse finanziarie in Asia centrale sia accompagnato da uno sviluppo economico e sociale, senza il quale si potrebbero ricreare in quest’area pericolose tensioni, che, ancora una volta, potrebbero essere sfruttate dal fondamentalismo islamico. Basti pensare ai già accennati rischi di radicalizzazione di formazioni come Hizb al-Tahrir al-Islami667, nonché alla minaccia terroristica già rappresentata dal Movimento Islamico dell’Uzbekistan. 666 Questo tema è stato affrontato anche nel paragrafo dedicato all’Arabia Saudita, nel capitolo 3. 667 A tal proposito, si veda anche il paragrafo sull’evoluzione degli equilibri in Asia centrale, nel capitolo 3.

209

Alle considerazioni che precedono bisogna aggiungere la prospettiva dell’ulteriore ridimensionamento dell’importanza del petrolio mediorientale (e di questa risorsa in generale) che sarà determinata dallo sviluppo dello sfruttamento energetico dell’idrogeno. Il passaggio dal vigente assetto monopolistico (o comunque oligopolistico) ad un regime di disponibilità diffusa dell’energia, rivoluzionerà i meccanismi di ricerca delle alleanze geo-politico-economiche e condurrà a nuovi equilibri mondiali. 9.3 PROBLEMATICHE APPLICATIVE DEGLI STRUMENTI NORMATIVI

VIGENTI Sulla base della complessiva situazione normativa delineata nel capitolo 8, può essere ora utile esprime qualche considerazione conclusiva in merito alle specifiche misure che possono avere come oggetto le disponibilità finanziarie ed economiche del terrorismo internazionale.

9.3.1 ESTENSIONE DELLE MISURE PATRIMONIALI ANTIMAFIA AL TERRORISMO INTERNAZIONALE

Con l’introduzione dell’articolo 270 bis del codice penale la fattispecie del delitto di terrorismo internazionale è stata compiutamente ed adeguatamente delineata e l’attività di polizia giudiziaria può essere svolta in piena aderenza alle caratteristiche del fenomeno da combattere. Agli ordinari strumenti di prevenzione e repressione, il legislatore italiano ha voluto inoltre aggiungere (L.438/2001) l’estensione delle misure patrimoniali antimafia. A tal proposito, il percorso normativo che consente l’allargamento dell’applicazione di queste misure antimafia si articola come segue: legge 152/1975 estende le misure patrimoniali antimafia anche a coloro che

operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti obiettivamente rilevanti diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato ...; la legge 438/2001 opera un’ulteriore estensione a coloro che operanti in gruppi o

isolatamente, pongano in essere atti obiettivamente rilevanti diretti alla commissione di reati con finalità di terrorismo anche internazionale; i reati con finalità di terrorismo anche internazionale comprendono quelli previsti

dal nuovo articolo 270 bis del codice penale, tra i quali figura la promozione, costituzione, organizzazione, direzione, finanziamento di e la partecipazione ad associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo, anche quando tali atti sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale.

Ne consegue che le misure patrimoniali antimafia sarebbero pienamente applicabili anche per il contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale.

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La domanda da porsi, a questo punto, riguarda l’idoneità di queste ultime misure - tradizionalmente congeniate per il fenomeno dell’associazione mafiosa - con riferimento al settore qui in esame. Nonostante l’“incoraggiante” ricostruzione del quadro sistematico che precede, si ritiene opportuno evidenziare i seguenti aspetti, alcuni dei quali problematici, che rilevano per la piena efficacia e concreta applicabilità dello strumento: i soggetti che possono proporre l’avvio delle cosiddette “indagini patrimoniali”

sono il procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel cui circondario dimora la persona ed il questore. Il riferimento al luogo di dimora - che trova origine nelle caratteristiche del fenomeno mafioso – potrebbe già rappresentare, nel nuovo contesto, un elemento di criticità attesa la presumibile maggiore mobilità - e, comunque, la presumibile assenza di radici in specifici contesti territoriali italiani - dei soggetti espressione del terrorismo internazionale. Tale perplessità potrebbe essere superata, almeno in parte, ove si consideri che la stessa legge prevede che, in caso di assenza, residenza o dimora all’estero della persona, il procedimento di prevenzione può essere proseguito, o iniziato, su proposta del procuratore della Repubblica o del questore competente per il luogo dell’ultima dimora; per quanto attiene all’oggetto della misura di prevenzione, esso sembra avere

un’idonea estensione, in quanto le indagini patrimoniali, cui si procede anche a mezzo della Guardia di finanza o della polizia giudiziaria, riguardano il tenore di vita, le disponibilità finanziarie, il patrimonio e l’attività economica, con la finalità ultima di individuare le fonti di reddito. Da notare, poi, che tali indagini, oltre a riguardare il “terrorista” vengono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con il medesimo, nonché le persone fisiche, giuridiche, società, consorzi o associazioni del cui patrimonio esso risulta poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente. Nell’effettuazione di tali indagini, può essere richiesto - ad ogni ufficio della pubblica amministrazione, ad ogni ente creditizio, nonché alle imprese, società ed enti – ogni tipo di informazione e copia di documentazione ritenute utili; come già visto, nell’individuare chi può essere soggetto alla misure di

prevenzione patrimoniale, la legge 152/1975 cita “coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale”668. Nasce, qui, un’altra perplessità: mentre con riferimento all’associazione mafiosa sono sufficienti indizi di appartenenza (il cui contenuto probatorio è inferiore rispetto alle prove dirette, anche se superiore a quello di semplici sospetti), tale specificazione non viene riportata nel caso del terrorismo anche internazionale e perciò non è chiaro se anche in questo caso sarebbero sufficienti indizi o sospetti (di aver posto in essere atti ecc.) oppure se sono richieste evidenze più pregnanti (fondati sospetti, prove?) per finire, deve essere esaminato il contenuto effettivo della misura di

prevenzione. Esso consiste nel sequestro dei beni di cui la persona risulta poter 668 A tali soggetti devono, poi, essere aggiunti istigatori, mandanti e finanziatori.

211

disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Con l’applicazione della misura di prevenzione, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza. Se ne trae un’importante considerazione: il motivo ultimo dell’applicazione della misura di prevenzione è la provenienza (illecita) del patrimonio. Nel contrasto al finanziamento al terrorismo, invece, ciò che conta è la destinazione (illecita) del patrimonio (che servirebbe a finanziare la commissione di atti terroristici). Si può verificare l’ipotesi che i flussi finanziari convogliati sul terrorismo abbiano una provenienza lecita, il che renderebbe improprio l’applicazione della misura di prevenzione669. A ciò si aggiunga che, comunque, per l’applicazione della stessa è necessario dimostrare la suddetta sproporzione o avere i predetti “sufficienti indizi”

In definitiva, l’estensione dell’applicazione delle misure patrimoniali “antimafia”, così come formulata, sembra presentare problematiche che potrebbero impedire alla medesima di esplicare appieno le proprie potenzialità. Potrebbe, quindi, risultare utile qualche correttivo legislativo (ispirato alle considerazioni che precedono) che renda lo strumento pienamente aderente al fenomeno da contrastare.

669 Per questo motivo, al fine di permettere all’Ufficio Italiano Cambi ed al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria di utilizzare anche per il contrato del finanziamento al terrorismo le attribuzioni previste dalle disposizioni vigenti per la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, è stata necessaria un’esplicita previsione normativa (DL 22 febbraio 2002, n.12, convertito con Legge 23 aprile 2002, n. 73) Tali attribuzioni, originariamente previste dalla Legge 197/91, attengono sostanzialmente all’approfondimento delle segnalazioni per operazioni sospette.

212

9.3.2 IL CONGELAMENTO DELLE RISORSE FINANZIARIE ED ECONOMICHE Lo strumento di contrasto al finanziamento al terrorismo più in voga appare senza dubbio il congelamento delle risorse finanziarie ed economiche, ex regolamenti 2580/2001 e 881/2002. L’estrema rilevanza di questo strumento è direttamente proporzionale al carattere internazionale della rete terroristica. La percezione della sua utilità è legata alla consapevolezza che il terrorismo internazionale non è un problema “interno” di singoli Stati, ma una minaccia che incombe su tutta la Comunità internazionale. Per questa ragione, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, a livello mondiale, e l’Unione Europea – per quanto più direttamente ci riguarda – hanno assunto il ruolo di sedi naturali da cui muove la comune azione di contrasto. L’importanza dello strumento del congelamento sta proprio nell’automatico e simultaneo blocco delle disponibilità di un soggetto sospettato di terrorismo internazionale in tutta l’Unione Europea, senza ulteriori formalità che non siano l’inserimento del nominativo nelle liste allegate ai due regolamenti670. In definitiva, quindi, queste misure più che un nuovo mezzo di aggressione patrimoniale (che potrebbe essere attuato anche con altri strumenti) sono potenti mezzi di rapida cooperazione internazionale671. Concentrandosi, invece, sulla valenza interna di una proposta italiana di inserimento di un soggetto nelle liste di congelamento (specialmente per il caso del regolamento 2580/2001, più dettagliatamente disciplinato) va sottolineato ancora che questa forma di temporaneo blocco preventivo672 - oltre a richiedere solo l’inizio di un’indagine da parte di una qualsiasi procura della Repubblica673, basata su indizi seri e credibili - non è legata alla dimostrazione della provenienza illecita, ma attacca immediatamente tutti i capitali del soggetto, valutando che essi possano essere destinati a finalità di terrorismo. Vanno considerate, tuttavia, anche per il congelamento, alcune problematiche tuttora persistenti e di non poco momento, come ad esempio:

il background giuridico completamente diverso in cui nasce lo strumento del freezing e cioè il sistema del Common Law anglosassone, nel quale provvedimenti del genere sembrano adattarsi meglio, a differenza di altri sistemi giuridici, come il nostro, caratterizzati da diverso rigore formale674;

670 In buona sostanza, ad esempio, ove la Francia, sulla base degli elementi a propria disposizione, ritenga di proporre l’inserimento in lista di un soggetto, in caso di approvazione da parte del Consiglio dell’Unione Europea (nel caso del Reg. 2580/2001), l’Italia dovrà provvedere automaticamente al congelamento. Successivamente potranno essere messe in moto le procedure per provvedimenti di formale cooperazione giudiziaria. 671 In altre parole, l’estrema utilità dello strumento del congelamento emerge chiaramente in caso di proposte di inserimento di soggetti da parte di altri Stati membri (soggetti nei cui confronti, quindi, l’Autorità giudiziaria italiana non sta assumendo provvedimenti) oppure ove si voglia pervenire al rapido allargamento agli altri Stati membri dell’aggressione patrimoniale iniziata in Italia. 672 Cui possono seguire altre forme di intervento giudiziario (sequestro e confisca), aventi anche carattere definitivo. 673 Non è necessario incardinare il procedimento in relazione al luogo di dimora, come nel caso delle misure patrimoniali antimafia. 674 Questo aspetto è stato probabilmente sottovalutato o trascurato all’inizio perché nel pieno dell’emergenza si è pensato soprattutto a contrastare in qualunque modo la minaccia terroristica, colpendola anche nelle sue fonti di sostentamento

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le persistenti lacune su come procedere al congelamento di risorse economiche, per sanare le quali pare imprescindibile ricorrere a fonte normativa primaria che disciplini chiaramente:

o autorità competenti e relative procedure, già tratteggiate piuttosto bene dai regolamenti comunitari per quanto riguarda i congelamenti finanziari, non altrettanto per quelli economici;

o modalità di congelamento di certi “beni complessi”, come ad esempio le aziende675;

elencando inoltre, tassativamente, tutti i beni astrattamente assoggettabili a congelamento e i rispettivi organi centrali competenti; più in generale, la mancanza di riferimenti normativi interni che tipizzino un

provvedimento che incide, eccome, sulla sfera giuridica dei destinatari. Al riguardo è bene sottolineare che, se per un verso è vero che i regolamenti comunitari sono direttamente applicabili nel nostro ambito, d’altro canto del “congelamento” non è stata ancora definita natura e durata. La conseguenza è che:

o Le procedure applicative nazionali sono caratterizzate da insolita informalità676;

o di conseguenza, i destinatari sono quasi del tutto privi di tutela. Infatti, non potendo impugnare provvedimenti formali veri e propri, per ora, non resta che appellarsi alla Corte di Giustizia Europea eccependo l’inserimento del proprio nominativo in una delle liste allegate ai suddetti regolamenti.

Riguardo alla natura del congelamento, è da escludere che si tratti di un provvedimento giudiziario, in quanto solo i presupposti riguardano essenzialmente attività dell’A.G., ma la fase applicativa è invece demandata ad autorità amministrative. Per contro, non può definirsi provvedimento amministrativo in senso stretto per via delle carenze formali sopra accennate. Serve quindi una definizione più complessa che collida il meno possibile con i limiti suddetti e che, al contempo, dia un senso alle finalità dello strumento in rassegna: si potrebbe, in ultima analisi, considerare il congelamento come un provvedimento di natura cautelare (e quindi di durata provvisoria) supplementare o alternativo al sequestro giudiziario e comunque prodromico a sequestri e confische definitive, una volta che da quegli indizi seri e credibili – ancorché maturati in altri Stati – siano scaturite attività di cooperazione giudiziaria ovvero procedimenti penali che portino a provvedimenti definitivi.

675 Per il congelamento di aziende, fonte di ispirazione per le modalità applicative potrebbe essere la normativa antimafia 676 Per quanto riguarda gli oneri di formalizzazione, un sistema rigoroso come il nostro dovrebbe certamente sforzarsi di introdurre previsioni di legge chiare in ordine a natura, durata, ambito di applicazione del congelamento nonché le modalità applicative e le relative autorità competenti, o meglio, obbligate a farlo.

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9.4 LINEE STRATEGICHE DELLA GUARDIA DI FINANZA PER IL

CONTRASTO DEL FINANZIAMENTO AL TERRORISMO DI MATRICE ISLAMICA

Nel corso dell’analisi, sono stati delineati i possibili schemi di finanziamento seguiti dal terrorismo internazionale, evidenziando il ruolo che possono ricoprire società produttive o NGO, nonché la centralità dei fondi rivenienti dalla zakat o da altre forme di supporto di quella che è stata definita l’atmosfera islamica. Come anticipato nell’introduzione, il percorso seguito nel presente lavoro è stato strumentale a focalizzare l’attenzione sulla tematica del finanziamento al terrorismo contestualizzando la medesima rispetto alla cultura ed alla storia musulmana, all’assetto geopolitico di certe aree del globo, alla presenza ed alla strutturazione in Italia delle componenti islamiche, al sistema finanziario coerente alla shari’a e, infine, alle caratteristiche generali della costellazione del terrorismo islamico. Tale impostazione dell’analisi è orientata alla comprensione di una parte (il finanziamento del terrorismo) dell’universo problematico da fronteggiare, avendo però a disposizione fondamentali chiavi di lettura che solo la conoscenza del più ampio contesto di riferimento può fornire. La focalizzazione sul tema del finanziamento è naturale, viste le peculiarità della Guardia di finanza, in quanto polizia economico-finanziaria. Si è però voluto evitare l’errore di voler attaccare il “nemico” senza aver un preciso obiettivo, che può nascere solo dalla conoscenza complessiva delle caratteristiche, della struttura, dei significati che orientano, delle dinamiche, dei target globali del “nemico” medesimo. Questo sforzo di contestualizzazione non è stato utile solo per la stesura di queste conclusioni, ma costituirà il primo sostanziale passo per lo sviluppo di una conoscenza che orienterà il concreto evolversi delle attività info-operative della Guardia di finanza. Punto di partenza delle considerazioni che seguono è lo schema piramidale - già illustrato nei capitoli che precedono – seguito dall’odierno “supporto pubblico” al terrorismo islamico internazionale. Si era definito, in sintesi, lo schema come rappresentativo, alla base, dei primi destinatari “leciti” (o apparentemente tali) delle varie forme di finanziamento dell’ “atmosfera islamica” e, alla punta della piramide, dei gruppi terroristici. Obiettivo centrale dell’analisi, dunque, sono i flussi e le osmosi che muovono all’interno della piramide, dalla base alla punta delle stessa. A quanto già evidenziato, è necessario aggiungere una premessa introduttiva di una prospettiva geografica, che si sostanzia nella distinzione tra l’area dei Paesi dai quali ci si può aspettare un’effettiva cooperazione giudiziaria e quella dei Paesi con cui tale cooperazione non è altrettanto plausibile e sostanziale. Questa bipartizione è essenziale nell’elaborazione della strategia da seguire: impostare un’azione che presuppone, per il proprio successo, un improbabile buon fine di attività ad

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esempio rogatoriali non significherebbe altro che intraprendere un’attività della quale si potrà giustificare l’insuccesso (motivato appunto dalla mancanza di cooperazione internazionale). Questo non significa assolutamente che non bisogna perseguire ipotesi di reato di tale natura, ma nel momento in cui si tratta di decidere dove e come concentrare le risorse investigative del Corpo è necessario innanzitutto porsi l’obiettivo di un impiego efficace delle stesse, nel senso di un impiego che massimizzi la probabilità di successo delle indagini intraprese. Un primo scenario ipotizzabile è quello sopra schematizzato, in cui le risorse hanno origine in Paesi “non cooperativi”, sotto forma di raccolta zakat o altri tipi di beneficenza e, con l’intermediazione o meno di gruppi di potere (ad esempio, gli amministratori della stessa zakat) le stesse affluiscono ad organizzazioni caritatevoli o di mutua assistenza che operano in Italia o comunque nell’area dei Paesi “cooperativi” (ad esempio, Paesi dell’Unione Europea). Si è nel caso dell’alimentazione di una base della piramide già situata nel nostro Paese. Ne consegue che il passaggio dalla base alla punta della piramide – cioè lo sviluppo di quelle dinamiche che fanno affluire parte delle risorse al sostegno dei gruppi terroristici - avviene interamente nella sfera d’azione della Guardia di Finanza o di collaterali esteri con cui possono essere allacciati proficui rapporti di collaborazione. E’ questo processo di diversione delle risorse (o di canalizzazione programmata delle stesse) che si ritiene debba costituire l’obiettivo prioritario del Corpo. Possono sorgere difficoltà ove si intenda approfondire l’attività investigativa a proposito dell’origine dei fondi – in pratica per verificare l’intenzionalità o meno circa la finale destinazione delle risorse - in quanto sarebbe necessaria la collaborazione di Paesi che definiamo, in questo scenario, “non cooperativi”; questo, però, è un problema che può essere affrontato in seconda battuta e non impedisce di colpire le attività svolte nell’area dei Paesi “cooperativi”677. Simili opportunità ed ostacoli sorgono nell’ipotesi in cui i finanziamenti affluiscano direttamente alle cellule terroristiche, che magari operano sotto la coperta di organizzazioni produttive (che è plausibile abbiano rapporti economici con l’estero).

677 Non si estirpano le radici, ma si tagliano almeno i rami. Esula dall’orizzonte di questa analisi e della Guardia di finanza, l’ulteriore azione che potrebbe essere rivolta a far divenire cooperativi Paesi che attualmente non lo sono.

Area dei Paesi cooperativi

Area dei Paesi non cooperativi

Fonti di finanziamento

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Ancora più completa è la possibilità di contrasto ove le fonti di finanziamento abbiano origine nell’ambito del circuito dei Paesi “cooperativi” ed il percorso dalla base alla punta della piramide (rappresentativa dei gruppi terroristici) rimanga interamente nel medesimo circuito. Ferma restando la necessità di accertare eventuali (probabili) regie esterne, questo micro-circuito (dalla fonte alla destinazione) può essere completamente sterilizzato. Ovviamente, potranno essere disarticolati anche meccanismi di alimentazione diretta dei gruppi terroristici. Può essere il caso di un sistema bancario informale che, in Italia, raccolga denaro da immigrati musulmani e destini il frutto delle commissioni applicate a sostenere cellule presenti nel nostro Paese o nell’Unione Europea. Un diverso scenario, speculare al primo, si presenta ove la “raccolta finanziaria” venga realizzata in Italia – o, in genere, in occidente – e vada ad alimentare la base di una piramide che si sviluppa nel circuito dei Paesi “non cooperativi”. In questo caso, l’azione investigativa tesa a colpire queste fonti incontra l’ostacolo della necessità di collaborazione da acquisire tramite attività ad esempio rogatoriali, per verificare l’effettiva destinazione dei fondi. Possono essere autonomamente perseguite solo ipotesi, ad esempio, di abusivismo finanziario. Simili problematiche si presentano ove i fondi affluiscano direttamente ai gruppi terroristici, operanti sotto la copertura, ad esempio, di organizzazioni produttive che giustifichino il movimento di denaro. Anche queste piste investigative devono essere battute, ma con la consapevolezza che il successo delle indagini circa l’ipotesi del finanziamento del terrorismo internazionale è pesantemente influenzato da un fattore esterno difficilmente controllabile (la collaborazione dei Paesi di destinazione del flusso di finanziamento al terrorismo).

Area dei Paesi cooperativi

Fonti di finanziamento

Area dei Paesi cooperativi Area dei Paesi non cooperativi

Fonti di finanziamento

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Un’ultima ipotesi contempla la possibilità che raccolta e destinazione - diretta o indiretta (tramite NGO) – si sviluppino completamente nell’area dei Paesi non cooperativi e, comunque, non passi per l’Italia. Dal punto di vista del contrasto al finanziamento internazionale, questo scenario non assume un’immediata rilevanza strategica per il Corpo. In questo caso, la problematica si sposta sul piano “militare”, nella misura in cui questi gruppi terroristici stanziati e alimentati all’estero, intendano organizzare attentati in Italia. In definitiva, l’azione della Guardia di Finanza in quanto Corpo di polizia a competenza specialistica nel settore economico e finanziario, dovrebbe essere concentrata su questo obiettivo di sintesi: “Individuare e disarticolare i meccanismi di passaggio di risorse finanziarie/economiche dalle attività socio-economiche prime destinatarie ai gruppi terroristici”. In particolare, dovrebbero essere analizzate le transazioni economico/finanziarie che vengono realizzate in Italia, nell’Unione Europea (o in altri Paesi “cooperativi”) e che presumibilmente transitano per un complesso sistema di società produttive o NGO apparentemente legali o effettivamente legali ma strumentalizzate. Il principale problema per le investigazioni può risiedere nella totale apparente legalità delle transazioni effettuate, che assumono una veste completamente differente solo ove venga considerato il fine: il supporto dei gruppi terroristici internazionali. Questa evidente difficoltà rende vani gli sforzi investigativi che mirano a perlustrare la direzione dalla base alla punta della piramide. E’ necessario, invece, percorrere il senso contrario, partendo dalla conoscenza o, comunque, da certe ipotesi circa la composizione e l’attività operativa dei gruppi terroristici. Così facendo si disporrà della giusta chiave di lettura per interpretare il significato di specifiche transazioni, per individuare società o NGO (oppure singoli membri delle stesse) collegati, per scoprire attraverso questa nuova consapevolezza ulteriori ramificazioni dell’organizzazione criminale e raccogliere prove per sostenere le ipotesi investigative già formulate.

Si profila quindi una necessaria e specifica strategia di coordinamento delle attività (e delle competenze) delle Forze di polizia. La Polizia di Stato ed i Carabinieri potrebbero continuare a concentrarsi sull’attività dei nuclei operativi dei gruppi terroristici, lasciando alla Guardia di Finanza

Area dei Paesi non cooperativi

Fonti di finanziamento

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l’approfondimento dei collegamenti con attività produttive o NGO, visti i poteri ed il know-how che contraddistinguono la medesima, in quanto polizia economico finanziaria. Seguendo la stessa logica, dovrebbe anche essere ristrutturato e rafforzato il flusso informativo con i servizi per l’informazione e la sicurezza. D’altra parte, riconoscendo la necessità di sviluppare sinergie nel settore, il Comitato per la ricerca informativa sulle attività finanziarie, istituito all’interno del Cesis, tuttora agisce d’intesa con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.

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10 GLOSSARIO Akhbari; sostenitori dell’osservanza letterale del Corano e della Sunna, nell’ambito dello sciismo duodecimano, affermatosi nell’area iranica già al tempo dell’impero safavide; cap. 2 Al Gama’a al Islamiyya; gruppo terroristico; cap. 6 Al-Qaida; gruppo terroristico; cap. 6 Allàh; il Dio; cap. 1 Amil; amministratori della zakat); cap. 1 Ansar; convertiti medinesi; cap. 2 Arkan al-islam; i cinque pilastri dell’osservanza religiosa islamica; cap. 1 Asnaf; destinatari della zakat (suddivisibili in otto categorie); cap. 1 Ayat; i versetti del Corano; cap. 1 Baath; partito arabo ispirato al socialismo; cap. 3 Batin; senso esoterico delle dottrine islamiche, che assume centralità tra gli ismailiti; cap. 1 Bay’al-istisna; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico; cap. 5 Bay’ al-salam; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico; cap. 5 Bay’ mu’aggal; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico; cap. 5 Califfo; successore – vicario del Profeta; cap. 2 Chaban; ottavo mese dell’anno musulmano; cap. 1 CICI; Centro Islamico Culturale d’Italia; cap. 4 CIML; Centro Islamico di Milano e Lombardia; cap. 4 Dar al-Islam; spazio in cui regna la fede in Dio/ecumene islamica (Casa dell’Islam); cap. 1 Dar al-harb; spazio in cui regna la guerra (ribellione a Dio); cap. 1 Dawla; concetto di Stato contrapponibile a quello di din; cap. 6

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Dhikr; cerimonia, tipica del sufismo, attraverso la quale i fedeli cercano di intensificare la consapevolezza della presenza in se stessi di Dio; cap. 1 Dhul-hijia; dodicesimo mese dell’anno musulmano. E’ il mese del pellegrinaggio alla Mecca; cap. 1 Dhul-Qa’da; undicesimo mese dell’anno musulmano; cap. 1 Din; sfera religiosa contrapponibile al concetto di dawla; cap. 6 Do’wa libica; società per l’appello all’islam; cap. 4 Du’a’; preghiera libera contrapponibile ai rak’ah delle cinque fasi della preghiera giornaliera; cap. 1 Faqih; giuristi islamici che possono procedere anche alla deduzione di nuove regole religiose; cap. 1 Faqir/fuqara; poveri (destinatari della zakat); cap. 1 FIIGS; Fronte internazionale islamico per la guerra santa contro gli ebrei crociati; cap. 6 Fisabillillah; la causa di Allah, intesa come categoria destinataria della zakat);cap. 1 Fronte di liberazione della Palestina; gruppo terroristico; cap. 6 Fronte popolare per la liberazione della Palestina; gruppo terroristico; cap. 6 Fronte popolare per la liberazione della Palestina – Comando generale; gruppo terroristico; cap. 6 Gharimin; debitori (destinatari della zakat); cap. 1 Gruppo Abu Sayyaf ; gruppo terroristico; cap. 6 Gruppo Islamico Armato (GIA); gruppo terroristico; cap. 6 Haaretz; quotidiano israeliano; cap. 3 Hadith; racconti che riportano le azioni e gli insegnamenti di Muhammad; cap. 1 Hajj; pellegrinaggio alla Mecca - quinto pilastro dell’osservanza religiosa islamica; cap. 1 Hamas; gruppo terroristico; cap. 6 Hanbalita; una delle scuole giuridico- religiose islamiche; cap. 1

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Hanafita; una delle scuole giuridico- religiose islamiche; cap. 1 Harakat ul-Mujahidin; gruppo terroristico; cap. 6 Haram al-Sharif; la spianata delle Moschee a Gerusalemme; cap. 3 Hijra; migrazione del Profeta e dei suoi primi seguaci dalla Mecca a Medina, avvenuta nel 622; cap. 2 Hizb-i Islami; partito islamico particolarmente attivo sulla scena politica afghana degli anni novanta, da cui proviene Mauli Muhammad ‘Umar; cap. 3 Hizbullah; gruppo terroristico; cap. 6 Hudaybiyya; trattato/tregua del 628, tra gli arabi musulmani di Medina e gli arabi della Mecca; cap. 2 Ka’ba; santuario al centro della Moschea della Mecca; cap. 1 Kharijiti; ramo dello sciismo; cap. 2 Kibbutz; fattorie collettive tipiche degli insediamenti ebrei; cap. 3 Ibnus sabil; viaggiatori (destinatari della zakat qualora incontrino difficoltà nel viaggio); cap. 1 Id al-adha.; festa del sacrificio nella religione musulmana; cap. 1 Id al-fitr; festa islamica della rottura del digiuno alla fine del Ramadham; cap. 1 Igara-wa-iqtina; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico; cap. 5 IIFSO; International Islamic Federation of Student Organization; cap. 4 Ijma; consenso, riferito a ciò su cui dotti e teologi sono concordi; cap. 1 Ijtihad; sforzo del dotto in materia giuridico-religiosa; cap. 1 Imam; In ambito sciita, mediatore tra uomo e Dio, capo temporale e guida spirituale, interprete del significato nascosto della rivelazione. In ambito sunnita, designa colui che guida la preghiera, senza prerogative o funzioni propriamente religiose; cap. 1 Infitah; termine riferito alla politica di apertura verso l’occidente adottata in Eigitto da Sadat; cap. 3 ISI; agenzia di Intelligence pakistana; cap.3

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Islam; attiva sottomissione a Dio; cap. 1 Jaish-e Mohammed; gruppo terroristico; cap. 6 Jibra’il; angelo Gabriele; cap. 1 Jihad; sforzo, che può essere inteso come tensione interna che deve caratterizzare l’uomo per divenire un miglior musulmano; cap. 1 Jihad islamica palestinese; gruppo terroristico; cap. 6 Jihad islamica egiziana; gruppo terroristico; cap. 6 Jumada al-awwal; quinto mese dell’anno musulmano; cap. 1 Jumada AthThani; sesto mese dell’anno musulmano; cap. 1 Laila al-bar’h; notte del perdono; cap. 1 Láilat al-qádri; notte del destino; cap. 1 Lashkar-e-Tayyiba; gruppo terroristico; cap. 6 Lega del mondo islamico; Organismo missionario musulmano, con sede alla Mecca; cap. 4 Loya jirga; granconsiglio- tradizionale assemblea afghana, consiglio tribale; cap. 3 Madhhab; scuola giuridico-religiosa (in generale); cap. 1 Madrass; strutture religiose pakistane; cap. 3 Malikita; una delle scuole giuridiche religiose islamiche; cap. 1 Miskeen; bisognosi – (destinatari della zakat); cap. 1 Movimento islamico dell’ Uzbekistan; gruppo terroristico; cap. 5 Muallaf; simpatizzanti – convertiti o inclini alla conversione all’islam – intesi come categoria di destinatari della zakat; cap. 1 Muhharam; primo mese dell’anno musulmano; cap. 1 Mudaraba; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico; cap. 5 Muhajirun; seguaci del Profeta Maometto che emigrarono alla Medina; cap. 2 Muhammad; Maometto; cap. 1

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Mujahedi –eKhalq Organization; gruppo terroristico; cap. 6 Murabaha; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico; cap. 5 Musharaka; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico; cap. 5 Nakba; catastrofe (per i palestinesi, è legata alla proclamazione, nel 1948, dello Stato di Israele); cap. 3 Organizzazione Abu Nidal ; gruppo terroristico; cap. 6 Qard hasan; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico (prestito sociale); cap. 5 Qiyas; analogia, intesa come strumento di interpretazione nell’elabozione della dottrina religiosa; cap. 1 Qur’an; Corano (letteralmente, recitazione); cap. 1 Rabi al-awwal; terzo mese dell’anno musulmano; cap. 1 Rabi Ath Thani; quarto mese dell’anno musulmano; cap. 1 Rajab; settimo mese dell’anno musulmano; cap. 1 Rak’ah; recitazioni obbligatorie delle cinque fasi della preghiera giornaliera; cap. 1 Ramadhan; non mese del calendario musulmano (mese del digiuno); cap. 1 Riba; interesse, in senso finanziario; cap. 5 Riformismo islamico; movimento, nato nel XIX secolo, che poneva l’esperienza occidentale quale modello cui tendere nell’opera di reinterpretazione del mondo musulmano; cap. 2 Riqab; liberazione dalla schiavitù (destinatari della zakat); cap. 1 Sadaqah; ulteriore forma di donazione volontaria rispetto al versamento della zakat; cap. 1 Sahih; libro genuino; cap. 1 Safar; secondo mese dell’anno musulmano; cap. 1 Salat; i cinque momenti di preghiera giornaliera – secondo pilastro dell’osservanza religiosa islamica; cap. 1

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Sawm; digiuno (nel mese del Ramadham) - terzo pilastro dell’osservanza religiosa islamica; cap. 1 Shafi’ita; una delle scuole giuridico- religiose islamiche; cap. 1 Shahada; Non c’è Dio tranne Iddio e Muhammad è il Messaggero di Dio – primo pilastro dell’osservanza religiosa islamica; cap. 1 Shaheed; martiri suicidi; cap. 3 Shari’a; legge che disciplina della vita della comunità islamica, sulla base del Corano e della Sunna; cap. 1 Shawal; decimo mese dell’anno musulmano; cap. 1 Shi’a; Partito di Alì, da cui sciismo; cap. 2 Shin Beth; servizio di sicurezza israeliano; cap. 3 Sunan; tre dei cinque libri che costituiscono la Sunna (letteralmente, tradizioni); cap. 1 Sunna; base della giurisprudenza islamica, insieme al Corano. E’ la raccolta degli hadith; cap. 1 Sure; capitoli in cui si articola il Corano; cap. 1 Takaful; solidarietà, termine con cui ci si riferisce alle assicurazioni; cap. 5 Ta’lim; insegnamento; cap. 1 Tanzim; forze di sicurezza palestinesi; cap 3 Tariqa; scuola religiosa nell’ambito del sufismo; cap. 1 Tiara; commercio; cap. 5 UCOII; Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia; cap. 4 Umma; concetto che esprime l’unicità della comunità islamica fondata sull’appartenenza alla religione musulmana; cap. 1 ‘Urf; consuetudine; cap. 1 USMI; Unione degli Studenti Musulmani in Italia; cap. 4

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Wada ‘i’gariyya; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico (conto corrente); cap. 5 Wada ‘i’ iddikhar; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico (conto di risparmio); cap. 5 Wada ‘i’ al istithmar; strumento finanziario utilizzato nel sistema bancario islamico (conto di investimento); cap. 5 Wahhabismo; movimento sunnita interprete della scuola giuridico-religiosa hanbalita; cap.1 Zakat; donazione/elemosina – . quarto pilastro dell’osservanza religiosa islamica. E’ una specie di decima da applicare alle categorie di beni e secondo percentuali indicate dalla Legge islamica; cap. 1

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11 FONTI DI INFORMAZIONE 11.1 FONTI APERTE BIANCHE ABDELKADER SID AHMED; Opérations Financières islamiques au service du developement in Banques islamiques en contexte non islamique (a cura di Gian Maria Piccinelli); Roma; IPO; 1994 ABDESSATAR KHOUILDI; La verification de conformité islamique des opérations bancaires in Banques islamiques en contexte non islamique (a cura di Gian Maria Piccinelli); Roma; IPO; 1994 ABDESSATAR KHOUILDI; Un contrat islamique: le leasing in Banques islamiques en contexte non islamique (a cura di Gian Maria Piccinelli); Roma; IPO; 1994 AL-RAHMAN A.A.; Lo Stato che verrà; Roma; Limes – Gruppo editoriale l’Espresso; 2/2002 ALBERIZZI M.A; Arrestato a Crema un trafficante d’armi legato ai terroristi; Il Corriere della Sera; 4/8/2002 ALLIEVI S., DASSETTO F.; Il ritorno dell’Islam. I musulmani in Italia; Roma; Edizioni Lavoro; 1999 ALTICHIERI A.; Blair ammonisce Saddam “Non staremo a guardare”. Ma teme i falchi americani; Il Corriere della Sera; 1/9/2002 ALTICHIERI A.; Blair: “Abbiamo le prove contro l’Iraq”; Il Corriere della Sera; 4/9/2002 ALTICHIERI A.; Le “armi sporche” di Saddam. Molti indizi, caccia alle prove; Il Corriere della Sera; 10/9/2002 AMICI M., PIAZZA T.; La guerra del XXI secolo; Rai tre, 2002 ANSALDO M.; “Voglio portare in Europa una Turchia laica e moderna”; La Repubblica; 14/08/2002 ANSALDO M.; L’alleanza si sfalda, Bush isolato; La Repubblica; 29/8/2002 ANSALDO M.; Mosca pronta al veto su Saddam ; La Repubblica; 3/9/2002 BARRACLOUGH G.; I percorsi della storia - Atlante; Milano; RCS Editori Spa; 1997

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THE ECONOMIST; Algeria’s violence: the horrors of war aren’t over yet; 13/7/2002 THE ECONOMIST; Palestinian leadership: Arafat’s fight for survival; 13/7/2002 THE ECONOMIST; Iraq, Jordan and America: a horrid sandwich; 13/7/2002 THE ECONOMIST; Panama’s foreign policy: which China card?; 13/7/2002 THE ECONOMIST; Afghanistan: murder in a “safe” city; 13/7/2002 THE ECONOMIST; India and Pakistan: a change of mood over Kashmir;13/7/2002 THE ECONOMIST; Philippines: Americans are going home; 13/7/2002 THE ECONOMIST; Iranian politics: time for all good reformists to resign; 20/7/2002 THE ECONOMIST.; Middle East endgame: a way of winning; 20/7/2002 THE ECONOMIST; Jordan and Iraq: a king for Iraq?; 20/7/2002 THE ECONOMIST; Jordan and the Palestinians: stuck on the bridge; 20/7/2002 THE ECONOMIST; Kashmir: why India did not bark; 20/7/2002 THE ECONOMIST; More than enough to worry about; 20/7/2002 THE ECONOMIST; Central Asia: the rot in Kazakhstan; 27/7/2002 THE ECONOMIST; Bombing Gaza: a blow at peace; 27/7/2002 THE ECONOMIST.; African peace deals: on Sudan’s horizon, maybe Congo’s; 27/7/2002 THE ECONOMIST; Tajikistan: wars and shadows of wars; 27/7/2002 THE ECONOMIST; Iraq and America: the case for war; 3/8/2002 THE ECONOMIST; America and Iraq: phoney war; 3/8/2002 THE ECONOMIST; Israel and Palestine: what might have been, perhaps; 3/8/2002 THE ECONOMIST; Terror in South-East Asia: the elusive enemy; 3/8/2002 THE ECONOMIST; Islam and the West: Europe’s muslims; 10/8/2002 THE ECONOMIST; Special report: Muslims in Western Europe ; 10/8/2002

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