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Riassunto della “PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA” (Watzlawick, Beavin, Jackson) PERCHE’ STUDIARE LA COMUNICAZIONE? L’approccio descritto nel libro nasce da un interesse che si estende dalla singola persona portatrice del sintomo (fulcro d’interesse della psicologia classica) a tutto il suo contesto e ciò ha implicato il passaggio dallo studio del comportamento in modo isolato (da cui è derivata l’indagine della natura della mente umana) allo studio degli effetti che tale comportamento ha sugli altri (ossia un’indagine sul contesto). Per cui l’interesse si è spostato dal soggetto isolato alla relazione tra le parti di un sistema più vasto e ciò ha portato all’analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione e il veicolo di tali manifestazioni è la comunicazione. LA COMUNICAZIONE Morris e Carnap dividono lo studio della comunicazione in tre settori:

1) sintassi: riguarda i problemi relativi alla trasmissione della informazione di pertinenza del teorico dell’informazione (codificazione; canali; ridondanza, ecc.);

2) semantica: riguarda il significato, ossia ogni simbolo ha un significato che nasce da un accordo tra trasmettitore e ricevente;

3) pragmatica: si occupa dell’influenza della comunicazione sul comportamento e i suoi dati sono:

a) le parole e il significato; b) il linguaggio non verbale, compreso il linguaggio corporeo.

La pragmatica, oltre alle azioni del comportamento personale, si occupa anche dei segni di comunicazione relativi al contesto dove ha luogo la comunicazione. Per cui in tale prospettiva, tutto il comportamento è comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento. L’interesse di tale approccio, inoltre, non è solo sull’effetto della comunicazione sul ricevitore, ma anche sull’effetto che la reazione del ricevitore ha sul trasmettitore del messaggio. L’attenzione, quindi, è focalizzata sul rapporto trasmettitore-ricevitore in quanto mediato dalla comunicazione. Tale approccio si basa sulle manifestazioni che si possono osservare in ogni relazione. FUNZIONE E RELAZIONE Partendo dal concetto matematico di funzione (=rapporto tra variabili), gli autori spiegano il concetto di relazione, affermando che ogni percezione non è oggettiva, ma dipende dalla situazione in cui il soggetto si trova. Per cui anche la consapevolezza di sé dell’uomo è una consapevolezza delle funzioni e delle relazioni in cui si trova implicato, per cui non ha importanza quanto egli possa reificare tale consapevolezza. Questo perché le nostre percezioni non sono costituite da ‘cose’, ma da ‘funzioni’, le quali non sono grandezze isolate, ma segni per un nesso. INFORMAZIONE E RETROAZIONE Mentre la psicoanalisi si basa sul concetto di energia, la teoria della comunicazione si basa su quello d’informazione, per cui psicoanalisi e teoria della comunicazione appartengono a livelli diversi di complessità. Nella teoria della comunicazione è molto importante anche il concetto di feed-back, ossia il fatto che l’informazione su un effetto se correttamente trasmessa indietro (feed-back) all’effettore garantisce la stabilità di quest’ultimo e l’adattamento al

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cambiamento dell’ambiente e ciò ha permesso, non solo la costruzione di macchine di ordine più elevato (ossia con scopi e controllo di errore), ma anche di postulare la cibernetica come nuova epistemologia e di osservare in modo nuovo i sistemi in interazione. Con la cibernetica si è iniziato ad osservare i fenomeni distaccandosi da un’ottica lineare o causa-effetto e considerando i fenomeni di crescita e cambiamento. Il concetto di retroazione spiega l’influenza reciproca tra i diversi eventi (cioè se A provoca B, che a sua volta provoca C, il quale provoca D, D riconduce ad A), per cui sottolinea la circolarità del sistema che non può essere analizzato con un rigoroso determinismo lineare. La retroazione può essere positiva o negativa:

1) retroazione positiva: provoca un cambiamento, ossia la perdita di stabilità o di equilibrio. In tale tipo di retroazione l’informazione aumenta la deviazione all’uscita, per cui “positiva” in rapporto alla tendenza già esistente verso l’arresto o la distruzione;

2) retroazione negativa: caratterizza l’omeostasi e gioca un ruolo importante per raggiungere e mantenere la stabilità delle retroazioni. L’informazione reintrodotta nel sistema viene usata per diminuire la deviazione all’uscita rispetto a una norma prestabilita o prevista dell’insieme (in questo senso “negativa”).

In entrambi i tipi di retroazione, quindi, parte dei dati sono reintrodotti nel sistema come informazione sull’uscita stessa. I sistemi interpersonali sono sistemi di retroazione, poiché il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altra persona. In un sistema simile i dati d’ingresso si possono amplificare fino a produrre un cambiamento oppure neutralizzare per mantenere la stabilità, a seconda che i meccanismi di retroazione siano positivi o negativi. Studiando i sistemi a retroazione (o con autoregolazione) si è passati dai concetti di energia e materia a quelli di modello e informazione. RIDONDANZA Lo studio dei sistemi ha portato ad un distacco dalle teorie tradizionali, per cui c’era bisogno di nuovi schemi e di un nuovo linguaggio per accostarsi ai nuovi problemi. A tal proposito è importante l’omeostato di Ashby: si tratta di un congegno con quattro sottosistemi autoregolantesi e interconnessi in modo che un perturbazione provocata in uno di essi influenza gli altri e, a sua volta, ciascuno reagisce tramite gli altri. Per cui nessun sottosistema può ottenere il proprio equilibrio isolandosi dagli altri. L’omeostato ottiene stabilità tramite una ricerca casuale delle sue combinazioni e continua finchè raggiunge una configurazione interna adatta (“prova ed errore”). Per Ashby i sistemi naturali, almeno parzialmente, conservano l’adattamento, ossia i vecchi adattamenti non sono distrutti da quelli nuovi e non occorre iniziare una nuova ricerca come se non ci fosse stata una precedente soluzione. Nell’omeostato di Ashby il verificarsi di una configurazione, idonea per l’adattamento, non ha effetto sul verificarsi delle successive configurazioni. Non essendoci influenza gli eventi si comporterebbero a caso, quindi sarebbero imprevedibili, ma avendo l’omeostato la capacità di immagazzinare gli adattamenti precedenti per usarli in futuro, certi raggruppamenti saranno più ripetitivi e, quindi, più probabili. Per cui si parla di processo stocastico, ossia processi caratterizzati da ridondanza o vincolo (=modello). La ridondanza è stata studiata nella sintassi e nella semantica e a tal proposito sono importanti gli studi di Shannon, Carnap & Bar-Hillel, secondo i quali ognuno di noi ha molte cognizioni di natura inconsapevole sulla legittimità e probabilità statistica inerente alla sintassi e alla semantica della comunicazione umana. Anche nella pragmatica c’è la ridondanza, che è simile a quella sintattica e semantica, infatti facilmente comprendiamo se un altro assume comportamenti ‘diversi’ (ossia fuori contesto), ‘casuali’ o ‘non vincolati’. Anche in questo caso si tratta di cognizioni inconsce di cui, però, difficilmente comprendiamo le regole (invece nella sintassi e nella semantica è più facile comprenderle) perché non riusciamo a comunicare sulla

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comunicazione. I gradi di consapevolezza del comportamento e dell’interazione sono gli stessi dei lapsus e degli errori in Freud, per cui: 1) se ne può avere piena consapevolezza; 2) possiamo non rendercene conto, ma riconoscerli quando ce li fanno notare; 3) non averne consapevolezza anche quando sono delineati per attrarre l’attenzione. Di fronte ai comportamenti umani è più difficile capire quali sono le regole che li guidano e un osservatore esterno può arrivare ad un modello considerando i comportamenti ripetitivi e, quindi, procedendo dal particolare al generale. Per quanto riguarda la metacomunicazione è la comunicazione sulla comunicazione e, rispetto alla metamatematica ha due svantaggi:

1) non ha un sistema formale come quello del calcolo matematico; 2) non ha due linguaggi, invece la matematica usa il linguaggio dei numeri e dell’algebra

e la metamatematica usa il linguaggio naturale. L’approccio della comunicazione non si occupa dei fenomeni intrapsichici, ma dell’osservazione dei rapporti di ingresso-uscita, cioè della comunicazione. Per cui i sintomi sono visti come un ingresso nel sistema familiare (funzionale) piuttosto che espressione si un conflitto intrapsichico. In questa prospettiva, quindi, non ha importanza sapere se i comportamenti sono consapevoli o meno. Si ricercano modelli “qui e ora” senza considerare se l’esperienza passata soggettiva influenza la relazione che intercorre tra le due persone che stanno comunicando. Si dà importanza agli effetti del comportamento, ma non alle cause, infatti più che analizzare l’origine interna, ossia il conflitto intrapsichico, del comportamento si cerca di comprendere per quale scopo è funzionale e si dà molta importanza al contesto dell’interazione. In tale prospettiva è importante la ‘circolarità’, infatti tutto viene analizzato come se fosse un cerchio in cui non c’è un inizio, né una fine e ogni parte influenza l’altra o viceversa. Seguendo l’ottica della comunicazione, i concetti di sanità e insania assumono significati del tutto diversi rispetto all’ottica psichiatrica tradizionale in quanto non sono visti come attributi dell’individuo, ma come reazioni ad un dato contesto interattivo. Affrontando i problemi in modo diverso si hanno implicazioni diverse per l’eziologia e per la terapia. ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE

1) Non si può non-comunicare.

Tale assunto nasce dalla consapevolezza che non può esserci comportamento che non sia una comunicazione, infatti ogni messaggio implica un messaggio a cui un altro reagisce; anche il silenzio provoca reazioni, per cui è una forma di comunicazione. Ad esempio, il ‘dilemma dello schizofrenico’ evidenzia come tramite il diniego anche lo schizofrenico comunica. Ogni comunicazione, infatti, implica un impegno e definisce il modo in cui il trasmettitore considera la sua relazione con il ricevitore e l’ipotesi è che lo schizofrenico si comporta come se volesse evitare l’impegno con la non-comunicazione.

2) Ogni comunicazione ha un aspetto di ‘contenuto’ e uno di ‘relazione’ Tale assioma è legato al concetto per cui ogni comunicazione implica un impegno e perciò definisce la relazione tra i due comunicanti. Ogni comunicazione, quindi, trasmette informazioni (notizia) e impone un comportamento (comando). La notizia rappresenta il contenuto del messaggio, invece il comando indica il tipo di comportamento che deve essere assunto, per cui si riferisce al tipo di relazione tra i comunicanti. Più una relazione è spontanea e ‘sana’, più l’aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo, invece nelle ‘relazioni malate’ c’è una lotta costante per definire la natura della relazione, mentre l’aspetto del contenuto della comunicazione è sempre meno importante. E’ importante il rapporto esistente tra contenuto (notizia) e relazione (comando) della comunicazione: il primo trasmette i ‘dati’ della comunicazione e il secondo il modo in cui si deve assumere tale

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comunicazione. La relazione si può esprimere sia in modo verbale che non-verbale. Il contesto dove ha luogo la comunicazione servirà a chiarire meglio la relazione. L’aspetto relazionale della comunicazione rappresenta la metacomunicazione e la capacità di metacomunicare è essenziale nella comunicazione efficace ed è collegata con il problema della consapevolezza di sé e degli altri.

3) La natura di una relazione dipende dalla ‘punteggiatura’ delle sequenze di comunicazione tra comunicanti.

Un’altra caratteristica importante dell’interazione tra comunicanti è la punteggiatura in una sequenza di eventi. Tramite la punteggiatura in una sequenza di eventi si stabilisce qual è lo stimolo, la risposta e il rinforzo. La punteggiatura definisce i ruoli dei comunicanti, che sono tali solo se l’organismo accetta il sistema di punteggiatura (ossia la sequenza stimolo-risposta-rinforzo). La punteggiatura, quindi, organizza gli eventi comportamentali ed è vitale per le interazioni in corso. Alla radice di innumerevoli conflitti di relazione c’è un disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi e ciò nasce da un’incapacità di metacomunicare in base ai rispettivi modelli d’interazione (esempio: analizzando i conflitti di coppia e internazionali ci si rende conto che alla loro base c’è un’interpretazione del comportamento altrui senza considerare la circolarità). Per comprendere l’importanza della punteggiatura ci è d’aiuto il concetto matematico di ‘serie oscillante infinita’, per cui in base a come raggruppiamo (punteggiamo) gli elementi cambia il risultato, anche se ogni operazione di raggruppamento è matematicamente corretta. L’unico errore del discorso matematica è la pretesa che la serie abbia un principio.

4) Gli esseri umani comunicano con un modulo numerico e uno analogico Tale principio deriva da un’analogia con i due tipi di calcolatori: numerici e analogici. I primi utilizzano il principio tutto-o-nulla e sia i dati che le istruzioni sono elaborati in forma di cifre, che sono codici assegnati arbitrariamente e la loro somiglianza con le grandezze reali è minima. Invece i calcolatori analogici operano con grandezze positive e si basano sul principio di analogia, per cui i dati assumono sempre la forma di quantità discrete positive. Anche la comunicazione umana ha un aspetto numerico (parole) e un analogico (immagini). La comunicazione analogica ha origini più arcaiche e la sua validità, quindi, è più generale del modulo numerico della comunicazione verbale, relativamente recente e molto più astratto. Con il termine di comunicazione analogica s’intende ogni forma di comunicazione non-verbale, compresi i segni di comunicazione immancabilmente presenti in ogni contesto in cui ha luogo un’interazione. Il linguaggio numerico è importante perché permette di scambiare informazioni sugli oggetti e perché ha la funzione di trasmettere la conoscenza di epoca in epoca. Nella relazione, però, facciamo affidamento quasi esclusivamente sulla comunicazione analogica. Quando, infatti, il problema centrale della comunicazione è la relazione il linguaggio numerico è privo di significato. Il modulo numerico trasmette l’aspetto di contenuto, invece quello analogico trasmette l’aspetto di relazione. Esistono differenze importanti tra i due tipi di comunicazione:

- la comunicazione numerica ha un grado di complessità, versatilità e astrazione più elevato di quella analogica;

- la comunicazione analogica non ha nulla della sintassi logica, per cui non ha nulla che equivalga agli elementi del discorso come ‘se-allora’, ‘o-o’ e molti altri e, inoltre, è priva della negazione;

- nella comunicazione analogica non ci sono qualificatori che nel caso di due messaggi discrepanti ci indicano quale è esatto, né indicatori che permettono di distinguere tra

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passato-presente e futuro; invece la comunicazione numerica ha sia qualificatori che indicatori, ma non ha un vocabolario adeguato per gli accadimenti particolari della relazione.

L’uomo deve combinare questi due linguaggi e deve tradurre sempre dall’uno all’altro, anche se ciò è difficile e tradurre dal modulo numerico a quello analogico comporta una notevole perdita d’informazione.

5) Tutti gli scambi di comunicazione sono ‘simmetrici’ o ‘complementari’, a seconda che siano basati su ‘uguaglianza’ o ‘differenza’

Tale assioma deriva dal concetto di ‘scismogenesi’ di Bateson, secondo il quale il processo di differenziazione dalle norme di comportamento individuale derivante dall’interazione cumulativa tra individui. Esistono due tipi di scismogenesi:

- scismogenesi complementare: quando il cambiamento progressivo dell’interazione consiste in un rafforzamento del ruolo assunto (ad esempio: in una relazione impositore (A)-sottomesso (B) A s’imporrà sempre di più, mentre B diverrà sempre più sottomesso)

- scismogenesi simmetrica: quando il cambiamento progressivo è dato da una competizione tra due individui o gruppi. Le interazioni simmetriche si basano sull’uguaglianza e in esse la differenza è minima, per cui i modelli tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro, invece le interazioni complementari si basano sulla differenza e in questo caso il comportamento di uno completa quello dell’altro.

Nella relazione complementare un persona ha una posizione primaria o ‘one-up’, mentre l’altro ha una posizione inferiore, secondaria o ‘one-down’. Tale tipo di relazione, oltre ad idiosincrasie dello stile di relazione di una diade, può essere costituita anche dal contesto sociale e culturale (esempio: madre-figlio, ma anche medico-paziente). La relazione, comunque, ha sempre una natura interdipendente in cui comportamenti dissimili, ma che si sono adattati ai rispettivi ruoli, si richiamano a vicenda. Ci possono essere anche relazioni ‘metacomplementari’ (quando A consente a B di assumere la direzione del proprio comportamento o lo costringe a farlo) e ‘pseudosimmetriche’ (in cui A consente a (o costringe) B di adottare un comportamento simmetrico. L’interesse comunque non è sulle motivazioni che la coppia presume determinino il suo comportamento, ma sul ‘come’ la coppia si comporta. LA COMUNICAZIONE PATOLOGICA Per comprendere meglio gli effetti pragmatici degli assiomi bisogna metterli in relazione con i disturbi che si possono presentare nella comunicazione umana, infatti i disturbi, di solito, nascono da una distorsione degli assiomi. Ad esempio, gli schizofrenici tentano di negare di star comunicando e negano anche che il diniego è comunicazione. Altri pazienti, invece, vogliono comunicare senza accettare l’impegno insito in ogni comunicazione. I pazienti negano la comunicazione o danno significati diversi o incompatibili a causa della situazione paradossale in cui si trovano, per cui hanno bisogno di ingannare anche loro stessi per adattarsi ad un universo paradossale. Per cui, riassumendo, negazione della comunicazione o dell’impegno in essa connesso sono utilizzati per adattarsi alla propria situazione paradossale. Il non-comunicare si verifica in ogni interazione umana quando si vuole evitare l’impegno inerente a ogni comunicazione. TECNICA DELLA SQUALIFICA Tale tecnica viene utilizzata per difendersi e consiste nel comunicare in modo da invalidare le proprie comunicazioni o quelle dell’altro. In essa rientrano: cambiamenti d’argomento; uso

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dei manierismi; interpretazione letterale; metafore; ecc. Tale tipo di comunicazione viene utilizzato da chiunque sia costretto a comunicare, ma contemporaneamente voglia evitare l’impegno inerente ad ogni comunicazione. La comunicazione (comportamento) “folle” non è necessariamente la manifestazione di una mente malata, ma può essere l’unica reazione possibile a un contesto di comunicazione assurdo e insostenibile. IL SINTOMO COME COMUNICAZIONE I diversi tipi di sintomo si possono interpretare come diversi tipi di comunicazione o tentativi di non comunicazione, di cui il soggetto ha convinto fortemente se stesso liberandosi dalla voce della propria coscienza e dal biasimo di altre persone, ossia il soggetto convince se stesso di essere alla mercè di forze che non controlla. Per la teoria della comunicazione il sintomo è un messaggio non verbale, in cui il soggetto ‘ci dice’ che non è lui che non vuole o vuole far questo, ma è qualcosa che non può controllare. I disturbi possono nascere dalla confusione tra contenuto e relazione e a tal proposito diventa importante che gli individui definiscano la loro relazione che può essere simmetrica o complementare. DEFINIZIONE DEL SE’ E DELL’ALTRO A livello di relazione gli individui non comunicano su fatti esterni alla relazione, ma definiscono la relazione e se stessi, comunicando, infatti, si ricostruisce continuamente il proprio sé. I partecipanti alla relazione possono reagire alla definizione che ognuno fa di sé in tre modi:

1) conferma: tramite essa si accetta la definizione che l’altro dà di sé e ciò è alla base dello sviluppo e della stabilità mentale;

2) rifiuto: con tale reazione si rifiuta la definizione che l’altro dà di sé e il rifiuto, in quanto tale, implica il riconoscimento, sia pur limitato di quanto si rifiuta e perciò non nega necessariamente il giudizio dell’altro su di sé. Il rifiuto, anzi, a volte può essere costruttivo come, ad esempio, il rifiuto dello psichiatra di accettare la definizione che il paziente ha dato di sé nel transfert, in cui è possibile che il paziente cerchi d’imporre il suo gioco di relazione al terapeuta;

3) disconferma: è alla base della comunicazione patologica e dà all’altro il messaggio “tu non esisti”, che è alla base della perdita del Sé, ossia dell’alienazione.

Analizzando la comunicazione a livello di relazione c’è una gerarchia di messaggio e a livello di ognuno di essi il soggetto può confermare-rifiutare o disconfermare. IMPENETRABILITA’ Secondo Lee, l’”impenetrabilità” è la mancanza di consapevolezza delle percezioni interpersonali e può condurre alla disconferma del sé da parte dell’altro. Un’interazione è efficace e non disturbata se ogni parte si accorge del punto di vista dell’altro. L’impenetrabilità è, quindi, la non-consapevolezza e può avere diversi livelli, comunque ogni volta che non c’è consapevolezza le parti di una diade si riferiscono a pseudo-problemi. Esempio tipico di pseudo-problemi si può osservare nelle famiglie schizofreniche, in cui i membri costruiscono continuamente relazioni armoniose su pseudo-accordi o hanno dispute violenti per pseudo-disaccordi. L’impenetrabilità, come detto prima, può avere diversi livelli:

- impenetrabilità di primo livello: quando il ricevente ignora o fraintende il messaggio del trasmettitore, il quale può concludere che l’altro non lo capisce, mentre l’altro può presumere che il trasmettitore si sente capito da lui.

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- Impenetrabilità di secondo livello: quando il trasmettitore del messaggio non si accorge che il suo messaggio non è giunto all’altro. In questo caso si risponde all’impenetrabilità con l’impenetrabilità.

PROBLEMI RELATIVI ALLA PUNTEGGIATURA Se non si risolvono le discrepanze relative alla punteggiatura delle sequenze di comunicazione, l’interazione diventa un vicolo cieco dove vengono lanciate accuse reciproche di cattiveria e di follia. Le discrepanze relative alla punteggiatura delle sequenze di eventi si presentano in tutti i casi in cui almeno uno dei comunicanti non ha lo stesso grado d’informazione dell’altro senza saperlo. Alla radice dei conflitti di punteggiatura c’è la convinzione che esista solo una realtà, ossia esiste solo il mondo come lo vedo io e ogni opinione diversa dalla mia dipende necessariamente dall’irrazionalità dell’altro o dalla sua mancanza di volontà. La comunicazione patologica può interrompersi solo se i soggetti dell’interazione diventano in grado di metacomunicare, ma per far ciò bisogna uscire fuori dalla situazione. Le discrepanze di punteggiatura si presentano in quei casi in cui c’è un conflitto su ciò che si considera la causa e su ciò che si considera l’effetto, quando, invece, si sa che nessuno di questi concetti è applicabile per la circolarità di ogni interazione. In comunicazione è importante considerare la “profezia che si autodetermina”, in quanto se un soggetto parte da una data premessa (ad esempio: non piaccio a nessuno) si comporterà in modo che gli altri confermeranno la sua opinione (ossia in riferimento all’esempio esposto il soggetto non piacerà davvero a nessuno), ma egli crederà di reagire a quegli atteggiamenti non di provocarli. ERRORI NELLA ‘TRADUZIONE’ DEL MATERIALE ANALOGICO IN NUMERICO I problemi nelle interazioni sorgono anche dalle difficoltà e dagli errori commessi nel trasformare il linguaggio analogico in numerico. Bateson e Jackson affermano che l’isteria è data da errori di traduzione del materiale numerico in analogico. Si ricorre a simboli non solo quando non è possibile la numerizzazione, ma anche quando non è più possibile usare il modulo numerico (ad esempio ciò si verifica quando una relazione minaccia di evolversi in zone socialmente e moralmente tabù come l’incesto). La difficoltà nella traduzione dal linguaggio numerico in analogico dipende dalle differenze esistenti tra i due tipi di linguaggi. LE PATOLOGIE POTENZIALI DELL’INTERAZIONE SIMMETRICA E COMPLEMENTARE Nelle relazioni sane sono presenti sia complementarietà, che simmetria, le quali si alternano e operano in settori diversi. Quando invece le relazioni s’irrigidiscono su una delle due posizioni può svilupparsi una patologia. Nelle relazioni simmetriche c’è sempre il rischio della competitività, la quale diventa patologica nelle sue escalation. Nell’ “escalation simmetrica” ciascuno sta al paso con l’altro o cerca di superarlo e ciò dipende da chi stabilisce la punteggiatura. Per cui la patologia dell’interazione simmetrica è caratterizzata da uno stato più o meno aperto di guerra o scisma. Il conflitto simmetrico, comunque, non produce mai una disconferma dell’altro, ma un rifiuto. Patologie nelle relazioni complementari, invece, equivalgono a disconferma piuttosto che a rifiuti del Sé e dell’altro. Per introdurre il cambiamento in ambito terapeutico si può introdurre la simmetria nella complementarietà o viceversa, anche se si quanto sia difficile provocare un qualsiasi cambiamento in sistemi rigidamente definiti. L’INTERAZIONE COME SISTEMA

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L’ interazione può essere intesa come un sistema, per cui può essere compresa tramite la ‘teoria generale dei sistemi’, la quale ha formulato i principi validi per i sistemi in generale (von Bertalanffy). Una variabile importante sia per lo studio dei sistemi, che per quello della comunicazione è il tempo. Le sequenze di comunicazione, infatti, sono materiale inscindibile di un processo in corso in cui sono importanti l’ordine e le interrelazioni che si verificano durante tutto il periodo di tempo. DEFINIZIONE DI SISTEMA Hall e Fagen definiscono il sistema come ‘un insieme di oggetti e relazioni tra gli ‘oggetti’ e i loro ‘attributi’’, in cui gli oggetti sono componenti del sistema, gli attributi sono le proprietà degli oggetti e le relazioni tengono insieme il sistema. Ogni oggetto è specificato dai suoi attributi. Gli oggetti, quindi, possono essere degli individui, gli attributi che servono a identificarli sono i loro comportamenti di comunicazione. I sistemi interattivi sono due o più comunicanti impegnati nel processo di definire la natura della loro relazione o che si trovano a un livello tale per farlo. L’ambiente di un sistema è costituito dall’insieme di tutti gli oggetti che sono tali che un cambiamento nei loro attributi influenza il sistema e anche di quegli oggetti i cui attributi sono cambiati dal comportamento del sistema. Comunque nella teoria dei sistemi “ambiente” e “sistema” sono concetti flessibili, in quanto i sistemi organici sono ‘aperti’, cioè scambiano materiali, energie o informazioni con il loro ambiente e non chiusi. PROPRIETA’ DEI SISTEMI APERTI

1) Totalità: un sistema è un tutto inscindibile, per cui ogni cambiamento in una parte causa un cambiamento in tute le parti e in tutto il sistema. La totalità è l’opposto della sommatività per cui le parti sono indipendenti, non si influenzano e costituiscono un agglomerato. La totalità è una caratteristica fondamentale dei sistemi complessi;

2) non sommatività: un sistema non coincide con la somma delle sue parti; 3) circolarità: gli elementi di un sistema non sono in rapporto lineare, ma circolare; 4) retroazione (feed-back); 5) equifinalità: i risultati, ossia la modificazione dello stato del sistema dopo un certo

periodo di tempo, non sono determinati dalle condizioni iniziali, ma dalla natura del processo o dai parametri del sistema. Per cui secondo il principio dell’equifinalità gli stessi risultati possono avere origini diverse perché ciò è determinante è la natura dell’organizzazione.

SISTEMA STABILE Secondo Hall e Fagen, si definisce stabile (con stato stazionario) quel sistema che è stabile rispetto a certe sue variabili se esse tendono a restare entro limiti definiti. Osservando i sistemi stabili l’attenzione si concentra sulle relazioni in corso, ossia quelle importanti per entrambi le parti e di lunga durata. In ogni comunicazione, inoltre, bisogna considerare i fenomeni di limitazione, per cui ogni scambio di messaggi restringe il numero delle mosse successive possibili e le parti vengono a trovarsi in un legame complesso, insostenibile e, tuttavia, inevitabile. Anche il definire una relazione come simmetrica o complementare o imporre una particolare punteggiatura limitano la persona che sta di fronte. La regola della relazione è lo stabilizzarsi delle definizioni della relazione stessa. C’è la tendenza a circoscrivere al massimo entro una configurazione ridondante i comportamenti possibili di qualunque particolare dimensione, il che ha portato Jackson a definire le famiglie come ‘sistemi governati da regole’. CARATTERISTICHE DELLA FAMIGLIA IN QUANTO SISTEMA

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Una caratteristica importante della famiglia è l’omeostasi, evidente soprattutto nelle famiglie patologiche in cui i membri della famiglia reagiscono in modo violento quando il paziente migliora, per cui si può affermare che tali comportamenti, come forse anche la malattia del soggetto, sono ‘meccanismi omeostatici’ che permettono di restituire al sistema disturbato il suo precario equilibrio. Analizzando la famiglia come sistema le si applicano gli stessi principi dei sistemi generali:

1) totalità: il comportamento di ogni individuo nella famiglia è in rapporto con il comportamento di tutti gli altri membri. Per cui il comportamento di un membro avrà effetto sui comportamenti di tutti gli altri. Nel caso di famiglie con un membro sintomatico, quindi, il miglioramento di quest’ultimo produrrà dei cambiamenti in tutti gli altri membri e ciò può portare ad una nuova crisi nel sistema. Tutto ciò è importante perché bisogna sempre considerare la ‘natura interattiva’ del disturbo, altrimenti ci si trova davanti ad eventi che appaiono inattesi.

2) non-sommatività: l’analisi della famiglia non è la somma delle analisi dei suoi singoli membri perché il sistema famiglia ha delle caratteristiche sue proprie che trascendono i singoli membri.

3) Retroazione e omeostasi. L’omeostasi indica stabilità ed equilibrio e di essa ne sono state date due definizioni:

a) in quanto fine o stato, ossia il fatto che esiste una certa costanza di fronte al cambiamento esterno;

b) in quanto mezzo: i meccanismi di retroazione negativa che agiscono per minimizzare il cambiamento. Proprio per questa sua duplice definizione si preferisce, più che parlare di omeostasi di ‘stato stazionario’ o di ‘stabilità’ di un sistema, che in genere è mantenuta da meccanismi di retroazione negativa .

Le famiglie che restano unite devono essere caratterizzate da un qualche grado di retroazione negativa che consente loro di resistere alle tensioni imposte dall’ambiente e dai singoli membri. Nelle famiglie disturbate, invece, c’è un rifiuto di cambiamento e, spesso, una notevole capacità di mantenere lo stato presente tramite una retroazione prettamente negativa. Nelle famiglie, però, c’è anche un processo di apprendimento e crescita (retroazione positiva) che collocano l’interazione familiare in una configurazione più complessa. Nelle famiglie sane, quindi, c’è contemporaneamente retroazione positiva (cambiamento) e negativa (omeostasi). LA COMUNICAZIONE PARADOSSALE Ippocrate ha affermato che le ‘cose simili sono curate da cose simili’ e seguendo quest’ottica si può affermare che il paradosso intenzionale ha un potenziale terapeutico. Il paradosso è definito come una contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti. A tal proposito è importante tener conto che ogni paradosso è ‘vero’ finchè non ci siano progressi tali che ne dimostrino la fallacia (come ad esempio il paradosso di Zenone o le reazioni rispetto alla rivoluzione copernicana all’epoca denominata ‘paradosso di Copernico’). I TRE TIPI DI PARADOSSO 1) Paradosso come antinomia: ossia come contraddizione logica in cui si afferma che un oggetto possiede due caratteristiche autoescludentesi tra loro dimostrando ciò per deduzione. Questo paradosso si riscontra a livello di sintassi logica. 2) Antinomie semantiche o definizioni paradossali: non si trovano nei sistemi logico-matematici, ma derivano da certe incoerenze nascoste nella struttura di livello del pensiero e del linguaggio.

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3) Paradossi pragmatici: sono quelli che si riscontrano nelle interazioni in corso e ne determinano il comportamento. Si possono dividere in due gruppi:

a) ingiunzioni paradossali; b) predizioni paradossali.

INGIUNZIONE PARADOSSALE Si ha questo tipo d’ingiunzione quando:

1) c’è una forte ‘correlazione complementare’; 2) nello schema di questa relazione viene data un’ingiunzione che dev’essere obbedita,

ma per essere tale deve essere disobbedita; 3) la persona che in questa relazione è nella posizione ‘one-down’ non è in grado di uscir

fuori dallo schema e,quindi, di dissolvere il paradosso commentandolo, cioè metacomunicando su di esso, in quanto sarebbe un atteggiamento di insubordinazione.

Una persona in tale situazione è in una posizione insostenibile e quando viene dato un messaggio paradossale si può rispondere ad esso solo con una reazione paradossale, in quanto non è possibile comportarsi in modo logico e coerente in un contesto illogico e incoerente. Da uno schema paradossale si può uscire solo metacomunicando, ossia comunicando sulla comunicazione, ma non sempre è facile farlo e, in più, l’altro può non accettare la metacomunicazione. Le asserzioni di tipo paradossale non solo trasmettono un contesto privo di significato da un punto di vista logico, ma definiscono la relazione del Sé con l’altro, per cui in tali situazioni non conta tanto che l’aspetto di contenuto (‘notizia’) sia privo di significato, quanto che l’aspetto di relazione (‘comando’) non si possa né eludere, né capire chiaramente. Dove il paradosso contamina i rapporti umani compare la malattia. DOPPIO LEGAME La schizofrenia ha origine da interazioni patologiche caratterizzate dal doppio legame (Bateson, Jackson, Haley & Weakland). Elementi di un doppio legame sono:

1) Due o più persone sono coinvolte in una relazione intensa che ha un alto valore di sopravvivenza fisica e/o psicologica per una di esse, per alcune o per tutte (ad esempio la relazione intensa tra genitore e figlio);

2) In tale contesto viene dato un messaggio strutturato in modo che: a) asserisce qualcosa; b) asserisce qualcosa sulla propria asserzione; c) queste due asserzioni si escludono a vicenda. Per cui il messaggio è un’ingiunzione che dev’essere disobbedita per essere obbedita e se è una definizione di Sé o dell’altro, la persona di cui si è data ala definizione è quel tipo di persona solo se non lo è e non lo è se lo è.

3) Infine s’impedisce al ricevitore del messaggio di uscire fuori dallo schema stabilito dal messaggio metacomunicando su esso, ossia commentandolo, o chiudendosi in se stesso. Dunque anche se il messaggio è logicamente non ha significato è una realtà pragmatica a cui il soggetto non può reagire in modo adeguato, ossia in modo non paradossale. Questa situazione spesso si ha quando viene proibito in modo più o meno evidente di mostrare consapevolezza della contraddizione o del vero problema in questione.

Una persona in una situazione di doppio legame è probabile che sia punita o le si faccia provare un senso di colpa, per aver avuto percezioni corrette e venga definita ‘cattiva’ o ‘folle’ per aver insinuato che c’è una discrepanza tra ciò che vede e ciò che dovrebbe vedere. Il doppio legame diventa patologico quando si è esposti ad esso per lungo tempo e a poco a poco ci si abitua a tale situazione e la si aspetta, per cui tale legame non è patologico in senso lineare (causa-effetto), ma quando diventa un modello specifico di comunicazione

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come, ad esempio, nella schizofrenia. E’ importante sottolineare che un doppio legame produce un comportamento paradossale, per cui sarà proprio questo comportamento a ‘legare doppio’ non solo il soggetto che produce il sintomo, ma anche colui che lega. Questo perché guardando il fenomeno in un’ottica circolare ci si rende conto che c’è una ‘reciprocità’ tra i protagonisti della situazione di doppio legame. Il doppio legame è causativo e, quindi, patogeno non di per sé, ma quando è diventato il modello predominante della comunicazione. Analizzando il doppio legame in relazione alla schizofrenia se ne osservano altre due caratteristiche:

1) quando si ha un doppio legame di lunga durata, forse cronico, esso si trasformerà in qualcosa di atteso, autonomo e abituale, relativo alla natura delle relazioni umane e del mondo in genere, un’attesa che non ha bisogni di rinforzi;

2) il comportamento paradossale imposto dal doppio legame a sua volta ha natura di doppio legame e ciò porta a un modello di comunicazione autoperpetuantesi. Il comportamento del comunicante più manifestatamene disturbato, se esaminato isolatamente, soddisfa i criteri clinici della schizofrenia.

INGIUNZIONE CONTRADDITTORIA L’ingiunzione contraddittoria porta a scegliere tra due alternative perdendo l’altra, per cui si perde sempre qualcosa, ma almeno offre la possibilità di compiere una scelta logica. INGIUNZIONE PARADOSSALE Tale tipo d’ingiunzione fa fallire al scelta stessa, nulla è possibile e viene messa in moto una serie oscillante e autoperpetuantesi. ILLUSIONE DI ALTERNATIVE I primi ad utilizzare questo termine sono stati Weakland e Jackson in riferimento alle circostanze interpersonali di un caso di schizofrenia. Nel caso di schizofrenia il soggetto ha l’illusione di scegliere tra due alternative la decisione giusta, ma in realtà non può prendere nessuna delle due perché nessuna è giusta è, quindi, dannato sia se prende una decisione, sia se non la prende. Ma rendersi conto dell’assenza di scelta equivarrebbe a riconoscere che le alternative offerte non sono tali e la vera natura del doppio legame. Le comunicazioni paradossali legano tutti quelli coinvolti (reciprocità), per cui non c’è consapevolezza, né intenzione. Tenendo conto di ciò ci si rende conto che dall’interno non può esserci nessun cambiamento, ma esso può verificarsi solo uscendo fuori dal modello e, per questo motivo, può essere efficace un intervento esterno quale la psicoterapia. QUAL E’ L’INTERVENTO EFFICACE? Una volta avviata una comunicazione paradossale è difficile dall’interno uscire fuori da tale situazione o comunicare su di essa, per cui s’instaura un gioco senza fine. La terapia deve porsi come terzo rispetto al tale gioco senza fine e, avendo un modulo di comunicazione normale può decidere la fine del gioco. Il gioco senza fine può essere cambiato da un mediatore (una terza persona; la terapia) o in modo violento (ad esempio tramite la separazione, il suicidio o l’omicidio). Il terapeuta in quanto esterno al sistema può provocare ciò che i membri interni ad esso non sono in grado di fare: cambiare le regole del sistema. Con il terapeuta il sistema può guardare se stesso dall’esterno e il terapeuta può utilizzare il potere del paradosso per ottenere un miglioramento. INTERVENTI PARADOSSALI

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1) ‘Prescrivere il sintomo’; 2) ‘Doppi legami terapeutici’: tale tecnica deriva dalla constatazione che i doppi legami sintomatici possono essere interrotti solo da doppi legami e giochi senza fine possono essere portati a termine solo da contro-giochi. In altre parole le situazioni che fanno diventare pazze le persone devono essere utili per farle diventare sane. Il doppio legame terapeutico, quindi, è l’immagine allo specchio di quello patogeno e ha le seguenti caratteristiche:

a) presuppone una relazione intensa (=situazione psicoterapeuta) da cui il paziente si attende una ragione per sopravvivere;

b) in questo contesto viene data un’ingiunzione che è strutturata in modo tale da: - rinforzare il comportamento che il paziente si aspetta che sia cambiato; - implicare che questo rinforzo sia un veicolo del cambiamento; - creare il paradosso perché si dice al paziente di cambiare restando così com’è, così il

paziente viene messo in una situazione insostenibile riguardo alla sua patologia; per cui nel doppio legame terapeutico il paziente cambia sia se può farci qualcosa, sia se non può farci niente;

- il paziente è messo in una situazione in cui non può non reagire ad essa, ma non può neppure reagire nel suo modo consueto, sintomatico.

Con l’intervento del terapeuta che utilizza il paradosso terapeutico, il paziente è costretto ad uscir fuori dallo schema stabilito del suo dilemma e, grazie all’intervento esperto esterno, può guardare il vecchio sistema dall’esterno e sono introdotte metaregole che il vecchio sistema non era in grado di produrre dall’interno.