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Letteratura italiana Einaudi Prediche di Giordano da Pisa

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Prediche

di Giordano da Pisa

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Edizione di riferimento:Prediche inedite del B. Giordano da Rivalto del-l’Ordine de’ predicatoriRecitate in Firenze dal 1302 al 1305

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Sommario

I [1302, 6 gennaio] 1II [1302, 20 febbraio] 7III [1302, febbraio] 15IV [1302, febbraio] 19V [1303, 20 gennaio] 23VI [1303, 20 gennaio] 30VII [1303, 2 febbraio] 33VIII [1303, 3 febbraio] 38IX [1303 marzo] 42X [1305, 9 marzo] 50XI [1303, 19 aprile] 54XII [1303, 13 maggio] 60XIII [1303, 20 maggio] 63XIV [1303, 9 giugno] 68XV [1303, 4 agosto] 77XVI [1303, ottobre] 82XVII [1303, ottobre] 90XVIII [1303, 20 ottobre] 97XIX [1303, 20 ottobre] 103XX [1303, 15 dicembre] 110XXI [1303, 26 dicembre] 118XXII [1303, 27 dicembre] 124XXIII [1303, 29 dicembre] 131XXIV [1303, 30 dicembre] 135XXV [1304, 22 febbraio] 138XXVI [1304, 13 marzo] 144XXVIII [1304, 12 aprile] 147XXVIII [1304, 1° novembre] 151XXIX [1305, 1° gennaio] 153

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XXX [1305, 1° gennaio] 163XXXI [1305, 2 gennaio] 169XXXII [1305, 6 gennaio] 174XXXIII [1305, 6 gennaio] 183XXXIV [1305, 9 gennaio] 189XXXV [1305, 9 gennaio] 196XXXVI [1305, 23 gennaio] 202XXXVII [1305, 23 gennaio] 212XXXVIII [1305, 23 gennaio] 220XXXIX. [1305, 23 gennaio] 225XL [1305, 13 febbraio] 226XLI [1305, 16 febbraio] 235XLII [1305, 16 febbraio] 236XLIII [1305, 17 febbraio] 237XLIV [1305, 17 febbraio] 244XLV [1305, 17 febbraio] 247XLVI [1305, 17 febbraio] 252XLVII [1305, 19 febbraio] 253XLVIII [1305, 19 febbraio] 259XLIX [1305, 20 febbraio] 262L [1305, 20 febbraio] 267LI [1305, 21 febbraio] 273LII [1305, 21 febbraio] 277LIII [1305, 22 febbraio] 281LIV [1305, 24 febbraio] 286LV [1305, 24 febbraio] 289LVI [1305, 26 febbraio] 292LVII [1305, 26 febbraio] 301LVIII [1305, 26 febbraio] 306LIX [1305, 27 febbraio] 309

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LX [1305, 27 febbraio] 315LXI [1305, 28 febbraio] 319LXII [1305, 28 febbraio] 325LXIII [1305, marzo] 327LXIV [1305, 25 aprile] 335LXV [1305, 25 aprile] 336LXVI [1305, maggio] 341LXVII [1305, maggio] 344LXVIII [1305, 9 maggio] 347LXIX [1305, 10 maggio] 350LXX [1305, 20 giugno] 355LXXI [1305, 4 luglio] 360LXXII [1305, 6 luglio] 362LXXIII [1305, 18 luglio] 363LXXIV [1305, 25 luglio] 365LXXV [1305, 7 agosto] 366LXXVI [1305, 8 agosto] 369LXXVII [1305, 10 agosto] 372LXXVIII [1305, 15 agosto] 378LXXIX [1305, 15 agosto] 380LXXX [1305, 15 agosto] 384LXXXI [1305, 17 settembre] 389LXXXII [1305, 17 settembre] 391LXXXIII [1305, 17 settembre] 396LXXXIV [1305, 15 ottobre] 398LXXXV [1305, 24 ottobre] 402LXXXVI [1305, 24 ottobre] 410LXXXVII [1305, 25 dicembre] 418LXXXVIII [1305, 25 dicembre] 428LXXXIX [1305, 26 dicembre] 434

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XC [1305, 27 dicembre] 443XCI [1305, 27 dicembre] 456XCII [1305, 29 dicembre] 465XCIII [1305, 30 dicembre] 470XCIV [1305, 31 dicembre] 478

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viLetteratura italiana Einaudi

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I

Anni 1302, a dì 6 di gennaro, il dì di Befana.

Responso accepto in somnis ne redirent ad Herodem,per aliam viam reversi sunt in regionem suam. In questeparole proposte del santo Vangelio avemo tre belli am-maestramenti. Il primo si è il non ritornare per quella viaper la quale venimmo, in ciò che dice che reversi sunt,cioè ritornarono, per aliam viam, quando si partirono daErode, che significa il demonio. Chi fosse in sur una tor-re ben se ne potrebbe gittare a terra, ma non ci potrebbesalire per quella medesima via, ma per iscala o per gradi;però non iscese ma rovinò: così spiritualmente l’uomoche cade dell’altezza della puritade del battesimo e rovi-na per li peccati, che non è iscendere, ma rovinare, comedice il profeta parlando dei mali angeli: Implebitruinas;riempieràe Iddio la ruina, cioè i luoghi santi, onde rovi-narono le dimonia. Conviene adunque tornare per altravia allo stato della purità, cioè a gradi e per iscala, cioèper la virtude. Ogni virtude è uno grado e uno iscaglio-ne, come dice il Profeta: Ibunt de virtute in virtutem. Di-ce dei giusti: Egli andranno di virtude in virtù. Il buonouomo sempre megliora, e ogni bene che fa, quantunquesia minimo, si è un grado, uno iscaglione, che sempre sa-le. E dovemo andare a modo dei magi, a guisa della stel-la. Per questa istella s’intende la ragione. Ognuno haequesta istella: la quale chi bene la volesse seguitare, me-nerebbe diritto per la via diritta; perocchè troppo bene cimostra quello che dovemo fare, quello ch’è buono equello ch’è rio, quello ch’è lecito e quello che non è leci-to, quello ch’è onesto e quello ch’è disonesto, e quelloch’è vizio e quel ch’è virtù; e quando fai bene troppo be-ne ti dice: questo è bene; e del male, quando il fai, ti dice:mal fai. Bene per noi se questa istella seguitassimo. Beneè vero che le istelle alcuna otta si celano per nuvola. A

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questo modo si cela la ragione, e puossi appiattare. Que-ste nebbie dell’anima i savii le chiamano concupiscenzie:lievasi nell’anima la nebbia della concupiscenzia con tan-to calore, che oscura la ragione. Simigliantemente quelladell’ira e l’altre. La via che va al regno del cielo è moltoistretta, come dice Cristo nel Vangelio: ampia è la via chemena a morte, e stretta è la via che mena a vita. Questa èla più stretta vita che sia o che essere possa. Addivieneche cotali semitelle e viottole sono più ritte e più preste, etalora sono più sicure che le larghe, e gittano più tosto al-trui. Così è la via di vita eterna; vuogli vedere come èistretta più che capello di capo? Odi il profeta, che dice:questa è la via ritta, che non piega a destra nè a sinistrama pur per lo filo, non piegando nè in quà nè in là. Nonè nullo peccatuzzo veniale, quantunque sia piccolo, chedi questa non torca e non tragga. Non dico del mortale,chè quello non è piegare e scattare della via, ma è comese entrassi per un altro cammino, che menasse a morte.Vedi dunque come è stretta questa via, che non è nullo sìgiusto, nè sì santo, che di questa via e dirittura non si pie-ghi. Come dice la Scrittura: sette volte il dì cade il giusto.Chi quella purità che egli trae del battesimo sapesse benemantenere netta e pura, quel cotale anderebbe bene perla via ritta. Non fu mai nullo che da questa via e diritturanon fallasse, se non solamente Cristo e la Vergine Maria.Le vie ritte sono più corte: l’arco è più lungo che la cor-da, avvegnachè si muovano da uno principio; perocchèper la tortura fae più lunga via. Iddio il volesse che il pec-catore andasse per la via lunga, pervenisse egli al fine,purché non se ne partisse al tutto! Il peccatore semprevae come l’arco torcendosi; se non che la misericordia diDio il reca alla via. Va il peccatore torcendosi e scostan-dosi, e pare che vada oltre sempre dilungandosi; ma lamisericordia di Dio il pure ritira alla via diritta. Grandecosa è questa dirittura. Vedi che tutte le cose ti ammae-strano d’andare per la più ritta e corta; questo ti mostra

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la natura: getta in alti una prieta, ed ella tornerà giù perla più ritta via; ed è sì ritta, che dicono i savii che non sitorce un capello: non ha maestro a mondo che così il di-segnasse diritto. Così anche nella saetta: la più ritta via èla più presso. Se questo fa la pietra, come dovemo farenoi? Avvegnachè quella diritta via per la fragilitade uma-na non si possa così ritta tenere, non però di meno ogniuomo se ne dovrebbe isforzare da podere d’appressarvisicatuno quanto potesse il più: oh che beatitudine darebbeall’anima! Questa beatitudine, e questa pace e questo di-letto, beato chi ci si appressa! Dunque se ti guardi di ciòche ti vieta la ragione, e seguiti ciò che ella comanda, an-drai diritto. Ma guarda bene qui che i magi adorano perconsiglio dei savii. Qui ti do a intendere che non basta laragione a pervenire al fine, ma ètti bisogno il consigliode’ savii, cioè la scrittura santa e le prediche. Non dire: i’hoe la ragione, o soe quello che mi conviene fare; dicoche non ti basta. Ben disse la ragione: uccidere uomini èpeccato, e imbolare, e cotali cose; ben lo ti vieta; e chefacci altrui quello che volessi che fosse fatto a te. Tuttequeste cose ebbero i filosofi perfettamente e conobberle,e sino andarono per questa via, ma al ninferno; perocchènon ebbono la fede nella divina Iscrittura. La graziacompie la natura, la ragione non t’insegna conoscere Id-dio in trinitade, nè come il figliuolo di Dio incarnò, e co-me nacque di vergine, e come risuscitò, e l’altre cose lequali ti sono necessarie alla salute tua, nè anche la puradottrina dell’anima, alla quale non ci potrebbe giugnerbene l’uomo da sè, e che è mestieri che l’abbia dalla san-ta Iscrittura. é mestieri che visiti le prediche, ove si spiegae apresi e ammaestrasi questa via. Onde alcuna ottaparrà all’uomo fare mercatanzia leale, e ella sarà prettausura. Questo addiviene per la ragione sua, ch’è offusca-ta per la corruzione della natura umana, che si maculòper lo peccato del primo uomo; che se l’uomo non avessepeccato questa ragione rimaneva chiarissima. E poi alcu-

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no frate gli ha mostrato a quel cotale, e hagli fatto cono-scere che la sua via è tòrta, che prima da sè e per sè nonla conosceva. Il populo di Dio si partì della terra santa, eandonne in Egitto, e giunsevi in sette dì; ma quando ven-ne il tempo che si partirono e ritornarono nella terra san-ta, sì ritornarono per lo deserto e errarono; e quando do-vevano tornare in sette dì per via diritta, ed e’ penaronoquaranta anni, e ancora non usciano; se non che Dio gline trasse mostrando loro la colonna del fuoco. Questodiserto significa il mondo, che ci è solitudine. Or tu dice-sti: io ci ho cotanta compagnia. Ben ci ha assai compa-gnia, ma non che tu ne sia accompagnato; ma a modo dicolui che guarda le pecore, che sta solo; non che assai pe-core non sieno con lui, ma perchè non hanno con luiconvenienza di compagnia. Come il re, quando i baroninon fussino con lui, perch’egli fosse tra molti barattieri,sarebbe detto solo. Nel deserto ha bene assai bestie, mal’uomo che ci è è detto solo. Così questo mondo è unodiserto, ch’e’ buoni non ci hanno compagnia, anti sonosoli. Ben ci ha assai che hanno faccia d’uomini, e hannola ragione, ma i loro fatti e i loro costumi sono tutti be-stiali, ed e’ vita di bestie menano. Non ci hanno i buonicompagnia, sì sono radi. Certo al buono uomo, essendotra rei, gli pare di essere solo, e così è l’altra, che nel di-serto non ha istrada, nè semita, nè viottola, nè pedata,onde l’uomo possa dire: io vo bene quinci. E così questomondo è si solo dei buoni, e si poco podato da loro, chenon si vede nulla origine, onde l’uomo possa dire: quincivo bene; chè se l’uomo vuole andare per la via ritta a vitaeterna non ci vede via, nè semita guari nulla, sì sono po-chi e radi i buoni. Sono sì pochi i buoni esempli, chel’uomo, pognamo che voglia, non può andare, nè usciredi questo diserto; e da che l’uomo non truova la via fatta,egli per sè non la sa fare; chè, da che l’uomo non vede se-guitare a nullo la via di Dio e non ha da alcuno niunobuono esemplo, egli per sè non ci si mette, e così erra

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l’uomo per questo diserto; e quando dovemo tornare acasa in sette dì, e noi peniamo più di quaranta anni. EDio il volesse, che con tutto il nostro prolungare, che noial da sezzo capitassimo bene! Questo è in Dio, perocchèquegli del diserto mai non ne sarebbero usciti, se Dionon glien’avessi tratti. Così chi è in peccato e de’ entrareper mala via, unquemai non uscirebbe, se la misericordiadi Dio nol ne traesse; e perciò il rallungare la via è troppodi grande rìschio, chè ne’ lunghi viaggi sono molti impe-dimenti. Vuogli vedere come la via del peccato allungapiù che quella della grazia, più che da sette dì a quarantaanni? Uno viene a confessione e ha volontà di confessar-si, ma dice nel cuore suo: anzi che io mi confessi io vogliofare una mia vendetta. Vuogli vedere che via costui hafatta? Se si fosse venuto a confessare anzi che avesse fattoquel male era prosciolto, ma poi non può essere prosciol-to. E se tu dicessi: or non truova remissione il peccatore?Sì: questo de’ sapere ogni cristiano: che la prosciogligio-ne del prete non vale nulla, se l’uomo non è pentuto econtrito de’ peccati suoi in tal modo che mai non gli vor-rebbe avere fatti, con proponimento di mai più non vo-lergli fare. Se questo è necessario alla prosciogligione(chè così e non altrimenti non vale), dunque a quegli c’hafatto la vendetta gliene conviene essere dolente e pentu-to, che mai non la vorrebbe avere fatta. Se questo gli è ne-cessario, quando avrà costui questa contrizione? Grandegiudicio è questo, che gli conviene essere di quello dì egliè lieto. Quando questo pentimento avrà? Dio il sa. Primanon gli era bisogno quello dolore. Vedi dunque che ’lpeccatore erra e prolunga la via, e va errando sempre. Laseconda cosa che si dimostra nella aulturità proposta si èil fervore, che noi dovemo avere al tornare alla nostra cit-tade, quando dice: reversi sunt in regionem suam. Noiveggiamo di coloro, i quali sono fuori delle cittadi e delpaese loro, quanta voluntà eglino hanno di tornare; chèse un sarà di un vile castello nato, e siene fuori, perch’egli

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sia nella migliore città del mondo, sì desidera di tornarvi.Questo dà la natura. Quanto doveremmo noi essere ac-cesi di tornare nella nostra cittade, al luogo nostro natu-rale, cioè vita eterna, compimento di tutto il nostro desi-derio, quando noi veggiamo tornare l’uomo cosìvolentieri al luogo ond’egli è nato! E simigliantemente lebestie e gli uccegli desiderano di ritornare al luogo loronaturale. Questo è perocchè la natura dice che tutte lecose tornino a’ loro principii e al loro luogo naturale.Quanto noi maggiormente, che siamo fatti per avere vitaeterna, doveremmo essere accesi ad andarvi! Nel qualeluogo è tutta pace e tutto bene compiuto, sanza niunomale. Or non dovremmo desiderare d’uscire di questofastidiume del mondo, per avere quello luogo beato ovesi vede Iddio? Ma gli uomini del mondo quando deonoandare al paese loro, e intrare per la via diritta, e queglivanno a modo che il cavallo, c’ ha fasciato gli occhi, chetira in mulino: assai andrˆ egli, ch’egli si truovi fuori dicasa; andrˆ talora il dì più di venti miglia; e quando verràla sera, egli sarà pure in ca’; pargli andare, e quegli si puraggira. Così fa il dimonio dell’uomo, che quando l’hapreso sì l’accieca, e fallo pure girare in queste cose delmondo, di creatura in creatura. Dirà l’uomo: se io avessipur C. livre, sì mi appagherei; halle. E quegli dice: se ion’avessi pure M. mi stare’ bene e non ti chiederei più; hal-le. Incontanente vuole la casa; halla. Poi vuole la villa;halla. Poi si viene distendendo agli onori e alle signorie; edi questo non è contento: prima ha l’una, non s’appaga, evuole l’altra, vuole diletti; e però vuole moglie e vuole e’figliuoli. Dopo questo vengono i grandi intendimenti, ele concupiscenzie sue sono moltiplicate. E così non vienemai a fine; ma quanto più cerca più è difettuoso da sezzoche non era prima co’suoi pochi intendimenti, e più penane porta; e così non ne viene mai a fine; anzi di creaturain creatura, e di quella creatura in quell’altra; sempre chevive si va pure avvolgendo credendosi saziare; ed egli è

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tutto il contrario, chè mai non ci trova refrigerio: peroc-chè non va per via nè per modo di potersi mai tòrre sete,o di capitare a nullo refrigerio e consolazione. L’animanostra incontanente ch’è fuori del corpo, dicono i santi,che incontanente è ita a cie’ in vita eterna, in battered’occhio; perocchè quello è luogo dell’anima beata. E ve-di condizione ch’è quella dell’anima. Io t’ho detto ch’ellaè così leggiere. Io ti dico che s’ella avessi pur un peccato,sì la impedisce; non dico mortale, chè quello profonda;ma io dico se fosse in minimo, veniale e ’l più leggiere.Grande cosa è questa, che di così subita e di così tostanatura è impedita da minomo veniale. Ancora la tieneminore cosa; chè non solamente il peccato veniale, ma sese ne sarà confesso e sarà assoluto, e non avrà fatta la pe-nitenzia, ancora per questa soddisfazione sarà ritenuta, emai non uscirà insino che di quello non sarà purgato esoddisfatto per penitenzia, che fia fatta la natura dell’ani-ma, che nullo contrario vuole avere. Amen.

II

Anni 1302, dì 20 di febbraio.

Domine non sum dignus ut intres sub tectum meum. Inquesta parola, dice Centurione, sì avemo tre belli am-maestramenti. Il primo si è di grande umilitade, e questamostra in ciò che dice: domine non sum dignus; il secon-do si è di grande escellenzia di Dio in ciò che dice: ut in-tres; il terzo si è d’uno bello esempio in ciò che dice: sub-tectum meum. Dico prima che ne dà ammaestramento digrande umilitade in ciò che dice che non era degno delSignore.

Questi era pagano e non conosceva le Iscritture sante;ma noi cristiani, che siamo ammaestrati dalle Iscritture,potemo noi dire solamente essere indegni di Dio? Certo

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non che di Dio, ma siamo indegni di tutti i beni: e que-sto ti mostro, se vuogli considerare, per tre ragioni. Laprima, perocchè, noi non potemo meritare nulla; la se-conda, per lo ricevimento de’ benificii di Dio; lo terzo,per la moltitudine dei peccati nostri. Prima, perchè nonpotemo meritare per noi medesimi nulla. Chiunque me-rita alcuna cosa, si è per qualche beneficio o utilità chefa altrui. Se il re ti fa alcuno benificio, si è qualche servi-gio riceve da te; ma che puo’ tu fare a Dio? nullo. Cheprode, che utilitade, che servigio? nulla. é si grande Id-dio, che non può più ritenere. Se tutto il mondo sì sal-vassi o perdessi, a lui non monta o scema gloria; e quellagloria ha Iddio oggi, ch’egli aveva innanzi che il mondofosse: e se non l’avesse fatto, nè più nè meno nulla suautilitade, ma è sì tutta tua. Dunque se ’l merito è per al-cuna utilitade o prode che l’uno riceve dall’altro, e Iddionon può ricevere da noi nulla, dunque di che meritia-mo? nulla. Dunque non siamo digni di nullo bene. Losecondo si è per tre benefizii.... coll’azione del servoguadagnasse con danno del signore, certo e’ pur merite-rebbe, avvegnachè sanza i danari non potessi fare utilita-de; ma non però di meno egli ci aopera il senno e labontà sua, sanza la quale quella utilitade non sarebbepegli danari. Dunque il servo sì mette la bontà sua, chenoll’ha dal signore; e però ne dee essere meritato. Non ècosì di Dio: che meritiamo noi a lui? nulla; perocchè tut-te le cose riceviamo, i beni temporali e gli ispirituali, e’beni dell’anima e quegli del corpo; e l’anima e ’l corpoaltresì, e la vita, e ciò che hai. Non puoi dire: i’ ho da meil senno e la bontà mia; perocchè ogni cosa hai da lui: ese tu hai buona voluntà altresì. Onde quando noi faccia-mo quello che dovemo inverso Iddio, non è merito, maè rendere debito. Così dicea quel grande del vecchio Te-stamento, facendo a Dio sacrificio; dicea: Signore, io co-gnosco bene ch’io non fo nulla, perocchè tutte questecose avemo ricevute da te, e ha’ leci pòrte colle tue ma-

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ni; e così se ti rendiamo, che tue sono. Come tutte le ac-que vengono dal mare e al mare si ritornano, così tuttele grazie e beni vengono da Dio, e così noi le dovemotutte rendere a Dio, conoscendosene indegni. La terzaragione si è per li peccati che commettiamo; e per questaragione non solamente siamo indegni d’alcuno benifi-cio, ma facciamci degni di molta pena. Peccato non è al-tro che una nimistà, un odio mortale tra Dio e te, egli ate e tu a lui; peccato non è altro che una contrarietade aDio, perocchè Dio non ha nullo contrario, altro che ilpeccato, e ’l peccato è contrario a Dio: dunque istandotu in peccato, e piacendoti, non è altro a dire, se non chetu disideri che Iddio non sia; chè se tu sempre volessipur caldo, non è altro a dire, se non che tu vorresti che ilfreddo si distruggesse. Dunque ben è l’uomo nemico diDio, che desidera che Dio non sia. E Iddio è ancora ni-mico de’ peccatori, che dice per lo profeta: I’ ho odiato ipeccatori d’odio perfetto, cioè che non può essere mag-giore; questo è disiderare la morte sua, e così diritta-mente. Or che farà Iddio de’ peccatori? Non solamentegli ucciderà corporalmente, ma faragli morire eternal-mente. Questo non appare in questo mondo, ma nell’al-tro apparirà; chè incontanente che l’anima si troverrànelle pene, si cognoscerà l’odio che Dio l’ha. E ella odiaDio; perocchè l’anima dannata vorrebbe che Iddio nonfosse, anzi disidererebbe, s’esser potesse, che Iddio fos-se con loro tormentato; e però il peccato è pessima cosa.Se fossero due uomini, che s’odiassero insieme, insinoche fossero nimici, non potrebbe fare l’uno quello chepiacessi all’altro e che a grado gli fosse. Dunque di chesiamo degni? Se ’l giusto, che mai non peccò, non puòmeritare, che sarà del peccatore, avvegnachè tutti siamopeccatori, o per peccato attuale, ovvero per l’originale?Tutti nasciamo figliuoli d’ira; ma pur per gli attuali diche siamo noi degni? Le persone non credono averemolto peccato; l’usuraio per fare l’usura credesi avere

Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

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pur un peccato: ingannato è, perocchè egli è tutto pienodi peccati, e fagli a giornata; perocchè ha posto il suo fi-ne al peccato, ciò che fa o pensa, e parla di ciò o per ciòo a ciò, tutto è peccato. Ancora più se mangia o bee odorme o veste, tutto è peccato; per–cchè le dette cose faper fare l’usura; e imperciocchè ’l suo fine è peccato,tutta la vita sua è peccato continuamente. Siccome delgiusto, c’ha posto il fine suo a Dio, tutta la vita sua è me-rito e guadagno, se mangia, se bee e chiunche egli fa.Fassi quistione de’ passi del pellegrino se sono tutti dimerito, o sì o no; conciosiacosachè in molti passi chefae, non si ricorda di Dio nè del viaggio, che tutto è me-rito; perocchè avendo posto il fine suo tutto a ciò, ciòche fa fa per venire a Dio: però tutti i suoi passi sonomeritati, avvegnachè sia occupato da altri pensieri, nonsien eglino di peccato. E così ti potrei dire di tutti gli al-tri; perocchè insino che l’uomo istà nel peccato, ezian-dio qualunche otta e’ se ne ricorda e piacegli, sanz’altroa fare, sì pecca mortalemente per ogni volta. Vedi quan-to è il pericolo. E però per le dette ragioni noi non siamodegni di nullo bene, se non se per la grazia di Dio. Eperò chi si vuole fare degno conoscasi indegno; allorasara’ tu bene degno quando ti parrà essere indegno;quanto più vuogli essere degno più ti tieni indegno; equesto è la regola. Il secondo ammaestramento che noiavemo dalle parole di Centurione si è, che ne mostra laeccellenzia grande di Dio: e questo si mostra nell’entra-mento che fa santo Agostino. Pone tre belli beni, cioèbeni soverani, beni mezzani e beni minori: de’ due ognigente secondo, cioè ne’ soverani e ne’ minori, n’hanno-ne e’ mezzani. I beni sovrani sono i beni di vita eterna, ibeni minori sono i beni di questo mondo, i beni mezzanisono le tribulazioni. Or tu diresti: come sono beni le tri-bulazioni? Rispondoti: tutte le cose fa Iddio, eccettone ’lpeccato, e ben li mali. I mali chiamo qui le pene, e le tri-bulazioni e avversitadi; onde di questo dice la Iscrittura:

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nullum malum est in civitate, quod Dominus non faciat.Secondo che dicono i santi e savii di Dio: non può farealtro che tutto bene, ma nullo male ne può fare: dunques’egli fae la tribolazione, dunque non son elle male, mabene; e però hanno contrario nome. Noi le chiamiamomali; non è buon detto questo; perocchè non sono mali,ma grandi beni, avemo loro mutato nome. Dico dunqueche sono tre beni, cioè sovrani, mezzi e minori: e in tuttiquesti entra e istà Dio; perocchè, dicono i santi, che Diosì dà sè medesimo ne’ doni e ne’ beni suoi. Entra dun-que Iddio e abita co’ beni minori, ma in minore modo edi meno eccellenzia. Ma pure se detti beni tue riconoscida Dio, si ne diventi molto piacevole a Dio; onde i santiPadri nel vecchio Testamento, di molti si legge ch’ebbe-ro molte ricchezze, e perchè le riconoboro tutte da Dio,e usaronle bene, ne furono piacevoli a lui, e dienne loroIddio abondevolemente, e riposavansi e abitava Iddiocon loro; ma chi non le riconosce da Dio e usale male,guai a lui, e’ non è degno. I secondi sono i beni di mez-zo: e se de’ primi ne sono degni pochi, di questi sono de-gni vie meno, perocchè sono migliori, e più utili e dimaggiore escellenzia; e questo si mostra in ciò che sonoposti in luogo di mezzo sopra i beni del mondo. L’altraragione si è questa: Iddio sempre istà nei luoghi più ec-cellenti, e quanto la cosa è apparecchiata di maggioreeccellenzia, tanto quella cosa participa più Iddio, e più èIddio in essa. Dunque quando Iddio abita più co’ tribo-lati che con quegli che hanno consolazione, segno mani-festo è e pruova certa che quello istato è di maggiore ec-cellenzia; tanto più quanto Iddio è più co’ tribolati checogli altri mille cotanti. E quanto Iddio s’aggiugne piùall’anima, tanti maggiori e più eccellenti doni le fae. Io tipongo due: l’uno abbia le ricchezze del mondo, e l’altroabbia tribolazioni, e catuno ne sia conoscente. Chi aràpiù merito, ovvero con cui abiterà più Iddio? pure co’tribolati, troppo più. E siccome il ricco, se non ricogno-

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sce le ricchezze e beni temporali da Dio, se ne fae inde-gno, le ricchezze e beni temporali gli sono un veleno, ediventane nimico di Dio; così maggiormente chi le tri-bolazioni non riconosce da Dio per doni e per grazia.Siccome se uno re avesse fatti molti doni ad alcuno emolta grazia, ed egli non le conoscesse per grazia, maper disgrazia, e non si conoscesse avere servigio, ma di-servigio, costui bene adirerebbe il re. E così chiunque siscandolezza delle tribulazioni se ne fae indegno, e meri-ta grande ira di Dio, e diventa peccatore. Ecco dunquela prima ragione, per la quale si mostra come le tribula-zioni sono assai maggiori beni, e più sovrani ch’e’ tem-porali, in ciò che Dio si riposa più co’ tribolati, e sempreè in loro compagnia; e però dà loro più eccellenti cose;chè ai ricchi dà consolazioni temporali, e a’ tribolati dàsè medesimo, dà loro ad assaggiare della divinità; e perònon dica oggimai nullo che le tribulazioni sieno mali, magrandi beni, e più eccellenti di questa vita, quando sonoaccompagnati colla grazia divina. La seconda ragioneonde si mostra che i beni mezzani, cioè le tribulazioni,sono più preziose e più eccellenti che i beni mondani, siè perocchè Iddio i detti beni ha dati a piue suoi amici e atutti suoi figliuoli; cui hae più amato a colui hae più da-to: onde agli Apostoli ne diede più che agli altri; ma so-pra tutti ne diede al Figliuolo suo. Dunque se agli amicisi dànno le maggiori cose, e Iddio a’ suoi amici ha datoin questo mondo le tribulazioni, dunque è ragione mani-festa che sieno maggiori beni e migliori, che non sono itemporali assai più; chè se i beni del mondo fossoro mi-gliori, non è dubbio che agli amici suoi gli arebbe dati, ea’ più amici n’arebbe più dati: onde agli Apostoli arebbedate molte ricchezze, e signorie, e onori e molte posses-sioni, o spezialmente al Figliuolo suo; ma non le diedeloro, siccome cosa cattiva, e vile e da niente, ma diedeloro a patire pene, ed essere perseguitati e calonniati.Dice santo Ghirigoro sopra quella parola che disse Cri-

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sto a’ discepoli: siccome il Padre mandò me, così mandoio voi; cioe fu a dire: siccome egli mi mandò alle tribula-zioni, così mando io voi nelle tribulazioni. Non è dubbioche Iddio desse a’ figliuoli altro che le migliori cose; chèse non fossero essute buone, non l’arebbe date loro. E sela persona si dee chiamare indegna de’ beni temporali,molto maggiormente si dee tenere indegna delle tribula-zioni; perocchè meno sono quegli che sieno degni. Suolealtri dire: perocch’ i’ ho queste tribulazioni, già non l’hoio meritate. Oh come è cieco costui! E’ dice bene vero:non l’ho meritate; e’ non n’è degno, tanto è il difettosuo, che non è degno di tanto bene e di tanto onore; chès’egli conoscesse la grazia ch’egli ha, egli se ne ripute-rebbe bene indegno, ma da altro rispetto. Onde dice laScrittura e a’ giusti e agli Apostoli: sono fatti degni delletribulazioni. Non dico delle tribulazioni e pene che t’av-vengono pe’ tuoi peccati, siccome il furo ch’è impiccato:questa tribulazione non merita, ma soddisfa al peccato;e però dice santo Pietro: Cheunque di voi patisce, nonpatisca come micidiale, e malfattore e ladrone; ma se pa-tisce, patisca come cristiano per la giustizia, non si ram-marichi, ma glorifichi sì Iddio, e rallegrisi che l’ha fattodegno di quel dono e di quella grazia; imperocchè quel-le tribulazioni sono di sì grandi eccellenzie, che già nonsì potrebbe dire; tanto merito s’attribuisce a quelle. Eperò non n’è degno ogni uomo, ma pochi se ne fannodegni. Gli altri sono beni sovrani, e questi si dànno permerito, i quali beni mai per noi non si possino; se noi nesostenessimo tutte le pene e tutti i martirii del mondo,non ce ne faremmo mai degni, e ciò che ne potessimo fa-re sarebbe nulla, a rispetto di quella gloria; come dicesanto Pagolo: non sunt condignae passiones hujus tempo-ris ad futuram gloriam, quae revelabitur in nobis. Ma av-vegnachè noi non possiamo meritare non solamenteque’ beni sovrani, ma non pure il più minimo dei mon-dani, non però di meno hae Iddio voluto che noi possia-

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mo meritare eziandio e’ sovrani. Questo non è per no-stra virtù, ma per grazia del Figliuolo di Dio, il qualel’ha meritato per tutti; perocchè la sua passione fue sof-ficiente non solamente a questo mondo, ma a centomilamondi e più; e perciò coll’aiuto della grazia di Dio ecoll’opere nostre noi possiamo meritare per farci degnidi vita eterna. E se dicessi de’ fanciulli: non fanno opere;si ti rispondo che Iddio il meritò per loro in sulla Croce,E è sì grande e copioso l’aiuto della grazia, che ne n’hadato Cristo, che non solamente di tante tribolazioni, madi poche e leggieri, aggiunte alla grazia di Cristo, ce nefacciamo degni. Dunque la grazia di Dio fa degne l’ope-re nostre, e non solamente abbisogni grande opera, manon n’è sì piccola opera, aggiunta alla grazia divina, chenon ci facci degni di vita eterna. E siccome sanza la gra-zia divina l’uomo è degno d’ogni male e non può merita-re nullo bene, così colla grazia di Dio e con un buonopensiero, siamo fatti degni di vita eterna. E stando te ingrazia di Dio non solamente pell’opere, ma per ognibuona voluntà e per ogni buono pensiero, sì ti fai degnodi vita eterna. E dottene esemplo: perchè gli angeli han-no tanta gloria di vita eterna e avranno mai sempre? Purper una sola voluntade che ebbero buona, e non fu piùche per ispazio di mezza ora, cioè che disideraronol’amore di Dio, e di stare con Dio; non fu più che unavolta, e per così poco ispazio; tutta fu la grazia di Dio, eaggiunta e accompagnata con buono volere, che furonofatti degni di quella beatitudine. E così è d’ogni buonavoluntà di tutti quegli che stanno in grazia di Dio. Or tudiresti: vita eterna non si può meritare se non una volta;come dunque la merito io ogni volta? Rispondoti: Avve-gnachè una volta si meriti, tuttavia il merito e la gloria simultiplica e raddoppiasi quante volte più la meriti. Ecosì ti dico del peccatore, che ha posto il suo fine a pec-cato: per ogni cosa ch’egli ne fae, e per ogni pensiero evolontà, come io dissi, merta ninferno; e avvegnachè una

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volta si meriti, tuttavia le pene e il male si raddoppia e simultiplica tanto, quanto si multiplicano e’ peccati loro.Vedi come si merita vita eterna leggiermente! Quantomerito dunque, e quanta gloria, e quanti di quegli benisi acquistano per le tribulazioni di questo mondo soste-nute, come n’ammaestra santo Piero apostolo, non sipotrebbe dire; chè quante più tribulazioni hai in questomondo, e tu le porti con allegrezza, tanto se’ maggiorein quella gloria e più simigliante a Dio. E però questi be-ni mezzani ti mettono ne’ sovrani, e quante più sono letribulazioni in maggiore gloria ti pongono. Non diciamopiù. Deo gratias.

III

Frate Giordano, di febbraio, 1302, in Santa Liperata, Vespro.

Conventione autem facta cum operariis ex denariodiurno, misit eas in vineam suam. Fa patto il Signore connoi del bene che noi faremo. Grande cosa è a pensarequesta, che Iddio faccia patti con noi; conciosiacosachènoi siamo subietti a lui, e siamo tenuti di fare tutto bene,sanza aspettarne nullo merito. Il signore c’ha suoi fedelifa di loro quel che vuole, sanza patti, e dàgli la vita suamolto sottilmente. Vie più siamo noi sottoposti a Dio esotto la sua signoria, che non è nullo servo, nullo fedele,nullo schiavo al suo signore; perocchè può fare di noitutto a sua volontà, e non abbisogna di noi niente; edegli è tanto benigno, umile e cortese, che fa patto connoi. E i suoi patti avanzano i patti di tutti gli uomini delmondo, per quattro ragioni: propter generalitatem, prop-ter dignitatem, propter associabilitatem e propter retri-buabilitatam. Primo dico che i patti di Dio avanzano tut-ti gli altri patti, in ciò che permette di pagare di ciò chel’uomo farà, di tutto, non lasciando nulla opera ch’abbia

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fatta: nulla fatica ch’abbia portata, quantunque sia pic-cola. Molto graverebbe d’affaticarsi colui che d’ogni co-sa si credesse essere pagato: non addiviene questo tra gliuomini; perocchè ’l signore che mette i lavoratori, per-chè gli faccia alcuno servigetto sopra quello, nol ne pa-gherà però. Non è così di Dio; perocchè non solamentedell’opera, ma d’ogni parola, quantunque non sia mini-ma, d’ogni pensiero, quantunque sia leggiero, di tuttopaga. E questo dovrebbe muovere la persona a fare be-ne, pensando che d’ogni cosa sarà così meritato. E peròegli dice: In verità vi dico, chiunque darà bere un bic-chiere d’acqua fredda al povero non lo perderà. La se-conda si è propter dignitatem, da parte della degnità diDio: cioè che non solamente ei merita di tutti i beni, madacci più che non meritiamo, troppo più; che s’egli cidesse pur quello che noi meritiamo, leggier cosa sareb-be; che pur de’ beneficii che ci dà in questo mondo, sa-rebber troppi al nostro pagamento; perocchè non è nul-lo sì santo. E pongoti uno che non avesse peccato(siccome Adamo nel primo suo stato, chè, dicono i san-ti, ch’egli era giusto, però ch’era sanza peccato, ma nonperò avea la grazia); se fosse uno così fatto sanza peccatonullo, facendo costui tutto ’l bene che potesse, non me-riterebbe solamente pur quello ch’egli riceve in questomondo. Che diremo oggimai che sono tutti peccatori?Dunque siamo pagati e soprapagati in questa vita, e pri-ma che gli meritiamo. Chi potrebbe meritare il beneficiodella sanitade del corpo, o quello della memoria, o deglialtri beni che ricevè continovamente? Nullo. Ma nonperò Iddio sta contento a questi, o secondo l’opera no-stra, ma pagaci e ci ritribuisce secondo la dignità e lagrandezza sua. Siccome del re, che una piccola valentriadi uno picciolo merito, non guaterà il fatto del cavalierema la degnità di sè; e così Iddio non guata al fatto no-stro, ma ha rispetto alla grandezza sua, la quale non hafine; e però a lui si confanno doni infiniti, siccome è infi-

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nito egli. Non è così di signori del mondo. Non è nullosì grande, che non abbia fine: la grandezza sua è che unaltro non potesse essere maggiore di lui. Non si truovadi nullo, che mai avesse la signoria del mondo in tuttopienamente a un tratto, nè i Romani. Ma io ti pongo chesi potesse avere, ancora ne potrebbe fare Iddio un altromaggiore, e potrebbe criare più mondi di chente questo.E perocchè i signori del mondo è terminata la grandezzaloro, però i doni che dànno sono terminati tutti. Ma pe-rocchè Dio è sanza fine per ogni modo, però i suoi donisono sanza fine; e però d’ogni bene che l’uomo farà,quantunque sia minimo, riceverà bene infinito; peroc-ch’egli averà allegrezza e diletto eternalmente di cia-scheduno bene che avrà fatto. E non sarà divisa questaallegrezza, cioè oggi l’ho e domani noll’ho, ma sarà con-tinova, sanza nullo tramezzamento. Passano ancora ipatti che Iddio ne fa da tutti gli altri, associandovel adiu-vando; cioè che impromette d’entrare nel lavorìo connoi, e darci egli in persona. Se, fatto il patto, dicesse il si-gnore al lavoratore: ed io entro nel lavorìo teco, e sì tiaiuterò, molto si terrebbe avere buon patti costui. Così èdi Dio. Nullo bene facciamo o potemo fare sanza Iddio,e in tutte le nostre buone opere è Iddio con noi; molto èmatto quegli che si crede esser solo a fare il bene; cosìdice santo Paolo. Ancor dico più, ch’egli le fa tutte egli,e tu non ci metti altro che ’l consentire; e questo ancoral’hai da Dio simigliantemente. La quarta ed ultima ra-gione, per la quale i patti di Dio avanzano tutti gli altripatti, si è che non permette cosa certa, ma chi più faràpiù avrà. Questo operare si è pur nell’amore: chi piùavrà dell’amore avrà maggiore guiderdone. Ben è veroche santo Paolo dice: io mi sono affaticato più di tuttiapostoli, e sono il minimo degli apostoli. Sicchè potrestidire: come dunque mi sarà dato guiderdone secondo lafatica? Or intendi bene. Santo Paolo non intende che siapiù meritato colui c’ha più fatica nell’opere sue; peroc-

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chè affaticarsi l’uomo nel bene non è merito, ma èccidanno e veleno; e quanto maggiore fatica n’hai, più si di-sfà il merito; ma fatiche chiama quelle le quali sonograndi opere e paiono di grande fatica; siccome tenereverginitade, essere povero, fare grandi opere: queste ap-pella fatiche; ma non ci de’ l’uomo avere fatica, chè que-sta è via a morte; perocchè chi affatica nel bene che fadimostra ch’egli ha poco amore e mente. Or veggiamodi mondani, che per avere una femmina vanno di notte,lascianne il mangiare, mettonsi a pericolo, che uno ro-mito nol farebbe per Dio. Pare che abbino grande fati-ca, ma non è loro fatica; perocchè il loro malo amore lofa leggieri; chè s’egli sentisse la fatica non farebbe quellecose. Se questo amore laido e vile hae tanta vertude, chevertude de’ avere l’amore divino, il quale è più forte chela morte? E però chiunque hae l’amore divino in sè nonporta mai fatica, anzi v’ha diletto. E nulla opera è di me-rito, se non ove è l’amore, e secondo la misura dell’amo-re, così è il merito; e però l’opere fatte in amore quantopiù sono maggiori, tanto sono di più merito. L’amore di-vino caccia via ogni fatica. Diciamo ora un poco dellaconvenienza del patto, in ciò che dice che promise undanaio. Bene si confà per simiglianza la nostra beatitudi-ne al danaio, per quattro cose: per l’unità, per la imagi-ne, per la preziositade, e per la vertude. Prima per l’uni-tade: chè siccome il danaio che Cristo promise è puruno, così vita eterna è pur una; e tutti i buoni lavoratorilavorano. E se tu dicessi: dunque che vantaggio avràl’uno dall’altro quegli ch’avrà più meritato? Rispondoti:considera il sole ch’è pur uno, e godonne tutti quelli delmondo; ma chi ne gode più chi meno, secondo c’ha mi-gliori occhi e più purgati. Così i beati e gli angeli, secon-do che sono più nobili e più puri, così godono di Dio;avvegnachè tutti siano puri, ma tuttavia nella purità hagradi. La seconda si è per la imagine. Usavano i Romaniuna moneta, che v’era figurata la imagine dello ’mpera-

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dore, il quale danaio valea dieci minuti, a dimostrare esignificare che quella gloria si compra per l’osservazionede’ dieci comandamenti di Dio. La terza per la prezio-sità. Soleano i re o gl’imperadori fare monete; ma oggi famoneta ogni terricciuola, è cosa molto novella. Nel da-naio è la imagine dello ’mperadore. Noi siamo alla ima-gine di Dio, siamo nobili, mai non saremo sazii né appa-gati, se non quando saremo congiunti con Dio, come lacera col sugello. L’altra si è per la vertù del danaio haiciò che vuogli, pane, e vino, e carne, e cibi, e vestimenti,e ciò che ti piace e che t’è mestieri. E questa è la quartaragione perché il danaio è assimigliato a vita eterna; pe-rocchè avendo Iddio avrai ciò che vorrai, avrai ciò che tifia mestieri; e ciò che saprà divisare, ciò che potrai desi-derare, tutto troverai in lui. Deo gratias.

IV

Questo dì di sopra.

Quare sic statis tota die otiosi? Dicono i savii che tuttel’opere e ciò che si fa in questo mondo si fa con muta-mento. Questo difetto non è nell’opere de’ beati. L’ope-razioni loro sono in vedere Iddio, amare Iddio, godereIddio. Le quali opere sono sanza mutamento. Non èquesto nell’operazioni di questo mondo; perocchè tuttehanno mutazione. Dunque se tutte le cose di questomondo sono con mutamento e movimento, e l’uomostando in questo mondo sta e non adoperasi, fa contro anatura. E se dicessi che la terra sta ferma, dico che benesta ferma in uno modo, ma in un altro modo ella haemolte mutazioni. Sta ferma in quanto non si muta di suoluogo, ma ella si muta variandosi per le criature, che na-scono, crescono e corromponsi, e tutta la terra è pienadi questi mutamenti. Dunque stare l’uomo ozioso e non

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operare fa contro natura. E dimostra il signore tre cosein queste parole, le quali ci muovono ad aoperare e nonstare oziosi, per tre belle ragioni e grandi. L’una si è per-ché questo luogo si è luogo di sotto, è luogo da gittaresementa, cioè da seminare, ed è luogo di grazia. Dicodunque che dovemo operare e non stare oziosi; impe-rocchè, questo è luogo di sotto, dal quale avemo esem-plo di fare molto frutto, imperocchè la terra è di grandefrutto. Non è così degli altri elimenti; perocchè nel fuo-co non può nascere nulla, e nell’arie poche cose, nell’ac-qua altresì poche; ma nella terra, perocch’è elimentosottano, sodo, e spesso e stretto, sì è di grande frutto. Lestelle del cielo gittando la loro vertude sopra la terra, sìsi riposa ivi per la spessezza e non può andare più oltre;e però nella terra nascono tante criature e tante diversi-tadi. Queste stelle significano i santi di vita eterna, i qua-li gettano la loro vertude quaggiù in questo mondo. On-de non v’ha santo nullo, insino al minimo, che nonmandi della sua vertù e del suo beneficio guaggiù a noiche siamo in questo mondo; perocchè pregano tutti Id-dio per noi, chi per una cittade, chi per uno popolo, chiper un suo divoto: sicchè nullo santo v’ha sanza grandeuttolitade; avvegnachè noi non ce ne addiamo e non cene avveggiamo, ma così è di verità. Dunque il luogo diquesto mondo e lo stallo di questa vita sì è luogo da faremolto frutto e da guadagnare, ed è luogo di molta ope-razione, e non è luogo da stare ozioso; e chi sta ozioso sìfa contro a natura. La seconda ragione si è perchè que-sto si è luogo di semente, cioè da seminare. In vita eter-na si miete e favisi la ricolta; qui si mettono le propaggi-ni, lassù si ricoglie il frutto; qui si fanno i fondamenti,lassù si compie il palagio. Molto sarebbe sciocco chi cre-desse alla radice cogliere il frutto, o abitare ove deonostare i fondamenti. Così è di coloro che in questo mon-do vogliono consolazioni, o credonsi fare eternale abita-mento; non può essere. La terza ragione si è perchè que-

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sto è luogo di grazia; e però dice: tota die; ove e’ mostrala latitudine del tempo che ci è dato. Gli angeli non eb-bero tempo, perocchè, fuor criati sopra ’l tempo, e nonsono posti al tempo; e però in quel movimento che fuorcriati sì fuoro pieni di sapienza perfettamente, quantopotero ricevere secondo la natura loro. Ma noi siamo dinatura molto più bassa, troppo più; e però nasciamosanza nullo senno, vacui, e poco sappiamo, e poco pote-mo sapere e imprendere; e quel cotanto poco e debileche noi appariamo, sì l’avemo per studio e per fatica dimolto tempo, e stando nelle scuole; e in questo cono-sciamo alcuna cosa del bene e del male, di quello che ciconviene fare e non fare. Ma non fu così degli angeli; eperò in quel punto che fuoro creati furono pieni d’ogniconoscimento, più catuno per sè, il minore che v’è, chetra tutti gli uomini del mondo in tutto ’l tempo che ci vi-vono. E per questa ragione non ebber tempo gli angeli ameritare, ma in quel medesimo punto convenne loroeleggere o bene o male. Quegli ch’elessero il bene fuoroconfermati nel bene; quelli ch’elessero il male fuoroconfermati nel male in tal modo, che mai sentire o parti-cipare alcun bene non possono. Ma a noi, per la fragilitàdella nostra natura, è dato spazio di lungo tempo. Ilquale tempo è carissimo, chè quello che si perde non siraccatta mai. Il quale tempo chiama qui il Signore dì, eperò dice: tota die. Di questo dì parla santo Paolo: horaiam est de somno surgere: nox praecessit, dies autem ap-propinquavit. Questo si è il tempo della grazia, nel qualenoi siamo per la ’ncarnazione del figliuolo di Dio. Ilquale tempo è tanto caro e tanto prezioso, chi ’l cono-scesse, che non si potrebbe dire; e vogliono dire i santich’egli è quasi più prezioso e migliore che l’altro da unaparte; perocchè in questo mondo si merita la beatitudi-ne di vita eterna. Passato l’uomo di questa vita non puòmeritare più; chè, avvegnachè ’l peccatore in infernosempre faccia penitenzia e pianga i peccati suoi, quella

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penitenzia, quantunque sia lunga e grande, non ha vertùnulla di potere satisfare eziandio un peccato veniale; pe-rocchè quello non è tempo nè di meritare nè di sadisfa-re; chè quel tempo è passato a loro. Onde se il peccatoregittasse lagrime, più ne gitterebbe che l’acqua del mare;chè, avvegnachè ’l mare sia grandissimo, fine ha; ma lelagrime del peccatore non avranno mai fine, e però vin-cerà il mare. E vedi come saranno vane, chè tra tuttenon merita nulla e non sodisfarebbono a uno menimoveniale. E quì, cioè in questo mondo, solo una lagrimache vegna di buon cuore, di contrizione di suoi peccati,è di grande vertude; chè spegne e disfà il peccato, equanti n’avessi, e scàmpati dalle pene del ninferno, emerita vita eterna. Or vedi se questo tempo è ben tempodi grazia! Per la qual cosa par che i santi vogliano dire, edicono, che i santi che sono in vita eterna, s’essere po-tesse, vorrebbono volentieri venire in questo mondo, sefosse possibile; chè, conoscendo quella gloria, acciocchène potessero avere più, verrebbonci per meritare, ancoperocchè i santi non possono meritare più nulla. Tutto ’lmerito loro è quello che s’acquistaro stando in questomondo. Or vedi se questo tempo è ben prezioso, quan-do i santi ne lascerebbono quelli diletti per venire quag-giù a potere meritare! E però il Signore ne riprende noimiseri stolti, che così cattivamente il ci perdemo e stia-mo oziosi, dicendo: Quare sic statis tota die otiosi? Ope-rate insino ch’è dì, chè verrà la notte, nella quale nonpotrete adoperare nè fare nullo frutto. L’uomo santosempre sta di sopra, come il sole. Il sole è sopra tutti glielementi alto. Ben è vero che dicono gli sciocchi ch’egliè la notte di sotto, no; dovunque è, sempre è di sopra.Così il santo uomo sempre sta di sopra a tutte le cose, enon si lascia mettere sotto, nè a prosperitadi nè ad av-versitadi; in qualunque stato è il santo uomo, sempre stadi sopra, come ’l sole, qualunque è il più vile uomo chetema Iddio. E se l’uomo sarà papa, o imperadore o si-

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gnore, e non temerà Iddio, sarà sempre pur di sotto. Sic-come l’uomo che fosse in una grande valle, tra due mon-ti, insù uno cavallo o insù uno albero, non sarebbe peròfuori della valle. Così è dell’uomo ch’è in istato di degni-tade e non teme Iddio. Deo gratias.

V

Anni 1303, dì venti di Gennaio, Domenica.

Diligite inimicos vestros. Da tre parti ne comanda: daparte del cuore, dell’opere, della lingua. Del cuore,quando dice: Diligite inimicos vestros; dell’opere, quan-do dice: fate bene a coloro che n’odiano; della lingua,quando dice: pregate per coloro che v’accagionano, chevi perseguitano. Grande comandamento è questo, e pa-re fortissimo e impossibile, come dice santo Agostino,che dice che l’animo corrotto, quando è ingiuriato, desi-dera di fare altrui più che ne riceve. Dunque se altri nonfacesse altrui più, se non come è fatto a lui, si gli parreb-be avere assai fatto; ma se non si vendicasse di lui, que-sta sarebbe maggiore cosa; ma vie maggiore se tue..... ese eziandio se tu gli fai bene del tuo vie maggiore, e se tuprieghi per lui; ma questo pare tutto impossibile, cioèamarlo col cuore. Or come poss’io amare il nimico?Questo è il maggiore comandamento e il più sommo chemai sia; questo non si truova mai in niuna legge, nè inquella di Muisè, nè in niun’altra legge. E per questa ra-gione si mostra che Cristo veracemente fu figliuolo diDio. Dicesi che quella iscienzia è più alta, che ha più altee più sottili materie e ragioni; e però si dice della divini-tade, ch’è detta teologia, ch’ella è la più alta iscienzia ditutte le altre iscienzie, perocchè ci ha più alte e più per-fette dottrine. Cristo dunque è figliuolo di Dio, chè mainon si truova questo comandamento; perocchè non è

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comandamento mondano, ma divino. Fu bisogno chevenisse da Cielo Iddio a dare questo comandamento equesta dottrina, perocch’è cosa celestiale; e avvegnachèpaia duro comandamento, e alto e impossibile, tuttavianon è nullo intendimento sì intenebrato, che non giudi-chi e non vegga bene ch’ egli è santissima, eccellentissi-ma cosa chi ’l potesse fare. Parti malagevole, ma pur tugiudichi che ciò è cosa perfetta; ma avvegnachè paia im-possibile è così facile, perocchè questa è la via istrettadel Vangelio. Non pare malagevole a chi si dà bene aDio, ma pare malagevole a quelli che hanno l’animo cor-rotto. Questo comandamento si può pigliare in due mo-di: l’uno si è per modo di comandamento, e questo nonè così malagevole, e a questo è tenuto ogni cristiano; l’al-tro si è pigliandolo per modo di consiglio, e di questonon è tenuto ognuno, se non chi vuole fare e più perfet-to. Pigliallo in modo di comandamento, si è questo mo-do, che quando ti ricorda del nimico tuo, amalo general-mente come tue ami gli altri uomini; chè se tue amassitutti gli altri uomini e lui ne traessi, peccheresti grave-mente. L’altro si è di pregare per lui quando tue prieghiper gli altri; chè se tue pregassi per gli altri, e lui netraessi, peccheresti gravemente. L’altro si è che tue ilsovvegni quando è bisognoso, come tu sovvieni gli altriin generale; cioè quando tu hai luogo e tempo, cioèquando e’ ti viene a caso come gli altri poveri. Non se’tenuto d’andare, se non sapessi che fosse in tale necessi-tade, che sanza il tuo aiuto non potesse vivere: allotta sa-resti tenuto d’andare, altrimenti non se’ tenuto d’avernecura, se non come degli altri poveri, quando ti venisse acasa, o trovassiti con lui. Chè se tu fai bene agli altri, sìdanno a lui; ma se tue agli altri facessi bene, e lui netraessi, peccheresti gravemente: questo è il comanda-mento. Ma pigliallo per modo di consiglio si è in questo:che tue ti ricordi di lui in ispeziale, acciocchè tu l’amisingularmente; chè in modo di comandamento non se’

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tenuto di ricordarti di lui, se non come degli altri comu-nalmente. L’altro si è pregare Iddio per lui non sola-mente in comune, nè traendone lui, ma per lui ispezial-mente pregare. L’altro si è che facci a lui beneispezialmente dagli altri. Di questo non se’ tenuto a co-mandamento, puossi fare chi vuole, ed è di perfezione:siccome la verginità non è comandata, ma è in luogo diconsiglio; chè chi sta vergine è perfetto, e chi non vuolenon è tenuto, or potresti già dire: ben veggio che questocomandamento è ottimo e perfetto, ma io non veggioche il potessi fare, sì mi pare impossibile. Ma di veritànon è malagevole, anzi è agevolissimo chi bene si vuoledare a Dio e aprire gli occhi; chè tutta la malagevolezzanon ti pare, se non perocchè la ragione tua t’inganna ederra, però ch’è tenebrosa, sì hai mal giudicio: siccome idannati in ninferno non hanno nullo buono giudicio,anzi dicono che Iddio è malvagio e dà loro pene a torto;e però giudicano male, chè hanno la ragione corrotta;chè se fossino alluminati, e’ vedrebbono che le pene cheIddio dà loro sono molto buone; perocchè Iddio nonpuò fare altro che bene e giustizia. Dunque questo co-mandamento ti pare aspro e malagevole per la ragionecorrotta, chè non se’ alluminato; chè, se tu fossi bene al-luminato, l’ameresti, e parrebbeti leggerissimo. Or po-tresti dire: come posso venire in questa perfezione, e inche modo posso chiarire la ragione, che mi paia agevo-le? Questo si piglia da tre parti: dalla parte dell’inimico,dalla parte di noi medesimo, e dalla parte di Dio. Dicoprima che se noi volemo amare il nimico, e potemloamare agevolmente, prima pigliandolo dalla parte delnimico: questo potemo fare, se noi consideriamo in luitre cose, cioè la natura sua, dalla parte della nimicizia edalla parte della colpa. Dalla parte della natura si pigliain tre modi: cioè se ’l consideri siccome creatura, l’altraper la simiglianzia, l’altra per lo fine. Per la natura sua sipiglia in due modi: cioè quanto all’anima e quanto al

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corpo; chè se tue consideri la natura sì è buona, e in ciòla dei amare come l’altre creature di Dio buone; peroc-chè in quanto egli è criatura sì è buono. Dice santo Pao-lo: Omnis creatura Dei bona; chè eziandio la natura de’dimonii è buona, quanto è la natura loro, chè Iddio glicreò; ma sono macolati per la colpa; e per questo modogli puoi amare, come tu ami le pietre e l’altre creature.Ancora se consideri ch’egli è simigliante a te e ha quellanatura che tu; perocchè tutti semo d’una natura. Ancorase consideri il fine; perocchè tutti semo uno corpo diCristo, e catuno è membro: le membra non inodia l’unol’altro, anzi aiuta l’uno l’altro. E ancora semo fratelli nonsolamente nella natura, ma per lo battesimo; perocchèsemo tutti nati d’una madre, cioè dell’acqua del battesi-mo; e per questa ragione se’ tenuto d’amare più il cri-stiano che ’l saracino, perocch’è più tuo fratello. Ancorase consideri il fine, perocchè tutti siamo fatti a una fine,a vita eterna, e tutti dovemo essere cittadini d’una citta-de. Sapete ch’e’ cittadini s’amano insieme, e cosìpuot’egli avere vita eterna come tue; chè pognamo ch’e’sia reo, e’ si può convertire; e tu che pari che sii santo,potresti essere peggiore di lui; sicchè non si può giudica-re il fine; così puote catuno di quella cittade essere citta-dino l’uno come l’altro, e così gli sono apparecchiatique’ beni come a te, insino che la sentenzia di Dio nonviene; e per queste ragioni il potemo e dovemo amare.Or tu potresti dire: ben veggio ch’egli è buono in sè, mae’ mi pur fa male a me. Non è vero, se tu mi confessich’egli è buono. Sì ’l ti pruovo: perocchè del bene nonpuò uscire altro che bene. Del male può uscire male,cioè della colpa, ma del bene non può uscire altro chebene: siccome del fuoco non può uscire ghiaccio, e nonpuò infreddare, e la luce non può fare tenebre; così delbene non può uscire altro che bene; così se tu di’ ch’e’ tifa male, quello che tu di’ ch’è male non è male, anzigrande bene. Grandi beni sono le tribulazioni: quello

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bene tu il fai male, e rechiti il male; questo è tuo difetto,chè gli è grande bene. Or potresti già dire: ben veggioch’egli è buono per sè, ma egli è reo per la inimiciziasua. Non è vero. E da questa parte il potemo amare daaltre tre cose che ne fa l’inimicizia sua. Prima, che ti so-no rimessi e purgati e’ peccati passati; la seconda, che tidae la gemma della pazienzia; la terza, che ti guarda da’pericoli che ti possono avvenire. Prima dico che ti si di-mettono i peccati passati e si distruggono. Oh, che benequesto è! Piccola tribulazione che tu abbia, e sostenghi-la in pace, sì ti rimette molta pena lunga e acerba che tuavresti nell’altro mondo, chè troppo è maggiore e piùacerba quella. Dunque è buona la tribulazione; anzi è sìbuona, che distrugge e consuma e’ peccati e la penagrandissima. Ed è dono di Dio grande la tribulazione;perocchè allotta ha misericordia dell’anima tua, che tivuole anzi dare uno poco di pena qui, che tu abbi quelledurabili pene e forti di purgatorio. La seconda cosa si è,che ne dae al presente la pazienzia, è quella che ne fabeati; e credi a Dio, questa pazienzia non si può avere senon per le tribulazioni, in altro modo non si può avere:come dicea quello francesco d’uno che ’l teneva in casae mandavagli da mangiare fine carne, e pesce e moltaimbandigione: sini oggi in pazienzia; e’ dicea: sini, non èniente. Venìa l’altro dì, e quegli gli rimandava di questecose, ed ogni volta dicea: sini, oggi pazienzia; ed egli tut-tavia rispondea: non ho niente. Dissegli costui una volta:deh, che modo è il tuo, di tanto bene ch’io ti fo, e tu di’che non hai pazienzia? Disse costui: tu se’ ingannato. Diche debbo io avere pazienzia? de’capponi che tu mimandi? qui non ha pazienzia: come ci poss’io avere pa-zienzia? che male mi fa’ tu? ma e se tu mi facessi male,tue il potresti dire: aggi pazienzia, chè mi faresti male;allotta la potre’io avere, ma ora non poss’io avere pa-zienzia. Allotta costui si riconobbe e vide che diceascioccamente. Così vedi che pazienzia non può essere se

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non nelle tribulazioni. Onde sarebbe nota la pazienziade’ santi? onde avrebbono avuta tanta pazienzia, se nonper le molte tribulazioni ch’erano loro date? La pazien-zia fa forte l’anima e diventare più valorosa. L’ancudine,quando più si martella, più è forte, e più soda e migliore;così l’animo rassoda e fortifica per la tribulazione. Cosìvedi che la tribulazione è cosa utile, chè ti dà vertude.La terza cosa che ti fa l’odio e la nimistà, si è che ti guar-da da’ pericoli che ti possono adivenire. Se tu non avessinimici, tu andresti troppo a capo levato, in molti luoghiandresti ove tue avresti di molti pericoli; non te ne addaidell’utilitade che ti fa la nimistà sua. Onde la Scritturadice: Io ti porrò intorno grossa (sic) di molti pruni pu-gnenti, che tu ne vorrai uscire, sì ti pugnerai; questa sie-pe sono le tribulazioni e quegli che ti vogliono male: ellesono freno, come dice la Scrittura, sono freno di Dio.Sapete quanto il freno è utile e quanto proe e’ fae; altri-menti troppo anderemmo isfrenati. Dunque queste cosesono siepe pugnente, sono freno, che tengono l’anima,che nolla lasciano uscire del segnacolo; e però questa co-sa è santa cosa, buona cosa. Ma l’uomo cieco non le co-gnosce che bene egli è, che bene egli ti fa! Sicchè la ni-mistà del nimico t’è utile a tutte le cose ed ètti cosa cara,e chi la cognosce è da disiderare e da amare. Or potrestitu ancora dire: ben veggio che la sua natura è buona eperfetta, e la nimicizia sua è cosa santa e non rea, chenon può fare cose ree in altrui; chè, pognamo che pec-chi, egli nuoce a sè medesimo, a te nulla può nuocere.Ma potresti dicere: almeno s’egli ha in sè colpa, questonon debbo io amare, anzi il dovemo inodiare. Sanzadubbio, egli è vero: la colpa non si dee amare, anzi si deeinodiare in sè; ma nondimeno è la colpa in sè medesimo,ancora il nimico si puote amare. E questo potremoprendere da tre cantonì nella colpa medesima: primapropter ignorantiam; la seconda per la promessione diDio ex parte accidentiae, com’io mosterroe. Prima ex

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parte ignorantiae, cioè che non ricognosce chiunque èquegli che offenda; onde alcuna parte si è solamente perpoco cognoscere. Se egli conoscesse quello ch’egli fa,egli darebbe innanzi a sè istessi; ma e’ non sa che si fare.E però in questo modo Cristo nella Croce pregò per co-loro che l’uccidevano: vedea Cristo che non sapeano chesi fare; e però Cristo perdonò loro, e increscevagli di lo-ro. E santo Istefano simigliantemente veggendo quegliche il lapidavano non sapevano che si fare, e non cogno-scevano quello che facevano, sì disse: Domine ne statuaspeccatum. Se uno avesse uno suo figliuolo piccolo, edegli il campasse, il padre col coltello, e facessegli benebuona fedita, però il padre non lo inodierebbe e nongliene vorrebbe male nullo, ma se fosse maggiore sareb-be altrimenti; e però chiunque è quegli che altrui offen-da o inodii, si è perocchè non cognosce quello che fa,non sa che si fare: e per questa ignoranzia dovemo per-donare leggermente. Ancora ti muove ad amarlo la terzaragione, cioè per la volontà di Dio, e per la sua permis-sione. Tutti i mali fae Iddio: intendete quegli mali chenoi diciamo esser mali, cioè tribulazioni, battaglie, fame,pericoli; ma la colpa non fa Iddio ma permettela, per-mette che si faccia; e questo fae Iddio per trarne grandebene, e si mostra più la potenzia di Dio che in altro, ch’èpotente di trarre del male grande bene, come del pecca-to d’Adamo. Permesse Iddio la colpa d’Adamo per trar-re poscia il maggiore bene che potess’essere, quando Id-dio prese carne e fecesi uomo. E l’uomo sì fece Iddioper trarne questo sommo bene, che fu maggiore che senoi fossimo istati mille milia cotanti, e non ci ha compa-razione nulla. Dunque se tu vedi che Iddio il permette,l’odio e la colpa del nimico tuo, e vuole, de’ ti tu accor-dare d’essere con quella di Dio. De’la dunque amare lanimistà, ch’è cosa buona ed è cosa di voluntà di Dio, etu la dei volere, insino ch’egli la si permette. Ma del do-no suo non dei essere lieto; chè egli è quegli che riceve il

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grande dono. Tue pure hai prode....... che la nimistà suanon nuoce altrui che a lui; a te è sommo bene; e sommobeneficio; e però non gli dovemo portare odio, chè eglinon sa e non conosce quello che fa, e quello che fa è per-missione di Dio e vuollo Iddio, e tu il dei volere. Ancorati fa un altro grande bene, pigliando la colpa sua da unaltro cantone in quello modo, cioè di rimbalzo, che letribulazioni ti pruovano. Per nullo modo si pruova me-glio chente la persona è, se non per essere offeso; e que-sto vuole dire quel santo, che disse: se vuogli saperechente l’uomo è, assaliscilo d’ingiuria. Colle ingiurie tipruova Iddio; allotta puoi vedere chente tu se’. Se tu titruovi forte e buono, sì puoi pur ringraziare Iddio chet’ha fatto buono; se ti truovi debole, sì ti puoi tenere vilee cattivo; e questo è buono, che ti fa cognoscere chentetu se’. Deo gratias.

VI

Anni 1303, dì venti di Gennaio, Domenica.

Erat Iesus ejiciens daemonium, et illud erat mutum.Per questo demonio intendono i santi il peccato morta-le. Tre condizioni pessime fae il demonio alla persona, lequali si mostrano in questo cieco. La prima cosa che ’ldimonio procura di fare si è che ti acceca, acciocchè nonveggi, perchè non ti possi difendere; accecato sì ti fedi-sce acciocchè t’uccida, e fedito sì toglie da te ogni medi-cina, e ogni argomento e via, acciocchè tu non campi enon sanichi. Dico che ’l nimico si procura e forza quan-to può d’accecarti, accecarne dico degli occhi dell’ani-ma, acciocchè non cognosca, non t’avvegni; imperocchèquando egli t’hae accecato, sì fa di te poi cheunque glipiace; onde e’ fa di noi al modo che si fa del cavallo chevolge il mulino, che gli fasciano gli occhi, e con questo il

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fanno tutto dì girare a loro senno. Leggesi d’uno re cheassediava una gente, e adimandava loro questi patti, chevoleva a ciascuno trarre l’occhio ritto, e in questo modopotrebbono avere pace con lui e non altrimenti. Costoros’avvidero del male pensamento del re, perocchè s’avvi-dero che se avessero perduto l’occhio ritto, che il mancoera perduto altresì; perocchè e’ cavalieri tengono lo scu-do dal lato manco, sicchè il lato diritto rimanea sanzaguardia; però avvidersi del tratto, e non vollero fare nul-la, ma uscirono fuori alla battaglia, e come piacque aDio ebbero la vittoria. Chi è questo che n’assedia? è ildimonio, il quale continuamente ne combatte e ne tieneassediati, e dice che mai non farà triegua infino che nonti cava l’occhio ritto. Quello è l’occhio ritto, il conosci-mento delle cose ispirituali e celestiali. Possa il demoniofare che tu non intendi e non sappi de’ beni di paradisoe di vita eterna, non si cura poi che tu cognoschi poi lecose del mondo, che si intende per l’occhio manco. On-de percuote ponghi e riparo a le cose del mondo. Non tivale neente che morto se’ da poi che se’ fornito della ve-duta dell’occhio ritto, perocchè il manco non ti difende.Onde però questi che sono poveri de’ beni dell’altra vi-ta, tuttochè siano ricchi di questi, non però sono difesi,perocchè non trattano nè usano le ricchezze in loro salu-te. Ma colui ch’è alluminato de’ beni di paradiso, questiè bene armato, e avvedesi di tutte le lance del dimonio, epassa sanza impedimento per le temporali e spiritualicose, sanza essere fedito in alcuna parte. La seconda co-sa che si isforza il nimico dimonio si è, che poichè t’haaccecato sì fedisce l’anima, e questo si mostra in ciò chedice che questo cieco era indemoniato. Noi avemo dueparti nell’anima, dove l’anima è fedita. In nulla partepuò l’anima essere fedita se non in due. Il corpo benpuò essere fedito in molte parti, ma l’anima in due sola-mente: queste sono due parti che ha l’anima, cioè inten-dimento e volontade. Lo intendimento è fedito d’igno-

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ranzia e in non conoscere; la voluntà è fedita da peccato;onde quando il peccato piace e la voluntade consente,allotta è fedita l’anima e indemoniata, perocchè allottafa opere indemoniate; e sopra costoro ha grande pode-stade il demonio. Leggesi d’una santa vergine, che avevanome Sara: questa ebbe sette mariti, e tutti e sette gli uc-cise il demonio. Tubia fu l’ottavo marito. Avendo co-mandamento dall’angelo che si congiugnesse con lei, sìtemette per l’amore degli altri mariti. E l’angelo disse: ildemonio ha podestade in coloro che così prendono ilmatrimonio, che Iddio n’abbandonano, e partonlo dallamente loro, e ’l cui desiderio è pure alla carne, siccomecavallo e mulo, che non hanno intelletto; sopra questicotali ha podestade il demonio. Ma vuo’ tu uccidere ildemonio? Quando l’avrai presa non fare così, ma siacontinente, e prima istà in orazione e in lodo di Dio, epoi con timore di Dio, e per amore de’ figli più che perconcupiscenzia di carne la prendi, perocchè sopra quelliche usano castamente il matrimonio il demonio non hanulla podestade; e però sopra coloro i quali sono ciechide’ beni dell’altra vita, e che piace loro il peccato, cheseguitano la loro voluntade rea, il demonio ha loro la ca-tena in collo e menagli a suo senno, comunche gli piace.Onde la persona vede la bellezza d’una femmina e pia-cegli cotanto, s’egli avesse un poco d’intendimento, co-me si dovrebbe dilettare se considerasse come deono es-sere belle e piacevoli quelle forme nobilissime e quelleluci purissime di paradiso, quando uno corpo terrenocosì vile, che di quì a poco sarà puzza e vermini: se que-sto è così piacevole e diletta cotanto, come deono esseredilettevoli e belli quegli di paradiso! Molto gli giovereb-be se ciò pensasse, ma non ci pensano. E però quello on-de potrebbe trarre grande frutto e utilitade, sì trae moltasozzura per la sua mala disposizione. La terza cosa chene fa il demonio si è, che poichè t’ha accecato e fedito, sìsi briga di tòrre ogni argomento di medicina, acciocchè

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tu non guarisca. E questo si mostra in ciò che dice, checostui era mutolo e non favellava. Questo si pena di fare,cioè che tu non ti confessi; però gli serra la bocca accioc-chè non si confessi; vede che non può guarire se non siconfessa; e se si confessa vede che tutti i peccati ne van-no; e però va caendo pure come ti serri la bocca, e serra-la ispezialmente a’ peccati della carne più che a tutti glialtri, chè non si vergognano così degli altri peccati. Eperò a questi ispezialmente più è forte il demonio a ser-rargli la bocca cattiva. Come celi il peccato, che ’l deevedere tutto il mondo? tutto il mondo il vedrae ignuda-mente se non lo confessi al prete, ma se tue il confessisarà celato e disfarassi. E però il confessare i peccati si èsotterrargli, ma tacergli non é altro se non a tutto ilmondo palesargli. Questa è dunque la medicina a trova-re la santà dell’anima, il confessare i peccati, e piagnerlie dolersene sopra tutte le cose. é dolente il demonioquando ti vede pronto a confessarti. Mutolo è altresì co-lui che non ringrazia Dio de’ benificii; hagli Iddio fattala lingua con ch’egli il lodi, ed egli non lo loda, e tuttodìriceve i benificii suoi; chè dovete sapere ch’è grandepeccato la ingratitudine, e non ricognoscere Iddio deibenificii e non ringraziarlo. Deo gratias. Amen.

VII

Anni 1303, Domenica, dì 2 di Febbraio, in Santa Maria Novella.

Expleti sunt dies purgationis Mariae. Dice un santo:Vedi com’è necessaria la purità, che la Vergine Mariach’era la più pura, sì fu purgata in cotal dì; non che lefosse mistieri, ch’ella era sanza alcuna macchia, ma a da-re esemplo a te peccatore, che tu veggi quanto t’è neces-sario a te il tuo purgamento. Sopra tutte le cose si do-vrebbe l’uomo isforzare d’avere puritade, perocchè

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piace a Dio sopra tutte le cose. E fa la purità tre cose: laprima che ti fa presso a Dio, la seconda che rapprossimaIddio a te, la terza che ti dà più manifestazione delle co-se divine. Dico prima che la purità ti fa presso a Dio:questo presso è per simiglianza, non dico quanto al luo-go, perocchè Iddio è in ogni luogo e in tutti i luoghi, madico per simiglianza; e secondo questo modo, quantopiù se’ puro tanto se’ più presso a Dio, perchè Iddio èsomma purità ed è fontana di tutta purità; chè dicono isavii che Iddio è un atto puro semplice. Pura è dettaquella cosa che non ha in sè mescuglio; onde ciò ch’è inDio, tutto è Iddio. Non è così di noi, perocchè ciò ch’èin te non se’ tu; onde la mano tua non è tu; e così dell’al-tre membra. Ancora ciò ch’è nell’anima non è anima;onde la scienzia più e altre cose c’hai nell’anima non so-no anima. Ma non è così di Dio; imperocchè ciò ch’è inDio si è Iddio, onde la potenzia di Dio è Iddio, la sa-pienzia sua è Iddio, e così di tutte l’altre; perocchè ciòch’è in Dio tutto è Iddio, e non ci ha nulla se none Id-dio. E però egli è fontana di puritade, chè non ha in sènulla cosa altro che sè medesimo; e però quanto più se’puro più se’ prossimo a Dio e più simigliante a lui. E chela purità ti faccia più presso a Dio, questo puoi vederepure in queste cose criate. Vedi negli elimenti, vedi laterra; perocchè il più materiale elimento si è più di lungia Dio; chè, avvegnachè io ti dicessi che Iddio è in ogniluogo, tuttavia il cielo e ’l paradiso è luogo più ispezialdi Dio. L’acqua, perocch’è più puro elimento e più sot-tile, non gli è si di lungi, e così è degli altri elimenti; se-condo la loro puritade e sottilitade sono più presso aDio e più alti. Ma ’l cielo, perocch’è puro più che gli eli-menti, però è anche più alto e più presso a Dio. E intragli Angeli altresì, quanto ciascuno è più puro, è più altoe più presso a Dio. Per nullo modo si può l’uomo cosìapprossimare a Dio, come per essere puro: questa è lavia d’approssimarsi a lui. La seconda cosa che ti fa la pu-

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ritade si è che ti dà rivelamento delle cose divine in que-ste creature. Vedi la terra, che perocch’è il più naturaleelimento che niuno ti disse, e però non può ricevere insè la luce del sole, se non nella faccia di sopra, nella suasuperficie; ma l’acqua, perocch’è più puro elimento, sìriceve meglio la luce del sole, perocchè la riceve dentroin sè medesimo; onde quando è queto il mare e vienvi ilSole, sì gitta tale isprendore, ch’e’ marinai nol possonoguatare; e così gli altri elimenti quanto più son puri tan-to ricevono in loro e incorporano meglio la luce del sole;e così dell’altre cose simigliantemente. Vedete lo spec-chio: quando è ben puro rappresenta meglio che quan-do avesse macula. E per questa ragione quanto più se’puro più riceve Iddio in te, e più risplende in te il lumedivino, e più rappresenti Iddio. Onde però gli angeli,perocchè sono le più pure creature, però rappresentapiù Iddio un solo angelo che tutte le criature dal cielo ingiù, e più si vede in lui la bontà di Dio; e in quello ange-lo ch’è più puro degli altri e più si rappresenta Iddio chenegli altri. é sì nobile creatura l’angelo e sì pura, e di tan-to ordine e magisterio, e ha in sè tanta sapienzia e tantagloria, che più rappresenta Iddio uno angelo solo, il piùminimo che v’è, che intra tutte l’altre creature. E la Ver-gine Marìa po’ che fu pura sopra tutti gli angeli, però inlei si rappresenta più Iddio che tutte l’altre creature; on-de ella fu ispecchio di somma purità. Sono i specchi ditre maniere: l’una maniera sono ispecchi tondi, e questousiamo tondi, e rappresenta la cosa minore che non è.Un’altra maniera è di specchi piani, e questi rappresen-tano la cosa così grande com’ella è; il terzo ispecchio ca-vo, e questo rappresenta la imagine a ritroso, come ’l to-pazio, credo che disse. E la ragione di ciò è questa: chèdicono i santi che la sua natura, il suo crescere, va a ri-troso. E dovete sapere che ogni maniera di specchiovuole essere purissimo, altrimenti non mostrerebbeneente. In questi tre modi è detta specchio la Vergine

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Maria: fue ispecchio tondo per la sua perfezione. La co-sa che ben è tonda, non ci ha nulla parte che avanzal’una l’altra. Così la Vergine Maria, che eziandio una pa-rola oziosa o manca non disse giammai; e simigliante de’pensieri: e questo per la suggezione sua, chè fu tutta sot-toposta alla voluntà di Dio. Fu simigliantemente ispec-chio cavo: e questo per la sua umiltade; perocch’ella fuumile sopra tutte le criature; e perciò ella ebbe a rappre-sentare Iddio in tutti questi modi, non dico tanto perimagine e per simiglianza, ma dico pur sustanzialmente;chè primieramente ella rappresentò Iddio in minore for-ma che non è, chè Iddio è potentissimo, e ella il rappre-sentò debile in una fascia; Iddio è somma sapienza, ellail domandò un bambino che non favellava; Iddio è redegli angeli e signore di tutte le criature, e ella il ci dimo-strò povero e bisognoso; Iddio è infinito, ella ci dimo-strò un piccolino uomo. Questa minoranza intendituttavia quanto all’apparenzia di fuori, secondo l’umani-tade. Rappresentollo eziandio altresì come egli era; chè,avvegnachè io t’abbia detto ch’ella il rappresentasse cosìpiccolo, nondimeno così era perfetto com’egli era, pe-rocchè in Cristo fu pienamente tutta la deitade; chè, av-vegnachè sola la persona del Figliuolo incarnasse, non-dimeno in Cristo fu tutta la Trinitade, quantunque ella èperfettamente tutta in terra. Ora a vedere questo è la piùprofonda cosa che sia; questo disse Cristo a santo Filip-po, quando san Filippo gliele disse: mostraci il Padre; eCristo disse: Filippo, non credi tu ch’io sia nel Padre e ’lPadre sia in me? chi vede me vede il Padre. Ebbe anchela Donna nostra a rappresentare Iddio nel terzo modo,cioè a ritroso, a similitudine dello specchio cavo. Quan-do Iddio incarnò parve Iddio avvilisse e andasse al bas-so: non che Iddio si muti giammai, ma questo fue al pa-rere delle genti che si umiliò Iddio; e così quandol’umanità si congiunse colla divinitade s’ingrandì altissi-mamente: e in questo modo parvero i piedi di sopra

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quando l’uomo si fece Iddio, e parve che ’l capo fusse disotto quando Iddio si fece uomo. Ecco dunque come laDonna nostra ebbe a rappresentare Iddio anche in que-sto terzo modo, a similitudine di quello ispecchio. Ilquale ha un’altra proprietade, che, avvegna, come dico-no i savii, la natura sua sia fredda, sì ha questa virtude,che posto al sole si riscalda dalla lunga, e getta fiamma,ed arderebbe eziandio bene dalla lunga il legno. Questonella Donna nostra fu l’ardore divino, e ’l fervore dellacaritade ch’ebbe nell’anima sua, perocch’ella fu umilesopra tutte le criature. Vedi dunque come la criatura ri-ceve in sè e moltiplica il lume celestiale; siccome unaispada forbita o un elmo pulitissimo, chè quando vi vie-ne su il sole sì fa grande isplendore; e quanto più è purae pulita tanto più moltiplica il lume e la carità: cosìnell’anima pura risprende la luce divina mirabilmente, equanto più è pura più il riceve e più è familiare di Dio,siccome si mostra di santo Iovanni Evangelista; il quale,perocchè fu vergine, però fu più familiare a Cristo chegli altri apostoli; e santo Paolo, perocchè fu vergine, me-ritò di vedere essendo in questa vita la beata Trinitade,chè fu questo uno de’ maggiori santi che potesse essere,e fu menato nel paradiso. Ma quando il sol viene da latoalla cosa pulita, non dirimpetto, non fa grande lume, maquando gli viene bene dirimpetto allotta riluce bene.Così, avvegnachè stessi casto, se questo non facessi perCristo, per suo amore, poco varrebbe. Onde i filosafiche stettero casti, perocchè ’l non fecero per Cristo, nonvolle essere neente; onde quelli che stesse casto, peroc-chè non potesse fare altro, ovvero se non avesse marito,e aspettassilo d’avere, questa castità poco vale; ma quan-do tu fai ciò per amore di Cristo e per piacere a lui, èche riceve in sè il lume divino. La terza cosa c’hae a farela purità si è c’hae a trarre Iddio a sè; e questo iscrivesanto Gregorio, quando dispone il Giobbo; recandoquivi la similitudine dell’unicornio, il quale è una bestia

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fortissima, quasi la più che sia, e ha uno corno lungoben tre braccia, ed è animale grandissimo, e pochissimise ne pigliano radissime volte, e se si pigliassino non sipigliano se none in un modo, cioè con una donzella ver-gine dall’odore di lei. Questo unicornio della VergineMaria a venire nel suo ventre. Così se tu averai in te pu-rità verrà Iddio a riposarsi in te, altrimenti non aspetta-re. Deo gratias.

VIII

Anni 1303, dì tre di Febbraio, in Santa Maria Novella.

Expleti sunt dies purgationis Mariae. Disfassi la puritàin più modi: l’uno modo è toccamento, l’altro per me-scolamento, e più altre ragioni ci ha assai. Dico dunqueche una delle cagioni perchè si disfà la purità si è per lotoccamento, e questa è quando la cosa ria toccasse labuona, ovvero quando la cosa pura fosse toccata dallaimpura. Questo senno del toccamento dicono i saviich’è ’l primo senno del corpo e nel quale s’infondanotutti gli altri senni naturali; onde il primo senno chel’uomo hae della cosa è il toccamento, e ogni animale haquesto senno. Chè dovete sapere che ogni animale nonha tutti i senni: la talpa ben sapete non ha il vedere: e hail mare un pesce che non non ha se none questo senno,cioè il sentire, e che mangia, ma non vede nè ode, nonha odore, e così ti dirò di molte, ma questo ben nonhanno tutti gli animali. Onde ogni creatura che ha vita èmestieri che abbia il toccamento, e questo toccamentonon intendete che sia pur nelle mani, no, ma è in tutto ilcorpo; perocchè ’l corpo sente dovunque, e’ tocchi intutte parti, e non solamente è questo se non così in tuttigli animali, ma eziandio questo senno è egli veramentein tutti gli altri senni. Onde in tutti i senni ciascuno hae

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suo toccamento. Onde quando l’uomo ode si è peroc-chè la voce tocca l’orecchio; e così quando l’occhio vedesi è perocch’è toccato da quella cosa che vede, cioè dauna simiglianza ch’esce di quella cosa ispiritualmente eviene insino all’occhio; e così quando l’uomo gusta si èperchè ’l palato è tocco dal cibo; e così ti dico dell’odo-rare, perocchè l’odorare viene insino al naso e toccaquel senso che è; però qui vedi questo, se non che tocca-mento è fondamento di tutti gli altri sensi corporali, enon solamente de’ corporali, ma anche degli ispirituali;perocchè l’anima ha anche i suoi toccamenti, siccome ilpensiero, l’amore. E perocchè questo senno è così gene-rale in tutte le parti dell’uomo, perocch’egli è quello perlo quale riceviamo macula e sozzura, però dee averel’uomo guardia in ciascheduna parte: dovemo avereguardia alle mani, che non toccassino nulla cosa in mo-do disonesto; doveremmo avere guardia agli occhi dicessargli dalle vanitadi; avere altresì guardia agli orecchidelle cose nocive, e così agli altri sensi; e come ti dico de’sensi corporali, così anche di quegli dell’anima. Onde tidei guardare da’ mali pensieri e dalle male cogitazioni, edi non recarti a memoria le brutture, altrimenti tu ti soz-zerai immantanente. Noi siamo terreni, non siamo di na-tura celestiali: i corpi celestiali ben toccano le sozzure, esì non ne diventano lordi: siccome il sole, che tocca lesozzure colla luce sua, e sì non ne riceve in sè nulla soz-zura. Le stelle simigliantemente toccano quaggiù collavirtù loro, che se così non toccassero non ci nascerebbenulla cosa, e non però non ricevono bruttura nulla. Sic-come altresì ti dico di Dio, ch’è luce infinita e puritàsomma, il quale tocca e vede tutte le cose, e non ricevedi loro nulla sozzura. Onde tutti i peccati nostri vede Id-dio, tutti e tutte le sozzure; ma però non s’appicca a luinulla sozzura, perocch’è celestiale. Ma non diviene cosìdi noi, perocchè siamo terreni; e però quando noi toc-chiamo alcuna bruttura, incontanente siamo sozzati. E

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questa è la ragione perchè non dovemo andare cogli oc-chi e colla testa levata vedendo quella, e dire: e’ non misozzerà, chè non puote, etc., chè noi siamo carnali; espezialmente è ria cosa questo toccare delle mani che,altri fa l’uno all’altro, e che stanno i giovani e fanciullitra loro, cosa pessima e piena di veleno, e di grande pe-ricolo; e così ti dico dello ischerzare, o quanto si rendo-no che si guatino carnalmente. Tutto questo è fatto pes-simo; e non dica nullo: io sono forte e non mi sozzerò,chè non si dice il vero, perocché tu non se’ celestiale, an-zi se’ carnale; e però diceva Salamone: qui tangit picemcoinquinabitur ab ea. Leggesi d’uno santo padre, che ve-nendo a lui la madre ch’era vecchia, quando la venne atoccare si fasciò la mano; la madre si maravigliò; or chefara’ tu, figliuolo mio? or tu ti fasci la mano? non sa’ tuch’io sono tua madre e sono vecchia? Ed e’ rispuose:non è forza: il dimonio è sottile e io per me sono fragile,e forse che per voi mi tenterebbe dell’altre, e rechereb-bemi a memoria, sicchè non può essere troppa la guar-dia. E questo è la ragione perch’e’ santi vanno onestissi-mi tutti; e stanno assai in cella per non vedere nè udirequeste vanitadi, e per non sentille. E non solamente n’èmestieri d’avere guardia a questi sensi corporali, ma an-che, com’io ti dissi, a’ sensi dell’anima. L’anima tocca elpensiero; credimi: non ti recare a memoria le brutture ei peccati, chè tu ti lorderai. E per questa cagione si dàqui questa dottrina, che avuto te contrizione buona unavolta de’ peccati, non ti caglia poi di più ruvistargli,ch’ell’è pece che ti sozzerà da capo; non si potrebbe ave-re troppa guardia, non stare troppo turato, a volere bentenere netta l’anima. L’altra cagione perchè le si sozzanoe si macolano si è per lo mischiamento insieme. Comevedete quando i vapori escono del mare e de’ paduli, evanno su nell’aria, allora l’aria si sozza e diventa mac-chiata. Così anche dell’acqua e della terra. La terra persè è pura e l’acqua per sè è pura; ma mischiata insieme

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fannosi loto; or così adiviene dell’anima. Qual’è quellacosa che mischia l’anima e falla brutta? questo è l’amorevano e carnale. Tu se’ buono, o quella o quelli sono buo-ni; ma quando per cattivo amore si mischiano insieme,allora diventano lordi e maculati di sozzura. Ma potrestidire qui: or è reo amare le creature di Dio? non ama Id-dio tutte le criature? Egli sì bene. Se tu l’amassi a quellomodo tu non peccheresti e non ti lorderesti, siccomefanno gli angeli e’ santi, che amano tutte le cose di Dio,e non però ci peccano; ma tu non l’ami così tu, anzi èamore carnale il tuo. Se tu l’amassi d’amore di caritadeper Dio, questo sarebbe buono amore, e sarebbe digrande guadagno e di grande merito; d’ogni cosa chifosse ordinato secondo diritto amore di caritade guada-gnerebbe, ed è maggiore, e del bene e d’ogni altra cosa,di tutto crescerebbe in amore di Dio. In quattro modi è’l difetto del nostro amore. Egli è un amore ch’è controa Dio, ed è uno amore ch’è sopra Iddio, ed è un amoreche non è a Dio, ed è un amore ch’è sanza Iddio. L’amo-re ch’è contro a Dio si è quello de’ superbi, che, vogliaIddio o non voglia, si pur amano e disiderano le cose delmondo, e pur voglionle: siccome il Lucifero, che desi-derò la grolia contro Iddio; onde fu così pericolato, chedi così grande altezza e bellezza discese in tanta miseriae in tanta sozzura. L’amore ch’è sopra Iddio si è quandoami la cosa più che tu non ami Iddio: questi sono gliavari, che abbandonano Iddio e disprezzan per cupidi-tade e per malo amore delle cose del mondo. L’altroamore che non è a Dio si è quello de’ carnali, che si di-lettano nelle carnalitadi e nelle vanitadi. Vero che sonodi quelli di ciò che sono dolenti che ciò sia contro a Dio,non vorrebbono che fosse contro a Dio nè chè gli di-spiacesse. L’altro amore ch’è sanza Dio, questo è ne’peccati veniali. Questi non macchiano l’anima ma im-polveranla, e questo è in questo modo: cioè, quando ve-di alcuna cosa che ti piace, e tu non l’ami contro a Dio

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nè più che Iddio, anzi l’ami pure a Dio, ma è sanza Id-dio, quando guatandola, o ricordandotene, o amandola,tu allotta non ti ricordi di Dio. Or questo, com’io ti dis-si, non macchia l’anima, ma impolvera. La polvere è unacosa che tosto ne va, non toglie la bellezza dell’anima,no; questa polvere ricevono i sacerdoti quando odono leconfessioni, che non può essere che polvere, e ne ricevo-no almeno in tanto in quanto allotta non si ricordasserodi Dio, chè i loro orecchi sono anche piene di tutti i vo-stri fastidiumi; e (disse frate Giordano) a’ religiosi, allanostra purità queste cose no, anzi il nostro luogo è l’ere-mo; ma Dio ha provveduto per bene delle genti che sie-no religiosi che stieno intra le genti, acciocchè le gentisieno per loro lavati e purgati dalle sozzure, altrimentiistareste male sanza noi. Deo gratias.

IX

Anni 1303, Domenica, in Calendi Marzo.

Si fratrer tuus peccaverit, etc. In questo Vangelio Cri-sto n’ammunisce della correzione che dovemo fare in-verso il prossimo; e mostrasi nelle dette parole quattrocose d’intorno di ciò. Prima dimostra come il dovemocorreggere e ammaestrare, e come di ciò siamo tutti te-nuti; mostrane di ciò cui dovemo ammaestrare ovverocorreggere; mostrane ancora il modo che dovemo in ciòtenere; e poi ne dimostra l’utilità che fa, il frutto che hain ciò fare. Dico che dimostra cui dovemo correggere oammaestrare; onde e’ dice: se il tuo fratello peccherà inte, è ciò che dice, che quegli il quale tu dei correggere siè quello tuo fratello che pecca in te. L’uomo sì pecca aDìo, pecca al prossimo, pecca anche a sè medesimo; intutti i detti modi è offeso Iddio e anche colui che pecca;perocchè chi pecca in Dio ben sapete che offende Iddio,

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e chi pecca nel prossimo anche offende Iddio; e così tidico simigliantemente: chi offende Iddio sì offende sèmedesimo, e chi pecca nel prossimo anche offende sèmedesimo, e chi pecca in sè medesimo sì offende sè me-desimo; sicchè per tutti i modi è offeso Iddio e ’l pecca-tore. Ma non è così offeso il prossimo, perocché non è ilprossimo offeso in me così e in ogni modo; perocchè ioposso peccare e offendere Iddio, e non è però offeso ilprossimo, almeno da’ peccati del cuore, ché non gli sa ilprossimo, e de’ peccati celati, i quali non vede il prossi-mo e non gli sa. Quegli dunque pecca nel prossimo chedà male esemplo altrui di sè e pecca palesemente, e que-sto è grande peccato. Quegli ancora pecca nel prossimoche non solamente dà malo esemplo, ma che ti induce apeccare con esso seco, e che vi ti conforta, e vi ti ammae-stra e vi ti mena, chè questo è cosa pessima, ovveroquando ritrae altrui quando vuole fare alcuna opera san-ta e buona, ed egli nel sconforta, questi pecca gravemen-te. Peccasi ancora nel prossimo in lodare e in biasimare;perocchè biasimare altrui rade volte è sanza peccato, segià nol facessi tra te e lui che pecca, segretamente percorrezione. Il lodare altresì rade volte è sanza peccato, espezialmente perocchè lo muovi a vanagloria. Or questicotali che così offendono, siamo tenuti d’ammaestrarglie gastigargli; e vedi come ne se’ tenuto. La Scrittura diceche se tue vedi il prossimo tuo in necessitade, e tue ilpuoi sovvenire e nol fai, sì pecchi piue quando egli haenecessitade del tuo aiuto; onde puoi essere in tal caso,che se tu nol sovvieni, tu gli tieni la ragione sua. Onde setu se’ tenuto così al prossimo di sovvenirlo delle cosecorporali a luogo e a tempo (chè se nol fai sì pecchi),quanto maggiormente gli siamo tenuti dell’anima, pe-rocchè l’anima molto maggiormente è vie meglio che ’lcorpo? Ma non intendere che però sie tenuto d’ammu-nire e di riprendere ogni persona, ma coloro solamenteche tu credi che t’odano, e che il tuo ammunimento gio-

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vi, e che però ne migliorino e si correggano, e questo tipaia bene. Altrimenti no; che, perch’i’veggia uno barat-tiere che giuochi e bestemmi Iddio, andrò io colà ad am-munirlo? non ne se’ tenuto, chè ne farebbe di peggio.S’io altresì veggio colà le meritricie, son io altresì tenutod’andare lae e d’ammunirle? no, chè non gioverebbe, eforse che ne peggiorerebbono. Senne ancora iscusatoper un’altra ragione, cioè se non ti senti ben sofficientenè savio come si converrebbe e richiederebbe a ciò, disaper dire per ragione le parole, come a ciò s’accadreb-be; ma se queste cose non ci sono, cioè quando tu crediche t’oda, e vedi bene che se ne emenderebbe, e tu altre-sì il possi fare, allora se tu nol fai sì pecchi gravemente. Ilmodo che in ciò dei tenere sì te ne ammaestra Cristo, einsegnati fare siccome buono medico. Il buono medicoquando viene allo infermo sì si briga di guarirlo tutto sepuò, salvargli tutte le membra interamente, e se prevedeche raccattare non si possa la santade altrimenti, sì ’l la-scia andare, e taglia alcuno membro, talora la mano, ta-lora il dito, talora l’occhio: e questo fa acciocchè guari-sca, perocchè meglio a fare così che se tutto il corpoperisse; ma se ’l può guarire conservando tutte le mem-bra, molto si pena di farlo. Noi avemo anima e corpo, eavemo le ricchezze e avemo la fama. Tu vedi il prossimopeccare, sì: or poni mente se tu ’l puoi guarire conser-vando tutte le dette cose; onde se puoi fare sanza torglile ricchezze o fama, buono è; se no, si fa come il medico:lascia andare quello che non si può conservare, accioc-chè torni la santà nell’anima. E però dice Cristo: prima ilriprendi intra te e sè, acciocchè non lo infami; e se sicorregge così bene sta, chè gli hai conservato la famasua: e questo è meglio a fare, se fare si può, imperocchèsi guarda più di peccare, teme di non perdere la fama.Onde di molti mali sostiene l’uomo per conservare la fa-ma sua, tanta cura ha ciascheduno di conservarla, e se laperde incontanente diventa più isfacciato, e non si cura

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poi di fare male in palese o in nascoso. E però se puoisapere, gli conserva la fama sua, ma se non puoi, chenon t’oda, allora dei avere uno, due o tre teco ad am-maestrarlo, e dei chiamare persone buone e sofficienti aciò. E sarebbe buono il parrocchiano tuo a ciò, chè ’l te-me più quando comincia a perdere la fama; ma se que-sto non giova dillo alla chiesa, cioè a’ pontefici, e puo’ lodire al vescovo, e se non ode sì ne se’ al tutto iscusato, esia da te siccome iscomunicato, e s’ell’è tua moglie parti-ti da lei; e puo’ la allora pubblicare e non pecchi, anzi èquesta la regola di Cristo. Vedete quanta cura Cristo haedella fama altrui; troppo ha cura Cristo della nostrabuona fama, e non vuole che noi siamo sanz’essa, e gra-vemente pecca chi la toglie altrui; perocchè quegli chetoglie altrui la fama, sì gli mozza un buono membro,ch’è meglio che non sono tutte le ricchezze. Dunque seil peccato il quale tu sai manifestamente, ti comanda Id-dio che tu nol dichi eziandio in correzione, se non contanta discrezione, come pecca dunque chi fa contra ciò,cioè chi infama se non quando è scomunicato, secondola detta regola e ordine? molto maggiormente. Pessima-mente pecca quegli che ditrae, cioè e abomina di quelloche altri non è colpevole: che vitupero è toglier la fama atorto non si potrebbe dire; meglio è la buona fama chetutte le ricchezze del mondo. Onde non vuole che tu glitogli, eziandio se tu il sai palesamente, se non è nel dettomodo. Potrebbe dire alcuno: come se tu nol sai biasimi evituperi altrui, quando quello che chiaramente si saenon si può fare se non con tanta discrezione, per conver-tirlo e per trarlo del male? Isciocca cosa è codesto, anzipecchi maggiormente. Se in questo siamo tenuti, quantomaggiormente sono tenuti i padri e le madri di gastigarei figliuoli e di correggergli da’ vizi e da’ peccati e da’ ma-li costumi, ed ammunirgli ed insegnar loro dottrina dibuono costume e d’amare Iddio! chè se ciò non fanno sìpeccano gravemente. Molto maggiormente peccano

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quei padri e quelle madri c’hanno i figliuoli, e veggonoloro avere rie usanze e darsi alle carnalitadi, e non dico-no loro nulla; anzi gli lasciano fare e non gli riprendono;ma se facessino danno di casa pur di tre danari, allottagli gastigano, ma quando veggiono loro avere male usan-ze, e veggongli isviare e darsi a’ peccati, allotta istannocheti. Quanto maggiormente peccano quegli eziandioche gli dispongono a peccato non si potrebbe dire: trop-po sono tenuti i padri e le madri a’ figliuoli loro, e anchel’uno fratello all’altro d’avere buona cura l’uno dell’al-tro; e se adiviene, dice poscia Cristo, che egli t’oda haiguadagnata l’anima del figliuolo tuo. Maggior guadagnoè a guadagnare un’anima a Cristo che tutti e’ tesori delmondo; perocchè un’anima è meglio che tutte le creatu-re, trattone l’angelo, che pur di noi è migliore di natura;tutto l’altro mondo, sole e luna, e gli altri elimenti, e be-stie, e pesci e uccelli non vagliono tanto quanto vale unasola anima; perocchè l’altre creature non sono fatte peravere Iddio, ma l’anima è di natura di potere ricevereIddio in sè, ed è fatta per avere Iddio, e tenerlo e goder-lo eternalmente, e non dee venire meno; e gli altri ani-mali di qui a poco morranno in anima e in corpo, e nonsaranno più nulla, ma l’anima sempre durerà. Che dun-que guadagno è questo! Se tu ne n’andassi insino oltremare per guadagnarne un’anima sola, sì avresti beneispesa la via. Se tutto il tempo della vita tua avessi gua-dagnata una sola anima, sì avresti assai fatto. Ma nonche noi guadagnamo l’anima altrui, volessilo Iddio chenoi guadagnassimo e salvassimo pure noi medesimi! Edi questo tuttodie ne siamo predicati e ammuniti, chenoi salviamo noi medesimi, e non facciamo. Non fecerocosì i santi: i santi non solamente istettero contenti diguadagnare la loro medesima, ma vollono guadagnaredell’altre; e però sono stati maggiormente lodati perl’anime che convertirono a Cristo. Cristo venne di cieloin terra, e tutte l’anime guadagnò, perocchè tutti quegli

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che si salvano si salvano per lui. Gli apostoli gli ataronoguadagnare; chè si dice di santo Piero che in una predi-ca convertie tremila anime, e a una cinquemila: furonopescatori d’anime costoro, non entrarono vòti in cielo,ma recarono pieno il seno delle molte anime guadagna-te; questi furono i buoni procuratori di Cristo. Quellosanto è più nominato e più lodato, che più anime haguadagnate a Dio. Quanto bene esce d’uno santo uomo,non si potrebbe dire il merito suo. Santo Agostino quan-te anime ha guadagnate a Dio, quanti retici convertie, equanti tuttodie per le sue prediche si convertono! comelavorò! L’altro si è santo Paolo; e come lavora tuttavia!Di santo Domenico e di santo Francesco non si potreb-be dire. Ecco dunque il guadagno che si fa a Cristo gua-dagnando l’anime; è però d’avere in ciò lo studio nostrogrande. E non si convertono le persone pure per gasti-gare, no, ma per dare buono esemplo di sè, di buona vi-ta, vertuosa, e per molti altri modi, ne’ quali ci dovemoisforzare a nostro prode. Che diremo oggimai di quegliche non solamente non le guadagnano, ma le guadagna-te tolgono a Cristo e fannole perdere? questo è sommopeccato. S’egli è peccato pessimo a non correggere nèammaestrare il prossimo, come è detto, quanto maggior-mente peccano coloro che non solamente non gli con-vertono, ma fannogli perdere col loro malo esemplo, econ loro rie opere e rie parole? Non si potrebbe dire illoro pericolo; ch’avrà una femina per lo suo male porta-mento fatte cadere già cento persone, che pure col con-sentimento, sanza metterlo in opera, sì pecca mortal-mente, come dice Cristo, e non ne pare avere loropeccato. Ben è vero ch’elle non vanno per peccare, eforse non vorrebbono che l’anime si perdessino, mamuovele pur vento di vanagloria, ma questo è ’l malevento e corrotto. Dal vento corrotto dicono i medici chene nascono le più pericolose malizie; e però quando sach’è nocivo il suo fatto se ne dovrebbe guardare; e però

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sono li gravi peccati, e non se ne confessano, che tolgo-no l’anime a Cristo. E poi disse Cristo a’ discepoli:chiunche voi legherete in terra sarà legato in cielo, echiunque iscioglierete in terra sarà isciolto in cielo. Diverità il legare non ti fai se none tu stesso, tutti i papi delmondo non ti potrebbono legare ch’uno peccato, se tunon ti volessi; però tue medesimo ti leghi e non altro, nèangelo, nè dimonio, nè uomo nè nulla creatura. Qual’èdunque il legare di che Cristo dice, la quale alturitadediede agli apostoli, e in loro la diede a tutti i vescovi epreti? Questo è in quattro modi: a culpa, a gehenna, inpenitenzia e a natura. Dico prima a culpa. Io t’ho dettoche tu ti leghi tue istesso per lo peccato. Or vieni tue aprete che ti prosciolga. Se non ti assolve si se’ legato;non ch’egli ti leghi, chè il legare t’hai fatto pur tu, maquando egli ti può assolvere e non ti assolve, si è questoun modo di lega, cioè che ti tiene legato al fuoco delloinferno, ti lega altresie: e questo è ancora in questo me-desimo modo non assolvendoti. L’altro modo si è quan-do ti pone la penitenzia, e diceti: fa così o di’ così. Aquesto se’ si legato che ’l ti conviene compiere, e se no,sì ne se’ tenuto in cielo, e lae ne renderai ragione. L’altrolegare si è quando iscomunica, e se questo è con ragionee giustamente sì è iscomunicato in cielo e in terra; ma seadiviene che sia fatto ingiustamente, che adiviene ispes-se volte, talora per ignoranzia (chè non cognoscerà la ra-gione il pontefice), talora per le pruove che sono date eprovate (perocchè conviene che la sentenzia si dia se-condo le pruove), sel può fare il pontefice di buona co-scienzia. Pogniamo che non sia giusto, costui pogniamoche sia iscomunicato, non è però iscomunicato a Dio, enon perde però paradiso; ma dee costui ubbidire la sco-municazione, di non entrare in chiese, di non comuni-carsi, e da altre cose che sono vietate; se questo osservasì si ha grande merito da Dio; ma se non ubbidisce e senon se ne cura, e dice: ben poss’io andare e stare quan-

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do non sono iscomunicato a ragione, allotta sì pecche-rebbe, e la sarebbe iscomunica a diritto quanto a Dio equanto al mondo: chè, pogniamo che la iscomunicazio-ne sia ingiusta, nondimeno si dee ubbidire, però chequesta podestà ha data Cristo a’ pontefici. Se adivenissiche ’l pontefice il facessi per odio, per malavoglienziache t’avessi sanza cagione o ragione, ancora si dee ubbi-dire in ogni modo, paradiso non ne perdi, anzi n’haigrande merito, ed egli uccide l’anima sua. Ecco i modicome legano ogni uomo e’ pontefici. Di potersi legarequesto è in quattro modi. L’uno modo si è per boto,quando ti leghi a Dio per boto, che se’ legato, e convien-si adempiere, se no sì pecchi mortalmente. Leghiti anco-ra quando imprometti di fare al prossimo alcuna cosa, oper carta o pur sanza carta, di buona fede, sì se’ anchetenuto di farlo, e se non lo attieni sì pecchi; ma se fossecosa ria o di peccato, questa in nullo modo si dee o puòattenere. Anche si lega l’uomo per saramento, e allora silega a Dio ed al prossimo, come quegli che giura allacorte. Legasi anche l’uomo quando pecca, chè ogni pec-cato è un legame fortissimo e pericoloso. Diede ancheCristo a’ pontefici non solamente di potere legare, comedetto è, ma di potere eziandio sciogliere; ma a sciogliertiè mestieri che ci sia tue e Iddio, chè sanza te non ti puòassolvere creatura. Tutt’ i papi e vescovi non ti potreb-bono assolvere se tu non ti vogli, o se tu non gli aiuti enon se’ con loro: questo fai quando ti penti de’ peccati ehai voluntade d’essere buono per innanzi. Allotta el sa-cerdote ti scioglie agevolmente; in altro modo non tipuoe assolvere. E però tu medesimo ti leghi e ti sciogli;perocchè se tu hai così disposta la volontà, dicoti che se’isciolto anzi che sia al prete; e se non potessi avere preteo che ti morissi, sì se’ assolto quanto a Dio; e questo simostra per molti esempli, e per la Scrittura; e Iddio an-cora non ti iscioglierebbe sanza te. Onde non ti paianodure cose a servare, che di verità elle non sono malage-

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voli; anzi chi è bene acconcio con Dio, tutte le cose chenella dottrina evangelica si contengono sono agievoli, eleggermente si asservano, ed è grande la impromessache Iddio ne fa a chi la sua dottrina terrà, che non ci hanulla comparazione. I comandamenti suoi sono nulla arispetto della gloria che n’ha promesso; chè n’andremobene e doveremmolo fare per avere tanto bene. Se necomandasse che chiunque il volessi ardesse ognindì unavolta quanto vivessi, si ne andrebbe bene; nò, ch’eglinon vuole ciò, ma tutta santità e nettezza, e tutta vostraagevolezza. Deo gratias. Amen.

X

Anni 1305, Domenica, dì 9 di Marzo.

Ego sum pastor bonus. Tutte le criature sono povereda loro; solo Iddio è ricchissimo di tutti i beni, e chiun-que hae ricchezze temporali o spirituali frutto è dellaricchezza di Dio. Se l’uomo si confidasse nella fede diDio e avesse in lui buona fede, non gli mancherebbenulla. Iddio le ricchezze del mondo sì le dispensa e dae aquegli vede che gli siano buone; a quegli vede che buonenon gli siano, non gliele dà; onde perchè l’uomo sia po-vero, non adiviene per non ricchezza di Dio, ma vieneper sua somma bontade, chè le ricchezze in molti sareb-bero pericolo dell’anima loro; ma se tue fussi buono e lericchezze usassi nel piacere di Dio, egli te ne darebbeabondevolemente, come fece a molti del vecchio testa-mento, che furono ricchissimi. Non si dovrebbe nullodisperare della larghezza di Dio. Chi bene si confidassein Dio, e tutta la sua isperanza avesse in lui, non gli ver-rebbe meno ciò che gli bisognasse. Ma l’uomo non siconfida in Dio, ma nel mondo; non crede che Iddio ilpossa atare, ma confidasi nel mondo fallace, che non ha

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nulla istabilità. Dice la Scrittura: Ove son quegli che siconfidaro nel mondo? tutti son periti, perocchè venneloro meno ogni cosa, chè puosero la speranza e con-fidàrsi colà ove non è nullo aiutorio ed è tutto vano. Machi si confida in Dio, a costui viene ogni bene, e non glimanca nulla nè in questo mondo nè nell’altro. E peroc-chè Iddio è tutto ricco e dà le sue ricchezze a chi a lui siconfida di ciò che mestieri gli è. Vedete, dice il Vange-lio, gli uccegli dell’aria, che non lavorano, e non mieto-no e non ragunano in granaio, e ’l padre del Cielo gli pa-sce. Quanto maggiormente voi di poca fede? chè queglinon hanno fede nulla in Dio, essi sono pasciuti da Dio;quanto noì maggiormente, se noi avessimo in lui un po-co di fede, pure un poco, non vuole altro! Se noi ancoracosì considerassimo di questo pastore la sapienza sua,molto ci confideremmo in lui. Tutte le Scritture gridanola sapienzia sua; e però egli solo è buono pastore, e pe-rocch’egli è savio sì cognosce tutti i difetti nostri, e co-gnoscendogli sì provvede a ciò. Per questa ragione nullopastore o reggitore mondano puote essere perfetto pa-store per lo difetto della sapienzia; chè, da che non co-gnosce e’ difetti, non gli può correggere nè amendare.Dice Platone: Se la repubblica sarà retta per uomo sa-vio, ovvero ch’e’ giudici di quel signore ìstudino in sa-pienzia, beata quella città. Alla quale sentenzia s’accor-da quella di Salamone, che dice: Guai alla città il cui regarzone, e i cui principi la mattina manucano, cioè chesono istolti e peccatori; chè l’uomo, avvegnachè sia savioed egli sia peccatore, sì è molto difettuoso di sapienzia;perocchè se fosse ben savio non peccherebbe, chè ilpeccato viene da pazzia e da poco conoscimento, quan-do gli uomini non hanno coscienzia. E però i rettori delmondo non sono diritti rettori, solo Iddio è il buono pa-store. E reggesi Iddio e fa a modo dell’artefice, e del me-dico e del giudice. A modo dico che fa l’artefice. Vedeteil calzolaio, che ha le forme dei calzari non tutte a uno

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modo o a uno piede, ma ha diverse forme e diversi cal-zamenti per servire a ogni persona. Così i mercatanti de’panni. Non tiene panni pur d’uno colore nè d’una bon-tade, ma tiene diversi colori e diverse bontadi per sodi-sfare tutta gente. Così sono tutte l’arti; come altresì fae ilmedico, che non tiene pure d’una medesima medicina,ma tiene di molte, acciocchè sie fornito di dare medicinaa tutte malattie. Così Dio fa come buono medico, che dàla medicina come vede che siano buone, a cui una a cuiun’altra, a cui ricchezze a cui povertade, a cui santà a cuiinfertà, a cui una cosa a cui un’altra; e però sono tante lediversitadi del mondo. Ma altrimenti medica gli amici ealtrimenti li nemici: gli amici sono medicati perfetta-mente, ma i nimici adiviene di loro come dello infermodisperato, che dice il medico: dàgli ciò che vuole. Così èsegno che Iddio l’hae abbandonato il peccatore, quandogli dà ricchezze e vengogli compiute le sue male volunta-di: questo è pessimo segno. Anche fae Iddio e regge ilmondo al modo del buono duca, che ha a ordinare leschiere delle battaglie, che non farae solamente unaischiera ma molte, e non metterà ogni uomo dinanzi, e a’più forti porrà in mano le ’nsegne, e’ più deboli ordineràdi dietro, e per sè istanno i cavalieri, e per sè i pedoni, eper sè istanno i balestrieri, e per sè quegli colle lancie; ecosì il buono duca, ch’è bene savio dell’oste, tutta l’osteordina così, e chie della sua ischiera esce, si è bando ilpiede, non si dee nullo partire dalla sua ischiera. Così èordinato questo mondo a modo d’un’oste. E però vede-te queste ischiere: e’ ci ha chi è re, chi conte, chi cavalie-re, chi giudice, chi mercatante, chi religioso. Tutto ilmondo così ordinato; e però son tante le diversitadi nelmondo. Tutto questo è dispensamento divino, accioc-chè ’l mondo si governi e regga, e non dee nullo usciredella sua ischiera, e non dee essere di ciò ordinato. Ben èvero che s’egli fa buona pruova e buona vista, che ’l du-ca il trarrae di quel luogo, e metterallo in maggiore

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ischiera. Così fa tu, non ti muovere per te a uscire di tuoistato; ond’è che ogni uomo dee istare nello istato oveIddio il pone, nè per sè non dee uscire. E però vedeteche tutte le brighe e mali che nascono, si è propriamenteperchè l’uomo esce di schiera. Verrò io e vorrò esserede’ priori, e governare la terra, e non saprò governarepur me; tu vorrai una cosa che non ti si fa; tu guateraid’avere signorie come non dei; e però nascono gli scan-doli, e però che gli uomini escono della ischiera loro. Mase l’uomo è chiamato ad alcuno maggiore istato da altruio per altrui, allora, pigliandolo umilemente, puoi essereligittimamente; ma quando l’uomo per sua superbia eper sua virtue vuole uscire di sua ischiera, quinci nasco-no tutte le confusioni. Simigliantemente se l’uomo è almondo, e Iddio lo spira ch’egli esca del mondo e venga areligione, questo ispirare è il duca Iddio, che ti vuoletrarre della ischiera ove tu se’ e metterti a migliore; mase tue non se’ ispirato e non credessi essere utile, salda-mente ti sta ove tu se’. Così vedete che Iddio tutto ilmondo regge, come buono duca l’oste, chè noi siamo amodo d’uno oste. Anche fae Iddio a modo che fa il buo-no re, che ha i molti uficiali ordinati a molti servigii emestieri nella corte sua; onde non sono tutti diputati alservigio e a uno mestiere, e non hanno tutti una degnità,ma sono in diversi modi, e chi è di maggiore vertù chelui è più avocato. Così Iddio ci regge a modo di buonore; tutti noi siamo di sua gente, e avemo certi mestieriordinati al servigio del re e della corte. Iddio non guardaalle differenze degli uomini, se non che chi più s’accon-cia a ricevere de’ suoi beni più ne dà; la mancanza non èse non per nostro difetto, che non ci acconciamo. Se noici acconciassimo a essere buoni castaldi e buoni dispen-satori, egli ci darebbe ricchezze e ogni bene: come quellisanti del vecchio testamento, che furono ricchi, ma nonle ti dae, chè ti vede disposto che ne saresti male gover-natore. Dunque vedete come Iddio ci regge con somma

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sapienzia; e però chi la sua sapienzia pensasse, molto siconfiderebbe in lui. Se noi ancora considerassimo diquesto buono pastore la sua potenza, molto ci confide-remmo in lui, ch’è tanta la sua potenzia che regge queglidi cielo e quegli di terra. Perchè sono tante le varietadi ele diversitadi del mondo, ora dì ora notte, ora caldo orafreddo, ora piove ora è secco? Perocchè Iddio ha a reg-gere tutte tutte le genti; chè se a te fosse pur die, all’altragente d’India sarebbe pur notte; sicchè, acciocchè ognigente abbi del die, e quegli die dia a tutte, e quelli diSpagnia, sì fa ora notte ora die; chè quando è notte a te èdie appo loro. In ciò si mostra come Iddio è reggitoreuniversale, e com’è reggitore di tutto il mondo. Vedetequanta cura egli ha di tutte le genti, egli ha cura di cia-scuna come di te. Perchè fae Iddio tante diversitadi nelmondo, i ricchi, i poveri, i forti, i deboli? però che hacura di tutti; chè se tutti fossono re, chi farebbe il pane,chi lavorerebbe la terra? Ha ordinato Iddio che sianode’ ricchi e de’ poveri, acciocch’e’ ricchi siano serviti da’poveri, e i poveri sovvenuti da’ ricchi, e questo è uno co-mune reggimento d’ogni gente. A che i poveri sono or-dinati? acciocch’e’ ricchi guadagnino per loro vita eter-na. Tutto questo è grande ordine di Dio, e in questecose si mostra apertamente ch’egli è pastore universale,reggitore di tutto il mondo, perocchè ha cura d’ognigente e d’ogni ischiatta, d’ogni singulare persona. Deogratias.

XI

Anni 1303, dì 19 di Aprile, mercoledì d’Alba.

Dederunt ei partem piscis assi, et favum mellis. Cristo,apparito che fu a’ dieci discepoli dopo la sua passione,essendo eglino nell’albergo per paura serrati, e detto lo-

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ro pax vobis e altre parole, come dice il Vangelio, sì disseloro: Avete voi alcuna cosa da mangiare? e recarongliparte di pesce arrostito e fiare di mele, etc. Disponiamoqueste cose come le dispongono i santi. Cristo adimandacibo da mangiare a tutti i suoi discepoli e servi, cioè ibuoni cristiani: sì facciamo dunque ad esemplo degliapostoli di dargli parte di pesce arrostito e fiare di mele.Ispiritualmente tutta la buona vita non è se none duemodi, cioè o patimento o vincimento del male, o multi-plicamento o crescimento del bene. Il primo si fa pellapenitenzia, e questo significa il pesce; e vedete che più cidae i tre belli modi e ammaestramenti: prima in ciò chedice, che gli dierono parte di pesce arrostito, si mostra lanostra fragilitade, e la condizione e ’l modo della peni-tenzia; onde noi non potemo dare a Dio pesce intero,ma noi gli ne diamo parte; onde noi non siamo sofficien-ti a fare penitenzia dei nostri peccati compiuta, no, anzinon neente. E chi è che sodisfaccia a Dio della colpa edella pena di che è degno? non neuno. Onde se l’uomofacesse penitenzia tutto il tempo della vita sua, quanto civivesse, non sodisfarebbe a Dio e non gli darebbe pesceintero. Solo Cristo diede a Dio pesce intero, perocchètutta la sua vita fue penitenzia, e alla morte salìe in su le-gno della Croce. Onde dicono i santi, che tutta la penadi ninferno e di purgatorio, e di questo mondo, non valee non sodisfarebbe tanto, quanto la pena e la morte diCristo; onde quella morte preziosa sodisfece a tutti ipeccati e a tutte le colpe di tutti quegli che erano passati,e che eran presenti, e che doveano venire. Solo Cristodiede pesce intero. Quelli di ninferno non possono darea Dio pesce intero; perocchè mai non compieranno laloro penitenzia, perocchè ’l peccato che si fa contro aDio è infinito, siccome Dio è infinito; e però non pa-gherà mai quegli ch’è in peccato mortale. Morendo Cri-sto pagò e sodisfece per tutti, cioè per quegli che in que-sta vita se ne pentono. Le pene di quegli di ninferno non

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sono se non un sodisfacimento a Dio, ma mai non ver-ranno a fine di sodifare. Ancora è parte di pesce arrosti-to la vergogna che tu hai quando ti confessi, e anche lapenitenzia che ti dà il prete, è fuoco di purgatorio, è an-che parte di penitenzia. Iddio pur vuole essere sodisfat-to, noi per noi non potemo; come si farà dunque ciò aDio per tutta l’umana generazione? Dicono i santi, ed èvero, che più vale uno paternostro che sia detto in peni-tenzia del prete, che non vagliono quelli che tuttodì di-chi per te medesimo. Più ti vale osservare uno die di di-giuno in pane e in acqua per penitenzia data dal prete,che se tu digiunassi più di mille per tuo albitrio; così è laverità. Ecco la ragione: la penitenzia è uno dei sette sa-gramenti: i sagramenti onde si traggono? della passionedi Cristo; onde uno paternostro un die che ti darà elprete in virtù di penitenzia, più vale che se tu di tuo albi-trio digiunassi più di mille die, e dicessi piue di mille pa-ternostri; perocchè questo è da te propio, ha poca virtù;ma non è si piccola cosa data in vertù di penitenzia, chenon sia grande, quasi sanza fine; perocchè la penitenziache ti dà il prete dicesi ch’è parte della passione di Cri-sto; così dicono i santi; e però è di tanta virtù. La secon-da cosa che si mostra si è la condizione. Onde dice chegli diedero parte di pesce. I buoni pesci istanno in acquaamara; assai sono migliori che quelli delle dolci; e in ciòsignifica la condizione della penitenzia; chè, come il pe-sce istà in acqua salsa amara, così noi dovemo istare inacqua amara di lagrime, di dolore, di contrizione de’ no-stri peccati; onde disse santo Macario una bella parola:se il pesce tu il trai fuori dell’acqua non ci viverà un ora,perocchè fuori dell’acqua non può vivere; così se il pec-catore che torna a penitenzia, egli uscirà di lagrime e didolore di penitenzia e d’affrizione, incontanente morrà etornerà a peggio che prima. Onde di Quaresima si fannomolti buoni pesci, mentre che stanno in questo mare, inquest’acqua di penitenzia; ma quando viene dopo Pa-

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squa, ch’escono fuori del mare e vanno alle vanitadi in-contanente, non possono molto istare che sono morti; eperò d’ogni tempo ci conviene istare in penitenzia e inamaritudine di peccati. La terza cosa di che noi siamoammaestrati in questa parola, si è in ciò che dice che fuearrostito. I pesci arrostiti sono migliori e più saporiti chequelli che sono lessi nell’acqua; però gli pesci arrostitis’intendono quegli che stanno in penitenzia. Il fuoco so-no le afflizioni; e però dicono così i santi: buona è la pe-nitenzia, ma migliore è la penitenzia con la penitenzia;onde quegli che portano in penitenzia le tribulazioni cheIddio gli dae, e ricevele lietamente, allora è verace la suapenitenzia. Dice il Vangelio che Cristo saziò la turba dicinque pani e di due pesci. Questi due pesci, l’uno èl’anima e l’altro è ’l corpo: amendue deono stare arrosti-ti: il corpo di penitenzia, di digiuno, di viaggi, di vigilie,di ciliccio, di discipline e di cotali cose; l’anima di con-trizione, di dolore de’ suoi peccati, e stare in paura e intemore di Dio, e in sostenere in pace l’avversitadi. Il fia-re del mele ha in se due cose, cioè cera e mele. Il mele sìè purgato, ma il fiare del mele sì è mescolato mele e cerainsieme, e significa le due buone vite, cioè l’attiva e lacontemplativa: per la cera la vita attiva, per lo mele lacontemplativa. Tre condizioni hae la cera: la prima cheper lo fuoco si strugge; la seconda è che riceve ogni for-ma, perocch’è arrendevole; la terza ch’ella è cibo delfuoco a fare lume. Queste condizioni dee avere la vitaattiva. Dico che la cera si distrugge per lo caldo: così ilbuono uomo si distrugge e alliquidisce di compassione edi pietà dell’avversitadi e tribulazioni del prossimo, diquelle ispezialmente che veggiono sostenere a’ buoniper giustizia, e spezialmente incresce loro del grande pe-ricolo ove veggiono istare i peccatori. Ancora il buonouomo amico di Dio è siccome cera, che riceve ogni sug-gello, che da sene non ha forma niuna; così egli s’appa-recchia a ricevere e a sostenere cheunque Iddio vuole

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far di lui, o cheunque piace di dargli, o tribulazioni opovertà, od altre pene o fatiche, tutte le riceve per su’amore; ma se queste cose egli ischifasse, allora sarebbecome pietre e come sasso duro, che non riceve impres-sione veruna; così sono i cuori de’ peccatori. Così è simi-gliantemente delle prosperitadi: de’ le ricevere volentie-ri, quando piace a Dio e vuole, sempre riconoscendoneIddio e rendendogliene grazie; e se tu allora le ischifassie non le volessi, allora saresti pietra dura da gittare via.E però il santo uomo, l’amico di Dio, de’ essere comecera, d’accostarsi tutto e conformarsi nel volere di Dioin ciò ch’egli vuole fare di lui. La terza proprietà c’hae lacera si è che arde e allumina, e arde sè e consumasi, e al-tri allumina. Avvegnachè questo del consumare sì si po-trebbe prendere in mal modo; ma pigliane quel modo adiritta vita attiva, buona; e che, siccome la cera istruggesè per altrui, così l’uomo perfetto vende ciò che ha e dàa’ poveri di Dio; e anche istrugge sè a faticarsi pelloprossimo in servirlo, e in atarlo, e in ammunirlo, correg-gerlo, alluminarlo, sicchè da questa parte si de’ pigliare.Per lo mele significa la vita contemplativa: ma vedeteche, siccome il fiare del mele, insieme mischiato di cerae di mele, cioè non è pur mele nè pur cera, così non ènullo che possa menare per vita attiva sanza la contem-plativa, e neuno può menare vita contemplativa sanzal’attiva, onde tutto si distingua l’una dall’altra; niunopuò avere l’una sanza l’altra. Ma se tu mi domandi qualsi fa più, dicoti che comunalmente (dico de’ buoni) fapiue con vita attiva che con la contemplativa; ben’è veroch’è alcuno che fosse più perfetto e avesse più di vitacontemplativa; ma generalmente piue studiano in attivache in contemplativa; e questo è per lo vizio della carnenostra; onde si dice del mele, chi ne mangiasse troppo sìgli farebbe fastidio, e chi n’usa molto di mangiare e’ glidà poco sapore. Così della contemplazione: se la perso-na vedesse già troppo indiscretamente, farebbe fastidio;

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e questo è per lo vizio della carne, che non è acconcia aquelle cose. Vedete che le prediche per troppo predica-re sono venute in fastidio e non sono avute care. Ma so-leva essere la parola di Dio preziosa, perocchè si usavapiù rado, e però si dice in Vita Padri, che l’orazione de-ve essere brieve e spessa; onde chi fa queste lunghe ora-zioni tornano in fastidio. Questa diffalta viene dalla car-ne; e però dice che de’ essere brieve e spessa, a saggi,pure un poco per volta, e così facevano. Onde quandoerano istati un poco in orazione, quei che quella divo-zione cominciava a cessare, ed essi partivano e tornava-no a lavorare loro cosette e a leggere; e quando ritornavail fervore e quegli andavano là; e così facevano; e peròerano sanza fastidio le loro orazioni; e così pareva lorodolce sempre questo mele, non faceva loro fastidio; chèquesta vita contemplativa non si puote bene avere inquesta vita, noi non abbiamo appitito da ciò. E peròorazione vuole essere brieve e spessa; ispessa dico, ac-ciocchè pigrezza non nascesse. Ma vedete che questedue vite non può essere l’una sanza l’altra. Tutti quegliche sono in buono istato sì sono mescolatamente in vitaattiva e contemplativa. Bene è vero che di tali sono radevolte in vita contemplativa, anzi delle cento parti nonsarà talora appena una la contemplativa. é di tali chen’hanno più, ma chiunque ci è più non ci è tanto, chementre che siamo in questa vita non sia piue in vita atti-va che in contemplativa. Onde si fecero certe religioni,che tali s’appellano religioni attive, e tali contemplative.Li spedali sono detti tutti attivi; ma sanza dubbio e’ nonstanno pure in vita attiva. La casa del eltempi combatteco’ ferri contra e’ nimici della Chiesa, è detta religioneattiva; ma sanza il dubbio e’ buoni non stanno pure invita attiva: i remiti e monachi, che sono appellati di vitacontemplativa, non sono pure contemplativi, ma la piùparte conviene che sieno attivi; questa è di necessitade,perocchè non siamo acconci nè rimossi al tutto della vita

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

attiva, mentre che siamo in questa carne mortale. Deogratias. Amen.

XII

Anni 1303, a dì 13 di Maggio, el dì di S. Croce.

Sicuti Moises exaltavit serpentem in deserto, sic oportetexaltari filium hominis. Chi va a battaglia e vede che nonpuò vincere e’ nimici, sì procura di avere aiuto del re, sepuò; e quando l’hae, sì si sottomette a lui e porta la inse-gna sua, e i nimici vedendo le insegne del re sì temono, emolto fuggono, e hassi vettoria di loro; e molte cose chepotrebbono fare e’ nimici non le fanno per temenzia delre. Così dovemo fare noi, ispezialmente ch’avemo acombattere co’ nemici, co’ demoni, i quali passano ognivirtude di mondo, e per novero e per potenzia. Dice laScrittura santa, che un solo dimonio ha tanta forza, cheper sua virtù farebbe peccare tutti gli uomini del mon-do, tutti gli farebbe cadere in sozzi peccati, e non se nepotrebbono difendere: questo farebbe un solo dimonio,il minomo; ma la potenzia di Dio gli tiene, e non lascialor fare quello che possono. Dovemo dunque ricorrere aCristo re e ricevere le sue armi, e in questo modo spa-venteremo i nimici. Ma e’ sono di quegli, che piglianol’armi altrui sanza parola, per iscambiamento; questinon la pigliano legittimamente. Ma dimonii cognosconobene chi ha el diritto segnale del re; però non guardanotanto a quegli di fuori, a quegli dentro. I segnali di fuorie non dentro, sono i falsi cristiani, che non hanno se nonil nome, in quanto sono battezzati; poco se ne curano idimonii di costoro, e s’avveggiono bene chi è segnatodentro o no; chè sono sì sottili, che incontanente s’av-veggono chi è in peccato; non perchè veggano animadentro o sappiano i pensieri, ma l’uomo ch’è corretto

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dentro non può essere che per qualche segno non appa-rischi di fuori, ed e’ non è sì piccolo segno che di fuoriappaia, come incontanente il dimonio t’ha conosciuto.Dovemo dunque essere segnati per verità e non tanto difuori per apparenzia. Il serpente del metallo dicono isanti significò Cristo; pare velenoso e non è così. Cristoparve peccatore per la umanitade che prese, ed egli fututto dolce e tutto santo: e siccome tutti coloro, che gua-tavano el serpente erano liberi dalle morsure e da’ velenide’ serpentelli, così chi guata e contempla Cristo nellaCroce è liberato da tutte le tentazioni e morsure delle di-monia e dagli avversarii. é questa mirabile cosa, che ser-pente scacci el serpente. E Iddio sì ordinatissimo, c’haeordinato la sapienzia sua, che ove si truova il tosco vi sitruova l’otriaca e la medicina sua, e sia vinta la cosa perquella medesima. De’ serpenti parlano i savii, e dicono,che di quanti colori e’ sono, tante generazioni di velenihanno, e di quante forme ne sono, tanti tormenti hannocontro alla natura dell’uomo, e di quante ischiatte ne so-no, tante generazioni di morte hanno in loro; onde sonoserpenti che avvelenando dànno morte di sete, altri chedànno morte di sonno, altri che fanno crepare, altri chene gitta l’uomo il sangue di dosso, altri sono che purecol guatare uccidono. A questo modo sono i peccatimortali, chè tutti tengono veleni mortali e uccidono didiverse morti; quale per diletto di carne, come lussuria;e altri per dolori, come la ’nvidia, altri con accidia, altricon micidiali: chi guata Cristo di tutti questi veleni emorsure e punture riceve sanitade. Tutte le cose, le qua-li Iddio ha fatte, che tengono veleno, a tutte ha fatto lapropria medicina allato ovvero in essa. Dicesi d’un ser-pente, si chiama tiro, e uno dei più feroci che sia. Vedimaraviglia, che di questo serpente si fa la fine otriaca, elà ove non ha di questo non vale nulla; di questo tiro sifa la migliore otriaca che sia, la quale è valevole a tutti iveleni, non solamente a quello di tiro, ma a tutti è otti-

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ma. Questo serpente significa el peccato mortale, che tiuccide l’anima: di questo si fa la fine otriaca da sanare;perocchè dentro del peccato si trae la fine otriaca e lamedicina, e fassi a modo che si fa del tiro, che si piglia ebattesi con verghe, che tutto il veleno torna e strignesinel capo e nella gola; e fatto questo, immantanente moz-zano il capo e la gola, e tolgono quelle di mezzo, e diquesto si fa la fine otriaca. A questo modo fa il peccato:battilo per dolore e contrizione: il capo del peccato si èil diletto: de’ tene ricordare ed averne dolore. Allotta glidà mozzo il capo, la gola gli mozzi quando hai proponi-mento di non farlo più; appresso si prende lo ’mbusto, edi questo si fà la fine otriaca. Questo si fa quando il con-sideri in che modo, cioè la piccolezza, e la viltà e la di-sordinazione. Se ’l peccato fosse una grande cosa pote-rebbe altri dire alcuna cosa, ma egli è neuna cosa, edicoti più: e questa è la grande ciechità dell’uomo, chepare in questo mondo da cento cotanti e mille cotanti.Più pena il peccato che non fa il diletto, perocchè quan-te volte l’uomo se ne ricorda, tante amaritudini ne rice-ve, e sia chi vuole, e nell’altro modo pena eternale; ma ildiletto che diede fue uno punto, che passa tosto e nonl’hai più, e la pena e la ferita rimane sempre, Chi questopensasse, questa sarebbe fine otriaca contra ciò. L’altrolato del peccato si è la viltà sua; ma quanta è la viltà sua?Vedi che d’uomo ti fai bestia, e fatti perdere la ragione elo ’ntelletto; e non solamente ti fa simile alle bestie, mapeggio, cioè bestiale. L’uomo è fatto ad avere ed a usarei diletti di vita eterna, e di godere Iddio e cibo degli an-geli, e per essere in loro compagnia. E l’uomo per lopeccato discende di questa altezza e di questo onore, ediventa non bestia per natura, ma bestiale per vizio. Benper lui se diventasse bestia; le bestie non hanno altro be-ne che questi beni del mondo, e non vivono più; peroc-chè non sono fatti ad altri beni. é l’uomo misero sì che sidà al peccato, e diventa simigliante a loro, ed è peggio:

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le bestie non hanno altro paradiso che quello di questomondo, e non è dato loro altro diletto che quello dellacarne, e quando muoiono, muore l’animo e ’l corpo, equel diletto che tu hai del peccato hanno le bestie. Ornon vuoi tu essere come le bestie? Questa seconda cosapensare sopra ciò è fine otriaca a tòrre il peccato. L’altramiseria del peccato si è la disordinazione, Deh, a che sidà il misero peccatore! al peccato, ch’è tutta disordina-zione, perocch’egli è contrario a Dio, e contra ’l prossi-mo, e contra la ragione; e gli macula la coscienzia, e glitoglie l’olore e toglie la buona fama, e vitupera l’uomoda molte parti in questo mondo e nell’altro infinitamen-te. Chi queste parti ovver condizioni prende e mescolainsieme pella mente sua e rivolgele bene, questa è utria-ca perfetta a distruggere ogni morsura e veleno, e pren-dere tutti i peccati tuoi, e porregli a piè della croce, e ri-guardare il dolce serpente, e considerare come è mortoper gli peccati tuoi, e così faccendo da ogni infertà econtrarietà sarai liberato. Deo gratias.

XIII

Anni 1303, dì 20 di Maggio, il dì di santo Istagio.

Si bona suscepimus de manu Domini, quomodo malanon sustineamus? Questa parola è di Giob, quando lamoglie si lamentava delle tribulazioni, ed egli la confor-tava che non si disperasse da Dio. Nelle quali parole èquattro bellissimi ammaestramenti, per quattro bellissi-me e utilissime ragioni: ratione universalis collationis, ra-tione multae donationis, ratione justae retributionis, etquarto bonorum omnium dationis. Dico prima che nellaparola proposta avemo ammaestramento vivo, onde pa-zientemente dovemo sostenere le tribulazioni, perocchèi beni sono tutti di Dio e non tuoi; le possessioni, le ric-

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chezze, Iddio le t’ha prestate; se le ti toglie, perchè te necrucci? se uno prestasse a un altro danari, ed egli posciaal tempo gli rivolesse, farebbegli ingiuria veruna? no,perocch’egli ritoglie quello ch’è suo; e se quegli che deverendere fosse savio, lamenterebbesi egli di lui? certo no,perocchè si ritoglie quello ch’è suo. Dunque se noi ave-mo ricevuti beneficii della mano di Dio, perchè se gli citoglie ce ne rammarichiamo? Iddio quando ci dà il benenon se ne ispossessa, se non anzi lo ti dà in modo chesempre ne vuol essere signore; dunque queste cose chetu perdi non sono tue. Onde vedete bella dottrina e am-maestramento che ne dà un filosofo, ch’ebbe nome Se-neca: E’ dice: le ricchezze e queste cose del mondo per-chè le perdi tu? e perchè si fuggono da te? ma èperch’elle non sono tue; chè s’elle fossero tue, niente sipotrebbono partire da te. Onde vedete il fuoco; peroc-chè di natura è suo el caldo, però nol può mai perdereinsino ch’egli è acceso e ch’egli è fuoco. La prieta suanatura è d’essere grave, mentre ch’ell’è pietra non lepuoi tòrre la gravezza, perocch’è sua di natura. Il solenon può perdere il lume insino ch’egli è sole, perocchèl’ha di natura. Quali sono le nostre cose naturali? il sen-no e le virtudi: queste in neuno modo ti possono esseretolte, se tu non vuogli; nè mai Iddio non le ti toglie, anzile ti fortifica, chè sono nostre di natura. Così poss’io es-sere santo come san Piero, s’io voglio; così hae fatto Id-dio per te quel bene, come per santo Piero; ma il difettoè pur nostro, che non volemo pigliare il bene. Se l’uomosi disponesse come gli apostoli, così sarebbe infiammatodi Spirito Santo come furono eglino. Non è rattrappatala mano dei doni di Dio; così gli darebbe ogni die a chisi disponesse, come gli diede agli apostoli. E però erranoe sono matti coloro che credono che la mano di Dio siarattrappata. Ma dico più, ch’è allargata. Ecco che le cosenaturali proprie non si possono partire da noi, ma par-tonsi quelle che non sono nostre. Ma dice quel savio Se-

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neca: Or queste ricchezze non sono tue, nè quest’oro, nèquest’argento, ma tu le cose ch’erano della terra l’haitolte; l’oro che stava nascoso l’hai estratto del suo luogo;per la qual cosa s’elle si partono da te non te ne maravi-gliare; l’oro, perchè tu l’abbi trovato, e’ non è però dimeglio, altresì s’era bello nella terra. Le gemme non so-no belle perchè tu l’abbi appo te, perocchè quella bel-lezza, quella virtù avevano istandosi a lor luogo; ma pe-rocchè tu l’hai tratte del lor luogo, non sono tue, e peròsi partono da te e non possono istar teco; e però Iddioche te l’ha prestate a tempo e a suo piacimento, s’egli tele ritoglie non te ne lamentare. Ecco dunque la ragioneviva e efficace a trovare rimedio nelle tribulazioni e nelleavversitadi. La seconda ragione perchè noi avemo assaimateria di consolamento quando siamo tribolati, o èccitolto il nostro per altri diversi modi, si è, perocchè non èneuna otta che Iddio non dea altrui cento cotanti beneche male; però dice: Si bona de manu Dei suscepimus,quare mala non sustineamus? Non solo delle cento miliaparti l’una, niuna otta: ciò dicono i santi. Onde se uno ret’avesse dato di dono mille ricchezze e molte possessio-ni, e fattoti grande uomo; perch’egli ti togliesse uno pez-zo di terra, de’ tene tu però uccidere (sic) inverso lui?Così hatti Iddio date molte ricchezze; perchè egli te netolga alquante, non te ne dei però lamentare. Ma po-gniamo non ti rimanga dell’avere del mondo neente, co-me ce n’ha assai che sono poveri; tuttavia più sono e’ be-ni pure di questo mondo che Iddio ti dae, cento cotantiche ’l male; sarai sano del corpo, perocch’è ’l maggiorebene quasi di questo mondo, e vedrai uno più ricco di teche sarà infermo; arai il marito vivo e sano, e vedrai lepiù ricche di te essere vedove, e arai i figliuoli buoni evedrai gli altri che non n’hanno, e se n’hanno sono talo-ra rei; avrai appoggio d’amici e di parenti, e vedrai gli al-tri più poveri senza veruno aiuto d’appoggio. Così de’l’uomo considerare le maggiori necessitadi altrui, e tro-

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verebbe in sè assai di bene. Ma pogniamo pur che sia in-fermo, non perde però e non gli possono esser tolti tuttii beni che si stanno per lo mondo per tutti i santi uomi-ni, di tutto è partefice, questo non gli può essere tolto;avrà l’amistà di Dio, questo pure non gli può essere tol-to, e molte volte essendo tu tribolato sanza cagione, e ’lprossimo vedendo che tu non se’ colpevole e se’ pazien-te, sì è buono nome e buona fama, ch’ è meglio la buonafama che tutte le ricchezze del mondo. Dunque assai so-no più e’ beni di questo mondo che Iddio t’ha dati, chenon sono i mali. Dunque perchè ci lamentiamo, se civuole dare alcuna otta delle pene? molto siamo folli. Laterza ragione per la quale noi ci potemo consolare nellenostre avversitadi si è ratione justae punitionis; perocchénoi ne siamo degni e non ci punisce come noi meritia-mo,Çnon delle mille parti l’una, e noi saremmo degni diperdere l’anima e ’l corpo e questo mondo per gli nostripeccati e per le nostre colpe. Dunque perch’egli ci puni-sca e gastighi un poco, non delle mille parti l’una chenon dovremo, perchè ce ne lamentiamo tuttodì? merite-remmo d’avere molti mali e molte pene. Grande miseri-cordia di Dio, che degna di sostenerci così pazientemen-te! No’ siamo degni pur di male, e non solamente che cipunisca de’ nostri peccati, ma e’ ne dà molti beni, comedetto è. Dunque assai doveremmo istar contenti a quellepene che Dio ci dà, conciosiacosachè noi meriteremmocento cotanti per gli nostri peccati. E chi questa ragionebene si recasse a mente, sarebbe rimedio fine ad pazien-za nelle tribulazioni. La quarta ragione (e questa è la mi-gliore) per la quale noi non solamente avrem pazienzanelle tribulazioni, ma saremmo lieti se l’avessimo, si èquesta: perocchè questi mali, non mali ma beni, ma noiavemo loro mutato nome per contrario, chè gli chiamia-mo mali. Onde ecco la ragione perché sono grandi beni.Verità e che tutti questi mali che noi diciamo mali, e tut-ti gli altri beni che noi diciamo beni, tutti vengono da

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Dio; solo colpa e peccato, questo non viene da Dio, madal demonio e da noi. La Scrittura dice: nullum malumest in civitate, quod Dominus non faciat mali. Dico diquegli che, mali diciamo, come fame, sete, infertà, po-vertade, tribulazione, mortalitade, distruzione di citta-de, e tutti gli altri. Solo, come detto hoe, colpa e peccatonon viene da lui. Dunque se Iddio è sommo bene, ch’ècosì verità, come dunque siamo noi sì matti e così folli,che noi crediamo che da Dio vegna male veruno? Oregli è tutto bene; come ne puote uscire male? Puote ilfuoco dare freddo? no, solamente caldo. Puote il soledare tenebre? no, ma luce; e così da Dio non può venirealtro che bene. Dunque se questi cotali mali gli fa egli,ed egli non può fare altro che bene, perocchè è sommobene; come siamo folli che no’ diciamo che siano o pos-sono essere mali? mattamente pensano quei cotali. Ma isanti e gli alluminati le chiamano grandi beni. E chi fos-se bene alluminato egli vedrebbe che sono grandissimibeni e doni di Dio, de’ maggiori che in questo mondo sipossono dare. Ma noi siamo ciechi, che i grandi benichiamiamo mali; e per– quando gli ci vuole dare, moltelode n’abbia egli, perocchè sono beni magni, non n’è de-gno ogni uomo. Quando il medico dà la medicina amaraallo infermo, biasimal’egli o dice ch’ella sia ria? nò, anzila loda e comperala bene cara. E perchè l’ha egli a biasi-mare, che gli rende sanità? molto sarebbe matto; cosìnoi siamo infermi e mal sani: queste sono le finissimemedicine che ci sanicano l’anime nostre. Or che guataIddio altro, se non come ti possa sanicare e guerire l’ani-ma per menartene in vita eterna, in questa vita beata?Che ne cura Iddio delle vanitadi di questo mondo, pos-sat’egli sanare l’anima per darci sè medesimo in vitaeterna? Dunque queste sono le fini medicine, perocchèinterverrà ispesse volte che stando la persona in prospe-ritade, sarà in istato di dannazione dell’anima sua, ver-rangli queste preziose tribulazioni, e perderà l’avere, e

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tornerà a Dio e ricognoscerassi. Era prima bestia ora èuomo, era prima demonio ora è figliuolo di Dio. Dun-que, ciechi della mente, che biasimate? non ne siete de-gni di questi preziosi doni! Ecco dunque ottima ragionead avere amore e disiderio di sostenere e ricevere divo-tamente con allegrezza ogni tribulazione che Iddio tivuol dare, e chi queste si recasse ispesse volte alla mentesarebbe vertuosa medicina. Queste quattro belle ragionivide Giobbo, e però di queste cose neente si curò. SantoEgustagio il provò Iddio come un altro Giobbo. Fue pa-zientissimo, e però fue alluminato. Deo gratias. Amen.

XIV

Anni 1303, dì 9 di Giugno, per la Pasqua del Corpo di Cristo.

Diliges Dominum Deum tuum. In questo Vangeliod’oggi si mostra una vittoria grande ch’ebbe il nostro Si-gnore Iesù Cristo da’ Farisei, e fu quella l’ultima batta-glia, e l’ultima quistione ch’egli ebbe con loro, secondoche dimostrano i Vangelii. E mostrò Cristo qui com’egliè buono combattitore, che non solamente sa bene rice-vere i colpi e bene si sa difendere; ma quegli è ottimocombattitore che non solamente non è vinto, ma vincegli altri e fedisce.

Avendo Cristo posto il silenzio a’ Saducei, cioè che gliaveva fatti istare queti, vennero a lui i Farisei a fargli l’al-tra quistione. Dovete sapere ch’e’ Saducei erano ereticitra’ Giudei, de’ più pessimi e de’ più matti che potesseroessere. Non solamente intra’ Cristiani sono eretici, masonne in tutte le leggi del mondo; onde intra’ Saracini èle più pessime resìe del mondo, e così in ogni altra fede.Costoro si tenevano la legge di Muisè e osservavano co-me gli altri Giudei, nè più nè meno, e non credevanoche fosse altra vita. Come erano pazzi! Come sarebbe

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pazzo chi non credesse che fosse altra vita, e facesse pe-nitenzia e digiunasse, e affriggesse el corpo suo, così era-no costoro. Or avendo Cristo assolta la quistione loro efattigli tacere, sì si ragunarono i Farisei; e vedendo cheinsino allotta non era essuto nullo ché vinto l’avesse, maegli gli aveva vinti tutti, sì si misero ad invidia, ordinaro-no tra loro una quistione per fargliela, non credendoch’egli la sapesse assolvere, e ordinarono che uno di loroil più savio dicesse. Questi Farisei non erano eretici, anziavevano buona fede, ed erano ammaestrati e sapientissi-mi nella legge; ma avevano questo, che erano avarissimie soperbi. Vennero costoro a Cristo e sì gli dissero: Mae-stro, qual è il maggiore comandamento della legge?Questa quistione non fu piccola o leggiere, ma fuprofondissima e malagevole; perocchè quello comanda-mento di amare Iddio non si trovava iscritto intra’ co-mandamenti delle tavole; se non che Moisè l’aveva datoquando era ito in sul monte, che pareva quasi che fossevenuto pur da lui quel comandamento, sicchè però nonera ben certano; e Cristo, siccome la quistione fuprofonda, così profondamente rispose: Diliges Domi-num Deum tuum; e disse Cristo: quest’è il primo coman-damento; ma simigliante a questo si è: Onora il prossi-mo tuo come te medesimo; questi sono e’ maggiori duecomandamenti, in questi due comandamenti pende tut-ta la legge e i profeti. O come rispose bene e altamente!La questione fue la spada con che i Farisei il si credero-no colpire; a questa risposta se n’andarono, da che nolpoterono vincere; ma Cristo non vi stette contento purdi non esser vinto, ma volle vincere e confondere.Chiamògli, e disse loro: Io voglio dimandare vo’ d’un’al-tra quistione: ditemi, che vi pare di Cristo, e cui figliuoloè egli? E’ non conoscevano lui per Cristo, ma aspetta-vanlo; dissero: di David. Ben rispuosono a questa qui-stione. Ma disse: or non mi rispondete qui: se voi diteche Cristo è figliuolo di David, dunque s’egli è figliuolo,

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come ’l chiama Signore dicendo: dixit Dominus Dominomeo: sede a dextris meis, donec, etc? Qui gli battè Cristo,e vinsegli e mattògli; e però a questa quistione si partiro-no vergognosi, e dicono i Vangelii, che da indi innanzinon ebbero ardimento di fargli quistione nulla: questafu l’ultima quistione che Cristo ebbe con loro. Or piglia-mo questa parola che disse Cristo del primo e del mag-giore comandamento, e qui vedremo cose utile all’animenostre. Ecco che dice: amerai il tuo Signore Iddio. Conquesto novello comandamento venne Cristo a fare leg-gieri tutti i comandamenti e tutte le leggi di Dio. Benpotrestù qui dire: come mi mostri tu qui che ne sienopiù leggieri? conciosiacosachè si dice che a quegli dellalegge parevano sì duri a osservare i comandamenti, chenon gli osservavano e non gli arebbono osservati neente,se non fosse essuta la paura della pena ch’egli avevano;chè diceva così la legge: se tu caverai l’occhio altrui, bi-sogna che sia cavato il tuo; e se mozzerai la mano e ilpiede, e la tua altresì; se imbolerai o ucciderai, sara’morto tue. E così era ordinato, che dimandava Iddiovendetta de’ peccati, sicch’erano ubbiditi per paura; al-trimenti non gli arebbono osservati, se non fosse essutala pena temporale. Dunque come di’ che sono più age-voli a osservare quegli della legge nuova, che non sola-mente furono pur quegli, ma sonci arroti altri comanda-menti? Se quello di prima mi pareva grave, come, se tum’arrogi alla soma, sarò più leggieri? A questa quistionerisponde santo Agostino, il quale la muove e dice così:Non ogni cosa che s’arroge aggrava, ma alcune le fannoleggiere. Le penne all’uccello non dànno gravezza, anzileggierezza. Più leggieri è l’uccello con le penne che san-za le penne: quando hae le penne sì vola ed è leggieri,ma quando è sanz’esse sì cade. Altresì l’uomo quandodigiuna è grave, ma arrogendo cibo e mangiando è piùleggiere. Questo dice santo Paolo. Essendo cogli altrinella nave erano digiuni, e però la nave era gravata trop-

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po; onde dice che mangiarono e fue alleggierata la nave,chè diventarono gli uomini più leggieri. Vedi dunqueche non ogni cosa che s’arroge aggrava, ma alcune fannopiù leggieri. Così questo comandamento dell’amore, ches’arroge nel Testamento nuovo, non grava la legge, mafae come le penne all’uccello e come il cibo al corpo. Inprima servivano a forza e per paura, ora si serve solo peramore; onde però è più agevole a noi osservare tutti i co-mandamenti, che non era a coloro pure quegli di primasolamente, come adiviene delle religioni oggidì. Queglihanno più comandamenti che gli uomini secolari: noncrediate che sia loro più fatica, no; più è a loro agevoleosservargli tutti, che non è a’ secolari a osservare gli lo-ro. Questo è però che sono più di lunge degl’impedi-menti che fanno l’uomo peccare e uscire dell’amore, sic-chè però i comandamenti di Dio, sono leggieri aosservare, solo per questo comandamento dell’amore. Etocca Cristo di questo comandamento quattro cose no-bili, che si mostrano in questa parola: Diliges DominumDeum tuum. Prima per la dolcezza, perocchè è coman-damento d’amore, in ciò che dice: diliges; e di ciò parlail Profeta: gustate e vedete, quoniam suavis est Dominus.Appresso per lo nuovo comandamento, in ciò che dice:Dominum; ed in ciò che dice santo Giovanni: mandatumnovum do vobis. Poi per la bontà del comandamento, inciò che dice: Deum; ed in ciò dice san Pagolo: il coman-damento di Dio è santo e giusto. Nel quarto luogo perl’utilitade, in ciò che dice: tuum; e di questo parla il Pro-feta: bonum mihi lex oris tui. Prima dico che ne tocca laproprietade di questo comandamento, in ciò che dice:amerai. O potresti tu dire: come poss’io amare Iddio,come si può venire a questo amore? A questo amore sipuò venire per tre vie. Prima per gli molti maestri che tuhai, che t’insegnino amare. Chi sono questi maestri? Sontutte le criature che Iddio ha fatte, tutte t’insegnanoamare Iddio, ciascuna creatura è un maestro di ciò che

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tu consideri. Il sole vedi com’è bello, com’è grande lucela sua e come bella; se tu ti diletti così in quello ch’è unacreatura, come ti de’ dilettare Iddio che l’ha fatto, ilquale è molto più bello! Ancora se consideri le stelle co-me son belle e piacenti, così come ti dee piacere Iddioche l’ha fatte, come de’ essere bello egli! E così anche sepensassi dell’altre creature, de’ pesci, degli uccegli, e de-gli altri animali della terra, e d’ogni altra creatura, catu-na per sè è uno maestro che t’insegna amare Iddio; pe-rocchè in tutte si mostra la bontà di Dio e ’l savere suo;perocchè catuna ha sua bontae, e nulla creatura non èche sua spezial bontà non abbia; quale luce, come i cor-pi celestiali; quale fortezza, quale bellezza, quale dolcez-za, e di mille bontade. Se a te peccatore piace tanto labellezza d’una femina o d’un’altra creatura, quanto tidee piacere chi l’ha fatta! Tutte le creature ha fatte Id-dio proprio, acciocchè tu ami lui, e non è sì vile creaturache questo magisterio cessi di mostrare. Ma non ci siaddà l’uomo, e non se ne avveggiono i peccatori; e que-sto è quello che dice il Profeta: Meditatus sum in omni-bus operibus tuis, et in factis manuum tuarum meditabor.Ma l’uomo peccatore fa come l’avultera; come quandol’uomo ha una sua donna e va in Francia, e acciocch’ellasia ben guardata, sì la lascerà il marito a guardia a un suocaro amico; ma se costei piacesse tanto a costui che l’èdato a guardia, ch’ella ne dimenticasse il marito e la-sciasselo, questa sarebbe adulteria; così questo propia-mente aduno adulterio che l’anima fae a Dio. Iddio nonsi può vedere in questa vita, hacci lasciato a guardia lecreature, acciocchè per quelle ti ricordi di lui e amilo,chè ti sono date in questa vita in suo iscambio; ma sequeste creature ti piacciono tanto che ne lasci e dimenti-chine Iddio, ecco c’hai fatto adulterio e se’ adultera. Di-rittamente così fanno i peccatori che si dilettano tantonelle creature, che s’appiccano solamente a volere purquelle e lasciano Iddio, questo è l’avulterio. E non sola-

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mente queste creature così maestri a ’nsegnarti amareIddio, ma sono anche maestri i benificii di Dio che ne fa;onde dei pensare anche a’ benificii di Dio. Pensarel’amore che ci ebbe, che per noi ne mandò a morire ilsuo Figliuolo; pensare com’egli ci ricomperò e com’eglici ama; pensare altresì nella vanità del mondo: tutte que-ste cose sono maestri a insegnarti amare Iddio. Dell’altredue ragioni di questo mondo lascerò, per dire degli altri.La seconda cosa di questo comandamento si è, peroc-ch’è nel nuovo Testamento, che non era prima; anzi, co-me detto è, tutti ubbidìano per paura, come il servo fa alSignore. Il servo dee fare due cose al Signore, servirlo etemerlo. Oh, potresti tu dire, oh è buono il timore diDio, oh, egli è così lodato, e tu mi pur di’ dell’amore!Dovete sapere che sono tre timori, o vuogli dire tre me-morie di timori. Un modo si è di timore di servo, altro siè timore di figliuolo, e ’l terzo sì è detto timore reveren-ziale. I due primai hanno difetto, ma il terzo è perfetto.Il primo timore dico ch’è servo, quando l’uomo servesolamente per paura; questo non piace a Dio, ed è biasi-mato in ciò che caccia l’amore, ma è lodato in ciò ch’ècominciamento di bene; onde sono molti che servono icomandamenti di Dio pur per paura delle pene dello’nferno, ma per paura di questo mondo, per non perde-re il suo, per non essere morto, per non avere peggio ches’abbi; per questo si guardano dal male la maggior parte:questo non piace a Dio, perocchè caccia l’amore; e Id-dio non vuole essere servito per questo modo, ma soloper amore; ma in ciò è lodato che, come dissi, egli è co-minciamento di bene, come dice il Profeta: Dal timoretuo cominciammo e avemo partorite buone opere. E ilsecondo timore è detto filiale; e questo è detto buono ti-more, perocchè spera nella reditate e beni del padre; enon dee essere questo timore con timore di pene di nin-ferno o d’altre pene, non come cosa ria. Mostrolti. Imaestri dicono che l’uomo non teme se non cosa ria e

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malvagia. Or dunque come temerai Iddio ch’è tutto be-ne perfetto? Iddio non si puote temere, chè in lui non ènullo male, solamente il male si teme. Or dunque comesi può temere Iddio? chi arà paura di lui? chi temerà luich’è tutto bene? Or veggiamo come il debba temere. Ec-co il modo: non temerlo siccome cosa ria o che tu abbipaura di lui in quel modo, ma temere di non perderlo;questo è il modo: temere forte di non perderlo, peroc-ch’è sommo bene; questo è il migliore modo che in que-sta vita può essere lodato; questo per buono timore, per-chè non caccia l’amore, anzi il conserva; questo è iltimore de’ buoni e de’ perfetti. Il terzo è detto timore diriverenza, questo è il timore de’ santi di vita eterna. Ortemono Iddio i santi di vita eterna? sì: ora non hannopaura di pene di ninferno, chè sono sicuri di mai nonprovarlo; non hanno anche paura di perdere Iddio, chegià non sarebbono beati; chè dicono i savii e’ santi, chebeatitudine è una cosa che non può sostenere nullo di-fetto; onde temere di non perdere Iddio, questo sarebbenon piccolo difetto. Dunque come il temono? Dicolti.Temonlo di reverenza, chè veggendo la grandezza diDio e la sua gloria, che soperchia tutti i cuori e le mentide’ beati, e cognoscendo la miseria loro, che sono crea-ture fatte di nulla da lui, per tanta riverenzia e per tantamaraviglia s’ingenera loro uno timore santo, che è ’l det-to timore riverenziale, veggendo quella essenzia divina econsiderando la viltà loro, e ripieni del suo amore. é perla riverenzia, dice santo Giovanni, che tutti gli angelis’inginocchiano nelle faccie loro dinanzi a quella mae-stade eterna, il quale timore non manca mai. Di questotimore parla il Profeta: timor Domini Sanctus permanetin saeculum seculi; di questo timore santo dice. Nel terzoluogo si dimostra la bontà di questo comandamento inciò che dice: Deum. Dicono i savii e’ santi, che nell’ope-razioni si mostra la bontà della cosa; chè quanto la cosaè migliore e più perfetta, tanto adopera meglio e più no-

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bilemente e più nobili cose. Il villano, perocchè aoperanella terra, è detto villano; ma perocchè l’oro è più nobi-le che la terra, però quegli che aoperano ciò sono avutiin più reverenzia, perocch’è più nobile arte quella degliorafi che quella de’ villani. Ma imperocchè l’operazionedel medico è per la santà del corpo dell’uomo, e ’l corpodell’uomo è più nobile che l’oro o che nullo metallo,però a’ medici è fatta più reverenza, e son più onoratiche orafi o altri artefici. Ma sopra costoro sono avuti inpiù reverenzia i maestri che ’nsegnano iscienzia, peroc-chè l’arte loro adopera in più nobile parte dell’uomo,cioè nell’anima, la quale è più nobile che ’l corpo. Maperocchè nell’anima c’è la memoria, e lo intendimento ela voluntà, la qual’è donna e libera nell’uomo, però que-gli che aopera in quella parte è degno di più reverenzia;onde il prete che proscioglie del peccato per virtù di Dioè degno di molta reverenzia, e più quegli che più pro-scioglie; e però il Papa, c’ha più autorità in sè di scioglie-re e di legare, però è avuto in somma reverenzia. Ecco tidico di questo comandamento dignitoso dell’amore diDio. La bontà sua si mostra imperciocchè adopera nellapiù nobile parte dell’anima, cioè nella volontà, e giam-mai non sta ozioso. Vedete il sole e questi corpi celestia-li, mai non ne stanno oziosi, continuamente si mutano.Dicono i savii che ciò fanno per sempre operare; ondenon valica fiore di tempo, di dì o di notte, che i corpi disopra non aoperino continuamente negli elimenti, o difare venire piove, o di creare alcuna cosa, punto non va-lica di tempo sanza loro buono e continuo oporare collevirtudi loro. Così l’amore di Dio nell’anima non puoteistare ozioso o invano, ma sempre adopera, o di fare ve-nire piova di lagrime di suo peccato, o della miseria delprossimo, o della passione di Cristo, o d’altra divozionedi Dio, o farà nascere santi disiderii o farà opere buone,chè non si può sempre contemprare Iddio in questa vita.Ma come si continua l’amore? Dicolti. Non puo’ tu tut-

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tavia pensare di Dio, o avere il cuore a lui? Or fa altrebuone opere, o di pensare qualche cosa buona, o altrisanti pensieri, o dire alcuna buona parola, o avere alcu-no buono esercizio, e così si nutrica l’amore di Dio; on-de ne’ santi di vita eterna non sta mai ozioso questoamore, ma sempre adopera in loro in farli laudare Iddio,benedirlo, ringraziarlo e magnificarlo continuamente.Sono molti che dicono: io non ho diletto dell’amore, po-gniamo ch’io abbia la mente a Dio. Rispondoti: questa èper lo ’mpedimento delle cose del mondo, ove tu hai ilcuore, e perchè tu hai corrotto il palato e non se’ sano;sicchè però non ti pare com’egli è. Se tu avessi levatoogni amore delle cose del mondo, tu sentiresti alloraconsolazione e dolcezza di Dio. E pogniamo che tu iln’abbi levato in modo, che per ricchezze che tu abbi, oper amici o per parenti, o per altre prosperitadi, cheperò non peccassi mortalmente, buono è ma non soffi-ciente a sentire quelle consolazioni che dà Iddio. Ma setu n’avessi bene levato il cuore e l’amor tuo da ogni af-fetto e da ogni mondana cosa, allora avresti il fruttodell’amore. Chi potesse istare sempre colla mente con-giunta con Dio sarebbe perfetto, come si legge de’ romi-ti e de’ santi padri, ch’andavano nel diserto, per poterefuggire ogni impedimento che gli potesse partiredell’amore di Dio; come si dice di santo Paolo primo ro-mito, che stette nel diserto quaranta anni ch’egli non vi-de viso d’uomo nè di femina, solo per cessare bene, cheneuno impedimento avesse nella sua mente che ’l partis-se da Dio. E però amare Iddio quest’è la più gentile cosache sia. Nel quarto luogo si mostra l’utilitade di questocomandamento, in ciò che dice: tuum. Più è Dio di noiche noi non siamo di Dio. Gli altri signori sì hanno serviperocchè n’abbisognano; più ha bisogno il signore delservo che ’l servo del signore; i signori sono bisognosi dimolti servi; e in questo caso sono più miseri i signori,chè non potrebbono fare sanza i servi. Avvengachè il

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servo riceva anche benificio dal signore, ma pure più habisogno il signore del servo, assai più. E quest’è la diffe-renzia ch’è tra Dio e’ signori del mondo, più Iddio dinoi che noi di Dio; e però dice: amerai Iddio tuo; noipoco siamo suo. Or che ha bisogno egli di noi? nulla.Che fa a lui nostri digiuni, e nostre opere, nostri fatti? E’non può ricevere nulla da noi, chè non abbisogna di nul-la cosa; e però noi, poco siamo di lui, ma egli è bene tut-to nostro in vita eterna; onde egli s’è fatto luce per te al-luminare, e s’è fatto cibo per te nutricare, dolcezza perte dilettare, bellezza per te rallegrare, e sollazzo per tesollazzare; e però disse: mille milia cotanti egli è nostro,e vie più che no’ non siamo suoi, chè non ha bisogno dinulla creatura, ma egli s’è fatto cibo di tutte le creature.Deo gratias. Amen.

XV

Anni 1303, dì 4 di Agosto, Domenica mattina, in Santa MariaNovella.

Non in solo pane vivit homo, sed de omni verbo quodprocedit de ore Dei. Cristo in tutte le battaglie vinse, alle-gando in catuna l’autorità della santa Iscrittura. Qui ègrande ammaestramento, che in nullo modo potemomeglio vincere il demonio che per allegare l’autorità del-la santa Iscrittura. Intra le quali battaglie fu l’una quelladella gola, alla quale Cristo allegò una parola della santaIscrittura, la quale aveva detta santo Moisè: non in solopane, etc. Nelle quali parole ne mostra qui Gesù Cristoche in noi è vita doppia. Ciò sono due vite, l’una del cor-po, e l’altra dell’anima, delle quali chi piglia per nutrica-re solamente la vita del corpo sì perde la vita dell’anima;e poi alla morte si perde l’una e l’altra; ma chi pasce enotrica l’anima sì dà vita all’anima e al corpo. La vita del

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corpo ha tre difetti, cioè vilitatis, necessitatis, mutabilita-tis. Tutto il contrario è della vita dell’anima, perocchè lavita dell’anima è nobilis, sine defectu e stabilis. Dunquela vita del corpo è ignobile e vile. Tre sono l’anime: vege-tativa, sensibilis, rationalis. Nell’uomo sono tutte. Nonintendete che siano tre anime nell’uomo, ma è un’animasolamente, la quale si regge nel corpo ne’ detti tre modi.Dunque chi lascia la vita della ragione e seguita quelladelle bestie, non solamente è bestia, ma peggio che be-stia, cioè che diviene bestiale. Mostrolti. Bestia è secon-do natura, chè l’hae fatta Iddio, ma bestiale non è pernatura, non l’ha fatto Iddio, ma per vizio; e però è peg-gio, ed egli bene la comperrà da sezzo; chè chi non hacognosciuto lo stato suo, meglio sarebbe che fosse essu-to un cane che uomo. Ma la vita dell’anima è nobilissimaper la ragione, e per lo intendimento e per l’amore; eperò il bene dell’anima è troppo maggiore e migliore; equesto è manifesto se tu il vuogli considerare. Anzi ti di-co più, che eziandio i mondani, i diletti che cercano nonsono se non d’anima. Dimmi: che è onore? non di carnema diletto d’anima. E che ne fa l’uomo per avere onoree a che se ne mette? questo è manifesto. Perchè prendel’uomo così volontieri gli ufficii e le signorie? pur peronore. E perchè ha l’uomo di tanto ornamento e di ve-stimenti? pur per onore; va’, vesti il lupo o il cane o ’lcorbo o il porco, non se ne cura, perocchè non hannoappetito d’onore, perchè non hanno anima razionale.Non si cura l’asino se tu ’l carichi d’oro o di gemme od’argento più che di letame. Ancora l’avarizia è purdall’anima: poni dinanzi alle bestie i fiori dell’oro, nonse ne curano. Ma della sapienzia e scienzia che diremo,ch’è tutto dall’anima? a che si misero i filosafi? abban-donarono i diletti del mondo e fuggirono le vanitadi;stavano casti e vergini però. Ed eziandio il diletto delcorpo si potrebbe dire ch’è tutto dell’anima. Or non ve-di che l’uno si diletta più che l’altro nel cibo e nel bere,

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secondo che conoscerà meglio la bontà del cibo; e peròogni cosa viene pur dall’anima. Non s’addanno gli uo-mini a queste cose, credonsi dilettare pur la carne, e noncredono i mondani che possa essere maggiore diletto oaltri che quello del corpo. Se altri diletti ché quelli dellacarne non fossero, mala parte s’avrebbe serbata Iddioper sè e per gli angeli suoi, che non mangiano nè beono.Dunque chi per la vita del corpo lascia quella dell’animamal ha capitato. Dice la Scrittura: Homo cum in honorepositus est non intellexit; e Salamone dice che l’uomo èfatto simile alle bestie, ch’esce fuori della vita dell’animae non intende sè medesimo. E però dice Cristo: non disolo pane, etc. Ancora si puote sponere questa parola,che non solamente basta alla vita corporale dell’uomopur pane, ma è mistieri anche e vino, e casa, e vestimen-to e altre cose ove abiti, perocch’è tanta la necessitàdell’uomo, che acciocchè l’uomo possa vivere sono mi-stieri tutte l’arti legittime leali, e però sono trovate aconservamento della vita; e quante arti sono al mondo,chi le anoverrebbe? Ancora quanti istrumenti vuole pu-re in un’arte? è una maraviglia; e però in questa isposi-zione si solva troppo bene la parola di Cristo. Ancora sipuote isponere questa parola per un altro modo, e que-sta è altissima e verissima, che ’l pane non solamente nedà vita, anzi si puote dire che ne dà la morte e sia comin-ciamento di morte, e questo puoi vedere apertamente.Dicono i savii che adiviene del corpo dell’uomo comedel vino: abbi il vino; anzi che ci metti acqua sì è puro ebuono, mettici un pocolino d’acqua non è così puro,metticene un poco più ancora è men puro, metticeneanche è più innacquato, e così tanta ce ne puoi metterech’e’ diventa tutto acqua; e così né più nè meno adivienedella natura dell’uomo, chè dicono i savii che quando ilfanciullo nasce la sua carne è pura, e se così stesse baste-rebbe l’uomo quasi sempre, ma quando incomincia aprendere il cibo e ’l mangiare, questa cotale natura ch’è

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come il vino puro sì s’incomincia incontanente ad innac-quare. E la ragione si è questa, che conciosiacosachè ’lcalore naturale disecchi gli omori del corpo, è mistieriche si ristorino per gli cibi che l’uomo mangia, la qualecarne non è mai sì pura come quella che si diseccò di-nanzi. Onde dovete sapere che la carne che si fa dei cibiche l’uomo mangia non è pura come quella ch’andò di-nanzi, che si diseccò per lo calore naturale; chè se cosìfosse l’uomo non verrebbe meno. Il calore naturale benha potenzia di convertire i cibi in carne, e per questa ra-gione a ristorare, ma non ha vertù nè potenzia di con-vertire in sì buona carne. E per questa ragione l’uomomangiando e bevendo ogni dì sempre che ci vive, s’in-nacqua ed istipidisce la natura sua. E per questa ragionedicono i savii che l’uomo eziandio se non avesse mainulla infermitade nè avversitade, sì morrebbe di nicissi-tade, perocchè tanto si potrebbe innacquare questa na-tura che diventerebbe pure acqua, e l’uomo si consume-rebbe e verrebbe meno pur per sua natura. Ondedicono i santi che nel paradiso diliziano, intra molti altripomi nobili sì n’ha uno il quale si chiama legno di vita, ilquale, secondo che dicono, ha questa vertù, che avendo-ne l’uomo mangiato con gli altri pomi, il calore dell’uo-mo convertiva in sì pura carne come quella che si di-seccò; e per questa ragione dicono i santi che l’uomo, senon avesse peccato e fosse permaso nel detto luogo, nonsarebbe mai morto nè mai invecchiato. Vedemo dunquemanifestamente che ’l pane non solamente ne dà vita,ma potem dire che ci mena a morte continuamente, e sìha cominciamento di morte, siccome avemo vedutoapertamente. Dunque ben disse Cristo: non in solo panevivit homo, etc. Il quarto isponimento di questa parola siè che potem dire, che non solamente che ’l pane ne deavita, ma potemo dire che dea morte. Morte, secondo isavii, è una determinazione umana. Dicono gli uominidell’uomo quando è passato di questa vita: questi è mor-

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to; e io dico che la morte non v’è anzi è ita via. Credonomolti che la morte sia nel corpo quando l’anima n’è fuo-ri; ingannato è, perocchè quivi non è mai morte, ita è viae disfatta; perocchè morte non è altro che pena; ma nelcorpo morto non ha pena, ma infino che l’anima v’è al-lora vi sono le pene, e quelle pene sono la morte. Ondemorte non puote essere se non in questa vita, quando ilcorpo è congiunto coll’anima, cioè pene: le quali penetanto istanno e abondano, che cacciano via l’anima, per-chè non le puote più sostenere. Onde se ogni pena èmorte, secondo che pruova santo Agostino, dunque ilpane ristorando gli omori diseccati e mantenendoci lavita (avvegnacchè io dicessi che ’l pane la togliesse, maquesto è per un altro modo), dunque noi vivendoci,quante pene, tribulazioni, aversitadi e amaritudini pro-viamo e sostegniamo non si potrebbe dire; perocchèmentre che l’uomo ci vive sì è in battaglia, chè tutta que-sta vita è piena di pene; e però il pane che ci sostiene lavita potem dire dire che ci conservi in continua morte;dacci dunque morte cotidiana. Dunque disse vero il Si-gnore: non in solo pane vivit homo, etc. Ecco che SantoPaulo dice nella pistola a’ suoi convertiti: Io muoio pervoi cotidianamente; questo disse perchè continuamentes’affaticava per la loro salute. La vita dell’uomo, secon-do che dice messere santo Iacopo apostolo, è come ilfummo della candela accesa; onde, siccome soffiandoviè spento incontanente quello che parea così vivo e acce-so, così la vita dell’uomo, quantunque paia prosperosa,la sua vita è debile com’un fummo. E dirò più che ’lfummo non è così debile come la vita dell’uomo. Dico-no i savii e’ fisici, che non è nulla cosa sì piccola, ches’ella si ponesse in sul cuore dell’uomo, che imantanentenon l’uccidesse, e morrebbe l’uomo incontanente. Altre-sì tura all’uomo il naso e la bocca per piccolino ispazio,incontanente morrebbe. Vedi come si spegne tosto que-sto lume, cioè la vita, che ti pare cosìe accesa. Troppo

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più è debole la vita dell’uomo che non è il fummo dellacandela accesa dal fuoco. Rimanea a dire come l’animavive ispiritualmente in tre modi, ma perchè avea dettoassai fece fine qui e non disse più. Deo gratias. Amen.

XVI

Anni 1303, Domenica, dì 6 d’Ottobre.

Diliges proximum tuum sicut te ipsum. Egli è usanzadei mercatanti, che quando vogliono vedere loro ragionid’entrata e d’uscita, che recano insomma tutta l’entratae l’uscita per sè, e poi vede lo rimanente in sua somma;siccome altresì ispesse volte il maestro che ’nsegna gra-matica, quando ha fatta tutta una lezione e sopra ciò hadette molte regole, al da sezzo tutte queste cose reca inuna, dove tutte l’altre regole si racchiudono. Così pro-piamente fa Cristo, chè tutta la petizione della vitadell’uomo santo e tutti i comandamenti recò Cristo inuna somma: amerai il prossimo tuo come te medesimo.In questo comandamento sono racchiusi tutti gli altricomandamenti, avvegnaiddiochè paiano due comanda-menti, tuttavia una cosa sono, uno amore, e una solagrazia e uno solo dono; perocchè l’amore di Dio fal’amore del prossimo, e quello del prossimo fa l’amoredi Dio, e tutto è una cosa, e però questa brevitade che lati sommò così Cristo, non ci potemo iscusare di non sa-pere la legge; e s’ell’è così breve, e chi si scuserà che nonla sappia? nullo; e però Cristo la recò in una brevità,perchè ispesse volte si tiene meglio a mente la cosa dettabrievemente, che detta ispartamente per molte regole eper molti modi. E dà noi el nostro Signore Iesù Cristocomandamento che noi amiamo, e dimostrane quelloche noi dovemo amare, e quello che vuole che noi amia-mo, e dacci l’assemplo e la forma come noi amiamo. Or

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e’ non dovea bisognare di darne comandamento per lemolte cose che ci ammaestrano, che c’inducono all’amo-re; ma però il comandò, che volle che noi fussimo sottola legge d’amore, perocchè l’anima nostra e la nostrabuona natura è corrotta per lo peccato; onde anticamen-te, quando Iddio fece l’uomo, non gli diede questo co-mandamento, perocchè non bisognava, chè l’anima e lemente sua era acconcia; ma per lo peccato non basta illume nostro, ma e’ n’è mestieri il comandamento di Dio.E mostra la leggierezza di questo comandamento di treparti: prima perchè l’amore è cominciamento d’operare,la seconda perchè è vita dell’anima, la terza perchè ècongiugnimento con Dio più che null’altra cosa. Dicoprima che l’amore è cominciamento d’operare. Il Padregenera il Figliuolo; non dico di questo operare, non s’in-tende di ciò nè come il Figliuolo nasce del Padre, e co-me lo Spirito Santo è detto amore dell’uno e dell’altro,procede dal Padre e dal Figliuolo, perocchè questo fuesempre eternalmente sanza cominciamento, e non fumai il Padre sanza il Figliuolo e lo Spirito Santo, nè mail’uno sanza l’altro; perocchè sono una cosa, una essen-zia, una trinitade, uno Iddio perfetto; ma fa di questaogni altra operazione, s’intende. Che mosse dunque Id-dio ad operare conciosiacosach’egli era beato in sè me-desimo? La carità sua, per la quale tutte le cose sono fat-te, acciocchè Iddio, ch’è tutto bene ed è bene in sèmedesimo, comunicasse il bene suo alle creature; el’odio è contrario all’amore, e però i filosafi puosonodue prencipii, cioè amore o odio. L’odio chiamarono li-te. In certo modo dissero ben vero: onde veggiamo tuttii mali sono quando si perde l’amore; perocchè mante-nente ci è l’odio; e può esserne l’esemplo delle creature,che insino che sono insieme in pace e sanza lite si per-mangono, ma quando nasce lite, immantanente si disfàquello che per amore era fatto. Tutte queste cose di sot-to sono composte di quattro elimenti; onde infino che

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hanno pace si permangono, ma quando nasce lite, inver-mina il legno, corromponsi le cose e disfannosi. Insinoche gli elimenti sieno bene in concordia insieme nel cor-po dell’uomo, allora egli bene è sano, ma quando si na-sce lite, allora inferma e disfassi, e và l’uno in qua e l’al-tro in là. E però dissero del cielo e de’ corpi cilestiali,che, imperocchè lite non vi può nascere, però hanno adurare sempre: non ha a durare questo nelle cose di sot-to; però nascono le guerre, le battaglie e mali per le lite;però vengono le tribulazioni e tutti e’ mali, e nullo benes’adopera, e poi per ciò vengono altre pistolenzie cheIddio manda da cielo, di fame e di molte altre affrizioni.La seconda cosa dell’amore si è ch’è vita dell’anima; cosìdice santo Giovanni: chi non ama si rimane in morte;chè siccom’è il corpo morto sanza l’anima, così l’anima èmorta sanza l’amore divino. Il corpo è vita dell’anima;così l’anima conviene ch’abbia vita altronde. La vitadell’anima è l’amore divino; ma quegli c’ha in sè odio,ha morta l’anima sua; onde e’ fa due mali, prima che uc-cide sè, prima uccide l’odio colui da cui si muove, ap-presso colui contra cui è portato. Ma in questa vita nonsi vede bene come l’anima è morta, ma nell’altra vita sivedrà, ove l’anima fi ignuda. E quando l’anima è cosìmorta, tutte l’opere che fae sono morte; onde tuttel’opere che fa colui che sta in odio e non ha amore, tuttoè morto a vita eterna, non gli vale nulla; bene è vero chegli sono utili, che dispongono quelle buone opere a usci-re di peccato. E questa è la ragione perchè i predicatoriconfortano di ben fare altrui, posto che sia in peccatomortale. Questo amore divino caccia via ogni peccatomortale dell’anima, e ove ha pure uno peccato mortalenon ci può essere questo amore. Quanto doverebbel’uomo procurare di uscirne, acciocchè non perdesse co-sì tutte l’opere! Quando l’anima ha questo amore divi-no, tutti questi beni ch’egli fae, pensando, parlando,operando, tutti gli sono accrescimento di vita eterna; è

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questa natura che ov’è peccato e’ non può essere l’amo-re, e ov’è questo amore non può essere peccato mortale;e incontanente che il peccato esce entra l’amore, e in-contanente che l’amore esce entra il peccato, chè nonpuò stare insieme l’uno coll’altro, siccome l’otriaca colveleno. La terza cosa che fa l’amore si è che congiugnecon Dio l’anima. Noi non ci potemo appressare a Diocosì corporalmente, chè troppo gli siamo di lunge, maappressiamglici per simiglianza; onde allotta diciamoche noi siamo presso a Dio, quando noi siamo simiglian-ti a lui. Iddio sì ha in sè due cose (avvegnachè in lui siapure una, chè in Dio non caggiono queste divisioni, manoi parliamo secondo il nostro modo), ha in se due cose,le dicemmo, cioè intendimento e voluntà; in ciò che perla voluntà sua, che vuole, fa tutte le cose e tutte l’operesue. Così noi altresì avemo intendimento e amore; per lointendimento siamo simiglianti a Dio, in quanto noi po-temo intendere lui e delle sue creature; e per questo mo-do diceano i filosafi quando vedeano uno savio uomo:questo è molto presso a Dio. Ma l’amore congiugne piùche la iscienza. Onde però uno che abbia amore assai èpiù presso, avvegnachè non abbia iscienzia, che quegliche hae la scienzia e non hae l’amore. Quegli c’ha laiscienza è presso a Dio per questa cotale simiglianza, maquesti gli è presso per carità; e però quanto più haidell’amore divino,tanto gli se’ più presso e più simiglian-te; e però de’ essere avuto in più riverenza ed è più de-gno d’onore; onde un santo uomo è meglio de’ mille mi-gliaia peccatori. Meglio è un santo uomo, che abbial’amore di Dio, che tutti i peccatori del mondo, e più èd’avere in riverenza; onde noi diciamo che a tutti i si-gnori del mondo si dee fare onore poscia chi (sic) sienopeccatori e rei: così dice santo Paolo. La ragione n’asse-gna, che tutte le signorie sono da Dio, e in ciò ch’egli haquello uficio, in tanto gli si dee fare onore per quella de-gnitade, la quale ha da Dio; ma quanto per lui, tanto

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quanto a uno asino, come si dice, a’ quali dovemo porta-re molta riverenzia. Mo’ odi vero, che saranno dioti; nonperò di meno gli dei fare onore per l’uficio che gli ècommesso e per la degnitade che ha, che è da Dio, intanto considerando lui propio quanto a uno asino. On-de però troppo è d’avere in riverenzia quegli che ha secol’amore di Dio; perocchè, questo cotale è quasi Iddio,come dice il profeta: ego dixi: dii estis; non che sieno Id-dio, ma perchè sono così simiglianti a Dio. Avemo vedu-to come questo comandamento è leggiere per le sopra-dette ragioni; or potresti tu dire: Iddio mi dice che ioami, o cui vuole egli che io ami? E ciò che dice il prossi-mo, tu potresti già dire: chi è mio prossimo? Tutti gliuomini e femine del mondo, perocchè tutti avemo unanatura; eziandio l’angelo, i santi, è nostro prossimo inciò ch’è fatto a simiglianza di Dio come noi. Il dimonio,pogniamo che sia a questa simiglianza, non è però daamare di quello amore di carità, no; potemlo noi beneamare non d’amore di carità, ma di quello amore ch’èdetto amore di concupiscenzia. L’amore di concupi-scenzia è quello che l’uomo hae al cavallo. Perchè ami tuil cavallo, perchè lo ’ngrassi, perchè il forbi e pasci? nonper amore che tu abbi a lui; anzi perch’è utile a te, chè senon ti fusse utile non lo ameresti; come altresì tu ami ilvino, non perchè tu volessi che ’l vino avesse bene egli,no, chè non puote in sè avere bene; ma amilo chè vorre-sti recare il suo bene a te: sicchè l’ami, non a lui, che tuvuogli vedere bene a lui, ma per te, acciocchè ’l suo benevegna a te e sia tuo: questo si chiama amore di concupi-scenzia. Così dei tu amare il demonio, non che tu a luivuogli vedere avere bene, ma amilo chè t’è utile, ed èttiposto per tuo bene e non per suo. Onde i demonii sonoposti a tentarti? questo ha fatto Iddio per grande amoreche ci ha; onde le tentazioni del nimico sono molto utili,chè quando il santo uomo è tentato e vince le battagliedel dimonio, grande corona di gloria gli è apparecchiata:

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troppo ci sono utili, non ci si addanno i peccatori di ciò,ma pur così è. Ecco che nostro prossimo sono tutti gliuomini e le femmine; onde se n’avessi in odio pure uno,non hai in te amore divino. Grande cosa è amare tutte legenti, che sono cotante: oh come merita quegli c’ha que-sto amore in sè! Ma avvegnachè tutte le genti sieno daamare, non si dee però intendere egualmente; perocchèl’uno è più prossimo che l’altro; onde i consanguinei e’parenti sono più presso degli altri, e in ciò sono piùd’amare; ancora il padre, e la madre, e’ fratelli, e la mo-glie e’ figliuoli, perocchè sono più congiunti, sono in ciòpiù da amare. Altresì più è d’amare uno santo uomo cheuno peccatore. Se’ altresì tenuto d’amare più el cittadi-no tuo che ’l forestiere, e così richiede ordine e natura.Ma se tu dicessi: i’ho uno mio padre e peccatore, e houno mio vicino santa persona, quale amerò piue? A met-tere mano in tutte queste diversificazioni sarebbe lungamena a dire, ma ecco in somma: tu dei amare il padretuo più di lui, in quant’egli è tuo padre; e dei amare ilsanto uomo più di tuo padre, in quanto egli è più santouomo; chè, siccome natura richiede ordine nell’amoredel mondo, così l’amore della carità richiede ordine nelsuo grado: la grazia compie la natura e la grazia si fondasopra la natura. Avemo veduto chi è nostro prossimo: aquesto amore siamo tratti da tre parti: prima dalla simi-glianza che avemo tutti, la seconda per l’aiuto e per lasovvenenzia che l’uno hae dell’altro, la terza per la finedi tutti. Dico prima che all’amore del prossimo siamoindotti in ciò che siamo d’una natura e a una simiglianzafatti. I savii dicono che la simiglianza induce amore; eperò vedete degli animali, che quelli che sono ad una si-miglianza e ad una natura, com’egli stanno insieme. No-ne istanno insieme per bisogno che l’uno faccia all’altro,come noi, ma pur per natura, perchè sono d’una simi-glianza. Intra tutti gli animali l’uomo è detto animale so-ziale e congregale, e quest’è la prima, che ci trae ad ama-

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re lo prossimo; la seconda è per l’aiuto che l’uno haedall’altro. Non possono gli uomini istar soli come le be-stie, le quali non abbisognano quasi neente l’una dell’al-tra; e questo è per gli molti difetti che avemo; che s’i’ houno difetto e tu n’hai un altro, tu sovvieni al mio difettoe io al tuo. Non potrebbe l’uomo vivere solo, perocchènon basta a sè stesso, abbisogna dell’aiuto degli altri: equesta fue la cagione perchè si facieno le castella, e lecittadi, e’ borghi e le famiglie; perocchè non poteano legenti vivere soli. Nella città sono le molte arti: i’ hoe be-ne dell’altrui arte e altri ha bene della mia, e così s’aiuta-no gli uomini insieme. Non é nullo sì sciagurato, chenon possa essere buono e utile. E non solamente è me-stiero che l’uno sovvenga all’altro pure secondo il corpo,ma anche secondo l’anima, di sopportare i vizii altrui e imodi che non ti piacciono, e di molti spirituali; come di-ce santo Paolo: alter alterius onera portate, et sic adim-plebitis legem Christi. Io avrò uno vizio e tu n’avrai unaltro, conviene che tu comporti il mio difetto e io com-porto il tuo; e così si mantengono gli amici e le comu-nanze; onde non è nullo, che s’egli al tutto volesse ischi-fare ogni male, cioè ogni cosa che gli dispiacesse, e nonvolesse nè mica sopportare altrui, ch’egli potesse regna-re con persona. Ogni uomo ha ’l suo vizio, dei compor-tare gli altrui, e così gli altrui comporteranno il tuo; equesta è la via, e altrimenti non potrebbe capere l’unocoll’altro, e che se tue gli volessi ischifare, i tuoi non sa-rebbono sofferti. E imperocchè noi siamo tuttodì difet-tuosi e bisognosi dell’aiuto del prossimo, per questa ra-gione siamo tratti ad amarlo d’amore divino. La terzaragione si è considerando il fine; e però il dovemo amarea vita eterna: questa è la più efficace ragione che ci sia.Nella terza parte si mostra il modo come tu il dei amare:ecco che ’l dice Cristo: sicut te ipsum, come te medesi-mo. Non è nullo che non s’ami: i lebbrosi s’amano; equanto s’ama l’uomo sè stesso non si potrebbe dire.

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Non è nullo che non s’ami, eziandio coloro che s’ucci-dono sè medesimi, non s’odiano, anzi s’amano bene, eper amore che hanno a loro propio, però s’uccidono,fannolo per schifare più grave cosa a loro parere, ma èmatto amore e pazzo; onde, perocchè questo amore pro-pio non falla, però ne dice Iddio; questo è un esemplofermissimo, però che non ci avesse iscusa nulla. Potreb-be altri dire: oh, amerollo io quanto me medesimo? que-sto pare impossibile. Or intendi: Cristo non disse: ame-rai il prossimo tuo quanto te medesimo, chè non si deeintendere in quantità ma nel modo. Onde l’uno dice: si-cut, l’altro dice: te ipsum. Se Cristo avesse detto: ameraiquanto te, parea impossibile; non dee nullo amare nullapersona o creatura nulla quanto sè. In me conviene chesi fondi l’amore; onde da Dio in fuori io sono tenutod’aver me stesso più che tra tutte l’altre creature; ma deiamare il prossimo come te medesimo, cioè ch’egli abbiala grazia da Dio e vita eterna. Onde se tu sapessi comeper povertà e’ fosse più amico di Dio, sì ’l dei amare po-vero, e più il dei amare con tribulazione, se tu sapessiche per tribulazione fosse migliore; onde in ogni modoche tu sappi che sia più amico di Dio, in quello stato ildei amare; ma te sopra tutte le cose del mondo dei ama-re e salvare. Mostrolti. E di questo se’ tenuto a pena dininferno a all’ira di Dio; perocchè vuole Iddio che se tusapessi che tutti gli uomini del mondo andassero a per-dizione, e per fare tue uno peccato mortale tutti iscam-passero, dei prima lasciare perdere tutto il mondo chetu pecchi tue, e non dei allora curare la loro salute, se tusapessi che la loro salute si ricoverasse per lo tuo pecca-to; avvegnachè questo non interverebbe, ma ponsi peresemplo. Ma gli uomini sciagurati e male avventurosi fa-ranno l’usura e’ peccati per lo detto del padre e dellamadre, o per altra mala ragione. Ecco che di quello chetue domandi e fai quistione, tu fai vie peggio tu. Tu di’ch’è dura cosa ad amare il prossimo come te, e tu ami

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più tuo padre e più il temi, e per lui uccidi te, uccidil’anima. Tu altresie piglierai l’odio e la guerra per tuopadre e per tuoi parenti: come se’ tu sì cieco e sì matto,che tue per nulla criatura ricevi odio o malavoglienzia, euccidine l’anima tua? Vedi dunque come tu ami piue al-trui che te, che pigli la guerra per altrui e uccidi te perlui; chè se tu avessi migliaia di padri, e tutti ti fosseromorti, non dovresti pigliare odio, perocchè uccidi l’ani-ma tua. E qui si mostra che tu non t’ami neente. E fal’odio due mali: l’uno che uccide te, e poi altrui per lomale che ne segue, ma prima se’ ucciso tu. Altresie ame-rai mogliata, e per farle bene farai i mali guadagni e uc-ciderai l’anima tua per una creatura, che non è più chel’anima tua; e per una creatura t’ucciderai, e che se perlei salvare tu uccidessi ognindì una volta il corpo tuo, sìfa più. Or volessi Iddio che tu bene t’amassi! E di que-sto tuttodì siamo predicati, che noi amiamo l’anime no-stre sopra tutte le cose. Deo gratias.

XVII

Questo dì medesimo, a Vespro.

Redimite tempus, quoniam dies mali sunt. Messeresanto Paolo apostolo nella pistola d’oggi n’ammaestra diricomperare il tempo. Quest’arte di ricomperare il tem-po si è arte sottilissima molto, ed è utilissima e novell’ar-te. Questo tempo per certo, chi ’l conoscesse, non nevorrebbe perdere niente, perocchè egli è quasi la più ca-ra cosa che sia; ed é si caro, che si può quasi dire cheogni ora, ogni punto di tempo vaglia quanto vita eterna;perocchè in tempo di battere d’occhio si può guadagna-re vita eterna, tanto è buona cosa. E di questo c’è recatoispessamente l’esemplo del dimonio, che s’egli avessepure un punto di tempo quant’un batter d’occhio, fa-

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rebbe in quel punto tanta quella penitenzia, che fossesofficiente alla sua salute. Non intendete voi ch’egli lavolesse fare, per la invidia: è per la ’nvidia e per la super-bia sua che non puoe avere nullo buono volere di farepenitenza; perocch’è fatto indegno della grazia di Dio edel suo amore, la quale se in lui venisse, gli darebbe be-ne quel volere; ma e’ se n’è fatto indegno, e però nonpuò avere nullo buono volere. Onde troppo cara cosa èquesto tempo sopra tutte le cose di mondo. Il tempopassato, questo non si può mai riavere; la cosa passatanon può mai ritornare. E dico sì cara cosa com’egli è: ve-dete come gli uomini ci sono ciechi, che si perde e scia-lacqua a giornata. E però quegli che fosse in istato dipeccato non dovrebbe uscire con avaccezza, e dovreb-besi convertire, e quegli ch’è in istato di grazia crescerein meriti. Questo tempo ch’è si caro, e così utile e neces-sario, e spezialmente il tempo perduto, che mai non sipuote raccattare, santo Paolo, siccome buono maestro,il c’insegna riavere e acquistare, novella arte e sottile; epotemolo riavere da tre parti, cioè: ex parte culpae, exparte animae, ex parte operae. Dico prima che ’l potemoraccattare ex parte culpae, e questo è per piagnere; in chemodo? dicolti. Quando tu ti ricordi del peccato che haifatto, e tu n’ hai il dolore e amaritudine, e ha’ne penti-mento, che nol vorresti avere fatto; quando tue ne pia-gni bene e ha’ne dolore, allora hai tu ricomperato queltempo nel quale tu peccasti, perocchè diventa siccomese tu noll’avessi fatto. Ancora più, che raccatti quel tem-po il merito in questo mondo; chè, avendo tu dolore delpeccato che hai fatto e piagnendo, ne piaci sì a Dio e neacquisti tanto merito, ch’è meglio assai avere fatto il pec-cato che se fatto non l’avessi; non dico io che non si deb-bia avere sempre pentimento, ma che per lo piagnere sidisfà il peccato e acquistine merito mirabile. Esemplohai della Maddalena, che offese Iddio e peccò con tutti isuoi membri; ébbene tanto dolore, che per quello dolo-

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re non solamente le furono rimessi i peccati, ma fue me-glio ch’ella non era in prima anzi ch’ella peccasse, ovve-ro ch’ella non sarebbe istata non avendo peccato, millemilia cotanti, troppo le giovarono. Santo Piero perdè lafede, ebbe l’amaritudine; troppo fue meglio dopo il pec-cato che prima che peccasse, e troppo gli giovò, chèn’amò Cristo, e’ discepoli amò con maggiore carità. San-to Paolo andava com’una bestia feroce perseguitando iCristiani; ecco che troppo fu meglio dopo il peccato cheprima. E’ sono certe cose che se le si perdono non sipossono mai riavere: la verginitade chi la perde mai nonsi può riavere; la ’nnocenzia chi la perde nolla può riave-re; e così di molte altre cose, ma e’ si possono avere mi-gliori cose in iscambio di quelle. Onde chi perdesse unofiorino d’ariento, egli ne riavesse uno d’oro, questi nonarebbe perduto anzi guadagnato; così chi perde la vergi-nitade nolla può mai raccattare, ma egli n’accatta vie mi-gliore cosa, cioè l’umilitade. Troppo è meglio l’umilita-de e più piace a Dio. Ecco la Maddalena perdè laverginitade, ed ella riebbe in quello iscambio l’umilita-de, mille milia cotanto piacque più a Dio in quello ista-to, che anzi ch’ella peccasse. Altresì chi perde la inno-cenzia del battesimo nolla può riavere, ma e’ può averemigliore cosa, cioè la pazienza. Santo Paolo perdè la in-nocenzia, ed egli ebbe la pazienzia, chè piacque più aDio mille milia cotanti dopo il peccato che prima. SantoPaolo fue un’ancudine di pazienzia, che ricevette tantetribulazione e persecuzione e tanta pena, che parrebbeimpossibile a udire. Così altresì quegli che in mal modoha perduto il suo per baratteria, che l’abbia giucato eabbia perduto. In fare della limosina si può avere mi-gliori cose in quello iscambio, cioè la compassione delcuore, la quale è più accettevole a Dio che l’opera; e co-sì è dell’altre cose che si perdono, non si possono raccat-tare; sì si può accattare per via di virtù migliori cose chequelle in quello iscambio, e più piacevoli a Dio e più

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preziose. Santo Piero perdè la fede e riebbe la carità;molto è migliore la carità che la fede. Ecco dunque ilmodo di raccattare il tempo perduto, cioè per peniten-zia e per pianto. Novella arte e sottile è questa, che ilpeccato fatto si disfà e ’l tempo perduto si raccatta. Il se-condo modo di potere raccattare e ricomperare il temposi è da parte della voluntà, cioè per avere buona voluntà.E la ragione si è, perocchè Iddio accetta e guarda pure albuono volere; onde quando tu hai buona voluntà di faregrandi opere per Dio, Iddio l’ha per fatte; onde quandotu hai voluntade che ’l tempo che tu hai perduto o maleispeso di volerlo operato in bene, incontanente che tuhai questa buona voluntade è come se così l’avessi ado-perato, nè più nè meno; e se in quello tempo vorrestiavere fatte grande opere, per cotale l’hae Iddio come sefatte l’avesse; chè Iddio non guarda all’opere, ma purealla voluntà e al fatto dell’anima: e di questo hai esemplonel Vangelio, di quella vedova povera che mise due da-nari nel tempio, che disse Cristo di lei, che più aveva of-ferto che tutti gli altri grandi signori che avevano messomolta pecunia; chè dice qui santo Gregorio, che Iddionon guarda all’offerta, ma guarda l’animo e la voluntà, edi che affetto viene, e la divozione del cuore. Nel terzomodo si può raccattare il tempo perduto, ex parte ope-rae: e questo è in tre modi, cioè per più nobili opere, perpiù continue opere, e propter numerositatem. Dico pri-ma che puoi raccattare il tempo perduto da partedell’opera, cioè per operare cose più nobili e più perfet-te. Onde se nel tempo passato, prima che peccassi, forseavresti fatte opere piccole e debole, ovvero opere freddee cattive, ora le fa’ grandi opere colla carità, colla pa-zienzia, coll’umilitade e con l’altre virtudi che tue nonavevi prima, le quali hai ora acquistate in iscambio delleprime che passarono, le quali sono più nobile e più per-fette virtudi. Or queste virtudi opera, e faranno l’operetue più nobili e più perfette che non sarebbono istate

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

prima, e così ristorerai il tempo perduto. Appresso si ri-storerà per più continue buone opere. Forse che neltempo passato, anzi che peccassi, ovvero se non avessipeccato, avresti forse fatte poche opere buone e radevolte, forse poco bene per volta. Or vuogli ristorare queltempo? sì: or opera il presente, chè hai tanto piue, cheristori il passato. Se tu davi una fetta di pane o un da-naio per amore di Dio, danne ora due; se digiunavi undì, digiuna due; se dicevi pochi paternostri o pochi sal-mi, dinne ora più, così si raccatta il tempo. Raccattasi al-tresì per opere in più novero, cioè noi non potemo sem-pre fare opere perfette per la natura corrotta che noiavemo; e però l’uomo puote avere moglie e figliuoli, epuote avere ricchezze giuste e dell’altre cose del mondo;quando l’hai giustamente, dico, non per rapina, o perusura, o per furto o per altri modi, questo che l’ha, s’eglile riconosce da Dio e fanne bene a’ poveri, come si con-viene secondo buono modo, sì si salva e ha fatto soffi-cientemente. Ma tu, se tu vuogli bene raccattare il tem-po tuo, non solamente t’hai astenere di non peccare edelle cose illecite, ma astienti di quelle che sono licite,siccome del matrimonio, e anche digiuna piue che nont’è comandato; e questo fa per l’amore di Cristo, e seguisuo consiglio, e astienti delle cose che lecitamente puo’usare e fare, e in questo modo il tempo passato e maleispeso si ristora, e apparecchiati al tempo che dee veni-re, acciocchè ’l possi usare in bene, e il presente operarefrancamente. Or questa è la dottrina di santo Paolo, diraccattare el tempo: ed e’ si può troppo bene fare e leg-germente, e riavere migliori virtudi, come detto è, e piùmeritorie. Vedete l’esemplo di molte vergini e innocenti,che mai non peccarono; sono in cielo, ma quegli chepeccarono, in maggiore luogo di loro, in troppo maggio-re, troppo sono più alti e più presso a Dio, e in maggioregloria, e più godono con Dio che gli altri; e questo è perle maggiori virtudi che quegli peccati fanno raccattare.

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Poi messere santo Paolo ha detto: ricomperate il tempo,perocchè i dì sono rei. I dì e le notti sono fatte da Dio esono tutti buoni, ma sono detti rei per li nostri vizi epeccati, siccome il luogo è detto santo quando v’è statoalcuna santa persona; ma quando fossero istati i peccatie’ mali, allora è detto luogo brutto e malvagio; e però co-me il luogo megliora per le nostre virtudi, e bruttasi pergli nostri peccati, così il tempo altresie; e però sono dettii tempi rei per li mali peccati che in essi si fanno. Ap-presso n’ammaestra del tempo che de’ venire, onden’ammunisce che andiamo cautamente, cioè soavemen-te; e però dice: caute ambulate. Se l’uomo quando va perla via va guatando per la via e ad alti, e non si pone men-te a’ piedi, sì può percuotere i piedi nel sasso e può ca-dere nella fossa. Quegli che cosie vanno guatando in al-to come scipidi, sono quegli che vogliono vedere l’altecose di Dio, della Trinitade. Onde queglino che voglio-no guatare quello che non è per loro, agevolemente per-cuotono il piede nel sasso, cioè nel peccato. Onde sonomolti che vogliono sapere le sottili cose di Dio, e fannoquistioni , e dicono: or non ci potea Iddio tutti salvare,ovvero, non potea Iddio fare così, ovvero, perchè fececosì e così? Vogliono sapere quello che non è per loro disapere, non si pongono mente a’ piedi, a quello che faper loro: questi cotali fiacca il piede nel sasso, cioè nelpeccato, e caggiono nella fossa dell’errore. Altresì quegliche va come pazzo e non si pone mente, a mano sì sipuote iscontrare ne’ nimici e ’n ischerani, che rubano, espogliano e uccidono. E però santo Paolo vuole che an-diamo saviamente e con molta provedenza. E chi sonoquesti nimici, questi ischerani? sono i dimonii. Il demo-nio l’assimiglia la Scrittura ispesse volte a pescatore reo,e al malo uccellatore e al malo cacciatore: questi animalisi prendono pur con inganni. Chi sono le bestie? gli uo-mini terreni mondani, che vanno pure col capo alto: acostoro ha fatto il dimonio fossa cieca per pigliargli.

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Quale è questa fossa cieca? fia talora che ’l farà dispera-re, o per poco bene che gli paia avere fatto bene, o permolti peccati ch’arà operato, ovvero che si disperi per-chè abbia perdute cose temporali; e però dee catunoistare in timore; chè se Iddio non ti guardasse continua-mente, nullo è sì santo che alla più vile tentazione delnemico si potesse difendere, tanta potenzia ha. Noi nonconosciamo la sua potenzia, perocchè Iddio l’ha legato enon lascia fare; ma noi siamo sì matti, che crediamo es-sere campioni noi istessi: solo Iddio è quegli che n’aiutae che ne difende per l’angiolo buono che t’ha dato aguardia. Fae altresi il dimonio come malo uccellatore,che ne piglia col visco. Chi sono questi uccelli? i carnali.Quando l’uccello è impiastrato, quanto più si dibatteper iscirne, più si lega e più s’avviluppa. Dirittamente icarnali sono quegli che sono presi da questo vesco, cioèda’ diletti della carne, che non pare che se ne possonomai isbrattare. é così velenoso questo peccato, che po-gniamo che se ne sarà confesso e sarà in istato di grazia,non però ne va lo stimolo, chè n’è troppo combattuto.Fassi quistione chi è più combattuto di carne tra i vergi-ni e gli altri. Non è dubbio che troppo ne sono più com-battuti gli altri, mille cotanti. Assimiglia altresì la Scrit-tura il demonio al male pescatore, che piglia i pesciall’amo. Quali sono questi pesci? quegli che disideranole cose del mondo, come molte volte questi cherici, chedisiderano d’avere prebende ingiustamente, e per averlane farà alcuna simonia, ell’è in peccati. Il giudice altresìdarae talora la sentenzia falsa per pecunia, e questo è illamo che piglia; l’esca è un poco di guadagno. E non so-lamente si pigliano i detti animali pure ne’ detti modi,ma tutti generalmente si prendono colle reti. Vero è chealtrimenti è fatta l’una che l’altra. Quali sono le reti degliuccelli? gl’impacci del mondo. Sarà molte volte l’uomoch’avrà tant’impacci e tanti viluppi, che sarà sì ’mpaccia-to, o per moglie, o per figliuoli o per tante cose, ch’è

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maraviglia; chè molte volte a colui medesimo rincresce-ranno troppo, e dicerà: or ne foss’io fuori! Ecco male re-ti, che po’ che abbia la buona voluntà d’uscirne, non puòisvilupparsi. Ma sai che de’ fare costui? non dee guataredi sciogliersi nè di porsi a snodare; come più ci soprastes-se, più si avvilupperebbe; ma ha fare come dice santoGhirigoro: dice che questi cotale de’ tagliare affatto e ri-cidere, e non dee isnodare ma tagliare; chè s’egli scampadell’una cade nell’altra. Così son fatte le reti del dimonio;sono tante le reti del dimonio, che se Iddio non ne iscam-passe, ogni uomo sarebbe preso; chè saranno molte voltereti che non ti potrai partire e non ne potrai uscire danullo lato, che tue non sia preso; che se tu esci dell’unacadi nell’altra: come adiviene molte volte che sarà l’uomocostretto alla corte di giurare, e s’egli si spergiura sì èpreso nel peccato, e se non si ispergiura si incorre ingrande pericolo. Pone molte volte il demonio queste co-tali reti, che non parrà che l’uomo possa pigliare niunobuono partito; ma se voi sapeste bene ricorrere alle ora-zioni, a Dio, questa è la fine medicina, ma voi non sapetericorrere alle orazioni. Di queste reti ben paiono fuori gliuomini divini e contemplativi, e romiti e cotali persone,che non trassinano (sic) le cose del mondo, che non glipuò fare ispergiurare, e cotali altre cose; ma almeno delpeccato carnale, di questo non gli dimette il dimonio dicombattere. E però per tutte le dette ragioni e per moltealtre è sempre d’andare cautamente e saviamente, secon-do che n’ammunisce l’apostolo. Deo gratias.

XVIII

Anni 1303, dì 20 d’Ottobre.

Quid existis in desertum videre? arundinem vento agi-tatam. Nel Vangelio d’oggi si fa menzione d’una quistio-

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ne che santo Iovanni Battista fece a Cristo, domandan-dogli s’egli era colui che dovea venire: la quale quistionenon fece per sè, perocchè non stava di ciò in dubbio, maegli la fece per gli discepoli, per loro edificazione, e an-cora per noi, per nostra grande utilitade; chè segno digrande sapienzia è il bene domandare, e la scienzia è ilbene rispondere. Questi discepoli non arebbono saputofare questa quistione per loro, perocchè non aveano unmendacio, ma santo Giovanni la fece per loro e per noi.E a mostrare bene Cristo come santo Iovanni non la feceper sè ma per loro, sì si mostra poi appresso nel Vange-lio; perocchè Cristo parlò pure a loro; ancora perchè licommenda nella predica sua, siccom’egli fue verace te-stimonio. Il buono testimonio de’ avere in sè quattro co-se: la prima che sia disprezzatore delle cose del mondo,la seconda che sia uomo di santa vita, la terza che siapieno di scienzia, il quarto che sia mondo. E questo mo-strò Cristo nel Vangelo: prima come non fu amatoredelle cose del mondo, in ciò che dice: quid existis in de-sertum videre? arundinem vento agitatam; cioè a dire:non è canna menata da vento, anzi è colonna fermissi-ma. Mostrò la vita sua santa, in ciò che dice: che uscitevoi a vedere: hominem mollibus vestitum, cioè uomo ve-stito dilicatamente e più che profeta? I profeti sanno piùche gli altri uomini; perocchè gli altri uomini sanno par-te delle cose presenti e delle passate, ma i profeti sannoquello che gli altri uomini non sanno, cioè le cose future.Mostrò ancora com’egli era mandato da Dio, in ciò che’l chiamò angelo. Dico prima che si mostra di santo Io-vanni com’era uomo di santa vita, in ciò che dice e mo-stra che non fu canna; e però mostra di lui ch’egli fuecolonna fermissima e immobile, siccome sono i giusti e isanti uomini di Dio. La canna è cosa vòta e vana e debi-le e mobile; la canna è misura da misurare molte cose; eperò il mondo è simigliato a canna per queste condizio-ni. Dico prima che ’l mondo è assimigliato a canna per la

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vanità sua; sapete che la canna è cosa vana; pare così difuori, ma dentro è vana e vòta; così il mondo è pretta va-nità. Voi dovete sapere che tutte l’opere di Cristo cosìfurono ammaestramento e dottrina grande, come quan-do ammaestrava colla bocca. Di Cristo si legge che nellapassione sua fue fatto re da beffe, e fugli posta la cannain mano, e la corona delle ispine in capo, e la porporaistracciata in dosso, e fue ischernito e percosso. Leggesianche di lui che un’altra volta volle essere fatto re dalleturbe, e questo fue quando ebbe fatto el miracolo delpane, ed ebbe saziate le turbe; allora si fuggìo e non vol-le, ma volle essere fatto re nella passione, e questo nonsanza grande cagione. Ciò dicono i santi a mostrare chereame di questo mondo è reame da beffe, e anche permostrare che ’l suo reame non è quinci, siccome egli dis-se a Pilato. Dunque per mostrare Cristo come i reami diquesto mondo sono reami da beffe, volle essere fatto renella passione sua; chè dovete sapere che il reame diquesto mondo sono reami da beffe, un giuoco da beffe èquello di questo mondo; perocch’è cosa tutta vana, co-me la canna; e però volle Cristo tenere la canna in mano,a significare che tutti i re e signori del mondo tutti ten-gono vanitade e cosa vòta. Volle altresì avere la coronadelle ispine, a dimostrare che ’l reame del mondo è tuttopieno di spine pugnenti. Odi bella parola che disse unopagano, che quando fu fatto re sì gli fue recata la coronapreziosa: questi non la si mise incontanente, come fannooggi i vescovi e signori ispirituali e temporali, che vannocercando le dignitadi, anzi sospirò e disse: o come è bel-la, come preziosa questa corona; ma e’ ci ha tante ispinee sì pugnenti, che chi la cognoscesse, s’ella fosse in terranon la ricoglierebbe. Or non son eglino ben pieni di spi-ne pugnenti questi signori? certo sì essi, per le molte vo-luntadi che non posson compiere, e per le molte coseche gl’impediscono la pace e lo ’ntendimento suo: inquante paure istanno eglino, e in quanta sollecitudine, e

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in quanta bussa e in quanta battaglia, chi ’l potrebbe di-re? E però Cristo a ciò dimostrare volle avere corona dispina, e la canna in mano e la porpora istracciata, e volleessere istracciato e percosso; a mostrare la miseria loro ela loro rea condizione. Ma il reame di vita eterna, quelloè il verace reame, il quale amano i giusti, ma questo di-sprezzano. E anche la canna è cosa debole, e aoperasi ta-lora per appoggiatoio; ma questo è malo appoggiatoio:perocchè si rompe e fiaccasi, e allora si fiacca altrui nelcostado; così propiamente adiviene a chi s’affida e poneisperanza nelle cose del mondo. Or che vanità è questa!Verrà l’uomo, e avrà fatto il palagio e vorrassi riposare, esubitamente gli nasceranno tante avversitadi e tantecontrarietae, pure in quelle medesime che non si pensa-va, ch’è una maraviglia; chè pure del suo medesimo aràl’uomo briga e angoscia da cento parti, che pure in guar-darlo sarà uno inferno, non dico la fatica ch’è; ma ch’èin acquistare e in peccati che si commettono. Credeasicostui riposare essendo ricco, ed egli ha mille milia di-fetti e pene, di quelle che non sentia. Or così va questomondo: è però pretta vanità. Ancora la canna è cosamolle, cioè leggiere, che a ogni vento si volge e ’n ognilato si muove, e non ha fermezza; così è propriamentedel mondo. Vedete come si volge l’uomo mondano epeccatore leggiermente per un poco d’onore, per unalusinga, per uno poco di utilità o di qualche male amore;altresì per uno poco d’ingiuria, per uno poco di fatica, sivolge l’uomo e partesi da Dio e dalla verità, e però è dacommendare uno che stae in fermo, come santo Iovan-ni. Il peccatore è come ’l mare, che si muove a ogni ven-to e per ogni onda: onde tutto questo mondo è pienod’onde, chè non fa altro che tempestare, e non ci stà inistato nulla cosa solo un’ora. Or sarae l’uomo ricco, orpovero, or lieto, or tristo il dì cento volte, chè avrà el dìcento voleri, e muterassi di cuore o di volere cento volteil dì. Così ora fie sano, poco istante infermo; e mutansi

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all’uomo tutte le cose, chè ora a chi si muore il padre,ora la madre, ora il fratello, ora il figliuolo; or se’ col ma-rito, ora vedova, e tutte queste cose turbano l’uomo. Edi questa tanta mutabilitade si ne puote rendere ragionepur quasi per mode della natura. La terra si è tonda co-me mela. La fortuna dicono i savii ch’è anche tonda:queste due palle istà l’una sopra l’altra, e i beni del mon-do stanno da uno lato e i mali dall’altro. Questo è unaragione del mondo, non ha istato; chè quando le palleovvero ruote istà l’una sopra l’altra, sapete che non sitoccano se non in un punto; e però non possono istaresanza continuo movimento, come se due palle fossel’una sopra l’altra; e però questo mondo si volge conti-nuamente sottosopra. Prendesene anche ragione per lomovimento del cielo. Tutte le cose del mondo quaggiùdi sotto, tutte sono per le cose del cielo; e però le cosedel cielo sono tutte cagione delle cose del mondo. Vede-te che ’l cielo dà continuo movimento, e di dì e notte sivolge e non resta mai; chè se restasse pure un punto, di-cono i savii che morrebbono tutte le criature di sotto.Così a questo modo vae il cuore dell’uomo; perocchè ilcuore nel corpo dentro sempre batte; e se restasse pureuno punto che non battesse, incontanente morrebbe.Così è anche delle cose del mondo, le quali sono in catti-vo movimento; e però questo mondo è cosa che non haistato; e di verità tutto l’affare del mondo è uno dormire,e come uno sognare. Sapete che quegli che sognano,molte volte gli pare essere re, or ricco, o talora altrimen-ti, ma quando si desta non si truova nulla di quelloch’egli sognava: così è tutto l’affare del mondo. Dice al-tri che quegli ch’è desto è vivo, e quegli che dorme èmorto; ed è già tutto il contrario, chè quegli che ci vive èpiù che dorme; ma quando l’uomo è morto allotta è de-sto, perocchè quando l’uomo muore, allotta apre egli gliocchi e vede, che prima non vedeva. Onde queglich’esce del mondo per la morte è come colui che dorme

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e sogna, che quando è desto non si truova nulla del so-gno. Ecco che si trovano in mano la canna vòta; solo,quegli che avrà amato Iddio, quegli avrà operato daddo-vero e troverassi ricco. L’altra ragione perchè il mondo èassomigliato a canna si è perchè la canna s’opera per mi-sura di molte cose; non dico, di tutto, perocchè moltecose richieggono altra misura: la misura dell’oro è la bi-lancia, quella dello vino è l’orciuolo; ma molte altre co-se, come panni, e terra e muri, richieggono canna: ondeciascuna cosa richiede misura simigliante a sè. Qui ave-mo noi grande ammaestramento: vedete come delle cosemedesime che fanno le genti si può trarre di molto. Ioho detto che cosa è simigliante alla sua natura. Qual’èdunque la ragione che questo mondo è assomigliato acanna? Ragione si è che tutti i beni di questo mondo so-no misurati e terminati; e per questa ragione si mostra lavanità del mondo, perocchè ogni cosa del mondo ha fi-ne. E perchè i beni del mondo sono misurati e sono cosìpiccoli, e però i giusti si fanno beffe dei peccatori ches’appiccano a questa vanitade, e i peccatori simigliante-mente si fanno beffe dei giusti. Cosa naturale è che loisciocco ispesse volte si fa beffe del savio e ’l savio delloisciocco; ma sanza dubbio l’uno ha la migliore parte. Ilgiusto vedendo il peccatore e l’opere sue, si fa beffe dilui; così il peccatore, quando vede il giusto digiunare, oche stea casto o in purità, sì se ne fa beffe; ma ingannatoè. Or credono i mondani ch’e’ giusti vogliano diletti, sìvogliono bene; ma e’ veggiono i beni del mondo sì pic-coli, e sì pochi e sì misurati, che non gli vogliono, fanno-sene beffe di chiunque; e però il tòrre che essi fanno daloro i diletti mondani e carnali, sì ’l fanno per averemaggiore beni, cioè i beni eternali che non hanno misu-ra, perocchè sono infiniti; e però isprezzano questi, pe-rocchè vogliono vie maggiori beni sanza fine; e però sifanno beffe de’ mondani, che prendono questi beni cosìpiccoli e così miseri, e non sono nulla. Quanto basta uno

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diletto di carne, un diletto, di gola? un punto. E però èpretta vanità il mondo: vedi come è misurato con cannadi vanità! E però è da disprezzare; e però il disiderio el’amore a’ ben veraci che non hanno fine. Deo gratias.

XIX

Anni 1303. Domenica, dì 20 d’Ottobre.

Homo quidam fecit coenam magnam. Questa parolaavemo proposta a reverenza del santo sacramento dell’al-tare, del corpo del nostro signore Iesù Cristo, e sono sueparole di Cristo: il quale sacramento è sì prezioso dono esì degnitosa cosa, che gli angeli e i santi non potrebbonocomprendere se tutte le cose che si dicono alla messa sidicessero, e quelle parole che si dicono, per le quali il Fi-gliuolo di Dio viene a noi col corpo e coll’umanità sua,non si dicessero, non sarebbe messa; e se non sì dicessealtro che quelle cotante, sarebbe messa. Questa è bellacorona alla chiesa e somma degnitade. Questo sacramen-to fa bello o gioioso ogni cosa; tutta la Chiesa di Dio n’èincoronata; sanza questo sarebbe vedova e nulla. Nellequali parole proposte si mostrano tre cose di questo san-tissimo sacramento. Prima a che è ordinato questo sacra-mento, e perchè fue fatto. Questo mostra quella parolache dice: homo. Mostrasi in questo sacramento la poten-zia di Dio in ciò che dice: quidam, tanto è a dire homoquidam come uomo singulare. Mostrasi il frutto e l’utili-tade di questo sacramento in ciò che dite: coenam ma-gnam. Prima dico che mostra a che questo sacramento fuordinato, in ciò che dice: homo. Uomo tanto viene a direquanto difetto e miseria. Difetto grande avevamo di lui;però quando venne l’ora della morte sua, e vide che sipartia dal mondo e da’ discepoli, e che più nol poteanovedere, sì ordinò col Padre suo di volere, andandone in

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cielo, rimanere con noi, non solamente colla deitade, macolla sua umanitade, col suo corpo; però ordinò questosacramento per volere sempre istarsi con noi corporal-mente; onde dice: deliciae meae cum filiis hominum; ilmio sollazzo è di starmi con loro, perch’io ho preso carnee fattomi uomo, cioè cogli uomini vuole, perchè semprelui avessimo in memoria e mai nol dimenticassimo. An-che fue ordinato per la miseria nostra, chè per noi mede-simi non ci potremmo atare. Così come ’l corpo ha biso-gno d’aiuto, così l’anima ha bisogno d’aiuto s’ella vuolevivere; chè, come la morte del corpo può nascere da noimedesimi dentro e per accidenti di fuori, e come nonpuò pervenire al termine sanza cibo, così adivienedell’anima simigliantemente: dentro può nascere per feb-bre e per posteme, e per altre malizie chiamasse mortedentro; di fuori per ferro, e per percosse e per altri modi.Dentro nasce la morte dell’anima per la concupiscenziache ci nacque per lo peccato di Adamo; chè siamo tutticorrotti nella natura nostra, perocchè siamo inchinevoli afare il male ed ècci agevole, ma il bene ci è aspro e mala-gevole. Di fuori sono i dimonii co’ coltelli delle tentazio-ni. Questo sacramento preziosissimo è cibo dell’animaed ègli necessario di prenderlo ispesso, secondamenteche ’l cibo corporale sustenta il corpo; e però chi, questosacramento non piglia, non può l’anima sua avere vita. Echi sta molto che non si comunica è segno che l’animasua non ha vita, perocchè di questo vive e si nutrica; enon mangia l’uomo pur per vivere, ma per avere forza acombattere col nimico e per altre cose. Questo cibo dàfortezza all’anima a portare e vincere tutti i nemici, co’quali avemo a combattere, e sanza questo è vinto da ognitentazione. E chi non si comunica se non rade volte è se-gno ch’egli è debole, e che da sè è vinto da ogni tentazio-ne; e se troppo istessi alla volta si muore. Ancora non po-tremo giugnere a porto di salute nè compiere il nostroviaggio sanza questo cibo; anzi verremo meno per la via.

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I santi uomini vanno diritto per lo cammino; i peccatorinon vanno innanzi, ma tornano adrieto, sempre andiamoe mai non restiamo verso la morte; ma questo non è an-dare, ma esser menato; ma, i giusti vanno per lo cammi-no di vita eterna, questo cibo gli sostenta, sanza questoverremo meno per debolezza; dunque chi non ha cura diquesto cibo segno è di suo malo istato. Vedi dunque co-me questo cibo fue ordinato per la nostra miseria per glidetti tre modi. Fue anche ordinato non solamente per lanostra miseria, ma per la misericordia e per la carità diDio; e però dice: homo quidam, uomo singulare; chi fumai che a lui s’aguagliasse? Tanto fue l’amor suo a noi,che per noi volle morire. Il maggiore amore che possa es-sere si è se per l’amico suo altri ponesse la vita. Bene adi-viene alcun’otta che altri è morto per l’amico suo; ma sesapesse che ne dovesse morire, molte cose fae l’uomo peratare l’amico, che non lo farebbe de’ cento mila l’uno.Dunque se sono sì pochi, anzi neuno, che per l’amicosuo più caro volesse morire, ecco Cristo che fece più: pe-rocchè non solamente per gli amici, ma per gli nimici li-berare sostenne morte, e per gli nimici si lasciò uccidere,tanto gli amò. Ecco dunque amore sanza fondo e sanzamisura; e però fue uomo singulare, che mai non fu più. Enon sarà questa carità di Dio verace? Amò d’essere sem-pre con noi corporalmente, chè si diletta di stare con noi,la somma sua carità tanto ama la nostra salute. E però fuordinato questo sacramento, non solamente per la nostramiseria, ma per la carità di Dio. Nella seconda parte del-la nostra proposta si mostra in questa proposta, in questosacramento, la grande potenzia di Dio. Grande cosa è apensare che ’l pane e ’l vino si faccia verace corpo e san-gue di Cristo; grande cosa è a pensare che tuttodì si sa-grifica, e però non cresce Cristo; grande cosa è a pensareche ne sia tra cotante luogora, e per gli altari, e in cielo, enel mondo, e più di centomila luoghi; grande cosa è apensare come in così piccola ostia sia tutto interamente il

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corpo di Cristo: queste sono grande maraviglie di Dio!Egli è per aiutare la fede nostra che non sia debole in noi,e non dica l’uomo: che cos’è questa che mi conviene cre-dere? Noi troviamo che la natura manifestamente fa al-tresì cose, e altresì grandi miracoli fa Iddio nella naturacome qui; ma l’uomo non le pensa. L’una maraviglia si èin ciò che ’l pane e ’l vinosi converte, e fassi verace corpoe sangue di Cristo. Questo pare dura cosa a credere. Orchi pensa che Iddio fece questo mondo, chè non v’eranulla, questo è maggiore cosa a fare di nulla alcuna cosa,che d’una cosa fare un’altra. Dunque per le parole del sa-cerdote, che sono parole di Dio, chè le dice il prete inpersona di Dio, or non può fare del pane suo corpo, edel vino suo sangue? certo sì maggiormente. Ancora ciha la natura un’altra maraviglia. Il letame fracido, ch’ècosì sozza cosa e corrotta, or non se ne pone a piè dell’al-bero, e fassene così belli fiori e odoriferi, così buoni frut-ti, così dolci e saporiti? Se la natura fa della cosa fracida,e puzzolente e così vile, così dolci e preziose cose e cosìodorifere, dunque perchè Iddio, la cui potenzia è sopraogni natura,non può fare del pane e del vino corpo e san-gue suo? Ancora ci ha un’altra maraviglia nella natura, etuttodì il veggiamo e non ce ne addiamo, e se noi nonl’avessimo veduta nol crederemmo mai. Or non fa la na-tura della cosa gelata uscire il fuoco? certo sì: della pietrafa uscire il fuoco. Or che è questo a pensare? se della co-sa gelata esce il fuoco, or non puote Iddio fare quellomaggiormente? Ancora grande e dura cosa pare a crede-re, che tuttodì è sagrificato Cristo in tante luogora e nonne cresce; ma se vuogli considerare, questo fa la natura evie più. La natura veggiamo che sempre arrogendo noncresce: questo siamo noi medesimi. Quando noi siamocresciuti quanto dovemo, sempre manichiamo e sempremettiamo cibo, onde si fa carne e sangue; e però non cre-sciamo nulla, anzi menomiamo quando viene la vecchiez-za. Se tu questo non avessi veduto, e fosseti detto, una

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cosa è che sempre ci s’arroge e mai non cresce, questonon potresti credere. O non può fare questo Iddio mag-giormente? Ancora dicono i savii che Iddio per sua po-tenzia potrebbe fare d’una cosa un’altra sanza crescerla,e d’una pietra un’altra; ma se si arrogesse quella medesi-ma com’era prima, crescerebbe e farebbe muro; ma mu-tata e fatta dell’una l’altra non crescerebbe: così Iddio fadel pane e del vino il corpo e ’l sangue suo, in molte luo-gora, facendo di molti pani uno medesimo corpo, noncrescendo; perocchè, com’egli fa del pane e del vino ilcorpo e ’l sangue, così di molti pani e vini fa uno medesi-mo corpo, ed è pure uno. Potrebbe Dio far di tutte le co-se una medesima cosa sanza menomare la sustanzia dellecose, non aggiugnendo nulla a quella. Maggiormente pa-re che faccia la natura, che arroge cose diverse e non cre-sce, come ti dissi, chè il cibo si fa carne novella e diversadell’altra, cioè di quella di prima, e sì non cresce. Quantomaggiormente Iddio, che non arroge nulla, ma del panee del vino fae ’l corpo e ’l sangue suo, sì gli le converte incorpo e sangue suo, non ne arroge della cosa nulla? Que-sta è bella ragione, chi la può bene intendere e vedere, edè sottile molto. Grande maraviglia pare agli uomini a di-re, che conciosiacosachè egli sia uno corpo, solamentequello ch’egli trasse della Vergine Maria, ed è in cielo, enel mondo, e negli altari in cotante luogora; ma se noivolemo pensare, la natura fa cotali cose. Il predicatorepredica una cosa, cioè una voce, ed è interamente negliorecchi di tutto il popolo, non per parte, ma in catunotutta; onde catuno hae pienamente quella voce in sè, ed èpure una medesima, e vedi ch’è in cotante luogora. Or sefosse detto a uno: egli è una cosa, ch’è pur una, ed è inpiù di mille luoghi, crederebbel’ egli? certo no; ma per-chè tuttodì questo veggiamo, non ce ne maravigliamo;onde se l’uomo pensasse bene quelle cose che fa la natu-ra, quelle di Dio non gli parrebbono impossibile. Iddiopuò fare questo, dicono i savii; chè, siccome egli fece tut-

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te le cose in diversi luoghi, così poteva fare, se sì avessivoluto, tutte le cose in diversi luoghi. Onde una medesi-ma cosa poteva creare in tutte le cose, essendo una me-desima cosa. Ancora questo è piccolo asemplo appoquello che Dio può fare; e così potea fare l’uno come l’al-tro. Grande maraviglia pare che in così piccola ostia es-sere intero il corpo di Cristo, e quante parti se ne facesse-ro, in catuna è interamente, questo pare impossibile. Ornon ti paia impossibile; perocchè, se vorrai por mente, lanatura fa queste cose; e se non l’avessi provato nol crede-resti mai, ma per la molta usanza non ti pare nulla, per-chè non ci pensi. Or che è a pensare che iv’entro è tuttol’albero informato? chi crederebbe che in un granelloavessi tante cose così unite? questo è grande maraviglia.Così nascono le pere, e così si fanno gli alberi. Ancoravedete maraviglia, come nascono gli uccelli dell’uovo. Orchi aprisse l’uovo vedrebbevi il truolo, e così è truollo inun luogo come in un altro; dunque chi saprebbe vederedi questa parte del truorlo nascere il piede dell’uccello,ed in quest’altra l’ossa, e di questa ’l capo, e di questa lacarne? Or ecco la grandissima maraviglia di Dio. Ancoradicono i savii, che l’uova sono fatte tutte a un modo, equella natura ha l’uno che l’altro; or dunque perchèescono dell’uova tante diversitadi d’uccelli e d’animali,l’uno grande e l’altro piccolo, l’uno d’una natura e l’altrod’altra? l’uno d’un colore e l’altro d’un altro? O che èquesto a pensare d’uova, che sono tutte l’une come l’al-tre? Dunque non poteva Iddio fare del pane di tutti unomedesimo corpo, quando una cosa fa tante diverse cose?Ancora vedete il miglio: il miglio è detto da mille, peroc-chè talora uno granello ne fa bene mille. Or ecco grandemaraviglia: grande maraviglia sarebbe se d’uno granellodi miglio intero ne facesse un altro, ma d’uno granellocorrotto fracido farne un altro saldo farebbe maggioremaraviglia, ma farne mille, ecco grandissima maraviglia.Ben può dunque Cristo fare il suo corpo in una ostia e in

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molti luoghi. I savii dicono che il sole è maggiore che tut-ta la terra cento settantasette volte, e la stella, la minoreche vedi, è più di diciotto volte maggiore che tutta la ter-ra; or e’ cape nell’occhio tuo, ch’è così piccolina, la luce.Dicono i savii che l’occhio vede, non perchè dell’occhioesca nulla e vada a quello che vede, ma della cosa vieneall’occhio cosa ispirituale; onde veramente quando tuguati il sole, tutto interamente l’hai nell’occhio così pic-colino. Or ecco profonda e alta maraviglia chi ’l pensas-se; ma gli uomini, siccome bestie, non pensano a questebelle maraviglie di Dio. Or chi questo non avesse veduto,e altri dicesse che una cosa così grande capesse intera-mente in una così piccola, non la crederebbe mai; ma perla molta usanza non ci pare niente e non ce ne avvedia-mo. Tu vedi uno monte: tutto quel monte è nell’occhiotuo: ed è così grande. Ancora ci ha qui più, chè non puoivedere nè sapere in qual parte dell’occhio sia una partedel monte; perocch’alcuna parte del monte è in tuttol’occhio, e se tu turassi più che le tre parti della luce tua,tutto vi sarebbe dentro; e questa è la cagione che non so-lamente hai nell’occhio il monte, ma in ogni parte dellaluce dell’occhio è tutto il monte, e così dell’altre cose chevede. Così Cristo è nell’ostia in ciascuna parte dell’ostia etutto interamente, quanto dividere la potessi ancora. Ornon consideri tu l’anima tua, or non ti par ella ben picco-la e stretta? sì. Or e’ cape in lei tutto il mondo, quandol’anima pensa le luogora, il mondo, il cielo e tutte le cose,tutte capono in lei. E è l’anima così piccola, e cape in leitutto il mondo, e ’l cielo e la terra, e tutte le cose quandole pensa. Or che è questo? Tutto il mondo nella sua gran-dezza è allora informato e immaginato nell’animo. Vedicome tutte le cose capono nell’anima ch’è così piccolina;così maggiormente in quella ostia è tutto il corpo di Cri-sto, o in quante parti si dividesse, come lo specchioquando è intero che mostri una faccia, e quando l’hairotto in più parti, in tutte è interamente quel medesimo

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volto. Vedete ancora della natura de’ serpenti e degli al-tri animali lunghi, sottili. Taglierai in due o in tre parti,catuna parte sarà viva; e dicono i savii che se quelle partiavessino bocca da potere pigliare cibo, tutte viverebbonoe farebbonsi grandi; questo si fa per vertù di natura. Cosìnell’ostia, in quantunque parti il partissi, in catuna è Cri-sto interamente. Questi esempli che n’avemo recatidell’opera della natura, i quali chi bene gli considera,queste cose, e di questo mirabile sacramento, si credonopiù leggiermente. Nondimeno queste sono ragioni gros-sissime, per intendere a ogni persona agevolemente, male ragioni sottilissime e propie, le quali hanno dette i san-ti, queste non dico, perocchè non le intendereste, sì sonosottili e profonde, ma intendonle bene quelli che studia-no in ciò. Queste cose sono tutte provate per vive e perbelle ragioni. Ma queste ch’io v’ho dette, sono fatte eprovate per le persone secolari e grosse, che hanno in ciògrosso intendimento. In ciò ch’è detto cena diciamo: lacena si fa dopo il desinare, ed è la sezaia mensa. Avve-gnachè Cristo lo dicesse per quella beata cena di vitaeterna, quando saremo lassù; ma non però di meno sipuò intendere della mensa dall’altare, di questo preziosocibo. é detto cena, perocchè in vita eterna noi aremo cosanuova, perocchè aremo avuto quello che noi aspettava-mo, cioè Cristo: meglio che Cristo non si puote avere.Noi l’avemo qui quel medesimo che averemo in vita eter-na, ma in altro modo l’averemo. Deo gratias. Amen.

XX

Anni 1303. Domenica, dì 15 di Dicembre

Si quis mihi ministraverit, honorificabit eum Patermeus, qui in coelis est. Il re terreno sì abbisogna di moltiservi, o quanto egli è maggiore re, di tanti più servi ha

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mestiere; e secondo che n’ha mestiero, così ne truova as-sai quanti ne gli bisognano, perocchè aspettano da’ regrande dono e grande guidardone del loro servigio. Ornon adiviene così di Dio, perocchè Iddio è il sommo, edegli non ha bisogno di nostro servigio. E però vedendoIddio che noi non gli potevamo servire, nè che da noinon potevamo fare niuna cosa meritoria che gli piacesse,o per la quale meritassimo alcuna grazia, sì volle diven-tare re terreno, non quanto alla signoria mondana, maquanto al corpo che prese, e venne in questo mondo evollesi fare re che noi il potessimo servire, acciocchè noimeritassimo da lui e sperassimo di ricevere beneficii. Eperò del seno del Padre venne nel ventre della Vergine,e ricevette carne e diventò fanciullo garzone, e prese insè tutte quelle miserie c’hanno gli altri garzoni, trattoneil peccato; intendi di fame, di sete, di freddo, e di caldoe di pianto, e d’altre miserie corporali; e allotta massi-mamente ha bisogno di servi ch’l servino essendo fan-ciullo di latte, più che in altro tempo. E il servigio diquesto benedetto garzone re chente egli lo vuole, sì simostra per quattro servidori ch’egli ebbe nella sua nati-vitade. In prima i servidori furo gli angeli, l’altro servi-dore fu la Donna nostra, il terzo si prende per Giusep-po, il quarto da’ pastori. Gli angeli il servirono di trecose, cioè di gloria, e di laude e di pace; la Donna nostrain ciò che ’l portò in ventre e allattollo; Giuseppo di be-nivolenza ed ubbidienza; i pastori di semplicità e di lau-de. A questo modo dovemo noi servire a questo bene-detto re garzone, prima prendendo assemplo oammaestramento da santi angeli: e avvegnachè io ti di-cessi che servono a Dio di tre cose, due sono ispezial-mente quelle cose che fanno a Dio, cioè gloria e pace: diqueste due il servono, chè ciò che fanno tutto è a gloriadi Dio, a questo intendono, e tutto l’ufficio loro intendea questo fine, e tutti adoperano e non istanno mai oziosi;e questo è perocch’egli hanno Iddio sempre presente. A

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questo modo dovemo noi servire a Dio, e che tutto ciòche noi facciamo tutto sia a gloria di Dio, e none alla no-stra, e in tutte le opere nostre dovemo pure raguardareall’onore e alla gloria di Dio. Santo Paolo manda coman-dando a’suoi convertiti in una sua pistola ciò: ciò che voifate in tutte l’opere vostre, o s’eziandio se mangiate, obeete, o dormite, o stiate o andiate, tutto ciò che fate ègloria di Dio, e questa è la via. E dice qui uno santo, chequesto comandamento di santo Paolo si è comandamen-to divino grande, al quale è tenuto ogni cristiano, peroc-ch’è comandamento d’amore e di carità. Or potresti di-re: or poss’io ciò, che io possi fare a laude di Dio? ondenon son’io come angelo, che hanno Iddio sempre dinan-zi agli occhi; ma io come posso avere Iddio sempre pre-sente? Rispondoti: dicono i santi che troppo bene. Egli èin due modi avere Iddio presente, cioè per atto o nel fi-ne: per atto è in questo modo: cioè quando è pensato di-nanzi, cioè innanzi che tu facci la cosa, la pensi dinanzidi farla per gloria e onore di Dio. Per questo modo nonpuoi sempre avere questo rispetto innanzi gli occhi; maper altro modo, cioè quando nello incominciare hai avu-to buono proponimento di fare a laude di Dio e a suoservigio, pogniamo che poi non abbi tuttavia così pre-sente Iddio, non fa forza, se l’avesti nel cominciamento:come si dice di quegli che va a S. Iacopo in pellegrinag-gio, che s’egli ha rispetto buono d’innanti al comincia-mento, e però il fae, cioè per gloria di Dio, non ci faperò forza, perch’egli non si ricordi per lo viaggio tutta-via di Dio, perocchè ogni cosa è ordinata, e questo è perl’amore; e però quegli che ha in sè l’amor di Dio, ciò chefa sì merita, perocchè ’l suo fine si è nell’amore di Dio, enon fa forza perchè tuttavia noll’abbia presente. Ondeper ciò che tu fai, se mangi, e bei, e dormi, o chiunquetu fai, se tu hai l’amore di Dio, tutto è meritorio e tutto èguadagno; siccome dice santo Paolo: diligentibus Deumomnia cooperantur in bonum. Per questo medesimo mo-

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do tutti coloro che il loro fine e il loro intendimento èpeccato, e tutto ciò che fanno è peccato, e se fanno ope-ra che paia buona, non è di merito. E però i Saracini, egli altri che sono fuori dell’amore di Dio, e tutto ciò chefanno è peccato e tortura, e tutto va a mal fine; e se avve-nisse che facessimo opere di vertude o di piatade, non èloro nullo frutto, perocch’è secca la buona radice. Eperò dunque siamo sotto questo comandamento tenuti aDio, cioè fare ogni cosa a laude di Dio, e a sua gloria e asuo onore, e solo a questo avere rispetto e none ad altro,e questo è buono servigio. L’altra cosa di che ’l servonogli angeli si è di pace; perocchè tutto lo’ntendimento lo-ro in ciò che fanno, si è per nostra pace d’anima, ch’è lamaggiore pace che sia. Tutte l’opere degli angeli riguar-dano principalmente la gloria e l’onore di Dio, comedetto è; perocchè sono congiunti lui in una voluntade,chè ciò che vuole Iddio sì voglion eglino. Appresso diquesto il loro fine è alla nostra pace e alla nostra salute, ea questo intendono tutti gli angeli, e quegli di sopra chesono in cielo, che rivelano a quelli di sotto la voluntà diDio, a quelli che sono con esso noi a guardia in questomondo, che ci dànno le buone ispirazioni, che ci confor-tano in bene e guardanci da’ pericoli. A questo asemplodovemo noi servire a Dio. Poni mente se le tue opere so-no in pace del prossimo tuo e della patria tua, del comu-ne tuo, de’ vicini tuoi e della famiglia tua. Sempre deiguardare la pace del prossimo collo onore di Dio innan-zi. E questo è l’esempro che tu hai dagli angeli in servirea Dio in questo benedetto re garzone, cioè il re de’ cieli,gloria e pace, come gli angeli che cantavano: Gloria inexcelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.L’altro servidore ch’ebbe Cristo si fu la Donna nostraVergine Maria, ch’ella il portò in ventre nove mesi, e an-cora sì lo allattò; come si legge di quella fante di Marta,che si levò dalla turba e disse quelle benedette parole:Beatus venter qui te portavit, et ubera quae suxisti. A

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questo modo vuole Iddio che tu il servi. Prima vuole chetu sii sua madre. Or tu potresti dire: posso io portareCristo in ventre? Rispondoti: tue il puoi portare in unomodo ch’è meglio che portarlo in ventre; e per questomodo volle Iddio stare di te. Meglio è portare Iddio inmente che in ventre. Chi il porta nella mente è meglioche il portar che fece la Donna nostra nel ventre; ma ellail portò bene nella mente, perocchè il portare Cristo inventre, dice santo Agostino, non sarebbe valuto a leiniente, s’ella non l’avesse portato nella mente, ma ellaebbe l’uno e l’altro. E non fue beata la Donna nostraperch’ella portasse Cristo in ventre, ma però fue beataperch’ella il portò nella mente sua, chè quello per sè po-co vale, anzi nulla; ma portare Cristo nella mente sanzaportarlo in ventre, questo per sè vale assai. E però quan-do a Cristo fue detto: ecco la madre tua qui di fuori chel’aspetta, non se ne curoe ch’ella fusse sua madre, comequegli intendeano corporalmente; e però levate le manisopra discepoli suoi disse: ecco la madre mia, e fratellichiunque per amore mi porta nel suo cuore. Dovemodunque Cristo concepire nella mente, però Cristo siconcepe e nasce nella mente nostra, come dice la Scrit-tura. Servìllo ancora la Donna nostra quando ella l’al-lattò, e tu così gli da’ latte a Cristo, ch’egli è oggi garzo-ne e vuole latte. Quale è questo latte? l’opere tue. Noidiciamo che pasto e cibo saldo dànno i santi a Cristo invita eterna, perocchè veggiono Iddio visibilmente. Manoi avemo poca fede e piccola, chè le nostre buone ope-re sono quasi a modo di latte, deboli a Cristo, chè noinon gli potiamo dare pasto saldo per la miseria nostra,come dice santo Paolo: insino ch’i’era parvolo faceva co-me parvolo, ma quando sono fatto uomo sì fo opered’uomo. Noi siamo in questa vita fanciulli e opere difanciulli facciamo, ma allotta saremo uomini compiuti,quando noi saremo a vita eterna. Ancora ebbe Cristoservidore Gioseppo, e da lui dovremmo prendere, pe-

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rocchè ci dae esemplo di giustizia; e questo è in due mo-di, cioè in non rendere male per male, l’altro in renderebene per male. Di queste cose avemo esemplo da Giu-seppo, chè dice il Vangelio, che quando egli vide che laDonna nostra era grossa dubitò d’avoltèro, ma dice ilVangelio: conciofossecosachè egli fusse uomo giusto,non la volle nè accusare nè infamare. Qui hai tu esemplodi non rendere male per male, come Giuseppo, il qualesecondo la sua credenza credette essere ingannato, nonperò volle a lei rendere cambio. Hai quie esemplo chequando t’è fatto ingiuria non dei rendere male per male;troppo è grande peccato infamare altrui o ingiuriare al-tri, in cheunque modo tu lo ’ngiuri, in persona, o in ave-re o in fama. Sono molte persone sì grosse, che non sicredono peccare se non quando facessono troppi grandipeccati, o quando uccidessino altrui, o togliessino giàtroppo dell’altrui; quando togliessino dell’altrui nontroppo, non se ne credono avere peccato. In queunquemodo tu offendi il prossimo, o in persona o in avere, to-gliendogli poco o assai, ovvero togliendogli o menoman-dogli il guadagno suo, o ponendogli libbre non giuste,tutti questi sono grandi peccati. Altresì tòrre altrui la fa-ma, dire male d’altrui, questo è grave peccato, pognia-mo pure che fussi vero quello che tu di’ di lui, chè nondei infamare, ma se lo infami a torto, come non dei, que-sta è pessima cosa. Grande peccato a infamare altrui, atòrre la fama; e però ogni gente se ne dovrebbe guarda-re. Esemplo n’hai da Giuseppo, che non voleva introdu-cere. Maria nè palesarla; danne esemplo che noi altresìeziandio rendiamo bene per male; e questo si mostra ovedice che volebat occulte dimittere eam. Tutti i cristianisono tenuti a questa regola di rendere bene per male, al-meno siamo tenuti di rendergli pace e amarlo col cuore;e questa è la legge de’ cristiani; eziandio de’ beni terrenise’ tenuto d’osservargli in certi articuli. Fu ancora Giu-seppo giusto non solamente, ma fue giusto quanto a

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Dio, in ciò che fue osservatore del comandamento divi-no; e questo ne dimostra il Vangelio, che dice che ciòche l’angelo gli diceva e mostrava, tutto e’ ubbidiva; on-de gli disse l’angelo ch’egli andasse col fanciullo e con lamadre, e là istesse insino che gliele dicesse, e così fece;poi gli disse l’angelo che tornasse col fanciullo e collamadre, ed egli così fece. Qui avemo noi grande e belladottrina. Tanto è a dire terra santa quanto terra riposa-ta. Egitto tanto è a dire quanto confusio vel tribulatio. Adarti esemplo che quando Iddio ti dà tribulazioni o af-frizioni, infertà, povertà, allotta elli ti manda in Egitto; esiccome Giuseppo andò colla madre, col garzone, cosìfa tu; mai da te non si parta Cristo, sempre mai il portanella mente, questa sia tua regola di portarlo teco inogni tuo istato, e per nulla tribulazione non lo abbando-nare e non t’esca di mente. Porta altresì teco la VergineMaria, per la quale s’intende la purità e la mondizia e lainnocenzia tua, cioè che per nulla avversitade tu nonsozzi e non magagni la purità tua. SomigliantementeGiuseppo quando tornò d’Egitto, sì ne menoe anche se-co il figliuolo e la madre. Esemplo hai qui che se Iddio titrae di tribulazione od angoscia, e ponti in istato di ripo-so od agevolezza, o che ti dea prosperitade, o ricchezzao degnitadi, sempre simigliantemente abbi teco CesùCristo e la sua madre, onde giammai Cristo si parta dallamemoria tua, e sempre porta la purità tua, e mai noll’ab-bandonare; e però in ogni istato abbi Cristo, va con Cri-sto, porta Cristo, perocch’egli è via, verità e vita, nonpotrai errare nè perire; onde nè per prosperità, nè perl’avversitade, giammai Cristo non abbandonare nellaprosperità tua. Ebbeci ancora questo benedetto garzoneservidori in questa sua santa nativitade i santi pastori; equesti il servirono di due cose, cioè di semplicitade e dilaude. A questo modo dei fare tue, chè dei rendere lau-de a Dio de’ beneficii; e sono i beneficii in due modi,cioè temporali e spirituali. De’ temporali ne dei rendere

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grazie di ciò ch’egli ne fa; e se tu hai ricchezze e l’abon-danza del mondo, sì ne dei ringraziare Iddio che le t’hadate, non l’hai avute per tuo senno ne per la bontà; eperò ne dei ringraziare Iddio. Vedrai il povero, nel deisovvenire; se Iddio t’ha fatto bene nel dei ricognoscere,che ha fatto te ricco e colui povero; egli è uomo come tu,e tu non se’ degno più di lui nè egli meno di te, se nonche Iddio ha così voluto: dei essere ricognoscente e far-ne bene per suo amore, e de’ne lodare e benedicere Id-dio, e così dell’altre grazie che tu hai. Ancora il dei rin-graziare maggiormente de’ beneficii spirituali; ondequando tu odi dire che prese carne per te e diventò uo-mo, questo è sì grande dono e sì grande beneficio, chenon si può dire; debbilo lodare e benedicerlo; e per ciòsono fatte le feste, e le pasque, acciocchè l’uomo abbiaispacio di ricordarsi de’ beneficii di Dio. Come si leggede’ Giudei, che facevano tre pasque grandi, e ordinava-no tre grandissime feste: l’una si chiamava la pasqua de-gli azzimi, l’altra la pentecosta, l’altra scenofegia; ed era-no ammaestrati, che quando i fanciulli domandavano ilpadre: questa pasqua a che si fa? ed e’ rispondevano:questa festa si fae per rendere a Dio laude del grandebenificio che ci fece quando ci trasse dell’Egitto, dellemani di Faraone e de’ nimici, ch’eravamo istati in servi-tudine cotante centinaia d’anni. Dell’altra se domanda-va, il padre gli dicea: imperocchè si fa ricordanza e ren-desi laude, che Iddio ne diede la legge dal cielo perMoises. Se domandava dell’altra, rispondeva: questo sifa per quello grande benificio che Iddio ne fece quandonoi eravamo nel diserto sanza cibo, e Iddio ci pascette dimanna da cielo quaranta anni; così facevano. Con quan-to amore ci dovemo noi infiammare quando noi pensia-mo i benificii che n’ha fatto, che facevano così grandefesta in ciò che Iddio gli trasse di servitudine? Or ti ri-corda in questa santa pasqua del natale, e anche nelle al-tre di Cristo, com’egli ne trasse tra mano de’ nimici de-

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monii, ch’era molto peggiore servitudine, e fececi liberi,e francocci da loro. Questi altresì facevano festa dellalegge data da cielo; or con quanto amore ci dovremmonoi ricordare, quando non fue contento Iddio di darciper angelo la legge, ma mandocci il figliuolo Iesù Cristoin persona, e intrò, come dice santo Paolo, sotto la leg-ge, acciocchè ci ricomperasse? Coloro altresì facevanocosì grande commemorazione della manna che Dio die-de loro. Di qual ardore di amore ci doveremmo infiam-mare e ricordarci, quando Iddio ci diè se medesimo inpersona, colui ch’è fontana d’ogni bene ed è cibo di tut-te l’anime fedeli, e come altresì ci mandò lo Spirito San-to? Or queste sono le grande pasque. Di tutti questi be-nificii dovemo ricordare e rendere grazia a Dio; ma noinon solamente non gli rendiamo laude, ma noi il be-stemmiamo. I dì delle feste si fanno più peccati: come sicanta in questa notte ch’è bestemmiato! Ma intendi,che, siccome egli venne per salvamento di giusti, così achi non lo conoscerà sarà loro giudicio. Deo gratias.

XXI

Anni 1303, dì 26 di Dicembre, Domenica, a vespro, in SantaLiperata.

Vidit cÏlos apertos. Non fui bene a principio; dicea:Ecco che santo Stefano alla passione sua vide aperti icieli. Noi troviamo quattro cieli, cioè il fermamento, chenoi veggiamo, sopra ’l quale noi credemo che sia la glo-ria de’ beati; l’altro cielo la santa Scrittura; il terzo la glo-ria di vita eterna; il quarto cielo è Cristo benedetto. Ilprimo cielo dico ch’è questo fermamento, questo cieloche noi veggiamo, del quale parla il profeta quando di-ce: Utinam disrumperes cÏlos et descenderes! Dio il voles-se ch’e’ cieli si spezzassero, acciocchè a noi ne venisse il

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figliuolo di Dio! Questo cielo era istato serrato dal co-minciamento del mondo infino a Cristo; onde il dì cheCristo ricevette passione e morte, que’ cieli disserrò, estanno aperti a chiunche ci vuole entrare; ma prima nul-lo ci voleva entrare; oggi istanno aperti a tutti quegli cheentrare ci vogliono; ma a coloro che non ci vogliono en-trare ancora è loro serrato e chiuso. Or questo cielo videnovellamente aperto messere santo Stefano. Or tu po-tresti già dire: e’ furono aperti altrui, e non pure a santoIstefano. Onde però noi troviamo che i cieli sono istatiaperti per quattro persone, due nel vecchio testamento,e due nel nuovo. Nel vecchio testamento troviamo chevide Elia profeta, Ezechiel profeta; nel nuovo santo Gio-vanni Evangelista e messer santo Istefano: per li quali sidà ad intendere che a quattro generazioni di genti èaperto il cielo immantanente. Per santo Elia profeta s’in-tendono tutti i fanciulli piccolini; che sono battezzati, iquali se muoiono, allotta immantanente è loro aperto ilcielo, sanza nullo indugio. Per santo Ezechiel s’intendo-no i penitenti, cioè tutti quegli che muoiono in istato dipenitenzia, cioè tutti quegli i quali, poichè sono cadutine’ peccati, sì si rilevano e pentonsi, e fannone peniten-zia in questa vita e purgansi qui; onde coloro i quali han-no compiuta qui la loro penitenzia, immantanente ch’es-si muoiono è loro aperto il cielo. Per santo Iovannis’intendono coloro che mantengono la purità loro chetrassero dal battesimo infino alla fine loro. Questa è cosanobilissima. Oh com’è alta cosa e grande il mantenere lapuritade, non si potrebbe dire tanta nobilitade, e quantoè piacevole a Dio! Vero è che pur venialmente pecchia-mo, ma per li beni che altri fa sì sodisfa a quegli veniali,sicchè quando muore gli è aperto il paradiso immanta-nente, sanza indugio. Per santo Istefano s’intende laquarta generazione di quegli a cui è aperto il cielo im-mantanente, cioè sono i santi martiri; a quegli è aperto ilcielo sanza nullo indugio, perchè il martirio purga tutti i

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peccati quanti ne avessi, nè meno nè più che al battesi-mo; martirio fu tanto quanto battesimo, chè si purgal’anima da colpa e da pena immantanente, o di piccolapena o lieve che sia martire, non ci ha nulla forza se èegli martire per Cristo. Ben è vero che ci vuole essere ilpentimento de’ peccati, chè sanza pentimento non var-rebbe nulla cosa nè battesimo nè martirio; onde tutti imartiri che furono morti per la fede di Cristo, tuttochève n’avesse di quegli ch’erano istati grandi peccatori, mapenteansi, immantanente eran loro aperti i cieli; chè ven’avea forse di quegli, che se non avessero avuto marti-rio averebbono avuto a sodisfare grande tempo in pur-gatorio. Un altro cielo troviamo, e questo è la santaIscrittura, e di questo parla il profeta quando dice: ex-tendis cÏlum sicut pellem. Parla la Scrittura all’usanza diquelle contrade. Usansi in quelle parti del Levante, ov’èil grande caldo e piovevi rade volte, che non hanno altrecase, se non c’hanno pelli di certi animali tese a modo ditrabatte, e quivi s’abitano. Così la santa Scrittura è stesaa modo di padiglione, sotto la quale chi ci abita, sì l’ha aguardare e salvare, e a difendere dagli impedimenti delletentazioni e da’ peccati. Questa fu mostrata a santo Io-vanni; onde vide santo Iovanni Evangelista un libro sug-gellato di sette sigilli. Dice che nullo il poteva aprire, nèdi cielo, nè di terra, nè di sotto terra; e però piagnea; efugli detto: non piagnere, chè quello agnello l’aprirà.Questo libro, il quale dice ch’era iscritto dentro e di fuo-ri, è la santa Iscrittura; di fuori è scritto secondo la sto-ria, la quale è di grande utilitade, e ammaestramento edottrina, pur così secondo la lettera sanz’altro; dentro èscritto per gli alti e profondi e sottili e molti intendimen-ti c’ha; e però si spone tuttodì la Scrittura; e continua-mente se ne traggono nuovi intendimenti e belle dottri-ne, e non se ne viene a fine, tanto è copiosa. E dice ch’èsuggellata di sette suggelli: questi sono i misteri della vi-ta e dell’opere di Cristo, cioè la sua incarnazione, la sua

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nativitade, la vita sua, la predica sua, la passione, la sur-ressione, l’ascensione; perocchè la Iscrittura non parlase non di Cristo. é suggellata anche di sette sacramenti,battesimo, cresima, penitenzia, olio santo, matrimonio,ordine sagrato, e Corpus Domini. Di questi parla anchela Scrittura, e dice che nullo poteva aprire questo libro,perocchè anzi che Cristo venisse non si potea intenderela Scrittura, anzi era chiusa e serrata; venne Cristo bene-detto e aperse questo libro serrato; e halo sì aperto, cheoggi la intende ogni vecchierella, e ciascuno ci può leg-gere, e nullo è scusato che non sappia della Iscrittura al-meno quello ch’è necessario di sapere, siccome le cosedel credo in Deo, e i comandamenti di Dio, e i vizii e ipeccati. E disse frate Giordano: Io mi maraviglio moltodi tanto errore quanto e’ ci ha, che mi sono fatte le piùnuove e le più sciocche quistioni e le più istrane delmondo; chè pur l’altro dì venne a me uno, e provavamiche ’l matrimonio era meglio che la verginitade; e dicea:del matrimonio escon figliuoli di Dio e priegano per me,e fasse molto bene, della verginitade non esce nulla; e di-cea: so ogni uomo fosse vergine, il mondo verrebbe me-no, e volevami pur vincere. E io gli rispuosi: Or mi di’tu, mi di’ che n’esce molto bene, che ne nasce la creatu-ra, ch’è uno grande bene a lei, e dimmi che sono buoni epriegano per te. Se’ sciocco; chè tue, che ti fanno i fi-gliuoli? se tu non ti salvi te medesimo, tutti i figliuoli delmondo, fussino tuoi come d’Adamo, non ti salverebbo-no; e se tutti pregassono per te, e tu non facessi quelloche dovessi fare tu per te, i loro prieghi non ti varrebbo-no nulla. Ancora se tu mi di’ che ti puoi salvare nel ma-trimonio, sì ti dico che,o perdine paradiso, o alcuno gra-do maggiore che avresti per la verginitade; e io ti dicoche se tu ne perdessi pure uno minimo grado di quellabeatitudine, si è, fine; sicchè il minimo bene di vita eter-na è maggiore di tutto il mondo. Ancora so vuogli dire:il mondo verrebbe meno se ogni uomo fusse vergine; co-

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testa è matta cosa a dire; e risponde qui santo Agostino,ovvero santo Gregorio, a uno che gli fece questa quistio-ne, e dissegli: se tutti gli uomini del mondo fussero saviicome se’ tu, non ci en’arebbe uno savio; così gli disse: setutti gli uomini fossero isciocchi come se’ tu, non cin’arebbe uno savio. Onde troppo è matto parlare a dire:se ogni uomo fusse così, perocchè così si potrebbe dired’ogni cosa. A questo modo potrebbe l’uomo dire: nonessere cavaliere; chè, se ognuno fusse cavaliere, come sireggerebbe il mondo? questo medesimo dire anche alfornaio: o cattivo non essere fornaio; o perchè? se ogniuomo fosse fornaio, da che sarebbe il mondo? Così vediche si potrebbe dire d’ogni cosa, e secondo questa ragio-ne non farebbe l’uomo nulla; e però è matto detto que-sto, chè ’l mondo ha bisogno che sieno d’ogni fatta gen-te, e non è dato un mestiero nè una cosa a tutti gliuomini; così ti dico della verginitade. Non è data a ogniuomo la verginitae, a pochi è data, anzi a pochissimi; on-de è grande dono la verginitade e singulare grazia a chipuramente la mantiene. Vengono a me altresì alcuni al-tri, e fannomi quistione s’egli è peccato usando l’uomoche non ha moglie con femina che non abbia marito, ecredono che non sia peccato. Tutte questo sono resìe,perocch’egli è peccato mortalissimo; e se mi di: andron-ne in ninferno? Sì bene, ritto ritto, correndissimo. Eperò sapere queste cose e certe altre simiglianti, ogni cri-stiano n’è tenuto, e non se ne può iscusare nullo perignoranza, anzi è doppio peccare, ed è risìa non credereche sia peccato. Ecco che la santa Scrittura è cielo, chene difende dalle tentazioni, e dagli errori e da’ peccati. Ilterzo cielo è la gloria, di vita eterna, ed è detto cielo dacerte ragioni le quali lasciamo. Dironne questa parola:gli angeli quando furono creati non furono beati im-mantanente, ma ebbono due punti; nel primo punto,cioè in quel che furono creati, ebbero la gloria meritoria,e in quello medesimo punto conobbero Iddio e amaron-

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lo. Nel secondo punto immantanente ebbero la gloria,ma quelli che non lo amarono caddero; ma non fu cosìdi Cristo, perocchè l’anima di Cristo fu creata beata. Ilquarto cielo è Cristo: è detto cielo per altre ragioni, loquali none iscrivo, se non questo, che dicono i santi cheCristo fue necessario a tutto il mondo, e a quegli che fu-rono prima e a quegli che furono poscia; perocchè giam-mai nullo si potè o si può salvare se non per Cristo, etutte nostre virtudi non varrebbono niente se non perCristo; e però egli è istato aspettato e adimandato sem-pre da tutte le genti; e questo ben s’è mostrato ne’ paga-ni, e ne’ filosafi e ne’ profeti; perocchè tutti quegli chesalvati si sono, tutti si sono salvati per Cristo. Ecco chedisse il filosofo: io veggo che Iddio m’ha fatto egli, e deeavere caro di me, e conosco che in lui è la salute mia.Bella parola! Or se tu mi di’: ecco uno che sia nato tra’Saracini, non udì mai predica nè ricordare Cristo,astiensi da’ peccati e da’ vizii per l’amore di Dio, avendofidanza in Dio, e non tiene i modi de’ pagani, ma vive invertù, isperando in Dio che Iddio l’aiuti, come sarà dicostui? Rispondoti: s’egli è cotale chente tu di’, dicotiche si salverà, ma non sanza Cristo. Or come? dicolti: ormanderagli Iddio angelo da cielo, che gli rivelerà Cristoe la via della verità; or manderagli profeta o suo messo,che ’l convertirà. Se tu mi di’: onde hai tu questo? Ri-spondoti: da Cornelio, il quale fu un grande gentile uo-mo di Roma, e manteneva e’ modi de’ pagani, ma guar-davasi da’ peccati e faceva quel bene che poteva, e Iddiogli mandò un agnolo di cielo ed uno di terra, e dissegli:Cornelio, il bene e le limosine che tu fai, sono venuti in-nanzi a Dio; e però egli hae avuto pietade di te, e nonvole che tu perischi, e però vattene in cotale luogo e do-manda di Piero (dice di santo Piero apostolo ch’era aquello tempo), egli t’ammaestrerà di quello che tu debbifare. E immantanente l’altro messo di Dio fue apparec-chiato e menollo a santo Piero, ed egli l’ammaestrò della

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fede e battezzollo, e fu perfetto cristiano. Così vi dico io:faccia la persona da sè quel bene che può fare, Iddio faràbene egli dalla sua parte quello che dovrà. Molti altriesempri se ne potrebbono mostrare. Ecco dunque Cristocielo maraviglioso, che n’è a tutti necessario e bisogno, esanza lui per alcuno modo nullo si puote salvare o salvòmai. Un’altra ragione ne dico, perchè Cristo è detto cielo,cioè per la manna che dà; non parlo della manna ch’ebbe-ro: quelli d’Egitto, nò, chè quella fu una manna per sè enone avea se non quivi, ma io dico della manna generaleche dànno i cieli, la quale cognoscono quelle bestie cheleccano le foglie e le pietre; quella è la più dolce cosa diquesto mondo, e significa e rappresenta la manna delledolcezze che vengono da Cristo. Questa è la più dolce co-sa di questo mondo, queste dolcezze si truovano in Cri-sto, e fuori di lui non si truovano giammai; solamente inCristo si truovano, e sono tali, che per null’altra cosa sìspregia l’uomo così tutto l’amore del mondo, come perqueste dolcezze, le quali, quando l’uomo ne sente, tutto ilmondo il fanno dispregiare. Queste conoscono bene isanti e gli amici di Dio, che s’accostano a Cristo; ed èmanna generale a tutte le genti che si dispongono, e achiunque la vuole. E disse frate Giordano: non fu maitempo se non che questo a pensare di Dio. Onde anzi cheCristo venisse non si conoscea bene Iddio; e però non sipotea contemprare, ma questo è tempo grolioso, che ci èdato a potere contemplare Iddio e a pensare di lui, per logrande e copioso conoscimento che n’avemo. Deo gratias.

XXIIAnni 1303, dì 27 di Dicembre, il dì di santo Istefano, in SantaLiperata, a vespro.

Misit Deus filium suum. A volere investigare e cercarele grandi, e le profonde ed occulte opere della sapienza

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di Dio, è al tutto difficile e impossibile, perocchè sono sìaltissime e profonde l’opere del segreto della sapienziadi Dio, che non che quelle opere divine, ma eziandio lecose grosse e materiali della natura che noi veggiamo,sono fatte con tanta sapienzia e con tanto ordine, che avolerle perfettamente conoscere e vedere, sono di trop-pa fatica, e non se ne può venire a capo. Onde eziandiola natura di una mosca a tutti i filosafi del mondo dareb-be che fare, e non la conoscerebbono perfettamente.Dunque se queste cose corporali, le minime, non si pos-sono bene intendere, e come dunque potremo intenderel’opere divine di Dio, le grandi sue opere? E però dicesanto Paolo: quis cognovit sensum Domini, aut quis con-siliarius, eius fuit? Chi cognosce il senno di Dio, e chie èstato suo consiglieri? quasi dica nullo. Onde però questaopera ch’egli ne fece di mandarne il Figliuolo suo aprendere carne, è sì grande cosa e sì a pensare è sìprofonda, e di tanto ordine altissimo e di tanto consiglionella Trinità, che sopra questa materia tutti i santi e tuttigli angeli di vita eterna, e tutti quegli di cielo e di terra,sì vengono meno e non la intendono, e tutti ci chinano ilcapo di tanta ammirazione. E conciosiacosachè, dicesanto Agostino, Iddio potesse salvare il mondo in millealtri modi, e in ogni modo il qualunque egli si voleva,sanza mandarne il Figliuolo, e che s’egli pur volea, sì ’lpotea pur salvare pur col volere, ed egli ne mandò pureil Figliuolo; questa cosa non si può intendere, di tantasapienzia e bontade ène. E però santo Paolo consideran-do ciò sì diceva: o altitudo divitiarum sapientiae et scien-tiae Dei, quam incomprehensibilia sunt judicia tua etininvestigabiles omnes viae tuae! Ma avvegnachè questaopera sia di cotanto abisso, come detto è, e vie più, nonperò di meno i santi che ciò hanno considerato, vedutecerte ragioni, sicondo il loro vedere, della convenienziae della ragione di questa alta opera, secondo che sonostati alluminati da Dio; e queste hanno còlte da tre o da

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quattro parti, cioè dalla parte di Dio, dalla parte del pec-cato nostro, e dalla parte dell’uomo. Dalla parte di Dio,come questa opera fu a lui convenevole, sì l’hanno esa-minato per quattro o per cinque ragioni; e prima rationesatisfactionis, cioè per sodisfare la giustizia di Dio; equesta, dice santo Alselmo, è tanta la giustizia di Dio,che nulla minima cosa può lasciare che non punisca oguiderdoni; sicchè l’offesa nostra che noi avemo fatto,Iddio vuole ch’ella pur si sodisfacesse in qualunque mo-do si pur convenia sodisfare, per sodisfare alla giustiziasua. Or era si grande l’offesa nostra, che non si potevaper noi ammendare; perocch’è si grande offesa offende-re Iddio in qualunque modo, che non si può amendare.é sì grande offesa chi offende Iddio pur d’uno peccatomortale, che tutte le genti del mondo nol potrebbonoper lor virtude nè per loro pena sodisfare. Ma non sola-mente l’aviamo offeso d’un peccato, ma di molti sanzafine, e tutti l’offendiamo. Sì pensò Iddio di sodisfare allagiustizia sua per lo più convenevole modo; e però ve-dendo vedeva che egli medesimo si poteva sodisfare pernoi, sì mandoe il suo Figliuolo a prendere carne e uma-nità, e congiugnersi in una persona la divinità colla uma-nitade, acciocchè fosse Iddio e uomo quegli che sodisfa-cesse. L’uomo doveva sodisfare, ma non poteva; Iddiopoteva, ma non doveva; fu bisogno che fosse Cristo, cioèIddio e uomo, acciocchè della parte dell’uomo dovesse,e della parte di Dio potesse: l’uomo doveva, Iddio pote-va; e così fu sodisfatta e piena la giustizia di Dio, chèperch’egli era Iddio sì potè. E questa è la ragione quan-do tu odi dire che una gocciola di sangue che Cristoisparse era sofficiente a tutto il mondo e a mille mondi.Questo si trae e per la deitade, ch’era congiunta conquella umanità; chè ’l sangue e quella pena, era propriadi Dio. Tanta fu quella unione, che la menima lagrimache Cristo gittò, era sofficiente a tutta la salute; ch’è sigrande Iddio e sì copioso, che la minoma cosa di lui è

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eternale, e non ha mai fine, e pesa più che infiniti mon-di. E egli non solamente ne volle gittare una ma molte, eil sangue ispargere e morire per noi in sulla croce, ac-ciocchè de’ meriti e della abbondanza sua sì si riempisseil cielo e la terra; e fu tanta quella unione della divinitàcolla umanità, che quello uomo Gesù Cristo era Iddio, eIddio era uomo. Ma bensì volle meglio dichiarare que-sto, acciocchè non credessi che la divinità si mutasse disua natura nella umanità, altresì perchè non si mutoe ladivinità di nulla, so non com’ella era. Non però di menoIddio si fece uomo e l’uomo Iddio, che si serva l’uno el’altro, tanta è la potenzia di Dio. E però si poteva diredi Cristo: questi è Iddio, quest’è manifesto in cielo ed interra, quest’è il creatore del mondo, questi è re degli an-geli e loro vita, questi è Iddio eterno. E puossi dire diCristo quando morì: Iddio è morto, Iddio ha pianto, Id-dio ha patito pena, Iddio è risuscitato, e altre cose. E so-no queste parole buone e veraci, cattoliche e sante, e benea salute, e salute. Dunque acciocchè Iddio sodisfacessealla giustizia sua, convenne essere Cristo, acciocchè fos-se Iddio che potesse ed uomo che volesse. Questa èbuona ragione della incarnazione del Figliuolo di Dio ebella, e dicela messere santo Anselmo. La seconda ragio-ne è propter..:. (sic), e questa iscrive Damasceno. Diconoi santi che Iddio s’era mostrato al mondo in due modi,l’uno per imagine e l’altro per simiglianza. Per imagines’era mostrato nelle creature che Iddio ha fatto, nellequali egli mostra della sua sapienzia, e potenzia e bontà;perocchè tutte le creature rappresentano Iddio per certeimmagini e per certa forma; onde nulla creatura ha Id-dio fatta, insino alla più minoma, che non lo rappresentiper alcuna simiglianza di lui. Hacci ancora un altro mo-do, che Iddio s’è mostrato in altre creature più nobili,cioè nell’uomo, c’hae simiglianza con Dio più cheniun’altro animale, per la ragione ch’egli hae; e però ilrappresenta più nobilemente, siccome il figliuolo c’hae

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la simiglianza del padre. Erasi dunque Iddio mostratonelle criature per imagine e per simiglianza; non ci rima-neva se none un modo a mostrarsi, cioè presenzia, che ’lvedessimo in persona cogli occhi nostri, e conversassecon esso noi e favellasseci, e stesse con esso noi; questoera rimaso a fare. Per li due modi le genti non l’avevanoconosciuto, tanto siamo ottenebrati; e però venne a mo-strarsi essenzialmente, imperialmente, acciocchè aperta-mente fosse conosciuto e veduto. Tu che non conosceviIddio, e avevi fatte le imagini, e adoravi le statue e gliuomini, disse Iddio: or eccomi che sono tuo Iddio, ecco-mi fatto uomo, me adora. La terza ragione è propter....(sic), e questo dice Dionigio. Tutte le creature si riposa-no in Dio nella loro natura, più oltre non ne vanno, senon quanto è dato loro per natura, e ciascuna criatura sisforza di stare in quello riposo e in quello fine che Iddiol’ha dato; onde l’aria, perocchè è umida, e l’acqua altre-sì, desidera distare unita; onde se tu ricidi l’acqua, im-mantanente si racchiude, se fendi l’aria, subito si rac-chiude; e così ti dire’ di tutte le criature, secondo il lororiposo naturale. L’uomo ci è anima e corpo, e l’anima èd’una natura, e ’l corpo d’un’altra; e di quello che l’ani-ma piglia di te non ne può pigliare el corpo, nè l’animanon si diletta negli appetiti del corpo. Sicchè, acciocchèIddio desse gloria al corpo nostro e all’anima, sì presecarne e diventò uomo, acciocchè ci facesse beati in ani-ma e in corpo; chè ’l corpo nostro vedendo l’umanità diCristo sarà beato, e l’anima vedendo la deitade sarà bea-ta, chè ’l corpo nostro non avrà diletto nella deitade manella umanità, la quale sarà di maggiore diletto a vedareche tutti i diletti di questo mondo: appo quello non sonoaltro che fastidio. L’altre creature si riposano in quellanatura e in quel fine che Iddio ha dato loro, ma l’uomonon è dato di riposarsi se non in Dio, e quanto all’animae quanto al corpo. Questa nobilitade abbiamo, che sia-mo fatti per godere in Dio. Dunque per queste ragioni,

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acciocchè ’l corpo nostro avesse sua fine di riposo, con-venne che fosse una umanità la qual fosse in Dio, e que-sta è anche bella ragione. La quarta ragione è propter.....(sic), e questa dice santo Agostino. Volendo Iddio serva-re ogni ordine in ogni sua operazione sempre operandoperfettamente, vedendo che ’l dimonio n’aveva inganna-ti per malizia e per senno, non vuolle Iddio farne ven-detta nè vincerlo per forza, chè bene lo potea fare seavessi voluto, ma tenne ogni ordine perfettissimo; onde,siccome il dimonio aveva ingannato l’uomo per senno etrattolo delle mani di Dio, così Iddio non volle per forzafargli vergogna, ma pur per senno volle vincere; e questofue prendendo carne, sotto la quale in su legno dellacroce vinse il dimonio, che quando il volle prendere permenarlo al Limbo fu preso da lui, e così il mattoe persenno, e trasse l’uomo delli mani suoe e liberotti. Questaè altresì buona ragione. La quinta ragione è propter....(sic). Volendo Iddio che tutto l’amore il ponessi a lui so-lo, non avessi rispetto a nulla creatura, ma solo da luiogni bene riconoscessi e ogni grazia, non volle mandareangelo che ti ricomperasse, acciocchè tu nulla materiaavessi di rientrare fuori dell’amore suo, da lui ricono-scendo alcuni beneficii. Però, acciocchè tu infiammassidell’amore suo, volle che lui solo riconoscessi e per crea-tore, e per ricomperatore e per glorificatore. Questa èanche buona ragione, e per dirizzarne la via, siccom’eglidice: ego sum via, et veritas et vita. E ben si conveniaquesta alla miseria nostra, acciocchè di tanto errore fus-simo tratti, chè non conosceano le genti Iddio, anzi ado-ravano gl’Idoli e le imagini. Venne Cristo e disse: dun-que adori tu la forma dell’uomo per Iddio e adorigl’idoli? Or ecco me che sono Iddio, e somi fatto uomo,me adora; e tutti gl’Idoli e tutti gli errori si spersono, e sìcorsono via per tutto affatto el mondo per Cristo. Anco-ra per levarne la nostra isperanza. I pagani in prima noncredevano che fosse altro mondo che questo, e non cre-

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deano che fossino altri diletti che questi, nè altro Iddio,nè altri ispiriti; però vennero altri filosafi più alluminatidi costoro, conobbero ch’erano ispiriti, e per loro questecose corporali erano rette e governate, ma non credeanoo che l’uomo potesse vere diletti angelici, o essere beato;chè a loro insieme questo parea loro si gran cosa che nolcredeano; non dico pur de’ pagani, chè quegli nonaspettavano altri beni che quegli di questa vita, maeziandio io parlo, di quegli ch’erano chiamati popolo diDio. E venne il Figliuolo di Dio di cielo e prese carne arilevarne la nostra ispezie ch’era morta; ch’è maggior co-sa infinita che Iddio diventò uomo, che non è che gli uo-mini pari cogli angeli. Se Iddio si fece uomo e l’uomo sifè Iddio, dunque se tu questo credi, non t’è malagevoled’aspettare d’essere uguali agli angeli, e potere avere di-letti angelici per la grazia di Dio. L’altra ragione è perinfiammarsi d’amore di Dio. Sapete che ’l dono fa gran-de fiamma; onde quando l’uomo riceve uno grande do-no sì se ne accende tutto ad amore; e quanto maggiore èla grazia e ’l dono, tanto più accende l’amore e fa mag-giore fiamma, perocchè e’ doni e le grazie vengonod’amore da benefattore, e per questo quegli che riceve ècostretto per natura d’amare lui così propriamente. Ac-ciocchè Iddio ti mostrasse bene com’egli t’ama, e ac-ciocchè tu t’infiammassi bene all’amore di lui, sì ti diedesì gran dono e sì gran grazia, che non può essere mag-giore. Quanto fu questo dono che ti diede? non poteatiIddio dare maggior cosa, non può essere nulla cosa me-glio che Dio, no, s’egli ti diede sè medesimo. Poteati da-re più? no, questo è il meglio che Iddio ti potea fare;non ti puote Iddio far meglio, nè seppe, perocchè quan-do ti diede sè ti diede ogni bene. E qui si mostra il gran-de amore che Iddio n’ha, chè non la fece per sè, no, maper te, chè a lui non cresce gloria nè scema della tua sa-lute, no, chè Dio è beato in sè medesimo. Che prode è alui la tua salute? nulla; se non che egli fece per te pro-

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priamente. Che utilità tornava a sè di mandarne il Fi-gliuolo suo, e farlo morire in sulla croce per te, non dicoper gli amici, ma pe’ nimici? Questo è sì grande amore,ch’egli solo n’è comprenditore; in ciò mostroe Iddiol’amore e la carità sua infinita. E anche la sua potenziamostrò in questa opera, chè la maggiore potenzia cheIddio, possa fare si fu quando Iddio si fece uomo, o dicreatore si fece creatura; questa fu sì grande potenziache non si può stimare. Non poteo fare maggiore opera,che ’l creare mondi infiniti, e diversi e novelli; non è nul-la della sua potenzia appo che fu questa. Grandi opere egrandi maraviglie fece Iddio in quel misterio, chè inquello mostroe la sua infinita potenzia e la profonda sa-pienza, l’amore e la carità sua senza misura, e la sua infi-nita bontà. L’altra ragione si è questa: il bene dov’egli è,sì si mostra e non può istare celato; il male è quello chesi nasconde, ma il bene è quel che traluce; e ha questanatura, che vuole essere partecipato, siccome il sole, chela sua luce partecipa a tutto il mondo. Così Iddio, fonta-na d’ogni bene, non potea questo bene infinito istare oc-culto, no, chè le genti nol conoscieno per nullo, nè per lecriature nè per altro messo da cielo; però venne visibil-mente, acciorchè fosse veduto manifestamente. Non sipotè tenere di mostrarsi pure in cielo; e tutti non li farebeati. Molte altre ragioni n’assegnano i santi, molte della’ncarnazione del Figliuolo di Dio, ma bastino queste co-tante dette ora. Deo gratias.

XXIII

Anni 1303, dì 29 di Dicembre, il dì di santo Tommaso di Con-turbia.

In tribulatione patientes. Questa parola è della pistoladi santo Paolo d’oggi. Ciascheduna cosa che si ha virtu-

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de, quando si congiugne con sua simigliante di similevirtude, la loro virtù cresce e isforza; e però i medici co-gnoscono le medicine in diverse cose che hanno una vir-tude, acciocchè due cose d’una virtude insieme con-giunte sia più potente la loro virtude; come intervienedelle pietre preziose, che crescono la vertude loro quan-do si congiungono con alcuna cosa di loro virtude: sic-come il diamante che richiede l’anello di ferro, perocchè’l ferro, secondo che dice Isavianello, ha molto della na-tura del diamante, più che tutti gli altri metalli; e peròistà bene il diamante nel ferro. Altri sono che voglionoistare in anello d’oro e d’ariento, siccome il rubino, ilcarbonchiolo; certi altri nel ferro non starebbono bene.E siccome la virtù cresce quando si congiungono duecose o più d’una simile natura, così quando la cosa nonè nel suo luogo, o è nel contrario, sì perde la virtude sua,Questa dottrina pare che santo Paolo ci mostri in questasua pistola, che dice: In tribulatione patientes. Ecco bellagemma, cioè tribulazione, quando è nell’anello della pa-zienzia; troppo ci risiede bene. La tribulazione si è il dia-mante, la pazienzia si è l’anello del ferro, che fanno uncosì bello anello. Vogli vedere come la tribulazione èben diamante e gemma preziosa, quando è congiuntacolla pazienzia? Tribulazione viene da tre cose, da tribo-lo, e da tribola e da tribo. Tribolo si è detta una ispinapugnente, che se ne fae menzione nel Vangelio. Vuoglivedere come la tribulazione, questa ispina, questa gem-ma, è preziosa cosa? Questo è da tre parti: propter in-structionem, propter discretionem, e propter sollicitudi-nem. Dico prima propter instructionem. Dice che ne fasavio. Sapete che chi andasse disavvedutamente alla sie-pe, e non ci andasse saviamente, sì si pugnerebbe; machi la piglia e tocca saviamente, sì se ne difende. Perchèti dà Iddio tanta tribulazione? acciocchè tue non pigli disuperchio le cose del mondo; chè se in tutte le cose delmondo avessi pace, tu ne piglieresti e non te ne guarde-

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resti; e però Iddio ha poste nelle cose del mondo tanteispine, che non ne puoi avere sanza pugnere: tante sonole tribulazioni e l’angoscie che sono poste nell’angosciedel mondo, in tutte, chè non si possono avere nè teneresanza angoscie. Quante fatiche e male venture hanno co-loro che vogliono le ricchezze, e vogliono i diletti carnalie gli onori mondani, non si potrebbe dire. Perchè ha Id-dio poste queste ispine ne’ beni del mondo? solamenteacciocchè non pigli disordinatamente. Iddio fa come lamadre che vuole levare il figliuolo da latte, che ci ponel’assenzio; e però quando il truova amaro sì ’l lascia: cosìIddio ci pone l’amaritudine in queste cose, acciocchè tunon le lievi e che te ne parti. Ancora è gemma preziosaqueste tribulazioni, propter discretionem, cioè che ti dan-no discernimento delle cose. Tutte le cose appaiono piùla loro bontade quando il loro contrario è allato; onde,perocchè la rosa è intra le ispine, pare più bella che sefosse in un altro dilicato albero. Il mele, s’egli è allato altosco, si pare più la sua dolcezza; così propriamente, ac-ciocchè il diletto ispirituale di Cristo ci paia più bello, emigliore e più saporito, sì ha Iddio poste le tribulazioni,queste ispine, però che l’eterna vita amassi; chè se tuenon ci avessi altro che diletti, e’ diletti di Dio ti parreb-bono meno dolci, e poichè ti paressino pur dolci, sì nongli cureresti, tanto tanto ti diletteresti in questi. E peròCristo ti dà tribulazioni, acciocchè tu non ti diletti inqueste cose, ma che tu ti diletti ne’ beni ispirituali diCristo, e paianti più dolci, e questi ti paiano amari; eperò ne dà questa ispina delle tribulazione per grandegrazia e nostra utilitade. Ancora è detta gemma prezio-sa, perocchè ci sollecita di bene. Molti uomini sono con-vertiti, e sono tornati a Dio e a fare penitenzia, e sono ri-conosciuti per le tribulazioni che Iddio ha dato loro, iquali s’avessino avuti i diletti del mondo, che Iddio gliavesse loro largiti, sì si sarebbono rimasi ne’ peccati ene’ mali. Le quali tribulazioni sono uno legame, un fre-

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no per lo quale l’uomo per forza è tratto e tirato, e sco-stasi dal mondo e seguita Cristo; e però sono dette gem-me le tribulazioni, e diamanti preziosissimi e virtuosi,quando sono accompagnate della pazienzia. Ancora tri-bulazione è detta da tribola. Tribola si è quella che batteil grano e monda, ed è detta trebbiatte (sic); perocchè,siccome colla trebbia il grano si batte e monda, e sceve-rasi della paglia, così le tribulazioni sono trebbie di Dioa trebbiare le genti, acciocchè s’isceveri la paglia dal gra-no, cioè il peccato dell’anima. E sono di quegli che han-no di poca paglia e sì a granella. Questi sono i giusti esanti uomini, che tutti hanno della paglia; non è nullo sìsanto, che non abbia della paglia. Questa sono i peccativeniali: a costoro fa bisogno poca tribiatura, chè si mon-dano con poca tribulazione. Altri sono che hanno moltapaglia; questi sono quegli che sono sanza peccato morta-le, ma sono secolari e implicati negl’impacci del mondo,che hanno molta paglia e poco grano: talora a costoro fabisogno maggiore tribbiatura; e ben pare che Iddio fac-cia così, che spesse volte il tribbia di molte tribulazioni,e di molte angosce e di molte fatiche, acciocchè si mon-dino, chè sono molto pagliosi. Altri sono che sono purapaglia, e non ci ha niente di buono grano. A costoro nongiova a trebbiare assai: si tribbierebbe la paglia che main’uscissi grano; ma non però lascia Iddio che non li tri-boli, acciocchè la loro impazienzia si pruovi e mostrisi ilmale loro, e poi gli metterà nello inferno. Ma ben ci hauna cosa, che Iddio è sopra natura, e può più operarevirtuosamente che la natura, chè Iddio è potente e sa fa-re della paglia grano. E però molto volte Iddio dà loro ipericoli, le tribulazione, toglie loro l’avere, e l’onore, dàloro infermitadi, persecuzioni e molte tribulazioni, sic-chè per queste diventino buoni, e di paglia si faccinobuono grano. Dunque sono dette le tribbe, le tribulazio-ne, che tribbiano e spartiscono il grano della paglia, co-me dice santo Giovanni Batista di Cristo: dice che tiene

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la pala in mano, e spazza il grano nel granaio suo, e lapaglia mette nel fuoco ad ardere nel fuoco eternale. Deogratias. Amen.

XXIVAnni 1303, dì 30 di Dicembre, Domenica mattina, in SantaMaria Novella.

Iesu, fili David, miserere mei. Al quale cieco ristetteCristo e disse: che vuogli che io ti faccia! Rispuose: Do-mine ut videam; e così gli fece, et sequutus est eum. Que-sto cieco fu molto savio e fece perfetta petizione, e dan-ne ammaestramento massimamente in due cose: l’unanella perseveranza, non lasciando per lo grido e minaccedelle genti; l’altra nella petizione sua. Primo dico nellaperseveranza; chè spesse volte avviene che l’uomo, desi-derando d’avere lume di grazia di Dio ispirituale e usci-re di tenebre di peccato, si rimane ed è impedito per logrido delle genti, cioè padre, e madre, e parenti e vicini,che fanno dirigione e beffe, e contastano a ciò. Chi que-sto teme, guai al capo suo! Avemo nobile esemplo inquesto cieco di non temere nulla cosa, e di non lasciareper nulla cagione che contrasti, o dea impedimento a viadi salute; perchè quelli perseverò fue luminato perfetta-mente in anima e in corpo. L’altro ammaestramento si ènella savia petizione, in ciò che domandò di vedere,d’essere alluminato. Non adomandò nè oro nè ariento,nè queste vanitadi, ma disse: Domine ut videam. Certacosa è che ’l lume corporale è la più preziosa cosa inquesto mondo; tutte l’altre cose sono nulla sanza questo.Tre modi sono di vedere, ovvero tre luci: primo si è difuori, cioè sole, e luna e stelle; lo lume dentro, cioè la lu-ce dell’occhio, il lume di fuori non basterebbe a vederesanza questo; le pietre, perchè non hanno occhi, avve-gnachè stieno al sole, non veggono. Il terzo lume si è

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quello del nostro intendimento; e acciocchè l’uomo veg-gia, ècci ancora mestieri questo terzo; perocchè se fossi alume e avessi gli occhi aperti, e lo intendimento altrove,non vedi. A questo modo sono tre lumi ispirituali e treciechitadi. Il primo si è lume d’intendimento, chè inten-do il bene e ’l male; il secondo si è lume di grazia; il ter-zo si è lume di gloria. Il primo dello intendimento è assi-migliato a lume di fuori, quello della grazia è lumedentro, quello della gloria è lume interno dello intendi-mento. A questo modo sono tre ciechitadi: l’una si è cie-chità d’ignoranzia, la seconda si è ciechitade di colpa, laterza si è ciechità di miseria contra il lume della gloria.Per lume di fuori sono le prediche, le scritture e gliesempli de’ giusti; e siccome lo peccatore offendendo, laprima volta gli pare un poco far male, la seconda voltanon così, la terza poco, la quarta neente, la quinta non sene cura, perocchè abbondano in tenebre; così il giustoperseverando sempre va innanzi col lume suo di vertù dibene in meglio, e per le buone opere diventa sempre lu-minoso. Il secondo si è il lume della grazia, e questo èmaraviglioso e grande; ma quelli che di questo lume so-no privati, sono quelli che sono in peccato mortale. équesto il più pericoloso istato in questa vita, e s’egli ve-desse lo stato suo, oh come correrebbe alla penitenzia!non ci istarebbe una mezz’ora; ma egli sono acciecati,come adiviene a certi passi, quando si va oltre monti,che per la istrettezza della via e per li grandi diripati, lebestie quando sono a quelli passi non ardiscono di pas-sare, e lascerebbonsi prima tutto tagliare; ma fascianoloro gli occhi, e così non vedendo passano. Se l’uomoavesse bene gli occhi iscoperti, ch’egli vedesse il pericolonel quale istà, anzi ch’egli facesse il peccato mortale, tut-to si lascerebbe tagliare. Leggesi nella vita di quel santoLuigi re di Francia, che una volta dimandò i baroni suoiqual fosse il maggiore ardire. Quel dicea essere a un tor-niamento, e far così e così; e chi dicea: fa una cosa, e chi

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un altra. Il re se ne facea beffe e disse: non sapete che vidite, ma ecco il fatto. Istare od entrare nel peccato mor-tale, questo è desso. E così di verità. Chi dormirebbeuna notte in vetta d’una grande torre, piccola volta chedesse verrebbe a terra. Noi non siamo in questa vita cheun fummo, chè da un punto a un altro siamo iti via. Chiè in peccato mortale cade in abisso; ma gli uomini delmondo sono assomigliati a uno pesce di mare, che nonvede nè ode, e sta accostato a pietra, e non ha altro senon che mangia cotali cattivitadi; questo pesce, peroc-chè non ha occhi nè altro senno, ha poco bene, chè nonsi mette a cercare migliore esca, prendesi di quello c’had’intorno, e non s’azzica; così fanno i mondani, che nonsentono per la miseria loro se non queste cose cattive egrosse, mangiando e bevendo, lussuriando, non sannoche si sia altro bene, come il porco nel fango. Ancora latalpa teme che non le venga meno la terra, raguna e famonticello, e non se ne toglie fame; e così gli avari noncredono che sia bastevole tutte le cose che Dio ha crea-te, e non si toglie fame e muorsi, e tutti quelli sono mon-ticelli sì ragunano. Altri animali sono, come il vispistrel-li, che si pasce di cotali cattivitadi, così gli uominimondani non sanno che sia altro che questi beni miseri,e però tuttodie s’inframetteno, tuttodì batassano per ac-quistare, die e notte non fanno altro che pensare e ragio-nare, ma nullo lume di verità non possono avere. Altrianimali sono che hanno più bene, e questo significanoaltre persone; ma gli uomini hanno più di bene che tuttigli animali, e pascono di tutte queste cose. Questi signi-ficano gli uomini alluminati da Dio, i quali conoscono esentono d’altri cibi e diletti che di questo mondo, moltomaggiori, uomini che non vanno a predica mai, ovel’anima diventa savia, tenendosi essere iscusati per igno-ranza. Oh come sono matti! Anzi hanno doppio pecca-to: l’uno s’è per la ignoranzia, appresso ch’avrebbe po-tuto, chè gli è necessario. L’altro si è il peccato del

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vendere a termine e comperare a termine, e non pare lo-ro offendere; è la usura pessima, ma eglino sono ciechi.Ancora vedi come sono ciechi molti, che non credonoche sia peccato usare l’uomo che non ha moglie confemmina che non abbia marito, nè non sia nè religiosanè vergine, ed egli è peccato mortale. Non si può se noncon propria moglie, e ancora questo si vuole fare legitti-mamente, chè eziandio nel matrimonio si puote peccaremolto gravemente, in molti modi. In queste cose enell’altre sono ciechi i miseri mortali. Deo gratias. Amen.

XXVFrate Giordano, 1304, lunedì mattina, a dì 22 di febbraio, il dìdi Cassera Sancti Petri, in santo Piero Scheragio.

Tibi dabo claves regni coelorum. Quando altri truovauno amico fedele e leale, n’è molto da tenere caro, moltoda amare; e quando altri l’ha trovato fedele e leale, sì glisuole altri affidare e commettere ogni grande cosa; maquegli che fosse il contrario, sì gli si commettono pochecose e vili, acciocchè possa fare poco dànno: come Cri-sto fece a Giuda; chè gli commise poche cose e vili, cioèle temporali. A santo Piero, imperocchè fu leale e fedele,Cristo gli commise il sommo tesoro. E questo è quelloche ne mostra la parola ch’è proposta, nella quale, se be-ne la volemo considerare, quattro cose ne mostra Cristoin questa brieve parola. Prima si mostra grande eccellen-zia, mostrasi grande potenzia, mostrasi grande fortezza,mostrasi grande negligenzia. Mostrasi prima la grandeeccellenzia di messer santo Piero in ciò che dice: tibi, iole darò a te. Mostrasi grande potenzia in ciò che dice:dabo; chè s’intende che questa balìa ebbe non solamenteegli, ma è proceduta in tutta i chierici. Mostrasi la gran-de fortezza in ciò che dice: claves; imperocchè le chiavisono cosa di grande vertude. Mostrasi grande negligen-

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zia in ciò che dice: regni coelorum; imperocchè siamonegligenti e pigri a ricevere molto bene, che possiamoavere agevolmente. Prima dico che si mostra la grandeeccellenzia di san Piero in ciò che dice: tibi. Disse Cri-sto: A te darò le chiavi del regno di cieli, a te; ciò dice.Qui si mostra la grande eccellenzia di san Piero, nelladegnità che Cristo gli diede, e nel grande ufficio in che ’lpose, e nel grande tesoro che gli commise. Imperocchè alui commise il reggimento e la guardia, e la balìa di tuttala Ecclesia di Cristo. Questa fu grande cosa, la maggioreche sia, che fece Cristo così grande uno peccatore. E quisi mostra come Iddio è potente, che può fare grandequantunque sia vile, non è a lui differenza nulla. Iddiopuò fare grande chiunque si vuole; ed a ciò mostrare lasua potenzia non volle dare questa grandezza al figliuolodello ’mperadore o a re, acciocchè non paresse che pervertù umana fosse avanzata, ma diella a uno vile uomo ea pescatore, ch’avea in sè ogni difetto, e difetto d’ignobi-lità, e difetto di sapienzia, e difetto di peccato, ch’erauomo vile, sciocco, e peccatore e povero; e Iddio il fececosì grande. E in ciò si mostra quanta è la potenzia diDio. E questo dice il Profeta: Quis sicut Dominus Deusnoster, qui in altis habitat et humilia respicit, in coelo etin terra? suscitans a terra inopem, et de stercore erigenspauperem, ut collocet eum cum principibus populi sui. Id-dio è potente; chè riguarda gli umili, e lievali in alti daterra, e rilievalo dalle sozzure, e fallo iguali co’ prencipidel popolo suo, cogli angeli di vita eterna. Vedi la eccel-lenzia di santo Piero, che non fu mai data prima a nullo,egli fu il primo. Grande amore gli mostrò Cristo. Primagliele diè Cristo questa degnità, che fosse capo in tutta laChiesa; e questo fu quando disse: tibi dabo claves. Poigliele confermò Cristo questo ufficio, quando all’oradella passione gli disse: pasci le pecore mie. La quale è lamaggiore degnitade che sia. Imperocchè la signoria del-le cose spirituali è ancora delle temporali. Onde san Pie-

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ro fu signore nelle cose spirituali e nelle temporali, pe-rocchè nelle cose del mondo operava ciò che voleva; an-cora imperocchè chi è signore della casa maggiore sì èsignore della minore. Le cose spirituali sì sono vie mag-giori che le temporali; e però chi è signore delle spiritua-li sì è anche delle temporali: siccome le minime cose sireggono per le maggiori, e le maggiori hanno a reggere egovernare le minori e le più piccole; siccome il cielo, im-perocchè è maggiore e più nobile che gli alimenti, im-però alle vertudi del cielo è dato il governamento diqueste cose di sotto. E questo disse san Piero nella pi-stola a’ suoi convertiti: Voi siete popolo reale, popolo diguadagno, imperocchè siete re. Onde il papa è sommosignore sopra i re e sopra gl’imperadori. Onde qui simostra la sua eccellenzia, che lo ’mperadore non puòcomandare a nullo papa, nè farli nullo comandamento,non voglia Iddio; ma il papa ben può comandare allo’mperadore, e così fa. Onde mai non si truova nullo co-mandamento fatto al papa dallo ’mperadore, ma che ilpapa l’abbia fatto allo ’mperadore, di questa si truovaassai più di mille. Onde il papa gli può comandare, epuollo scomunicare e intradire, e fare molte cose. Vedidunque come Iddio hae esaltato questo pescatore, chèl’ha fatto signore de’ re e degl’imperadori, che tutti s’au-miliano sotto l’autoritade di questo pescatore, chè ’l feceIddio così grande per l’ufficio e per la dignità, e fu santoe fu dottore. E questa eccellenzia si manifestò oggi almondo, che prima era stata nascosta dalla passione diCristo insino ben sette anni. Oggi in Antiocia fa posto insedia, in cattedra, siccome dottore e signore, e stette pa-pa bene 40 anni, che pure in Roma stette 25 anni, e pri-ma in Antioccia era stato ben sette anni; e anzi che ve-nisse in Antioccia era stato in Giudea, dopo la passionedi Cristo, da sei a sette anni. Sicchè comprendiamoch’egli stesse papa e principe nella chiesa di Cristo ben40 anni. Or vedete grande eccellenzia! Qui avem noi

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due belli ammaestramenti: l’uno si è di confidenzia, l’al-tro si è di reverenzia. Di confidenzia in ciò che Dio tipuò magnificare, quantunque tu sii vile; è esemplo di re-verenzia, imperocchè dovemo avere a messer santo Pie-ro somma reverenzia. La seconda cosa che si mostra inqueste parole proposte di Cristo si è di grande potenzia,in ciò che dice: dabo. Non disse do, ma darò. Nelle qua-li parole mostrò l’autoritade e la degnitade, che non do-vea essere pur in lui in persona, ma per innanzi ne’ che-rici, parlando Cristo di tutti i cherici in persona di sanPiero. La qual potenzia mai non verrà meno che ’l mon-do basterà; e insino alla fine del mondo de’ durare, se-condo che ne mostrano le Scritture. E l’angelo il disse,quando salutò la Donna: Tu concepirai e partorirai fi-gliuolo, e chiamerai il nome suo Iesù. Questi sarà gran-dissimo, e sarà detto Figliuolo dell’Altissimo, e daragliIddio la sedia di David suo padre, e regnerà nella casa diIacob in eterno, e ’l regno suo non avrà fine. Or non vo-glio disporre questa altoritade. Tutti i preti sono in luo-go di 72 discepoli di Cristo, e tutti i vescovi tengono luo-go de’ 12 apostoli, e ’l papa tiene il luogo di san Piero.Dopo san Piero il primo papa fu santo Clemente, a cuisan Piero commise la Chiesa, avvegnachè certi dicanoche prima di santo Clemente fossero due ch’ebbono areggere, cioè Lino e Cleto; avvegnachè si pur truova chesan Piero la commise a santo Clemente in vita sua. VolleIddio che il papa stesse in Roma, e a quella città spezial-mente fu mandato san Piero, e funne padrone, e conver-titore e ammaestratore per 25 anni. Volle Iddio che, sic-come Roma era donna del mondo, così ancora fossesedia del signore del mondo. Qui avemo noi ammaestra-mento, come noi li dovemo avere in reverenzia e onorar-li molto. Or tu diresti: or come gli fo onore, ch’è reo?No, frate; non però di meno gli dei fare onore a qualun-que parlato sia; se non gliele fai per lui, sì gliele fai perl’uficio suo, chè dice la vertù, per sè dee essere onorato.

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Onde l’uomo giusto e santo, avvegnachè non sia parlato,sì è degno d’essere onorato e reverito. L’altro sì è il sa-cerdote, avvegnachè non sia buono nè uomo di vertù, side’ essere onorato per l’uficio, ma quando è l’uno e l’al-tro, allotta è degno di molto onore; ma più è degno d’es-sere onorato questo uficio che la vertù speziale. Impe-rocchè la vertù nell’uomo è cosa speziale, è pur una inuno uomo; ma l’uficio spirituale è in luogo di Cristo, edè in più persone, e però è degno di più onore. E altresìdebbono essere onorati i signori e ogni rettore, e quantomaggiore è più balìa ha, tanto dee essere più onorato. Eperò maggiore onore dovemo fare a’ vescovi, che agli al-tri preti, e piue al papa, c’hae l’aultoritade di tutti, eperò il papa dee essere in somma reverenzia; e così li do-vemo onorare, chè se noi onoriamo loro noi onoriamoCristo; com’egli disse: Chi fa onore a voi sì fa onore ame, e chi vitipera voi vitipera me; e perchè Cristo il ri-cevè così in sè, dovemo molto onorargli. La terza cosache mostra in questo parole si è la grande fortezza, in ciòche dice: claves. Non disse una chiave, no, ma più chia-vi. Imperocchè ad entrare in vita eterna non ha solamen-te uno uscio, ma molti. Di più muri è cerchiata: siccomesi fa a’ castelli, che non basta uno muro, ma ècci l’ante-murale; chè non solamente vuole che non ci venghi, mache non ti ci pure approssimi, che stei da lungi. E questesono le porte che dicea il Profeta: Attollite portus princi-pes vestras et elevamini portae aeternales. Chiamate por-te eternali, imperocch’elle sono fortissime, a tanta for-tezza, che mai per nostra vertude non si potrebbonospezzare, più forte che ferro o metallo. Or tu diresti:s’elle sono così forti, perchè ne fece più d’una? e quellabastava. Questo fu per la nostra malizia, acciocchè nonsolamente intrare, ma non ci pur appressassimo, comedetto è. Onde sono fortissime quelle porte, che maiaprire non si possono, se non per vertù di chiave. Qualisono queste porte? L’una si è la colpa, l’altra si è la pena:

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queste sono porte fortissime, che stanno serrate. L’unache non ti lascia entrare, cioè la colpa; l’altra che non tilascia pur appressare, cioè la pena di questo mondo. Im-perocchè non solamente ne siamo da cesso per la colpa,ma per la pena; imperocchè le pene di questo mondoancora ci dilungano dal Paradiso in certo modo. Impe-rocchè lassù non ha una minima pena; chè prima n’abis-serebbe il cielo e la terra, che pur una menima penav’avesse o uno minimo crimine. Or colassù è buono an-dare, e però ne siamo molti scostati per le pene ch’avem-mo tante in questo mondo. Queste due porte diserranodue chiavi, le quali Cristo diede a san Piero e agli altrisuccessori. L’una si è d’uficio di prosciogliere e del lega-re, cioè quando ti assolve o non ti assolve: e questo è le-gare e sciogliere; l’altra si è di giurisdizione, e questa è indare le ’ndulgenze e le perdonanze. La prima chiavehanno tutti i sacerdoti ch’hanno uficio, cioè che sonopreti; chè se ’l papa non fosse prete, non può proscio-gliere nè udire confessione, ma puotela egli commetterein altrui, ma può ben dare le ’ndulgenzie. La prima aprela porta e rompe la colpa; e questa disfà la pena, ma nonla temporale, a ciò non vale, chè non è fatta a ciò; avve-gnachè ancora potremo dire che sì vale, conciosiachètutti quelli che saranno liberi dalle pene e saranno in vi-ta eterna, sì sarà per vertù di queste chiavi. Esemplo didannati, che imperocchè con queste chiavi non fu loroaperto, imperò rimarranno in pene e in tormento. Que-ste chiavi sono i due coltelli che san Piero disse alla pas-sione a Cristo: Messere, e’ ci ha due coltelli. Dicono isanti che questi due coltelli sono le due armi con che laEcclesia si difende dal nimico. Queste chiavi diede Id-dio prima al figliuolo suo, e a chiunque egli apre sì èaperto, e a chiunque egli chiude sì è chiuso. Queste sichiamano chiavi d’uficio e chiavi di iurisdizione. Laquarta ed ultima cosa che si mostra qui a nostro ammae-stramento si è di grande negligenzia. Se tu potessi entra-

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re in una bella cittade o in uno bello palagio agevolmen-te, e tu non volessi, grande negligenza sarebbe questa.Or così ti dico io: grande negligenza è la nostra, che po-temo così agevolmente andare in cielo e non ci andiamo.Anticamente ci s’entrava con grande fatica; onde disseCristo da’ dì di Ioanni Batista: Il regno di cielo patisceforza e i forti l’arrappano. Oh come vi s’entrava a gran-de fatica anticamente chi era cristiano! Iera morti i santiuomeni, spogliate le cittadi de’ cristiani e cacciati via,straziati, tormentati, e fuggiano per li diserti, e sentianodi molte pene, di fame, di sete, di freddo, di caldo, di vi-gilie, di solitudine, e le molte fatiche e angoscie: e tuttoquesto sostenevano innanzi che volessero rinegare la fe-de di Cristo; ma oggidì ci s’entra troppo agevolmente,sanza nulla fatica, anzi con ogni agevolezza. Più avacciopotresti entrare oggi nel regno de’ cieli, che in casa delvescovo o in casa la podestà. Va pur al portiere e apri-ratti incontanente. Questi è il portinaio, quando tu ticonfessi, allora adomandi tu che ti sia aperto. Saremo ri-presi di molta negligenzia, che è a non andarci, chè ’lpotemo fare così agevolmente. Vedi dunque le paroledivine quanto senno hanno. Hotti mostrata la eccellen-zia di san Piero, la potenzia di parlati, la fortezzadell’aultoritade e la nostra negligenzia. Deo Gratias.

XXVIAnni 1304, Martedì, dì 13 di Marzo.

Unde ememus panem ut manducent hi. Per questi pa-ni brevemente s’intende la gloria di vita eterna. Tra glialtri intendimenti di questa parola si è che qui si dà a in-tendere che vita eterna si può comperare. Sapete chequando altri truova una cosa preziosa, e molto perfetta edi grande utilitate, ed egli la possa avere per piccoloprezzo, quando ci è da comperarla, e quando non l’ha, sì

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accatta a usura o vende ciò che ha per averla. Questo fe-ce il savio mercante, che trovò il tesoro nascoso nel cam-po, e la preziosa margherita. Uomo accatta la cosa e fallasua in quattro modi: emptione, mutatione, praelatione elaboratione. Dico prima che l’uomo fa sua la cosa percompera: siccome quando l’uomo compera la cosa, chela fa allotta sua. Nella compera s’intende che si dea il da-naio per quella cosa; così ispiritualmente uno danaio,cioè me stesso, per quella gloria: quello è quel danaiocon che si compera; questo danaio è l’anima. Il danaioacciocchè si ispenda, conviene che ci sia la scoltura e laimagine del signore e ’l colmo suo. Qual è questa iscol-tura? è in ciò che l’uomo ha in sè la imagine di Dio.Quando hai tu in te il colmo e la imagine di Dio? quan-do tu se’ in grazia e se’ sanza peccato mortale. Il peccatoè quella cosa che disfà dell’anima questo conio. Il da-naio che non è coniato, sapete che non corre e non siispende; il danaio falso altresie non si può prendere.L’anima ch’è in peccato mortale ha difetto il conio diDio. Anche il danaio falso, però ch’è macchiato coi malimentali, questo danaio non vale niente a comperare vitaeterna. Sapete ch’e’ danari falsi sì si mettono al fuoco edisfannosi: così e’ peccatori sono serbati al fuoco delloinferno. Ma l’anima sanza peccato mortale, ed è pura,sanza macula, ovvero che ha la purità che trasse del bat-tesimo, questo è quello danaio che basta a comperare alregno di Dio. E di questo abbiamo esemplo in quella ve-dova, che offerse due monete nel tempio, la quale fue lo-data sopra tutti gli altri. Quali sono queste due moneteche ci conviene offerere? Queste sono l’anima e ’l corpo.Se tu mantieni l’anima e ’l corpo in purità, conservigli dasozzura di peccato, allora offeri le due monete. L’altromodo per lo quale le cose le quali noi non abbiamo lefacciamo nostre, si è per baratto, siccome usano i merca-tanti di cose fattive. Vuo’ tu comperare il regno di vitaeterna? sì, or baratta. Quando baratti tu? quando tu dài

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le cose che tu hai; dài ciò che tu hai per avere vita eter-na: come feciono i santi, che dierono ciò che avevanoper l’amore di Cristo. O come buono baratto è questo,ed è ben avventuroso, come dice Cristo! Chiunque ab-bandonerà padre e madre, e figliuoli, o moglie, o casa, odanari o campo per lo mio amore, riceverà per l’unocento, possederà vita eterna. Or tu diresti: io sono pove-ro delle cose del mondo; ecco santo Piero che lascia so-lamente una rete e una navicella; onde vita eterna tantovale quanto tu hai, non se’ tenuto a piune. Or questo èbuono baratto. I santi ne diero eziandio la vita corpora-le. Allora baratti tue, quando ciò che tu possedi, e l’ani-ma, e ’l corpo, e l’onore e tutto metti al servizio di Dio.L’altro modo onde s’acquistano le cose sì è per battagliao per combattere; onde molte cose che non sono tue sifanno tue in questo modo, cioè quando hai vettoria; in-tendi quando la battaglia è giusta; e quando ella è ingiu-sta non ti dà ragione nulla della preda; ma quando è giu-sta, allotta ben è tutta liberazione. E quando s’ha perbattaglia il regno di cielo? quando tue combatti per loregno del cielo co’nemici che ti contradicono: siccomecol mondo, co’ parenti, e con quelli che ti istorpiano albene e onfortanti dal tuo danno. Combatti altresì contrala carne, e contra le concupiscenzie sue e contra mali de-siderii altresì, contra ’l dimonio quando ti tenta, e allottail vinci tue quando nol consenti. Se tu contra detti nimi-ci combatti bene, e non ti lasci vincere, ma vinci tue, al-lotta hai tue vinto il regno del cielo e ha’lo fatto tuo perforza, come dice la Scrittura: Il regno del cielo patisceforza e i forti il conquistano. Cosie combatterono i santi,e spezialmente i martiri. Il quarto e ultimo modo per loquale s’acquistano le cose che non sono tue e fannositue, si è per lavorare e affaticarsi: siccome quegli che la-vorano a prezzo, che guadagnano della fatica sua; e que-sto è l’altro modo per lo quale s’acquista il regno di vitaeterna, cioè lavorando e affaticando. E questo è quello

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che Cristo mostrò nel Vangelio, operarii ch’entrano a la-vorare nella vigna. Quale è questa vigna? la penitenzia:chi più ci s’affatica e chi meglio ci lavora, quegli aràmaggiori guiderdoni. A questo modo il guadagnarono iconfessori eremiti che non furono martiri, lavorarono inquesta penitenzia tutto il tempo della vita loro. SantoAgostino dice e parla in persona di Dio così: I’ ho ven-dere: chi compera per fatica temporale gli darò riposoeternale, per vergogna gli darò onore, per pianto sommaletizia. Ecco come il quarto modo s’accatta il regno de’cieli e fassi nostro di ragione, cioè per compera, e questaè innocenzia; per baratto, e questa è la sapienzia, chèsomma sapienzia è dispregiare la vita del mondo; perbattaglia, e questa è pazienzia; e fatica, e questa è la per-severanza. Deo gratias.

XXVII

Anni 1304, Domenica, a dì 12 di Aprile

Sicut laetantium omnium habitatio est in te. Perocchèla letizia de’ santi è piena, non ci ha manco nullo: questoti mostro per tre ragioni. Prima propter malorum caren-tiam, propter bonorum copiam, e propter aeternitatis gau-dium. Prima dico che la plenitudine de’ santi si mostrain malorum carentia, cioè ch’è vòta d’ogni male e di tre-stizia. Questa è una grande plenitudine, perocchè quellaletizia non è mischiata con nullo male e con nulla tristi-zia. Ma la letizia di questo mondo non è così, anzi è tut-ta mischiata con tristizia e con pena: siccome Salamonepienamente dice, che non è nulla letizia che non sia mi-schiata con trestizia, sempre vanno insieme. Or tu dire-sti: or elle son contrarie, dunque come trovano accordoinsieme? Elle non istanno insieme per natura nè per nul-la condizione di convenienzia, ma stanno insieme che

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combattono. E tu diresti: perchè sono miste insiemequeste cose? Dicono i savii che la cosa che istà in mezzopartecipa delle estremitadi, e dànno esemplo degli eli-menti e delle altre cose; dicono che l’aria è in mezzo tra’l fuoco e l’acqua, e participa di catuno; onde l’aria par-ticipa del fuoco, e però è calda; calda è l’aria se altrimen-ti non la raffreddono, ed è umida dall’acqua; e però simuov’ella così. L’acqua è in mezzo intra la terra e l’aria;e però di ciascuna participa, ch’ella è umida per l’aria, egelata e fredda per la terra. Così ti dico: e’ sono tre citta-di, tre luoghi: uno di sopra, quello di vita eterna, ov’ètutta letizia; l’altro si è quello, di sotto, cioè il ninferno,ove è tutta trestizia e dolore; il luogo di mezzo si è quel-lo di questo mondo, e’ però partecipa colle istremitadi.E però sì è qui della letizia, e questo viene dal paradiso;ècci della trestizia, e questa viene dal ninferno; e peròc’è dell’uno e dell’altro. Or tu diresti: Io sono in luogodi mezzo, dunque istarò temperato e starò bene. Ri-spondoti: se noi fossimo bene nel mezzo forse sarebbecotesto, ma noi non siamo bene nel mezzo. Or io ti vo-glio mostrare per due ragioni come tu se’ più presso alninferno, e molto più presso che tu non se’ al paradiso; equesto è sì per lo luogo e sì per la simiglianza. Per lo luo-go, odi che dicono i savii, e questo hanno iscritto ne’ lo-ro grandi libri, e pruovanelo chiaramente; chè dicono,che, di quì al luogo del ninferno (chè il ninferno si è nelventre della terra), che dicono che dalla faccia di questaterra insino al fondo del ninferno, cioè infino al puntodel mezzo del ninferno, ov’è la sesta di tutti i cieli, sì hatre milia milia; cotanto ha di qui al miluogo e non più;ma di qui al cielo istellato ha tanto più di cento milia co-tanti; e questo ancora provano i filosofi, ed è il novero sìgrande, che se io il vi dicessi non m’intendereste; e peròsiamo per lo luogo in corpo all’inferno, di lunge al para-diso. Ancora ci siamo presso per simiglianza. Come persimiglianza? La città di ninferno non è cittade che siano

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artifici; e’ v’ha un’arte nel ninferno e non più, e questa visi studia fortemente, e non restano di fare quest’arte;questa è l’arte del peccare, ma non restano di far pecca-ti; e in ciò questo mondo l’è molto simigliante, chè que-st’arte è qui mirabilemente. Ogni peccato, ogni vizio,ogni sozzura per tutta la Cittade. Or non è questo mon-do un altro ninferno, non si fa continuamente quì chenel ninferno? Tutte le buone arti, che anticamente si so-lieno fare, tutte son oggi corrotte e falsate, e non ci si faoggi una buona arte sanza peccato. Or quanta ci trove-rai dell’arte di paradiso, di quelli che sieno in purità, insantità, in castità? O come sono radi questi cotali! e’non si truova quasi di questi cotali, appena uno nellacittà; e se ce n’ha alcuno di quegli che simigliano conquegli cittadini di sopra, or quanti sono, ovvero chentisono trepidi, di poca fede, di poco amore, e di poca ver-tude e di piccola purità! E però è uno ninferno questomondo, tutto infocato del ninferno di sotto, sì gli è incorpo in ogni verso; dell’amore e della letizia divina nonci ha neente, e se ce n’ha, come detto è, si è in quelli co-tali che l’hanno; imperò solo gli amici di Dio hanno que-sta letizia: questi solamente participano della città di vitaeterna, e sono iscostati dall’inferno: questi sono già bea-ti, ma gli altri tutti sono infernali. E però vedete che noisiamo in tanta trestizia, pure in pene e in trestizia. Quan-te sono le pene del mondo appo ’l bene e la letizia che cihai? è nulla quella alcun’otta, è un punto; e mali conti-nuamente. Quante sono le cose che tu vedi, che ti di-spiacciono tutto die, che ti dànno tristizie e pene! equelle che odi e che senti continuamente, tuttodì fannole cose che ti dispiacciono e che ti tormentano, e non cipuoi avere letizia, chè la letizia non hanno se non gliamici di Dio; gli altri tutti sono involti ne’ mali e nelleangoscie. Mille cotanti sono le pene e la trestizia che cihai, che non è il diletto, quello è nulla; imperocchè inquesto mondo le genti sono simiglianti a quegli del nin-

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ferno, che dì e notte non restano di fare peccati. E peròdoveremmo fuggire se noi ne dovessimo andare nel di-serto, e fuggire il mondo reo e malvagio, e non dicere: orpotremmo noi tutti fuggire, e come rimarrebbe? non n’hai tu a pensare i fatti altrui, tu fuggi e scampa, e salvate, non ti caglia degli altri, a cui è data grazia di scampa-re, di fuggire; fugga e scampi: come nella isconfitta, ogniuomo campa chi puote, e non si cura allora degli altri,ma scampa egli e fugge quanto puote. Questa è unaisconfitta ove tutti i mondani son presi; e però vedete ilmondo infocato de’ mali simile al ninferno. Ma in vitaeterna la letizia de’ santi è vòta d’ogni male, e d’ogni an-goscia e trestizia, chè non ve n’è niente; e però sono bea-ti, chè non hanno altro che letizia. La seconda cosa inche è la letizia de’ santi si è: in bonorum copiositate, nellacopiositade di tutti i beni; perocchè i santi hanno letizia,e diletto e allegrezza di tutte le criature di cielo, e di ter-ra e di ninferno. Avere diletto non è reo e non dispiace aDio, in quant’egli è diletto, se non ci ha mischiato altro.Non è così la letizia del mondo, perocch’ella è estrema ein pochi beni; non ne puoi pigliare de’ beni del mondoneente. Onde perchè sie re, non puoi però avere tutte lebelle cose del mondo, nè vederle tutte, nè molte saperenè sentire, pur quelle del reame tuo: che ne puo’ tu tòr-re? Or può egli mangiare tutto il pane ch’egli ha? no; otutti i capponi e fagiani? or puoe bere tutto il vinoch’egli ha? no; o vestire di tutti i panni c’ha, no? E se tuhai assai pecunia, non però hai bene di tutta, chè tu nonla ispendi tutta: di quella che tu ispendi hai bene, diquella che tu tieni, no; e però di questo mondo non po-temo avere neente, e però la nostra letizia è strema e mi-sera in tutti i beni. La terza cosa della letizia de’ santi siè: propter gaudium aeternitatis, cioè che quello bene mainon perderanno. Non come interviene della letizia mon-dana, che si perde per molte vie e modi, per le infertadi,per le isciagure che vengono: onde l’uomo perde avere,

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pecunia, familia; almeno alla morte tutte queste cosevanno via: allora quanto più hai amato il mondo e la pe-cunia, tanto con maggiore dolore la lasci; però il pecca-tore termina la vita sua con dolore e con pianto, e conmolta trestizia. Ma i santi che hanno fatta penitenzia, sìsi termina in allegrezze la loro fine; onde de’ santi dice lasanta Iscrittura: e’ forbirà Iddio ogni lagrima degli occhiloro; perocchè morte non vi sarà più, nè dolore, nè pian-to, nè neuno male, perocchè le prime cose passarono,chè si fa Iddio sudario degli occhi de’ santi. Grande pa-rola è questa, e dice: perocchè dolore e morte non saràpiù. Parla a modo qui il Signore come di cotali, a cui in-cresce di fare la quaresima ed ènne fuori, ed egli gli pareessere fuori del mare, ed è molto lieto. Ma quando inco-mincia la quaresima pare loro grande fatica a sostenerla,e portanla malagevolmente con molto incarico. Così isanti in vita eterna hanno compiuta la quaresima loro, lapenitenzia in questo mondo, e ora godono in quelli benie non l’hanno mai a fare più. Ma i peccatori, quando sipartono di questa vita, entrano nella quaresima faticosadello inferno, chè mai non usciranno. Or quella è crude-le cosa a entrare in quella mala quaresima, sappiendoche mai non la compiera, e di quella penitenzia mai nonuscirà; e però dovemo essere inanimati a seguitare i san-ti, essere con loro cittadini in quella beata vita gloriosa.Deo gratias, Amen.

XXVIII

Anni 1304, in Calen. di Novembre, il dì d’Ognissanti.

Dominus prope est. Questa parola è di santo Paolonella pistola d’oggi, e dice che il Signore n’è presso.Presso siamo a tre dì alla pasqua, dovemo ornare l’ani-me nostre e farle belle, acciocchè fossimo acconci di ri-

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cevere dignamente Cristo che viene. Nelle quali parolesanto Paolo n’ammaestra di ben cercare Cristo, e di bendimandarlo, e di ben riceverlo e di ben tenerlo; confor-taci di cercare, perocch’è presso. La cosa ch’è a lunginon si può sì bene vedere, o delle cose troppo da cessonon si scorgono bene, e non paiono chenti sono: onde lestelle del cielo, perocchè sono così lontane, però paionocosì picciole; e molte n’ hae in cielo che lucono e non siveggiono, tanto sono lontane; e ’l cielo impirio ch’è cosìlucente, lucente dico in sè medesimo, non a modo delleistelle o del sole, che mandano il lume di fuori,perch’egli è così lontano non si vede per noi. Così Iddio,anzi ch’egli incarnasse, non era conosciuto, tant’eranelontano. Ora Cristo è venuto in terra e ito per terra, ista-to cogli uomini e conversato cogli uomini, e dagli uomi-ni fue veduto e toccato, e cogli uomini ha mangiato ebeuto; e però è presso da cercare ed andarlo caendo. Ortu diresti: e’ se n’è ito in Cielo e non ci è ora: no, frate,perchè sia ito in cielo; perocch’egli è sempre con noi,siccome pienamente mostra l’Apostolo. E però dice: Ioistò all’uscio e pulso; se alcuno m’aprirà, io entrerò a luie cenerò con lui, e egli meco. Quando picchia Iddioall’uscio? Disse frate Giordano: Testè vi picchia Iddioall’uscio quando vi predico, e ogni volta che vi vengonoi buoni pènsieri e le buone ispirazioni, allotta bussa Id-dio all’uscio, perchè tu gli apri; e incontanente che tuhai contrizione e pentiti de’ peccati, e hai voluntà diconfessarti; incontanente che tu hai questa buona vo-luntà e Cristo è dentro. Onde il Sole ch’è così di lunge,sì entra quando gli apri, l’aprire e l’entrare è tutt’uno.Così fa Cristo: vedi bene se ’l puoi avere agevolemente!E perocchè Cristo questo nostro Signore viene, sì dove-mo ispazzare la casa e nettare l’albergo. Deh, noi veggia-mo della donna, quando il marito viene di Francia, chebene otto dì dinanzi anzi che venga, sì tiene la casaispazzata e ornata tutta. Quanto istudio dunque do-

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vremmo avere di nettare l’albergo, cioè l’anima e lamente nostra, ch’è casa di Cristo! Vuoi tu che Cristoabiti in te? sicchè nullo modo puoi meglio fare ch’egliabiti in te, se non per la fede: come dice santo Paolo,abitare Cristo per fidem in cordibus vestris. Le genti al-tresì, quando aspettano il re o alcuno grande legato, sìfanno grande apparecchiamento dinanzi, acciocchè ’lpossano ricevere onorevolemente: onde s’usano di di-stendere le pezze per la via, e spianare monticelli, eriempiere pozzanghere, e portargli pallio sopra capo.Quali sono le pozzanghere? le concupiscenzie carnali, lequali si deono tor via. Non dovrebbe essere niuna mo-glie o marito, che dinanzi parecchi dì si dovesseno car-nalmente conoscere. Quali sono i monti? i cuori super-bi. Se tu stai superbo non verrà a te; ch’egli è sì umile,che non può andare su per li monti. E però se tu non tiumilii alla confessione e a perdonare, non aspettare chevenga a te. Doverebbe le persona, anzi che venisse aprendere il Sagramento del corpo di Cristo, tutto purifi-carsi e nettarsi, e tutto lavarsi. Sono molti e molte chevengono a confessione, e non hanno pensato nulla in-nanzi: questi non si salvano bene; ma l’uomo doverebbericercare la mente più volte, sicchè si recasse a memoriabene ogni cosa, e poi confessarsi interamente. E questa èla via a pigliare Cristo; e perocchè chi non riceve diritta-mente, sarebbegli meglio che pigliasse uno serpente.Deo gratias. Amen.

XXIX

Fra Giordano, 1305, in calen. di Gennaio, Sabato mattina, il dìdella Circuncisione di Cristo, in Santa Maria Novella.

Vocatum est nomen eius Jesus. In questo giorno laSanta Madre Ecclesia fa grande solennitade, per due co-

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se grandissime fatte in questo giorno. L’una si fu la’mposta del nome di Iesù, chè oggi li fu posto questonome. Usavano i Giuderi di non porre nome al garzoneinsino che non fosse circonciso, ma nella circoncisionegli si dava il nome; e così fu fatto oggi al Figliuolo diDio, a questo garzone beatissimo. L’altra grande solen-nitade si è per la circoncisione sua; chè oggi Cristo fuecirconciso secondo la legge vecchia, e sottomisesi allalegge quegli ch’era signore della legge e di tutte le cose.Questa circoncisione sì era porta della legge vecchia, sic-come è oggi il battesimo nella nuova. In quel medesimoluogo era posta la circoncisione ch’è oggi posto il santobattesimo. La terza ragione della festa d’oggi potremodire per l’ottava del Natale di Cristo, che pur questo persè è grande festa e grande solennitade nella Ecclesia; chènon solamente dell’ottava di Cristo, ma eziandio diquella degli altri santi fa la Ecclesia solennità e memoria;e Cristo è il santo dei santi. E la ragione perchè si fa l’ot-tava della feste rivolti gli otto dì, si è confermare la fede;imperocchè significa la resurrezione santa che sarà, eper molte altre ragioni. Onde a dire di tutte e tre questegrandi cose non potremo, chè non sarebbe sofficiente iltempo. Diremo stamane pur della prima, cioè della’mposta del nome del Figliuolo di Dio, Jesus. Questonome non fue nome novello, però ch’egli l’ebbe primaquesto nome che si circoncidesse. Imperò che noi tro-viamo che l’angelo di Dio il disse due volte, che quellosarebbe il nome suo: una volta il disse alla Vergine Ma-ria, e un’altra volta il disse a Gioseppo nel sogno. Anco-ra il Profeta il disse anticamente, e poi disse: il quale no-me è dalla bocca di Dio; sicchè pare cosa contraria.Come mi dici tu che questo nome gli fu imposto novel-lamente, chè gli fue imposto e detto dalla bocca di Dio?La bocca di Dio non dice mai cose novelle a lui, peròche la parola di Dio è pur una, e non dice mai se nonquell’una, e dissela eternalmente e sempre la dirà; pe-

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rocchè in Dio non ha mutamento, e non caggiono in luinovitadi. Dunque Jesus ebbe questo nome eternalmente.Dunque come mi dici che oggi gli fu imposto nome? Ri-spondoti: egli è verità che Dio non si muta, e ciò che èvolle sempre; sicchè tutte le cose appo lui sono antiche enovelle. Novelle sono nell’effetto dell’opera: siccome tido per asempro di te medesimo. Tu hai in cuore di farealcuna cosa e di crescere una tua cosa, e haiti imaginatocome tu la farai, ma non ordini di farla ora, ma di qui auno anno o di qui a dieci; e se avvenisse che insino aquel tempo non dormissi, ma continoamente pensassi eavessi in memoria la detta opera, e poi la facessi, sì si po-trebbe dire di quella opera che fosse novella e antica;imperocchè quella cosa che anticamente avei in te, ora èfatta per opera. Così è di tutte le opere di Dio, che tuttesono novelle e antiche: antiche sono in quanto Iddio levide eternalmente, ciò ch’è e ciò che si fa, e tutto gli pia-ce; e vuole che eziandio quando io meno la mano orapresentemente, sì è novella e antica: antica è in ciò cheIddio il vide eternalmente, e piacquegli ch’io la menassi,e hallo voluto; imperocchè nulla cosa è sì minima, cheIddio non vedesse tutto eternalmente; novella è nell’ef-fetto e nell’opera, chè quello ch’avea presente nel vederesuo sì il mette ad effetto per opera. Questa è bella ragio-ne a farti vedere che tutte le cose sono novelle e antiche.Così ti posso dire del nome che oggi fu imposto al Fi-gliuolo di Dio. Pensate che fosse nome novello? no, pe-rocchè anzi che ’l mondo fosse, eternalmente volle Iddioe riserbollo al Figliuolo suo, e piacquegli che avesse quelnome. Novello fu nell’opera, perocchè oggi si seppe dal-le genti manifestamente. Questo nome, come dovete sa-pere, si è a dire Salvatore. E se tu dicessi: e perchè ebbequesto nome eternalmente, conciosiacosachè non sal-vasse ancora? Rispondoti: questo nome ebbe, imperoc-chè in lui fu la salute, e dovea esser per lui, e non poteaesser per altrui, avvegnachè non la operasse: siccome ti

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potrei dare esemplo del corriere. Il corriere è detto que-gli che corre; il corriere non corre sempre, non va sem-pre; e perch’egli non vada sempre, abbia egli quell’uffi-cio e non altro, sì è detto corriere, e non perde però ilnome. Siccome altresì del giudice. Il giudice, suo uffizioè di dare sentenzie; ma non è sempre sopra dare senten-zia, ma riposasi, non è sempre occupato in quello; nonperò di meno è egli giudice, sempre si chiama giudice;perocchè in lui è quell’ufficio, e non può essere in altrui.Così ti dico del benefattore e dell’amico, che sempre èdeto amico; pognamo che sempre non ne visiti e non nefaccia grazia. E perchè sempre e’ non siano ne’ detti uf-ficii, abbandonerai pur il giudice, e ’l benefattore el’amico? Non dee così essere. Così il Figliuolo di Dio,avvegnachè per antico non ne salvasse e non mettesse adeffetto questo suo ufficio, tuttavia, perchè l’ufficio erapur suo e non potea essere in altrui, e per lui ci convenìasalvare, e’ convenìa che così fosse; perocchè in altruinon potea essere. Impertanto è detto e fu Salvatore, efue suo propio questo nome, non solamente dopo la cir-concisione, ma eziandio anzi che ’l mondo fosse eternal-mente. Bella ragione è questa e nobile. Ma oggi questonome e questa salute s’adempiette per opera, perocchèoggi fu verage salvadore; chè, avvegnachè Iddio, secon-do che dicono i santi, potea colla minima sua opera ecolla più vile salvare il mondo (tanta iera la virtù sua),non però di meno Iddio ordinò che quella salute perfet-ta non fosse se non per uno modo, cioè per lo spargi-mento del sangue suo. In quello fu il compimento e laperfezione della salute nostra. E perocchè oggi cominciòa spandere il suo sangue, imperò oggi questo nome equesto ufficio compie in lui; imperocchè oggi incomin-ciò perfettamente la salute nostra, spargendo sangue.Imperocchè non è dubbio ch’egli nella circoncisionespargesse sangue; imperocchè conviene che ogni apertu-ra ch’è fatta nella carne nostra esca sangue. Imperocchè

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non è il sangue pur nelle veni grosse, no; ma tutto ’l cor-po è pieno a vene, le quali chiamano i savii vene capilla-ri, che sono sottilissime e sono tante che non è numero,e sono sparte per tutto; ’l corpo n’è pieno, e la pelle no-stra tutta n’è piena; sicchè in nullo modo si può fare al-cuna apertura nella carne nostra, che non esca sangue. Eperocchè oggi fu circonciso il Figliuolo di Dio, nellaquale circoncisione era mestiere che ci aprisse della car-ne di quella parte, imperò oggi il Signore incominciò aspargere il suo santissimo sangue. Questa circoncisioneera un segno, per lo quale si conoscea il popolo di Diodall’altre genti; e incontanente che si ricevea, si era sot-toposto a fare tutti i comandamenti e la legge. E peròquesto nome Jesus oggi gli fu imposto per vocabolo eper effetto; siccome per effetto e per opera incominciòla salute. Onde però l’angelo di Dio disse a Maria: Voca-bitur nomen ejus Jesus, tu chiamerai il nome suo Iesù,perocch’egli è Salvatore. E questo non fu detto a lei so-lamente o a Giuseppo, ma è detto a tutti noi. SiccomeCristo disse nel Vangelo a’ discepoli suoi: quae vobis di-co, omnibus dico; quello ch’io dico a voi sì ’l dico a tutti.Onde a tutti i cristiani è fatto questo comandamento.Quale? che chiamino questo nome Jesus, ch’è a dire sal-vatore, ed è anche a dire redentore. Salvatore è detto.Onde dice santo Paolo: non è nullo nome nel quale pos-siamo essere salvi, se non nel nome di Iesù. Ed è reden-tore, cioè ricomperatore, chè ne ricomperò del sanguesuo. Onde dicea santo Piero: redempti sumus pretio ma-gno; e in altro luogo: ille redimit nos; ed in altro luogodice santo Piero: non d’oro nè d’argento siamo ricompe-rati, ma del prezioso sangue di Iesù Cristo. E peroc-ch’egli è salvatore, che ne salva in ogni modo, e in lui so-lo è primamente la salute. Ed anche perch’egli èredentore, come ’l chiama la Scrittura, sì ’l dovemo chia-mare continovamente e invocare noi, per due belle e ne-cessarie ragioni: l’una si è perchè siamo infermi, l’altra si

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è per lo beneficio che ne fa continuamente. Prima dicoche ’l dovemo chiamare questo salvatore, imperocchènoi siamo infermi. Quegli che fosse infermo e non si po-tesse aiutare, e avesse il medico presso e potesselo avere,e non lo chiamasse e non lo richiedesse, or non sarebbequesti ben matto? Altresì quando il medico t’avesse fat-to molto, che t’avesse guerito, or non sarebbe grandestoltizia se tu non lo pagassi, ovvero non nel ringrazias-si? certo molto. Se tu avessi ricevuti molti di questi be-neficii, e non ne volesse da te altro che ’l buono volere,or saresti sì matto, che almeno non lo ringraziassi del do-no e del servigio che t’ha fatto? Per queste due ragioni ildovevi chiamare e richiedere continuamente. Imperoc-chè in questo mondo noi siamo in grande pericolo conti-novamente: siccome la nave che va per mare, ch’è conti-novamente in pericolo, che se pur una piccola aperturaapparisse, sì, è a pericolo; sempre il marinaio è sollecito,se avvenisse che alcuna apertura apparisse; non sarebbesì piccola, che non sia di grande rischio. Così è di noimentre che siamo in questo mondo, in queste fortune; eperò n’è mestiere che continovamente invochiamo que-sto nome, cioè il salvatore, colle orazioni e colle buoneopere. Ancora li dovemo rendere continovamente laudee gloria, perocchè continovamente riceviamo i doni suoie i suoi beneficii. Onde però non dovrebbe esser nullopunto del tempo, che continovamente non lo laudassimoe ringraziassimo; imperocchè non è nullo punto nel tem-po, che continovamente non ne faccia e dea a noi i suoibeneficii e i suoi doni. Questo non fanno i miseri pecca-tori, e non se ne curano di chiamare questo nome. E peròsono in due modi questi peccatori. Sono di quelli chequesto nome tacciono, e sono di quelli che ’l chiamanomale e come non deono; anzi sono di quelli che chiama-no il nome del demonio, non di salvatore, ma di perdito-re. Sotto questi si contengono molti altri, tutti si com-prendono qui. Dico prima che sono certi che il tacciono.

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Questo nome è dato in segno, siccome si legge nell’Apo-calisse di quelli innocenti: habentes nomen ejus et nomenpatris ejus scriptum in frontibus suis. La fronte è luogoscoperto: l’altro corpo si cuopre; avvegna iddiochè nonfosse freddo, sì si coprirebbono per vergogna; ma la fac-cia non si copre, e spezialmente la fronte è luogo scoper-to. Nelle fronti era scritto il nome di Iesù Cristo, per in-segna il portavano, per grande onore. Onde in grandeonore sì tiene quegli ch’è della famiglia del papa, ed ègrande notizia, ed appare però a tutta gente ch’egli èdella famiglia del papa. Così questo nome n’è dato perinsegna, il quale noi riceviamo tutti i cristiani nel battesi-mo; allora ci è dato questo nome. Per insegna d’altragente il nome sì sogliono fare nelle bandiere, nell’armi,negli scudi: onde molte armi sono pur di lettere; sicco-me quella del senato di Roma, che dice: S. P. Q. R., cioèSenatus Populus que Romanus; ed è conoscente moltoquella arma e quel segno. E scrivere talora in coppe e invaselli, e in cotali nobili luoghi. In questo modo n’è datoa noi il nome di Iesù Cristo, per insegna, per grandeonore; il quale solea essere in grande sprezzo e vitupe-rio, e in iscandalo: siccome ai Giuderi e ai Gentili, parealoro sì strana cosa e sì matta, e di tanto dispregio a dire,io adoro uno uomo crocifisso, uno uomo, come diressiimpiccato e peggio, che nol poteano sofferire nè patire;anzi diceano: come adorerò uno uomo impiccato croce-fisso? e massimamente era duro a dire e a confessare luiper tuo Iddio. Non ci poteano aggiugnere a queste cosenè appressare, anzi l’aveano in somma abominazione edispregio. E però dicea santo Paolo: Io predico Cristo aiGentili è stultizia, ai Giuderi scandalo e dispregio; ilquale egli portava per grande gloria e onore, il quale eglimedesimo l’avea disprezzato e inodiato più di tutti glialtri; e però quel segno ch’era in sommo vitiperio, egli èin sommo onore e in somma degnitade. Onde dicea san-to Paolo: absit mihi gloriari nisi in cruce Domini. Ma

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questo nome, questo segno, molti il tacciono per vergo-gna, e reputansi in vergogna di chiamare e di ricordare ilnome di Iesù Cristo, il quale è sommo onore e sommadignitade; e però non vogliono essere e rifiutano d’esse-re della congregazione e del numero degli eletti di Cri-sto. Guai a loro! Altri sono che ’l nascondono, il qualede’ esser portato in fronte, imperocch’egli è luce. Ondedice il Signore nel Vangelo: non si dee nascondere il lu-me, no, e mettere sotto lo staio; anzi de’ stare manifesto,acciocchè, dea il lume a tutti. Questo staio, spone santoAugustino, sì sono i beni del mondo. Lo staio è una mi-sura: così i beni del mondo sono misurati in quantitadee in tempo. In quantità sono misurati e dati a misura;imperocchè se ti sono date ricchezze, sono cotante enon più, misurate sono. Altresì sono misurate quanto altempo, cioè insino alla morte, e talora meno. Non sonocosì i beni di vita eterna, imperocchè non sono misurati,cotanti sono e non più; perocchè non hanno misura, an-zi traboccano da ogni parte, e non hanno fine in gran-dezza, in moltitudine e in tempo. Quali sono dunquequelli che nascondono questo nome, questa luce, sottolo staio? Sono tutti quelli, i quali per li beni del mondo iltacciono; e questi sono in due modi: o per guadagnarli,ovvero per non perderli. Onde tutti quelli che ’l taccio-no si è, o per non perdere le cose del mondo che hanno,ovvero per timore che hanno di non poterle acquistare.Avendo il detto nome e ’l detto segno scoperto, e’ più iltacciono: e sono come pagani costoro, che il nome chefu loro dato nel battesimo sì l’hanno sprezzato e postogiù. Nascondonlo altresì quelli che si spergiurano; sonomenati alla corte, e ha tale la paura, che tacerà la verità edirà la falsità, ovvero, il farà per pecunia: questi il na-scondono e portanlo male. Altri sono, che chiamano ilcontrario del nome di Cristo, cioè il nome del demonio,il nome non del salvatore, ma del perditore: e questa èrea cosa. I pagani, perch’eglino il chiamassero in loro

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aiuto e non conosceano più, erano ignoranti; ma noi chesiamo cristiani, e conosciamo quale è il nome del salva-tore, e noi chiamiamo il nome del nimico, questo è gran-de male. E questi sono in due modi: sono certi che ’lchiamano in palese, e certi in privato. Quelli che ’l chia-mano in palese sono tutti quelli i quali si dànno in tuttoe per tutto al dimonio, in anima e in corpo. Siccome diTeofilo: il quale essendo venuto in povertà, sì si diede alnemico in tutto, e ’l nemico procurò che riebbe il vesco-vado e le ricchezze sue; ma poi si salvò per li beneficiidella Donna nostra. Ancora tutti quelli il chiamano pale-se, che si dànno a fare le male arti vietate dalla Ecclesia,e studiano in nigromanzia, e in geomanzia e in questemale arti. E altresì sono quelli che studiano in quella al-tra mala arte, che si chiama arte notoria. Tutti questichiamano il dimonio palesemente, e che s’aiutano conarte di dimonio. Quegli che ’l chiamano in privato sonotutti quelli che fanno l’opera sua; avvegnachè non ci ab-bia altro chiamamento: ciò sono l’opere de’ peccati;l’opere de’ pagani maladette, che noi ancora ora ne se-guitiamo in molte cose, e fanno le genti strenne e millemale venture, e dicono che sono zodiachi e altri punti, eguardano in loro segni e modi, tanti che se ne farebbeuno libro. Tutte queste cose sono vietate e sono peccatograve, e sono tutte vanitade e bugia, e inganno del dimo-nio. Dice santo Augustino nell’Omelie: odi che dice ilProfeta, che chiami il nome di Iesù. Ma odi che dice amano a mano: et congrega nos de gentibus, cioè portacida’ pagani. Questi sono le genti; ma i mali cristiani gliseguitano al tutto, e sianne quasi peggio che pagani. Eche ciò non sia vertù, ma tutta bugia. E che sieno opered’inganno e di peccato, e di dimonio e di perdimentod’anima, sì si potrebbe provare per molte ragioni, lequali lasciamo. Questi sono quelli che chiamano il nomedel dimonio. Sono di quelli che portano invano il dettonome. Chi avesse e portasse in grembo uno pane e non

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lo manicasse, non direbbe altri: or perchè ’l porti inva-no? tu ’l porti invano, chè nol manichi. Ovvero che sa-rebbe detto che ’l portasse invano, s’egli volesse dare al-trui con esso nel viso. Non è ufficio di pane a esserpercosso a modo di pietra, no. In questo modo sonomolti che portano Cristo invano, che mai non l’usano almodo nè al fine che deono, anzi che ne fanno peggio.Questo pane si è Iesù Cristo, il quale dà perfetta sazieta-de d’anima e di corpo a noi cristiani. Questo pane, que-sto cibo, questo pasto e’ lascianlo, e vanno caendo pur lecose del mondo, le quali non possono dare perfetta sa-zietade; e hanno così presso la fonte, e la sazietade e ’lpasto, cioè Cristo, e non lo cercano: il quale può saziareperfettamente la fama dell’anima e del corpo, che tuttaviene da quella radice. La fame è uno grande difetto.Dunque quelli che non usano Cristo a cibo e a pasto, ead aiutorio, il portano invano. Chi avesse l’arme e nonl’usasse quando bisognasse, direbbe altri: quegli le tieneinvano. Iesù Cristo n’è dato per arme, per verace difen-ditore da’ nimici e da tutti impedimenti; chi non lo chia-ma e non lo cerca, e non l’usa come dee, questi il portainvano; non in nulla altro che ’l nome. Altresì sono diquelli che non l’usano a loro aiuto e bene. Ma sono diquelli che ne fanno molto peggio, cioè che l’usano a ma-le. Questi sono quelli malaventurati, che di sacramentifanno malìe. Ben se ne truovano di questi maladetti, cheeziandio il corpo di Cristo tolgono, e fannone loromalìe. Or che è questo a pensare? or non è una crudelecosa? che è quello che Iddio sostiene, mettere il veracecorpo di Cristo in malìe? non si potrebbe pensare mala-venturata quella anima? Altresì sono che di questo no-me salvatore, cioè Iesù Cristo, non ne sentono mai sapo-re nè dolcezza: e questo è ancor da piangere. Chi avesseun pezzo di cennamo in mano, e mettesselsi in bocca emandasselo giù così intero intero, or che modo sarebbequello? non si conviene così usare nè mangiare; ma chi

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ne vuole avere sapore, sì ’l dee masticare e tritare, emandarlo giù a poco a poco pianamente. Se tu vuoli sen-tire il savore del cennamo, convien che ’l triti e mastichico’ denti. Così è di Cristo. Vuo’ne tu sentire savore, sì?Or non lo tranghiottire, chè t’affogherebbe, ovvero nonti diletterebbe; ma masticalo e tritalo co’ denti. Questabocca e questi denti non sono altro che lo ’ntendimentoe ’l pensiero di pensare di lui, non scorrendo, ma tritan-do. Perocchè in tutte le sue opere sono nascose infinitedolcezze, qualunque è la più minima; imperocchè in lui,come dice santo Paolo, est omnis plenitudo divinitatis, etutti i tesauri. Il quale è tutta dolcezza e soavitade, comedice santo Grigorio: Jesus Christus mel in ore, dulcis inaure, suavis in corde. Se ben lo triterai collo ’ntendimen-to e col pensiero, soprastando in lui e nell’opere sue,non correndole, ma tritandole e masticandole, tu ci tro-verai somma dolcezza e soavitade. Sono altri che questonome portano in altro modo, i quali, perocchè avemoassai detto, lasciamo. Deo gratias. Amen.

XXX

Frate Giordano, questo dì medesimo, dopo nona, in Santa Ma-ria Novella.

Vocatum est nomen ejus Jesus. Le parole divine dellaScrittura santa hanno molto senno, e grande e profondointendimento. Non è così delle nostre parole; imperoc-chè non hanno sapienzia, ovvero n’hanno poca: anzi di-co che molte volte sono piene di difetto. Non è così del-le parole divine, che Iddio dice in sè, o negli angeli suoi,o ne’ profeti; perocchè sono piene d’ogni verità e d’ognisapienzia. E perciocchè Iddio diede questo nome al suoFigliuolo, non fue sanza grande cagione e sanza grandesavere di Dio, e sanza molta convenienzia. Non è così

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ne’ nomi che pognamo ai figliuoli nostri; perocchè talo-ra non si confà bene, ma spesse volte è tutto ’l contrarioil nome al fatto. Or non fu così in Dio; imperocchèl’opere sue sono tutte conveniente al fatto. Questo no-me Jesus non l’ebbe pur egli, ma troviamne molti nellaScrittura che ebber nome Jesus: siccome quello Jesus chefu successore di Moyses; e un altro Jesus che rimen– ilpopolo di Dio nella Terra Santa; e molti altri retroviamoanche. Ma questo nome non fue loro proprio e non siconfece loro: ma questo nome si confece e fu proprio diIesù Cristo, serbatogli da Dio eternalmente; imperocchèquesto nome si è a dire salvatore. E imperocchè fue sal-vatore e fu perfetto salvatore, e non null’altro, però que-sto nome è suo proprio e non d’altrui. Or tu diresti qui:Io veggio che ogni creatura, quante n’ ha nel mondo,uomini e bestie, e uccelli e pesci, ed erbe e pietre, non ènulla che qualche vertù non abbia di salvare; e non sola-mente questo, ma eziandio i vestimenti hanno ufficio evirtù di salvare, che mi cuoprono e guardanmi dal fred-do; ancora i cibi chè uomo manuca hanno vertù di salva-re e dare salute in alcun modo. Dunque, se questo è,perchè volle Iddio appropiare a sè così questo nome, enon darne parte altrui? E a vedere questo, cioè comequesto nome salvatore è più propio e singulare a lui chein tutte criature, sì ne diremo qui presentemente quattrobelle e vive ragioni: la prima si è ratione veritatis, la se-conda si è ratione prioritatis, la terza si è ratione integri-tatis, la quarta si è ratione aeternitatis. La prima ragione,onde si mostra come questo nome salvatore è propio diCristo, e più singolare di tutte le criature, si è propter ve-ritatem. Imperocch’egli, cioè Iesù Cristo, è quegli il qua-le dà verace salute; imperocchè dà verace salute d’animae di corpo. Altresì l’altre criature non ti possono darequesta salute, nè farti salva l’anima tua; possonti ben da-re talora alcuna salute nel corpo; ma non è vera salutequella del corpo, no: pare e non è. Onde chi fosse infer-

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mo dell’anima e sano del corpo, non è verace sanità:questa pare, ma non è. Hae alcuna apparenzia; maquando l’anima è sana, or allora hai tu perfetta sanitade:la quale sanitade non ti può dare niuna criatura, altri chesolo Iesù. Questi solamente è quegli che ti può dare per-fetta salute d’anima e di corpo. Altresì che tutto viene dauna radice, e che dà perfetta salute d’anima. Odi chedisse l’angelo a Gioseppo: Egli farà salvo il popolo suoda’ peccati loro. Chi perdona i peccati e lavagli, questa èla salute dell’anima. Non è altro a dire salvare che libe-rare da peccato: questo non può fare nulla creatura, senon solo Iddio. E questo medesimo diceano i Giuderi aCristo perdonando altrui le peccata. Noi sapemo, dicea-no, che solo Iddio può perdonare i peccati; quasi dicea-no a lui come se non fosse Iddio egli. E imperocchè IesùCristo dà salute vera, e non vana nè bugiarda, e non nul-lo altro, però egli solo è il salvatore: questa è la prima ra-gione. La seconda ragione per che il Signore è propiosalvatore, si è ratione prioritatis, perciocch’egli è il primosalvatore, il primo che dà salute. Ben si truova nelle cria-ture alcuna salute, ma non però è loro questo nome; im-perocchè non è principalmente il loro, nè ancora nonl’hanno da loro; ma Iesù Cristo è vero salvatore, peroc-ch’egli è il primo che dà salute; anzi è egli fontana eprincipio d’ogni salute. E perch’egli è il primo ed è prin-cipio, però questo nome è suo propio e naturale. Sicco-me ti do esemplo del caldo: il calore si truova in moltecose, perocchè molte sono le cose calde; ma non però èloro nome propio il calore, perocchè ’l calore si truovamaggiormente in altro, cioè nel fuoco. Il fuoco ben ècaldo, ed è caldo di natura, ed è principio del caldo; pe-rocchè tutte le cose che hanno in sè calore, sì l’hanno dalfuoco, e nulla cosa puote avere caldo, se non dal fuoconon l’ha. E però il nome d’essere caldo è propio e prin-cipale nel fuoco, più che in tutte le cose. Così ti dico al-tresì della luce: chi n’è principio e fontana? il sole; e

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ogni cosa in questo mondo c’ha luce conviene che l’ab-bia, dal sole; perocch’egli è la prima luce ed è fontana diluce, e però è propiamente del sole esser lucente e allu-minare. Perocchè dicono i savii che ’l nome si confà ed èconveniente più nel suo principio e nella sua radice, chenelle altre cose sparte. Così ti dico io del Figliuolo diDio. Imperocch’egli è fontana e principio di salute; per-ch’egli è il vero salvatore, e ogni criatura c’ ha in sè alcu-na vertù di salute, tutta l’ha da lui principalmente; pe-rocch’egli è cagione di tutta salute sparta nelle criature;e però ch’egli è il primo, e principio, e fontana e cagioned’ogni salute, però egli è il vero salvatore. E però dice ilprofeta di Dio: io non ti difenderò e non ti salverò, nè inispada, nè in coltello, nè in arme, nè in cavallo, ma conIesù Cristo, quegli ch’è verage salvatore e difenditored’ogni impedimento e pericolo. Queste sono le armi,cioè Cristo; ch’egli è armato di lui non gli è mestieri al-tr’arma. La terza ragione sì potremo dire ch’è ratione in-tegritatis. Le criature, avvegna, come dicemmo, abbianoalcuna vertù di dare alcuna salute, non però hannovertù, nè potenzia di darli salute compiuta in tutto e pertutto, no. Onde il medico, avvegnachè ti possa sanare inalcuno caso, ma e’ non ti può torre tutti i tuoi difetti, no.Questo non può egli fare, che ti possa torre tutti i difettiche hai, o che ti possa fare salvo di tutti gli impedimenti.In questo non ha egli vertù, nè meno in quello cotantopoco che ti fa, ancora non l’ha da sè nè in sè quella vir-tude, ma dall’erbe e dalla medicina; non può salvare intutte le cose, come detto è, no; nè ancora pur in quelloch’ella opera ella per sè; ma non verrebbe allo ’nfermo,se ’l medico non la ci recasse. E quando quegli che silegge nella Bibbia andò a quello Iesù che gli desse aiuto,sì gli mandò cavalieri. Ben ebbe questi alcuna vertù difarlo salvo, ma ancora questa non ebbe da sè, anzi fu ne’cavalieri. Egli che pro’ vi fece? Non è così di Iesù Cristo;imperocchè egli è il medico, ed egli è la medicina; il qua-

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le ha virtù di salvarci perfettamente, e di tòrre da te tuttii tuoi difetti e tutta la fame tua. Fame è uno grande di-fetto molto. Cristo ha vertù di torrella via, quelladell’anima e quella del corpo. Imperocchè, dicono i san-ti ed è cosa verace, che tutte le creature, tutte adunateinsieme nel tuo aiuto e nella tua salute, non vagliono enon ti potrebbono tòrre i difetti tuoi, come fa questo be-nedetto salvatore, tutte fossero adunate: tanta è la vertùe la potenzia sua! E questa è la terza ragione, perch’egliè detto propiamente salvatore; tienla bene a mente, que-sta è dessa: cioè che tutte le criature adunate insiemenella salute tua non ti torrebbono i difetti tuoi, come fuIesù Cristo: il quale hae vertù e potenzia di tòrre via tut-ti i difetti tuoi e saziarti perfettamente. E questo si po-trebbe provare per molte belle ragioni. La quarta ed ul-tima ragione per la quale il Figliuolo di Dio è detto verosalvatore, e non nulla altra criatura, si è ratione aeternita-tis. Tutte le criature che dànno alcuna salute per alcunaloro vertude, non solamente non possono dare saluteperfetta, come detto è, ma dico più, che non possonodare nulla salute che basti, cioè che duri; ma tutto ciò c’aoperano per loro vertude, tutto è temporale: dannotialcuna salute a tempo e basta poco. Ma la salute che vie-ne da Iesù Cristo è salute che non viene meno, anzi duraeternalmente e non manca mai la vertù sua. Non è cosìdell’altre creature; imperocchè hanno la loro vertude atempo, e dopo quel tempo perdono la vertù loro e nonl’hanno più. Siccome è delle pietre preziose, che non ba-sta sempre la vertù loro; ma dopo certo tempo che Iddioha ordinato nella natura, forse dopo 100 anni, sì perdo-no la vertœ loro, ma indi innanzi non vagliono meglioche le altre pietre de’ fiumi. Siccome altresì si dicedell’utriaca: che dicono i savii, ch’ella hae cinque etadi:dannole etade come si dà all’uomo, e dicono che in alcu-na etade è fanciulla, poi giovane, poi invecchia e vienemeno: dicono che sta fanciulla da tre anni, mantiensi

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giovane insino ne’ venti, poi invecchia, e poi perde lavertù e non vale nulla: questo dicono i filosofi. Se questaetade hae l’utriaca, questo medesimo potremmo dire edelle pietre e di tutte le altre criature corporali, che tuttehanno cinque etadi: fanciulla, giovane, stato, manca-mento, vecchiezza e morte. Questo difetto è in tutte lecriature, chè tutto sono a tempo, e dopo certo tempoperdono la loro vertude e la loro operazione. Ancora lecreature, quando attribuiscono alcuna vertude per lorosalute, sì ci si aopera molto tempo, non la dànno di fattoimmantanente, no, ma per distanzia di tempo: questo èdifetto. Non sono questi difetti in Cristo; imperocchè dàsalute subita, e ha vertù la medicina sua di dare salute inuno punto immantanente, non ci mette intervallo ditempo, no. E questa cotale utriaca si mostra in sulla cro-ce, massimamente quando perdonò al ladrone i peccatisuoi. Grande cosa fu quella a uno ladrone, a uno chesempre era essuto peccatore, sanza dottori, sanza predi-catori e sanza nullo esemplo! Ebbe vertù e potenzia, lavertù divina di Iesù Cristo figliuolo di Dio, di renderleperfetta salute in uno punto. Quì si mostra chiaramentela vertù di quella utriaca medicinale. E però gli disse: ho-die mecum eris in paradiso. E credi forse che questavertù sia mancata, o indebolita, o invecchiata? Non è daciò; così è fresca e così è giovane e fanciulla, come il pri-mo dì, come in quella ora ch’egli perdonò al ladrone. Equesta è quella medicina e quella utriaca, colla quale tut-todì siamo medicati e curati; che se Iddio e Iesù Cristonon l’avesse lasciata, nullo mai si potrebbe salvare o ri-cevere nulla curazione. La quale vertù lascioe ne’ prela-ti, e ne’ pastori della Ecclesia, e ne’ santi sacramenti,com’ è il battesimo santo e gli altri. Vedi dunque t’homostrato per quattro belle ragioni e vive, come questonome Jesus fu proprio ed è del Figliuolo di Dio, più ve-ramente che di tutte l’altre creature. E sì perchè dà salu-te vera d’anima e di corpo, e sì perch’egli è principio e

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cagione di ogni salute, e sì perchè dà salute compiuta eintera più egli per sè che tutte l’altre creature; e sì per-chè la salute che dà è eternale, che non si perde mai incolui cui è, ed in sè mai non invecchia, nè indebolisce,perocchè è eternale ed aopera sanza tempo. Non vo’ di-re più, perch’è dopo nona, e anche per la predica di sta-mane che fu bella e ricca. Deo gratias. Amen.

XXXI

Frate Giordano, 1305, domenica, a dì 2 di Gennaio, la mattina,in S. Maria Novella.

Misit Dominus Filium suum natum ex muliere, factumsub lege. Sopra tutte le cose che la santa Scrittura si sfor-za di recarne a memoria si è i beneficii, i quali Iddio n’hafatti e fa continuamente; imperocchè ’l beneficio e ’l do-no ha vertù in sè di dare e di crescere l’amore divinonell’uomo sopra tutte le cose; e specialmente ne riduce amemoria quello sommo beneficio, il quale ricevette tuttal’umana generazione, quando il Figliuolo di Dio presecarne umana; chè fu questo sì grande beneficio, che nonsi potrebbe dire; ma potremne considerare alcuna cosanelle parole che proponemmo, che sono di santo Paolo,nella pistola che si canta in questi santi giorni. Nellequali parole potemo vedere di questo grande beneficiodella grandezza sua, da tre parti che si toccano in questabrieve parola. L’una si è se consideriamo ex parte mit-tentis, in ciò che dice: misit Deus. La seconda si è se con-sideriamo ex parte missi, in ciò che dice: Filium suum.La terza si è ex parte modi vel termini, natum ex muliere.Dico prima che ci mostra la grandezza del beneficio chericevemmo in questo dono santissimo, cioè che ne fu da-to il Figliuolo di Dio. Se consideriamo il suo principio,cioè chi fu il mandatore, questi fu Iddio. E qui potemo

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considerare due beneficii in questa missione, i quali sitoccano in queste due parole: misit Deus: l’una si è prop-ter offensionem, Deus, l’altra propter missionem, misit.Mostrasi prima la grandezza di questo beneficio, in ciòche quegli che ’l mandò e diede non era tenuto a nulla.Quando la persona è debito di fare alcuna cosa, s’egli ilfanno pare servigio e non è, ch’egli ’l de’ fare ed ènne te-nuto: onde se uno ti desse uno castello, che fosse tenutodi darloti, or che dono ti farebbe? nullo, non è da saper-negli grado; ma quando non ti fosse tenuto, or quello sa-rebbe servigio grande. Siccome del padre che dà la cre-ditide al figliuolo, non pare che sia grande beneficioquesto, perocch’è suo figliuolo, e ènne tenuto secondola legge naturalmente; ma s’egli aleggesse alcuno per suofigliuolo, che non fosse, e dessegli la reditade sua, orquesto sarebbe bene grande beneficio. Cotale e maggio-re è il beneficio che ne fece Iddio; imperocchè Iddionon c’era tenuto a nulla, per nulla ragione o cagione, senon sì volea; chè, avvegnachè possiamo essere detti fi-gliuoli di Dio, perchè n’ha criati, questo si potrebbe diredi tutte le criature. Ancora che beneficio gli facciamonoi o potemo fare? nullo; anzi il dico più, ch’eravamodegni di male e non di grazia per li peccati nostri, peroc-ch’eravamo suoi nemici, e tuttodì l’offendiamo, non so-lamente in noi, ma ne’ padri nostri; e più siamo degni dipene che i figliuoli d’Adamo da questa parte. E impe-rocchè il figliuolo è tenuto al peccato del padre suo, co-me siamo noi per li nostri padri, così dice santo Paolo,tutti nasciamo figliuoli d’ira, cioè per lo peccato origina-le del primo padre. Puote il padre fare tale peccato tem-poralmente, che n’è morto il figliuolo e sbandito, equanti ci avesse, e tutte sue rede. Così è qui per lo pec-cato de’ primi padri. Eravamo nemici di Dio e sbandititutti. Ma più si moltiplica in noi questa nequitade, inquanto noi avemo più padri che non ebbono gli antichi,che n’avemo forse più di C o di CL, i quali tutti fuoro

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peccatori. Tutto questo arroge al male; ma ancora cis’arroge più, cioè i peccati nostri, che tuttodie commet-tiamo contro Iddio; e però Iddio non doni, ma peneavea ragione e cagione di darci; guarìe a ciò, anzi timandò questo dono santissimo. Vedi che grazia t’ha fat-ta, acciocchè t’accenda nel suo amore! La seconda ra-gione che cresce questo dono si è propter missionem.Quando l’uomo abbisogna d’alcuno beneficio d’altrui,perch’egli andasse insino a lui, e addomandasselo e pre-gasselne, sì farebbe bene, e de’ lo fare, e spezialmente se’l beneficio è necessario, e non farloti venire a casa e an-darti caendo. Così fece Iddio a noi; e però dice: misit.Non stette contento di darloci, ma di mandarloci. Nonguatò perchè tu fossi villano dalla tua parte e sconoscen-te, che dovevamo andare insino alla corte sua, ma nonguatò a ciò; il ci mandò insino a casa, che non l’andava-mo caendo, nè addomandavamo; ed egli andò procu-rando la nostra salute. Tutto questo fece per sommoamore, e acciocchè ti accendi in amore tu di lui. Or fare-sti qui quistione e diresti: che mandamento fu questo?or non è Iddio in ogni luogo? Sì bene, Iddio è in tutto ilmondo, e non è luogo, nè punto ove Iddio non sia: sic-come è dell’anima nostra, ch’è in tutto ’l corpo; non ci èparte ove non sia, però che dovunque tocchi sì senti: co-sì Iddio è in tutto l’universo. Dunque che mandamentofu questo, conciosiacosach’egli sia presente in tutti i luo-ghi? Questo è in tre modi, per tre ragioni si dice che ’lmandò: l’una si è ratione apparitionis, la seconda si è ra-tione elongationis, la terza si è ratione locutionis. La pri-ma ragione si è, e questa spone santo Augustino, si è ra-tione apparitionis. Dimmi che mandare fu questo?Questo non fu altro che un apparire. Iddio ch’era invisi-bile ed è spirito, e di sua natura è indivisibile, lì si vollemanifestare; e in prima sì manifestò agli angeli e poi anoi. Allora apparì e manifestossi, quando egli prese car-ne della Vergine e diventò uomo, quegli ch’era invisibile

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apparve visibile. Così il dice la Scrittura in più parti, co-sì dunque la spone santo Augustino. Che mandare fuquesto? fu uno apparimento. La seconda ragione si èratione elongationis. Avvegnachè Iddio sia con tutte e intutte le creature presente, ma pur il peccatore hae in sècosa ch’è di lungi da Dio, cioè il peccato; e però Cristofacendosi uomo stette con noi peccatori, che gli erava-mo di lungi, come, dice il profeta, all’isole dalla lunga,l’isole le quali sono lunghissime più che l’altre. Dice ilprofeta: ecco che ’l desiderato, cioè Cristo, verrà a noi.Per queste isole s’intendono peccatori, che sono lungeda Dio, e sono allato al mare di questo mondo. La terzasi è ratione locutionis; chè non solamente fu contentoIddio di mandare i profeti e i santi della legge, i quali nediedero le Scritture divine; ma vollene mandare il Fi-gliuolo suo unigenito, acciocchè udissi la dottrina collasua bocca, e ancora non cessa di mandarti i dottori e ipredicatori: questa è la terza ragione. La seconda cosache mostra il grande beneficio si è ex parte missi, in ciòche dice: Filium suum. E qui potemo ancora considera-re due belle ragioni dell’altezza di questo beneficio.L’una si è ex parte Filii, chè dice che ti mandò il Fi-gliuolo. Mirabile cosa è questa a pensare, e inebriansiqui i santi! Conciosiacosachè Iddio ne potesse salvarein mille modi e per tutti i modi; e volea per angelo, oper uomo, o per una creatura, o più col suo volere, san-za fare altro, sì ci potea dare quella salute che ci diedeper lo Figliuolo; chè vedi pur che negli alimenti sta lasalute tua, ha voluto Iddio che ti salvi sotto gli alimenti:questo mostra come ti potea salvare in ogni modo. Manon fu contento a ciò, anzi ti volle dare il Figliuolo suo:sommo amore mostrò qui. L’altra cosa si è che ne toccala prima ragione, come il Figliuolo è unigenito del suoPadre, in ciò che dice: suum. Chi avesse molti figliuoli,perchè uno ne morisse, ovvero si partisse, ovvero in-trasse in religione, non pare che se ne curi; dice: e’ me

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ne rimangono anche; ma quando e’ n’avesse pur uno, equello perdesse e da lui si partisse, or allora è il duolo.Ecco che Iddio ti diede l’Unigenito suo Figliuolo, chenon ha più, e quello ha dato a te. Or che amore è que-sto? fornace d’amore. Or potresti fare qui quistione edire: perchè mandò a pigliare carne pur il Figliuolo, enon lo Spirito Santo, ovvero il Padre, conciosiacosachèl’uno il potea fare così come l’altro? Perocchè, avvegna-chè siano tre, tuttavia e’ sono una persona, uno Id-dio,una essenzia, una potenzia, e quella verità c’hal’uno ha l’altro. Ma tuttavia parve di più convenientia, edi questo potremo vedere altre tre ragioni: ratione suaepietatis, propter matris dignitatem, e ratione nostrae hae-reditatis. Prima propter suam pietatem; chè queglich’era figliuolo del Padre in cielo, fosse figliuolo in ter-ra; se lo Spirito Santo fosse incarnato, erano poi due fi-gliuoli; ma lo Spirito Santo non sarebbe essuto figliuolonaturale di Dio, ma per grazia, siccome noi; ma il Fi-gliuolo di Dio fu figliuolo di natura e non per grazia.Questi fu quello Figliuolo che in cielo fa sanza madre ein terra sanza padre. La seconda ragione si è per onori-ficare la madre: potea farle maggiore onore, che farlamadre del suo Figliuolo naturale? Non è tale degnitadedello Spirito Santo in quel caso, avvegnachè sia uno Id-dio con lui iguali. La terza ragione si è per darne la ere-ditade. Il Padre può ben dare l’ereditade al figliuolo, edee, ma avendo figliuolo, ed egli volesse darli compa-gno un altro, nol può fare sanza alcuno consentimentodel figliuolo. Ma quando il figliuolo n’è contento e falloe’ medesimo, or allora è il fatto sicuro. E però mandòIddio il Figliuolo, e però incarnò egli, acciocchè si fa-cesse nostro fratello, e per darci la reditade; e però diceSanto Paolo: oggimai non siamo più servi, ma figliuoli,e se figliuoli, sì saremo eredi. Deo gratias. Amen.

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XXXII

Frate Giordano, 1305, dì 6 di Gennaio, il dì della Epifania, inSanta Maria Novella.

Cum natus esset Jesus in Bethleem Iuda, in diebus He-rodis regis, ecce Magi ab Oriente venerunt Hierosoly-mam, dicentes: ubi est qui natus est Rex Iudaeorum?, ecc.In questo giorno si fa memoria in tutto ’l popolo Cristia-no di tre grandissime cose, c’addivennono in questogiorno in diversi anni. L’una sì è che in questo giornovennono li Magi e adoraro Cristo: avea allora Cristo 13dì dal natale suo. L’altro si è che in questo dì fue battez-zato, rivolti 30 anni, ovvero 29; perocchè qui ha diffe-renzia d’uno anno tra santi, per la parola del Vangelo,che si puoe recare a diversi intendimenti: e quinci escela quistione tra santi; chè chi di loro dice che ’l Signorevivette 33 anni e tre mesi, e chi dice d’uno anno meno,cioè 32 anni e tre mesi. Questa differenzia avemodell’età di Cristo. L’altra cosa c’addivenne in questogiorno si fu il miracolo che fece Cristo nelle nozze in Ca-na Galilea, che fece dell’acqua vino, che fu il primo mi-racolo manifesto che facesse. Questo fue uno anno po-scia del battesimo di Cristo, e però questo dì è di grandesolennitade in tutto ’l popolo Cristiano. Ma la festa tuttae tutto l’ufficio non è, se non pur dell’adorazione de’Magi: è propia di ciò la solennità. Di questi Magi fanno isanti molte quistioni; chè fanno quistione e domandano,che fu quello che gli mosse a venire; fanno quistione chifuoro questi Magi, e onde fuoro, e che condizione fu laloro, e quanti furono, e in quanto tempo vennono. Tuttequeste quistioni fanno i santi, perocchè ’l Vangelo noldice; ma perchè ’l Vangelo nol dica, e’ si truovano altrestorie per altri libri, per li quali queste cose si sannobuonamente. Fuoro mossi primieramente questi Magiper lo segno della stella che nuovamente appario: per la

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quale conobbero, secondo ch’erano ammaestrati da’ lo-ro padri e da’ loro antichi; perocchè un loro antico aveaprofetato di Cristo, come nascerebbe, e che nella sua na-tivitade dovea apparire e nascere una novella stella, de-putata propiamente al servigio del natale di Cristo. Ve-dete qui che dicono i santi, che i pagani non fuoro altutto sanza alcuna fede; imperocchè tra pagani fuoromolti di quelli che credettono Cristo, eziandio anzich’egli incarnasse; e se addomandassi in che modo, ri-spondoti: o che l’avessero da certi profeti, che non fuoroal tutto infedeli di ciò che i profeti dissero, o che l’aves-sero da loro idoli, o vuo’ da certe sibille. Sicchè si truovadi molti pagani, che ebbero fede in Cristo e aspettavan-lo, e che ’l desideraro, e molti ne moriro nella fede sua,credendo e sperando che dovesse venire, avvegnachènon fosse ancora venuto: i quali, credono i santi, che tut-ti sieno salvi; e così è da credere, che ne fuoro molti de-gli altri, de’ quali non è memoria nulla. Vedete che haeIddio auta alcuna misericordia de’ pagani, che non sonocosì al tutto perduti. Questi Magi erano pagani, e sìaveano fede grande in Cristo, siccome poi il mostraro:questi Magi fuoro le primizie de’ pagani, siccome i pa-stori fuoro le primizie di Giuderi. Vedete che nato Cri-sto d’ogne gente, trasse a mostrare che di tutte le genti,dovea fare uno popolo: tutte le genti del mondo eranodivise in due parti, cioè Pagani e Giuderi. L’uno erabuona legge, gli altri erano sanza legge: i Giuderi eranouna grembiata appo l’altra gente. Di questi due popoli,cioè di queste due genti, si fece una gente e uno popolo,cioè Cristiani; perocchè non solamente fuoro i Gentili,ma molti di Giuderi, diventaro Cristiani. Se domandassionde questi Magi fuoro, dico che fuoro d’Oriente, avve-gnachè Iesusalem è bene appo noi nel levante, ma quellierano di più oltre verso il levante, d’India, d’Arabia, diquelle contrade. Fanno ancora i santi quistione, checondizione fa la loro. Questo si può comprendere pur

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per lo nome, che sono detti Magi. Magi è a dire in quel-la lingua uomini savissimi e filosofi, e in altra lingua è adire grandi signori di gente, o re, o grandi baroni: e que-sto si truova bene per altre storie, che furono e l’uno el’altro, grandi signori e grandi savii. Avvene ancoraun’altra grande testimonia, cioè le prime dipinture chevennero di Grecia di loro: onde le dipinture sono librode’ laici, ed eziandio d’ogne gente; perocchè le dipintu-re vennono tutte da’ santi primamente: acciocchè se nepotesse avere più compiuta conoscenza, sì faceano le fi-gure de’ santi prima come erano, e nella figura, e nellacondizione e nel modo. Onde si truova che Nicodemodipinse Cristo in croce in una bella tavola, primamente aquella figura e modo che Cristo fu, che chi vedea la ta-vola, sì vedea quasi tutto ’l fatto pienamente, tanto eraben ritratta, secondo il modo e la figura; chè Nicodemofu alla Croce di Cristo, quando vi fa posto e quando nefu levato: e quella è la tavola onde uscì poi quel bello mi-racolo, onde si fa la festa del santo Salvatore. Così altresìtroviamo che santo Luca dipinse la Donna nostra in suuna tavola ritratta, tutto appunto com’era, la quale tavo-la è oggi in Roma, e serbasi con grande divozione. Fa-ceano i santi quelle dipinture per dare più chiara notiziaalle genti del fatto; sicchè queste dipinture, e spezial-mente l’antiche, che vennono di Grecia anticamente, so-no di troppo grande autoritade; perocchè là entro con-versaro molti santi che ritrassero le dette cose, ediederne copia al mondo, delle quali si trae autoritàgrande, siccome si trae di libri. Onde per quelle dipintu-re che vennero di Grecia sapemo certamente che fuorograndi signori; perocchè sono dipinti con corone di re incapo; e quindi altresì si può sapere quanti fuoro, chefuoro tre, e così sono dipinti tre insieme. Se dicesse: chemosse questi Magi? Fu grande fede e grande divozione.Fede gli mosse che Cristo fosse nato, e però vennono;divozione gli mosse, chè credettono che non fosse re ter-

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reno, ma celestiale. Vedete dunque ch’ebbe Iddio alcu-na misericordia di pagani. Vennono questi Magi in 13 dìcotanta via: alcuni santi dicono che non vennono moltoinfra l’Oriente; altri dicono che vennono un anno dopo’l natale di Cristo, mo’ non si tiene questo; altri diconoche venner pure in 13 dì, ma venner siccome Dio volle,che gli aiutò, chè per vertù loro non sarebber venuti in sìpiccol tempo. Giunsono costoro in Ierusalem, ch’eracittà reale, dicendo, cioè facendo domandare: Ubi estqui natus est rex Iudaeorum? Dicono qui i santi, che simisero al martirio e fuoro quasi martiri. Qui si mostra lafede grande ch’ebbono, non temettono d’addimandarealtro re fuori da Erode; e dissero una nuova cosa, addi-mandaro colui ch’era nato re. Solo Cristo nacque re, tut-ti gli altri non nascono re, ma miseri. Egli era re del cieloe della terra. E dissero: avemo veduta la stella sua inOriente. Di questa stella fanno i santi molte quistioni,siccome ella non fue stella celestiate; perocchè nulla co-sa celestiale può stare quaggiù negli elementi; nè nullacosa elementale può stare in cielo, se non solamente ilcorpo glorioso. Onde non ci aspettare nè altro oro, nèaltro ariento, nè altre vestimenta; perocchè queste cosein cielo esser non possono. Ancora imperò che, avve-gnachè le stelle e i cieli avessero principio, ma e’ nonaveranno mai fine, perocchè sono di natura eternale, chenon possono mai venire meno o invecchiare, ma sempredureranno in eterno: ma quella stella venne meno, in-contanente fatto il servigio. Ancora non fue stella coma-ta. E è grande maraviglia di queste comate, che ne sonodi diverse maniere: non sono stelle veraci, ma paiono;imperocchè sono vapori sottilissimi e secchi, i quali, pervirtù d’una stella che si chiama Marte, si levano in altiinsino agli elementi del fuoco, ed ivi s’incendono e parea vedere stella; ecco maraviglia, che la stella di Marte,ch’è una della pianete, ha vertù e potenzia di fare stelle,cioè le comate, e fanno razzuoli alcuna volta inverso ’l

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levante, e quando inverso il settentrione, e alcuna voltainverso ’l merigge. E di tali sono che gettano il suo raz-zuolo in alti in su sopra sè, inverso ’l cielo; e di tali che ’lmandano giù ritto inverso la terra; e sono di quelle chehanno molti razzuoli d’intorno, che paiono crinute.Queste comete appaionne alcun’otta di grandissime, eun’otta n’apparver tre a un tratto, ed eran grandi a vistacome ’l Sole, catuna per sè. Apparverne l’altr’anno due,ma fuoro piccoline. Queste cotali comete, quando ap-paiono, significano tuttavia grandi cose; e quando alcu-na n’appare, sì sono su tutti i savii, e spezialmente in Pa-rigi, e proveggono che sarà, e catuno dice la sua. Chidice una e chi dice un’altra, e rade volte s’appongono alvero. Sopra quelle due di l’altr’anno dissono i savii mol-te cose, e catuno disse la sua sentenzia, e in Parigi nefuoro grandi quistioni; ma ciò che dissero non fu nulla;parea a loro che le giudicassero sopra Lamagna. Questecomete sempre, quando appaiono, significano male: ma-le dico, come se di fame, o di mortalità, o di tribolazioni,o di battaglie, o di mutamenti di reami, e cotali cose.Queste cose appello male; avvegnachè non siano male,ma bene, in quanto che Iddio ordina e fa tutte le dettecose, e regge il mondo come si conviene colla sapienziae prudenzia sua. Le quali cose, avvegnachè in sustanziasiano rie, ma e’ n’esce e seguitasene bene. ImperocchèIddio vede tutte le cose, e sa bene quel ch’è mestiere. Lastella che apparve per lo Signore fu tutta per contrario aquelle. Imperocch’ella significa bene, e il maggior benee il più perfetto che potesse essere. Della parola delVangelo trassero gli eretici mala dottrina, chè dissono ecredettono ch’ogni uomo avesse sua stella, e comunquenascesse gli fosse data la stella sua, non sua a suo servi-gio, o a sua petizione, no; anzi egli all’ubbidienza dellastella, cioè che la stella fosse sua donna, che non potessefare, nè dire, nè pensare, nè eziandio azzicarsi, se nonquanto la detta stella gli permettesse; e recanne la prova

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del Signore, e dicono: Ecco che incontanente che ’l Si-gnore fu nato e la stella sua apparve. Questo errore è dipiù pazzi errori che mai si dicesseno; imperocchè questoerrore hae il più debole fondamento che nullo erroreche sia. L’uno, perocchè le stelle non sono al numerodegli uomeni, e non si potrebbono mai annoverare pernullo uomo. I savii annoverano bene le più grosse chechiaramente si veggono, e colserle 1022; ma le minutestelle che sono nel cielo sono tante, che non si potrebbo-no dire nè numerare, nè eziandio non si possono vedere.Onde dicono i savii, che quelle stelle che volgarmente ilaici chiamano la via di san Iacopo, che per me’ ivi ungrande chiarore, che si vede molto quando è un grandesereno, e quanto più è sereno più appare quel chiarore,che dà quasi un abbagliore all’altre stelle intorno a quelluogo. Dicono i santi, che quello chiarore non è per al-tro, so non perchè quivi ha mille milia stelle fitte e minu-te, che non si veggono, e gettano quello chiarore. Dun-que ben fuoro matti quelli che dissono che le stelleerano al numero degli uomeni; ma se avessero detto chele stelle tante fossero quante sono le nature delle cose, ecatuna avesse signoria sopra alcuna natura, parea più ve-risimile il detto loro; e certo questo potrebbe esser vero;e credono i savii che così sia, e non è questo contra allaragione. Ancora vedi come fondaro in falsitade, chè lestelle celestiali mai non si mutano, sempre sono quellemedesime, e non crescono e non iscemano, nè mutansi.Ma odi che dice il Vangelo: dice che la stella era del Si-gnore, e non il Signore della stella; a mostrare che quellafu ministra di Cristo e al suo servigio. Ma se tu dicessiche le stelle hanno virtù nelle cose di sotto, dico ch’è ve-ro; e però l’errore di costoro non fu tutto falso; ma avve-gnachè ci avesse molta falsità e la maggior parte, tuttaviae’ c’ebbe e ha alcuna verità. Siccome addiviene in tuttigli altri errori, che non sono in tutto fondati in falsità,ma hacci assai di verità, ma tra quella verità ha mischiata

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alcuna falsità; siccome addiviene in tutti gli altri errori,come il demonio ordina e fa. E non è si piccolo errore,avvegnachè tutto l’altro sia come dee, che non ti facciaeretico. E però in quest’errore hae alcuna veritade:ch’egli è verità, che le stelle e i corpi celestiali hannovertù e potenzia nelle cose di sotto grandemente; sicco-me ne’ corpi. Imperò, quando tu se’ di grande statura opiccola, tutto è dalla stella; quando se’ bello o rustico, obianco ovvero rosso, tutto è dalla stella; quanto se’ de-bole o forte, tutto è dalla stella. Ancora certi sono chenascono, e la loro nascita è inferma o mal sana, e altril’hanno sana e di buona complessione: tutto questo èdalla stella. Imperocchè talora addiverrà che uno sarà dinatura lussurioso, per lo grande calore c’ha in sè, e que-sti sarà molto stimolato di lussuria; altri saranno di natu-ra fredda, che non si cureranno di quello vizio; altri sa-ranno naturalmente niquitosi, e correnti ad ira e afurore, a altri saranno dolci e mansueti di natura, chequasi non pare che si possano adirare; tutto questo è pervertù della stella. Ma in ciò dissero falso quegli eretici,che dissero che la stella era donna della volontà nostra.Or questa fu cosa pessimissima, piena d’ogni errore ed’ogni male, chè diceano, che non solamente le sopra-dette cose, ma eziandio ch’ella è donna di tutte l’operetue, che tu non possi fare nulla, nè andare, nè venire, nèoperare, nè pensare più che dalla detta stella ti sia con-ceduto. Onde diceano che nella stella era il fatto dell’uo-mo, tutto ciò che dovea fare, e quanto vivere, e quelloche gli dovesse intravvenire, e alle dette cose non poterecontastare in nullo modo. Questa fu la più matta cosache sia. Imperocchè nulla stella, nè nullo angelo, che so-no sopra le stelle potenti, non ha nulla vertude sopra lavolontà dell’uomo. Per la quale volontà io posso fare perlibero arbitrio ciò ch’io voglio: onde, quando io voglioandare colà o qua, non ha a fare la stella nulla di miaopera; ch’io posso fare chiunque io mi voglio, e quante

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volte mi voglio, e ovunque mi voglio, e in chiunque mo-do voglio, non ci sia altro contasto d’altre cose. Di que-sto non ha a fare stella nulla, nè eziandio di lui. Vero èch’io posso morire prima, e affrettarla e indugiarla; an-cora posso contastare alla natura che m’ha data. Ondese io avessi la più corrotta natura del mondo, di più na-turale lussuria, non mi può sforzare la volontà di nulla inconsentire a ciò, anzi posso resistere troppo bene, avve-gnachè battaglia sia; ma io ho più merito, quanto più so-no combattuto. Sicchè tutte le cose, per lo libero arbi-trio e per la libertà della volontà, il ti puoi recare a tuagrande utilitade, e tutto il puoi fare merito e guadagno.E che la volontà dell’uomo non sia sotto signoria d’alcu-na creatura si prova apertamente per molte ragioni e lu-centi, le quali lasciamo; ma una cosa diciamo qui a no-stro ammaestramento. Dice santo Augustino, che ’lprincipio di tutti gli errori si fu il malo amore mondano.Imperocchè veggendo quelli cotali che la via di cielo eramolto stretta, e che volendo quelli beni superni era me-stieri che lasciassero questi. I quali eretici essendo occu-pati del malo amore del mondo, e non volendo lasciarequesti carnali diletti, si vollono rallargare la via che va alcielo; imperocchè ogni male di che l’uomo si rattiene, siè o per timore di cose di fuori, o per timore di cose d’en-tro. Le pene di fuori sono quelle che si dànno per li pec-cati pubblici e maggiori; le pene d’entro sono i rimorsidella coscenzia e della ragione: per le quali pene schifa-re, molti mali, i quali non sarebber puniti per le pene difuori, si raffrenano per quelle d’entro. Imperocchè,quando l’anima per buona fede ha coscienza in sè, quel-la cotale coscienza è uno legame e uno contastamento,che non ti lascia fare molti peccati, i quali potresti; ch’èuno freno che sempre t’è presente ovunque tu se’, chenon ti lascia peccare. Gli eretici veggendosi impediti iloro mali desiderii da questo contastamento, che insinoche ci era non poteano usare il loro mal volere, pensaro

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e ordinaro al postutto, per che via o modo si tagliasse elevasse via; e però diedono alle scritture intendimentifalsi di grande resìa, acciocchè liberamente potesserousare i diletti carnali e i loro mali voleri. Onde dice san-to Augustino, che ’l principio di tutte le resìe è venutoda carnalitade, che tutti sono essuti uomeni mondani,compresi di malo amore di mondo; intra quali errori fuquesto uno trovato e seguitato dagli uomeni carnalissi-mi, pieni di sozzure e di peccato. E vedete quanto maleè nascosto sotto questo uno errore; chè se tu mi toglil’arbitrio, e che ciò ch’io fo mi sia fatato, e non possa fa-re altro, sì tagli a un tratto tutto ’l merito e tutta la pena;perocchè, se io non posso fare altro, or che merito n’ho,ovvero perchè Iddio me ne dà pene? Imperò disfà il nin-ferno e ’l paradiso a un tratto, disfà altresì tutta la leggedivina e umana; chè se io non posso fare nè più, nè me-no, nè in altro modo che mi fati la stella, che dunque cifanno le leggi, o le divine, o vuoi le mondane? s’io imbo-lo, perchè m’impicchi? Dacchè io non posso fare altro,già non sono degno delle forche: Siccome addiviene del-le bestie: perchè uno leone o uno lupo uccidesse unouomo o più, non pecca e non è degno di forche; peròche non può fare altro, ch’è mosso a quella opera non dasuo arbitrio, ma da sua natura. Ben è vero che oltremon-te s’impiccano i lupi, quando uccidessono alcuna perso-na; ma di verità quello non si fa per li lupi principalmen-te, chè già sarebbe uno scherno e una stoltizia grande;ma fassi pur per gli uomeni principalmente, acciocchè imalfattori temano più: veggendo fare quello alle bestie èsegno che non sarà perdonato a lui. Così dunque le be-stie non meritano forche; così negli uomeni, se quelloerrore stesse. Dunque perchè fai leggi, o statuti o nulloordinamento? è pazzia. Simigliantemente, che ci vaglio-no i giudici o medici? Se io debbo esser libero, sì sarò, ese no no. E però vedete che sotto quest’errore, che parecosì piccolino, quanto male e quanto errore ci è appiat-

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tato sotto: vedete chente coda si tira dietro! E però fuo-ro quegli uomeni pessimi che ’l trovaro; ed è grande ma-raviglia che ancora ci sono rimasi de’ mali discepoli e se-guitatori. Eziandio tra’ cristiani sono molti che credonoche sia loro fatato ciò che fanno. Oh che male pessimoquesto è! Deo gratias. Amen.

XXXIII

Predicò Frate Giordano questo dì medesimo, in Santa MariaNovella.

Vidimus stellam eius in oriente, venimus adorare eum.Ierusalem è appo noi sul levante; ma i magi erano più in-fra l’oriente dell’India. Non vidono la stella in orienteinnanzi loro, ma viderlasi innanzi inverso ’l ponente, al-trimenti non avrebbe mostrata loro la via; e però disseroche quando erano in oriente là la vidono, e dissero: veni-mus adorare eum. Mostrasi di Magi fede grandissima, edivozione e grande fortezza; imperocchè non temettonodi domandare altro re fuori da Erode in quello reame;onde si misono a pericolo di morte, a domandare altrore, e fuoro quasi martiri per Cristo, chè si disposono allamorte per lui: grande fede e divozione mostravano, pe-rocch’egli andavano caendo re celestiale, non terreno;non al modo che si legge ne’ romanzi di molti baroni: iquali romanzi sono tutti favole e poca verità v’ha. Eranocerti c’andavano cercando di servire a grandi signori no-bili: se costoro avessero voluto fare ciò, ovvero ovepotevano andare meglio c’allo ’mperatore, ch’era allorasommo signore, ovvero pure a Erode, ch’era re gran-dissimo? Ma non andaro cercando re terreno, ma cele-stiale. Allora, vedendo il re Erode queste cose, sì dice ilVangelo che si turbò, e tutti quelli di Ierusalem con lui.Turbossi egli, siccome uomo tutto mondano, ebbe timo-

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re di non perdere il reame suo. Credea che dovesse esse-re re terreno, o che venisse con gloria di mondo; erratoera; non iera venuto per toglierle, ma per confermarglie-le, e ancora per dargli reame maggiore, quello di vita edanima. Questa è la condizione del peccatore: quandoviene a lui il frate, sì ’l teme, e nol vuole e schifalo; e diceche viene per tòrli il suo e per arraffare, quegli che ’l vie-ne per medicare e sanare. E però cacciano i religiosi, enon gli vogliono udire nè vedere; e però Iddio ne fa ven-detta, chè si muoiono come cani, sanza penitenzia, e nonacconcia nullo suo fatto; e se pur venisse per tòrreti deltuo, ancora nol doveresti cacciare, siccome tu non cacciil medico. Perchè viene il medico a te? Non per te, mapur per sè, per gli danari che tu gli doni, chè se non glicredesse avere non verrebbe a te; e sì nol cacci tu però,anzi ’l vedi volontieri, e fa’gli onore, e mandi per lui eda’gli del tuo. Almeno dunque doveresti fare a’ religiosicome tu fai al medico, chè, perch’egli vegna per averedel tuo, nol dei però cacciare, ch’egli ’l ti serve molto be-ne. Perchè dunque li cacci? E però di questi cotali Iddione fa grande vendetta, chè muoiono poi come cani. Se-guita poi che tutti i cittadini si turbaro con lui. Dicono isanti che questa turbazione fue falsa, chè n’erano moltolieti, ma mostravansene crucciosi col re, sentendoch’egli era uomo superbissimo. E dice che Erode feceragunare tutti i maestri della legge e tutti grandi savii,per sapere ove Cristo dovesse nascere. Maravigliosa co-sa è questa, dicono i santi, chè Erode non avea la fede diGiuderi, e non ne curava nulla; e d’altra parte mostrache desse fede a queste cose, chè gli fece ragunare inquel modo. Non è meraviglia questo, perocchè ’l pecca-tore non è unito ma diviso tutto, e hae in sè molte parti;e però vuole e non vuole crede, e non crede. Siccomeuno che tenesse uno reame, avvegnachè non desse fedea certe novitadi, ma tuttavia dubiterebbe sopra le novi-tadi che udisse dire, onde potesse perdere lo stato suo.

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Così era d’Erode. Non crededeva e non apprezzava lalegge de’ Giuderi niente, e sì dubitò e turbossi, e do-mandò dove Cristo dovesse nascere, ma non domandòdel tempo. Grande cecaggine fu questa! Cui Iddio vuolemale, sì gli toglie il lume; come dice il Profeta a Dio dipeccatori: Messere, togli loro il lume, e gli occhi e l’udi-re, e fagli ciechi e muti. Trovaro costoro il luogo, Bel-leem, e ben dissero vero, ma non cercaro del tempo. Sequesto avessero cercato, sarebber diffinite tutte le litic’avemo aute con loro, già è più di 1000 anni; perocchèin tutto s’accordano con noi, salvo che del tempo; pe-rocchè dicono ch’è a venire quello che noi diciamo ch’èvenuto. E troppo bene poteano trovare per le Scrittureloro il tempo nel quale dovea venire; chè intra gli altriDaniello il disse più apertamente, chè disse dopo 70 set-timane incominciando da lui verrà. Queste settimane sìsono settimane d’anni, cioè 490 anni; e così compiuti idetti anni venne Cristo. Ancora fuoro ciechi eziandio inquel medesimo, che dissero del luogo. Le Scritture di-ceano che sì dovea nascere in Belleem, e così fu: ma quifallaro, chè credettono dovesse esser quivi ingenerato, eivi conversasse: ed e’ non fu così; perocchè fu ingenera-to in Nazareth, e ivi conversò ben 30 anni, ma nacque inBelleem. Sicchè, quando i Giuderi vedeano Cristo, di-ceano: non è esso, chè dee esser di Belleem, e questi è diNazareth; e così accecaro. Ed egli era ben così, ma nonconsideraro il fatto bene. Poi Erode, avendo la risposta,chiamò i Magi, e volle sapere il tempo della stella, quan-do l’avessero veduta; e saputolo disse a loro: andate ecercatene, e quando l’avete trovato rinunziatelo a me,chè io voglio venire ad adorarlo. Mostrò questo malva-gio d’avere divozione a Cristo; ma ella era falsa, e tuttapiena di malvagitade. Grande meraviglia è questa, dico-no i santi. Questi, o aveaci fede o no: se non ci avea fede,perchè curava quelle cose? Se ci avea fede, come si pe-nava di contastare in quello che Iddio avea ordinato di

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fare? Molto era fuori di memoria. A questo si potrebberispondere come dicemmo di sopra, che ’l peccatore èdiviso e partito in sè medesimo. Crede e non crede, vuo-le e non vuole, fa e non sa che si fare, avolgesi e non sache si vuole. Così Erode non credea e credea, e voleacontastare a Dio e non potea. Vedi come Iddio l’accecò,chè, sappiendo egli ch’egli era nato, ed era là in quellacittadella, se v’avesse mandato incontanente, sì ’l pren-dea cogli altri: e Iddio l’accecò, chè nol fece. Quando iMagi fuoro fuori della cittade, sì vidono la stella loro, al-lora furono allegri molto; credesi che non la vedeano al-tri ch’eglino. Esemplo qui quando l’uomo lascia e ab-bandona il consiglio di Dio, e va al consiglio degliuomeni, e Iddio sì gli sottrae il suo aiuto; ma chi ben siconfidasse in Dio, Iddio mai non lo abbandonerebbe, econducerebbelo troppo meglio. E dice che la stella stavasopra la casa ov’era Cristo, e mostrollo. Questo casa siera quella loggia, quella mangiatoia, quello porticale,che santo Luca chiama diversorio, luogo da bestie.Quello che l’uno Vangelista dice oscuro, l’altro apre me-glio. Ogni cosa c’ha tetto e alcun riparamento, può esse-re detta casa in alcuno modo. Questo portico, dice alcu-no santo, ch’era tra due casette di villani, e stette ivi ladonna nostra pur assai, insino ch’ella l’andò ad offerireal tempio, cioè dal natale a’ 40 dì; o almeno ella ci stettequesti tredici dì. Qui si mostrò la grande sua povertade,che non fu nullo che l’aiutasse, o ricogliessela al suo al-bergo in tanta necessitade. E dice ch’entraro dentro iMagi, e trovaro il garzone colla madre sua; non c’era al-lora Gioseppo. E questo permise Iddio per belle ragio-ni: l’una per mostrare maggiore povertade, ch’era unapulciella poverissima con uno fanciullo, e stavasi cosìsanza nulla compagnia di persona. Vedi quanta poverta-de mostrò, e così abbandonata! Ancora per un altra ra-gione: acciocchè non potessono pensare in nullo modoche Giuseppo fosse suo padre, e però non lui trovaro.

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Or dice il Vangelo, che gli offersono offerte d’oro, d’in-censo e di mirra. Questo fue ordine di Dio;avvegnach’eglino il facessero per alcuna buona intenzio-ne, tuttavia Iddio l’ordinò a significare maggiori cose.Chè dalla loro parte sì ’l feciono primieramente, peroc-chè in quelle parti del levante d’India sì abbondanomolto quelle tre cose; perocchè là è il molto oro, chèv’ha alcuni fiumi che ne sono tutti pieni d’oro e d’arien-to. Là altresì abbonda lo ’ncenso, anzi di là entro vienequasi tutto quello che per lo mondo si sparge. La mirraaltresì ve n’hae assai, e usalla, c’ha vertù di confortare efortificare le membra di garzoni. Questa è l’una ragione,cioè perchè le dette cose abbondano là entro. L’altra sìè, che gli offersono oro per povertà, acciocchè avesseonde sostentarsi. Incenso, siccome è cosa divina, a cosacelestiale. Mirra, acciocchè ne ugnesse e governasse ilgarzone. Ma Iddio, ordinatore di tutte le cose, che di-spone e ordina tutti le cose secondo la sapienzia sua, sìordinò che questo fosse a maggiore rispetto. Perocchè lo’ncenso significò ch’egli Iddio; perocchè lo ’ncenso, e iPagani, e i Giuderi e i Cristiani il dànno a Dio; ma oggitra cristiani si dà anche agli uomeni. Usavano di porreun grande monte d’incenso in su l’altare, e faceano ilgrande fummo a Dio. L’oro significa com’egli era re ditutte le criature. La mirra siccome egli era uomo e doveamorire; perocchè la mirra hae a conservare da corruzio-ne il corpo morto. Sono certi matti, che non credonoche Iddio ordini ciò che si fa quaggiù. Non ci si fa sì pic-cola cosa, come tutto è grande ordine e dispensazionedivina. Questi Magi, dicono i santi, stettono colla Don-na nostra più dì; ma albergavano nella cittade, ovverosotto paviglione; eglino aveano grande gente con loro. Epresa quella consolazione e divozione del garzone chevollono, è da credere che domandaro la Vergine di mol-te cose. I doni che gli offersono, dicono i santi, che cia-scheduno offerse quelle tre cose; ma dicono che l’oro

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

che le diedono non fu molto, ma poco, forse un bisanteper uomo. E questo si mostra che in capo di 40 dì, quan-do venne al tempio, offerse due t–rtori, ch’era l’offertadi meno possenti. E fecero bene in ciò detti Magi; chè sel’uomo facesse ricchi i poveri, forse che non sarebbe ilmeglio; perocchè i poveri sono necessari al mondo; e haordinato Iddio che sieno, acciocchè i ricchi guadagninoper loro. Ben è vero che dice alcun santo, che gli offer-sono pur assai in oro. E in ciò si mostra la vertù dellaDonna nostra, che ’l diede tutto a’ poveri, e non si lasciònulla; e però non ebbe da offerire agnello. Molte altrebelle cose intorno a queste cose dicono i santi, le qualilasciamo ora. Stati i magi ivi alquanti dì (almeno vi stet-tono eglino due dì, vi giacquero), e l’angelo disse loroche non tornassero da Erode. E così se n’andaro per al-tra via nella regione loro. I quali, dicono i santi, che daindi innanzi vivettono santissimamente e in grande fede,e furono predicatori di Cristo. Ma non erano battezzati,perocchè non erano ancora fuori; ma dicono che inquelle contrade andò poi santo Matteo Evangelista aconvertire, ed erano ancora vivi, e allora li battezzò, efuoro da indi innanzi perfetti cristiani, predicatori diCristo, e vivettono santamente, e finirono in grande pa-ce, e l’anime loro si riposano con Cristo in vita eterna, esono santi, e fuoro seppelliti a grande onore onorevol-mente, siccome si convenia a loro; e stettono ivi i corpiloro grande tempo. Poi a tempo degli ’mperatori, quan-do erano cristiani, sì avieno grande divozione nelle reli-quie di santi; e però le faceano venire di tutto ’l mondo.Onde allora lo ’mperadore, ch’era in Gostantinopoli, fe-ce venire quelli santi corpi dell’Oriente, e fece loro unacasa di marmo bellissima, tutta d’un pezzo, e riposàrsiivi un grande tempo; poi a uno tempo, che di quelle san-te orliche si spandeano per le ecclesie tra ’l popolo cri-stiano, un santo vescovo di Melano, c’ha nome santoStorgio, ch’era allora vivo e vescovo, sì procurò tanto,

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ch’egli ebbe le dette corpora e fecenele venire in Mela-no; e fu grande maraviglia, chè gli fece venire con quellaarca grandissima del marmo, che fu miracolo, e operàrsimiracoli in quella venuta; e oggi sta il convento de’ fratipredicatori a quella chiesa del vescovo, e però hanno ilnome suo e chiamansi i frati di Santo Storgio; e stetteropoi ivi grande tempo. Poi al tempo dello ’mperadore Fe-derigo, non il sezzaio, ma il padre, ch’assediò Melano edebbela; e trovata dentro questa dignitade, quando sipartì, sì gline trasse e portogli nella Magna, in una gran-de cittade della Magna, c’ha nome Cologna. Ma nonportò l’arca del marmo, ch’era sì grave, che non avrebbepotuto; sicchè si rimase a Melano, ed è nella chiesa difrati predicatori. E, disse fra Giordano, io l’hoe vedutaed entra’vi dentro. é grandissima com’è una buona ca-panna, ed è di marmo, ed è tutta d’uno pezzo. E in Co-logna si mostrano quei corpi beatissimi. Non intendete icorpi interi, ma i capi: tre bellissimi capi, e sono di gran-dissima divozione; e, disse fra Giordano, io gli ho vedu-ti. Or questa è alcuna cosa della fine di Magi e del modoloro. Deo gratias. Amen.

XXXIV

Fra Giordano, 1305, Domenica mattina, dì 9 di Gennaio, inSanta Maria Novella.

Invenerunt illum in templo. Questo Vangelo d’oggi èuna storia del nostro Signore Gesù Cristo, che fu fattaquando avea 12 anni. Secondo diritto ordine questa sto-ria si dovea porre dopo la festa che si fa, quando il Si-gnore fu offerto nel tempio, ma è posta qui per altre ra-gioni, le quali lasciamo. I Vangelisti di tutta la vita diCristo e di tutte l’opere sue, da 40 dì del suo natale, cioèquando fu offerto nel tempio, insino a’ 30 anni, non

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scrivono nulla di lui, se non solamente questa storia chescrive santo Luca, che fu fatta quando Cristo avea 12 an-ni. Tutte l’altre cose de’ Vangeli e quelli grandi fatti, sìfuoro in quelli due anni e mezzo che vivette sopra i tren-ta. E dice così la storia: che essendo la festa de’ Giudei,andovvi Giuseppo, e Maria e ’l garzone; imperocch’eglierano giusti e santi, sì frequentavano meglio le solennita-di di tutti gli altri, e bastavano le feste di Giudei sette dì.Ora andando a questa festa, intervenne, come a Diopiacque, ch’egli smarriro il fanciullo. Puote essere cheall’entrare del tempio e all’uscire avea grande calca; sic-chè in quella calca lo smarrì. Credea la Vergine ch’eglifosse con Gioseppo, e Gioseppo credea che fosse conlei; sicchè non si diero troppo affanno di cercarne. Eraallora usanza che le donne andavano per una strada e gliuomeni per un’altra. Ben è vero che i fanciulli insino in12 anni, perocchè sono ancora puri, poteano andare ovoleano cogli uomeni o voleano colle donne, e gli uome-ni entravano nel tempio per la loro porta e le donne perun’altra. Sicchè, smarrito il fanciullo, l’uno credea chefosse coll’altro; ma poi, quando si ritrovaro e vidono chenon era con loro, cominciò la Vergine tutta a formidola-re, ed avea tanta gelosia, che non sapea che si fare; e diquesto dolore n’assegnano i savii molte ragioni, le qualinon diciamo. Venne Cristo al tempio avea 12 anni.Quello che questi dodici anni significhi lasciamo, ma di-ciamo questo: imperocchè ne’ dodici anni il fanciullocomincia ad avere lume di ragione. Ben è vero che unoha più tosto la ragione uno che un altro, e però ne’ dodi-ci anni sono molti che hanno molta malizia, e possonocommettere ben di gravi peccati; ma perciocchè comu-nalmente ne’ dodici anni i fanciulli sono di poco lume,l’opere loro non possono essere di peccato, perchè sonoancora puri; ma ancora incominciano ad avere alcunolume di ragione, alcuno intendimento; perocchè Cristoin quella etade volle venire al tempio, ben vi venne e pri-

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ma e poscia. Ma pur questo è scritto non sanza cagione,a dare esemplo a tutti i fanciulli, che quando incomin-ciano ad avere lume di ragione, che vadano alla chiesa, ei padri e madri loro li deono allora incominciare a fareloro usare la chiesa, e le prediche, e di confessarsi, eusarli a queste cotali sante cose. Guai a coloro che ciònon curano! La Donna nostra e Gioseppo l’andaro cer-cando intra parenti e conoscenti, ed andàrsene insino acasa di santa Lisabetta, ch’era sua parente, credendo chese ne fosse ito là. E non trovatolo nè ivi nè altrove, ri-tornàrsi in Ierusalem, e trovàrlo nel tempio, che stava inmezzo di Dottori, e udiva, e domandava e rispondea.Sopra queste cose e intorno di ciò dicono i santi le piùbelle cose del mondo, e i più belli ammaestramenti, iquali lasciamo. Dissero a lui: Figliuolo, che n’hai fatto?Ego et pater tuus dolentes quaerebamus te. E ’l Signore:E che è ciò che m’andavate caendo? Nesciebatis quia inhis quae patris mei sunt oportet me esse? Non sapevateche in quelle cose che sono del Padre mio mi convieneessere? Qui ha ancora bellissime cose, le quali lasciamo.Ritornàrsi poi in Nazaret, che vi avea ben sei giornate acomunale andatore, e dice santo Luca, ch’egli era suget-to alla Madre e a Gioseppo. Qui sono anche belle cose.Poi infine dice come ’l garzone crescea, e confortavasi, eandava innanzi in sapienzia e in grazia, dinanzi da Dio edinanzi dagli uomeni. E imperocchè qui ha dubbio, sì cistaremo un poco. Che è quello che dice santo Luca, cheCristo crescea in sapienzia e in grazia? Come potè cre-scere? Or non fu egli perfetto tuttavia? sì. In Cristo, di-cono i santi, fuoro tre sapienzie: e questa è bella cosa aconsiderare. L’una sapienzia si fu divina, in quanto egliera Iddio. Questa sapienzia mai non crebbe; perocchè inDio mai non può crescere nè menimare, perocch’egli èperfetto e non si muta mai, perocch’è eternale, sanzaprincipio e sanza fine. L’altra sapienza che fu in Cristo sichiama per gli santi sapienzia beata: e questa è quella la

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quale hanno i santi in vita eterna, chè veggiono Iddio afaccia a faccia, e vedendo lui veggono tutte le cose, sic-come in uno ispecchio. Questa sapienzia fu in Cristo;imperocchè incontanente che quella anima fu creata, eunita colla Deitade nel ventre della madre, sì fu beata, ecominciò a essere beata in quel punto; perocchè vide Id-dio immantanente, e vedendo Iddio vide e seppe tutte lecose passate, tutte le presenti e tutte le future, moltomaggiormente che i santi o che gli angeli, per la singola-re congiunzione. E però dicono i santi che quella animabeata di Cristo, eziandio nel ventre della madre ammae-strava gli angeli di paradiso e i maggiori angeli, cioè i se-rafini, che sono i maggiori e i più nobili angeli di vitaeterna. E però Cristo in questa sapienza mai non crebbe.La terza sapienzia che fu in lui, sì la chiamano i santi sa-pienza infusa, cioè donata. Questa sapienzia fu quellach’ebbe Adamo perfettamente; chè dicono i santi cheAdamo seppe tutte le cose, tutte le scienze, tutte le filo-sofie, tutte le nature. E non le penò ad apparare, ma in-contanente che Iddio l’ebbe fatto ebbe tutte queste co-se. Vedete quanta è la potenzia divina! Siccome è lasapienzia di dimoni, che non vidono mai Iddio e non losentiro, e sì sanno per la loro scienzia ch’egli è, e cono-scono il valore suo. Queste sapienzia fa in Cristo perfet-tamente; perocchè seppe tutte le cose, tutte le scienze,tutte le nature, tutte le filosofie, tutte l’arti, e tutto ciòche è; e seppe e conobbe tutte le nature, e di pesci, e de-gli uccelli e delle bestie, e che sapore hanno e ogni cose;tutto seppe nel ventre della madre siccome sa oggi, o co-me seppe ne’ 30 anni; sicchè ancora in questa non potècrescere. Dunque come l’intenderà la parola del Vange-lo, che dice che crescea in sapienza? Questo non è altroa dire, se non in apparenzia, chè secondo ch’egli cresceain etade, così mostrava il savere suo. Non volle mostrarela sapienzia sua in fanciullezza. Se l’uomo udisse direuna parola di grande sapienzia a un fanciullo d’otto an-

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ni, l’uomo si maraviglierebbe e crederebbe che fosse al-tro. E però il nostro Signore Iesù Cristo non si partìniente dall’usanza di fanciulli. Non dico che facessesciocchezze, o peccato, o nulla cosa disonesta, non piac-cia a Dio, chè in lui non potea cadere nulla cosa disone-sta o di riprensione, ch’egli era Iddio; ma non però dimeno usanze naturali di fanciulli sanza le dette cose te-nea; e così proporzionava tutte l’etadi. Ma quando fuedi 30 anni, or allora mostroe la sapienzia sua, quandopredicava e riprendea; imperocchè in quella etade l’uo-mo hae tutto quel buono senno che mai dee avere. Sic-chè ’l Signore cresceva secondo una sapienza esperi-mentale di pruova, chè provava per opera quello checonoscea per sapienzia. Onde ogni dì provava il Signorele cose, mangiando cibi e bevendo, e in altre opere. Nondico io che gli provasse tutti; chè ci ha di quelli dilettiche non si conveniano alla degnità sua: siccome il dilettodella carne, della lussuria; questo non provò egli mai.Nè ancora non provò tutti i cibi, no, ma pochi e grossi;ma non però di meno egli pur provava di quelle cose cheprendea ed usava. E questo è uno modo di crescere; chè’l Vangelo, che dice che crescea, non può mentire. Mol-te altre sottilitadi hae qui, le quali lasciamo. Dice ancheche crescea in grazia. Questo è anche l’altro dubbio. Co-me potea crescere in grazia Cristo? Due sono le graziedelle quali abbisogniamo; ma gli angeli non abbisogna-rono se non dell’una. L’una si è divina, l’altra si è uma-na. La grazia umana si è quella la quale riceviamo nelbattesimo, chè siamo purgati dal peccato: di questa nonebbero mestieri gli angeli, perocchè non peccaro giam-mai. L’altra grazia si è grazia divina: e di questa abbiso-gnaro, e noi altresì. Questa grazia è ne’ doni divini, nellegrazie divine, per le quali l’anima e gli angeli si fannobeati. Della prima grazia non abbisognò Cristo, ch’eglinacque santo sanza peccato; nè nella grazia divina noncrebbe, perocchè gli fu rovesciata tutta in tal modo, che

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più ricevere non potea, in tal modo, che soperchiò tuttigli angeli e tutti i beati. Imperò che gli angeli e i santitutti hanno la gloria e i doni a misura cotanta e non più;e mei la Donna nostra, avvegnachè i doni suoi e la graziasua sia incomprensibile, tuttavia a misura l’ha; ma Cristonon l’ebbe a misura, ma sanza misura, che non ha nè fi-ne nè fondo. Questa ebbe egli nel ventre della madre;tutta quella ebbe che creatura può ricevere, e però mainon potè crescere, chè quanto alla deità non potè piùcrescere nè meritare. Quanto alla gloria dell’anima nongli bisognava di meritare, ch’ella fu beata quell’anima in-contanente che fu criata; e quella medesima beatitudineebbe ch’egli ha oggi e ch’ebbe in sulla croce. Altresì nonpotea crescere nè meritare, quanto ad acquistare la glo-ria al corpo suo, chè a lui queste cose non bisognavano,cioè di morire, e di sostenere tanta pena e passione. Be-ne è vero che noi potremo pur dire, che ciò era mestierialla gloria del corpo suo, quanto è da una parte. Cresceadunque in uno modo, al modo che dicemmo di sopra.Ed altre sottilitadi ci ha, le quali lasciamo. Diciamo unpoco alcuna cosa a nostro ammaestramento brevissima-mente. Ecco che dice santo Luca, che la Vergine ritrovòCristo nel tempio. Ogni cosa che si truova è mestieri chesi perdesse quando che sia; di nulla cosa si può dire ri-trovata, se non di quella che si perde. Onde mostra quiil Vangelo, che la Donna nostra il perdesse. Come ilpotè perdere? Quattro modi sono di perdere Cristo, e inquattro modi si perde: aeternaliter, temporaliter, spiri-tualiter e corporaliter. Un modo di perdere Cristo si è,quando si perde eternalmente: e in questo modo il pèr-dono i peccatori, che sono nel ninferno; chè, avvegna-chè si chiamino perduti, e’ non sono perduti eglino, chèIddio gli ha ben sempre in sua balìa; ma e’ sono dettiperduti in ciò c’hanno perduto eglino, hanno perdutoCristo Iddio in tal modo, che mai il ritroveranno. E peròsanto Paolo appella il ninferno perdizione, quando dice:

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Guardatevi dall’avarizia e da’ peccati, i quali produconogli uomeni in perdizione. In un altro modo si perde Cri-sto, e questo è temporalmente, e questo è per lo peccatomortale; temporale è quando egli si può ritrovare e rac-cattare, e di questo perdimento dice Cristo nel Vangelo,e pone esemplo della dramma perduta. L’altro modo nelquale si perde Cristo si è spiritualmente: e questo èquanto ad alcuno visitamento singolare che Cristo fanell’anima santa, il quale è di grande dolcezza e consola-zione. In questo modo il pèrdono i santi spesse volte,non per difetto di Cristo ma per lo nostro, che siamo co-sì attedati dalla nostra corrotta natura; e però che Cristosi truova in questo modo pur dentro dall’anima, e quan-do l’anima esce fuori di sè e vaga per le cose del mondo,allora il perde. E questo è quello che dice la Cantica:Andaiti cercando per le vie e per le piazze, e non ti tro-vai. Hotti trovato nel cuor mio e nell’anima mia. Non sitruova alle piazze, o a’ crocicchi o ne’ mercati, no; pe-rocchè lo sponso gentile non vuole romore nè altra com-pagnia nel tuo pensiero. Ne’ detti tre modi la Donna no-stra mai non lo perdè; ma nel quarto modo, corporaliter,ben lo perdè alcun’otta, come fu oggi e alla croce, e mol-te altre volte; chè quando non l’era sempre presente, sine perdea molto diletto e consolazione; perocchè non leparea mai godere nè avere bene, se non quando ella ve-dea Cristo il figliuolo suo, pur di vederlo era sazia. Aquesto modo altresì il pèrdono i santi corporalmente, inquesto modo; chè quando l’anima si pasce e si diletta diCristo, è piena di tutte consolazioni. Di questa consola-zione conviene c’abbia parte il corpo. Imperocch’è tantala congiunzione tra la carne e lo spirito, che nullo dilettoe nulla allegrezza può avere lo spirito, che la carne nonne senta e abbia la sua parte. Onde vedete quando l’uo-mo si rallegra per alcuna buona novella, sì si rischiara erinvigorisce tutto ’l corpo, e dà grande aiuto e diletto al-la complessione del corpo; e così è del cuore altresì. E

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però i santi hanno diletto di Cristo e rifrigerio eziandiocorporalmente; ma questo si perde spessamente, comedetto è. Deo gratias. Amen.

XXXV

Frate Giordano, questo dì medesimo, dopo nona, in Santa Ma-ria Novella.

Vinum non habent. Dicono i savii e i santi, che nellenozze il vino più vi si confà che in tutte l’altre cose, pe-rocchè n’è maggiore mistieri; e se nelle nozze non è ab-bondanza di vino, ogni cosa v’e vitoperata. Onde inquello grande convito che fece quello grande re Assue-ro, una delle maggiori cose di quello convito, e dellemaggiori grandezze che ci fuoro, e ove più mostrò l’ab-bondanzia, si fu il grande fornimento e l’abbondanzadel tanto vino che ci fu. Onde nelle nozze, dicono i san-ti, il vino sopra tutte le cose n’è mestieri. Or queste noz-ze ove fu Cristo, significano le nozze e i beni di questemondo, le quali sono povere e difettuose di letizia, e delvino dell’amore celestiale. E ove questo vino n’è più me-stieri è massimamente nelle nozze; onde nelle nozze, di-cono i santi, sopra tutte le cose n’è mestieri il vinodell’amore di Dio. Imperocchè quella opera dilunga piùda Dio c’altra cosa, se questo amore di Dio non c’è. Ordicono ì santi che Iddio non sanza grande cagione per-mise che a queste nozze ove fu Cristo venisse meno il vi-no. Pensate voi forse che fosse opera d’abbattimento,che sì avvenisse così di rimbalzo? no. Perocchè dicono isanti che tutto fa ordine e disposizione divina, per darneIddio grande dottrina e sapienzia; perocchè queste noz-ze significaro le nozze e i beni di questo mondo, le qualisono povere, e ove è difetto di letizia e questo amore ce-lestiale. Sopra tutte le cose pare alle genti le nozze essere

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di grande diletto, e di sollazzo e di trastullo; ma avve-gnachè paiano così, non è cosa sì difettuosa quasi; pe-rocchè mostra quivi d’essere letizia, ed èccene grandissi-mo difetto, e più ne sono vòte, più viene meno l’amoredi Dio, e più ci si abbatte quivi che intra tutte le cose delmondo. Or dicemmo stamane di questo vino, di questoamore celeste, ch’è significato in questo vino per le sueproprietadi, le quali sono propriamente nell’amore diDio. E dicemmo che ’l vino aopera nella persona quat-tro cose, imperocchè ’l vino habet ad nutriendum, ad de-liciandum, ad satiandum et ad inebriandum. Disse frateGiordano: Ben avea intendimento di predicarevi di que-ste cose, che sono delle più belle cose, e delle più utili edilettevoli all’anima che possono essere, ma non ve nevoglio dire ora; perocchè io fo come colui che ha a di-spensare molti cibi, che gli dispensa secondo i tempi chesi conviene, e che siano più utili. Ora si è dopo nona, esono le genti piene di sonno e male attenti a udire; sic-chè così fatte cose non si convengono ora, nè a me nongiova di dire, quando non siete bene attenti: dirolle unaltra volta, se piacerà a Dio. Diciamo ora più cose leg-giere. Dissi dunque primieramente che ’l vino habet adnutriendum; e questo ti dissi che fa in quattro maniere,cioè quia vegetat, auget, generat et sanat, vel confortat.Stamane ti dissi pur della prima, cioè come ha vertù divegetare, cioè nutricare; ed ancora questa ti voglio ri-schiarare. Il vino, dicono i savii, s’ha vertù grande in nu-tricare, ma gli altri cibi per sè medesimi non possono;ma il vino ben notrica eziandio per sè medesimo, fa an-cora più, chè ’l nodrimento dell’altre vivande sono me-nate dal vino. Imperocchè l’altre vivande grasse nonhanno così vertù di moversi, ma il vino dà la via e menail notricamento degli altri cibi per tutte le parti parti delcorpo; perocchè il vino cerca incontanente il corpo inogni parte, e in questo modo dà la parte a tutte le mem-bra; e per vertù del vino tutte le membra ricevono notri-

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camento. Ed anche fa più, cioè che dà il proprio notrica-mento; imperocchè ’l vino immantanente si converte insangue, e ’l sangue ha la prima vertù di notricare, chèdel sangue si fa la carne, e l’ossa, e veni e le nerbora. Orcosì è propriamente dell’amore divino. Non possono lecose del mondo dare nodrimento all’anima, se questoamore non ci è mischiato; nulla sustanzia o vertù po-trebbon dare, sanza questo amore divino, nè fare alcunoprode o giovamento. Ma questo amore ogni cosa con-verte in tua sustanzia e in tuo accrescimento, e questetutte ti sono salutifere e in tuo prode. Dà eziandio il pri-mo nodrimento, perocchè si converte immantanente insangue, del quale si fa la carne, e l’ossa, e le veni e le ner-bora. E però dicea san Piero: Prendete il latte col qualepossiate crescere in salute. Questo vino chiama quasilatte. Il latte si dà ai fanciulli, perocchè non hanno fortestomaco, e convertesi incontanente, perocch’è di quellanatura che ’l sangue, e che sanza questo vino dell’amoreceleste, le cose e i beni del mondo non possono dareall’anima sustentamento. Odi santo Paolo come dice:S’io non avrò caritade, ciò ch’io fo mi perdo: s’io dessitutte le mie ricchezze a’ poveri, s’io ardessi il corpo miociascun dì, s’io avessi tutte le scienzie e parlassi colla lin-gua d’angelo, s’io non ho caritade, non mi vagliono nul-la. Più odi che dice: S’io avessi fede sì forte, ch’io facessevolare i monti, s’io non ho questo amore, non è peròniente, tutt’ogni cosa è vano. Ma quando hai in te que-sto vino della carità, allora tutte cose sono in tua salute,e sono in notricamento, accrescimento e confortodell’anima tua, e convertonsi in tua sustanzia; ed è alloracome quando l’uomo è ben sano, e mangia buoni cibi,che si fanno in lui carne e sangue, e convertonsi in suasustanzia, e dànnogli vertù e accrescimento; ma quegliche non è sano, e non ha buoni cibi, poco pro’ gli fanno.Or che vale ciò che tu fai, se non hai in te questo vino?nulla; ma quegli c’ha quest’amore di Dio, tutte le cose

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gli sono sustanzia. Se mangia, se dorme, se parla, s’egliva o sta, e ciò che fa, tutto gli si fa carne e sangue, tutto.E molte volte che non si credono meritare, che pur me-ritano, e perchè nol si credano sì pur meritano eglinoperò. Siccome quegli che sarà sano e averà buoni cibi,forse di tale non si crede egli essere notricato, che n’ènotricato, e fagli pro’ e bene: così qui altresì. Onde que-gli c’ha in sè l’amore divino, ogni cosa gli si converte inbene, come dice la Scrittura: Diligentibus Deum omniacooperantur in bonum; e altrove dice: Abbie caritade e faciò che vuoli. La seconda proprietade c’ha il vino, si èquia auget, cioè che dà accrescimento. Or così è del-l’amore celeste. Ma vedi qui che anzi che tu creschi ticonviene essere qualche cosa, e convienti essere nato;chè, se prima non fossi qualche cosa, mai non crescere-sti. Quale è quella cosa che ti fa nulla? é il peccato; maquando se’ fuori di peccato, allora se’ nato, allora se’ di-sposto a crescere. I savii dicono che ’l vino ha vertù pro-priamente di fare crescere, e di fare compiere le membrae distenderle, le quali starebbono rannicchiate, ma pervertù del vino si fanno compiute, secondo tutta la mate-ria sua. Imperocchè sciampia le veni e i pori, e larga-mente dà via e porta per tutte le membra igualmente co-me si conviene. Questo medesimo è dell’amore divino.Quali sono le membra dell’anima? le vertudi. Ondehanno accrescimento? hannolo da questo vino prezioso.Se non c’è l’amore divino, non ci possono essere le ver-tudi: incontanente si seccano e muoiono; ma per vertùdi questo vino stanno fresche, e crescono continoamen-te, e stanno in plenitudine e grassezza. E che le vertudiabbiano così radice e sostentamento da questo amore,odi san Paolo che dice: Charitas benigna est, patiens est,ecc. Dà alla caritade tutte le vertudi; onde tutte le vertu-di ha con sè la caritade, e da questa hanno ogni vigore eogne sustanzia. Non possono vivere le vertudi, se nonhanno nutricamento da questo amore. E però quanto

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meno ci è di questo vino, cotanto più sono morte e nul-la; e così per contrario, quanto più è questo amore, co-tanto sono più vive e maggiori, e più potenti; e peròquando questa caritade viene nell’uomo, tutte le vertudisi tira dietro. I santi, che conobbono questo, si sforzarocon questo amore fare grandi l’anime loro. Ma sono diquelli, che studiano pur di crescere il corpo, e l’animalasciano stare misera e cattiva; perocchè l’accrescimentodel corpo è diminuzione dell‘accrescimento dell’anima.Non possono stare insieme, perocchè sono contrarii.Onde quelli che studiano d’ingrassare la carne e di cre-scere le cose temporali, è via d’uccidere l’anima sua.Molti sono quelli che studiano d’accrescere pur le cosetemporali, e dell’anima non curano niente. Ma i santi,che studiavano di crescere l’anima, non si curavano del-le cose temporali, ma disprezzavanle e teneano il corpomagro, e digiunavano e studiavano in penitenzia. La ter-za proprietà del vino si è quia habet ad generandum.Deh, or non vedete voi che le cose del mondo non pareche possano crescere nè andare innanzi, ma incontanen-te vengono meno? Or non vedete che non ci ha una ric-chezza antica? Tutte le ricchezze antiche sono venutemeno, e non ci ha ricchezza di cento anni nè di sessanta.Tale solea averne l’avolo o ’l padre ricco, e ora è povero,figliuoli e nipoti non hanno nulla. Tutte sono novelle lericchezze, tutte, di tutta Italia; e se voi foste pazienti, iove ne conterei assai, e molte cose. E de’ reami, tutti sononovelli altresì, so non se un poco il re di Francia, e quasici ha che dire. Ecco gl’imperadori non potero mai farec’andasse il loro discendente appena in terza generazio-ne, se non si fu un poco Gostantino; e fecer tali palagi etali maraviglie che non si potrebbe dire, solamente per-chè durasse il nome loro; e chi fece libri e chi altre cose.Or che n’è oggi? Non se ne saprebbe nulla, se non fosseper le leggende de’ santi, che conviene che si mentovino,e quella cotanta memora è per loro vergogna. Dimmi al-

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tresì: Or e’ non c’è oggi nullo che sappia chi si fosse ilsuo quinto avolo, appena il terzo avolo, anzi appena ilbisavolo, incontanente si dimentica. Non possono molti-plicare le cose del mondo. Ma vedete di quelli ch’ebbe-ro questo vino dell’amore di Dio, com’è grande la lorogenerazione, e come sono moltiplicati in figliuoli infiniti.Vedete questo nostro santo padre santo Domenico, chebevè di questo vino, quanti figliuoli hae ingenerati. Il vi-no dice che ’ngenera vergini. O quanti sono i verginidelle religioni, e di santi frati che tengono castitade everginitade per amore di Dio? Parti ben che questo vinoabbia vertù di generare, e che ’ngeneri vergini? Ben lovedi. La quarta operazione e proprietade del vino si èquia habet ad sanandum. E assegnanne e’ savii quattrobelle ragioni, per le quali ha vertù di sanare: ratione ab-stersionis, ratione mordificationis, ratione...... et ratio-ne..... (sic) Prima dico ratione abstersionis, perocchè di-cono i savii che ’l vino ha vertù di lavare e di purgare, eperò il medico vedete che lava le fedite ed altri maloripur col vino; perocchè l’ vino ha questa proprietade dipurgare, e nettare, e pulire e mandare via ogni sozzura.L’asemplo di ciò hai di quello Samaritano, che dice ilVangelo che lavò col vino le fedite di colui ch’era statofedito. Così, nè più nè meno, fa l’amore celestiale. In-contanente ch’è nell’anima, sì la lava e purga d’ognibruttura, e d’ogni malattia, e d’ogni ruggine di peccato.Allora si vede la puzza. Allotta vedi, il mondo ch’è tuttapuzza, che ’l t’ha levato da dosso; chè veracemente i san-ti, incontanente ch’ebbono questo vino, si gli lavò tutti epurgogli, e vidono incontanente la bruttura del mondo.Non ci ha mai migliore medicina a disprezzare il mon-do, che bere di questo vino; chè, quanto più hai di que-sto amore, tanto ti pare il mondo più niente, e meno tene curi. La seconda ragione per la quale il vino ha vertùdi sanare, si è ratione mordificationis. Or non dite voi diquesti vini raspanti, che mordono, che pungono la boc-

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ca: ma non si sente bene il mordere del vino nella bocca,ma nelle fedite; quivi si sente il morso suo: il suo morde-re si è pungere, chè la carne ch’è morta si risente, ed èvia di sanare; chè la carne ch’è morta è sanza spiriti,quando è toccata dal vino e punta col morso suo, sì si ri-sente; e in questo pugnere ci corrono i sentimenti e levertudi, e per questo modo è via a sanare, ed è questabella ragione. Or così somigliantemente fa l’amore diDio, che ti pugne e mordeti; onde, quando questo amo-re è in te, allora quella carne morta ch’è in te sì si resen-te; e questo è quando ti fa dolere di peccati; prima nongli sentivi e non te ne curavi; ora, perocchè sono puntida questo vino, sì gli senti, e dolgonti, e dannoti amari-tudine e contrizione forte, e fatti piagnere. Così dicea ilProfeta: Tu ci hai abbeverati, Messer, col vino dellacompunzione. E questa è la ragione che quando se’ tor-nato a Dio senti i peccati e dolgonti, che prima non glisentivi e non te ne curavi. Deo gratias.

XXXVI

Frate Giordano, 1305, a dì 23 di Gennaio,Domenica mattina,in Santa Maria Novella.

Domine non sum dignus ut intres sub tectum meum. Inquesto Vangelo di oggi si fa memoria di due grandi mi-racoli, i quali Cristo fece. L’uno miracolo si fu d’unolebbroso, cui egli curoe. L’altro come guerì un servo diCenturione, il quale era gravato insino alla morte. Equesti miracoli operoe Cristo alla scesa del monte, sulquale egli fece quel sermone grande a’ discepoli suoi, nelquale si contiene tutta la vita cristiana ordinatamente:nel quale monte era salito Cristo co’ discepoli suoi; l’al-tre genti non c’erano salite per la loro freddura; ma i di-scepoli a questo monte potero salire; la ragione si è, im-

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perocch’erano fatti discepoli di Cristo. Fatto il Signore ildetto sermone alla scesa di quel monte, operoe i dettimiracoli. Questo Centurione, secondo che dice l’altroVangelio, non venne egli a Cristo in sua persona, mamandocci suoi ministri, i quali parlaro in persona di lui,e così credono i santi; avvegnachè santo Matteo dicach’egli venne a lui. Questo non però contra l’altro detto:imperocchè quand’io fo fare la cosa, sì si può dire ch’iola faccia; perocchè far fare è un modo di fare. Siccome silegge di Salomone che fece il tempio; egli nol fece di suamano, avvegnachè la Scrittura dica ch’egli il facesse, maegli il fece fare, e facendolo fare, sì dice che il facesseegli. Così ti dico di Centurione. Intra le quali parole dis-se queste che proponemmo: Domine non sum dignus utintres sub tectum meum. La qual parola fu di grande di-vozione. Ben potres’ tu dire che detto fu questo, nonparve detto buono, chè parve che cacciasse Cristo e ac-comiatasselo da casa sua. Or’ è buona cosa accomiatareCristo? E però non parve parola di buono senno, nè daseguitare. Certo, se ben volemo considerare, questa pa-rola fu ed è di grande sapienzia e di molta divozione; pe-rocchè questo cacciare fu un grande chiamare; e quandoegli si conobbe ben indegno, allora se ne fece ben degnoe allora entrò ben Cristo. Molte volte la Scrittura divinachiama lo scendere salire e ’l salire scendere, e moltevolte chiama il fuggire approssimare e l’approssimaredilungare; e così altresì appella molte volte il fare ozio el’ozio fare. E così del tacere e del parlare, chè molte vol-te il parlare è detto silenzio e ’l silenzio è detto parlare. Ecosì questo cacciare non fu altro che chiamare. Dico chela Scrittura appella molte volte il salire iscendere e loscendere salire. Questo è lo scendere degli umili; il qua-le non è scendere di verità, ma è grande salire, ed è vera-ce salire, siccome dice il Signore: Qui se humiliat exalta-bitur. Altresì è uno fuggire ch’è detto venire; siccomedice Salomone: Vocatus a potentiore discede. Quando sa-

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rai chiamato da’ signori, da’ re e da potenti, e tu fuggi,acciocchè tu ci possa ben venire; perocchè chi fugge edilungasi, allora è egli ben chiamato e mandato per lui,ma s’ egli andasse e pignessesi innanzi al re, sarebbe cac-ciato e auto per niente. Sicchè quel fuggire è un grandevenire, allora sarai richiesto e mandato per te. Questodico d’uomo che sia di vertù, chè queste parole non toc-cano agli altri. Così altresì ti dico di Centurione. Quelcommiato di Cristo fu grande invito, e allora entrò benCristo; e quando egli si conobbe ben indegno di lui, al-lora se ne fece ben degno. E questa è regola generale,che allora si fa l’anima ben degna di Cristo, quando siconosce più indegna. E se volemo vedere di questa pa-rola, sì potremo vedere ch’ella fu di grande vertù e digrande divozione, quanto da quattro parti, per quattroragioni: l’una si è ratione perfectae humilitatis, rationeperfectae gratitudinis, ratione perfecti timoris, la quarta siè ratione perfectae cognitionis. Dico prima che si mostrain questa parola vertù di perfetta umilitade. Imperocchèin questa parola mostrò com’egli si conobbe indegno diDio; imperocchè ogni peccatore si fa indegno di Dio;imperocchè essendo fatto nemico di Dio non è degno dilui, nè di nullo suo bene: siccome il nimico del re è inde-gno di beneficii del re, e non è degno della vivanda sua,nè di nulla cosa che sia della spensaria sua; così il pecca-tore è indegno non solamente di Dio, ma d’ogni beneche ha; onde non è degno del pane, anzi lo ’mbola, nèdella vita, nè del fiato non è degno, nè che Iddio in alcu-no modo entri in lui. Quattro sono gli avvenimenti e glientramenti di Dio. L’uno si è visibile, l’altro è invisibile:il visibile si è l’entrare che Dio fa ne’ santi in vita eterna,e quello è il perfetto entrare, allora entra nell’anima ilPadre, il Figliuolo e lo Spirito Santo, tutta la beata Trini-tade visibilmente, a faccia a faccia. Lo invisibile è quelloche fa nell’anima per grazia, in questa vita, quando si ri-ceve la fede. Questo entrare non è visibile, ma è molto

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occulto, chè non si vede nè sente. L’altro modo si èquando per imagine delle criature si è fatta ad alcunaimagine di Dio; imperocchè ogni criatura rappresentaIddio in qualche modo. Sicchè pigliando tu delle criatu-re, sì partecipi di Dio in alcun modo, perocchè Iddio èin tutte le cose. Di tutte queste si conobbe indegno. E diquesto potremo vedere alcune ragioni, delle quali oraquattro presentemente: propter immunditiam, propter te-nebras, propter stremitatem, et propter vilitatem. Dicoprima che il peccatore non è degno di Dio, nè che Iddioentri in lui, nè di ricevello, nè di parteciparlo in nullomodo, prima per la immundizia dell’anima sua. La casatua si è l’anima tua: questa è la diritta casa tua; l’animadel peccatore è una stalla piena di sterco e di sozzura,come dice la Scrittura: Tamquam pimenta in stercoresuo. La bestia sta nella stalla, e fa la sozzura nel letto suo,e ivi si volta e giace; così è il peccatore, come giomentasozza e lercia, che si dorme e giacesi nello sterco suo.Così è fatta la casa del peccatore, come una stalla puzzo-lente, e più come un privaio abominevole. Or dunque setu se’ pieno di tanta immondizia, come dunque se’ de-gno che Dio vegna nella casa tua, il quale è tutta puritàed è somma purità? Chi menerebbe il re o ’l figlio del read albergare in una stalla fracida, sarebbe degno di mol-ta pena. E questa è la prima ragione, per la quale il pec-catore e ogni peccatore è fatto indegno di Dio. La se-conda ragione si è propter tenebras. L’anima delpeccatore è una casa tenebrosa, piena di tutte tenebre;Iddio è tutta luce ed è somma luce: come dunque è de-gno il peccatore ch’è pieno di tenebra di ricevere Iddioch’è luce purissima? Or tu diresti: Egli m’alluminerà. Esono due le lumi, uno spirituale e uno corporale; e que-ste due lumi hanno molta somiglianza insieme, e catunohae a cacciare tenebre. Ma luce corporale mai entra nel-la casa, se non l’è aperta la finestra; ma quando la fine-stra è aperta, allora n’è degna. L’anima nostra è una ca-

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sa, la quale ha due fenestre, e aprire l’una senza l’altranon vale, perocch’è mestiere che tutte siano aperte.Questa finestra è la volontà, a qualunque otta tu la vuoiaprire sì puoi, e incontanente Iddio entra, e se tu nonl’apri mai Iddio non c’entra. Questo aprire sta pure involere, pur che tu vogli; come dice Salamone. L’arbitrion’è dato; puoi distendere la mano tua, o vuoli al bene ovuoli al male, o vuoli alla vita o vuoli alla morte, l’arbi-trio ci hai. Non è possibile ad avere i beni di questa vitae dell’altra, no; chi vuole quegli conviene che lasci que-sti, e chi ha questi non può aver quegli. Aver dico di vo-lontà, perocchè son contrarii. E questo primo entrare siè prima per la fede, secondo che dice santo Paolo: Habi-tare Christum per fidem in cordibus vestris. La quale fedesi riceve tutta per volontà, e la quale sta tutta nella vo-lontà; ma pur la fede non si può avere se non per primavolontà. Onde a farti ricevere la fede in nullo modo po-tresti, se tu per la tua volontà non la ricevessi. La qualefinestra è grande, ma non sufficiente per sè ad aprire sìl’anima che Dio entri, se non s’apre l’altra grande fene-stra. Questa è quella vertù grande dell’amore, la qualecompie ed empie ogni difetto. E se la fede sta nella vo-lontà, ed è casa pur di volontà, molto maggiormentel’amore; imperocchè l’amore è cosa propissima della vo-lontà. Onde sanza volontà non mi potresti mai fare ama-re nulla cosa; ma quando io voglio, ora amo, e quantopiù voglio più amo. Chi ben questa finestra aprisse, ohcome entrerebbe Gesù Cristo! Dunque voglio dire co-me tu peccatore, pieno di tenebre, se’ degno che Dio en-tri in te; conciosiacosachè tu tenghi la finestra semprechiusa, e mai non gli vogli aprire, e però mai Cristo nonverrà in te. La terza ragione si è propter stremitatem; perla strettezza del peccatore. Iddio è casa grandissima e, sìampiata, che non ha fine, come dice Salamone. Il pecca-tore come n’è così degno, c’ha così stretta la casa? Ben èstretto molto il peccatore, sì stretto, che non potrebbe

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esser più: e questo ti mostro, e quanto al luogo e quantoal tempo. Questa strettezza è per lo malo amore delmondo. Vedi come è stretto il peccatore! Tutta la terraappo i cieli è come uno punto, sì è piccola: onde se ’lpeccatore avesse tutto il mondo a sua signoria, sì sareb-be strettissimo. Ma questa strettezza è massimamenteper la stanza. Vedi miseria del peccatore, che tutto è ri-stretto in uno punto di tempo. Tre sono i tempi: preteri-to, presente e futuro; il preterito non hai, il futuro nonhai, ma hai solamente il presente, e quello corre contino-vamente. Or che hai di beni passati e di bocconi sapori-ti? nulla, nè di quelli che deono venire. Hai solamente ilpresente, e quello passa rattissimo; e però tutte le cosedel mondo passano e corrono di velocità, come ’l cielo, ela casa, e i panni, e tutte queste cose. E ti pare che la ca-sa tua stea? oh se tu vedessi com’ ella corre! molto tiparrebbe che corresse. Mostroti questo: ond’io veggiocolà in Roma case antiche disfatte, e mura antiche e ve-nute meno; e veggio la casa quando è bianca, poi diven-ta affumicata, poi si corrompe e viene meno; sì, ogni co-sa corre. A questo modo dico correre, non dico checorra con gambe, ma corre in movimento, chè si mutacontinovamente. A questo modo si mutano i monti el’altre cose. A te pare che ’l monte stea molto fermo, mae’ si muta continovamente; non dico che si muti di luo-go, ma di qualità. E che tutte le cose di questo mondo simutino così, questo si potrebbe mostrare per molte ra-gioni e per molti argomenti, e vorrebbe essere una pre-dica pur per sè grande; ma pur un poco il ti vo’ mostraree dartene alcuno argomento. Vedi il fuoco, mentrech’egli arde, non resta mai un punto, e poi ch’egli èspento e’ rimangono i carboni accesi, e parti che si ripo-si. Ingannato se’: non si riposa mai, no, mai. Or non vediche sempre arde e consuma il carbone, e viene faccendocenere a poco a poco, e non resta insino che non l’haconsumato? Sicchè continovamente si muta e non istà in

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istato niente; e questo è per lo combattimento delle cria-ture, chè tutte combattono insieme. Noi appelliamol’operare loro azione. A questo modo corri tu a giornata:a te pare stare molto fermo, e tu corri così tosto e mutitisempre, e mai none stai in uno stato un punto. Onde al-trimenti se’ oggi che tu non eri stamane; mutata è la qua-lità tua da stamane in qua, e se tu il potessi vedere par-rebbeti ben grande mutamento; sicchè corri sempre emutiti continovamente, perocchè ’l calore naturale èdentro, che lavora sempre, e mutati e consumati; tutto tipaia crescere e ingiovanire, non è però forza. Così altresìti potrei dire del vestimento. Ecco il vestimento che iohoe indosso, sempre si muta e non sta in uno stato mai;onde altrimenti è ora che stamane, quando il mi misi sta-mane altrimenti è mutato, se tu il potessi vedere. Questoè per lo combattimento delle criature. Onde l’aria, checirconda il panno, sempre il muta, però c’ha la virtù dimutarlo, ed io che ’l porto il logoro altresì e muto; e al-tresì il combatte e muta la vertù de’ cieli, che sempre simuove. Onde se non fosse altro che quello, sì bastereb-be a ciò che dissero certi filosofi, che se ’l cielo stesse,che non si movesse, che starebbono l’altre creature enon si muterebbono, ma non sta. E però vedi com’èstretto il peccatore, e quanto alle cose del mondo equanto alla bastanza. E però come è degno di ricevereIddio ch’è tutta grandezza, come dice Salamone, il qualeil cielo de’ cieli non possono comprendere. Come dun-que camperae in tanta strettura? Ma odi mirabil naturaquella dell’anima, ch’è di natura di potersi tignere di tut-te le cose, e puossi sciampiare più di tutte le cose che sipossono sciampiare, e strignere e legarsi. E poca la di-stanzia dal più largo al meno; ma non è nulla cosa cheper tanta distanzia si possa strignere e sciampiare, comel’anima. Qual’è quella cosa che la sciampia così mirabil-mente? Questa è quella vertù, la quale tanto si predica,cioè l’amore divino, la carità santa. Questa è una cosa

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che sciampia l’anima mirabilmente; ch’è acconcia di te-nere Iddio e di riceverlo, e diventa come i i cieli. E Iddioabita ne’ cieli, e non vuole abitare se non in cielo. Dun-que se vuoli che Iddio abiti in te, conviene che tu diven-ti cielo. Il modo si è per l’amore, siccome dice e ’nsegnasanto Bernardo: e dice che l’anima è di natura che puòdiventare ogni cosa. Quella cosa che la fa diventare lecose si è l’amore; onde ciò che l’anima ama sì diventa. Seama oro sì si fa oro, se ama terra sì si fa terra, se ama ilpeccato sì diventa peccato, se ama il cielo sì diventa cie-lo, e se ama Iddio sì diventa Iddio. Così dice santo Ber-nardo; perocchè l’amore hae natura di trasformarel’amante nella cosa amata. Onde l’anima che ama il cieloe le cose celestiali, sì diventa celestiale; e amando Iddio ele cose eternali, le cose beate, sì diventa grandissima, esciampiata, e dilatata e capace, ed è fatta casa e abitazio-ne di Dio. La quarta ragione perchè il peccatore è inde-gno di Dio e non è degno che Cristo abiti in lui, si èpropter vilitatem. Se il figliuolo del re volesse venire adalbergare in casa tua, e tu fossi un villano, e non avessialtro che una casuccia cattiva, una capanna, sì diresti:Messere, non è convenevole che voi istiate in casa cosìvile; perocchè non si converebbe al re di stare in capan-na. Così dico io a te peccatore. La seconda cosa che simostra nella parola del Centurione, si è perfectae gratitu-dinis, cioè conoscenza; la conoscenza è contraria alla in-gratitudine: sconoscenza e ingratitudine tutt’è una cosa.La quale sconoscenza, non è una cosa così contraria atutti i doni e a tutte le grazie, siccome quella è. Imperoc-chè chi è ingrato di beneficii sì si fa indegno d’ogni be-neficio, e per contrario è chi n’è conoscente. Di questaconoscenza dicea il profeta: Quid retribuam Domino proomnibus quae retribuit mihi? Troppo è bella parola que-sta. Non dice: che darò io a Dio di quello che mi dà? madice: che ridarò io di quello ch’egli ridae a me? Di veritàcosì è, che Iddio ne ridae i beneficii suoi ogni dì, e conti-

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novamente ed ogni ora. Mostrolti. Tu sì hai oggi i bene-ficii di Dio, s’egli gli ti togliesse, non gli averesti dimane;ma s’egli li ti rendesse, sì gli avrebbe ridati. E così ti di-co; ogni dì conservandoti i suoi beneficii, sì gli ti rendecontinovamente. E così ti dico, non solamente del dì,ma d’ogni ora; perocchè ogn’ora si muta e va via il tem-po, e tu vedi che Iddio gli dà ogni ora; onde quelli beniche avesti ieri sì gli ti rende oggi, quegli o somiglianti,perocchè ne ridae e ne rende i suoi beneficii continova-mente, ognindì e ogni ora. Imperò in ogni tempo il do-vemo laudare e ringraziare, di dì e di notte, da sera e damane, e in ogni tempo; perocchè continovamente nerende e ne ripresta i suoi beneficii. E però non basta aringraziarlo per la prima volta ch’egli gli ti diede, nò; maogni dì, imperocchè continovamente gli ti rende e ripre-sta. La terza cosa che si mostra nella parola di Centurio-ne si è: perfecti timoris. Questo detto che disse: pregotiche non entri sotto ’l tetto mio, dicono i Santi che venneda grande timore. Conobbesi peccatore e lui santo; te-mette che la casa non gli cadesse addosso in capo, non aCristo ma a lui. Siccome si legge di santo Piero in mare,che disse a Cristo: Partiti da me, chè io sono peccatore.Ebbe paura santo Piero di non pericolare, se Cristo en-trasse nella nave, non temette che Cristo affogasse egli,no; ma temette pur di sè solamente. Questo vietare ègrande amore; allotta venne ben a lui Cristo. Così fu diCenturione; temette di Cristo conoscendosi uomo pec-catore; siccome temerebbe un malfattore, quando il giu-dice venisse in casa sua: questo fu il timore di Centurio-ne e di san Piero. Io ti dissi dinanzi una buona parola,che Iddio intra gli altri modi ch’egli entra si è per le cria-ture, pigliandole, ch’è partecipando delle criature, sì en-tra Iddio a te in alcuno modo. Questa parola ne fa na-scere un’altra buona, e questa è veracemente bellaparola. L’uomo hae voglia d’acquistare pecunia; quandol’ha acquistata si è venuto Iddio a lui in alcuno modo;

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ma come? come giudice. Onde ciò che tu pigli e possie-di in questo mondo, in tutte troverai Iddio giudice, pe-rocchè in tutto e per tutte sarai giudicato; e però quegliche le cercano, sì vanno cercando Iddio giudice; e quegliche le perde non se ne curi, chè grande carico s’ha leva-to da dosso, chè non avrà a essere più giudicato. O chiben queste cose pensasse, quanto pro’ farebbe all’animasua! Della quarta cosa non dico, siccome quella fu paro-la ove si mostrò grande lume. Vo’ vi dire alquanto paro-lette buone. Ecco che Centurione disse: Messer, non so-no degno che tu entri sotto la casa mia. E dicendo ciò sìdisse: nè io, Messer, non son degno d’entrare nella tua.E questo mostrò, che nè egli volle che Cristo venisse allasua, nè egli andò a Cristo, nè non gli volle apparire in-nanzi. Or intra l’altre case che Iddio abbia si è la santaEcclesia, ove si dice l’officio e fannosi i sagramenti. Nel-la quale imprimamente non sono degni d’entrare i pec-catori, come dice santo Iovanni: Di fuori staranno i cani,ecc. Or tu diresti: Or dunque non verrò mai alla chiesa?Anzi ci dei venire, e ènne comandamento. Dunque co-me ci verrai se se’ peccatore, che non ci dei venire? Lavia si è questa: d’uscire del peccato; e di questo se’ tenu-to a comandamento. Appresso deono essere cacciatidella Chiesa tutti infedeli, pagani, saracini, tartari, giu-dei, eretici, e ogni infedele, non deono esser ricevuti inchiesa, no: questi sono i grandi cani, di quali dice santoIoanni che saranno cacciati fuori. Questi dunque nedeono essere cacciati fuori e stare fuori della Chiesa, se-condo la legge divina. Ma hacci altri che ne deono essecacciati, secondo altra legge umana, la quale è ordinatada’ perlati e da’ signori della Ecclesia. La quale legge èfortissima, e siamvi tenuti come alla legge divina, perl’autorità che Cristo lasciò ne’ sacerdoti; la quale legge ètutta ordinata e fatta alla legge divina, e al servigio e alcompimento di quella. Secondo questa legge ne deonoesser cacciati e deono stare fuori due generazioni di gen-

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

ti, cioè interdetti e scomunicati: gli interdetti pur dall’uf-ficio, e gli scomunicati al tutto ne deono stare fuori. Orse tu dicessi: Io non ci ho colpa, e non me ne pare essertenuto. Sì ti rispondo: Disse Ezechiel: Da quinci innanzinon voglio che diciate più che ’l padre sia tenuto al pec-cato del figliuolo, nè ’l figliuolo a quello del padre; pe-rocchè l’anima non ha fatta il padre, ma Iddio; e peròcatuno di propri peccati sarà punito. Ma non è così se-condo il corpo; perocchè ’l figliuolo porta pena per lopadre, e l’uno parente per lo peccato dell’altro. E perquesta ragione che ’l non venire alla chiesa è pena cor-porale, però l’uno porta la pena dell’altro; e però le fe-mine sono interdette come gli uomini. Questo non ti fanullo danno all’anima tua, no; anzi n’hai merito, se ’lporti in pace. Se non puoi vedere Cristo all’altare, or lovedi cogli occhi tuoi della mente nella camera tua, epuo’ ne piacere a Dio: così è più come venire alla Chie-sa. Deo gratias. Memoria che in questi dì era interdettala terra.

XXXVII

Questo dì medesimo, in Santa Maria Novella.

Expleti sant dies purgationis Mariae. Tutta la planitu-dine de’ santi sta nella purità. Onde Iddio, perocch’èpuro sopra tutte le criature, anzi è perfetta purità, im-però è perfetta plenitudine di tutti i beni. E quanto isanti uomini in questa vita sono più puri, più sono pienide’ doni e de’ beni di Dio in maggiore abbondanzia; on-de i santi in vita eterna, imperocchè sono purissimi so-pra tutti gli uomini del mondo, imperò sono più pieni didoni e di beni di Dio. E quanto ciascheduno è più puro,tanto riceve in sè più di beni e de’ doni di Dio. Onde laVergine Maria, imperocchè fu più pura di tutti i santi,

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imperò ella sopra tutti i beati ricevè in sè più pienamen-te i beni e i doni di Dio. E questa è la seconda ragione,per la quale la Donna nostra fu piena di dì, cioè ebbe idì pieni, per la purità e per la innocenzia sua. Dunquevedi che la purità e la innocenzia dà plenitudine; ma ilpeccato non empie, no, ma vuota l’anima d’ogni bene.Onde il peccato non ha vertù d’empiere, ma di vòtare;onde quegli ch’è vòto di peccato, quegli è pieno; e que-gli ch’è pieno di peccato, quegli è bene vòto. Onde ipeccatori sono detti fatui. Fatuo tanto è a dire come vò-to; onde fatuità suona vacuitade. E che ’l peccato vòtil’anima sì si mostra per quattro mali che ne fa, chè ’lpeccato ne vòta di quattro cose. Vacuat sapientiam, va-cuat gloriam, vacuat efficaciam, et vacuat temporis. Primadico che ’l peccato vòta l’anima di sapienzia. L’animanon si può empiere di cose corporali, no, ma empiesi dicose spirituali; perocchè l’anima è spirito; e però s’em-pie l’anima di sapienzia più che di tutte le cose di questomondo, e più è di sua natura. Onde l’anima naturalmen-te appetisce e desidera d’empiersi di sapienzia; peroc-chè, siccome il corpo umano appetisce il cibo corporale,quando hae fame; così l’anima appetisce questo cibod’empiersi di sapienzia. Il peccato di questa sapienziavòta l’anima in tutto; onde s’egli avesse tutto ’l senno delmondo e tutto le scienze, quando fa il peccato mortaletutte ’l perde ad un tratto, tutt’ogni sapienza; è perdutoin tutto e per tutto, ed è divenuto sommo stolto. E se tudicessi: Or come, or io veggio che mi pare ancora cosìsavio, e sa così e così? No, frate, perduto ha il senno, maparti così. Or non ti parrebbe ben stolto quello mari-naio, il quale dirizzata la nave al porto per la ritta, e inquella via ch’è così ritta avesse uno scoglio, e egli il ve-desse e non lo cessasse, e non lo volesse schencire, chepuò pericolare la nave; ma dicesse: sia che essere può, iopur terrò questa via? Or non sarebbe questi ben matto,che va a pericolare la nave? Or così è e peggio degli uo-

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mini peccatori del mondo. Che giova perch’eglino ab-biano questo cotal senno, e sanno ben mercatare, e san-no molto del mondo, che giova questo scaltrimento,s’egli sta in peccato mortale? stolto! è vuoto di sapienza.Che è sapienza? Una vertù che dirizza tutte le cose abuon fine. Or che giova agli uomini del mondo esserescalteriti o avere molta scienza, e egli l’ordina a mal finee non al fine che dee? Somma stoltizia, e vòto è di sa-pienzia. Più savio sarà talora un più semplice, che nonabbia queste cose, e più sapienza avrà, e meglio sapràtornare al fine e al luogo suo. Che giova dunque perchèl’uomo sia savio, e non l’usa al fine suo? Meglio saprà epiù sapienza avrà un ben semplice, se torna pur al finesuo: sì basta, ed è essuto savio assai. Onde vedete lepiante tutte ne dànno esemplo, chè ciascheduna operasecondo il fine suo, e ne’ pomi e nell’altre cose. E peròovunque è peccato mortale non può essere sapienza; vò-to n’è in tutto e per tutto, chè contrario è l’uno all’altro.La Donna nostra fu piena di sapienza, chè in lei non fumai peccato nullo; e però ella fu figurata in quella santafemmina Giudit, la quale s’adornò tutta e parossi, e ven-ne al Signore, al re dell’oste che assediava quella cittade.La quale era bellissima, e il re ne fu preso di lei e stettecon lui nella camera, ma guardolla Iddio da peccato e dasozzura per la sua santitade. E quando questo re dor-mia, ed ella colla spada sua gli mozzò il capo. Questa si-gnifica la Donna nostra, la quale è bellissima per la suapuritade sopra tutte le criature, ornata di tutta bellezza evertude. Questo re si è il demonio; imperocchè il demo-nio è tratto e preso dalla innocenzia e dalla bellezzadell’anima, e ènne vago più che di nulla cosa; e però èpiù stimolato e più è tratto a torrela, se può, che nulla al-tra cosa, e più si briga di torrela, se può. E però la Don-na nostra si crede per li santi ch’ella fosse tentata e aves-se tentazione dal dimonio, e più da lui fosse combattutache null’altra persona; avvegnachè nulla tentazione en-

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trò o potea entrare dentro a lei, nò; ma di fuori ben po-tea essere tentata, come noi, in mostrandole le belle cosedel mondo e cotali cose. E più volontieri l’avrebbe fattacadere lei il demonio che null’altro. Ma ella col suo me-desimo coltello, cioè colla sua medesima tentazione, glimozzò il capo e ucciselo. Quando uccidi tu il demoniocol coltello suo? quando e’ ti reca tentazione e tentati, etu questa tentazione vinci e non consenti; allora ucciditu il dimonio e fediscilo col suo medesimo coltello; e co-sì dovem fare. La seconda cosa che fa il peccato si è chevòta non solamente di sapienza, ma vòtala di gloria; equeste due cose, cioè sapienza e gloria, stanno nell’ani-ma, l’altre due nell’opere di fuori; ma queste due empio-no l’anima dentro. E per queste si vòta, quando si tolga-no, le quali toglie il peccato. Toglie la sapienza, come tidissi, e ancora toglie la gloria. Or tu diresti: Or come mene vòta? puossi qui avere la gloria in questo mondo? Sì,frate, in uno modo. Onde se tu se’ innocente e hai il bat-tesimo, più se’ certo di vita eterna, disse frate Giordano,che tu non se’ certo che tu se’ uomo; ma non l’avremoancora in possesione, avella per fede grande e speranza.Il peccato vòta l’anima di questa gloria, imperocchè latoglie via da te; chè, incontanente fatto il peccato morta-le, se’ privato della gloria, la quale t’era apparecchiata.Vedi bene s’è grande male. Vòta ancora di tutti i meritiche unquanche facesti e di tutti i beni; imperocchè ’lpeccato mortale li toglie e vòta tutti via. Onde, se tutto ’ltempo della vita tua avessi fatto bene e affaticatoti nelservigio di Dio, in limosine, in viaggi, in cilicii, in peni-tenzia, e tu facessi pur uno peccato mortale, tutto ciòche hai fatto hai perduto in uno tratto, tutt’ogni cosa.Or vedi bene se ’l peccato vòta! Non ha uficio il peccatose non di vòtare e portar via ogni cosa; e però l’opere de’peccatori sono tutte vòte e vane. La Donna nostra, pe-rocchè fu purissima, di lungi da ogni peccato, fu pienadi tutti i meriti. Onde ella fu significata in quella grande

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reina che venne in Ierusalem a vedere la gloria del re Sa-lamone; la quale non ci venne vòta, no; ma dice la Scrit-tura che ci venne, e recò con seco molte ricchezze. Que-sta significoe la Donna nostra, la quale andoe in Cielonon vòta, no, ma piena; onde ella salì in cielo ricca e pie-na d’ogni ricchezza: onde salì in cielo con molti meriti ecolle molte vertudi, tutta coronata e piena d’ogni ric-chezza; onde tutti i santi e gli angeli se ne maravigliarovedendola venire con tanta gloria. E così dovemo farenoi, sforzarci all’innocenzia quanto potemo, e di schifa-re il peccato, acciocchè non vòti, ma pieni di ricchezze,di meriti e di virtudi entriamo in vita eterna. Vòta anco-ra il peccato di efficacia; e questa s’appartiene all’operedi fuori; cioè che non solamente ti toglie i beni che haifatti e i meriti, ma non ti lascia operare nè acquistarenullo merito. Sicchè ’l peccato vòta di beni preteriti epresenti, ed ancora futuri. Imperocchè quegli c’ha ilpeccato mortale, ciò che fa, tutto è vano e vòto, se digiu-na vano è, se va in pellegrinaggio vano è, e se dà limosi-na vana è, e ciò che fa è vano, insino ch’egli ha il peccatomortale addosso. E sono ben molti che sono in peccatomortale, e sì si mettono ad andare ne’ viaggi. Or che va-le? Nulla è, tutte l’opere tue sono morte. Onde, disseFrate Giordano, di questo andare ne’ viaggi chi me nechiedesse consiglio, io gli direi pur di no, chè sono tantii pericoli del viaggio ch’è una maraviglia, e sì per l’impe-dimenti corporali e spirituali, e sì per li osti; chè spessevolte viene l’uomo a briga e a discordia coll’oste, or colcompagno e talora nella necessitade che si truova, chenon s’è paziente, talora per gli scherani in cui ti puoi in-toppare, che ti spogliano e rubano, e se’ a rischio dimorte, overo se infermi. Sicchè sono tanti i pericoli checi sono, onde la persona può cadere in peccato mortale,ch’è troppi, e va l’uomo a rischio dell’anima e del corpo.E se tu fai uno peccato mortale, tutti i passi tuoi, e tuttala fatica tua e la spesa t’hai perduta. Onde, e’ disse, do-

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mandami altro consiglio del viaggio di S. Iacopo, io ticonsiglio pur di no; chè meglio è che si steano a casa alsicuro, che mettersi a pericolo di corpo e d’anima. Ondee’ disse: Or e’ ci ha tanta via, che andai io uguanno in-verso là più di venti giornate, e non fui a mezza via; tan-ta via ci ha, che è ad andare tanti passi indarno. Se puruno peccato mortale hai, ogni cosa ti perdi ed è vano;ma se ci pur volesti andare e desseti il cuore d’esser for-te, direi va, ma guarda tu come tu vai. Onde il peccatovòta l’anima, vòta i meriti e fa vane ogni tue opere, e nonti lascia mai operare. Onde se ’l mercatante non guada-gnasse della mercatanzia sua, e pur perdesse, divente-rebbe vòto. Or così è qui; chi vuole che questi viaggi glivagliano gli conviene essere puro, come quando era acomunicarsi: così gli conviene essere mondo e puro, eallora gli vagliono. La Donna nostra fue come ’l merca-tante, che d’ogni cosa guadagna di ciò che fa. Onde sefosse uno mercatante che guadagnasse, dico che di mer-catanzia e d’ogni passo che facesse guadagnasse, ed’ogni parola, e d’ogni pensiero guadagnasse, e ciò chefacesse fosse guadagno, e nulla cosa facesse invano, que-sti sarebbe ben pieno. Così la Donna nostra, ogni cosache fece tutto fu guadagno; se operava sì era guadagno,se andava ogni passo era guadagno, se parlava d’ogniparola guadagnava, e d’ogni pensiero guadagnava; ondedi tutto ciò che fece guadagnò: in operando, in andan-do, in parlando, in mangiando, in dormendo, in pensan-do, nulla cosa fece invano, d’ogni cosa e d’ogni pensieroguadagnò; e però ella andò in cielo tutta piena di ric-chezze. Ma noi miseri facciamo vane l’opere nostre perlo peccato, e facciamo molte cose e tutte sono vane. Falimosina a tuo senno, o digiuna, o va in pellegrinaggio, obisbiglia paternostri a tuo senno, se tu se’ in peccatomortale, sì è vòto d’ogni cosa. Onde, che pro’ sarebbes’io recasse l’aria grande, e paresse che ci avesse moltegioie; e quando l’aprissi non ci trovassi niente, ovvero

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fosse piena di sassi? Non sarebbe detta piena,perocch’ella de’ essere piena d’avere e di preziose cose.Così interverrà a molti, che si credono avere fatte moltecose, quando verrà nell’altra vita sarà aperta l’arca suache v’ha portata, e aprendola non ci si troverà nulla, vò-ta sarà. Certa cosa è questa. Vuoi tu arricchire? Or escidal peccato, allora empirai l’arca tua. Or tu diresti: Ordunque, perch’io sia in peccato mortale non debbo farebene niuno? debbomi stare? dico che no; anzi dei farequel bene che puoi, non che ti vaglia a vita eterna, maaiutati a disporne a uscire del peccato tuo; questo pur èvero. Onde il peccato vòta l’anima d’ogni bene. Siccomeil fiume è detto pieno, quando è pieno d’acqua e hacce-ne assai; ma quando non ci ha dell’acqua neente, è dettovòto. Or così vòta il peccato l’anima. Chè vedi male cheti fa il peccato, che tutti i beni che unqueanche facesti,tutti gli ti toglie a un tratto, e tutte l’opere tue che fai inpeccato mortale sono morte, e ancor ti toglie i beni futu-ri. Ma se esci dal peccato, ben ti ritornano i beni che fa-cesti innanzi il peccato; ma quegli che facesti nel pecca-to non ritornano mai; imperocchè fuor morte e nonfuoro mai vive. Onde la pietra, che non fu mai viva, nonpotrebbe risuscitare; così è nell’opere fatte in peccatomortale. Vòta il peccato ancora del tempo, chè ti togliequel tempo che t’è dato. Poco tempo ci viviamo. Orquanta è la vita nostra? poca: 60 anni o 80 il più alto, e ipiù sono di meno dì. Se tutto il tempo della vita tua noioperassimo, ancora sarebbe poco, chè ’l tempo nostro èpoco; e noi miseri ancora questo tempo ci togliamo. On-de, se ’l mercante udisse che si facesse una fiera in Fran-cia, che durasse uno anno, ove si facesse grande guada-gno, ed egli per sua negligenzia s’avesse lasciato perderemezzo ’l tempo, overo tutto, che non ne potesse averefiore, come si dorrebbe costui c’avrebbe perduto cotalguadagno! Questo stallo del mondo è a modo d’una fie-ra, chè qui ha ordinato Iddio la fiera e ’l guadagno. E

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quanto dura? Insino alla fine tua, non più. Se allora haiben guadagnato, bene ne vai; altrimenti non ci puoi mairitornare più, nè più fare mercanzia. Chi ci toglie questotempo? Il peccato mortale; chè quando tu pecchi tuttoquello è tempo perduto; e non solamente è tempo per-duto quando fai il peccato, ma tutto ’l tempo che ci staientro. Or vedete oggimai quanto si perde del tempo, ilquale non si può mai raccattare! Ben è vero che se tu tipenti e confessiti, che il tempo c’aoperasti sanza peccatomortale ben ti ritorna con tutti i beni; ma quello nel qua-le se’ stato nel peccato mai in perpetuo non si può rac-cattare bene; chè se tu di’: Io ristorerò e farò. Rispondo-ti: Frate, quello che tu farai quel dì che tu farai questobene sì si converrà di fare; e richiedesi d’essere e di farecosì per lo tempo presente; e ogni dì vuole il suo bene,come dice il Vangelio. Onde ogni dì s’appartiene di farebene, e quel bene che tu fai in quel dì si è pur di quel dìe di quel tempo; e però il tempo passato, quello pure èpassato e spacciato quanto è da sè. E però è pericoloso avivere in peccato mortale, chè fa sommo dànno. Ondel’uomo che vive in peccato mortale non è detto vivere,no; vita è detta quando l’uomo vive in grazia di Dio, laquale è con tutti quelli che vivono sanza peccato morta-le. Onde del re Saul si dice che regnò due anni; e SantoPaolo dice ch’egli regnò 40 anni. Ciascuno è vero. Egliregnò 40 anni che fu signore al mondo, ma egli regnòdue anni i quali e’ fu buono e fu in grazia di Dio. E diSalomone dicon le Scritture che regnò 40 anni, ed altreScritture dicono che regnò 80 anni. E l’una e l’altra è ve-ra; imperocchè non si còmpita ch’egli regnasse se non40 anni, cioè quegli anni ne’ quali fu amico di Dio, chègli altri 40 anni che non fu amico di Dio non si compita-no. Non si dice avere molto tempo quegli ch’è vivuto inpeccato, anzi n’è egli vòto; ma quegli è detto essere pie-no di dì, ch’è vivuto in grazia di Dio, sanza peccato mor-tale, in vita d’innocenzia. E no’ miseri, che dico tanto

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tempo come noi ci viviamo; or n’avessimo noi pur dueanni buoni, pur uno! Ma dirò più, che se passassero pursette dì che noi non facessimo nullo peccato mortale oveniale, sì parrebbe grande fatto, tanto siamo miseri!Ma i miseri di tutta la vita loro non avranno appena duedì buoni. Ed or noi facessimo sì che noi n’avessimo purun dì buono; pure una ora procurassimo noi d’averlabuona, cioè l’ultima. Se questa hai buona, tutte l’altresono essute buone; se questa non hai buona, tutte l’altresono essute rie. Quella ora ci salverà. E se tu di’: Qual’èdessa? Dico ch’è ogni ora, che tu non la sai. E però sem-pre dovremmo stare apparecchiati, come se ogni orafosse l’ultima. Vedi dunque come il peccato ti vòta intutto. E Santo Ioanni nella Pocalisse dice che dirà Iddio:L’opere tue non trovai piene, e di ciò darà giudicio. Dis-se qui l’esemplo del dimonio che si fece cuoco, per in-gannare quello scherano ch’era divoto della Donna, mapoi fu manifestato per uno santo Padre. Deo gratias.

XXXVIII

Questo dì d’allato, a Nona, in Santa Maria Novella.

Expleti sunt dies purgationis Mariae. Non solamentela Donna nostra è detta ch’ebbe i dì pieni per la vertùdella grazia e della innocenzia sua, come detto è, ma perl’opere che fece. L’opere della Donna nostra stettero inquattro cose: in laborando, in pugnando, in negotiando, ein ferendo vel portando. Dico prima che l’opere dellaDonna fuoro in laborando. E questo mostra la Scritturain Salamone, là ove dice della femmina forte: Mulieremfortem quis inveniet. Questa fu una lunga diceria. Eccoche dice intra l’altre vertù di lei: quaesivit lanam et li-num, et operata est consilio manuum suarum. Queste dueopere mostra qui della Donna nostra; tutto il lavorìo

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della Donna, la sua principale arte, pare che sia in filare,pare che la natura l’abbia loro dato. Per la lana e per lolino s’intende ogni cosa che si fila, pigliando per lo lino,e canape, e ginestra e cotali cose, che sono erba; piglian-do per la lana, ogne lana, e di pecore, e lana di vermi,cioè la seta, e altre lane di stoppioni, che fanno alberi,cioè bambagia e tutte cotali cose. Il lino sapete che sivuole curare molto, e macerare e battere, è di molta fati-ca, e spezialmente quello lino d’Egitto, onde fu la Don-na nostra, ch’è il più bello lino e ’l migliore che sia almondo, e che i più belli lavori e drappi se ne fanno. Im-perocchè di quello lino si fa il bisso, che è pannolino no-bilissimo. Chè significa per questo lino la carne sua, laquale ella maceroe per penitenzia; onde ella pervenne aquella purità, che fu come bisso bianchissimo. Per la la-na, ch’è cosa calda, s’intende per l’amore e per la caritàch’ebbe in sè. E di questo lino e lana vestì poi il Figliuo-lo suo; perocch’ella gli fece due drappi, uno di bisso euno di porpora. Quale fu il vestire del bisso? La carnech’ella diè al Figliuolo; chè ’l vestì d’umanitade, di quel-lo suo bisso bianchissimo gliene tagliò uno vestire; pe-rocchè di quella carne fu quella di Cristo. Vestillo diporpora, cioè quando lo Spirito Santo venne in lei eobumbrolla, che significa la porpora. E questo le dissel’angelo. Lo Spirito Santo verrà in te e farà ombra in te.L’ombra si fa di due cose: di luce e di corpo; chè se lucenon fosse, non sarebbe ombra, e se corpo non fosse chestesso dinanzi alla luce, non sarebbe ombra; ma la co-lonna dinanzi alla luce fa ombra: così lo Spirito Santo,che luce venendo nella Donna, fece ombra in lei, quan-do incarnò di lei il Figliuolo di Dio. E così noi dovemodare a Cristo vesti di bisso e di porpora, cioè d’innocen-zia e d’opera. In due cose sta la perfezione della vita san-ta: cioè di lasciare (e questa è la prima ed è detta inno-cenzia, ed è detto vestire bianco di bisso); l’altra si èd’operare bene; chè non basterebbe pur non fare male,

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se non facessi il bene. E però l’opere buone s’intendonoper lo vestire della porpora; perocchè l’opere di santi so-no fatte in amore e in caritade, chè stanno caldidell’amore di Dio. Qui lavorò la Vergine in filare questolino e lana. Stettono ancora l’opere della Vergine in pu-gnando. Che meraviglia pare pure a dire, ch’una femmi-na pugni e combatta! Le femmine in battaglia sonotroppo deboli, ma gli uomini sono forti; ma questa nonfue come l’altre femmine, anzi fu uomo. Onde ella fufemmina nel corpo e uomo in ispirito; onde ella fu lacampionessa sopra tutti i forti. E però dice di lei lo Spi-rito Santo in Salamone: Accinxit fortitudine lumbos suos,et roboravit brachium suum. Ella rinforzò le braccia enon le stancò mai. Onde ella fue in grande battaglia;chè, come ti dissi, avvegnachè nulla tentazione entrassein lei, tuttavia crediamo ch’ella fosse tentata di grandi econtinove battaglie di fuori; e questo fue per la puritàsua: alla quale il dimonio è troppo preso ed ènne troppovago; e però più ci è stimolato a farla perdere se può, epiù volontieri si sforza di fare cadere ov’egli vede cheabbonda più la purità; e perocchè in lei abbondò più,però si crede che fosse più tentata. E però fu in grandebattaglie e mai non si stancò. Onde chi fosse in una bat-taglia grande, e durasse assai tempo grande, maravigliasarebbe se non ci fosse fedito o malamente percosso, etalora v’è morto e scavallato. Ma almeno e’ si stanca. Co-sì fecero i santi. Fuoro nelle battaglie di questo mondo,qual ci fu scavallato, quale fedito di peccato mortale, mapoi ritornaro. Ma almeno tutti fuoro fediti di peccatoveniale; ma piccole percosse sono. Ma la Donna nostrafu campionessa sopra tutti, chè fu in grande battagliacon molti nemici e non si stancò; e non fue nè fedita nèpercossa, perocchè in lei non fu mai nullo peccato ve-niale o mortale, o in fatto, o in pensiero, o in parlare. Lasua eccellenzia fue sopra tutti gli altri. Che gran vertù sa-rebbe stare sempre in battaglia cotanto tempo, a petto a’

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nemici, e combattere continovamente, e mai non esser-ne scavallato, nè fedito, nè percosso, e non stancarsi, esempre vincere i nemici! Somma cosa è questa. Così fula Donna nostra; fu femina nel corpo e vir in spirito; ellafu femina uomo, chè parve femina e fu uomo. Onde ovetutti gli uomini sono più deboli e più fragili, ella fu piùforte. Qual è quel luogo dove noi siamo più deboli?Questo sono le reni e i lombi; chè dicono i savii, che nel-le reni e ne’ lombi sta la sede della lussuria. L’uomo ci ètroppo debole in questo cotale luogo; e il demonio ci èpiù forte c’altrove, perocch’è spirito. Onde però sopratutti i luoghi ove l’uomo sia fedito si è nella battagliadella lussuria; e qui pare che ogni gente tramazzi, e piùne vanno al ninferno, e più ne caggiono in peccato perquesto vizio, che per niun altro. Onde ogni uomo nonvuole essere usuriere, e ogn’uomo non s’impaccia d’es-sere di priori, o vescovo o cotali cose; non se ne curanole genti. Ma di questo vizio pare che ogni gente ne siacombattuto e tentato: e usurieri, e mercatanti, e signori,e re, e vescovi, e ogni gente. Onde l’uomo ci è qui trop-po debile, e qui cade ogni gente. Ma la Donna nostraqui fu più forte; chè non solamente non peccò, ma il suocorpo mai non potè sentire alito di concupiscenzia, no.Operò ancora la Vergine Maria in negotiando, in guada-gnando. Il mercatante c’hae la mercia nella bottega seco,vuole guadagnare d’ogni cosa, no averà cosa sì cattiva inbottega, che non ne voglia guadagnare e fare utilità; el’arte del mercatante si è ancora in dare la cattiva cosa ericever la buona. Ben fanno così, e vanno cercando setrovano mercatanzia o cosa che faccia per loro, ondeguadagnino, e se la trovano, sì la sanno tòrre; ma diquello che non credono guadagnare non se ne impaccia-no. Così la Vergine Maria fu a modo di mercatante, chèdiede le cattive cose e le vili per avere le migliori, diede idiletti mondani per avere gli eternali, e d’ogni cosa gua-dagnava, d’ogni; ciò che le intravenia, di tutto guada-

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gnava e traeva uttolitade, come savio mercante in tuttele cose. E fu come l’ape, la quale, avvegnachè sia picco-la, non va se non per li fiori, e del fiore ancora trae il me-le, ed è di grande utilitade il fatto suo, chè tutto ’l mon-do n’ha bene. Così la Donna nostra fu ape piccola perl’umiltade, ma ella non si pose mai in cosa brutta, ma super li fiori e trendo il mele di fuori; cioè non stava inpensieri vani e cattivi, come l’altre femine, no, e d’ognicosa traeva suo cibo; chè a tutto ’l mondo n’ha datoesemplo e hanne bene. Operò ancora in portando; eperò ella è assomigliata alla nave, la quale porta moltoavere e grande peso; e però se hanno a portare pesi sì glifanno portare a’ giumenti, o in carri o in nave. Così laDonna nostra fu a modo di nave grande, avvegnach’ellafosse piccola e umile nel corpo; ma in anima fu navegrandissima a portare grande avere e molto bene. Ondedell’avere che reca una nave sì ha bene tutta una provin-cia. Così la Donna nostra, quando si andò in cielo, sìandò come nave piena e ricca d’avere. Come udiste dellareina Saba, che venne con le molte ricchezze in Ierusa-lem a vedere la gloria del re Salamone. E quando questanave giunse in cielo, tutta la corte di vita eterna n’ebbebene, tutti gli angeli n’ebber gloria e se n’allegraro, e tut-ti i santi di vita eterna. E abbonda la sua grazia, e i suoimeriti riboccano in cielo e in terra, chè tutti ne siano ri-feziatati (sic) e sostentati. Onde ella fu nave, come diceSalamone, a portare il pane a’ figliuoli: Facta est quasinavis institoris de longe portans panem suum. Onde ave-mo veduto, com’ella operò in quattro cose: ch’ella fu fa-condiosa in laborando, fuit fortis in pugnando, fuit sa-piens negotiando, et fuit navis in portando. E però non fuoziosa ne pigra, nò; chè l’ozio e la pigrizia vòta il tempo,ma i dì suoi furono pieni. Deo gratias. Disse qui un belloesemplo di quelli pellegrini c’andavano per divozioneoltre mare, ch’erano bene 500, ed eravi uno vescovo, ecome la nave ruppe in mare, e come il nocchiere che se

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ne avvide campò sè e ’l vescovo e certi altri, e tutti gli al-tri affondaro; e l’anime loro come colombe biancheuscivano dell’acqua e volavano al cielo in veduta del ve-scovo; e come uno divoto della Donna, c’andò in fondodi mare e poi fu liberato, e della pietade degli affogati edel vescovo. Deo gratias.

XXXIX

Questo dì medesimo, dopo nona, in Santa Maria Novella.

Aliud cecidit inter spinas. Chiamoe Cristo tutti i benidel mondo spine: e troppo disse bene, chè dirittamentesono spine tutti. E questo si mostra da tre parti: ex parteanimae, ex parte corporis, ex parte affectus. Imperoc-ch’elle sono spine che pungono l’anima, ’l corpo e l’af-fetto. Come i beni del mondo pungono l’anima, questosi mostra per tre ragioni. Questo non udii, chè venni tar-di. Come pungano l’affetto, questo è anche in tre modi eper tre vie: ratione fugationis; imperocchè ci fuggono edanno pena; e a questo non fui: da quinci innanzi fui. Laseconda si è ratione succesionis; imperocchè accendonola fame e il desiderio, quando te ne credi saziare e tu nese’ più affamato; imperocch’elle sono come le legna alfuoco, ch’è in forza, e così il disiderio e l’appetito dellecose del mondo dà grande pena da sè; ma le cose delmondo, incominciandole ad avere, crescono il desiderio,e affamanlo nol saziano, e quanto maggiore è più tor-menta. La terza ragione si è trepidationis: e questo è perlo timore; imperocchè sempre ti pungon di timore. On-de va, acquista figliuoli quanto più ti piacerà, con mag-giore paura starai tuttavia in grande gelosia di lui, o chenon ti sia morto, o per altri molti impedimenti, che sem-pre ne sarai punto e tribolato; e così delle ricchezze edell’altre cose. Pungono ancora non solamente l’anima,

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non solamente l’affetto, ma eziandio la carne e ’l corpo.E questo è ancora in tre modi: extra se, intra se, e in seipsa. Extra se: Vedi quante fatiche eziandio corporali hal’uomo per le cose del mondo! a quanti pericoli, a quan-te fatiche, a quanti digiuni, a quante vigilie, a quanti du-bii, a quante diverse cose se ne mettono le genti per ac-quistare le cose del mondo, ne’ viaggi, ne’ cammini; e aquanti disagi e con quanta fatica si guadagnino e s’ac-quistino non è mestiere di dire. Intra se, imperocchè nonavrai uno bene sanza molti mali, uno dolce sanza moltiamari. Se tu sarai a uno mangiare talora avrà difetto dipoco cotto o di troppo, o avrà difetto di sale, o che saraistomacato, o per la compagnia, o per molti altri modiche possono essere, che dànno afflizione e puntureeziandio corporali. Intendi in se ipsa: imperocchè da sèmedesime danno pena corporale. Onde perchè vengonole febbri, le doglie, le gotte, i malori, le infermità? Purper l’abbondanzia de’ cibi che la persona piglia oltramodo, chè tutti si convertono in ispine pugnenti. E cosìti potrei dire di tutti gli altri beni mondani, i quali cia-scheduno è spina e affligge in diversi modi. Deo gratias.

XL

Frate Giordano, 1305, a dì 13 di Febbraio, Domenica mattina,la più pressimana alla Quaresima, in Santa Maria Novella.

Confestim vidit et sequebatur eum. In questo Vangeloche si canta oggi alla messa si contengono due cose prin-cipalmente. La prima si è siccome il Signor nostro GesùCristo predisse a’ discepoli la passione sua dinanzi, e laresurrezione. Appresso dimostra uno miracolo, il qualeCristo fece, ralluminando uno cieco; il quale cieco,udendo grande turba passare per la via, domandò chefosse; fugli detto: Iesù Nazareno. Sempre andavano die-

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tro a Cristo molte turbe, e sì per li miracoli, i quali face-va continovamente, e sì per le parole e per la dottrinasua santa, piene di grande vertude di perfetta salute.Udendo questo cieco che Cristo passava, sì cominciò agridare forte: Iesu Fili David miserere mei. Avea questocieco più volte udito nominare e aveva inteso l’operedelle vertudi sue, e però ebbe fede grande e speranza inlui. Le turbe udendo che pur gridava, sì ’l riprendeanoche tacesse; e questo non lasciava per detto di personanè per minaccie, ma pur gridava forte. Allora Cristos’approssimò a lui e sì gli disse: Tu mi chiami e gridi, ec-co me, che vuoli che io ti faccia? Questi, siccome saviocieco, non addomandò oro nè argento, perocchè quellopoco gli valea sanza ’l lume; e ancora perchè sapea beneche Cristo non l’avea, chè non portava seco nè non aveanè oro nè argento; e però addomandò quello che più gliera necessario e che migliore era, e disse: Messere, ch’ioveggia, e ch’io riabbia il lume. E Cristo gli disse: Vedi; eincontanente al comandamento di Cristo riebbe il lumee sì vidde. Per lo quale beneficio incominciò inconta-nente a essere seguitatore di Cristo. In questo ciecoavem noi pienamente tutta dottrina di ciò ch’ènne me-stieri a essere alluminati perfettamente. Due cose sonomestieri a colui che va per cammino e vuole venire ad al-cun fine. L’una si è lume, cioè che veggia; se non vedes-se non potrebbe andare: come questo cieco, che insinoche fu cieco stava nella via e non andava. L’altra si è ilseguito, cioè compagnia; e questo è mestieri per più ra-gioni. L’una perchè t’aiuta in quello che fosse mestiere,e sì perchè vai più sicuro, e anche perchè ti guida e met-teti nella buona via. Questo due cose si mostrano inquesto cieco: prima che fu ralluminato, appresso che diquesto seguitòe Cristo, il quale è nostro capo, nostraguida e nostro duce; il quale dovemo seguitare, acciòche noi possiamo venire al termine e al fine desiderato,cioè vita eterna. é da vedere prima che lume è quello che

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n’è mestieri spiritualmente. Tre lumi, dice santo Augu-stino, ne sono mestieri, acciò che tu veggi. Il primo benee la prima luce si è quella del Sole, sanza la quale nonpotresti vedere; e questo è lume generale. Il secondo lu-me si è quello dell’occhio tuo, e è detto luce; perocchèdicono i savii che la luce dell’occhio è omore lucido;sanza l’occhio tuo non potresti vedere e non ti varrebbeniente la luce del Sole; a questo modo vedrebber le pie-tre, ma perchè non hanno occhi non veggono. Ancoraacciò che l’uomo veggia sì ci è mestiere il terzo lume, esanza questo i detti due non vagliono, e questo si è unlume più dentro. Questo si è la ’ntenzìone di volere ve-dere. Se questo non ci è non vedrai; a questo modo ve-derebbe il leone, che quando dorme tiene gli occhi aper-ti; a questo modo vederebbe l’uomo quando vegghia,che quando il pensiero opera forte in alcuna cosa o in al-cuno luogo, non vedi quello che ti passa dinanzi agli oc-chi; perocchè l’anima nostra non è di grande vertude,che possa intendere a due cose; ma quando intendi benea una e èvvi bene astratto, si perde all’altra; e però nonvede, nè ode, nè sente cogli altri sensi. Dunque acciòche noi veggiamo perfettamente il lume, sì ne sono me-stieri, tre lumi. Uno di fuori, il Sole; uno dentro, l’oc-chio; uno più dentro, la ’ntenzione che vuogli vedere.Così è spiritualmente, nè più nè meno. La prima luce siè la grazia divina, e questa è luce grande e è la luce gene-rale; la seconda luce si è dentro, e questa si è l’amore; laterza luce si è più intima, e questa si è la fede. Le qualitre cose la Santa Scrittura l’appella tutte luci. E detta lafede luce, e questa si è la più intima luce; è detta peròc’hae a cacciare dell’anima le tenebre della infedelitade.L’amore è detto luce, perocch’è assomigliato al fuoco; ilfuoco non può essere sanza luce. La grazia di Dio è asso-migliata a luce, perocchè purga l’anima, e mondala daogni macola e da ogni lordura di peccato. Dico che lapiù intima luce si è quella della fede; e questa si è fonda-

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mento, e dà forza e via a tutte l’altre luci. I pagani egl’infedeli sono perfettamente ciechi, perocchè non han-no il lume della fede; il quale è il primo; però non hannogli altri. I peccatori cristiani ben sono ciechi, ma in altromodo che i pagani; perocchè i cristiani non hanno al tut-to il lume in ciò: che perch’eglino pecchino, non toglieogni peccato; però ci ha la fede, e non toglie via peròquel lume, ma tuttavia rimane. Sicchè rimanendo quel-lo, ha via a potere riavere il lume c’ha perduto per lopeccato. Non è così del pagano e dello ’nfedele. Potre’tene dare un cotale esemplo dell’uomo cieco, o dell’ani-male e della pietra. La pietra è cieca in tal modo, chenon può mai avere lume nè occhi; ma l’uomo cieco puòriavere il lume, perocchè ha le membra acconcie a ciòper natura; la pietra non ha membra nè natura da ciò.Così è del cieco infedele al cristiano cieco per lo pecca-to. Il terzo lume si è la grazia di Dio; e questo si è il lumegenerale, sanza il quale ogni altro lume si perde: e dallaquale luce vengono tutte l’altre luci. Siccome vedete dicolori. Che pensate che siano i colori? Colori non sonoaltro, secondo che dicono i savii, se non luce partecipatadalla prima luce. Onde i colori sono parte della luce delSole; e l’uno colore partecipa più della luce uno che unaltro; siccome il bianco che ha più della luce che nullodegli altri. Questo calore del bianco significa la caritade;chè avvegnachè le si dea colore di fuoco, questo è per al-tre proprietadi. Ma questo colore del bianco ancora èdella caritade, però ch’è bianchissima e partecipa piùdella luce. E dovete sapere che del bianco si possono fa-re tutti gli altri colori. Così è spiritualmente; che, sicco-me della vertù del Sole si fanno tutti i colori, e del coloredel bianco si possono fare tutti gli altri: così della graziadivina e dell’amore tuo, ch’è in te, vengono tutte l’altrevertudi. Ogni vertude è uno colore dell’anima; ondedell’amore divino vengono tutte le vertudi; e chi hal’amore ha tutte le vertudi; come dice santo Paolo: Cha-

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ritas benigna est, patiens est. Ora sarebber da vedere quidue belle cose. La prima le condizioni della cecità spiri-tuale, e questo vedere per somiglianza delle caritadecorporale. Appresso vedere come noi potemo riavere laluce e ’l vedere, e in che modo, e quale è la via. E questosi mostra perfettamente in questo cieco; in ciò che stavanella via e mendicava, e domandò e gridò a Cristo. Eperchè sarebbe troppo diremo pur della prima, cioè chevedremo le condizioni della luce spirituale per la corpo-rale; e questo mostrando vedremo altresì le condizionidella ciechitade; perocchè l’uno contrario mostra l’altro.Tre mali condizioni sono nella ciechitade corporale, lequali sono nella spirituale. La prima si è che non cono-sce nè sente le cose assenti, cioè lontane. La seconda,che delle presenti non conosce la luce nè i colori. La ter-za si è il mal giudicio che ha delle cose; siccome mo-sterrò. Così nè più nè meno nella ciechità spirituale. Ve-di grande cosa, hae Iddio fatte e ordinate tutte le cosecorporali ad esemplo delle spirituali, acciò che per ognimodo sii ammaestrato nella verità. Bella cosa è questa apensare! Prima dico che ’l cieco hae questo difetto, chenon ha conoscimento delle cose da lunga; e però non sale lontane, nè quelle del cielo, e perde molto bene e mol-to diletto; perocchè non vede il Sole, ch’è così bella co-sa, non le stelle, non il cielo, non i palagi e l’altre bellecose; ma sentono pur le presenti, quelle che toccano,quelle che mangiano. Così è spiritualmente il peccatorefatto cieco per lo peccato: non conosce e non sa che siaaltro che le cose presenti, cioè i beni di questo mondo;non sa che si siano i beni assenti. Questi sono i beni divita eterna, i quali ne sono di lungi da noi: questi nonconoscono i peccatori. Quelle sono le cose grandi, le co-se dilettevoli, le cose allegre. Conosce il peccatore e sen-te pur queste presenti, le quali hanno termine e passanocontinovamante. Onde del mangiare d’ieri non senti og-gi. Queste due grandezze intra l’altre hanno quelli beni

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di vita eterna: l’una che non hanno termine nè fine nul-lo, nè di cento anni, nè di mille, nè di centomila; l’altrache non passano. E questa parti dura cosa a pensare, chèti pare questa impossibile che non passano. Questo tipare così, perchè non vedi di ciò nullo esemplo in tuttoquesto mondo; perocchè tutte le cose di questo mondopassano; e però che non ce n’ha nullo esemplo, però tipare duro; in tal modo duro, che in nullo modo si puòpensare. Perocchè dicono i savii che l’anima nostra nonpuò imaginare nulla cosa, la quale non abbia veduta conocchi, o per simiglianza d’altra. E però delle cose dell’al-tro mondo non puoi conoscere, perocchè non l’hai ve-dute, nè quelle nè simiglianti a quelle, e però non le puoiimaginare, e però ti pare cosa dura e impossibile chequelli beni non passino; ma non passano. E però quelmedesimo diletto ch’egli hanno nel primo punto ch’en-trano in Paradiso, quel medesimo hanno appunto, quelmedesimo sempre mai, e non impedisce quello agli altri.Siccome è di noi, che l’uno boccone caccia l’altro; chè sel’uno pur istesse, non potrebbe entrare l’altro; perocchènoi siamo stretti e potemo ricevere poco bene; e i tuoidiletti non gli puoi avere a un tratto, ma ora l’uno or l’al-tro, e quando hai l’uno non hai l’altro; non puoi mangia-re nè assaggiare di sei bocconi a un tratto, nè averne di-letto. Or non è così di beni di vita eterna; è simigliante amodo d’uno che tenesse sempre il boccone in bocca: co-sì è. I santi non perdono mai il primo diletto ch’ebbero enon fa loro fastidio. Chi tenesse il boccone in bocca sa-rebbegli fastidio. Ancora non caccia l’uno l’altro, matutti gli gode, tutti gli ha, di tutti si diletta a un tratto.Grande cosa è questa a pensare! Appresso sono i benidell’anima, che sono più nobili e più maggiori, e sonomolti i suoi diletti. Di tutti questi beni si diletta a untratto perfettamente, e non impedisce l’uno l’altro.Grandi cose sono queste e bellissime a pensare! Adun-que i miseri peccatori non sentono e non sanno che si sia

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altri beni che questi di quaggiù vili e miseri. Ma gli uo-mini santi e gli amici di Dio, dico pur di quelli che sonoancora nel mondo, sì si dilettano in queste cose, e peròla vita loro è di maggiore diletto che non è quella dipeccatori, più che quella di quelli che vede a quelli chenon vede. La seconda mala condizione del cieco si èeziandio pur in queste cose le quali li sono presenti; pe-rocchè non vede la luce nè i colori delle cose, non è al-tro che ’l toccamento; grossa cosa è. Così è di peccatori,che eziandio in queste cose presenti le quali usano, so-no ciechi e hanno molto meno diletto; perocchè non ve-de la luce nè il colore, e però perde questo senno; chèchi ha meno alcuno senno sì perde il conoscimento diquel senno; perocchè in nullo modo può entrarenell’anima il conoscimento delle cose così bene comeper li senni. Quelle sono l’uscia e le porte dell’anima. Seper queste porte non entrano, non c’entrano mai benenulla; e però poco diletto hanno i peccatori delle criatu-re; ma i giusti e i santi n’hanno il grande diletto. Ma isanti che sono in vita eterna hannone perfettamenteogni diletto. Di questo non è quistione; perocchè si di-lettano in tutte le criature, e non è nulla criatura, dallaquale non abbiano singolare diletto. Or vedete quantodiletto hanno pur delle criature! Onde dicono i santiche questo mondo non si disfarà dopo die giudicio, an-zi starà bene. Disfarannosi bene tutti gli animali e tuttele piante, e arbori e cotali cose; ma e’ rimarrà il cielo, ele stelle, e ’l sole, e gli alimenti e la terra. E dicono i san-ti che Iddio le migliorrà tutte, e faralle più belle e mi-gliori; onde al sole darà più luce, e così migliorrà tuttequeste cose, e farà questo mondo assai più bello. Que-sto farà, ciò dicono i santi, per diletto de’ beati. Ondedicono, che a lor diletto rimarrà la creatura corporaleimbellita e migliorata, della quale avranno grande dilet-to; poi avranno gli altri diletti del corpo e dell’anima, eda più altre parti. Ma pure i giusti che sono in questo

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mondo hanno assai più diletto e più godono di questecriature, che non fanno i peccatori, troppo più; e que-sto si potrebbe mostrare e provare, e in genero e in par-ticolare. In particolare in questo modo: il buono uomousa le criature bene e come dee; onde quegli ch’è tem-perato, dicono i savii, ha più diletto di quegli che man-gia, perocchè la natura sua è meglio disposta a ricevere.Ancora hae la sanitade. Quegli che si saziano si confa-stidiano, e perdonne spesse volte la sanitade, e incorro-no in infermitade e in molti dolori. E così ti potrei diredi più altre cose, pur in questo caso; e così ti potrei diree disputare di tutte le criature, e di ciò ch’egli usa singo-larmente, ed in genero altresì. Io dico che ’l buono uo-mo si diletta più assai che ’l peccatore; e dico piùch’egli ha più bene e più diletto eziandio delle cose tue,che non hai tu medesimo. Ecco l’usoraio: dura moltafatica in accattare ricchezze e pecunia; poi porta moltafatica in conservalle, ch’è una grande fatica a conserva-re l’uomo la pecunia, che non gli sia tolta e che non laperda, e in molti altri modi n’ha fatica. Dico che il buo-no n’ha più diletto di lui; prima che non ha quelli difet-ti, chè non ci ha fatica nè in acquistarle nè in conservar-le; chè, perchè tu le perdessi, non se ne cura nulla.Appresso n’ha diletto considerando la misericordia diDio che ’l sostiene. Appresso che non vede s’è cieco, eil male di colui gli dà diletto. Vedegli la bussa e la fatica,e ha diletto della pena sua in molti modi. E così n’haeancora bene e diletto assai più di lui per più altri modi,i quali lasciamo; perocchè conosce la luce delle cose e icolori, troppo n’ha più diletto. La terza mala condizio-ne del cieco si è per lo mal giudicio; chè, non solamentenon vede e non conosce la luce e i colori delle cose, maeziandio non conosce la vertù nella qualità loro. Ondeal cieco parrà il piombo oro, e il loto argento, cotale lo-to che si getta nel fornello; e non conoscerà la pietrapreziosa se vale 100.000 fiorini d’oro, e non se ne cure-

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rebbe, se non come d’un’altra pietruzza vile; e così an-drà per li luoghi dubbiosi come per la via piana; così super lo ponte rotto e non se ne curerà; avrà la fossa a’piedi e non se ne curerà. Sagliendo su per lo ponte, e disopra avesse uno diroppato, insino in profondo, così visi getterebbe. Male condizioni sono queste cose spiri-tualmente di peccatori; imperocchè hanno mal giudicioe falso in tutte le cose; e questo vedi per lo malo usareche fanno delle criature; dicono del bene essere male.Così dice il Profeta a’ peccatori: Guai a voi che dite delbene male e del male bene! Imperocchè le cose rie di-cono essere buone. Non dico io che nulla criatura siaria, chè questo sarebbe contro alla fede di Cristo; anziogni criatura è buona, e i diletti carnali e gli altri, comedice santo Paolo: Omnis creatura Dei bona, et nihil reji-ciendum quod cum gratiarum actione percipitur. Vo-glionsi prendere con rendimento di grazie, ma ov’è ilmale, in usarle. Onde hanno malgiudicio i peccatori cheusano le cose che non sono loro, come se fossero loro, eperò peccano. Onde gli usurai vogliono usare e usanoquello che non è loro, anzi è altrui. Simigliantementel’adultero vuole usare quello che non è suo, e però pec-ca; e così ti direi di tutti. Il diletto carnale, com’io dissi,è buono quando s’usa in matrimonio. Usarlo in altromodo, qui è il peccato. Ma il buono uomo giudica suoquello ch’è suo, e però usa le cose sue come sue, e l’al-trui lascia stare, e ha buono giudicio nelle cose. Rima-nea a dire della seconda cosa, cioè in che modo si criaquesto lume e come si può raccattare; e questo si mo-stra perfettamente in questo cieco. Eran queste bellecose e utili, ma perchè avemo detto assai lascialle. Deogratias.

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XLI

Frate Giordano, 1305, a dì 16 di Febbraio, mercoldì mattina,in Santa Maria Novella, il primo dì di quaresima

Cum jejunatis, etc. La penitenzia hae più parti, sicco-me hanno tutte l’altre cose; e sanza queste parti non èpenitenzia compiuta nè perfetta: siccome la casa, se nonavesse fondamento, pareti e tetto. Tre sono le parti dellapenitenzia, cioè contrizione, confessione e satisfazione.La satisfazione, cioè questa terza parte, hae più parti;siccome tu dicessi: Il corpo hae molte membra, l’uno deiquali è il braccio; ma il braccio hae più parti, cioè la ma-no e le dita; e le dita hanno più altre parti. Così della pe-nitenzia e della satisfazione. Hae dunque questa terzaparte, cioè la satisfazione, altre parti, cioè digiuno, limo-sina e orazione; delle quali tutte ammaestra il Signore inquesto Vangelo, e massimamente delle due, cioè del di-giuno e dell’orazione. Il digiuno è contro al vizio dellacarne, a macerare tutti i carnali vizii, potremo dire a mo-do che si spegne il fuoco traendone le legna. La limosinaè contra al vizio dell’avarizia, l’orazione è contra il viziodella superbia. Tutti i peccati del mondo si riducono aquesti tre, secondo che dice santo Iovanni; ma singular-mente n’ammaestra il Signore del primo, cioè della li-mosina, e del terzo non così. E la ragione si è, perchèl’orazione e ’l digiuno si possono comprendere eziandioentro la limosina; perchè dando la limosina al povero tiristrigni alla bocca, e dando la limosina sì ti fai partecipedell’orazione di quelli a cui la dai; e se dessi la limosina atutti sì accatteresti e compreresti l’orazione di tutti, ecc.(Non disse più, perchè fu affrettato c’andasse a santa Li-perata a fare il sermone).

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

XLII

Questo dì medesimo, la sera, in Santa Maria Novella.

Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra, etc. Intral’altre molte utili cose, alle quali il nostro benedetto Si-gnore Iesù Cristo n’ammaestri in questo mondo, si è difuggire l’avarizia, quando dice: Non thesaurizate in terra.Il quale comandamento n’è sommamente utile e neces-sario; e questo si può mostrare per lo male ch’è segui-tando avarizia: il quale vizio è di somma stultizia, e digrande vanitade, e di molta laboriositade ovvero impos-sibilitade, ed è di sommo danno e di grande pericolo.Ciascheduna di queste quattro cose si potrebbe mostra-re per quattro ragioni; sicchè sarebbono sedici ragioni intutto a mostrare il male di questo vizio e la necessità delcomandamento di Dio; ma perocchè non avemo tempodi ciascheduna cosa, assegneremo pur una ragione e nonpiu, e a catuna ne lasceremo tre. Dico dunque che que-sto vizio primamente è di somma stultizia, ovvero paz-zia. A cui uopo raguna, l’avaro? Non a suo, ch’egli persè di leggieri cosa si passerebbe. Se di’ per lo figliuolo,che dee rimanere redo, or come, che pare che voglia un-cicare e tirare a sè tutto ’l mondo? E che ha di questa co-sa la vita sua? Tutto l’altro a cui uopo fa? che ne credefare? chè non avrà intenzione di lasciarne a’ parenti.Propter vanitatem. Credeci trovare saziamento, ed eglisempre s’accende la fame. Ancora è vanità; perocchèogni cosa viene meno, e panni, e metalli, e ciò che ci è;perocchè ’l ti rode la tignuola, la ruggine, ed ètti tolto, edi nascoso e in palese in molti modi, e nulla cosa ti puòbastare. Propter laboriositatem vel impossibilitatem; equesto è per la contrarietade. Io hoe volontade d’arric-chire: questa volontà non ho pur io, ma halla ogni uo-mo; e però catuno volendo arricchire, l’uno è contrarioall’altro; perocchè quello che vogli tu e io il voglio, ed

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avere non si può per tutti. E però sono le liti e le batta-glie, perocchè l’uno è contrario all’altro. E però ogginon possono essere ricchezze, se non in due modi, o chel’abbia per redità di suo padre, o che l’abbia tolto altruie rubato per usura o per maltolletto, che non è suo, eperò sono di grande fatica troppo, e sono impossibili adaccattarle lealmente. Propter periculositatem; perocchèchi vuole fare tesauro in questo mondo conviene cheperda quello di cielo. Questo toglie quello, non si puòavere l’uno e l’altro; e questa una cosa mostra il Signoresingularmente in questo Vangelo, ove dice: ubi est cortuum, ibi thesaurus tuus erit. Imperocchè dove tu voglifare il tesoro ovvero ove tu l’hai, ivi è il cuor tuo. Ondese ’l tuo tesauro è in cielo, ivi è il tuo cuore; se è qui, ilcuor tuo è in quello. E però questo vizio si è pericolosis-simo, chè parte e scevra il tuo cuore da Dio; ancora è pe-ricoloso, chè promuovi l’ira di Dio sopra te, e escenequel grave peccato, che si dice nel Vangelo contra Spiri-tum Sanctum, cioè disperazione; chè chi fa tesoro in ter-ra conviene che sia disperato da Dio, perocchè non siconfida in lui, nella sua potenzia, sapienzia, bontà e ric-chezza; ma chi si confida in Dio, questi è bene atato; echi bene confida in Dio, non sarebbe mai abbandonatoda lui. Questo vizio ne toglie il Signore in molte luogora.Considerate i gigli del campo e gli uccelli del cielo, ecc.E dice: non pensate del dì di domane, che ’l dì di doma-ne sarà sollecito a sè medesimo. Deo gratias.

XLIII

Frate Giordano, a dì 17 di Febbraio, la mattina, in Santa MariaNovella.

Puer meus iacet in domo paraliticus et male torquetur.Siccome dice Salamone: Omnia suum habent tempus.

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Questo tempo si è tempo da purgare, il più acconcio chenull’altro, per molte ragioni: e non solamente alle purga-zioni del corpo, ma eziandio di mali amori spirituali, de’peccati; perocchè spesse volte, anzi quasi sempre, le in-fermitadi dentro dell’anima sono cagioni delle infermi-tadi del corpo. E questo ancora si potrebbe provare permolti ragioni; e però fu trovata la quaresima in questotempo, e fue spirata da Dio prima nelle menti degli apo-stoli, e spezialmente di santo Piero. Questi l’ordinò etrovò, siccome fu spirato da Cristo. In questo tempo ab-bondano più gli omori che in tutto l’altro tempo; e l’ab-bondanzia di ciò son cagione non solamente all’infer-mità corporale, ma eziandio alla spirituale. E però inquesto tempo usa l’uomo di purgarsi, ed è il migliorepurgare che mai. E però oggi nella chiesa si canta di dueinfermi, che fuoro curati. Nella pistola, ovvero nellaprofezia, si fa menzione d’uno principe, che fu sanatomiracolosamente per vertù di Dio; e nel Vangelio si famenzione come Cristo sanò uno ch’era infermo e parale-tico. E acciocchè del peccato, ch’è infermità dell’anima,possiamo sanare ed essere perfettamente curati, si è me-stieri che si conoscano tutte le circostanzie e tutti gli ac-cidenti del peccato, acciocchè si possano curare e vieta-re. E a vedere le circostanzie del peccato sì sono cinque,le quali tutte si mostrano per ordine in questo infermo.Cinque cose dice il Vangelio di questo infermo: chè pri-mieramente e’ pone la persona dello infermo, quandodice: puer; appresso pone il modo, quando dice: iacet;qui è anche ammaestramento. Appresso pone il luogo,quando dice: in domo; dice che giace infermo in casa.Appresso fa menzione della infermitade, quando dice:paraliticus. La parlasìa è una infermitade, per la qualeperde l’uomo le membra, e non si può atare nè reggere.Appresso pone la pena, quando dice: et male torquetur.Delle prime quattro parti diremo stamani, e della quintaparte diremo stasera. Dice prima che si mostra la mala

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condizione del peccato in ciò che pone la persona delloinfermo, e questo fa quando dice: puer. Questo nomepuer significa nella Scrittura due grandi difetti: alcun’ot-ta significa stoltizia, e alcun’otta servitudine. Prima dicoche questo nome puer significa stoltizia; questa è la pri-ma mala condizione del peccato. Ogni peccato viene peristultizia e per difetto di conoscimento. Tutto ’l peccatosta nella volontà. Due cose altissime, nobili, avemonell’anima, e sono principio in noi, cioè intendimento evolontà: nello ’ntendimento non istà il peccato, ma purnella volontà. Ma dicono i santi e’ savii, che la mente,cioè la volontà, non potrebbe aver macula di peccato, senello ’ntendimento non avessi difetto di conoscimento.E a mostrare com’è il peccato pur nella volontà e nonnello ’ntendimento, questa è sottilissima questione, e al-ta e nobile. Or direstù: Come mi di’ tu che sono stoltitutti quelli che fannone il peccato? Noi veggiamo deigrandi allitterati, che stanno in peccato; ed ecco l’usurie-re, che parrà c’abbia tutto ’l senno del mondo, altrimen-ti come farebbe l’usura? Dicono i savii che questo sennoe questo conoscimento è in due modi: uno in genere euno in particolare. Di questi allitterati e degli altri moltiben sono savii. E se tu dicessi e dimandassigli: è bene afare il peccato? direbbe ch’è pessimo. Se domandassi ingenere: è buono a fare il micidio, l’adulterio? diratti ch’èpessimo. Ma quando verrà a fare il peccato, in questoparticulare perde il senno; perocchè se allora lo doman-dassi: è reo questo peccato, questo adulterio? forse cheallora ti direbbe che non fosse reo; perocchè ha qui per-duto il conoscimento; e però pecca e dice: tornerò a pe-nitenzia. Or se tu dicessi: s’io non conosco non avròpeccato, no. Se la tua ignoranza fosse come quella delfanciullo (avvegnachè ne’ fanciulli si truova più maliziain uno che in uno altro; ma comunalmente da sette anniin giù non deono i fanciulli avere conoscimento, e di talidi più tempo), se la tua ignoranzia fosse a questo modo,

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già il li confesserei; ma la ignoranza, la quale è venutaper malizia, o per negligenzia, la quale tu potevi schifaree cacciarla da te, questa ignoranzia non ti scusa; e così ègrave il peccato tuo, come se il conoscessi e peccassi. Esono molte generazioni di matti; e sono matti, cioè fan-ciulli, come detto è; sono matti, che mai non ebbero sen-no nè conoscimento per loro difettuosa natura. Questiben sono scusati, ma tutti gli altri no. Il secondo difettoe condizione del peccato si è defectu servitutis; e questosi mostra ancora in questo puero, che significa non sola-mente etade, ma servitudine. Puero è detto colui ch’èservo altrui e non è signore di sè. Questo è l’altro grandedifetto e male di peccatori. Il calore disordinato è cagio-ne di febbre, e quando la febbre è venuta ancora rimaneil caldo; perocchè la febbre è con caldo. Bene è vero checerte vengono per freddo, non è per forza; pur questo ècosì. Questo è vero, che quando l’uomo è caduto nelpeccato, e’ conviene che ricaggia immantanente nell’al-tro. Credete voi che ’l peccato si faccia solo? no; ma vo-gliendone fare uno, ne fai molti. Onde se ’l peccatorehae a vivere alquanto è mestieri che ricaggia in quel me-desimo più e più. Quegli che fa l’adulterio, se non fosseimpedito per molti impedimenti che ’ntravengono, chenon può, egli ’l vorrebbe rifare cotidianamente. Simi-gliantemente il micidio; non si può fare se non una volta,ma se risuscitasse ancora l’ucciderebbe, e se risuscitassemille volte, quante volte risuscitasse sì l’ucciderebbe sepotesse. Dunque vedi com’è servo! Non rimano se nonche non può: ma non però di meno pecca; perocchèogni volta che ti ricordi del peccato, e piaceti, e vorresti-lo avere fatto e anche farlo, pur ogni volta il rinnovelli epecchi mortalmente; e stando la persona nel peccato di-venta svergognato. I fanciulli non hanno vergogna di ciòche fanno, nè di stare ignudi dinanzi altrui, nè di fareogni loro sozzura, al tutto ne sono privati; così è di pec-catori, chè pèrdono la faccia, e non si vergognano e di-

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ventano svergognati, o si pur vergognano; e in ciò si mo-stra che i peccatori gli fanno in luoghi occulti e chiusi. Etalora gli usurieri si vergognano di prestare qui, fuggon-si in Francia; e, questo addiviene, chè non puote il vizioal tutto spegnere e tòrre via la natura. Naturale è all’uo-mo vergognarsi de’ peccati. Questa natura non si puòtòrre mai; chè se si togliesse, così farebbero i peccati nel-le piazze come in luoghi occulti; ma non si può tòrre, maben s’indebolisce. La seconda cosa che si pone di questoinfermo si è il modo e la condizione sua, in ciò che diceche giacea. E in questo giacere si comprendono ancoradue altre male condizioni del peccato, per due grandidifetti che s’intendono in questo giacere. L’uno si è, chenon può combattere nè difendersi; l’altro si è, che nonpuò operare, e chiamasi defectu pugnae et defectu operis.E questo è però c’ha perduta la potenzia. La potenzianostra sta in due cose, secondo i filosofi e i santi. L’una èdetta azione, e l’altra repugnazione; l’una è in difender-si, l’altra è in operare. Queste due potenzie hae l’uomoch’è in grazia dì Dio e è sano dell’anima, per due cose.L’una si è per la grazia, l’altra si è per la carità. La graziadifende e pugna contro tutti i contrarii; per la carità sifanno tutte l’opere. Dico dunque prima che ’l peccatorenon si può difendere. Quegli che è infermo, non sola-mente è infermo, ma è legato ed è incatenato; e però nonpuò uscire fuori, e sta legato nel letto. L’uomo che fosselegato non si potrebbe difendere. La grazia di Dio, dico-no i santi, è uno scudo, una arme contra tutte le tenta-zioni, contra tutte le pugne di tutti i nemici, mondo, car-ne e dimonio. Il peccatore è nudo, disarmato, non sipuò difendere. Chi andrebbe nudo alla battaglia? Ondedicea Moises: Non voglio ch’andiate alla battaglia, chèDio non è con voi; mal capiterete. Ma pur andaro e fuo-ro sconfitti. Disse Moises: Or non lo vi dicea io? Ondedice la Scrittura: Tale arme v’avea data, che se non l’ave-ste gettata, difendeavi da tutti i pericoli. E santo Paolo

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dice: Accipite armaturam Dei; nella quale possiate spe-gnere tutte le lancie del nimico. L’uomo c’hae la graziadi Dio ed hae Iddio seco è forte a contastare a tutte lepugne. Infino che Sansone non perdè queste armi, nonera fune, nè porta, nè ferro che ’l tenesse, ogni legamerompea e di tutti era libero; ma poichè perdè questa ar-me e diessi alla femmina, fu preso da’ nimici e fattonestrazio. Bene vero è che la grazia non è in uno modo inogni persona: chi n’ha più, chi n’ha meno; e secondoche più n’ha, così è più forte e più sicuro di non cadere,nè d’essere percosso o fedito: ma quegli che non ha Id-dio seco ogni cosa il vince, ma chi ha seco Iddio nonpuò mai essere vinto, se non si vuole. Debilis est hostisqui non vincit nisi volentes. Molte volte l’uomo chescherza col garzone per giuoco, non temerà ch’egli ilvinca; ma per sua volontà alcun’otta si lascerà vincere. Aquesto modo è di noi; chè ’l nemico e tutti i nemici nonti possono vincere, se non vuogli tu di tua volontà. Mol-to sarebbe forte chi non potesse esser vinto se non quan-do volesse. L’altro si è defectu operis. Siccome la graziadivina è arme e scudo dell’anima a difenderla e a pugna-re contra tutte le insidie, così, dicono i santi, la carità èprincipio nell’anima d’operare, ed è principio di tutte lesante opere. E la ragione si è questa: perocchè la carità siè forma nell’anima. Forma, forse non intendete bene,forma non è pur quella del calzolaio o della birretta, bensono queste alcun modo di forma; ma forma chiamano isavii quella vertù ch’è in tutte le cose, per la quale tuttel’operazioni si fanno. Onde la forma del sole si è la luce,colla quale opera. Forma degli arberi si è la vertù loro,colla quale fa quel frutto. La forma della medicina si èquella vertù colla quale opera a sanare. Il fuoco hae al-tresì sua forma, cioè il calore, col quale opera: e cosìogni cosa hae sua forma, colla quale fa tutte l’ operazio-ni. Così dicono i santi che nell’anima nostra è una for-ma, la quale è principio e radice di tutte l’opere nostre.

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Questa si è la caritade. La caritade è forma nell’anima,siccome ciascheduna casa hae sua forma. Sanza la qualecaritade non si può fare nulla opera buona. Chiunque èin peccato mortale ed è in questa infertà, sì ha perdutaquesta forma: siccome lo ’nfermo, c’ha perduta la vertù,e non può operare niente. Or se tu dicessi: Or non sipuò fare opera buona nulla, se non colla carità? Dicotiche no di verità. E sono due modi d’operare: l’uno si èin fare opera buona di sua natura, l’altra si è fare operadi vertù e di merito. I Saracini ben fanno limosina e mol-te buone opere, e così i pagani e i peccatori. Queste ope-re ben sono buone di loro natura, ma non sono di meri-to nè di laude nulla. Siccome ti posso dare esemplo delcane, che ti guarda la casa, che non sa che ci fare; delbue, c’ara la terra; dell’asino, che ti porta l’incarichi;dell’ape, che ti fa il mele. Ben sono queste buone operemolto di lor natura, ma non sono degne di nullo merito.A questo modo sono tutte l’opere de’ Saracini, degl’in-fedeli, de’ Giudei, de’ paterini e de’ peccatori cristiani.Non sono degne di nulla laude, di nullo merito, tutte so-no vane a loro. Ma l’opere fatte in carità, or quelle sonoopere spirituali, divine. Sicchè bene possono fare operebuone di loro natura, ma non opere spirituali nè divine,degne d’alcun merito. Odi santo Paolo come il ti chiari-fica: Si linguis hominum loquar et angelorum, etc. S’ioparlerò con lingua d’uomo e d’angelo, s’io avrò ogniscienza e ogni profezia, e s’io darò tutto ’l mio a’ poveri,e darò il corpo mio ad ardere, se non ho carità nulla è;tutte sono nulle e vane. Queste parole i peccatori odonomolto mal volentieri. E se dicessi: Dunque non farò nul-lo bene, no. Anzi allora te ne dei sforzare, chè, avvegna-chè non vaglia a vita eterna nè a merito, ma e’ val moltoa molte cose. E pur di questo si vorrebbe fare una buonapredica, a mostrare a che vale il ben fatto in peccatomortale. Ma ora lasciamo, ma diciamone una ragionequi. L’uomo, perchè faccia il peccato e rompa la legge,

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non è però liberato dalla legge, ma sempre è tenuto allalegge. Onde però vedi che così pecca grievemente quan-do il rifai più volte come prima. E perocchè l’uomo èsempre legato alla legge, e l’uomo facendo buone operee non contro alla legge, sì pecca meno, e i suoi peccatinon sono tanti. E questa è buona ragione. Un’altra nediciamo e non più; e qual è questa? Cioè che questo be-ne li dispone più a ricevere la grazia e a convertirli, epuoine fare tanto che vi ti dispone; sicchè poi, a piccolapredica che odi, o piccolo pensiero che ti vegna, sì ticonverti, e esci dal peccato e torni a Dio. Dell’altre trecose lasciamo. Deo gratias.

XLIV

Questo dì medesimo, in Santa Maria Novella, la sera.

Puer meus iacet in domo paralyticus, et male torquetur,etc. Delle cinque condizioni del peccato dicemmo sta-mane delle due. Rimaserne a dire delle tre. Diciamo oradella terza, in ciò che dice che questo infermo giacea incasa. E qui si comprendono due altre condizioni delpeccato, cioè che sta nascosto, ed è di lungi dalla medi-cina e dalla salute: e però si dicono defectu notitiae, etdefectu salutis vel medicinae. Prima dico che ha difettodi conoscimento, perocchè è occulto. Quest’altra condi-zione hae il peccato, ch’egli è dentro nella casa e nell’ar-ca dell’anima, e non si vede. Se l’uomo fa uno micidio oun’altra opera di fuori, ella si vede; ma il peccato e la’nfertà dell’anima non si vede, perocchè sta pur dentro enon si può conoscere; chè io truovo fatti micidii sanzapeccato e sanza colpa, truovo fatti furti sanza colpa. Lapodestà fa micidio e uccide il malfattore e non ha pecca-to, quando il fa a ragione. Quando altresì l’uomo fossein quella necessità che a ciò si richiede, può tòrre l’altrui

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sanza peccato; e però per l’opere di fuori non si può co-noscere la ’nfertà dentro; e se la pur conoscessi, non co-nosci chiente o come è grande. Chè, avvegnachè tu veg-gi fare il micidio, non sai che volontà ci ebbe, se fugrande o piccola, o come fu rea. Credi tu forse che tutti imicidii sien pari? non lo creder tu. Tanto quanto la vo-lontà è peggiore, tanto è più grieve il peccato. E questochi può vedere? E però la ’nfertà dell’animo è nascosta.E però dice il Profeta una parola, che molto s’usa e dapochi s’intende, ed è una bellissima parola, e dice: Delic-ta quis intelligit? ab occultis meis munda me. Chi intendeli peccati? nullo. Chi conosce la ’nfertà dell’anima? nul-lo; non si vede; quasi dica: chi se ne farà giudice? nullo,se non solo Iddio. Almeno non si sa chente è o come ègrave. Chi può pensare che volontà e’ s’ebbe quandocommise il peccato? nullo; Iddio n’è il pensatore. E nonsolamente delle ’nfertà di altrui, ma eziandio della suamedesima è ignorante e non la conosce. E spezialmentesono dubbiosi i peccati spirituali dentro, più che i carna-li; avvegnachè i carnali ancora vegnan dentro; perocchèda quella mala radice della mala volontà vengono tutti ipeccati e tutto le corruzioni. E poi dice: Et ab occultismeis munda me. Occulti li chiama; e questo può esserein tre modi: ovvero per l’obscurità, come detto è; ovverodi quelli che hai dimenticati, come addiviene spesse vol-te, anzi tutto giorno interviene ai mondani, che non sicurano dei peccati; fannoli tutto giorno e fannone molti,che poi non se ne ricordano mai; e però pare loro averepoco peccato, e stanno molto baldanzosi; ma se e’ fosseloro mostrato il quaderno de’ peccati loro e posto loroinnanzi, e’ parrebbe ben loro avere grande soma addos-so: e però al giudicio trarrà Iddio fuori il quaderno ditutti i peccati, e a ciascheduno porrà innanzi il quadernode’ peccati suoi. Il quale veggendo, si raccorderà di tuttii peccati che gli erano usciti di mente, e non solamentedi grossi, ma di tutti i minimi. Sono ancora detti in casa,

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in ciò che ’l peccatore e’ medesimo si fa una casa per co-prirsi. Questa si è la scusa. Adamo, quando Iddio il ri-prese del peccato, ed egli incontanente il volle coprire emettere in casa, vollegli fare una casa di scusa; e peròdisse: la compagnia che mi desti mi fece peccare. Non fualtro a dire, se non: tu me ne se’ stato cagione tu, e tu ilm’hai fatto fare. Or chi avea fatta la compagnia sua altriche Iddio? E però credendo gettare la colpa alla femmi-na, sì la gittava a Dio. Or odi bella scusa che questa fu! Ipeccati della carne sono leggierissimi a uscirne, e sono ipiù gravi che tutti gli altri. Mostrolti. Già non ti vergo-gni tu, di confessare che tu facessi usura, o ’l micidio odi superbia; ma quando vieni a’ peccati della carne, a di-re quelle sozzure, or’allora turi la bocca e rimettigli incasa. Conviensi trarre lo ’nfermo fuori, o almeno aprirel’uscio della casa. La seconda si è defectu salutis vel me-dicinae. Dicono i savii che tutte le infermitadi, quantosono più dentro, tanto sono più pericolose e di maggio-re dubbio: onde la febbre, ch’è dentro, è molto perico-losa, è ’l male nascosto che non si può curare. Onde di-cono che sono in due maniere le febbri: intra vasa etextra vasa, cioè dentro al vaso e di fuori al vaso. Vasichiamano le veni che sono nel corpo, perocchè sono va-si ove sta il sangue. Quando la febbre è intra vasa, den-tro alle veni, nel sangue, or questa è la mala febbre, que-sta è detta febbre aguta; ma quando è extra vasa, si èleggieri, e non è sì pericolosa e sì molesta. Così è delpeccato: il peccato si è nel più adentro luogo che sia, nelpiù adentro membro, cioè nel cuore dentro; e però è pe-ricolosissima cosa. Chi può conoscere i peccati occultidentro nel cuore? chi gli vede? e però sono di grandepericolo. Questi sono singularmente i paterini, che nonsi vogliono mostrare. E com’io dissi, i peccati della car-ne, i quali sono i più leggieri a curare quando si manife-stassero, e però si deono trarre fuori e aprire l’uscio del-la casa, acciocchè la medicina si possa dare, e possa

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l’anima ricevere curazione della sua infermitade. Dell’al-tre due parti, cioè della ’nfermità, che dice ch’era parali-tico, e come è primamente assomigliata al peccato, e adire della pena del peccatore, in ciò che dice: male tor-quetur, questo era maggiore trattato; e perocchè aveadetto assai, facciam qui fine. Deo gratias.

XLV

Frate Giordano, venerdì mattina seguente, in Santa Maria No-vella.

Diligite inimicos vestros. In questo Vangelo si contie-ne uno comandamento novello ed altissimo, del qualeCristo ammaestrò gli Apostoli, e in persona di loro tuttinoi. Questo fu il comandamento dell’amore del nimico.Nuovo è detto in ciò che prima non era in questa forma,e per questo comandamento è detto il Testamento nuo-vo. Mandatum novum do vobis. Questo comandamentopare contro a natura, e pare impossibile e di somma gra-vezza. Contra natura pare ch’io ami il nimico mio: l’unocontrario non può stare coll’altro; e se sono insieme qualpiù può quello caccia l’altro. La luce caccia le tenebre, ilcaldo caccia il freddo, il diletto la pena, e così degli altri.Questo veggiamo ancora nell’erbe, e nelle medicine ene’ legni. Questo veggiamo negli animali, che natural-mente odiano e fuggono il loro contrario. Vedi l’agnello,che incontanente ch’è nato, quando vede il lupo, incon-tanente il fugge, che non avrà mai veduto lupo, nè il lu-po non avrà talora mai mangiato agnello, e sì il fugge co-sì, immantanente conosce ch’egli è suo nemico. Questochi gli ha insegnato? la natura. Così del badalischio, ch’èil più pessimo e feroce animale che Dio criasse; che purcol guatare uccide, e non si può difendere da lui nè uo-mo, nè bestia, nè leone, nè uccello, che non confonda

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col veleno suo; e non fugge e non ha paura di nulla be-stia, se non d’una, cioè della donnola, ed è così piccoli-na, questa il confonde. Armasi d’un’erba, e vassene a lui,e pugna con lui e vincelo. Incontanente che questo ba-dalischio la vede, sì fugge. Conosce naturalmente il ni-mico suo e il contrario a lui; e così ti direi di tutte. Dun-que se naturalmente ogni cosa fugge, e odia e caccia dasè quanto può il suo contrario, dunque che comanda-mento fu questo ch’io amassi il nimico mio? Pare impos-sibile; avvegnachè essere impossibile non s’appartiene adire a nullo savio. Perocchè nullo comandamento a chel’uomo fia tenuto è impossibile; che se mi comandassicosa impossibile non ne sono tenuto: di quello che m’èimpossibile non ne sono tenuto; avvegna Iddio che aimondani questo comandamento pare ben impossibile,come volare. E credo io che chi gli dimandasse: quale tipare più impossibile, o volare come uccello o amare ilnimico, credo che gli parrebbe tal l’uno qual l’altro.Non si conoscerebbe vantaggio, tanto par loro impossi-bile d’amare il nemico! Ma qual sia la ragione? non la nesaprebber niente. Ma questa è dessa. Ogni criatura amail bene a sè, ed hae in odio il male, e massimamente l’uo-mo. E però volendo cacciare il male della vergogna edell’onta, e per riavere l’onore suo; però non lo puòamare, conoscendo che ’l nimico gli è contrario a ciò.Questo comandamento hae quattro gradi, quattro sca-glioni, e l’uno è più malagevole che l’altro, e i primi sonopiù agevoli. E a quel di sopra non salgono se non i per-fetti. Il primo grado e ’l primo scaglione si è in questocomandamento, non nuocere al nimico tuo in parole,con lingua. Il nuocere colla lingua e fare male altrui si èin molti modi. L’uno modo si è in abominarlo e infamar-lo; l’altro modo si è in maladirlo e bestemmiarlo; l’altromodo si è in concedere il male che n’è detto; l’altro si ècoprire il bene; l’altro si è in portargli falsa testimonian-za; l’altro si è fare saramento contro lui, come non dei;

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l’altro si è quando gli di’ parole d’inganno e non gli par-li fedelmente; l’altro si è mettere discordia e odio tra luied altrui; l’altro si è in confortallo nel male, e impigner-lovi per parole; l’altro si è dirgli mala dottrina; l’altro si ètacere quel bene che sai, ancorchè nol sappia; l’altro si èlodandolo per farlo levare in vanagloria. In questi modie in molti altri si può offendere colla lingua. Questo è ilprimo grado a questo amore, a questo comandamentoperfetto, cioè di non nuocere al nimico tuo colla lingua,nè in parole. Il secondo grado a questo amore si è il nonnuocergli per opera: e questo è ancora simigliantementein molti altri modi; e questo è quanto a tre peccati, cioèa quello dell’avarizia, a quello dell’ira, e a quello dellalussuria. Quanto al peccato dell’avarizia, nuoce e fa dan-no e male l’uomo per modo d’usura; come gli usurieri,che tolgono l’altrui. Fassi ancora male non solamenteusurpando, ma rubando, imbolando, ingannando pertorregli il suo, e come fanno i falsi mercatanti, e in piùaltri modi. Quanto al peccato dell’ira, si nuoce per ope-ra, quando batti il nimico tuo o di mano, o di bastone, odi ferro, o che ’l tieni in carcere o in aspritade, o chel’uccidi, o in altri modi. Quanto al peccato della lussuriasi nuoce togliendo la moglie altrui, sforzando a peccato,corrompendo, e in molti altri rei modi. Questo è il se-condo scaglione e grado a questo comandamento di nonnuocere al nimico tuo in nulla operazione. A questi duegradi e in su questi conviene che salga ogni uomo, e tut-ti ci sono tenuti, così i Saracini come i Cristiani. Gli altridue sono più malagevoli. L’uno si è non offenderloeziandio nel cuor tuo, che tu non gli porti odio nè mali-voglienza, che non gli desideri male nè pena, e non l’of-fendi in alcuno modo nel cuor tuo. E a questo è tenutaancora ogni gente, ma è malagevole: non offenderlo nèin parole nè in fatti, possal fare; ma non odiarlo col cuo-re e in alcuno modo non offenderlo, questo è più grieve.Il quarto e ultimo grado e il sommo si è d’amarlo: e que-

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sto è ancora grave sopra tutti; a questo non giungono senon i perfetti, e null’altro ci sale. Ben è vero che in que-sto grado chi è più chi è meno, secondo che uno è piùperfetto che un altro. E però questo quarto grado haquattro altri scaglioni, quattro gradi, e l’uno è maggioreche l’altro, e più grave che l’altro; e a quello di sopranon giungono se non i perfetti. Il primo grado si è per-donare, e non vendicarsi delle ’ngiurie, e non renderlimale per male. Così non era nella legge vecchia. Nonvuole Iddio che facciamo vendetta noi, perchè non sa-pemo, chè erreremo e nel troppo e nel poco e nel modo.L’uomo riceve una parola e rende la coltellata, riceveuna gotata e dà la coltellata, il furore ch’è in lui l’accieca;e però il vendicare volle che ’l facesse la legge, che nonpuò errare; e però non peccano le podestadi giustamen-te punendo. Non si temono le genti di fare micidii più inuno tempo che in un altro, non guardano nè tempo so-lenne nè luogo, non se ne guardano per domeniche, nèper pasque, nè per venerdì santo; e così il fanno in chie-sa altresì. L’uomo va e toglie la pecora al nimico suo, epensa che ’l peccato suo sia quanto è la pecora: matto è;perocchè ’l peccato è secondo il tuo mal volere. Onde,come tu gli uccidesti la pecora, così vorresti avere uccisolui; e però è grave il peccato del nimico suo. Viene l’uo-mo e fa danno alla vigna del nimico suo, e pensa che siail peccato secondo il guasto dell’uve, no; chè, come tugli guasti quelle, così gliela vorresti avere tutta tagliata; eperò il peccato tuo è maggiore che non pensi. Quando ilpeccato fosse subito, ch’essendo d’alcuno percosso e tuinconsideratamente gli dessi una , e cacciassilo colà, nonè peccato mortale; perocch’è cosa naturale che l’uomocaccia il male da sè; ma poi ch’è ritornato in sè, ed eglicon deliberato animo si movesse a nuocergli o a uccider-lo, or questo è peccato mortale. L’altro si è, e questo èpiù grave, cioè amarlo. Sono molti che dicono: deh, iogli perdono e non gli rendo mal cambio, e non gli porto

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odio; ma pur amarlo io non posso; non mi so acconciarea ciò. E però è più grave questo. Insino a qui sono tenu-ti a comandamento ogni uomo, ogni. Gli altri due gradisono molto più malagevoli; e a questi non ce n’è tenutol’uomo, se non a luogo e a tempo. Nol ti comanda Iddio,ma confortacene. Il primo si è, ed è il terzo grado delquarto scaglione, di servire, giovare al nimico tuo collalingua e col cuore, pregando per lui, e ch’egli ami il benedi vita eterna, e che gli giovi colla parola e ammaestran-dolo. Il quarto grado e ultimo, ed è l’ottavo scaglione diquesto comandamento, si è non solamente come detto è,ma di fargli bene e sovvenendolo. A questi due ultiminon ne siamo tenuti, se non a luogo e a tempo: cioè nonse’ tenuto di racordarti del nimico tuo; ma se te ne purraccorda, quando te ne raccorda, deilo amare e amarlo avita eterna; e s’egli è tribolato d’avergli compassione, evolere che quella tribolazione gli sia levata da dosso,quando credessi che fosse il suo meglio per l’anima.Non se’ ancora al nimico tuo, avvegnachè sia bisognoso,di cercarlo e che ’l sovegni, se nol facessi già, che fosseperfetto, per tua volontà, per avere più merito; ma nonse’ tenuto di fare più bene a lui ch’agli altri poveri, avve-gnach’egli ti sia presso; sappiendo tu che gli altri sonoaltresì bisognosi com’egli. Altresì se t’è da lunga non se’tenuto d’andare a lui, chè tu hai degli altri poveri presso;ma se intravenisse caso che fosse in tanta necessitade,che non potesse più, e non lo potessi atare, ovvero nonfosse chi lo atasse se non tu, e tu il sapessi, in questo ar-ticolo ne se’ tenuto; e se allora non lo sovvenissi sì pec-cheresti. Queste parole, disse il lettore, sono detteasciuttamente, sanza ragioni, pur in grosso. Aveaci entrobellissime cose e di grande uttilitade, e farebbesene piùprediche. Avem pur or detto; bastisi questo per questapredica. In questo comandamento si compie e adempietutta la legge; ed è mestieri che si osservi, chi del regnodi cielo vuole essere partefice. S’avessi avuto tempo,

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avrei mostrato come questo comandamento è santo e di-vino. Come è necessario, come è utile e come è ragione-vole; e avvegnachè altra volta ne dicessimo parte, per al-tra ordine ci saremmo proceduto ora, ma non ci ètempo. Sono delle ragioni ben xxx e più. Deo gratias.

XLVI

Questo dì, di sera, in Santa Maria Novella.

Diligite inimicos vestros. Da tre parti ne conforta il Si-gnore d’amare i nemici: dalla parte del peccato, dal me-rito e da... (sic). Di catuno diremo due ragioni breve-mente, per fare leggieri predica. Amando il nimico,primieramente ti giova quanto a’ peccati; e questo è indue modi: l’uno si è che ti sono perdonati i passati; l’al-tro che ti guarda da’ futuri. I peccati c’hai fatti giammainon gli li perdona Iddio, se tu non perdoni al nimicotuo, a chi t’ha offeso. Dunque, perdonando al nimico,truovi perdono e misericordia de’ tuoi: schifine i futuri,chè fai meno peccati, e questo t’è un grande bene.Quando tu vuoli nuocere al nimico, il primo danno fai ate, ed è il maggiore danno: prima uccidi te. Dunque per-donandoli, sì ti guardi da male te medesimo e fatti bene.Dall’altra parte, cioè del merito, è questo in due altrimodi. L’uno si è che amando il nimico, sì hai più gloria,perocchè hai maggiore amore. L’amore del nimico è piùche quello dell’amico. Questa parola è vera, avvegnachèpaia oscura. E però si vorrebbono le parole, più carmi-nare. Dunque apriamo questo dubbio. Ecco il fuoco ar-de il legno secco; quando arde il legno verde, è segnoche quel fuoco è più forte. Così l’amico è legno secco,ch’agevolmente l’ami. Il nemico è legno verde, che con-tasta al fuoco dell’amore tuo, ch’è grande e maggiore:maggiore dico degli altri; chè se tu metti il legno secco e

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verde ad ardere e catuno arda, sanza dubbio il legnoverde farà maggiore fuoco. Così da questa parte l’amoredell’amico è assai maggiore che quello del nimico; mag-gior dico in te; chè se tu ami il nimico, viepiù amerail’amico. Ma dall’altra è più forte, cioè a rispetto di quelliche non ama se non l’amico; e però amando il nimico èsegno di molta perfezione e di grande amore. L’altroprode e merito si è che aiuta la comunitade e ’l ben co-mune; più è da amare il bene ch’è comune a tutti, chequello ch’è pur speziale d’alcuno. Questo comandamen-to è uno bene comune di tutti. In su la nave sono le gen-ti tutte concordate, e non ci ha discordia; però ch’è me-stieri che catuno aiuti; chè se la nave andasse male, tuttiperirebbono. Veggiamo de’ dimonii che s’inodiano, e infarci male tutti s’aiutano e accordansi; gli scherani chetalora s’odiano, accordansi insieme alla presa. Or dun-que noi Cristiani che faremo? Meglio è che noi perdo-niamo e giugniamo a porto di vita eterna amendue, esalvi me e lui, che io mandi lui e me nel ninferno. Delterzo membro non dico per non gravare. Deo gratias.

XLVII

Frate Giordano, 1305, a dì 19 di Febbraio, sabato mattina, inSanta Maria Novella.

Jesus autem solus in terra. In questo Vangelo si contie-ne siccome Gesœ Cristo apparì agli Apostoli, i quali era-no nel mare, nella tempestade, e andavano sopra l’acquadel mare, e come fuoro salvati per lui, e come il conob-bero e adoraro. Or, intra l’altre parole che si contengo-no in questo Vangelo, si è questa che proponemo. E av-vegnachè questo Vangelo sia tutto pieno di dottrinaspirituale e di sottili e belli intendimenti, perocchè nonpotremo dire di tutto in piccol tempo, sì predichiamo

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stamane di questa parola sola che dice il Vangelo: Jesussolus in terra, erat navis in medio maris, et Jesus solus interra. Dice che la nave era in mezzo del mare, e Gesù so-lo in terra. Questa parola è di grande sentenzia e di mol-ta sapienzia; chè, avvegnachè questo sia detto secondo lastoria che fu, tuttavia, perchè la Scrittura non si ristrignepur a uno intendimento, ma hae molti intendimenti egrande profonditade, sì predicheremo del senso spiri-tuale di questa parola. Per questa nave s’intende la San-ta Ecclesia, anzi potem dire tutta la natura umana: laquale è posta nella tempestade e varietade di questo ma-re, cioè di questo mondo: nel quale non è altro che tem-pestade e mutamenti continui, ove non si truova nè pacenè tranquillitade nulla. Il nochero di questa nave, ovve-ro il marinaio, si è l’anima nostra. E dice che si affatica-vano remigando. Imperocchè tutta l’umana natura, tuttele genti durano grande fatica navigando per questo ma-re, acciocchè possano venire a porto di salute. Questodisiderio di vita eterna ha ogni gente, così il Saracino co-me il Cristiano. Ma dice che ’l vento era contrario; que-sto era lo ’mpedimento di questa nave, e che nolla la-sciava giugnere al porto, ma tenevala in pericolo etempestade. Per questo vento s’intende lo spirito, e ’lbuono e ’l rio. Il buono non è contrario a questa nave,ma grande aiutorio. Il reo spirito, cioè il dimonio, questiè quel vento che sempre contasta a questa nave, accioc-chè perisca e non giunga a porto. Questo vento altresì siè il malo spirito della carne, la mala concupiscenzia, ildesiderio vano dell’onore, e di queste cose mondane ecarnali. Questi sono i venti contrarii a questa nave, chela impediscono di venire al porto. Così potremo sponeretutto l’altro Vangelo. Or dice che Gesù era solo in terra,cioè a dire che solo Cristo è in pace, solo Cristo è intranquillitade, solo Cristo è in riposo. Questo è a direche Gesù era solo in terra. E stando lui così, vede questanave in questa tempestade, e le fatiche in tante mutazio-

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ni e varietadi. Solo Cristo è in terra. Non è in tutto que-sto mondo che si possa dire di più che sia in terra; maCristo solamente egli è in pace e in riposo. Or tu diresti:E i Santi di paradiso, or non sono in terra, non sono inpace e in tranquillitade? Dico che sì; chè quando io par-lo e dico che Cristo solo è in terra, e tutto ’l mondo è intempestade, sì intendo del mondo di quaggiù, nel qualesiamo noi, in questa vita; avvegnaiddiochè ancora de’santi si poterebbe dire, in quanto non l’hanno da loro,ma da Cristo, e Cristo l’ha da sè. E a mostrare come Cri-sto solamente è in pace, e in riposo e in tranquillitade, sì’l ti mostro per quattro belle ragioni: ratione prioritatis,ratione veritatis, ratione totatitatis, ratione aeternitatis.Dico prima che solo Cristo è in tranquillitade e in som-ma requie; e questo ti mostro per la prima ragione, cioèperch’egli è principio di tutta pace e di tutta tranquillita-de. Dicono i filosofi, che quella cosa la quale è principio,conviene che da quella vengano tutte l’altre che partici-pano di quella. Siccome vedi della luce del sole. Ondesono tutte le cose lucenti? dal sole. E il sole ond’è lucen-te? halla da sè. E così ti dico del calore. Tutte le cose cal-de hanno il calore, non da loro ma dal fuoco. Vedi il le-gno caldo, onde l’ha? dal fuoco; e il fuoco onde l’ha? dalcalore; e il calore onde l’ha? pur da sè medesimo. Diffe-renzia ha da caldo e calore, da luce a lucente, dalla bian-chezza al bianco, ed è tale, che l’uno può mancare e l’al-tro no. La cosa bianca può diventare nera, ma labianchezza, no. La cosa calda può perdere il caldo e di-ventare fredda, ma il calore non mai. E così ti dico dellaluce; e la ragione si è che la luce hae la luce da sè mede-simo naturalmente e non da altro. L’altre cose lucentil’hanno dalla luce del sole, siccome da principio e fonta-na. Così ti dico del calore e dell’altre. Così ti dico di Cri-sto. Cristo è la prima pace e il primo riposo, la prima re-quie. I santi non l’hanno da loro medesimi, ma daCristo, tutti sono pacificati da quella pace. Non è Cristo

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al modo nostro; anzi è pace; chè l’ha da sè e per sè, enon fuori da sè; è pace di natura. E perocch’egli è la pri-ma pace e ’l primo riposo, è mestieri dunque che chiun-que ha pace, che l’abbia da lui. Potreilti ancora provareper la Scrittura copiosamente, e spezialmente per laScrittura di san Paolo; e possolti ancora mostrare peresemplo, e quanto all’universo e quanto alle religioni.Vedi come Gesù è vera pace! Quando venne nel mondotutti i contrarii congiunse, i nobili cogli ignobili, con-giunse i Gentili co’ Giudei, i signori coi servi, e i saviico’ semplici; perocchè Cristo non la differenzia di nulla.E questo si mostroe massimamente negl’imperadori.Non si vergognò Teodosio imperadore di ricevere la fe-de, perch’egli vedesse alquanti poverelli Cristiani; non sivergognaro i filosofi di ricevere la fede, perchè vedesse-ro alla fede alquanti poverelli sanza lettera. Vedi altresìquando venne nel mondo, pone santo Augustinonell’Oroso, che anzi Cristo il mondo non ebbe mai pace,e sempre fue in tempestade e in battaglia; incontanenteche venne Cristo fu la pace per tutto il mondo, tale chemai non fu più e non si aspetta. E che Cristo solo con-giunga e accordi, e pacefichi tutte le liti e discordie, que-sto puoi vedere massimamente nelle religioni. Questa ègrande meraviglia; quivi sono adunati nobili e ignobili,ricchi e poveri, belli e laidi, dilicati e grassi, che è questoa essere tutti sotto uno pane, e uno vino, e una cucina, ea una regola, e uno vestimento, che ci ha tante dìversita-di e tante volontadi. Vedete pure quante sono le volon-tadi degli uomini e come sono divisate! Potetelo vederepure ai colori de’ vestimenti di catuno: l’uno è rosso,l’altro cilesto, l’altro bianco. Che è a dire tante condizio-ni e volontadi congiunte, e adunato e pacificate insieme;chè l’uno è di Francia, l’altro è di Spagna, l’altro dellaMagna, l’altro di Toscana. Grande cosa è questa a pen-sare, molto! Qui puoi vedere la vertù di Cristo. Chi gliha così concordati? Solo Cristo, il quale è la vera pace,

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ed è la prima ed è la cagione di tutte l’altre. Questo tiposso ancora mostrare pur per la ragione tua. Pace, se-condo che dicono i santi, i filosofi, significa riposo, statoove non è nullo mutamento; chè movimento è segno didiscordia e di lite, e non di pace. Vedi i monti comestanno fermi; così Cristo è monte fermo, e non solamen-te egli, ma chi a lui s’accosta, sì diventa monte. Odi ilProeta: Qui confidunt in Domino, sicut mons Syon noncommovebitur in aeternum. Chi si confida in Dio, e spe-ra in lui e accostasi a lui, questi si è come uno monte fer-mo; ma i mondani sono mossi continovamente. La se-conda ragione per la quale Cristo è solo in pace e gliamici suoi, si è ratione veritatis. Ciò che si dice di Cristosi può dire delle membra, cioè degli amici suoi di questomondo; perchè ciò che si dice del capo si può dire dellemembra. Onde non puote avere il capo sanitade, che lemembra non ne siano partefici. Nullo è in pace, se nonsolo Cristo, e gli amici suoi e quelli che a lui s’accostano.La pace di mondani non era vera pace, non voglia Iddio,ma è pace falsa, vana, che pare e non è; e la ragione si èperchè non hanno la pace di Cristo, ch’è vera pace; fuo-ri di lui non è pace. La pace di Cristo è dentro nell’ani-ma; il mondano pare c’abbia alcuna pace di fuori, maegli dentro è pieno di fiamma e di tempesta. La vera pa-ce è quella dentro. La casa c’arde dentro ed ècci appresoil fuoco, avvegnachè non arda ancora di fuori, non peròha pace; tosto si scoprirà, tosto arderà quel di fuori equel dentro. Così è de’ mondani. Vuoli vedere bencom’e’ non hanno pace? Poni mente quanti desideriiegli ha, e non ne può compiere niuno. Vedi quante vo-lontadi; vuole e non vuole, e non sa che si vuole. Vediquante cose sono quelle che gli dispiacciono, e non vor-rebbe che fosser così, e non le può mutare nè azziccare.Vedi in quanto timore egli sta continovamente d’ogniparte; di molte cose ch’egli vede, ode, e che potrebberointervenire, che di tutte teme e ha paura. E però dice la

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Scrittura: Non è pace nel cuore degli empii; e altrove di-ce: Nel cuore del peccatore e del mondano è come ilmare bogliente, nel quale non è requie. Non è questodel santo uomo e dell’amico di Cristo; imperocch’eglis’appaga di ciò che Iddio fa, e rimette in Dio tutte le co-se, e sta contento e pacificato di ciò che ’nterviene, enon ha guerra e discordia con nullo; come dice santoPaolo: pacem habentes cum omnibus hominibus, si fieripotest. Vuoli tu sapere se tu se’ con Cristo? Se tu amitutti gli uomini, e non hai discordia nè odio con nessu-no, almeno dalla tua parte; chè, perchè altri sia nimico ate, pon sii tu però nè nimico a lui nè nocivo. Se vuoli ve-dere ancora la tempestade de’ mondani privati di pace,sì ’l vedi pure all’operazioni loro. Vedi in quante operemettono mano, e in quante cose, e in quanti traffichi; ora questa cosa or a quell’altra, or come nell’oste; or qui orcolà, or giù or su, e non truova luogo; se non come ’lmare, che tempesta nè può stare in luogo. Or lo metticolà in casa, e di’ che vi stia pur sei mesi fermo: non vistarebbe per cinquanta livre, non per cento. Non è cosìdell’amico di Dio; mettelmi in una cella, staracci cin-quanta o sessanta anni, e non uscirà e non se ne curerà.Or che è questo a udire? Segno manifesto è ch’egli ètranquillato ed è pacificato, quando vedi che non si curad’uscirne, anzi gli sa buono. Or mi rinchiudi uno mon-dano in una cella, e di’ che vi stia cinquant’anni, vedraicom’egli il farà. Se gli dessi una cittade non vi starebbe,non per uno reame, gli parrebbe essere in prigione; eperò vedi come tempestano. Il riposo significa pace, ilmovimento discordia e difetto. Or se tu dicessi degliApostoli: perchè andavano per lo mondo, e mutavanocosì i luoghi? Questo mutamento non era per difetto,ma tutto venìa dalla pace loro; perocchè aveano diside-rio di dare al mondo quella pace ch’aveano eglino, e difarline partefici. A questo modo fanno i religiosi. Il no-stro movimento è pur per voi, cerchiamo la cittade e an-

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diamo predicando pur per voi, per darvi la pace e farve-ne partefici. Molto più volentieri ci staremo in cella enon usciremo fuori, e più riposo v’avremo, troppo più.E disse fra Giordano: Io vorrei volentieri starmi ora incella parecchi anni e non uscire fuori, e sarebbemi moltoa grado e molto utile. La terza ragione per cui Cristo e lemembra sue sono in pace e in riposo, si è ratione totali-tatis; perocchè hanno pace perfetta, chè sono pacificatiin tutte le cose. Non è così de’ mondani. Vedi l’avarousuraio, quante cose egli hae: casa, torre, moglie e fi-gliuoli, campo, vigna, cavallo, denari. Or poni mente inquante cose egli hae pace o tranquillitade. Io dico chenon in neuna: se ’l domanderai del campo, vorrebbe chefosse migliore terra; della torre, vorrebbe che fosse piùalta o altrove; della vigna, vorrebbela altrimenti; e cosìdella moglie e di figliuoli, e di ciò che ha. Ie dico che setu cercherai quante fonde egli hae di danari, e doman-derailo di ciascheduna, io dico che non è contento diniuna; in ciascheduna vorrebbe che n’avesse più chenon ve n’ha. E così ti dico di tutte le cose, non ha pacein nulla, in tutte hae guerra e cosa che gli dispiace. Nonè così la pace di Cristo; imperocch’egli è pacificato intutte le cose, e così gli amici suoi e che a lui s’accostano,e di ciò c’hanno tutti gli uomini. Deo gratias.

XLVIII

Questo dì medesimo, la sera, in Santa Maria Novella.

Jesus solus in terra. Dicemmo stamane siccome Cristoe gli amici suoi sono in pace e in tranquìllitade, e tuttol’altro mondo è in tempesta e non ha requia. E di ciò as-segnammo quattro ragioni. Le tre sbrigammo. Avemostasera a dire la quarta ragione, ratione aeternitatis. Pe-rocchè quella pace è eterna per ogni modo; e non è que-

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sta pace negli uomeni del mondo, e non si truova nelmondo. E questo è massimamente per grandi difetti checi sono: propter finitatem, propter contrarietatem, proptermutabilitatem. Prima dico propter finitatem. Tutte le co-se del secolo sono nulla, perocchè tutte hanno fine e tut-te vegnono meno, poco ti bastano; se durassero molto,pur quando hanno fine sono nulla. Ma quanto ti duranoi beni del mondo? nulla; e però non li dei amare, ma deiamare la pace e la requie eternale di Cristo, la quale nonha mai fine. La pace del mondo tosto ha fine, ch’è sottotempo, e ogni cosa ch’è sotto tempo è nulla. La secondaragione per la quale in questo mondo non può esserepace che duri, si è per la contrarietade. Vedi che ti diròora parola grandissima, che pur di questa si potrebbetrarre una grande filosofia. E disse il Lettore, questo sivorrebbe dire in altro tempo, e se ne avessi agio sì ’l vimosterrei più apertamente e più nobilemente questoch’io voglio dire ora. Ciò è che tutte le cose di questomondo, le quali possono dare diletto e pace, quelle me-desime possonti dare altrettanta pena e tristizia. Or nonvedi del diletto del mangiare? Altrettanta pena ti puòdare; se mangi un poco più che non dei, sì ti dà pena emale. Or come dee poter dare pena cosa di tanto dilet-to? Dimmi: o perchè non canti tu sempre, o perchè nonballi e non ridi sempre? Perocchè quello ballo e quelloriso ti darebbe tristizia e pianto. Or mi di’: il sedere èfatto per riposare; chi ti dicesse: or ti riposa su questapanca o in su questo letto pur tre dì; questo riposo ti da-rebbe molta tristizia. E s’egli fosse stanco, e volessilo fa-re stare nel letto tre dì, torrebbesi anzi a patti d’andare.Or non vedi la pace del mondo com’è grande bene? Iodico ch’ella ti darà altrettanta tristizia, s’ella starà tecotanto o quanto. Or mi di’: or non vedi di questi monda-ni, che riputano la guerra la più bella cosa del mondo, etengonsi cattivi a stare senza guerra? Par loro stare ozio-si, e dicono: qual’è più bella cosa c’andare a cavallo,

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contastare al nimico, rubare colui, uccidere quell’altro?non possono patire nè sostenere i mondani la pace, faloro tedio e fastidio, e dilettansi di portare arme. Vedidunque che tutte le cose di questo mondo ti possonodare e dànno altrettanta pena, altrettanta trestizia, quan-to diletto o letizia. E la ragione si è, imperocchè fannotedio e fastidio altrui tutte le cose, usandole. Nel primoboccone ti diletti, nel secondo meno, nel terzo meno,nel quarto meno; e così quellì da dietro non ti dà diletto,e se più mangi sì ti dà fastidio. Non è così fatta la pace divita eterna; imperocchè quella pace, quel bene, quelli di-letti mai non fanno tedio, e non generano mai fastidio;perocchè non si mutano mai. Se ’l diletto stesse fermocome al prencipio, non ti farebbe tedio; ma elle si muta-no continovamente. La terza e ultima ragione per laquale in questo mondo non è nè esser puote pace, si èper lo movimento. E questo è l’altro difetto dei beni delmondo; chè, eziandio se non ti facessero tedio, ancoranon la puoi avere per lo movimento e mutamento. Chèse oggi se’ sano, domani sarai infermo; se oggi se’ ricco,domani povero; se oggi ridi, domani piagni. E perocchèquesto mondo è mischiato di molte contrarietadi, non èluogo da ponerci l’amore, ma da disprezzarlo. Non è co-sì la pace del cielo, chè nullo movimento v’ha. Se dicessidei santi: or stanno sempro pur fermi? Dico che posso-no sedere e stare ritti, andare e stare; e questo stare rìttoo sedere non fa mai rincrescimento nè tedio. Ecco dun-que tre belle ragioni a mostrare come solo Cristo è in pa-ce eterna. E questa pace non ha il mondo, ma in quellavita beata. Quella pace verace è eterna sanza fine per ledette condizioni, e però ci dovemo accendere, ed amarequella gloria. Ecco compiute le quattro ragioni. Deo gra-tias.

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XLIX

Predicò Frate Giordano la prima domenica di quadragesima, adì 20 di febbraio, 1305.

Ductus est Jesus in desertum a Spiritu, etc. Tutta la vitadell’uomo, insino alla morte, è tempo di battaglia e ditentazione, e cominciasi insino che nasce. E se dicessi: oi fanciulli? E’ sono due modi di combattere, uno per sè euno per altri: per sè, quando combattiamo contro alletentazioni; per altri, come quando combattiamo per glifanciulli; e però gli forniamo e difendiamogli col battesi-mo. Però colla cresima si mette l’olio e ’l sale e altre co-se, acciocchè cacciamo da loro il demonio. Perocchè in-contanente che l’uomo nasce, sì ’l guata d’offendere,d’uccidere e di darli impedimento. E perocchè tutta lavita nostra, dal principio che nasciamo insino alla nostrafine, è tutta battaglia e tentazione (come dice la Scrittu-ra: tentatio est vita hominis super terram), vedete quanton’è necessario e utile da sapere combattere e difendercidal nimico. In questo Vangelo è piena dottrina e interadi tutta l’arte del combattere e del vincere. Tutta questasapienzia si mostra in questo e per questo Vangelo: ilquale Vangelo è di tanta utilitade e necessitade, che nonsi potrebbe dire. E disse: s’io avessi tempo ben lo vi mo-sterrei, che sono cose utilissime e di perfetta dottrinaspirituale; e se non che per altri dì sono altri Vangeli, iovi predicherei pur di questo in buono tempo; ben se nevorrebbe predicare tutt’una settimana; ma perocchè cisono altri Vangeli, passeremcene, e diremo oggi quelloche potremo. In prima ìn questo Vangelio sì fanno i san-ti le molte quistioni. Fanno quistione perchè Cristoandò nel diserto, perchè fuoro pur tre le tentazioni, emolte altre le quali lasciamo. Assolviamo pur questedue. Andocci Cristo non per sè ma per te. Questa qui-stione si potrebbe fare di tutte l’altre cose. Così potresti

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dire: perchè prese carne? per te; perchè si battezzò? perte; perchè sostenne morte? pur per te; e così di questo:perchè digiunò? perchè volle essere tentato? non per sèma per te. Egli era perfetto e santificato, ed era glorioso,non gli bisognava di meritare gloria; avvegnachè quantoal corpo ne pur meritò gloria più in certo modo. Vollecombattere per insegnarti combattere. Nella quale bat-taglia è tutta dottrina perfetta di combattere e di difen-dere. L’altra quistione si è perchè fuoro pur tre le tenta-zioni: la ragione si è perchè tre sono i peccati, dai qualivengono tutti i peccati: o peccati di carne, o peccatid’avarizia, o peccati di superbia. Contra questi peccati econtra tutti t’insegna Cristo combattere in questa vitto-ria. L’altra ragione ne rende santo Gregorio: Impercioc-chè Adamo fue tentato di questi tre peccati; e peccandoin questi peccò in tutti, e Cristo per sodisfare a quellivolle essere tentato a quelli. Pone il Vangelista primiera-mente il luogo ove fu questa battaglia, cioè il diserto; po-ne il tempo quando fu, incontanente dopo il battesimo;pone il modo, in ciò che mostra come s’armi d’arme dadifendere e da offendere; pone la persona del nimico,dice ch’era il demonio; pone la pugna e la battaglia; po-ne altresì infine la gloria e la vettoria di Cristo. Dico pri-ma che pone il tempo. Il tempo si fu incontanente dopo’l battesimo. Vedi qui grande ammaestramento: chè, in-contanente che tu se’ lavato e mondo dal peccato, non tidei però confidare, chè incontanente ti ricombatte il di-monio. Nel battesimo è pienamente tutta la croce di Cri-sto. E mostrasi in ciò quasi ciò che Dio ti può fare; pe-rocchè il battesimo ti dà il maggiore bene e ’l piùperfetto che tu possi avere in questa vita. Non è così pie-namente la croce di Cristo nella penitenzia, come nelbattesimo. Ma nel sacramento dell’altare sì; ma nonpuoi quello usare a tuo pro’, così come quello. Ma que-sta purità ì fanciulli la perdono immantanente; sicchèdopo ’l battesimo potemo intendere la penitenzia, per la

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quale l’uomo si lava e monda, avvegnachè non così. On-de incontanente che ti se’ confessato ed hai ricevuto lamondizia, sì t’è mistieri di combattere, non per acquista-re paradiso, chè già l’hai, ma per difenderlo che non tisia tolto. Ecco che ’l dimonio incontanente ti pone le’nsidie. Datti ancora esempio che ci dei andare alla peni-tenzia puro e lavato, acciocchè possi combattere. Quegliche fosse nudo, come potrebbe combattere? Pone ap-presso il luogo, e dice che fue il diserto; è luogo solita-rio, disabitato di genti. Questo fu quello diserto ch’èpresso a Gerico, ove dice il Vangelio che fu trovatoquell’uomo fedito; nel quale diserto sono le molte be-stie. Ivi abondano i leoni, le molte pantere, e molti altrianimali che non sono di qua. Stette Cristo tra bestie ecogli angioli, fuggì gli uomini, fuggì ’l mondo, a dare a teesemplo che tu dei fuggire la gente e andare al diserto.Questo diserto può essere la cella tua, la casa tua, la ca-mera tua, quando lasci ìl mondo e raccogliti con Dionella casa tua. Questo diserto può essere il cantone dellacasa tua. Fa tu che tu fughi il mondo e la gente. Di que-sto ti dà esempio Cristo. E però quelli che voglionocampare è mestieri che tutti escano dal mondo, o andan-dosene al diserto o alla religione, o fuggendo la gente incheunque modo puoi; perciocchè ’l dimonio si è troppoforte, e la ragione sì è per li molti aiutatori ch’egli hae.Ogni uomo è un aiutatore del dimonio; fuggendo la gen-te, fuggi tanti nemici. E se volessi vedere come il dimo-nio è forte nella cittade, sì ’l ti mostro. Quando la scon-fitta è fatta, e l’uomo vuole vedere che grande sconfitta èessuta, se andasse per lo campo ove fu la battaglia, allorail vederebbe, la grande moltitudine de’ morti e di rove-sciati per lo campo. Vederebbe ivi come gli uomini sonoferiti e minestrati. Or così se vuogli vedere la potenziadel dimonio e la sua grande vettoria nella cittade, và, ri-guarda pur il campo, vedrai tutti gli uomini fediti e rive-sciati. Gli uomeni del dimonio sono tutti fediti di pecca-

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to mortale; e sono sì pochi e sì piccolo numero di quelliche ne campino, ch’è una maraviglia. E non è da maravi-gliare. Che è a stare tuttodie a udire le cose vane di tantemaniere, le sozzure e i mali; vedere le vanitadi e usarecolla gente? Certo se i religiosi stessero così al mondocolla gente a vedere e a udire quelle cose che fate voi,forse che cadrebbono come voi. Onde non ci ha cosamigliore che ’l fuggire la gente; non si fa se non ai fortis-simi, ai grandi campioni, ai perfetti lo stallo della città,acciocchè ammaestrino gli altri. Chè, se n’è in fatica ilgrande campione, il gigante, e ch’è armato, che de’ esse-re degli altri? Ecco Cristo che fuggì la gente, non per sè,ma per te, per darti esemplo. Nella terza parte si ponel’armi le quali il Signore prese, e colle quali egli s’armò,e combattè e vinse. Armossi di digiuno, armossi di mon-dizia, armossi della parola di Dio. Odi che dice, che do-po ’l battesimo v’andò. Di quella mondizia non abbiso-gnava egli, ma fecel per te; a mostrarti che tu dei inprima ricevere la penitenzia e poi andare. Chi non si ar-ma coll’armi della penitenzia, questi va alla battagliaignudo, disarmato. Avvegnachè i mugaveri vadano mol-to leggieri, almeno sì hanno scudo e altri vestimenti: seandassero così nudi, avvegnachè avessero quello lorolanciotto, guai a loro! E però ci dovemo armare d’armedi penitenzia. L’altra si è il digiuno contro tutti i viziidella carne. Quegli che trae il coltello di mano al nimicoper forza e con quello il vince, questa è grande vertude.Così pigliando il digiuno fai due cose: l’una, che levi ilcoltello di mano al nimico. L’armi sue sono i cibi, i beve-raggi e le cose carnali, e colle sue armi l’uccidi, cioèquando non consenti e hai vettoria. Vedi come ’l dimo-nio venne a Cristo sottilmente. Mai ’l dimonio s’impac-ciò ov’egli credea perdere; e però quando venne a tenta-re Cristo, nol tentò di lussuria, nè allotta nè mai; perchè’l vide sì forte quivi, che sapea che non ci guadagnereb-be; ma venne co’ diletti di gola, e ancora non gli recò i

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grandi cibi, i grandi beveraggi, non gli recò vernaccia,nè capponi, nè arosti, chè sapea che non gli avrebbe pre-si; ma recògli quello ch’è mestieri a ogni santo, insinoche ci vive in questa vita, cioè pane. Or tu diresti? Dun-que che tentazione era a manicare pane? E mai nel panepotrebbe esser gola? Chi mangiasse fuori di tempo e distagione; ancora di questo nollo tentò il demonio, chèancora sapea ch’egli era sì forte, che non avrebbe presocibo fuori di stagione: tanto era stato che ben era tempo,ben era ora di terza. Ma direstù: dunque in che fu que-sta tentazione? Dicolti: detto peccato di gola eziandioquando adimandi il pane per modo che non si conviene.Avvegnadioch’io abbia fame, nol debbo però imbolare,ovvero adimandarlo per modo di miracolo, quand’io ilposso avere d’altronde, dal fornaio; perocchè tentereb-be Iddio, ch’è grande peccato; e viene da superbia e dagrande infedelitade; e però questa tentazione fu tantosottile, ch’è maraviglia. E in questa tentazione il guatò ditentare non pur di gola, ma di molte altre cose; egli iltentò di superbia, di vanagloria, sottilmente. Su questaancora il si credette conoscere, chè questo andò egli cer-cando sempre. Questa fu la rabbia del dimonio, di vole-re sapere per certo s’egli era Cristo, e nol potè sapere senon quando passò di questa vita. Voleal sapere, chè nestava in grande paura, chè sapea che gli sarebbe tolto ilreame e la podestà sua, come il temette Erode. Intra l’al-tre cose dell’ammaestramento del combattere si è di pi-gliare il luogo acconcio ai monti, e che il luogo contrariosia pel nimico; questo è buono provedimento; e così spi-ritualmente, questo si è il diserto cioè la solitudine, co-me detto è. Chi sta tra gente, hae ’l vento e ’l sole in con-trario, è la soprastanza del nimico. Deo gratias.

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L

Questo dì medesmo, la sera, in Santa Maria Novella.

Cum ieiunasset quadraginta diebus et quadraginta noc-tibus, ecc. Dicemmo stamani dell’armi che prese Cristo,e ’l luogo, e dell’altre parti lasciamo. E ancora in questapresente predica diremo pur sopra queste armi del di-giuno; perocchè contasta ai peccati della carne, ne’ qualile genti sono più inviluppati. Prese Cristo armi di digiu-no per dare esemplo a te, e per mostrarti com’egli è san-to e com’egli è utile, e per tòrre via quell’errore dell’Epi-curio, che dannò il digiuno e fu nimico dell’astinenzia, edisse che non si de’ l’uomo fare nulla abstinenzia al cor-po suo, nè di mangiare, nè di bere, nè di nullo dilettocarnale che voglia; e rendene la ragione, e dice che cosìsarebbe l’uomo micidiale di sè medesimo, facendosi ma-le, e così sarebbe piggiore che quegli ch’uccidesse gliuomeni; imperocchè peggio è uccidere sè che altrui.Dunque il digiuno disse ch’è mala cosa, e che non si deefare. A tòrre Cristo questo grande errore sì volle digiu-nare, e a mostrare che ’l digiuno è cosa santa e cosa uti-lissima; e questo non veggiono ancora i medici, com’egliè buono e santo; anzi il contradicono, dicendo che senello stomaco non è il cibo, e il fuoco pur essendovi,non avendo legne che arda, sì si converte agli omoridell’uomo, e consuma della sustanzia sua, e diventanosecchi e asciutti. Cotale sentenzia è questa, chente è a di-re: se tu porti il calzaio ìn piedi tu il logorrai. Or mi di’:or perchè porti tu il calzaio? or già si logora egli; dirai:chè mi guarda il piede. E così ti dico. Qual è meglio, o silogori il calzaio e stea sano il piede, o riporre i calzari erisparmiargli, e il piede si logori? I villani il sogliono fa-re, portanne i calzari in mano, dicono che vogliono anziche si logori il piede che ’l calzaio. Cotale è a dire, volerecosì avere cura del corpo e risparmandolo, così si guasta

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l’anima e sozzasi; ma digiunando si è logorare il calzaio efare salva l’anima. Questa sentenzia non veggono i medi-ci; imperocchè de’ cibi e vini nascono quasi tutti i vizii, eè cagione quasi d’ogni male. Indi vegnono le lussurie, lepazzie, il mal parlare, e perdene l’uomo il senno e lo’ntendimento; onde, avvegnachè tu odi dire: il cotale uo-mo è savio, avvegnachè sia bevitore, non credere; im-possibile è che uomo obriaco bevitore sia savio. E la ra-gione si è, che lo ’ntendimento dell’uomo è come ’l solelucente e chiaro. Allora è egli bene puro, e ben chiaro epiù lucente, la state, quando è il secco, e i vapori nonvanno su e non si conturba l’aria; ma quando salgono ivapori, allora si toglie la luce e diventa tenebroso, e talo-ra pare notte. Così è nè più nè meno nell’uomo. Quandol’uomo ha beuto e mangiato salgono su i vapori, le fu-mositadi, e oscurano lo ’ntendimento e turballo, e nonha luce neente. E però non ha nullo buono giudicio enon vede ben nulla; allora non sa che si dire nè che si ri-spondere, non sa parlare, e però non può essere savio.Ma quando l’uomo digiuna, ed è scaricato di cibi ed èasciutto, è chiaro lo ’ntendimento, allora parla bene, erisponde bene, ed è utile alla contemplazione, all’orazio-ne, a pensare delle cose divine e ancora dell’umane: allequali cose chi è carico di cibi viene meno. E però diceaSalamone: Sia tolto il vino a’ principi, e a coloro chehanno a reggere i popoli, e a ogni uomo che hae ad am-maestrare altrui, e sia dato a bere ai tristi, e agli afflitti eche piangono, acciocchè dimentichino la tristizia e ’l do-lore loro. Onde però il digiuno è forza e acconciamentoalle dette cose, e dà forza a tutte le vertudi; perocchèspegnendosi i vizii carnali, si spengono quasi tutti. Ciboe lussuria è come fuoco e legna nell’uomo. Vale eziandioancora alla sanitade del corpo; più ne muoiono per lotroppo mangiare e bere, che per la troppa astinenzia. Ela ragione si è, perocchè l’uomo non si sa temperare ne’diletti; chè gli assai gli paiono pochi, e i pochi gli paiono

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nulla. E però la somma regola e la perfetta che ne dànnoi santi per temperarsi ne’ diletti, si è questa di schifarglitutti, chi può, e non prenderne neuno. Questa è la vera-ce regola. E dunque il digiuno è cosa santa, e conserva-mento dell’anima e del corpo. Del corpo dico; chè anco-ra al corpo è necessario; imperocchè per lo moltomangiare ne ricorre l’uomo in molte infermitadi e vivenemeno. Per lo temperato mangiare sta il corpo troppomeglio e schifane tutte le dette aversitadi. E se tu dicessi:in che ne dà esemplo Cristo? io non posso digiunarequaranta dì. Rispondoti: Ancora qui ti dà esemplo e re-gola, se bene vuoli considerare. Cristo tanto stette chenon mangiò, ch’egli ebbe fame. Dopo quaranta dì ebbefame, e così dei fare tu: sostenere insino che tu abbi fa-me, ancora sostenere insino a quell’ora che la natura e ’lcorpo tuo può sostenere senza magagnamento della na-tura tua. Come stavano i santi padri, che digiunavanodue dì, talora tre, che non mangiavano; ma perchè nonsiamo noi di quella forte natura non potremmo, e peròmangiamo il dì una volta: bene ne possiamo stare e lar-gamente. Or tu potresti dire: Perchè volle Cristo digiu-nare quaranta dì? Questo numero di quaranta è moltosantificato nella santa Scrittura, e nel vecchio e nel nuo-vo Testamento. Troviamo che Cristo fae molte quaresi-me di dì, d’ore, di settimane, d’anni. Quarentine di dìfur tre. La prima, che in capo di quaranta dì fue offertoal tempio; l’altra quarentina fue oggi nel diserto; l’altrafu dopo la resurrezione sua, stando nel mondo co’ disce-poli. Troviamo che fue quarentina d’ore; quaranta ore,stette nel sepolcro. Fece quaratina di settimane, quaran-ta settimane stette nel ventre della Vergine. Quarantinad’anni non fece, chè non vivette tanto; ma se arrogessi-mo sette anni dopo la sua resurrezione, nel qual tempola fede fue rascosta, e dopo sette anni la seppe in unopunto quasi tutto ’l mondo, e fu quasi in quel tempo chesan Pietro venne a Roma, aggiungendovi qui sette anni,

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potremo dire che fue quarantina d’anni. Così nel Testa-mento vecchio troviamo fatte molte quarentine. Trovia-mo che nel diluvio piovve quaranta dì e quaranta notti;Moysses digiunò quaranta dì e quaranta notti; Gionapredicò a quelli di Ninive: di qui a quaranta dì e Ninivesubvertetur, e convert”rsi; i figliuoli d’Israel stetteroquaranta anni nel deserto; quaranta fuoro i tabernacolidel popolo di Dio. Sicchè questo numero di quaranta èmolto santificato. Non credessi tu però che nel numerosia vertù. Fuoro certi filosofi, che credettero che i nume-ri fossero di grande vertude, e ’l capo di questi filosofi fuPittagora. Il quale disse e puose che ne’ numeri fosseogni vertude; perocchè dicea che i numeri erano princi-pio di tutte le cose; perciocchè nulla cosa è o esser puòsenza numero, o uno o più; ed è sì necessario il numero,che così può essere che non sia, come le cose non essere.Questo errore parve a quello filosofo: grande mattiaparloe. Ed io dico che ’l numero non è nulla, perocchè ’lnumero non viene dalle cose, ma viene dallo spirito mio,dall’anima e dalla ragione mia; chè se io veggio colae trecose, questo numero non ha da sè, ma da me viene, chegliele pongo; chè, vedendoli, sì anovero, o dico: uno,due e tre. Quello che viene dallo ’ntendimento mio nonè di nulla; e però i medici che dànno le pillole in caffo,egli è uno schernire. Disse il lettore: Non ha vertù nullapiù in caffo che in pari. Fu uno che dandoli il medicopillole, disse: A me non la darete voi se non in pari; aquesto patto le piglierò, e schernivagli. Bene è vero, chefossero quattro uomini a portare uno bordone, e nonpotessero, ben potrei dire: e’ vogliono essere sei; peroc-chè avranno più vertude; ma non è nel numero dei seiquesta vertù; chè se fossero otto, ancora si poterebbemeglio. Così altresì se hai a fare uno impiastro, una me-dicina; puoi bene dire: a farne cotanta ci vuole tre foglie;le due non avrebbono tanta vertude, le quattro sarebbo-no troppe a questo mestieri. Se tu ti reggessi a questo

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modo naturalmente sarebbe buono. Sicchè in questi casiben si può dire e rispondere: a questo fatto abbisognacotante cose. Ma come, mi risponderai, e’ si vogliono di-re 9 paternostri, nè più nè meno? Disse il lettore: Io dicoa quelle cotali donne: or mi dite: or se ne dicesse 10 nonvarrebbe? Dicono, no. Or questa è grande pazzia; chèquanti più ne di’, meglio è, meglio sono i dieci, gli undi-ci, e i dodici e’ cento, che nove. Così dico del fare le’nvenie, che sogliono dire: voglionsi fare cotante inveniea punto, nè più nè meno. Or, cattive, più ne fai, meglioè. Togli tu la vertù perch’elle sieno più? grande mattìa èquesta. Così ti dico del digiunare. E così come questidisse troppo, così un altro disse vie di sotto. E dice sem-pre quella parola della Bibbia, ove Iddio dice: Farai cosìe così sette volte. Dice questi: perchè disse e comandòche si facesse sette volte? Dice: non se ne può assegnareragione nulla; e la ragione si è, che questa quistione è in-finita, chè così potrei fare quistione di ciò ch’avesse fat-to, e s’egli avesse comandato che si facesse otto volte, odieci, o venti, o cento, sempre potevi dire: o perchè? Ecosì del digiunare, se avesse digiunato quarantacinquedì, potevi anche dire: o perchè quarantacinque dì? E co-sì dico ch’avesse fatto, la quistione non ha fine. Dunque,dice quegli, non se ne può rendere ragione, se non che sìgli piacque. Questi andò di sotto. Or mi di’: Or potremonoi dire dell’opere di Cristo, che non se ne potesserorendere? Dico che no, chè sarebbe contra ’l detto de’santi; chè, avvegnachè noi non sappiamo rendere quellanè quelle ragioni altissime, le quali vede l’abisso della sa-pienza divina, tuttavia noi ne possiamo vedere altre ra-gioni convenevoli a noi. E però che Cristo digiunassequaranta dì e quaranta notti, ne potremo rendere certeragioni. L’una si fu a mostrare la potenzia sua, ch’era Id-dio. Or tu diresti: Moyses ed Elia fecero altrettanto; do-vea Cristo fare più. Dicoti che in questo medesimo fecepiù; perocchè quegli ebbono fame, ma non sì che nolla

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potessero sostenere; ma Cristo non ebbe fame nulla inquesti quaranta dì; pasceasi di contemplazione, e stavasicogli angioli, e stava in corpo senza fame. Or tu diresti:or non diventava secco e asciutto? Dico che no; anzi sta-va fresco e ricente. Vedi la Maddalena, non ebbe cibod’uomo cotanti anni, e vivea e non si seccava il corpo.Così di quelli profeti Moises ed Elia altresì. Vedi che co-sa è la contemplazione! Onde l’anima ch’è ben data allacontemplazione, avvegnachè digiuni e stea un dì e più,non si muta però la carne, tanta è la vertù che riceve dal-lo spirito. L’altra ragione si è, che potremmo assegnare,che digiunò quaranta dì, per darne la forma e l’esemplodel nostro digiuno, come noi dovemo fare la quaresima;la quale fu poi spirata agli apostoli per Cristo, e poi a noiper gli apostoli. L’altra ragione ne potremo rendere, perdarti l’esemplo e ’l modo del digiuno tuo. Dice che di-giunò quaranta dì e quaranta notti. Perchè ci mette lenotte? Odi la ragione. Il pasto della carne la notte si è ilsonno, a dimostrarti com’egli digiunoe da cibo corpora-le. Così altresì non dormì eziandio la notte, ma in conti-nue vigilie stette tutto quel tempo, a dare a te esemplo,che non solamente ti dei astenere da cibi, ma dal sonnoil più che puoi; chè il sonno e molte altre mollizie tuttesono opere carnali e di lascivia, le quali impediscono allacontemplazione e al bene spirituale dell’anima, così ildormire come il cibo. Onde Cristo prese queste armi deldigiuno e delle vigilie, e stette in continua contemplazio-ne in altissimo, e gli angioli sempre con lui in sua com-pagnia. Ecco dunque la prima arme che Cristo pose daoffendere, cioè il digiuno e le vigilie. Dalla mano rittaprese l’altra arme, cioè la santa Scrittura. E questa èquella arme, la quale dovemo pigliare contro le tentazio-ni, ed è la più utile e necessaria, e che più vale, dellaquale non diciamo. Potresti dire: Parse che Cristo an-dasse nel diserto per essese tentato; debbo io prenderele tentazioni da me? Fu Cristo menato nel diserto dallo

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spirito, cioè dalla sua buona volontà e dallo spirito diDio; della quale battaglia intese vittoria. Non dei pren-dere le tentazioni, no, non t’è licito e non lo dei fare, edè grande peccato e errore; ma dei tu fare quello che tuvedi ch’è il migliore e il più perfetto; e se in quella haitentazioni, combatti; se avrai vittoria riceverai corona.Disse Cristo in questo Vangelo: Non in solo pane vivithomo, sed in ommi verbo quod procedit ex ore Dei. Cosi èdi verità; l’anima si pasce della parola di Dio. Di questonon diciamo più; dovemo prendere le prediche, il postodella parola di Dio, così l’anima si mantiene e il corpo.Deo gratias.

LI

Frate Giordano, 1305, a dì 21 di febbraio, lunedì mattina, inSanta M. Novella.

Cum venerit Filius hominis in majestate sua, et omnesangeli eius cum eo. Potresti dire di questo giudicio: eccoche ’l Signore parlerà ai giusti e a’ peccatori, e catunaparte gli risponderà. Che parlare sarà questo? Sarannoparole di voce o d’intendimento? Quistione n’è di ciò.Se fossero parole di voce, or come udirebbe tanta gente?Chè molte provincie nolle ’ntenderebbono. Il truononon s’ode appena 10 miglia, forse otto miglia s’ode, sa-rebbe voce di truono: Ben dice santo Ioanni, c’udì vocidi truono, c’uscivano dalla sedia di Dio. Or tu diresti: al-tresì quando gli risponderanno, grideranno tutti a un at-to? o come s’udirà, e come s’intenderà la voce di tanti aun tratto? or tu potresti dire: uno risponderà per tutti; echi sarà quegli? E però credesi che quelle parole e quel-lo parlare, che Iddio farà colle genti e le genti con lui, sa-ranno parole d’intendimento, a modo che si parlano gliangeli, che tutti l’intendono. Or non si truova di quello

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ricco che parlò ad Abraam; dal seno d’Abraam al ninfer-no de’ dannati ha grande distanzia e intervallo; e ancoranon era risuscitato che corpo avesse: e si parlò quel riccoperduto ad Abraam; stando così dalla lunga si parlaro eintesersi. Così si crede che sarà al giudicio. Bene è veroche non però di meno parole di voce ci pur saranno. Ese dicessi: come s’udiranno o intenderanno? potrà Iddiodare tanta vertude a quelle parole, che ciascheduno le’ntenderà apertissimamente, e così alle loro. Or potrestitu fare una quistione e dire: Ecco che non pare che algiudicio si faccia giudicio, altro che di misericordia e dicrudelitade; non si fa menzione delle molte opere buo-ne, della pazienzia, del martirio, della giustizia, dellaumilitade, dell’orazione e di tutte le altre buone opere: ecosì non pare che vi si giudichi altro peccato, che un po-co di crudelitade in non fare limosina. Or ove lasciamo imicidii, gli adulterii, le fornicazioni, li spergiuri, e i car-nali, e gli altri peccati e mali vizii? Se non che pare che sigiudichi pur d’un poco di crudelitade, e i giusti pare chesieno meritati pur per questa vertude, no; chè pure inquesta vertude hae assai maggiori opere e di maggioremerito. Una limosina è pascere l’uomo della parola diDio: ma dice pur: chi pascerà il povero, maggior fatto ècampare altrui di morte, dice: perchè visitasti lo ’nfer-mo, maggior fatto è del medico che ’l guerisce; or ovesono le altre opere della misericordia? Qui non si ricor-da chi calzerà il povero. Altresì è opera di misericordiafare ponti e passare altrui; come si legge di santo Cristo-fano, e molte altre. Or di’: chi sarebbe rimeritato? To-bia, che si gloriava che seppellia i morti? tutte questeopere e molte altre non ci si ricordano; dunque che èquesto a dire? Rispondoti: Questa sarà la più perfettasentenzia che possa essere, la più sottile, la più chiarache possa essere e la più maravigliosa. Sarà la più perfet-ta. Vedi che ti mostra qui il Signore. O voi giusti venitebenedetti, chè vi do il regno mio per la mia cortesia,pur

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per queste minime opere; quanta gloria avrete dunquedell’altre grandi opere? O voi miseri perduti, che pote-vate avere questo regno pur per queste opere minime enon l’avete voluto, e però partitevi da me, maladetti.Sarà la più generale che possa essere; perocchè in quellasentenzia saranno giudicate generalmente tutte l’operedell’uomo, ciò che l’uomo avrà fatto che opera d’uomosia, tutto sarà giudicato. Quelle opere che non sono ope-re d’uomo, sono opere che l’uomo fa naturalmente, co-me quando si vuota lo stomaco, e cotali altre cose, lequali sono opere naturali. 0 come quando talora l’uomosi pone la mano alla barba, che non se ne accorge; o co-me quando altri sbadigliasse, o cotali altre cose. Ondenulla opera naturale sarà giudicata, nè verrà a questogiudicio. Simigliantemente l’opera di fanciulli da setteanni in giù, i quali non fuoro mai savii; ma di quellich’ebbono conoscimento, e per loro vizio l’hanno per-duto; l’opere di costoro ben saranno giudicate, non sa-ranno scusate; ma tutte l’opere che sono dette opered’uomo, tutte verranno a questo giudicio. Opere d’uo-mo sono tutte quelle, le quali si fanno diliberamente.Tutte l’opere che l’uomo fa, le quali dilibera collo ’nten-dimento e col volere suo; cioè a dire tutte l’opere chevengono dalla ragione dell’uomo, tutte saranno giudica-te, tutte; perocchè nulla opera può essere, che non siadegna o di merito o di pena, nulla: questa è verità; ope-ra, dico, fatta diliberatamente, colla ragione. Onde, se iomangio, o beo, o vo, o cheunque io fo, tutto ciò che l’uo-mo fa, o è peccato o è mercè, tutto; e la ragione si è perlo fine a che intendi. Non puoi fare nulla opera dilibera-tamente, che tu non la facci a qualche fine, e ’l fine o èpeccato o è mercè. Dimmi, perchè mangi tu? Dirai, pervivere. Or mi di’: questo vivere fai per un altro fine, per-chè vuoli vivere, per fare usura. E mestieri dunque chequel mangiare sia tutto peccato. Il primo boccone è pec-cato, il secondo è peccato, il terzo, il quarto, catuno è

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peccato. Dunque ciò che l’usuraio fa per vivere e per farusura, tutto è peccato. E così quelli che intendono ad al-tri fini. Così quelli che vive per servire a Dio, s’egli man-gia o ciò che fa, tutto è mercè, tutto; e ’l sedere, e ’l man-giare, e ’l parlare, e ciò che fa. E però tutte l’opere ditutti gli uomini del mondo, tutte, e quelle che facesti allapiazza, nel mercato e in ogni parte, tutte fien giudicate.E però sarà generale, sarà suttile giudicio, più che possaessere; perocchè sarà di tutte l’opere, insino a un levared’occhi non onesto, insino a una minima parola. Sarà lapiù chiara e aperta ch’esser possa; perocchè ivi ciasche-duno vedrà tutti i peccati suoi; imperocchè allora s’apri-ranno i libri, le coscienzie tutte. Iddio ti scrive bene im-mantanente che tu fai, qualunque opera sia nella mentetua, avvegnachè tu non te ne ricordi; come colui chescrivesse nel libro, che bene l’ha a mente quando lo scri-ve, ma poi a certo tempo o voltato l’anno, non se ne ri-corda, ma pur scritto v’è. Così è nella coscienzia tua; tut-ti i peccati tuoi e tutte l’opere tue vi sono scritte, tutte,avvegnachè non te ne ricordi; ma allora s’apriranno i li-bri, le coscienzie, cioè che se ne ricorderà l’uomo così emeglio, come e quando egli il fece presente; e così nollopotrà negare, come non potrebbe colui che fa il micidio,in quella ch’egli il facesse e lo giudice il vedesse, chèmentre ch’egli il fa, non può dire che nol faccia. Cosìsarà in quella sentenzia. E però sarà la più chiara senten-zia che mai possa essere. Sarà eziandio la più maraviglio-sa sentenzia che mai possa essere; chè non solamente ve-drò i miei peccati tutti, ma tutti quelli di tutti gliuomeni, e tutti vedranno i miei. Grande maraviglia fiaquesta; ma somma maraviglia sarà, che non gli vedrail’uno dopo l’altro, chè troppo si penerebbe, ma tutti glivedrai a un tratto in uno punto insieme; così aperti, cosìnudi, come tu ne potresti vedere ora uno fora dinanzidagli occhi, e più e meglio gli vedrai allora. Molte saran-no le maraviglie che Iddio farà allora, e che risusciterà

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tutte l’anime colle corpora, e molte altre; ma sopra tutteè questa la meggiore e la più maravigliosa. Bene è veroche i peccati, dei quali l’uomo s’è confessato e hanne fat-ta penitenzia in questo mondo degna, tutti questi non civerranno e non ci appariranno; perocchè di quelli librifieno spenti, e quelli fien consumati e pentuti. Non dicoio che Iddio non se ne ricordi, chè se ne ricorderà bene,e tu altresì; ma non saranno giudicati, perocchè non so-no contro a Dio più. Perocchè i peccati sanguinenti, sa-ranno imbiancati quelli de’ quali l’uomo avrà fatta de-gna penitenzia in questo mondo; ma l’opere dipeccatori, de’ dannati, tutte saranno giudicate, eziandiodi quelle che già fecero penitenzia e confessàrsene, con-ciosiacosachè poi ricaddono; però tutte fieno lor rime-scolate addosso. Deo gratias.

LII

Questo dì medesimo, la sera, in Santa Maria Novella.

Discedite a me maledicti in ignem aeternum, qui para-tus est diabolo et angelis eius. Sopra tutte le cose di que-sta vita è utile la memoria del giudicio e delle pene. Im-perocchè i peccatori non pare che si rimangono dalmale, nè che se ne astengano per paura di pene. E peròsarebbe utile, che di questo Vangelo si predicasse spessevolte, e che l’uomo il si recasse a mente spesse volte.Mostrasi in questa sentenzia le crudeli pene che fien da-te ai dannati; perocchè quelle saranno le più crudeli pe-ne, le più acerbe, le maggiori che mai possono essere. Equesto si mostra da quattro parti: propter separabilita-tem, propter hostilitatem, propter penalitatem e proptersocietatem. Prima dico, perocchè fieno spartiti e sceverida Dio; e questo ne mostra quando dice: discedite a me.Appresso perchè sarà tolto da loro tutto ’l bene di tutte

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le criature di cielo e di terra, chè non avranno rifrigeriodi nulla criatura; e questo ne mostra in ciò che dice: ma-ledicti, che saranno maladetti. Poi ne mostra la pena e ’ltormento inestimabile c’avranno, quando dice: in ignemaeternum; saranno pene di fuoco eternale. Appresso perla compagnia che ne sarà data loro; e questa fia penasomma in ciò che dice: diabolo et angelis eius. La com-pagnia loro saranno le demonia visibilmente. Disse il let-tore: A volere predicare di queste cose non basterebbepoco tempo, ma vorrebbono essere molte prediche; del-le quali cose intendo di predicarvene spesso, e però nediremo una piccola particella della prima parte. La pri-ma grande pena de’ dannati sì dico ch’è propter separabi-litatem, in ciò che perderanno Iddio e partirannosi dalui. Questo fia il più crudele sceveramento che mai pos-sa essere in questo mondo, e ’l più tristo; imperocchè,perdendo Iddio, sì perderanno tutta la gloria, l’aiutosuo, l’amore suo, la compagnia sua, e molte altre, le qua-li si comprendono in questa separazione da Dio. Dellequali cose a predicare sarebbono utilissime cose; ma an-cora di tutte queste renderemo pur la prima, cioè cheperdendo Iddio, perderanno la gloria di paradiso tutta.Questo è a dire perdere Iddio, questa fia la grande penade’ dannati. Le pene e i mali tutti si riducono a due:cioè, o sono pene di dànno, come quando l’uomo perde’l figliuolo, o ’l padre, o danari e cotali cose, delle qualil’uomo si duole forte; e sono pene queste pur di spirito,e quanto maggiore è il danno, tanto maggiore è la pena.O sono pene di sentimento, come quando l’uomo ha pe-na nella carne sua, quando è percossa o tagliata, o quan-do tocca il fuoco o ’l freddo, o cotali cose: queste si chia-mano pene di sentimento. Che dunque pena saràquesta? Questa sarà pena di dànno, c’ha perduto la glo-ria di paradiso. La qual pena sarà la più crudele che sia,e sommamente affliggerà. E questo ti mostro per quat-tro ragioni: ratione omissionis, ratione desperationis, ra-

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tione permutationis, ratione transitionis. Dico prima chequesto dolore gli affliggerà ratione omissionis; quandopenseranno quello c’hanno perduto, cioè Iddio. Chiperde il cavallo ben si duole, chi perde la torre più, chiperde il figliuolo o ’l padre più, chi perde gli onori e lericchezze più; perocchè sono i maggiori beni, di maggio-re valuta. Che è a dire perdere Iddio? Non è altro a dire,se non perdere tutto bene. E che bene? il maggiore chesìa o che essere possa, maggior che perdere tutto questomondo, e 10 cotali mondi e 100 cotali mondi; è più cheperdere mondi infiniti per novero: maggior danno è per-dere Iddio. Questo scrive santo Iovanni Grisostimo:Meglio è avere Iddio, che avere mondi infiniti, e mag-gior danno è a perderlo, che a perdere tutto ’l bene, tut-ti i diletti che potessono essere in mondi infiniti. Ordunque che pena de’ essere quella de’ peccatori, che ve-dranno c’hanno perduto Iddio tanto bene! Or tu diresti:or ch’è ciò che i peccatori che perdono Iddio in questomondo non hanno pena? Rispondoti: perocchè nol co-noscono, non conoscono quello che perdono. Come ilfanciullo che perde il padre; vede il padre morto, e nonse ne cura, e hanne grande danno; ma non se ne cura,chè nol conosce; ma se ’l conoscesse, e allora n’avrebbegrande pena. Così ti dico in questa vita non conosce ilpeccatore quello che perde, e non si può conoscere inquesta vita perfettamente per nullo uomo, ma allora co-nosceranno perfettamente il bene il quale hanno perdu-to, e saranno aperti loro gli occhi, chè ’l vedranno chia-ramente, molto meglio e più chiaramente che non sivede qui per nullo santo uomo. E però aggiugni alla pe-na del danno il conoscimento, aggiugnici questa parolae compiesi la ragione. Questa è la prima ragione ed èbellissima. La seconda si è ratione desperationis: e questasarà crudelissima cosa, che di quella gloria saranno altutto disperati. Noi veggiamo se l’uomo perde ricchezzeche non se ne dispera, perocchè si possono raccattare.

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Se l’uomo perde figliuolo altri ne può riavere, un altroaltresì buono e migliore; sicchè ciò che perdi puoi rac-cattare, o quella, o somigliante, o migliore, o cosa che tene appaghi altrettanto o più. E però la speranza chel’uomo hae delle cose toglie il dolore che l’uomo avreb-be di quelle che perdesse. Oh che cosa e come da trema-re è questa! A dire de’ dannati, che saranno al tutto di-sperati, che mai non la potranno riavere; e quel benehanno perduto in tutto eternalmente, e sono più sicuridi questa disperazione e hannola più di certo, che non ècerto qualunque cosa è la più certa. Questa sarà sì gran-de angoscia, che non si potrebbe stimare. La terza ragio-ne si è permutationis. L’uomo quando perde una cosa,avvegnachè sia grande, ma quando la perde per un’altragrande cosa, pare che se ne consoli più, chè non ha per-duta così al tutto, non l’ha così perduta cattivamente;ma quando altri perdesse una grande cosa per cosa vile,or allora è la grande pena. Questa rinforza il duolo mira-bilmente. E questa è la terza ragione della pena de’ dan-nati: in amissione gloriae; cioè che vedranno che l’hannoperduta per la più vile cosa e per la più cattiva che sia oche possa essere. Qual’è la più vile cosa e la più cattiva?Il peccato. Per questo hanno perduto vita eterna. Deh,se l’avessero già perduto per un grande fatto, parrebbealcuno rimedio; ma avere perduto Iddio per così vile co-sa, questo sarà sì grande dolore, che non si poterebbeestimare. Troppo ben conosceranno allora la viltà delpeccato loro. La quarta e ultima ragione si è rationetransitionis: e questo accrescerà la pena più che più.Quale? cioè, che non solamente hanno perduto Iddio,ch’è meglio che mondi infiniti, non solamente che ne so-no disperati eternalmente, non solamente che l’hannoperduto per vil cosa e per piccola, ma che quello per loquale e’ l’hanno perduto non l’hanno. Quello medesimodiletto per lo quale perdero Iddio non l’hanno: hannoperduto Iddio e ’l diletto è passato, e non si troveranno

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Iddio nè quegli diletti; e però diranno: tristi noi, or per-chè l’avem noi perduto? ove sono i diletti passati? Sono,e non si troveranno nulla, altro che tormento. Averadunque veduto per quattro vive ragioni della pena didannati, in ciò c’hanno perduto Iddio. Deo gratias.

LIII

Frate Giordano, a dì 22 di febbraio, martedì, il dì di CattedraSancti Petri, in S. Maria Novella.

Tibi dabo claves regni coelorum, et quodcumque ligave-ris super terram erit ligatum et in coelis, et quodcumquesolveris super terram erit solutum et in coelis. é tanta ladifferezia ch’è intra le cose spirituali e le corporali, chemolte volte quello ch’è grande uficio e nobile nelle spiri-tuali, è vile nelle corporali; e così altresì del contrario.Officio di spazzare o lavare la casa, e ornare e mandare,si è vile uficio di fante o di fancella; ma il lavare e ’l mon-dare spirituale, questo è uficio di grande degnitade, è disacerdoti o del sommo pontefice, e principalmente degliangeli. Onde il più sommo angelo ha più questo uficiodegli altri, e monda gli spiriti di sotto: ma sommamentequesto è uficio di Dio. E principalmente a santo Piero fucommesso uficio sommo di legare e sciogliere spiritual-mente. Questo uficio in cose corporali è di servo vilissi-mo, o vuogli di legare legne, o fieno, o erba, o navi alporto, o giumenti o uomini. Questi uficii sono d’uominivilissimi; ma lo spirituale legare è più nobile eziandionelle cose secolari; come ’l giudice che proscioglie e legaper sentenzia, siccome il re. Vedi che in tutte le cose simostra quanta è la viltà delle cose corporali, e come so-no nobili le spirituali. A santo Piero fu dato questo pon-tificato di sciogliere e legare. In due cose stette la de-gnità che Cristo gli diede, cioè il legare e sciogliere.

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

Diremo stamane pur dell’una metà dell’ufficio suo, el’altrà lasceremo; avvegnachè chi ben intende l’una par-te sì può ancora intender l’altra; e però chi intende benel’uficio del legare, sì può intendere quello dello scioglie-re. Mostransi dunque nelle parole di Cristo tre cosedell’uficio del beato apostolo. Quantum ad actum, cioèall’uficio ch’ebbe. In ciò che dice: tibi dabo claves regnicoelorum, mostra in ciò la commissione dell’uficio. Ap-presso quantum ad consuetudinem, cioè come l’usoe ecome sì conviene trattare; e questo mostra in ciò che di-ce: quodcumque ligaveris et solveris, mostrane l’usanza.Quantum ad effectum cioè la vertù, e la perfezione e ’lcompimento. In ciò che dice: erit ligatum vel solutum incÏlis; diciamo dell’uficio, cioè del legare e dello scioglie-re; e diciamo pur dell’una metade, e l’altra s’intenderàper questa. Diresti tu: come? ha uficio di legarmi perso-na? No principalmente, ma tu ti leghi tu per la colpa.Quattro sono i modi del legare e onde se’ legato: il pri-mo legamento si è di colpa, e questo si è il maggiore; ilsecondo si è per legge, lex dicitur ad ligandum; il terzo siè la sentenzia, quando il giudice dà la sentenzia, sì ti le-ga; il quarto si è legamento di pena, quando t’è data lapena. A dire di tutti questi sarebbe lungo; diciamo purdel primo, cioè del legamento quanto alla colpa ed alpeccato. A questo legamento non ti può legare nè uomo,nè angiolo, nè creatura, nè Iddio, ma tu medesimo ci tileghi. E che la colpa e ’l peccato leghi l’uomo, e comeperò sia legato, sì ’l ti mostro per quattro ragioni: legatiquanto al lume della ragione e dello ’ntendimento;quanto all’atto e all’opera, chè non puoi operare; quantoalla servitudine, chè se’ servo del peccato e del demonio;quantum ad poenis obligationem, che se’ obligato alle pe-ne del ninferno. Dico primo che ti lega la colpa e ’l pec-cato quanto allo ’ntendimento; imperocchè lo ’ntendi-mento è uno lume, ed è la più nobile cosa che sia da Dioin giù, e semo iguali cogli angeli, e questo intendimento

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sì si lega e oscurasi per la tenebra della colpa e del pec-cato; ed è grande cosa di questo intendimento; chè cosìil lega il lume, come le tenebre. Onde l’uomo lega altruiper argomenti e non si può partire; perocchè la veritàhae a legare lo ’ntendimento, o che sia di cose apparenti.Onde suole l’uomo dire: sciommi questa quistione.Questo intendimento ti lega ancora per lo contrario, perla tenebra e per lo peccato; ma in altro modo, chè il cuo-pre, come la lucerna, sotto lo staio, che non luce. Lestelle si cuoprono e suggellansi, o quando vanno sottoterra, o quando i nuvoli si parano in mezzo. Onde ogniuomo ch’è in peccato è impossibile che sia savio; mattoè, e ha perduto il senno. Onde eziandio alla sapienziaimprendere è mestieri che l’uomo si lavi e mondi di pec-cato. Ed è legata quella vertù dell’anima da ogni pecca-to, o sia originale, o veniale o mortale; ma il veniale pocolega, il mortale molto; e quanto maggiore è il peccato,maggiori legami ha, e più forti e più in quantitade. Lega-si ancora questa vertù per difetti di natura, siccome ne’fanciulli e ne’ matti. Questo è un altro modo di legare.Vedi come la colpa lega lo ’ntendimento d’ogni savio,che gli pare bene il male! Onde le dimonia sono sapien-tissimi, sanno tutte le cose, tutte le nature, e sì peccano,e fanno e commettono tanti mali. Questo non è per al-tro, se non che questo par loro alcun bene. Così è di tut-ti i peccatori, che sono tutti stolti. L’altro modo onde tilega la colpa si è quanto all’atto e all’opera, chè non puoioperare nulla. Chi avesse legate le mani e i piedi nonpuò operare. L’opere di peccatori non piacciono a Dio,siccome non ti piacerebbe il dono di colui il quale tiavesse male, e avesseti in odio, e volesseti avere sempre,e tu il sapessi: come tu il riceveresti a grado, e come tene gioverebbe? Così e meno a Dio, ma che e’ pur tolesi.Dice come dicono i fanciulli: tu mi dài questo, e io il mitolgo, ma niuno bene te ne voglio. Così dice Iddio. Eperò delle limosine che fai, Iddio le si pur toglie, ed or-

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dina la limosina tua altrove in luogo e modo che ne traefrutto, ma non riceve quella limosina ch’è d’usura edell’altrui; questa non si può dare. Ma ancor ti dico più:ancor li toglie la limosina dell’usura. Or togli, or vediche t’ho detto molte persone buone sì hanno benedell’usura loro, ma di verità chi scientemente sapesseche ciò c’avesse non fosse altro che d’usura, non la deetòrre il servo di Dio. L’altro modo a che se’ legato per lacolpa si è ad modum servitutis; che se’ fatto servo del di-monio e del peccato; servo se’ del peccato, chè mestieriè che ti faccia fare incontanente, l’altro e poi l’altro, enaturalmente t’hae a trarre in quella generazione di pec-cati; ma ancora t’hae a trarre in tutti gli altri, non a suanatura, ma per altro modo. Onde l’uomo che vuole farel’adulterio talora imbola per darlile, quando non ha dasè. Ecco che ne diventa il ladro, fanne talora micidio,chè uccide il marito; e così t’obbliga a servitudine di tut-ti, se ci hai a perseverare; se’ servo del demonio, che t’hala catena in collo. Ed a’ servi s’usava di mettere catena eferri in gamba, ed ancora oggi si fa in molte parti; nonpuò molto correre nè fuggire, poco può andare alla lun-ga. Di qui al cielo ha grande via, non ci puoi andare, lacatena è corta. Vedrai alcun’otta che non avendo tu vo-lontade di fare certo peccato, e ’l dimonio ci ti tireràquasi per forza. Verrà uno tuo vicino e vorrà che facciper lui uno saramento, e sarai legato, chè ’l ti converràpur quasi fare; e così per temenza il farai, che non n’aveinulla voglia. Veramente sono queste tentazioni del di-monio. In due cose sta ogni peccato; bene è vero che al-cun’otta si dice che sta in tre, e quando in uno, e tutto èvero: siccome ti dicessi dell’albero, c’hae tre rami grossi,e hanne uno, ovvero talora n’ha sette, e hanne tre, e han-no uno, e sarà uno albero; perocchè tutti vengono dauno fusto. Così i modi del peccato possono essere in tre,e in due, e in uno e sette, chè sette sono i peccati princi-pali e stanno tutti in tre, come dice santo Ioanni: e stan-

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no in due, come timore ed amore, come dice santo Au-gustino, chè due sono le porte onde tutto ’l male entra; ein due cose stanno tutti i peccati: timor male humilianset amor male inflammans. E potremoli recare a uno, cioèl’uno di questi, o amore o timore. Queste hanno a legarel’uomo per la colpa sua. Il quarto e ultimo modo ondel’uomo è legato per la colpa, si è quantum ad poenis obli-gationem; è obbligato. Obbligare è uno legame con di-stanzia, dalla lunga; è legato, non v’è ancora, ma saravvi:come il pesce ch’è preso coll’amo, che avvegnachè nonsia fuori dell’acqua, ma ancora vi sia e nuoti, tuttavia giàè obbligato alla padella; chè a poco ne sarà tratto fuori, emesso nella padella e nel fuoco. Come altresì di queglich’è obbligato alla carcere, avvegnachè ancora non visia, e’ vi andrà. Come quegli ch’è sentenziato alle forche,èvvi obbligato, ma perch’egli ancora non vi sia, egli viandrà. Così de’ peccatori. Ecco il grande male, chè giàsono obbligati alla padella, e al fuoco e al frittume eter-nale del ninferno; chè mai non avrà fine quello frittume,e non ne verrà olore, ma puzza; e ogni dì ci è tirato unogrado, perocchè ogni dì il dimonio il tira, ogni dì s’ap-prossima alla morte, a quella padella. Non si vede il pec-catore ch’è già preso dal dimonio con una catena, cheviene d’insino di ninferno, e hallo preso e tirato giù con-tinovamente. E in questi quattro modi lega la colpa e ’lpeccato. A questo legame, ch’è il primo e ’l principale, tileghi pur tu solamente. Or tu diresti: qual fu l’ufficioch’ebbe santo Piero? Questo si è in quattro modi breve-mente. L’uno si è non assolvendo, cioè che ti può assol-vere; quando non ti assolve quello è un modo di legare.Il secondo modo di legare si è per suspensionem, per in-terdictionem, e per excomunicationem; chè ti lega, chenon puoi ire alla chiesa e all’ufficio, o parlare con altrui.Il terzo si è pubblicando, quando ti pubblica al popolo escomunicati in pubblico al popolo, che ’l sa la gente:questo è un’altro modo di legare. Il quarto si è quando

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priega per te; allora ti manifesta a Dio i peccati tuoi eporgegliele innanzi. Così diciamo nell’orazione: nostro-rum absolve vincula delictorum. In questi quattro modi èil legare de’ sacerdoti, non è in più modi il loro uficio.Deo gratias.

LIV

Frate Giordano, giovedì, a dì 24 di febbraio, in Santa MariaNovella, il dì di Santo Mattia Apostolo.

Discite a me quia mitis sum et humilis corde. Ciascunacreatura quanto più è nobile, cotanto abbisogna di piùmembri e di più parti il corpo suo. Onde i pesci, peroc-chè sono cosa vile e sono bassi, hanno poche membra,non hanno mani nè piedi. Gli uccelli non hanno mani,usano la bocca a modo di mani; ma l’uomo, però ch’èpiù nobile, però abbisogna di più membra; e abbisognadi una cosa che non abbisogna nullo altro animale, cioèdell’ammaestramento. Le piante e gli alberi non abbiso-gnano, però c’hanno dalla natura la loro operazione. Gliuccelli nè le bestie abbisognano di maestro, perocchèper natura conoscono quello ch’è loro bisogno. Chi hainsegnato a quella bestia, chè incontanente conosce l’er-ba che l’è bisogno? Il cane conosce col naso quello chegli è buono. Non è così dell’uomo; imperocchè ’l più no-bile animale abbisogna di maestro. E avvegnachè s’am-maestrino delle criature e degli uccelli ad alcun atto,non è quello ammaestramento che gli sia necessario nèutile, nè ch’egli sappia che si sia. E però l’ammaestra-mento nell’uomo è necessario; chè per sè, sanza essereammaestrato, non saprebbe operare nè reggersi secondoche gli è mestieri e che si conviene. Ed è di tanta utilitàl’ammaestrare, che non solamente negli uomini è questouficio, ma intra gli angeli è questo uficio, e bisognano

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d’ammaestramento; imperocchè gli angeli di sotto sonoammaestrati da quelli di sopra e da’ più nobili. E peròCristo, figliuolo di Dio, vedendo che l’esemplo e l’am-maestramento c’era di tanta necessitade, volle, egli veni-re a darne esemplo egli di sè e in sè. E nella sua dottrinanon può essere ingannato. E però nelle parole proposte,che sono della sua santissima bocca, potemo compren-dere tre cose altissime, che sono della sua grandezza.Prima della sua degnitade, in ciò che dice: discite a me;mostra qui com’egli solo è il verace maestro. Appresso lamansuetudine, in ciò che dice: quia mitis sum. Appressod’umilitade, in ciò che dice: et humilis corde; perocchèalla scuola di Cristo s’ammaestra mansuetedine e umili-tade: le quali cose sono somma sapienzia. Prima dicoche si mostra la sua degnitade, in ciò che dice: apparateda me; mostra qui che solo egli è il verace maestro. Noitroviam bene molti altri maestri di fuori da lui, c’am-maestrano: gli angeli, le demonia, gli uomeni e le criatu-re. Gli angeli ammaestrano e hanno vertù d’ammestrare,e la loro dottrina è verace; ma questo ammaestramento èmolto occulto; sicchè l’anima none può prendere benechiaro ammaestramento, chè ispira nella mente occulta-mente: si e in tal modo che gli uomeni nol sanno benediscernere nè conoscere. Bene ha questo difetto il loroammaestramento, che non si vede bene. Ma non è cosìquello di Cristo; imperocchè la sua dottrina è la piùaperta, e la più chiara e la più manifesta che sia o chepossa essere. Così disse egli ad Anna e Caifas, che ’l do-mandavano della dottrina sua: Io ho parlato al mondoapertamente e chiaro, e non ho parlato ne’ cantoni; co-me dite che nolla sapete? E però non se ne può scusarenè saracino, nè giudeo, nè tartaro; si è bandita insino dalprencipio. Altri ammaestratori sono le demonia. Bentroviamo c’ammaestrano spesse volte; ma perocch’egli èprincipio di falsitade, conviene che ciò che dice sia falso;onde la sua dottrina tutta è bugia e mendacio. E se tu di-

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cessi: ci pare che alcun’otta dicano veritade. Verò è, fan-no ciò; perocchè il male, dicono i savii, non può esserpuro in questa vita, che non ci abbia qualche bene en-tro, sempre ci troverai qualche bene; chè se ’l male fossepuro, nudo, sanza nullo bene da ogni parte, non potreb-be durare, non si potrebbe sostenere, perocchè nullo ilriceverebbe; e però in ogni errore ha qualche verità, main verità tutto si può dire errore. Siccome del dimonio,ben dice alcuna verità, ma quella dice acciocchè tu nolconoschi e ricevi un’altra grande falsitade, per coglierti efarti combattere. Sicchè quando quella verità ordina,per farti errare e cadere in maggiore falsitade. Dunque sipuò dire che ciò che ’l demonio ammaestra tutto è fal-sità in sustanzia. Sotto i cui ammaestramenti sono tuttiquelli e quelle che fanno facimali, e indivinamenti equelle maledizioni. Questa è arte trovata primamentedal demonio; imperocchè Iddio non l’ammaestrò, gli an-geli non l’ammaestraro, nullo savio uomo la trovò; edunque non sono venute se non dal dimonio. Le qualicose non solamente sono vane in sustanzia, e di lungi daogni giovamento e veritade, ma sono peccato gravissimomirabilmente. Sono gli uomeni ancora ammaestratori;ma nell’ammaestramento dell’uomo bene ha verità, mapuocci essere molto errore; e però non si dee riceverel’ammaestramento d’ogni gente. Di questo non diciamopiù. Sono altri maestri, ciò sono tutte le criature, chè cia-scheduna è uno maestro a darti sapienzia; ma questadottrina è troppo malagevole e faticosa a vedere e a tro-vare, e però la dottrina di Gesù Cristo passa tutte; impe-rocch’egli è il sommo maestro, e ’l perfetto in ogni sa-pienzia e vertude, sopra gli angioli. Quegli in occulto eincerto, Cristo la sua dottrina aperta e palese. E mostròdi tutta verità, contro all’ammaestramento del dimonio,ch’è pieno di falsità, e la più secura e la più certa dottri-na che sia o che essere possa; quella degli uomeni è falla-ce e piena d’errori. E altresì la sua dottrina è sapienzia

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agevole e sanza alcuna malagevolezza, e però passa tuttii maestri in tutte le cose. Deo gratias.

LV

Questa medesima mattina, nella piazza di Frati d’Ogni Santi.

Discite a me quia mitis sum et humilis corde. Al princi-pio il demonio fece cadere l’uomo in due grandi malipessimi, cioè in colpa di peccato; l’altra si fu che caddein errore e in falsitade. Cristo ad amendare quello che ’ldemonio avea fatto, venne a liberarci dalla colpa e dalpeccato; e spezialmente dall’originale, nel quale tuttieravamo involti e presi. Appresso per ammaestrare dot-trina e sapienzia contro all’errore e alla falsità, nella qua-le il demonio gli avea indotti. Questa sapienzia, dellaquale n’ammaestrò il figliuolo di Dio, si fu di due cose:umilità e mansuetudine; le quali cose sono somma sa-pienzia. Vedremo ora un poco di questa sapienzia. Man-suetudine è vertù, la quale sostiene ogne aversitade e in-giuria, non rendendo male per male, la quale vertudede’ essere primamente dell’uomo; e avvegnachè questavertù si truovi in certi animali, tanto maggiormente de’essere nell’uomo. Quale è quello animale in cui è questavertude naturalmente? Questo si è l’agnello, la pecora:la quale quando è menata al macello non si difende enon contradice nulla; tutti gli altri animali contradicono,chi coll’unghie, chi co’ denti, chi colle zampe, qual gri-da; ma la pecora, l’agnello, nulla di queste cose fa. Que-sto de’ essere nell’uomo, e dee essere sua propria vertù.Della qual vertù Cristo perfettamente ne diè in sè dottri-na e ammaestramento, chè fu come agnello mansueto.Della quale mansuetudine, ch’è l’una metade della sa-pienzia della scuola di Cristo, non diremo alcuna cosa,avvegnachè la sua materia è grande e distesa, e piena di

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molta uttilitade, ed è necessaria al mondo. Ma perocchèquesto beato apostolo è commendato principalmented’umilitade intra gli altri, chè per la sua umilitade fueletto intra ’l numero degli apostoli, sì predicheremo diquesta umilitade un poco stamane pur dell’uno lato,cioè per che ragione piace a Dio così l’umilitade, cheesalta così gli umili. Vedete come gli onora. Gli apostolitutto ’l mondo gli adora, ed è pieno il mondo di chieseall’onore loro; e vedete come sono visitati. Non è cosìfatto de’ re, nè degl’imperadori, nè di signori del mon-do, non è ricordo. E che l’umiltà gli piaccia così è mani-festa cosa, come detto è; e questo si può mostrare perdue modi e per due vie. L’uno si è dalla parte di sua ec-cellenzia; l’altra si è che l’ama così in noi per l’utilitadetanta che ci è. E com’egli l’ami in noi, per lo grande pro-de che ne fa a noi, non diremo alcuna cosa, ch’è moltodistesa materia. Diciamo stamane pur come gli piacedalla parte della sua gloria e grandezza, e diremo di que-sto quattro belle ragioni, e sarà la predica nostra: rationeveritatis, ratione virtutis, ratione proprietatis, et rationemaiestatis. La prima ragione per la quale piace tanto aDio l’umiltà nostra si è ratione veritatis. Iddio si è verità,e quanto più t’appressimi alla verità, tanto se’ più pressoa Dio. L’umile però è presso a Dio, perocch’è in verità. Isuperbi e gli altazzosi tutti sono in bugia pessima. Iddiot’ha data la fortezza, la sanitade, le ricchezze, il senno, lamemoria, la vita e ’l fiato tuo; e però il superbo che re-puta avere queste cose da sè, le quali tutte sono da Dio,è in somma falsitade. Tu dei pensare: onde sono io? Ionon m’ho fatto da me medesimo; dunque chi mi ha fat-to? Iddio. Dice il santo e definisce così l’umilitade: hu-militas est vere cognitio propriae vacuitatis; conoscerticome tu se’ vòto dalla tua parte, e se’ nulla, e non hai date nulla, ma tutto conoscere da Dio; e questa è verità. Eperchè l’umile hae questa vertù, però è in verità; e Iddioè verità, e però gli sono presso gli umili; e i peccatori e

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gli superbi gli sono lungi. La seconda si è ratione virtu-tis. Iddio ama la vertude sopra tutte le cose, perocchè laScrittura dice ch’egli è vertù. Intra tutte le vertudi glipiace la giustizia; perocchè la giustizia, secondo che di-cono i savii, è una vertù comunale, la quale partecipatutte le vertudi; onde in ogni virtù conviene che sia giu-stizia. Giustizia si è primamente vertù, per la quale sirende a ciascheduno il debito suo, a che siamo obbligati;a Dio rende la ragione sua, al prossimo la sua, a sè me-desimo rende quello che dee. La vertude dell’umilitadeparticipa molto questa vertude della giustizia; si è in talmodo che potem dire che umilitade sia giustizia. Per-chè? perchè rende a Dio quello ch’è suo. Quale è quellodi Dio? tutte le cose, l’onore; e però l’umile riconoscen-do da Dio tutti i beni, tutte le grazie, tutti i doni, ognicosa rende a lui, e dice: tuo è, Messere; onde non ha maivanagloria, nè di limosina, nè di digiuno, nè di nullo be-ne che faccia. David profeta considerando questo, quan-do sacrificava a Dio, dicea: Messere, questo è tuo; da tel’avemo ricevuto, a te il rendiamo. E però i superbi, chereputano da sè quello ch’è da Dio e hallo fatto Iddio, so-no in somma falsitade; e però sono lungi da Dio. Onde,chi toglie a Dio quello ch’è suo, è furo della deitade ed ègrande peccatore; questi sono i superbi tutti e vanaglo-riosi. La terza ragione si è ratione proprietatis. Iddio amatutte le cose in sua natura; onde ama tutte le nature; main diversi modi; ma ciascheduna ama nella natura sua, efuori della sua natura gli dispiace. Quale è la naturadell’uomo? vilissima da una parte, cioè ch’è fatto di nul-la; tutto sia egli bello e forte, pur considerando di chesiamo fatti, cioè di nulla, ecco che dalla nostra parte nul-la siamo. Da questa parte sono vilissime tutte le creatu-re, gli angeli, e i santi, e gli uomeni, e le bestie e tutte lecreature sono tutti iguali in ciò. E per questa ragione gliangeli sono umilissimi, e conoscono che non sono nullada loro: chè Iddio non può fare nulla creatura criatore,

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altri che sè; e però l’umile sta nella natura sua, chè si co-nosce nulla da sè, ma tutto da Dio. E però a Dio piacel’umilitade sommamente, e la superbia il contrario. Laquarta si è ratione maiestatis. Il soldano, quando caval-ca, molte volte vanno a piede tutti gli altri cavalieri e ba-roni, acciocchè paia più signore. Il papa, quando conse-cra, sì vi sono i molti vescovi, nullo dee tenere in capocorona di gemme, ma feriali; solo il papa tiene coronadignitosa, acciocchè paia bene signore, di cui dee esserel’onore e la gloria. Una cosa vuole Iddio per sè, e non lavuole dare a persona, come dice la Scrittura, cioè l’ono-re e la gloria; questo vuole solo egli da tutte le criature.L’umile gli fa questo onore, chè sè fa vile e lui magnifica.Il superbo fa tutto ’l contrario, che di quello che dee es-sere onorato Iddio, ed egli s’appropia l’onore e la gloriach’è di Dio a sè, e togliele e fagli disonore dalla sua par-te. Non che a Dio possa scemare gloria, ma dalla tuaparte ben lo vitiperi, e togli la gloria sua. E per questeragioni hae Iddio in odio la superbia e piacegli l’umilita-de. Deo gratias.

LVI

Frate Giordano, a dì 26 di febbraio, venerdì mattina, in SantaMaria Novella.

Ecce iam sanctus factus es, noli peccare, ne tibi deteriusaliquid contingat. Questo Vangelio contiene la storiad’uno miracolo, il quale il nostro Signore Iesù Cristo fe-ce in sanando uno ch’era stato attratto 38 anni a una pi-scina d’acqua, la quale l’angelo ad alcuna stagionedell’anno turbando, il primo che v’entrava era sanatod’ogni infermitade. Questa piscina avea cinque portici, iquali erano tutti pieni d’infermi, i quali vi stavano, per-chè quando si turbasse la detta piscina, entrandovi fos-

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sero liberati. Questo attratto, perocch’era solo di paren-ti e d’amici, non era chi lo atasse, e gli altri erano piùatati e erano più leggieri di lui; e però in trentotto anniche stato v’era, ancor non gli era venuta la volta. E Cri-sto venuto a questo luogo, siccome padre pietoso, visita-tore degl’infermi, e de’ poveri e degli spedali, riguardan-do a costui disse: Vuoli tu essere sano? Quegli non dissesì, chè non bisognava, ma disse cosa che altrettanto va-lea. Messere, non è uomo per me che mi aiuti quando lapiscina si turba, che mi vi metta, e cotanto ci sono statoin questa condizione. Il quale incontanente per coman-damento di Cristo fu sanato; il quale, ritrovandolo Cri-sto nel tempio, sì gli disse: Io sono quegli che ti feci sa-no, i’ sono Iesù Nazareno, credi tu in me? Quegliinginocchiandosi l’adorò, e Cristo gli disse allora la pa-rola che proponemo: Questo t’impongo che tu facci, equesta è la penitenzia ch’io t’impongo, che tu ponghimente e guarditi bene che tu non pecchi più, acciocchènon ti intervenga peggio. Questo comandamento gli fe-ce il Signore e questa imposta. Tutte le condizioni chesono nel ricadere nella ’nfermitade corporale, tutte sitruovano nel ricadimento spirituale, cioè nel peccato piùveramente; e truovansene altre più, le quali non si truo-vano nel ricadimento corporale. Il ricadimento nella’nfermità si è molto più pericoloso che ’l cadimento, epeggio fa il ricadere dopo la ’nfermità che la prima voltache ’nfermasti. Questo è veramente spiritualmente; chesè io poi che io mi sono confessato e uscito dal peccatoricaggio, cioè ricaggio poi in peccato, dico che questopeccato è maggiore del primo; e quanto maggiore? trop-po più. Se io hoe fatto uno micidio, e sonne confesso euscito per penitenzia, poi rifò un’altro micidio maggio-re, cioè c’uccido uno prete o uno vescovo, ben è questomaggiore che ’l primo; perocchè il micidio è maggiore,secondo lo stato e la condizione di quelli ch’è morto. Seio rifoe uno somigliante micidio chente fu il primo, an-

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cora è maggiore. Non dico ancor di questi, ma io dicopur di minori peccati. Vie maggiore e più grave è il pec-cato minore, fatto poi che ricevesti penitenzia, che ’lgrande che facesti prima. Onde il micidio di sua naturaè maggiore peccato che ’l furto. Io dico che ’l furto èmaggiore peccato che ’l micidio, quando il detto furto èfatto poi che ricevesti penitenzia del primo. E però dissebene Cristo: Guardati che non ricaggi. Che è ricadere?Ricadere non è altro che rifare e ritornare al peccato, poiche ti confessasti e uscistine per penitenzia; ma il pecca-re de’ peccatori non è ricadere, anzi è uno profondare,chè per ogni peccato profondano giù uno grado; e quan-to più peccano e più peccati fanno, tanto più profonda-no, tanto, che ne vanno insino in nabisso. Onde non èdetto ricadere, ma profondare, perocchè ogni peccato èuno pezzo di legne c’arroge alla soma. Onde peccatori,quanti più peccati fanno, tanto fanno maggiore soma.Ma il ricadere è detto quando poi che sono fatto sano ri-caggio nella ’nfermità. Questa infermità è molto peggio-re e molto più pessima che quella di prima, e il secondoricadimento è piggiore che ’l primo, e ’l terzo piggiore epiù grave che ’l secondo, e così va sempre piggiore l’unoche l’altro. Non è così ne’ peccatori, cioè in quelli chesono nella infermità; chè non è maggiore il peccato se-condo che ’l primo, o ’l quarto che ’l terzo, se non fossegià maggiore di sua natura, cioè che maggiore è ’l mici-dio che ’l furto, ma io dico d’iguali peccati di loro natu-ra; ma nel ricadere, il peccato del ricadere è troppo mag-giore che ’l primo, anzi che si rilevasse, e eziandio sequello dipoi è vie minore. Onde nel ricadere, il piccolopeccato mortale, il minore, è maggiore e più grave che ’lgrande che facesti anzi che ti levassi della ’nfermitade. Eperò disse bene: Guardati che non ricaggi, acciocchènon ti intervegna peggio che di prima. Parola di grandeveritade! E che il peccato e il ricadimento sia maggiore epiù grave che ’l primo, anzi che risuscitassi, sì ’l ti mo-

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stro per quattro belle ragioni. La prima si è propter bene-ficiorum contemptum, la seconda si è propter restauratio-nis debitum, la terza si è propter amicitiae amicum, laquarta si è propter recuperatam sanitatem defectum. Laprima dico ch’è propter beneficiorum contemptum. Ilmale quando cresce, sì cresce molto la potenzia sua; on-de quando il male moltiplica, cioè si raddoppia; molti-plicare si è a dire raddoppiare e arrogere; tanto più cre-sce la potenzia e la vertù sua contra ’l bene; perocchè laforza dell’uno contrario combatte coll’altro, e se ’l beneè poco e ’l male moltiplica, sì ’l vince agevolmente e di-radicalo. E però Cristo sempre procurava pur d’attutaree disfare, e di menimare il male e impedirlo, acciocchènon moltiplicasse, ma disfacessesi quello che fosse. Do-vem dunque avere somma temenza del ricadere; tanto èpiggiore il male di poi che quello di prima. E questo timostro per la prima ragione che ti dissi, cioè propter be-neficiorum contemptum. Questo contento si è a dire di-spregio volgarmente; ma contento viene a dire ancoracosa piggiore. Contento si è dispetto: siccome quando lapersona facesse il peccato a dispetto di Dio; e sarebbequesto peccato in somma pessimitade di sua natura,quando il peccato si facesse propriamente per dispettodi Dio; ed è questo sì grande peccato, che non si potreb-be dire. Chè avere l’uomo in dispregio alcuna cosa non ècosì grande cosa, chè io il posso dispregiare talora chenon è buono, non è savio, non è bello, e per molti difet-ti. Non è questo peccato esso, ma dicesi volgare dispettodi propia malizia. Vedi come è grave il peccato di quelliche ricade, pensando primieramente i beneficii i qualiIddio gli avea fatti. E quali sono questi beneficii? i mag-giori che siano. L’uno si è che ti scampò dalle pene delninferno; o che beneficio è questo! non si potrebbe dire;l’altro si è che t’ha restituito ai beni di vita eterna; l’altrobeneficio si è che t’ha data la grazia sua; l’altro grandebeneficio si è che t’ha data la medicina, cioè la peniten-

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zia, ch’è detta da’ santi medicina dell’anima contro aipeccati. Questi sono sommi beneficii, prima anzi che’peccassi non ti potea dire Iddio: Io t’ho scampato dallepene del ninferno. Ben è vero che per lo peccato origi-nale siamo obbligati al limbo, ma non all’inferno. Que-sto peccato non avemo fatto noi, ma il nostro padre; sic-chè non può dire prima: Io t’ho scampato dalle pene delninferno; siccome a Ioanni Battista e alla Vergine Maria,che non peccaro mai mortalmente; ma ben può dire: Iot’ho data la gloria di vita eterna, ma poichè hai fatto ilpeccato, allora se’ obbligato alle pene del ninferno.Quando ti confessi e torni a penitenzia, allora ti può eglichiaramente dire: Io t’ho perdonato le pene del ninfer-no, le quali meritasti per lo tuo peccato; ed hotti datogià il paradiso due volte, prima una e ora due. Ma se tuanche ripecchi, ancora è maggiore peccato questo; e seritorni, puotti dire Iddio: Vedi quante volte t’ho dato ilregno del paradiso; vedi quante volte t’ho campato dallepene del ninferno! Come chi liberasse e campasse unomolte volte delle forche, e dicesse: Vedi figliuolo, io t’hocampato oggimai diece volte delle forche, chè saresti im-piccato s’io non fossi; or ti guarda bene chè non ci ricag-gi più. Maggior follia sarebbe e maggiore peccato il se-condo che ’l primo, e ’l terzo che ’l secondo, e così ditutte quante volte ricadessi; perocchè se’ sconoscentede’ beneficii di Dio e dispregili. Quanto tu non temi Dioe non se’ riconoscente de’ beneficii, questo è uno con-tento di Dio e se’ inobidiente. Inobidienzia si truova intutti i peccati; onde in ogni vizio è questo peccato sco-noscenza; siccome in tutti i peccati si truova superbia.Superbia si truova in ispeziale, come quando l’uomo sitiene troppo grande: chi sono io? disprezzi gli altri; chi èquegli? è nulla: vanno col collo ritto e con la testa levata;sicchè ben si truova in ispeziale. E quando si truova inispeziale, dovemcene confessare in ispeziale, ma quandonon è speziale non te ne dei confessare. Com’io ti dissi,

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in tutti i peccati è superbia, e nullo peccato puote esseresanza superbia, in nullo modo; non ti però confessare disuperbia nè di sconoscenza, chè in ogni peccato sonoquesti. Onde se hai fatto uno micidio, or dirai: io ho fat-to e peccato in superbia, chè feci uno micidio; ovverodirai: ogni volta io hoe peccato in sconoscenza, chè feciuno micidio, e poi dire il micidio. Dunque diresti: perogni peccato tre peccati. Non dei dire così, chè quandoil peccato è in ispeziale de’ lo dire spezialmente; dei di-re: io feci il cotale micidio e in cotal modo. Non ti biso-gna dire quelli che sempre vi s’intendono sanza dire. Ec-co dunque quando ricadi se’ pessimo per la sconoscenzadi tali e tanti beneficii, che è a dire risparmiare la penadel fuoco eternale, chè se tu ardessi tutto ’l tempo dellavita tua in fuoco per campare quello fuoco, sì n’avrestigrande mercato; perocchè questo ha fine e ha tempo,dura forse 60 anni, ma quello non ha fine; ed egli il tiperdona così agevolmente e cortesemente. Se tu dunqueripecchi e ricadi, ecco che non temi Iddio e dispregilo.Così ti potrei anche disputare di beni di vita eterna, iquali dona e ridona, e rende a quelli che tornano a peni-tenzia. Così ti potrei anche dire di quello sommo benefi-cio che ti dà Iddio, cioè la grazia sua. Così ancora ti direidella medicina santa della penitenzia, la quale ti concedeed hallati trovata per tuo bagno e per tua salute. Di tuttequeste cose si potrebbe disputare, le quali lasciamo. Eperò sempre è più grave il peccato dopo la penitenziache prima, in ciò che Iddio più volte ti perdona quellepene e ridonati quello reame di capo. Vedi quante volteil t’ha donato! La seconda ragione si è propter restaura-tionis debitum; e questa è pessima cosa, ed è l’altra ca-gione del grande male del peccato ricaduto; perocchèquello peccato hae in sè la malizia di tutti i peccati chefacesti. Onde però tutti i peccati de’ quali facesti peni-tenzia, se ricadi, tutti ti ritornano addosso. In prima di-co che quanto in sè egli è grave per tutti gli altri che fa-

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cesti; e che questo sia chiaramente si pruova. Grave dicoeziandio in sua natura. A provare questo sono le ragionisottili, e profonde e veraci. Ma ancora ci ha più, che ipeccati de’ quali facesti penitenzia ti ritornano, addossotutti; e se ne volessi essere ben chiaro, odi Cristo che dis-se nel Vangelio di quelli che gli fu menato presso, chedovea dare cinque talenti. Ma intendi come gli ritorna-no; non gli ritornano al modo di prima. Nel peccato sìha più cose. L’una si è l’opera, l’altra si è la macola, l’al-tra si è il reato. L’opera passa e non si può fare più;puo’ne fare un’altra, ma quella non giammai; ma questedue cose non passano, cioè la macola e ’l reato, cioèl’obligazione al ninferno; passa il peccato e l’opera, marimane la macola nell’anima e l’obligazione. Ma per lapenitenzia si purga questa macola, ed è l’uomo liberatoda quella obligazione. Or viene che rifà il peccato dopola penitenzia. Vedi in che modo ritornano. L’opera nontorna mai, chè non puoi mai rifarlo. La macchia non tor-na, chè macola d’anima, non può mai essere sanza colpadi peccato; e però quella macchia non può tornare, tantavirtù hae la penitenzia. La macchia che mondasti delpanno non può tornare quella medesima, ma un’altra.Or tu diresti: dunque com’egli ritornano? Ritornagliquanto al terzo modo del reato, cioè quantum ad obliga-tionem. Or tu diresti: arderanne in inferno, come se mainon avesse fatta penitenzia? No; perocchè ’l fuoco nonpuò ardere ove non è macola, ove è macchia ivi arde. Lamacchia t’ho detto che non v’è, sicchè non arderannoquanto a ciò, ma ritornangli le pene in altro modo.L’una perchè in quello peccato ove ricade sì si fondatutta la colpa di tutti gli altri, ed è grave per tutti gli altri.L’altra che bene si avrà pena di tutti in altro modo, ilquale lasciamo ora. E però è da dire qui l’ammaestra-mento che si cade per queste parole. Dice alcuni santiche l’uomo è tenuto di confessarsi generalmente di tuttii peccati, per qualunque volta egli ricade in peccato

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mortalemente; ma perchè questo è troppo dura cosa, al-tri santi maggiori hanno detto altrimenti; e così dicono igrandi maestri in divinità, e tutti s’attengono oggi a que-sta, cioè che ’l detto di coloro bene è buono consiglio afare, ed è la più chiara cosa che sia e la piœ sicura, manon ne siamo però tenuti, se non in questo modo, cioèdi dirgli in grosso, in genere, non particulari. Onde sese’ caduto in peccato di micidio, o tu hai già fatti mici-dii, dei dire: il cotale micidio hoe fatto e anche n’ho fattimolti altri; e se gli avessi per novero è buono a dire; e co-sì ti dico degli altri. Bene è vero che conviene bene chedegli speziali e particulari si dicano a luogo e a tempo;cioè che addiviene spesse volte che l’uomo confessando-si del peccato suo, nollo potrà bene aprire nè mostrarechiaramente, se non dice alcuno o alquanti degli altri;perocchè i peccati son tutti legati insieme. Altrimenti sa-rebbe come colui, il quale solea avere male nella milza en’è guerito, e ha male nello stomaco; dee costui dire almedico: il male che ho è nello stomaco; e poi dee dire: efu otta che io ebbi il cotale male nella milza. Questo èbuono detto, ed è ammaestramento fine. Allora il medi-co sa molto che si fare, e compensa una medicina, laquale guerisca il male, sanza nuocere la milza; perocchèagevolmente rinasce il male ove già fu; prima forse t’ave-rebbe data medicina che sarebbe nociuta al male dellamilza. A questo esemplo, come vedrai che si conviene,dei dire i peccati tuoi; ma, come detto è, quello confes-sare generale in quel modo, ben è consiglio sommo, si-curissimo e chiaro, e molte persone l’usano di fare ed èfine cosa; ed havvi persone, che almeno ogni anno siconfessano una volta generalmente. Questo ingenerapiù puritade, più umilitade, più devozione, ed è di mag-giore chiarezza; ma, come detto è, non è di necessità. Laterza ragione per la quale il peccato di ricadere è som-mamente gravissimo sopra tutti i peccati, si è propteramicitiae amicum. Intra i nemici non solamente il servire

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ma il diservire, non solamente non pare di grande offesao follia, ma pare quasi debito; ma intra gli amici il diser-vire è somma offesa, eziandio la piccola e leggiere. Equesta è la ragione terza, per la quale il peccato che hairifatto è più grave troppo più. Imperocchè l’hai fatto inamistade di Dio, chè essendo in istato di penitenzia eriamico di Dio. In questa amistade l’hai ingannato, e tra-dito e offeso; e però l’odio di Dio è grandissimo ch’eglit’ha, e il peccato tuo è tutto traboccante di colpa. Chiavesse l’amistà d’un grande re, d’uno imperadore,avrebbe caro più c’una cittade, più che sette. In grandis-sima grazia il si tiene chi può avere l’amistà del re, e cosìè. Se questo uomo il tradisse, cui il re hae fatta tanta gra-zia, che gli ha dato l’amore suo, grande peccato e grandefollia avrebbe fatto. Or di che sarebbe degno questi? Ipagani, i saracini, i giudei, dicono i santi, che ’l primopeccato che fanno attuale, dicono che conviene che siamortale di necessità. Il primo peccato è l’originale; que-sto non è attuale; ma il primo attuale che fanno non puòessere veniale, ma conviene che sia mortale. La ragionesi è sottile; perocchè non si potrebbe punire, chè non sitruoverebbe luogo per lui. Quattro sono i luoghi: para-diso, purgatorio, limbo e inferno. In paradiso non puòessere per lo peccato originale. In purgatorio non può,perocchè non è fatto per l’originale. Nel limbo no, im-perocchè quivi non è grazia, e però mai non si purghe-rebbe quello veniale; chè il fuoco di purgatorio purga eha vertù di purgare per la grazia di Dio che v’è; e perònon si potrebbe punire. Nel ninferno no, perocchè nonsi può ire per peccato nè originale nè veniale; e peròconviene di necessità che ’l primo peccato, che fanno siamortale. E però i garzoni di 12 anni e di meno, quandomuoiono, tutti vanno al ninferno. Al limbo vanno quegliche sono sì piccoli, che non peccaro mai. La quarta ra-gione per la quale il peccato fatto dopo la penitenzia e ildetto ricadimento è gravissimo troppo più che ’l primo,

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si è propter recuperatae sanitatis defectum. E questa èbellissima ragione, grande, efficace; la quale non dicia-mo ora più. Queste cose sono buone ad ammaestrarnele persone, acciocchè si guardino di ricadere. Deo gra-tias.

LVII

Frate Giordano, sabato seguente, la mattina, in Santa MariaNovella.

Bonum est nobis hic esse. Queste parole sono di mes-sere santo Piero apostolo: le quali egli disse a Cristo nelmonte Tabor, quando vide la gloria sua. E lasciando tut-to l’altro Vangelio, ch’è pieno di bella dottrina spiritua-le, diremo oggi di questa parola, la quale fu di san Piero,la quale parola è di molta sapienzia. Dicono i savii e isanti, che quanto la cosa buona è più conosciuta, tanto èpiù amata; perocchè l’amore nasce dal conoscimento, etanto quanto cresce il conoscimento, tanto cresce l’amo-re. Siccome, dice santo Augustino, della luce del sole na-sce il calore; così il fuoco e ’l calore dell’amore nascedalla luce del conoscimento; bella parola. Non dico ioche l’amore sia sempre eguale al conoscimento, no; pe-rocchè l’amore può essere in sè maggiore che ’l conosci-mento. Siccome vedemo della fede, ch’è uno conosci-mento di Dio in tenebra, chè, conosciamo Iddio inoscuritade di fede per le creature, per le scritture. Mal’amore non è in oscurità, anzi è in chiarità, c’ami Dio insè; ed avvegnachè l’amore possa eccedere al conosci-mento, non però di meno è vera la regola, che quantopiù cresce il conoscimento, più cresce l’amore. Le cosespirituali e celestiali sono le migliori e le più nobili cheIddio creasse, ma sono sì di lungi dal nostro intendi-mento e dal nostro lume, che al tutto n’è impossibile, ed

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è sopra natura, che noi possiamo perfettamente cono-scere di quelli diletti. Epperò volendo Iddio darci alcu-no conoscimento di quelli beni, sì ’l ci ha dato per assag-gio d’alcuna particella, perocchè assaggiando eprovando la cosa, n’ha l’uomo lo ’ntendimento, e tantomaggiore quanto meglio l’assaggiò. E se tu dicessi: per-chè Iddio non gli ci die’ a conoscere perfettamente, sic-chè n’avessimo pieno conoscimento? La ragione si è,perchè a questo modo tu vorresti il premio sanza fatica,sanza averlo guadagnato, sanza combattere: non va così;prima si conviene combattere, poi s’hae il premio. Maquelle dolcezze si dànno a modo d’un soldo e di certostipendio. Altro è stipendio, altro è premio: soldo si èquello che si dava a’ cavalieri, anzi c’andassero alla bat-taglia, acciocchè vivessero, ma poi era loro dato il pre-mio. Qui ti dà Iddio uno soldo, ma non il premio; tutto’l premio sta pur nel conoscere. Onde dice Augustino:Visio est tota merces; e Cristo dice nel Vangelio: Haec estsola vita aeterna, ut cognoscat te solum Deum verum, etqui misisti Jesum Christum. E perocchè ad amare Iddionon abbisogna tutto il conoscimento della cosa, ma unpoco basta a potere avere l’amore, però non ha data pie-na conoscenza di quelli beni, ma tanta che basta ed èsufficiente ad amarlo grandemente d’amore di caritade.Il quale poco d’assaggio, che Iddio dae ai suoi amici inquesta vita, è meglio ed è maggiore che tutti i diletti etutti i beni di questa vita, e tutti sono niente appo quel-lo. E che questo diletto sia di tanta eccellenzia e cosìprezioso, in questa brieve parola si comprende piena-mente per quattro cose di questo bene, che si toccanonelle dette parole. La prima si è che questo diletto in-fiamma e accende il disiderio; la seconda si è che generaamore di pace e di caritade col prossimo; la terza si è chespegne e toglie via ogni malo disiderio e sazia l’appetitodell’anima; la quarta si è che inebria l’anima e falla tuttaastratta in Dio. A dire e a disputare di queste quattro co-

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se sarebbeno utilissime cose e belle; ma perchè non po-tremo, diremo stamana della prima ragione, e staseradella seconda, e basterà. Dico prima che ’l diletto spiri-tuale infiamma e accende il disiderio. Tutte le dette ra-gioni si provano per lo contrario de’ beni e de’ diletti delmondo, ne’ quali si truovano contrarie cose da quellode’ diletti spirituali; perocchè sono privati di consolazio-ni e di beni. Ecco dunque prima è da vedere come ’l di-letto spirituale accende e infiamma il disiderio; e questopotremo vedere per lo contrario, cercando le condizionide’ diletti del mondo; e però dice bonum. Questo nomebonum hae grande profonditade. Chi fa nascere e muo-vere tutte le criature di sotto? il movimento del cielo; e ’lcielo chi muove? l’angelo; e l’angelo chi muove? Iddio; eIddio chi muove a queste cose? la bontà sua. Dunque labontà di Dio dà movimento a tutte le cose. Così, chimuove l’uomo a fare opere di virtù sante e spirituali?l’anima; chi muove l’anima? la volontade; chi muove lavolontade? l’amore; chi muove l’amore? il diletto. Bellaparola questa. Tutti i beni di questo mondo partono isavii in tre, cioè beni onesti, beni utili, e beni dilettevoli.Proveremo in questa predica come il diletto spiritualepassa tutti i diletti di questo mondo da queste tre parti. Iprimi beni sono detti beni onesti. Onestade non è purfare onesti reggimenti o in onesti vestimenti; ma onesta-de, dicono i savii e santi, è........ (sic). I diletti mondani ecarnali sono tutti disonesti e di vitiperio. E dicono i saviiche in tutti i diletti carnali e mondani è sì congiunta, lavergogna e ’l vitiperio, che in nullo modo può essere di-visa da essi. Vedi de’ bevitori, degli ebriachi, che piglia-no più diletti, ovvero de’ carnali, vedi quanto è il loro vi-tiperio. Ed a mostrare come i diletti del mondo sonovitiperosi, e quali sono le ragioni onde nasce la vergo-gna, sarebbe lungo, chè le ragioni sono belle e chiare;ma pur diciamne una o due. Io dico che tutti i diletti delmondo sono di vergogna, eziandio se tu stai a udire una

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chitarra sonare. Or vedi che ti dico! Quale è la ragione?Imperocchè ci facciamo più simili alle bestie; le bestienon hanno altri diletti. L’uomo che dee intendere a sa-pienzia, ed egli seguita i diletti delle bestie, è grande di-bassamento di sè; e quindi nasce la vergogna. Quest’al-tra ragione se ne può assegnare, in ciò che ne’ dilettil’uomo non sa pigliare modo; e però sempre ne pigliapiù che non dee, e pigliandone più, questo è vizio; eogni vizio genera vergogna. La vertù è da onorare; ondedicono i filosofi: che è onore? Onore non è altro se nonuna reverenzia che si de’ fare alle vertudi, ovvero colaeove si truovano le vertudi. Sono d’avere in reverenzia,non solamente ove si truovano, ma eziandio in loro na-tura. Non è così ne’ diletti spirituali, perocchè sono spi-rituali. Appresso che non ne puoi pigliare oltremodo,perocchè quanto più ne prendi, meglio è; e la ragione siè per lo fine. Le cose che non sono fine conviene che sia-no ordinate e prendansine quanto si conviene, secondoquantità e secondo qualità; ma del fine non è così; pe-rocchè quanto più ne puoi pigliare meglio è. Non è cosìde’ diletti del mondo; e però baldamente prendi di Dioquanto puoi, spargiti in lui quanto più puoi, chè quantopiù vi ti spargi, meglio se’ e più prezioso; perocchè la co-sa ch’è fine non è determinata, è infinita; e però quantopiù n’abbracci, meglio è. Ed eziandio della sapienzias’intende questo altresì, quanto più ne prendi maggiorediventi e più nobile. Sono altri beni, che sono detti beniutili. I diletti del mondo tutti sono disutili; perocchè uti-le è quella cosa che ti mena al fine, e tanto è più utile,quanto più e meglio t’aiuta venire al fine. I diletti delmondo impediscono l’uomo dal fine suo; perocchè ’l di-letto oscura lo ’ntendimento o annebialo molto; e non sipuò oscurare sanza peccato mortale. Or tu diresti:Quando io dormo questa è di necessitade ed è naturale;ma pure, se bene vuoli vedere, nollo oscura; perocchèquello dormire s’aiuta ed è naturale cosa; ma il troppo

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dormire ben è peccato, non è sanza colpa il troppo dor-mire; non dico che sia sempre peccato mortale; e chis’inebria conviene che sia peccato mortale. Qualunqueatto per tuo vizio oscuri questo lume dell’anima convie-ne che sia peccato mortale; chi potesse stare sanza dor-mire sarebbe meglio che dormire. E però che i diletti delmondo oscurano lo ’ntendimento e sono così nocivi, perquesta ragione tutti sono vietati. Ed eziandio sarebbevietato quello del matrimonio, se non fosse per tre beniche nascono: cioè fides, proles et sacramentum. Non dicofede di Dio, ma fede intra moglie e marito, che tengonofedeltà l’uno all’altro, che non si congiungano nullo conaltro. L’altro bene sì sono i figliuoli, le criature, gli uo-mini, che sono necessarii per la generazione. L’altro si èche quello è significato per la congiunzione della Eccle-sia con Cristo. Per molto ragioni si potrebbe provareche i diletti del mondo non solamente non sono utili, madannosi: le quali lasciamo. Il contrario è de’ diletti spiri-tuali. La terza maniera di beni sono i dilettevoli. Questodiletto si truova in questi diletti spirituali sommamente;ma i diletti mondani tutti ne sono vòti. E che sieno pienialtresì d’amaritudine e di pene, sì si potrebbe mostrareper più ragioni. L’una si è propter mixtionem. Il vinoinacquato nè vino è nè acqua, se non fosse già l’acqua,così pochissima, come una gocciola in uno bicchiere divino, che si convertirebbe tutta in vino. E però del vinoinacquato non si dee nè può fare sagrificio; e però quan-do il prete vi viene a mettere l’acqua, vuole essere po-chissima, forse una gocciola. Tutti i beni del mondo so-no mischiati co’ mali, e tutti i diletti colle pene. Vedi, semangi troppo haine il male, se poco haine la fame. Edancora nel mangiare hai pena, chè l’aspetti troppo e chenon è come vorresti; ha’vi alcun difetto o dalla tua parte,chè non se’ bene disposto, e per mille cose. E però i di-letti del mondo hanno nome falso, chè non sono diletti.Ancora però che sono più le pene che ’l diletto, troppe

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più. Mangerà il villano il pane, berrà il bicchiere del vi-no, tosto andrà via quello diletto; ben bastò più la faticae l’affanno che vi durò l’anno passato. Così è degli usu-rai e de’ mercatanti, che vanno oltremonte e starannogrande tempo là entro, e torneranno bene di 50 anni,hacci sempre affannato, e hallo a godere forse 10 anni, etalora due e uno; assai ci ha di quelli d’uno anno e didue. L’altra ragione potremo rendere, perchè tutti i benidel mondo tutti hanno il contrario allato. Allato alla sa-nità è la ’nfermità, allato alla vita è posta la morte, allatoal riso è posto il pianto, allato all’allegrezza la tristizia;ma il bene spirituale non ha contrario. Neanche la sa-pienzia, dicono i filosofi, che non ha contrario; la igno-ranzia non è suo contrario, ma è difetto di sapienzia. Al-tro è contrario ed altro è difetto. Ancora sono puri idiletti spirituali, e se v’ha alcuno mescuglio si è tanto piùil diletto e soperchia tanto, che non si pare. Deo gratias.

LVIII

Questo dì medesimo, la sera, in Santa Maria Novella.

Bonum est nobis hic esse. Sopra tutte le cose che l’uo-mo disidera e cerca in questo mondo, in tutte le cose, siè diletto e letizia; e dove questo non truova, sì lascia enon l’ama: ma quando l’uomo truova letizia e diletto,non va cercando più; e la ragione si è, perocchè ’l dilettoe la letizia è fine; e di quello ch’è fine, non si dee adi-mandare ragione. Io ti potrei bene adomandare ragioneperchè togli tu moglie; e potresti dire: per avere figliuoli.E questo perchè fai? per averne alcuno diletto, alcunaletizia. Ma se domandassi questa letizia perchè vuogli, èstolto domando, perocch’ella è fine. Non si adomandòper altro ma per sè. A mostrare come i diletti del mondosono vòti di questo bene e di questa letizia non è tempo.

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Ancora nulla cosa si può amare, se non quella nella qua-le truovi questo diletto o letizia, o affetti di trovare. E di-ce santo Gregorio una ricca parola; dice ch ’l bene delmondo, anzi ch’egli s’abbia sì si ama molto, ma poi chel’hai non l’ami così; e la ragione sì è, che prima speravi ecredevi che in quello fosse uno grande bene; ma poiquando il cerchi e pruovi non truovi quello che credevi,ma truovici molto poco bene, e talora non niente, mamolto contrario. Molto si disidera il cardinalato, pare ungrande fatto; quando è fatto cardinale amalo viemeno,non ci truova quello che credeva. Così del matrimonioaltresì, chè non trovando quello che credeva, amalo me-no. Ma i diletti spirituali è tutto ’l contrario; perocchèanzi che gli pruovi amili poco o niente, ma poi, quandogli assaggi e pruovi, truovili vie maggiori che non pensa-vi; e però gli ami poi più; sicchè non te ne sai partire; equanto più gli usi più gli ami, chè sempre gli truovi mi-gliori. Questo scrive santo Gregorio nell’omelia che fadi quello grande re, che fece quello grande convito. An-cora dice in quella medesima omelia, che quanto i benispirituali più si cercano e s’usano, tanto più gli ami e piùt’accendi a ciò; imperocchè, quanto più cerchi più e me-glio truovi, e quanto meno gli usi, meno gli ami e menote ne curi. Queste quattro cose sono quattro grandi lumie grandi veritadi. Dicemo stamane del primo bene e del-la prima nobilità de’ beni spirituali, cioè de’ diletti spiri-tuali, diciamo stasera la seconda ragione, cioè che quellidiletti hanno, che ti fanno amare la pace e dannoti caritàinverso ’l prossimo. Questo non hanno a fare i diletti delmondo, ma tutto il contrario. La prima ragione si è perla singularità dei beni terreni. Quanto la cosa è più ma-teriale, tanto si può meno participare, e quanto più èspeciale, tanto si può più raccomunare. Il mangiare ètutto materiale. Se io mangio uno boccone, quel dilettodi quello boccone non può avere altri che io, nollo puòavere se non uno. Ogni uomo non può essere ricco, nè

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molti possono essere i ricchi, ma pochi. E però ch’ellesono così singulari, vogliendole io e vogliendole tu,quinci nascono gli odii, le brighe e tutti i mali; fanno legenti come i cani all’osso. Due senni avemo i più spiri-tuali, gli orecchi e gli occhi, e però si partecipano più. Ilsuono possono udire molti, e il sole può vedere ognigente; chi ne fa battaglia del sole? perchè tu il veggi tunollo veggio io? non meno niente. Maggiormente è an-cora della sapienzia e del diletto spirituale, che si comu-nica a tutti; e però del bene che puoi avere tu ed io, nonscemando a me, io ne debbo essere lieto che tu l’abbi, eperò non ne può nascere odio. E questo è il difetto deibeni mondani, che sono così particulari. Non potrannomolti avere una femina; e però catuno volendola, nasco-no i mali. Troja fu disfatta da’ Greci per una ch’ebbenome Elena, la quale tolse Priamo re, e i Greci assediaroquella cittade sette anni. E se dicessi che molti la posso-no avere, almeno non in uno tempo. Non è così delle co-se spirituali, chè maggiormente si participano che le cor-porali. Vedi il sole, come ti dissi; perocch’è piùspirituale, più si participa. Ma la sapienzia, perocch’èpiù spirituale, ed è spirituale in tutto, sì si participa milletanti più che ’l sole. Il sole non si participa così univer-salmente, perocchè ci ha molti ciechi e impedimentitidegli occhi; altresì di notte non allumina; quegli che fu-rono non allumina; gli uomini che verranno non allumi-na altresì; ma la sapienzia sì si participa con tutti, non èsì cieco, non rimanga egli per suo difetto. La sapienziacosì t’allumina, e puoila usare la notte come il dì, e dipo’la morte rimane all’uomo. Chi avesse sapienzia del sole,questa veduta è più spirituale troppo che la corporale;chi sapesse la scienzia del suo movimento e corso avreb-bene grande diletto, molto. Eziandio dopo la morte re-sta questo diletto; salvo che non ha chi va in inferno.Ancora il diletto spirituale participandosi in altrui, nonsolamente scema in me, ma cresce in me; e per questa

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ragione vorrei che ogni uomo avesse quelli diletti; chèquanti più fossero quelli che n’avessero, più dilettoavrei, cioè che avrei diletto di tutto il diletto degli altri.Ancora, i diletti e i beni del mondo hanno l’altro difetto,che tutti si ristringono in uno punto solo. Non è così dibeni spirituali. Altresì i beni fuggono tutti di questomondo; ma quelli stanno fermi, non temi mai di perder-li; e,però tra santi di paradiso non può esser discordia otencione nulla; perocchè ’l bene loro è sì comune, cheabbiendolo io non lo scemo agli altri, nè gli altri a me,anzi ne cresce quello di catuno per lo bene c’hanno tut-ti; e però genera pace e dà amore di carità al prossimo.Rimane a dire dell’altre due condizioni de’ diletti e delleconsolazioni spirituali, cioè come spegne ogni maloamore e sazia l’appetito. L’altra si è come hae ad ine-briare e cacciare via ogni trestizia. Di questi non dicia-mo; belle cose erano, disse Frate Giordano. Ne’ duemembri che detti sono hae più prediche, ma avelle ab-breviate. E disse: Molte predicazioni mi vennono stanot-te alle mani sopra questa materia. Deo gratias.

LIX

Frate Giordano, 1305, a dì 27 di febbraio, domenica mattina,nella piazza di Santa Maria Novella.

Non est bonum sumere panem filiorum et mittere cani-bus. Il vangelio d’oggi sì fa memoria d’una savia donna,la quale Cristo esauditte per li prieghi di lei, e de’ disce-poli che pregarono per lei. Alla quale Cristo non rispon-dendo, e poi infine rispondendole, ma duramente, chia-mandola cane, ed ella incontanente lo ’ntese. Perocchè igiudei eran detti figliuoli, ma tutti gli altri, cani. Ella nonsi ruppe, siccome l’oro, che per fuoco non manca, maaffina; siccome i giusti, che quando viene la tentazione

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

non si fiacca, ma diventa forte, e conservasi e vince. Lastoria è bella secondo la lettera, lascialla. Ecco che ’l Si-gnore dice questa forte e dura sentenzia. Non è buonodi tòrre il pane che dee essere di figliuoli e darlo a’ cani.Nelle quali parole e sentenzia si dimostrano principal-mente tre cose. La prima si è il pericolo e ’l male ch’è adare ai peccatori il pane e queste cose. La seconda si è,che mostra la nobilità de’ giusti e di santi uomini, in ciòche li chiama figliuoli. La terza si è, che mostra la viltàde’ peccatori e la loro grande miseria, in ciò che li chia-ma cani. Della prima parte diremo stamane, della secon-da a nona, della terza a compieta. Dico prima che nemostra il Signore il pericolo ch’è a dare ai cani, ai pecca-tori queste cose, e ’l grande male che n’esce, in ciò chedice che non è buono di tòrre il pane ai figliuoli e darloai cani. Il pane nella Scrittura sì ha molte significazioni:talora s’intende semplicemente il pane del grano, chetuttodì mangiamo; alcun’otta s’intende per tutti i benitemporali. Onde, quando Cristo dice nel paternostro:panem nostrum quotidianum da nobis hodie, sì s’intendeper tutto ciò che ne bisogna a noi di beni temporali. Anoi bisogna vino o acqua almeno, bisognane vestimento,e casa e cotali cose. Perchè non insegna Cristo a diman-dare vino, e vestimenta, e casa e cotali cose, ma dice purpane? Dicono i santi che non bisogna di dire, perocchèquesto pane s’intende ciò che n’è mestieri e necessarioalla vita corporale. Così lo spone santo Augustino. Bens’intende ancora per questo pane i beni spirituali. E asporre questa parola secondo questo intendimento, sì sipotrebbe sporre molto nobilmente, ma lasceremo oraquesto, e diciamo pur allo ’ntendimento delle cose tem-porali, e secondo questo sporremo questa sentenzia diCristo; perocchè la santa Scrittura hae molti intendi-menti ed è tutta copiosa. Voglio dunque mostrare sta-mane come non si deono dare a’ peccatori, che sonodetti cani, le cose temporali, ed il male e ’l pericolo ch’è

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quando si dànno loro, e come queste cose sono e deonoessere di figliuoli. E questo ti mostro per quattro belleragioni, e vedrai stamane bella sapienzia. La prima si èratione ablationis; la seconda si è ratione oppositionis; laterza ragione si è corruptionis. La prima ragione per laquale si mostra il male c’ha che i cani, i peccatori abbia-no le cose del mondo, e come nolle deono avere, si è ra-tione ablationis. Io ti domando: di cui sono tutte questecose del mondo e chi l’ha fatte? Credo che mi risponde-resti che sono di Dio; e a ciò credo che si accorderebbeanco il saracino, e ’l giudeo e ’l tartaro, chè questo non sipuò negare. Chi ha fatte tutte queste cose, e i cavalli, egli uccelli, e i pesci, e gli alimenti e gli animali? tutti so-no di Dio e tutte l’ha fatte egli. Ben sai che tu non haifatto nulla tu. Tu sapresti avaccio fare uno cavallo dicarne? va, provatene. Dunque se ogni cosa ha fatto Id-dio, e tutte questo cose sono sue, come dice il salmo:Domini est terra et plenitudo eius, orbis terrarum et uni-versi qui habitant in eo; se questa ereditade è di Dio tut-ta, e la reditade non si dà se non ai figliuoli, e i figliuoliconviene che sieno ereda del padre, ed i giusti sono fi-gliuoli di Dio; dunque tutte queste cose deono esserede’ giusti. L’erede, quando è parvolo, non può usare co-sì la reditade, ma quando è grande, allora ne gode e han-ne bene. Noi, avvegnachè siamo erede, sì siamo parvoliin questa vita; ma quando saremo in vita eterna, e i santi,or quelli ne godono perfettamente di tutte le criature.Dei peccatori, de’ cani, non dee essere la reditade, e nonci de’no avere parte. E se tu dicessi: perchè gli dà Iddioloro? Egli non li dà loro, ma permette che l’abbiano; sic-com’egli permette gli altri peccati a loro pena, a loroconfusione. Ben è vero c’ai cani si dànno l’ossa, chè l’uo-mo non ha denti da potere rodere ossa. Potresti già direche fossero degni d’alcuna vil cosa, forse del loto. E iodico che no sono degni di nulla; perocchè in queste cosenon ha osso; e nulla cosa che Iddio abbia creata è osso.

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Al giusto, quantunque sia vile, di tutte conosce Iddio,ringrazia Iddio e hanne mille beni. Quando fosse unomangiare che non ci avesse osso, i cani allora hanno pic-cola parte, onde quando si mangia torta i cani stanno af-famati. In tutte queste cose, dicono i santi, non ha cosache sia osso al giusto uomo, e però non è cosa nulla sì vi-le in questo mondo, della quale e’ siano degni. Così dicesanto Augustino, provando che ’l peccatore non è degnodi nullo bene; e ciò che ne prende tutto è suo fuoco.Quanto dunque peccano, quando non solamente l’han-no, ma quando il tolgono ai giusti, ai figliuoli di cui deeessere, o per usura, o per rapina, o per inganno o perqualunque modo! E se tu dicessi c’avessi di buono in di-ritto, di questo è quello ch’io t’ho mostrato, che per nul-lo modo t’è lecito d’averli sanza tuo grande giudizio. Eperò il peccatore, ch’è in tanto pericolo, doverebbe consollecitudine tornare a Dio e diventare figliuolo collacontrizione, colla penitenzia, confessandosi. Questa è lavia, questo è il modo. La seconda si è ratione oppositio-nis. Dimmi, onde nascono tutte le liti, tutte le battaglie?Questo si è per le contrario delle cose quando s’aggiun-gono insieme; chè, dicono i filosofi, che l’uno contrarionon può sostenere l’altro, e non possono stare insiemesanza continova battaglia; onde, insino che l’acqua e ’lfuoco stanno insieme, sempre si ha battaglia continova.E questa è la seconda ragione per la quale si mostra ilmale grande ch’è che i peccatori, i cani, abbiano le cosedel mondo. Il bene non può stare ov’è il male, siccomeaddiviene degli altri contrarii. Tutto ciò che Iddio haecreato e fatto, tutto è buono. Vidit Deus cuncta quae fe-cerat, et erant valde bona. E il peccatore è rio. Questidue contrarii non possono stare insieme sanza continovabattaglia. E questa è la ragione per cui i peccatori com-battono tuttodì, e hanno battaglia per le cose che hanno,o che gli spiacciono, o che non gli paiono tante, o chenolle può usare come vuole, e per mille modi. La ragio-

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ne si è perchè le cose sono buone, ed egli è reo, non pos-sono stare insieme sanza battaglia. E però il peccatorehae battaglia con tutte le cose, eziandio col corpo suo;perocchè ’l corpo suo è buono. Eziandio ha battagliacoll’anima sua; chè gli dispiace la vita sua, l’opere sue, enon sa che si vuole, e sta in continova bussa, ed è tuttopieno di battaglia d’ogni parte. E però quanto più haedelle cose temporali, peggio è per lui, più battaglia hae,non ci ha se non uno rimedio in questo male, cioè chel’uno contrario vincesse l’altro; l’uno s’attutasse, alloral’altro rimane sanza battaglia. E così se il peccatore siconvertisse e spegnesse la mala volontà, allora rimarreb-be in pace e sarebbe pacificato con tutte le cose, sicco-me sono i giusti; ovvero che perdesse, e fossergli tuttetolte le ricchezze e tutti i beni del mondo, in questo mo-do s’attuterebbe questo male. La terza ragione si è prop-ter corruptionem. Così addiviene del peccatore comedell’idropico, che la medecina sua è l’astinenzia; avve-gnachè l’astinenzia sia medicina a tutte generalmente in-fermitadi, o sia di postema, o di febbre, o chiunque è;perocchè la ’nfertà si genera d’omori corrotti, e l’omoresi fa del cibo che mangi; e però astenendoti de’ cibi è viaa guerire e a consumare quella infermitade. L’idropico,quanto più mangia e bee, quegli omori si corromponotutti e convertonsi in mali omori flemmatici; e peròquanto più bee e mangia, più enfia e cresce il male, e piùha sete. Così è de’ peccatori. I beni del mondo tutti li siconvertono in mali omori. Bene è vero che nulla criaturapuò essere ria; ma intendi: ella non è ria, ma è buona insè, ma fa male a te. Siccome del vermine che nasceall’uomo dentro nello stomaco, che a lui fa male, ed eglise ne pasce. Così le cose del mondo non sono rie, mabuone; ma diventano omore corrotto al peccatore. Que-sto omore si è il malo amore mondano. Omore e amoresì hanno molta simiglianza insieme; e però quanti più neprendi, più cresce la infermità sua, e maggiore fame hae.

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Come l’idropico, che quanto più bee, tanto più arde conmaggiore disiderio di bere. E questo è quello che diceSalamone, che l’avaro mai non si sazia; anzi quanti piùn’ha, più s’accende la fame, e così sempre cresce il malee corrompesi l’uomo tutto. E non solamente dell’avari-zia, ma di tutti gli altri peccati, chè mai non si saziano.Onde il lussurioso mai non si sazia de’ peccati carnali; ecosì degli altri. E però quanti più ne prendi, pessimo èper lui, chè sempre peggiora e affrettasi alla morte eter-nale; e però il suo meglio sarebbe digiunare e non averele cose del mondo, o averne pochissime; chè quante piùn’ha, quella è sua morte e sua grande pena. La quarta ra-gione per la quale si mostra il male ch’è a dare ai pecca-tori, ai cani, le cose del mondo, si è ratione transitionis.La maggiore miseria che sia in questa vita si è quandol’uomo che suole essere ricco e in grande stato, quegliviene e torna a miseria. Onde uno che fosse re, ed egligli fosse tolto il reame e cacciato via, e trovassesi poveroe ribaldo, quale credete che fosse maggior miseria, oquella di costui o quella di colui che sempre si fa pove-ro? Troppo più agresta povertà è quella di colui che furicco; perocchè quegli l’ha per natura, non se ne cura;ma questi non è così. Questa è la maggiore miseria, ciòdicono i santi, che sia in questa vita, di grande stato tor-nare a basso e d’altezza in miseria. Questa è la pena e lamiseria c’avranno i peccatori nel ninferno. Se i beni delmondo e queste cose non passassono e stessono pur fer-me ai peccatori, non avrebbono grande danno; maquando passano e perdonsi, or qui si raddoppiano le pe-ne; perocchè i peccatori nel ninferno saranno di ciò for-temente tormentati. Credete che sieno nell’inferno purpene di fuoco? no; anzi saranno tormentati da tutte par-ti. La maggiore, c’hanno perduto i beni di vita eterna;appresso, che di grande stato si vedranno in tanta po-vertà e miseria. L’altra ragione di questa medesima si è,che ne saranno afflitti per la memoria. Tutti i beni del

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mondo dànno forte tormento quando passano; ma que-sto sarebbe poco se non fosse più, ma la memoria glitormenterà sempre; perocchè memoria non è altro senon avere, la cosa presente; e però sempre ricordandosie avendo dinanzi alla memoria il bene ch’ebbono, ed orasi truovano così caluchi, questa memoria gli affliggeràsommamente, come se continovamente passassero. Inquesta quarta ragione sì ha molte ragioni, delle qualiavem dette due. Bastinsi ora per tutte le dette ragioni.Sono fiamma al peccatore avere le cose del mondo. Eperò con quanta cura doveremo farci figliuoli, chè ’l po-tem fare così agevolemente, e tutto ’l tempo della vitanostra ci è dato però? Se ’l cane potesse diventare fi-gliuolo del Signore, oh come volentieri il farebbe, purservo! Deo Gratias.

LX

Questo dì medesimo, a nona, in Santa Maria Novella.

Non est bonum sumere panem filiorum et mittere cani-bus. Le cose temporali tutte e corporali sono, come det-to è, chiamate nella Scrittura pane. Chè, siccome il paneè nutrimento della vita dell’uomo, così sono notrica-mento dell’anima; non che nulla criatura abbia in sè dipotere dare vita, come il pane non dà vita all’uomo; pe-rocchè ogni cosa morta e che non ha vita in sè non puòdare vita altrui. Dunque il pane non dà vita all’uomo,ma è uno disponimento e aiutamento all’operazione del-la vita del calore naturale. Chè tutto il pane del mondonon potrebbe dare vita al corpo, se l’anima non fosse.Siccome è dell’olio: in lui non è vertù di dare luce nèd’alluminare, ma nel fuoco; ma l’olio è uno disponimen-to e aiutamento acciò che ’l fuoco stea acceso. Così è delpane, e così è di tutte le cose di questo mondo, di tutte

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le creature. Non hanno in loro vertù nulla di dare vitaall’anima in nullo modo, se none al modo che fa l’olio alfuoco. La vita dell’anima, dicono i santi, si è Iddio. Maqueste creature sono uno disponimento e uno aiutamen-to all’anima, a conservalla e accrescella nella vita spiri-tuale. E perocchè stamane vedemmo buone ragioni, sic-come queste cose non sono de’ cani ma de’ figliuoli, e sel’hanno si è a loro pena e a loro dannazione eternale; ve-dremo ora in questa medesima materia come queste co-se sono de’ giusti perfettamente, perocchè sono figliuolie eredi. Nella reditade si comprende tutto ciò che altrihae. E perocchè tutte queste cose sono di Dio, e il cieloe la terra, però tutte queste cose sono fatte per li giusti enon per li cani, e loro sono. E avvegnachè questo si pos-sa vedere per quello che dicemmo stamane, perocchèl’uno contrario mostra l’altro. E non si può dire d’alcu-na cosa, che non si mostri il contrario dell’altra; siccomese io ti dicessi che ’l freddo e ’l gelo mi facesse bene, sìintendo a mano a mano che ’l caldo mi faccia male. Nonè però di meno a mostrare per sè come le cose di questomondo sono de’ giusti primamente e non de’ cani. Sì ’lmostreremo per altre quattro ragioni, per altro ordine.La prima si è propter usum vel possessionem; la secondasi è ratione obeditionis; la terza si è ratione nutritionis; laquarta si è ratione executionis. La prima ragione dicoch’è propter usum vel possessionem. Quegli è detto si-gnore della cosa, che l’usa e possiede a sua utilitade eprode. Se l’uomo, possedesse la cosa a suo danno e usas-sela a suo male, questa non sarebbe detta signoria, sì sa-rebbe strana. Dimmi, puoi tu dire che quegli che si va a’mpiccare sia signore delle forche, perch’egli l’usi a esse-re impiccato? mala signoria è questa. Se l’uomo man-giasse veleno che l’uccide, puossi egli dire ch’egli ne siasignore? no. Se l’uomo ch’è tenuto dalla febbre e dalmale, puossi dire che sia signore della febbre o del male,o posseggala? Ben sai che no; anzi n’è l’uomo servo tut-

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todì, dica: l’uomo egli ha la febre. A questo modo i canie i peccatori hanno le cose del mondo, chè le posseggo-no e tengono, come lo ’mpiccato le forche, come queglic’ha preso il veleno, come quegli c’ha il male e la febbre;perocchè mal le tengono a loro uopo, a danno, e a penae a tormento loro; ma il giusto le possiede siccome sue, asua utilitade, e a suo prode e bene. La seconda ragione siè ratione obeditionis. Il signore de’ avere servi, altrimen-ti che signore è? Il servo de’ guardare il signore, ma nonil signore il servo. Chi guarda il re, la podestà? i servi. Aquesto modo tutti i peccatori sono servi delle criature enon signori; perocchè le posseggono non come signori,ma come servi. Come dice santo Ieronimo sopra la paro-la che dice Cristo: Non potestis Domino servire et Mamo-nae. Dice che l’avaro le guarda, e hanne paura, e temelee ènne servo; ma il giusto uomo n’è signore, chè le spar-ge e dà dove si conviene, e usale tutte a suo dominio. Alpeccatore non ubidisce nulla criatura, e ’l suo volere èconfuso e mattato in tutte le cose. Se ’l volere del pecca-tore si compiesse, sempre gli crescerebbono danari, pa-lagi, campi e possessioni, e non verrebbe mai a fine; manon va così; e se alcun’otta ne guadagna, questo viene daaltra ragione, della quale non disputiamo ora. Ma di ve-rità nulla criatura ubidisce al peccatore, ma tutti gli sonoincontro, e di tutte è servo egli; ma il giusto n’è signoredirittamente. E quale è la ragione? Perocchè il volere delgiusto non è se non una cosa col volere di Dio. Il voleredi Dio è fatto perfettamente in tutte le criature, e ’l vole-re del giusto è una cosa col volere di Dio. Dunque il giu-sto è signore con Dio insieme, ed è il suo volere compiu-to in tutte le criature. Questa è bella ragione e viva. Laterza sì è ratione nutritionis. E per questa ragione nonsono de’ cani queste cose, ma di figliuoli di Dio; peroc-chè i giusti ne sono notricati e i peccatori avvelenati. So-no cose che sono buone a uno e veleno a un altro. Que-sto non viene da malizia delle cose, chè nulla cosa è ria,

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ma per la mala natura e disposizione. Onde dicesi dicerte erbe marine, che sono veleno all’uomo, e certi uc-celli se ne notricano. Il dente cavallino è veleno all’uo-mo, e la pernice, cioè la starna, se ne nutrica quando netruova. Come dello sputo dell’uomo ch’è veleno del ser-pente, ed all’uomo non fa male. Così i beni del mondosono buoni e ottimi in sè, ma ai peccatori sono veleno emorte; non per difetto delle cose, ma per la mala dispo-sizione ch’è in lui; e però gli è danno al peccatore adavere le cose del mondo; ma ai giusti è notricamento,chè sono bene disposti. Onde le ricchezze ch’ebbono isanti anticamente ne fuoro di migliori assai. La quartaed ultima ragione si è ratione executionis. Dicono i santiche i beni e le criature di questo mondo sono ombra dibeni dell’altro, o volemo dire, ovvero giunta. Sono cosele quali non si possono comprendere se non nel loroprincipio. Anzi nulla cosa si può comprendere, se nonnel principio suo, così dicono i santi e i filosofi; e avendoil principio hanno tutto. Onde chi comprendesse il solecomprenderebbe tutti i suoi razuoli. Così dicono i santi,che i beni di questo mondo sono razuoli di beni dell’al-tro; onde chi ha quelli beni conviene c’abbia questi, echi vuole avere questi è mestieri che prima abbia quegli.Prima si dà la derrata, poi la giunta; non si dà prima lagiunta che la derrata. Ecco che dice Cristo: Primumquaerite regnum Dei, et haec omnia adiicentur vobis; tut-te le cose di questo mondo vi fieno arrote. Dunque i giu-sti, c’hanno già Iddio e quel regno per fede, per isperan-za, e per distinazione ed elezione eternalmente, èmestieri altresì quando hanno il principio c’abbiano tut-te l’altre cose. De’ peccatori è tutto il contrario; chèquelli beni e’ non hanno nè non possono avere, di quellinon possono avere neente. E però questi altresì non glihanno; avvegnachè paia che gli abbiano, ma non è così,e in quel modo che gli hanno è a loro grande tormento.Doverebbersene spogliare e darle ai giusti, di cui deono

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essere; chè tutto sarà loro fiamma, quanti più n’avrannoauti. Onde il detto de’ peccatori, che dice: quando iodebbo avere male nell’altro, lasciamene pigliare qui ilpiù che posso: mal detto è questo; perocchè il loro peg-gio è, e studiansi d’avere più tormenti. Onde il demonio,che non sentì mai bene da questa parte, hae egli meglioche ’l peccatore dannato che perse de’ beni del mondo;perocchè da questa parte ha meno tormento di lui; e ’lpeccatore è più tormentato. E per queste tante ragionidovremmo muoverci a penitenzia e confessarci, e ritor-nare da cani a essere figliuoli, che ’l possiamo fare cosìleggiermente. I cani non possono diventare figliuoli delSignore, nè pur servi; ma noi sì. Che ci tiene dunque nelpeccato? che di tanta miseria potem venire a tanta felici-tade, e quello che prima non era nostro ed ècci veleno, sìdiventa nostro e facciamcene degni? Queste sono parolebeate; beati a cui sono date udire! Deo gratias.

LXI

Frate Giordano, lunedì mattina, a dì 28 di febbraio, a SantaMaria Novella, in platea .

In peccato vestro moriemini. Predire l’uomo altrui ilpericolo e ’l male che per le sue opere gli puote intrave-nire, molte volte sarebbe buono. Onde, chi avesse men-te divina e spirito di profezia, che vedesse il pericolo e ’lmale che dee intravenire ad alcuno, ed egli gliele dicessee predestinasse dinanzi, spesse volte sarebbe il meglio dicolui; chè molti mali che fa non farebbe, e di quellic’avesse fatti sì si brigherebbe d’amendarli e di sodisfa-re. Chi predestinasse al ladro che dee essere impiccato edicessegli: tu sarai impiccato e veggiolo; e’ si ristrigne-rebbe dai mali tanti, acciocchè non incorresse in quellopericolo. E così il nostro Signore Gesù Cristo, veggendo

Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

il male grande e ’l pericolo de’ giuderi, il quale dovea lo-ro sopravenire per lo loro peccato, intra l’altre paroledisse loro questa: Morrete nel peccato vostro. Durissimasentenzia fu questa. Or tu diresti: non diè loro materiadi convertirsi, ma di disperarsi. No; perocchè quella pa-rola non curaro, e credettersi pur ch’egli la dicesse perun cotal modo di minaccie. Questa sentenzia e questapredestinazione è la più forte e la più crudele che sia oche possa essere in tutta la criatura di Dio; chè, avvegna-chè questa parola Cristo la dicesse ai giuderi per certipeccati, tuttavia non però di meno s’intende in tutti noidi quelli che muoiono in peccato mortale. E se volemovedere dell’austeritade di questa sentenzia, sì ’l potremovedere per due vie; per le quali potremo vedere il som-mo male e la pessima sventura di quelli che muoiono inpeccato mortale. L’una via si è propter casus intransibili-tatem, l’altra si è propter mali immensitatem. Della pri-ma diremo stamane, dell’altra stasera. La prima cosa du-rissima e austera di questa crudele sentenzia si è proptercasus intransibilitatem. Perocchè chi muore in peccatomortale non si può mai mutare, e non si ha mai nullo ri-medio. E che ciò sia sì ’l ti mostro per quattro belle ra-gioni. L’una si è propter statum immutabilitatis; l’altra siè propter tempus retributionis; la terza si è propter . . . . .(sic); la quarta si è propter defectum reparationis. La pri-ma ragione si è propter statum immutabilitatis; e questoè il primo sommo male, chè chi muore in peccato morta-le mai non si può mutare nè partire da lui, infinitamentepermane in quello stato. E che ciò sia questa prima ra-gione sì ti provo per quattro belle ragioni. La prima si èpropter ordinem motionis, propter similitudinem fixionis,propter magnitudinem operationis, et propter finem in-tentionis. Prima dico propter ordinem motionis . Quan-do l’albero è tagliato sempre sta ove cade, mai da sè nonsi muove, non se ne leva mai, se d’altri non ne fosse leva-to; ma prima, anzi che sia tagliato, ben si muta in altez-

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za, crescendo in alto, cioè in grossezza, chè di sottile di-venta grosso, in distendersi a modo che fa la vite. é certaerba la quale si muta e muove per sè d’un luogo in unoaltro. Questo fanno gli arbori e le piante; insino c’hannola vita loro, ma da poi che sono tagliati mai più non simutano. Così è del peccatore, il quale è morto nel pec-cato mortale, che in quello stato ove cade, cioè muore,in quello stato si rimane sempre, perocchè non ha piùtempo. Gli angeli, perocchè non ebbono tempo, con-venne eleggere in uno punto, e in ciò ch’elessono fuoroconfermati. Ma noi semo sotto ’l tempo; insino a tantoche noi siamo in questa vita ci potemo mutare di rii inbuoni; ma poi che saremo tagliati, cioè dopo la morte,allora non è più tempo, non v’è mutamento. Or tu dire-sti: or quelli di purgatorio? Il purgatorio è per quelli chemuoiono in istato di grazia, i quali non potero compierela penitenzia, qui compionla in purgatorio; ma uscitiquindi saranno immutabili. E quegli che muoiono inpeccato mortale mai non si mutano. Il purgatorio non èdetto primamente mutare, ma ricompiere la mancanza.Propter magnitudinem operationis. Ogni opera che inquesta vita si fa, che sia opera d’uomo, o sia buona o siaria, piccola o grande, tutte hanno merito infinito. Ondeil giusto uomo pur per uno picchiare di petto, una breveorazione, un piccolo bene di parole o di pensiero, è dimerito infinito. La ragione si è per la grazia di Dio ch’èaggiunta a quelle opere, la quale è infinita, e però il me-rito è infinito. Così l’operazioni de’ peccatori, imperoc-chè hanno difetto di questa grazia, imperò hanno difettoinfinito, o volem dire meglio, cioè perocchè offesero aDio infinito hanno meritata la pena infinita. In due mo-di è Iddio infinito: l’uno si è quanto in sè, l’altro si èquanto al tempo. Però ogni buona opera del giusto valepiù che tutto questo mondo, perocchè infinitamenten’avrà gaudio grande; e perocchè sono di merito infini-to, è mestieri che quello stato non si possa mutare, chen-

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tunque è, o di peccato o di salvazione. La quarta si èpropter finem intentionis. La intenzione del giusto si è diservire a Dio primamente, e di servirgli eternalmente, emai non fare contra lui. Chi l’hae a tempo, cioè che dice:io voglio fare ora un poco di bene, poi mi ritornerò allostato mio; questi è ingannato, chè non è servo di Dio,chè ’l servo di Dio hae volontà di servirlo sempre, sesempre potesse. Così del peccatore c’ha volontà e inten-zione eternale nel male, che vorrebbe a Dio offenderesempiternalmente. Or se tu dicessi: io veggo di quelliche non hanno volontà di farlo sempre, anzi hanno spe-ranza di confessarsene e di tornare a Dio. Sì ti pruovoche ’l suo volere è infinito nel male. De’ maggiori pecca-tori disperati non è quistione, ma di meno rei ancora il tipruovo; perocchè quegli che dice: io mi confesserò delmicidio, ma vogliol fare prima, ingannato è; perocchèogni volta che sen racorda, sì n’è lieto che l’ha fatto, enollo vorrebbe avere a fare; e s’egli l’avesse a fare ancorail rifarebbe. Dunque vedi la eternale intenzione. L’operanon si può fare se non una volta. Non guata Iddio tantoall’opera, quanto alla ’ntenzione e alla volontà; e peroc-chè ’l giusto ebbe volontà di servire a Dio eternalmente,però eternalmente sarà confermato. Il peccatore saràposto in miseria eternale. Onde i lussuriosi, sempre ri-marrà loro quella rabbia; i micidiali altresì la loro, chè seIddio gli lasciasse fare, ancora rifarebbono il micidiocontinovamente; onde non si muterà mai la loro malavolontà. La, seconda principale ragione si è propter tem-pus retributionis. I filosofi dànno nel movimento tre bel-le regole. La prima si è che ’l movimento non è fine, mail fine è il riposo. Onde quando l’uomo va non va perandare, che se domandato perchè vada, e’ dicesse perandare, matto sarebbe; chè quello non è il fine, ma è ilriposo. Onde l’uomo va, o per sollazzo, o per essere piùsano, ovvero perchè va caendo il cibo, e cotali cose.Dunque il fine non è il movimento, ma è il riposo. Il cie-

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lo si muove; quale è il fine di questo movimento? il ripo-so. E quale è quello? quello che sarà dopo dì giudicio.Questo muovere non si fa per altro, se non acciocchènascano le criature, e pervengasi a quello riposo; chè se’l movimento fosse fine, dunque non finirebbe mai. Di-cono i filosofi che ’l movimento non può essere fine, mail riposo è fine del movimento. E però dopo questa vita igiusti saranno confermati nel bene eternalmente, e i pec-catori in male eternale; e mai non si muteranno i giustidal bene e i peccatori dal male. L’altra regola che i saviidiedero del movimento, sì dicono che nullo movimentoè o essere può da sè; perocchè nulla criatura si può muo-vere da sè. Onde la terra è mossa da vapori; or mi di’: ivapori chi mena? alcuna vertù celestiale. Chi muta il ma-re? il vento. E ’l vento chi muta? alcuna vertù di stella edi cielo. Or mi di’: il cielo si muove altresì; chi ’l muove?é mistieri che il muova angelo. L’angelo chi muove? ilvolere suo; c’hae scienzia di molte cose; or vuole questo,or quest’altro: questa volontà chi muove? Iddio solo. Id-dio chi muove? nulla; chè, se fosse mosso, da cui fossemosso, fosse anche mosso egli da altro più su, così nonaverebbe mai fine. E però Iddio immobile tutte le cosemuove. E questa è la terza regola la quale dànno i filoso-fi nel movimento; che dicono ch’è mistieri che ogni mo-vimento sia da cosa immobile, che non si muti. Chimuove il corpo della bestia? l’anima sua. E quell’animachi muove? il disiderio del cibo, chè vi corre. E quellodisiderio chi muove? Iddio. Chi muove il giusto uomo afare operazione? Iddio. A volere il bene? pur Iddio. Eperò ciò che ’l giusto fa non ne de’ avere vanagloria nul-la, chè tutto viene da Dio, e tutto ’l fa egli. Or tu direstidel reo, ch’esce di stato di grazia e torna a stato di colpa.Questa quistione è sottilissima, disse il lettore, non m’in-tenderesti, lascialla; ma questo è di verità che da Dio vie-ne quello movimento. Questa è verità pura; perocchènulla criatura, nè anima, nè corpo mai muovere non si

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può, se da Dio immobile non è mossa. Imperò sono lecose mobili, perchè hanno parti; ma Iddio, imperocchènon ha parte nulla, ma è semplice, però non può esserein alcuno modo mobile. E per questa ragione videro i fi-losofi, che Iddio era pur uno da cui vengono tutte que-ste cose e tutti questi movimenti; chè dice santo Paoloche ai filosofi fa revelato Iddio e conobbero che Iddioera, e che era uno, e che era semplice, e che era immobi-le, e che tutte le cose veniano da lui, e che egli immobiletutte le cose muove. Di questa luce sì nasce quest’altraveritade, cioè che se i peccatori nel ninferno, morti nelpeccato mortale e nella mala volontà, non possendo nul-la creatura avere movimento se non da Dio, e Iddioabandonatigli e tolto da loro la grazia sua, chi dunque limoverà? e però in eterno non si moveranno. Questa è lapiù nobile ragione, la più viva, la più manifesta che sia.Ed è verità somma a mostrare che i peccatori mai non simuteranno dal malo stato, nel quale moriro; perocchè seda Dio viene ogni movimento e Iddio abandonatigli, chigli moverà? E però sempiternalmente staranno; e cosìanche i giusti. La quarta ed ultima ragione si è propterdefectum reparationis. L’uomo ch’è infermo, insino ch’èvivo, sempre vagliono e sono utili i medici e le medicine,e non è da disperare; ma quando è morto, non gli vaglio-no più nulla nè medicine nè medico. Insino che la casaruina e accennasi di ruinare, allora vagliono gli aiuti e gliargomenti che la possono riparare, allora sono utili ebuoni, ma quando è caduta non ci vale poi nullo argo-mento; bene potresti tu rifare un’altra, ma non mai quel-la medesima. Così insino che l’uomo è in sulla fossa, insul traripare, allora sono buoni gli aiuti e gli argomenti,ma poi quando è caduto gli aiuti sono tutti venuti menoa un tratto. Così è dell’uomo: insino ch’è in questa vita sipuò medicare, aiutare, e liberare e ritornare; ma poi ch’ècaduto in quella morte, in quella ruina, in quelloprofondo, tutti gli aiuti, tutti i rimedii gli sono venuti

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meno a un tratto; perocchè quello non è tempo di medi-care o d’argomentare più. Per tutte queste ragioni ave-mo veduto ’l pericolo e ’l giudicio pessimo di quelli mi-seri che muoiono in peccato mortale; imperocchè mainon si può mutare quello caso. Per la qual cosa dovremofortemente temere e sempre questa paura avere dinanzidagli occhi, di non morire in peccato mortale; peroc-ch’ella è la più crudele sentenzia che sia o che esserepossa in tutta la creatura; e però doveremo stare sempreapparecchiati; sicchè dovunque la morte ci truova, e inqualunque tempo noi fossimo sicuri. Chè l’avemo cosìpresso la morte, che l’avemo a bocca e non ce ne curia-mo; per quanti modi e casi potremo tuttodì morire, nonsi potrebbe dire. Può venire un uccello, e muovere unalastra e caderti in capo, e se’ morto; e in mille milia mo-di, e di notte altresì. E però il rimedio è questo, cioè chela sera, quando ti corichi o quando t’adormenti, o la ma-ne quando ti levi, sempre renderti in colpa a Dio e do-lerti del peccato, e se’ poi sicuro. Bene è vero che tu deiavere intenzione di confessarti qualunqu’otta potrai. Ve-dete dura sentenzia che disse Cristo a’ giuderi, quandodisse: in peccato vestro moriemini! Dice la Scrittura delgiusto: et si praeoccupatus fuerit morte, non ei nocebit;l’occupamento della morte non gli farà danno. Deo gra-tias.

LXII

Questo dì medesimo, la sera, in Santa Maria Novella.

In peccato vestro moriemini. Mostrammo stamanel’una via delle due che proponemo, del giudicio e dellagrande sentenzia del misero che muore in peccato mor-tale. Ciò fue come in perpetuum mai mutare non si può,nè averci rimedio nè riparamento nullo. Rimase a dire

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della seconda via, il grande male e ’l pessimo, nel qualecade quel misero peccatore che in peccato mortale muo-re. Ed a mostrare questo sommo male che gli segue, sì ’lvedremo per quattro ragioni: propter gaudium admissio-nis, propter supplicium inchoationis, propter adiutoriumirreparationis, et propter suffragium desperationis. La pri-ma si è propter gaudium admissionis; imperocchè allora,incontanente ch’è morto nel peccato mortale, hae per-duto tutti i beni di cielo e di terra, tutto il rifrigerio eogni allegrezza, chè mai da indi innanzi non sentirà benenullo. Dice santo Ioanni: Guai a te città di Babillonia,destituita di gaudio, disposta e desolata d’ogni bene! Laseconda si è propter supplicium inchoationis; chè alloraincontanente si cominciano i tormenti suoi, i quali mainon deono avere fine. Grande male è avere perduti tuttii beni a uno tratto, ma questa è la somma pena ad avereanche tutti i mali. Tanto è ’l male più pessimo quantopiù è puro; onde il male, ove non ha nullo mischiamentodi bene, quello è male sommo. In questo mondo i pecca-tori hanno pur male; questo è vero, ma non è perfetto,perocchè è mischiato con molti beni: ben si potrebbeprovare per molte ragioni. E però non è degno ch’eglistea qui, ma vada ove il male non ha nullo mitigamento.Il fuoco, che non ha nullo contrario, è fortissimo. Così èil male de’ peccatori privati d’ogni bene, messi in ognimale; e però e’ chiamano la morte continovamente enon la possono trovare. Certi matti dissero che non vor-rebbero non essere, per non essere nelle pene; ingannatisono: e ingannolli una sottile ragione, cioè ciò che l’uo-mo vuole e disidera è bene ed è alcuna cosa. Dunquenon possono eglino volere non essere; chè non esserenon è nulla, e non si può dire buona cosa o ria. Egli èben vero che ciò ch’egli amano è buono ed è alcuna co-sa, ma e’ non vorrebbono non essere, ma vorrebbononon essere nelle pene. E vedendo che della pene nonpossono essere fuori, essendo eglino, vorrebbono volen-

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tieri, e questo disiderano continovamente, di tornare innulla a non essere, per campare quelli tormenti; e se sipotessono uccidere, volentieri il farebbono mille volte ildì se bisognasse, ma non possono. Or non vedi di quegliche s’impicca, perchè ’l fa egli? Chè sara talora uno pa-gano, che non ha fede, e credesi morta l’anima, morto ilcorpo. Dunque come s’uccide? Elegge di non essere perfuggire quel male, quella trestizia. Disse Cristo di Giu-da: Bonum erat ei si natus non esset homo ille. Per molteragioni in grande copia, disse il lettore, vi mostrerei, eper la Scrittura, come i dannati disiderano di tornare innulla, so essere potesse. Dell’altre due ragioni, cioè co-me i detti mali sono irreparabili e sanza rimedio, e dellaterza, come sono disperati d’ogni aiuto, d’ogni bene, ecome questo accresce il tormento, perchè troppo sarà,lasciamo. Deo gratias.

LXIII

Frate Giordano, 1305, in calendi marzo, martedì mattina, inSanta Maria Novella.

Quaecumque dicunt vobis servate et facite, secundumopera vero eorum nolite facere. In questo Vangelo il no-stro Signor Gesù Cristo ne riprende massimamente dicinque vizii. Riprendene prima il vizio del malo discepo-lo, appresso il vizio del malo maestro, appresso il viziodella vanagloria e quello della superbia, ed infine il viziodella presunzione, dell’audacia. Il vizio del malo disce-polo si è quando prende il malo esemplo del maestro, ela buona dottrina lascia stare. Ecco che ’l Signore dice:fate secondo la dottrina loro, ma le loro opere, non vo-gliate fare. Riprendene altresì il vizio del malo maestro.E’ sono due maestri: uno di verità e uno di falsità; quellodella falsità sì sono gli eretici e gli infedeli, i quali in nul-

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lo modo deono essese uditi: questi non chiamo io mae-stri, ma i mali maestri sono quelli i quali dicono e nonfanno. Ecco che ’l Signore dice di loro: Impongono igravi comandamenti e pesi agli omeri de’ piccioli, macol loro dito minore non gli vogliono levare; cioè a direnon vogliono fare pur de’ minori eglino. Riprende anco-ra il vizio della vanagloria, quando dice di quelli scribi efarisei, le vanità di loro, che, portavano le grandi filateriee le grandi fimbrie. Le filaterie sì erano una carta ov’era-no scritti i comandamenti della legge, e portavanla in-torno al braccio apertamente, acciocchè mostrassero al-le genti: vedete come siamo zelatori della legge, chesempre la porto dinanzi agli occhi. Portavano altresì legrandi fimbrie, cioè gli orli alle toniche loro a modo disossiture. Usavano questo i giuderi ai vestimenti loro;chè, siccome erano divisati da tutta l’altra gente delmondo nella carne per lo segno della circoncisione, cosìaltresì gl’insegnoe nelle vestimenta; ondè le portavanoorlate. E la tonica di Cristo fu così orlata altresì; ma que-sti scribi e farisei le portavano maggiori degli altri uomi-ni, acciocchè mostrassono che tutti gli altri uomini pas-savano nella legge. E portavano stecchi, ovvero cardi, inqueste fimbrie, e faceansi pugnere i piedi, acciocchè al-tri vedesse che diceano che ciò che faceano, perchè sem-pre ricordasse loro la legge. Grande vanitade era questa;tutte queste cose faceano per vanagloria. Appresso gli ri-prende del vizio della superbia, in ciò che voleano esserene’ primi luoghi, ne’ primi riposi, nelle cene, volean se-dere pur nelle cattedre. Appresso riprende il viziodell’audacia, cioè della presunzione, ch’è a dire, secon-do volgare, ardimento folle. Quale è questo malo ardi-mento? Quando tu ti fai sponitore e ammaestratore al-trui, tu che non ti si conviene. Grande pericolo è adavere l’uomo ammaestrare altrui; ma sommo si è ad am-maestrare nella Scrittura santa, nelle pistole, ne’ vangeli;perocchè in ciò s’appartiene la salute e la perdizione.

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Sono molti matti calzolaiuoli, pelliciaiuoli, e vorransi fa-re sponitori della Scrittura santa; grande ardimento è;troppo è grande offendimento in loro. E se questo è ne-gli uomeni, si è nelle femmine maggiormente; perocchèle femmine sono troppo più di lungi che l’uomo dallescritture e dalla lettera, e truovansi di quelle che si fannosponitori della pistola e del Vangelio. Grande è la follialoro, troppo è la loro scipidezza, fanno contro il coman-damento di santo Paolo, che dice: stea la femina nellachiesa, non sia ardita di favellare o di interpretare paroladi santa Scrittura. Sicchè alle femine è tolto in tutto eper tutto, salvo che l’udire; onde vuole che odano, matacciano. Ora camminare tutto ’l Vangelio sarebbe lun-ga cosa. Diciamo pur del primo vizio del malo discepo-lo, che si attiene pur al malo esempro, e lascia la buonadottrina del maestro. Questi maestri sono i perlati, i pa-stori, che sono detti padri. Due grandi mali fanno questimali discepoli, e questi sono i due loro mali vizii, de’quali dice l’uno Cristo qui. L’uno si è che se veggiono al-cuno esemplo non buono, a quello s’attengono e la dot-trina lasciano. L’altro che giudicano male di loro ovenon si conviene. Vedrai a questi vescovi i grossi roncio-ni, i molti donzelli vestiti e i poveri non procurati, e chedirà: a che mi aterrò? pur a quello che fa egli. L’altra si èdel malo iudicio; ch’egli giudicheranno ove molte voltenon fia peccato mortale nè talora veniale, anzi sarà talo-ra vertude. I perlati della Ecclesia possono avere licita-mente ricchezze e usarle, e se l’usa bene sì gli è vertude.Onde i santi Padri ne fuoro di meglio per le ricchezzech’ebbono. Non t’è licito giudicare se non cosa sia aper-ta, che si possa quasi palpare. Come s’io veggio fare ilmicidio, l’adulterio o cotali cose, allora ben gli possogiudicare, cioè che peccaro, chè quella opera non è buo-na. Ma d’ogn’altra cosa la quale si può fare sanza pecca-to, e l’uomo la giudica, sì pecca grievemente. Anzi giudi-cano eziandio coloro, i quali queste cose del mondo non

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hanno; i religiosi, se vedranno alcuna cosellina di fuorinon tutta così onesta e composta come si converrebbe,sì reputa che sia grande fallo e degno di male, colae ovemolte volte non avrà se non peccato veniale. Or come,possono essere peccatori che si confessano ogni dì? Orsi trovassero degli altri uomini che di cento l’uno fossesanza peccato mortale, e perchè alcuno n’avesse nella re-ligione, dee pensare che quando e’ v’ha correzione e di-sciplina, che delle due cose fia l’una, o egli s’amenderà,essendone gastigato e disciplinato, e se non s’amenderàsaranne cacciato. De’ pensare che la religione è come ’lmare, che non può tenere grande tempo la puzza, chenon la getti via fuori immantanente. Or mi di’: se l’usu-riere, ovvero l’avaro, avesse oro, perchè quello oro te-nesse alcuna ruggine e non fosse così chiaro, or gittereb-belo però? mal farebbe, non si dee però gittare. Perchèl’uomo avesse una pietra preziosa, uno diamante, ed eglinon fosse così trachiaro e avesseci alcuna macola, or git-terestilo però? matto saresti. Così sono di quelli, i qualigiudicano, dispregiano e hanno a schifo i buoni, perchèalcun’otta gli veggiono fallare. Non può essere che l’uo-mo non falli per alcuno tempo. E chi è quelli, che mainon pecchi? non può essere, e dunque gitterail però via?or’a che ti appiccherai poi? E però è grande la loro mat-tia. Bene è vero che quando il vescovo, o ’l prelato o ’lcappellano dà malo esemplo di sè di mala vita, che famolto danno e guasta tutta la dottrina sua. Onde il pre-dicatore, la cui vita non s’accorda colle parole, la suadottrina è auta per neente. Onde dice l’uomo: se fossevero quello che dicono, egli li farebbono, dunque atte-niamci pure a quello che fanno. Il filosofo dice che gua-stano la sapienzia loro. Ma per tutte queste cose, e se ve-dessimo tutti i mali esempli del mondo, in quelli in cuidovessero essere migliori, non vuole Cristo che ci mutia-mo dalla buona via e dall’ammaestramento santo; ma fa-re siccome l’api, che si pongono ai fiori gentili e fanno il

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mele; ma non come quelli bacherozzoli fastidiosi, che sipongono pure alle sozzure. E però dice Cristo: fate ciòche dicono, ma non fate secondo l’opere loro. E che noinon ci dovemo mutare per nullo esemplo rio, quantun-que sia pessimo, ma sempre divenire più perfetti, sì ’l timostrerò per quattro belle ragioni. La prima si è propterfidei firmitatem, la seconda si è propter scripturae verita-tem, la terza si è propter exemplorum multiplicitatem, laquarta si è propter sapientiae veritatem. La prima ragio-ne per la quale nullo esemplo rio ti dee muovere dallabuona via, nè quanti ne vedessi continovamente in mol-titudine, si è propter fidei firmitatem. La fede, dicono isanti, è la più forte cosa e la più ferma che sia in tuttoquesto mondo, più ferma che monte. Il monte non so-stiene nulla, pur sè, o talora uno castello; ma la fede so-stiene tutto ’l mondo. Vedi s’è forte! Onde la fede de’essere il fondamento e ’l principio di tutti i cristiani e diciascheduno cristiano. Ed è di maggiore certezza la fede,secondo che dicono i santi, che non è la scienzia. E odiquanta è la vertù della fede; chè dice santo Paolo: Se ve-nisse angelo di cielo a dirvi altro che quello ch’io vi dico,non gli crediate; ch’egli è mendace, e io insino a qui loscomunico; e se vi dicessi altro contro quello ch’io v’ab-bia detto, non mi credete, tanta è la luce della fede. Lafede una parte è di cose fatte, cioè credere uno Iddio, ela Trinità e l’altre cose. Altre sono eziandio pur dell’ope-re tue medesime. Onde tu dei credere che ’l micidio èpeccato mortale, tu dei credere che l’usura è peccatomortale e mena al ninferno; ed eziandio il peccato sem-plice della fornicazione, cioè uomo che non abbia mo-glie, e femina sanza marito diliberasi, è peccato mortale,che pare così leggieri cosa. Questo dice la fede. E de lialtri peccati altresì, tutto è di fede; e chi ciò non credes-se sì è eretico; e se fallasse pur in uno, che non credesse,sì è eretico, e sarebbe dannato pur per quello, Dunqueperchè ti muovi per nullo malo esemplo? non hai tu la

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fede santa data da Cristo? Verità somma, che ciò che neimpromette sarà di certo, e ciò che parlò fu verità pura;e però passerebbe prima il cielo e la terra, che pur unaparola che Cristo disse non s’adempiesse. Dunque diche dubiti? La fede ti dee sostenere come montagna. Setutti i rii esempli del mondo vedessi a un tratto, e non cifosse rimaso uomo nullo buono, ancora non ti dei muo-vere tu per tutte queste cose. Or non si legge di santaCaterina, ch’era ella sola buona in tutto il paese? Gran-de maraviglia è questa, una donzella stare ella buona eferma intra tanti caduti, che non ve ne avea uno buono!E quando lo imperadore le disse: dunque sarestù solasalva, che nullo tiene codesta via? vuoli tu essere salva tusola da tutti gli altri? Quella disse che sì. Or ti pensa al-tresì, se tu andassi tra Saracini, in una terra che nonv’avesse nullo cristiano, e vedessi tutti quelli mali esem-pli, e non ve ne vedessi uno buono, nè che tenessero lavia tua, or già non ti partiresti però dalla fede, anzi per-severeresti. Dunque perchè ti scandalezzi, e perchè timuovi per nullo esemplo rio che veggi intra cristiani, inchiunque? Grande mattia è. Questa è la prima ragioneed è bellissima. La seconda ragione si è propter Scriptu-rae veritatem. é tanta la verità della Scrittura santa; che,come detto è, una parola non potrebbe proferire, chenon si adempiesse; prima transirebbe il cielo e la terra.Perocchè ciò che Iddio ne promette sarà fermamente, eciò che disse è pura verità. E però il predicatote, il pa-store, quando dice la parola di Dio, odi con grande dili-genzia; perocchè egli non ci ha che fare neente, se noncome la penna allo scrivere: lo scrittore è lo scrivano,non la penna. Così è del pastore, chè non dice da sè; è amodo del canale, che hon ha l’acqua da sè, ma dalla fon-te; e così il pastore è come il canale, chè la Scrittura en-tra per lui dalla fonte della Scrittura e versa al popolo:non ci ha che fare nulla, perocch’elle non sono sue paro-le; s’elle fossero sue, avresti troppo grande ragione di

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non volerli credere. E di questo disse il filosofo, quandodisse che guastava la sapienza sua. Disse di quella cheavea e che dicea da sè, ed è verità questa. Ma quello chedice non da sè, ma dice quello che dice la Scrittura, aquello t’atieni, e non seguitare l’opere nè gli esemplisuoi, siccome t’ammaestra Cristo apertamente. Non è daricevere la dottrina dell’uomo, no, perocchè è in tuttomendace; ma però è da ricevere la dottrina de’ predica-tori e de’ pastori; perocchè quello che predicano e am-maestrano non è loro dottrina, anzi è dottrina di Cristofigliuolo di Dio, non sua, e non parla di sè. Onde, quan-do il pastore, il predicatore, predica, puoi dire che parliCristo, che quelle sono sue parole. La terza ragione si èpropter exemplorum multiplicitatem. Se l’uomo andandoper la via fangosa vedrà nella via una viottola netta,quella guaterà, per quella andrà, e lascierà tutta l’altravia larga fangosa. Or se questo fai corporalmente perguardare il corpo, quanto maggiormente il dei fare perguardare l’anima! Le vie sozze e fangose sono i maliesempli, che vedi molti e grandi. Quale è la via netta? ri-guarda Cristo che ti dà esempio d’umiltà. Volle esserepovero, disprezzò tutti i diletti del mondo, volle esserefatto re mondano, e non volle egli. Vedi che ti dà esem-pio di perfetta castità, chè servò verginità e purità nellacarne sua, in sè e nella madre sua. Riguarda gli apostoli,e questa è la via se ti vuoli salvare; e sempre ti sforza diseguitare e di appressarti più a Cristo che puoi. Ma piùsarebbe da riprendere colui, il quale vedesse la via larganetta e bella, e la stretta lorda e sozza, ed egli lasciasse lalarga via, bella e netta, ed entrasse per la stretta, fangosae brutta. Così è spiritualmente. Io dico che la via nettade’ buoni esempli è più larga e maggiore di quella de rii;ben si potrebbe provare per chiare ragioni: ma vedi purquesto. Or quanti esempli t’ha Iddio posto innanzi! nonuno, no, ma quasi sanza fine. Quanti sono i martiri, tuttiti sono posti innanzi per esempio. Or che non riguardi

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ai martiri, a tanta moltitudine? Quanti sono i confessori,le vergini, i remiti e gli angeli? non hanno numero. Tuttiquesti ti sono posti per esemplo. Frate, ben è la via buo-na e la netta più larga che la fangosa. Assai vedi più dibuoni esempli che di rii, chè i mali esempli che tu vedinon possono essere molti quelli che vedi e odi per senti-mento. Or quanti possono essere? ma i buoni sono mol-to più di quelli. Vedi collo ’ntendimento, racordandotide’ santi e degli angeli, ovvero leggendo ne’ libri, nellestorie de’ santi, ovvero c’odi alle prediche. Or dunquecome ti muovi all’esemplo reo di certi? grande stoltizia èla tua. La quarta ed ultima ragione si è propter sapientiaeveritatem. E questo è se consideri la sapienzia e la veritàdella permissione di Dio. L’una, che dei pensare se haimalo pastore, forse che non se’ degno d’averlo buono omigliore per li peccati tuoi; permette Iddio che n’abbiuno, che ti punisca temporalmente e che ti dea scandaloall’anima tua. L’altra, che dei pensare che se tu hai malpastore, e tu se’ buono e sostieni in pace ciò, avrai moltopiù merito. L’altra buona cosa che ne può uscire si è,che ne se’ liberato da servitude, e se’ levato a stato di di-gnitade, le quali cose l’uomo va caendo naturalmente.Dunque tu se’ buono e il pastore tuo no, tu se’ degnod’onore ed egli no, e a lui non si fa onore, se non che gliè fatto, perocchè sta in luogo di Cristo, ma egli non è de-gno, ma tu ne se’ degno; e così tu ch’eri sotto a lui, se’sopra lui, più alto, più nobile, più libero. Altre cose e al-tri buoni esempli e ammaestramenti ne puoi trarre etraggonne i santi uomini, le quali a dire tutte sarebbetroppo lungo; ma da ogni parte il santo uomo ne cavafuori l’utilitade. Vedi che t’ho mostrato come tu non deiper nullo esemplo rio, sia chi essere vuole o quanti nevedessi, e gravi quanto potesse essere, mai non ti dei ri-muovere dal bene e dalla buona via; anzi ne dei diventa-re migliore a più perfetto. E questo t’ho mostrato perquattro bellissime e vive ragioni. Deo gratias.

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LXIV

Predicò Frate Griordano, 1305, dì 25 d’Aprile, Domenica mat-tina, in S. Maria Novella.

Intravit Jesus ianuis clausis. Questa predica fu puraistoria. Dironne pure queste due quistioni, che santoAgostino muove, ovvero santo Gregorio muove, soprala parola che disse Cristo a santo Tommaso, poi ch’ebbeveduto e creduto. Disse Cristo: Hai veduto, e creduto;beati quelli che non vederanno, e crederanno. Dice san-to Gregorio: Come dice il Signore, tu hai veduto e cre-duto? Anzi ch’egli vedesse potea egli credere; ma poichèvide, non è fede, anzi è visione certa. Come dunque diceil Signore ch’elli credette? Rispondoti: egli vide l’umani-tade, ma egli non vide la deitade; e però di questo ebbefede. Sicchè non mancò però la fede sua, chè fede nonpuò essere sanza alcuna visione; siccome noi crediamoche Dio sia e ch’egli è potente, e savio, e bello, e ricco, ebuono, e l’altre cose. Non abbiamo veduto lui, ma per-chè vediamo le creature sue, sanza le quali non credia-mo; però nella fede è mistiere alcuna visione; e se dices-si: noi come crediamo in Cristo, se non lo veggiamo? Tusai per lo udito, per l’orecchie; chè l’occhio, l’orecchie,tutto è uno modo di certezza, chè si richiudono dentroall’anima, e fanno una cosa; sicchè ancora qui avemoqualche cosa, cioè l’udito, e le scritture sante, e’ predica-tori, sanza i quali non crediamo. Ma in ciò che Cristodisse: beati quelli, che non videro e credero, disse di noi,che non vedemmo l’umanitade di Cristo, come la vido-no gli apostoli; ma perchè gli apostoli la vedessono, nonperò fu tolta loro la fede, chè non videro la deitade, vi-dero l’umanitade e credettono la deitade. Ma tu non ve-di nè l’uno nè l’altro; sicchè da questa parte bene hai piùmerito nella tua fede che non ebbono gli apostoli, se al-tro non vincesse dall’altro lato; ma fu tanta l’altra ab-

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bondanza, che non che tu, ma non è nullo santo, cheagli apostoli si possa agguagliare. Non sia nullo sì scioc-co, che dica o creda di nullo santo maggiore o cotale,chente gli apostoli. I maggiori sono di quella gloria, fuo-ri della Vergine Maria; egli ebbero la primizia dello ispi-rito, ed andaronsene con tutto il fiore. Siccome avvienedel panno iscarlatto, che si mette nella tinta della grananella caldaia, chè dicono che il primo panno che vi simette, sì è meglio tinto; perocchè quello se ne vae contutto il fiore, e poi l’altro non è così buono e bene tinto;e ’l terzo è meno che ’l secondo, e così tuttavia è peggio;e quelli di prima sono meglio. Così gli apostoli se n’an-daro con tutto il fiore dinanzi dello Spirito Santo, comedice santo Paolo: noi, noi, primitias spiritus habentes;noi fummo quelli c’avemmo la primizia dello SpiritoSanto. Il mondo viene raffreddando. Deo gratias.

LXV

Predicò Frate Giordano questo dì dopo nona, in Santa MariaNovella.

Intravit Jesus ianuis clausis. Ad isporre tutto il Vange-lio sarebbe lunga materia; diremo di due questioni: l’unasi è come potè Cristo uscire dal sepolcro, e colle porteserrate entrare nella casa; l’altra si è dello ammaestra-mento e della dottrina, che Cristo ne dae in ciò ch’entracolle porte serrate. Diremo pure della prima per questapredica, cioè, come potea Cristo entrar colle porte serra-te, od uscire dal sepolcro serrato, senza romperlo e mo-verlo; e di questo assegnano i savii molte ragioni, dellequali molte diremone ora quattro: la prima propter divi-nae potentiae praeconium, la seconda propter fidei augu-mentum, la terza propter aliorum miraculorum probatio-nem, la quarta propter naturae operum documentum. La

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prima si è propter divinae potentiae praeconium. Sonotanto profonde l’opere divine, che non solamente le di-vine, ma le minime non puoi sapere, come unguanno èdetto più volte. Non vedi tu della terra, ch’è così sozza, edel letame, quante belle cose n’escono? Chi questo nonavesse veduto, come il crederebbe, che dalla terra cosìsozza potesse uscire tante belle cose, l’oro, l’ariento, legemme? Ma per la molta usanza non te ne maravigli;perchè hai veduto sì le credi. Altresì vedi la luce del solecome vae tosto, che immantenente che ’l sole appare, ela luce sua in uno punto è insino in Ispagna, e là altresìtosto come qui. O non è questa grande maraviglia? senon l’avessi veduto non crederesti. Altresì come nasce lacreatura; chi dicesse ad uno uomo nasce no mangiandoe non abitando, e non l’avessi veduto, nol crederesti.Vedete che ’l fanciullo stae nove mesi nel ventre dellamadre, nè non manuca, e non bee, e non piglia nulla nelventre della madre, ciò dicono i savii, no, neente; e in-contanente che n’è fuori vuole manicare, e s’egli stessedue dì sanza manicare sì morrebbe, e nel ventre dellamadre istae nove mesi. Altresì vedete che miracolo èquesto della creatura creata, puote vivere sanza aria.Che polmone abbia il pesce, non hae polmone, non gli èmestiere aria, ma tutti gli altri animali c’hanno polmone,non possono vivere sanza aria. Il fanciullo nel ventredella madre stae colla bocca chiusa, e non ne ricogliearia nulla, chè nel ventre, dicono e provano i savii, chenulla aria in nullo modo ci puote entrare. Or dunque co-me istae cotanto sanza aria? E incontanente ch’è fuori,se gli ponessi un poco la mano sulla bocca, che non po-tesse tirare a sè l’alito, e’ morrebbe incontanente; chènon potemo istare neente sanza aria, chè quelli che siimpiccano, la loro morte si è che gli turi la via onde vael’alito, e però muore. Come dunque istae così nel ventre,avendo polmone? chè ha verace polmone il fanciullo; equesto non avessi veduto non crederesti, nè, perchè tu il

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veggi, non sai però com’è, nè perchè gli fa, nè in che mo-do, e non vedi la ragione, e non la puoi sapere; perocchèsono opere maravigliose di Dio. Dunque se tu non puoicognoscere le minime cose della natura, e come vuoli in-tendere l’opere divine? Onde Iddio s’hae ritenuto certecose a sè, le quali non vuole che tu sappi, e queste sonol’opere di miracoli; ciò dicono i santi: se tu vedessi ciòche puote fare, dunque parrebbe che tu fossi altresìgrande com’egli; Egli non vuole, perchè vuole esseremaggiore di te. Ma che ti dico? s’egli volesse, non le tipotrebbe mostrare, stando tu in questa carne mortale,s’egli non trasmutasse l’anima tua in gloria; come l’ani-ma di santi, come saremo dopo il giudicio; ch’e’ santiveggono bene la ragione dell’opera di miracoli di Dio,come puotè uscire del sepolcro il corpo crocificcato, ecome nacque di Vergine, e gli altri miracoli; ma tu non livedi, e convienliti credere, che in questa vita non li puoivedere, nè intendere non li potresti. E se dicessi: nonpotrebbe Iddio? dico che no; perch’è Iddio sapienza edirittura, ed ogne sua opera hae ordine, vae per dirittavia, hae ordinato così quante cose sono; quelle che sonorie, o sozze, o torte, o ingiuste. Iddio non ha podere difare nulla altro che dirittura; e però non potresti in que-sta vita vedere queste cose, e l’opere divine che io t’hodette; chè le minime cose della natura non puoi cogno-scere, tanto sono profonde, e con tanta sapienza ordina-te. L’opere divine non sono contro a natura, ma sono so-pra natura. La seconda ragione si è propter fideiaugumentum. Non vuole Iddio ogni cosa farti intendere;chè, se tu vedessi le cose con gli occhi, ovvero per ragio-ne di chiaro intendimento, mai non ne averesti nullomerito; chè fede si è di cose invisibili; e questa è grandevertù, che l’uomo sottometta lo ’ntendimento suo allecose che sono sopra natura e sopra intelletto, ed è gran-de merito. Onde dice santo Gregorio, che quella fede, laquale si mostra per ragione, non ha merito e non è fede,

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no; chè, avvegnachè gli apostoli vedessono Cristo risu-scitato, e palpasserlo, ed avesserne certezza, non però futolta loro la fede; chè non videro la deitade, videro purl’umanitade, e credettono la deitade, la quale non videroe non potevano vedere. Ben è vero che in ciò che noinon veggiamo l’umanitade a quello modo che la vidonoellino, il merito della fede nostra da questo lato è puremaggiore che il loro, se in altro non avanzassono; ma so-perchia e trabocca d’ogni lato. E però furono maggioriin fede e in meriti di tutti gli altri; e però volle Cristo chetu non vedessi molte cose, non solamente con gli occhidel corpo, ma con gli occhi della mente, che sono anco-ra maggiori; chè gli occhi della mente è grande vedere,maggiore che gli occhi corporali. E però molte cose si ri-tenne Cristo, e non volle che le sapessimo, cioè che ve-dessi con gli occhi del corpo, nè intendessi colla ragiontua; e questo fece per non tòrre il merito grande della fe-de, il quale è grandissimo molto. La terza ragione si è laprova degli altri miracoli; onde dice santo Gregorio: Otu cristiano, che ti meravigli come Cristo potesse usciredal sepolcro con l’uscio serrato e suggellato; or mi di’:maggiore fatto fu e maggiore miracolo ch’egli uscio dal-la Vergine Maria, conciosiacosachè egli avesse vera car-ne sustanziale, rimanendo vergine la madre; questo fu ilmaggiore miracolo che sia, e che risuscitare morti. Ondeegli dice: minor cosa è a credere ch’egli uscisse del se-polcro col corpo glorificato, quando egli uscìo dal ven-tre della madre colla carne passiva e mortale, e rimasevergine. Se tu credi questo, più ageule è a credere quel-lo; chè l’uno miracolo, come dice santo Gregorio, è pro-va dell’altro, l’uno prova dell’altro. La quarta ragione,che ne aiuta a credere l’opere e’ miracoli di Dio, propteroperum naturae augumentum. Se tu, frate, pure pensassicome il corpo di Cristo (conciosiacosachè quella fossoverace carne e verace corpo sustanziale) potea uscire delsepolcro in quello modo, non rompendo le pietre od

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aprendo; frate, dicoti che nella natura, nelle opere sue,tu ci troverai grandi cose, le quali se non che le vedi, chenon le puoi negare, ma se non l’avessi vedute, ti sareb-bono impossibili a credere. Non vedi tu la luce del sole,che passa il vetro e non lo rompe? La luce del sole, s’ellasia corpo o no grandi quistioni ne sono essute e sono perle iscuole; ma io, disse frate Giordano, nol credo, mamolti il credettono e iscrissono. Assegnaronne ragioni,intra le quali diceano per lo ripiegare, chè diceano, chenulla cosa si puote ripiegare se non corporale; così è laluce, a modo di fiume, che rattenuto che sia torna addie-tro, e così fa la luce del sole, che fiede in terra non po-tendo andare più oltre, e ritornano i razzuoli in su; eperò diceano e dicono, ch’è cosa corporale. Se fosse co-sì, maggiore fatto sarebbe passando la luce per lo vetronon rompendolo, conciosiacosachè fosse due corpi pas-sare l’uno per l’altro e non romperlo, che ’l corpo glori-ficato e sottile, e maraviglioso sopra tutte l’opere dellanatura, uscire della pietra del sepolcro, e passare per lomuro e non rompere; ma se non è così, cioè che non siacorpo, sì è grande maraviglia come passa non rompen-do. Altresì vedi l’altra maraviglia: poni l’ampolla al sole,e di dietro poni la stoppa; sia piena d’acqua: si riscaldaforte, e dinanzi accende e di dietro, e l’ampolla e l’acquarimane fredda. S’ella rimane fredda, come passa il fuocodell’uno lato a l’altro? questa grande maraviglia è cosìdel cristallo altresì, che rimane freddissimo. Chi non loavesse veduto nol crederebbe; ma perchè tu il veggi, nonsai tu però. Ancora vedi l’altra maraviglia di questi,c’hanno il male della pietra: conciosiacosachè in tutta lavescica non sia se non un bucolino, e trovavisi entro pie-tra chente uno uovo, e durissima più dell’altre, chè vi sidà suso col martello, non si rompe, tanto è dura. Or midi’: questa pietra come passò, come andò così nella ves-sica, onde v’entrò? Se questo tu vedi che fa la natura, èt-ti agevole a credere l’opera di Cristo. Avemo dunque ve-

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duto belle ragioni, le quali approvano ed aitano la fedenostra. L’una si è come vuoli conoscere l’opere divine,che non puoi intendere le minime della natura; l’altraper accrescere il merito della fede: l’altra che l’uno mira-colo prova l’altro; e l’altra per l’esemplo dell’opere dellanatura, che sono maravigliose. Dell’altra parte, cioè del-la dottrina di Cristo, che dice ch’entrò colle porte serra-te, che s’intende qui? l’anima, c’ha serrati i sensi e chiusialle cose del mondo, allora Cristo entra nell’anima; ma ildemonio colle porte aperte, co’ sensi aperti entra. Nondiciamo più. Deo gratias.

LXVI

Predicò frate Giordano, 1305, in calendi Maggio, il dì di santoFilippo e di santo Iacopo, in Santa Riperata.

Ostende nobis patrem et sufficit nobis. Questa parolafu di messer santo Filippo, la quale parola è la migliorepetizione, e la più ottima sentenza che sia e che esserepossa. E sì troviamo che fu ripresa da Cristo, e non èmaraviglia. Queste parola fu di molta riprensione, fu dimolta commendazione, e fa perfetta e santa. E fu degnadi riprensione quanto da quattro parti; e però fu ripresada Cristo; prima propter infidelitatem, la seconda propterstultitiam, la terza propter curiositatem, la quarta si èpropter perversitatem vel propter superbiam. Prima dicoche venne di radice d’infedelitade; chè credea Filippoche ’l padre fosse altro che ’l figliuolo ed altrove, i qualisono una cosa. E però disse Cristo: non credi tu che ’lPadre sia in me, ed io nel Padre? Venne da ignoranzia eda stultizia; imperocchè addimandò di vedere il Padre,la deitade, la quale non si puote vedere con occhi corpo-rali. La terza si è propter curiositatem. é un vizio il qualeè ne’ savii, e nella sapienza loro; e questo è quando e’ vo-

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gliono sapere le sottili cose: e tutte le cose come va il cie-lo, e renderne ragioni, e le misure della terra, e la scienzade’ numeri, e le sottili cose, le quali non sono mestiere disapere, e non sono necessarie nè utili. Questo vizio èchiamato da’ savii curiositade, perchè è una curiosità vo-lere troppo sapere; questo vizio fu ne’ filosofi; questo vi-zio si mostra nella sopradetta parola. Non fa altro a dire,mostrane il Padre, se non di volere sapere quello chenon si convenia a lui, e di volere troppo sapere. La quar-ta ragione, come e perchè fu degno di riprensione, si èper la superbia, chè grande superbia fu a dire: mostraneil Padre, il merito de’ beati, conciosiacosachè ancoranon l’avea meritato, nè non era degno. Chi chiedesse aun re al primo tratto, tutt’una città, o un gran fatto, enon l’avesse meritato, sarebbe degno di riprensione. Fudegno ancora di molta commendazione per la perfettapetizione d’ogni perfezione; chè s’io considero che peti-zione fu questa, trovoci tre cose: scampamento d’ognimale, acquistamento d’ogni bene, e acquistamentod’ogni bene perfetto. Del primo diremo stamane. Dicoche in questa petizione s’addimanda lo scampamento ditutti i mali, in ciò che dice: mostrane il Padre. Due sonoi mali, secondo i santi e i savii, cioè male di colpa, e maledi pena; ma perocchè l’uno hae più membri, sì ne pote-mo fare quattro in tutto; cioè male di colpa, male di pe-na, male d’ignoranza, e male di concupiscenza. Di tuttiquesti mali addimandò santo Filippo iscampamento;chè in ciò ch’egli disse: Messere, mostrane il Padre, nonfu altro a dire se non: Messere, mondami, e purgami, elavami e togli da me ogni peccato, ogne colpa di peccatomortale, veniale e originale; chè, come più volte ho det-to in altre prediche, che Dio Padre, quella somma luce,quella deitade, non si può mai in perpetuo vedere conalcuno peccato; chè solo uno peccato veniale t’impedi-menterebbe di vedere quella luce, tanto vuole essere pu-ro quello occhio. Quanto maggiormente il mortale e an-

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cora l’originale, il quale è peccato di natura, che ’l trael’uomo dalla generazione, e dalla massa peccatrice?Questo peccato per sè toglie Iddio in tal modo, che mail’anima che muore, che non è monda di questo peccato,come sono i fanciulli che si muoiono sanza battesimo ealtri, mai in perpetuo non possono vedere Iddio. Dun-que, dicendo santo Filippo: Messere, mostrami il Padre,sì disse: Messere, mondami da ogne colpa e da ognepeccato. L’altro si è male di pena; onde non solamentedomandò purgamento di peccati, ma addimandò scam-pamento di tutte le pene, di pena eternale, di pena tem-porale, o di purgatorio o di questo mondo. La pena è sìcongiunta al peccato ed alla colpa, che non possono es-sere differenti, chè sempre la pena è congiunta e unitaalla colpa. Onde quelli del ninferno stanno in pene eter-nali, perocchè ’l peccato loro sta eternalmente, e quantoè maggiore la colpa loro, cotanto la pena. Altresì quellidi purgatorio istanno in quelle pene tanto che si purghi-no, e non possono vedere Iddio infino che si pena a pur-gare. Le pene di questo mondo si dànno per lo peccatoveniale e ancora per l’originale; perocchè nel battesimonon si purga tutto, purgasi in speziale, cioè in colui chesi battezza, ma non in tutta la natura, perocchè quellopeccato è peccato di natura; sicchè tutte le pene vengo-no pur dal peccato e dalla colpa. Iddio mai in perpetuovedere non si puote con nulla pena; chè, se pure unopunto di pena fosse, o spirituale, o temporale, o corpo-rale, non potresti mai vedere Iddio, no. Ma in Cristoquesto fu miracolo (chè io parlo secondo ordine, nonparlo di miracolo), fu potenzia divina; non vale il suofatto col nostro in questa parte. Addimandò ancorascampamento d’ignoranzia. Tutta la ignoranzia e il nonconoscere viene pur per difetto di non conoscere Iddio;onde chi conoscesse Iddio e vedesselo non sarebbeignorante di nulla, e conoscerebbe tutto ciò che fossemestieri a salute, e mai non errerebbe. Addimandò an-

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cora scampamento di concupiscenzia, cioè il malo amo-re. Tutto il nostro peccato sta pure nel malo amore, peramare le cose troppo e disordinatamente: questo è il ma-lo amore de’ mondani; perocchè tutte le cose di questomondo o sono male ad amarle, o sono nocive a te. Se tuvedessi Iddio e conoscessilo, sì lo amaresti sommamentee non amaresti le criature; e se l’amassi, sì l’amaresti perlui ed in lui, e ciò che tu facessi sì faresti per lui ed ama-resti per lui; chè ciò che in questo mondo s’ama od ope-ra, che non sia per lui, si è o vanità o nociva a te. E peròquando santo Filippo disse: Messere, mostrane il Padre,sì disse: Messere, mondami da ogni peccato, fa di lungida me ogne pena, e caccia da me tutta ignoranzia edogni malo amore. Deo gratias.

LXVII

Predicò frate Giordano, 1305, dì 6 di Maggio, giovedì mattina,in Santa Maria Novella, il dì di santo Giovanni Vangelista, anteportam latinam .

Sic eum volo manere donec veniam. Questo preziososanto, messer santo Giovanni apostolo e vangelista, so-pra gli altri apostoli e santi è commendato e lodato dipuritade e di verginitade, per la sua puritade della men-te e della carne. Cristo di lui la parola proposta disse:Così voglio che stea insino ch’io venga, cioè che stea co-sì sanza mutazione, cioè che non lo lascerà avere penanè tormento, nè in martirio nè in morte. E la verginità equesta purità vale sommamente, è necessaria, secondoche dicono i santi, a quattro cose: vale al dono della sa-pienzia, al dono della grazia, al dono della costanzia, va-le a permanenzia vel a perseveranzia. Dico primiera-mente che vale, è necessaria al dono della sapienza, èmistiere a ciò necessariamente. Onde dicono i filosofi, e

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sì scrissono, che all’apprendimento della sapienzia è mi-stiere la continenza. La continenza è una vertù, che nonsolamente rifrena i diletti della carne, ma ogni atto e mo-vimento giulleresco, siccome di ballare, saltare, correre,sonare e fare cotali cose, e pone freno al parlare e a tuttii reggimenti; onde continenzia è una vertù c’ha in sè ecomprende molte vertudi, e comprende la vertù dellacastità. Onde dicono i filosofi della continenzia ch’era disomma necessitade alla sapienza; onde in Platone si leg-ge, che stavano i filosofi e avevano eletto una villa, chespesso v’erano i tramoti, e avevano abbandonata la cittàe stavano in quella villa paurosi, acciocchè potessono di-spregiare il mondo, e ricordandosi della morte e dellavanitade del mondo, e che nullo diletto secolare desse inloro alcuno movimento, e stavano ivi in castità e in ver-ginità, a intendere a cercare la sapienza; onde dissero,che senza castità nullo a sapienza può venire. E Salomo-ne, si legge di lui in uno libro, che chieggiendo a Dio lasapienza, e’ stette casto e puro, in quella purità gli fu da-ta, chè ancora era vergine puro. E ch’ella sia così neces-saria alla sapienza in questo santo benedetto si mostrapiù chiaramente. Onde egli scrisse il Vangelio il più altodi tutti gli altri. Gli altri scrissono dell’umanitade, edegli iscrisse la dottrina altissima di Cristo. Egli la Scrittu-ra altissima e profonda, e molto; onde egli iscrisse piùche tutti gli apostoli o vangelisti, in tre libri che fece: nelVangelio, nell’Apocalissi, e in tre pistole ch’egli fece digrande dottrina; onde egli è assimigliato all’aquila, pe-rocchè vola altissima, e gli occhi suoi ferma nella ruotadel sole; così egli scrisse la dottrina altissima, e più com-pose della deitade che nullo degli altri santi. Ed è mara-viglia, conciosiacosach’egli fosse di più vili apostoli, se-condo il mondo, chè fu pescatore, uomo di neente. Glialtri, v’ebbe intra loro che furono più nobili eziandio dinatura e di più alto intendimento. Questo pure è vero,ma per la purità, che fu sopra gli altri, a lui fu revelata

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della sapienza divina più. La seconda si è, che vale al do-no della grazia. Nulla cosa al mondo tanto utile e tantonecessaria ad acquistare la grazia divina, come è la vergi-nitade e la purità. Onde non solamente a Dio, ma almondo, in cospetto delle genti e degli angeli, la verginitàe la purità è preziosa, e piacevole e amabile a tutti; onde,perchè i fanciulli sono puri, piacciono ad ogne gente,non hanno nemici, non è fatto male, nulla persona vuoleloro male, di tutti sono amici, e tutti sono piacevoli. Nonè nullo a cui dispiaccia la purità, se non fosse già perver-so, come disperato; onde la purità è graziosa a tutte legenti. Onde dice la Scrittura, che quelli che sarà puro, ecasto e vergine babebit amicum regem. Chi vorrebbe allamensa servi brutti? nullo; ma servi mondi e ornati. Dun-que se la purità della carne e così graziosa alle genti,quanto maggiormente la purità dell’anima, che è fonta-na della purità della carne? Però questo santo benedettosì mostra quanto fu piacevole a Cristo, perocchè più glifu famigliare; onde egli era detto speziale diletto di Cri-sto, e nella cena si mostrò che stava più presso a Cristoallato, sopra il suo petto santissimo si riposò. La terzacosa si è, che vale al dono della custodia. A’ vergini sonodati i doni eccellentissimi; ond’è questa vertù il maggio-re dono e ’l più compiuto che possa essere in questa vi-ta. Sapete che ne’ vaselli puri e mondi si mettono le cosecare e preziose; onde i vaselli mondi vagliono molto aconservare ogne pura cosa; chè ne’ vaselli brutti e inco-modi sapete che non ci si mette cose care o nobili, chènon ci stasebbero bene. E però messer santo Giovannifu vergine e fu puro sopra tutti gli apostoli, però a lui fucommesso a guardare quello tesoro prezioso della Ver-gine Maria; onde a san Piero, che fu così innanzi, non glidiede Cristo a guardare. Mirabile cosa, dicono i santi,che a san Piero, a cui furono dati a guardare gli agnelli ei fedeli, non gli diede Cristo a guardare la Madre, madiedela al diletto suo Giovanni, per la purità e verginità

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sua. La quarta ragione si è, che vale ad permanentiam velperseverantiam. E questo è quello che disse Cristo mas-simamente: sic eum volo manere. Questa parola non in-tese santo Pietro allotta, ma i santi l’hanno poi intesa eveduta; perocchè Cristo disse delle pene della morte;chè Cristo non lo lasciò avere tormento nella carne sua.Onde della tina dell’olio bollito oggi sanza nulla lesioneo sentimento di pena uscìe, e non volle Cristo che moris-se di ferro nè di coltello; perocchè, siccome il suo corpoe la sua anima avea conservata in verginità e integritàperfetta, così non volle che sentisse nullo tormento enulla corruzione dopo la morte. Onde dicono i santi,che le pene non possono essere dove è purità; perocchèl’uno è contrario all’altro, e l’uno contrario pon puoteistare con l’altro; onde ov’è purità non può essere pena,almeno in quello ove è purità. Onde, se tu dicessi, che sipure trovano assai di quelli santi che furono vergini epurissimi, e sì sostennero martidio; a questo ti potrei as-segnare due ragioni: l’una si è, forse che non è sì purocome santo Giovanni, chè nella purità ha gradi; l’altraragione si è che volle Iddio fare a lui quello dono singu-lare, a mostrare quanto gli piace la puritade e la mondi-gia. Egli pure sostenne pene, almeno di vergogna; che senoi lo volessimo lodare da una parte, si ’l biasimeremmodall’altra; ma quello che Cristo adoperò in lui, si fu peresempio quanto gli piace la puritade. Deo gratias.

LXVIII

Predicò frate Giordano, 1305, dì 9 di Maggio, sabato mattina,il dì di santo Michele Angelo, nella chiesa di santo MicheleBerteldi.

Factum est praelium in coelo. Michael et angeli eiusproeliabantur cum dracone, et draco pugnabat et angeli

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eius. Questa parola hae molti intendimenti, chè a direche feciono gli angeli battaglia in cielo, non è a dire altrose non che combatterono per acquistare il cielo e i benicelestiali. Le nostre battaglie sono vili, chè combattiamoper vili cose, per letame; ma gli angeli combattono perlo cielo e per lo paradiso. Quanto è quelli beni di para-diso, non ti potre’ dire; tanto è quelli beni, in tantaabondanza, che conviene che trabocchi, e non si puotecelare, che non ne appaia. Ed onde appare? e’ si mostraper le criature, le criature di questo mondo mostranoquelli beni di paradiso; e ispezialmente il cielo, grandeispecchio di quella vita. E questo potemo vedere se con-sideriamo da tre parti, cioè dalla sua sustanzia, e dallaqualità sua, e dalla quantità: dalla sustanzia ch’è incor-ruttibile. Onde i corpi celestiali, dicono i santi e i filoso-fi, sono incorrottibili, che mai in perpetuo non si cor-rompono e non invecchiano; onde così sono freschi ebelli come il primo dì che furono fatti e ’l sole, la luna ele stelle; e questa è grande significazione di quelli beni, iquali mai non si corrompono e mai non perdono vertùnè non invecchiano. Sempre i beati sono così giovani,freschi, belli, come il primo dì che furono fatti, e saran-no sempre mai, e così tutti i beni di paradiso. Se consi-deriamo della qualità, che sono immutabili e in loro nonè variazione; ma i beni del mondo sono corrottibili e va-rianti, e fuggonsi, e non si possono tenere; i beni cele-stiali sono immutabili e non si fuggono, sempre istannofermi. Ancora il cielo dà le vertudi e dà diletto l’aspettosuo. Significa i beni di paradiso prezioso, e quanto dilet-to darà a’ beati. Se consideri la quantità, per la grandez-za sua vedi com’ è grande il cielo. Significa i beni di pa-radiso come sono grandi, non v’hae nulla istremitade: ibeni del mondo sono piccoli, istretti, vili. Gli angeli fe-cer battaglia per grande cosa, ma noi combattiamo peruno vituperio, e per queste battaglie perdiamo quelli be-ni eterni; non è nullo che per li beni di paradiso combat-

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ta, i quali sono così perfetti, ma per li beni del mondo, Aquali sono nulla, e non si possono nè avere nè tenere.Ancora questa parola che dice: fu battaglia in cielo, è adire che ’l dimonio ti combatte per tòrti il cielo, e pos-santi eglino tòrre quelli beni; di questi non si curano, an-zi se Iddio gli concedesse, egli ti darebbe ricchezze, oro,ariento, diletti in questo mondo, quanto volessi, potes-seti e gli tòrre quelli beni di vita eterna. Onde le batta-glie del demonio non sono per cacciare e non sono cian-cie; a tòrti Iddio e vita eterna. Onde il demonio èassimigliato al serpente, perchè il serpente è bestia piùnocevole alla natura umana che sia. L’altre bestie, leoni,lupi, orsi, non sono così; quelli ti mordono, e talora ti di-fendi da loro; ma dal dragone e dal serpente non ti valedifesa, chè s’egli ti pur tocca sì se’ morto, e non ti giovacombattere nè altro; perocch’egli ti uccide co’ morsi ecol veleno. E dicono i savii, che di quante nature sonoserpenti, di tante veleno hanno; di quanti colori sono, ditante morti t’uccidono; e il dragone hae in sè tutte le ma-lizie e tutti i veleni degli altri serpenti; è però è più pessi-mo, e però la Scrittura assimiglia il demonio al dragonepessimo, il quale è la peggiore cosa e che peggio faall’uomo che nulla creatura, il quale hae in se tutti i vele-ni e per tutti t’avvelena, o almeno per quelli che può.Egli è uno serpente sì pessimo, che uccide l’uomo, èmorto anzi che si senta: e così fa il Demonio, ch’egli t’hamorto anzi che tu li senti. Non è cosa al mondo che cosìleggiermente muoia, come muore l’anima, perocch’ellanon pena a morire, in uno punto muore. Pensate forseche si abbia distanza di tempo? no. Sono molti matti,che si pensano che l’anima peni molto a morire, in unopunto è morta. Mostroti. Se tu dicessi: or quando io vo afare avolterio, io peno talora anzi che mi venga fattomolto tempo; dunque come muoio così tosto? Frate, ri-spondoti, molto se’ matto, se tu credi che l’anima tua sìha a morire allotta. Ora intendi bene: incontanente che

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

tu hai consentito dentro al peccato mortale, avvegnachènon sii venuto ancora al consumamento di ciò, mortose’, e non se’ a morire allotta; perocchè quando il con-sentisti di fare, nel tuo diliberamento, allotta morìe l’ani-ma tua, in quello punto. Or tu diresti: or poi quandometto in effetto o in opera il peccato, che mi fa dunquequando io già sono morto? Ora intendi bene: vedi comeabbondano i peccati; pongoti asempro. Hai consentitonell’animo tuo di fare uno omicidio, già se’ morto, haipeccato mortalmente. Ora poi, quando interviene,quando comperi il coltello, anche pecchi mortalmente;quando ti muovi a ciò, anche pecchi mortalmente; edogni volta che tu di’ parole per venire a compimento delfatto, sì pecchi mortalmente e più; chè, poichè tu l’haiconsentito, voglioti porre che tu il peni a fare uno mese,dicoti che quante volte te ne ricordi e consenti di farlo,tante volte pecchi mortalmente. Ora vedete in quantipeccati cade il peccatore, che in uno micidio e in unoavolterio, che pare solo uno peccato, possono essere eduplicati tre, e diece, e cento, e mille peccati mortali;questa è verace, e non son buffe queste, ma così è di pu-ra verità. I peccatori non s’accorgono di questi mali;però l’anima loro muore in uno punto, nel primo con-sentimento di qualunque peccato mortale sì è morta; eperò ci conviene sapere combattere e difendere da’ vele-ni del demonio, e da’ peccati che n’uccidono e tolgono ilcielo. Deo gratias.

LXIX

Predicò frate Giordano, 1305, dì 10 di maggio, domenica, alvespro, in Santa Liperata:

Gaudium vestrum nemo tollet a vobis. Questa paroladisse Cristo agli apostoli. L’uomo ch’è matto isciocco

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non si cura del maggiore tesauro, lascia il tesauro prezio-so per neente; ma s’egli il conoscesse, non lo vorrebbecosì perdere, anzi si brigherebbe di fare tesauro quantopotesse. Forse pensate ch’io dica del tesauro terreno,d’oro, d’ariento? non dico questo: d’altro tesauro parlo,d’un tesauro ispirituale ch’è meglio che tutti i tesauri diquesto mondo; il quale tesauro si fa e dassi in questa vi-ta, il quale tesauro hanno i santi uomini di Dio. Questosi è quello che Cristo disse a’ discepoli nell’altra parola:Il vostro gaudio e la vostra allegrezza neuno uomo la vipuote tòrre. Il tesauro della letizia è sopra tutti i tesauridi questo mondo, è tesauro ispirituale. Che sia il mag-giore si puote provare per molte ragioni; diciamone due.L’una, perocchè la letizia è fine tuo; onde ciò che tu fai,sì ’l fai per questo fine, per avere letizia ed allegrezza. Ilfine è meglio della cosa ch’è fatta a fine. Se la medicina èbuona, molto è meglio la santà, ch’è fine della medicina.Altresì la vita è migliore cosa che ’l cibo; perocchè la vitaè fine de’ cibi, chè i cibi sono fatti a quello fine; e però ilfine è meglio e più perfetto di tutte le cose, che al finesono fatte; e però la letizia è sommo tesauro, perocchèfine. Tu mangi per vivere: meglio è la vita del cibo. Eperchè vivi? Ad un altro fine, cioè per avere la letizia, equesto è il fine; onde la letizia è nella fine dell’uomo, chèogne uomo il desidera. Tu puoi fare questioni delle coseche l’uomo va cercando per avere, e dicere: perchè fai tuquesto? chè se tu il dimandi: perchè semini il seme? ri-spondoti: per ricogliere; perchè ricogli? per vivere; eperchè vivi? per avere letizia. Non dei mai più dire: per-chè vuoli la letizia? questo detto, dice Aristotile, ch’èuna stoltà; chè a dire: perchè vuoli la letizia? non si deedire, perocch’è fine eterna all’uomo, non ci ha altra finepiù: L’altra ragione si è, che se tu avesti tutti i beni e di-letti del mondo, quanti ne potessi avere, e tu non avessiletizia, non te ne gioverebbe e non ti parrebbe avere nul-la, non ti rifrigererebbe nulla. Onde abbi ciò che vuoli,

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se non hai letizia, nulla hai. Or che ti vale ad avere ciòche vuoli, e non hai allegrezza nulla nè letizia? E peròsono più beati quelli che più hanno del gaudio; e meglioè dunque il povero allegro, c’hae letizia e sta contentodella povertà sua, che non è il ricco che abbonda di beniterreni e sta in trestizia; e però la letizia si è tesauro som-mo. Or disse Cristo agli apostoli: Gaudium vestrum ne-mo tollet a vobis. L’allegrezza vostra neuno uomo la vipuote tòrre. Colle quali parole egli mostra, che agli ami-ci di Dio non può essere tolta la letizia, e la pace, e ’lgaudio dell’anima loro; ma ai peccatori e ai mondani sì.E qui mostreremo come all’amico di Dio non gli puoteessere tolto questo suo tesoro della mente come ai mon-dani è tolto, e perchè: e di questo potremo mostrarequattro belle ragioni. La prima ragione perchè i monda-ni perdono la letizia loro e può loro essere tolta, si è quiaponit eam in extrinsecis, ponit in caducis, ponit in rebusseparabilibus, e propter superfluitatem. Prima quia ponitin extrinsecis. I mondani perdono l’allegrezza e puote lo-ro essere tolta, perchè la pongono in queste cose di fuo-ri, le quali possono essere tolte per molti furi, per li mol-ti nemici. E quali sono questi nemici, quali? Tutte lecriature, chè tutti ti possono nuocere, guastare, tòrre,uccidere, e farti tristo in quelle cose ch’avevi la letiziatua. E questo è quello, che disse Cristo: non tesaurizzatein terra, ove i ladroni il cavano e imbolano, e tignuola ilrode, e la ruggine il guasta; ma il tesauro, cioè la letiziadi santi, non può essere tolta; e la ragione è questa: per-chè la podestà è dentro nell’anima sua e nella mente sua.E chi ci puote entrare dentro? Non ci puote entrare nul-la creatura a torvela, è posta in luogo sicuro, non l’haposta di fuori, ma l’allegrezza loro è dentro da loro, nonl’hanno posta di fuori, e però non può essere loro tolta.La seconda ragione per la quale i mondani perdono, edè loro tolta la letizia, si è quia ponunt in caducis, cioè incose vili, corrotte; chè, se non ci fosse, nullo nemico che

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ti togliesse, ancora le perderesti, perocchè di loro naturavengono meno; onde puoi tu fare che ’l panno non inti-gni? il ferro non irruginisca? no. Così l’altre cose di loronatura vengono meno sì, che se altri non le ti togliesse sìle perderesti, marciano, corromponsi e vengono meno, epanni e bestiame, figliuoli e ciò c’hai. E però i mondaniperdono l’allegrezza loro, è loro tolta; ma l’allegrezza disanti non può essere tolta, non può venire meno, peroc-chè sta dentro nella purità della mente loro, la quale nonmarcisce e non invecchia. La terza ragione si è, quia po-nit in rebus separabilibus, cioè il gaudio loro nelle coseche sono istrane; chè si partono le cose del mondo, nonsono teco, non l’hai, sono diverse da te e possonsi parti-re. Il calore è sì naturale al fuoco, che mentre il fuocoistae fuoco non puote perdere il calore; e così ti dico checose naturali non si possono partire, mentrechè la causadi quello dura. Dunque però ti fuggono le cose del mon-do, ch’elle non sono teco naturali, anzi sono istrane e di-verse; e però troppo bene si possono isceverare da te.Ma la letizia di santi non si puote partire, perocchè nonè strana, anzi è naturale in te medesimo. Quale è questanaturale cosa? Questa è avere purgata la coscienza el’anima di peccati, e avere la coscienza pura; allora tornitu nel primo istato; chè, dice la Scrittura, che Dio creòl’uomo puro e netto. Dunque se tu hai lorda la coscien-za, non se’ tu nella natura tua; ma quando se’ puro, nonè in te macula, allora se’ tu vasello di Dio, ove Dio abita,e se’ tornato nella natura tua, che Dio ti fece; e questo èil tesoro, l’anima pura; e chi puote tòrre questo tesoro alsanto uomo? nullo; però ch’è suo naturale. La quarta siè propter superfluitatem. Però perdi tu la letizia di que-sto mondo, per lo contrario che ci è, perocchè ci è mi-schiata la trestizia; e quanta? più che la letizia. Onde tunon averai in questa vita una allegrezza, che non ti sienodate più di diece tristizie, e in ogni letizia è mischiatamaggiore misura di tristizia e d’amaritudine, o vogli tu o

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no. Ora mi trova nullo c’abbia una allegrezza compiuta,che non vi abbia molta trestizia di più parti, s’egli vorràconsiderare. E perocchè del contrario ci è altrettanto epiù, però si perde, ed è tolta; ma a’ santi non puote esse-re tolta: e, questa è la ragione, perocchè non ci è contra-rio. Se alcuna cosa ci hae, sì soprabbocca tanto il bene,che quello è nulla, ch’è meno che una gocciola d’acquanella fornace ardente; chè in Dio sono tutti i beni creatimaggioremente, e più altamente e nobilmente; perocchèpiù è caldo il fuoco che la cosa ch’egli iscalda, e non so-lamente i beni criati, ma i beni non fatti, che sono in lui;chè potrebbe fare più mondi che la rena del mare, e piùbelli di questo, e compiuti diletti in ciascheduno. Di tut-te queste cose che dicono i santi, secondo che possonoricevere, e’ di tutti saranno beati; chè non solamente aisanti saranno dati a godere i beni di questo mondo, madi quelli che Dio potre’ fare, perocchè si converrà; eperò tutto il male non è nulla, una gocciola appo ’l benedei santi; e però la trestizia del secolo non può loro tòrrel’allegrezza loro; è una gocciola appo quella. E questo èquello che dicea santo Paolo: chi mi partirà dall’amoredi Cristo? nonulla creatura. Ed altrove dice: non sonocondegne le passioni di questo mondo alla gloria di vitaeterna. E però disse Cristo agli apostoli in persona ditutti i santi uomini e amici di Dio: la vostra allegrezzanullo uomo la vi puote tòrre. Oh, tu diresti: or io veggiode’ buoni uomini cadere e tornare a malo stato di pecca-tori; questo come va? Rispondoti: Cristo non disse: tu,non la puoi perdere, ma disse: non ti può essere tolta, nèper demonii, nè per uomini, nè per creatura, se tu nonacconsenti. Ma in che modo la puoi perdere? Non innullo altro, se non togliendolati tu medesimo, nè non al-tra persona. Deo gratias.

Ora incominciò frate Giordano ad ammonire le femi-ne di vizii, di panni lunghi, e degli altri loro vizii. Intral’altre parole disse: Non solamente è peccato a tòrre

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l’usura, ma è peccato a non renderla; onde, quante voltel’usuriere può rendere e soddisfare l’usura e nol fa, tantevolte pecca mortalmente; ora vedete il pericolo ch’èquesto, e così ti dico degli altri. Deo gratias.

LXX

Predicò frate Giordano dì 20 di giugno, domenica mattina, inSanta Maria Novella.

Homo dives, qui induebatur purpura et bysso, et epula-batur quotidie splendide. In questo Vangelio ha tantadottrina e tanta sapienzia, ch’è maraviglia; perocchè quisi mostra il merito de’ giusti e la pena de’ dannati; e mo-strasi come l’anime si cognoscono insieme, mostrasi co-me nell’altra vita i giusti veggono i dannati e i dannati igiusti; mostrasi come nel ninferno non hae nulla reden-zione; mostrasi come i peccatori sono posti e allogati indiversi luoghi, e come i giusti non posson fare nullo ri-frigerio ai dannati; ed ammaestra ancora di vizii, e, dellevertudi e di meriti di catuno; e tutte queste vertudi dà lafede, chè sono articoli di fede, tutti si mostrano in que-sto Vangelio. Disse che ammaestra di vizii e delle vertu-di. Pone in questo ricco più vizii: uno d’avarizia, in ciòche dice dives; di superbia, in ciò che dice induebaturpurpura; di mollizia, cioè delicanza, in ciò che dice bysso.Il bisso è uno lino alessandrino fine, che n’escono i piùbianchi panni e più sottili, e migliori e più gentili chesiano di colà. Epulabatur quotidie splendide. Infine dicrudelitade, chè non solamente è crudelitade a ucciderel’uomo, ma quando vedi il povero che non si può atare,e tu hai della ischiuma, del soperchio, e non lo provvedi.Debbono i ricchi cercare i poveri, se bisogna, quandohanno di soperchio alla famiglia ed allo stato suo; è que-sto comandamento, non è consiglio, dare nella necessi-

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tade altrui. Vizii sono che non li pone il Signore, peroc-chè non è mestiere, chè s’intendono. Non disse che fos-se lussurioso, perocchè non è bisogno di dire, che ci po-se la madre, cioè il mangiare e bere dilicato; convieneche ci sia lussuria. Il vizio della lingua non bisognò di di-re, dicendo che stava in conviti e l’altre cose. Impossibi-le è che questi cotali non offendano in lingua ov’egli di-ce. Poichè dice, ch’era tormentato nella lingua, dunqueera egli peccatore in lingua. Di necessitade è, così dicesanto Gregorio. Il vizio dell’avarizia si è radice di tutti imali, di tutti; e però Cristo mise innanzi il vizio dell’ava-rizia; da quello procedono poi gli altri; e questo dicesanto Paulo, e accordasi in ciò che dice radix omniummalorum est cupiditas. Chè, siccome dalla radice proce-de il fusto, cioè il pedale, e da quello le ramora, poi lefronde, e le foglie, i frutti; così dal vizio dell’avarizia pro-cedono tutti i vizii e peccati. E così l’amore divino èun’altra radice di bene, onde procedono tutte le vertudi,e tutti i beni e tutti i meriti. E maravigliosa cosa di que-sto arbore, che gli altri arbori fanno pure uno frutto, co-me dice il Vangelio: non fa la ispina uve, nè il tribolo fi-co; non fa l’arbore se non il frutto suo; ma questo arborenon è così, perocchè questa fa tutti i frutti; onde questaavarizia è uno arbore che tutti i frutti fa, cioè a dire chetutti i mali e tutti i vizi d’ogne generazione ne procedo-no; e così dell’amore divino ne procedono tutti i fruttied ogne generazione di frutto buono. Bene si potrebbequi dire, che non solamente l’avarizia è radice di tutti imali, di lei nascono gli altri; ma eziandio degli altri vizii,perocchè ogne vizio è radice di male e di tutti i mali.Questo dice la Scrittura, che in un altro luogo dice: persuperbia entrò la morte nel mondo. E santo GiovanniEvangelista dice nella pistola sua: ciò ch’è al mondo si ècupidità d’occhio, questa è l’avarizia, o concupiscenziadi carne, questa è lussuria, e superbia di vita, questa è lasuperbia. Questi tre vizi principali sono principio e radi-

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ce di tutti i vizi, e peccati e mali che si fanno nel mondo,o che fare si possano; perocchè noi potemo peccare intre cose, non in più; perocchè noi non avemo più di trecose dentro a noi, e cose congiunte con noi, ovvero cosedi fuori da noi; dentro a noi è l’anima, poi la carne, difuori sono le cose del mondo; e dentro potemo peccareper vizio di superbia, nel corpo per vizio di carne, difuori per vizio d’avarizia. Da questi tre tutti i peccati delmondo vengono, e non potemo peccare se non nelledette tre cose. A mostrare com’ogni vizio è radice di tut-ti gli altri, e come l’uno nasce dell’altro, si sarebbe bellecose a dire, serberollemi a dire per innanzi un’altra vol-ta, quando piacerà a Dio. Ma pur principalemente l’ava-rizia è radice più principale degli altri vizii; perocchèqueste altre due radici dette, pare che nascano da que-sta; perocchè superbia viene da ricchezze, e’ poveri nonsono così, nè disdegnosi come i ricchi. Ancora ne’ pec-cati della carnalità e della lussuria, ch’e’ poveri appenahanno del pane. Movono i santi quistione se questa si-militudine che Cristo pone, fu vera come dice, o no, cioèse fue posta per esempro. Disse uno dottore, Origene,che non fue vera questa, ma fue posta per similitudine; equesto prova per quello che ’l Vangelio dice, che chiamaparabola; chè parabola è una simiglianza nel parlare diquello che vuole dire. Dicono i santi, che questa fue ve-ra, e non si concordano con Origene, e questo provanosufficientemente. E sono tre modi di questa similitudi-ne. L’uno modo è detto enimma; e questo è quando al-cuno detto è fatto di cosa ch’essere non può, siccome lefavole, che sono trovate per buono esempro ed ammae-stramento, avvegnachè non siano vero; chè pone che lebestie e gli alberi favellino ed abbiano ragione, e nonpuò essere: questa si chiama enimma da’ santi. Un altromodo di parlare per similitudine, che si chiama parabolain greco, è questa è di cosa che può essere, ma non fu. Aquesto modo ne disse il Signore nel Vangelio molte: e di

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quello re che fece le nozze al figliuolo e invitò i poveri e’ricchi, i servi furo male trattati, e poi il re sì gli distrussee uccise. Non fu mai re che questo facesse, non potè es-sere questo. Si chiama in greco parabola. Usavano quellidi quello paese di parlare per simiglianza, quasi in tuttiloro parlari usavano pur similitudini, non parlavano maisanza simiglianza, e questo è troppo bello modo di par-lare; e per l’usanza di quella gente sì usa Cristo nelle sueparole molte similitudini. Noi le chiamamo proverbi.Non solamente sono proverbii cotali parole, che si dico-no in uno tuono, ma proverbii sono dette queste simi-glianze, più principalmente di quelle. Ma queste simi-glianze di Lazaro nè enimma fie nè parabola, cioèproverbio, anzi fie regesta, cioè raccontamento, cioè adire che la simiglianza fu vera; e questo si mostra in ciòche ’l Signore pone il nome di Lazero, c’h’è segno mani-festo che fu così. Ancora ci hae altre prove di quello chefa la Chiesa; due Lazeri sono: l’uno è il fratello di Martae di Maria Maddalena, che fa vescovo, il corpo suo è inMarsilia, e la chiesa sua; e vi si mostra il capo di quellosanto Lazero. Un altro santo è, chè ne sono molte chieseove istanno i malati, chè tutti i luoghi di malati quellachiesa si chiama santo Lazero per tutte le terre del mon-do, salvo che in Firenze, c’hae uno altro nome, cioè sanSebio, non soe perchè. Questo santo Lazero si è quellaanima di colui che ’l Signore parla, che ne fa la chiesa fe-sta, e molte chiese sono fatte al suo nome, che fue queglimalato, pieno di fedite e di malori. Questo ricco era cru-dele, che vedea il povero all’uscio suo, ed era tutto con-tradio a lui e non lo provvedea; chè questi era ricco equegli povero, quegli si vestiva molto morbidamente, siecome i superbi, e questi era coperto di fedite e di scorzefracide, e quegli mangiava bene, e questi non potè averedi quello ch’aveano i cani, e questo ricco non si movevaa misericordia neente. E non è da maravigliare, chè deecosì essere; chè, come dice il savio, che ogne uomo crede

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che ogne uomo sia al modo suo, onde il satollo non cre-de al digiuno, e crede allora che ogne uomo sia a satollo,e quegli e ha fame crede ch’ogni uomo abbia fame, e co-sì i superbi e ricchi non credono c’altri abbia necessità.Esempro bello in vita Padri, d’un santo padre, che ispes-se volte dell’Egitto venìa in Alessandria, chè usavano divenire i santi padri alla città alcuna otta per loro bisogni:questi si riducè con uno maestro che lavorava di pietra etraevasi sua vita; ed ogni volta che capitava lo ricevevaallegramente e davali di ciò che gli era mestiere secondosuo podere questo padre santo ispesso. Ecco il più cari-tatevole uomo che sia, se questi fosse ricco, quanto benee quanta carità farebbe costui; gittossi in orazione cheDio gli desse ricchezze; l’agnolo disse: tu preghi per lamorte sua; ma quando tu pure vuoli, sarai esaudito. Unavolta andando costui al monte solo a cavare pietre, trovòmolto tesoro. Questi tornando a casa si pensò di mutareluogo per fuggire mormorio, andossene in Costantino-poli ed incominciò a fare palagi, ed avere i molti vallettiinnanzi, e fu della corte dello ’mperadore e di maggiori.Venne il santo padre in Alessandria a costui; fugli dettoche non v’era, ma era in Costantinopoli, e là era grandesignore. Costui fa tristo e disse: ben lo mi disse l’angelo:questa anima per me è perduta; s’io ne dovessi andareoltremare, sì ci anderò per la salute sua. Fu là: quandofu alla porta non poteo entrare, anzi ebbe delle bastona-te, e propose di parlargli quando cavalcasse. Costui undì cavalcando per la terra, il santo padre fu a lui, e que-gli il conobbe e volielo riprendere, fu bastonato. Veden-do che ’l fatto suo era nulla, all’ultimo rifugio, all’ultimorimedio, e’ rifugiò all’orazione, tornò a casa e pregò Id-dio che gli desse povertà. Fu esaudito costui. Accusatoallo ’mperadore per alcuno malificio, questi per la pauralasciò tutto il suo, e fu lieto che poteo fuggire. Tuttoispogliato, povero, si ritornò in Alessandria a lavorare lepietre come solea allotta. Disse il santo padre: mai più

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non pregherò che ti dia ricchezze, chè prima eri buono epoi diventasti reo, avei pietade e misericordia. E però iricchi sono crudeli, i più di natura, e’ poveri misericor-diosi i più. Deo gratias.

LXXI

Predicò frate Giordano, 1305, di 4 di luglio, domenica matti-na, in S. Maria Novella.

Gaudent angeli super uno peccatore poenitentiamagente. Di questa ridurrommi ad alquante cose, l’altrelascerò. Vedete com’ è grande la penitenzia, che se nerallegra Iddio, e gli angeli e i santi, Che Iddio se ne ralle-gra, sì si mostra per lo Vangelio, che dice che, ritrovatala pecora, se ne fece allegrezza. Iddio n’ha allegrezzadella penitenzia nostra. E vedete che Dio ne face; tantol’amoe, che però n’ha dati tanti beni della grazia, peròs’incarnò e fecesi uomo, che fu così alta cosa, che ne di-cono i santi apertamente, che se Adamo non avesse pec-cato, il figliuolo di Dio non sarebbe incarnato; avvegna-chè alcuno santo dica altrimenti, non è forza però.Rallegransene gli angeli. E questo potemo vedere chepuò venire da tre ragioni: propter imaginem, propter lu-men, propter adquisitionem. Egli è prima per la immagi-ne, cioè per la biltade dell’anima, ch’è alla immagine diDio, ch’è più nobile e migliore di tutte le creature, fuoridell’angelo. é maggiore danno d’un’anima che si perdes-se, che si perdesse il sole; non che l’uomo sia utile almondo come il sole, ma di verità così è; perocch’èall’immagine di Dio, chè nulla corporale criatura si puòaguagliare all’anima; e però quando uno peccatore tornaa penitenzia n’è somma allegrezza in cielo. Propter lu-men; perocchè l’anima che torna a penitenzia, se primaera laida e sozza per lo peccato, ora diventa bellissima,

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più lucente che il sole; e diventa grandissima, nobile, pe-rocchè l’anima ch’è in istato di penitenzia e di grazia èpiù bella, più nobile che non si potrebbe istimare. Prop-ter adquisitionem. Egli è grande cosa quando nasce al-trui uno figliuolo, o quando altri acquista uno buonoamico. Molto grande allegrezza è così in cielo di tuttiquelli che si salvano, che nascono a Dio ed al cielo. Perogne salvato che si salva si giugne uno amico ed uno fra-tello agli angeli; onde egli hanno somma allegrezza. Al-tresì se ne rallegrano i santi per le sopradette ragioni epiù, perocchè quanti più se ne salvano, più tosto si com-pie il novero degli eletti, e compiuto quello numero isanti hanno gloria consumata, perocchè l’anima si con-giugne col corpo e saranno insieme beati sì. Non dico ioche in vita eterna sia ora nullo difetto, perocchè si con-viene così ora. Ora quello ch’è in cielo è ordine, ed allo-ra sarà ordine altresì, sicchè non potrebbe essere meglioch’è. L’altra ragione si è che sia necessaria un’anima diquelle che de’ essere degli eletti; chè se pure uno ci nefosse meno, tutta la gloria sarebbe difettuosa, siccomedicono i santi; chè tanto è l’ordine che Dio ha preso nel-la natura, che se una minima generazione delle più vilicreature fosse meno, tutto questo universo sarebbe di-fettuoso. Se questo è così, molto maggioremente è chequella è la perfetta ordine. Bene vede Iddio gli elettisuoi, quali sono quelli che sono presenti, e quelli che’deono nascere. Ab eterno gli vide, e per loro fece il cie-lo: se uno ci ne mancasse, tutta quella ordine sarebbemanca e difettuosa e laida; che l’assomigliano i santiall’ordine del leuto, che se pur una corda ci mancassenon suona bene; e siccome il corpo che avesse menouno membro non è perfetto, tutte l’altre membra ne so-no laide, e l’uno dà e compie la bellezza all’altro. Perquesta ragione e per più altre, il peccatore che torna apenitenzia, ch’è degli eletti, dà allegrezza a tutta la cortedel cielo. Deo gratias.

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LXXII

Predicò frate Giordano, 1305, dì 6 di luglio, martedì mattina, ildì di santo Romolo, sulla piazza de’ Priori.

Qui conscripti sunt in libro vitae. Non fui al principioe per la storia; disse per via uno poco della predica. Laparola proposta è di santo Paulo: da entro sono elettiquelli che si deono salvare. Iddio gli eletti suoi al princi-pio gli vide, e conoscegli bene tutti quelli che si deonosalvare, che sono presenti al mondo, e i passati, e quelliche ancora sono a nascere, e tutti gli vide bene. Nonelegge l’uomo Iddio, no, ma Iddio l’uomo; onde Cristodisse nel Vangelio a’ discepoli: Non vos me elegistis, sedego vos; e di questo dichiara santo Paulo, e dice che Id-dio fa a modo del vasellaio, che fa i vasi della terra, chefa diversi vasi da diverse cose, e d’una medesima massa;e tale farà a tenere vino, e tale acqua, tale a altre cose.Così fa Iddio di tutti gli uomini del mondo; sono d’unamassa tutti, siamo d’una massa, d’uno loto, d’uno modo.E perchè ha dato a te grazia che se’ cristiano, ed hai lafede e il battesimo, e non il saracino, che così n’era de-gno egli come tu, dalla sua parte; e tu non l’hai meritatopiù di lui, tu non se’ meglio di lui, e forse che se’ essutopeggiore di lui di vita. Dunque perchè ha eletto te e nonlui? non ci ha altra ragione se non il volere, chè gli è pia-ciuto che così sia: e questo è di sua grande grazia e disuo dono; chè se tu fossi nato tra saracini, quella via ter-resti che fanno eglino; onde tutto questo non è per altrose non per sola grazia e dono di Dio. Questo che vale aconoscere? Vale a questo: c’ha a spegnere ed attutare lasuperbia nostra, ed è materia di molta utilitade; chè vediche Dio t’elegge a quello regno che non l’hai meritato, edatti i doni e la grazia sua, che non l’hai meritata. Ondetutto ciò che se’ se’ per grazia di Dio; non solamentequello che detto è, ma ogne cosa che tu hai, ogne dono,

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grazia, e temporale ed ispirituale, tutto è dono di Dio;per sua grazia l’hai e non per tuo merito, nè perchè de-gno ne sii per nulla cagione, via e modo, che dal tuo latosia: questo ad attutare la superbia e datti umilitade, rico-noscendo da Dio ciò che tu se’, ciò c’hai, beni ispiritualie temporali, e conoscere che da te non se’ nulla, e nonse’ degno per nullo tuo merito, nè per nulla via o modoche in te sia d’avere grazie o dono nullo; ma tutto è purodono di Dio e di sua grazia, di sua benignitade e pieta-de. Deo gratias.

LXXIII

Predicò frate Giordano, 1305, dì 18 di luglio, Domenica, alVespero, in Santa Riperata.

Homo peccator sum. Il Vangelio è grande, e contieneistoria di dottrina. Diceremo pur uno poco della parolaproposta, la quale è di santo Pietro apostolo, che la dissea Cristo: Messere, partiti da me, ch’io sono uomo pecca-tore. Questa parola fu somma sapienza, e vinse tutti i fi-losofi, chè tra tutti i filosofi che si conoscessono, a que-sta sapienzia non vennero di conoscere lor medesimi edi conoscersi uomini peccatori. Onde dice santo Dioni-gio: più si crede oggi alle parole di peccatori, che non sicrede alla dottrina de’ filosofi. Un’altra volta si legge disan Piero, che disse a Cristo: Tu se’ Cristo figliuolo diDio vivo; e qui disse a Cristo: Messere, io sono uomopeccatore. Qui sta tutta la perfetta sapienza, cioè in co-noscere Dio e conoscere sè medesimo. Che prode è per-ch’io sappia i corsi del cielo e delle istelle, e cotali cose, eme medesimo non conosco? Non vale nulla; e questo di-cea santo Bernardo facendosi beffe de’ filosafi, e dicea:multi multa sciunt et se ipsos deserunt. D’uno filosafo silegge che albergò con una donna vedova, il quale uscì

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fuori la notte per vedere le stelle; perocchè non si puosemente a’ piedi cadde in una grande fossa, e fu ripresoper istolto da quella cotale donna. Che giova a porremente a quelle cose che non ti sono utili, e non portimente a’ piedi, che ci hai il pericolo che fossi preso? chèmolto meglio è a riguardarsi e por mente a quelle coseche sono in te, e teco e allato a te, che vagare altrove. Ec-co che san Piero si conobbe peccatore, è dire uomo fal-so; siccome l’uomo dicesse d’una moneta che fosse falsa:questo è oro falso. Così è l’uomo peccatore, il quale èfalso, cioè non è uomo. E’ sono certe cose che aggiu-gnendole non crescono ma menomano, e così dicono isavii: ecco l’asempro. A dire uomo pare uno grande fat-to; arrogici dipinto, non sarà maggiore, ma minore cosa;onde quando tu di’: uomo dipinto, è dire neente, non èuomo. Così arrogici morto, e dica uomo morto, inconta-nente gli togli tutta la virtù, è nulla, perocchè l’uomomorto non è uomo. Così ti dico, a dire: uomo, pare unogrande fatto; ma quando tu di’: uomo peccatore vero,allotta gli togli tutta la virtù; perocchè uomo peccatorenon è altro a dire se non uomo morto, che non è uomopiù. Che vale a considerare ed a conoscersi peccatore vi-le? Massimamente vale a quattro cose: ad impetrandammisericordiam, ad obtinendam gratiam, ad quaerendambenevolentiam, ad obtinendam patientiam. Dico primache vale ad impetrandam misericordiam. E ch’è miseri-cordia? Non è altro se non che Dio ti perdoni i peccati el’offese. Chè più cose vogliono essere acciò che Dio tiperdoni i peccati: l’una si è contrizione, la prima; l’altrasi è timore di Dio, delle pene infernali; l’altra si è amore;l’altra si è umiltà, e l’altre virtudi. Tutte queste cose ti dàil conoscimento di te medesimo, pensando come se’ nul-la da te e conoscendo i peccati tuoi. Chi bene conosces-se la malizia dal peccato, quanto è reo, quanto mal fa,oh, molto dolore gli genererebbe! Se avessi una tua ca-mera bellissima, e tu quella vedessi diguastare e tornare

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a stalla di cavalli e da porci, molto te ne dorrebbe. Altre-sì se un re di grande gloria si vedesse a un tratto ispo-gliare di tutta la gloria e di tutto il reame da un suo ribal-do, molto si dorrebbe; e più dee essere il dolore delpeccato, che nullo dolore che tu potessi avere per nullaaltra cosa, anzi tra tutti i dolori, o di perdere padre, omadre, o figliuolo, o possessioni, o pecunia, o membro,o per infermità. Nullo di questi dolori, o quanti fosseroinsieme, non dee essere tanto quanto il dolore del pec-cato; non dico dolore di carne, chè piccola puntura mifa dolere la carne; ma io dico dolore di mente, che ti do-gli più che di tutti gli altri tuoi danni; e di tutti gli altridanni meno ti dei dolere che di questo, perocchè questogli dee passare tutti. Che è a pensare del peccatore, cheuno tratto perde tutti i beni di vita eterna, tutti, è datoalle pene del ninferno, ed hae perduto l’amistà di Dio edegli angeli? non si potrebbe dire. Altresì se vedessil’anima, peccatore, com’ella è laida e iscura! non haistalla nè privado al mondo più puzzolente. Molto dun-que ti darebbe materia di dolere se conoscessi il peccatoquanto è reo e nocivo; darebbeti umiltade, chè ti cono-sceresti vile vermine (chè da te non se’ se non puzza), efarebbeti orare e pregare Iddio, conoscendo il bisognoche ti fa; e darebbeti l’altre virtudi, per le quali tuttes’acquista la misericordia di Dio. De’ tre altri membrinon diciamo. Deo gratias.

LXXIV

Predicò frate Giordano, questa mattina, 25 luglio, nella piazzadi Santa Liperata, per santo Cristofano.

Glorificate et portate Dominum in corpore vestro. De’doni e de’ beneficii fatti a te dal Signore non attende date se non gloria ed onore, che tu l’onorifichi; non ti ri-

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chiede Iddio se non gloria ed onore. Questo,non fa persè, ma per te. E come potremo onorare Iddio? questo èin tre modi; sì è, come iscrive santo Paulo nella sopradet-ta parola. In tre modi s’onora Iddio: prima in portando,la seconda in sustinendo, la terza in affetto e nell’opera.Dico prima che si onora in portando. E quando porti tuGesù Cristo? quando porti il regno suo, il gonfalone suo.Molti sono che si vergognano e hanno disdegno: questinon portano Gesù Cristo. Di tre modi sono questi porta-tori: sono uomini che portano Gesù Cristo, pare loro leg-giere; sono altri che pare loro grave; sono altri che pareloro importabile. A uno giugante portare una pietra gliparrebbe una paglia e una penna, ad altri uomini nonparrebbe lieve; ma avvegnachè la portassero sì parrebbeloro grave; ma i fanciulli non la potrebbono pure muove-re. Or così ispiritualmente. A cui è leggiere Gesù Cristo?a coloro che l’amano, a costoro è leggiere. La Scritturadice ch’egli è pesante com’uno monte, e leggiere. A cui ègrave? a cui non ha tanto amore. A cui è importabile? acui non ha fiore dell’amore suo. Questi, quando GesùCristo il batte per tribolazioni, nol può sostenere; maquelli che l’amano, pognamo che siano afflitti per tribu-lazioni, sì il sostengono e portano per lo suo amore leg-gieremente; e s’è grave, non è difetto di Gesù Cristo, mapure dalla parte nostra, chè siamo male disposti. SantoCristofano portò Gesù Cristo, quel peso che sostiene ilcielo e la terra. Deo gratias.

LXXV

Predicò frate Giordano, 1305, dì 7 d’agosto, sabato mattina, ildì di santo Donato, a San Donato de’ Vecchietti. Deo gratias .

Datur nomen, ecc. Non fui al cominciamento, ed an-che disse pure uno poco. Dicea: Sono nomi di cose pre-

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senti, sono nomi di cose assenti. Nomi di cose assenti so-no, siccome quando odi dire di santi antichi, di re e disignori, la dignità loro, la ricchezza e la gloria, loro vitto-rie; queste sono assenti quanto al tempo. Sono altre coseassenti quanto al luogo ma non a tempo, siccome quan-do odi dire del re di Francia, la ricchezza sua, la dignita-de sua. Sono nomi di cose presenti, siccome di quellecose che vedi, e odi e senti co’ senni tuoi corporali, cosedi bellezza, di fortezza, e di magnificenzia e d’ammira-zione; le quali l’uomo nella mente disidera e ama; avve-gnachè non l’abbia in sè, non però di meno l’ama e vor-rebbe avere in sè; vorrebbe essere bello, come vedi moltialtri; vorrebbe essere forte, ricco, sano, allegro, come ve-de essere molti altri. Sono altresì nomi di cose che nonsono, nè furono, nè saranno; queste sono le cose chevengono altrui ne’ pensieri, nella immaginazionedell’anima; siccome molte volte l’uomo si penserà e im-maginerà uno monte d’oro, non è pure egli, la immagi-ne. Altresì s’immaginerà una cittade tutta di marmo,questa non fue mai nè sarà, e si la si immaginerà. Altrialtresì si penserà d’avere alie e volare, essere uno grandesignore, dispenserà grandi fatti e grandi mene. Ora dicesanto Paulo che Dio darà a’ santi suoi nome, il qualesarà sopra ogni nome, meglio che tutti i nomi di re. Sa-pete come pare grande cosa i re; e ode altri dire quelligrandi fatti di loro, e disiderali l’uomo sempre. L’uomoè di questa natura, che pensa essere pur beate tutte lecose assenti, e fuori di suo istato. Questa è bellissima pa-rola, e vorrei che ci fosse più gente a udirla, ch’ella è pa-rola verace. Dico che l’uomo è di questa natura, che lecose assenti e che non hae provate puta più beate che loistato suo; siccome la persona vede il cardinale, il papa,crede che sia una beata cosa molto, e non è così, anzi ètutto il contrario; e sì vedi che se poi vengono a questoistato, sì si dolgono, e non ci trovano quello bene checredeano, nè quella pace nè quello riposo, anzi molta

Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

amaritudine. Chè disse il cardinale d’Ostia, che fue fratepredicatore, venne a morte e disse: Frate Giordano (eglidisse a me ed a altri), Dio il volesse ch’io mi fossi anzi es-suto tra frati colla cappa mia umilemente, e non così. Al-tresì interviene alla vergine questa beffa; riputerà lo sta-to del matrimonio uno grande fatto, e che sia moltobeata cosa; crederà che ’l diletto carnale sia una beatacosa, verrà e cadrà in peccato; quando vede la vita delpeccato, e com’è vile cosa, lo stato bello c’hae perduto,sì si tiene ingannata. Onde molte che sono in matrimo-nio se ne pentono, e maladicono il dì e l’ora che a ciòconsentirono; quando s’avveggiono della viltà, e dellasozzura e dell’abominazione ch’è in questo istato, il qua-le non si pensava. L’una vergine pensava essere beatacosa quel diletto, vollelo provare e provollo; vide la soz-zura e la viltà ch’era; e considerando ch’avea perduto ilgiglio suo della verginitade, il quale mai raccattare nonpotea, tanto fue il dolore ch’ebbe di ciò, ch’ella prese ilcoltello, ed ella medesima si diede la morte. Non fecebene in ciò, fece male che s’uccise, ma in ciò è da lodare,che riconobbe la miseria sua in quello che miseramenteavea perduto. Sicchè sempre crede la persona che siapiù beato lo stato assente, che quello ov’è presente.Questo adiviene perocchè non sente i difetti che sono inesso. Migliore sarà il nome che Dio darà a’ santi suoi,che i nomi di tutti i re e di tutte le degnitadi del mondo;siccome santo Paulo dice in altro luogo: Quae visibiliasunt, temporalia; quae autem invisibilia, sunt aeterna. Lecose visibili sono date a tempo, ma le invisibili sonoeternali e non hanno fine. Che agguaglio è dalle cosetemporali all’eternali? più che da una gocciola d’acqua atutto il mare, più. Ancora il nome di santi è maggioreche tutte le cose che la mente può immaginare e pensa-re, e di novità e di grandezza; e questo dice santo Pauloin altro luogo: Occhio non vide, orecchia non udì, incuore d’uomo non salìo quello che Dio ha apparecchia-

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to a quelli che l’ameranno. Prima parla delle cose che siveggono, quando dice: oculus; appresso di quelle che sisanno per udita, quando dice: nec auris audivit; appressodi quelle che pensare o immaginare si possono, quandodice: nec in cor hominis ascendit. Dunque maggiore è ilnome di santi e i beni che Dio ha loro apparecchiato,che nulla cosa di questo mondo che si veggia e oda osenta, o che immaginare si possa; maggiore è quello divita eterna, che nulla cosa che immaginare si possa; e laragione è questa: perocchè quantunque elle siano diver-se e magnifiche, che mai non furono nè saranno, almenole puoi tu immaginare e possonti andare per lo cuore;ma i beni di vita eterna sono sì alti e nobili, che non sipossono pensare nè immaginare in alcuno modo. Deogratias.

LXXVI

Predicò frate Giordano, 1305, dì 8 d’agosto, Domenica, doponona, in Santa Maria Novella, ed anche al vespero, in Santa Ri-perata; vi disse di quello medesimo, ed anche ricompiè la pre-dica.

Non potest arbor mala fructum bonum facere. Perquattro ragioni e grandi difetti adiviene che la mala al-bore non può fare frutto buono: propter radicis perversi-tatem, propter virtutis defectum vel propter defectumadiutorii, propter mali consuetudinem, propter animae se-parationem. Prima dico che la mala albore non può farefructum bonum, prima per cagione di radice sua la qualeè rea. L’albore, quando hae corrotta la radice sua, nonpuò mai fare frutto buono, ma i suoi frutti sono corrottie malvagi. Qual è questo albore? l’uomo si è, come dico-no i santi e’ savii, il quale l’appellano albore travolto.Quale è la mala radice? questa è la mala voluntade

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dell’uomo. La voluntade è radice e principio di tuttel’opere nostre. Se questa radice è buona, i suoi frutti so-no buoni e dolci, ma s’ella è ria, di necessità convieneche siano rei tutti i frutti ch’ella fa, e non ne può fareuno buono. Ora tu diresti: quando uno reo uomo fae li-mosina o digiuna, o cotali cose, non è buono? Dicoch’ogni suo frutto è reo e non buono. Può egli ben farealcuna opera di buona vista, ma ree sono di verità. Eccoche il Segnore dice, che non può fare buono frutto l’uo-mo ch’abbia mala voluntade e sia corrotta la volontàsua. Non dico io che l’uomo di mala voluntà non si pos-sa mutare ed averla buona, e fare poi opere e fatti buoni;ma pure questo è di necessitade, che mentre che questamala radice ci sarà, cioè la mala voluntà corrotta, mai inperpetua non può fare altro che male frutto. Bene puòegli fare alcune opere d’alcuna vista di bene, ma falsosono; siccome si dice di quelli belli frutti che sono lungoil mare morto, che paiono i più belli frutti del mondo, ei più belli colori hanno; ma quando li vieni a cercare edaprire e’ sono vuoti e vani, e malvagia roba. Così sonol’opere di peccatori, quelle c’hanno alcuno colore di be-ne di fuori. Ora tu dirai: or lascerà dunque di non farenulla buona opera? non dee lasciare, no; perocchè avv-vegnach’elle siano vane e rie, sì ti dispongono a peniten-zia, e vagliono a più cose. Dunque l’albore non può farebuono frutto abbiendo la radice corrotta. La secondacosa perchè l’albore rio non può fare buono frutto, si èper lo difetto dell’aiuto della grazia divina in tutte l’ope-re buone che noi facciamo. Tutte principalmente si fan-no per vertù divina e grazia aggiunta a quelle opere; eove la grazia divina non è non può essere mai nullo buo-no frutto o nulla opera; perocchè ogni buona opera vie-ne dalla grazia divina, come dice santo Paolo. Dunquequello cotale che per lo peccato e per la mala voluntadeha cacciata da sè la grazia, non può fare mai buono frut-to. La grazia divina mai stare non può ove è peccato e

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mala volontade, siccome l’uno contrario non può istarecon l’altro; e però l’altro rimane isterile e corrotto. Laterza cagione perchè l’albore rio non può fare buonofrutto, si è la mala usanza, quando la persona invecchianel male. Ora questa è pessima cosa che non è modo;troppo è pericolosa cosa invecchiare l’uomo nel male ene’ peccati; perchè? perocchè si converte in natura, ecome ch’è qui mai non ne può uscire, ch’è legato, inca-tenato. E però le persone use nel male lungamente e ne’vizi il loro pericolo è sommo; perocchè qui non ne tornamai nullo, o se ne torna alcuno, non mai bene, e se alcu-no ne torna bene, si è per grazia e dono divino, e per sin-gulare grazia. Questo fue significato in Lazero, ch’eraistato morto quattro dì e putiva, al cui risuscitato abbi-sognaro orazioni, lagrime e grida, grandi fatti. Pessimacosa è l’usanza nel male, pessimissima d’ogne parte.Quanto tempo avemo di potere tornare a penitenzia? Se’l demonio avesse tempo d’uno battere d’occhio sarebbesalvo e perfetto, ch’è così pessimo; e noi avemo tantotempo, e non torniamo a penitenzia, chè di rio puoi di-ventare buono, anzi di pessimo puoi diventare ottimo.L’altra cosa perchè l’albore rio non può fare buone frut-te, si è per l’anime separate dopo questa vita, quandol’anima è fuori del corpo. Insino che l’anima è nel corposi può mutare tuttodì di buono in rio, e di male in bene,ma dipo’ la morte non può mai ritornare di ria in buona.E vedete mirabile cosa ch’è la volontade, la quale è lapiù mobile cosa che sia, più che foglia, che tuttodì simuta; e sarà la persona di cento voleri, e tuttodì si mutadi voluntà, e quello che via via gli piacerà, ora gli dispia-cerà, e così vae tuttodì. La più inistabile cosa che sia si èla voluntà dell’uomo; e questo viene dalla carne, con laquale l’anima è congiunta. Ma dipo’ la morte l’anima èpartita dalla carne, questa volontade ch’era così mobilediventa immobile, e sta sempre ferma come montagna.Onde incontanente che l’anima è fuori del corpo, ciò

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che in questa vita elesse si tiene sì forte, che mai non sipuò mutare da ciò in perpetuum; perchè? perocchè, di-cono i santi, che diventa incontanente ostinata. E che è adire ostinato? è a dire confermato nel male in tale modo,che mai non si può mutare. E questo perchè viene? pe-rocch’è partita da carne, e ciò che in questa vita elesseper volontade, con quella istarà sempre in eterno; e cosìquella ch’averà eletto il bene, come quella ch’averà elet-to il male. S’averà eletto il bene, con quello istarà sem-pre, e mai non potrà volere nullo male, e sarà conferma-to in bene; s’averà eletto il male altresì. Onde i dannatinon possono avere mai nullo buono volere, anzi ame-rebbono e vorrebbono sempre peccare, e piace loro ilpeccato che fecero, e questa sarà la loro pena, ch’ame-ranno i diletti carnali e vorrebbonli, e gli altri peccati, enon gli potranno avere; non perdono mai il male voleredella concupiscenzia e degli altri peccati; confermati visono in perpetuo. Qui si ha più dubbii: l’uno si è che tudi’ c’hanno pur mal volere, e’ pare che l’abbian buono.Alcuna otta si è come si legge del ricco nel Vangelo, chemandò a protestare a’ fratelli. Ora in che modo eglinodesiderino i diletti carnali, e altre quistioni che ci ha,non posso ora ispianare. Deo gratias.

LXXVII

Predicò frate Giordano, 1305, dì 10 d’agosto, martedì mattina,il dì di santo Lorenzo, in sulla piazza di Santo Lorenzo.

Cola Iddio i santi suoi come l’oro e come ariento.Questa autorità è della santa Scrittura. Chè la provadell’oro si fa in molti modi: quando si pruova a vista,quando a peso, quando a paragone, ed a certe altre cose;ma il migliore modo e ‘l più ottimo a provarlo veramen-te si è il fuoco, ch’al fuoco se ne fa verace prova. Mostra-

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si prima la disposizione di messere santo Lorenzo in ciòche fu provato per fuoco. A tre cose vale e è utilità ilfuoco all’oro: prima ad examinandum, la seconda ad pu-rificandum, la terza a darli forza. Dico che vale a tre co-se, cioè ad esaminare, perocchè nel fuoco si conosce cheoro egli è, o s’egli è oro; perocchè se fosse altro sì si con-suma, e manca e viene meno. Vale ad affinare, non chel’oro s’affini, chè l’oro non si può più affinare, ma quelloè detto quando se con l’oro avesse mescuglio, ègli levatodi dosso, e ènne purgato; onde allora è detto l’oro nonfine quando hae seco mescuglio d’altro metallo o d’al-tro. Vale altresì a dare forza, chè l’oro da sè è duro, e ’lfuoco il fae liquido, allotta gli dà forza. Dico prima chevale ad esaminare in provare, siccome detto è. Per nullomodo si prova sì bene come per fuoco; allora si vedes’egli è oro, o sì o no, ovvero chente è; s’egli è buononon manca, s’egli è falso sì manca e viene meno inconta-nente, perocchè nullo metallo può durare al fuoco, co-me fa l’oro; e però si consumano, vannone in fumo, el’oro rimane. Così Iddio prova i santi suoi, e provò mes-sere santo Lorenzo. Ora tu diresti: che bisogno fae a Dioqueste pruove? non sa egli chente altri è, sanza pruova?sì bene; ma questa pruova non fa egli per sè, ch’egli il sabene; ma egli il fa per gli altri, acciocchè sia conosciutodagli altri, e fallo altresì per lui medesimo, che si cono-sca sè medesimo. Molti hanno di sè troppo grande opi-nione, e tiensi molto migliore che non è, e questa è gran-de superbia. Vuole Iddio umiliarlo e fallo riconoscere sèmedesimo, e pruovalo per tribulazioni. Per lo fuocos’intende le tribulazioni: allotta se questi viene meno emanca, si è nulla il fatto suo; e allora quando vedi chenon hai vertù contra le tentazioni, sì ti riconosci vile ecattivo uomo, e di poca vertù, e uomo peccatore: primati tenevi uno grande fatto, e ora vedi che non se’ nullaquando sei messo alla pruova. Così provò Iddio David,che si riputava essere uno grande amico di Dio: provollo

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Iddio e puosegli innanzi il fuoco della tentazione, unafemina. Iddio fu quegli che gli puose innanzi. Prima eprincipalmente da Dio le tentazioni e le tribulazioni; on-de non pensate che sia fattura d’uomo le tentazionich’avete e queste tribulazioni; tutto il fae Iddio: nonch’egli faccia la colpa, questa fae l’uomo, ma egli pone latentazione. Onde egli dice nella Scritiura: Nullo male ènella città che Dio non faccia, cioè tutto le tentazioni e lepene; non s’intende della colpa. Ogne cosa fa Iddio epermette per grande bene, e Dio le tentazioni de’ dimo-nii le reca a suo piacere, non perchè i dimonii il faccianoa buona intenzione, no; ma, vogliano eglino o no, gli usaIddio a suo piacere e ad utilità delle genti. Or posta aDavid innanzi la tentazione, sì cadde immantinente, al-lora si conobbe vile e che da sè non era nulla; e però eglidicea a Dio: Messere, bonum mihi quia humiliasti me.Umiliollo per le tentazioni. E altresì prova Iddio la per-sona perchè non si disperi. Sono uomini c’hanno di sèmala opinione, ch’è uno di migliori affari del mondo piùche non è, assai. Diverse sono l’openioni delle persone,diversissime molto. Averà tale otta alcuno sì mala ope-nione di sè che si vorrà disperare, e non crede che Iddioli perdoni, non crede avere grazia da Dio. Costui pruo-valo Iddio per farlo conoscere che non si disperi. Alloraquando egli si vederà forte, che non viene meno nellatentazione, non ha così mala opinione di sè. A questomodo provò Iddio Iob, che si riputava troppo infermo;ebbe quelle tribulazioni, non si iscandalezzò, fa a lui ma-teria di grande sicurtade. Così provò altresì Abraam,quando gli comandò che uccidesse il figliuolo. E pruovaIddio gli uomini non solamente per farli conoscere a lo-ro medesimi, ma per manifestarli agli altri. Molti parran-no amici di Dio e sante persone, e saranno molte voltetutto il contrario, ed altri li riputerà santi. Vuole Iddioche si manifesti la reità sua alle genti, proverallo col fuo-co della tentazione e della tribulazione; allora quegli si

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fiaccherà e verrà meno, e tornerà in cenere, e si seccheràe verrà meno; e siccome paglia non può durare al fuoconeente, allora si manifesta al mondo quello che costui è.Di questo sono molti asempi antichi e novelli. Altresìsarà uno santo uomo, amico di Dio, di grande altezza;interverrà che non sarà conosciuto, imperocchè non èprovato, e stassi così, e non è conosciuto; e molti uominisanti e di grande carità se ne vanno così insino alla fine,che non sono conosciuti in questo mondo, ma tutti siconosceranno al die del giudicio. Ora addiverrà chevorrà Iddio mostrare al mondo la gloria e la grandezzad’alcuno suo amico e d’alcuno santo, e metterallo allagiostra, esaminerallo per fuoco di tentazioni, chè ’l ve-drà il mondo, e quando ne sia fatta pruova, allora cono-scerà il mondo la degnità sua. Sì, quando Iddio vuoleonorare uno suo santo in questa vita, sì fae così siccomefece ad Abraam. Prima non si conoscea la fede e l’obe-dienzia sua ch’egli aveva a Dio; ma quando fue provato,allora conobbe il mondo la vertù sua, e però in tutto ilmondo risuona. E così anche la pazienzia di Iob. Cosìprovoe Iddio messere santo Lorenzo, miselo al fuoco, egiucavasi col fuoco come con fiori insue il prato; per laquale cosa tutto il mondo il loda e magnifica. Quantechiese sono fatte a suo onore, e quanto è lodato e bene-detto, non si potrebbe dire; chè la sua festa ha vigilia eottava nella Chiesa di Dio, che non si fae più di nullomartire, se non di santo Istefano; onde egli è solennissi-mo nella chiesa di Gesù Cristo: non era degna cosa cheuno cotale santo, uno cotale gigante se n’andasse cosìnon conosciuto. Dunque vedi come Iddio esamina lepersone; siccome egli dice: Io sono quegli che cerco icuori e le reni; non che a lui sia mestieri, ma per manife-starlo agli altri. Non solamente vale ad esaminare, mavale ad affinare. Non che l’oro si possa più affinare in sè,ma è detto che si affina quando si partisse da lui altromescuglio di metallo o d’altro, per li quali l’oro diventa

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impuro e immondo. A questo modo mette Iddio a fuocoi santi suoi, acciocchè si affinino, acciocchè si purghinodel male mescuglio; perocchè questo mondo ch’è tuttoimmondo, chi stae al mondo conviene che diventi im-mondo, per la conversazione c’hae col mondo. Dicono isanti che questo mondo è tutto impuro e tutto lordo;onde egli è tutto contrario al nome suo, e per contrariogli fae posto nome mondo; siccome al mare è posto no-me per contrario pontus , chè sapete che in mare non sipuò fare ponte; e siccome il demonio, ch’è tutta tenebra,è chiamato Lucifero per contrario; così il mondo, per-ch’è tutto immondo e maculato, però ha nome mondoper contrario. Sicchè chi istae al mondo non può fareche non si lordi e che non si maculi, e sì per la moglie, eper la famiglia, e per li parenti, e per gli amici, e per l’al-tre cose del mondo; e commettonsi peccati veniali sanzafine, e non si può la persona conservare puro stando almondo, ch’egli non sia tentato, e ch’egli non caggia inpeccato, no; nullo, se non forse alcuno, e questo è perispeziale dono divino e ispeziale grazia di Dio. Vuole Id-dio i servi suoi puri e mondi, siccome egli ch’è purissimoed è spirito vuole l’anime purissime, non si cura di mon-dizia di carne, no, questa è nulla. Egli vuole pure lamondizia, la quale è principio e fontana eziandio dellapurità della carne; siccome vedete che mentre che l’ani-ma è nel corpo, il corpo istae forte e sano e fresco; maquando l’anima n’è fuori, sì si corrompe e diventa cene-re e vermini. Dunque vuole Iddio i servi suoi purissimi,e non vuole vedere nella corte sua nulla immondizia,non è acconcia a ciò; e però i servi suoi, i quali egli vuolemettere in quella corte di vita eterna, e innanzi li purgaed affina, acciocchè non ci sia altro ch’oro provato edaffinato. Questo purgare si fa, come detto è, per fuocodi tentazioni e di tribulazioni; onde nullo può entrare invita eterna, se prima non si purifica; siccome diceva ilprofeta: Transivimus per ignem et aquam, et duxisti nos

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in refrigerium. Passare ci conviene per acqua di battesi-mo, appresso per fuoco di tentazioni e tribulazioni: cosìla spongono i santi. E santo Paulo dice de’ santi e deglieletti: conviene loro per fuoco passare alla gloria, inten-desi per tribulazioni. E in altro luogo dice: per molte tri-bulazioni ci conviene entrare in vita eterna. Messer san-to Lorenzo fu affinato e purificato, e allogato con quelliservitori divini, ove è tutta purità. La terza cosa che fae ilfuoco all’oro si è che gli dà forza. I metalli da sè sonoduri, e non si potrebbe dare loro forma; ma il fuoco,quando strugge l’oro e gli altri metalli, allora si dae loroforma agevolemente, o vuoine fare coppa, o vuoli calice,o vuoli nappo, o cheunque tu vuoli. Questa proprietà hal’amore divino; ciò dicono i santi, che ’l suo principalenome si è di fuoco; non parlo ora del fuoco delle tribula-zioni, ma del fuoco dell’amore divino. Una delle pro-prietadi ch’egli hae infra l’altre si è liquefactio, cioè chehae a colare e inliquidare. Tutte le cose che per freddos’uniscono e indurano, per caldo si dissolvono; e così èdel contrario altresì. Onde quando per caldo i metalli sicolano, segno manifesto è che per loro natura fredda so-no duri. Dunque l’amore di Dio hae a liquefacere, e acolare, ed a liquidare il cuore di peccatori duro e lapi-deo. E vedete mirabile cosa quale è la frigidità del pec-catore; è che non hae neente dell’amore divino; e perònullo divino comandamento riceve o nulla divina ispira-zione, e se Iddio gli dice: osserva i comandamenti, nonne vuole fare nulla; dare limosina non vuole; digiuna,non vuole; vae alla chiesa, non vuole; tieni castità, nonvuole; è duro, che non ci può entrare nullo divino consi-glio. Che fae il fuoco dell’amore divino? Liquefae quellocuore, e colalo e struggelo in tale modo, che di così pes-simo diventa così ottimo, che prima non valea a fare tut-te queste cose, e ora gli sono leggieri a farle tutte, e fan-ne Iddio vaso onorevole a lui nella corte sua adunqueformali egli e vuole. Così del beato Lorenzo: esaminato

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

e provato e affinato e purificato, e poi nell’amore divinoliquefatto, e fecene Iddio uno vasello bellissimo, digni-toso nella corte celestiale. Deo gratias.

LXXVIII

Predicò frate Giordano, 1305, dì 15 d’agosto, Domenica matti-na, in Santa Maria Novella, il dì della Donna. Deo gratias. Be-nedetto Cristo.

In haereditate Domini morabor. Questa festa è la mag-giore di tutte le feste della Donna; e questo si mostra permolte ragioni, le quali lasciamo, e una sola ne diciamo:imperocch’oggi ella ricevette quello che ricevere dovea;tutti gli altri doni ch’ebbe la Vergine Maria erano nulla,se questo non avesse avuto, ch’ella ebbe il maggioreprincipio che di pura creatura che mai nascesse; peroc-ch’ella si vide annunziata dall’angelo, e videsi partorirevergine, e videsi nato Iddio; sicchè ’n lei furono le mag-giori cose cheunque mai furono, o saranno, o, essere po-tessono in creatura. Tutte le dette cose sono gloriose perquesto dono che oggi ricevette, cioè che fue allogata nel-la gloria insieme col figliuolo. Che le sarebbe giovatotutte l’altre cose ch’ebbe, se questo non avesse avuto?nulla; e però questo fue compimento e perfezioned’ogne sua gloria. Quale è maggiore disiderio della ma-dre, che trovarsi insieme col figliuolo nella gloria e nelloregno suo? E però ella in questa pistola che si canta dilei sì si gloria dell’onore e dell’altezza sua: la quale pisto-la, iscrive il profeta, e puossi dire dirittamente che sianoparole della Vergine Maria, e sono tutte parole di gran-de sapienza e di grande altezza. Lasciandole tutte piglie-remo pure una. Ecco il profeta in persona della VergineMaria dice queste parole: In haereditate Domini mora-bor: nelle quali parole si mostra tre cose di grande sa-

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pienzia ed eccellenzia della Donna nostra. Prima bono-rum felicitatem, in ciò che dice in haereditate; la secondadignitatem gloriae, in ciò che dice: Domini; la terza èhaereditatis permanentia, in ciò che dice morabor. Dicoche si mostra l’abbondanzia di beni in ciò che quelli be-ni appella ereditade; mostrasi la dignitade della gloria inciò ch’è reditade del Signore, cioè di Dio; mostra comenon hae mai fine, come le reditadi del mondo, che ve-gnono meno. Dico prima che si mostra la felicità di benidi vita eterna in ciò ch’è appellata ereditade; vedi che lagloria di vita eterna è appellata redità; e perchè? per treragioni: propter felicitatem, propter successionem, e prop-ter perfectionem. Prima dico che la gloria di vita eterna èappellata haereditatem per filiationem, perocchè si dà a’figliuoli. Quella è detta ereditade che si lascia a’ figliuoli,e così, nè più nè meno, quella ereditade e quella glorianon si dà se non a’ figliuoli. E quali sono detti figliuoli?quelli i quali hanno la similitudine del padre; siccome ilfigliuolo naturale dell’uomo, il quale, avvegnachè nol so-migli in tutte fattezze, almeno sì è uomo, ed ha quellanatura ch’egli e quelle membra. Non sono figliuoli ver-mini che nascano dell’uomo, no. Chi sono quelli c’han-no la similitudine del padre, cioè di Dio, quali sono essi?quelli che sono pacifici, e umili e ubidienti a Dio. Pro-pietà del Figliuolo di Dio si è essere pacifico. L’uomosanto è tutto pacifico; e però primieramente i pacifici so-no detti figliuoli di Dio, chè Gesù Cristo dice: Beati i pa-cifici, chè figliuoli di Dio si chiameranno. Dunque se peressere pacifico è detto altri figliuolo di Dio, dunque di-ritto figliuola di Dio sopra tutti gli altri fu la Donna no-stra Vergine Maria; chè non si trova mai in pura creatu-ra tanta pace e tanta pacienzia, quanto in lei; e però piùè degna di quella ereditade che nulla pura creatura; al-tresì per l’obedienzia sua e per l’altre virtudi. Il profetala loda e dice: Audi, filia, et vide, et inclina aurem tuam,et obliviscere populum tuum et domum patris tui. Lodala

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d’audienzia, in ciò che dice audi; lodala d’intelligenzia,in ciò che dice vide. Differenzia è intra audienzia e intel-ligenzia.Lodala d’obedienzia, in ciò che dice inclina au-rem tuam; lodala d’opera perfetta in ciò che dice et obli-viscere, perocch’e’ parenti fanno perdere l’anima. Sopraquesta cosa fue questa predica, furono parole leggieri,non le iscrivo. Deo gratias.

LXXIX

Predicò frate Giordano, questo dì dopo nona, in Santa MariaNovella. Deo gratias .

In haereditate Domini morabor. Dicemmo stamani co-me la gloria di paradiso è detta ereditade, perocchè sidae a’ figliuoli; e però vedemmo com’è data alla VergineMaria quella ereditade; imperocchè ella ebbe in sè tuttequelle condizioni che deono avere i veraci figliuoli, piùperfettamente che mai avesse nulla creatura fuori del fi-gliuolo di Dio, il quale è diritto figliuolo di Dio, verace enaturale. La seconda ragione, per la quale quella beati-tudine è detta ereditade, si è propter successionem, cioèche si dà dopo morte: non come si dae questa, che si daedopo la morte del padre, chè Iddio non può morire; madassi dipo’ la morte del figliuolo, cioè dipo’ la morte tua.Questa differenzia intra l’altre hae della eredità di vitaeterna a quella del mondo, che quella del mondo si daedipo’ la morte del figliuolo, e questa dipo’ la morte delpadre. Dunque è detta eredità, perocchè si dà dipo’ lamorte. Tre sono le morti: morte temporale e naturale,morte di servitudine, morte di legge. Dico prima chequella ereditade si dà dipo’ la morte naturale e corpora-le. Ben potrebbe Iddio darla sanza morte, chè mai la re-dità mondana si dà e puossi dare in vita, siccome si leggedi David ch’ereditoe Salomone suo figliuolo; e così po-

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tea Iddio sanza morte della Vergin Maria darle la redita-de, ma non volle. E questo fue massimamente per tre ra-gioni: propter debitum, propter meritum, et propter exem-plum. Prima per lo debito della morte, il quale in tutta lanatura umana per lo primo peccato del primo uomo è.Ella era di quella massa, ma la morte sua, dicono i santie pruovanlo, che fu sanza pena. Bene morìo veracemen-te di quella medesima morte che muoiono gli altri, maquesto ebbe, che non s’intende pena di morte, nè ezian-dio quello corpo sentìo corruzione; perocchè non eradegna cosa che quello corpo e quello vaso, quello tesoropurissimo, che mai non sentì corruzione alcuna di nullopeccato, ch’egli sentisse nulla corruzione e nulla puzza;e però i santi dicono ch’ella non sentìo pena di morte,nè dipo’ la morte non si corruppe il corpo. Or tu diresti:dunque che morte fu, s’ella non sentìo pena? non fuedunque morte? Rispondoti: secondo che dicono i santi,non è detta morte solamente pur quella ch’è penosa, maè detta morte il movimento; onde dice santo Agostino,che in ogni movimento è morte: non è sì piccolo movi-mento, nel quale non vi sia alcuna morte; onde nel cielohae alcuna morte per lo movimento che v’è; e questo sipruova diligentemente. Dunque se nel movimento èmorte, dunque morìo la Vergine Maria quando l’animasi sceverò dal corpo, e mutossi di questo mondo in vitaeterna, e morìa veracemente. La seconda ragione per laquale piacque al suo figliuolo ch’ella morisse di mortenaturale si fu per meritare, acciocch’ella meritasse mag-giore gloria. E che meritò nella morte? quello ch’ella fe-ce in tutte l’altre pene ch’ella sostenne in questa vita,delle quali il Signore non la liberò, anzi gli piacquech’assai ne provasse, come s’è di fame e di sete, di fati-che, di povertà, di freddo, di caldo, e di cotali cose, del-le quali ella fue premuta in questa vita. La morte è unapena intra l’altre che la persona sostiene, salvo che quel-la è la maggiore di veruna dell’altre, e altresì per la ver-

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gogna; chè di somma vergogna è che ’l corpo dell’uomo,il quale è ’l più nobile corpo che sia, essere messo sotter-ra, e convertirsi in cenere e in polvere. Non che ’l corpodella Vergine si corrompesse come fanno i nostri; e peròper accrescere il merito volle Iddio ch’ella morisse. Laterza ragione si è per esempio. Molti averebbono in odiola morte e temerebbonla troppo, se Gesù Cristo e laVergine Maria non l’avessono presa per loro; ma accioc-chè sappi che alla gloria non si puoe venire se non permorte, e’ volle Gesù Cristo e la Madre andare, per que-sta via, acciocchè tu veggi che la gloria non può venirese non per morte; acciocchè non la temi, non la ischifi,anzi la sostenghi leggiermente e non sia grave, come dicesanto Paulo. Vedendo che non si potea congiugnere aDio in gloria se non morisse corporalemente, sì dicea:cupio dissolvi, essere con Gesù Cristo, io disidero lamorte per essere con Gesù Cristo; chè non la temea, madisideravala. Per queste ragioni dunque, e per molte al-tre, volle Iddio dipo’ la morte corporale dare la reditàalla Donna nostra. E dassi ancora quella reditade nonsolamente dopo morte naturale, ma dipo’ morte di ser-vitudine, e di quella servitudine che dice santo Paolonella pistola, cioè servitudine di corpo; chè l’uomo tuttoil tempo della vita sua è sottoposto e dato alla servitudi-ne del corpo suo; ed è sì grande, che dal principio dellavita dell’uomo insino alla morte è servo del corpo suo;ed è sì grande e sì continua, ch’appena basta l’uomo a sèmedesimo di potere sodisfare a tutte le necessitadi delcorpo, tante sono e sì continue. Onde non solamentedell’altre cose, ma pure ch’è a dire ch’ogni sera ti con-viene ispogliare, e la mattina vestire; ora spogliare, oravestire, non si fina mai; massimamente del mangiare, delbere, che non ne puoi sì disfare; dàgli mangiare a tuosenno il meglio che sai, ch’egli ne possa stare più di ven-tiquattro ore (questo dico di corpi di buona compressio-ne), a mano a mano conviene che gli dei anche cibi, e

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così sempre; e questa fatica non ci dà mai triegua di neu-no tempo. Oh quante sono le necessitadi della carne!non si potrebbe più annoverarle; chè non basta l’uomo asè medesimo a sadisfare pure alle mezze sue necessitadi,ed ènne l’uomo occupato tutto il tempo della vita sua.Questa è grande servitudine, è una morte. Così si chia-ma nella Scrittura in alcuno luogo, cioè morte di servitu-dine. Dipo’ questa morte si dà quella eredità, chè primaconviene che noi siamo servi della carne, di tanta fatica,che non fosse, se non che ti conviene contastare contro imali disiderii disordinati, e contro alla mala tentazioneche dae. La carne da sè, sanza lo nemico, si è forte cosa.Conviene che l’uomo sia servo della famiglia sua edell’altre cose. Tutto questo è per giudicio divino, pe-rocchè si sottomise l’uomo alla carne, non volle ubbidirea Dio, e però ne siamo servi in tutto. Dassi ancora quellagloria dipo’ morte di legge; e però è detta ereditade; chè,siccome il padre dà la reditade al figliuolo suo buono, ilquale, avvegnachè non l’abbia guadagnata se non per-ch’è redità, che reda, e la legge gli dà aiuto, chè per leg-ge dee essere reda il figliuolo. E però uno fanciullo pic-colino, figliuolo del padre, ogne persona gli faereverenza, quasi come a padre, ch’appare signore di tut-to ciò c’hae il padre, avvegnachè sia piccolo, tanta è laragione sua quando è figliuolo; avvegnaiddiochè ’l malofigliuolo, che non fosse obbediente al padre, rubellasi dalui, sì ’l può troppo bene diretare, eziandio per forza dilegge, privarlo della reditade; m’a il buono figliuolo,ch’è ubbidiente al padre suo, è segnore quegli come ilpadre nella ereditade. Quanta ragione hae dunque laVergine Maria in quella ereditade del figliuolo di Dio,chè non fu mai nullo figliuolo sì obbediente e sì fedele alsuo padre, quanto fu la Donna nostra a Dio, che mainon fece contra lui nulla piccolina cosa, o grande, chemai non peccò venialmente eziandio in uno riso disone-sto, nè l’offese mai! grande cosa è a pensare. Dunque

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non fue mai nullo che tanta parte avesse nella gloria,quanto la Donna nostra, fuori del figliuolo di Dio, ilquale fue il verace figliuolo naturale, il quale non lo gua-dagnò quello regno come facciamo noi, perocch’eglil’ebbe per ereditade; onde dicono i santi, ch’egli nonmeritò nelle pene ch’egli sostenne in questo mondo, nèl’altre cose; perocchè non potè meritare; chè ciò ch’eglipotè meritare, sì meritò nel ventre della madre: così di-cono i santi. Dunque di pura creatura la Vergine Mariaintra’ figliuoli di Dio fu più legittimo figliuolo di Dio,più che nullo degli angioli, chè gli angioli sono vergini dinatura, ella di virtù, e combatteo cotanto tempo; e peròdice santo Gregorio, e di lei si canta, ch’ella sopra tuttigli angeli è esaltata, non nella sedia del Lucifero, no, masopra tutti; perocch’ella ebbe quel regno più degnamen-te che nullo altro. é donna del mondo, non come le si-gnore del mondo; imperocchè e’ re sono detti re delmondo, e non è vero. Non sono signori se non della ter-ra, e della terra non tutta, anzi no; delle cento partil’una. Io, disse frate Giordano, lo proverei chiaramente.Dunque è tutta ereditade per li detti modi. Rimane a di-re come è detta ereditade per la perfezione, ch’è perfet-ta; e rimangono anche due membri principali della pro-posta: non diciamo piue. Deo gratias.

LXXX

Predicò frate Giordano questo dì dopo nona, in Santo Istefanoa Ponte.

Expoliaverunt, etc. Non solamente le dette parole siispongono nel modo ch’avemo detto stamane, ma sepiù profondamente le vogliamo cercare, sì potemo con-siderare l’altezza di santi e de’ martiri, quanto a quattrocose che tocca la parola, la quale parola fue detta in una

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figura di tutti i martiri; perocchè le parole e le storie delvecchio Testamento fuoro dette figura del nuovo. Laprima cosa si è propter virtutis meritum, in ciò che dice:expoliaverunt. La seconda cosa propter perfectionem, inciò che dice: vestes. La terza propter perseverationem, inciò che dice . . . La quarta propter virtutis ornamentum,in ciò che dice .... Prima dico che si mostra l’altezza disanti, e ispezialmente di questo benedetto apostolo,messere santo Bartolommeo, al quale fue levata la pelle,si è propter martyrium excellentissimum, in ciò che dice:expoliaverunt. Quando fosse uno grande caldo e forte,s’alcuno si spogliasse l’altro e levassegli i panni d’ad-dosso, non lo ingiurierebbe, anzi l’allegierirebbe molto;e quelli che fosse ispogliato non sarebbe offeso, ma ral-leggiato. Sapete perchè i santi diedero le pelli loro? im-perciocchè facie’ loro afa e grande caldo; diederla peralleggiarsi e per rinfrescarsi. La persona c’ha tenera lacarne e ’l corpo suo non può sostenere il caldo, ma ilbifolco, perchè hae la carne dura e aspra, non si curadel caldo; istae la state nel meriggio alla sferza del sole,e non se ne cura. Nol potrebbono così sostenere quellich’anno il corpo dilicato. Così i santi, c’hanno l’animadilicata, gentile, non possono sostenere il caldo e l’arsu-ra delle tentazioni del mondo, e però adimandano refri-gerio; ma i peccatori, c’hanno l’anima dura, grossa co-me bifolchi, non se ne curano. E questa è una dell’altreragioni che dicemmo istamani; perchè i santi si ispoglia-rono volentieri di questa vesta, cioè del corpo propio,perocch’erano dilicati; era pur troppo malagevole a so-stenere il caldo delle tentazioni del mondo, adomanda-vano rifrigerio, disideravano d’uscire del mondo. L’al-tra ragione si è propter velamentum. Il corpo è unovelamento dell’anima, chè mai l’anima non può vedereIddio essendo sotto questo velame del corpo mortale;imperocchè Iddio vuole vedere l’anima ispogliata, altri-menti non può essere veduto. Perchè Iddio voglia vede-

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re l’anima ispogliata, e quali sieno le ragioni, di questone sono molte ragioni bellissime. Qui sono le belle ra-gioni, le quali sarebbono una grossa predica pur per sè;ma infra l’altre diciamne una. Vuole Iddio vedere l’ani-ma ispogliata, imperocchè egli non è sotto alcuno vela-me egli. Dicono i filosofi e i santi, e dicelo il grande fllo-sofo Aristotile, dice che tutte le cose di questo mondosono velate, tutte sono sotto alcuno velamento; e perònulla sustanzia di questo mondo si vede, tutto è invisi-bile, nè oro si vede, nè argento, nè pietre, tutte sono in-visibili, non ne vedi se non il colore; e il colore non è lacosa, ma è accidente che va e viene, e la cosa pur istà.L’uomo si crede vedere il sole, non è vero, vedi la luce.Altro è la luce ed altro il sole; onde con gli occhi corpo-rali non si può vedere nulla sustanzia di questo mondo;ma vedesi con l’occhio della mente e dello intendimen-to. Vede bene con gli occhi del corpo, siccome tu le co-se bianche e nere e di colori, e nel modo che stanno al-tresì bene, come tu di ciò non le vantaggi tu. E sel’adimandassi dell’oro quello che fosse, non te ne sape-rebbe dicere nulla, non sae che s’è, e così dell’altre co-se. Dunque tu perchè sai questo? é per lo intendimen-to, chè pensi e consideri la natura della cosa. Dunquetutte le cose sono velame. Una cosa è che non è velata,sola una, cioè Iddio. Dicono i santi e i filosofi che Iddionon hae nullo volamento, è tutto nudo, ma tutte l’altrecose sono velate; e perocch’egli è nudo e aperto in tut-to, però vuole l’anima che sia nuda, chè dal lato suonon è alcuno velame. Il velamento, che non ci lascia ve-dere Iddio, si è il corpo, ch’è velamento dell’anima.L’anima è velata sotto questo corpo, ch’ella non si vede;e però conviene di necessitade che l’anima si levi questovelo dinanzi, e ispogli in tutto e per tutto, altrimentimai non può vedere Iddio; e però i santi, conoscendoquesto, volentieri si ispogliavano di questo corpo e da-vanlo con allegrezza, acciocchè potessero vedere Iddio,

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il desiderio loro; chè in questa carne mai non si può ve-dere se non per ispecchio, cioè per le criature. Chè,quando vedi il cielo, il sole, la luna e le stelle, e questegrandi cose, sì puoi intendere dell’altezza di Dio alcunacosa, e puoi vedere in alcuno modo; ma questo non èverace conoscimento per ispecchio, ma puoi in ciò alcu-na cosa immaginare della sapienza sua e bellezza; perqueste cose criate e fatte da lui, e pensare quanta è labellezza sua quando elle sono così bellissime ch’egli haefatte, ma in vita eterna si vederà altrimenti, per verità, afaccia a faccia. La seconda cosa che si mostra di santinella parola proposta si è la perfezione delle opere, chedice: vestem. Il primo vestimento si è il corpo, perocchè’l corpo si è fatto al modo del vestimento, anzi il vesti-mento al modo del corpo; chè avvegnaiddiochè i vesti-menti e i coprimenti siano molti, cioè berretta, cuffia,gonnella, calze, iscarpette, non però di meno è pur unocoprimento, ma hai spezzato il vestimento per metterlo-ti più agevolemente. Dunque il vestimento è fatto allasimiglianza del corpo; perocchè ’l corpo è il primo ve-stimento, e ispezialmente la pelle della carne ch’appaia.E vedete di questo vestimento, cioè del corpo, ch’è ve-stimento dell’anima, vedete quante parti hae e quantemembra, e ciascheduno hae sua vertù, suo reggimento;e così altresì hae l’anima sue vertù. Il corpo mostral’anima; onde tanta vertù ha l’anima, nè più nè meno,quante n’hae il corpo; onde ogne vertù e ogne parte delcorpo risponde a una vertù dell’anima. L’orecchia hauna vertù, la mano n’hae un’altra, e ’l piede un’altra, ele ’nteriora dentro catuna hae sua vertù; onde il fegatorisponde a certa vertù dell’anima, il polmone a un’altra,la milza a un’altra. Onde, avvegnachè noi udiamo dirediverse cose delle vertù dell’anima, di verità questo è,che tante sono le vertudi dell’anima quante sono lemembra del corpo: e se le vertudi non fossono nell’ani-ma, non verrebbe la vertù a quello cotale membro; on-

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de eziandio nel dito tuo è una vertù dell’anima, per laquale adopera e fae l’uficio suo. Dunque il corpo nostromostra la nobiltà dell’anima per le molte parti e mem-bra c’hae, e perocch’egli è il più nobile corpo che sia, ecosì ha la più gentile e nobile anima che gli altri anima-li, che non hanno tante membra, è segno che l’anima lo-ro ha meno vertudi e meno nobilitade. Il corpo del ser-pente, che non ha parti, cioè membra, e i pesci, c’hannopoche membra, e’ manifestano della grossezza dell’ani-ma loro; e così è dell’altre bestie, poco sono meglio.Dunque dovemo vestire l’anima di vertù, e fare una to-nica compiuta di vertudi, e non ispezzata, chè lo ispez-zamento del vestimento del corpo sì si fae per necessita-de; non dee essere così quello dell’anima; anzi a mododel vestimento di Gesù Cristo, il quale fue d’uno pezzo:desuper contexta per totum; onde ella fue una gonnellatutta fatta ad ago. Bene si può fare, ch’a’ Vinegia n’haemaestri, i quali ti farebbono tutt’una gonnella intera,con le maniche e con ogni cosa, pure d’uno pezzo fattaad ago. Così era il vestimento di Gesù Cristo. Or cosìdei fare all’anima. E quale è questo vestimento compiu-to? quando tu fai tutti i comandamenti di Dio, e non nerompi alcuno. Sono molti che portano vestimentoispezzato, come cotali vestimenti di ribaldi, che sonomezzi ignudi; a questo modo sono quelli, i quali osser-vano alcuno di comandamenti, e gli altri rompono. Co-me l’usuriere che tiene castitade, ovvero quelli che nonè casto e fae limosina, e cotali cose; non è buono que-sto, non hae il vestimento di Gesù Cristo; e però dove-mo vestire l’anima d’una veste compiuta e intera di tut-te le vertudi, siccome feciono i santi, e così si conviene.Dell’altre due parti che rimangono, per lo caldo ch’ègrande, non diciamo. Deo gratias.

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LXXXI

Predicò frate Giordano, 1305, dì 17 di settembre, Domenicamattina, in Santa Maria Novella.

Diliges Dominum Deum tuum. Questa predica fuepura istoria; però ne dirò pur alcuna cosa. Disse Iddio:Ama Iddio di tutto cuore e Gesù Cristo tuo come te me-desimo. In questi due comandamenti e’ stae e pende tut-ta la legge e’ profeti, perocchè sono i primi e i massimi.Questo essere primo e massimo s’intende dell’amore diDio, e così è di verità: e del secondo si può intendere inciò ch’è simigliante al primo. Questa quistione, che fuefatta a Gesù Cristo, si fue suttilissima e molto dubbiosada molti lati; perocchè questo non si trova iscritto intra’dieci comandamenti, anzi era nella legge di Moisè, anco-ra gli altri comandamenti pàino di maggiore vertù, pe-rocchè servono e all’opere di fuori. Ancora intra le ver-tudi dentro non pare maggiore l’amore. Dentro sono levertudi, cioè timore di Dio, reverenza di Dio, fede, spe-ranza: tutte queste paiono maggiori per alcune ragioni.Ancora era dubbio, imperocchè a nullo comandamentoera posto guiderdone, se non ad uno, a quello che dice:Onora il padre tuo e la madre tua, se vuoli avere lungavita sopra la terra; sicchè però molti credeano che que-sto fosse il maggiore. Per queste ragioni e per molte altreera dubbio quale fosse il maggiore comandamento, enon si sapea bene; sapeanlo bene que’ savi, che feceroquesta quistione, perocchè egli erano i sommi maestridella legge. E il Signore assolvette questa quistione per-fettissimamente, e nol fece per loro, chè non erano de-gni, non per mala fede ch’avessono, ma per la mala vitache menavano, e però li riprende il Signore spesse volte;ma fecelo per noi. Oggi questa questione non è dubbia,chè ’l comandamento dell’amore divino si è il maggioree ’l primo. Tanto si dice e predica: e voglio dire così.

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

Non è maraviglia se allora era in dubbio questo coman-damento si fosse il maggiore; perocchè le genti non sa-peano, non erano ammaestrati; perocchè ’l sapeano po-chi e non bene, chè mei oggi ancora non si sae bene permolte genti; e sono sì istolte le genti, ch’è una maravi-glia, che oggidì è grande errore tralle persone, quale sisia maggiore, o minore, o migliore; e però tuttodì di-mandano qual è meglio tra dare limosina, o stare a’ spe-dali, o digiunare, o andare in viaggi, o cotali cose. Oh,che istoltìa è questa! Ecco Gesù Cristo il dice. Questo è’l primo e ’l maggiore comandamento, l’amore divino.Se questo è ’l primo e ’l maggiore, se tu vuoli crescere inispirito, e in santitade e in meriti, or da questo ti comin-cia, in questo istudia il più che puoi. Or qui cresci; nonti fae uopo d’andare a San Iacopo: nel cantone della casatua ci puoi studiare e crescere. Reputano molte personeessere maggiore fatto il digiuno, dare limosina, o servireagli spedali, o ire in pellegrinaggio; perocchè questepaiono grandi opere, di molta fatica, di molto frutto; manello amore istae tutto il fatto. Molta falsità usarono iGiudei contro a Gesù Cristo in questa quistione: a mo-strare ciò sarebbe lungo. Siccome intra li Giuderi aveaeretici, così eziandio tra Saracini; onde più di cento er-rori hae intra loro, e sono discordanti insieme; e così in-tra Giuderi oggi, e altro modo tengono quelli di Roma,ed altro quelli di Spagna, e così gli altri; molti sono intraloro. E così intra cristiani hae auti errori assai, ed ancorane sono; ma una fede è la buona (perocchè la verità èpur una, e ciò ch’è di fuori è falsità), questa è la cattolicafede. Ora a mostrare le belle ragioni perchè l’amore diDio è il migliore e ’l maggiore, sono le più alte e le piùbelle del mondo; vorrebbono più tempo, e le menti be-ne attente. Ch’egli sia il maggiore ben lo sapete, ma qua-li siano le ragioni, questo n’aspettate. Deo gratias.

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LXXXII

Predicò frate Giordano questo dì dopo nona, in Santa MariaNovella.

Diliges proximum tuum sicut te ipsum. Istamani ispo-nemmo il Vangelio pienamente, secondo la lettera; ora èda vedere e da cercare del midollo dentro. Non che miointendimento sia di dire dell’amore di Dio, chè questamateria è grande e distesa, e converrebbe molto tempo;ma diremo dell’amore del prossimo, e lasceremo di diredi quello, perciocchè a ciò vogliono essere le menti piùsobrie. Ed a volere vedere ciò, sì potemo vedere e consi-derare da tre parti, perocchè ha tre lati. Chè dice il Sa-vio, che a vedere e aver pieno intendimento della cosa, sìsi conviene cercarla e vederla da tutte le sue parti; pe-rocchè da ogne parte ha grande varietà. Dunque hae trelati questo comandamento, siccome ne mostrò GesùCristo. Il primo si è che ne mostra l’opera che dovemofare, questo è l’amore; questo mostra quando dice: dili-ges. Il secondo lato si è, che ne mostra in cui debbo ope-rare e fare questa opera, questo comandamento; e que-sto mostra ch’è il prossimo tuo, quando dice: proximum.Poi mostra il modo e l’ordine ch’è da avere e tenere inquesta opera, cioè il modo e l’ordine; e questo mostraquando dice: sicut te ipsum; questo è il modo. Ora a diredi tutti sarebbe troppo lungo, basterassi l’uno bene. Di-co prima che ne mostra l’opera che dovemo fare, e que-sto è l’amore. Se volemo considerare di questo amore, sì’l potemo vedere da quattro parti, per quattro condizio-ni c’hae: delle quali quattro il Signore gliene dae due, edell’altre due ce n’arrogiamo noi. Prima si è propterprincipalitatem, ch’è il primo; e questo ne mostra Cristo,quando dice: hoc est primum. Propter subtilitatem, impe-rocch’è il maggiore; e però dice: hoc est primum et maxi-mum mandatum. Queste due dichiara il Signore. Il terzo

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si è propter suavitatem dilectionis, ch’è amore. Il quartosi è propter agilitatem, propter facilitatem, per agevilezza,perocch’è il più leggiere. Queste quattro condizioni haequesto comandamento, ch’è il primo e il maggiore, ed èdi diletto sanza fatica. Prima dico ch’è il primo, e perquesto potemo vedere in due modi. L’uno modo si èch’è il primo degli altri comandamenti; appresso ch’è ilprimo de’ due comandamenti dell’amore, perocch’egli èsimigliante al primo. Per queste parole che dice ch’è si-migliante gli si dae quello medesimo che a quello di Dio.Dicono i santi che l’amore del prossimo, degli altri co-mandamenti è ’l primo dell’amore di Dio; questo èquanto all’opere di fuori, quanto ad exercitium. Dicoch’è ’l primo di tutti i comandamenti, e perchè amore è’l primo principio d’operare. Molte cose pare ch’abbia-no ragione d’essere principio, secondo che dicono i filo-sofi, siccome è potenza, sapere e volere. Sanza queste trecose non si può fare nulla. In ogni opera sono mistieritutte e tre; però sono principio tutte e tre di tutte l’ope-re, e di tutto ciò che si fae ed è fatto; ma le due di questetre, avvegnachè siano principio perfetto, ma la volontà èprincipio perfetto, e questo vedi chiaramente. Molte co-se sa Iddio e può che non le fa però, ma quelli fa quelleche vuole: e ciò che Dio vuole è, ma non è ciò che può esa. Dunque il volere di Dio è principio e cagione di tuttele creature che sono e di tutto ciò ch’è; e però è princi-pio perfetto. Il podere e savere sono principio, ma nonperfetto, come detto è; e così negli uomeni. Molte coseposso io, che non le foe, e molte ne so e posso, che nolfoe, ma foe tutte quelle ch’io voglio, tutte dico, se ’l vo-lere non è impedito nè l’opera, perocchè può essere im-pedito; ma Dio, questo non può essere, che ’l suo volerepossa essere impedito. E quale è la ragione? Imperocchèin Dio queste tre cose sono una cosa solamente, ma innoi sono cose diverse; ond’è in noi altro il savere e altroil podere, ed altro il podere ed altro il volere; ma in Dio

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sono una cosa solamente. Ma non però di meno del miovolere se è impedito nell’opera, tuttavia questo pur è,ch’io voglio; il volere non mi può essere tolto e impedi-to, ch’io non voglia quello ch’io voglio. Dunque il vole-re, la volontà, è principio di tutte l’opere. L’amore cheè? L’amore viene dalla volontade; ch’io amo quello cheio voglio amare; non può essere sanza volontà, nè vo-lontà sanza amore, sono una cosa. E però tutto ciò cheDio ha fatto, perchè ha fatte tutte queste cose? solo peramore, dicono i santi; e così tu, perchè fai tutte le cose?solo per amore. E così ancora mi stenderei in tutte lecriature, secondo che discrive messere santo Dionigi, edice: perchè il fuoco arde? per amore; chè amore a sèmedesimo vuole crescere e moltiplicare la natura sua el’essere, e però arde. Perchè la pietra torna in giù? peramore, vuole venire al luogo suo: e così ti potrei dire ditutte le creature. Dunque l’amore è principio di tuttel’opere e di tutto ciò ch’è; e però è vera la sentenzia diCristo. Questo è il primo comandamento, perocchè san-za questo non puoi fare nulla, e da questo ti convienecominciare. Chi volesse valicare uno ponte, e nel primocapo fosse rotto, mai nol passerebbe, anzi cadrebbe: co-me il passerai s’egli è rotto? Questi sono quelli che si co-minciano da altri; non è buono; questa è la via di comin-ciarsi da questo. é ancora primo ne’ due dell’amore.Cristo dice di questo amore ch’egli è il secondo. Quan-do Cristo il dice non si può dire contro, ed è verità. Egliè vero ch’egli è il primo ed il secondo. Dotti asempronella iscienza. Quale è la prima cosa del buono gramma-tico? ch’egli parli bene per lettera, e non falli il latino; equesta è l’ultima e la più vile, quella che noi facciamo es-sere la prima, cioè le prime lettere che si fanno appararea’ fanciulli; sicchè in quello modo è ’l primo, in alcunomodo è ’l secondo. L’amore di Dio è primo propter per-fectionem, è ultimo quanto al cominciamento; perocchèl’amore del prossimo è primo a incominciare; ch’ai par-

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goli si dànno al principio le più leggieri cose; e però que-sto ammaestra quello, come dice santo Ambrogio: docetnos istud, quale è amore, Dei perveniatur . E questo èquello che disse santo Giovanni; chè quando il disseegli, potem dire che ’l dicesse Cristo; perocchè le sue pa-role sono di Spirito Santo; onde dice: Se tu non ami ilprossimo, il quale vedi, Domenedio che non vedi, comeamerai? é questa bella ragione. Dunque è questo il pri-mo comandamento, ch’egli è simile al primo: questa pa-rola, che dice simigliante, è di grande intendimento a chibene la ’ntende. La seconda cosa di questo comanda-mento e di questo amore si è sublimitatem; e però dice:hoc est maximum: e si può dire dell’uno quello chedell’altro, quando dice che sono simiglianti. E perch’èmaggiore questo comandamento? perocchè contiene insè tutti gli altri; è maggiore degli altri per valore e percontinenzia: per valore, chè vale per tutti gli altri; percontinenzia, chè in questo si contiene tutti gli altri. émaggiore dunque in valore, in vertù; chè gli altri coman-damenti non vagliono nulla sanza questo, e questo persè sanza gli altri vale tutto. Mostroti: ecco e’ ti comandache onori il padre e la madre. Se tu non hai padre e ma-dre, sì se’ fuori di questo comandamento; di fare limosi-na, se non hai, anche non ne se’ tenuto. E così degli altricomandamenti si dividono in due parti: l’una parte co-manda d’aoperare, gli altri comandano di non fare certeopere; e però i comandamenti dell’opera si possono nonfare in certi modi e casi, e se’ iscusato; ma sanza questocomandamento dell’amore del prossimo non si può farein alcuno modo. Or se’ tu così? Ti potre’ io dicere a te diquesto comandamento: ora s’io non hoe prossimo nonne sono tenuto. Rispondoti: dicoti che ’l prossimo sem-pre hai; se non t’è presente, sì l’hai assente; se non è inquesto mondo, sì è nell’altro; e però sempre se’ tenutod’amare il prossimo. Ora diresti: in che avanza gli altri?avanza in merito. Dice uno santo che no; perocchè dice,

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che il merito di tutti i comandamenti si è uno e non più,cioè vita eterna; ma avanza, ciò dice, in degnitade; e’ponne esempro nell’animale, e dice, ch’e’ comandamen-ti sono a modo delle membra dell’animale, che tuttes’attengono a uno, e ad un’opera fare; onde mal potreb-be fare la mano sanza l’occhio, e l’occhio sanza la mano,ma è migliore l’occhio che la mano; non hae merito, mahae degnità, ch’è più nobile. Or così dicono i savii, chetutti i comandamenti sono a modo d’uno animale com-piuto. Il più nobile membro di quello di fuori si è il ca-po, e ’l più nobile di quelli dentro sì è il cuore; ma po-trebbe fare il cuore sanza cervello? Questa ragione, chedice quello santo, sarebbe bene buona, se non ce ne na-scesse un’altra. Ma questa ragione fae nascere a mano amano l’altra quistione. Così si potrebbe dire della gloriadi paradiso altresì, ch’è pure una, un danaio è. Or nonha l’uno più che l’altro gloria? certo sì; avvegnachè l’unosia migliore dell’altro per natura, non però dimeno haeegli anche più gloria, onde l’uno ha più gloria assai. Chiv’è maggiore in quella gloria? chi più hae dell’amore di-vino. Se tu fai i comandamenti e osservili, non per amo-re, eziandio, di pene temporalie, non hai merito. Mo-stroti. Il principio di tutte l’opere si è l’amore tuo, ’lvolere tuo. Dunque se ’l volere non ci è nè l’amore, dun-que, avvegnachè ’l facci, nol fai tu, ma è fatto d’altrui inte, cioè ch’è fatto in te d’altrui; e però non ne sarai meri-tato siccome di tua opera: questa è bella ragione. Dun-que l’amore passa tutti gli altri in merito, siccome mo-strò santo Paulo nelle pistole, e passali tutti percontinenzia; perocchè contiene in sè le vertudi di tuttigli altri; ma questo vedi apertamente: che se tu amerai ilprossimo tuo, l’onorerai, non lo ingannerai, non lo ucci-derai, non lo ruberai, e così degli altri. E però disse beneil Signore: in questi pende tutta la legge i profeti; e peròsanto Agustino disse: abbi carità, fai ciò che vuoli. Parvequesta una grande licenzia, ma non è come ti pare; onde

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tal fu a dire: abbi carità, fai ciò che vuoli, come se dices-se: adempi tutti i comandamenti, e fai tutta la legge, e faciò; chè cotale è a dire quello e questo, e perchènell’amore si compiono tutti i comandamenti e la legge.Se tu mi domandassi quanti sono i comandamenti, ri-spondoti: tanti sono quante sono le vertù. Altri dice die-ce sono. Egli è bene vero così in genero; ma e’ sono viapiù tanti quante sono le vertudi; queste sono assai: le po-litiche, le cardinali, le teologiche: queste hanno molti ra-mi e molte parti; quantunque si possono distendere levirtù per ogne lato, cotanti sono i comandamenti. Sìch’e’ comandamenti sono molti, disse frate Giordano, egridoe: questo vorrei che voi vi recaste ispesso in asem-pro, della Donna nostra e della Maddalena. Della Don-na nostra non si legge che digiunasse, o pellegrinasse, senon uno pocolino, o desse limosina, o servisse ai spedali.Or dunque, dicono i santi, perchè meritoe ella sopra tut-ti gli angeli? dicono: imperocch’ella amò Gesù Cristosopra gli altri, non tanto carnalmente, ma eziandio se-condo la deitade, e però è esaltata. Della Maddalenanon si leggono anche le stesse cose; se vuoli dire ella di-giunò, no; quelli digiuni non le fue pena, ma diletto,ch’ella si pasceva di meglio, cioè di cibo angelico,d’amore divino. Come anche Gesù Cristo, che digiunòquaranta dì, dicono i santi che non ebbe fame, non glifue pena; e però solo d’amore meritò in voi. Deo gratias.

LXXXIII

Predicò frate Giordano della predica di stamane. Memoriad’alquante parole utili della predica di stamane.

I vizii sono di natura di dropisia, chè quando più usa-no, più desiderano anche del vizio; ondo non si saziano ivizii per usarli, no, anzi s’accende la sete. Or tu diresti:

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or come? ecco che io ho voglia di fare uno micidio, unavendetta, voe e folla, poi io ne sono sazio. Vero è quantoal micidio; ma vuoli vedere come non è sazio? Se tul’avessi a fare ancora il vorresti fare; ecco che non se’ sa-zio più che ne se’ lieto che l’hai fatto, qualunque otta tene ricorda. Or dunque come ne se’ sazio? E così deglialtri vizii altresì. Dice Salamone: Tre cose sono che nonsi saziano: la terra dell’acqua, lo fuoco d’ardere, e lo’nferno mai non si sazia. E perchè è questo? imperocchè’l ninferno riceve i peccatori, e però non si sazia, impe-rocchè non si saziano le genti de’ peccati; e però il nin-ferno non di loro, chè il peccato è cagione del ninferno.Quando i peccati ristessono, allora il ninferno ristarebbedi più non ardere. Diversa natura è quella di peccati e divizii; chè le generazioni dell’altre cose sì ingenerano unamedesima ingenerazione, secondo la natura loro; onde illeone sempre fae leoncini, il lupo lupi, il cane cani; madi peccati non è così, chè i vizii ingenera l’uno l’altro, euno vizio ingenera di sua ingenerazione quantunque vo-lessi; onde dell’uno vizio nascerebbero tutti gli altri. Mapur quattro sono i vizii principali, i quali e de’ qualimassimamente nascono tutti gli altri: superbia, invidia,avarizia, lussuria. Di superbia nasce anche superbia inquesto modo: superbia è volere essere più ricco del vici-no tuo. Di questa nasce un’altra superbia; chè siccometu vuoli essere maggiore di lui per avere, così il vuoli si-gnoreggiare ed essere sopra lui; e di questo nasce poi al-tre superbie; sicchè l’una ingenera l’altra, e così degli al-tri vizii. Ma più che di superbia nascono tutti gli altrivizii, e d’avarizia, e di lussuria, e d’invidia. Simigliante-mente di superbia di Giuderi, che volevano essere mag-giori degli altri in santitade e in ogne cosa, e perchè Ge-sù Cristo benedetto gli avanzava in tutto e per tutto,ebbono invidia alla sua santitade. Nata dunque la ’nvi-dia per la superbia, della ’nvidia nacque l’odio e la per-secuzione e tutti gli altri peccati. Invidia non è altro

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ch’essere dolente del bene altrui. La maggiore invidia siè essere invidiosi di beni ispirituali, ch’altri vede ad alcu-no più che in sè, ed alcune grazie ispirituali più che insè; questa è pessima. E dicono i santi ch’è uno peccatoin Spirito Santo, invidia fraterna. Deo gratias.

LXXXIV

Predicò frate Giordano, 1305, dì 15 d’ottobre, venerdì matti-na, in Santa Maria Novella.

Amice ascende superius. In questa domenica passata sìsi legge uno Vangelio, il quale racconta come il Signoreandò a uno mangiare, al quale fue invitato; e come inquello mangiare sanò e guerie uno infermo d’idropisia, epoi come fue ripreso da’ Farisei; e appresso dice come ’lSignore li riprese fortemente, e mostrò loro la stoltizianella quale erano. Appresso pone uno bello ammoni-mento, e utile e sana dottrina, quando dice: cum invita-tus fueris ad nuptias non recumbas in primo loco. Stama-ne a nostro ammaestramento predicheremo della parolapreposta, la quale parola è del Signore, che la dice inpersona di colui che fa convito: il quale, quando vedel’amico, e ch’è persona indegna di stare in luogo basso eultimo, acciocchè onori la sua dignitade e convenienzia,sì ’l chiama e dice: amico sali di sopra; le quali parole e ilquale ammaestramento eziandio, pur secondo la letterae la corteccia del Vangelio, sì è di molta utilitade e dibello ammaestramento. Ma imperocchè le parole dellaScrittura Santa non si rinchiudono solamente sotto unointendimento, anzi hanno molti intendimenti, e sono dimolta sapienzia a chi bene vuole cercarle più profonda-mente; e però se volemo isporre questa parola ha piùprofondo intendimento. Secondo che dicono i santi, sì siintende per questa mensa e queste nozze per la croce di

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Gesù Cristo benedetto, e non solamente la croce e lapassione di Gesù Cristo benedetto significa, ma ezian-dio la croce e la passione tua; cioè sono tutte le pene, lequali sostieni in questa vita: sostenere, dico di volontà.Di questo convito e mensa ne mostra il Signore tre nobi-li cose e di grande vertude. Prima, che queste si dànnoagli amici; e però dice: amice. La seconda, che la crocehabet virtutem sublimatam; e però dice: ascende. La ter-za habet virtutem ascensionis; e però dice: superius. Dicoprima che si mostra l’altezza di questo istato in ciò chenon ci sono chiamati se non gli amici. Questa croce, tidissi, è ogni pena di questo mondo sofferta volontaria-mente per amore di Dio con buona coscenzia. Dico chesi dànno agli amici. Dice il Signore: Voi amici miei siete,se farete quello ch’io comando a voi; odilo: quegli il qua-le ne toglie la croce sua e non mi seguita, non è degno dime. E Paolo apostolo dice. Figliuolo, non disdegnare icomandamenti di Dio e’ gastigamenti di Dio;. perocchècui egli riceve per figliuolo, sì ’l gastiga e disciplina. Ortu diresti: or hanno solamente i giusti le pene e le tribu-lazioni? già veggio io ch’a’ rei uomini sono molte pene.Rispondoti: ogne pena che Dio dae in questa vita, se l’hapeccatore, si è acciò ch’egli esca del peccato, e allora èinvitato al convito. A’ giusti si dae, acciocchè abbianoparte nel convito, nel quale ebbono parte gli apostoli e isanti. Gli apostoli furono tribulati in questo mondo, edebberci molta pena e pacienzia con essa. La donna no-stra altresì maggioremente, e massimamente Cristo be-nedetto. Or vedi: chi è venuto a Dio per avere tutto ciòche vuole, gli agiamenti e diletti di questo mondo? nul-lo. Chiunque è venuto a Dio, sì è venuto per molte pene,ed angoscie e tribulazioni. Se leggerai il vecchio Testa-mento e ’l nuovo, così troverai; se non fosse d’uno o didue, e qui hae avuto altre ragioni. é segno adunque chesiano di grande vertude. La seconda vertù si è, c’havertù di levare in alti e di fare montare; e però dice:

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ascende, sali; e però ha vertù d’onorare, le persone altesono onorate. E però Gesù Cristo benedetto ne diedeasempro espresso nella figura della croce, nella qualeGesù Cristo benedetto fue levato in alto. Vedi mirabilecosa! Dicono i santi, che ciò che Gesù Cristo benedettofece e ciò che in lui fu fatto, sì fue somma sapienzia eammaestramento perfetto di somma dottrina. Volle Ge-sù Cristo benedetto essere levato alto nella croce a mo-strare la vertude della croce, c’hae a inalzare, e levare, esoblimare, e onorare. L’onore è uno grande bene, quasidi maggiori di questa vita e più caro, e quasi si va piùcaendo e mendicando che nullo degli altri; è bene e di-letto non corporale, ma ispirituale; e questo è buono elicito, e puossi avere sanza peccato chi l’usa e riceve co-me si conviene, secondo lo stato suo, e quando onora lacroce, quelli solamente che si umilia; e però è chiamatoquelli che si pone, in luogo basso l’umile. Quale è que-sto luogo basso? quando ti rifiuti vile più che gli altri.Ma sai quale è bene luogo basso? quando ti poni nelpeccato; chè le creature, avvegnachè tutte siano fatte dinulla, il peccato è ancora meno che nulla. Non dico cheti ponghi in luogo di peccato, cioè che facci peccato, no;ma dico quando ti riconosci peccatore. Or questo èprofondo istato e la somma umiltade, e però questi è de-gno d’essere esaltato e onorato. E tu diresti: come sonoesaltati, chè mi di’ che iscende? iscendere non è salire. éuno salire che iscende: strana cosa pare questa, e così è;gli umili, che si abbassano pare che iscendano, ed eglisalgono: quanto più iscendono più salgono; perocchèquello iscendere non è iscendere di verità, ma è salire;onde il cielo, ch’è così alto, non vi si va se non per que-sto iscendere, il quale, come detto è, è salire di verità;ma i superbi, che pare che vogliano salire e levansi in al-to, quello salire non è salire di verità, anzi è iscendere;onde il Lucifero, che volle salire per modo di superbia,sì cadde. La Donna nostra, perocchè si umiliò, però sì è

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alzata de’ cieli. Chi dunque sarà esaltato? chi si umilierà;siccome disse Gesù Cristo benedetto: Non discumbas inprimo loco. Hae vertù dunque la croce d’esaltare. VideDaniello uno albero, che la cima sua era infino al cielo,e’ suoi rami si distendeano all’estremità della terra, so-pra i quali rami eran diversi animali: e questo albero si èla benedetta croce, di Gesù Cristo benedetto. Ogne uo-mo, il quale sostiene pena in questo mondo, come dettoè, sì abita ne’ rami di questo albero. I santi, perocchè siumiliarono e sostennero passione, si sono onorati eter-nalemente in vita eterna; i superbi e gli argogliosi sononel ninferno. La terza verità della croce si è, che ti esaltae pone sopra tutte le creature; e però dice: ascende supe-rius. Nobilemente ed altamente ci fu posto questo supe-rius; non basta a dire: ascende, chè si può intendere in al-tro modo; ma dire ascende superius, è detto perfetto, chèdice che salga. Ove? salga di sopra e non di sotto, chèdice che salga. Santo Agustino dice in uno sermone chefa del salimento che Gesù Cristo benedetto disse nelVangelio a’ discepoli: voi siete il sale della terra; se ’l saleinvanirà, cioè se sarà matto, non sarà se non da gittarefuori, e sia calpitato dagli uomini. Dice santo Agustino:qual è questo sale matto? gli uomini mondani, peccatori;i quali per timore di pena, ovvero per non lasciare il ma-lo amore, offendono Iddio, peccano, escono fuori divertù. Questi è dirittamente conculcato dalle gentiquando egli teme la persona, e però offende. Dunquequesti, conculcato da costui, s’egli vede la femina, ènnepreso; dunque egli calcato da lei; e così in ogni modo ècalcato, e perchè ogne creatura lo scalca; imperocch’è disotto la via; perocchè di sotto si è iscalpitata dagli ani-mali; ma i santi, i quali sono di sopra, non possono esse-re iscalpitati. Ora tu diresti: or come? or io veggio ch’e’santi sono così passionati e morti, anzi sono più iscalcatidegli altri, quanto ch’è nel corpo. Vero è, ma l’anima lo-ro non può essere iscalcata; perocchè sono alti, come di-

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ce santo Agustino: Quamquam in corpore lÏsi non lÏdun-tur in spiritu, qui cÏlo fixus est. Non possono essere iscal-cati i santi, perocchè sono in cielo, sono volati altissimi.Oh, come si potrebbe bene iscalcare il cielo? no, peroc-ch’è alto. Le cose basse e inferme sono quelle che s’iscal-cano. E però dice bene: ascende superius; perocch’è ’lsanto uomo esaltato sopra tutte le creature, perocchènulla creatura lo iscalca, ma egli tiene sotto sè tutte lecreature. Ecco dunque in questa parola si mostra tregrandi e nobili vertudi della croce: prima che si dae aamici, è segno d’amicizia; la seconda, c’hae esaltare eonorare; la terza, che t’hae a porre sopra tutte le creatu-re. Deo gratias.

LXXXV

Predicò frate Giordano, 1305, dì 24 d’ottobre, domenica mat-tina, in Santa Maria Novella.

Ascendens Jesus in navi transfretavit in civitatemsuam. dice il Vangelista che ’l nostro signore Gesù Cri-sto benedetto venne nella cittade sua. Sono tre cittadi lequali sono dette cittadi del Signore: non che il Signoreavesse cittade per modo di signoria, perocchè non anda-va cercando queste cose: avvegnachè, secondo la digni-tade sua, egli era signore di tutto questo mondo, del cie-lo e della terra; ma questa signoria egli non l’usò e non lamostrò in questo mondo. Poi in fine fae menzione ilVangelio siccome Gesù Cristo benedetto sanoe uno pa-ralitico dell’anima, ed appresso del corpo, dicendo: con-fiditi ch’io ti possa sanare? siano perdonati a te tutti ipeccati tuoi; delle quali parole si iscandalezzarono iGiuderi, quasi, chi è questi che ne perdona i peccati?considerando che ciò non può fare se non Iddio. Avea-no questi in ciò buona fede; perocchè a solo Iddio è a

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perdonare i peccati; ma in ciò sono da riprendere pecca-tori, che non credevano, che Gesù Cristo benedettoch’e’ fosse figliuolo di Dio. E Gesù Cristo benedetto ri-spose a’ pensieri loro, e disse: quale è più agevole, o a di-re: sianti perdonati i peccati, ovvero: leva su e va’? Qua-si dica a’ loro grossi intendimenti: più è agevole e piùleggiere a dire quelle parole, che fare un miracolo; avve-gnachè si sponga in altro modo, ch’è a dire: quale è mag-giore? dicono i santi che tale è l’uno qual l’altro; chè aperdonare le peccata è di Dio, e fare miracoli può soloIddio. Ciò che fa natura non è miracolo, non è sì diversao sì istrana opera, ma per quella vertù naturale. Ma mi-racolo è sopra natura, il quale non può fare se non soloIddio, ch’è signore sopra ogne natura; e però disse GesùCristo benedetto loro poi: Acciocchè voi crediate ch’ioabbia podere in terra di perdonare le peccata, sì coman-do a te infermo, levati su e va’, e così fue. Chè, dicono isanti, qui mostra ch’egli era vero Iddio, e ch’egli aveapotenzia di perdonare le peccata; chè, conciosiacosachèi miracoli siano opera singulare di Dio, e Gesù Cristobenedetto non avesse detto vero in quello, e fosse perquella pruova operato miracolo, sarebbe Iddio istato te-stimonio di falsità. Questa vertude di perdonare le pec-cata e questa autoritade, non solamente la diede Iddio aGesù Cristo benedetto in quanto che uomo parlò (chèsolo la deitade sua quella potenzia avea il figliuolo che ’lpadre), ma Iddio la diede altrui: questi sono i santi sa-cerdoti, li quali hanno l’autoritade da Gesù Cristo bene-detto, sono costituiti sopra quello uficio. Ma questa po-tenzia e autoritade di perdonare i peccati, ovverod’aoperare miracoli, le quali Iddio hae comunicate adaltrui, sì sono in diversi modi, chè Iddio il fae per suapotenzia e da sè; ma i sacerdoti e i santi non aoperanocosì, ma operali Iddio per loro, quasi come per suoiistrumenti. Siccome noi diciamo del fabbro e del martel-lo; dimmi, chi fae il coltello tra il fabbro ovvero il mar-

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tello? sanza dubbio la vertù viene pure dal fabbro, ma ilmartello ci è alcuno istromento. Così dico io, Iddio soloè il fabbro, che aopera con la sua vertù; il sacerdote cheperdona le peccata, ovvero l’uomo santo che aopera mi-racoli, sì sono a modo di martello, a modo, di uno istru-mento. Come s’io ti dicessi: il papa manda uno suo lega-to di vile condizione con lettera bollata di suo suggello,e mandalo allo re o allo ’mperadore, se ne move sè, peròper lui si moverebbe egli principalmente; la vertù istaepure nel papa, per lo papa il fae; ma non però dimeno illegato e la bolla sono alcuni istrumenti per lo quale ilfatto viene in effetto, e così voglio dicere. Ora a volereisporre questo Vangelio più profondamente, sì ci haeentro bellissimi ammaestramenti, quanto da quattroparti, per quattro cose che si contengono ordinatamentein questo Vangelio, cioè; prima Christi transitionem, inciò che dice: transfretavit; secondo turbÏ devotionem: lirecarono il paralitico iscoprendo il tetto; terzo miraculioperationem, surge; quarto laude della turba. A cercaretutte queste cose sarebbe troppo. Al presente diremopure dell’uno alcuna cosa. Dico ch’avemo ammaestra-mento e esempro bellissimo nella prima parte di questoVangelio, ove fa menzione del passamento di Gesù Cri-sto benedetto. E questa dottrina potemo cogliere daquattro parti che ne dimostra il Vangelio ordinatamen-te, cioè: Christi ascensionem, ascendit; modum transitio-nis, in navi; transitum, transfretavit; terminus vel finis,venit ad civitatem suam. Dico che ne ammaestra GesùCristo benedetto come noi dovemo tornare alla città no-stra; appresso pone come ci dovemo venire; appressopone il modo che dovemo tenere; pone come potemoentrare vertudiosamente nell’opera. Ora ci facciamo dacapo. Dico che ne ammaestra il Signore primieramentecome dovemo incominciare, e come entrare vertudiosa-mente a pervenire alla nostra cittade, cioè a vita eterna; equesto è quando dice il Signore: sali nella nave. Ora po-

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tresti tu qui fare una quistione: perchè Gesù Cristo be-nedetto, conciosiacosach’egli, potea passare il mare co’piedi, siccome altra volta fece, perchè ora volle andareper nave? Rispondoti: questo facea egli per mostrarech’egli era Iddio e uomo. Sempre in tutte le sue operemostrava ch’egli era vero Iddio e uomo; perocchè quan-do facea opere di Dio, e quando d’uomo: onde quandoandò su per l’acqua co’ piedi asciutti, sì mostrò comeegli era vero Iddio: ora ch’andoe per nave mostrò comeera uomo. Così altresì quando mangiava e bevea mostra-va come era uomo, e quando digiunò quaranta dì nel di-serto, mostrò com’era Iddio, e così in molte altre opere.E questa è la fede nostra; non stae se non in due cose,cioè della divinitade e della umanitade; e a credere l’usosanza l’altro non è perfetta nè compiuta, anzi è manco.Onde chi credesse che Cristo fosse Iddio e non uomo, sìerrerebbe; siccome feciono i Manichei, che credeanoche Gesù Cristo benedetto fosse pur Iddio, e non cre-deano che fosso vero uomo, e diceano grandi cose, eperò errarono. Altresì chi credesse che fosse pur uomo enon Iddio, errerebbe: siccome fece quel male uomo, chenon credette che Gesù Cristo benedetto fosse Iddio.Onde la fede nostra è che Gesù Cristo benedetto fossevero Iddio e verace uomo. E però Gesù Cristo benedet-to in tutte le sue opere mostrava com’egli era Iddio e uo-mo, quando mostrava l’uno e quando l’altro. DunqueGesù Cristo benedetto ecco che passò il mare con la na-ve, e questo fece eziandio per grande ammaestramento;chè, dicono i santi, non solamente le parole e la dottrinadi Gesù Cristo benedetto furono nostro ammaestramen-to, ma eziandio tutte l’opere sue furono nostro ammae-stramento, e tutto ciò ch’egli fece sì fece a nostro am-maestramento. Per quella cittade s’intende di vitaeterna, e intendesi per lui e per noi, chè vi dovemo an-dare siccome a nostro luogo. Di lui s’intende altresì, chèsimigliantemente v’andò egli. Il primo modo dunque sì

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dico, ch’è salendo e entrando nella nave. Per questa na-ve intendono i santi la santa ecelesia e tutto il corpo de’fedeli. In altro modo s’intende ciascuna anima singulare:e siccome la nave abbisogna del nocchiere, e di marinai,e del penniere che guardi i venti: veduto il vento sì co-manda a quelli che regge i timoni; e sopra tutti questi siè il nocchiere, che comanda a tutti, il quale, se ubbiditonon fosse, andrebbe male; onde questi provvede tutto, eper tutti questi comanda di ciò che dee fare, il quale èmistiere che sia ubbidito immantenente; e se la nave habuoni reggitori e buoni nocchieri, non può perire e nonteme di tempesta, in fine vae bene; ma s’ella non ha noc-chiere nè reggitore sì pericola. Ora diresti: e come so ios’io sono governato, o se Gesù Cristo benedetto è inme? tu mi di’ che conviene che Gesù Cristo benedettovegna in me. Odi che dice che salìo nella navicella; e iocome soe che Gesù Cristo benedetto sia in me? Rispon-doti: ora vuoli tu ch’io ti dica il segno, che tu ti puoi av-vedere quando Gesù Cristo benedetto è in te? frate mio,il segno di conoscere ciò è troppo manifesto. E quale èquesto? questo è quando tu non ti reggi secondo il vole-re tuo, ma secondo il volere di Gesù Cristo benedetto,secondo i comandamenti suoi; onde, quando tu vedi chetu non ti reggi per tuo volere, ma per volere di Gesù Cri-sto benedetto, allora si se’ sicuro che Gesù Cristo bene-detto è in te e che ti guarda; siccome quando il nocchie-re non fosse ubbidito perirebbe la nave, volendosireggere per loro modo e non per senno suo: e questa èverace sentenzia. Secondamente che questa nave non te-me tempesta, così maggioremente, quest’anima è sicura.Onde, vuoli tu essere sicuro da ogni pericolo, e tenerevia sicura e certa e di non perire? sì; questa è dessa:quando tu ti reggi per lo comandamento di Gesù Cristobenedetto. Questa nave, avvegnachè si trovi in tempesta(chè bene può avere molto tempeste e tribulazioni enaufragi), ma di questo è sicuro, che non perirà e che

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perverrà a buono fine; e tutte le dette cose li fieno peraito a migliore fine sicuro e di bene finire. Or questa èbella dottrina. Dunque il primo modo e la prima via apervenire alla cittade nostra sì è per vertù di Gesù Cristobenedetto, abitando in noi; onde dice uno santo bellaparola: Non basteremo navicando per lo pelago monda-no a sufficienzia a giugnere a porto, se Gesù Cristo be-nedetto, il quale è guidatore e conducitore, non ne libe-rasse e conducesse egli. Il modo di passare si è per nave.Ecco che Gesù Cristo benedetto passò per nave: e diche è questa nave, e com’è fatta? Alcuna generazione dinave ch’è d’uno pezzo, che le chiamano i Greci... (sic)eziandio le scritture nostre, che si toglie uno legno gros-so e cavasi come uno ceppo, ed è d’uno pezzo, e navica-si per questa. Bene è vero che qui tutte le navi si fannodi molti pezzi, e di molte tavole e legni. Quali sono que-sti legni e tavole? queste sono le vertudi; la tavola di sot-to in fondo, che la chiamano i marinai..., si è l’umiltade,la quale istae in fondo, e vedete come è necessaria. Duen’ha poi da lato, cioè l’amore di Dio e quello del prossi-mo: sopra queste n’hae altre due, cioè penitenzia e pa-zienzia; avvegnachè la penitenzia per sè sia nave, secon-do che dicono i santi. Poi ci hae altre tavole, cioècastitade, misericordia, e molto altre. E’ due legni dellanave dinanzi in punta, che si levano in alti, sì dicono isanti che sono due vertudi, cioè fede e speranza, le qualilevano l’anima e fannola divina. Ora ecco la nave fatta.L’uomo non ha vertù d’andare per acqua, ma sì fae persuo andare dificio, col quale egli passa. Altresì bene ècosì per noi: non potremmo passare per questo maremondano sanza nave di vertudi, le quali noi potemo fareper vertù di Dio; e se una tavola fosse tratta della nave,sì affonderebbe, non dico tavola, ma piccolo foro. Ch’èquesto a dire? se tutte le vertudi avessi e una ne lasciassio che non avessi l’amore del prossimo, tutte l’altre nonvagliono nulla. E se fossi vergine, non ti vale nulla; e

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però è bisogno che le abbi tutte. Qual è questo foro?questo si è il peccato mortale: e qui si solve una quistio-ne che fanno tuttodì le genti, e dicono: or perderommiio per uno solo peccato mortale? E io t’adimando: peri-rebbe la nave per uno foro? sanza dubbio; non affonde-rebbe ella così tosto, ma starebbe bene alcuno tempo,ma pure in fine perirebbe. Or così è del peccato morta-le; solo uno n’avessi, sì ti perducerebbe nell’abisso allafine; ma i peccati veniali non sono foro alla nave, no; masono uno apparecchiamento al foro. Bene è vero chesanto Agustino del peccato veniale ne pone esempro, edice: siccome uno granellino di rena per sè non pesaquasi nulla, ma molta rena ragunata insieme pesa, anzi èpiombo; e siccome per molti ispruzzi d’acqua ad una aduna che piove minutamente se ne fae uno fiume, così di-ce il profeta, fare tanti peccati veniali che farebbono puruno mortale; avvegnadiochè queste parole di santo Agu-stino si vogliono bene intendere a buono modo; peroc-ch’e’ grandi maestri in divinitade e i nostri grandi saviiiscrivono ne’ loro libri, e approvano e confermano, cheper ragunamento di molti peccati veniali non pesereb-bono uno mortale, anzi se tutti i peccati veniali del mon-do fossono adunati insieme non ti menerebbono aninferno: questo è vero; ma fannoti tanto che ti ap-parecchiano più al mortale. E però non fanno buco, masono com’uno raschiamento alla nave ad apparecchiareil buco. Avvegnachè questo asempio del raschiare non èin tutto buono, no; ma tanto voglio dire che i venialit’apparecchiano di fare poi più tosto agevolmente ilmortale; siccome vedete se altri riderà troppo a udire va-nitadi, o dirà troppe parole, sì è acconcio più di poterecadere in peccato. Dunque alla nave hae bisogno tutte letavole. Dissi che si può fare d’uno pezzo, ma rade voltesi fa e non ben è usata. Qual è questo legno, il quale solobasterà a fare la nave? questa è la vertù della caritade,per la quale sola si può navicare a quella cittade di vita

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eterna; per questa nave passarono gli angeli, secondoche dicono i santi, e non ebbero altra nave: per questavia sola vennero a Dio, per la vertù della caritade. E perquesta sola nave forse passò santo Paolo primo remito,che fu il primo che cenò in diserto e luogo solitario. Nonabbisognava di giustizia, chè non avea a dare sentenzie oa piatire, non li bisognava pazienzia o cotali cose, chènon avea risse nè tenzoni con le genti; ma questa sola gliera necessaria, sanza questa virtù della carità non sareb-be venuto al fine porto: e per questo solo si crede chenavicasse; perciocchè la sua vita non era se non di pen-sare di Dio, e di contemplare di lui, e i beneficii, e di lau-darlo continuamente. Ben è vero che ’l modo della naveè di più legni, e più comunale e migliore da più parti. Aquesta nave potremo recare per asempro la nave di san-to Paolo apostolo, che dice che si ruppe e fracassò didietro, ma pure la punta istava fitta in terra e congiunta,dinanzi non si ruppe. Qual è il lato e la poppa di dietro?questa si è la vita corporale, che, avvegnadiochè permolte avversitadi la vita corporale si possa dissolvere eispezzare per la morte, almeno la fede e la isperanza e levertudi non si ispezzano nè dissolvono, ma stanno fermee perducono al fine: questo ne’ santi uomini, negli amicidi Dio, che non si fiaccano per tribulazioni. Dell’altre fi-gure della nave, cioè dell’antenna, e delle vele e dell’al-tre cose, come si intendono, non dirò ora nulla. La terzacosa che ne bisogna a tornare alla cittade nostra si ètransitum, e bisogna che passiamo per mare. Grandemaraviglia è questa, chè per mare non hae via, non ci sivede pedata nè d’uomo nè di bestia. Dunque come vuo-le il Signore che passiamo per mare? Già potea GesùCristo benedetto passare per terra, ma rallungava la via;volle andare per mare. Qual è questo mare? l’amaritudi-ne e le tribulazioni di questo mondo. Grande maravigliapare che questa sia la via, tutto il contrario pare; peroc-chè lo stato delle ricchezze, della prosperitade pare la

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via d’andare al cielo; chè possono fare limosina, e ricom-perarsi dal peccato, e fare l’offerte, e dare decime e mol-te cose. Questa parea la via, ma la via delle tribulazioninon parea essa, perocchè non ponno fare limosina il po-vero, non digiunerà, nè cotali cose: e vedete che in que-ste tribulazioni è la via molto migliore. Onde però volleGesù Cristo benedetto passare per mare. Santo Iacopoapostolo fue morto tosto per martirio, venne tosto al cie-lo; santo Giovanni non venne per martirio, penò molto avenire, novanta e sei anni, e ma’ se passò venne più tostoper mare. Del fine, del termino, non diciamo più. Deogratias.

LXXXVI

Predicò frate Giordano, questo dì dopo nona, in Santa MariaNovella.

Ascendens (Gesù Cristo benedetto) in navi transfreta-vit, venit in civitatem suam. In tutte le cose, secondo chedice quello grande savio del mondo Aristotile, che pati-sca il disiderio umano, e del quale è più commosso etratto, si è che ciascheduna creatura disidera di ritornareal principio suo. E questo non solamente è nell’uomo,ma eziandio in tutte le creature, secondo ch’egli medesi-mo ne dae asempro in tutte le creature. Onde dice dellapietra, che sempre disidera di venire giù al suo naturaleluogo, e l’acqua di ritornare al suo principio, al mare; ivapori, perchè sono suttili e leggieri, il loro luogo è mol-to alto, e però non si stanno infino che non ci sono; ilfuoco simigliantemente vae in alti sempre, perocchè ilsuo luogo è sopra questa aria razionale. Sì hae una mag-giore e migliore dell’anima: questo si è l’angelo; impe-rocchè infra le creature razionali l’uomo è il più basso; eperò dice il profeta: minuisti eum paulo minus ab ange-

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lis: uno poco l’hai fatto minore che l’angelo. Questo for-se non intendi bene, quanto che per natura l’angelo ètroppo più nobile e maggiore che l’uomo, tanto che nonsi potrebbe già comprendere leggieremente. Secondonatura dico, perocchè l’angelo passa l’uomo in tutte levertudi di grande distanzia, di senno e di savere, di po-tenzia di tutte cose. Onde, come altre volte ho detto, cheuno angelo sae più che tutti gli uomini del mondo, mol-to più; perocch’egli sae tutte le nature d’ogni cosa, equesto s’ha di natura; passa in potenzia, chè uno soloagnolo per sua potenzia ucciderebbe tutti gli uomini delmondo in leggiere tempo, se Dio permettesse; e cosìpassa in tutte le vertudi, in potenzia, in sapienzia, in bel-lezza, in fortezza e in tutte l’altre. Ma d’uno altro lato ri-storaci Iddio la nostra piccolezza. Queste cose hanno gliangeli per natura; noi per natura avemo qui nulla; matutte le dette cose averemo per grazia; onde saremo ri-storati per grazia; e per questo modo saremo iguali agliangeli. Però i santi passano gli ordini degli angioli, nonper natura, ma per grazia; ma gli angeli l’hanno per na-tura, e non però di meno l’hanno di grazia altresì. Mapur se volessimo considerare la natura nostra da quelladell’angelo, più n’è di lungi che non è la formica dal leo-fante, o da qualunque altra bestia vuoli; chè non pareche sia utile la formica, di nulla utilitade, maggiore tra-vaglio hae da noi a loro. Eziandio Gesù Cristo, in quan-to uomo, è minore che l’angelo di natura, del minore an-gelo: e così è della Donna nostra. Ma considerandod’altro lato l’abbondanza della grazia e de’ doni suoipassa tutti gli angeli, anzi tutti gli angeli, a rispetto diGesù Cristo benedetto, sono nulla. E così anche dellaDonna nostra: passò tutti gli angeli per la grazia e per lidoni, è sopra tutti gli angeli in nobiltade e in gloria; mapur secondo la natura gli angeli sono maggiori, comedetto è. E però dice: uno poco, in ciò c’hanno più nobi-le natura di noi; ma dipo’ gli angeli l’uomo è sopra tutte

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le creature; e però a mano a mano soggiugne il profeta edice: Gloria et honore coronasti eum, et constituisti eumsuper opera manum tuarum, delle bestie, e pesci e uccel-li. Dunque, perocchè noi dovemo essere compagni degliangeli, e però averemo uno luogo, dice santo Gregorio,che anime si salveranno tante quanti sono gli angeli cherimasono in cielo. Santo Agustino dice che se ne salve-ranno tanti, quanti ne caderono; ed altri dicono che sene salveranno quanti, ne caderono e quanti ne rimaso-no. Grande diversitade pare questa, chè non si accorda-no. Che risponderemo qui? Dico, frate, che chi conside-ra bene i detti e le sentenzie di santi, non si discordanocosì come ti pare, anzi hanno insieme molta concordia, enon contradice l’uno all’altro. Onde Agustino, quandodisse che se ne salverebbe tanti quanti furono i demoniiche caderono, perocchè non è degna cosa che rimanga-no vòte quelle sedie, sì ’l disse molto cautamente e congrande timore, e non ardì di dire di più. Poi vennero al-tri e dissero quello che disse Agustino, e arrosonci e dis-sero, che sarebbero ancora sopra quelli quanti ne rima-sono. Santo Gregorio vide il detto dell’uno e dell’altro, epuosesi nel mezzo, e non contradicendo quello d’Agu-stino, anzi affermando e Augustino non contradicendoal suo detto; ma quello che tacette per reverenzia, dicen-do con grande discrezione e timore, quello ricompiè. Eperò crediamo il detto di santo Gregorio, che tante ani-me si salveranno quanti sono gli angeli buoni; onde cre-diamo ch’ogni angelo averà compagno un’anima, e ogneanima uno angelo, che saranno pari in gloria e in tuttecose. Queste sono belle considerazioni; così sarà accom-pagnata quella gloria. Se gli angeli fossero molti, l’animepoche, non parrebbe cosa di compagnia, ma essendod’iguali numero e gloria, quella sarà perfetta compagniae consorteria; imperocchè noi dovemo essere compa-gnia insieme. Non sarebbe convenevole che gli angeliistessono in cielo, e gli uomini in terra; e però, siccome

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saremo iguali con loro nell’altre cose, così eziandio nelluogo, cioè nel cielo empirio eziandio. E questa è unadelle ragioni, per la quale si può mostrare in alcuno mo-do che il cielo empirio è nostra cittade, cioè il luogo e lacittà degli angeli. La seconda ragione, ex dominio. L’uo-mo ha due nature ed è composto di due cose, cioè animarazionale e corpo. L’anima dee signoreggiare il corposuo; l’anima delle bestie non sono signori del corpo loro,no, anzi serve; onde dicono i savii, che ciò che la bestiafa sì fa di necessitade, ch’è costretta di fare dalla naturasua, e non può contastare, signoreggiare alle concupi-scenzie, a’ mali disiderii; imperocchè l’anima nostra è te-nuta alla carne, e non s’ingenera, per operazione di car-nale o naturale (sic). Or tu diresti: or non ingeneral’uomo la creatura? bene è vero, chè l’uomo apparecchiala materia; non perchè quella materia si usi l’anima dinecessitade; e perchè no? imperocchè, l’anima è la piùnobile creatura che sia nel mondo, non potrebbe la na-tura fare l’anima; ma Iddio, incontanente che la natura èdisposta, sì crea l’anima e infondela in quello corpo, in-contanente ch’egli è formato; chè si pena a formarel’anima del maschio quaranta o quarantasei dì, e la femi-na vuole due cotanti tempo. Ma l’anima della bestia faetroppo bene pur la natura; e quando la materia è accon-cia, si crea l’anima di necessitade; perocchè quella animaè creata per cagione del corpo, e il corpo suo è princi-pio. Però incontanente che muore il corpo e viene me-no, così l’anima muore altresì; perocchè non ha più ache si attenga o per che vivere possa; ma l’anima razio-nale, imperocchè non si crea di necessitade ma di volun-tade divina, però l’anima rimane dipo’ la morte viva san-za il corpo; però altresì ha vertù e potenzia disignoreggiare la carne e i mali desiderii: bella considera-zione è questa. Nel primo stato nostro questa libertàave’ l’anima pienamente, ma per lo peccato si è corrottauno poco la natura nostra; e però, corrotta la natura no-

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stra, si è corrotto altresì il desiderio e lo ’ntendimento; eperò l’anime di peccatori sono in tutto serve alla carne,come bestie. Ma l’anime di giusti e di santi uomini nonsono così; ma bene hanno battaglia e alcuna naturale in-clinazione. Dunque l’anima, perocch’è segnora è donna.Non dee il signore istare nella istalla col ragazzo, avve-gnachè se ci istesse ancora sarebbe re e signore, ma nonsi conviene; e però lo stallo dell’anima e ’l luogo suo, pe-rocch’è nobile sopra tutte le creature di questo mondo,eziandio sopra i cieli, e però il suo luogo è sopra i cieli. Illuogo del corpo è questo mondo, così dice uno filosafo.Avvegnadiochè se noi volessimo più sottilemente consi-derare e meglio intendere, dico ch’eziandio il luogo delcorpo è nel cielo; perocchè, dicono i filosafi, che sicco-me l’anima dell’uomo è la più nobile, così il corpodell’uomo è il più nobile corpo che tutti i corpi; ed asse-gnano questa ragione: chè dicono che ’l corpo dell’uo-mo ha più simiglianza al corpo del cielo che nullo altro;onde il corpo del cielo non è grave, nè caldo, nè secco,nè freddo, nè umido, e cotali altre cose non l’ha il cielo.Così dicono i savii che ’l corpo dell’uomo è il più mezza-no corpo, chè ogne cosa hae di mezzo; non come gli altrianimali, siccome il leone ch’abbonda di troppo caldo, ilserpente troppo freddo, la pietra troppo grave, i vaporitroppo leggieri; ma il corpo dell’uomo è di mezzo in tut-te queste cose, in calore, e in frigiditade, e in siccitade, ein umiditade, e in grevezza, e in lievezza, e in tutte le co-se. E però la carne dell’uomo è morbida e gentile, e sen-te ogne puntura, ed hae il migliore senno che nullo altrocorpo al tutto, e tutti gli altri senni di conoscere le coseaspre e morbide, dolci ed amare, e l’altre cose: perocchèdi mezzo non abbonda troppo. Onde vedete dello infer-mo, che la febbre incontanente, ha mattato, e cercasi lamano e non li pare calda e arde, perocchè l’altra mano ècalda altresì, e però non gli pare calda quell’altra; maquando viene il medico, c’hae la mano temperata, in-

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contanente conosce il modo del suo calore. E però è ilpiù nobile corpo che sia sotto il cielo, avvegnachè noinon ci potemo aggiugnere uno migliore: il quale dicoch’è più nobile che non è il cielo. Perchè? perocchè, av-vegnachè ’l corpo del cielo sia nobile per molte ragioni,tuttavia egli è corpo morto, che non sente il sole altresì;ma il nostro corpo vivo e sente a questo modo. E perquesta ragione i corpi delle bestie sono eziandio più no-bili che ’l corpo del cielo, perocchè sono vivi e quello èmorto. Ben è vero ch’egli hanno altro difetto, a mano amano, cioè che muoiono e vegnon meno; ma il corpo delcielo. non si disfà; ma il corpo dell’uomo bene muore al-tresì, ma sarà immortale dipo’ la risurrezione; perocchèquesto corpo si congiugnerà con l’anima di necessitade.Perocchè, dicono i santi e’ savii, che ’l corpo nostro nonè uomo per sè, nè l’anima non è uomo per sè, no; hal’uno natura perfetta per sè solo, ma l’anima e il corpocongiunta insieme fanno uomo, sono una natura com-piuta e perfetta. Perocchè l’anima fuori non è compiutain sua natura, conviene ch’ogni difetto si ricompia e siramendi; e però il corpo risusciterà e ricongiugnerassicollo ispirito, non il corpo all’anima, come la casaall’abitatore, che si muove, e la casa rimane; ma sonouna natura congiunta naturalemente; e però non può es-sere l’uno sanza l’altro. E però è più nobile che ’l cielo;chè, siccome l’anima è di natura divina, e eternale e im-mortale, così il corpo altresì conviene ch’abbi in sè im-mortalitade, e la lievitade sua, che si perdè per lo pecca-to, e altre cose si ristoreranno; onde averà leggerezza,fortezza, impassibilitade, bellezza ismisurata. Bene avan-zano ora gli uccelli e l’altre bestie il nostro corpo, chi involare, e chi in altro; ma sarae bene ristorato da sezzo,chè bene potremo volare: non che bisogni a istendere lebraccia a modo d’alie; ma sarà tanta leggerezza, che quiin uno momento sarà di cielo in terra, di terra in cielo, ecosì per tutto il mondo. E per questa ragione si mostra

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che la città del cielo è nostro luogo, per lo dominio e perla signoria che l’anima ha sopra il corpo, che non l’han-no gli altri animali; perocchè dovemo istare, non in luo-go di bestie, in istalle, ma in luogo di signore, cioè nelcielo, ov’è sommo dominio. La terza ragione si è diside-rio. Di maggiori disiderii dell’uomo si è volere tornarealla cittade sua, e tutto questo disiderio dell’uomo si èquesto. é tanto questo disiderio, siccome di molti nati difiorentini, fuori di Firenze: questi, che non la videro maie che non ci nacquero, sì la disiderano e disideranci diritornare; parli essere pregione in altro luogo: e così deeessere in noi. Sì avemo una nostra cittade, la quale mainon vedemmo, e non ci fummo, alla quale disideriamo.Gli angeli ci furono fatti dentro; onde incontanente chefu fatto l’albergo, sì furono fatti gli abitatori, ma noi nefummo fatti di fuori. E’ sono due paradisi, uno celestroe uno terrestro: il terrestro si dice ch’è in capo dell’In-dia, che non ci si può andare, e non ci fue mai se nonAdamo ed Eva; poi ne furono cacciati, e sonci ora dueprofeti, Elia, Enoc, secondo che dice la Scrittura. Quelloera il luogo degli uomini, e questo delle bestie: nel qualeparadiso si trovava ogne diletto, e il legno di vita, e mol-te altre cose. Fu fatto l’uomo in Ebron, ch’ave’ la terrarossa, vannoci le genti e cavano, e hanno cavata quellaterra già bene dumilia anni, e non la possono tanto cava-re che pur non cresca. Di questa terra rossa si dice chefue fatto l’uomo in Ebron, e la femina fue fatta nel para-diso; chè, poichè l’uomo fue fatto, sì fue messo nel para-diso: questo vantaggio hanno bene le donne da noi uo-mini, che furono fatte nel paradiso, e noi in terra; edopo il peccato furono riposti in quello luogo ove fuefatto Adamo. Quello paradiso terrestro ben è nostroluogo, ma non la diritta cittade nostra, chè mai di quelloluogo saremmo noi partiti; ma il cielo è la cittade nostra,la quale non vedemmo mai e disideriamola. E questa è laragione perchè le genti hanno cotale disiderio d’udire

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novelle e di sapere novitadi; imperocchè non stae con-tento al bene c’hae, crede nelle novitadi potere troppomeglio che sia cosa più beata; ma non la ci truova, pe-rocchè non si truova. E per questa è ancora la ragioneperchè le genti hanno tanta voluntade di cercare delmondo, e le cittadi e le terre, e ispezialmente i giovanivedere e cercare tutte le cittadi e le castella, s’essere po-tesse; e se non fosse per li dubii de’ viaggi, e per le fati-che e ispese, cioè ch’andasse sicuro, e non gli fosse mala-gevole la via nè le ispese, tutte le cittadi del mondocercherebbe, vorrebbe vedere. Quale è la ragione? peròch’è una cittade dell’uomo, la quale non vide mai e disi-derala, la quale crede trovare cercando le cittadi; e peròva ratto, e quando hae veduta l’una cittade vorrebbe ve-dere l’altra. Dicono i santi: questo non è altro se non chel’uomo la va cercando; questa è la cittade e non la citruova; perocchè non è qui; e questa è la ragione. E nonsolamente sarebbe contento, quando avesse cercato ilmondo ancora vorrebbe cercare e vedere il cielo, e seavesse alie volentieri anderebbe a vedere come fosse fat-to. Questo è segno, dicono i santi e’ savii, che la cittadenostra, dell’uomo, si è sopra il cielo; perocchè in questomondo non è la nostra cittade, ma nell’altro; e però sia-mo in questo mondo, in questo luogo, non siccome abi-tatori, ma siccome viandanti e peregrini; siccome dice ilprofeta e l’apostolo. Sapete che ’l viandante e ’l pellegri-no non si pongono molto tempo a stare, anzi vanno to-sto, non si pongono molto tempo a istare nelle luogora;e questa è la ragione che ci istiamo così poco in questomondo, perocchè questa non è nostra abitazione e stan-za, ma siamoci a modo di viandanti peregrini. Ma que-sto disiderio naturale che noi avemo al cielo si è moltomenomato, siccome degli altri due per lo peccato, nonper natura, ma è la natura viziata per lo peccato, sicchèperò non ci è quello amore che si converrebbe. Due so-no le cittadi, secondo che dice Agustino, e iscrivele: Ba-

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bilonia, capo di paganesimo, che significa il ninferno; el’altra si è Gerusalem, popolo di Dio, cittadi grandissi-me amendue. In ciascheduna hae angeli e hae uomini, irei e’ peccatori. Pare che disiderino d’andare alla cittade(sic), perocchè qui trovano i pagani e simili a sè; l’uomoch’è santo disidera la cittade eterna, perocchè ivi truovagiusti iguali e convenevoli a sè; l’una di queste cittadi èalta, l’altra è bassa; l’una nobile, e l’altra vile; l’una ditutto bene, e l’altra di tutto male. Deo gratias.

LXXXVII

Predicò frate Giordano, 1305, a dì 25 di dicembre, il dì di Pa-squa di Natale di Cristo, sabato mattina, in Santa Maria Novel-la .

Pastores loquebantur ad invicem transeamus usqueBethleem etc. Oggi sì avemmo una novella, che il nostroSignore Iesu Cristo è nato, la quale è la maggiore e la mi-gliore novella che unquanche avesse il mondo. E sonotre le principali pasque del Signore e le maggiori, cioè ilNatale, la Resurrezioue e l’Ascensione. La pasqua dellaResurrezione è bene maggiore di questa, quanto ad alcu-na cosa, e quella dell’Ascensione altresì; e tutte le festedel Signore hanno ciascuna singolar dono e grandezza.Ma questa del Natale è maggiore dell’altre, in quanto el-la è il principio di tutto l’altre solennitadi. E però questaè detta gloriosa festa, piena di tutta letizia e divozione.Questa buona novella fu revelata prima a’ pastori, i qua-li, abbiendola udita, dissono intra sè: che facciamo? pas-siamo in Betleem e veggiamo questa parola ch’è fatta,che Dio ci ha mostrata. Queste parole che i pastori dis-sero intra loro fue buono ragionamento, imperò che ra-gionavano di trovare il Signore. Questa questione dove-mo fare noi al modo de’ pastori, di cercare e di trovare

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Cristo e di andarlo a vedere: avvegnachè noi nol possia-mo vedere corporalmente, come ’l vidono i pastori; madovello vedere cogli occhi della fede, e cercarlo ed an-darlo cercando con passi d’amore e di devozione, ed inquesto modo si fa la festa. I mondani, le loro pasque e leloro feste sono pure di cose mondane e terrene; ondequando vogliono fare una grande pasqua e solennità, siusano di farla, chi con vestimenta mettendosi belli vesti-menti; usano altresì di aver bene da mangiare e da berequel dì; altresì usano di metter la sera dinanzi il cepponel fuoco, e chi ulivi e cotali cose. Queste sono le pasquee feste di mondani, quando hanno bene da mangiare eda bere, e sono bene vestiti, or questi si reputa aver labuona pasqua. E quegli che queste cose non ha, ed hamal da mangiare e mal da bere e meno da vestire, questidice che ha la mala pasqua. Non dee esser cotale la pa-squa de’ cristiani, no; chè queste sono opere di pagani,che non aveano fede, atavonsi con queste cose; erano unpoco da scusare, perocchè non conoscevano più. Ma noimiseri cristiani siamo da riprendere, che seguitiamol’opere de’ pagani, avendo la fede e la grazia. Chi fa festaal corpo e non all’anima, e lasciala brutta ed affamata enuda, questi ha bene la mala pasqua; e chi la fa all’animaha la buona pasqua. Le genti, quando vogliono onorarealcuno signore, sì gli si sogliono fare incontro ed appa-recchiarli l’albergo convenevole, e di spazzarli la via e lacasa. Sapete che altri desidera avere la casa monda espazzata, altrimenti non gliene giova. Così noi dovemofarlici incontro per fede, per amore e per divozione, enettargli l’albergo, cioè l’anima, di peccati e di vizii,d’odio e di mala volontade: a modo che feciono i pasto-ri, i quali ci dànno grande asempro e ammaestramento,e le loro parole sono piene di grande sapienzia e dottri-na. E massimamente da tre parti; imperocchè nelle pa-role loro si mostra primieramente il modo e la via ondesi viene a Cristo, e come si può trovare, in ciò che dice:

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transeamus. Mostrasi appresso l’utilità e ’l frutto chen’avemo, e questo si mostra in ciò che dice: usque Beth-leem, ch’è a dire casa di pane, ove si trova tutto sazia-mento e pasto. E mostrasi ancora l’altezza e la degnitàdel Salvatore in ciò che dice: et videamus hoc Verbumquod factum est, quod Dominus ostendit nobis. Del qualedice san Ioanni: et Verbum caro factum est et habitavit innobis. Diremo stamane dell’uno solamente. Dico primache i pastori nella questione che feciono intra loro c’in-segnarono la via e ’l modo di trovare Iesu Cristo, in ciòche dice transeamus. Chi volesse andare in corte di re odi papa, e non sapesse il modo che si conviene tenere,potrebbe ricevere danno e disonore; perocchè ogni cosarichiede suo ordine e modo. Il modo di venire a IesuCristo e di trovarlo, si è di passare. Da quattro cose ciconvien passare se noi volemo trovare Iesu Cristo e de-gnamente celebrare questa festa: le quali si mostrano inquesti pastori e dannocene grande esemplo, e anche simostrano nella Natività di Cristo. Il primo passamentosi è passare da stato di superbia ad umiltade; il secondomodo e passamento si è da stato d’immondizia a stato dimondizia e di purità; il terzo passamento si è passare epararti dalla tristizia del secolo e dall’accidia; il quartomodo si è partirsi dalla mala letizia mondana. Di questequattro cose avemo perfetto esemplo nei pastori; impe-rocchè i pastori sono gente umile e non superbia. E laragione si è questa, però che non hanno le delizie delmondo, non hanno a signoreggiare genti nè a divideretra loro cose, onde s’ingeneri superbia. E questo addi-viene perchè none istanno alle cittadi, sono ancora gentepura sopra tutti gli altri del mondo; e questo addivieneancora imperciò ch’egli stanno tra bestie e non tra uo-meni; e però si mantengono in molta puritade e non san-no le malizie delle genti; perocchè gli uomini, usandouno coll’altro, diventano impuri. Altresì i pastori sonoprincipio di letizia e d’allegrezza. E questo è ancora per

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questa medesima ragione, chè non istanno alle cittadi enon hanno le cose del mondo, e però stanno allegri enon si contristano così nè tanto come l’altra gente. An-cora i diletti loro e la loro letizia non può essere viziata edisonesta, nè in mangiare, nè in bere, nè in vestire, nè incarnalitade, come le genti della cittade. E però dunqueci dànno esemplo verace del modo del trovare Cristo edi fare la festa degnamente. Queste medesime cose sitrovano ancora in questa Natività del Salvatore; peroc-chè ivi si mostra somma umilitade di diventare uomo enascere così povero, come dice il profeta: Ecce parvulusdatus est nobis; mostrasi quivi somma puritade; e sì daparte della Madre che partorì Vergine, e da parte del fi-gliuolo, che fu senza peccato originale e attuale. E peròdi lui dice il profeta: Cum venerit sanctus sanctorum.Mostrati letizia somma di grande allegrezza e divozionenella letizia degli angeli; mostrati grande disprezzamen-to di tutti i diletti mondani, chè non gli volle. A questomodo dovemo esser noi, se noi volemo degnamente ce-lebrare questa pasqua. Dico prima che ti conviene pas-sare da stato di superbia a umiltade; imperò che in que-sta festa e in questo Natale si è perfetta umilitade, non cisi truova superbia nulla. Avendo tu vizio di superbia inte mai non ti adatteresti con questa festa. Superbia èdetta non solamente nell’apparenza di fuori per le sueopere, ma è detta superbia quella che sta dentro nellamente. E quale è questa? questa si è quando la persona èsuperba di non volere sottomettere lo ’ntendimento suoalle cose della fede; questa è la superbia delli eretici ede’ mali pagani, i quali non si vogliono umiliare a crede-re quelle cose che la fede dice. Le quali cose non si pos-son vedere se non con occhio di fede, però che sono co-se sì alte e meravigliose, che sono sopra tutta la natura.Alle quali cose non può aggiugnere il nostro intendi-mento, e però conviene che le veggiamo e cerchiamocon grande umilitade. Che vergine partorisse, e che in

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una persona si truovi Iddio ed uomo congiunti, e chequello bambino sia il figliuolo di Dio; queste sono cosealtissime ed investigabili a noi; e però ci conviene esseregrandi in l’umilitade, ed in queste e nell’altre cose gran-di della fede. Gli eretici e pagani per la loro malvagia su-perbia non si vogliono umiliare a queste cose, e però ri-mangono infedeli, chè non le possono vedere. Conviencidunque, se volemo degnamente celebrare questa solen-nitade e questa festa, venirci con grande umiltade e di-vozione, siccome feciono questi santi pastori, i quali era-no pieni di fede. A questi cotali volle il Signore primarivelare le sue cose altissime che a null’altra persona;tanto piace a Dio la fede e l’umiltade! Onde Iesu Cristodisse nel Vangelo: Io ti faccio grazie, Padre, signore delcielo e della terra, che hai nascoste queste grandi cose aisuperbi e agli alletterati altazzati, e haile manifestate aiparvoli e a’ semplici. Vedi quanto piace a Dio la sempli-citade. Non volle Iddio manifestare a cotale gente, no;perocchè non si conviene a cotali cose all’opere di Dio,se non gente umile e semplice e di gran fede, come furo-no questi pastori pieni di fede; e però meritarono d’esse-re chiamati prima di tutte quante le altre genti. Questifurono i primi cristiani, che furono eletti alla fede di Ie-su Cristo. E però, se vuoli celebrare questa festa degna-mente, getta via da te ogni superbia ed umiliati sotto lafede. Grande superbia è quella che a ciò non si voglionoumiliare, la maggiore che sia. E così per contrario ègrande e la maggiore umilitade chi sottomette a questecose lo ’ntendimento suo a così belle cose. E di questaumilitade esce merito infinito, e quella superbia meritacarcere eternale. E però dunque, se vuoli avere la buonafesta e la buona pasqua, convienlati celebrare nel dettomodo. Se in questo modo non la fai, se tu avessi da man-giare e da bere come re e da vestire, sì hai la mala pa-squa; però che cotali celebrazioni sono opere di pagani,che non sapeano che si fosse altro bene, se non i monda-

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ni. Ma noi cristiani dovemo le nostre pasque e feste cele-brare, non con carne, con vino e con vestimenti, confuoco, a modo di pagani; ma dovelle fare ispiritualmen-te, di vestire, e di pascere e di ornare l’anima. Questi checosì fa ha veramente la buona pasqua. Che giova ad ave-re così pasciuto il corpo, e l’anima è trista, e cattiva, eignuda e digiuna? che pasqua può questi avere, se nonrea per lui? La seconda cosa, dalla quale dovemo passa-re, si è da stato d’immondizia a stato di mondizia: sicco-me hai esemplo ne’ pastori, che sono gente semplice epura, che in loro non sono le immondizie e le maliziedelle genti del mondo. Quale è questa mondizia? senzapeccato avere pura l’anima tua; altrimenti non venire enon mettere piede in Betleem, che è detta casa di pane, eche s’intende in uno modo per la Santa Ecclesia. Comese’ tu ardito e svergognato di venire a luogo di tanta pu-ritade con peccato mortale? vedi quanta puritade ha inquesta natività gloriosa, che non ci si trova altro che pu-ritade? Chi è a questo Natale e questa Pasqua? ècci laVergine Maria, tutta purissima; ècci Iesu Cristo figlio diDio, tutta puritade, senza nullo peccato; ècci Giuseppe,uomo giusto; sonci i pastori, uomini puri e semplici;sonci gli angeli di paradiso, tutta puritade e bellezza.Come dunque tu peccatore ardisci di venire o di metterepiedi a questa festa, che se’ tutto brutto de’ peccati? Aquesta festa non si conviene altro che tutta mondizia epuritade, e però ti sarà detto come fa detto a coluich’entrò nelle nozze come un ribaldo: Amice, quomodohuc intrasti, non habens vestem nuptialem? Legateli lemani e i piedi, e gettatelo nelle tenebre eternali. Qualisono queste nozze? La santa ecclesia, con i santi sagra-menti e colle sante pasque e solennitadi, che sono a mo-do di nozze altissime, piene d’ogni abbondanza e sazia-mento; ed a queste nozze non dee venire nullo maivestito, e che non abbia vestimenta orrevoli e pasquali,che si confacciano a nozze. Questi vestimenti, sì sono

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vestimenti spirituali dell’anima, la santa puritade senzapeccato mortale; allora l’anima è ornata e bella. Ma que-gli ch’è vestito come ribaldo, ciò sono i peccatori, l’ani-ma de’ quali è nuda e misera, vituperano queste nozze equeste solennitadi. E però sarà detto loro: amico, comec’entrasti? Amico il chiama Iddio, in quanto che ognipersona, quantunque sia peccatrice, sì è amico di Dio,quanto è dalla parte di Dio che l’ama, ma quanto dallaparte del peccatore è nimico. é amico ancora, in quantoche può tornare a Dio, insino ch’è in questa vita presen-te. Amico è detto non solamente quegli che ama, maquegli ch’è amato, avvegnachè quelli ch’è amato nonami l’amante. E però dirà Iddio: amico, come c’entrastia vitiperare le nozze? e saranne tratto come malfattore, esarannoli legate le mani e i piedi, e messo nelle tenebreeternali del ninferno. La terza cosa dalla quale ci convie-ne passare si è dalla tristezza del secolo, la quale ti toglieogni letizia spirituale. E di questo hai esemplo ne’ pasto-ri, i quali, imperò che sono rimossi dalle cose di monda-ni, e non hanno queste ricchezze, sì sono sanza trestizia,e sono principio di difetto. Imperò chè le cose del mon-do sono materia d’ogni tristizia: e questa nasce per lomalo amore che l’uomo hae e pone alle cose del mondo,il quale amore è cagione di tutta trestizia e pianto. Chè,se tu non amassi le cose del mondo, le ricchezze, gli agi,gli onori, quando le perdessi non te ne intristeresti; maperò che l’ami come non dei disordinatamente, quandole perdi, questo cotale amore t’è materia di molta tresti-zia e pena. La quale trestizia è contraria al diletto spiri-tuale, e toglie ogni sapore di Dio. E però vedete voi diquesti uomeni mondani, che sono molte volte occupatidi tanta trestizia, di tanta accidia, che ne dimenticano altutto Iddio e ogni buona volontade, e non sanno che be-ne si sia. Conviene adunque, se vogli degnamente cele-brare questa festa, di passare via da questa trestizia e la-sciarla, ed essere allegro a modo dei pastori; e questo

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puoi fare levando l’amore da queste cose del mondo, eporre il tuo disiderio nelle cose celestiali eternali. Eperò la Donna nostra dice nella Scrittura a questi cotali:venite a me, e ponete l’amore vostro, e prendete delfrutto delle mie generazioni. Quale è questo frutto?questo si è Iesu Cristo, questo garzone che oggi è natobenedetto; e dice, frutto delle sue generazioni; imperòche non pure una volta, ma due volte il generò. L’una sifu quando il concepette, però che allora il generò vera-mente e internamente nel suo ventre; l’altra sì fu oggiquando il partorì. E però dicendo delle mie generazio-ni, dice troppo bene e troppo altamente e nobilmente.E però dice: prendete diletto; il quale, come dice santoPaolo, che in lui sono tutti i tesauri, tutte le ricchezze, eogni diletto, e ogni saziamento compiuto e perfetto. Eperò se questa festa volemo celebrare degnamente, con-viene che partiamo da noi e la trestizia del secolo e ogniaccidia, la quale è impedimento contrario in tutto al di-letto spirituale. Non si conviene tristizia a questa solen-nitade, ove fa tutta letizia; non dico temporale, di cosedi mondo, ma letizia vera spirituale; però che ivi furonogli eserciti degli angeli con quelli canti dolci; il qualecanto si crede che udissono li pastori. Parve povera emisera la Natività del Signore, la quale fu tutta pienad’ogni letizia e d’ogni altezza. La quarta cosa e il quartopassamento che dovemo fare si è passare dal malo dilet-to del mondo, e dalla vana letizia mondana, la quale ècontro al diletto e alla letizia celestiale, imperò che sonocontrarii l’una coll’altra. Onde dicono i filosofi, chel’uno contrario non può stare coll’altro; e quanto l’unocontrario è maggiore tanto l’altro è minore, e quantol’uno più cresce tanto l’altro più decresce. Siccomequando fosse un forte caldo che attuta tutto il freddo, equanto il freddo crescesse menomerebbe il caldo. Laluce non può stare colle tenebre. E però che queste dueletizie sono contrarie insieme l’una dell’altra, però

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quanto più è maggiore la letizia mondana, tanto è menola divina, e quanto la letizia spirituale è più, tanto è me-no quella del mondo. Ed è grande maraviglia questa,che letizia sia contraria a letizia. Ogni cosa ha un suocontrario, ma che una cosa sia contraria a due diversecose, questo interviene rade volte; e trovasi questo ne’vizi e nelle vertudi; che non solamente una vertude ècontraria d’un vizio, ma di due; e questo è imperò chela virtù sta nel mezzo, e i vizii nelle estremitadi. Sicco-me dice il grande filosofo, e dà esemplo d’una virtudeche si chama larghezza. Contrario a questa virtù si èavarizia, cioè quegli che non vuole dare nulla; e ancoral’è contrario un altro vizio, che si chiama prodigalità,cioè lo scialacquare e dare troppo. Ecco che questavirtù sì è contraria a due vizii, al poco spendere e altroppo. Così è qui, nè più nè meno, chè la letizia spiri-tuale è contraria alla trestizia e all’allegrezza del secolo.E se vuoli udire la ragione sua bella e chiara, sai tu per-chè la letizia del secolo è contraria alla letizia spirituale,chè pare dura cosa a pensare che letizia sia contraria aletizia? La ragione si è questa: pur per lo nome che haquesta letizia, tu poni nome letizia alla letizia del mon-do, ed egli è falso nome, imperò che non si può dire le-tizia; imperò che nulla letizia può essere fuori della leti-zia spirituale e celestiale, anzi si può dire ed è tristizia epianto. E però che la letizia celestiale è vera letizia, equella del mondo è falsa e non vera, però è contrarial’una all’altra; siccome la veritade è contraria alla falsi-tade e alla bugia. Questa è bellissima ragione e verace, eperò dovemo abbandonare la letizia mondana e falsa:esempio in questo Natale; che non volle il figliuolo diDio i diletti e le grandezze del mondo, anzi le schifòtutte. E dovemo prendere la delizia verace, se noi vole-mo degnamente fare questa festa e questa beatissimasolennitade, la quale è tutta piena d’ogni somma divo-zione. Contra questo ordine fanno tutti quelli e quelle

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LXXXVIII

Predicò frate Giordano, questo dì medesimo, dopo nona, inSanta Maria Novella.

Transeamus usque Bethleem, etc. Di pastori è mestie-ri non solamente di pascere, ma d’esser pasciuti eglino;imperò che abbisognano del cibo maggiormente chegiumenti. Siccome a questi pastori abbisognava d’essereglino pasciuti, non meno che pascere giumenti, anzimaggiormente; però che le giumenti abbisognano di vi-le pasto, e stannone contenti e di poco; ma gli uomenivogliono più cose e non stanno contenti a una cosa, mavogliono molte e migliori. Questo giumento potem direch’è il corpo nostro, il quale è di natura co’ giumenti eha molta convenienzia con loro. Il pastore si è l’anima;chè, siccome il pastore mena, e conduce, e governa, epasce le giumenta sue, così l’anima pasce il corpo, econducelo e reggelo; eziandio il pasto corporale vienedall’anima. Questo pastore è mestieri che sia pasciutoegli, e hanne maggiore mestieri che ’l corpo, però cheha fame di più cose; le bestie stanno contente a uno ci-bo, a una vile cosa, pur d’erba, e di quella prendo poca;ma l’uomo ha fame di più cose, di pane, di vino, di car-ne, di vestimenti, d’oro e d’argento, e di molte altre co-se. La bestia non ha fame nè d’oro nè d’argento, nè diqueste cose; e però l’uomo ha più mestieri della bestia,e è a lui più necessario il pasto. Così il corpo nostro è divile pasto e di piccolo appo la fame dell’anima; imperòche ’l corpo nostro si chiama contento di poche cose, eè sazio e non ne vuole più. Ma l’anima hae la grande fa-me e il grande appetito, e non la può saziare tutto que-sto mondo. Questi pastori, i quali fuoro oggi pasciuti,eglino sì t’insegnano andare al luogo ove può esser pa-sciuta l’anima tua e saziata la fame tua, che è fame. Fa-me non è altro se non uno desiderio, uno appetito di

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quella cosa che desideri. E però l’anima, in questomondo, in ciò ch’ella fa, non fa l’uomo altro se non pertrovare il pasto suo, ma non lo trova, imperò che non losa cercare, e però rimane affamata e vòta. Gli uomeninon pensano questo fatto e non ci si addanno. E peròessi credono pur saziare, corporalmente, e non si ad-danno che tutto quello desiderio e quella fame è purdell’anima. Non si sa l’uomo tanto empiere e satollaredi vivande, che non rimanga affamato; però che passa-no via le cose del mondo; e questo pasto dell’animach’ella cerca in tutte le cose e nol trova in questo mon-do, si è Iddio, ma non ci si addà; e però va pigliandoquesto bene e quell’altro, credendo empiere, e non levale, imperò che noi sa trovare. Ecco dunque che i pa-stori te ne ammaestrano, chè dice che andaro in Be-tleem, ch’è a dire casa di pane, che s’intende per la San-ta Ecclesia. Questo pane non è altro se non il panedella vita, chè dice il Vangelo: Ego sum panis vitae, quide cÏlo descendi. Il quale venne per dare vita e pasto almondo, ch’erano affamate le genti e vòte. Questo si è ilnostro signore Iesu Cristo, questo benedetto garzonesantissimo che oggi hae dato Iddio, il quale è verace ci-bo e pasto dell’anima. La fame dell’anima istà in quat-tro cose: sta nello ’ntendimento, che appetisce la verità;sta nella volontà e nello affetto dell’anima, che appeti-sce amore; sta nella carne, imperò che l’anima si dilettadi vedere, di udire, di toccare co’ sensi del corpo; stanell’affetto dell’operazioni, in ciò che desidera di fareopere dirette. In queste quattro cose sta la fame e il de-siderio dell’anima: le quali parti tutte empie, e sazia epasce questo benedetto garzone, e null’altra cosa lapuò empiere e saziare. Voglio dunque mostrare comeIesu Cristo glorioso pasce l’anima compiutamente pertutti questi modi. Dico prima che pasce l’anima diquella fame, la quale hae nello ’ntendimento, e questo èdico conoscere la veritade, ed è questo il maggiore ap-

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petito e la maggior fame dell’anima: la quale non puòesser pasciuta se non da Dio, e da Cristo ch’è Dio; equesta è una delle ragioni perchè il figlio di Dio vennenel mondo, per dare conoscimento della verità di sè.Imperò che ’l mondo non conoscea Iddio, non era Id-dio conosciuto dalle genti e non era trovato, e però legenti erano in troppo grande errore. E però chi credeache il suo Domenedio fosse il sole, sì lo adorava chi,adorava la luna, chi alcuno alimento, chi credea chefossero alcuni uomeni ch’eran passati, e però ne facea-no statue e adoravalle come fosse Iddio; e non iera Id-dio conosciuto, e tutto il mondo iera in bugia, e non nesapeano nulla veritade, se non un piccolino popolo, senon una grembiata, ciò erano i Giuderi. E però chel’uomo sopra tutte le cose disidera di sapere la veritàdelle cose, e spezialmente del suo principio, cioè Iddio,e errando in ciò tutte le genti e pigliando le creatureper loro Domenedio; sì venne il figlio di Dio di cielo interra, e prese carne umana, e diventò uomo, e vennenel mondo visibile, che prima non iera veduto, acciòche tu che adoravi le criature, che tu adori lui. Onde tuche adori le criature, dice Cristo, ecco me che sono tuoIddio; me adora, me conosci per tuo signore, per tuofattore e creatore, e per tuo Domenedio. E però di-ventò uomo; acciò che ’l vedessi visibilmente, e non cierrassi più, ma fussine certo; è però diventò uomo,parlò cogli uomeni, fu veduto dagli uomeni, fu toccatodagli uomeni; e però ci ha tolta la fame e la pena chel’anima avea di sapere chi fosse suo Domenedio; e peròè detto pane vivo, pane di verità, che ne pasce di som-ma veritade. La seconda fame dell’anima si è nella vo-lontà e nell’appetito del disiderio che ci è, e questo si èl’amore. Sopra tutte le cose del mondo è disiderato emendicato l’amore di tutte le genti; onde tutte le gentiquesto cercano in tutto ciò che fanno, pur di trovareamore. Questo è uno appetito che non l’hanno le altre

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creature, se non l’uomo, fuori dell’angelo; imperò ch’ènaturale appetito dell’anima l’amore. E però, che val’uomo cercando se non amore? cioè o d’essere amatoegli, o di trovare cosa la quale egli possa amare. Tuttociò che l’uomo fa si riduce a questo; ma non ci troval’uomo perfetto amore in questa vita, no. E però che ’lmondo vi era così vòto, e le genti così affamate e digiu-ne, sì venne il figlio di Dio per darci questo amore e persaziartene: e questo ti diede e mostrò, quando si feceuomo per te; ed egli ch’era Dio, diventò tuo fratello etuo compagno, e hatti fatti beneficii e tanti doni, chèt’ha fatta una fornace d’amore, acciò che tu il possiamare. In lui puoi conoscere l’amore che t’ha avuto.Dunque vedi che tu, che andavi cercando chi potessiamare, or l’hai trovato; lui puoi amare, lui dei amare,lui se’ tenuto d’amare, tanti beneficii t’ha fatti. Chiamerai se tu non ami lui? chi troverai mai che tanti be-neficii t’abbia fatti? Ancora tu, che andavi cercando ditrovare chi te amasse, or non andare più cercando, chètrovato l’hai. Chi t’ha amato ed ama più che Dio? nontrovi chi t’ami o chi di te curi, se non Iddio Iesu Cristo,ch’è Iddio; e acciò che tu veggi quanto ti amò, sì t’hamostrati cotanti milia segni d’amore; e però come vaicercando altro? tu hai la fornace dell’amore innanzi,chè non solamente ti dà amore, ma egli è amore. Gran-de cosa è questa a dire. Cosa che sia amore non si trovain tutto questo mondo, ma trovasi cose che sono cagio-ne d’amore; ma Iesu Cristo non solamente è cagione eprincipio d’amore, ma egli è amore. Odi grande cosa,chè ti s’è dato, e dà egli ch’è amore. Vedi ch’è fatto og-gi Iddio un garzone, acciò che tu l’abbracci e basci, egodilti a tuo senno. Poteati Iddio dare cosa migliore disè o del figlio suo? no; e però se fosti per li tempi passa-ti pigro ad amarlo, ora che conosci i doni suoi, e checonosci ch’egli ha amato prima te che lui, sì lo ama; on-de dice santo Agustino: si amare piguit saltem reamare.

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La terza cosa nella quale sta la fame dell’anima si è lacarne; chè, avvegnachè altri sieno i diletti dell’anima ealtri quegli della carne, tuttavia i diletti della carne nonperò di meno sono dell’anima, che gli ama e vuole, efannole buoni. Però che tutti i sentimenti della carnevengono dall’anima; imperò che l’anima è principio delcorpo; e però l’uomo si diletta per tutti i sensi del cor-po in vedere le belle cose, in udire i belli canti, e i bellisuoni e le belle voci, in odorare cose soavi, in gustarecose nobili e dolci, e così negli altri sentimenti, chèsempre desidera di empierli e mai non s’empiono. As-sai mangeresti e beresti, che tu non rimanghi poi collafame e colla sete; imperò che passano tutte via questecose del mondo. Così anche dell’orecchio, quando ilcanto è finito, è ito via, non è più; sicchè tutti passano,e però non puoi empiere nè saziare i sensi tuoi. Peròvenne il figlio di Dio, e è fatto uno garzone beatissimo,acciò che tu corporalmente ti possi saziare di lui; e peròvenne, acciò che ’l vedessi, e fu veduto, e udito, e toc-cato corporalmente. Avvegnachè questo non possiamoavere noi in questo mondo, ma sì puoi bene cogli occhidella memoria e della verace fede. Ancora fece più persaziarti il gusto; chè ti si diede in cibo corporalmente,acciò che ’l potessi mangiare, come tu fai il pane corpo-ralmente. Che smisurato amore mostrò qui il Signore,quando ordinò di dartisi in cibo a mangiare! Non pote-va stare il Signore teco a modo che stette cogli apostoliin vita sua. L’una, perchè non si convenia alla dignitàsua; l’altra, perchè non si convenia per te, e per moltealtre ragioni; e però se n’andò nel cielo. Ma partendosicorporalmente ordinò di poter rimanere teco corporal-mente, quando ordinò quel sommo e dignitoso sacra-mento dell’altare, nel quale è tutto Cristo, com’eglinacque dalla Vergine, veracemente, secondo la fedenostra: questo fu sommo amore; e diettisi in cibo e informa di pane, acciò che ti pascesse e saziasse. La quar-

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ta cosa ove sta la fame si è nell’effetto dell’opere, cioènell’opere diritte: e questa è grande fame; ed ogne uo-mo disidera questo, di fare quello che fa bene e diritto:e questo è vero; e però vedete che le genti, acciò che leopere loro facciano e possano fare diritte e vere, sì ve-dete che le genti vanno cercando i maestri, e le regole, egli esempli, acciò che l’uomo sappia fare bene ammae-strati. E perchè questo disiderio è così grande, e avean-ne le genti così grande mestieri, ed erane il mondo cosìdifettuoso, sì venne Iesu Cristo, siccome maestro, perdarti verace dottrina e magisterio in tutte le opere tue. Imaestri del mondo, i savii e i filosofi, di che ammaestra-no, se non di tortura? però che ammaestravano pur co-me l’uomo potesse avere le cose del mondo, e gli onorie le degnitadi, ed era cieco il mondo; e però venne IesuCristo, e sta oggi nella mangiatoia, siccome in una sediae in una cattedra magistrale; ad ammaestrare il mondoch’errava tutto, e a dirizzare tutte le opere nostre. Im-però che venne povero, umile; non volle la madre reinanè ’l padre imperadore; non volle i palagi nè i valletti,non le ricchezze, non li letti morbidi; non volle nascerein città grande, non in Roma, non in Troja, non in Ba-billonia, ma in una vile cittadella; e ancora non dentroma di fuori nacque, e nacque pellegrino e servo. Tuttequeste cose e in tutte diede ammaestramento verace, eperfetto; imperò che vera sapienzia è in disprezzare tut-te queste cose, e chi le seguita sì è in errore. E però ilSignore insino da piccolo incominciò ad eleggere peni-tenzia e sprezzare il mondo, la qual cosa è somma sa-pienzia. Onde la sapienzia che mostrò è tanta, che ’lmondo quasi non la può ricevere; chè se ’l mondo lapotesse ricevere sarebbe beato; e chi più seguita il suoesemplo più è diritto. Deo gratias.

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

LXXXIX

Predicò frate Giordano, 1305, a dì 26 di dicembre, domenicamattina, il dì di santo Stefano, in Santo Stefano a Ponte.

Lapidabant eum invocantem et dicentem: Domine Ie-su, accipe spiritum meum etc. Oggi facciamo festa dellapassione del beato messer santo Stefano. Onde la pas-sione sua e degli altri martiri è chiamata nella Scritturanatale; e la ragione si è questa, imperò che la morte de’martiri si è uno nascer novello, chè nasce al cielo; ondenasce a vita novella e a mondo novello. é chiamato anco-ra natale per un’altra ragione, a confermare la fede. Im-però che quando si raccordasse la morte d’alcuno santouomo, non pensassi che morisse tutto, che non ne rima-nesse nulla; e però il chiamano i santi natale, chè nonmuore, ma va a vita beata, a vita eterna. E perchè alloranasce al cielo, però fa la Santa Madre Ecclesia festa disanti pur nella passione e nell’obito, e non mai del loronatale, cioè quando nascono. E la ragione è questa: peròche quello natale è pieno di molta miseria e di pianto, enasce alle battaglie, e alle miserie, e alle tempestadi, e aipericoli, e nasce a grande dubbio e a molte pene, e nascepeccatore; e però è più degno di tristizia quel natale chedi letizia. Ma nella passione di martiri è tutto ’l contra-rio; però che si parte dalle miserie, e dalle pene e da ognidubbio, e va tutto a bene; e però di nullo santo si fa festadi loro natale, se non di due; chè se sapessimo il dì chenacquero i santi non ne faremmo festa, per le ragioniche dette sono. Ma se mi domandassi perchè si fa festadel natale della Donna e di santo Ioanni, se mi hai inte-so, già puoi vedere la ragione; imperò che fuoro santifi-cati nel ventre della madre anzi che nascessero, cioè adire che nacquero sanza peccato, e fuoro mondi del pec-cato originale. Ancora imperò che la vita loro non fu didubbio, anzi fu una certezza della santità e della vita lo-

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ro, chè furono certi della vita eterna; e però facemo festadel loro natale; e di nullo altro santo si truova più nelnuovo testamento che questo dono avesse, se non questidue. E però dunque facemo festa di santi nella loro mor-te, cioè nel loro natale, quando di questa vita passanoall’altra; e però queste feste sì le ponemo allato al nataledi Cristo. Imperò il quale fu cagione e principio del na-tale di tutti quelli che si salvano; chè se ’l natale di Cristonon fosse essuto, nullo sarebbe mai nato a Dio, e ’l suonatale ebbe virtù di dare vita e fare nascere a Dio tutte legenti. Ieri facemo festa della Natività del Signore nostroIesu Cristo, ed oggi facemo festa del natale del suo cava-liere; chè, catuno è detto natale, come detto è. E avve-gnachè ’l martirio del beato santo Stefano non intrave-nisse oggi, ma in altro tempo, non però di meno fuordinato dall’ecclesia di santi padri di porlela allato aquella del Signore; imperò ch’egli fa il primo martero, efu il primo ch’entrasse alla vita eterna per via di marti-rio, dopo Cristo, e meritò d’essere il primo che nascessea Dio, per vertù di martirio della Natività di Iesu Cristo;e però egli è il primo di tutti i martiri, e gonfaloniere ditutti loro. E a volere vedere della passione del natalesuo, sì potemo vedere e considerare nella parola propo-sta, la quale scrive messer santo Luca negli Atti degliapostoli. E potemo considerare del suo martirio, dellapassione sua, quattro cose intorno di ciò. La prima si è,che qui potemo considerare il martirio suo grande in ciòche dice: lapidabant. Mostrare ancora la pazienzia, e lafortezza, e la costanzia sua, in ciò che dice Stefano, chesignifica cosa di grande vertude. Mostrasi ancora il donoe la grazia divina, e l’aiuto ch’ebbe, in ciò che dice: invo-cantem et dicentem, cioè che per le sue orazioni ebbe daDio le dette vertudi. Mostrasi poi appetitio finis, l’ultimodesiderio ch’ebbe di tornare al principio suo a vita eter-na, in ciò che dice: accipe spiritum meum. Di questequattro cose diremo dell’una stamane. E dico prima che

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si mostra il martirio e la pena di messer santo Stefano, inciò che dice che fu allapidato. Grande pena è esser mor-to colle pietre; imperò che quegli ch’è morto di coltellomuore tosto, ma essere allapidato fa molte morti, pote-mo dire tante quante sono le pietre. Ma non solamentefurono queste pietre nel suo martirio, ma ebbeci altro ilquale aggravò il martirio e fecelo più forte, non menoquesto per sè che la pena delle pietre. Quattro cose fu-rono nel martirio di beato santo Stefano, le quali aggra-varo mirabilemente le pene sue, e non solamente furononel martirio suo, ma fuoro nelle passioni di tutti i marti-ri, e massimamente nella passione del figlio di Dio. Laprima cosa che fece grave ed accrebbe il martirio dimartiri si fu propter innocentiam; la seconda propter gra-tiam; la terza propter infamiam; la quarta propter inimici-tiam. La prima cosa che accrebbe le passioni e ’l tor-mento di martiri si fu per innocenzia, per la innocenzialoro, chè tu potresti dire: di che cui pur lodi tu questimartiri? e’ si trovano uomeni cristiani, e sostengono piùpene di loro, e sono straziati, e smembrati, e arrostiti;dunque che cui pur di’ tu? tutto è vero questo, ma ov’èla grandezza di loro martirio? in ciò ch’erano innocenti.Quando le persone si vanno a guastare, c’hanno com-messa la colpa, pare ch’abbiano meno pena e più pa-zienzia, chè dice: io l’ho meritato e m’è bene investito;ma colui sosterrebbe grande tormento, che ricevesse lamorte senza colpa veruna o cagione. Onde sogliono direle genti, quando si rammaricano: s’io l’avessi servito omeritata questa ingiuria, io me ne darei pace; così la pe-na di martiri, ch’erano innocenti e santi, e non aveanomeritato quella pena. E se dicessi: egli erano stati per litempi passati peccatori, come si legge di molti; sì ti ri-spondo, che almeno all’ora del martirio, quando aveanogià in loro deliberato di ricevere morte per la fede, eraloro perdonato ogni peccato; però il martirio loro e leloro pene che sosteneano, furono tutte ingiurie, diritte

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ingiurie. Non puoi dire così tu nelle tue tribolazioni eavversitadi, però che non le puoi appellare ingiurie. Cheè ingiuria? sostenere pena non meritata. Questo nonpuoi dire tu che le pene tue siano ingiurie, no; siccomecolui che si va a guastare per diritta cagione, non la puòappellare ingiuria, no; nè non si può lamentare che glisia fatta ingiuria, però che l’ha meritata. Così tu non tidei lamentare nelle tribolazioni tue, che Iddio ti facciaingiuria, no; però che tu l’hai bene meritata, però che tuse’ peccatore. E se tu dicessi, che non avessi ora peccato,sì ti dico che gli facesti per addietro; e perchè tu ne siipentuto e confesso, e fatta la penitenzia, non si perdonaperò così in tutto, che non se ne faccia nulla giustizia.Avvegnachè tutta la grande moltitudine sono in istato dipeccato, e dogli altri si trovano sì radi, che sieno in istatodi penitenzia, che bene sono piccolo numero a rispettodegli altri. E se mi trovassi alcuno che mi dicesse, chemai non avesse peccato mortalmente (chè non se ne tro-verebbe quasi nullo), sì ti rispondo che almeno di pecca-ti veniali nullo si può scusare; in questi caggiono tutti isanti uomeni, e ogni peccato veniale si è un offendimen-to di Dio, e ogni offesa di Dio merita pena. Onde peròpur per gli peccati veniali se’ degno di tutte le penec’hai: e questo si mostra per rispetto dell’altra vita, perlo purgatorio, il quale si dà e è fatto solamente per glipeccati veniali; le quali pene sono maggiori che tutte lepene di questo mondo. Per la qual cosa si mostra, cheper li peccati veniali tu se’ degno d’ogni male che tu haiin questo mondo, eziandio pur per uno peccato veniale.Questa è bella ragione e aperta. Or chi n’avesse molti diveniali maggiormente n’è degno; or chi n’avesse unomortale, che diremo? or chi n’avesse molti, non si po-trebbe dire. E però come ti rammarichi delle tribolazio-ni che ti dà Iddio? matto! grande ingiuria è il tuo ram-marico. Anzi mostra Iddio in ciò la sua misericordia.Come se tu avessi molto offeso al re, e fossi in sua poten-

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za, e fossi degno di morte, ed egli ti desse una gotata, ac-ciò che fuggissi dalle sue mani, che t’amerebbe. Così faIddio, datti qui queste piccole battiture, acciò che tuschifi la mano sua, e ’l giudicio terribile e le pene delninferno. E se tu dicessi: ben mi accordo ch’io sono de-gno d’ogni tribolazione che mi dà Iddio; le genti non sicredono esser battuti da Dio ogni volta, non che Iddio ledea tutte egli; ma quando viene altrui una infermitade,ben pare alle genti che questo faccia Iddio, e certe altrecose; ma quando il vicino suo li pone le ’mposte e fagliingiuria, non si pensa che questo venga da Dio, ma purdal suo nimico. E però dice: se Iddio la mi desse io mene darei pace, ma e ’l mi fa cotale e cotale. Oh matto!come pensi scioccamente, che credi che certe tribolazio-ni ti permetta Iddio e certe no; sappi che tutto le ti dàIddio, egli proprio, e tutto addiviene perchè egli vuole.Or se tu dicessi: come vuole, chè quegli che mi fa il malefa il peccato? sai tu in che è il peccato suo? non nell’ope-ra, no, ma nella volontà. Egli s’accorda ben con Dio eIddio con lui nell’opera buona, in ciò tutta è una cosa;ma discordasi nella volontade, chè Iddio il fa ad altro in-tendimento, e ha diverso intendimento da lui; e imperòche non si accorda con lui nel volere, sì pecca. Questesono nobili cose. La seconda cosa per la quale s’accrescela pena e ’l martirio a’ martiri si è propter gratiam. Gra-zia dico ne’ beneficii che faceano alle genti. Io t’ho dettoche la pena loro inforzava, in quanto sosteneano le peneingiuriosamente, per la innocenzia loro; ma non sola-mente erano innocenti e non aveano meritata pena, anzisosteneano pene per avere fatti altrui sommi beneficii.Or questa è ben cosa crudele a dire: io ricevo male da teperchè t’ho servito; questa è crudele cosa. E tanto sareb-be la ’ngiuria più forte, quanto io t’avessi fatto maggioreservigio. Quale era il servigio che i martiri ne faceano?quale è il maggiore servigio che possa essere? Grandeservigio sarebbe s’io ti volessi fare un ricco uomo, o do-

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narti un castello, una cittade, o farti re, o un signore delmondo, ben sarebbe grande servigio questo: e s’io peròt’offendessi o desseti morte, grande ingiuria sarebbequesta. Maggior servigio era quello di martiri, che volea-no fare coloro che gli uccideano re, e dare loro vita eter-na. Grande cosa è questa, e di questo riceveano morte.Siccome intervenisse al medico, che medicasse lo ’nfer-mo, e procurasse il bene suo, e egli però gli desse la go-tata, o vuoi che ne gli desse morte, grande ingiuria sa-rebbe. A questo modo fuoro morti i martiri, ch’eranocome medici e procuratori a medicarci delle ’nfermitadie a procurarci il sommo bene, e però erano morti; maben potresti dire quando lo ’nfermo può esser farneticoe non conosce quello che fa, e però nol dee ricevere atanta ingiuria. E questo disse il Signore nella croce: Pa-dre, perdona loro, chè non sanno che si fare. E santoPaolo disse de’ Giuderi, che s’eglino avessero conosciu-to Cristo, non l’avrebber crocefisso, ma nol conobbero;ben pare che siano un poco da scusare in ciò, ch’eranopagani e non aveano le scritture nel conoscimento diDio, come avemo noi cristiani. Ma noi cristiani non po-temo avere scusa per ignoranza di non conoscere, quan-do si fa ingiuria al santo uomo; da cui le genti ricevonopiù beneficio, che non ti potrebbono fare tutti gli uome-ni del mondo; chè non solamente ne ricevi beneficio es-ser presente da molte parti, ma eziandio essendo assentene ricevi grande beneficio, che prega per te, per li pecca-tori. L’orazione di quali o fede ferma, ch’è beneficiograndissimo tutto, non ce n’avvediamo noi. E però ilsanto uomo, essendo egli in Francia, in India, sì ne rice-ve grande beneficio e grande servigio. Ancora non sola-mente per le orazioni sue, ma eziandio tu puoi dire chetu ricevi da lui tutti i beneficii spirituali, eziandio tempo-rali. E questo ti mostro; imperò che i santi uomeni sonocolonne che sostengono il mondo, che caderebbe. Sic-come fosse una casa, che tutta, fosse smossa e volesse ca-

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dere, e rattenessesi, quello rattenimento sarebbe per al-cuna colonna più forte che la sostiene. Così è de’ santiuomeni. Ed è questo della casa il più nobile esempio chedi ciò si truovi. I santi uomeni sono colonne che sosten-gono il mondo, tutti gli altri sono peccatori, e sonosmossi e caderebbono, se queste colonne non rattenes-sero. E che i santi uomeni sieno colonne che sostengonoil mondo sì si potrebbe mostrare per molti argomenti;ma ora non cercheremo altro, se non l’esempio che ave-mo in Lotto. Non si trovava in tutta quella provincianullo uomo buono, se non Lotto, tutti gli altri eranopeccatori; e questo Lotto era colonna che sosteneva tut-ta quella provincia pur egli solo. Grande cosa è a dire,mentre che vi fu non potè perire. Odi che disse l’angeloa lui; Iddio vuole, sobissare queste cittadi per li peccatiloro, e hallo commesso a me; escine fuori, chè non loposso fare infino che tu ci se’. Vedi mirabile cosa, e cosìfu; chè uscitone incontanente, come chi traesse dalla ca-sa una colonna che sostenesse tutto l’edificio, così costo-ro caddono in abisso poi che Lotto n’uscì. Vedi dunquecome ne sono necessari i santi uomeni a te peccatore,chè ti sostiene, che servigio è questo. Uno santo uomomantiene tutt’una cittade, tutt’una provincia, e però side’ l’uomo guardare di non ingiuriarli; e spezialmente èpericolo quando sì partissero del mondo. De’ ne ancoraavere guardia, non solamente per quello ch’è detto, maper la radità loro, chè sono radissimi. Quando una casaavesse molte colonne, perchè se ne levasse una o parec-chie, non caderebbe però la casa; come è in santo Pierodi Roma, che v’ha ben sei cotanti colonne che non biso-gnano, pur che di quelle se ne traessero, non avrebbeperò danno; ma quando fossero rade, or allora è il peri-colo chi ne traesse niuna. Così, è di santi uomeni, chesono radi e sono pochissimi; e però ne doveremo averegrande guardia, e doverebbe la cittade riserbare un san-to uomo e conservallo. La terza cosa per la quale s’ac-

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crebbe il martirio di santi si fu propter infamiam: chi so-stenne una morte ingiustamente ancora per avere servitogrande fatto è, ma morire come peccatori, questa è som-ma pena. A questo modo erano morti i santi, non comeinnocenti e benefattori, ma come micidiali e malfattoriinfamati di peccato, questa era la morte loro. A questomodo fu lapidato santo Stefano, siccome bestemmiatoredi Dio. Stando nel concilio dinanzi ai signori disse loro:io veggio i cieli aperti e Iesu dalla dritta del Padre.Udendo costoro ricordare Cristo non potero sostenere.Rodeansi tutti e dissero ch’egli era un bestemmiatore diDio, e per questo fu allapidato; alla qual cosa dovea es-sere tutto ’l popolo raunato; imperò ch’era ingiuria diDio, ed ivi fu allapidato; e beato chi gli potea gittare eesser partefice, chè parea loro fare grande sacrificio; edera ben così. Ma santo Stefano nollo bestemmiava, anziil lodava e benediceva altissimamente, e fu tutto macina-to e trito, e coperto con una grande montagna di sassi.Vedi a quanto vituperio morì! A questo modo morì an-che Cristo, siccome bestemmiatore di Dio. Questa infa-mia accrebbe smisuratamente la pena di martiri. DisseCristo: Verrà tempo quando quelli che vi uccideranno sicrederanno fare a Dio grande piacere, e grande benefi-cio e sacrificio: quel tempo era allotta. Vedi quanto zeloaveano le genti del nome di Dio! che chi ’l bestemmiavaincontanente era morto, sanza nulla misericordia. Chesarà di noi miseri cristiani, che avemo tanto conoscimen-to e siamo così obbligati a Dio per tanti benefici, e noi ilbestemmiamo e facciamo ingiuria al nome suo? Buonacosa è ad avere l’uomo zelo del comune suo, e di difen-derlo quando volesse essere ingiuriato e tradito; mamaggiore zelo de’ esser quello che dovemo avere a Dio;imperò ch’è più generale ingiuria, chè la ingiuria di Dioè tua e d’ogni uomo, e non pare che le genti se ne curinoperchè Iddio sia bestemmiato; se bestemmiasse un altrouomo n’averebbe talora più danno che di bestemmiare

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Iddio: non se ne fa punizione di questo, no; grande maleè questo, pessimo; come ’l sostengono le genti? E spe-zialmente è bestemmiato quando doverebbe essere piùlaudato, nelle feste, e spezialmente in questo natale, espezialmente in quella notte. Allora s’ingiuria Iddio intutti sozzi modi, quando la divozione de’ essere maggio-re. Grande male è questo. Cristo benedetto nacque inloggia, ch’è la più vile casa che sia, più vile che capannao padiglione; il padiglione pare una casa, ma loggia nonè altro che un tetto; or di queste loggie si sono allevatetante in questa terra, ch’è uno orrore pur audire; nellequali tuttodì si bestemmia Dio a giornata. Vedi quantaingiuria li fanno i maladetti cristiani, e non è nullo che sicuri del nome di Dio! Deh, noi veggiamo di saracini,che hanno tanta reverenzia al nome di Dio, che inconta-nente che ’l vedessero in terra in qualche straccio di car-ta, sì lo ricoglie immantanente e bacialo tutto, e non ciandrebbe su co’ piedi per tutto questo mondo! Non in-tendete ch’egli abbiano per loro Iddio Maometti, no, nèper figliuolo di Dio, ma per uno profeta; ch’egli adoranobene uno Dio, e chiunque bestemmiasse Dio o Maomet-ti, incontanente gli è mozzo il capo di botto. Vedi quan-ta reverenzia hanno al nome di uno profeta, e sono cani.Quanta vergogna fa questo a noi miseri, ch’avemo Cri-sto per Dio e bestemmiallo! La quarta e ultima cosa, laquale inforzò e accese ai martiri la pena, si fu propter ini-micitiam; imperò ch’erano morti per nimistadi. Quandol’uomo si va a ’mpiccare, già non ha egli odio, e nonvuole male al ribaldo che lo ’mpicca; però che sa che nolfa per odio, e fallo non volentieri. Altresì non ha odio algiudice che ’l condanna, chè sa che nol fa per odio, chen’è dolente, ma non può fare altro; ma se quegli che lo’mpiccasse fosse suo nimico, e avesse procurato la mortesua, e impiccasselo colle sue mani,,or questa sarebbe co-sa importabile, da non potere sostenere in nullo modo.Questa fu la terza cosa che accrebbe la pena di martiri,

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la inimicizia; però ch’erano morti per inimicizia, e soste-nealla da’ nimici, e da quelli che li odiavano: la qual cosaera somma gravezza. Non dico io però che non avesseropazienzia, no; anzi grandissima l’ebbero; ma non però dimeno queste cose ci furono ad accrescimento della penaloro. Hotti dunque mostrato per quattro bellissime ra-gioni, come la pena e la passione di martiri soperchiatutte le pene degli uomeni del mondo in gravezza, lequali accrebbero la pena e ’l martirio loro smisurata-mente. Queste cose furono in Cristo maggiormente. Deogratias.

XC

Predicò frate Giordano, 1305, a dì 27 di dicembre, lunedì mat-tina, in Santa Liperata, il dì di santo Ioanni Vangelista.

Hic erat discipulus quem diligebat Iesus. Questa festa equesto benedetto santo sì ha dell’altre grandi proprieta-di. Imperò che le proprietadi delle cose, si conosce ostinguesi in ciascheduna cosa l’una dall’altra; e però haeIddio posta in tutte le creature e in ciascheduna singola-re proprietade, per la quale si può discernere l’unadall’altra, e conoscere per quelle il valore di ciaschedunacosa; siccome ti do esemplo di l’oro. Sono due manieredi ori: una maniera d’oro si è, ch’è puro oro e verace;un’altra generazione d’oro è, ch’è falso e contraffatto, echiamasi oro d’alchimia. Catuno di questi ori pare a ve-dere l’uno come l’altro, in ciò non ha vantaggio l’unodall’altro; dunque come si conosce l’uno dall’altro, co-me si conoscerà il buono dal falso? Questo conoscimen-to s’ha per le proprietadi di ciascheduno. Quale è laproprietà dell’oro fine? é che hae a confortare il cuore, emolte altre proprietadi hae altresì, e però si conoscel’uno dall’altro; chè l’oro d’alchimia non fa quella opera-

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zione, nè molte altre che fa l’oro fine. Dunque per leproprietadi delle cose si conoscono l’una dall’altra, equesto è in tutte le cose. Queste proprietadi non sonosolamente nelle criature di sotto, ma eziandio negli an-geli; onde gli angeli di paradiso non ha l’uno quella pro-prietade c’ha l’altro, nè quello uficio l’uno che l’altro. Equesto scrive messer santo Dionigio, e dice che altra è laproprietade di serafini, e altra quella di cherubini, e altraquella delle vertudi, e così di tutti gli altri; però chel’uno non è disposto a quello uficio che l’altro. Cosìeziandio fu intra gli apostoli; chè ciascheduno apostoloebbe sua speziale proprietade e grazia da tutti gli altri.Siccome a santo Piero fu commesso il pontificato, ed’essere pastore e governatore delle pecore, cioè dei fe-deli. A santo Andrea fu dato dono d’essere il primo apo-stolo, anzi il primo cristiano. A santo Iacopo maggiorefu dato prima il regno di Dio ch’a tutti gli altri apostoli;e così ti potrei dire di tutti. Quale fu la singolaritade e laproprietà ch’ebbe messer santo Ioanni Vangelista, per laquale è conosciuto da tutti gli altri? Questa singularità siè quella ch’egli medesimo disse. E quale fu essa? ful’amore di Cristo; e però egli dice: quegli era il discepo-lo, il quale era amato da Cristo. Questo dono e questasingularitade ebbe egli da tutti gli altri apostoli, che fusingolare diletto di Cristo. Ora è qui la grande quistione:come mi di’ tu che la proprietà sua dagli altri fu l’amoredi Cristo? or gli altri apostoli non fuoro amati da Cristo?Rispondoti: gli apostoli tutti fuoro amati da Cristo, etutti fuoro suoi diletti grandissimi; siccome e’ medesimoIesu Cristo il dice più volte nel Vangelo, e dice: Siccomeil Padre amò me, così amo io voi; ed in più altri luoghi ildice. Dunque in che fu differente dagli altri apostoli?santo Ioanni, dicono i santi, che Cristo l’amò dagli altriin alcuna singularitade d’amore; imperò che alcuna sin-gularità d’amore gli mostrò Cristo dagli altri apostoli.Ecco assolta la questione. Ma questa ne ’ntriga un altra

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non minore, anzi molto maggiore e più profonda; chèpotresti fare qui questione, perchè Dio amò più singo-larmente santo Ioanni che gli altri apostoli? onde fu lacagione? Questa quistione è grandissima, ed è sì profon-da e ha tanto abisso, che non ci si può pienamente ri-spondere, nè renderne sofficiente ragione; ma la miglio-re ragione che rendere ci si possa e il migliore modo dirispondere, si è, pare, che ciò è di volontà divina, perchèIddio vuole; e se domandassi perchè vuole Iddio, ancoraquesta questione è profondissima e investigabile da piùparti. L’una si è imperocchè io non posso dire: Iddiol’amò più perch’egli è migliore: non è sofficiente ragionequesta, no, non basta; imperò che il valore di Dio nonha principio nè cagione, e non puoi dire: Iddio vuolquesto per la cotale cagione, imperò che ’l volere suomai non si muta. Quello volere e quello amore hae eglioggi ch’egli ebbe eternalmente. E non crediate chel’amore di Dio si cominciasse in santo Ioanni, perchèfue suo discepolo e apostolo, anzi l’amò e eternalmente,anzi ch’egli fosse, e così degli altri; sicchè non puoi dire:egli l’amoe perchè fu buono; perchè innanzi che fossebuono l’amoe; amollo anzi che fosse nato. Imperò chenulla cosa è cagione della volontà divina; imperciocchè’l volere di Dio non si muta mai, però che in lui non ca-de mutazione nulla. Ancora per un’altra ragione èprofonda questione dall’amore di Dio al nostro amore;sì ha questa differenzia tra l’altre, che ’l mio amore è percagione d’alcune cose. Perchè amo io colui? perchè èbello, perchè è savio, per li beneficii che ne ricevo; sic-chè l’opere e le cagioni di fuori producono e fanno na-scere l’amore tuo, chè l’ami per le dette cose. Onde nonè egli bello nè buono perchè tu l’ami, anzi perch’egli èbello e buono l’ami tu; dunque l’amore tuo non è cagio-ne delle cose, ma le cose sono cagione dell’amore tuo.Questo è nell’amore nostro; tutto ’l contrario addivienedell’amore divino; imperò che l’amore divino non è per

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cagione delle cose; anzi è egli cagione, e principio di tut-te le cose. Onde non t’ama Iddio perche tu se’ buono,no; anzi se’ tu buono perchè Dio t’ama. Dunque nonamò Iddio santo Ioanni perchè fosse buono o miglioredegli altri, anzi fu egli buono perchè Iddio l’amò. E perònon si puote assegnare nulla ragione perch’egli l’amò so-pra gli altri di singulare amore, e elesselo, e al suo regnoeternalmente, anzi che ’l mondo fosse. S’io eleggo alcu-no ad alcuno uficio, si è perchè talora ha bontà da ciò,hae il senno, ed èvvi più acconcio degli altri. Non addi-viene così di Dio; di questa elezione parlò santo Paolo.Noi siamo eletti apostoli di Cristo e suoi ministri, e allasua gloria eternalmente, anzi che ’l mondo fosse. E peròsi dice, e tuttodì udite dire, che ciò che Iddio ne fa tuttoè di grazia, tutto; nulla cosa c’è di tuo merito, che tuepossi dire io l’ho meritata in alcuno modo, però che laelezione divina tutta è di grazia e di gran dono divino;però che t’hae eletto Iddio al regno suo e un altro no; giànon l’hai tu meritato più di lui, perchè anzi che tu fossibuono o nato t’elesse alla gloria sua. Sicchè tutto ciò cheIddio ne fa, tutto è di grazia, tutto. Queste parole sonoparole altissime, piene di grandissima e altissima sapien-zia. Dunque l’amore di Dio non meritiamo noi; ma benpuò essere dalla nostra parte alcuna disposizione e alcu-no apparecchiamento a ricevere la grazia divina; nonche questo disponimento e apparecchiamento sia cagio-ne a far venire la grazia, ma l’amore divino, facendo lesue operazioni in alcun tempo che si mostra, e opera aun tempo più ch’a un altro, però che piace alla divina sa-pienzia; sicchè bene è alcuno apparecchiamento di rice-verla dalla nostra parte e alcuno segno di ciò, che aper-tamente appare l’amore divino in te. E di questo sipossono rendere assai ragioni, e mostrarsene molti se-gni. Qual fu l’apparecchiamento, e la disposizione, e ’lsegno dell’amore di Dio in santo Ioanni? Questo segnosi fu la purità sua, che, perch’egli fue piè puro di tutti gli

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altri apostoli; però che segno dell’amore, divino si è lapurità, chè chi più è puro più ha dell’amore divino. Im-perocchè chi Iddio ama sì gli dà purità, e quanto piùl’ama più il fa puro; imperocchè Dio non ama nulla cosaimpura, nulla; e però il segno dell’amore divino si è lapurità. E qual purità è questa, e chente è? Questa è lapurità dell’anima e della carne, cioè esser puro in animae in corpo; chè non solamente basta la purità dell’anima,ma ancora, come detto è, la purità del corpo; chè tuttigli apostoli ebbono la purità dell’anima e la mundiziamentale; ma santo Ioanni gli avanzò in maggiore purità,chè fue puro interamente, e dell’anima e del corpo suo.Egli fue vergine purissimo, il qual dono, è segno mirabi-le dell’amore divino; e voglioti mostrare da quante partila castità e la verginità ti dà segno dell’amore divino.Queste parole che dette sono, sono altissime, e forse po-chi l’hanno intese, e chi l’ha prese bene, sì sono altissimecose, e veraci. Quelli che non l’hanno prese diremo oraloro delle più grosse. Dico dunque che la purità e la vir-ginità dà espresso segno dell’amore divino in te, e appa-recchiati a’ doni celestiali, e disponti a ricevere l’amore ela grazia divina. E questo fa, e quanto da parte dell’ani-ma e quanto da parte del corpo, e in catuno in due mo-di. Nell’anima ti dà segno di grazia e d’amore divino dadue parti, l’uno nello intendimento e l’altro nella vo-lontà. Nel corpo, che ti guarda da impedimenti, e pontiin degnitade, e in grande stato e in onore. In questequattro cose la castitade, e spezialmente la somma casti-tade, cioè la verginitade, t’empie de’ doni divini e altissi-mi. Onde tu puoi per molti segni conoscere in te l’amo-re divino. Prima dico che ti dà segni d’amore di Dio edisponti lo ’ntendimento tuo alla grazia divina; e ciò daquattro parti, cioè: nella sapienzia, nello ’ntelletto, nellafede e nelle profezie; imperocchè accresce la sapienzia,assottiglia lo ’ntendimento, dirige la fede, e dà doni diprofezie e di visioni occulte. Primieramente dico che

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dalla parte dello ’ntendimento dà sapienzia. Ogni uomoil quale è inviluppato in carnalitadi non puote avere sa-pienzia: e questo ti mostro primamente per l’esemplodel nome della sapienzia. Che è sapienzia? sapienzia nonè altro che cosa savorosa, che dà savore. Onde altri dice:quegli è uomo savio, il quale ha diritto savore delle cose,cioè che ’ntende le cose sanamente; ma quegli che nonha sano conoscimento non è savio. Siccome diviene del-lo ’nfermo; imperò che ha corrotto il palato d’alcunomale o umore, sì ha mal giudicio delle cose; onde perciòil dolce gli pare amaro e l’amaro dolce. Questo non è di-fetto della cosa, ma pur suo proprio, cioè dello ’nfermo;chè, s’egli avesse buono intendimento e palato, giudi-cherebbe le cose veramente. Questo esemplo dello In-fermo è il più proprio che sia de’ peccatori. Quale è lacagione perchè i diletti carnali piacciono così ai peccato-ri, e sanno loro così dolci, e la castità par loro amara?Questo non è per difetto della cosa, ma il difetto vienepur da loro, chè sono infermi e hanno corrotto il palatodi malo umore, e non è sano, e però gli pare il dolceamaro e l’amaro dolce. Molti animali conoscono il ciboall’odore, e quando l’hanno conosciuto, incontanente cipongono il gusto e la lingua, e s’egli è reo non ci pongo-no bocca. Dunque conviene di necessità che ogni uomoche è inviluppato in peccati carnali, che sia matto, e nonè sapienzia; perocchè sapienzia dà diritto sapore; e l’uo-mo che stae in carnalità è infermo e non ha sapienzia. Ese tu mi facessi quistione e dicessi: ecco Salamone, chefu così savio ed ebbe più sapienzia che tutti gli uominidel mondo, e leggesi di lui che provò tutte carnalitadi; sìti rispondo: questo non è contrario al detto mio, anzi inaiuto. Dimmi, quando ebbe egli quella sapienzia? neltempo ch’egli fu casto e puro, e poi che fu inviluppato incarnalitade, sapienzia non fue in lui nulla; anzi fue uomomatto e pieno d’insipienzia. E questo disse egli di sè me-desimo, considerando lo stato suo rio al quale egli ven-

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ne, e disse: io conosco ch’io sono il più matto uomo delmondo, e nulla sapienzia d’uomo è in me. Questa è testi-monia grande al detto nostro, imperò che non ebbe sa-pienzia, se non nello stato della sua puritade. E se tu di-cessi: oh io veggio molti savii uomini al mondo, e sonouomini carnali, e sì sono uomini savii; rispondoti: dicoche insino ch’egli è nell’opera della carne, che non puòavere sapienzia, e conviene che sia matto; ma partendosipoi quella opera, però che l’uomo non sta sempre inquella operazione, sì può bene avere allora sapienzia,quando la carnalità s’è partita; ma mentre che v’è, mainon può essere in lui sapienzia. E però questo vi ram-mento, e di questo vi fo savii, che voi vi guardiate d’an-dare per consiglio, o di domandare questi savii, insinoche sono occupati da carnalità. E spezialmente è perico-lo d’andare a colui che n’è più vizioso; imperocchè inquell’ora che sono occupati dentro di quel mal dilettonon possono dare nullo buono nè diritto consiglio, matutti gli danno torti, secondo che sono torti eglino; im-perocchè giudicano tutte le cose secondo la loro maladisposizione. Imperocchè dice il filosofo, che l’uomo vi-zioso giudica tutte le cose, e tutte le reca al vizio suo, ecotal giudicio dà di tutte le cose. Siccome quegli c’ha lamacchia nell’occhio, ovvero un panno dinanzi all’oc-chio, che giudica essere tutte le cose secondo il coloredel velo che gli è dinanzi agli occhi; onde se ’l velo è ros-so, o bianco, o cilestro, così gli paiono tutte le cose, e hamal giudicio. E però non de’ avere nullo colore la lucedell’occhio e non ha; chè se avesse nullo colore o nullamacchia, a quel modo gli parrebbono tutte le cose, e co-sì le giudicherebbe; ma quando la luce non ha nullo co-lore ed è tutta purificata, allora giudica bene tutte le co-se. E per questa ragione gli uomeni carnali e viziosidànno consigli rei, ciascheduno secondo ’l suo malo vi-zio; e però se ne dee l’uomo guardare di non avere con-siglio con questi cotali, e spezialmente quando ne sono

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occupati. E però dunque ogni uomo carnale convieneche sia vòto di sapienzia, e rimanga matto. E però tutti isavii uomeni, che vollono intendere ad sapientiam, eavere delle cose diritto conoscimento, videro che non cipoteano venire abbiendo questo vizio; e però tutti quellich’a sapienzia intesono, tutti abbandonaro e sprezzaroogni diletto carnale, non solamente quello della lussuria,ma ogni altro diletto carnale. Questa, è la prima cosache dà la castità, e massimamente la virginità, cioè sa-pienzia. Remane a dire come dà altre cose grandi nello’ntendimento cioè intendimento altissimo, e come diriz-za e cresce la fede, e come dà doni di profezia e di rivela-zioni. Queste erano cose bellissime a mostrare; ma peròch’avea difetto di boce, per alcuna infermità che novel-lamente avea avuta di sua persona, le lasciò. Diciamo de’doni che dà nella seconda parte dell’anima, cioè nellavolontà. La seconda cosa ove la verginità mostra segniespressi di amore divino per le cose a che ti apparecchia,si è nella volontà; e in questa adopera simigliantementequattro altre grandi cose, le quali s’appartengono nellaparte dell’anima, ch’è diritta volontà. La prima si è, cheti dà l’amore di Dio, cioè che ami Iddio. La seconda si è,che ti dà la grazia, cioè che Iddio ama te. La terza si è,che ti dà diletto e sapere. La quarta si è, che ti dà pace equiete. Queste quattro cose attribuisce alla volontà. Di-co prima che ti fa amare Iddio e accresceti l’amore, e percontrario i diletti della carne spengono e disfanno in tel’amore divino. Imperocchè gli uomeni carnali non san-no che si sia amore di Dio; imperocchè la carnalitàall’amore divino è tutta contraria. E se tu dicessi: or to-glie il matrimonio, il quale è opera di carne, toglie l’amo-re divino? già non pare che ’l tolga; rispondoti: il matri-monio non è tutta opera carnale, e non è contrario aDio; chè Iddio l’ordinò, e però non ti toglie l’amore di-vino; ma quando nel matrimonio usassi quelle cose chenon dovessi, allora bene si perde l’amore divino. Ma

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quegli ch’entra in matrimonio sì ’l fa per difetto, di suavirtù, chè non si sente forte nè acconcio a castità, e peròentra in matrimonio; e questo entrare è segno di pocoamore divino; e però anzi che vi entrasse ebbe pocoamore divino, e il poco amore il vi fece entrare; ma coluich’avesse bene l’amore divino non vi si impaccerebbe. Ese tu dicessi di santi padri, d’Abraam e di quelli altri,che fuoro in matrimonio e ebbono tanto amore divino sìti rispondo che questo si è dono singolare, che Iddiovolle loro fare dagli altri; e però non si deono recare aquesto esemplo: però che fu singolare dono divino, e eb-bero in tanta abbondanza, che quasi non si potrebbe di-re. E questo si mostra in ciò, che stando in matrimonioaveano altrettanto amore o più quanto colui che stette inverginità; onde quegli che stando in matrimonio avessealtrettanto amore, quanto quegli che stesse in verginità,sarebbe segno di più amore e di maggiore vertù; sicco-me il fuoco che ardesse nell’acqua così valorosamentecome un altro fuoco nel legno verde. Se questo fosse inte che se’ in matrimonio, ben saresti degno di più laudeche i vergini, siccome fa di quelli santi padri. Ma quello,siccome detto è, fu dono singolare; ma non addivieneoggi questo ne’ matrimonii, però che generalmente tuttii matrimonii oggi delle genti vengono per difetto divertù e di amore; e però la carnalità toglie l’amore divi-no e spegnelo in tutto. Ed ancora il matrimonio lo spe-gne molto e menima, e fanne l’uomo molto da lunga:siccome interviene del legno verde che non arde, e se ar-de, arde poco e è debile fuoco; ma se ardesse come le-gno secco, quella sarebbe vertù e forza di grande fuoco.Quali sono questi legni verdi? quelli che usano il matri-monio, che non ardono bene, ardono a scoria ed è debi-le fuoco; ma il legno secco arde bene, e fa la grandefiamma e chiara. Questi legni secchi sono i vergini e ca-sti, che sono astenuti da ogni carnalitade; e però l’amoredivino arde bene in loro, e fa grande fuoco, forte e chia-

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ro; ma quelli che sta in matrimonio è legno verde, chenon può ardere nè accendersi in lui, nè appiccarsi benel’amore divino; ma a quelli santi padri ben si appiccò, eciò fu segno di smisurato amore. La seconda cosa che tidà la verginità e a che ti apparecchia e a che ella vale, si èalla grazia, cioè che ti dà l’amore di Dio; chè non sola-mente tu ami Iddio, ma Iddio ama te: e questa si chiamagrazia. Di questa non dico, avvegnachè siano cose bellis-sime; ma per non distendermi troppo passiamo alla ter-za cosa a che vale la castità e la verginità, e questa si è aldiletto, cioè che ti dà diletto e dolcezza spirituale. Ondele dolcezze celestiali e i diletti divini non si dànno e nonpossono essere negli uomeni che non sono puri; e que-sto ti provo per due ragioni: l’una sì è per la contrarieta-de di questi due diletti, l’altra si è perchè questo dilettoè una cosa profondissima e sottilissima in sè. Dico primache la impurità ti toglie il diletto spirituale e le dolcezzedell’anima, e questo è imperò che quello diletto è con-trario in tutto e per tutto al diletto carnale, e ad ogni di-letto mondano; e non può stare l’uno coll’altro, siccomel’uno contrario non può stare coll’altro. Onde il neronon può mai stare col bianco, istare dico in uno medesi-mo luogo, e così di tutti i contrari; chè ove è l’uno nonpuò esser l’altro, no; e quanto più si scevera l’unodall’altro, più cresce e piglia maggiore vertude e maggio-re campo, e moltiplica più la potenzia sua. Così addivie-ne intra questi due diletti, divino e mondano, che ove èl’uno non è l’altro, e quanto più n’è di lungi l’uno, piùabbonda l’altro e più cresce. E però questo interviene,che avvegnachè nel matrimonio l’uomo possa avere di-letto e consolazione corporale, almeno in su quell’ora,quando s’usa quel diletto, mai non v’è dolcezza nullaspirituale; poichè non vi può essere in tutto quel tempo,sia santo l’uomo e ’l matrimonio a suo senno. E però aipatriarchi e ai santi padri, dicemmo che almeno in quelcotanto tempo che usavano il matrimonio non sentiano

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diletto spirituale; nè Iddio non dava allora quelle cose,nè angeli non veniano a loro a quella cotale stagione.Provolti ancora per quella proprietade di quel dilettospirituale, ch’è in sè una cosa sottilissima e profondamolto, e però non può entrare in luogo d’occupazioni;siccome vedemo mondanamente ne’ sottili stormenti,nella viuola,, ch’è sottile stormento; il leuto, la tromba,le cennamelle hanno suono grosso, ch’entra e odesi, siaaltri occupato d’altro o no; ma quello suono della viuola,ch’è uno suono profondo e sottile, e molto dolce. E son-ne di quelle c’hanno più dolce e sottile suono unach’un’altra assai; chi ne vuole avere diletto non convienech’allora sia occupato d’altro, anzi conviene che vi stiatutto attento a ciò. E però quando quello stormentosuona, e altri parlasse, suole altrui dire: sta queto, nonparlare; imperocchè non è si piccola cosa, cho nollo im-pedisca. Simigliantemente addiviene di quegli ch’è unbello cantatore, e che hae una bella boce chiara, suolel’uomo dire: questi è un cantatore da camera, cioè chenon ci vuole essere romore. Altre boci che si fanno incoro, grosse e rozze, non richieggono quella cautela, pe-rocchè assordano altrui, o vogli altri o no; ma quel cota-le canto, chi ne vuole avere diletto, conviene che sia tut-to stretto, e unito e atteso a quello, e non senta e nonveggia null’altra cosa, e in questo modo n’ha il diletto.Così è spiritualmente delle dolcezze dell’anima, che ven-gono da Dio, sono cosa sì sottile e sì profonda, che nonvuole nullo impaccio allora nè nulla occupazione, nè chel’uomo intenda a null’altra cosa; cioè che sia morto atutti i sensi corporali, che non veggia nè oda nè senta al-tro. E non solamente ne sia di lungi il diletto carnale, ilquale spegne ogni bene, ma ogni altro diletto mondanochentunque si è; e non solamente diletti, ma ogni altraoccupazione, come detto è, tanto è sottile. E però gli uo-meni che sono inviluppati nel mondo, nel matrimonio,non sanno che si sia diletto d’anima e consolazione spiri-

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tuale. E questa è la ragione perchè i mondani non se necurano e fannosene beffe; imperò che non sanno che s’è;nol provaro mai, però nol credono, fannosene scherno.E però a volere sentire quelle consolazioni conviene chel’uomo sia tutto chiuso e morto al mondo dalle occupa-zioni di fuori. Siccome avemo esempio in messer santoPaolo, che quando vide quella visione, e ebbe quellaconsolazione e quel diletto di paradiso, si dice ch’eratutto morto al mondo; e però dice: io non so s’io m’erain corpo o fuori di corpo; ma manifesta cosa è che quan-do egli mette in dubbio ciò, ch’ogli era tutto morto almondo e fuori d’ogni diletto e sentimento corporale. Eperò i santi uomeni, che sono morti al mondo e sonofuori dell’occupazioni mondane, e i santi romiti, questisentono le dolcezze e diletti spirituali, i quali sono mag-giori e migliori che tutti i diletti di questo mondo; anzitutti i diletti del mondo sono letame e uno puzzo appoquelli, da’ quali sono di lungi i mondani e peccatori. Ri-manea a dire anche come la verginità dà pace e quieteall’anima sommamente; e rimanea a dire delle due altrecose che ne fa la verginità, cioè come conservi il corpoda infermitadi e da pericolo, e la quarta come esalta, efatti venire in grazia e stato di grande eccellenzia, e ono-re e degnitade. Le quali cose erano bellissime e di gran-de diletto; lascialle, e avemo detto pur delle due, cioèquello che fa nello ’ntendimento e nella volontà; e dellaprima dicemmo pur una ragione, e della seconda due, el’altre due avemo lasciate in tutto. Per tutti i sopradettimodi si mostra apertamente ch’aoperò la verginità dimesser santo Ioanni Evangelista in lui, imperocchè glidie’ somma sapienzia. Gli altri vangelisti dissero della vi-ta corporale di Cristo, ed egli scrisse la sapienzia e ladottrina sua. Ebbe dono d’intelligenza. In principio eratVerbum. Ebbe dono di fede grandissimo, e di ciò parlòaltamente; onde egli parlò della Trinitade: Tres qui testi-monium dant in coelo, Pater, Verbum et Spiritus Sanctus,

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et hi tres unum sunt; parlò della incarnazione del figliuo-lo di Dio: Verbum caro factum est; e parlò del santissimosagramento dell’altare: Hoc est corpus meum et caro meavere est cibus. Nelle quali tre cose massimamente sta tut-ta la fede, e questo è il fondamento. Ebbe dono di pro-fezia, e questo mostra nell’Apocalisse, che scrisse, nellaquale li fuoro revelate molte cose, e tutto lo stato delmondo, e della chiesa e del cielo. Ebbe altresì i doni nel-la volontà; imperocchè ebbe l’amore di Cristo, chè amoeCristo sopra tutti gli altri. Ebbe le dolcezze spirituali, espezialmente quando stette in quella isola di Patmos,che stava pure in contemplazione. Ebbe il dono dellapace, chè vivette in tanta pace e in tanta quiete, che nonsi potrebbe dire. Simigliantemente gli guardò Iddio ilcorpo suo, chè non gli lasciò sostenere pena, nè di fuo-co, nè di ferro, nè di morte, nè il suo corpo non sentìcorruzione; o è risuscitato, o è in qualche luogo interoche non si sa: così credono i santi. Ebbe altresì nellaquarta doni di grande dignitade; e lasciando i privilegi ele dignitadi che Iddio gli diede, dicianne pur uno. E sealtro amore non gli avesse Cristo mostrato, sì era questogrande cosa, chè ’l fece tesoriere del tesoro suo, chè gliraccomandò la madre sua. A nullo altro apostolo,ch’erano tanti, non la commise, se non a lui: e questo fuconvenevole, però ch’era vergine. Non era degna cosache quella Vergine fosse raccomandata ad altro che avergine, e ancora più ch’egli fu raccomandato a lei. Cosìdisse Cristo: Ioannes, ecce mater tua, e alla Madre: eccefilius tuus. Oh, che amore gli mostrò qui Cristo, e chedono e che degnità fu questa! Queste erano belle cosead aprire, e di grande diletto e consolazione, e di moltofrutto. Ma perchè avemo detto assai sì facciamo fine.Deo gratias.

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XCI

Predicò frate Giordano, 1305, martedì mattina, il dì degl’Inno-centi, nella piazza di Santa Maria Maggiore.

Vox in Rama audita est. Oggi facciamo festa di questibeati innocenti. Ed è festa allato al Natale del Signore,imperocchè furono martiri e morti per Cristo in prima, eancora perchè nel loro martirio hae un altra cosa moltoeccellente, cioè innocenzia, che si confà molto a questanativitade di Cristo; e ancora per tutte altre ragioni chedicemmo, e di santo Stefano e di santo Ioanni. E chi vo-lesse quistion fare e contradire, che questi parvoli nonfossero martiri, in ciò che in questo martirio non ebbo-no volontà, sì ti rispondo che questo cotale agevolmentepotrebbe contradire la salute di tutti i parvoli; imperoc-chè nel battesimo non hanno volontà, anzi contradiconosecondo che possono, e mostrano che non piaccia loro.Dunque non saranno salvi costoro? Chi dicesse di no di-rebbe contro alla fede cattolica, la quale dice che tutti sisalvano; e la ragione sì è questa: che Iddio non richiedele cose ove non può essere, è cortese Iddio, ma richiedeove può essere; onde la volontà ne’ fanciulli non richie-de, ma richiede opera, e basta a Dio. E se tu dicessi: cheopera che possono eglino operare? sì ti rispondo: e’ so-no due modi di opera e di fare. Diciamla come dicono igrammatici: e’ dividonla in due, e chiamanle azione epassione. Azione si è opera di fare, passione si è operapur di sostenere; onde uno modo di fare e d’operare si èpur di ricevere e sostenere. I parvoli non possono avereil volere, nè opere d’azione, ma possono sostenere: equesto richiede Iddio e basta. Ma ove queste cose pos-sono essere non basta pur l’una di questo cose, ma vuoleanche la volontà. Siccome ti do esemplo in colui che dàlimosina, che vuole Iddio che sia di volontà; non per for-za, non per vana gloria, non altro mal modo, ma vuole la

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buona volontà, altrimenti la tua limosina non gli piace:ma se se’ povero e non hai che dare, non ti richiede Id-dio se non il buono volere. Onde i poveri sono tenuti edeono avere volontà di fare limosina se potessero. Inten-danlo bene questo, che ne sono tenuti, e richiedelo loroIddio sì bene, e chi ha ricchezza richiede e la volontà el’opera. Così è de’ parvoli, i quali non sono tenuti se nondi quello che possono, di quella cotale opera, pur di ri-cevere e sostenere; ma non intendere che gli facesse salviogne sostenere, no; ma quello il quale ha ordinato loSpirito Santo, Iddio, cioè il battesimo e il martirio perCristo. Onde non gli faresti salvi perchè tu gli uccidessiin altro modo, no, non ha vertù da ciò quella morte; chènon vuole Iddio e non gli piace quella cotale morte. Sic-come colui che uccidesse sè medesimo per esser martire,non meriterebbe ma peccherebbe; perocchè non è mor-te, secondo c’ha ordinato lo Spirito Santo, a via di marti-rio; perocchè ’l martirio è quando fosse fatto da’ pagani,per la fede, come erano i martiri. E però per uccidere tuil fanciullo nol metteresti in paradiso, però non mai, senon fosse già battezzato; ed allora non v’anderebbe perquella morte, ma per lo battesimo, ch’è opera c’ha ordi-nato lo Spirito Santo. E però questi parvoli perchè so-stennero morte per Cristo, però sono messi nel numerodi martiri. E sono posti in questo giorno per un’altrabella ragione, a compiere i modi del martirio: i quali simostrano in santo Stefano, e in santo Ioanni e in costo-ro. Tre sono i modi del martirio; uno modo si è di vo-lontà e d’opera; e opera si è in due modi: fare e ricevere.Questo fu in santo Stefano; imperocchè sostenne il mar-tirio, e fece che confessò Cristo colla bocca, e però fumorto. E nello detto martirio ebbe volontà; imperò che’l ricevette di volontà lietamente, e questo è il perfettomartirio. Un altro martirio si è pur di volontà con alcunaopera di fare, e questo ebbe messer santo Ioanni, che so-stenne martirio di volontà e confessò Cristo colla bocca

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sua; ma non fu martire d’opera; imperocchè non potè,fece quello che potè, e Iddio non richiede più; e peròsanto Ioanni sì è messo nel numero di martiri. Un altromodo di martirio è pur d’opera e non di volontà; e que-sto è quello di questi parvoli, che non confessaro Cristocolla bocca, chè non poteano, ma sì lo confessaro colsangue loro; chè un modo di confessare si è, non sola-mente colla bocca, ma con opera. Onde però sono dettimarteri, ch’è a dire testimonio; chè il martirio non è al-tro se non una testimonia che dànno a Cristo, non sola-mente per parole, ma per opera, col sangue loro. Ondequesti parvoli confessaro Cristo e dierli testimonia colsangue loro spargendolo. E questi sono i tre modi delmartirio, e però sono posti allato a queste tre feste. Que-sti parvoli furono nel torno di 500 o di 1000. Perocchèquella cittadella di Betleem era la più piccola terra diTerrasanta, e non avea contado, come avemo noi qui;anzi sono termini, e questi sono tali, quanto bastano adavere loro ville i cittadini. Sicchè questi parvoli, perchèla cittadella fu piccola, vie minore che Prato assai, si col-gono forse 500 o 1000, e forse pochi più. I quali fanciul-li furono d’etade tutti da due in giù, insino a una notte: iquali fece uccidere quel maladetto Erode per la suagrande superbia, e per la sua grande infedelitade, e perla sua grande perversitade. Mostrasi dico la sua grandis-sima superbia, ch’ebbe tale il timore di non perdere ilregno e la signoria, che si mise a uccidere tutti innocenti.Vedete quanto male nasce di superbia, chè ne nasceogni pessima cosa. Mostrasi la sua infedelitade in ciò,che credette che Cristo venisse, non con umilitade, macon superbia, e come re e come signore mondano. Mo-strasi la sua perversitade grande in ciò, che volle e cre-dettesi potere contastare e resistere al volere di Dio, e aquello ch’avea ordinato di fare. Vedete come era mattocostui e perverso! Onde però fu preso egli in quello chevolle pigliare Cristo, e credendo fare contra lui fece con-

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tra sè. Come dice il salmo: Comprehendam sapientes inastutia eorum; in quella fossa, in quello lacciuolo ch’egliordinano col savere loro, dice Iddio, con quello gli pi-glierò, e tornerà tutto sopra ’l capo loro; e così fu di co-stui. Or dice che mise i mali esecutori, e fece prenderequesti fanciulli e fecegli uccidere. Allora le madri loromisono il pianto grande e le grida tali, che n’andò insinoal cielo. E non solamente piangeano elleno, ma dovetecredere che i fanciulli piangeano altresì. Il quale romore,e pianto e lamento n’andò insino al cielo; e questa è laparola che io proposi: Vox in Rama audita est. Di questaparola predichiamo stamane: la quale parola chiude tut-te le vie onde l’uomo pecca o può peccare. Vedi che hafatto Iddio, acciocchè non possi peccare, che t’ha chiusee serrate tutte le vie, onde l’uomo avrebbe materia dipeccare; tutte l’ha chiuso Iddio. Tre sono le vie per lequali l’uomo pecca. La prima si è propter occultationem,cioè quando non credi che si sappia, e credilo potere te-nere celato, che non si sappia da nullo. L’altra si è prop-ter evasionem, cioè quando non credi esser punito, cioènon ne temi punizione. Molti peccati e mali si fanno aquesta baldanza, che non temono d’esser puniti. La ter-za si è propter infamiam, cioè che molti peccano, perchènon sono veduti da molti, che se fossero veduti da moltinon peccherebbono, ma non si curano da certi e da po-chi. Onde non si vergogna l’uomo da quella con cui eglipeccò, non se ne cura; ma temerebbesi dinanzi a piùgente o dinanzi ad altra gente per la vergogna; perocchèsi vergogna l’uomo più da uno che da un altro, più damolti che da pochi. In questi tre modi e per queste trevie corrono le genti ne’ peccati: le quali vie acciocchènon ci corri, le t’ha Iddio tutto turate e chiuse; non è senon per tuo grande difetto. E ch’egli abbia serrate e tol-to via tutte le dette cagioni, sì si mostra nella parola det-ta che proponemmo. Mostrane come nullo peccato è opuò esser celato, e che non si sappia. E però l’assomiglia

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a voce, la quale grida, e ha ufficio e proprietà di farsisentire. Mostrane come ogne peccato sarà punito, in ciòche dice: in Rama. Dice che questa voce va in alto al cie-lo insino a Dio; mostrane come sarà manifesto a ogniuomo dinanzi a tutti; e però dice: audita est, Vox in Ra-ma audita, est. Dico prima che si mostra come ’l peccatonon si può fare celato, che non si sappia, ma è saputo in-contanente e non si può tenere nascosto; e però l’asso-miglia a voce che grida; onde non è nullo peccato sì oc-culto, che immantanente non sia veduto da Dio esaputo. Che sciocchezza è quella degli uomini, che nonpensano quando fanno il peccato che Iddio il vede e tut-ti i santi! Dimmi, se tu credessi che ogni tuo peccato sa-pesse il giudice, e sapessi ch’egli fosse geloso di fare pie-na giustizia e non lasciasse di punire, io t’addomando setu peccheresti, domandone pur la coscienza tua. Orpensa bene se tu t’ardiresti di fare peccato nullo! sicura-mente dico che no, se non fossi già smemorato. Qualefuro si metterebbe a furare nulla cosa per nulla cagione,se credesse che ’l giudice il sapesse, e esserne impiccato?non sarebbe sì misero. Chi ardirebbe altresì a fare o apensare nulla contra ’l re, se sapesse che ’l re sapesse tut-to? Se tu fossi sotto ’l re di Francia, per quanto ardirestidi fare contra lui, o in fatto, o in parole, o in pensiero, setu credessi ch’egli il sapesse? non per tutto il mondo nolfaresti, sappiendo che ti potesse punire qualunque ottavolesse a sua volontà. Quanta, stoltizia è questa dunque,che sa il peccatore che Iddio vede tutti i peccati, qualun-que è il più occulto del cuore, e veggionlo tutti i santi etutti gli angeli, a tutti è presente il peccato tuo! Onde aisanti sono presenti tutte le opere, ciò che si fa quaggiù,non per loro natura; ma gli angioli l’hanno bene per loronatura, ma non i santi, ma hannolo per un altro modo,cioè per ispecchio, vede quello che non può vedere persè. Così i santi non veggono no queste cose per loro na-tura, ma riguardando in Dio veggiono tutte le cose, sic-

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come in ispecchio pulito e lucente, nel quale rilucono eappaiono tutte le cose di questo mondo e dell’altro, equelle che sono e che esser potessono. Adunque, come èardito il peccatore di fare il peccato, sappiendo che Id-dio il vede, e tutti gli angioli di paradiso e tutti i santi, esa ch’egli è giudice giusto e che punirà tutto, e non puòfuggire nè campare dal giudicio suo? Onde chi l’offendepiù volte, che diremo? ma che diremo di quelli che l’of-fendono tutto giorno a giornata? Questo non viene senon da somma stoltizia, anzi potremo dire che questoviene da grande difetto di fede: o che tu non credi cheIddio veggia ogni cosa, o che non credi che punisca ditutto, o che s’inframmetta di queste cose, le quali tutte sideono credere e sono di fede, e la ragione il ti mostra.Dunque o viene da grande difetto e mancamento di fe-de, e questo è grande male, chè se’ pagano e non cristia-no; e che se ’l credi e perchè; questo non so onde si ve-gna, se non da somma stoltizia e da somma cecitade. Laseconda cosa, la quale si mostra nel peccato, si è la seve-rità della punizione che sarà de’ peccati, contra a quelloche l’uomo pensa di non essere punito, la quale è via apeccato. Vede l’uomo sè peccatore, e che Iddio non lopunisce, commette i mali, è in peccati grandi, e non èpunito; e però fa i peccati, chè non se ne crede esser pu-nito, chè vede sè e gli altri peccatori fare i mali, e Iddionon gli punisce. Or dei tu avere in dispregio la miseri-cordia di Dio, perch’egli non ti pericola così immanta-nente? tu se’ degno di nabissare. E se Iddio ti sostiene enon ti uccide immantanente, dei tu avere a dispregio lamisericordia di Dio, dei tu però prendere baldanza dipeccare? certo no; anzi avresti materia, se ’l conoscessi,di molto megliorare. Ma sai che fa Domeneddio, a mo-do di colui che saetta, che quanto più sciampia l’arco,maggior percossa dà? se immantanente ch’egli apre l’ar-co lasciasse andare, piccolo male farebbe e debole per-cossa; ma quando l’apre bene, come fanno i Saracini che

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lo squarciano bene allora dà tale percossa, che non sipuò sostenere. Così fa Domeneddio; lo ’ndugiare suonon è se non uno, aprire d’arco, che quanto più l’apre,cioè quanto più indugia, maggior fedita dà: così dicea ilsalmo. E fa a modo altresì di colui che vuole dare lagrande mazzata, che quanto più la leva alta, maggiorcolpo dà, tale che tutto rompe e fracassa. Onde lo ’ndu-giare che Iddio ne fa, e che non punisce di peccati, inquesto mostra egli l’ira sua, se tu il conoscessi. Imperoc-chè, quando egli punisce, immantanente è grande suamisericordia: allora ti fa egli troppa grande limosina; al-lora fa al modo che fa il padre al suo figliuolo ch’amamolto; chè quando ha fatto l’escesso sì ’l gastiga con bat-titure e dagli la gotata. Questo non gli fa per odio, maper grande amore, chè ’l paga di quella offesa piccola,acciò che non la faccia tale che non sia degno di morte.Così ne fa Iddio a noi, se ’l conoscessimo, quando ne dàpunizione; imperocchè ’l gastiga in questo mondo edanne le battiture, acciò che tu abbi senno e paura diquelle pene del ninferno, e acciò che tu te ne guardi enon ci caggi; e però ti dà queste, acciò che tu scampiquelle e abbine paura. Onde grande misericordia di Dioè quando ne batte in questo mondo, siccome aperta-mente il dice la Scrittura nel libro de’ Maccabei. Ondele battiture, ch’egli n’ha date e dà in questa cittade, è suagrande misericordia, chè per quelle ristrigne e contrastaa tanti mali quanti si farebbono, e pone fine a tanti cri-mini. Credi tu forse, che perché Iddio non ti punisca co-sì immantanente, che gli sieno però usciti di mente, oche non se ne sia avveduto? matto saresti; chè, come tidissi, nullo peccato è sì piccolo, d’opera e di bocca o dicuore, che Iddio non veggia immantanente. Imperocchè’l peccato è come un grido, una boce, che ne va infino aDio. Onde dice il profeta di questa voce: Non sunt lo-quelae neque sermones, quorum non audiantur voces eo-rum; non è nulla voce che non s’oda. Di qual voce parla?

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di peccati. Ogni voce è voce: non fa grande sentore ognivoce; ma il grido è una voce maggiore, che si fa tropposentire, anzi sbalordire. Quale è questo grido così gran-de? questo sono i grandi peccati; siccome quel gravepeccato maladetto contra natura. Sapete che si legge diquelle cinque cittadi di Soddoma e altre? per quellopeccato mandò Iddio gli angeli suoi due a sobbissarele;ma prima venne fuoco dal cielo, che tutti gli arse e di-vampò; poi discesero in nabisso quelle cittadi e tutta laprovincia. Ed è grande maraviglia quella che Iddio n’hamostrata e ancora si mostra, che quella provinciach’andò sotto si è acqua, e chiamasi il Mare morto, nelquale non ha pesce nullo. Chè non è nulla acqua, che siaquantità, che non v’abbia pesci alquanti: in quello nonha pesce nullo, e però è detto Mare morto, chè non vinasce nulla; più che di quello esce grande puzzo disolfore. E ancora si dice, che intorno a quel mare sia po-mi molto belli, vi nascono, bella cosa a vedere, e paionoun grande fatto, e quando altri gli apre, non ci si trovaaltro che cenere e fummo: vedete diversa cosa! Questecose si dicono del Mare morto, che significano diretta-mente le condizioni di quello pessimo peccato della so-domia, il quale è sterile e sanza frutto nullo, il quale pu-te a Dio e a tutto ’l mondo; e però e’ saranno messi infiamme, come si conviene a loro. Imperocch’arsono diquello peccato, però arderanno nel fuoco eternale, e sa-ranno messi nel solfo, acciocchè muoiano di ghiado o dipuzzo, siccome e’ putirono ne’ loro peccati; onde quellidi quello vizio sono cittadini di quella cittade Soddoma.I cittadini di quella cittade avean nome Soddomiti, e daquelli cittadini hanno nome tutti quelli che sono pecca-tori di quello vizio; e però hanno nome Soddomiti, e so-no cittadini di quella cittade Soddoma. O quanti ci ha diquelli cittadini in questa cittade! anzi tutti o la maggiorparte ne sono cittadini; anzi quasi è convertita questacittade in Soddoma. Non pensate che i loro sieno mag-

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giori peccati ch’e’ nostri, no, o che noi siamo meno pec-catori di loro; anzi potremo dire con verità, che più ab-bondano oggi in noi, e spezialmente in questa cittade,che non fece in loro. Ancora più, che di loro non si leggese non quello peccato, ma giunto a questo ce n’ha quimolti, tanti e tali, che moltiplicano non meno che quellidell’usure, degli odii, de’ micidii e di tutti i mali, che sa-no tanti e in tanta quantità, che alcun’otta m’ è detto,ch’io predichi e riprenda i vizii degli uomeni, e io glitruovo tanti e tali, e in tanti modi, e in sì grande moltitu-dine, che io come smemorato, non ci so mettere mano, enon so da quale mi faccia. Onde però quelli di Soddomane giudicheranno, come Cristo disse nel Vangelio. Que-sto è quello che dicea il profeta Geremia. Il peccato delpopolo mio, cioè di Giuderi, è moltiplicato, e sono fattipeggio che quelli di Soddoma e di Gomorra. E di lorodisse il Signore: Quelli di Soddoma vi giudicheranno. Ese tu dicessi: come mi di’ che noi siamo maggiori pecca-tori che quelli di Soddoma? or quelli nabissaro, noi nonnabissiamo, nè i Giuderi non nabissaro in quel modo;perchè non nabissarono i Giuderi, e perchè non nabis-siamo noi altresì? Rispondoti per bella ragione (qui peralcuno romore del predicare non intesi alquante parolee’ dicea già). Leggesi anzi che fosse il Diluvio, che que-sto peccato non mai era essuto prima in quelli 1500 an-ni, ma abbondò per peccato carnalmente tanto, che Id-dio disse: Io mi pento ch’io ho fatto l’uomo. Allora gliuccise tutti, e lavò il mondo d’acqua; ma diede loro ter-mine a potersi convertire 120 anni. Onde Noè dicea chefacea l’arca, perchè Iddio volea diluviare il mondo, enon gli credettono; ma faceansene beffe tanto, che ven-ne il diluvio e consumò ogni cosa, e tolse via tutti gli uo-meni e animali con loro. E poi dopo il diluvio si in co-minciò piggiore peccato la soddomia, contro natura. Edi questo peccato non ebbe indugio, non mandò genteche gli tormentasse a poco a poco, ma di subito mandò

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angeli e profondolli in nabisso; ma prima venne fuocodal cielo, che gli arse tutti. E non crediate che quellofosse piena punizione, nè che per quello fuoco fossonopuniti; anzi quello fuoco gli mise in peggio fuoco,nell’eternale, nel quale sono arsi, e ardono e arderanno,eternalmente. Onde non crediate che le tribolazioni dipeccatori sieno fine a ciò, anzi quelle menano in peggio-ri: onde qui s’incomincia il ninferno a’ peccatori. E peròdoveremo temere di peccare, sappiendo che Iddio nepunirà così. Onde il peccato è come un grido al cielo;come fu il peccato d’Erode, a cui s’incominciò qui ilninferno. Disse Iddio a Caino: Il sangue del tuo fratellogrida a me di terra. Della terza cosa, cioè del manifesta-mento de’ peccati, non diciamo più. Deo gratias.

XCII

Predicò frate Giordano, 1305, a dì 29 di dicembre, mercoldìmattina, in Santa Maria Novella, il dì di santo Tommaso diCanturbia.

Si quis mihi ministrat, me sequatur. Per queste cose disotto si sanno quelle di sopra, e per queste corporali co-se conosciamo le spirituali; imperò che queste cose visi-bili e corporali sono fatte all’ordine delle spirituali e ce-lestiali; e per esemplo di queste conosciamo quelle. Or,intra tutte l’altre cose corporali, quella la quale dà esem-plo e dirizza al servigio e all’opera di Dio, si è purl’esemplo ch’è tra ’l servo e ’l signore temporalmente,che è tenuto il servo di fare al signore suo, pur di segui-tare il volere suo, e di fare ciò che ’l signore gli comanda,e di seguitarlo in ogni parte; onde dounque il signore va,e il suo servo dee essere. Così dovemo noi fare a Dio, emaggiormente il dovemo seguitare, che non fa nullo ser-vo di mondo nullo suo signore; perocch’egli è signore di

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signori e re de’ re. E ancora per altra ragione: imperoc-chè noi gli siamo debiti più che quello servo a suo signo-re, e siamo tenuti d’ubbidirlo e di seguitarlo; e però senoi facessimo dalla nostra parte tutto ciò che dovessimoa Dio, avremne renduto il debito nostro. E però disseCristo nel Vangelo: Quando avrete fatte bene tutte lecose, dite che voi siate servi inutili, cioè ch’avete rendu-to il debito vostro; non avete fatto a, Dio altra grazia nèaltro servigio. Vuole dire se voi siete debiti a ciò, e voi ildebito rendete, non avete fatto a Dio nulla grazia; pe-rocchè a rendere debito non è servigio, ma servigio egrazia sarebbe servire altrui di quello che non fosse de-bito. E questa ragione non potemo rimproverare a Dionulla, chè noi siamo debiti di farli tutto quello che pernoi si può fare, e d’esser servito e seguitato sopra tutti isignori, per molte ragioni: ma è tanta la sua pietade e mi-sericordia, che avvegnachè noi siamo debiti, come dettoè, e non gli possiamo rendere sofficiente debito, ezian-dio se ogni dì ardessimo in fuoco tutto ’l tempo della vi-ta nostra, per li doni e per gli beneficii che ci ha fatti e facontinoamente, e spezialmente per la gloria e per la vitaeterna, la quale ci ha apparecchiata, non guata però Id-dio a questo; ma sta contento, purchè tu il servi come tufai al signore temporale. Grande benignitade di Dio èquesta! E se dicessi di che vuole esser servito; rispondo-ti: vuole pure che tu il seguiti, siccome tu vedi che ’l ser-vo seguita il signore. Nen intendere che questo seguitaresia corporalmente; imperocchè Iddio è invisibile, già noipotresti cercare nè seguitarlo col corpo. Altresìperch’egli è in ogni luogo; e però non s’intende corpora-le seguitamento. E se dicessi: egli ha corpo, siccome ilcorpo di Cristo; sì li rispondo, che quel corpo è tantosottile e leggiero, e il tuo è sì grave, che non lo potrestiseguitare; perocchè in uno punto passerebbe tutto que-sto mondo. E però disse Cristo a san Piero, volendoloseguitare corporalmente: Colà ove io vo non mi potresti

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seguitare ora. Sicchè non si può intendere in nullo modocorporale; ma questo seguitare si è spiritualmente di fareil volere suo, e di seguitare la sua volontade, siccome ilservo che seguita la volontà del signore suo. E intra ’lvolere del signore e quello del servo ha due rispetti:l’uno si è, che la volontà del signore de’ andare dinanzi aquella del servo; l’altra che la volontà del signore deemuovere e inducere quella del servo, non il servo quelladel signore. Così è spiritualmente, che ’l volere di Diode’ andare dinanzi al tuo, e allora se’ tu buono servo,quando tu proponi alla volontà tua quella di Dio, e inogni opera tua va innanzi il volere di Dio. L’altra si è,che ’l volere di Dio dee trarre e muovere il tuo, siccomeprincipio e signore, e allora se’ tu tratto dalla volontà diDio, quando tu vuoli ciò che Iddio vuole, e unisci il vo-lere tuo con quello di Dio; e questo è il seguitare che do-vemo fare. Or tu potresti dire: Iddio è in cielo e io in ter-ra, Iddio è invisibile, come posso io sapere il volere suoo quello che si vuole? Rispondoti: dicono i santi che so-no cinque i voleri di Dio, cinque voleri hae Iddio; que-sto pare dubbio, che conciosiacosachè il volere di Diosia pur uno e non più, pare cosa strana a dire che Iddioabbia cinque voleri. Egli è ben vero che ’l volere di Dionon è se non uno; e però i santi questi cinque modi chia-mano cinque segni del voler di Dio; onde non sono dettivoleri, ma segni del volere suo, cioè che per li detti cin-que segni potemo conoscere il volere di Dio. E sono essiquesti: il primo si è praeceptio, il secondo prohibitio, ilterzo si è consilium, il quarto si è permissio, il quinto si èbeneplacitum vel operatio. Il primo segno della volontàdi Dio si è praeceptio, cioè il comandamento suo. Quan-do il Signore comanda, segno è che vuole che si facciaquello che comanda: se ciò non fosse sua volontà, per-chè ’l comanderebbe? Così è di Dio; dacchè egli ne co-manda e danne i comandamenti, segno è che vuole chefacci quello che comanda; altrimenti, perchè t’avrebbe

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dati i comandamenti, se non volesse? Dunque il coman-damento di Dio è segno del volere di Dio, per lo quale tupuoi conoscere la volontà sua. Il secondo si è prohibitio,cioè quello che egli vieta: e questo è l’altro segno del vole-re di Dio; quando egli ti vieta che tu non facci la cotale nèla cotale cosa; imperocchè allora puoi conoscere quelloche Iddio non vuole; per li comandamenti puoi conosce-re quello che Dio vuole; per lo vietamento puoi conosce-re quello che non vuole. Il terzo segno della volontà divi-na si è consilium, i consigli che ne dà. E questa differenzahae tra comandamento e consiglio, che l’uno lega e co-stringe, l’altro no. Il consiglio nen ti lega; non ti lega Id-dio e non ti costrigne che tu stei vergine, e che tu dea tut-to ’l tuo a’ poveri, e cotali cose; ma consigliatene se vuoliessere perfetto. Il consiglio non è comandamento, ma di-sponti al comandamento; ma se comandamento ti costri-gne, dunque il consiglio che ti dà Iddio è segno del voleredi Dio, ch’egli il vuole, ma non te ne costrigne, ma del co-mandamento sì. L’altro segno della volontà di Dio si èpermissio, cioè quello ch’egli permette. Se io permettessialcuna cosa, segno è che io vorrei; e spezialmente se io ilpotessi contastare e impedire che non si facesse, e io ilpur lasciassi fare, segno sarebbe che io vorrei e piacereb-bemi. Così è di Dio: quando tu vedi che Iddio lascia epermette che si facciano i mali, segno è che vuole, e spe-zialmente però che può contastare e impedire tutte leopere se vuole; dunque permettendo che si facciano, enon contastando, è segno che vuole che sia, è segno delvolere di Dio. Il quinto e ultimo segno del volere di Dio siè operatio, cioè tutto ciò che si fa; e chiamanla i santi vo-luntade di beneplacita, cioè che piacciono al volere diDio; e questo è diritto segno del volete di Dio, e propio.In tutti gli altri quattro modi, che dicemo, se volessimopensare sottilmente, ti proverrei che non sono in tutto se-gni proprii del volere di Dio. Se volessimo sottilmente di-sputare, ben lo ti mostrerei in tutti i detti modi; ma sareb-

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be troppo lunga materia. Ma questo quinto segno e mo-do è proprio segno del volere di Dio, cioè nell’opere. So-no certi matti di tanta sciocchezza, che non credono cheIddio faccia molte cose che sono quaggiù di sotto; comes’è botte, mosche, vermini, e cotali cose. Altresì non cre-dono che da Dio vengono i mali: matti sono e scipidi; im-però che tutte le cose fa Iddio, tutte, e le buone e le ree,so non se solamente il peccato, ma dico delle pene che nedà. E però non dicano oggimai quelli matti: perchè feceIddio il ninferno, e cotali cose a’ cotali? Tutte queste cosepiacciono a Dio, e le pene e ’l ninferno, e piaceli tutto ciòche si fa, se non se il peccato; ma sostienlo non per lopeccato, no, ma per lo bene che vede che ci uscirà. Eperò tutto ciò che interviene quaggiù, tutto fa Iddio, tut-to ordina Iddio, tutto dispone Iddio, tutto e tutto gli pia-ce, e tutto è suo volere, salvo, come detto è, il peccato;ma sostienlo per lo bene che n’esce e che ne trae. Questisono dunque i cinque segni della volontà divina, per liquali noi potemo conoscere il volere suo, e in quello se-guitarlo. E questo si è quando ti piace quello che piace aDio, quando vuoli ciò che vuole Iddio, quando sostieniciò che sostiene Iddio, e conformiti sì col volere di Dio,che ciò che vuole Iddio vogli tu, nè più innanzi nè più ad-dietro. Questa è virtù del buono e perfetto servo di Dio.Se Iddio ti vuole pur dare tribolazione, piacciati; se tivuol dare morte, piacciati; se vedi fare micidii, piacciatil’opera, ma abbi compassione al peccato di colui; alloraseguiterai bene Iddio e ’l volere suo, allora sarai servoprezioso. Sono diversi modi di seguitare Cristo. Sono uo-meni che gli vanno incontro, sono uomeni che l’abban-donano, sono uomini che gli entrano innanzi, sono uo-meni che gli vanno allato, e sono uomeni che gli vannoaddietro, e questi sono buoni. Dico prima che sono uo-meni che gli vanno incontro: e questo è mal modo di se-guitare; e quali sono questi? quelli de’ quali dice il profe-ta: Ibant erecto collo et cervice; egli andavano col collo

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ritto e colla fronte levata, e non considerano operandocontro a Cristo. Ma più veramente quegli che gli vannoincontro sì sono coloro i quali cognoscono e sanno il vo-lere di Dio, e eglino il lasciano, e fanno e seguitano purquello che piace a loro, e non si curano di comandamen-to nè di nulla. Ancora sono uomeni che l’abbandonano.E quali sono questi? questi sono, come si legge degliApostoli, che abbandonaro Cristo; questi sono quelli chesi spargono. Il lupo ha uficio di spargere e il pastore di ra-gunare. Il lupo è il demonio, che sparge le pecore a Cri-sto; il pastore è Cristo, che ha a raunare. Onde chi vuoleseguitare Cristo, conviene che sia tutto raccolto in sè, eunito e non sparto. Chi abbandona Cristo, non rimanesolo egli, ch’ egli è bene accompagnato, ma rimani solotu; siccome chi abbandona le cose necessarie. Chi abban-dona il sole s’è solo egli, e ’l sole è accompagnato; peroc-chè tu bisogni di lui e non egli di te. Altresì se tu abban-doni il cibo, rimani solo tu e non egli, perocch’egli ènecessario a te e non tu a lui. Così chi abbandona il giudi-ce, il savio, il consigliere, il benefattore, egli rimane solo,pure egli. Così è di chi abbandona Cristo. Ma spezial-mente sono detti ch’abbandonano Cristo quelli, i quali illasciano per alcuna tribolazione che gli venga, come fan-no molti cattivi. Degli altri tre modi lasciamo. Disse lastoria del santo e belle cose intorno. Deo gratias.

XCIII

Predicò frate Giordano, 1305, a dì 30 di dicembre, giovedìmattina, il dì di santo Firenze, alla chiesa di Santo Firenze, inplatea .

Serviens Domino ieiuniis et obsecrationibus nocte acdie. L’uomo, quando vuole fare alcuna opera, sì deeprovedere e pensare che opera quella è; e s’ella è buona,

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o chente ella è; altrimenti non sarebbe savio, e potrebbericevere inganno. Se l’opera fosse bene buona, e non co-noscesse il valore suo, poco l’amerebbe, poco l’averebbecara. Appresso, quando ha conosciuta l’opera, si deepensare la via e ’l modo come si debbia fare; che se nonsapesse il modo come si fa, già non la potresti fare. Ap-presso dei considerare il tempo, in che tempo si debbiafare; però che ogni cosa richiede suo tempo. Appressodei considerare l’altre circostanzie. E queste cose si mo-strano brevemente e apertamente nelle parole che pro-ponemo, le quali fuoro dette di quella santa donna ve-dova Anna profetissa. La quale stava nel tempio di Dio,e stettevi 82 anni, servendo a Dio in digiuno e orazione.Le quali parole, avvegnachè fossono di quella santa ve-dova, sì possono essere altresì di quello beato confesso-re, messer santo Firenze. Nelle quali parole si mostraprimieramente l’opera che dovemo fare, e qual sia laperfetta opera. E questo si mostra in ciò che dice: ser-viens; dice che il servire a Dio, questa è la vera opera.Mostrane il modo come dovemo fare questa opera, cioèquesto servigio, in ciò che dice: Ieiuniis et obsecrationi-bus. Mostrane appresso in che tempo e in che luogo;questo tempo si è ogne tempo, ogne, e in ogne luogo; equesto si mostra in ciò che dice: nocte ac die. Dice cheservì in digiuni e orazioni, il dì e la notte. Mostra primal’opera la quale dovemo fare; e questa è il servire a Dio,esser servo di Dio. La servitudine è una cosa molto schi-fata, e inodiata da ogni uomo, e non è nullo che volesseessere servo; ma per contrario ogni uomo vorrebbe essersignore, ogni uomo vorrebbe esser signore degli altri, eavere molti servi; ma di verità più è da schifare e daodiare la signoria, che d’esser servo. Imperocchè le si-gnorie del mondo sono piene di miseria, e sono più mi-seri i signori ch’e’ servi; e però doverebbe l’uomo piùavaccio sprezzarla che la servitudine. A provare ciò sa-rebbe troppo lungo, e non è di nostra materia; ma tanto

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diciamo che la servitudine del mondo s’hae in odio; ede’ si così avere, e anche la signoria, ma pur la servitudi-ne si dee avere in odio. Ma esser servo di Dio e servire aDio, questa non è cosa misera, questa è cosa perfetta,cosa ottima, di somma gentilezza e libertade. E che ’lservire sia così alta cosa, e nobile e fruttuosa, sì ti mostroe provo per quattro belle ragioni, le quali ti mostranol’altezza di servi, di Dio. La prima si è ratione nobilita-tionis, la seconda si è ratione reciprocationis, la terza si èratione filiationis. La prima ragione della nobiltà di servidi Dio si è ratione nobilitationis. Tre cose sono nella ser-vitudine mondana da inodiare. La prima si è quando al-tri fosse servo di un uomo vile, di bassa mano, o d’unoartefice, o d’uno villano, mal volentieri è l’uomo servo dicotal gente; contentasi più d’uno uomo gentile, e digrande sangue e di grande stato. L’altra cosa che avvili-sce il servo si è la viltà del servigio medesimo, che saràmolte volte il servigio, l’ufficio, vile e cattivo; siccomechi fosse servo del papa, grande cosa pare; ma chi è ser-vo del papa alla stalla, questa è vile cosa. Ora che forzafa perch’egli sia servo di papa, dacchè egli sta nella stallaa rivolgere quello letame? ma chi gli servisse a coppa sa-rebbe nobile ufficio. La terza cosa nel servigio mondanosi è fatica e penalità, e questo è l’altro difetto; siccomequegli che serve innanzi al papa, che gli conviene digiu-nare molto; siccome altresì è del portolano, che non po-trà mangiare a ora o a stagione, e talora gli converrà di-giunare tutto dì; e siccome altri ufficii di molta fatica.Questi sono tre grandi difetti del servigio mondano, iquali non sono nel servigio di Dio: prima che Iddio cuitu servi è la più nobile cosa, e la più gentile e bella, e lapiù sovrana che sia. Tu servi al signore sommo, al resommo; imperocch’egli è re de’ re, e signore di signori,come dice la Scrittura santa; ed è re degli angeli, e signo-re di tutte le criature corporali e spirituali, visibili e invi-sibili; e però esser servo di Dio non è viltà, ma somma

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gentilezza e dignità. Anche il servigio di Dio non è vile,come quello del mondo, anzi è il più nobile servigio e ilpiù dignitoso ufficio che mai sia; e quale è questo servi-gio? Questo non è altro, se non di canto e di laude; que-sto è il servigio che Iddio vuole da te, non d’altro, se nondi laude e di canto. Che ufficio è degli angeli in cielo, senon di laudare Iddio e glorificare Iddio, e di cantare di-nanzi da lui quelle dolcissime melodie? Suole il re eleg-gere alcuno a questo ufficio per cantare; sarà alcuno tal-volta che avrà sì bella voce, e saprà sì bene il modo delcanto, che lo elegge il re per suo cantatore, non ha altroufficio, se non che canta dinanzi al re. Questo è nobileufficio di santi e degli angeli, di cantare e di laudare Id-dio continovamente. Hacci ancora un altro servigio, nelquale vuole Iddio che tu il servi: questo si è nella virtù,cioè che tu operi vertude e sii uomo di vertù. E chente èquesto servigio? è vile forse? non voglia Iddio. Questa èla più nobile cosa, la più degnitosa che sia in tutto que-sto mondo; non ci ha cosa di tanta gentilezza; imperoc-chè non solamente è gentile cosa, ma fa gentile e ingenti-lisce ovunque ella è. L’uomo appella gentile uomo coluich’è gentile di sangue; noi ce ne facemo beffe di quellagentilezza, se non hanno vertude; ma ovunque è vertùivi è vera gentilezza. Perchè sono onorati così i santi uo-mini? Si legge che non furono di sangue, ma di vile na-zione. E questo messer santo Firenze fu di vile nazione,secondo carne; ma, imperoch’ebbero le vertudi, sì gli fe-ce gentili sopra tutte le gentilezze di questo mondo. Eperò vedete quanto onore è fatto a’ santi, che vanno i si-gnori a baciare la polvere e l’ossa loro, e non se ne repu-tano degni, e baciasi la terra ove egli posono i piedi. Ve-di mirabile cosa! tutto questo è perocch’ebbero vertù, laquale gli fece così gentili è degni. Di quale imperadore sifa festa, di qual signore mondano si fanno queste cose?non di nullo. Vedi dunque la gentilezza del servigio diDio; e però servire a Dio è somma degnitade. Il terzo di-

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fetto del servigio mondano si è fatica e pena: siccome ve-dete che sono negli ufficii di servi mondani, per li fatico-si e penosi servigi. Questo non è nel servigio di Dio: anziè di grande agevolezza e di grande diletto, quando il ser-vigio è perfetto; perfetto dico, imperocchè quanto più èperfetto, meno fatica v’ha e più diletto; e questo è peruna cosa, che fa il servigio perfetto e compiuto; e quale èquesto? questo si è l’amore divino, l’amore è quello chefa perfetto ogni tuo servigio. E l’amore non è cosa greve,ma leggiere e dilettosa; e questo mostra santo Ioanninella pistola, quando dice: perfecta charitas foras mittittimorem; e chi teme non è perfetto in caritade. Dunquel’amore caccia la paura e ’l timore, e ogni malagevolezzatoglie via; e questo è il servigio che piace a Dio. Ma ilservigio ch’è fatto per paura o per altro cattivo modo,quello dà fatica e pena; ma chi serve per amore non hafatica del servigio; dunque chi più ha dell’amore divinomeno s’affatica, e più leggiere li pare il servire a Dio, epiù diletto ci ha. Onde però i santi uomini, credete chepaia loro fatica digiunare, orare o tenere castitade? no;molto è a loro agevole, anzi è loro grande diletto. E peròti dissi, che nel servigio di Dio non è fatica, quando èservigio perfetto, cioè che sia d’amore; e chi meno hadell’amore più fatica sente. Vedi dunque come volentie-ri dovemo servire a Dio per queste belle condizioni. Laseconda cosa per la quale noi dovemo amare e desidera-re d’esser servi di Dio, si è ratione reciprocationis, cioèche si torna tutto ’l servigio tuo a tua utilitade. Non ad-diviene questo al mondo tra ’l servo e ’l signore; percioc-chè ciò che ’l servo fa non è tutto suo, anzi è del signore,o tutto o parte. Siccome addiviene del cuoco del re, ilquale cuoce e fa il dilicato mangiare e non lo ardisce atoccare; e nol toccherebbe per condizione di mondo,non avrebbe ardire; e però tutto ’l manda via, e per sènon ne tocca fiore; anzi talora si manierà della cipolla odelle castagne e cotali cose. Sicchè vedi che ’l servigio

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ch’egli fa non è suo neente, ma tutto altrui. Se ’l villano,che stae colae nel campo e rivolge la terra, e duraci tantafatica tutto l’anno, s’egli il facesse a uopo altrui e non netornasse a lui frutto, molto gli parrebbe grave la fatica;ma quando l’attendesse tutto a sè, allora gli parrebbeleggieri ogni fatica, allora gli gioverebbe di ciò che ope-rasse; ma sappiendo ch’egli lo lavora a uopo altrui, sìnon gliene giova, anzi gli è fatica. Questo è in tutti i ser-vigii mondani: che quello che fa il servo non è suo, o al-meno non è suo tutto, anzi è del signore, o tutto o parte.Un altro difetto ci ha tra ’l signore e ’l servo, che ’l signo-re non si dà tutto al servo, e non gli dà ogni cosa, ma al-cuna parte gli dà, cotanti soldi, cotante livre, dagliene al-cuna particella, e ancora non gli si dà tutto egli inpersona, se non talora la veduta; chè s’egli è bello, che sene diletta il servo di vederlo, non si dà al servo più, no.Ancora il servo ha mestiere del signore per la vita sua,ma il signore hae ancora mestiere del servo, acciocchè ’lserva e ègli utile. Or vedete dunque belle condizioni,che sono nel servigio di Dio! La prima si è, che ’l servi-gio che tu fai a Dio non è suo, nè tutto nè parte, ma ètutto tuo. Tutto si ritorna pure a te prima; perocchè noinon potemo fare a Dio servigio nullo, chè non ha me-stieri di nulla; bonorum nostrorum non eget, dice laScrittura. Dunque vuole che tu il servi, non per sè, maper te e per tua utilitade. Onde ogni bene che tu fai, edigiuni, e limosine, e orazioni e gli altri beni che fai, tut-ti sono pur tuoi, non ne riceve Iddio nulla. L’altra con-dizione si è, che per questo servigio Iddio ti si dà tutto:tutto ti si dà, Iddio, e potemo dire veramente che Iddioè nostro e tutto nostro; non ti si dà parte, no, come i si-gnori mondani, ma tutto. Se tu potessi fare che l’oro chetu hai ti si desse tutto e facesse a tuo senno, e se dicessi:va colae, andasse; ben dureresti in lui più fatica che nonfai; ma e’ non ti si dà tutto, nè t’ubbidisce, chè non puo-te e non sa; ma Iddio è tutto tuo, e senne signore in tut-

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Giordano da Pisa - Prediche inedite [dal 1302 al 1305]

to. Onde ai santi in vita eterna Iddio si dà tutto in dilet-to a vedere, a godere, a gustare, e a fare ciò che voglionoi santi in tutto e per tutto. Queste sono belle cose e bellecondizioni. Vedi dunque che nobile cosa è il servigio diDio, non si potrebbe dire. La terza si è ratione filiationis.Sai tu perchè questo servigio ti pare scurato? Questo èper lo nome che tu gli dài, per questo nome che si chia-mano servi, ti pare forse non così nobile cosa. Siccomevedessi colae oro rilucente coperto d’uno panno nero,che potresti qui dire che fosse una cosa nera, se non ilpanno, ma l’oro è lucentissimo. Or così è di servi di Dio,che questo nome servi non è loro nome. Questo è di ve-rità, però che i servi di Dio non sono servi, e non è loronome questo; e però il nome ti fa parere non così chiaroil fatto. Quale adunque è il nome loro? questo nome èquello che santo Paolo dice e mostra apertamente nellepistole sue: il quale non gli chiama servi, ma dae loro ildiritto nome, cioè figliuoli; e però dice: Scientes quo-niam sumus filii Dei, si autem filii et haeredes. Il figliuolonon è servo, anzi è signore; perocch’egli è l’erede del pa-dre suo in tutti i beni suoi. E se dicessi: se noi siamo fi-gliuoli e signori, dunque perchè avemo questo nome innullo modo? Rispondoti: questo non è nome di verità,ma solamente pure al modo che il figliuolo; imperocchèinsino ch’egli è piccolo egli è qui servo, che non coman-da, che non può, che non sa, che non saprebbe che si di-re; anzi conviene che ubbidisca egli altrui. Siccome san-to Paolo in altro luogo il mostra troppo nobilmente echiaramente; e dice che eziandio dopo la morte del pa-dre, sì gli dà il padre tutori, e hae talora maestro che ’lcoregge. Sicchè è un modo di servitudine quella del fan-ciullo quando è piccolo; anzi pare qui che ’l fante siamaggiore di lui; ma quando egli viene crescendo, alloracomincia a essere signore e appare la signoria sua, e ’lfante si rimane servo, come de’ essere. E così è di fi-gliuoli di Dio, nè più nè meno. Siamo detti servi in que-

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sta vita, imperocchè siamo sottoposti, come dice santoPaolo, agli elimenti: questa è grande servitudine. L’uo-mo è migliore che non sono gli elimenti, e sì è sottopo-sto agli elimenti; onde siamo sottoposti di necessitàall’elimento dell’acqua, e questo per lo battesimo, chenon si può fare sanza acqua; siamo sottoposti all’olionella cresima; siamo sottoposti al pane nel sagramentodell’altare, che non si può fare se non di pane; sicchè in-sino che siamo in questa vita siamo sottoposti a questielimenti, ch’è grande servitudine. Ma dice santo Paoloche dopo questa vita, quando apparirà l’abbondanziadella gloria di Dio, allora saremo fuori di questa servitu-dine, allora non ci bisognerà nè più battesimo, nè piùpane, nè più olio, nè queste altre cose; allora apparirà lalibertà e la signoria de’ figliuoli di Dio. Ancora perun’altra ragione, che santo Paolo pone. Imperocchè ’lfanciullo piccolo non può mangiare i buoni cibi e savo-rosi, nè bere i buoni vini; ch’egli anzi si pasce pur di ch’èlatte, cosa scipida, che non ha sapore; ma quando è cre-sciuto e fatto uomo, allora prende i buoni cibi e i buonivini ch’egli ha. Così è di noi. Imperocchè in questa vitanoi siamo siccome fanciulli parvoli, che non potemomangiare di quelli cibi veragi saporosi, di quelli cibi no-bili, i quali hanno i santi in vita eterna, anzi avemo tuttoscipido. Questo latte con che si nutrica la infanzia no-stra, sì sono le dolcezze spirituali c’hanno i santi uomeniin questa vita. E però dicea santo Paolo: Cum eram par-vulus sapiebam ut parvulus; ma ora quando sono fattouomo compiuto, che si intende quando saremo in vitaeterna, allora averemo di quelli cibi. E però dunque so-no detti servi i figliuoli di Dio in alcuno modo; ma nonsono servi, no, non è buono nome questo. Vedi dunqueche cosa è esser servo di Dio, è essere figliuolo di Dio, èessere erede del figliuolo di Dio. Or potrebb’esseremaggiore degnità, maggiore esaltazione? Anche non so-no servi i figliuoli di Dio, ma sono signori di tutte le cria-

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ture. Vedi che ha fatto Iddio, che ha fatto il santo uomosignore sopra tutte le criature, che tutte le cose gli sonoubbidienti. Or non vedi che nulla creatura fa contro alui? Egli si contenta di ogni cosa, e non si scandalezza dinulla, ed ha pace in tutte le cose; ma il peccatore, impe-rocch’è ribellato da Dio, tutte le criature si ribellanocontro a lui e fannogli in contrario; ch’egli riede in casacome uno leone, e se non truova tutte le cose fatte a suomodo, sì mette a tempesta tutta la casa, e s’egli ha malamoglie, non ha mai bene e non si rallegra di nulla, nè difigliuoli, nè di moglie, nè di sue ricchezze, nè di nulla;ma il santo uomo riede in casa come uno agnello, tuttomansueto, tutto dolce, e se non truova bene cotto, sì sene dà pace; se non ha bene da mangiare, sì sta contentodi ciò ch’egli ha, ed ha tutta la pace del mondo; altresìgli obbidiscono tutte le creature, eziandio sopra loro na-tura: e questo è ne’ miracoli; questa è somma cosa. Im-perocch’egli è congiunto con Dio e ubbidiente, tutte lecriature sono sue serventi. Di questo santo Firenze sileggono di lui tanti miracoli, ch’è una meraviglia. Rima-ne a dire delle altre due cose che proponemmo, cioè ilmodo come dovemo servire a Dio in digiuni e orazioni,e del terzo, secondo come il dovemo servire in ogni tem-po e in ogni luogo: le quali erano bellissime e piene digrande ammaestramento, le quali lasciamo. Deo gratias.

XCIV

Predicò frate Giordano, 1305, a dì 31 di dicembre, venerdìmattina, il dì di santo Silvestro, in Santo Felice Oltrarno.

Snpra multa te constituam. L’uomo che desidera divenire ad alcuno nobile stato o ad alcuno grande ufficio,sì dee pensare com’egli è sofficiente; imperocchè s’egli sisente nel minore grado esser debile, e mal sofficiente di

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non saperlo bene usare e conducere, come dunque sa-rebbe degno questo d’esser posto nel più alto grado, ov-vero come sarebbe sofficiente a ciò? conciosiacosachè ilminore e ’l più leggiere non sappia fare. E però quegliche vuole salire al più alto grado conviene che sia prova-to nel minore; e se questo non è, non è degno di salire almaggiore, anzi non è degno pur di quello ove è. In cortedi papa prima è l’uomo al grado del santo calonacato; ese in quello è buono e ben provato, sì viene al maggiore,al cardinalato. E questo è quello che ’l Signore disse nelVangelo a quello servo, che ricevette dal signore tre ta-lenti e seppene guadagnare, sì gli disse il Signore: Soprapoche cose se’ stato fedele, sopra molte t’ordinerò. Qua-li sono questi talenti che dà Iddio? questi sono i benitemporali, le ricchezze, il corpo propio e la signoria del-le genti. Di tutte queste cose che Iddio ne dà vuole chenoi ne facciamo prode e che gliene assegnamo guada-gno; altrimenti ci sarebbe detto come a quel mal servo, ilquale fu messo nel fuoco. Vuole Iddio dunque prima-mente che noi delle ricchezze e delle cose temporali, checi ha date e prestato, che noi ne siamo buoni castaldi, eche ne facciamo utilitade e prode in saperle accrescerecome si dee; e questo è il primo grado, nel quale chi èbuono castaldo merita di salire a più nobile stato. Il con-servare e crescere questi beni si è in ispargendoli perDomenedio; e, questi è quelli che bene le tratta. Unomodo di conservare le ricchezze e accrescerle si è di sa-perlo bene dispendere. Onde il castaldo del signore nonè detto solamente essere buon castaldo, per sapervenearrogere e per conservarle, ma quando le sa bene spen-dere e allogare. Cosi è spiritualmente. L’ottimo modo diconservarle e accrescerle si è spenderle, darle per amoredi Dio; e quanto più le spendi per Dio, tanto sei miglio-re castaldo; allora sono elle bene conservate e moltipli-cate ottimamente. E se bene volessi esser perfetto, il mo-do si è di darle tutte, che a te non rimanga nulla: come

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feciono gli apostoli, che diedero ciò che aveano e non silasciaro nulla; questi furo perfetti, chè lasciaro tutte lecose del mondo e sprezzarle. Onde però e’ fuoro perfet-ti castaldi e reggitori del mondo. Imperocchè quegli èperfetto castaldo e reggitore del mondo, e regge benetutte le cose, il quale le lascia e abbandona tutte per Dio;e quanto maggiormente le lascia e se ne scosta, tanto èpiù perfetto. Come fuoro gli apostoli, i quali si resseronelle cose del mondo per lo modo più perfetto. Ma ogniuomo non può esser perfetto come gli apostoli, nè puòvenire a quella perfezione. E però non ti comanda Id-dio, che tu dea ciò che tu hai a’ poveri, ch’è cortese si-gnore, chè se ne toglie da te quello che gli vuoi dare; an-zi ne puoi ritenere per te e per la famiglia tua. Ondequello ch’è necessario alla vita e allo stato tuo, del soper-chio se’ ben tenuto di darlo a’ poveri. E qui ha grado,chè più se’ tenuto a uno ch’a un altro; più se’ tenuto aiparenti tuoi, al padre tuo, e alla madre, e alla moglie e aifigliuoli. E però di quello c’hai primamente ne provedite medesimo, appresso i più congiunti, e poi del soper-chio, se n’hai, danne agli altri poveri. Ed è grande sennosapersi, l’uomo reggere come dee le cose temporali. Laseconda signoria, ovvero il secondo reggimento, si èquello della persona propia. Ed a sapere l’uomo reggeresè medesimo come dee, questo è vie maggiore cosa; im-perocchè più nobile cosa è il corpo dell’uomo, che le co-se temporali. Ed in questo hae tre gradi: l’uno grado si èdi sapere bene reggere il corpo suo; il secondo si è direggere bene la lingua sua; il terzo si è di reggere bene lamente sua, cioè il pensiero e la cogitazione. E tra questiha grado; perocchè l’uno è più grave dell’altro. E chi inqueste cose è bene provato è perfetto. Il primo gradoreggere bene l’uomo sè medesimo, sì dico ch’è di saperereggere e governare direttamente il corpo suo. E ciò è digrande fatica per tre vizii che combattono a ciò: il primosi è il vizio della concupiscenza carnale, il secondo si è il

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vizio dell’ira, il terzo si è il vizio dell’avarizia. Il primo vi-zio che combatte il corpo tuo, dal quale il ti conviene di-fendere e guardare, si è il vizio della concupiscenza car-nale. E questo è in due modi: l’uno si sono i diletti dellagola, del mangiare e del bere; l’altro quello della lussuriae de’ mali diletti: questi combattono contra ’l corpo tuo,e da questi il ti conviene sapere guardare. E ciò è gravecosa molto a vincere tutti i diletti della carne, non sola-mente quelli della lussuria, ma ogn’altro diletto carnale,siccome fanno i santi vergini. Grave cosa è che l’uomonon ci caggia; ma non ti comanda però Iddio che tu siivergine, e non ti vieta ogni consolazione carnale, anzi tipermette che tu le possi usare in matrimonio ordinato esanto. Ma qui non è minore battaglia; ma maggiore bat-taglia è usare i diletti leciti come si conviene, che non è aschifarli tutti. E però a conservare ben netto il matrimo-nio, sanza macularlo di molti peccati che ci possono es-sere, è maggiore fatica che non è a contastare a tutti. Sic-come chi avesse il serpente in mano, che più sarebbepresso al morso e al veleno; ma il modo di cessarlo benesi è fuggirlo, ma chi ’l tiene in mano è grande pericolo eè più dubbio. Così è di coloro che sono in matrimonio eusano diletti leciti. L’uomo si può ben guardare che nonlo morda, ma malagevole cosa è ed è più rischio; maquelli che ’l fuggono non hanno quella battaglia e sonopiù sicuri. Quali sono quelli che fuggono e schifano tuttii diletti? questi sono i santi vergini, che mantegnono ver-ginitade e nettezza per amore di Dio, e non voglionosentire nullo diletto carnale. A costoro è più agevile avincere le tentazioni, che quelli che stanno in matrimo-nio, troppo hanno maggiore battaglia costoro che i ver-gini; questi non hanno battaglia, anzi è loro quasi dilet-to. Sicchè eziandio ne’ liciti è grande battaglia, comet’ho mostrato; e però chi si sa reggere in queste cose ègrande cosa. é combattuto ancora dal vizio dell’ira, laquale accende il sangue e riscalda a stendere le mani a

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micidii e altre rie cose. E sono forti battaglie queste a sa-persi l’uomo temperare; e questo si è per questa passio-ne. Passione chiamano i savii la concupiscenzia, l’ira,l’amore, e molte altre sono; queste sono passionidell’anima. Queste passioni quando si levano nell’uomo,sì ci fanno entro una nebbia, che spegne e ammorta ognibuono lume. E però in quell’ora che l’uomo è sorpreso eombrato di queste passioni, o d’alcuna di queste, sì per-de il senno e non conosce; perocchè gli toglie il lumedella ragione e diventa bestia; e però è grande cosa a sa-persi l’uomo temprare nelle dette cose. Conviengli anco-ra combattere contro all’avarizia; e questo anche si per-tiene al reggimento del corpo. Imperocchè per avarizial’uomo toglie l’altrui e imbola, siccome ladri; e mottimali fa fare, i quali l’aoperano pur col corpo; chè io nonposso imbolare, se io non ci aopero le mani e la persona.E queste cose sono quelle che combattono fortementecontro a reggimento corporale; però è grave cosa a benreggersi. La seconda cosa, la quale ti conviene reggere ecustodire, si è la lingua tua; e questa è più grieve cosa epiù difficile che non è a reggere il corpo, per più ragioni.L’una ragione si è, perocch’ella è più leggieri, e haila piùin balìa che ’l corpo, e però è più malagevole, a tenerla ea custodirla; il corpo è cosa grave, non l’hai così in balìa,come tu hai la lingua. Siccome la navicella piccola nelmare, la quale per la leggierezza è menata dal vento ebalestrata d’intorno, e però è grande pericolo; e se fossein alto mare, allora è in grande pericolo; ma la navegrossa, però ch’è grave, sta ferma, e va più salda e nontempesta a ogni vento. Così è della lingua nostra, la qua-le è gravissima cosa a ben volerla reggere; tanto l’avemoin balìa, che eziandio quando l’uomo è infermo, e quasiil corpo tutto perduto, ancora gli rimane la lingua, e sta’viva molte volte insino al tratto da sezzo: come si leggedi Iob, ch’era tutto piagato, e non gli era rimaso altroche la lingua. Ancora è più grieve per un’altra ragione,

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imperocchè sempre l’avemo presente. Non addivienecosì dell’opere del corpo; chè io non posso fare il furtoogne volta ch’io voglio, nè ’l micidio, nè l’opera dellacarne, e non ho sempre dilicati cibi; anzi mi conviene ta-lora mangiare di grossi, o voglia io o no, e così dell’altrecose; ma pur la lingua hai tu presente in ogni luogo dipotere favellare qualunqu’otta tu vogli. E chi ti può te-nere che tu non favelli? E perocch’ella è così in balìa, sìè grande cosa a ben reggerla. Un’altra ragione ci ha, per-ch’ella è così grave a vincere, e questa è per l’umidezzasua, e perch’è così discorrevole. Vedete che sta pur inacqua molle, è così umida, è però è molto sdrucciolentee scorre tosto; e da questa parte è malagevole a ritenerlae a condiminiarla. E ciò dice santo Iacopo apostolo, checome la nave è menata e volta dalle vele, e il cavallo dalfreno, a senno di colui che ’l mena, così la lingua è unoregimine del corpo tuo, col quale si mena e volge d’at-torno. La terza cosa e ’l terzo reggimento si è di reggeree conservare la mente tua. La mente chiamo qui il pen-siere: e questo reggimento è gravissimo sopra tutte ledette cose, troppo più. E questo è per le ragioni medesi-me che dicemmo. L’una perch’egli è leggiere cosa. Equale è più leggiere cosa che ’l pensiere? nulla; l’uomonon parla sempre, e stancherebbesi l’uomo di parlare;ma di pensare non mai; il pensiero corre insino oltra ma-re, insino in capo del mondo. Non va così il corpo, nè lavoce ancora per la presenzia sua; chè puoi avere il pen-siero in ogni luogo e in ogni tempo, solo e accompagna-to. Non è così della lingua, chè tu non se’ ogni volta ac-compagnato, non hai sempre a cui favellare; ma ilpensiere sempre hai, solo e accompagnato. Ancora piùch’ètti scorrevole e, subito, che eziandio se tu pur nonvolessi, sì ti viene, o vogli o no, e non te ne puoi aiutare.Non è così della lingua, ch’io non parlo, o voglia io o no;anzi favello quando voglio, e quando no, no. Chi me fa-rebbe parlare a forza se io non volessi? nullo. Non è così

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del pensiere. E però questa è somma gravezza e grandebattaglia, cioè a ben reggere la mente e conservarla net-ta, che non si lordi per male cogitazioni e per mali pen-sieri. E hanno ordine queste tre cose; imperocchè chiben regge la mente sua, sì regge bene e la lingua e ’l cor-po suo, e l’altre cose; imperocchè ’l fondamento del reg-gimento del corpo e della lingua, e dell’altre cose, statutto nella mente e nel pensiero. Imperocchè quinciescono i mali desiderii, i mali voleri, che disordinanotutto l’uomo; e così i buoni pensieri per contrario ordi-nano tutto l’uomo. Sicchè l’operazioni corporali proce-dono tutte dalle mentali. Ben è vero che ’l pensiero haealtre proprietadi in sè medesimo, cioè che nella mente sifanno molti peccati, che non si possono fare col corpo:siccome nella fede, quando non credessi in Dio e errassinegli articoli, o non amassi Iddio o nol temessi, tuttequeste cose stanno dentro. E però questa è la principalecosa di tutto ’l governamento, cioè la mente e ’l pensie-ro, e è gravissima sopra tutte l’altre. E però chi è buonorettore in queste cose, ci merita, e fassi degno d’essererettore signore nella terza signoria, cioè sopra la gente.La qual cosa è gravissima sopra tutte quelle che dette so-no, per più ragioni. L’una perchè non sai i pensieri altruie non gli puoi medicare, chè non sai quanti si sieno nèchenti; di tuoi tutti sai, puoi altrementi reggere te. L’al-tra si è perchè sono più. S’egli è cotale fatica a reggere sèmedesimo, che sai i pensieri tuoi e se’ pur uno, come de’essere grave a reggere altrui, che non sai i pensieri loro,e sono molti? Grande cosa è volere ben reggere le genti:bene dico, cioè spiritualmente secondo la legge divina;chè secondo il reggimento delle cose umane non è cosagrave, imperò che sta pur in contastare all’opere. Ondela legge umana non punisce di peccati del cuore, non sene cura di ciò; e però non è grieve cosa; ma il reggimen-to secondo la legge divina, come quella di pastori, spe-zialmente del papa, è molto gravissima; perocchè gli

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conviene pensare di reggere e di governare l’anime se-condo Dio. E se tu dicessi: Dunque s’egli è così impossi-bile, perchè dunque piglierei io signoria? Rispondoti: ipensieri dell’anima dentro e l’opere si possono bene co-noscere in alcuno modo per le operazioni di fuori; pe-rocchè l’opere di fuori sono segno della mente dentro; eperò secondo l’opere loro li puoi correggere; ma a ciònon de’ essere chi non sa prima governare sè medesimo.S’egli non sa reggere sè, come saprà reggere la moltitu-dine che non conosce! E però il reggimento di sè è datoa ogni uomo, ma di reggere altrui a pochi. E in ciò si co-nosce la perfezione di questo benedetto santo Silvestro;in ciò che fu eletto da Dio a quell’ufficio sommo, è se-gno della sua perfezione e gloria, che Iddio gli ha data invita eterna. Deo gratias.

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