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SILVA ET FLUMEN TRIMESTRALE DELL’ACCADEMIA URBENSE DI OVADA MARZO 2018 ANNO XXXI - N°1 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - NO/Alessandria Veduta di Pont - Saint - Esprit (Francia) Il poeta Ramognini e i fratelli Buffa di Ovada Il paesaggio piemontese dell’Ottocento Il labaro di San Giorgio a Carpeneto Le farfalle di Valle Stura L’Ospedale Militare di Ovada durante la Grande Guerra L’8 Settembre a Ovada Riflessioni sulla pittrice Piera Vegnuti Bonaria pubblicista e pittore naif di Molare Il gemellaggio Ovada Pont - Saint - Esprit

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SILVA ET FLUMEN

TRIMESTRALE DELL’ACCADEMIA URBENSE DI OVADA

MARZO 2018ANNO XXXI - N°1

Poste Italiane s.p.a.Spedizione in Abbonamento Postale

70% - NO/Alessandria

Veduta di Pont - Saint - Esprit (Francia)

Il poeta Ramognini e i fratelli Buffa di Ovada

Il paesaggio piemontesedell’Ottocento

Il labaro di San Giorgio a Carpeneto

Le farfalle di Valle Stura

L’Ospedale Militaredi Ovada durante la Grande Guerra

L’8 Settembre a Ovada

Riflessioni sulla pittricePiera Vegnuti

Bonaria pubblicista e pittore naif di Molare

Il gemellaggio Ovada Pont - Saint - Esprit

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Con questo numero si apre il 31° anno dipubblicazione di URBS con grande sollievodella Redazione che ha trovato in IvoGaggero un validissimo tecnico per l’ impa-ginazione dei testi oltre che uno scrittore diinteressanti articoli, scaturiti dalla sue ricer-che.

Purtroppo, l’anno appena trascorso si èchiuso con la perdita di due Consiglieri chemolto hanno dato all’Urbense: la Dott.ssaAdelina Calderone ed il dott. Remo Alloisio,entrambi doverosamente ricordati in questonumero della Rivista.

Tuttavia, la vita prosegue e l’AccademiaUrbense ha in serbo diverse iniziative chevedremo nel corso del 2018: i corsi di dise-gno artistico e pittura tenuti dal MaestroErmanno Luzzani nella Pinacoteca di ViaGilardini (riservati ai soli Associati alSodalizio); un volume memorial dedicato aClaudio Villa, incoronato - in Ovada - “Redella Canzone”, ed al periodo d’oro del dan-cing (la famosa conchiglia dell’Enal ed ifastosi “Veglioni”); una “Guida di Silvanod’Orba” curata dall’Associato GiovanniCalderone; un volume postumo sulla storiadell’Oltregiogo medievale, ricavato dagliscritti del professore universitario RomeoPavoni.

Inoltre, a Settembre, grazie alla fruttuosacollaborazione tra l’Urbense e l’Asses sorealla Cultura, Roberta Pareto, gli allievi delMaestro Luzzani esporranno le loro opere(tema “I cieli del Monferrato”) nella Loggiadi S. Sebastiano, accordata nell’ambito delgratuito Patrocinio concesso dal Comunepoiché il ricavato dalle opere vendute verràdevoluto all’Associazione “Vela”, operantein simbiosi con l’Ospedale Civile ovadese.

Infine, reverenti e cordiali saluti sonodovuti a Monsignor Pier Giorgio Micchiardiche per tanti anni ha onorato l’AccademiaUrbense, essendone Associato effettivo, e alnuovo Vescovo Luigi Testore al qualel’Urbense rivolge i più sentiti auguri di unafeconda Attività Pastorale dalla Cattedra diS. Guido.

(pier giorgio fassino)

Periodico trimestrale dell’Accademia Urbense di OvadaDirezione ed Amministrazione P.zza Cereseto 7, 15076 OvadaOvada - Anno XXXI, Marzo 2018 - n. 1Autorizzazione del Tribunale di Alessandria n. 363 del 18.12.1987Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - NO/AlessandriaConto corrente postale n. 12537288Quota di iscrizione e abbonamento per il 2018 EURO 25,00Direttore: Alessandro LaguzziDirettore Responsabile: Lorenzo BotteroRedattore Capo: Paolo BavazzanoImpaginazione a cura di Ivo Gaggero

SILVA ET FLUMEN

Sede: Piazza Giovan Battista Cereseto, 7 (ammezzato); Tel. 0143 81615 - 15076 OVADAE-mail: [email protected] - Sito web: www.accademiaurbense.it

URBS SILVA ET FLUMEN Stampa: Graficalmente, Strada Statale per Voghera, 52 - Tortona

Redazione: Paolo Bavazzano (redattore capo), Edilio Riccardini (vice), Giorgio Casanova,Pier Giorgio Fassino, Ivo Gaggero, Renzo Incaminato, Lorenzo Pestarino, GiancarloSubbrero, Paola Piana Toniolo.Segreteria e trattamento informatico delle illustrazioni a cura di Giacomo Gastaldo.

Pont-Saint-Esprit. Brevi note su questo comune francese recentemente gemellatocon Ovadadi Pier Giorgio Fassino p. 3 Il poeta Francesco Ramognini e i fratelli Ignazio e Domenico Buffa. Effemeridipoetico-letterarie degli anni prossimi allo Statuto Albertino (1848) (1ª parte)di Paolo Bavazzano p. 8 Il labaro di San Giorgio. Il conflitto italo-turco (1911/1912) come traspare dallelettere dei combattenti arruolati nel comune di Carpenetodi Lucia Barba p. 16 Il Paesaggio piemontese dell’800. Fattori evolutivi e distintivi nella pittura piemon-tese. (1ª parte): dai Cignaroli a De Gubernatisdi Ermanno Luzzani p. 25 Fauna dell’Ovadese: le farfalle di Rossiglione di Renzo Incaminato, foto di Stefano Caneva p. 42 Gli affreschi di Santa Giustina di Sezzadio di Sergio Arditi p. 47 Caduti Grande Guerra ad Ovada: i militari deceduti all’Ospedale Militare diRiservadi Ivo Gaggero p. 53 La Grande Guerra 1915-1918: i caduti di Silvano d’Orba (3ª parte)di Giovanni Calderone p. 59 Raus! I primi mesi dell’occupazione tedesca di Ovada dopo l’8 settembre 1943di Pier Giorgio Fassino p. 64 Riflessioni che possono essere di qualche utilità nel ricostruire un attendibile pro-filo della personalità della maestra di pittura Piera Vegnutidi Tomaso Pirlo p. 71 Il Cav. Bernardo Bonaria, pubblicista e pittore naifdi Mauro Molinari p. 77 Relazione sull’attività dell’Accademia Urbense nell’Anno 2017di Giacomo Gastaldo p. 80 Un ricordo di Adelaide Calderonedi Giacomo Gastaldo p. 82 Un ricordo di Remo Alloisiodi Paolo Bavazzano p. 83 Recensioni: CAMILLA SALVAGO RAGGI, Volevo morire a ventanni, (p. giorgio fassino);LUCA REMIGIO PICCARDO, All’ombra della tua assenza in fiore, (p. bavazzano) p. 85Docu-film di Telemasone: Don Berto il prete partigiano p. 87

SOMMARIO

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Pont - Saint - Esprit.Brevi note su questo comune francese recentemente gemellatocon Ovada.di Pier Giorgio Fassino

L’8 dicembre 2017, secondo i pro-grammi della Pro Loco ovadese, dovevaessere un ordinario venerdì dedicatoall’ormai consueto “Mercatinodell’Antiquariato e dell’Usato” coinci-dente con la Festività dell’Immacolata.

Invece, nel corso di quella mattinatarallegrata da una infinità di bancarelle esolennizzata dagli inni nazionali suonatidal Corpo Bandistico “Antonio Rebora”diretto dal Maestro G.B. Olivieri, ilmaire di Pont - Saint - Esprit, RogerCastillon, e il sindaco di Ovada, PaoloLantero, hanno firmato il secondo proto-collo di gemellaggio tra i due Comunidopo quello siglato ai primi di settembrenella cittadina francese.

L’origine di una fratellanza tra questedue Comunità risale ad una telefonataricevuta dall’Assessore alla Cultura,Roberta Pareto, sempre piena di riguardinei confronti di coloro che possano pro-muovere relazioni benefiche e culturali,da parte della dottoressa MariangelaSoatto, responsabile della Sezione UNI-CEF di Novi Ligure, che, tra le altrecose, prospettava una visita ad Ovada didue suoi conoscenti provenienti da uncomune della Francia meridionale: Pont-Saint-Esprit. Sicché, questi due turisti

francesi, Chanthal Fatallah e GilbertJouberjan, a Febbraio del 2016, effettua-rono una prima visita ad Ovada rima-nendo affascinati dalla bellezza dellalocalità.

I due visitatori riferirono le loroimpressioni ad alcuni esponentidell’Amministrazione comunale dellaloro città per cui il maire RogerCastillon ed alcuni componenti ilComitato per i gemellaggi, già esistentein quel comune francese non nuovo asimili eventi, vennero in Ovada in occa-sione della solennità di S. Giovanni. Èappena il caso di dire che gliSpiripontains furono piacevolmente sor-presi non solo dalla suggestione creatadai vari momenti della celebrazionedella festività ma anche dalla venustàdel centro storico ovadese collocato allaconfluenza di due corsi d’acqua come laloro città. Così, da quella iniziale telefo-nata si sviluppò e prese corpo l’idea diun gemellaggio tra i due comuni facilita-to dal fatto che Pont-Saint-Esprit era giàfelicemente gemellato con altre trecomunità poste rispettivamente inGermania, Inghilterra e Portogallo.

Quindi, per alcuni indispensabiliadempimenti, necessari ad ufficializzare

il gemellaggio, venne creato unComitato ovadese, costituito da cittadinie Associazioni del territorio, presiedutodalla consigliere Marica Arancio percollaborare con madame BéatriceRedon, presidentessa del Comitato fran-cese.

Indubbiamente le due località hannonumerose caratteristiche in comune: illoro posizionamento nei pressi del 44°parallelo, l’altitudine sul livello delmare, i contesti dell’ambiente e del pae-saggio, il numero dei residenti nei duecomuni quasi identico, i rispettivi sitilocalizzati al crocevia strategico di piùregioni (Rodano - Alpi § Linguadoca -Rossiglione § Provenza - Alpi - CostaAzzurra § per quanto concerne Pont -Saint - Esprit; Liguria e Piemonte perquanto riguarda Ovada).

Il comune di Pont - Saint - Esprit(coordinate: 44° 15’ 27” Nord - 4° 38’57” Est) ha una superficie di 18,49 kmqposta ad una altitudine compresa tra i 36ed i 187 metri slm. Il centro abitato èsituato sulla riva destra del Rodano allaconfluenza con l’Ardèche (Dipartimentodi Gard - Circondario di Nimes) nelleimmediatezze di altri due Dipartimenti:l’Ardèche a ovest e il Vaucluse all’est

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(regione Occitania).L’origine degli Spiripontains risale

addirittura alla preistoria in quanto nelbacino attorno a Pont- Saint- Esprit sonostate rinvenute numerose tracce che atte-stano la presenza di vita umana sino dalperiodo Paleolitico. Anzi, attorno al3.500 a.C. le prime genti agro-pastoralivi costruirono le loro capanne: ipotesinon suffragata da chiari riscontri sul ter-reno ma confermata da materialearcheologico come pezzi di ceramicheritrovate nei dintorni. Seguirono legrandi migrazioni celtiche e lo sviluppo,attorno al VI secolo a.C., dei primi com-merci con gli etruschi che fornivano ivini provenienti dalle loro terre e, nelsecolo successivo, con i fenici diMassalia (attuale Marsiglia). Questi ulti-mi risalivano il Rodano con le loroimbarcazioni sino a trenta chilometri amonte di Pont-Saint-Esprit e da questiporti fluviali distribuivano le loro merci,in genere vini e ceramiche, scambiando-le con cereali e alimenti.

Superati, apparentemente senzagravi difficoltà, i periodi della conquistae romanizzazione della GalliaNarbonense nonché le successive inva-sioni barbariche, attorno al X secolo sihanno i primi riscontri sull’esistenza diun borgo sulla riva destra del Rodano.Un insediamento originato dalla presen-za, attorno al VII e VIII secolo d.C., diun priorato conosciuto comeSaint - Saturnin - du - Port o colnome latino di Portum Sancti

Saturnini1 quando, ovviamen-te, non esisteva ancora l’odier-no ponte sul Rodano, ormaiindissolubilmente legato alnome e allo sviluppo del centroabitato.

L’opera fu voluta daAlfonso di Poitiers, conte diPoiters e di Tolosa (fratello diLuigi IX “Il Santo” re diFrancia e di Carlo I d’Angiò),la cui figura merita una partico-lare trattazione. Infatti, questi,ottavo figlio del re di FranciaLuigi VIII e di Bianca di

Castiglia, nel 1226, per testamentoaveva ricevuto la contea di Poitiers, laSaintong ed una parte della contea diAuvergne. Inoltre, per matrimonio conGiovanna, figlia unica di Raimondo VII,conte di Tolosa, marchese di Provenza educa di Narbona, aveva ereditato - comeconsorte - questi titoli alla morte dellosuocero.

Dopo molte vicissitudini caratteriz-zate da lotte intestine della nobiltà occi-tana, nel 1270, Alfonso aveva partecipa-to all’ottava crociata assieme alla

moglie Giovanna, ma, a Tunisi, entram-bi erano stati colpiti da una patologiache già aveva portato alla morte il re diFrancia. Pertanto, i coniugi avevanodeciso di rientrare in patria ma eranodeceduti nel castello di Corneto (attualeTarquinia): il 21 agosto 1271 era mortoil marito mentre la moglie morirà quat-

tro giorni più tardi2.Sarà Jean de Tensanges, priore dei

Benedettini di Saint-Saturnin-du-Port, arealizzare la costruzione sebbene una

tradizione racconti che questi,pur essendo contrario allacostruzione di un ponte cosìimpegnativo per costi e struttu-ra, ispirato dallo Spirito Santo,avesse posto lui stesso la primapietra sulla riva sinistra il 12settembre 1265. I lavori si con-cluderanno solamente nel 1309in quanto il ponte (lungo ben919 metri) presenta 26 arcate,19 grandi e 7 di dimensioniminori. Tra l’altro, al fine dierigere le pile su solide fonda-zioni, nonostante la costruzio-ne avesse già raggiunta unalunghezza di circa 230 metri apartire dalla sponda sinistra,venne cambiata la direzione

Nella pag. prec.: una parziale veduta della città francese in una foto presa dal ponte sul Rodano (foto di Vi..Cult..., da Wikimedia Commons, l'archivio di file multimediali liberi).

In questa pag., in alto a destra: riproduzione di una stampa del 1656 dell’agglomerato urbano di Pont-Saint-Esprit.In basso: planimetria della cittadella.

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In questa pag., in alto : il sindaco di Pont-Saint-Esprit, Roger Castillon, e il sindaco di Ovada, Paolo Lantero, durante la cerimonia per la firma del primo protocollo di gemellaggio nella cittadina francese, settembre 2017.In basso: i due sindaci durante la cerimonia per la firma del secondo protocollo di gemellaggio ad Ovada, dicembre 2017.

della struttura per cui il nuovotronco venne rivolto a sud del-l’attuale cittadella. Le mae-stranze erano di estrazionelocale ma sembra che allacostruzione abbiano partecipa-to anche i monaci-soldati delramo “costruttori di ponti”

dell’Ordine degli Ospitalieri3

diretti dallo stesso Tensange. L’opera dovette sembrare

degna di essere salvaguardatanel tempo con la massima curae pertanto, secondo una leg-genda, per diverso tempo, ilpiano viabile venne ricopertocon paglia ed i carri da trasporto lo per-correvano senza alcun carico poiché lemerci attraversavano il corso delRodano solamente su barche. Sembrache anche il re Luigi XI, presentatosialla testa delle proprie truppe, in segnodi rispetto delle scrupolose attenzionidegli Spiripontains per il loro ponte,abbia superato il fiume percorrendo apiedi la lunga serie di arcate. Anzi, sipensò di farne un ponte fortificato percui venne costruita una torre, munita diun ponte levatoio sulla spondasinistra denominata la “Tourde guet” (torre di ronda) eduna seconda conosciuta come“Tour de la douane” sulla rivadestra. In realtà, per secoli, ilponte rimase un punto di rife-rimento fondamentale per l’at-traversamento del Rodano nonsolo per le popolazioni localied i traffici mercantili maanche per gli intensi trasferi-menti di truppe. Situazionedestinata ad aggravarsi poi-ché, a partire dal 1670, Pont-Saint-Esprit venne classificatacome “sede di tappa” per cuile servitù militari aumentaro-no in modo considerevole. Diconseguenza, gliSpiripontains erano talmenteafflitti dal dover continuamen-te ospitare soldatesche intransito che, sotto il regno di

Luigi XV, ottennero la costruzione diuna caserma, inizialmente destinata adaccogliere la guarnigione locale, poi giu-stamente utilizzata per ospitare le truppedi passaggio. I lavori di costruzione delgrande quadrilatero con uno spaziosocortile centrale vennero iniziati nel 1714e portati a termine nel 1719. Nei primianni dell’Ottocento la caserma venneristrutturata per aumentarne la ricettivitàe, in parte, per adeguarla al nuovo ruolodella città che, tra il 1790 ed il 1795, eradivenuta capoluogo di Distretto col

nome provvisorio di Pont - sur- Rhône. Anzi, pochi anni piùtardi, i carri e le carrozze - inquel punto focale per il supe-ramento del Rodano - eranotalmente numerose che peragevolarne la circolazione la“Torre di ronda” e la “Torredella dogana” vennero demo-lite nel 1819.

Oltre a ciò, nel corsodell’Ottocento, i battelli flu-viali a vapore, di maggioretonnellaggio e dotati di altifumaioli, incontrarono seriedifficoltà nel transitare sotto ilponte. Pertanto, nel 1855, si

rese necessario abbattere le due arcatepiù vicine alla sponda destra per sosti-tuirle con una sola avente una luce di 65metri. Questa radicale soluzione risolsemolti problemi di navigazione ma duròmeno di un secolo poiché, martedì 15agosto 1944, l’arcata venne demolita daun bombardamento eseguito dagliAlleati nel corso delle operazioni con-nesse al loro sbarco sulle spiagge diSaint-Tropez, Cavalaire e altre localitàdel Var. Nonostante 19 vittime e nume-

rosi edifici del centro distrutti,gli Spiripontains non si perse-ro d’animo e ricostruironol’arcata, sostituita provvisoria-mente con un ponte sospeso,nel 1954.

Le chiese e gli edifici chedenotano l’evoluzione del cen-tro abitato nel corso dei secolisono numerosi e, generalmen-te, rispecchiano le correntiarchitettoniche che hannoinfluenzato nel tempo gliSpiripontains. L’elenco èlungo e quindi ne verrannocitati solo alcuni pur sottoli-neando che sarebbero degni diessere descritti in modo appro-fondito altri monumenti come:la Cappella del Convento delleVisitandine, l’antico Monasterodella Visitazione con l’Hotel-Dieu e l’Ospedale, il

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Convento dei Minimi, la“Casa del Re”, ilQuartiere dei Mariniers(battellieri) ed il Lavatoio,per citarne alcuni.

S. Pietro è l’unico edi-ficio di culto che testimo-ni l’antico priorato dipen-dente dall’Abbazia di

Cluny4 a cui facevanocapo una dozzina di prio-rati rurali. La chiesa venneeretta dopo il monastero,probabilmente verso il1045, da San Odilone,abate cluniacense. Dopoavere subito una ristruttu-razione tra il 1303 e il1311 venne demolita nel 1562 durante leguerre di religione e venne ricostruitasolamente tra il 1779 ed il 1784 utiliz-zando materiali tratti, in parte, dallerovine ancora esistenti. Successivamen te,tra il 1815 ed il 1826, venne adibita achiesa parrocchiale per poi essere utilizza-ta come deposito comunale, magazzinomilitare e sede dei pompieri. Dichiarata,nel 1988, “Monumento Storico”, presentauna cupola, un campanile sormontato dauna torre da orologio in ferro battuto eduna facciata classica con pilastri e nicchie;purtroppo il complesso è degradato percui è inagibile.

La chiesa parrocchiale, dedicata aSan Saturnino, probabilmente risaleall’anno 822, sebbene la sua presenza siaattestata solamente a partire dal 948 inquanto è menzionata nell’atto di dona-zione di alcune proprietà da parte delvescovo Géraud d’Uzès all’abbazia diCluny. La costruzione all’inizio era,molto probabilmente, modesta ma nelcorso del XV secolo venne sottoposta adimportanti lavori (pilastri, coro, vani eportale) tanto che oggi è considerata unesempio notevole di chiesa in stile goti-co meridionale.

L’antico “Hotel Piolenc”, accurata-mente studiato dall’anziano conservato-re del Museo d’Arte Sacra di Pont-Saint-Esprit, Alain Girard, è una costruzionerisalente al XII secolo costruita dalla

famiglia Piolenc che la trasmise di gene-razione in generazione. Questa casata,inizialmente proprietaria di molti terre-ni, aveva allargato le proprie attività aicommerci del grano, del ferro e del saleaumentando costantemente le propriericchezze. A partire dal 1301 l’edificioospitò le udienze del “Giudice del Re” e,nel 1337, a seguito della fusione tra lecorti di giustizia dell’Abbazia di Cluny edel Re di Francia, il fabbricato vennesottoposto ad importanti lavori di ristrut-turazione che portarono alla realizzazio-ne di un grande salone di 120 metri qua-dri. Oggi l’Hotel, riscattato dalConsiglio Generale del Gard, nel 1988,e sottoposto a grandi restauri che rivela-rono preziose decorazioni e soffitti d’e-poca, ospita il Museo d’Arte Sacra delGard.

Il Convento delle Orsoline, che aPont-Saint-Esprit si dedicavano princi-palmente all’educazione delle giovani,risale al 1610 quando in città giunsero leprime due consorelle. Successivamentele Orsoline, dopo avere eretto, nel 1614,la loro chiesa, nel corso degli anni allar-garono le loro proprietà per cui, a fineSettecento, possedevano 24 case in cittàmentre il convento era composto da 32camere individuali, una infermeria edalloggi per pensionanti. Malaugura -tamente, nel corso della Rivoluzionefrancese il convento venne frazionato in

66 unità immobiliari ven-dute a privati.

La “Cappella dei peni-tenti”, dedicata a NostraSignora e S. Giovanni,venne eretta tra il 1656 edil 1657 dagli appartenentialla Confraternita deiPenitenti. Venduta ad unprivato nel 1792, vennerecuperata come luogo di

culto dai Penitenti Blu5

nell’Ottocento per poiessere ceduta (1939) aduna associazione diocesa-na di Nîmes che a suavolta nel 1980 la vendetteal Comune che, attual-

mente, la utilizza a fini culturali. Per quanto concerne la Cittadella,

rimaneggiata più volte nel corso deisecoli, oggi ne rimane circa un quintodella sua superficie originaria. La primaparte della costruzione risale al 1595mentre i lavori per la seconda parte, ini-ziati nel 1621, portarono alla realizza-zione di cinque bastioni, difesi da fossa-ti, costituenti una fortezza a pianta pen-tagonale perfettamente in linea con le

teorie propugnate dal Vauban6 in mate-ria di fortificazioni permanenti tanto daessere citata nell’opera del Duffy “TheFortress in the Age of Vauban andFrederick the Great 1660 - 1789 “.

In realtà, per completare il progettodella Cittadella, le strutture del vecchioospedale di Santo Spirito (eretto in pros-simità del ponte nei primi anni delTrecento) e della relativa cappella,costruita tra il 1320 ed il 1340, venneroprogressivamente inglobate nella fortez-za con pesanti lavori di ristrutturazioneal fine di adeguarle alle esigenze dellefortificazioni bastionate.

L’avvento della Rivoluzione e delleGuerre napoleoniche, condotte fuori deiconfini nazionali, diminuirono l’impor-tanza della Cittadella alla quale, nel1780, era già stato amputato il bastione“S. Luigi” per prolungare la strada sinoallo sbocco del ponte.

In questa pag.: Quai (“Lungofiume”) Albert de Luynes, Pont-Saint-Esprit. In primo piano la chiesa di San Saturnino, sullo sfondo la chiesa di San Pietro.

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Lo sviluppo economico e la naviga-zione a vapore presero il sopravventosulle questioni difensive per cui, oltre aldeclassamento della Cittadella (1791),venne demolitala cintura esterna (1836)che consentì l’allargamento del centrourbano arricchito dall’elettrificazione edalla costruzione di un nuovo edificiocomunale.

Quindi la città si è irradiata lungo treassi principali: a ovest attorno al boule-vard Gambetta, a sud attorno al boule-vard Carnot mentre ad est la riva delRodano venne dotata di viali sopraeleva-ti e di banchine che consentissero l’at-tracco di battelli.

Oggi Point - Saint - Esprit è unamoderna città di circa 10.200 abitantidediti ai commerci e all’agricoltura edall’industria. In centro sono presenti ele-ganti negozi di vari generi che soddisfa-no ampiamente le necessità di residenti eturisti. Non da meno è la periferia nellaquale sono installate numerose attivitàcommerciali al dettaglio e all’ingrossocoronate da attività industriali per lelavorazioni del vetro e di oli vegetali.

Nel suo insieme Pont-Saint-Esprit,unendo piacevolmente aspetti antichi emoderni in un contesto dove l’acqua edil verde regnano sovrani, è una localitàche offre soggiorni invidiabili.

Quindi, i cittadini delle dueComunità gemellate dovranno unaperenne riconoscenza al maire RogerCastillon, al Sindaco Paolo Lantero eall’Assessore alla Cultura RobertaPareto che hanno seguito l’iter dellacomplessa macchina burocratica, dele-gata ai gemellaggi sino al livello diMinistero degli Esteri, pur senza dimen-ticare coloro che, a vario titolo, hannocollaborato con loro.

Note1. S. Saturnino (o Sernino): Vescovo e Martire(nato ??? - martirizzato nel III secolo) veneratocome missionario nella Spagna settentrionale enella Francia meridionale è citato più voltenegli scritti di S. Gregorio di Tours (Clermont-Ferrand, 538 - Tours, 18.11.594). La tradizioneracconta che il futuro Santo, ritenuto primovescovo di Tolosa, predicasse in una piccola

chiesa in prossimità del tempio più importantedi quella località quando i sacerdoti di quelluogo di culto lo accusarono di avere offeso leloro divinità. Anzi, pretesero che egli offrisseun sacrificio riparatore in onore degli dei vili-pesi ma Saturnino oppose loro un netto rifiuto.Pertanto i sacerdoti, esasperati, lo legarono peri piedi ad un toro infuriato che lo trascinò sinoa provocarne la morte. Le sue reliquie furonoconservate in un oratorio sorto nel punto in cuiil toro si era fermato (Chiesa di Notre-Dame deTaur). In seguito vennero traslate in una primachiesa dedicata al suo nome per poi essere defi-nitivamente poste nell’attuale basilique SaintSermin a Tolosa (eretta tra il 1070 ed il 1096),considerata uno dei massimi esempi di architet-tura romanica esistenti nella Francia meridio-nale.2. La località della morte è controversa perché,secondo la nota CXX della Histoire Genèralede Languedocc avec des Notes, Alfonso diPoitier e sua moglie Giovanna sarebbero dece-duti nei pressi di Savona a pochi giorni l’uno(venerdì) dall’altra (lunedì successivo).3. Ordine degli Ospitalieri: si ritiene che abbiaorigini precedenti alle Crociate in quanto il suonome deriverebbe da un primo “spedale” erettodai mercanti amalfitani in terra palestinesetanto che il simbolo dell’Ordine è una “CroceAmalfitana” ad otto punte. Tuttavia è certo chel’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri di S.Giovanni in Gerusalemme venne fondato dalBeato Gerardo de Saxo (bolla papale “PiePostulatio Voluntatis” del 15 febbraio 1113 dipapa Pasquale II) da alcuni ritenuto francese eda altri amalfitano. Il suo successore, Raymonddu Puy de Provence, istituì a Gerusalemme, neipressi della Basilica del Santo Sepolcro, ilprimo ospizio per assistere i pellegrini in visitaalla Terrasanta. In seguito l’Ordine divenne unarispettabile forza combattente i cui monaci-sol-dati, contraddistinti da una sopravveste neraornata da una croce bianca, scendevano in bat-taglia contro i musulmani. La crescente forzadell’Islam costrinse gli Ospitalieri ad abbando-nare progressivamente i loro possedimenti inSiria, Libano e Terrasanta per trasferirsi dappri-ma a Cipro (1291), poi a Rodi (1309) ed infinea Malta (1530). Per tanto gli Ospitalieri sonoanche conosciuti come: Cavalieri di Cipro,Cavalieri di Rodi e Cavalieri di Malta.4. Abbazia di Cluny: venne fondata, il 2 set-tembre 909, nel paese omonimo dal monacoBernone, che ne diverrà il primo abate, grazieall’iniziale donazione della propria riserva dicaccia nelle foreste della Borgogna da parte diGuglielmo I “Il Pio”. Inizialmente l’edificio diculto era di dimensioni modeste ma, nel 1088,l’abate Ugo, per adeguare le strutture alla ormaiprestigiosa istituzione monastica cluniacense,

ne decise l’ampliamento costituito da: cinquenavate, un coro parimenti dotato di cinquenavate con cappelle laterali, un transetto dop-pio e sette torri. Dal suo completamento, avve-nuto nel 1130, l’Abbazia di Cluny rimase il piùgrande edificio di culto europeo sino allacostruzione della basilica di S. Pietro a Roma(XVI secolo).5. Penitenti Blu: a metà del Cinquecento, Pont-Saint-Esprit ospitava una confraternita denomi-nata dei Penitenti Bianchi insediata in una cap-pella, conosciuta come “Le Cinque Piaghe”.Però, questa costruzione, situata nell’anticoPriorato, era franata a causa delle continue ero-sioni provocate dalle acque del Rodano. Ma iconfratelli non si persero d’animo e, nel 1668.si unirono alla Confraternita dei Penitenti Neri,costituitasi nel borgo all’inizio del Seicento,dando origine alla Confraternita dei Blu.6. Vauban: Sébastien Le Prestre marchese diVauban (Saint-Leger-de-Foucheret ribattezzatoin suo onore Saint-Leger-Vauban, 15.5.1633 -Parigi, 30.3.1707) è stato uno dei più grandiingegneri e architetti militari di tutti i tempi eautore per Luigi XIV, il Re Sole, del più impor-tante sistema difensivo del regno di Francia. IlVauban operò su circa trecento piazzeforti adat-tando le fortificazioni al terreno e agli ostacolinaturali (monti, morfologia del litorale, fiumi).Un particolare riguardo ebbe per le opere forti-ficate come Pont-Saint-Esprit, poste sullasponda di un fiume di cui studiava accurata-mente le variazioni della portata quale ulterioresupporto alla difesa. Dal canto loro gliSpiripontains per ricordare questo grande figu-ra di soldato (49 assedi diretti con successo) edi ingegnere (Commissario Generale delleFortificazioni, Maresciallo di Francia eMembro dell’Accademia delle Scienze) glidedicarono la via che, dipartendo da AvenueKennedy, costeggia anche la Cittadella.

BibliografiaMARCEL GOURON, Histoire de la Ville du PontSaint Esprit, Editore Le Livre d’Histoire, 2006.CYRILLE SAVIN, Pont - Saint - Esprit - 2000 ansd’histoire, Commune de Pont-Saint- Esprit,Edition Patrimoine Découvert, Giugno 2017.ALAIN GIRARD, A la recherche des origines dePont-Saint- Esprit, in “Cahier du Gard rhoda-nien” n° 6 - secondo semestre -.CHRISTOPHER DUFFY, The Fortress in the age ofVauban and Frederick The Great 1660 - 1789,Edizioni Routledge Library Editions: Militaryand Naval History.ALBAN BUTLER, Dizionario dei Santi, con pre-fazione del Cardinale Basil Hume, Arcivescovodi Westminster, Edizioni Piemme SpA, CasaleMonferrato, 2001.

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Il poeta Francesco Ramognini e i fratelli Ignazio e Domenico Buffa. Effemeridi poetico-letterarie degli anni prossimi allo Statuto Albertino (1848) (1ª parte)di Paolo Bavazzano

Il riordino del patrimonio librariodell’Urbense ha posto in evidenza alcu-ni vecchi testi dei quali ci eravamo quasidel tutto dimenticati ma che, inaspettata-mente, sembrano offrire diversi spuntiper nuove ricerche di storia locale. Fraessi una raccolta di Poemetti (1874) del

sassellese Francesco Ramognini1, con

dedica autografa al sindaco di Ovada2. Ilcognome mi ha subito rimandato lamente ad un articolo apparso sulla nostrarivista nei primi numeri. Mi riferisco alracconto leggendario, di cui Ramogniniè autore, intitolato Una festa da ballo nel

secolo XV3 rievocante un truce episodioaccaduto nel castello di Ovada. Ma cosìpoche notizie non sono sufficienti adinquadrare la figura di un personaggiodel quale anche il monumentale“Dizionario biografico degli italiani” si

è dimenticato4. Eppure, come avremomodo di vedere, Francesco Ramogninimolto concepì in veste di poeta e lettera-to prima di dedicare buona parte dellasua vita alla professione forense che loportò negli ultimi tempi a reggere lacarica di sottoprefetto al Circondario diPinerolo. Pur appartenendo a quella fiu-mana di poeti le cui composizioni gron-dano di versi lagrimevoli e di gramaglie,Ramognini al pari dei verseggiatori delsuo tempo, imitando i grandi rimatoririsorgimentali, ci ha lasciato delle poesieche possono porsi al di sopra dellamediocrità. Nel corso delle ricerche èbastato infatti digitare il cognomeRamognini ed ecco che, grazie aGoogle e alle biblioteche di varieNazioni che hanno autorizzato la dif-fusione delle opere più impensabili daesse possedute, sul Nostro sono emer-se tantissime informazioni che hannopermesso di riempire un bel quadernodi appunti. In seguito, si sono anchepalesate significative corrispondenzecon il materiale esistente presso l’ar-chivio dell’Accademia Urbense,documentazione che, senza precisiriferimenti e nessi bibliografici,avrebbe continuato a giacere infrut-

tuosa nei faldoni5.

Francesco Ramognini, legato dastretti vincoli di parentela con la fami-glia omonima che a Ovada, fino al 1926,aveva in proprietà il palazzo dove oggiha sede la Scuola di Musica Antonio

Rebora6, venne a vivere nella nostra cit-tadina e con tutta probabilità frequentòle scuole dei Padri Scolopi. Strinse benpresto amicizia con gli ovadesi, fratelli

Ignazio7 e Domenico8 Buffa e con ilconterraneo padre Giovanni BattistaPerrando, insegnante in Ovada e poi pro-

vinciale delle Scuole Pie9.

Padre Perrando nel decennio chevisse e diresse la casa scolopica diOvada (1840 –‘50) creò le condizioniperché si formasse intorno a lui e allascuola stessa, un circolo culturale fre-quentato sia dagli intellettuali dellazona, sia da altri residenti nella vicinaLiguria.

Gli assidui di quella “accademia”ovadese degli anni precedenti l’Unitàd’Italia, oltre ai sentimenti letterari e sto-rici, alcuni avevano in comune l’averfrequentato le Scuole Pie di Genova,Carcare, Savona, Finalborgo e Ovada.

Tra i giovani legati a padre Perrandovi era anche il Ramognini che nell’ope-ra prima di poesie (1846) gli dedicheràuna composizione con affetto e stima.Ciò fa pensare al tributo riconoscente diun ex allievo.

Le prime notizie che abbiamo potutoraccogliere sul poeta sassellese sono del1844 quando, poco più che ventenne,pubblica sul «Giornale Euganeo di

Scienze, Lettere ed Arti»10, la poesia Ladonna. Il fatto che il giovane verseggia-tore spedisca una propria composizionead un giornale diffuso a Padova, allorasotto il dominio austriaco, non ci devestupire. Sono gli anni in cui i fogli perio-dici settimanali nascono come funghi,poiché sembra che le maglie della cen-sura si stiano allargando, tuttavia le variecorrispondenze sono vagliate accurata-mente e sovente gli stessi fogli periodici

cadono sotto sequestro. Le impreseeditoriali spesso non superano l’anna-ta, gli associati non sono molti ma c’ècomunque bisogno di bravi collabora-tori che riempiano le colonne. Perquesto si possono leggere firme digiovani corrispondenti, che nel temporaggiungeranno fama e notorietà,vicine ad altre d’oscuri scrittori chesaranno del tutto dimenticati. Ciònondimeno alcuni di loro, negli anniseguenti siederanno in Parlamento o,come il Ramognini assolverannoincarichi di grandi responsabilitànella pubblica amministrazione.

In una lettera non datata facenteparte dell’epistolario di Ignazio Buffa

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è riportata la poesia manoscritta diFrancesco Ramognini intitolata: A vanadonzella, indubbiamente una delle prime

prove del poeta. Egli, infatti, dal Buffa11

sarà incoraggiato e segnalato a varidirettori di giornali che terranno contodelle sue composizioni. Fra questi

Lorenzo Valerio12 il fondatore delperiodico «Letture Popolari» poi dive-nuto «Letture di Famiglia» dove i fratel-li Ignazio e Domenico Buffa pubbliche-ranno molti racconti e poesie. Un po’ dispazio è concesso anche al nostro giova-ne poeta che il Valerio continuerà a chia-mare Ramognino anziché Ramognini, e

al quale, come emerge dal carteggio13

dell’insigne imprenditore, editore e poli-tico piemontese, sembra dare appena lasufficienza in attesa di avere sott’occhioesiti letterari più convincenti.

Valerio a Ignazio Buffa (Agliè, 6

luglio 1844)14:Carissimo IgnazioPerdonami se così tardi rispondo

alla cara tua lettera dei 14 maggio ma leoccupazioni ed i crucci che mi fioccanoaddosso sono tali e tanti che temo dirimanere soffocato. Ho tosto mandatoalla censura la poesia commovente delRamognino che finora non si è potutastampare per far luogo a scritti più vecchi

siccome ho mandato alla Favilla15 otti-mo giornale di Trieste il canto a te dedi-cato ed ora ti ringrazio dell’avermi fattoconoscere quegli scritti dai quali trapelaun’anima ardente un bel cuore ed uningegno non comune. Se mi manderaialtri suoi scritti li avrò cari.

Valerio a Ignazio Buffa

(Torino, 11 novembre 1844)16.Carissimo Ignazio, (…)

Avrai le «Letture» in Ovada emanderotti i numeri 3 e 4, cheti mancano, ed il numero della«Favilla» e quello delle«Letture» in cui sono le poesiedi Ramognino. Per le poesie diquest’ultimo, che mi hai man-

date, farò il voler tuo; non ti posso perònascondere che esse mi pajono un po’deboli. Consiglia quel giovane a ritem-prarsi ed a fermare il suo ingegno scri-vendo anche in prosa; locchè lo porrà inguardia contro le immagini avventate ele parole improprie

Ramognini fa tesoro dei consigli deldirettore editoriale e qualche tempodopo la considerazione del Valerio neisuoi confronti è indubbiamene cresciuta,come fa intendere la seguente lettera:

Valerio a Ignazio Buffa (Torino, 5

giugno 1846)17.Carissimo amico,ho ricevuta la tua poesia che mi

piacque assai e che stamperò secondodesideri. L’ultimo fascicolo del«Dizionario infernale» non è uscito

ancora. In Torino non esiste altro gior-nale settimanale fuori lo «Spettatoresubalpino» ed il Messaggere. Se vuoistampare nel primo l’articolo sulRamognino, mandamelo, e sarà fatto,bada però che quel giornale ha pochilettori. Se l’articolo fosse breve benescritto e con tendenza popolare e socia-le lo stamperei nelle «Letture».

***Facciamo un passo indietro nel

tempo. Nel 1845 il Ramognini aderisce

alla pubblicazione18 in onore del vesco-vo di Parenzo e Pola mons. AntonioPeteani (1789 - 1857) pubblicandovidiverse composizioni poetiche fra lequali una versione libera dell’Occaso diDe Lamartine.

Altre sue poesie si leggono sfoglian-do il bel giornale illustrato torinese inti-tolato Museo Scientifico… diretto daLuigi Cicconi, impresso con i caratteri diAlessandro Fontana e uscito la primavolta nel 1839.

“L’editore Fontana si proponeva di«offrire all’Italia a tenuissimo prezzo, econ tutta l’eleganza delle edizioni fran-cesi, un’opera la quale viemmeglio dif-fondesse le utili cognizioni, e nel temposervisse di utile passatempo»; avrebbevoluto inoltre, pubblicare un’opera«tutta italiana». In realtà, almeno per iprimi anni, il periodico non si distinseparticolarmente per l’originalità daigiornali illustrati coevi: la maggiorparte dei clichés proveniva dall’estero e,di conseguenza, anche gli articoli, spe-cialmente quelli descrittivi di geografiae di costume, erano ripresi da periodici

stranieri”19.Sempre nel 1845 sul

Giornale Euganeo Ramogniniè censore della raccolta di poe-sie data alle stampe dall’illu-stre concittadino padreGiovanni Battista Cereseto(1816 - 1858), figlio delCalasanzio, insegnante nelCollegio Nazionale diGenova, meglio conosciuto

Nella pag. prec., in alto: Ovada, palazzo Ramognini tra il 1850 e il 1926.In basso: “Museo Scientifico, Letterario ed Artistico ovvero scelta raccolta di utili e svariate nozioni in fatto discienze, lettere ed arti belle. Opera compilata da illustri scrittori diretta da Luigi Cicconi” (primo direttore). Il periodico fu pubblicato dal 1839 al 1850.

In questa pag., in alto: “La Favilla” (1836-1846), giornale triestino di Scienze, Lettere, Arti, Varietà e Teatri.In basso: “Letture di famiglia, giornale settimanale di educazione civile, morale e religiosa.

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come traduttore di opere letterarie stra-niere. Le poesie del Cereseto si leggonoancora con diletto e per alcune di essebalza evidente che l’Autore ha trattoispirazione dalla terra che lo ha vistonascere.

Nel frattempo, Ramognini, si erafatto conoscere anche in Toscana cometestimonia la lettera che il primo ottobre1845 l’editore Vincenzo De Nobili, dalducato di Lucca, invia a Ignazio Buffa:

…Il sonetto del Ramognini parmipoco adatto, pel concetto morale al mio

foglio20: è una fantasia che si discostaalquanto dal punto di vista sotto il qualeio vorrei considerata la Donna. In testi-monianza però del conto in che io tengoil Ramognini riprodurrò sul prossimonumero la Canzone L’Artista italianoche lessi con tanto piacere

sull’Euganeo21, che già da molto tempoaveva posta in serbo nei miei cantoniper arricchire all’opportunità ilMessaggero.

La voglia di scrivere e la soddisfa-zione di esser letto porta il Nostro acomporre anche racconti e articoli divario argomento, parte dei quali, biblio-graficamente parlando, ne siamo certi,tuttora da individuare nel mare magnumdella stampa periodica ottocentesca.Egli invia le proprie corrispondenze atestate giornalistiche che vedono la luce

persino in lontani lidi. Nel 1845 risultainfatti tra i collaboratori del giornalepartenopeo «La Gazza» con l’articolo:Sui poeti librettisti, maestri di musica ecantanti. Tratto da un lungo articolo sul

teatro odierno in Italia22.Ma la sua passione principale veleg-

gia verso la poesia e nel 1846 mandaalle stampe i suoi Primi Canti raccolti inun bel volumetto recensito in ragguarde-voli periodici quali la «Rivista Europea»e «Il Mondo Illustrato» e che trova inFelice Romani, poeta e librettista geno-vese di chiara fama, un attento censorenelle colonne della «Gazzetta

Ufficiale»23. Il giudizio di un criticocosì autorevole, ci consente di compren-dere meglio lo stile e la versatilità poeti-co letteraria del Nostro:

L’Autore ha di poco varcato il quar-to lustro, come appare dall’ultimo cantoch’egli ha intitolato: I miei venti anni; egià piange la perduta giovinezza, le illu-sioni svanite, le speranze estinte.

Per me i bei sogni sparvero,Per me è delitto il canto:Passan le notti, e vigileBagno il guancial di pianto:Al Dio de’ mesti io supplicoDe’ miei tormenti il fin,Bare vagheggio e tumuliDegli anni sul mattin.Povero giovine! slamerete voi forse:

e donde in lui tanto sconforto, e perché

mai tanta precocità o sventura?Perch’egli è poeta, o lettori, e sente lacroce di ferro (son parole di lui) cheIddio gli pose sugli omeri; perché ilsecolo è corrotto e non bada alla poe-sia; perché profonde l’oro nei teatri enelle danze, e non gitta un obolo alpoeta: e poi, perché egli vede oscurarela fulgida aureola di che il suo pensierocingea l’avvenire, e L’Eterno gli diedein dono (son sempre sue parole) undignitoso orgoglio, e di astuto e vileossequio egli è immacolato.

Da tutto ciò rileverete, o lettori, cheil Ramognini è uno di que’ poeti piagno-ni che inondano a’ dì nostri l’Italia,Eracliti brontoloni che non trovan quag-giù fuor che mali e sciagure, e vorreb-bero riformare il mondo a lor modo, elor modo preparar l’avvenire; e qualche è ancora peggio, sospirano e gemo-no, perché è di moda il sospirare e ilgemere.

Che l’Alighieri il più savio de’ suoitempi, e il più caldo d’amore Italiano,premiato colle sue virtù coll’esilio, sfo-ghi la sua giust’ira in terra in terra, elamenti al cielo ed agli uomini la perfi-dia de’ suoi nemici e la sua povertà: cheil Tasso, guiderdonato del suo granpoema e delle sublimi sue rime con losquallore dell’Ospedal di S. Anna, accu-si l’ingratitudine di Alfonso d’Este, eimplori pietà dall’Italia testimone delsuo soffrire, son giuste le loro querele, e

In questa pag., in alto: Felice Romani (1788-1865), librettista, poeta e critico musicale.In basso: “Il Mondo Illustrato - Giornale Universale”, settimanale (gennaio 1847 - gennaio1849 e luglio 1860 - dicembre 1861), uno dei primi periodici italiani illustrati.

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In questa pag,.: Sassello (Savona), Piazza del Municipio, 1908. Comune dinascita dei Ramognini (Francesco e Ferdinando) è sotto la prov. di Genovafino al 1927.

i lor gemiti trovano un’eco in ogni cuoregentile. Ma questi poeti piagnoni cheoperarono essi per aver dritto di lagnar-si del secolo? quali calamità, qualiinfortunii gli oppressero per giustificareil loro guaire?

Guaiscono essi perché gli è un vezzodell’età nostra; guaiscono per imitazio-ne; per seguire i dettami d’una scuolaoltramontana che si circonda di nuvole,si piace di esagerate passioni, si pascedi angosce e di strette al cuore; per darsil’aria di pensatori, di umanitarii, dicuori incompresi. A sentire costoro, avent’anni vuotarono il calice d’ogniamarezza, il mondo è per essi un deser-to, son morti ad ogni speranza. E a ven-t’anni va gridando il Ramognini:

Governato è l’universoDalla forza e dal mistero,Sale in alto ogni perversoNiuno è re del suo pensiero,Su la terra son gemelliIl sorriso e il tradimento:Ben verace mi favelli,Spirto arcano che in me sento,Sono augello in lido estranio,La mia patria, non è qui.Dove albergo non han gli agi,Trovo pianto e squallidezza,Su le porte de’ palagiStanno il tedio e l’alterezza,L’uomo rinega i suoi fratelliFascinato dall’argento;Ben verace mi favelliSpirto arcano che in me sento,Sono augello in lido estranio,La mia patria non è qui.

Eppure, o poeta, hai una patria enobile e bella e quant’altre mai glorio-sa. Che se i vizii di cui ti favella l’arca-no tuo spirto anche in essa allignarono,come è destino d’ogni regione in cuivivono gli uomini, vi han pure egregievirtù, e venerande memorie, e onorevoliesempli. Sai tu qual poeta non ha patriaquaggiù? Gli è quello che non rispetta ilpassato, e dimentica o vela le gloriedegli avi; quello che abbandona ecalunnia le patrie costumanze per segui-re e vantar le straniere, quello che cor-

rompe la lingua dei suoi, e ne imbastar-disce la letteratura, spente le quali,come io dissi più volte, si spegne l’ulti-ma vitalità delle nazioni.

Io non pretendo impor leggi alla fan-tasia de’ poeti, né inculcare più questoche quel genere di poesia; né dar prefe-renza più a questo che a quel soggetto;ma non amo tutte queste gramaglie dicui si veste l’attuale letteratura; nonamo questo sconforto che si tenta istilla-re negli animi, questa sfiducia di sé ed’altrui, questa disperazione della terrae del cielo: ma non amo questi timori,perpetui vituperatori degli uomini, chedovunque si volgono, altro non veggonoche colpa e miseria, e spengono ognifede nella giustizia e nella virtù.

E accuse costoro del traviamento incui veggo il Ramognini, perocchè noncredo ch’egli, a vent’anni, abbia giàsvolte tutte quante le pieghe della socie-tà, abbia già ricevuto insanabili ferite, egli sia già pesante la vita. E la moda, ioripeto, e l’esempio di una scuola fanta-stica che lo muove a poetare in tal modo.

Ed egli stesso ha talvolta il presenti-mento dello scopo a cui mirar debbe lavera poesia, quando invoca la magicacorda che dà coraggio alle genti, checonforta gli afflitti, che scioglie un can-tico a Dio motore dell’avvenire. Eglistesso ha un’intuizione degli affetti dicui pascer si deve la giovinezza, quando

si volge con tal consiglio a un fanciullo:

Venera l’uomo biancheggiante ilcrine,

E a lui t’arrendi che l’età fe’ saggio;Non ispinger le brame oltre il confi-

neDell’avito casil, del tuo retaggio,Né trascorrer de’ vizi a le sentineOve s’abbuia de la mente il raggio;Posano in te dell’avvenir le sorti,E bisogno ha l’età d’anime forti.

Ma appunto perché Teti ha bisognodi anime forti, io grido altamente, chenon provvede all’uopo siffatta poesiasconfortante e misantropa: vuolsi lapoesia dei grandi affetti, del coraggio edella speranza, della fede e dell’amorefraterno; la poesia delle nobili aspira-zioni, degli eroici sacrifizii, della vinci-trice costanza; la poesia dei robusti pen-sieri non delle flebili nenie, della patriacarità non del privato interesse, dellegenerose passioni non del freddo egoi-smo.

Vuoi tu, poeta, correggere i vizi cheimprechi? fa oggetto dei tuoi versi levirtù che non sono ancora bandite dallaterra. Canta le belle imprese degli avi,accendi gli animi coll’esempio di unglorioso passato, e astenendoti dalleutopie di un avvenire che non conosci,ristringiti al presente di cui tu pure fai

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parte. Anche oggidì se vi han mali, vihan beni, vi han sublimi intelletti edanime gagliarde: vi hanno i sostegni diuna religione inesauribile ne’ suoi bene-ficii, la face della filosofia più viva chemai, le nuove strade che si apre la scien-za, le meraviglie delle arti, i progressidelle industrie, i miglioramenti degliutili istituti. Parla finalmente, o poeta,parla a te stesso le parole che tu fai sen-tire all’Artista Italiano:

Cingiti il cor di ferreoE ben temprato usbergo,Né ti accorar se l’invidiaCiurma ti rugge a tergo…Sdegna le oscene imagini,I fasti inonorati,Le pugne consanguinee,Gli empi al potere alzati…Interroga la polvereDel cittadin guerrieroChe francheggiò la patriaDall’oppressor straniero…De’ traviati in coreRidesta la virtù.Il poeta che così consiglia altrui, non

si adonterà, spero, che io così lo consi-gli. Ed io faccio con sincerità di cuore, econ tutta fiducia in lui stesso: perocchènon è sempre vero che la modestia, a’ dìnostri, non venga più al fianco della gio-vinezza, e che la presunzione le facciachiuder l’orecchio agli avvertimentidegli uomini fatti più esperti dalle provedurate e dagli anni vissuti.

Quanto alle forme e ai colori dellasua poesia non occorre spender parole.Quando io dicessi che avvi qua e là ric-chezza d’imagini, purezza di lingua,splendore di verso, e convenevolezza distile; quando aggiungessi che da questiprimi saggi il giovane poeta si manifestacapace di più alte cose, e promette di sében più assai che non promettono parec-chi suoi coetanei, non farei che ripetereun giudizio che forse fu già proferito damolti. Ciò che mi è sembrato dover nota-re si è l’intendimento del poeta, e in essomi son dilungato. Ho posto mente alsembiante e alla persona, lascio ad altripor mente alla veste.

***La ricerca sul Ramognini ha permes-

so di rintracciare nel fondo Buffa depo-sitato presso l’Urbense, due lettere auto-grafe inviate a Ignazio e DomenicoBuffa dalle quali balza evidente che igiovani amici si tenevano continuamen-te informati sulle novità librarie cherientravano nei loro interessi. Si scam-biavano sovente pareri su autori e opere,editori, e nello stesso tempo a Genova ea Torino, in particolar modo, oppure aMilano, acquistavano le novità librarieinviandosele sovente a mezzo posta con

il “velociferio”24 o tramite la cortesia diqualche conoscente. Inoltre, gli avveni-menti politici e di costume riguardantialtri Stati, in particolare la Toscana dovela censura rispetto ai giornali era piùblanda, costituivano l’argomento princi-pale degli scambi epistolari.

All’ill.mo Sig.reIl Dottore Ignazio BuffaOvadaAddì 22 9bre (1846?) GenovaCar.mo AmicoSe ho tanto ritardato ad eseguire le

vostre commissioni, non è certo colpamia, ma piuttosto del Sig. Grondonache, rispetto alla rivista, ci sciorina

sempre la stessa canzone: i fascicolisono in revisione. Non si faccia dunquemeraviglia, se neppur oggi li riceverete.Del Lambruschini nulla venne più inluce a detta dello stesso Grondona.

Le poesie del Celesia25, il manifesto

della storia del Canale26 è tutto ciò cheposso ora mandarvi.

Da Gilardini27 mi furono a vostronome consegnati f. 7; dei quali toglien-

do f. 2.61 per i canti28 del Celesia, e f.2.16 per la Rivista, mi restano f. 2 e 23.Se debba comprarvene qualche libro, ose abbia a rimandarveli, me lo scrivere-te quando vi piaccia

Volete sentire il mio parere e quellodi Gilardini intorno ai canti del Celesia?Bella abbiamo trovato la verseggiatura,tolto che talora vi si scorge il meccani-co: novità nessuna ripetizioni di pensie-ri e di frasi frequentissime: reminiscenzead ogni passo e studio dappertutto.Confesso che qua e là qualche squarcionon mi dispiace, ma è troppo palese losforzo d’imitare. Essendo io amico diCelesia, questo giudizio sia, ve ne prego,pienamente inter nos. Cionondimeno laprima edizione di questi canti è quasiesaurita, presto se ne farà una seconda,e prestissimo darà in luce la sua tradu-

In questa pag.: “Il Caffè Pedrocchi”, periodico settimanale in Padova, nelnumero del 27 settembre 1846 recensisce “Primi Canti” del Ramognini.

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zione della Lucrezia di Ponsard29.

D. Grillo30 stampa due almanacchipopolari, l’uno intitolato Omnibus, l’al-tro Un poveruomo. Un certo Cadelazoha scritto due infami tragedie Lucreziaed Atreo; ed un carme senza senso,avendo la sfrontatezza di dedicare laLucrezia (a suo dire mille volte superio-re a quella del Ponsard) all’Italia,l’Atreo all’Alfieri, ossia alla sua tomba.Se questo galantuomo potesse uscirenon uscirebbe forse per altro, che perdargli uno schiaffo solenne ed un sar-nacchio sul viso. Il Sig. Ippolito neminaccia d’una nuova tragedia, ec. ec.

Carcassi deve avermi scritto che ilprimo di gennaio si produrrà il Diario.Ecco tutte le novità, che posso notificar-vi.

Testè ho ricevuto la Rivista da darsi

al P. Muraglia31.Gradite i miei saluti, riveritemi tutti

di casa vostra e dite al Napoletano, chedoveva lasciarsi un po’ vedere dagl’ami-ci prima di partire. Datemi spesso vostrenotizie, e qualche incombenza, e crede-temi

V. Aff.mo AmicoF. Ramognini

Addì 24 9bre. GenovaP.S. Andando dal P. Perrando ditegli

a mio nome, che non ho dimenticato lesue commissioni, ma che finora ebbimolti disturbi per altre parti, e pocotempo da dedicare agli amici.

***Al Preg.mo Signore Il Sig. Avv.

Domenico BuffaAmico Car.moMemore della vostra commissione mi

sono adoperato per eseguirla, ma quan-tunque abbia visitato le principali botte-ghe non trovai in alcuna cose che voidesiderate. Bisognerà dunque che virivolgiate a Milano e sarete meglio ser-vito. Direte ad Ignazio che ho giàdomandato a Perrando l’articolo diCanale sul castello di Silvano e promisedi darmelo seppure lo troverà. Al ventu-ro ordinario gli manderò il suo racconto

La Madonna del crocicchio32, che que-sta mattina dimenticai uscendo di casa.Non posso darvi notizie perché inGenova non trovai cosa alcuna di nuovotranne il cardinale malato, che però nonvuol morire per nulla se non l’uccidonoi medici. Vi dirò solamente che domeni-ca scorsa in tempo della processionementre si suonava a gran festa, si ruppel’asse della maggior campana di S.Lorenzo, cagionando la morte di uno odue uomini, e fracassando una coscia adun terzo. Spero che Pio IX pubblicheràuna bolla sulle campane. State sano,salutatemi i vostri Gilardini, e allaprima veduta il P. Rettore. Dove possaservirvi, credetemi sempre in conto di

Aff.mo AmicoF. Ramognini

Genova 13 aprile 1847

Un’altra rilevante collaborazione delRamognini è quella data ad Angelo

Brofferio33 dal momento in cui lo scrit-tore piemontese raccoglie in quattro

volumi le tradizioni italiane34. Oltre lagià citata Festa da ballo data nel castel-

lo di Ovada35 il Nostro scrisse il rac-conto sulla figura di Giulio Rossello,prendendo spunto, come egli afferma, dadocumentazione in possesso di PadreGiovanni Battista Perrando, che gli for-nirà pure il materiale storico documenta-rio per la redazione del racconto IFarabutti. apparso a puntate sul giorna-le torinese «Il Mondo Illustrato –

Giornale Universale»36. Gli eventi politici dell’autunno 1847

e dell’inverno successivo, che porteran-no alla concessione da parte di re CarloAlberto dello Statuto, avranno una vastaeco attraverso la carta stampata e la dif-fusione di pubblicazioni incentrate sullemanifestazioni di giubilo avvenute aTorino a Genova e nelle piccole o gran-

In questa pag.: Ovada, casa Domenico Buffa.

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di cittadine del Regno. Fra i libri editinel periodo un “Dono” offerto al re conversi poetici e cronache degli avveni-menti. Francesco Ramognini, è presentenell’opera con la poesia Il Risorgimentod’Italia, ma di questo parleremo la pros-sima volta.

Note1. Francesco Ramognini di Giovanni Battista eTeodora Badano, nato a Sassello nel 1823, spo-sato con Ernestina Midana, morto a Torino l’8agosto 1894 di anni 71, sepolto a Pinerolo il 10agosto 1894.Ringrazio per queste informazioni la signoraValentina Rossi dell’Associazione Amici diSassello (Museo Perrando) la quale confermache il Nostro nacque nel palazzotto dettodell’Annunziata e si trasferì a Ovada da bambi-no.Ulteriori informazioni anagrafiche sono giuntedalla Biblioteca “Alliaudi” di Pinerolo, per lacortesia di Nadia Menusan, unitamente a unapreziosa documentazione utile per la stesuradella seconda parte del presente articolo.La famiglia Ramognini parrebbe oriunda vene-ta e di origine spagnola.2. Il volume fa parte di una consistente raccoltaricevuta in dono, nel 1976, dalla PubblicaAssistenza Croce Verde Ovadese fondata nel1946, alla quale era pervenuta dall’OspizioLercaro. In realtà si tratta dei libri della vecchiabiblioteca popolare circolante (primiNovecento) della Società Operaia di M.SUnione Ovadese e consegnati all’OspizioLercaro, unitamente ad altri arredi, nel 1928anno in cui la SOMS (covo dei socialisti e deirossi) venne chiusa e spogliata dei propri benicon decreto prefettizio.3. Si veda «Urbs, Silva et Flumen», numerounico, gennaio 1987, pp. 6 - 7.4. Storicamente più in vista è il fratelloFerdinando, nato a Sassello il 20 luglio 1829,morto a Genova il 18 marzo 1898. Prefetto, Capo della Polizia, Senatore Uomo direpressione, seguace di Crispi, fronteggia condurezza la protesta sociale di fine ‘800. IlCorriere delle Valli Stura e Orba lo ricorda bre-vemente nel numero del 20 marzo 1898 (annoIV, n 615): Da Genova giunge la notizia dellamorte del senatore Ferdinando Ramogniniavvenuta ieri. Aveva conquistato un posto emi-nente fra le alte cariche dello Stato. Fu infattiprefetto di Genova e quindi di Torino e fu poinominato direttore generale della PubblicaSicurezza.

Qualche anno fa era stato nominato Senatoredel Regno. In Ovada, dove aveva passato iprimi anni della giovinezza, il Ramognini con-tava molti amici ed estimatori.5. Nel fondo archivistico del deputato ovadeseDomenico Buffa presso di noi, vi sono due let-tere autografe del Ramognini che nel presentearticolo si pubblicano.6. Dopo la morte di Nepomuceno Rossi avve-nuta a Napoli nel 1854 il palazzo passò in pro-prietà di Annetta Badano, sposata a GiovanniGiacomo Ramognino e sorella del sacerdotePietro Badano, persone provenienti da Sassello.Dal loro erede Giovanni Battista Ramognino ilpalazzo fu venduto a Giacomo Pietro Marinicome risulta da atto notarile del 7 marzo 1926.7. Ignazio Buffa (1814 - 1860) è personaggiomeno noto rispetto al fratello Domenico eprima di esercitare la professione medica,distinguendosi in modo particolare in Ovadadurante l’epidemia di colera dell’anno 1854,della quale ci ha lasciato una cronaca mano-scritta, scrisse molti racconti e poesie pubblica-ti specialmente nel giornale «Letture diFamiglia» del Valerio. Nel fondo Buffa conser-viamo un nutrito numero di sue lettere inviate aifamigliari negli anni in cui, per motivi di studio,viveva a Pisa. Amico di Montanelli, delTabarrini, del Carutti, nel 1847 pubblicò unaraccolta di “Canti Popolari”, con prefazionedel Valerio “Memorie di un povero diavolo” enel 1855 a Torino il dramma storico “VittoriaAccorramboni”. Il 5 febbraio 1849 è nominatoprovveditore agli studi del Mandamento diOvada. (Cfr. Emilio Costa, Il Regno diSardegna nel 1848 – 1849 nei carteggi diDomenico Buffa, Roma 1966). Da non confon-dersi con l’omonimo ovadese, figlio diGiacinto, professore nel collegio dei padriScolopi, poeta e letterato.8. Su Domenico Buffa (1818 - 1858) paresuperflua ogni notizia in quanto personaggiostudiato in maniera approfondita, in particolarmodo dall’indimenticabile amico e concittadi-no prof. Emilio Costa (1931 - 2012).9. Padre Giovanni Battista Perrando, nacque aSassello, presso Savona, il 16 ottobre 1804.Vestì l’abito scolopico a Genova il 29 dicembre1823 e fece la professione il 5 gennaio 1825.Decedette a Canelli il 21 settembre 1885. 10. «Giornale Euganeo di Scienze, Lettere edArti», diffuso a partire dal 1844, direttori ededitori Jacopo Crescini e Guglielmo Stefani.Compilatori Antonio Berti, Pietro Selvatico,Tipografia Crescini, Padova.11. Nell’opera prima pubblicata nel 1846 aIgnazio Buffa “tra gli eletti e pochi amici caris-simo” il Ramognini, dedica la poesia L’ArtistaItaliano.

12. Dallo studio diffuso in rete dalla Universitàdegli studi di Torino riprendo in breve il profi-lo di Lorenzo Valerio (Torino 1810 - Messina1865), imprenditore, pubblicista e politico.Direttore di una manifattura di seta si allontanònel 1831 dal Piemonte per le sue idee liberali,facendo un lungo viaggio in Francia, Germania,Ungheria, Russia. Rientrato in patria nel 1835assunse la direzione di un setificio ad Agliè nelCanavese, dove fondò un celebre asilo aportia-no, il primo in Piemonte. Con la proclamazionedello Statuto divenne nel 1848 uno dei capidella sinistra democratica, dirigendo prima LaConcordia e poi Il Progresso e Il Diritto, seden-do ininterrottamente al parlamento subalpinocome deputato. Tenace oppositore di Cavour,nel 1860 accettò da lui la nomina a commissa-rio regio nelle Marche. Senatore del regno nel1862, fu nominato nel 1865 prefetto diMessina, morendo pochi mesi dopo. Fu il fon-datore e direttore delle Letture popolari e delleLetture di famiglia. (...).13. Lorenzo Valerio – Carteggio (1825 - 1865).Raccolto da Luigi Firpo, Guido Quazza, FrancoVenturi – II (1842 - 1847). Edito a cura diAdriano Viarengo. Fondazione Luigi EinaudiTorino 1994.14. Valerio, Carteggio cit. pagg. 224 – 225.15. Il giornale culturale triestino di Scienze,Lettere, Arti, Varietà e Teatri ebbe diffusionedal 1836 al 1846.Nel supplemento a La Favilla. 4 dicembre1842, a pag. 178 leggiamo: Da un eccellentegiornaletto di Torino, intitolato Letture diFamiglia, e del quale parleremo in appresso,prendiamo queste poesiette popolari del sig.Domenico Buffa, (La moglie del giuocatore eUna madre che insegna a leggere al suoFanciullo) come primo saggio e per raccoman-dare la lettura tanto del giornale come d’unvolumetto di poesie da lui raccolte sotto il tito-lo di Cantastorie.16. Valerio, Carteggio cit. pag. 245.17. Valerio, Carteggio cit. pag.385.18. Memoriale di gratitudine. A MonsignoreIllustrissimo e Reverendissimo AntonioPeteani, Vescovo di Parenzo e Pola. Poesie eProse, Trieste I. Papsch & C. Tipografi delLLOYD Austriaco, 1845, pp. 208.Di Ramognini alcuni piacevoli sonetti dedicatialla madre Teodora Badano. A pag. 91Partenza; pag. 92 Lontananza; p. 93Rimembranza; pag. 94 Ritorno.19. Museo Scientifico, Letterario ed Artisticoovvero scelta raccolta di utili e svariate nozio-ni in fatto di scienze, lettere ed arti belle. Peruna scheda descrittiva si veda: Leo Morabito,Emilio Costa, I periodici del Risorgimento nelleraccolte dell’Istituto Mazziniano. Mostra stori-

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ca sotto il patrocinio della Regione Liguria,Genova, Casa Mazzini 31 maggio – 29 luglio1978, pag. 77.Nell’anno sesto (1844) di diffusione del“Museo” Ramognini vi pubblica le poesie: IlGiorno dei Morti, inno, pag. 394; La miapatria, pag. 400; Aspirazione alla vita oscura edi domestica pace, pag. 405. L’anno successivola composizione poetica intitolata:Rimembranza d’amore, pag. 38.20. La lettera fa parte del fondo Buffa pressol’Urbense. Da «Il Lucifero, Giornale scientifi-co, letterario, artistico, agronomico, industria-le», A VI, n. 23, Napoli 12 luglio 1843, pag.187).Il sig. De Nobili, estensore del Messaggerodelle donne italiane, continua a dare alle stam-pe in Lucca questo riputato giornale, cheapparve fin dal 1839. Abborrendo dalle pole-miche, dagli articoli encomiastici, necrologici,comunicati e dalle poesie dette di circostanza edalle romantiche strambellerie, Il Messaggeroprocura alle sue leggitrici un’ora di piacevolelettura non infeconda di utili insegnamenti. Ivitrovate antichi costumi italiani, rappresentatida una o più figure incise in pietra, commenta-ti e descritti; rimembranze italiane, cioè fattimemorabili della storia nostra; racconti, spes-so istorici, talvolta fantastici o bizzarri, sempremorali e possibilmente interessanti; nozioni dieducazione e d’igiene; relazioni di utili istitutie di quanto riguarda la beneficenza; undagherrotipo morale, che comprende ritratti,caricature, scene della vita, costumi ecc.; lacronaca del giorno, colla relazione delle sco-perte ed invenzioni, de’ perfezionamenti nellearti, di fatti curiosi ecc.; infine articoli di teatrie di mode. Quest’ultime sono raccolte da unacortese ed elegante signora, unitamente adogni più bella novità in fatto di ricami o altrilavori degni d’interessare il sesso gentile, tantoper l’eleganza e il buon gusto, quanto per l’uti-le e l’economia. Un giornale volante destinatoalle donne in Italia non ha mai riunito maggio-ri pregi di questo Messaggero Lucchese. 21. Si riferisce al «Giornale Euganeo diScienze, Lettere ed Arti», anno I, semestre II, n.15, 15 agosto 1844: Varietà ed AppendiceStraniera del Giornale Euganeo. La donna diFrancesco Ramognini, pagg, 155 – 158.Euganei gli abitanti dell’antico Veneto.

22. «La Gazza – Giornale di amena letteratu-ra». Ossia raccolta di storie, viaggi, romanzi,novelle, pitture di costumi, drammi, raccontigiudiziari, scene di vita privata, proverbi, cro-nache e leggendari, tradizioni, poesie, aneddoti,utili invenzioni e scoperte, ecc. ecc., Napolidallo stabilimento della Minerva Sebezia,Strada San Paolo n 5.

23. La recensione è riportata in Felice Romani,Critica Letteraria. Articoli raccolti e pubblica-ti a cura di sua moglie Emilia Branca, Vol. II,1883, in vendita nelle Librerie di ErmannoLoescher – Torino – Firenze – Roma. TorinoStabilimento Tipografico Vincenzo Bona.24. Velocifero: nel XIX sec. la diligenza rapidache faceva meno fermate e cambiava più soven-te i cavalli. (Il nuovo Zingarelli).25. Emanuele Celesia (Finalborgo Savona 3agosto 1821 – Genova 25 novembre 1889). Giànel 1839 scrisse un carme in morte di GiorgioGallesio l’autore della “Pomona Italiana” spes-so in villeggiatura nel castello di Prasco di suaproprietà.26. Michele Giuseppe Canale (Genova 1808 -Genova 1890).27. Si tratta dell’ovadese Francesco Gilardini(1820 – 1890) sindaco di Ovada e consigliere diStato.28. Emanuele Celesia, Canti, prima edizioneMilano Tipografia Vincenzo Guglielmini,1843, pp. 181.29. «Lucrezia», tragedia di F. Ponsard, primatraduzione in versi italiani di Emanuele Celesia,Genova per l’editore G.B. Ferrando, 1843.30. Si tratta del cappellano militare ovadesedon Luigi Grillo (1811 - 1874) poligrafo, fon-datore del «Giornale degli Studiosi» e editore dinumerosi pubblicazioni popolari che videro laluce a Genova. La bibliografia riguardante laLiguria, infatti, segnala due almanacchi editidal Grillo dei quali il Ramognini parlò:Grillo Luigi, La povera donna; Almanaccopopolare per l’anno 1845. Anno I, Genova, tip.Ferrando, 18° (72 pp.). Cfr. recensione diFrancesco Ramognini, in «L’Espero»; Genova1844 – 45; V. 11-13.Grillo Luigi, Il pover’uomo e la povera donna;Almanacco popolare pel 1845. Anno III,Genova, tip. Fratelli Ponthenier. Cfr. recensionedi Francesco Ramognini, in «L’Espero»;Genova 1844 – 45; V. 11-13. Su Grillo si vedaad es. Pier Giorgio Fassino, L’ovadese DonLuigi Grillo, cappellano militare, in «Urbs»,anno XXIV, n. 3-4, Sett. – Dic. 2011, pp. 148 –157.31. Padre Muraglia fu maestro come MicheleGiuseppe Canale di Goffredo Mameli.32. Fra le carte di Ignazio Buffa figura la ver-sione manoscritta del racconto dove è annotato“Stamperia sociale Letture di Famiglia, non sipermette la stampa”. Della serie Conversazionisotto il camino, IV.33. Angelo Brofferio (Castelnuovo Calcea, 6dicembre 1802 – Minusio, 25 maggio 1866),poeta e politico italiano. Anche per il Brofferio,in polemica con Domenico Buffa, fornire dati èsuperfluo. Solo per curiosità si ricorda che nel

27° supplemento alla «Favilla» (16 luglio1843), Trieste Tipografia Maldini, Dr. F.P.Valussi Editore, pag. 106, tratterà di Ovada edei suoi pregiati vini, ricevuti in dono in “24bottiglie anonime”.34. Tradizioni Italiane, per la prima volta rac-colte in ciascuna provincia dell’Italia e manda-te alla luce per cura di rinomati scrittori italia-ni, opera diretta da Angelo Brofferio, Torino,Stabilimento Tip. di Alessandro Fontana, 1847- 1848.Vol. I, (1847). Francesco Ramognini, GiulioRossello, pagg. 903 – 919. Vol. II, (1848).Francesco Ramognini, Una festa da ballo nelsecolo XV, pagg. 651 – 658.35. Pressoché identica versione è riportataanche nell’«L’Osservatore Veneziano –Giornale Umoristico - Letterario», mercoledì29 aprile 1857, anno II, n. 19, Venezia, dallaTipografia del Commercio, S. BenedettoPalazzo Pesaro detto Orfei, n. 3780. A.G.Spinelli Editore e Redattore responsabile.Veramente godibile è l’incipit del raccontodove l’Autore ci regala una poetica visione d’e-poca di Ovada e del territorio circostante: “Ilviandante, che, movendo da Alessandria o daNovi, s’inoltra su per la distesa vallatadell’Orba, percorso non molto tratto di via,vede torreggiare sopra una specie di promonto-rio le maestose reliquie del castello d’Ovada.Ameno e delizioso è questo paese pel suo vastoorizzonte, per l’incanto delle floride campagne,e specialmente degli ubertosi vigneti, rinomatiper la squisitezza dei vini, i quali meritaronopersino gli elogi di quell’arguto e faceto mila-nese, che fu Carlo Porta. Svariate e pittoreschevedute si offrono da ogni parte allo sguardo, emolti paesi all’intorno, che avvivano l’indu-stria e il commercio d’Ovada, fanno bellamostra di sé coi loro castelli giganteschi, variidi proporzioni e di forme, monumenti preziosidelle epoche diverse, a cui appartengono.L’antichissima origine d’Ovada si perde nell’o-scurità dei tempi…”.

36. «Il Mondo Illustrato – GiornaleUniversale», Torino 1847, anno I°, numeri 37,38, 39 di settembre. Il racconto riflette vicendeseicentesche che hanno come fulcro il borgo diSpigno Monferrato. Una versione dell’episodioè pure visibile e scaricabile nel sito delComune.

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Il labaro di San Giorgio.Il conflitto italo-turco (1911/1912) come traspare dalle lettere dei combattenti arruolati nel comune di Carpenetodi Lucia Barba

Raggiunta finalmentel’Unità del Paese, nel 1861,le classi dirigenti italiane sitennero ben lontane da ogniproposito di grandeur colo-niale, non solo per motivisocio-economici, ma ancheperché le sconfitte diCustoza e Lissa, nella terzaguerra d’ indipendenza(1866), avevano messo inguardia circa la soliditàdelle nostre forze armate diterra e di mare. Purtroppo ilprevidente consiglio di nonaffrontare rischiose avven-ture militari durò poco e, quando nelCongresso di Berlino (1878), il ministrodegli Esteri Luigi Corti parlò di politicadelle mani nette, fu sommerso da note didisapprovazione tali da sfociare in vere eproprie ingiurie. Si passò dalla politicadelle mani nette a mai più l’ Italia colcappello in mano! Il politico che megliointerpretò questo atteggiamento revan-scista fu Francesco Crispi che, volendodimostrare quanto valesse l’Italia nelconsesso internazionale, si imbarcònella avventura etiopica, che si conclusecon la sconfitta di Adua (1896), tragicopunto di riferimento sia per chi di lìintendeva partire per un riscatto armato,sia per chi lo intendeva come un monitoa non ripetere.

Prevalse il primo punto e nel 1911, a15 anni dalla sconfitta di Adua e a 50anni dalla proclamazione dell’Unitàd’Italia, il presidente del Consiglio,Giovanni Giolitti, decise un interventoarmato in una nuova terra di conquista:la Libia.

La nuova impresa prevedeva ladichiarazione di guerra contro l’ImperoOttomano che, sia pure al tracollo, eser-citava pur sempre il dominio politico suTripolitania e Cirenaica, come eranoallora chiamate le regioni che, solo in unsecondo tempo, insieme al territorio delFezzan, avrebbero preso il nome diLibia, in memoria della comune storiaromana. Sollecitavano l’intervento ildesiderio di essere annoverati tra legrandi potenze coloniali e l’ orgoglio

della storia, in memoria di quandoRoma, prima repubblicana e poi impe-riale, annoverava quei territori tra le suefloride province. In effetti la provinciad’Africa veniva da una lunga e gloriosastoria in quanto era stata costituita nel146 a.C. dopo la distruzione diCartagine e tale era rimasta fino al 435d.C. quando i Vandali, guidati daGenserico, vi fondarono un regno barba-rico. Con l’imperatore dell’ImperoRomano d’Oriente, Giustiniano (482-565 d.C.) le terre libiche vennero ricon-quistate grazie al generale Belisario manel VII secolo l’avanzata musulmanasegnò la fine del primato romano e cri-stiano in Nord Africa e nel 698 il territo-rio cadde definitivamente sotto il domi-nio prima arabo poi ottomano. Partendoda premesse tanto alte quanto pretestuo-se, intellettuali e uomini di cultura sifecero paladini della causa libica. Tratutti spiccavano per fama e prestigioGiosuè Carducci (1835/1907), GabrieleD’Annunzio e Giovanni Pascoli che, neldiscorso scritto nel Novembre del 1911,non si lasciò sfuggire l’uso della retoricapolitica inneggiando alla grande prole-taria che finalmente si era mossa! Ma ilgrande, imaginifico cantore che maiperse occasione per inneggiare alle glo-riose sorti della patria fu il Vate per anto-nomasia, Gabriele D’Annunzio che, ne ICanti della guerra d’oltremare (Merope,4° libro delle Laudi) celebrava la guerradi Libia come ritorno al mito antico diRoma e alla missione civilizzatricedell’Italia. I Canti della guerra d’oltre-

mare, prima di essere edita-ti come testo poetico, ven-nero pubblicati dal«Corriere della Sera», gior-nale fieramente interventi-sta.

Poiché, nel 1911, i paesipiù ricchi per materie primee fertilità del territorioerano già in mano ad altrepotenze europee ci si dove-va accontentare di quel cheera rimasto. Così si spiega-va, oltre ai nobili motivistorici, la scelta dellaTripolitania e della

Cirenaica, cui si era aggiunto il Fezzan,zona desertica di non precipuo interesse.Nel fervore del convincimento bellico,vennero presentate come terre fertili, ric-che d’acqua e di materie prime. Tali nonerano e solo dopo la seconda guerramondiale quando sarebbe stata avviatal’estrazione del petrolio sarebberodiventate terre ricche1. Inoltre si pensa-va che una conquista coloniale avrebbepotuto assorbire un nutrito flusso migra-torio per opporsi in qualche modo all’esodo verso paesi stranieri, soprattuttoverso le Americhe, quantificabile in 6milioni di emigranti quanti furono gliItaliani che presero la decisione di cer-car fortuna fuori dall’Italia tra la finedell’ Ottocento e il primo decennio delNovecento.

A vedere nella campagna militare inLibia una soluzione per tanti problemierano in molti, appartenenti a diversischieramenti politici: vi erano iNazionalisti che vedevano la Libia comeuna specie di terra promessa, idea soste-nuta anche dai Conservatori di Destra,dai Socialisti riformisti di Bissolati, daiCattolici. Di fronte ad uno schieramentotanto compatto Giolitti arrivò a conside-rare l’attacco come una fatalità storica.

Anche i Cattolici sostenevano lacausa dell’ intervento. E non solo i sem-plici praticanti ma anche le gerarchieecclesiastiche. Il Papa Pio X precisò lon-tanissimo da ogni cattolico il pensieroche l’impresa tripolina potesse coprireuna guerra a base religiosa ma un soste-

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gno, se pur attenuato, continuòda parte dei Vescovi italiani.Questa adesione dei Cattoliciall’impresa libica sanciva, difatto, un avvicinamento allapolitica da parte del mondo cat-tolico che sarebbe sfociata dueanni dopo nel Patto Gentiloni.Poche le voci dissenzienti tra cuiquella di Gaetano Salvemini chevedeva nella Libia uno scatolonedi sabbia privo di reale interessee il giovane Mussolini che definìl’attacco alla Libia un atto di bri-gantaggio internazionale.

Date queste premesse siaspettavano con ansia i tempipropizi per intervenire militar-mente e intanto si prendevanoiniziative di tipo socio-culturalequali l’apertura di scuole, diagenzie bancarie, di ambulatori,di imprese commerciali. Attivitàche l’Impero Ottomano dimostròdi non gradire2.

Durante l’Estate 1911 il ReVittorio Emanuele III e ilPresidente del Consiglio,Giovanni Giolitti, prepararonol’impresa e, il 23 Settembre, mentrerichiamavano alle armi i soldati di primacategoria della classe 1888 l’ambascia-tore italiano a Costantinopoli protestavaper le vessazioni che dovevano subiregli Italiani a Tripoli. L’Impero Ottomanosi disse disponibile a discutere ma ilgoverno italiano aveva già pronto l’ulti-matum e dopo tentativi diplomatici maidel tutto convincenti si passò alle armi.Il 29 Settembre 1911 il Re VittorioEmanuele III dichiarava guerra allaTurchia senza chiedere un voto preventi-vo ed una ratifica parlamentare. IlParlamento, in vacanza da Luglio,avrebbe riaperto solo il 22 Febbraio1912.

Il 2 ottobre una squadra navale italia-na si presentò nella rada di Tripoli edintimò la resa alla guarnigione turca.Ma, a fronte del rifiuto di arrendersi, ilgiorno successivo le navi italiane inizia-rono un serrato cannoneggiamento dellefortificazioni turche seguito dallo sbarco

dei fucilieri di marina che presero pos-sesso di alcuni quartieri della capitale.Per motivi organizzativi i primi repartidel Regio Esercito (84° ReggimentoFanteria - due battaglioni del 40°Reggimento Fanteria “Bologna” - unbattaglione dell’11° ReggimentoBersaglieri) sbarcarono l’11 ottobrementre il grosso del contingente (circa35.000 uomini) composto da fanteria,artiglieria, genio, alcuni squadroni dicavalleria e servizi di intendenza e sani-tari giunse nel porto di Tripoli il giornosuccessivo. Facevano parte del corpo dispedizione, per la prima volta al mondonelle operazioni militari, alcuni aeropla-ni destinati, inizialmente, a compiti diricognizione3.

L’occupazione di centri strategicicome Tripoli, Derna, Homs, Bengasi,Tobruk fu relativamente veloce. Si pen-sava ad una chiusura rapida delle ostilitàe si cadde in un errore di valutazionemolto grave in quanto il Governo otto-

mano era deciso ad una resistenzaresa più efficace dopo l’invio dimilitari scelti per coordinare eorganizzare i soldati delle guarni-gioni turche. Un altro errore divalutazione fu il credere che letribù berbere locali fossero afavore degli Italiani contro ildominio turco. La realtà si mostròben diversa: la popolazione loca-le si mostrò ostile agli Italiani eattività di cospirazione armataispirarono rappresaglie da partedegli Italiani che rinfocolaronol’odio fra aggredito a aggressore.

In modo aprioristico l’Italia siera ritagliato un ruolo civilizzato-re nei riguardi della popolazionelocale che rispose con una resi-stenza di grande intensità conazioni belliche impreviste quali labattaglia di Sciara Sciat (o Sciarel Sciat) dove vennero massacratialcune centinaia di bersagliericon risposta italiana concretizzatain deportazioni, fucilazioni,impiccagioni.

A Sciar el Sciat, oasi non lon-tana da Tripoli, nella notte tra il

23 e il 24 Ottobre 1911 si consumò uneccidio a danno dei bersaglieri italiani(XXVII battaglione). La guerra era ini-ziata da circa un mese e Tripoli e Tobrukerano state occupate senza incontrareparticolare resistenza. Im prov visamen tesoldati arabi, berberi, turchi e civili loca-li insorsero contro gli Italiani che venne-ro accerchiati, fatti prigionieri nel cimi-tero di Rebab dove vennero seviziati euccisi. La reazione italiana fu violentasia nei riguardi dei militari che dei civi-li. Molti dei resistenti furono uccisi, odeportati in Italia. La battaglia di Sciar elSciat fu un evento tragico che si conclu-se con 378 morti e 125 feriti. Quella chepareva una spedizione quasi obbligata infunzione progressista si trasformava inun incubo dagli esiti imprevisti.

Giolitti capì ben presto che solo unarapida conclusione delle ostilità avrebbeimpedito un pericoloso stallo nelle ope-razioni per cui progettò di spostare laguerra nelle isole dell’Egeo e dei

Nella pag. prec.: 11 ottobre 1911, l’esercito regio sbarca a Tripoli.

In questa pag.: copertina della “Domenica del Corriere”, a. XIII, n. 53 (31 dic. 1911 - 7 gen.1912) “Il Natale dei nostri soldati in Tripolitania: la celebrazione nelle trincee coi copiosisapidi doni pervenuti dall’Italia” (disegno di Achille Beltrame).

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Dardanelli (come ricorderàla lettera del fuciliereGiovanni Bottero del 34°Reggimento Fan teria) susci-tando la contrarietà dellepotenze europee, in primisdell’ Austria, seguita daGermania e Francia.

In questo contesto le gio-vani reclute di Carpeneto4

partirono per le sabbie afri-cane e quelle che seguonosono alcune lettere pubblica-te contestualmente alle cor-rispondenze dedicate al con-flitto dal noto settimanale locale:

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), annoXVIII, Ovada 20 21 Gennaio 1912, n.888.

Da Carpeneto. Lettera del soldatoCarosio Cesare ai suoi genitori.

Derna, 29 – 12 – ‘911.Cari Genitori.Vi scrivo queste poche notizie che il

tempo mi permette, per dirvi quanto michiedete. Io sto benissimo tanto più orache sono stato ammesso alla mensadegli ufficiali e ora specialmente chericevo vostra lettera, nella quale mi diteche a Carpeneto sono tutti in allarme pernoi soldati.

Io non ci penso neppure. Attendo dicombattere per finire questa guerra erivedervi al più presto.

L’altro ieri proprio mentre leggevo lavostra lettera, un suono d’allarme, michiamò sul luogo di combattimento.Accorremmo tutti prontamente, e ci sca-gliammo sul nemico come leoni. Allasera, finito il combattimento, nel qualelasciammo cinque morti e ventiquattroferiti, ci siamo ritirati, impastati di fangoper l’acqua che veniva, come tanti pulci-ni… Non so dirvi quanti ne avremoammazzati noi, certo non pochi, nel piùbello scappavano tutti con un coraggioda coniglio. Il giorno dopo facendo delleperlustrazioni, abbiamo fatto prigionieriquattro arabi con mille cartucce a novefucili. Vi assicuro che loro abbiamo datoil ben servito. All’indomani pendevanodalla forca come quattro salami. Ivigliacchi se lo meritano! Noi gli diamo

pane e loro schioppettate.Ho ricevuto un vaglia dai soci della

filarmonica. Dite loro che li ringraziotanto. Dei soldati carpenetesi che ditetrovarsi qui, io non ne ho visto ancoranessuno. Vi saluto. Vostro figlio Cesare.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), annoXVIII, Ovada 10-11 Febbraio 1912, n.891.

Da Carpeneto. Lettera da Homs.Lettera del soldato Badino Giacomo

dell’eroico reggimento dei bersaglieriad Homs.

Caro amico, Vedo proprio che seianche curioso di sapere le mie peripeziein guerra oltre al mio stato di salute,quasi ti premesse di più le notizie delnemico, che le mie. T’assicuro che sonobuone d’ambo le parti, da parte mia per-ché sono contento di trovarmici, e daparte loro (!) perché, poveri disgraziatici cascano sotto, con tutto il loro fanati-smo, come l’erba sotto la falce. Tivoglio dire qualcosa degli arabi turchi diHoms.

Sono bestie, che più se ne ammazzapiù ne esce fuori, da non si sa dove.Sono stato tre mesi quasi senza sentirli.Il giorno 22, ci hanno fatto una buonaimprovvisata, buona davvero, comedesideravamo da tanto tempo, che noi liaccogliemmo entusiasti, a colpi di… pil-lole di piombo.

Ci hanno lanciato dei colpi di canno-ne a poca distanza dalle nostre trincee,ma senza effetto però, come avesserodelle bombe di polenta. Le nostre arti-glierie non si degnarono rispondere nep-

pure.Ma all’indomani all’ora

solita, di sera hanno sparatonuovamente, perché cilasciassero dormire un poco,abbiamo risposto e ridotti alsilenzio. Sono noiosi. Era undivertimento a vedere unacorazzata in mare, tuonante,che pareva volesse spianaretutta la Tripolitania. Questistraccioni affamati, di turchiarabi hanno ancora qualchecannone, vedrai che prestoce li prenderemo.

Noi non abbiamo paura di loro, seb-bene coraggiosi temerarii, noi non sap-piamo che farcene, conosciuta la loromalizia andiamo sempre avanti, li bat-tiamo al grido di viva l’Italia – vivaSavoia.

Basta caro amico, ne avrei troppo daraccontarti con poco tempo. Ti saluto…tuo. Giacomo.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), annoXVIII, Ovada 17-18 Febbraio 1912, n.892.

Da Carpeneto. Il nostro concittadinoGaggino Pietro scrive da Tobruk unalettera al cognato dalla quale togliamo ibrani più interessanti pei lettori:

Mi trovo sempre, qui vicino a Tobrukcoi miei compagni di Carpeneto e ci fac-ciamo un’ottima compagnia; mai comeadesso abbiamo sentito il vincolo del-l’affetto che ci lega reciprocamenteattraverso al comune dialetto natio (…).Non passa giorno, ne notte che non sisentano fucilate: sono pattuglie nemicheche saggiano invano le nostre posizioniper trovare qualche punto debole da for-zare della nostra linea di difesa.

Abbiamo distrutte molte grotte cheformavano le abitazioni di questi Arabiche hanno fatto causa comune coi turchicredendo alle loro erette di fronte allenostre posizioni.

Porgi pure vivi ringraziamenti aquanti si sono ricordati di noi concor-rendo alla riuscita del ballo di benefi-cenza della Villa: noi siamo riconoscen-ti della buona memoria loro.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

In questa pag.: Il colonnello Gustavo Fara dell’11° Reggimento Bersaglieristende il rapporto dopo la battaglia di Sciara Sciatt.

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In questa pag.: cartolina “viva Tripoli italiana” con l’autografo diFilippo Tommaso Marinetti.

ORBA (CORRIERE

D’OVADA), anno XVIII,Ovada 9-10 Marzo1912, n. 895.

Da Carpeneto.Concittadino ferito adHoms. È giunta notiziache il soldato BadinoGiacomo fu Giovannidella classe del 1888già nel 12° ReggimentoBersaglieri e poi incor-porati nell’11° Reggi -mento rimase feritonell’assalto di Mergheballa baionetta.

Il valoroso soldatosi trova in guerra sin dall’inizio di essaed ha preso parte a molti fatti d’armerimanendo sempre illeso.

Ultimamente scriveva alla famigliaed agli amici patriottiche parole piene dicoraggio e di speranze.

Al prode nostro concittadino che perla patria dolora, vive parole di encomioed auguri di guarigione. Gino.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), anno XVIII,Ovada 16-17 Marzo 1912, n. 896.

Da Carpeneto. Lettera da Homs. Conpiacere si hanno notizie che la feritariportata dal nostro concittadino BadinoGiacomo all’assalto del Mergheb fu dilieve entità e che egli ha ormai ripreso ilsuo posto fra le file combattenti.

A conferma di ciò è giunta una lette-ra al cugino Bisio Giovanni che volen-tieri pubblichiamo nei suoi tratti princi-pali.

Homs 4 – 3 – 1912.Carissimo Fratello,Con piacere ricevetti la tua lettera del

1° di questo mese e mi fece piacere ilconoscere che voi siete in perfetta salu-te, ed io pure sto benissimo.

Prima che tu abbia ricevuto questamia avrai appreso le notizie per mezzodel giornale, della nostra bella avanzataad Homs il giorno 27 Febbraio e dellagrande vittoria riportata da noi Italianicontro i Turco-Arabi per opera special-mente del mio reggimento che è l’89°,ma i particolari ti saranno ignoti.

Eccoti brevemente: La sera del 26 i

superiori ci radunarono in Circolo, com-pagnia per compagnia e il capitano cimise al corrente di ciò che avevamodovuto fare al domani.

Dovendosi occupare il Mergheb consorpresa partimmo alle ore 3 del mattinoe in un silenzio religioso giungemmo sinpresso il nemico senza che questi se nefosse accorto. Quando fummo quasi acontatto incominciarono le fucilate, maper il diavolo! abbiamo preso il montesenza che se ne accorgessero e anche lemitragliatrici e l’artiglieria presero posi-zione.

Pel nemico non vi fu scampo quan-tunque abbia cercato di resistere. Si vedeche restò mortificato e per sfogarsi cercòraggirarsi assalendoci da varie parti, agruppi a gruppi, ma noi lo liquidammosempre.

Il combattimento durò dalle 6 delmattino alle 7 di sera con fuoco continuoed accanito. Noi avemmo solo 10 mortie circa una cinquantina di feriti, ma leperdite nemiche furono maggiori e cioècirca mille tra morti e feriti e gli demmouna lezione terribile. Adesso noi siamotrincerati bene e stiamo benissimo e nontemiamo nemmeno l’assalto del doppiodei nemici che se ne venissero non nescappa nessuno.

Ti dico poi che il cugino BadinoGiacomo sta bene e così pure tuo cuginoCanepa. Ci facciamo coraggio e ricevosovente lettere da tuo cognato da Tobrukche mi dice che sta bene e si fa coraggio.Per ora ti saluto colla famiglia e sono tuo

aff.mo fratello. BisioFrancesco.

IL CORRIERE DELLE

VALLI STURA E ORBA

(CORRIERE D’OVADA),anno XVIII, Ovada 6-7Aprile 1912, n. 899.

Da Carpeneto. Dalteatro della guerra. Ilnostro concittadinoTerragni Battista dellafrazione Villa, caporalenel 30° Regg.toFanteria 12°Compagnia manda alfratello la seguente let-tera che di buon grado

pubblichiamo.Tobruk, 26 – 3 – 1912.Carissimo Fratello,Come tu sai il mio grande desiderio

di andare a combattere per la patria diversare, se fosse d’uopo, per essa si l’ul-tima goccia di sangue, sta per esseresoddisfatto.

Finalmente dopo cinque mesi diaspettativa anche a me venne l’ordine dipartire per la guerra. Fui mandato qui aTobruk e il mio cuore in questo luogo,già reso celebre dal valore dei nostribravi soldati, non sente altro palpito chequello di combattere valorosamente perla patria, non altro ideale che di combat-tere valorosamente come si conviene alsoldato italiano che nulla paventa, chemai indietreggia che solo ascolta quelgrido che suona: “Coraggio! Avanti!”.Frequenti gruppi di Arabo-Turchi quasiogni giorno cercano di molestare i lavo-ri alle nostre trincee, ma non sono anco-ra comparsi al nostro occhio che vengo-no dispersi e massacrati dagli ardenticonfetti che i nostri cannoni e fucili congrande liberalità lanciano contro di essi.

Come avrai letto nel giornale, pochigiorni or sono abbiamo fatto un’avanza-ta di 100 chilometri e abbiamo scacciatoi nemici dalle loro trincee, massacrando-li tutti, mentre noialtri non abbiamoavuto che un ferito. Quasi tutti i giorni,come già ti dissi, abbiamo a sostenerequalche attacco che finisce sempre collafuga o col massacro dei nemici. Tu nonpuoi immaginare come questi Arabo-

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Turchi disprezzino lamorte! Non hanno pauradei fucili, s’avanzano conardire straordinario e noili lasciamo venire e poi«fuoco!» e li bruciamoquasi tutti.

Se vedessi, questibestioni fanno dei buchidentro terra e quandos’incomincia l’attaccoescono fuori come le for-miche e dove l’occhio ne calcola 100, sipuò star certi che colà ve ne sono 200.Ma al soldato italiano non fanno e nonfaranno mai paura per quanto sianonumerosi.

Dirai al babbo che non mi mandi perora danaro che non ne ho bisogno, e poi,se ho da dirti il vero, in questi luoghi nonsi possono neppur spendere i soldi che cipassa il governo. Sono molto contentoche mi abbiano mandato a Tobruk, cheho trovato qui tre amici e compaesani,che sono Gaggino Pietro di Malorino, ilfiglio di Borgnetta e uno della Gaggina.

Spero, se non avrò l’onore di versarpresto il sangue per la patria, di scriverefra pochi giorni e narrarti, se sarà il caso,qualche battaglia, contro questi cani diTurchi, gloriosa per la nostra patrial’Italia, ed anche gloriosa per me chespero aver l’onore di prendervi partecome un valoroso soldato Italiano.

Buona Pasqua a te ed a tutta la fami-glia, tuo affez.mo fratello TerragniBattista.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), anno XVIII,Ovada 13-14 Aprile 1912, n. 900.

Da Carpeneto. Lettera dal Campo diHoms.

Amato Fratello,Non puoi immaginarti il piacere che

mi ha fatto la tua lettera ricevuta ieri poi-ché ho letto che state tutti bene e puoistar sicuro che altrettanto è di me, delcugino Giacomo e del cugino Nino.

Voi eravate in ansietà avendo sentitodai giornali che qui a Homs vi sono statidue scontri, ma li abbiamo ricevuti concerte pillole che devono aver fatto per-dere la voglia ai Turchi di assalirci; èstata una lezione di cui si ricorderanno.

Sono cani che non hanno paura, ma noimeno di loro. Per noi è molto meglio chevengano avanti loro che andare avantinoi, se vengono avanti loro noi facciamola guerra da casa e potete ormai staretranquilli che il pericolo maggiore pernoi è passato. Noi dovevamo occuparequeste posizioni e le abbiamo occupate eadesso ci siamo fabbricate le nostre casesottoterra e si vive tranquilli, abbiamoun po’ da lavorare, ma al lavoro ci siamoabituati e poi Carpeneto l’ha mai tremà.

Dopo i combattimenti passati non neabbiamo più avuti salvo qualche colpoisolato, ma ci siamo abituati anzi misembrano i colpi della vigilia di un gior-no di festa e sembra tutto morto quandonon si sentono colpi a sparare.

In città poi si vive tranquilli: vi sonogià stato due o tre volte a trovare i cugi-ni Giacomo ed Eligio ed ho trovato tuttodiverso da quando c’ero io. Prima ci sistava come assediati e non si era sicurinemmeno quando si dormiva, ora inveceHoms ha preso l’aspetto di una cittadinaItaliana. Vi sono negozi d’ogni genere, sivedono borghesi in costume italiano e visono dei ragazzi che sono stati alla scuo-la italiana e che parlano l’italiano che èun piacere a sentirli. Insomma, siamo inItalia.

Bisogna poi vedere la campagna: iterreni sono fertili e vi è ogni sorta difrutta e ogni qualità di fiori. Tutto èverde, tutto è fiorito poiché laTripolitania è nel fiore della primavera esi vedono dei giardini deliziosi.

Delle viti non ne parliamo! InPiemonte quando si vede dell’uva nelmese di Marzo è un miracolo, invece quii grappoli sono già lunghi cinque centi-metri. È una meraviglia e vi dico che

questo paese mi piacemolto e adesso vi si staproprio bene. Se questiterreni fossero coltivaticome da noi chissà quan-to renderebbero!

Avrei ancora tantealtre cose belle da descri-verti e non finirei più, mamancandomi il tempo perora te lo lascio pensare.

Dunque tanti saluti atutta la Famiglia anche dal cugino Eligioe dal cugino Giacomo che non è affattovero sia stato ferito e tu credimi aff.mofratello Bisio Francesco.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), anno XVIII,Ovada 27-28 Aprile 1912, n. 902.

Da Carpeneto. Pei caduti in Libia.Solenni riuscirono le funebri onoran-

ze pei nostri fratelli caduti in Libia.Zeppa era la chiesa e presenti vi si tro-vavano tutte le autorità, le società, lescuole, le compagnie, i R.R. Carabinieriin alta tenuta, tutti i militari in permesso,i veterani fregiatisi il petto delle loromedaglie, nonché tutta la notabilità delpaese.

Nel mezzo del tempio, semplice masolenne, elevavasi il catafalco rivestitodi nastri dai colori nazionali, adornato dibelle corone di fiori freschi e da un tro-feo di spade nel cui mezzo spiccava loscudo di Savoia. Ai quattro lati pendeva-no bandiere abbrunate e fasci dimoschetti colla baionetta innestata, etutto l’aspetto del tempio aveva unaspetto di severa ed imponente mestizia.

Carpeneto tributava ai forti fratelli,agli eroi caduti nel nome dell’Italia, l’o-maggio del suo cordoglio sincero, ementre le ultime meste note dell’organospandevansi per le navate della chiesa, ipresenti col pensiero volavano agli altrifratelli ancora combattenti ad essi man-dano un voto, e col riverente saluto, l’af-fetto e tutta la loro anima Italiana.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), anno XVIII,Ovada 4-5 Maggio 1912, n. 903.

Da Carpeneto. Reduci dalla Libia.Lunedì 29 Aprile verso sera si era

sparsa la notizia dell’arrivo in paese del

In questa pag.:“artiglieria da montagna. Il carico dei muletti”.

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concittadino Cassone Michele, richia-mato della classe 1888 bersaglieredell’11 Regg., che incolume ritornavaalla Famiglia dopo aver preso parte atanti fatti d’arme.

La popolazione che tanto si interes-sa delle vicende di guerra e della sortedei nostri Carpenetesi, partecipandoalla gioia dei parenti e mossa da unospontaneo desiderio di acclamare e didare l’entusiastico suo saluto a chivalorosamente aveva saputo rappresen-tare il paese nelle battaglie e nelle asprevicende della guerra, incurante dellapioggia, era stata ad attenderne l’arrivofino verso le ore una di notte. Ancorchéegli giunse fu fatto segno ad una com-movente scena di fraterno affetto, ma,stante l’ora tarda, fu rimandata a giornoinoltrato una più imponente manifesta-zione per tutti i reduci Carpenetesi.

Infatti, alle ore 15, si formò un mae-stoso corteo che portandosi alle case diciascuno dei reduci giunti dalla Libia,fra le acclamazioni festevoli li accompa-gnò in Municipio.

Precedeva il corteo, il corpo deipompieri colle guardie municipali, indiin mezzo alle bandiere, vestiti nella lorodivisa militare, venivano il bersagliereCassone Michele, il soldato chauffeurBruni Pietro addetto ai riflettori e giuntoda Tripoli il giorno prima dell’arrivo delCassone, e il soldato di marina TrabuccoSerafino, addetto al trasporto dei feriti:seguivano il sindaco colla Giunta e con-siglieri, le società e tutta la popolazione.

Insistente cadeva la pioggia e ciò nondimeno, lungo le vie la gente si accalca-va acclamando ai reduci, all’esercito eall’Italia. Giunti al Municipio, la musicaintonò la marcia reale mentre la gente sispingeva e si pigiava onde riuscire adavere un posticino nella Sala comunale.

Quivi a nome del Sindaco e per lapopolazione, interrotto frequentementeda vivi applausi disse un bellissimo dis-corso vibrante di sentimenti nobili epatriottici, il Segretario sig. Geom. CarloGualco, al quale, commossi, ringrazian-do risposero i festeggiati: indi venneloro offerto un marsala d’onore.

Fra il crescente entusiasmo, fra lenote dell’inno di Tripoli furono poi

accompagnati alle sedi delle diversesocietà ove era stato preparato un ricevi-mento.

Per la Società di Mutuo Soccorsoparlarono il Presidente sig. RizzoCristoforo, il Maestro Carlo Conti el’Avv. M. Paravidino. Ultimo, mentreper le vie il corteo si andava lentamentesciogliendo fra le grida di evviva l’Italia,W l’esercito, W Tripoli, sotto il padi-glione del ballo pubblico, parlò ancoral’Avv. Trabucco. La dimostrazioneriuscì imponente ed essa certamente sirinnoverà ad ogni ritorno in patria deglialtri Carpenetesi, ancora combattenti, aiquali inviamo il nostro saluto, auguria-mo vittoria e felice ritorno in patria.

L’ALTO MONFERRATO – CORRIERE

DELLA DEMOCRAZIA, anno II, n. 45.Ovada, 5 Maggio 1912.

Carpeneto. Liete accoglienze ai redu-ci dalla guerra. Reduci da Tripoli e dallaguerra di Libia giunsero in questi giornifra noi i nostri concittadini soldati dellaclasse 1888 Trabucco Serafino diBernardo marinaio sulla corazzataBenedetto Brin, Bruni Pietro diVincenzo automobilista militare eCassone Michele fu Giuseppe del leg-gendario 11° bersaglieri.

Il Bruni arrivò domenica scorsa sottouna pioggia torrenziale, ed il Cassonenella notte dal lunedì al martedì accoltofestosamente all’entrata del paese da unafolla plaudente che lo accompagnò alcaffè Zerbino ove il maestro Conti con

sentite ed inspirate parole gli diede ilbenvenuto.

Martedì poi alle ore 15 per cura delMunicipio ebbe luogo il ricevimento deitre giovani in forma ufficiale nella saladel Comune con offerta di vini e liquori.

Qui parlò applauditissimo a nome delMunicipio il Geom. Gualco segretarioComunale, ed a lui risposero con com-mosse parole i tre festeggiati. DalComune si passò nelle Società UnionePopolare e di Mutuo Soccorso ove par-larono i rispettivi Presidenti e altriinneggiando tutti ai tre reduci ed alla fol-lia tripolina.

Tornato il corteo sulla pubblica viaparlò infine l’avv. Trabucco in sensoantiguerrafondaio riscuotendo esso purebuona messe di applausi.

Al corteo accompagnato sempre dauna pioggerella uggiosa ed insistenteprese pure parte la Società Filarmonicasuonando inni patriottici nonché quellodi Tripoli.

Sotto i portici, mentre in Municipioscrosciavano i battimani inneggianti aibaldi reduci dalla guerra, noi appartatidalla pioggia e dal corteo ufficiale pernon provocare le smorfie dei ben pen-santi, degli eroi del portafoglio e degliarmiamoci e partite, osservavamo conl’animo intensamente turbato una madrepure essa modestamente appartata e daicui occhi sgorgavano per la gioia e per lacommozione dei grossi lucciconi. Era lamadre del reduce di Sciara-Sciat, di

In questa pag.: cartolina d’epoca di Carpeneto.

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Henni, di Ain-Zara e diBir-Tobras”.

IL CORRIERE DELLE

VALLI STURA E ORBA

(CORRIERE D’OVADA),anno XVIII, Ovada 15-16 Giugno 1912, n. 909.

Da Carpeneto.Lettera dall’Isola diChos.

Chos 27 - 5 - ‘912.Carissimo Cugino, Nel viaggio che feci

da Tobruk a Rodi ricevetti la tua graditalettera e ti ringrazio di tante notizie. Misaprai perdonare il ritardo nel risponde-re, ma siamo in tempi che non ci lascia-no mai fermi. Dopo l’ultimo rilevantefatti d’armi di Tobruk, avvenuto l’11Marzo, nel quale io ho fatto andare agambe levate parecchi arabi, io ho capi-to che queste bestie sono peggiori diquello che mi credevo e che bisognaandare cauti contro di esse. Gli italianisono coraggiosi, ma questi bestionimolto di più, nel senso che non hannopaura dei fucili, né dei cannoni, e segui-tano a sparare finché hanno fiato.

Basta, ora li ho lasciati poiché il 1°maggio mi sono imbarcato per l’isola diRodi.

Nei primi giorni ho combattuto con-tro i soldati Turchi, ma è assai meglioche contro quei mostri di Tobruk, per-ché, se non fosse altro, quando si trova-no alla peggio, o che scappano o che siarrendono.

Sono contento di avere provato tantevarie emozioni e ringrazio il Cielo deipericoli scampati, soltanto che ora lamusica mi pare lunga, e non credevocerto, quando sono partito per Tobruk diandare a finire a Rodi, e quando sicominciava a sta bene a Rodi, il nostro2° battaglione del 34° Reggimento,l’hanno mandato a quest’isola di Chos, epoi finiremo per andare a Costantinopolidal Sultano.

D’altronde mi posso chiamare con-tento: in quest’isola di Chos abbiamotrovato della buona gente che ci accolseal grido di W gli Italiani. È un’isola assaipiù piccola di Rodi ma con una bella cit-tadina, belle villette lungo il mare e

piena di piante d’olive, palme ed alberida frutta. L’interno è formato da monta-gne, ma è bellissimo e ci sono uccellid’ogni genere. Come vedi non mi possolamentare…

Ti saluto tanto anche da parte dei sol-dati Carpenetesi che trovasi meco e cre-dimi tuo aff. mo cugino GiovanniBottero.

L’ALTO MONFERRATO – CORRIERE

DELLA DEMOCRA ZIA, anno II, n. 61,Ovada, 25 Agosto 1912.

Accoglienze ai reduci e soffietti elet-torali. In questi giorni giunsero fra noireduci dalla Tripolitania e dallaCirenaica i soldati della Classe 1889Bottero Giovanni, Cosmello Enrico,Ferraro Amerio, Gaggino Pietro ePastorino Biagio.

Per iniziativa delle locali Società diM.S. e Cassa Rurale si organizzò dome-nica scorsa il ricevimento che ebbeluogo sul piazzale del Castello, gentil-mente concesso.

Parlò primo molto applaudito iSegretario Comunale in sostituzione delverboso Sindaco ed a lui seguirono isig.ri Cav. Perelli, capitano Maranzana.Rizzo Cristoforo, A. Vitali, prof. don.Rizzo, nonché il nostro Rev. Parrocodon Trinchero il quale pure applauditoinneggiò all’Esercito, al Re e alla Patriaed ultimo, dulcis in fundo, con quellafacilità ed eleganza che gli è propria ilnostro egregio Pretore Avv. Carillo.

Dalle finestre del vetusto Castello ungaio sciame di signorine e signore pre-senziava al ricevimento e alcune fra essetocche fino al midollo dalla irruente efocosa oratoria di alcuni baldi e giovani

eroi dell’armiamoci epartite, tentavano soffo-care l’interno loro pertur-bamento divorando con-fetti e pasticcini, mentre ireduci, liete di averelasciate, e speriamo persempre, le aride e infoca-te sabbie africane, se laridevano sotto i baffiforse augurando in cuorloro ai glorificatori dellaimpresa Libica un paio di

mesi di forzata villeggiatura nelle deli-ziose oasi di Bu-Chamez o di Tobruc.Probabilmente molti bollori si raffredde-rebbero istantaneamente e dalla spassio-nata analisi di certe mise en scéne sivedrebbe che non muove foglia che ilproprio tornaconto non voglia e chebene spesso sotto la artificiale ubriacatu-ra patriottica si nascondono ambizioset-te preparazioni elettorali.

IL CORRIERE DELLE VALLI STURA E

ORBA (CORRIERE D’OVADA), anno XVIII,Ovada 7 -8 Settembre 1912, n. 921.

Da Carpeneto. Onoranze ai reduci.Egregiamente preparata da un comitatodi giovani volenterosi, si è svoltaDomenica scorsa in questa frazioneVilla un’entusiastica dimostrazione aidue reduci dalle guerre libiche, GagginoPietro e Cosmelli Enrico.

Al mattino le campane con allegroconcerto invitarono la popolazione nellanostra chiesuola, parata a festa, dovevenne cantata una messa di ringrazia-mento.

Alle 12 il corteo formato dalla mag-gioranza della popolazione acclamante ireduci si riunì ad un fraterno banchetto,tenutosi in un’ampia sala all’uopo pre-parata dall’esercente locale CanepaCamillo.

Al banchetto che si svolse fra la piùintima cordialità, dietro cortese invitodel Comitato, presero parte anche i trereduci di Carpeneto.

Alla frutta rivolsero ai reduci affet-tuose e patriottiche parole il consigliereP. Giorgio, il Sig. C. Giuseppe, Z. Luigie lo studente T. Cesare, il quale bella-mente tratteggia l’aspra vita del campodi battaglia. Quindi rivolse ai reduci un

In questa pag.:“accampamento italiano alle trincee di Bumelliana” (o Bu Meliana).

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vibrato saluto ricordando le angoscesofferte dai loro genitori sapendoli suicampi di battaglia ed il gaudio che oraprovano nel rivederli ritornati salvi evittoriosi l’esimio rettore Don G.Morbelli. A nome dei commilitoni, ilreduce Gaggino Pietro rivolse com-mosse parole di ringraziamento alcomitato ed ai convenuti. La festa sichiuse col canto solenne del Te Deum ela benedizione col S.S.

La frazione è grata al Comitato cheseppe organizzare una così bella dimo-strazione. Spectator.

I reduci della Libia, residenti aCascina Vecchia: Badino Giacomo,Poggio Giovanni e Bisio Francesco(citati da Il Corriere delle Valli Stura eOrba n. 940 - 18/19 Gen. 1913) proba-bilmente furono gli ultimi combattentia rientrare dalla neonata colonia libica.Tuttavia un conflitto cruento perentrambe le parti (come lasciano traspa-rire le lettere spedite dai combattenticarpenetesi) doveva concludersi con ungesto di ringraziamento da tramandarealle future generazioni. Per cui i reduci,molto probabilmente sostenuti da coloroche avevano fondato il “Comitato proTripoli”e da Associazioni d’Arma o diEx Combattenti, si unirono per contri-buire alla donazione di un labaro per rin-graziare San Giorgio che li aveva mira-colosamente protetti durante numeroseazioni di guerra.

Questa è la cronaca della iniziativariportata da Il Corriere delle Valli Sturae Orba del 18 aprile 1914:

Carpeneto. I reduci carpenetesi persan Giorgio. Carpeneto ebbe sempre unafede viva nella protezione di S. Giorgio,il Santo Titolare della Parrocchia, cuirende ogni anno, tributi di solenni ono-ranze.

Ma la fede nell’efficace protezionedel grande Martire di Cappadocia si èsempre esplicata specialmente per partedei nostri soldati, dei nostri militari neivari e fortunosi eventi, in cui si trovaro-no implicati.

E la tradizione popolare vuole che apartire dalle guerre napoleoniche finoalla spedizione in Crimea e fino ancora

alle guerre d’Indipendenza, nessuno deiNostri Carpenetesi, memori della prote-zione di S. Giorgio, lasciasse la vita suicampi di battaglia.

Questa tradizione, mantenuta vivadalla voce dell’anima popolare e tra-mandata da padre in figlio, ha ricevutouna solenne conferma nei recenti fattidella guerra Libica, ed i nostri reduci,con felice e lodevole pensiero, hannocominciato ad esternarla in un ricordo,che fosse, per così dire, il segno tangibi-le della loro anima religiosa e patriotticaad un tempo.

Il ricordo consiste in un ricchissimo efinissimo labaro, superiore ad ogni elo-gio, che i reduci Carpenetesi offriranno aSan Giorgio il giorno stesso della festadel Nostro Titolare venerdì p.v. 24 cor-rente.

Nella parte anteriore del labaro, suseta bianca, con fondo celeste, campeg-gia in primo luogo, una stella che sor-monta lo stemma d’Italia, in oro.Seguono poi la corona, lo stemma, ilcollare dell’Annunziata, il tutto ricamatoin oro e col fondo dipinto. Competano laparte anteriore dell’artistico lavoro unasuperba aquila, che sostiene lo stemma esi appoggia sulle armi italiane e sul laurodella vittoria, e infine un nastro intrec-

ciato tra il trofeo d’armi, con la scrittaricamata in oro: A S. Giorgio - I ReduciCarpenetesi dalla Libia 1911 - 1912 -1913.

Nella parte posteriore del labaro, suraso rosso, ricamati in oro e seta, spic-cano i nomi e i cognomi dei reduci cheoffrono il labaro, coi fatti d’arme a cuipresero parte, coi nomi dei luoghi, ovefurono dislocati, e col nome del reggi-mento, in cui furono incorporati. E sileggono i nomi di Bottero Giovanni,Gaggino Pietro, Turco Giuseppe, BisioFrancesco, Badino Giacomo, CassoneMichele, Poggio Biagio, PastorinoBiagio, Scarsi Stefano, Nervo Stefano,Bisio Pietro, Carosio Cesare.

E si leggono i nomi e le date glorio-se di Tobruk, Rodi, Pellos, Merghen,Sciara Sciat, Tripoli, Derna, ecc. ecc.

Nomi gloriosi e date gloriose, chehanno trovato la loro glorificazionenelle sapienti mani alle quali i reduci

vollero affidare l’esecuzione dellosplendido labaro, eseguito con quell’artesopraffina, con quel gusto delicato efine, con quel senso di estetica, grazia,che tanto contraddistinguono nelle lorogeniali ed artistiche creazioni, le duesorelle signorine Giuseppina e PierinaParavidino, le quali prestarono volente-rose tutta intera la lunga paziente, gra-tuita e disinteressata opera loro, felicisolo di potere cooperare ad attuare lafelice idea dei reduci carpenetesi.

Venerdì 24 corrente festa del TitolareSan Giorgio, al mattino per tempo, pre-via benedizione del labaro, i nostri redu-ci si recheranno processionalmenteall’antica Cappella di S. Giorgio, oveavrà luogo una sacra funzione con l’of-ferta solenne dello splendido labaro.

Nello stesso giorno poi i nostri bravireduci si raccoglieranno a fraterno ban-chetto che sarà certamente condito dallapiù schietta allegria.

Domenica 26 corrente, giorno in cuisarà solennizzata la festa da tutta lapopolazione, interverranno allora allasolenne processione in onore di S.Giorgio, suggellando così il loro nobile egeneroso pensiero. Ai nostri baldi reduciil nostro plauso ed il nostro affettuosopensiero. Effe.

In questa pag.: Carpeneto, il labaro di San Giorgio, omaggio dei ruduci carpenetesi della guerra di Libia 1911 - 1912 - 1913.

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Le lettere dalla Libia dei soldati car-penetesi, così ben trascritte da IlCorriere delle valli Stura e Orba e daL’Alto Monferrato-Corriere dellaDemocrazia ci presentano un doppioscenario: da una parte la guerra, dall’al-tra la vita del paese d’ origine. Dal teatrodi guerra arrivano notizie che inneggia-no alla superiorità militare italiana,schiacciante di fronte a un nemico, checombatte in modo primitivo senza cono-scere le normali regole del codice milita-re. Sono considerazioni pesanti chehanno origine dalla insistita e battentepropaganda, che in Italia aveva precedu-to e stava accompagnando un’ avventuramilitare sostanzialmente di conquistacoloniale, se pur con richiami storico -culturali più formali che di sostanza. Laretorica però lascia presto il posto,nellelettere ,ad un senso di smarrimento estruggimento quando si accenna ai lun-ghi combattimenti sotto una pioggia cheli aveva ridotti “bagnati come dei pulci-ni”. Smarrimento comprensibile e stra-niamento per dei giovani contadini sbat-tuti in una terra e sotto un cielo del tuttosconosciuti e ostili. Li rincuora però ilricordo del paese e sapere che la SocietàFilarmonica di Carpeneto ha fatto unacolletta per i soldati combattenti in Libiadà un sostegno morale oltre che econo-mico! Si sono fatti anche balli di benefi-cenza a Madonna della Villa , la frazio-ne da cui provengono alcuni di loro.Rincuora anche il fatto di essersi ritrova-ti con altri compaesani o dei paesi vicinicon cui si scambiano notizie e si parla lostesso dialetto. Il cameratismo è moltoapprezzato e dà coraggio reciproco. Inuna lettera il giovane Battista Terragni diMadonna della Villa chiede al padre dinon mandare soldi perché ne ha e non gliservono ma anche perché, Battista nonlo dice, nelle società contadine i soldidevono rimanere in famiglia per chi neha più bisogno o per evenienze non pro-grammabili. Pur nella durezza dell’impresa non mancano attacchi di ottimi-smo quando si favoleggia di una fioritu-ra colturale della terra che stanno perconquistare non appena ne avrannopadronanza. Le cose non saranno davve-

ro così semplici e la storia futura chiari-rà che spesso le premesse cadono davan-ti alla realtà oggettiva. A volte , come nelcaso della lettera di Giovanni Bottero,vengono date precise notizie di azionimilitari come lo spostamento del teatrodi guerra nelle isole del Dodecaneso.

Contemporaneamente si muove ilsecondo scenario. Il paese che ha segui-to con ansia e affetto i soldati in guerra,aspetta i reduci ,che arrivano pochi pervolta e , a volte , da soli. Li aspettanoanche di notte , anche sotto la pioggia, liportano in giro per il paese , li festeggia-no in castello. Imbandiscono dei rinfre-schi dove girano liquori e si fa il nomedel marsala! Per tramandare l’impresaconclusasi felicemente con il ritorno ditutti i soldati carpenetesi si pensa diricordare i fatti con un vessillo che ripor-ti i nomi di tutti i soldati .Per questo sirealizzerà un labaro finemente tessuto ericamato che verrà benedetto e portato inprocessione in occasione della festapatronale di san Giorgio.La guerra èufficialmente terminata e tutti sono tor-nati come accaduto con le guerre diNapoleone e con le guerre delRisorgimento .La buona sorte ha funzio-nato ancora...

È il 24 Aprile 1914 e due mesi dopo,il 28 Giugno dello stesso anno, i colpi dipistola sparati a Sarajevo dal serboGavrilo Princip metteranno fine persempre ad ogni speranza. È la primaguerra mondiale. Da allora il labaro,opera egregia delle signorine Giu sep -pina e Pierina Paravidino, per decenniamate maestre di scuola del paese, anco-ra custodito nella sala consiliare delMunicipio di Carpeneto, sta a testimo-niare, in ogni frangente, la coesione e lapartecipazione concretamente vissuta diuna comunità agricola abituata da secolia condividere la propria Storia.

(Ringrazio Paolo Bavazzano per lepreziose ricerche storiche e MaurizioChiabrera per le foto del labaro scattateper conto del Comune di Carpeneto).

Note1. Fu Ardito Desio, grande figura di geologo,alpinista, esploratore, volontario nella primaguerra mondiale a scoprire i primi giacimenti dipetrolio. Nel 1926 fu mandato in Libia a capodi una missione esplorativa su incarico diGuglielmo Marconi. La spedizione fu ripresanel 1938 negli stessi luoghi esplorati preceden-temente alla ricerca di acqua e minerali prezio-si e si trovò il petrolio! Quello scatolone di sab-bia come lo aveva definito Gaetano Salveminirivelava ricchezze impreviste!2. Lo storico Sergio Romano sostiene che l’im-presa libica del 1911/12 venne preparata e con-dotta con idee poco chiare in quanto si sban-dierava la certezza che le popolazioni localiavrebbero accolto gli Italiani a braccia aperteper essere liberati dal dominio ottomano e inve-ce si diede avvio, in embrione, a quello chesarebbe diventato il nazionalismo arabo che fualla base di una forte e indomita resistenza daparte degli abitanti locali. Nazionalismo arabocon connotazioni laiche, contrariamente a ciòche succede attualmente in cui prevale la com-ponente confessionale. (Sergio Romano, Laquarta sponda. Dalla guerra di Libia allerivolte armate, Edizioni Longanesi, Milano2015).3. Nell’ attacco alla Libia per la prima volta siimpiegavano aeroplani a fini bellici e i piloticon una mano guidavano e con l’altra buttava-no le bombe. La guerra italo-turca (29Settembre1911-18 Ottobre 1912) viene talvoltaricordata soprattutto per questo e altri pro-gressi compiuti nella tecnologia militare.(Franco Venturini, La miccia Libia e l’inquie-tante filo rosso, da «Il Corriere della Sera»,venerdì 4 Marzo 2016 p. 21).4. Nicola Labanca, La guerra italiana per laLibia,1911-1931, Il Mulino, Bologna 2012.Paolo Maltese, La terra promessa. La guerraitalo-turca e la conquista della Libia 1911-1912, Sugar Editore, Milano 1968. Angelo DelBoca, Gli Italiani in Libia, Mondadori (OscarStoria), 2 volumi, Milano 1997.

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Il Paesaggio piemontese dell’800.Fattori evolutivi e distintivi nella pittura piemontese (1ª parte):dai Cignaroli a De Gubernatisdi Ermanno Luzzani

La pittura di paesaggioun panorama di indubbio

interesseSe, discutendo sul tema

della pittura di paesaggiodell’Ottocento piemontese ci sisoffermasse nel porsi il quesitosul suo ideale avvio, verremmoattratti nell’ambito di un pano-rama di indubbio interesse.

Eterogenei infatti i richiamia valori tradizionali piemontiz-zanti, come a livello internazio-nale, da qui l’innescarsi delledifferenze culturali, teoriche estilistiche formatesi nel solco delle variecorrenti europee che, non potendo esser-vi escluse, rivestiranno un ruolo diaccrescimento e potenzialità, in speciedal punto di vista scientifico e fisico,invitandoci a focalizzare quei condivisiinteressi che poi saranno il fulcro narra-tivo dei fattori evolutivi e distintivi dellapittura piemontese.

Quale ouverture, ho prediletto indivi-duare e quindi dar vita, ad una promena-de settecentesca che, da un respiro sei-centesco, prenderà l’avvio dai Cignaroliaccompagnandoci al De Gubernatis,senza negare il ruolo d’importanza afigure quali lo Storelli e Reviglio.

Per una fonte di indubbia autorevo-lezza, andrei ad iniziare sfogliando quelmagistrale album che fu il secolo delSeicento, trovandovi un maestro france-se, Claude Lorrain, che con le sue operediede impulso ad un cambiamento omeglio ad un mutar d’interessi intellet-tuali riguardo la filosofia, la poetica e lalirica compositiva, nonché atmosferiale,della pittura di paesaggio… fra idealeclassico ed en plein air.

Influenze seicentesche d’OltralpeIn Lorrain la visione del paesaggio

(1) diviene ideale, ovvero strutturato suuna composizione i cui canoni agisconoin empatia fra equilibrio di sintesi edarmonia; vi è dapprima lo studio delnaturale, osservato en plein air, per poivenir filtrato e rielaborato secondo ilconcetto di bellezza ideale.

Osservando l’opera scelta, ci si

accorge da subito di quel sentito rappor-to riscontrabile sia nel Settecento chenell’Ottocento paesaggistico piemonte-se, basato su una sintesi coloristica ecompositiva di assoluta padronanza delconcetto di pittura di paesaggio.

La scansionatura dei piani, la sapien-te distribuzione delle luci, instilla l’in-canto del reale ed al contempo, l’apparirdel maniero, vela di romantico l’oriz-zonte con un vigoroso accento poetico,lasciando alla terza dimensione valori ditrasparenza e di gradevole morbidezza.

Il SettecentoIl Settecento (2) fu un’epoca in cui la

fantasia non si pose limiti, trasmettendo-ci una sorta di gusto arcadico, rimeditan-

do le suggestioni di una terraidealizzata caratterizzata dal-l’armonia assoluta fra uomo enatura, ormai irrimediabilmen-te persa e già apprezzata nelSeicento nell’arte del“Lorenese”.

Quel paesaggio idilliaco esenza tempo evocato dai poetiVirgilio, Orazio ed Ovidio,accompagnato da un sentimen-to venato di nostalgia ed oranel gusto tipico delle commit-tenze nobiliari ed in quel loroinfatuarsi dei temi bucolici,

riportando in auge il genere pittorico delfascino paesaggistico.

Queste le atmosfere delle opere deiCignaroli, famiglia di artisti di origineveneta ma che si fuse nel tempo e perfama in due rami: veronese e piemonte-se.

Scipione Cignaroli(Milano, 1690 – Torino, 1753)

Indubbia quindi l’influenza profusadall’opera dei Cignaroli, famiglia di pit-tori attivi in Piemonte a partire dall’ini-zio del Settecento, iniziando da Scipione(Milano, 1690 – Torino, 1753) la cui pit-tura (3), dallo stile arcadico ed idealiz-zante, intensa e leggera al tempo stesso,venne apprezzata non solo nell’ambitodella corte di Torino ed Aglié, ma anchepresso la nobiltà che ne richiese le dipin-ture per abbellire le proprie ville di cam-pagna.

Ebbe i natali in una famiglia di arti-sti, il cui capostipite fu GiambettinoCignaroli, la cui stilistica pittorica loavvicinò al maturo Raffaello con inizialisentori neoclassici.

Lavorò a gomito col padre Martinonello studio di Torino fin dal 1718, perpoi, attirato dalla realtà milanese, trasfe-rirsi in Milano presso l’atelier di PeterMuller, detto il Tempesta (Haarlem,1637 - Milano, 1701), pittore olandese,ricercato per l’abilità rappresentativa,peraltro nel gusto dell’epoca, di natantiin balia di mari in tempesta, da cui ilsoprannome.

Ancor più importante, per la forma-

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zione del giovane Scipione, fu la capaci-tà del maestro di cogliere la suggestionedell’elemento naturale, dandogli unruolo fondamentale.

Il richiamo romano non mancò, trop-po accattivante ed accrescitiva l’arte delDughet, di Poussin e del ribelle e prero-mantico Salvator Rosa.

Per la corte opererà dal 1722, semprecol padre, presso il palazzo Reale diTorino ed il castello di Rivoli.

Esperto ormai di paesaggio e di mari-ne, nel 1725 realizzerà una serie di ottograndi dipinti, oggi visibili nel castellodi Agliè. Dal 1735 e fino al 1745 si ope-rerà per arricchire di paesaggi le colle-zioni del marchese di Guarene, laVenaria Reale ed il castello di Stupinigi,con oltre trenta pannelli di paesaggi perscuri e porte, composizioni tra le miglio-ri di Scipione per delicate qualità pittori-che.

Sentì la sensibile influenza dell’ope-ra del genovese C.A. Tavella, ed in par-ticolare per i “Paesaggi fluviali” dipintiper il castello di Aglié ed in PalazzoReale: paesaggi e vedute su sovrapportee sullo zoccolo e gli sguanci delle fine-stre, documentati al 1740 per pagamentie firmati “Scipio Cignaroli pinzit”.

Oltre ai rapporti col paesaggismogenovese, risentirà di influenze delvedutismo romano e veneto - specie perquest’ultimo non dimenticheremo l’im-portanza e gli effetti di opere in cui ilpaesaggio divenne scenografia, citandoMarco e Sebastiano Ricci, rimanendocaratterialmente legato alla visione pae-saggistica del primo Settecento, dove viè l’erompere del valore decorativo, con-dotto comunque a livelli eccelsi sia pertalento che per gusto.L’influenza del paesaggismo genovese

Carlo Antonio Tavella(Milano, 1668 – Genova, 1738)L’influenza del Tavella nell’opera del

Cignaroli, è da ricercarsi nel comunecammino formativo espletato da entram-bi.

Infatti, dopo le esperienze emiliane etoscane, il Tavella, pur stabilitosi aGenova, ritornò nel 1795 nella suaMilano, frequentando e subendo a suavolta l’influsso artistico di Pieter Mulierdetto il Tempesta.

La conoscenza del Ghislandi inBergamo e dal 1701, in Genova, l’in-fluenza del Poussin e di Salvator Rosa,segneranno il suo stile definitivo e l’em-

patia con il Cignaroli. Si noti, nel paral-lelo (4 - 5), l’influenza del Tavella, e diquel suo operare presso lo studio del“Cavalier Tempesta”.

Da qui gli influssi fiamminghi avenar le visioni del Cignaroli, il qualecomunque mostrò, con la freschezzacromatica del suo paesaggio, le distanzedalle brunite tonalità olandesi.

La presenza poi di figurine d’ispira-zione religiosa diviene quasi una con-suetudine: nel Cignaroli, seppur velatadi un’aurea bucolica, innegabile il riferi-mento alla Fuga in Egitto, mentre nelTavella tutto è esplicito, ed il S.Giovanni Battista diviene primo attorenel contesto paesaggistico.

Se poi vorremo estendere, per empa-tia, interessi ulteriori nei confronti del-l’arte veneta di Marco Ricci, allora note-remo quanto sia in opere come il (3)Panorama della Valle di Susa, che inpaesaggi d’invenzione come quelli rea-lizzati per il castello di Aglié, forti sianoi richiami scenografici, ovvero di quellegrandi pitture da macchina teatrale cheillustrarono le opere liriche delSettecento nei teatri d’Europa.

Il grande albero (6 - 7), quasi sempresul lato sinistro, sostiene la composizio-ne col suo imporsi chiaroscurale, ed incontrapposizione al famiglio di destra,consente l’ingresso della luminosità edella conseguente spazialità, accompa-

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Nella pag. prec.: 1. Vista di La Crescenza, 1648-1650. Claude Lorrain. Olio su tela, cm 38,7x58. MOMA, New York.2. Panorama della Valle di Susa, 1735 ca. Particolare. Scipione Cignaroli.In questa pag.:4. Panorama della Valle di Susa, 1735. Particolare. Scipione Cignaroli.6. Paesaggio fluviale. Scipione Cignaroli. Olio su tavola. Castello di Agliè.7. Paesaggio con lavandaie, torrente e monaci, Marco Ricci. Olio su tela. Gallerie dell'Accademia, Venezia.

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gnando lo sguardo araggiungere l’orizzonteed il profilo delle onni-presenti montagne.

Figurine a punteg-giare la scena di sog-getto bucolico o fluvia-le, in richiamo alle leg-giadre presenze nelleopere di Lorrain ePoussin.

Si noti altresì la notacaratteriale delle palet-te che, a mio parere,sarà uno dei fattorideterminanti della dif-ferenza pittorica e digusto fra i due maestri:il Cignaroli, amante deicontrasti chiaroscurali,appresi nell’ambito delle lezioni impar-titegli dal “Tempesta”, ed irretito dallagamma cromatica degli azzurri e dei blu,il Ricci più passionale, come il suocarattere, noto per la rissosità, dallecalde tinte di scuola veneta e già sensi-bile ai valori pre-romantici.

Vittorio Amedeo Cignaroli(Milano, 1668 – Genova, 1738)Proseguendo nel figlio, Vittorio

Amedeo (Torino, 1730/1800), a suavolta grande paesaggista e certamenteil più conosciuto componente dellafamiglia.

Come il padre, dal quale assorbirà lacultura veneta, fu pittore di moda nellasua epoca e nel realizzar paesaggi “aboscherecce” si orienterà verso unavisione compositiva più ricercata, nel-l’inseguire atmosfere nostalgiche dimatrice arcadica, in cui vi è sovente l’in-sistita ricerca del dettaglio, senza nullatogliere all’abilità di mestiere ed in osse-quio ai gusti della committenza del suotempo, in prevalenza aristocratici, digni-tari di corte e principi appartenenti allafamiglia reale dei Savoia.

Vittorio Amedeo III, nel 1782, lonominò “Regio pittore in paesaggi eboscherecce”, e sarà sotto la sua reggen-za che la bottega dei Cignaroli diverràfamosa.

Differentemente dal padre, ancoratoin atmosfere sospese, lui, venuto almondo in un ambiente dove il doucer devivre permeava la filosofia di vita dellecorti sabaude - basti solo sapere chevenne chiamato Vittorio Amedeo inossequio al Re, suo “padrino”: “SuaAltezza Serenissima Vittorio Amedeo diSavoia marchese di Susa”, figlio diVittorio Amedeo II - comprese da subitoquanto fosse importante proseguire sisullo stile paterno, ma cercando di rin-novarlo dedicandosi ai temi predilettidal gusto della corte reale... le cacce.

Diciannovenne iniziò a lavorare allaReggia di Venaria, eccellendo quale pae-saggista, per poi operare presso la cortedei Savoia dal 1749 sino al 1794.

Essenziali, per la versione in arazzo,i suoi cartoni raffiguranti scene campe-stri e boscherecce; come nei decori disovrapporte, lambris: ovvero quel rive-stimento della parete di un locale inter-no, fino a una certa altezza, normalmen-te realizzato in legno, marmo od altromateriale che, nel suo caso, vennecostruito ad imitazione pittorica.

Dipinse nel Castello di Stupinigi eMoncalieri, realizzando scene di cacciaed altre sovrapporte, considerate tra lesue migliori opere.

Venne nominato professore alla

Reale Accademia di pit-tura e scultura di Torinoe “pittore di corte” dalRe di Sardegna VittorioAmedeo III, con stipen-dio di L. 300.

Il (8) Paesaggio concaccia al cervo, non èaltro che la quintessen-za della sua stilisticache, come già accenna-to, trae dal respiroatmosferiale la sua piùspiccata caratteristica.

Dal padre acquisì lacapacità descrittivadella natura che riuscì arendere ancor più frescae briosa.

Rivide l’orizzonte,abbassandolo, e così facendo attuò ungioco prospettico che andò a sovvertirel’uso tradizionale del montée tenduevision (visione tesa in salita) come si ènotato sia nel padre che in Tavella, edanche in Ricci il quale, da parte sua, nonfece altro che rimeditare sull’uso delleplateali visioni scenografiche teatrali.Negò l’intervento al figurativo religioso,dando spicco e risalto all’avvenenzanobile ed aristocratica di eleganti cava-lieri impegnati in cacce senza fine, nelcontesto di paesaggi raffinati dove nonrisparmiò l’intervento di macchiettecompartecipi all’evento: vedasi la cop-pia dall’altra parte del fiume, ferma adassistere alla scena; ed ancora, in lonta-nanza, il barchino traghettante.

L’acqua del fiume, increspata dallebestie in fuga per la salvezza, partecipaalla luminosità del primo piano, condi-visa dal bianco cavallo e dal candidotronco di un spoglio faggio.

In lontananza, soffusa in una caldacromia, una città, forse Torino?Probabile, visto alle sue spalle la morbi-da linea delle azzurrate Alpi.

Nel cielo, reso plastico dal morbidomovimento delle nubi, in un sensibilerichiamo ai cieli olandesi di VanRuisdael, un volo di uccelli migratori,dolce nota poetica.

In questa pag.:8. Paesaggio con caccia al cervo. Vittorio Amedeo Cignaroli. Olio su tela, cm 79x105. Collezione privata.

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Vi è una certavaghezza, data dallapoca riconducibilità aluoghi concreti, ed unacerta ricercatezza nelrappresentare una natu-ra che diviene sfondoper gli ozi agresti dellacorte.

Anche in (9)Paesaggio campestrecon caccia al cervo,viene a riproporsi iltema prediletto, inse-rendo ruderi di antichetorri ed edifici tondeg-gianti simili a battisteriod ancor più a mauso-lei, con alle spallepalazzi fortificati e tur-riti visti in piena luce.

Incombe il monte, ed il suo profilotaglia con diagonalità il secondo piano,favorendo il concetto prospettico cheliberamente ci porta, lambendo le pro-fonde campagne, ad apprezzare l’evane-scente azzurrità delle distanti cime.

Luci ed ombre sottolineano le formedei prati, punteggiati da rocce, macchiespontanee e vetusti alberi nei quali, ilCignaroli, da il meglio di se stesso.

Cavalcano veloci i cavalieri dietro ailoro cani lanciati all’inseguimento di uncervo nella sua ultima corsa verso unimprobabile salvezza.

Un viandante, in primo piano, osser-va la scena, dandoci la possibilità dinotare il malizioso gioco di luce ad illu-minare il sentiero, nel risalto di unraffinato gioco chiaroscurale.

Angelo Antonio Cignaroli(Torino, 1767/1841)

Il figlio Angelo, ereditò nel 1792la carica di regio pittore di “paesag-gi e boscarecce” ma, pur su unimpianto paterno, cercherà di distin-guersi ricercando valori più vicini alreale: residenze reali, villaggi, e sitidi proprietà del Regno di Sardegna.Il suo interesse documentario, con-dotto a diretto contatto col paesag-

gio, sarà la sua primaria virtù.Le sue opere come (10) Veduta del

Castello e città di Moncalieri dallaparte del ponte sul Po, stupisce per lafedeltà riproduttiva tipica dei vedutistima, riuscirà a spezzare l’austerità delcastello e del suo borgo con i suoi preci-si profili, per merito di quella deliziosascena di vita quotidiana intenta a svol-gersi in primo piano, fornendoci altresìnote interessanti sull’abbigliamento esul gusto estetico dei moncalieresi difine Settecento.

La natura, con i suoi alberi sulle rivedel Po, è descritta con perizia, retaggiodello stile paterno, e la scala cromaticadivien suadente in funzione della gestio-ne dei toni rosati trasmessi dalle morbi-

de nubi nel cielo.Simili opere, rien-

trarono in quella produ-zione esplicitamentecreata per dar smaltoalle Delizie Reali edalle residenze sabaudenonché alle “situazionibellissime”, ovveroquelle vedute atte a dif-fondere l’immagine diuna splendida corte edei suoi territori.

La sua vasta produ-zione, compiutasi tra lafine del Settecento e gliinizi dell’Ottocento,mostra l’immagine diambienti e luoghi adoggi ormai perduti, di

un Piemonte che, per suo merito edattraverso il racconto di viaggiatori edavventurosi esploratori, consentì la pub-blicazione delle prime guide, divenendometa anch’essa del Grand Tour.

L’influenza di César Van Loo(Parigi, 1743/1821)

Figlio ed allievo del pittore Charles-André van Loo, fu un apprezzato pittoredi paesaggi assurgendo alla nomina diAccademico di Francia il 30 ottobre1784, titolo con cui partecipò al Salon deParis dal 1784 al 1817.

Dal 1791 al 1794 dimorò a Torinolavorando per la corte.

Influenzò i migliori paesaggisti pie-montesi in virtù della sua attenta ricercasulla natura dei luoghi, l’abilità nel

cogliere i momenti atmosferici nelcontesto dello sviluppo prospetticodel reale e dei conseguenti effettiluminosi. Atmosfere in cui si potràcogliere un respiro preromantico eche saranno di lezione ai massimiinterpreti del paesaggio piemontesedi inizio secolo. In (11) Vue de lacampagne italienne, vi sono echi divedutisti veneziani.

Penso al Bellotto (12) di quandosull’Adda dipinse, nel 1744, la VillaMelzi e la bella campagna bergama-

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In questa pag.:9. Paesaggio campestre con caccia al cervo. Vittorio Amedeo Cignaroli. Olio su tavola, cm 45x60. Collezione privata.11. Vue de campagne italienne animée de lavandières, 1800. César Van Loo. Olio su tela, cm 76x99. The Met Fifth Avenue in Gallery 619.

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sca quale cornice naturale.Nel veneziano vi furo-

no omaggi alla bonne viedell’aristocrazia locale, siveda il gruppetto di perso-naggi sulla destra in primopiano ed al contempo undoveroso omaggio al beldoucer de vivre descrittoda Watteau nei suoiImbarchi.

In Van Loo, vi è inveceuna descrizione pacata,lirica, sospesa; le donnevicino alla fontana, conquelle vesti alla greca, parvengano da mondi antichi,conferendo così al dipintouna sorta di inventiva paesaggistica, dicerto costruita per il gusto di una com-mittenza in vena di fantasie e di visioniinsolite, atte a dar smalto e decoro aisaloni delle ville di delizia.

Di certo, in quel respiro spaziale resoancor più d’effetto per merito di una pre-cisa ed elegante prospettiva, vi sonotutte quelle basi e quei suggerimenti che,i nuovi astri della pittura di paesaggio,non avrebbero sottovalutato.

Luigi Baldassarre Reviglio (Documentato a Torino tra il 1809 e il

1835)Vi è incertezza sui dati storico-bio-

grafici del Reviglio ma, par indubbia etrasparente la profondità del legame alleesperienze torinesi dell’ultimo decennio

el Settecento, (13) dato da uno sguardoteso a cogliere il dato atmosferico non-ché la tecnica raffinata alla Van Loo, inopere dove la platealità prospettica, ilrespiro ed il taglio topografico citanol’influenza bagettiana.

I rapporti con la manifattura diSèvres, circa l’invio di vedute delle resi-denze imperiali di Torino per il loroimpiego quale modello decorativo delleporcellane, apre la possibilità di pensarequanto fossero assidue le sue frequenta-zioni nell’ambito dell’entourage filo-francese torinese.

Questi gli anni delle Vedute delMoncenisio, dove le caratteristiche stili-stiche citate in apertura, danno evidentesfoggio virtuale.

Di grande effetto que-sta veduta (14), in cui vi siapprezza il vellutato valo-re cromatico delle verdialture che, via via, accom-pagnano verso il ruvidoredelle rocciute vette, stu-diate nelle loro rugosità infunzione di un gioco chia-roscurale di indubbio spes-sore.

Il grande respiro del-l’opera vien caratterizzatoda un’altezza di pensiero edi stile in cui l’assuntosospinge verso l’acquisi-zione di una natura disuperiore bellezza.

Traspare l’indagine topograficabagettiana ma, nella rimeditazione di unconcetto dove la poetica del reale assu-me aspetti mistici, e la lontananza risve-glia quel sentimento dato dalle realtàintangibili, inavvicinabili, quasi velatedi un’oniricità dagli aspetti romantici.

Par di sentire la musica di un silenzioriservato solo a certi spazi naturali;melodie soffuse che solo a contatto colreale possono esser colte e trasmessecon talento pittorico, nel sussultio del-l’atto creativo.

Reviglio e Friedrich empatie romantiche

Quando citiamo le possibili empatiecon il romanticismo - rammentiamo iprimi vagiti dell’arte romantica, evoluta-si verso la fine del XVIII secolo e gli

In questa pag.:14. Veduta del Moncenisio, 1810 ca. Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su carta applicata su cartone, cm 49,3x68,9.GAM, Torino.12. Vaprio d'Adda, 1744. Bernardo Bellotto. Olio su tela, cm 64x100. MOMA, New York.15. Paesaggio montano, 1805/1809 ca. (vista da Warmbrunn al Kleine Sturmhaube). Caspar David Friedrich. Olio su tela, cm 45x58. Museo Puškin, Mosca.

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inizi del XIX in Germania eprincipalmente in pittura - ilnostro pensiero corre rapido esenza indugi alle influenzeassorbite da uno dei trattiessenziali che ne connotano lacorrente, ovvero il rapportouomo-natura, dove la naturavien letta come l’espressionedel divino in terra, l’immanenzadell’assoluto nel mondo sensi-bile, di cui l’uomo non è cheuna caduca manifestazione.

La natura, con la sua bel-lezza, fa scaturire nell’uomosentimenti contrastanti ingrado di emozionarlo e tender-lo (le realtà intangibili, inavvi-cinabili) quanto di rasserenarlo (la musi-ca di un silenzio riservato solo a certispazi naturali).

Innegabile il sopraggiungere di unsenso di inquietudine, da me espressopoc’anzi quale sentimento (sussultiodell’atto creativo), ma è pur vero chesolo provando certe sensazioni è possi-bile cogliere qualsiasi forma di bellezza,realizzando quel concetto di sublimeteorizzato da Edmund Burke.

L’arte più vicina a Reviglio è da con-siderarsi l’opera del più grande esponen-te della pittura romantica in Germania,Caspar David Friedrich.

Il suo paesaggio prese le distanzedalla vena stilistica diConstable. (15) La sua naturaapparirà in tutta la sconfina-tezza, quasi a voler dareespressione al senso d’impo-tenza dell’uomo di fronte adun naturale dalla manifesta-zione infinita.

Non a caso l’uomo punteg-gerà le sue opere venendoessenzialmente rappresentatodi spalle od in lontananza taleche non lo si possa quasi rico-noscere.

Un’altra virtù, riabilitatadal pensiero romantico diFriedrich, sarà il Ruderismo e

la Spiritualità, dove le luci diffuse fra ipinnacoli montagnosi o filtranti fra ilacerti antichi, potranno assumere aspet-ti riconducibili sia ad un’alba quanto allaluce di Dio, che, verosimilmente, quivicoincidono.

Il lillipuziano viandante, in primopiano, nell’opera di Reviglio, tanto cirammenta il romanticismo di Friedrich,con il punteggio delle assolte presenzeumane: ricorderemo il Monaco in riva almare, 1808/1810 od ancora i fratini deAbbazia nel querceto, 1809/1810.

Ma ancor più le infinite visioni sullesue montagne, prime attrici di un pae-saggio dall’atmosfera malinconica, resoin virtù di un magistrale abbinamento di

vicinanza e lontananza, ruoloessenziale concesso al vuotoed all’infinito.

Chiare quindi le intenzionidei nostri due maestri, ovverola loro ricerca evolutiva dellaconcezione classica di paesag-gio, inteso come scenarioimmenso e bello da vedere,aggiungendovi il sentimentodel sublime, una riunione inti-mistica e spirituale attraversola contemplazione della natura.

Differentemente daReviglio, Friedrich non dipinseall’aperto, ma nel chiuso delsuo studio, attingendo le visio-ni dal ricordo e dall’immagina-

zione. Una delle sue massime fu:Il pittore non dovrebbe dipingere

solo ciò che vede davanti a sé, ma ancheciò che vede dentro di sé. Se dentro di sénon vede nulla, allora eviti anche didipingere ciò che vede davanti a sé.

Ma mettiamo a confronto le dueopere (14-15), lasciando che sia il nostroocchio a percepirne lo spessore. (16) Leaspre e rugose vette del Moncenisio,lasciano il campo al ghiacciaio cheriverbera del suo candore a contatto del-l’azzurrità di una tersa giornata primave-rile.

Eccelsa la fusione dei piani, data dalgraduale tono cromatico che assolve

l’empatia fra il verdemuschioso e l’azzurrino dellegelate mattutine.

Magico il suo saper coglie-re l’incanto del naturale, quireso al massimo delle sue pos-sibilità, fruttandogli le simpa-tie e gli apprezzamenti inambito filo-napoleonico.

Con l’avvento della restau-razione la sua carriera nonebbe indugi, partecipandoall’importante mostra del1820 tenutasi pressol’Università, e operando suincarico del sovrano su vedutedal vero.

In questa pag.:19. Rovine dell'Anfiteatro di Aosta, 1829. Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su carta, cm 19,3x24,5. Biblioteca Reale, Torino.20. Le rovine di Eldena, 1825. Caspar David Friedrich. Penna d'oca, inchiostro cinese e acquerello, cm 18x23.Museum Georg Schäfer, Schweinfurt.

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Poetiche queste due visioni (17-18)di fantasia, anche se riconducibili adaspetti bucolici fluviali e collinari tipicidel Piemonte.

L’uso eccelso della tempera gli con-sentirà una stesura vellutata anche sep-pur a contatto col ruvidore della tela, edil donarci una sequela di tocchi in puntadi pennello nel comporre l’aspetto carat-teriale di ogni albero, dando importanzaal cangiar della luce fra le fronde e lefoglie nel privilegio dell’effetto prospet-tico.

Le evanescenze, ad illeggiadrire ipassaggi fra i piani, evidenziano la gran-de conoscenza della pittura ad acquaavvicinandolo per squisitezza a Cozensed a Girtin.

(19) Una delle sue interpretazioni delRuinismo romantico, dove nulla nega alpaesaggio di agire e prender forma eluce diffusa nel dar risalto alle case diAosta, messe in risalto dalla corona dellemontagne innevate.

In primo piano due viandanti, dicerto viaggiatori incantati, in Italia aseguito del Grand Tour, immersi in quelconcetto atmosferiale che fu la preroga-tiva dell’arte di Reviglio.

Mi piacerà nuovamente proporre unparallelo (19-20) simbiotico conFriedrich, in cui l’attrazione dell’anticovien indagata sia nel dettaglio che nellaricchezza stilistica, dando adito e risaltoa quell’espressione che va oltre il talen-to pittorico per raggiungere quelle vettedi cultura e di conoscenzastorica, ar chi tettonica ed intel-lettuale, patrimonio naturaledi artisti del loro livello.

Nel 1823, il Biscarra,primo pittore di S. M. CarloFelice, Capo e Maestro dellescuole di pittura e di disegnononché Direttore dell’Accade -mia del nudo” (Biscarra,1873, p. 19), lo propose comesocio onorario dell’Accade -mia, solo due anni prima d’es-sere nominato regio pittore.

Vi fu inoltre la stretta fre-

quentazione con altri paesaggisti pie-montesi, come D. Revelli, G. Ripa diMeana e G. B. De Gubernatis, con ilquale soggiornò a Parigi, partecipando alSalon del 1827.

Intorno al quarto decennio si perdonole sue tracce, anche se le sue opere pro-seguiranno in una narrazione rimeditan-te la pittura fiamminga, come nella suadedizione al dato naturale vi si potrannorilevare influenze bagettiane. (21)Pittoresca questa veduta del Ponte diCastiglione, ed attenta a cogliere sia ildato del naturale che del quotidiano.

Vi è, in questa piccola tempera, unassieme di aspetti a dar rilievo allo spes-sore compositivo dove, il paesaggista,vien sovente tratto in inganno per quelproporre una visione ampia e ricca di

ridondanti particolari.Non è il caso di Reviglio che, fruen-

do di una sapiente prospettiva apre sullavista di più ponti facendoci apprezzarel’evanescenza scenica delle montagne,omaggia il paesaggio piemontese, fra ilbucolico: il pastore con il suo gregge, edil turistico: la diligenza che transita sulponte ai tempi trasportava i viaggiatori,quasi tutti stranieri, in visita in Italia peril Grand Tour.

Felice Maria Ferdinando Storelli(Torino, 1778 – Parigi, 1854)

Allievo in Torino, verso la fine delSettecento del Palmieri, entrò da subitoin contatto, fin dal 1800, con l’ambienteartistico culturale parigino, partecipandofra il 1806 ed il 1850 ai Salon con vedu-te e paesaggi.

Forte peso nella sua formazioneebbero le opere di César Van Loo, per lemistiche atmosfere venate di effetti pre-romantici, ed il respiro vedutistico deipaesaggi di Bagetti.

In gioventù fu amico e compagno dilavoro di Cesare della Chiesa diBenevello e di Massimo d’Azeglio.Figlio di uno scultore ligneo, nel 1796,nell’ambito del censimento annuo risul-tò professionalmente registrato come“disegnatore” a soli 17 anni.

Dopo la prima formazione colPalmieri, dal 1800 risiedette a Parigi edal 1806 iniziò ad esporre al Salon, pre-sentando paesaggi e vedute venate difantasia ma con riferimenti a località

piemontesi e savoiarde, otte-nendo con opere ad olio e adacquerello favore di pubblicoe di critica al Salon del 1824.

Divenne pittore di paesag-gio della duchessa MariaCarolina de Berry (1816) otte-nendo prestigiose commissio-ni e, nel 1827, venne insignitodella Legion d’Onore ma, purstabilmente a Parigi, mantennesaldi i legami con Torino,affermandosi fra gli artisti dispicco della pittura di paesag-gio in Piemonte.

In questa pag.:In alto: Felice Maria Ferdinando Storelli. A. Legrand (da Guet). Litografia, cm 17,1x22,7, s.d. Archivio Storico della Città, Torino.In basso: 25. Paesaggio con rovine, 1765/1770 ca. Pietro Giacomo Palmieri. Acquerello, cm 32,5x46.Collezione privata.

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Sempre il Biscarra loaccoglierà fra i soci onoraridell’Accademia delle BelleArti di Torino, oltre ad esse-re nominato, già dal 1817,membro d’onore delleAccademie di Parma.

Nelle due vedute delCastello di Lorenzetto, tra-spare, non poco evidente,l’influenza della formazioneavvenuta nell’atelier diPietro Giacomo Palmieri(25), ed in particolare per lapresenza costante di aspettirocciosi, sovente inseriti nel-l’ambito compositivo in funzione di dia-gonale a condurre l’enfasi paesaggistica.

Non potremo infatti omettere quantoil suo maestro, una volta in Parma versola fine degli anni sessanta, ed inseritosinell’ambiente filo-francese dell’Accade -mia, si mise in risalto realizzando temipittoreschi i cui soggetti mirarono adambienti rocciosi con cascate, gole frapareti rocciose e stretti e tortuosi recessi,rovine, in visioni già in sapore di “subli-me” rimeditando sulla stilistica di CarleVernet, pur senza trascurare l’energicoinflusso di Salvator Rosa.

Lo Storelli quindi assorbì tutte questenozioni, e le fece sue virando verso scel-te romantiche, arrivando a simpatizzareanch’esso col gusto allemanno diFriedrich, pur mai senza sci-volare nel topografico enella traduzione, seppurcolta dal vero, senza perfe-zionismi ne ricercatezzaesasperate.

Le sue vedute, a primoacchito, offrono una letturaprecisa ma, a ben osservare,vi appaiono già certe solu-zioni più morbide, dove leforme pur aspre delle roccevengon risolte con eleganzae delicatezza.

Grande acquerellista,gioca sui toni con sapientegradevolezza, ottenendo

sfumati ed aspetti di evanescenza poeti-ci: si noti ne la (24) Veduta del castellodi Lorenzetto a Castagneto, l’orizzontepunteggiato da tre castelli turriti, ed ilsaggio uso prospettico nel far sì cheognuno appaia con la giusta distanzadall’altro.

Ed ancora la resa diffusa della lumi-nosità, ad imbibire il castello e le suecasette d’attorno: da notarsi la maliziadell’arco di congiunzione fra case ecastello e la magica luce che vi filtra.

Seguiamo i viandanti mentre salgonoal castello, e cogliamo la bellezza esecu-tiva dei fronzuti alberi e quella luceradente che, simile ad una carezza, lam-bisce il sentiero e scalda il viaggiatore.

In ultimo quel plastico volo d’uccel-

li, omaggio ai migratori diVittorio Amedeo Cignaroli.

Come per la (23) Vedutadel castello di Lorenzetto aCastagneto visto da est,dove vi è il valore aggiuntodell’acqua, con quella resacromatica madreperlacea chesolo un grande acquerellistariesce ad ottenere.

Le rocce delle spondeche, come già dissi, ciappaiono non aspre ma bensìdi morbida forma, par s’im-bevano nell’acqua fluviale,conferendo valori lirici ad un

primo piano che è solo l’ouverture diuna composizione saldamente gestita,dove nulla è dato al caso e tutto si faapprezzare.

L’attimo di riposo contadino all’om-bra dell’antico faggio, la diagonalità delsentiero che ci porta in modo gradualead apprezzare il disegno del castello edelle sue sparse costruzioni e, una voltain cima, apprezzare l’altra sponda chelentamente svanisce fra il punteggiodegli alberi, fra i quali s’intravedonoalcune casette contadine.

Atmosfere si sospese, forse anchecon un briciolo d’invenzione, ma chenarrano di una fantasia romantica ed unamaestria pittorica di indubbio spessoreintellettuale.

Queste opere gli consen-tiranno una certa fama, alpunto da divenir richiamocopista da parte di molti gio-vani artisti in erba dell’epo-ca.

Anche in questa vedutadel (26) Castello delValentino, di ampio respiro edi suggestione prospettica,lo Storelli ci stupisce per laresa dell’acqua, magistralenel suo lento ondeggiare,come per i riflessi dati da uncielo aureo e marezzatod’azzurro.

Il castello diviene quasi

In questa pag.:23. Veduta del castello di Lorenzetto a Castagneto, 1803. Felice Maria Ferdinando Storelli. Acquerello su carta, cm 54x79. Musée Marmottan, Paris.

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secondario, son certo che fu il fattorepaesaggistico ad ottenere il ruolo diprimo attore; lo vediamo, infatti, comel’edulcorio dato dal punteggiare deglialberi sulle sponde, in particolare lavetusta quercia in primo piano sulladestra, omaggiata nello splendore dellasua corteccia e della sua fronzuta veste,e quel loro digradare seguendo il percor-so fluviale accompagnandoci all’intuitoponte disegnato all’orizzonte, sia parteessenziale della veduta.

Solo seguendo il dipanarsi di questidettagli naturali potremo apprezzare,liberando lo sguardo, il profilo delleguglie, dei campanili e dei tetti dellaTorino dei primi dell’Ottocento.

La presenza umana è sempre e soloun dettaglio, ma è gustosa la scena deitorinesi in attesa del barchino traghetto.

Con la salita al trono di Carlo Albertosi avvicinerà alla corte sabauda e perl’album del sovrano eseguirà, nel 1834,un acquerello della (27) Sacra di SanMichele, esposto nello stesso anno inBrera.

Son passati più di trent’anni dallevedute dei castelli ed ora, innanzi a que-sto acquerello, non possiamo che rima-nere affascinati dalla modernità assuntanella sua esecuzione.

Tutto è ormai romantico ma unromantico curato, eseguito con ricerca-tezza, con passione, con trasporto:indubbia l’importanza della commissio-ne.

Il gioco della diagonalequesta volta agisce sul natu-rale, non viene enfatizzatoper ragioni prospettiche,seguendo i visitatori siammira lo scenario cheancor oggi si veste di pri-mordialità: le acute rocceavvolte nei macchionispontanei dei rovi e deiviburni antichi a lambire, omeglio a sostenere il com-plesso architettonicodell’Abbazia di SanMichele della Chiusa,

comunemente chiamato Sacra di SanMichele che, più che un’aura di spiritua-lità, mostra un carattere difensivo, simi-le ad un forte arroccato sulla vetta delmonte Pirchiriano, all’imbocco della Valdi Susa.

Il cielo assume un aspetto essenzialenello sviluppo atmosferiale del dipinto,rammentandoci la lezione olandese diRuisdael, con quelle nubi che giocanoanch’esse in diagonalità per un migliorassieme dell’assunto finale.

Ma, di un’altra cosa son certo, ovve-ro sulla conoscenza dei nostri maestripiemontesi sulla stilistica dell’acquerel-lo inglese.

La diffusione sia in versione di stam-pa che in mostra presso i galleristi ocome oggetto da collezione antiquaria alivello europeo, ormai da tempo termi-nata la chiusura culturale d’epoca napo-leonica, divenne un dato di fatto e, lasete di aggiornamento e la ricerca evolu-

tiva in atto da parte dei pittori, special-mente acquerellisti, non poté che crea-re contatti e simpatie nei confronti deicolleghi d’oltralpe.

Ecco quindi che non mi pongo il pro-blema di mostrare una certa influenzaanche da parte di un acquerellista difama, ai più meno noto, John Varley, unodei sedici fondatori della O.W.S. nel1804, artista importante e prolifico,dallo stile elegante e di gradimento pub-blico. (28) Si notino i cieli e la condu-zione del momento atmosferico, ove sipercepisce l’influenza di Thomas Girtined in tutta una stilistica che lo contraddi-stinse per le smaglianti tinte, accentuatedall’uso della gomma arabica, sistemautilizzato anche dai nostri acquerellisti e,decisamente in empatia con Storelli, lastilizzazione dei contorni.

Lo straordinario senso dell’osserva-zione e l’insito talento per l’equilibriocompositivo, la stesura uniforme in lar-ghe macchie di colore, lo accomunano alnostro ed il parallelo (27-28) ne sanciràil significato.

Lo Storelli presenziò, nel 1838,all’Esposizione di Arte e Industria alValentino di Torino con cinque vedute.Riconoscimenti e commissioni gli ven-nero dalla famiglia reale di Franciacome dalla corte sabauda. Partecipò allemostre annuali della Promotrice torinesetra il 1842 ed il 1849.

In Francia si mantenne distante dallenuove correnti pittoriche rivoluzionarie,

come da quelle celebrativedel secondo Impero, restan-do ancorato alla sua stilisti-ca che, comunque, si man-tenne a livelli di grandeapprezzamento, in specienegli ambienti nostalgicidistanti dalle ormai libereinterpretazioni del concettodi pittura di paesaggio.

Storelli crea, con questoolio (29) dedicatoall’Abbazia di Hautecombe,un’opera in cui riesce a rac-chiudere un assieme natura-

In questa pag.:28. Bamborough Castle from the Northeast, with Holy Island in the Distance, Northumberland, John Varley, 1827.Acquerello su matita ed aggiunte di gomma arabica e abrasioni. Particolare. Collezione privata.29. Veduta di Hautecombe dal lago, 1826. Felice Maria Ferdinando Storelli.Olio su tela, cm 50x74. Castello di Agliè, Torino.

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le intenso ed al contempo riposante.La cromia stessa del Lago del

Bourget, con quella tonalità che dal timi-do azzurrino vira delicatamente nelverde riflesso dalle macchie spontaneeabbarbicate sulla roccia e dalle morbideforme della montagna alle spalle, varie-gato ed interrotto solo dalle calde rifles-sioni degli edifici dell’Abbazia, cita erammenta antichi ricordi delle sue origi-ni, risalenti al XII secolo, dove monacibenedettini si insediarono in un vallonechiamato Alto-Combe nella montagnaCessens, per poi ricongiungersi ai cister-censi muovendosi sui bordi del lago conl’a u silio della famiglia Savoia, divenen-do nei secoli luogo di sepoltura e mau-

soleo storico dei membri di CasaSavoia.

Si noti la cura del disegnoarchitettonico, evidenziandone lefiligranate vetrate absidali, il respi-ro della tepida tonalità diffusa pertutto il profilo dell’Abbazia, la dif-fusa luminosità che, d’incanto, cimostra fra le fronde degli alberidettagli ed angoli pittoreschi.

Incanto del Lago…fra poesia, pittura e romanzo

L’opera dello Storelli esprime etrasmette un alone poetico in cuipossiamo percepire l’intensità del

costante respiro del naturale ed al con-tempo un invito al lirismo ed alla con-templazione.

Nella sua bellezza atavica vi si spec-chiano le arti tutte, ed ancor oggi la sug-gestiva sua distesa acquea è da conside-rarsi la punta di diamante della poesiaromantica.

Comprendiamo quindi il perché, ilLago del Bourget, sia stato musa delpoeta Alphonse de Lamartine, che a luis’ispirò per la famosa poesia romantica“Le lac”, all’interno della raccolta “Lemeditazioni poetiche”; poema dedicatoalla storia d’amore che ebbe nel 1816-1817 con Julie Charles, una donna spo-sata che soffriva di una malattia incura-

bile.Il poeta torna da solo per vedere i

luoghi che una volta visitò con lei. In unestratto dalla poesia si potranno rilevarele affinità fra pensiero poetico e visionepittorica, quasi i due ne avessero tratto lemedesime emozioni.

Possa essere nel tuo riposo, possaessere nelle tue tempeste,

Bellissimo lago, e nell’aspetto delle tueridenti pendici,

E in quegli abeti neri, e in quelle rocceselvagge che pendono sulle tue acque.

Lascia che sia nello zefiro che rabbri-vidisce e passa, nei suoni dei tuoi bordidai tuoi bordi ripetuti,

nella stella con la fronte d’argento chesbianca la tua superficie con la sua lucesoffusa.

Che il vento gemiti, la canna che sospi-ra, lascia che i profumi della luce della tuafragranza dell’aria,

Tutto ciò che sentiamo, vediamo orespiriamo, tutti dicono: hanno amato!

(Alphonse de Lamartine - Meditazionipoetiche)

Furono anni questi, ovvero dalla finedegli anni venti agli anni quarantadell’Ottocento, in cui la cultura, in tutte

In questa pag.:In alto a destra: ritratto di Giovanni Battista De Gubernatis, 1830 ca. Anonimo. Olio su tela, cm52,5x64,5. GAM, Torino.30. Illustrazione tratta da "I promessi sposi" dell'Addio Monti (capitolo 8) Edizione del 1840. FrancescoGonin.31. Vue d'Haute Combe prise du milieu du lac, in “Souvenirs Pittoresques de Hautecombe”. FrancescoGonin. Litografia, cm 27,5x36. Biblioteca Reale, Torino.

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le sue vene, attinse dalla natura lacustrel’essenzialità della sua suggestivaespressione, al punto da rimanerne infa-tuata e di conseguenza valorizzarne isuoi eterogenei aspetti, consentendoglidi godere di una fama esclusiva.

Uno dei meriti lo si dovette alla gran-de fortuna della prima edizione deiPromessi Sposi, pubblicata in prima ver-sione nel 1827 ed in definitiva nel 1840,un’opera che abbisognò di un laboriosoparto, in specie dal punto di vista illu-strativo.

Ogni qualvolta mi trovo a dover nar-rare di un’opera dedicata ad un lago edalle sue bellezze architettoniche, vengorapito da un pensiero che mi porta adover rivivere opere di simile argomen-to; in questo caso, appellandomi alManzoni ed al pittore ed incisore sceltoper illustrare i suoi “Promessi sposi”,Francesco Gonin, (30) mi approprio diun’illustrazione per un ennesimo paral-lelo con il nostro Storelli, (29-30) certoin una simbiosi di indubbio spessorequalitativo.

Nell’attività litografica del Gonin(31) vi furono importanti interventi,come la partecipazione all’opera diModesto Paroletti “Viaggio romantico-pittorico nelle provincie occidentali del-l’antica e moderna Italia”, partendo perl’Abbazia di Altacomba nel 1826 e finoal 1827 eseguire nella chie-sa un ciclo di affreschi ediverse litografie.

Il paesaggio reale eromantico dello Storellilasciò spazio, dal 1848, ainuovi avventurieri dellapittura, ovvero i Barbison -niers, i quali crearono unanuova corrente paesaggistadel realismo, aprendo lastrada ad artisti qualiMonet e Renoir che, nel1865, giunsero a Barbizonin cerca di ispirazione.

Giovanni Battista De Gubernatis (Torino, 1774 – Parigi, 1837)

I suoi inizi sembrarono ben distantidal campo artistico, (32) si laureò infattiin giurisprudenza, iniziando una velocecarriera in campo burocratico ma la pas-sione per la pittura, sottesa nell’ambitodei primi studi, riemerse feroce pla-smando una personalità spiccatamenteraffinata e colta ed aperta ad ogni possi-bile esperienza culturale.

Nella sua formazione pittorica giova-nile si evidenziano i rapporti colPalmieri ed il Bagetti ma, ed al contem-po, il suo aggiornarsi sulle attività degliacquerellisti inglesi, ed in particolarecon lo stile di Alexander Cozens (1717-1786), già autore di un manuale tecnicosulla pittura di paesaggio.

Vi furono infatti forti empatie fra idue: il disegno elegante, l’uso della sep-pia e dell’inchiostro per abbozzare dise-

gni di immaginazione da trasferire in unsecondo tempo in pittura, la celebre tec-nica detta a ‘macchia’, ed il fascino diessere un pittore sperimentale, un pio-niere che sviluppò metodi che non ebbe-ro immediata comprensione e dovetteroattendere, per essere realizzati, il XXsecolo.

(33) Per un esempio si noti questodipinto in cui Cozens ci mostra un pae-saggio illuminato da un sole che rompele nuvole, creando una raggiera a venta-glio in un insolito trattamento di luce nelcontesto di una sofisticata composizio-ne.

Ma De Gubernatis, seppur affascina-to dall’estro pionieristico ed inventivo diCozens, non potè sottovalutare la forzaespressiva degli effetti elaborati dallaricerca di un nome che già fece partedella nostra narrazione, César van Loo,che a sua volta, nell’ambito delle operecommissionategli sulle antiche vestigiadei castelli piemontesi, mise in atto, benquarantasei anni dopo, le medesime spe-rimentazioni sugli effetti della luce fil-trante.

Prova ne fu quel mirabile dipintodedicato a (34) Il Castello di Collegno,del 1793, in cui, cogliendo gli ultimiraggi erompenti dalla massa nuvolosaincombente sul castello, premonitrice diun imminente temporale, mostrò lo spes-

sore della sua indaginesugli effetti atmosferici,gestendo il respiro dell’in-tera composizione per tra-mite di una soffusioneluministica di indubbiopathos romantico, dove visi coglie, palpabilmente, lapotenza drammatica dell’e-vento, e quella sorta di ten-sione passionale insita nel-l’artista romantico che,prima ancor di suggestio-narsi per il reale, ricerca inse stesso le sensazioni, imotivi, gli impulsi, le ansieed ancora tutti quei sinto-

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In questa pag.:33. Paesaggio con sole che si rompe dalle nuvole, 1746. Alexander Cozens.Penna e inchiostro nero, con lavaggio grigio e acquerello su carta, cm 21x28,2. The British Museum, Londra. Per gentile concessione di © Trustees of the British Museum.35. Sacra di San Michele, 1804. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 14,5x19. GAM, Torino.

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mi partecipativi ed essenzia-li per l’espletamento dell’o-pera.

Giusto sarà ora mettere aconfronto le opere (33-34-35), onde trarne quel benefi-cio visivo che vien a suggel-lo del giovamento ottenutoall’atto dell’indagine simbio-tica fra i tre maestri.

1746, 1793, 1804, non èpochezza un arco temporaledi cinquantanove anni daiprimi esperimenti, ma questonobilita e rafforza quellacostante certezza del potere propedeuti-co dell’arte, del suo nascere quasi incon-sciamente per voluttà di un pensierointellettuale ed illuminista, accattivandointeressi nel corso degli anni rafforzan-dosi ed arricchendosi al punto di giunge-re ad influenzare il trentenne DeGubernatis che, nel 1804, realizzerà lasua (35) Sacra di San Michele, omag-giando la stilistica sperimentale diCozens e di Van Loo.

I viaggi fuori dal Piemonte e gli inca-richi ricoperti nell’amministrazionenapoleonica, stimoleranno la sua forma-zione culturale, prima in Parigi parteci-pando ai Salon poi a Parma e poi adOrange, ed in quei luoghi mostrerà l’in-fatuazione per i lacerti architettonici dietà medioevale.

L’approfondimento di simili vestigia,presenteranno una diversa inclinazione,versata non più alla sete diricerca nei confronti del pit-toresco, bensì un novellosguardo, dove l’occhio spa-zierà indagando sulla sim-metria strutturale in un’ope-razione in cui, le ombre,assumeranno un ruoloessenziale per la definizio-ne chiaroscurale dello spa-zio.

Nel (36) Ponte e acque-dotto di Gand, il taglio dia-gonale della monumentalitàarchitettonica del monu-mento, risulterà la più sag-

gia impostazione nel dar rilievo e spes-sore all’ambientazione naturale.

Il suo occhio, rapito dal fascino del-l’atmosfera dall’atavico respiro, osser-verà, rapinando, l’eleganza del triplodisporsi degli archi, negando la sottova-lutazione anche del più mero elemen-to… è l’iride dello studioso affascinato.

L’opera diverrà, così’ concepita, unaveduta scenografica, dove tutto verràespresso dando valore e spessore allasua propria caratterialità e, non ultimo,omaggerà il Palmieri, punteggiando ilprimo piano con quella macchietta tipicadei suoi assunti ed ancora, si notino lerocce, nonché la stilistica costruttiva deifronzuti alberi.

Conservando una struttura di estremarigorosità compositiva, seppur ripreso difacciata, riuscirà nell’opera (37) Teatroromano a Orange, ad innescare quel

gioco, da definirsi maliziosoed il cui fine, giustificandonei mezzi, darà risalto al suotalento realizzativo.

Lo studio cadenzato edappropriato delle ombre, incontrasto alla nitida solaritàdel Teatro, diverrà determi-nante.

Si noti, in primo piano, lapresenza della figura del pit-tore, di certo un suo autori-trarsi, in richiamo ad unamoda corrente nell’ambientedella pittura di paesaggio.

Spicca la piccola sagoma dell’artistain funzione di una luminosità che, dalcandido pantalone alla tavola fra le suemani, seduto su un bluastro mantello,con tanto di cilindretto sul capo, trova unsuo intimo spazio fra le ombrose e mor-bide forme della collina a ridosso delTeatro.

Mai mancherà la roccia che, nel darsostegno al piano, aprirà sulla vista dellecase addossate al Teatro, simili ad unacolonia di funghi, cresciuta per darsostegno all’antico edificio.

La cromia, solare al punto da divenirquasi monocromatica, troverà la suadistinzione appunto in funzione delleombre fra le case che ne disegneranno leforme in un assieme curato e dall’effettospiccatamente geometrico.

Le caratteristiche di queste opere,costruite sulle basi di una scientificità

compositiva, di sentiti valo-ri atmosferiali, di cono-scenza stilistica e di parte-cipazione intellettuale,resteranno fra i suoi capola-vori del periodo francese.

Ritornato in Piemonte,si dedicherà indagando estudiando gli antichi monu-menti medioevali, in perfet-to accordo intellettuale conil (38) Viaggio romanticopittorico del Paroletti, anti-cipando mirabilmente quel-l’indagine storico - criticasull’architettura medioeva-

In questa pag.:38. Antiporta (su disegno di Marco Nicolosino) in “Viaggio romantico pittorico”, M. Paroletti, 1824. Francesco Gonin. Litografia. Biblioteca Reale, Torino.39. Casa diroccata in stile gotico presso Avigliana, 1826. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta,cm 56x83. GAM, Torino.

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le, condotta nel secondo Ottocento dalD’Andrade. (39) L’indagare, quasi ilvivisezionare i dettagli, mostrando unacapacità realizzativa costruita su undisegno che non ammette incertezze,disponendosi ad accogliere l’acquerelloche ne edulcorerà la forma.

In questa casa diroccata e la stilisticacon la quale ci viene mostrata, vi è laquintessenza dell’immensa cultura insenso lato del De Gubernatis.

Non attrae solo la sua capacità di nar-rare gli stili, ma il come li illustra, edancora come ci invita ad entrare nell’o-pera, attratti dal barbaglìo luminoso infondo alla stradina che, oltrepassato l’ar-co, quasi ferisce l’occhio già colpito dalfascino della bifora inserita in quellacerto di una preziosa architettura deco-rativa.

La natura d’attorno, saggiamenteinserita in una mera forma partecipativa,edulcora gli antichi resti e lascia la partedel primo attore alle verzure, ed allepiante spontanee, cresciute fra le rugosi-tà dell’antico cotto. Case contadine sisono impossessate della preziosa anti-chità e, pur nella loro semplicità, parte-cipano alla composizione con dignità.

Due figurine conversano all’entratadell’arco, una par indichi la bellezza del-l’ambiente che li circonda; probabilesiano due viaggiatori o forse, ancormeglio, due artisti, magari un poeta edun pittore, compresi in una loro conver-sazione preludio di opere ancor da com-piere.

La carriera di funziona-rio pubblico non gli impedi-rà di continuare a dedicarsiagli studi ed alla pittura, chegli consentiranno di alter-narsi fra l’indagine storicaed architettonica (40-41) ele vedute di ampio respirolegate al puro paesaggio.(42) Una visione del pae-saggio la sua che mai esclu-derà la solita grande acutez-za descrittiva, negandol’importanza d’assieme diun ambiente naturale per

prenderne in visione segmenti di indub-bia suggestione.

Si noti, in quelle cime strapazzate dalvento, la plasticità dell’andamento e del-l’inclinazione delle fronde, indagate nelloro volume e nel dettaglio fogliare.

La natura d’attorno diverrà mera par-tecipazione, presentandosi quale mac-chia dall’ombrosa evanescenza per darrisalto al tocco della luce solare, chetanto ci ricorda quel suo colpire i sog-getti filtrando fra le nubi.

Vien così messo in risalto, la terzadimensione, ovvero l’azzurrità di uncielo che fascia di positività una naturadall’indubbio fascino romantico, dove il

fenomeno, ancor a venire, viene presagi-to dall’occhio, ma ancor prima dall’inti-mo sentire del pittore.

Stupisce, ed al contempo affascina, illeggere sul De Gubernatis l’attribuzioneconferitagli dalla critica dell’epoca con-servatasi fino a non molto tempo fa,ovvero la figura del pittore “Dilettante”.

Fu Parigi che gli diede la possibilitàdi approfittare di tutti gli stimoli dellagrande metropoli: i Salon, gli studi degliartisti, le dimore dei personaggi che unfunzionario del suo grado poté frequen-tare, i contatti con i mercanti d’arte.

Le sedute di studio al Louvre, ed ilDépôt de la Guerre, l’ufficio coordinato-re del lavoro delle Sezioni topografichedelle armate napoleoniche attive inEuropa, dove poté apprendere i concettilegati al culto dell’esattezza della visio-ne topografica, ambiente a cui fece capoanche il suo primo maestro, GiuseppePietro Bagetti.

Sarà appunto per merito di tutte que-ste acquisizioni che, una volta in Parma,nel 1806, accrescerà la sua potenzialitàpittorica, affidata fino a quel momentoesclusivamente alla cromia, dando pro-fondità alla visione, iniziando a realizza-re vedute dalle rigorose leggi prospetti-che e permeate da una raffinata lumino-sità.

L’atmosfera parmense, distintasiall’epoca per il suo grande respiro cultu-rale, diverrà culla e fucina di opere in cuivi eromperà un non so ché di familiare,

di quotidiano, insomma unasorta di momento felicedella vita, una vera testimo-nianza di spiccata simpatia.

Nel 1812, anno impor-tante e di svolta per la suacarriera, concluso il suosoggiorno in Parma, farà ilsuo esordio al Salon parigi-no, raggiungendo il verticemassimo dei suoi diuturnistudi e ricerche sulla resapittorica dell’acquerello,proponendo la mémoire delsuo (43) studio nella cittàemiliana.

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In questa pag.:40. Facciata di piccola chiesa gotica con lunetta dipinta sul portale (Parrocchiale di Salbertrand), 1805.Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 36,7x52. Galleria d'Arte Moderna, Torino.41. Facciata dell’Abbazia di Sant'Antonio di Ranverso presso Avigliana, 1798 ca. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 14,4x19. GAM, Torino

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Un documento di ecce-zionale valore, dove un“Dilettante di lusso”riprende l’ambiente del suoraccogliersi con sé stesso,lontano da obblighi ammi-nistrativi e burocratici,dedicandosi alla sua grandepassione, gli studi, il dise-gno e la pittura.

L’ambiente vien descrit-to minuziosamente, l’atmo-sfera è di grande respiroculturale, da cogliersi neidettagli che denotano delgrado di raffinatezza dellesue scelte a decoro dello studio.

La finestra che incrocia su una vedu-ta del centro storico parmense, la men-sola con tutto il necessario per procede-re alla pittura ad acqua: il bicchiere, laboîte de godet, i pennelli, i fogli. Sulladestra il tavolo da disegno con un caval-letto trasformabile, usato anche dagliincisori: sul piano un disegno-studiopreparatorio per una successiva versionead acquerello.

Alle pareti, simili ad arazzi, ma soloper dar contrasto e svilupparne l’operaesposta, serici velluti ad accogliere dise-gni a sanguigna già incorniciati.

Sulla sinistra un mobile, forse unbaule od una cassapanca, probabilearchivio di studi e ricerche. E poi laluce diffusa, magistralmente inter-pretata, a conferire all’ambiente queltocco, come prima accennavamo, divita pacata, di un intimo quotidiano,di una dedizione che non ammetteintrusioni, una solitudine non forza-ta ma agognata.

Fu altresì un omaggio al grandeFriedrich, che negli anni 1805 e1806 dedicò due opere al suo studioed anticipò d’Azeglio che nel 1827dipinse “Lo studio del Pittore aNapoli”.

De Gubernatis vivrà il suo tempoapportando una visione in cui vennea cambiare radicalmente il concettodi paesaggio, in quanto fra i primi ainstillarvi un sentore nuovo, ottenen-

do con l’uso dell’indagine prospettica laprofondità spaziale, assurgendo a valoridi grande suggestione.

Suggestione e sensibilità narranoanche di misticismo, ma si sa, in epocaromantica, parlarne diviene un luogocomune.

No, in lui, agiscono, erompendoall’unisono, i risultati dei suoi interessiper la fisica, che si permise di esporrenei discorsi tenuti nel 1802 e 1803 su“Gli effetti di luce e chiaroscuro”all’Accademia delle Scienze in Torino.

Si veda la sua Sacra di San Michele

e quei fasci dei raggi solarinell’attimo del tramonto adimbibire la campagna conle macchie e gli alberi e lesagome montagnose, inquel dissolversi nel conte-sto di una rara e magicaatmosfera.

Dai Cignaroli, in pienorespiro settecentesco, len-tamente la nostra narrazio-ne, innescando dialoghi suparalleli ed influenze alivello europeo, ha trovatoil suo punto d’arrivo inquel grande artista che fu

Giovanni Battista De Gubernatis. A luiquindi il compito di chiudere questaprima parte dedicata al Paesaggio pie-montese dell’800 ed ai suoi fattori evo-lutivi e distintivi.

Parlando della sua esperienza forma-tiva parigina chiamai nuovamente incausa il suo primo maestro, GiuseppePietro Bagetti, ed è a lui che dedicherò laseconda parte di questa mia impresa.

BibliografiaPIERGIORGIO DRAGONE (a cura di), Pittoridell’Ottocento in Piemonte. Arte e cultura figu-

rativa 1800-1830, Torino, UnicreditoItaliano Editore, 2002.AA.VV., Le Muse - Enciclopedia di tutte learti, Novara, De Agostini, 1965, Vol. III, p.288.ARABELLA CIFANI e FRANCO MONETTI, IPiaceri e le Grazie Collezionismo, pitturadi genere e di paesaggio fra Sei eSettecento in Piemonte, 2 voll., FondazioneAccorsi, 1993.ALBERTO COTTINO, La famiglia dei pittoriCignaroli, Firenze, Ramella e Co..VITTORIO NATALE (a cura di), AngeloCignaroli. Vedute del Regno di Sardegna,catalogo della mostra in Torino, Settembre2012 – Gennaio 2013, Museo Accorsi-Ometto, Silvana editoriale, Milano.EDMOND BURKE, Un’indagine filosoficasull’origine delle nostre idee di Sublime eBello (1756-1759), Editore Book onDemand, 1803. NORBERT WOLF, Caspar David Friedrich,Colonia, Taschen, 2003.GÉRALD BAUER, Il secolo d’orodell’Acquerello Inglese, 1750-1850,Bibliothèque de l’Image, 2001.

In questa pag.:42. Gruppo di cime d'alberi squassate dal vento sotto cielo temporalesco, 1822. ca. Giovanni Battista De Gubernatis. Olio su carta, cm 14,5x21. GAM, Torino.43. Studio del pittore a Parma, 1812. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 18,2x23,6.Galleria d'Arte Moderna, Torino.

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PAOLA LAVEZZARI (a cura di), AlexanderCozens (1785), A New Method of Assisting theInvention in Drawing Original Compositions ofLandscape, con una recensione del 1981 diMario Praz, Canova Editore, 1981.ALPHONSE DE LAMARTINE, MeditationsPoetiques, Theclassics.Us, 2013.MODESTO PAROLETTI, Viaggio romantico pitto-rico delle provincie occidentali dell’antica emoderna Italia, L’artistica Editrice, 1982.

Consultazioni enciclopedicheCIGNAROLI, “Dizionario BiograficoTreccani” di Franca Dalmasso - Dizionario bio-grafico degli italiani, vol. 25, (1981).Cignaroli Scipione “Dizionario BiograficoTreccani”, di Franca Dalmasso - DizionarioBiografico degli Italiani - Volume 25 (1981).Tavella Carlo Antonio “Enciclopedia ItalianaTreccani”, di Orlando Grosso (1937).Cignaroli Vittorio Amedeo Gaetano“Dizionario Biografico Treccani”, di FrancaDalmasso - Dizionario Biografico degli Italiani- Volume 25 (1981).

Elenco delle opere1 Vista di La Crescenza, 1648-1650. ClaudeLorrain. Olio su tela, cm 38,7x58. MOMA,New York.2 Panorama della Valle di Susa, 1735 ca.Particolare. Scipione Cignaroli.3 Panorama della Valle di Susa, 1735 ca.Scipione Cignaroli. Olio su tela, cm 91x120.Collezione privata.4 Panorama della Valle di Susa, 1735.Particolare. Scipione Cignaroli.5 Paesaggio con San Giovanni Battista, 1730ca. Olio su tela. Accademia Ligustica, Genova.6 Paesaggio fluviale. Scipione Cignaroli. Oliosu tavola. Castello di Agliè.7 Paesaggio con lavandaie, torrente e monaci,Marco Ricci. Olio su tela. Galleriedell’Accademia, Venezia.8 Paesaggio con caccia al cervo. VittorioAmedeo Cignaroli. Olio su tela, cm 79x105.Collezione privata.9 Paesaggio campestre con caccia al cervo.Vittorio Amedeo Cignaroli. Olio su tavola, cm45x60. Collezione privata.10 Veduta del Castello e città di Moncalieridalla parte del ponte sul Po. Angelo Cignaroli.Olio su tela, cm 46x66. Collezione privata.11 Vue de campagne italienne animée de lavan-dières, 1800. César Van Loo. Olio su tela, cm76x99. The Met Fifth Avenue in Gallery 619.12 Vaprio d’Adda, 1744. Bernardo Bellotto.Olio su tela, cm 64x100. MOMA, New York.13 Viandanti verso la Sacra di San Michele.Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su carton-cino, cm 10x20,4.

14 Veduta del Moncenisio, 1810 ca. LuigiBaldassarre Reviglio. Tempera su carta appli-cata su cartone, cm 49,3x68,9. GAM, Torino.15 Paesaggio montano, 1805/1809 ca. (vista daWarmbrunn al Kleine Sturmhaube). CasparDavid Friedrich. Olio su tela, cm 45x58.Museo Puškin, Mosca.16 Veduta del Moncenisio, 1810 ca. LuigiBaldassarre Reviglio. Tempera su carta appli-cata su cartone, cm 49,3x68,9. GAM, Torino.17 Paesaggio con bagnanti, 1809. LuigiBaldassarre Reviglio. Tempera su tela, cm34x97. GAM, Torino.18 Paesaggio con vendemmiatori, 1809. LuigiBaldassarre Reviglio. Tempera su tela, cm34x96. GAM, Torino.19 Rovine dell’Anfiteatro di Aosta, 1829. LuigiBaldassarre Reviglio. Tempera su carta, cm19,3x24,5. Biblioteca Reale, Torino.20 Le rovine di Eldena, 1825. Caspar DavidFriedrich. Penna d’oca, inchiostro cinese eacquerello, cm 18x23. Museum Georg Schäfer,Schweinfurt.21 Il ponte di Castiglione, 1829. LuigiBaldassarre Reviglio. Tempera su carta, cm21,7x29,4. Biblioteca Reale, Torino.22 Felice Maria Ferdinando Storelli. A.Legrand (da Guet). Litografia, cm 17,1x22,7,s.d. Archivio Storico della Città, Torino.23 Veduta del castello di Lorenzetto aCastagneto, 1803. Felice Maria FerdinandoStorelli. Acquerello su carta, cm 54x79. MuséeMarmottan, Paris.24 Veduta del castello di Lorenzetto aCastagneto visto da est, 1803. Felice MariaFerdinando Storelli. Penna e acquerello sucarta, cm 59,5x83,5. Collezione privata,Torino.25 Paesaggio con rovine, 1765/1770 ca. PietroGiacomo Palmieri. Acquerello, cm 32,5x46.Collezione privata.26 Veduta del Castello del Valentino, 1803.Felice Maria Ferdinando Storelli. Penna eacquerello su carta, cm 59,5x83,5. Collezioneprivata, Torino.27 La Sacra di San Michele, 1834 ca. FeliceMaria Ferdinando Storelli. Acquerello.Biblioteca Reale, Torino.28 Bamborough Castle from the Northeast,with Holy Island in the Distance,Northumberland, John Varley, 1827.Acquerello su matita ed aggiunte di gommaarabica e abrasioni. Particolare. Collezioneprivata.29 Veduta di Hautecombe dal lago, 1826.Felice Maria Ferdinando Storelli.Olio su tela, cm 50x74. Castello di Agliè,Torino.

30 Illustrazione tratta da “I promessi sposi”dell’Addio Monti (capitolo 8) Edizione del1840. Francesco Gonin.31 Vue d’Haute Combe prise du milieu du lac,in “Souvenirs Pittoresques de Hautecombe”.Francesco Gonin. Litografia, cm 27,5x36.Biblioteca Reale, Torino.32 Ritratto di Giovanni Battista De Gubernatis,1830 ca. Anonimo. Olio su tela, cm 52,5x64,5.GAM, Torino.33 Paesaggio con sole che si rompe dalle nuvo-le, 1746. Alexander Cozens.Penna e inchiostro nero, con lavaggio grigio eacquerello su carta, cm 21x28,2. The BritishMuseum, Londra. Per gentile concessione di e© Trustees of the British Museum.34 Il Castello di Collegno con effetto di tempo-rale, 1793. César van Loo. Olio su tela, cm83x120. Galleria Sabauda, Torino.35 Sacra di San Michele, 1804. GiovanniBattista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm14,5x19. GAM, Torino.36 Viaggio di Francia. Veduta del Ponte e del-l’acquedotto sul fiume Gand presso Orange,1815. Giovanni Battista De Gubernatis.Acquerello su carta, cm 57,5x84. Galleriad’Arte Moderna, Torino.37 Teatro romano a Orange, 1816. GiovanniBattista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm32,2x49. Galleria d’Arte Moderna, Torino.38 Antiporta (su disegno di Marco Nicolosino).in Viaggio romantico pittorico, M. Paroletti,1824. Francesco Gonin. Litografia. BibliotecaReale, Torino.39 Casa diroccata in stile gotico pressoAvigliana, 1826. Giovanni Battista DeGubernatis. Acquerello su carta, cm 56x83.GAM, Torino.40 Facciata di piccola chiesa gotica con lunettadipinta sul portale (Parrocchiale diSalbertrand), 1805. Giovanni Battista DeGubernatis. Acquerello su carta, cm 36,7x52.Galleria d’Arte Moderna, Torino.41 Facciata dell’Abbazia di Sant'Antonio diRanverso presso Avigliana, 1798 ca. GiovanniBattista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm14,4x19. GAM, Torino.42 Gruppo di cime d’alberi squassate dal ventosotto cielo temporalesco, 1822. ca. GiovanniBattista De Gubernatis. Olio su carta, cm14,5x21. GAM, Torino.43 Studio del pittore a Parma, 1812. GiovanniBattista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm18,2x23,6. Galleria d’Arte Moderna, Torino.

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In questa pag.:3. Panorama della Valle di Susa, 1735 ca. Scipione Cignaroli. Olio su tela, cm 91x120. Collezione privata.5. Paesaggio con San Giovanni Battista, 1730 ca. Olio su tela. Accademia Ligustica, Genova.10. Veduta del Castello e città di Moncalieri dalla parte del ponte sul Po. Angelo Cignaroli. Olio su tela, cm 46x66. Collezione pri-vata.13. Viandanti verso la Sacra di San Michele. Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su cartoncino, cm 10x20,4.16. Veduta del Moncenisio, 1810 ca. Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su carta applicata su cartone, cm 49,3x68,9. GAM,Torino.17. Paesaggio con bagnanti, 1809. Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su tela, cm 34x97. GAM, Torino.18. Paesaggio con vendemmiatori, 1809. Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su tela, cm 34x96. GAM, Torino.

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41In questa pag.:21. Il ponte di Castiglione, 1829. Luigi Baldassarre Reviglio. Tempera su carta, cm 21,7x29,4. Biblioteca Reale, Torino.24. Veduta del castello di Lorenzetto a Castagneto visto da est, 1803. Felice Maria Ferdinando Storelli. Penna e acquerello su carta,cm 59,5x83,5. Collezione privata, Torino.26. Veduta del Castello del Valentino, 1803. Felice Maria Ferdinando Storelli. Penna e acquerello su carta, cm 59,5x83,5.Collezione privata, Torino.34. Il Castello di Collegno con effetto di temporale, 1793. César van Loo. Olio su tela, cm 83x120. Galleria Sabauda, Torino.36. Viaggio di Francia. Veduta del Ponte e dell'acquedotto sul fiume Gand presso Orange, 1815. Giovanni Battista De Gubernatis.Acquerello su carta, cm 57,5x84. Galleria d'Arte Moderna, Torino.37. Teatro romano a Orange, 1816. Giovanni Battista De Gubernatis. Acquerello su carta, cm 32,2x49. Galleria d'Arte Moderna,Torino.

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Fauna dell’Ovadese: le farfalle di Rossiglione

di Renzo Incaminato, foto di Stefano Caneva

L’appassionata “caccia fotografica”alle farfalle effettuata da StefanoCaneva, pensionato rossiglionese di 87anni, ex tecnico tessile, è stata moltoproficua. In un pugno di anni, nel suocarniere, sono entrate quasi 150 speciedi questi insetti. Ha cacciato prevalente-mente dalla zona del Termo e dalleCiazze fino alla frazione Garonne, dal-l’incantevole Val Gargassa alla bella mafragile Val Berlino. Un grande elogio gliè stato riconosciuto dall’Istituto diZoologia dell’Università di Genova, cheha classificato i vari esemplari.

È occasione per noi per parlare unpo’ di questi meravigliosi esseri.

Le farfalle, insetti Lepidotteri (dalgreco lepis, scaglia e pteros, ali) sonocomparse almeno 100 milioni di anni fa,primeggiano per la bellezza dei colori ela leggiadria delle forme delle loro alicon macchie e arabeschi simmetrici edeleganti.

Marco Belpoliti (La Stampa dell’11agosto 2015) ci dice: «Il vero miracolodelle farfalle è nelle ali. Ogni singolascaglia che le compone deriva da pig-menti chimici come la melanina e visono altri pigmenti gialli, rossi, blu cheprovengono dai vegetali di cui si nutro-no o che producono loro stesse durantela metamorfosi. Ogni singola scaglia hala struttura in lattice, che contiene unamiriade di superfici in grado di riflette-re la luce…; il gioco delle superfici osta-cola o favorisce determinate lunghezzed’onda che generano i colori intensi…».

Perché sono bellee colorate le farfalle.

Forme e colori hanno un ruolo fon-damentale nella comunicazione tra indi-vidui della stessa specie per l’incontrosessuale tra il maschio e la femmina, maanche per segnalare agli eventuali preda-tori (uccelli e altri) lo stato di vitalità e di“grande belligeranza”, ovvero un segna-le di aggressività e di pericolosità perspaventare e intimidire. Per talune spe-cie le macchie delle ali paiono tantiocchi vigilanti e/o tante armi di difesa.Questa spinta evolutiva è stata necessa-

ria e ha avuto successo proprio perché lostadio di farfalla adulta (quella con leali) ha vita breve. Lo stesso accade per lepiante a fiori in montagna: qui per lecondizioni ambientali i fiori hanno vitabreve pertanto devono essere vistosa-mente colorati e profumati per attirarespeditamente gli insetti impollinatori…

Ciclo biologicoAltra attrazione e meraviglia è costi-

tuita dagli stadi della loro vita. Ogniindividuo presenta la caratteristica di“due nascite e due morti” e lo straordi-nario processo della METAMORFOSI.

Prima di morire la farfalla (immagineo insetto adulto con le ali) depone leuova. Trascorso l’inverno dall’uovonasce il bruco che è la forma larvale spe-cializzata per nutrirsi e accrescersi. Ibruchi sono energici fitofagi, per difesahanno delle piccole setole con peli e/oaculei contenenti sostanze urticanti.

Dopo un certo tempo il bruco si incap-sula racchiudendosi in un involucro diseta e/o altre sostanze dure e resistenti:questo stadio viene detto pupa o crisali-de. E qui dentro avviene la magicametamorfosi con una rinascita e prolife-razione di complicati tessuti embrionaliche in progressione danno forma allafutura farfalla. Lo stadio adulto di farfal-la non vive a lungo nella bella stagioneed è specializzato per la riproduzionesessuale e per diffondersi nell’ambiente.

Importanza ecologicaNella sua breve vita la farfalla vola

velocemente tra un fiore e l’altro pernutrirsi di nettare e mette in atto così unarigogliosa IMPOLLINAZIONEINCROCIATA tra quasi tutte le specie diAngiosperme che incontra.

Moltissimi fiori hanno a che fare conle farfalle: pian pianino in milioni dianni c’è stata la progressiva COEVO-

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LUZIONE tra i fiori e le farfalle; in cam-bio di nettare le farfalle sono diventateefficientissimi insetti PRONUBI utilipertanto alla riproduzione delle piante.

I Lepidotteri costituiscono una fonteimportantissima di BIODIVERSITA’ esono INDICATORI sulla qualità e fun-zionalità degli ECOSISTEMI.

Purtroppo, si parla già di Lista Rossaper le specie di farfalle italiane che stan-no scomparendo. Le cause sono diverse:distruzione dei loro habitat come i pratie le radure dei boschi, agroecosistemi amonocolture intensive con forte uso dipesticidi e insetticidi, gli agroecosisteminon sono più diversificati a mosaico(colture varie, prati, filari di alberi esiepi, fossi e canali di irrigazione, ecc.).Anche l’uso del Bacillus turìngiensis,usato vantaggiosamente per la lotta bio-logica agli insetti parassiti, distrugge ilepidotteri dannosi ma purtroppo anchequelli utili.

Dobbiamo quindi proteggere le far-falle e tenere ben presente l’antico pro-verbio giapponese sull’amicizia e sullasolidarietà umana: «quando si apre ilfiore, la farfalla arriva, ma nello stessotempo, quando la farfalla arriva, si apreil fiore».

Andare per farfalle,farfalloni, sfarfallare.

L’impiego del vocabolo farfalla hagenerato, nell’ambito semantico dellanostra Lingua, alcune espressioni e defi-nizioni in senso figurato. Esaminiamonequalcuna.

Andare per farfalle: perdere tempo incose inutili e superflue (è anche sostan-zialmente la definizione di acchiappafarfalle); farfallone e farfallino: detto di

persone fatue, superficiali, incostanti,che commettono spropositi ed errori;sfarfallare: mostrare incostanza e legge-rezza nei sentimenti e nelle occupazionicommettendo errori grossolani.

Ora tutte queste definizioni si potreb-bero accostare a coloro che da circa 35anni hanno gestito le varie attività delmondo venatorio e hanno fatto sì chetutto il nostro territorio sia oggi infesta-to dagli ungulati (caprioli e cinghialoidiovvero ibridi tra il cinghiale e il maiale).Questi animali prima del 1980 circa nonerano presenti qui da noi.

Nella pubblicazione della Reg.Piemonte AA.VV (2008), La nostrafauna: gli ungulati selvatici, si legge apag. 40: “le attuali popolazioni piemon-tesi del capriolo derivano da… e local-mente da operazioni di reintroduzionecon soggetti provenienti oltre che dal valdi Susa anche da Trentino, Tarvisiano,Francia, Slovenia e Danimarca”. Nellostesso libro, relativamente al cinghiale,si legge a pag. 68: “l’attuale presenzacapillare del cinghiale in tutto ilPiemonte si deve anche alle massicceopere di immissione con individui didubbia provenienza o incrociati con imaiali”.

Ecco cosa dobbiamo intendere perUngulati selvatici!

Ormai è diventato difficile portare atermine la maturazione delle uve, le col-tivazioni di mais, le colture orticole per-ché in molti casi le stesse recinzioni e ifili con corrente elettrica sono risultatiinsufficienti (sfondati e superati daimolti animali affamati). Nei nostriboschi il rinnovo degli alberi è compro-messo: le plantule nate da seme vengonodivorate, così succede anche ai ricaccidalla ceppaia dopo la ceduazione, tutto ilsottobosco e il suo humus è rovinato edistrutto.

Innumerevoli sono gli incidenti stra-dali (purtroppo tanti con conseguenzegravissime!) causate dalla presenzadegli ungulati nelle strade (i caprioli sal-tano facilmente le barriere dell’autostra-da e non è raro incontrare anche i cin-

Son le farfalle fiori svolazzantie i fiori farfallette imprigionate.

Gli uni e le altre, al finir dell’estateracchiudono nei semi i loro incanti.

E dove mai gli restano i colori?Dentro gli occhi degli uomini, e nei

cuori.LINA SCHWARZ

2. Anthocharis cardamines L. (nome comune: Aurora),maschio.13. Callistege mi Cl.15. Carcharodus flocciferus Z.18. Colias crocea Geoff., chiusa.

Nella pag. prec.: le farfalle, illustrazioni di Giovanna Durì.

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1. Anthocharis cardamines L. (nome comune: Aurora), maschio.4. Aporia crataegi L. (Pieride del biancospino), accoppiamento.5. Arethusana arethusa Schiff., chiusa.6. Arethusana arethusa Schiff., aperta.8. Argynnis paphia L. (Pafia o Tabacco di Spagna o Fritillaria),maschio.9. Aricia agestis Schiff.10. Autographa gamma L.

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11. Cacyreus marshalli Butler (Licenide dei gerani), aperta.22. Euplagia quadripunctaria Poda (Falena dell’edera), aperta.23. Euplagia quadripunctaria Poda, chiusa.25. Gonepteryx rhamni L. (Cedronella), aperta.28. Hipparchia semele L. (Semele o Satiro semele).29. Inachis io L. (Vanessa io o Occhio di pavone).30. Iphiclides prodalirius L. (Podalirio).34. Limenitis reducta Stgr. (Piccolo Silvano), chusa.

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35. Lycaena alciphron Rott.36. Lycaena phlaeas L. (Argo bronzeo), femmina.38. Lycaena virgaureae L. (Licena della verga d'oro), aperta.39. Lycaena virgaureae L., chiusa.41. Maniola jurtina L., chiusa.44. Melitaea athalia Rott.45. Melitaea cinxia L.49. Ochlodes venatus Br. Gr., femmina.

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50. Papilio Machaon L. (Macaone).51. Pararge aegeria L.52. Pieris rapae L. (Cavolaia minore o Rapaiola), chiusa.53. Plebejus argus L. (Argo).55. Polyommatus bellargus Rott.57. Polyommatus coridon Poda, maschio 66. Vanessa cardui L. (Vanessa del cardo).

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ghialoidi nella stessa autostrada!). Idanni economici, sociali ed ecologicisono quindi enormi per la collettività.

La gestione dei cinghiali è una gros-sa farfallonata: è sostanzialmente affida-ta, per effetto di una assurda e perversaattuazione della legge nazionale daparte della Reg. Piemonte, alle soleassociazioni venatorie, quindi ai solicacciatori (una piccolissima minoranzadi italiani!) [La Stampa, 24 aprile 2013].Tutto ciò è una chiara offesa allo spirito

della nostra Costituzione Repubblicanacon violazione del suo art. 9 per moltefasi delle attività venatorie.

La stessa caccia ai cinghialoidi risul-ta pericolosissima e può evolvere in tra-gedia. Ogni anno i morti tra i cacciatorinon sono pochi e anche i feriti. Si proce-de circondando una piccola valle in cuigli animali sono stati attratti attraversoaggeggi tipo forca, con contenitore perdistribuzione automatica di mais a con-tatto di rostro del cinghialoide (!?);

quando arrivano gli animali l’eccitazio-ne collettiva dei fucilieri è così tanta chepurtroppo, non di rado, colpiscono ilcompagno di squadra dall’altra partedella vallecola.

Con questa assurda gestione degliUngulati (ma anche delle altre speciecacciabili) l’ecosistema bosco e gliagroecosistemi sono fortemente squili-brati e quasi distrutti. E la figura del cac-ciatore risulta oggi svilita e sfarfallata.Parafrasando il presidente USA di inizio1900 possiamo dire: «L’inciviltà di unanazione si misura sulla presenza deinemici degli Animali e della Natura eanche su chi ostacola l’Agricoltura. Ivenatores non amano l’Italia e gliItaliani fanno volentieri a meno di loro».

Per i venatores è il momento di fer-marsi, e pensando alle farfalle, dovreb-bero divulgare e recitare la bellissimapoesia di Lina Schwarz sulle farfalle e ifiori. Se poi praticassero soltanto la cac-cia fotografica alla vera fauna naturale eai fiorellini di bosco e di campo, sicura-mente tutti i fanciulli e le future genera-zioni saranno loro riconoscenti.

Ma tutti noi umani dovremmo rispet-tare di più gli Animali, nostri compagnidella Vita che si svolge sopra di questaTerra, anche per ciò che riguarda lanostra alimentazione.

BibliografiaAA.VV., La nostra fauna: gli ungulati selvati-ci, Torino, Regione Piemonte, 2008.AA.VV., Biologia. L’evoluzione e la biodiver-sità, Bologna, Zanichelli, 2009.MARCO BELPOLITI, Quelle ali meravigliose cheincantano gli scrittori, “La Stampa” di Torino,11 agosto 2015, p. 29.RENZO INCAMINATO, Fauna dell’Ovadese: ilcapriolo, Urbs Silva et Flumen, a. XX (2007),n. 4, pp. 313 - 316.THOMAS MARENT, Farfalle, Atlante editore,2009.ANTONELLA MARIOTTI, Farfalle a rischio estin-zione. Bisogna salvare campi e prati, “LaStampa” di Torino, 16 maggio 2016, p. 37.LINA SCHWARZ, Sei filastrocche per i più picci-ni, Milano, Mondadori, 1921.

Pieris brassicae L. (Pieride del cavolo o Cavolaia). Questa comunissima farfalla(fig. c) depone le uova in gruppi (fig. b) sulla pagina inferiore delle foglie delleCrocifere coltivate (specialmente sui cavoli). Il bruco (fig. d ) per nutrirsi rode illembo fogliare risparmiando solo le nervature più coriacee (fig. a).

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Gli affreschi di Santa Giustina di Sezzadio

di Sergio Arditi

La decorazione pitto-rica della chiesa dell’ab-bazia di Santa Giustina,detta la Badia, costitui-sce un complesso dinotevoli affreschi ese-guiti tra XI e XV secolo,nonostante la loro fram-mentarietà e le esteselacune in rapporto allaconfigurazione origina-ria. Eccezionale perimportanza sono le pittu-re del ciclo absidale esulla volta del presbite-rio, dove compaionoalcuni cicli di straordina-ria qualità artistica. Una più estesa arti-colazione originaria delle decorazioni èintuibile per alcune tracce che sopravvi-vono nel transetto, nell’abside meridio-nale e nelle navate. In quest’ultima zonasi avverte la ricerca di ricreare uno spa-zio illusorio sui pilastri con finti elemen-ti lapidei bianchi e neri, temi già presen-ti nel mondo classico e qui ancora ripro-posti. Sopravvivono, sul fianco meridio-nale, tracce di una Crocifissione moltocompromessa, pro-babilmente databileal XV secolo.

Della prima fasedecorativa, presso-ché contemporaneaalla costruzioneprotoromanica del1030, si conservaparte di un fregiocon varie nicchieabitate da santi,sovrastato da unagreca e al di sottosegnato da unafascia a dentelli dacui scendono deivelari e delle coro-ne sorrette da cate-nelle.

Il fregio è con-servato nella partesuperiore del trans-

etto settentrionale e probabilmente siestendeva, allo stesso modo, anche sulbraccio meridionale, oggi non conserva-to. Lo si deduce osservando le tracce chesi riscontrano sul fianco della parteaggettante dell’arcone che sovrasta l’ab-side centrale, alla maniera di un arcotrionfale, non ricoperto da interventisuccessivi.

La presenza del tema con coronesospese si riscontra già nel V – VI seco-

lo d.C., ad esempio neimosaici di Santa MariaMaggiore a Roma, o nel-l’abside di Sant’Apol -linare in Classe pressoRavenna, per simboleg-giare la su premazia dellafede ed il trionfo dellavita eterna, il tutto rile-vato dalla presenza disanti in nicchie. Ancoraa Ravenna, in Sant’A -pol li na re Nuo vo, sonorilevabili velari sovra-stati da corone sospesenella raffigurazione delprotiro centrale del

Palazzo di Teodorico. Una simile versio-ne dipinta, in epoca romanica, si trova inPiemonte nella scena del GiudizioUniversale in controfacciata del SanMichele di Oleggio (NO), ritenuto delXI - XII secolo, in cui tre corone gem-mate sono sospese sotto un portico(ARDITI, 1998).

Il tema pittorico della rievocazioneche privilegia motivi architettonici connicchie abitate, che trova la sua origine

nella cultura paleo-cristiana, continuain epoca carolingia aSan Benedetto diMalles, in ValVenosta, e in SanSalvatore di Bre scia.Questi modelli siripercuotono in AltoMonferrato a Sezza -dio e in San Pietro diAcqui, esempio que-st’ultimo non piùriscontrabile maemerso durante irestauri novecente-schi della basilica(MESTURINO, s.d. ma1933).

In Santa Giusti naessendo incompletoil fregio, o meglio ilciclo pittorico del -

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l’XI secolo, non è più leggibile iltema complessivo venendo a manca-re l’importante parte absidale, rico-perta dagli affreschi successivi delGiudizio Universale. Si potrebbepensare che in quest’area vi fosseuna Maiestas Domini, ma non è deltutto azzardato supporre l’insiemecostituito come una Città celeste cir-condata da santi con al centro ilPadre Eterno, come sarà ripropostonell’intervento successivo (ARDITI -CUTTICA, 1993).

A questa prima fase si sovrappo-sero nuovi strati dipinti, che, oltrealle absidi, occuparono l’interotransetto. Nell’area inferiore delbraccio settentrionale sopravvivono,a nord e ad est, frammenti da attri-buire al maestro che eseguì contem-poraneamente il ciclo della Mortedella Vergine nella piccola absidesinistra, databile al tardo XIV secolo,

ciclo contornato da un’ambientazio-ne architettonica a colonne tortili,mensole e finti marmi. Le scenevanno interpretate secondo laLeggenda aurea di Jacopo daVaragine tratta dai Vangeli apocrifi.Si susseguono da sinistra a destra,dal basso in alto: Annuncio dellaMorte, Raduno degli Apostoli alcapezzale, Dormitio Virginis,Esequie della Madonna el’Assunzione nella calotta absidale.

Pur attraverso una certa arcaicità,il ciclo manifesta rapporti stilisticicon le scene dell’abside centrale, leassonanze dei volti, degli atteggia-menti e il particolare ruolo gestualeche giocano le mani dei personagginon sono del tutto casuali, bensì tipi-ci dei due cicli pittorici di SantaGiustina che paiono desunti dallaminiatura lombarda, rapportabili araffigurazioni teatrali e forse diretti

1. Cristo in pietà.2. Cristo in mandorla che mostra le piaghe (Ostentatio Vulnerum).3. La Vergine, Santa Giustina (?), una santa benedettina e SanBernardo.4. San Maurizio, un santo vescovo e i Santi Lorenzo, Stefano eFrancesco.5. Paradiso o Gerusalemme celeste.6. Inferno.7. Inchiodatura alla croce.8. Crocifissione (distrutta).

9. Deposizione. 10. – Sepoltura o Compianto sul Cristo morto.11. – Resurrezione.12. – Noli me tangere.13. – Ascensione.14. – Opere di Misericordia.15. – Vizi Capitali.16. – Edicole con Profeti, Apostoli, Dottori della chiesa e santi.17. – Finti stalli architettonici del coro.

Chiave di volta con lo stemma Lanzavecchia Cristo in mandorla

Fascia inferiore

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I quattro Evangelisti

Il Paradiso

La Deposizione di Gesù

San Bernardo, una santa benedettina, forse Santa Giustina e la Vergine

Santo Stefano

Scena infernale col Leviatano

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A pag. 47: “Abbazia di Santa Giustina. Interno (foto di Fiorenza Cicogna)” e “Altaredell’abbazia di Santa Giustina di Sezzadio, Piemonte, Italia (foto di Davide Papalini)”.

In questa pag., in alto: affreschi tardo trecenteschi con le Storie della Vergine.In basso: fregio con particolare di santo in nicchia.

da uno stesso regista, seppur intempi diversi.

L’abside centrale col Giu -dizio Universale è decorata conscene ruotanti attorno alla figu-ra del Cristo in mandorla cheesibisce le stimmate, posto alcentro del catino e attorniato daisimboli dei quattro Evangelisti.Ai lati sono inginocchiati dueschiere di santi: a sinistra guida-ti dalla Vergine compaiono pro-babilmente Santa Giustina, unasanta benedettina e SanBernardo; a destra è SanMaurizio col vessillo, seguitoda un santo vescovo e i SantiLorenzo, Stefano e France sco.Al di sotto, su tre livelli, si pon-gono le scene dell’Inferno e delParadiso, nel registro di mezzosono tre episodi della Croci -fissione: L’inchiodatura sullacroce, la Morte in croce (andataquasi completamente distruttaper l’apertura di una finestra) ela Deposizione. Chiudono infe-riormente il ciclo quattro scene continue,in un unico campo senza divisioni, con ilCompianto sul Cristo, la Resurrezione, ilNoli me tangere e l’Ascensione. Allabase sono dipinti in prospettiva stalliarchitettonici di un coro. Sul frontesuperiore dell’arco si snodano manmano a scendere figure con cartigli diProfeti, di Apostoli e di Santi, tutte figu-re sovrastate da edicole; i primi posti inbasso sono a sinistra SantiMaurizio e Stefano e sul-l’altro lato i Dottori dellachiesa occidentale.Nell’intradosso che prece-de l’abside sono in altoepisodi delle Opere diMisericordia e dei ViziCapitali, entro forme ton-deggianti contornate dagirali vegetali. Ancora piùsotto, nei due intradossisotto agli stemmi deiLanzavecchia, appaiono,rispettivamente per ogni

lato, le scene dei Gaudia e dellaPassione, tuttavia queste pitture sonopoco conservate e leggibili. Come enun-ciato gli affreschi dell’abside centralesono parzialmente leggibili nel loro inte-ro sviluppo originario per trasformazio-ni avvenute tra il 1434 e il 1450, dopo unterremoto che ne causo alcune cadute. Inparticolarel’affresco dell’Annun ciazio -ne, con un complesso sfondo architetto-

nico, si trovava sull’aggettosuperiore oggi occluso dallevolte del presbiterio. Questoaffresco venne strappato e ripar-tito in due parti, separando laVergine Annunciatadall’Arcangelo Gabriele, tra-sportandoli rispettivamente suidue lati opposti del transettodurante restauri novecenteschi. L’insieme dell’abside venivacosì a configurarsi come un por-tale ad arco di trionfo, con ai latiuna fascia di figure profetiche inedicole architettoniche racchiu-denti in alto l’Annuncia zione. Aldi sotto, al centro compare ilCristo in mandorla e le scene inparte già descritte; seguono lerappresentazioni del GiudizioUniver sale con l’Inferno e ilParadiso (o Gerusalemme cele-ste), incorniciate da Profeti evari santi, tutti soprastati da bal-dacchini cuspidati.

Si distingue nettamente cheil tema absidale è invaso dalla

complessa scena del GiudizioUniversale, con al centro il Cristonell’Ostentatio Vulnerum che tiene sulleginocchia un libro aperto con tracce deiversetti 34 – 36 e 41 – 43 del capitolo 25del Vangelo di San Matteo, inerenti alGiudizio Finale (DAFFRA, 1985 – 1986).

La scene del Paradiso e dell’Infernosono distinte in due parti contrapposte ele anime vi accedono attraverso la porta

di una torre. La Geru sa -lemme celeste è definitacome una città cinta damura e popolata da santi incui si innalzano quattrotorri di due piani. Vi com-paiono delle stanze in cuisi vede il Cristo accoglieredue donne da Lui rivestite,nutrite, dissetate, che leoffre da dormire e le distri-buisce monete in elemosi-na: esempi della carità dapraticare dai fedeli.

In senso escatologico

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compare la scritta frammentaria : “rimu-neratio [… …] los qui fecerunt operamisericordiae” esplicativa delle raffigu-razioni all’interno della città celeste,luogo in cui i beati ricevono da Dio lestesse attenzioni che riversarono ai fra-telli attraverso le opere di misericordia.Più oscuro è la scena di Cristo e il con-tadino, forse il servo fedele che riceveràla ricompensa celeste (DAFFRA, 1985 -1986).

Il concetto della ricompensa vieneribadito nell’intradosso dell’arco con alcentro l’Agnello Mistico adorato sui duelati da Angeli; seguono le Opere diMisericordia sul lato del paradiso, ed iVizi capitali sul lato dell’inferno. Qui idannati sono posti entro grotte, o in altriluoghi oscuri, in cui si vedono calderoni,uncini, serpenti, alberi irti di spine. Indue caverne affiancate sono rispettiva-mente il biblico Levitano che con i ten-tacoli ingoia i dannati, mentre nell’altra,nella parte più profonda e oscura, sipone Lucifero principe delle tenebre conla corona capovolta sul capo.

Tutti questi elementi evidenziano chesull’abside vi sia la rappresentazione diun grande portale, come nelle cattedraligotiche, portale che si apre alla fine deitempi mostrandoci la Gloria dellaSalvazione attraverso le Opere diMisericordia e la punizione dei dannati. Le varie trasformazioni architettoniche,con l’apposizione della volta del presbi-terio e i dissesti dovuti ad un terremoto,alterarono la lettura dell’insieme, muti-lando il ciclo e mettendo successiva-mente in maggior risalto gli Evangelistiseduti su scranni mentre scrivono, ini-zialmente raffigurati in misura simbolicaattorno al Cristo in mandorla. Le quattrovele triangolari della volta sono rimarca-te da una fascia con fiori a sei petali afoggia di cuore, mentre gli spazi triango-lari attorno agli Evangelisti sono decora-ti con una sequenza di archetti continuial cui centro sono schematiche formearabescate.

I rimaneggiamenti architettonici,dovuti all’inserimento della volta, inci-sero sulle strutture murarie e sugli affre-

schi sottostanti per l’apposizione degliarchi di sostegno della volta stessa. Oltrea questo restano le tracce di dissesti e diconseguenza alcune riprese successivedecretarono il rimaneggiamento degliaffreschi nell’area intaccata. La disomo-genea superficie degli intonaci dipinti, lecrepe, le lacune e i parziali rifacimenti,hanno agito sulla continuità pittorica,colmata con ridipinture e restauri inte-grativi, modificando parzialmente la ste-sura dell’affresco originale. Inoltre mipare che vi siano state rielaborazioni diuno dei Dottori della Chiesa, cioè delporporato sotto un edicola cuspidata,probabilmente San Gerolamo, e dei santiguidati da San Maurizio sul lato destrodel Cristo in mandorla. La ripetuta raffi-gurazione di San Maurizio, santo marti-re della Legione Tebea, è posta pure inbasso sopra Santo Stefano, ed è da met-tere in relazione alla particolare venera-zione instaurata dell’abate AntonioLanzavecchia (1422 – 1447 circa) per ilsanto, com’è ancora riscontrabile nel-l’impiego della sua reliquia per la consa-crazione dell’altare maggiore. Bisognarilevare la famiglia Lanzavecchia avevadimostrato da tempo una particolare

devozione a San Maurizio, ad esempioquando già nel 1350 una chiesa dedicataa questo santo era tenuta da GregorioLanzavecchia in Alessandria e nel seco-lo XV Michele Lanzavecchia ne ottennedal papa Pio II il patronato (MORETTI,1947).

In considerazione delle analogie diun fregio con fiori, sopravvissuto nellastrombatura della monofora dell’absidi-na destra, appartenente ad uno scompar-so ciclo del 1422 commissionato dallafamiglia De Santis (GASPAROLO, 1912),si potrebbe proporre la datazione delladecorazione dell’abside centrale all’ini-zio del terzo decennio del XV secolo,durante l’esordio della reggenza diAntonio Lanzavecchia. Gli Evangelistisulle vote presbiteriali, con lo stemmadei Lanzavecchia sulla chiave dellavolta e le decorazioni a finti marmi deipilastri, sarebbero da collocarsi tra il1434 ed il 1450 circa, termine della reg-genza dell’abate Antonio Lanzavecchia.Resta la curiosità se nell’iter finale deilavori vi sia pure stato l’intervento del-l’abate Corrado Lanzavecchia, nipotedel precedente, subentratone tra il 1452e il 1455.

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L’esecuzione degli Evangelisti vainserita nell’opera dello stesso maestroche a Cassine dipinse la Vergine colBambino nella cappella della torre diCasa Zoppi e in San Francesco, sulsecondo pilastro con un Sant’AntonioAbate e una Vergine col Bambino, operenon prive di riferimenti con altri affre-schi nella Pieve di Volpedo. In questafase d’interventi si possono inserireanche i tondi inferiori, sugli estradossidei pilastri, di cui a malapena si possonodistinguere a sinistra, sotto i ridipintistemma dei Lanzavecchia, l’An nun -ciazione, Gesù tra i dottori, laResurrezione, l’Assunzione ed in altoespressioni dei Gaudia, ossia Gioie dellaMadonna, una forma embrionale diquello che diventerà il Santo Rosario. Adestra, con ampie lacune, sono una labi-le Flagellazione, una Crocifissione e laMorte sulla croce, momenti dellaPassione che rimandano al libro di pre-ghiere delle “Ore”. Per concludere ladescrizione, compare al centro dell’arcosommitale il Cristo in pietà, frequentenei libri miniati di preghiere gregoriane. Sopravvive, sul lato settentrionale dellaporzione sopraelevata della cripta, unadecorazione quattrocentesca con unvelario addobbato con festoni a ghirlan-de di foglie.

Lo stile pittorico dell’abside centralerimanda, come detto alla miniatura lom-barda. Si colgono analogie con l’operadi Michelino da Besozzo (SPANTIGATI,1990), mentre le note paesaggistiche conrupi e cespugli riconducono al naturali-smo del Pisanello. Tutti questi elementisi ricompongono similmente nel“Maestro del Vite Imperatorum”, minia-tore prediletto da Filippo Maria Viscontioperante tra il 1388 e il 1459 (TOGNOLI

BARDIN, 1988).Visto le relazioni stilistiche, pur di

differente datazione, che ho suggerito trale pitture dell’abside minore sinistra e diquella centrale, mi pare che le due per-sonalità degli autori, a due decenni didistanza, siano assai affini e non dissi-mili dai lavori del citato “Maestro delVite Imperatorum”. Analogie si riscon-

trano nella teatralità degli atteggiamentimimici, un sentire comune assai indica-tivo, così pure la descrizione dei dialo-ghi, delle azioni ed il gesticolare dei per-sonaggi con mani dinoccolate.

L’esigenza decorativa delle chiesecattoliche, come noto, è rivolta alla cate-chesi di chi, essendo illetterato, nonaveva altro modo per istruirsi al Vangeloscritto, fruendo in questo modo delmezzo espressivo collegato ad una visio-ne tutta da guardare attraverso la narra-zione pittorica. Qui, la chiave di letturaper i fedeli viene chiaramente mostrataai due lati estremi del registro inferiore.Alla destra, nell’ultimo riquadro a latodell’Assunzione, compare un santovescovo in funzione di narratore, unaparticolare attestazione dell’autorità reli-giosa che invita con la mano destra ifedeli a prestare attenzione alle sacreraffigurazioni, mentre con la sinistraindica i corrispondenti fatti evangeliciche attestano la scrittura del Verbo. Fada contrappeso, sul lato opposto, SantoStefano protomartire che innalza il libroaperto del Vangelo, mostrandolo comeesempio da lui testimoniato. Tra un nar-ratore e l’altro corre la detta fascia con-tinua con la Sepoltura o Compianto sulCristo morto, la Resurrezione, il Noli metangere e l’Ascensione; quest’ultime duescene sono le meglio conservate delregistro. Questi episodi sono dispostisullo stesso sfondo paesaggistico diambientazione naturalistica, con cespu-gli e rocce, attraverso una narrazionepriva di separazioni.

Insomma tutta la complessa formasoteriologica degli affreschi absidali, traspettacolari scene mimate, raffigurazionisimboliche e compendi figurati come inun libro di preghiere, è un’esplicita rap-presentazione che indica all’uomo comegiungere alla salvezza attraverso la figu-ra escatologica del Cristo, che per amoreha redento l’intera umanità attraverso ilsuo sacrificio sulla croce.

Bibliografia SERGIO ARDITI, Uno scrigno di arte e di storia:Santa Giustina di Sezzadio, in Alto Monferrato

tra pianura e Appennino, tra Piemonte eLiguria, storia, arte, tradizioni (a cura di GIGI.GALLARETO e CARLO PROSPERI), Torino 1998,pp. 89 – 104.SERGIO ARDITI, GIANFRANCO CUTTICA DI

REVIGLIASCO, Proposte per una rilettura dellepersistenze benedettine lungo la valle Bormidada Spigno a Castellazzo, “Rivista di Storia ArteArcheologia per le Province di Alessandria eAsti”, anno CII (1993), pp. 31 – 41.EMANUELA DAFFRA, Iconografia di un ciclopoco noto: l’Abside Maggiore di SantaGiustina a Sezzadio, “Rivista di Storia ArteArcheologia per le Province di Alessandria eAsti”, annate XCIV – XCV (1985 – 1986), pp.91 – 100.NOEMI GABRIELLI, Monumenti della pittura inprovincia di Alessandria dal sec. X alla fine delXV, Casale 1935, pp. 15 17.NOEMI GABRIELLI, Badia di Santa Giustina,Milano 1969, pp. 26 – 51.FRANCESCO GASPAROLO, Memorie storiche diSezzè. L’Abadia di Santa Giustina e ilMonastero di Santa Maria di Banno,Alessandria 1912.A. MARGARIA, Il “Teatro” di Santa Giustina diSezzadio: ipotesi per una lettura drammatica,in Alto Monferrato tra pianura e Appennino,cit. VITTORIO MESTURINO, La basilica di SanPietro, s.d. ma 1933, pp. 20 – 21.CESARE MORETTI, Antiche chiese diAlessandria, notizie storiche - artistiche,Alessandria 1947, pp. 23 – 25.GERMANO. MULAZZANI, ALBERTO FUMAGALLI eGIANFRANCO CUTTICA DI REVIGLIASCO, La pit-tura delle pievi nel territorio di Alessandria,Milano 1983, percorsi di arte medioevale nelmillenario di San Guido (1004 – 2004)Vescovo di Acqui, Acqui Terme 2004, pp. 41 –54.CARLO PROSPERI, Sezzadio: chiesa abbaziale diSanta Giustina, in SERGIO ARDITI, CARLO

PROSPERI, Tra Romanico e Gotico, percorsi diarte medioevale nel millenario si San Guido(1004 – 2004) Vescovo di Acqui, Acqui Terme2004, pp. 383 – 385. CARLA ENRICA SPANTIGATI, Sezzadio - Abbadiadi Santa Giustina. Gli affreschi tre quattrocen-teschi, in “Restauri” a cura del Ministero BeniCulturali e Ambientali, Soprintendenza per iBeni Artistici e Storici del Piemonte, Torino1990. ALBERTO CARLO SCOLARI, La chiesa abbazialeSanta Giustina di Sezzadio, Torino 1983, pp. 18– 22.LUISA TOGNOLI BARDIN, Maestro delle VitaeImperatorum, in Arte in Lombardia tra gotico erinascimento, Milano 1988, pp. 122.

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Un articolo giornalistico pubblicatonel 1919 su Il Corriere delle Valli Sturae Orba ci ricorda che ad Ovada tra il 23giugno 1916 e il 19 gennaio 1917 e, inun secondo periodo, dal 15 maggio 1917al 31 dicembre 1918, funzionò ancheun’ospedale militare, ubicato nei localidell’Ospedale S. Antonio (si tratta delvecchio Ospedale S. Antonio, in via 25Aprile, oggi sede di alcuni servizi ASLma rimasto in funzione come ospedalecivile fino al 1990 quando è stato sosti-tuito dal nuovo complesso di viaRuffini).

L’articolo ci ricorda anche che, dalgiugno del 1917, ne venne allestita unaparte anche in via Giandomenico Buffa,dove le autorità militari avevano requisi-to il palazzo Santa Caterina, proprietàdelle Madri Pie Franzoniane e sede dellescuole femminili omonime (oggi IstitutoSanta Caterina Madri Pie): « […] Aiprimi di giugno del 1916 l’Ospedale erapronto a funzionare ed il 23 giugnovenne aperto con un primo contingentedi 93 feriti provenienti direttamentedalla fronte dopo esperito il periodo

contumaciale.Nel giugno 1917 l’Amministrazionemilitare dovendo aumentare il numerodei letti nel distretto del Corpo d’Armatadi Alessandria aveva requisito e succes-sivamente allestito ad uso Ospedale illocale delle scuole femminili di S.Caterina, capace di cento letti e partedel palazzo Spinola con 80 letti, que-st’ultimo però non venne mai occupato.[…] Il personale di assistenza, oltrechécostituito da pochi militari, fra cui variiOvadesi e dei paesi vicini, era rappre-sentato per l’Ospedale S. Antonio dallesuore di S. Anna e per il reparto di S.Caterina dalle Madri Pie […]. Dal 23giugno 1916 al 23 gennaio 1917, epocain cui l’Ospedale fu provvisoriamentechiuso, funzionarono da direttore ilDott. Briata con un riparto di 30 letti eil Dott. Luigi Cortella come capo di unreparto di 70 letti entrambi col grado dicapitani medici assimilati.L’Ospedale si chiuse il 19 gennaio 1917e venne riaperto il 15 maggio 1917 fun-zionando fino ad oggi come Direttore, inassenza per malattia del Dott. Briata, il

Dott. Luigi Cortella e come capo ripar-to il Dott. Giuseppe Grillo.Il movimento effettuatosi fu il seguente:

Ricoveratiferiti ammalati morti

1. Dal 23 giugno 1916 al 19 gennaio 1917 201 455 4

2. Dal 15 maggio 1917 al 31 dicembre 1918 574 1680 17

Totale 775 2135 21Complessivamente quindi furono ricove-rati 2910 militari di cui 775 feriti e 2135ammalati, con 58777 giornate di presen-za; fra di essi vi furono 170 ovadesi e deipaesi vicini con due morti e 33 prigio-nieri austriaci di guerra che si trovava-no in queste regioni adibiti a lavori agri-coli e colpiti da gravi forme di influenzacon 4 morti.[…] Si ebbero complessivamente 21morti fra cui tre di meningite cerebro-spinale su quattro ricoverati, uno dimeningite tubercolare, uno di ileotifo,uno di pielo nefrite, uno per emorragiacelebrale ed i restanti per gravi forme

Caduti Grande Guerra ad Ovada:i militari deceduti all’Ospedale Militare di Riserva

di Ivo Gaggero

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broncopolmonari e tossiemia da influen-za. […] ».

Abbiamo confrontato questi dati congli atti di morte presenti nell’ArchivioAnagrafe del Comune di Ovada (un rin-graziamento per la disponibilità e la col-laborazione a Ivana Maggiolino eStefania Beraldi) incrociandoli successi-vamente con quanto scritto sull’Albod’Oro, la pubblicazione del Ministerodella Guerra (edita a partire dal 1926 econsultata in rete sul sito www.caduti-grandeguerra.it dell’ISTORECO diReggio Emilia) dove sono ufficialmenteriportati i nominativi dei militari cadutidella Grande Guerra, per ognuno deiquali sono indicati data e luogo di nasci-ta, distretto di reclutamento, grado ereparto, data e luogo di morte.

Per quest’ultimo, dove è riportatoOvada come luogo, risultato deceduti 24militari italiani ma dobbiamo tener pre-sente che, secondo gli atti di morte, alcu-ni Ovadesi morirono in casa e non all’o-spedale: Campora Luigi in regioneRebba, Carosio Giacomo Giacinto inpiazza Garibaldi, Fortunato Secondino

in frazione Costa, SantamariaGiuseppe in via Novi (i loro dati ana-grafici sono presenti nella ricerca suiCaduti Ovadesi pubblicata nei duenumeri del 2015 di Urbs). PianaGiacomo, presente nella precedentericerca, è deceduto all’Ospedale S.Antonio ma in un periodo precedente(10 marzo 1916, quindi non nell’ospeda-le militare). Pubblichiamo invece i datidi Arecco Angelo, anche se non risultadeceduto all’ospedale, nato a Montaldeoma residente, da come risulta sull’atto dimorte, a Ovada (ma che non avevamoinserito fra i caduti di Ovada nella ricer-ca del 2015):

ARECCO ANGELO fu Giovanni eMorassi Colomba, nato a Montaldeo il29 aprile 1881, residente ad Ovada infrazione San Lorenzo, contadino, coniu-gato con Tagliafico Colomba, soldatodella 2° Compagnia di Sanità, distrettomilitare di Voghera, deceduto per malat-tia il 9 febbraio 1917 alle ore 12.30 adOvada nella casa posta in frazione SanLorenzo (atto di morte n. 21/1917 parteII A).

Dal racconto giornalistico, nel primoperiodo (23 giugno 1916 – 19 gennaio1917) all’ospedale militare risultanodeceduti 4 militari, confermati dagli attidi morte che abbiamo trovato nell’archi-vio anagrafe. L’unica incongruenza pro-viene dall’Albo d’Oro che tra i decedutia Ovada di malattia inserisce anche ilnominativo di:

MINO EMILIO di Candido, nato adAndorno Cacciorna (dal 1929 AndornoMicca, oggi in prov. di Biella) il 24 otto-bre 1896 (vent’anni di età), soldato del43° Rgt. Fanteria, distretto militare diVercelli, morto di malattia l’8 gennaio1917 a Ovada (il nominativo è presentesulla lapide del monumento ai caduti diAndorno Micca, in via Cavalieri diVittorio Veneto 101). Nessun atto dimorte è presente all’Anagrafe di Ovadacon questo nominativo (ciò non signifi-ca che i dati dell’Albo d’Oro siano erra-ti ma è certamente singolare che non siastato emesso l’atto di morte).

Gli altri nominativi e i loro dati sonoquesti:

Nella pag. prec.: L’ospedale S. Antonio di Ovada in una foto d’epoca scattata da via Buffa - via Cavour.In questa pag.: una foto d’epoca di via Buffa e palazzo SantaCaterina sede delle scuole femminili omonime.

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1. MARIANELLI LORENZO diAntonio e Funghi Isola, alle ore 12.15del 5 Agosto 1916 nella casa posta in viadell’Ospedale 4 è morto MarianelliLorenzo di anni venti (25 maggio 1896),celibe, contadino, nato e residente aPeccioli (Pisa), soldato del 82° Rgt.Fanteria, distretto militare di Livorno(atto di morte n. 77/1916 parte II A).

2. FREGO GIUSEPPE di Luigi eCassani Antonia, alle ore 10.25 del 16ottobre 1916 nella casa posta in viadell’Ospedale 4 è morto Frego Giuseppedi anni trentadue (21 novembre 1884),sposato con Giudetti Maria (dal 1909),contadino, nato a Garbagna Novarese(atto di nascita 1884/67), residente aBorgosesia (atto di morte Borgosesia n.4/1916 parte II C), soldato del 44° Rgt.Fanteria, distretto militare di Voghera(ma invece Novara) (atto di morte n.102/1916 parte II A). Sull’Albo d’Oro èstato erroneamente riportato il comunedi nascita in quello di Garbagna(Alessandria) invece di GarbagnaNovarese.

3. FORTINI GIUSEPPE fuFrancesco e Grassilli Maria, alle ore20.30 del 23 novembre 1916 nella casaposta in via dell’Ospedale 4 è mortoFortini Giuseppe di anni trentaquattro (7

marzo 1882), sposato con Cristofori(Grampiglia ?, sull’atto calligrafia nonchiara e quindi il nome è quasi illeggibi-le), operaio, nato e residente a RenoCentese di Cento (Ferrara), soldato del44° Rgt. Fanteria, distretto militare diFerrara (atto di morte n. 119/1916 parteII A). Il nominativo è presente, oltre chesull’Albo d’Oro, sul monumento diReno Centese di Cento, via Chiesa 140(con data del decesso il 24/11/1916).

4. COLOGNATO ANTONIO diLuigi e Cortese (Elirra ?), alle ore 15.45del 4 gennaio 1917 nella casa posta invia dell’Ospedale è morto ColognatoAntonio di anni diciannove (19 ottobre1897), celibe, contadino, nato aMonteforte d’Alpone (Verona), residen-te a Brognoligo (di Monteforted’Alpone), soldato del 43° Rgt.Fanteria, distretto militare di Verona(atto di morte n. 3/1917 parte II A). Ilnominativo presente sia sull’Albo d’Oroche sul monumento di Monteforted’Alpone (Verona), in via San Brizio 2.

Come riportato dall’articolo giorna-listico sappiamo, dei 21 decessi, le

In questa pag., in alto: via Buffa e il palazzo Santa Caterina sededell’istituto scolastico delle Madri Pie, oggi.In basso: foto di Giuseppe Frego di Borgosesia. © www.14-18.itDocumenti ed immagini della grande guerra.

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In questa pag.: foto di Mario Gorla di Grandate. © www.14-18.itDocumenti ed immagini della grande guerra.

malattie, ma non possiamo attribuirle adogni singolo nominativo ( a parte i 4 pri-gionieri di guerra) perché non sonoriportate sugli atti di morte. In 14 casi(quindi i 2/3 dei decessi) si tratta proba-bilmente della “spagnola”, l’influenzaaltamente letale che colpì dal 1918 al1920.

Nel secondo periodo, la tabella ripor-tata ci indica in 17 il numero delle vitti-me. Riportiamo gli atti di morte cheabbiamo recuperato (di tutti i militarideceduti ad Ovada, non solo quelli all’o-spedale militare) e integrato con altridati, segnalando, per ciascun nominati-vo, le note e le eventuali incongruenzecon le altre fonti.

DE GAETANI LEONE di Eugenioe Pellas Giovanna Tilde, alle ore 6.30del 9 giugno 1917 nella casa posta inCorso Saracco 27 è morto De GaetaniLeone (nominativo inserito in questalista anche se non risulta decedutoall’Ospedale Militare di Riserva diOvada) di anni venticinque (25 marzo1892), celibe, nato a Venezia e residentea Roma, tenente del 3° Rgt. Artiglieriada fortezza, distretto militare di Venezia,(atto di morte n. 29/1917 parte II B). Ilnominativo è presente sull’Albo d’Oro:il Reggimento riportato è il 7° anziché il3°, causa della morte: infortunio.

Interessante, per questo caso, è lanotizia pubblicata dal Bollettino dell’Or -ga nizzazione Civile, l’unico giornalelocale del periodo di guerra (pag. 3 del n.44 di domenica 10 giugno 1917): “Nellanotte fra il venerdì e il sabato, il tenenteDe Capitani del 7° Regg. Artiglieria, ilquale alloggiava in via Saracco presso ilsignor Paolo Pesce, poneva fine ai suoigiorni con un colpo di rivoltella che nonfu punto avvertito dai casigliani.L’attendente, giunto al mattino peraccudire alle consuete faccende, com-mosso ed atterrito diede l’allarme, maogni cura era ormai inutile. Il poverogiovane soffriva di nevrastenia e dimania religiosa.”. A parte il cognomedella vittima riportato dal giornale, pro-babilmente scritto erroneamente,dovrebbe trattarsi del nostro De Gaetani.

TRASPARENTE ANTONIO diMichele e Buzzacchielli Rosa, alle ore15.00 del 28 luglio 1917 in Ovada èmorto Trasparente Antonio (non risulte-rebbe deceduto all’Ospedale Militare diRiserva di Ovada) di anni ventisei(1891?), celibe, nato e residente aCrispano (Napoli), soldato del 7° Rgt.Artiglieria da fortezza, distretto militaredi Aversa, (atto di morte n. 32/1917 parteII B). Il nominativo non è presentesull’Albo d’Oro, mentre sull’atto è ripor-tata come fonte dell’avviso di morte laDirezione dell’Ospizio di Lercaro, poicancellata dal Pretore di Ovada con rela-tiva nota, ma non sostituita con altraindicazione.

1. SORREGOTTI CESARE diMarco e Sassi Teresa, alle ore 16.25 del16 gennaio 1918 all’Ospedale Militaredi Riserva di Ovada è morto SorregottiCesare di anni diciannove (27 novembre1899), nato a Montanara di Curtatone(Mantova), soldato del 7° Rgt.Artiglieria da fortezza, distretto militaredi Mantova, (atto di morte n. 1/1918parte II B). Il nominativo è presentesull’Albo d’Oro (decesso per malattia).

2. GROSSO ANDREA GIACIN-TO di Giuseppe e Giacchero Rosa, alleore 23 del 15 maggio 1918 all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada è mortoGrosso Andrea di anni diciannove (21agosto 1898), celibe, meccanico, nato e

residente a Ovada, soldato del 52°Autoreparto, 4° Autoparco (L’Albod’Oro riporta soltanto la 2ª Comp.Autom.), distretto militare di Voghera,(atto di morte n. 21/1918 parte II B). Ilnominativo è presente sull’Albo d’Oro(decesso per malattia) ed è ricordatonella ricerca sui caduti di Ovada.

3. BALDONI MARIANO di Ercole(sull’Albo d’Oro la paternità riportata èquella di Angelo) e Fuschina Alberta,alle ore 05.30 dell’8 giugno 1918all’Ospedale Militare di Riserva diOvada è morto Baldoni Mariano di annidiciotto (25 settembre 1900), celibe,nato e residente a Ravenna, soldato del38° Rgt. Fanteria, distretto militare diRavenna, (atto di morte n. 25/1918 parteII B). Il nominativo è presente sull’Albod’Oro (decesso per malattia).

GORLA MARIO (GIUSEPPE) diNatale e Trombetta Maria Ersilia, alleore 10.00 del 20 giugno 1918 è morto(non risulterebbe deceduto all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada e l’avvisodel decesso è del Pretore di Ovada)Gorla Mario di anni ventuno (15 maggio1897), celibe, “già insegnante nellescuole comunali di Como”, nato e resi-dente a Grandate (Como) (atto di nasci-ta 1897/14, atto di morte Grandate n.3/1918 parte II C), per infortunio perfatto di guerra, tenente dei bersaglieri(Albo d’Oro: 9° Reggimento Ber -saglieri), distretto militare di Como,(atto di morte n. 28/1918 parte II B). IlGorla risulta decorato di Medaglia d’ar-gento e di bronzo al V.M. Quest’ultimain riferimento ad una azione del 23 ago-sto 1917 sul Carso, mentre quella d’ar-gento è per l’estremo sacrificio del 20giugno 1918:“Durante un’istruzione dilancio di bombe a mano, avvenuto inci-dentalmente lo scoppio di una di esse,con calma ed incuranza del pericolo,nonché con elevato spirito di sacrificiofaceva scudo col proprio corpo alcomandante e ad altri militari del bat-taglione. Colpito a morte spirava colnome d’Italia sulle labbra. Molare(Alessandria) 20 giugno 1918”.Sull’Albo d’Oro il luogo del decesso è

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Ovada e l’atto di morte è stato emessodal comune di Ovada. Molare è uno deicomuni confinanti con Ovada è quindipossibile che il luogo dove è avvenutol’incidente fosse in territorio ovadese mamolto vicino a quello molarese, come icampi vicino alle rive del fiume Orba inlocalità Rebba, dove sappiamo si adde-stravano reggimenti militari presenti inOvada.

BORIN ERMENEGILDO diFortunato e Ferrato Teresa, alle ore19.30 del 23 giugno 1918 è morto (nonrisulterebbe deceduto all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada e l’avvisodel decesso è del comandante deiCarabinieri di Molare) BorinErmenegildo di anni diciotto, celibe,nato e residente a Arquà Petrarca(Padova), soldato del 9° Rgt.Bersaglieri, distretto militare di Padova,(atto di morte n. 29/1918 parte II B). Ilnominativo non è presente sull’Albod’Oro, o è stato omesso per dimentican-za oppure la causa della morte (che nonrisulta sull’atto) non è stata riconosciutacome fatto di guerra.

4. DE GIAMBATTISTA NATALEdi Antonio e fu Buzzalini GiovannaFuschina Alberta, alle ore 04.30 del 30giugno 1918 all’Ospedale Militare diRiserva di Ovada è morto DeGiambattista Natale di anni diciotto (25novembre 1900), celibe, nato e residentea Menarola di Gordona (Sondrio), solda-to del 9° Rgt. Bersaglieri, distretto mili-tare di Sondrio, (atto di morte n. 30/1918parte II B). Il nominativo è presentesull’Albo d’Oro che riporta in malattiala causa del decesso.

5. PARODI FRANCESCO diGiuseppe e (Serola ?) Maria, alle ore18.00 del 6 ottobre 1918 all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada è mortoParodi Francesco di anni venticinque(12 aprile 1893), celibe, nato a BelforteM.to e residente a Ovada, caporaledell’89° Rgt. Fanteria, distretto militaredi Voghera, (atto di morte n. 40/1918parte II B). Il nominativo è presentesull’Albo d’Oro come nativo di BelforteMonferrato (sulla lapide del paese non è

presente il nominativo); la residenza aOvada è sull’atto di morte. Come perl’Arecco il suo nominativo non è statoinserito fra i Caduti di Ovada nella ricer-ca pubblicata nel 2015. La causa dellamorte è riportata sull’Albo d’Oro: malat-tia.

6. TOSE VINCENZO di Nicola eMontini Giovannina, alle ore 21.30dell’8 ottobre 1918 all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada è mortoTose Vincenzo di anni diciotto (9 ottobre1900), celibe, nato a CastellammareAdriatico (allora comune della prov. diTeramo, oggi territorio del comune diPescara), residente a Milano, soldatodell’89° Rgt. Fanteria, distretto militaredi Teramo (o Milano, luogo di residen-za), (atto di morte n. 42/1918 parte II B).Il nominativo è presente sull’Albo d’Orocome nativo di CastellammareAdriatico; la residenza a Milano è sul-l’atto di morte. L’Albo riporta la causadel decesso in malattia.

7. MAGALOTTI GIOVANNIBATTISTA di Domenico e GiulianiniMaria, alle ore 10.30 del 10 ottobre 1918all’Ospedale Militare di Riserva diOvada è morto Magalotti Giovanni di

anni diciannove (13 ottobre 1899), celi-be, nato e residente a Cesena, soldatodell’89° Rgt. Fanteria, distretto militaredi Forlì, (atto di morte n. 43/1918 parteII B). Il nominativo è presente sull’Albod’Oro che riporta in Domenico Cesare lapaternità e la causa del decesso in malat-tia.

8. GRAZIANI VINCENZO diAntonio e fu Ricci (Marcolina ?)Antonia, alle ore 19.00 del 13 ottobre1918 all’Ospedale Militare di Riserva diOvada è morto Graziani Vincenzo dianni diciotto (18 luglio 1900), celibe,nato e residente a Sant’Agata sulSanterno (oggi prov. di Ravenna), solda-to del 43° Rgt. Fanteria, distretto milita-re di Ravenna, (atto di morte n. 44/1918parte II B). Il nominativo è presentesull’Albo d’Oro che riporta però il 38°come reggimento di appartenenza (pro-babilmente errando) e la causa deldecesso in malattia.

9. GRAFFIETI GIOVANNI fuDionigio e fu Turci Maria, alle ore 07.30del 20 ottobre 1918 all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada è mortoGraffieti Giovanni di anni diciotto (23febbraio 1900), celibe, nato e residente a

In questa pag.: piazza San Domenico e palazzo Spinola in unafoto d’epoca. Come citato dall’articolo giornalistico, una partedel palazzo venne requisita dai militari ma mai occupata.

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Mercato Saraceno (oggi prov. Forlì -Cesena), soldato dell’89° Rgt. Fanteria,distretto militare di Forlì, (atto di morten. 45/1918 parte II B). Il nominativo èpresente sull’Albo d’Oro che riportacome causa del decesso la malattia.

11. FRATTINI EMILIO diFrancesco e (Grattiola ?) Maria, alle ore23.30 del 20 ottobre 1918 all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada è mortoFrattini Emilio di anni ventisette (22giugno 1891), celibe, nato e residente aSangiano (oggi in prov. di Varese, alloraprov. di Como), caporal maggiore del43° Rgt. Fanteria, distretto militare diVarese, (atto di morte n. 47/1918 parte IIB). Il nominativo è presente sull’Albod’Oro che riporta come causa del deces-so la malattia.

12. PREDA GUIDO (FELICE) diCarlo e Caruzzani Rosa, alle ore 15.20del 23 ottobre 1918 all’OspedaleMilitare di Riserva di Ovada è mortoPreda Guido di anni ventisette (25 otto-bre 1891), celibe, nato e residente aPavia, soldato del 34° Btg. MiliziaTerritoriale, distretto militare di Pavia,(atto di morte n. 48/1918 parte II B). Ilnominativo è presente sull’Albo d’Oroche riporta in Guido Felice il nome (sul-l’atto solo Guido) e come causa deldecesso la malattia.

13. FEDEL GIOVANNI BATTI-STA fu GioBatta e Fedel Caterina, alleore 13.40 del 26 ottobre 1918all’Ospedale Militare di Riserva diOvada è morto Fedel GioBatta di annitrentadue (1886 ?), operaio, nato e resi-dente a Miola di Baselga di Piné (oggiin prov. di Trento), ex prigioniero russoliberato (atto di morte n. 51/1918 parte IIB). Il nominativo non è presentesull’Albo d’Oro. Non ci è chiaro lo sta-tus del Fedel: ex prigioniero russo libe-rato e non sappiamo, dell’ex militareaustro ungarico di etnia italiana, levicende e il percorso fatto per arrivare aOvada.

14. CACCIOLA FRANCESCO diPaolo e Pisano Lucia, alle ore 16.30 del27 ottobre 1918 all’Ospedale Militare di

Riserva di Ovada è morto CacciolaFrancesco di anni trentotto (1° maggio1880), nato e residente a Aversa (prov. diCaserta), soldato del 1° Rgt. Genio,distretto militare di Aversa, (atto dimorte n. 52/1918 parte II B). Il nomina-tivo è presente sull’Albo d’Oro cheriporta però come luogo del decessoPavia e come causa del decesso lamalattia.

Da questo elenco risulta un nomina-tivo in più dei 17 del secondo periodo

riportati dall’articolo giornalistico per-ché i dati degli atti di morte dei “prigio-nieri austriaci di guerra che si trovava-no in queste regioni adibiti a lavori agri-coli e colpiti da gravi forme di influenzacon 4 morti” (Balatescu Vergil, CiorbaMichaly, Aleksandruk Michaly eKostraba Georg) riportano come luogodel decesso l’Ospedale Militare diRiserva di Ovada.

In questa pag.: personificazione della pandemia influenzale detta“spagnuola”. Vignetta del 1918 di “Fra Menotti” pseudonimo diMenotti Bianchi (1863 - 1924), disegnatore caricaturista barese.© www.14-18.it Documenti ed immagini della grande guerra.

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La Grande Guerra 1915-1918:i caduti di Silvano d’Orba (3ª parte)

di Giovanni Calderone

ROBBIANO Lorenzo di Paolo eMatilde Coco, sacerdote, Cappellanomilitare e tenente nel 2° reggimentoAlpini, battaglione Monviso. Nato il 3aprile 1891 a Silvano d’Orba, è morto il7 giugno 1916 sul Monte Fior(Altopiano di Asiago) per le ferite ripor-tate in combattimento.

Ecco quanto risulta dall’atto di morteredatto dal tenente Raffaele Vallone del111° reggimento di Fanteria (BrigataPiacenza) e ricevuto il 10 di ottobre del1917 da Enrico Craffen , Sindaco eUfficiale di Stato Civile del comune diSilvano d’Orba: “… l’anno 1916 ed alliventicinque del mese di giugno nelMonte Fior si rinveniva il cadavere, giàdato disperso il sette giugno millenove-centosedici, del Tenente CappellanoRobbiano don Lorenzo del 2° reggi-mento Alpini, battaglione Monviso …morto in seguito a feri-ta ad una gamba econseguente emorra-gia … ”.

L’atto di morte delCappellano delMonviso è stato redat-to da un ufficiale del111° reggimento dellaBrigata Piacenza, per-ché il 15 giugno i duereggimenti della“Piacenza” avevanodato inizio a un’azioneoffensiva controMonte Ca stelgom ber -

to e Monte Fior e il 25 giugno, doponotevoli sforzi e perdite rilevanti, aveva-no ripreso gran parte delle posizionitenute dagli Alpini del BattaglioneMonviso soltanto venti giorni prima erecuperato i corpi di diversi Caduti.

Nel piccolo cimitero di Malga Lorafu dunque sepolto il Cappellano delMonviso assieme ai corpi di altri uffi-ciali e soldati trovati insepolti dai fantidel 111° reggimento della BrigataPiacenza.

Purtroppo, però, durante la battagliad’arresto del novembre – dicembre1917, l’artiglieria austriaca colpì undeposito della nostra artiglieria in ValCapra e causò un’esplosione simileall’eruzione di un vulcano.Pr oi ettili di medio e anche grosso cali-bro furono “catapultati” nella zona diMalga Lora e scoppiarono, a loro volta,proprio sul piccolo cimitero, dove eranostati sepolti i Caduti del 1916.I loro resti furono dispersi per tutta lapiana, probabilmente assieme a quelli dinostri nemici. Quello che poi fu ritrova-to, venne ricomposto alla meglio, manon si riuscì a stabilire con certezza aquale Caduto appartenesse effettivamen-te ciò che fu recuperato, tanto grandeera stato il “disastro” provocato dalleesplosioni.

Il Battaglione Monviso, nappinaverde, era costituito dalle compagnie80, 100 e 124 ed era comandato dalmaggiore Ernesto Bassignano, in quei

giorni comandante interinale delGruppo Alpini Foza che era costituitoda due batterie di artiglieria da monta-gna e da quattro battaglioni alpini: ilMorbegno del 5° Alpini, l’Argentera, ilVal Maira e il Monviso del 2° Alpini.

Lasciata Cividale il 24 maggio 1916,il Monviso si era spostato in treno fino aBassano e aveva poi proseguito perLusiana, sull’Altopiano di Asiago, dovegiunse la notte del 26 maggio. Due gior-ni dopo il battaglione occupa monteMeletta di Gallio, ma il 30 maggio, “…visto con quali forze di artiglieria e difanteria ha attaccato il nemico …”, ilcomandante interinale del Gruppocomunica al comando del 14°Bersaglieri la decisione di ripiegare,durante la notte per evitare le artiglierienemiche, su Monte Castelgomberto,dove conta di effettuare la massima resi-stenza. Il 1° giugno assume il comandoil tenente colonnello Stringa e il 2 giu-gno il battaglione Monviso si riuniscenei pressi di Malga Lora e concorre alleazioni sul Monte Sbarbatal. Il 5 giugnoalle ore 11 l’artiglieria nemica cominciaa battere le nostre posizioni; alle 14 la124^ compagnia del Monviso è mandataa Colletta di monte Fior in rinforzo albattaglione Morbegno. Gli alpini resi-stono con successo a numerosi attacchi;il 6 giugno, dopo un lungo, intenso epreciso bombardamento, il nemico lan-cia le sue fanterie in un violento attaccocontro la linea Monte Castelgomberto –

Monte Fior.L’alpino Mario

Maf fi di Cuneo, nipotedel valoroso coman-dante del battaglioneMonviso, il maggioreErnesto Bassignano,nel suo pregevolevolume dedicato alnonno, “L’onore diBassignano” (GaspariEditore – Udine),riporta quanto scrittodal capitano VincenzoPaolini, comandantedell’80^ compagnia

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del Monviso: “L’attacco è subìto perla massima parte dall’Argentera edal Val Maira che, decimati in par-tenza dal tiro esattissimo dell’arti-glieria, dopo un’epica difesa sonocostretti a ripiegare.

Durante l’attacco la 124^ compa-gnia … perde quasi tutti i suoi uomi-ni …” compreso il comandante, l’e-roico capitano Giovanni Re, decoratoalla memoria con Medagliad’Argento al Valor Militare.Continua il capitano Paolini: “Venneferito anche gravemente ilCappellano don Robbiano portatosialla Colletta di Monte Fior mentrepiù violento era il combattimentoper prestare la sua opera pietosa..

Fu miracolosamente portato insalvo a Malga Lora, ma quivi dove-va trovare morte straziante, credo,per dissanguamento e fame, perchénella notte - causa il ripiegamento -tale località venne abbandonata. Nefu tentato il salvataggio più volte, mail nemico che sapeva che nellaMalga erano stati trasportati nostri feri-ti, vigilava e sparava sui valorosi checercavano portare aiuto ai disgraziati.Fu necessario abbandonarli alla tristesorte per evitare altre perdite. Il cadave-re del Cappellano e quelli di altri pove-ri Alpini vennero … ritrovati parecchigiorni dopo da un reparto di Fanteria,avendo il nemico ripiegato in seguitoalla nostra pressione ”.

L’8 giugno il battaglione Monvisodeve ripiegare sulle difese di monteTonderecar dove resiste fino al 12 giu-gno, quando viene sostituito in linea escende a Lazzaretti per essere ricostitui-to.

L’eroico comportamento in batta-glia merita ai tre battaglioni del 2°Reggimento Alpini, la Medagliad’Argento al Valor Militare, concessaper iniziativa diretta di Sua Maestà il Re,Vittorio Emanuele III.

La motivazione è la seguente:“Fulgido esempio di valore e virtù mili-tari, i battaglioni Argentera, Val Mairae Monviso, resistendo con gravi perdite

a superiori forze nemiche, mantenevanoimportanti posizioni a Monte Fior eCastelgomberto ”. 6 -7- 8 giugno 1916.

Sempre da “L’onore di Bassignano”di Mario Maffi ecco cosa ci racconta“sulla morte in combattimento” del“suo” Cappellano, il comandante delMonviso, in una lettera a don TommasoCasetta, Cappellano del battaglione ValMaira: “La mattina del 7 giugno, pre-stissimo, il Cappellano don LorenzoRobbiano che si trovava col sottoscrittosulle pendici Est del MonteCastelgomberto, mi domandava il per-messo di recarsi ad assistere i feriti chevenivano raccolti a Malga Lora, anchecon la considerazione che là ve ne dove-vano essere molti della 124^ compagnia,la più fortemente impegnata delBattaglione …

Davo l’autorizzazione facendo a donRobbiano un sentito encomio per il suospirito di sacrificio e amore cristiano e,augurandogli di rivederci più tardi, glistrinsi la mano. Purtroppo furono quellele ultime parole che ci scambiammo,non lo vidi più.

La mattina dell’8 giugno, quan-do, ricevuto l’ordine di ritirarmi,riunii i resti del Battaglione sulMonte Tondarecar, seppi … daparecchi ufficiali e soldati che ilgiorno innanzi, Egli, dopo aver pro-digato le sue cure ai feriti presso laMalga Lora, aveva cercato di indur-re … i soldati, che erano scesi giù inaccompagnamento dei feriti, a risali-re in trincea. Vedendoli titubanti,dopo averli rincuorati, si era messoalla loro testa e li aveva accompa-gnati coraggiosamente in linea.Purtroppo nel salire verso le trinceecadeva colpito alle gambe dallamitragliatrice, assieme a parecchialtri soldati e veniva avvolto, poi,dalla nebbia.

Trovato più tardi, era portato conaltri feriti alla malga, dove veniva …medicato, ma … in seguito all’emor-ragia sofferta, soccombeva dopopoche ore …

Il mattino dell’8 giugno ci riti-rammo dalla posizione e dovemmo

abbandonare i nostri Poveri Morti, cherimasero in zona … Se i nostri o gliaustriaci hanno dato sepoltura ai povericaduti dove io avevo iniziato un piccolocimitero, la salma di Don Robbianodovrebbe essere stata deposta, con lealtre, in un piccolo spianato a est dellaMalga Lora.

Può darsi che chi comandava allorala Brigata Sassari e fece nei giorniseguenti l’avanzata che ci ridiede leposizioni perdute … possa dire qualcosadi certo.”

Anche il maggiore ErnestoBassignano, comandante del battaglioneMonviso fu decorato, in quei giorni, conla Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il colonnello Celestino Bes, coman-dante del 2° Alpini nel 1919, nel raccon-tare gli avvenimenti del 7 giugno 1916scrive testualmente: “… caduto il capi-tano Re della 124^ del Monviso, ilCappellano militare riuniti i pochisuperstiti ne assume il comando e conessi si slancia al settimo assalto allabaionetta, davanti al quale il nemico

Nella pag. prec. in basso: il piccolo cimitero militare italiano di Malga Lora inuna foto dell’epoca di fonte austriaca. © Europeana Collection 1914 - 1918.

In questa pag.: ritaglio del giornale “Il Popolo” di Tortona del 2 luglio 1916.© www.14-18.it Documenti ed immagini della grande guerra.

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indietreggia, e muore eroicamente”.Sulla morte di Don Lorenzo

Robbiano ci ha inviato alcune importan-ti informazioni anche l’alpino MassimoPeloia del Gruppo Alpini di Saronno,tratte dall’Albo d’oro del Nastro Azzurroe da Fanterie Sarde all’ombra del trico-lore, scritte, queste ultime, dal tenenteGraziani della Brigata Sassari dopo lacaduta di monte Castelgomberto.

Dall’Albo d’oro del Nastro Azzurro:“… nella furiosa battaglia del giugno1916 sulla Colletta di Monte Fior, ilCappellano del Monviso, don LorenzoRobbiano, dopo aver trascorso un’inte-ra giornata a soccorrere i feriti e i mori-bondi, avendo saputo che il capitano diuna compagnia in primissima linea erarimasto gravemente ferito, durante lanotte, da solo, avanzava oltre gli avam-posti e, nella pietosa ricerca, giungevaoltre i reticolati a pochi metri dal nemi-co… Lo scoppio di una granata glimaciullava le gambe … ( abbiamo lettotestimonianze più dirette che parlano di“proiettili di mitragliatrice”) … egli spi-rava, dopo ore di agonia, senza che isuoi ragazzi potessero neppure recupe-rare la salma…”. E, da Fanterie Sarde,che riporta quanto scritto dal tenenteGraziani: “… all’alba dell’8 giugnoabbiamo mandato Oreti, un graduato etre uomini alla casupola della Malga,per dare e ricevere notizie.Dopo un’interminabile attesa sono tor-nati su a riferirci che vi avevano trovatoil biondo cappellano degli alpini che dasé si era acconciato in una barella, gra-vissimo, con un rosario fra le maniincrociate in attesa della morte … e …quattro ufficiali alpini già cadaveri emolti soldati morti; cinque altri gravis-simi e uno soltanto valido, lasciato lì aguardia del cimitero e a inumidire lelabbra dei morenti … ”.

Il sottotente Piero Robbiati, aiutantemaggiore in seconda nel battaglioneMonviso scrisse sul proprio diario: “…il battaglione ha perso anche ilCappellano militare don LorenzoRobbiano, caduto ferito alle cosce dapallottole di mitragliatrice mentre,

sostituito il capitano Re, conduceva lacompagnia al contrattacco. I nostrimorti furono lasciati insepolti sul campo… ”.

Don Lorenzo Robbiano è stato deco-rato con la Medaglia d’Argento al ValorMilitare la cui motivazione fu la seguen-te: “Incurante dell’evidente pericolo,con serena energia, volontariamente siportava ove più ferveva la mischia, perassistere i feriti e animare alla lotta isoldati. Cadeva, colpito a morte, a pochimetri dal nemico”. Colletta Monte Fior,7 giugno 1916.

La medaglia alla memoria fu conse-gnata alla mamma di don Lorenzo nelcorso di una solenne cerimonia svoltasia Novi Ligure nella ricorrenza del XXsettembre del 1917, come riferito dalMessaggero di Novi del 22 settembredello stesso anno.

SCALZO Biagio di Vincenzo eMoiso Rosa, soldato del 222°reggi-mento di fanteria della Brigata Jonio,matricola n. 34418.

Nato il 27 giugno 1894 a Silvanod’Orba, è disperso in combattimento sulPiave il 16 giugno 1918; la sua salma,però, viene rinvenuta la mattina del 20giugno, alle “ … ore nove equindici …” precisa l’atto di morte, nelcorso dei combattimenti sull’ansa diZenson (Argine di San Marco).

Siamo vicini alla foce del Piave, acirca 15 km dal mare, nei pressi di Capod’Argine e Fossalta di Piave. Il 222°

Reggimento, schierato il 16 giugno traVilla Premuda e Cascina Cappellin, èchiamato, da subito, a respingere vee-menti attacchi nemici.

Biagio muore in quello stesso giorno“ … in seguito a ferita da pallottola dimitraglia nemica …” nel corso di unaspro e confuso combattimento sulPiave, mentre contribuisce alla tenacedifesa delle nostre linee.

È stato sepolto nel cimitero diZenson di Piave. I Caduti sepolti in unprimo tempo a Zenson furono poi trasfe-riti nel Sacrario militare di Fagarè dellaBattaglia, ma non lo abbiamo trovato traquelli noti inseriti nell’elenco ufficiale.

SCALZO Lorenzo di Vincenzo eMoiso Rosa, soldato della 276^ sezionemitraglieri FIAT, matricola n. 28707. Èil fratello maggiore di Scalzo Biagio.Nato il 14 luglio 1891 a Silvano d’Orba,è morto alle ore nove del 31 gennaio1917, per le ferite riportate in combatti-mento, nell’ospedaletto da campo n.106, che si trovava a Quisca.Sugli elenchi dei caduti della GrandeGuerra la morte di Lorenzo è attribuitaalle ferite riportate in combattimento,ma sull’atto di morte il tenente medicoGioacchino D’Amico scrive: “ … perferite multiple accidentali …”.La 276^ sezione mitragliatrici, poi 276^compagnia mitragliatrici - ma sull’attodi morte “il 276° RepartoMitragliatrici” - era inquadrata nel VICorpo d’Armata alle pendici del Monte

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In questa pag.: Il cimitero militare italiano di Quisca in una cartolina dell’epoca.

Sabotino, poco a norddi Gorizia, nella zonatra Borgo Carinzia eSalcano, e partecipa-va alle operazioniche, nel mese di gen-naio 1917, avevanocome obiettivo ladifesa delle posizioniconquistate con gran-de sacrificio nel corsodell’ottava battagliadell’Isonzo (10-12ottobre 1916).Lorenzo fu sepolto aQuisca - oggiKojsko,, in Slovenia,non distante daGorizia - e trasferito, in seguito, nelSacrario Militare di Oslavia, tomba13876.

SCIUTTO Celeste di Domenico eLanza Maria, sergente nel 41° reggi-mento di fanteria della BrigataModena, matricola n. 34419.Nato il 13 aprile 1894 a Silvano d’Orba,è disperso in combattimento sul Carso il19 agosto 1917.

Siamo nel corso dell’undicesima bat-taglia dell’Isonzo ( 17 agosto – 12 set-tembre 1917) e la Brigata Modena èschierata dal 16 agosto nel settore diVertojba. Il 19 e 20 agosto muove all’as-salto delle linee nemiche ad est del cen-tro abitato a quota 101 e 123 m. sul livel-lo del mare.

Nonostante il valore dei nostri giova-ni soldati, non riesce la conquista delleposizioni nemiche sia perché difese daun numeroso presidio, sia perché protet-te dal fuoco di sbarramento delle arti-glierie e da quello, devastante, dellenumerose mitragliatrici.

La Brigata, assottigliata dalle graviperdite subite, 1300 uomini, il 23 agosto1917 è mandata a riposo a Lucinico,nelle immediate vicinanze di Gorizia.

Il sergente Sciutto, però, non ritornatra i suoi e non si trova nemmeno tra icaduti. Considerato disperso in combat-timento, di lui si perde, effettivamente,

ogni traccia; ha da poco compiuto 23anni. Il suo nome non compare sullalapide di Piazza Cesare Battisti chericorda i Caduti della Grande Guerra eneppure è stato ritrovato il suo atto dimorte.

SCIUTTO Giovanni Battista diSebastiano e Lanza Vincenza, soldatonella 12^ compagnia del 73° reggimen-to di fanteria della Brigata Lombardia,matricola n.3412.

Nato il 18 agosto 1893 a Silvanod’Orba, è morto il 7 luglio 1915 nel-l’ospedaletto da campo n. 103, per leferite riportate in combattimento.

La guerra è iniziata da appena unmese e mezzo e già a Silvano c’è ilprimo caduto; non ha ancora compiuto22 anni !

Siamo nelle immediate vicinanzedella città di Gorizia sulle pendici delMonte Calvario, molto più noto colnome sloveno di Podgora, ed è in corsola prima battaglia dell’Isonzo ( 23 giu-gno – 7 luglio 1915).

Il monte, che in realtà è una collinaalta circa 250 metri, sovrasta da ovest lacittà e ne costituisce un importante ele-mento di difesa.

Una serie di sanguinosi assalti, ripe-tuti con eroica tenacia, si infrange, pur-troppo, contro le difese nemiche; lenostre perdite tra morti, feriti e dispersi

sono molto elevate(circa 15000 uomini)e la sera del 7 lugliogli attacchi vengonoso spesi.

Il nostro compae-sano è stato ferito gra-vemente alla trachea emuore nel pomeriggiodi quello stesso gior-no a Quisca - oggiKojsko, in Slovenia,non distante daGorizia - nell’ospeda-letto da campo n. 103del VI Corpo d’Ar -mata.

Ecco quanto ripor-tato sul suo atto di morte: “... l’anno1915, alli sette del mese di luglio nell’o-spedaletto da campo n.103, alle orequindici e minuti quindici, mancava aivivi, in età di anni ventuno, il soldatoSciutto Giovanni Battista Agostino della12^ compagnia del 73° Reggimento diFanteria … morto in seguito a ferita diarma da fuoco … con lesione della tra-chea, sepolto a Quisca …”.

La sua salma è stata poi traslata nelSacrario Militare di Oslavia, tomba n.14015.

SCIUTTO Paolo di Giuseppe eCanepa Catterina, soldato del 37° reg-gimento di fanteria della BrigataRavenna, matricola n. 24303.È nato il 1° marzo 1890 a Silvanod’Orba ed è morto il 25 aprile 1916 “…alle ore antimeridiane due e minuti nes-suno …” nell’Ospedale Militare diUdine, per le ferite riportate in combat-timento.

Quando Paolo Sciutto, celibe, fu feri-to, era da poco terminata la quinta batta-glia dell’Isonzo (9 - 15 marzo 1916) e laBrigata Ravenna era in linea nella testadi ponte di Plava, centro abitato sullariva sinistra dell’Isonzo poco a nord delMonte Kuk (Monte Cucco).

Soccorso e portato nell’ospedalettoda campo più vicino, Paolo fu poi trasfe-rito all’Ospedale Militare di Udine, ma

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non riuscirono a salvarlo. Nell’atto di morte non è pre-

cisato dove sia stato sepolto, e ilsuo nome non figura nell’elencodei Caduti del Sacrario Militaredi Udine, dove sono raccolte lesalme di 21.513 soldati, ma soloa 15.855 di queste si è potutoattribuire un nome. Le spogliemortali del nostro Paolo si tro-vano nel Tempio Ossario diUdine al loculo n.7897; ilcognome è diventato Siutto, matutto il resto corrisponde.

L’atto di morte fu spedito daUdine solo cinque anni dopo, il21 aprile 1921, e fu registrato aSilvano il 13 maggio successivodall’Ufficiale di Stato CivileCensi Gian Paolo.

VALLETTO Enrico Ste fano diPellegrino e di Camera Gerolama, nato aSilvano d’Orba il 19 maggio 1893, sol-dato della 258ª compagnia mitraglieriFIAT, matricola n. 32257.

Chiamato alla visita di leva il 19marzo 1913, viene lasciato in congedoper oltre sei mesi; il 23 settembre diquello stesso anno è incorporato nel 61°reggimento di Fanteria della BrigataSicilia.

Sul foglio matricolare è riportatocome Valletti Stefano Enrico.Non sa né leggere, né scrivere, è alto 1metro e 56 cm, ha la dentatura guasta efa il contadino.

Allo scoppio delleostilità la “Sicilia” si trovagià in zona di operazioni,tra Barghe e Crone (lagod’Idro) e il 24 maggiosconfina ed occupa le altu-re di Cima Spessa, diMonte Stigolo, Cima deiVisi e la fortezzad’Ampola senza incontra-re resistenze.

Ricognizioni inviate aTiarno e Bezzecca in Valdi Ledro rivelano la pre-senza di una debole linea

di osservazione nemica; solo agli inizi diottobre avvengono i primi scontri conpiccoli reparti nemici lungo le pendici diCima Melino, di Cima Palone e diMonte Giovo.

Il 18 e 19 ottobre reparti dellaBrigata riescono a conquistare CimaPalone e a catturare un’ottantina di pri-gionieri. Il 7 dicembre il 1° e il 2° batta-glione del 62° reggimento, con una com-pagnia Alpina del battaglione Vestone,iniziano l’attacco al Monte Vies cheriescono a occupare, dopo molti tentati-vi, il giorno 11. Nei due giorni successi-vi per meglio collegare le posizioni diMonte Palone e di Monte Vies, reparti di

entrambi i reggimenti dellaBrigata tentano la conquista delMonte Nozzolo, ma non riesco-no nell’impresa sia per la tenaceresistenza del nemico che per leavverse condizioni atmosferi-che.

Ha così inizio la pausa inver-nale che dura fino alla primasettimana di aprile del 1916; ilnostro Stefano, però, il 3 aprileha lasciato il 61° reggimentodella Brigata Sicilia per trasferir-si al Centro di addestramento diBrescia dei mitraglieri FIAT.

È di nuovo in territoriodichiarato in stato di guerra unanno dopo, il 3 aprile 1917.

Il 24 maggio successivo,però, Valletto Enrico Stefanomuore sul Carso per le ferite

riportate in combattimento.Si a mo sempre nel corso della decimabattaglia dell’Isonzo: 12 maggio - 8 giu-gno 1917.

Sull’atto di morte redatto dal sottote-nente Arturo Tricarico è riportato comeValetti Stefano, figlio di Giovanni (maanche Pellegrino era uno dei nomi di suopadre) e di Camera Girolama.

La 258ª compagnia mitraglieri è conla Brigata Ravenna nella zona diVertojba, pochi chilometri a est diGorizia, quando inizia l’attacco italiano.La situazione diventa ben presto diffici-le e confusa; gli austriaci rispondonocon forza ai nostri attacchi e tante giova-

ni vite, da una parte e dal-l’altra, vengono “briciate”in pochi giorni. Nel corsodelle operazioni del 24maggio, alle ore 15, nellalocalità a quota 144 sulCarso, cade il nostro gio-vane Stefano “… a seguitodi scoppio di granataaustriaca ”.

Non sappiamo, però,dove sia stato sepolto.

In questa pag., in alto: Il Tempio Ossario di Udine in una foto di Daniele Colussi.In basso: panorama di quota 144 Doberdò (Carso). © www.14-18.it Documenti edimmagini della grande guerra.

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Raus!I primi mesi dell’occupazione tedesca di Ovada dopo l’8 settembre 1943di Pier Giorgio Fassino

Si dice che il marchese

Agostino Pinelli Gentile1,appresa la notizia dell’armisti-zio con gli anglo-americani,abbia telefonato all’amicoGiuseppe Salvago Raggi percogliere qualche commento dauna personalità qualificata perla sua lunga militanza in diplo-mazia su di un evento cosìdrammatico e coinvolgente.

Dal canto suo, il marcheseSalvago Raggi, nonostante ilconsueto stile da diplomatico di lungocorso, aveva emesso un giudizio tran-chant: i tedeschi ci avrebbero considera-to dei traditori e, come tali, ci avrebberotrattato. Anzi, al termine della conversa-zione, l’Ambasciatore avrebbe chiuso latelefonata con un augurio perfettamentein linea con le circostanze: “Gutenach!” .

Il Nobile tagliolese era rimasto col-pito dall’inappellabile giudizio (siglatocon quel “buona notte” in tedesco) ma -mentre trascorreva la serata dipingendo -lo confortava il pensiero che Roma eralontana e lontanissima Berlino con il suoReichstag ancora segnato dal rovinoso

incendio2. E poi, quel Rommel, abituatoa manovrare intere divisioni corazzatedell’Afrika Corps nelle distese del deser-to libico, non avrebbe inviato un sologrenadier tra quelle colline monferrinecoperte di vigneti e abitate da pacificicontadini che mai avrebbero imbraccia-to un fucile per opporsi ad una occupa-zione militare. Quindi, il Pinelli Gentilesi era preparato a trascorrere una pacifi-ca nottata.

Ora, tralasciamo questi fatti – pura-mente leggendari - per risalire alle primeore di mercoledì 8 settembre 1943: inOvada era giorno di mercato e le vie delcentro storico erano particolarmente ani-mate. Poche le bancarelle presenti ma ilvocio di loquaci sfollati genovesi e di vil-leggianti attirati dalla vendemmia davanoun certo tono di festosità.

Al contrario, gli amplificatori, instal-lati nei punti più centrali della città, nel

19383, per diffondere i discorsi del Ducein occasione delle “adunate” e - nelperiodo bellico - utilizzati per avvisarela popolazione di una imminente incur-sione aerea anglo-americana, quellamattina erano stati silenziosi. Una fortu-na poiché, nei giorni immediatamenteprecedenti, i bombardamenti lungo laPenisola erano stati particolarmenteintensi per ricordare ad un sovrano e adun governo che - il 3 settembre ‘43 -sotto una tenda allestita tra gli aranceti egli uliveti di Cassibile, un rappresentan-te del Regno d’Italia aveva sottoscrittoun armistizio con gli Stati Uniti e laGran Bretagna. Operazioni seguite, nelleprime ore dell’8 settembre, da un bom-bardamento aeronavale della costa cala-brese contestualmente allo sbarco (traVilla S. Giovanni e Reggio Calabria) ditruppe canadesi e britanniche per attira-re rinforzi tedeschi da Salerno ovesarebbe avvenuto lo sbarco principale.

Ma l’Ovadese era molto distantedalle convulse spiagge calabresi e la vitacontinuava con la normalità di un terri-torio lontano dai fronti.

Nel palazzo comunale tutto era tran-quillo. Gli uffici erano quasi deserti tran-ne due: l’“Ufficio Annonario”, partico-larmente affollato da cittadini per il riti-ro delle tessere che consentivano l’ac-quisto degli alimenti basilari come ilpane, e la sede dell’Ente Comunale diAssistenza.

I collegamenti ferroviari conGenova, Acqui ed Alessandria avevanofunzionato regolarmente come la vettura

a cavalli per trasporto di pas-seggeri e merci da Molare aOvada e viceversa. Servizioantiquato ma ancora in augecome l’“indennità di cavalca-tura” concessa, nei primi anniquaranta, dal Comune diOvada al medico condotto ed

al veterinario comunale4 persvolgere le loro attività nellefrazioni e presso i contadinidelle campagne circostanti.

Invece nel pomeriggio lacittadina era tranquilla e DomenicoAlberti, guardia comunale, si era dedica-to ad alcuni accertamenti sulle reali con-dizioni di coloro che chiedevano aiutieconomici all’Ente Comunale diAssistenza o alla Commissione per i sus-sidi oppure direttamente al Podestà.

Tutte le richieste erano sostanzial-mente uguali, salvo lo stile che denotavail diverso grado di cultura del suggerito-re o dell’autore come le seguenti conser-vate in un vecchio faldone:

“La sottoscritta Bianci Angela, abi-tante in via Cernaia fà appello a codestosignor Podestà acciocché intervenga conun aiuto straordinario per il manteni-mento del piccolo bambino ammalato edella famiglia essendo stata sinistra-ta...”;

“Io sotoscritta faccio questa doman-da che spero sarà accetata, perche sonovedova con tre bambini da mantenere enon oh nessuno che mi da il minimoaiuto […] perche oh i bambini senzavestimenti senza scarpe e senza mangia-re e loro questo lo capiranno perche ciòche danno con la tessera non mi basta...”

“Caro Camerata,Mi perdonerete se mi rivolgo diretta-

mente a Voi, si tratta di aiutare un mioLegionario che non riesce ad averequanto gli spetta, quantunque da lungotempo si rivolga a destra e a mancasenza purtroppo riuscire ad ottenere ilriconoscimento del suo diritto.

Si tratta del Vice Capo SquadraAiraldi Paolo di Giovanni il quale èmobilitato col 38° Battaglione Camicie

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Nere dal mese di Agosto1939.

Suo padre, residente adOvada, via S. Paolo, 37, nonè ancora riuscito ad avere uncentesimo di sussidio mal-grado le ripetute richieste edi ricorsi alla Prefettura diAles sandria che a nullahanno valso.

Il Comune di Ovada si èfissato sulla negativa con lacaparbietà di uno dei nostrimuli, motivando il suo rifiu-to coll’affermazione che aipensionati dello Stato che hanno figlirichiamati alle armi non spetta alcunsussidio. Non mi risulta che il decretorelativo ai sussidi per le famiglie deimilitari richiamati alle armi contenga lasuddetta eccezione e d’altra parte sareb-be opportuna, a mio modesto parere, unacerta larghezza di vedute quando si trat-ta di Camicie Nere che volontariamenteaffrontano i rischi ed i pericoli dellaguerra senza nulla chiedere se non unappoggio alle proprie famiglie.

Ho pensato di rivolgermi a Voi cono-scendo le Vostre idee in proposito; Viprego pertanto di interporre i Vostribuoni Uffici affinché il mio Legionarioveda finalmente esaudito il suo deside-rio.

Sono certo che prenderete a cuore laquestione e Vi sarò grato se mi vorreteinviare un cortese cenno di risposta.

Vogliate gradire i miei cordiali saluticoll’espressione della mia viva ricono-scenza.

Capo Manipolo Mario De Longhi38° Battaglione Camicie Nere -Manduria.”

Quindi nel curiosare in una cartelladi deliberazioni, finita per chissà qualemotivo su quella decrepita scrivania siera soffermato a leggerne una:

“REGIA SCUOLA SECONDARIA DIAVVIAMENTO PROFESSIONALE (COM -ME RCIALE) “VINCENZO ALFERANO”

Ovada, 6 Giugno 1941Al REGIO PODESTA’ di OVADA

Vi sarei oltremodo grato se vorrete

essere tanto gentile da dare disposizioniper la gratifica di una piccola somma,come nel decorso anno, da versare ai dueistruttori dei Corsi di lavoro: SuorEnrica delle Figlie della Misericordia,per il corso di ricamo, taglio, cucito esbalzo e il Prof. Domenico Repetto per ilCorso di viticoltura, apicoltura, innesto,potatura. ecc. ....

Detti corsi, nonostante l’anticipatachiusura dell’anno scolastico, hannodato ottimo risultato secondo i dettamidella Carta della Scuola.

Con la massima osservanza.Fascistici saluti. Il Direttore (illeggibi-le)”

Per ultimo aveva messo in ordine uncassetto e, tra diversi fogli da cestinare,aveva trovato una lettera sgualcita:

“FASCIO FEMMINILE di OVADA Ovada, 7.6.1943 - XXI - Camerata,È indetta dalle Superiori Autorità una

fraterna gara di offerta di indumentiusati: vestiti, sottane, scarpe ecc. (…) afavore della Popolazione Siciliana sini-strata dall’insistente e barbaro attaccoanglo-americano.

Lo sforzo è immane perché troppisono i danneggiati ma l’assistenza e ildiuturno assillo dei dirigenti deve diven-tare anche la preoccupazione di ognibuon italiano.

La desolazione dei sinistrati privi ditutto non può lasciare indifferente chigode l’agiatezza della propria casa.

Offrire con generosità secondo i pro-

pri mezzi, far offrire dagliamici con attiva propagandaè un dovere che si impone atutti i buoni italiani.

Ho non la speranza ma lacertezza che meriterete ilpiù alto elogio per la raccol-ta che sarà sollecita e abbon-dante. La Segretaria.”

Stava per buttarla ma siera pentito e l’aveva rimessanel cassetto. Non avrebbemai immaginato che quei“documenti”, scartabellatinel pomeriggio, poche ore

dopo sarebbero divenuti ricordi di un’e-ra destinata a tramontare tra i cruentisussulti di una guerra civile.

Infatti, alle 18.30 (ore 17.30 adAlgeri), il generale Eisenhower avevaannunciato, ai microfoni della Radioalgerina, l’avvenuto armistizio. Di con-seguenza, alle 19.42, il generaleBadoglio, capo del Governo, ai microfo-ni dell’EIAR, l’ente radiofonico dell’e-poca, aveva letto il seguente proclama:

“Il governo italiano, riconosciutal’impossibilità di continuare l’imparilotta contro la soverchiante potenzaavversaria, nell’intento di risparmiareulteriori e più gravi sciagure allaNazione, ha chiesto un armistizio algenerale Eisenhower, comandante incapo delle forze alleate anglo-ameri-cane.

La richiesta è stata accolta.Conseguentemente, ogni atto di osti-

lità contro le forze anglo-americanedeve cessare da parte delle forze italianein ogni luogo.

Esse però reagiranno ad eventualiattacchi da qualsiasi altra provenienza”.

L’annuncio era stato interpretatodalla popolazione come se fosse effetti-vamente terminata la guerra. Molti eranoscesi in piazza per manifestare l’inconte-nibile felicità per l’inaspettato avveni-mento. In troppi dimenticavano che adAcqui, l’11 agosto 1943, si era installatoil comando dell’LXXXVII Corpod’Armata tedesco da cui dipendeva la

Nella pag. prec.: prima pagina de “La Stampa” del 9 settembre 1943 con l’illusorio titolo “LA GUERRA È FINITA”.

In questa pag.: il castello di Tagliolo in una cartolina d’epoca..

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76^ Infanterie Division5, dis-locata tra Savona,Pontedecimo e Tortona. Anzi,secondo lo Stato maggioredella 76^, Ovada era conside-rata un punto nevralgico diuna certa rilevanza pertanto,sino dal 4 agosto 1943, eradivenuta sede di un repartogermanico come riporta ildiario del sagrestanoVincenzo Torello. Misureattuative delle direttive ema-nate, a partire dalla metà dimaggio 1943, dagli alticomandi del III Reich alloscopo di prevenire una defe-zione dell’Italia dall’Asse equindi garantirsi il controllodella costa ligure con il suo immediatoretroterra.

Infatti, la sera dell’8 settembre, giàverso le 19.15, il comando del LXXXVII

Corpo d’Armata aveva aumentato lostato di allerta e, alle 22.35, aveva ordi-nato alla 76^ Divisione di Fanteria diaumentare la sorveglianza poiché eraevidente che le truppe italiane nonavrebbero collaborato ulteriormentenella segnalazione di eventuali sbarchisulle Riviere.

Alle 23.45, il comando della 76^aveva deciso di trasferire il suo statomaggiore presso il castello di Tagliolo: ireparti divisionali avrebbero iniziato ilmovimento alle tre e avrebbero occupa-to Ovada mentre l’Intendenza sarebberimasta in Acqui.

Sicché un’autocolonna composta da

kübelwagen6 e autocarri aveva raggiun-to Tagliolo alle 04.15 ed è facile imma-ginare lo stupore dei nobili PinelliGentile al sentire i granadieren che conperentori raus [fuori] invitavano la ser-vitù a sloggiare per poter rapidamenteinstallare il comando divisionale. Pochiminuti dopo (04.20) anche Ovada veni-va occupata e Palazzo Maineri divenivala sede del comando di piazza.

Angelo Bavazzano, un’ovadese mat-tiniero in quanto addetto al panificio di

Piazza Cereseto, era stato il primo adaccorgersi che la sovrastante Scuola diAvviamento aveva cambiato inquilinisentendo l’arrivo di autocarri ed il tra-mestio di pesanti scarponi chiodati disoldaten che spostavano rudemente cat-tedre e banchi.

Alle 07.31 il comandante della 76^Infanterie Division era giunto al castel-lo di Tagliolo - in tempo per una cola-zione in compagnia di qualche nobilepoco cortesemente scomodato -.L’ufficiale in comando era il generaleErich Abraham, un gentiluomo dai modiduri ma stimato per la sua correttezzatanto che, al tracollo della Germania,dopo un breve periodo di prigionia erastato liberato e si era ritirato a vita pri-

vata senza problemi7. La presa di possesso del castello

faceva presagire una forzata coabitazio-ne ma l’eccessiva distanza di Tagliolodalla costa ligure aveva consigliatol’Abraham a lasciare, probabilmentecontrovoglia, la confortevole sede e, giàverso le 18 di quel 9 settembre, l’ultimasezione operativa del comando divisio-nale si era trasferita a Campomorone.Infatti, quest’ultima località, posta apoca distanza da Genova, consentiva unpiù agevole controllo della situazione edelle unità che avrebbero dovuto conte-nere eventuali sbarchi anglo-americani.

La popolazionedell’Ovadese era tranquilla.Tuttavia, per prevenire qual-che sollevazione, il comandotedesco aveva decretato ilcoprifuoco: dalle ore 21 sinoalle 5.30 del mattino.

Misura a cui gli ovadesierano abituati da qualchetempo come riporta il“Monitore Parrocchiale” delmese di agosto 1943:

“Coprifuoco. La notiziadegli avvenimenti del 25luglio che con la caduta delregime fascista hanno provo-cato un si profondo svolgi-mento della vita pubblicadella nazione furono accolte

in Ovada con calma e serenità. I procla-mi di S.M. il Re e di S.E. il generaleBadoglio richiamanti il popolo alla con-cordia e al lavoro, debitamente divulga-ti dalle autorità militari, civili ed eccle-siastiche, trovarono profonda eco intutta la cittadinanza che accolse pertantocon la massima comprensione i severiprovvedimenti precauzionali dispostidal comando di presidio, osservandolicon perfetta disciplina. Nessun inciden-te degno di nota è venuto finora ad offu-scare l’ammirevole prova di civismo edi patriottismo offerta dagli ovadesitutti.”

Ma la situazione non era così sempli-ce come lasciava trasparire il breve reso-conto parrocchiale e solo grazie ad unvivida testimonianza tratta da un libroscritto da Lina Alloisio Sultana abbiamouna sicura relazione di quanto accaddein Ovada in quei frangenti:

“Arriva l’8 settembre! L’Italia hachiesto l’armistizio, forse la guerra fini-sce. Non se ne può più di bombarda-menti, morti, sfollati, fame, coprifuoco,buio, paura.

Arrivano a frotte nel nostro cortile imilitari per lasciare la divisa ed indossa-re gli abiti civili e poter tornare a casasenza rischiare l’arresto.

La nostra mamma svuota gli armadi,altre donne del vicinato portano indu-

In questa pag.: targa sull’edificio di via Cavuor angolo via Voltri.

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In questa pag., in alto: Giovanni “Luigi” Allosio (1896-1956).In basso, a sinistra: Vincenzo “Ubaldo” Ravera (1907-2004).A destra: mons. Fiorello Cavanna (1902-1983).

menti e scarpe dei loro uomini, chi hafame viene sfamato, e si respira una gran-de solidarietà e tanto amore fraterno.

Intanto nostro padre è elettrizzato.Corre ad Alessandria ad incontrare i suoiamici dell’Associazione Combattenti,grandi antifascisti: Livio Pivano,Maranzana (padre di Lia, suocero delgenerale Ferrando), Capriata (direttoredella C.R.A.L.) il prof. Piccinini edaltri…”.

Iniziativa evidenziata anche dal quo-tidiano “L’Unità” - a gennaio del 1946 -che ricordava come Giovanni Allosio

“Luigi”8, rappresentante del Partitod’Azione”, “…prima ancora della costi-tuzione del Comitato [ComitatoLiberazione Nazionale - ndr] era già incontatto con gli esponenti dei diversipartiti di Alessandria”.

Nel dare corso a questo suo proposi-to, l’Allosio, nella massima segretezza,aveva raccolto attorno a sé persone dallalunga e sofferta militanza antifascistacome Vincenzo Ravera “Ubaldo” (futu-

ro Primo Sindaco della Liberazione)9,

Ludovico Ravanetti “Vigo”10, PaoloMarchelli “Augusto”, BartolomeoRaffaghello “Piccio” di Molare eDomenico Badino “Ferruccio” diRoccagrimalda che, per riunirsi, spessoutilizzavano il retrobottega della tabac-cheria di Via Voltri.

In seguito, a questi primi partigiani sierano affiancati ben presto gli sbandati,sfuggiti al disarmo ed all’occupazionedelle caserme degli ormai discioltireparti del Regio Esercito, che avevanopreso la via della vicina Colma, doveavevano trovato un primo rifugio nellacascina Coppa (Rotonda) [ProprietàAlloisio] per poi suddividersi nelle casecoloniche poste sulle pendici del monteTobbio e presso l’accogliente“Benedicta”, destinata a divenire triste-mente famosa nel corso della successivaguerra partigiana.

Contestualmente, la macchina del-l’occupazione militare tedesca si eramessa in moto con la consueta efficien-za teutonica: subito dopo il disarmo diun modesto distaccamento del Regio

Esercito11 erano iniziati i sequestri diarmi detenute dai privati.

Lo prova la certificazione emessa, il15 settembre ’43, in occasione dellarequisizione di una pistola ad un cittadi-no ovadese da parte dell’ORSTKOM -

MANDANTUR (Comando Locale) diOvada utilizzando un modulo probabil-mente stampato da quella che oggi è lacentenaria “Tipografia Pesce”.

Nel frattempo, nonostante la calmaapparente, le condizioni di vita della

popolazione cominciarono a peggiorareper cui il Comune, dovendo aiutare lefamiglie maggiormente bisognose, eracostretto a ricercare nuovi finanziamentiper il proprio Ente Comunale diAssistenza attingendo ai fondi delleOpere Pie amministrate dall’ E.C.A.come l’Orfanotrofio Parodi e Piana.(Deliberazione n° 45 del 19 ottobre

1943)12.Eclatanti i ricordi di Lina Alloisio

Sultana sulla situazione alimentare:“C’era ormai penuria di generi alimenta-ri. Lo zucchero era introvabile e noi lofacevamo in cortile, facendo bollire lebarbabietole tagliate a fette con unamacchina che conservo ancora sotto ilportico di casa: dalla pentola che bollivae ribolliva saltava fuori un liquido mar-rone scuro, dolciastro e disgustoso.

Le patate, alcune famiglie del nostroquartiere, le andavano a prendere nellecascine dell’alessandrino ed anch’io unavolta mi accodai alla fila delle ragazze inbicicletta verso Portanuova.

Un giorno Nia Melone venne a chia-marmi e disse di correre alla Loggia per-ché erano arrivate delle patate dallaGermania. Gli archi allora esistentierano chiusi da cancelli di legno e neusciva una puzza tremenda. Le donnedel centro erano tutte lì. Vedemmo iPatatini ed altri bambini svegli che, cor-

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redati di bacchette di ombrello. infilza-vano le patate e velocemente le metteva-no in borsa. Anche noi provammo, ma lacalca era enorme e il bottino fu magris-simo.” (op. cit.)

A queste gravi carenze alimentaribisogna aggiungere l’invadenza delletruppe germaniche che si erano accaser-mate nei migliori edifici della città: leScuole Elementari in Largo Bausolaerano state trasformate in OspedaleMilitare Germanico; i locali delDopolavoro e della Casa del Fascioerano stati adibiti ad Uffici per la postamilitare ed altri fabbricati perifericierano stati utilizzati per accantonamentidi truppe e scuderie.

Un discorso a parte merita la Scuoladi Musica per la quale - in occasione del-l’occupazione tedesca dello stabile - ilCommissario Prefettizio Emilio Soldiaveva disposto la redazione di un inven-tario concernente gli arredi, i quadri, glistrumenti e l’archivio della scuola afronte di palesi sottrazioni.

Questo un passo significativo deldocumento sottoscritto dal segretarioLuigi Cestino, dalla guardia comunalePietro Distefano e dal custodeMarchelli:

“Inventario del mobilio, strumenti edarchivio della Civica Scuola di Musica

“Antonio Rebora” del 20 Settembre1943.

Dopo la stupefacente per quantosospetta resa a discrezione dell’EsercitoItaliano, dislocato nei vari Centrid’Italia, avvenuta la notte dell’8Settembre, anche la sede della Scuola,allontanato il piccolo nucleo di antipara-cadutisti che l’occupavano, venne inva-sa da un centinaio di tedeschi.

Costoro la fecero subito da padroni,tanto che in breve tempo, potemmo con-statare la scomparsa di varie uniformi diottima tela, di una bella scrivania nonchédi un registro inventario che era chiusonel gabinetto dell’Archivio.” (AccademiaUrbense - Archivio Sto rico).

Il verbale prosegue annotando che inun locale del solaio, successivamentechiuso con una tramezza in muratura,erano stati depositati strumenti e partitu-re. Inoltre, diversi oggetti di valore comeil busto in bronzo del comm. E. Rebora,mobili da salotto, quadri e diplomi diconcorsi bandistici erano stati trasferitipresso abitazioni private in attesa delritorno alla normalità.

Poi le truppe di occupazione avevanoavanzato continue pretese anche nei set-tori più disparati per cui il Comune erastato costretto ad assumere una persona“destinata a seguire le richieste del

Comando Tedesco” (Deliberazione 2Dic. 1943 del Commissario Prefettizio).

Per giunta, col passare dei giorni,aumentavano i servizi coattivi richiestialla popolazione come il reclutamentoper le forze armate della RepubblicaSociale Italiana e per varie organizzazio-

ni del lavoro come la TODT13.Inizialmente alcuni lavoratori erano statireclutati dagli uffici aperti nei territorioccupati dal “Plenipotenziario generaleper l’impiego della manodopera” ma inseguito (la maggioranza) erano stati cat-turati durante i rastrellamenti eseguiti daunità tedesche o della RepubblicaSociale nell’ambito della lotta contro ipartigiani. Successivamente, questirastrellati o lavoratori coatti venivanoinviati in Germania negli Arbeiterlagera disposizione degli Uffici del Lavoro(Arbeitsämter) o delle imprese che li uti-lizzavano.

Gli ovadesi non facevano eccezionea questa situazione e nel corso dellericerche è emerso l’elenco (non si sa secompleto) delle persone che, nell’ultimotrimestre del 1943, fruivano di un sussi-dio (corrisposto dal Comune di Ovada)avendo dei congiunti che lavoravano inGermania:

Gambino Angelita di Francesco;Repetto Santino fu Giuseppe; MarassiCarmela fu Vincenzo; Alloisio RosaVed. Tortarolo; Peruzzo Maria in Nervi;Giacchero Maddalena Ved. Lirico;Grillo Ermelinda in Costa; MarencoPasqualina in Oddone.

Se poi le persone erano sospettate dicollusioni con le formazioni partigiane,le coercizioni divenivano maggiormentestringenti come nel caso della famigliaAlloisio:

“Il 31 Dicembre 1944, in conformitàa richiesta del CommissarioStraordinario Ravizza Rodolfo, motiva-to nel senso che i mezzi di trasportoippotrainati, di proprietà AlloisioGiovanni, erano indispensabili per l’ap-provvigionamento di generi razionatialla popolazione civile di Ovada, ilComando Germanico della Piazza diOvada, dopo aver ordinato la cattura di

In questa pag.: una foto di Leo Pola. Partigiani tengono sotto controllopiazza Castello con un fucile mitragliatore Bren inglese.

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tutti i componenti la famiglia Alloisio edaverne svaligiata e fortemente danneg-giata l’abitazione, per non aver rintrac-ciati nei giorni 30 e 31 Dicembre 1944 ilSignor Alloisio Giovanni e la figliaStefania, accusati di collaborazione coni Partigiani e di aver tenuto nella propriaabitazione numerosi convegni di compo-nenti il Comitato di LiberazioneNazionale di Ovada, ha passato lagestione dell’attività della Ditta Alloisioall’Amministrazione Comunale diOvada…” [Comune di Ovada - 9.6.1945- Relazione alla Prefettura diAlessandria]

In questo contesto proseguirà - percirca sedici mesi - il cruento periododella guerra resistenziale che si conclu-derà tra le due e le quattro del mattinodel 25 aprile 1945 quando le truppe dioccupazione tedesche evacuerannosilenziosamente Ovada. Operazioneavvenuta senza spargimento di sanguegrazie alle trattative unitariamente con-dotte da Mons. Fiorello Cavanna,“Ubaldo” (Vincenzo Ravera) e “Pino”(Salvatore Pusateri) con il comandotedesco rappresentato da un capitanodella Wermacht. Momenti così ricordatidall’Organo Ufficiale del ComitatoLiberazione Nazionale “Ovada Libera”:

“...Le 19: scoccano lente dal campa-nile della Chiesa da dove partì il sacer-dote nel nobile tentativo di portare lapace. Dal ponte sull’Orba giungono lestaffette: i tedeschi chiedono un armisti-zio fino alla mattina seguente alle dieci.Non hanno il coraggio di uscire nonvogliono ancora arrendersi.

Vi sarà una notte di passione, gli uomi-ni sperano nel combattimento, vogliono ilcombattimento. Ma non ci fu data questaventura: le truppe della Wermacht, depo-sto l’orgoglio, lasciano in silenzio e conestrema prudenza Ovada.

La città è libera: il C.L.N. prendepossesso del Municipio ed assume daoggi il potere in nome del popolo.”

Note1. Il marchese Agostino Pinelli Gentile(Tagliolo, 30.08.1898 - Cremona, 08.05.1964)era stato iniziato alla pittura dalla madre

Georgina Figoli Des Geneys, ottima acquerelli-sta. Pertanto, appena sedicenne, aveva giàesposto le sue opere in una mostra a Torino.Attività artistica proseguita con ammirevolededizione per tutta la vita partecipando allaBiennale di Venezia e ad altre importanti espo-sizioni a Milano, Genova e Roma. I suoi sog-getti preferiti erano i paesaggi, nature morte,ambienti e colori di colline e boschi monferrinie terre maremmane.. 2. Nella notte tra il 27 ed il 28 febbraio 1933 ilReichstag, sede del parlamento tedesco, venneincendiato. Un tribunale di Lipsia ritenne col-pevole del fatto un certo Van der Lubbe, ma iresponsabili del vasto incendio, appiccato dapiù persone, non vennero mai individuati concertezza. Hitler colse il pretesto e lo stesso 28 febbraioimpose al presidente Hindenburg la firma di undecreto col quale venivano soppressi sette arti-coli della Costituzione che garantivano le liber-tà individuali e civili. 3. Deliberazione del Podestà n° 112 del26.10.1938 - Impianto Radio DiffusioneSonora.Premesso che in occasione delle varie adunatenazionali, per le quali viene prescritto il colle-gamento radiofonico, è giocoforza valersi diimpianti occasionali, non sempre adeguati siaper il loro carattere posticcio , sia perché limi-tati ad una sola località per ovvie ragioni eco-nomiche, pur importando una ragguardevolespesa sulle £ 1.000 annue;Ritenuta la necessità di assicurare all’importan-te servizio una attrezzatura stabile, sicura econfacente estendendola anche alla RegiaScuola di Avviamento ProfessionaleCommerciale, che conta circa 200 alunni edalla sede del Fascio e del Dopolavoro, dietrocongrua rifusione;Vista la proposta in data 6 giugno della Ditta“Samper” di Alessandria ...

4. Deliberazione del Podestà di Ovada in data11 Aprile 1941 “Sussidio a Scaiola Giovanni -Servizio pubblico con vettura a cavalli - Molare- Ovada - Deliberazione del Podestà di Ovada(ing. Angelo Lorandini) N° 120 in data 23Dicembre 1941.“Liquidazione indennità di cavalcatura al medi-co condotto Frazzetto Dr. Ettore ed alVeterinario Comunale Buffa Dr. Bartolomeo” .5. La 76^ Infanterie Division, impiegata sulfronte orientale nei cruenti combattimenti attor-no a Stalingrado, era stata successivamente tra-sferita in Francia (Bretagna) per consentire laricostituzione delle sue unità duramente prova-te.Tra l’agosto 1939 e il maggio 1944 gli organicidivisionali erano i seguenti:178° Grenadier Regiment - 203° GrenadierRegiment - 230° Füsilier Regiment [ridenomi-nato Grenadier Regiment, probabilmente dal15 ottobre 1942, quando una direttiva delloStato Maggiore dell’Esercito tedesco (HEER)dispose che i reggimenti di Fanteria assumesse-ro la denominazione di Reggimenti“Granatieri”] - 176° Artillerie Regiment - 176°Divisionseinheiten (servizi).6. Kübelwagen (letteralmente auto-tinozza),classificata dal servizio automobilistico tedescocome Typ 82, è stata uno dei veicoli militari piùdiffusi durante la Seconda Guerra Mondiale. Lastruttura del mezzo derivava dal famoso“Maggiolino” Volkswagen progettato dall’ing.Ferdinand Porsche.7. Erich Abraham (Marienburg, 27.3.1895 -Wiesbaden, 7.3.1971) dopo il primo conflittomondiale venne smobilitato dall’Esercito tede-sco col grado di capitano nel 1920. Quindi pre-stò servizio in Polizia sino al 1935 quando,richiamato col grado di maggiore, gli venneaffidato il comando di un battaglione del 105°Fanteria. Nel corso della Seconda GuerraMondiale, tra l’altro, comandò il 230°

In questa pag.: partigiani in piazza Castello in una foto di Leo Pola.Da sinistra: Talino Repetto, Bruno Repetto detto “il tedesco” e Mario Olivieri.

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Reggimento Fucilieri e poi, promosso generale,la 76^ Divisione di Fanteria sul FronteOrientale (Stalingrado), in Francia, in Italia enei Carpazi. Successivamente il generaleAbraham, decorato con la Croce di Cavalieredella Croce di Ferro con Fronde di Quercia,comandò il LXIII Corpo d’Armata. Al terminedel conflitto, catturato dagli alleati, venne rila-sciato ad agosto del 1947.8. Giovanni Alloisio: (1896 - 1956) imprendi-tore coraggioso che avviò diverse attività neilegnami, laterizi, frantoi, asfalti, strade ecc.Con queste parole venne ricordato dalla Rivista“La Provincia di Alessandria” (N°1 - Gennaio1957) “Capo di un’azienda, Egli era orgogliosodi poter vantare una costante ed affettuosa col-laborazione con i Suoi operai che lo amavano.[...] Combattente della Guerra 1915-18, asser-tore convinto dei principi di giustizia e libertà,dopo l’8 settembre con tutta la famiglia parte-cipò attivamente alla lotta clandestina nelle for-mazioni “Giustizia e Libertà”. Ma la figura delcaro Alloisio non sarebbe rappresentata al com-pleto se non si accennasse alla Sua profondareligiosità e al Suo sviscerato affetto per laFamiglia.[...] Inchiniamoci reverenti dinnanzialla memoria di Lui che non visse che per i tregrandi affetti che rendono l’opera dell’uomofeconda di bene: la religione, la famiglia, lapatria. Il ricordo delle sue elette doti, dell’ope-ra sua così serena, così equilibrata, così rispon-dente agli ideali per i quali aveva combattuto esofferto, possa costituire una guida sicura pertutti noi perché possiamo sempre cooperare almiglior avvenire della nostra diletta Provincia edella nostra Patria.”9. Ravera Vincenzo: (Ovada, 28.7.1907 -12.2.2004) sino da giovanissimo abbracciò gliideali comunisti ed il 3 marzo 1937 venne arre-stato e successivamente condannato a quattroanni di carcere dal Tribunale speciale fascista.Solo grazie ad una amnistia venne posto in liber-tà a marzo del 1939. Dopo la caduta del fasci-smo, pur continuando la sua attività di fabbro,col nome di copertura di “Ubaldo” organizzò laResistenza tra i contadini e nelle fabbriche geno-vesi. Ma il 4 marzo 1945 venne nuovamentearrestato dai tedeschi che lo rilasciarono dopoalcuni giorni sia per non avere trovato prove asuo carico e sia per l’intervento del Parroco donFiorello Cavanna. Col crollo dell’occupazionetedesca e la fine della Repubblica SocialeItaliana divenne il primo sindaco di Ovada dopola Liberazione. Rieletto sindaco sino al 1956, sidistinse sempre per i suoi ideali di giustizia, pacee libertà portati avanti anche tra sospensioni pre-fettizie e processi. Giacomo Gastaldo (Lerma, 25.11.1945) aven-do lavorato in giovane età nella bottega artigia-nale del Ravera, ricorda la descrizione del suodatore di lavoro sull’incontro dei rappresentan-

ti il C.L.N. ovadese e l’ufficiale più alto ingrado delle truppe di occupazione tedesche inOvada:“La sera del 24 Aprile ’45, “Ubaldo” , accom-pagnato da Don Cavanna e da “Pino” verso le19 raggiunse Villa Savioli dove si doveva svol-gere l’incontro con il rappresentante tedesco.Le trattative si conclusero positivamente percui i reparti germanici avrebbero evacuatoOvada - durante la notte - defluendo versoAlessandria grazie al varco lasciato aperto dalleformazioni partigiane che ormai circondavanola città. Però, sottolineava il Ravera, al terminedell’incontro, l’ufficiale tedesco - sia pure intono bonario - aveva rammentato a DonCavanna come questi, qualche settimana prima,avesse difeso il Ravera definendolo “estraneoalla Resistenza.”10. Ravanetti Ludovico, nato a Genova-Cornigliano, il 2.1.1890, morto a Ovada il31.8.1975, iscritto sino da giovanissimo alPartito Socialista nella Sezione giovanile diCornigliano, dal 1920 al 1922 ricoprì la caricadi vice sindaco di quel comune. Venne arresta-to per motivi politici nel 1936 e nel 1939 quan-do venne internato nel campo di Montalbano.Trasferitosi in Ovada per motivi di lavoro entròa fare parte del C.L.N. e per la sua sospetta atti-vità antifascista venne nuovamente arrestato aGennaio del 1944. Resistette ai duri interroga-tori e, non emergendo nulla suo carico, dopo 17giorni di detenzione venne rilasciato. Dopo laLiberazione disimpegnò importanti incarichiamministrativi presso il Comune di Ovada. 11. Non è stato possibile conoscere esattamen-te quali fossero i reparti militari italiani presen-ti in Ovada al momento dell’Armistizio.Tuttavia sappiamo che, tra il 1940 e l’8 sett.1943, l’immediata periferia ovadese avevaospitato - per brevi periodi - aliquote deiseguenti reparti:- 1^ Compagnia del 2° Reggimento GenioMinatori (offertasi per la costruzione dellavolta di copertura del bedale “Salvi” (autunno1940);- alcune batterie dell’11° ReggimentoArtiglieria da Campagna;- una Scuola Allievi Ufficiali [non meglio iden-tificata], alla quale probabilmente appartenneroOscar Luigi Scalfaro, futuro Presidente dellaRepubblica, ed il noto attore Raf Vallone;- 2^ Compagnia del LXIX BattaglioneTerritoriale;- il V e XXXIV Battaglione della V^ LegioneCamicie Nere; - un nucleo antiparacadutisti ospitato presso laScuola di Musica.12. Orfanotrofio Parodi e Piana: le ricerche suquesta istituzione - frutto di un cospicuo lasci-to - ancora esistente in Ovada ad Ottobre del1943, sino ad ora non hanno dato esito positi-

vo. Si presume che, nel corso degli anni 1944 e1945, l’Ente Comunale di Assistenza (delegatoall’amministrazione di tale brefotrofio), perfare fronte alle pressanti richieste di aiuti afavore della popolazione, abbia esaurito le ulti-me liquidità o abbia alienato le ultime proprie-tà immobiliari facenti capo al predettoOrfanotrofio per cui questa istituzione - rimastasenza un patrimonio - cessò di esistere. 13. Organizzazione TODT: è stata una colossa-le impresa di costruzioni operante in Germaniae nei territori occupati dalle truppe tedeschedurante la Seconda Guerra Mondiale. Era statafondata dall’ing. Fritz Todt, nominato Ministrodegli Armamenti e degli Approvvigionamenti,che - a stretto contatto con gli alti comandimilitari - impiegò nel lavoro coatto circa1.500.000 uomini catturati durante operazionidi rastrellamento o prigionieri di guerra.

BibliografiaBRUNELLO MANTELLI, Le relazioni militaritedesche sul disarmo delle truppe italianenell’Alessandrino dall’8 al 9 settembre 1943,in Quaderno di Storia Contemporanea editodall’Istituto per la Storia della Resistenza edella Società contemporanea in provincia diAlessandria - n° 8 - 1990.BRUNELLO MANTELLI, Gli italiani in Germania1938 - 1945; un universo ricco di sfumature,Quaderni Istrevi n. 1/2006.GIACOMO ROVERA (a cura di), Le memorie diMons. Giuseppe Dell’Omo sulla lotta partigia-na in Diocesi, Settimanale “L’Ancora” - AcquiTerme - Marzo 1991. LINA ALLOISIO SULTANA, Nulla si perde davve-ro, Memorie dell’Accademia Urbense -Collana a cura di Alessandro Laguzzi - NuovaSerie n° 55 - 2004.REMO ALLOISIO, Luigi è stanco, LiguriaEdizioni Sabatelli - Stampa GraficheFassicomo - Genova - Marzo 1981.L’UNITÀ - edizione della Liguria - anno XXIII- n. 27 giovedì 31 gennaio 1946.DEUTSCHES BUNDESARCHIV - Potsdamer Str., 1 -56075 - Koblenz - [sede della DirezioneGenerale] Busta R/70 - Italien 29 - Fondo“Polizeidienststellen in Italien 1943-45” [Ufficidi Polizia in Italia]. ARCHIVIO PARROCCHIALE DI OVADA: “Ovadalibera” - Organo Ufficiale del C.L.N. - numerounico - Aprile 1945.ARCHIVIO STORICO DELL’ACCADEMIA URBENSE -Piazza Cereseto, 7 – Ovada.MONITORE PARROCCHIALE DI OVADA - Casa Ed.“La Buona Parola” - Tipografia Alzani -Pinerolo 1943.

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Riflessioni che possono essere di qualche utilità nelricostruire un attendibile profilo della personalitàdella maestra di pittura Piera Vegnutidi Tomaso Pirlo

Credo sia il caso di chiarire laragione della mia presenza, sicura-mente un po’ invasiva, in questa occa-sione celebrativa della Scuola diPittura attiva in Masone da ormai tre-dici anni, ricordando che in un passa-to non ancora remoto ho lavorato conuna certa continuità e soprattutto conconvinzione ai margini di questa stra-na, atipica istituzione che da sempreconsidero l’iniziativa culturale piùrilevante, più incisiva, più capace di

innestare sulle modestissime, elementari, competenze di tipolinguistico di questo paese una nuovissima, a suo modo dirom-pente educazione al linguaggio dell’immagine.

Sì, credo davvero, e non da oggi, che questa scuola affidataad un volontarismo provvisorio e squattrinato, abbia lavorato econtinui a lavorare a risultati che vanno considerati eccezio-nali anche a valutarli in rapporto a un ambito ben più ampiodi quello locale; ma pur devo confessare al lettore di questenote che, nonostante una certa mia confidenza con la lettera-tura storico - critica relativa alle arti figurative, ad oggi i mieiripetuti tentativi di mettere a fuoco le motivazioni del sorgeree durare e produrre di questa straordinaria scuola di pitturahanno sortito risultati molto incerti e, per certi versi, contrad-dittori. Insomma, ancora oggi stento a mettere a fuoco le fon-damentali ragioni per le quali in un piccolo centro cultural-mente povero specialmente dei semi più elementari della cul-tura figurativa, sia sorta e duri e cresca una scuola di pitturaviva di presenze qualificate e considerevoli risultati didattici.

A chi insiste a chiedermi devo rispondere che stavolta “ilgranello di senape caduto sulla roccia”, a differenza di sempre,ha prodotto una pianta, a dir poco, rigogliosa.

Nonostante le mie perplessità che riguardano specialmente iltessuto ambientale, la storia di un paese rimasto ai margini, senon fuori del vivere civile per quattro secoli di brutale sfrutta-mento feudale e di analfabetismo generalizzato, sono d’accor-do con quanto afferma in proposito il dottor Paolo Ottonello,già dottore in chimica, ora studente nel corso di pitturaall’Accademia di Genova per il quale “uno dei fattori di cre-scita della scuola è stato il non casuale succedersi di maestrimotivati, sorretti nella loro assiduità di presenza, e di efficaciadidattica, ancor più che dalle straordinarie competenze tecni-che, da un entusiasmo, da una convinzione, da una serietà econtinuità di impegno che per anni hanno supplito all’incredi-bile pochezza dei compensi. Tre maestri diversi con la lorodefinita identità artistica, che lo più tende a contrapporsi edistinguersi, che hanno saputo essere fedeli alla loro identitàma complementari l’uno all’altro.

Fortuna? Anche, certo; ma piùpaziente ricerca e tempestività di scel-ta il cui merito, - va detto finalmentechiaro e forte- decisivo del futuro dellascuola, va finalmente riconosciutoall’operoso, oculato impegno delPresidente Grillo”.

Quanto ai singoli maestri ho visto direcente alcuni filmati sulle conferenzedi contenuto storico- artistico delnuovo maestro Ermanno Luzzani:sono un dono di competenza, di intel-ligenza non soltanto specialistica, sonola limpida, fine manifestazione di unaciviltà espressiva che a me vuol pareredel tutto eccezionale. E sono un dono!come tutte le manifestazioni culturalidi qualità.

Anche la recente mostra, incentrataspecialmente sugli acquerelli prodottidalla scuola in quest’ultimo periodo èla prova di una crescita senza dubbio

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legata al fatto che la creatività didatticadel nuovo maestro si è innestata senzaantagonismi sull’attività dei precedentimaestri, specialmente, almeno per quan-to attiene l’acquerello, della maestraPiera Vegnuti che per anni ha lavoratoad affinare negli alunni la tecnica del-l’acquerello che sentiva particolarmen-te congeniale al suo dipingere svelto,spontaneo, senza ripensamenti, né corre-zioni. “È stata soprattutto lei - mi dice laGrazia Carlini - a seminare non soltantointeresse in genere e nell’acquerello inispecie, lei a motivare un fastidio per lapittura troppo elaborata come certi “oli”.

Lei a dire continuamente ai frequen-tanti: “Quando dipingete fate spazio allaspontaneità, alla freschezza, alla giovi-nezza del quadro: impegnatevi special-mente nell’acquarello che a differenzadell’ “olio” rifiuta ripensamenti e corre-zioni, chiede una mano giovane, e beneducata specialmente al disegno preciso, deciso nelle cuidiverse articolazioni far scorrere i diversi colori trasportati dal-l’acqua.

Mi è capitato ripetutamente di sentir dire che la felicità deirisultati didattici di questa Maestra era il frutto di un metodosicuro quanto fermo: “Sì, - continua a dire la Grazia Carlini -era una donna sicura, ferma su principi addirittura millenari,ma l’intelligenza mobilissima, la sensibilità sempre vigile leconsentivano una risposta che pareva simultanea alla differen-ziata richiesta di quella sorta di pluriclasse che era la riunionecompleta dei suoi alunni”.

È stata la sua impressionabilità mentale, il suo operoso, viva-cissimo entusiasmo a trasformare un piccolo gruppo di adultigenericamente interessati a un passatempo, colto ma non trop-po impegnativo, in una sorta di pluriclasse, nella quale la pro-spettiva del passatempo, del divertissement s’è rapidamentecangiata in un impegno più assiduo di quanto non consentisseil tempo libero.

E questa conversione del divertimento in impegno le erafacilitato dal fatto di essere una gran bella persona, anche fisi-camente, certo; ma bella ancor più di una disposizione piùgenerosa che intelligente verso la scuola e verso i frequentan-ti, “ognuno dei quali quale che fosse il suo livello di prepara-zione, di cultura specifica e no, di disponibilità all’apprendi-mento - spiega la Grazia Carlini - trovava in lei un atteggia-mento di sorridente, paziente comprensione, un inconsumabi-le rispetto per la persona.

“Ma sapeva coniugare - aggiunge la Signora Carlini - questosuo stile invariabilmente improntato a un garbo non recitato (diquello che è finezza interiore, reale capacità di incontro e dicomunicazione) con la richiesta agli alunni, sorridente ma insi-stita e motivata, di una serietà e di un impegno misurati sullacomplessità dell’alfabeto figurativo che non consente salti,

perché anzi impone, già nelle prime rampe del lungo itinerarioformativo, il lento, operoso adattamento di tipo pratico, oltreche mentale: impone - continua a dire - l’affinamento dellamanualità tanto più difficile in persone adulte”.

“Una donna - aggiunge il Presidente - straordinariamentecapace, oltre che di dipingere (è rimasta famosa, espressione diuna mano felicissima, ancora più svelta che sicura, quell’avan-zo di colore rosso che con una sola pennellata ha saputo tra-sformare in una rigogliosa figura di rosa), di guadagnarsi laconfidenza dei frequentanti”, “taluni dei quali (io tra questi -mi dice Santina Ottonello -), saggiata la durezza delle primedifficoltà come il disegno, avrebbe desistito da un’intenzionedi frequenza rivelatasi fin da subito più impegnativa del previ-sto se non si fosse sentito coinvolto, personalmente, in opera-zioni che lei sapeva presentare come decise dalla piccolacomunità dei frequentanti”. “Lasciare”, come a volte mi sug-geriva il terzo abbozzo di un disegno sbagliato – mi dice ilPresidente - mi sarebbe parso un tradimento di fiducia, unvenir meno a un patto stabilito di comune accordo tra lei e tuttii frequentanti, me compreso.”.

“Molto diverso perché molto personale era il modo di valu-tare – scrive l’anonimo autore di una riflessione che pare fir-mata O. P. – con le persone giuste adottava sovente, se nonsempre, un atteggiamento non tanto correttivo ma interrogati-vo: aiutava l’alunno a ragionare con lei e con altri frequentan-ti i limiti, le approssimazioni esecutive, i modi per superarleanche per far crescere l’attitudine di ognuno e di tutti a vederespecchiata nel proprio lavoro la reale capacità esecutiva rag-giunta.

“Conseguenza pratica di questo atteggiamento metodologico– dice il Presidente - era il clima sereno, disteso, nel quale ognifrequentante si muoveva con una sicurezza, una fiducia in sestesso educata anziché ostacolata dall’autorevolezza e dal

Nella pag. prec., in alto a sinistra: Tomaso Pirlo.A destra: la maestra d’arte Piera Vegnuti in una foto inizio anni ‘80.In basso: Piera Vegnuti, Omaggio a Cascella, 1983.

In questa pag., in alto: Piera Vegnuti, Mercato nel Sud, 1983.

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In questa pag., in alto: Piera Vegnuti, Natura morta, 1983.

sapere dell’insegnante. Sì, puntava un crescere tutti insieme, un aiutarsi vicendevo-

le che perseguiva obiettivi educativi non soltanto specifici allapittura.

Anche il rapporto di collaborazione tra lei e me, relativa-mente fitto e a suo modo produttivo, fu facilitato dalla largagenerosità del suo giudizio sulle mie generiche competenzeculturali che la indussero ad invitarmi a presentare una suamostra di pittura allestita ad Ovada, il cui successo, decisa-mente consistente, specialmente in relazione alle quantità dellevendite, la persuasero a ripetere lo stesso invito negli anni suc-cessivi.

Di fronte ai miei ripetuti tentativi di declinare l’invito, midisse che la sua era una scelta fatta a ragion veduta: mi spiegòche mi accreditava le competenze storico – artistiche e quellelinguistiche, necessarie ad avviare negli eventuali visitatoridella mostra un primo tentativo di ragionata intelligenza di unquadro: o, che è lo stesso, a ribaltare sul piano ragionativol’impressione positiva o negativa suscitata da un dipinto.

Mi spiegò, insomma, che per lei le mostre, oltre che occa-sioni di incontro culturale, e di vendite dovevano rappresenta-re l’occasione di promuovere finalmente negli eventuali visita-tori un approccio ai quadri esposti non soltanto esclamativo.Ero per lei la persona adatta, con le competenze giuste per tra-durre sul piano linguistico la suggestione nata dall’indovinatafrase figurativa o risalire alle ragioni della mediocre capacitàespressiva di un quadro.

Non mi tacque i pericoli, le approssimazioni implicite in unavalutazione verbale, linguistica di risultati espressivi consegui-ti con tutt’altro linguaggio: “quello figurativo - lei lo sa quan-to me - ha la sua irriducibile specificità”. Sovente lo ‘specificofigurativo’ è e resta lontano le mille miglia dal codice verbale.“Infatti – mi disse con garbata chiarezza - nel suo discorrere di

pittura manca sovente la cautela, la con-sapevolezza delle inevitabili approssi-mazioni del suo argomentare, legate alfatto che la lingua, fine e penetrante chepossa diventare, resta ancor più diversache lontana dalle sfumature che possonoessere espresse con un rapporto di colo-ri. Questo le dico per avviare un rappor-to franco, chiaro tra noi: durante questinostri incontri preparatori della mostrami dica quello che pensa, quello cheprova davanti a un mio quadro, mi dica,senza le solite cautele improntate a unperbenismo fuori luogo, le sue perplessi-tà, i suoi dubbi”*.

*Sono chiuse da asterisco tutte le partilacunose e frammentarie delle argomenta-zioni della Maestra, che sovente ho inte-grato cercando soprattutto di ricostruirne ilsenso. Alla chiarezza delle argomentazioniè stato sacrificato il rigore del metodo evo-cativo. Scelta discutibile che potrà essere

modificata da chi, in un futuro che speriamo prossimo, lavorassead un profilo della Maestra impostato in termini rigorosamentescientifici.

Per costruire la possibilità di pormi all’altezza della funzio-ne che la Maestra m’aveva assegnato, la sollecitavo a parlare,a volte con domande che erano, e volevano essere, una provo-cazione o, che è lo stesso, erano e volevano essere una decisa,pregiudiziale contrapposizione ai suoi modi di dipingere quasisempre tolta dalle mie recenti letture come la “Teoria Estetica”di Adorno

In uno degli incontri, con una sicurezza più ostentata chedavvero fondata, le dissi, che, a mio modo di vedere, non pochidei suoi dipinti, oltre che una mano sicura e una sintassi com-positiva unitaria e pur pieghevole, evidenziavano un coloreinteso come la complessa tastiera di un organo su cui costrui-re frasi figurative di mossa vivace efficacia, che talvolta perògeneravano nell’osservatore attento un’impressione di bravu-ra tecnica, piuttosto che di urgenza e originalità espressiva:“insomma – le dissi – nei suoi lavori io sovente leggo più abi-lità che creatività”.

Sempre pescando a piene mani nel cupo pessimismo diAdorno le dissi pure che una pittura così impostata presuppo-neva nell’autrice una visione storica stravolta da un ottimismodi maniera, incapace o comunque indisponibile a prendere attoche l’uomo del nostro tempo è stato decisamente più belva cheangelo al punto che, dopo Auschwitz, tanta cultura europeaautocelebrativa ha il valore di un cumulo di spazzatura..

Con le parole di Adorno le ripetei che l’arte, oggi più chemai, deve esprimere, e non soltanto allusivamente, il mondo dioggi, le sue enormi vergogne, la dilagante, degradata malvagi-tà. Talvolta, invece, tanti suoi quadri, troppo colorati, sapeva-no di fiaba raccontata con indubbia scioltezza, sapevano digioco abilissimo, ma serio quanto può esserlo un gioco, lonta-

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In questa pag., in alto: Piera Vegnuti, Amburgo.

no anni luce dalle demoniachemalvagità dei forni crematori.

Dopo avermi sentito con lasua distintiva capacità di ascol-to, contrappose alla mia provo-cazione un argomentare lucido,pulito come un cristallo, di cuiconservo un ricordo intero spe-cialmente nelle sue piegheespressive più risentite.

“A giudicare da quel che miha detto, io, prima di posare delcolore in una tela, dovrei ade-guarmi alla visione del tuttonegativa della vita di questofilosofo dell’arte, e dipingerecome se la storia umana fossestata e continui ad essere soltan-to una somma di misfatti.

Nessuno può negare l’inferna-le scatenamento dell’odio cheha sporcato indelebilmente lastoria dell’umanità.

Ma io sono una credente,credo fermamente nel Diobuono del Vangelo: un Dio -amore nascosto nell’infinita bel-lezza del mondo, come mi paredicesse un grande pensatorefrancese di cui non ricordo ilnome. E sovente dipingo e insegno pittura come applicazionedi regole, finalizzate, in fase conclusiva, alla ricerca di armo-nia, di grazia, che per me non è un limite, ma un caratteredistintivo del mio dipingere e insegnare.

E credo nella vita, tanto che ho messo al mondo quattro figli,che sono stati tutti e quattro un ripetuto e convinto atto di fedenella vita. Vita che io non intendo vivere come un rischio, unamaledizione, ma come un dono di bellezza, che, in certe sueespressioni più riuscite, mi commuove perché ci sento la vocedel Dio nascosto.

Quindi per me la pittura è da sempre, anche se non sempre,una cosa seria. A volte, anzi spesso, nell’attività didattica, miripeto, non soltanto perché testa e mani hanno memorizzatoschemi di rappresentazione figurativa ripetuti all’infinito, maanche perché voglio riuscire efficace nel trasmettere le ogget-tive, vincolanti regole di comportamento compositivo. Maquando, anziché maestra di pittura che insegna prima di tuttoil rispetto di regole oggettive, sono pittrice nel senso pieno deltermine, e posso, anzi devo esprimere il mio personale mododi vedere, sentire, nei momenti di freschezza, di maggiorecreatività, la mia pittura è soprattutto ricerca di “oltranza”, diciò che sta oltre, o dietro il visibile, e cerco, a volte per giorni,a volte invano, una relazione nuova, non soltanto in funzionedi efficacia rappresentativa. A modo mio, con gli unici mezzi

di cui dispongo, tento il “varco”che mi metta a contatto con larealtà più profonda o, che è lostesso, tento di farmi una chiaveper entrare in questo mistero dibellezza che, nonostante tutto, èil mondo. Lo paia o no la miapittura si propone tutto un venta-glio di atteggiamenti positivi chesono il necessario, urgente rove-sciamento della sporcizia, dellaviolenza che imperversa nelmondo.

Quanto all’impaginazionegenerale della mia pittura che leiconsidera troppo distratta dallemostruosità di cui l’uomo del‘900 s’è reso responsabile, nonderiva, dunque dal mio voltare lespalle alle brutture di cui s’èmacchiata l’umanità. Perché,anzi, è per questo incontenibiledilagare e crescere del male cheio trovo non soltanto legittimo,ma anche urgente l’impegno dicercare con la mia pittura ciò chemale e malvagità non è, di evi-denziare nei miei quadri ciò cheè armonia, speranza, festa, sognoanche e soprattutto di colore,

perché no?Quindi la mia pittura, in armonia con la mia mentalità e sen-

sibilità, ha un rapporto che non è stretto, ma organico col miotempo proprio perché frontalmente contrapposto alla infamità,all’odio che imperversa nel mondo.

Sì, il principio fondamentale non soltanto del mio dipingere,ma anche del mio vivere è esattamente rovesciato rispetto alradicale pessimismo di tanta cultura contemporanea: è il prin-cipio - speranza che compenetra di sé la mia pittura con laquale, a modo mio, combatto la mia piccola, personale batta-glia contro il mostro della malvagità. Speranza che non èun’arma, né una risorsa personale, ma un imperativo evangeli-co che motiva pure il mio tentativo di “incontrare” davvero ilmio prossimo, e nella scuola i miei alunni.

È soprattutto questa la ragione per la quale dopo decenni diattività didattica “preparo la lezione”, sempre, che per me è edeve e essere prima di tutto un’espressione di serietà e ancorpiù di rispetto verso gli alunni e verso la scuola. Sovente concerto studiato chiasso del mio colore, certa vivacità di impagi-nazione del quadro cerco di stabilire un ponte tra me e chiosserva, cerco di produrre comunicazione, di quella, vera,quella difficile, quella più rara della rarissima felicità.

Tutt’altro tipo di discorso mi fece quando mi invitò a vederecon lei una mostra organizzata a Savona dove la figlia

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Antonietta aveva inviato due suoi dipinti. Appenasalita in macchina infilò subito un discorrere inteso agiustificare il suo invito: “vorrei proprio che me nedesse una sua valutazione, perché io temo di esseretroppo severa nei confronti di mia figlia.

Questo non significa che, dopo le sue presentazio-ni delle mie mostre, le attribuisca un credito criticopiù fondato, perché vede -, mi disse -, lei troppospesso invita, ma è meglio dire che sollecita le alun-ne della scuola, specialmente le più capaci, ad espri-mere nei lori dipinti più la loro soggettività che l’og-gettività di una situazione figurativa.

Ad isolare come fa lei questa sollecitazione dalcontesto di norme, di regole che consentono una pit-tura degna di questo nome, è un errore, e moltograve, che ha la sua principale giustificazione nelfatto che lei non conosce, se non per sentito dire, laconcreta attività di una scuola di pittura”*.

Mi fu facile opporle che non ero io, ma la storiadella pittura a legittimare la mia raccomandazione:da fine Ottocento in avanti la fotografia aveva sop-piantato la funzione della pittura come riproduzionefigurativa della realtà oggettiva: oggi la macchinafotografica e lo stesso telefonino in mano di qualsiasi ragazzi-no, sono strumenti che riproducono, con una puntualità mec-canica, la realtà oggettiva complessa e sfumata che sia.

Citai il pittore russo Malevic che aveva affermato che il pit-tore oggi “altro non è se non un pregiudizio del passato”.Sicché - conclusi - il tramonto della pittura come rappresenta-zione oggettiva della realtà per me comportava un itinerarioformativo, aperto fin da subito, anche se non soprattutto, all’e-spressione soggettiva.

“È un errore che in altri tempi ho fatto anch’io – mi disse -,ma mai prima di aver dettato ed esemplificato il rispetto dellenorme che regolano la rappresentazione oggettiva di una situa-zione figurativa.

Ad esempio, dopo aver fornito un modello di impaginazionegenerale con la precisa e ragionata distribuzione delle particostitutive, sovente invitavo gli alunni a togliere, aggiungere,modificare la composizione. Ma si trattava di una libertà moltocondizionata dal mio precedente, minuto dettato di grammati-ca compositiva. Oggi più di ieri penso con chiarezza di moti-vazioni e fermezza di intenzione didattica che in qualsiasiscuola di pittura bene impostata l’espressione soggettiva delpittore sia la meta ultima, il lontano punto d’arrivo di un lungoitinerario formativo che va rispettato nei suoi tempi, nelle sueprecise scansioni, e nel graduale, lento crescere delle compe-tenze che una scuola di pittura come questa molto lentamentepuò educare. L’espressione soggettiva – aggiunse - è formal-mente anarchica, mentre quella oggettiva essendo vincolante,educa il puntuale rispetto delle regole senza le quali l’alunnodi una scuola di pittura non matura nessuna delle tante abilitànecessarie al pittore formato per esprimere a pieno la sua stes-sa soggettività.

Lei ha accennato all’annunciata morte della pittura.È un’affermazione sbagliata; vecchia.Per me, oggi più di sempre una scuola di pittura che rispetti

tempi, stadi di crescita delle complesse abilità necessarie adipingere nel senso impegnativo del termine, è più di ieri un’opportunità formativa di insostituibile significato, e per ragio-ni che sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dall’automa-zione che ha sostituito, pressoché interamente, il costruire arti-gianale d’altri tempi: grandi conquiste ha registrato l’automa-zione per la quale però, abbiamo perso e perdiamo sempre piùl’uso delle mani e con esso la direzione mentale del nostroagire e produrre: abbiamo perso e perdiamo una cognizioneadeguatamente “vissuta” dello stesso mondo fisico che ci cir-conda.

Come ogni grande rivoluzione, la crescita esplosiva dell’in-formatica sta modificando il mondo, ma non soltanto in sensopositivo: le nuove fonti di informazione sempre più facil-mente accessibili, anziché il grande vantaggio che veniva pre-figurato al loro primo crescere, si sta rivelando un enorme,difficile problema: la facilità di accedere all’informazione,anche la più remota e complessa, col semplice premere di undito su un tasto, sta trasformando radicalmente il significatoprofondo del conoscere che, non impegnando più, se nonmolto superficialmente, la volontà e l’intelligenza, da conqui-sta personale, individuale, distintiva della persona, è via viadiventato un enorme, oggettivo universo di cognizioni, allequali lo stesso fruitore guarda con inevitabile superficialità.

Il conoscere che prima strutturava il crescere non soltantointellettuale della persona, non impegnando più, se non super-ficialmente, la mente e la volontà, è destinato ad essere la pre-condizione di una sorta di “demenza digitale” denunciata da

In questa pag.: 1984, Ovada, “Il Vicolo” di via Gilardini, Piera Vegnuti eNino Natale Proto; sullo sfondo a sinistra, Franco Resecco.

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psichiatri di fama internazionale come una prospettiva ravvici-nata quanto grave per le giovani generazioni.

Oggi più di ieri una scuola di pittura bene impostata agiscein senso opposto a questo male che sta dilagando: rieduca unconoscere come faticosa conquista, non soltanto di informa-zioni ma anche di competenze, di abilità, di capacità operativeche comportano un severo impegno intellettuale e pratico, cioèquello della mente ma non meno quello delle mani: comporta-no il crescere e consolidarsi nel futuro pittore di una funziona-le, attiva unità psicofisica.

E rieduca la manualità: una manualità fine, difficile, diffe-renziata anche in rapporto all’adozione delle diverse tecnichedella pittura, tanto più strettamente condizionata dall’attivadirezione della mente.

E rieduca un rapporto attivo col mondo fisico circostante.Per rendersene conto basta scorrere anche alla svelta quellasorta di mappa del colore con le sue pressoché infinite modifi-cazioni che ho dovuto dettare (ora in mano del presidenteGrillo), corredata delle sue precise informazioni relative allaloro qualità fisica, alla loro diversità d’origine, di utilizzabili-tà, di resa figurativa.

Un corso di pittura, dunque, direi proprio quello organizzatoin senso tradizionale, quello che, almeno idealmente, rimandal’espressione soggettiva al momento terminale dell’itinerarioformativo, restituisce al conoscere la sua intera densità di

significato e di funzione psicofisica.Insomma, una scuola siffatta propone

un lungo, impegnativo iter formativo,soltanto dopo il quale la soggettivitàdel pittore è adeguatamente attrezzata,per esprimersi anche nelle sue pieghepiù complesse e sfumate*.

Mi fermo qui anche e soprattutto perlasciare in tutta la loro evidenza possi-bile i principi affermati dalla nostraMaestra con particolare forza di con-vinzione: mi pare assolutamenteimportante l’energico richiamo rivoltoda lei alla pittura e alle arti figurati-ve in genere di essere coeve al lorotempo, di tenere presente la brutalitàdei fatti accaduti durante le guerremagari rovesciando, capovolgendo labrutalità in grazia: ma una grazia densadi contemporaneità, una grazia resa tre-pida dalle enormità accadute appenaprima. Così è estremamente coeva alsuo tempo, densa di contemporaneità larivalutazione convinta delle scuole dipittura ad impostazione tradizionaleche non è per niente stanco passatismo:è un’altra affermazione che oggi moltomeno di ieri può essere cancellata con

un tratto di penna. Sono in gioco elementi nuovi come la cosid-detta “demenza digitale” che non è un’ipotesi scientifica daverificare ma una pesante realtà in rapida espansione tra le gio-vani generazioni*.

*Tardivi e fuori luogo specialmente sul piano tipografico, ma cor-diali sono i ringraziamenti che esprimo al Presidente VittoreGrillo, alle signore Grazia Carlini, e Santina Ottonello e al dottorPaolo Ottonello che mi hanno fornito il grosso delle informazioniconcernenti il vivo dell’attività didattica della Maestra. Il dottorOttonello mi ha regalato anche l’inconsumabile pazienza di leg-gere più volte e modificare il testo in via di formazione.

Alla signora Antonietta Trione, in ringraziamento della fiduciache m’ha ripetutamente e gratuitamente concesso, penso sia piùappropriata la mia richiesta di poter “vedere” con lei la sua operadi ritrattista.

In questa pag.: Tomaso Pirlo e Piera Vegnuti.Nel 2016 la pittrice, scomparsa nel 2011, è stata ricordata ad Ovada in una mostra retrospettiva.

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Il Cav. Bernardo Bonaria, pubblicista e pittore naif

di Mauro Molinari

Ho sentito parlare per la prima voltadi Bernardo Bonaria da una amica diMolare, anche lei nata Bonaria. In effet-ti è uno dei cognomi più comuni di que-sto piccolo borgo a due passi da Ovada.Nelle mie ricerche sui libri dellaParrocchia di Molare se ne incontranogià a partire dall’inizio del 1600, sia neilibri dei battesimi, che risalgono al 1601,come in quello dei matrimoni; il librodei defunti è più recente e risale “solo”al 1671.

La parrocchia di Molare conservaanche i libri delle anime che, seguendole prescrizioni del Concilio di Trento, iParroci dovevano aggiornare in occasio-ne della benedizione delle case nelperiodo pasquale. Quelli di Molarecoprono un periodo quasi ininterrottodal 1700 alla metà dell’ottocento. Se neseguiamo alcuni possiamo renderciconto che già nel 1724 esistevano novenuclei famigliari con capofamiglia unBonaria, nel 1793 salivano a undici,mentre in quello del 1837 ne osserviamootto.

Ritornando al Cavalier Bernardo lamia amica molarese mi aveva parlato di

alcuni quadretti “naif” firmati BernardoBonaria che conservava la sua famiglia:anche se questo Bernardo, a loro cono-scenza, non sembrava ne facesse parte.La mia curiosità di topo di biblioteca siè messa subito sulle orme di questoBernardo, sguinzagliando parenti, amicie conoscenti alla ricerca di qualche trac-cia utile per ricostruire le sue origini .Già il titolo di Cavaliere faceva intuire lapartecipazione alla Prima GuerraMondiale e quindi la sua nascita alla finedell’ottocento, però nei registri parroc-chiali i Bonaria di quel periodo eranotroppi. A forza di chiedere sono venuto asapere di un Bernardo Bonaria appassio-nato di storia locale che oltre ad essereun discreto pittore scriveva anche sualcuni giornali della zona ed era morto aGenova alla fine degli anni ottanta. Perfarla breve ho scoperto, grazie all’aiutodella signora Lina, nipote appunto delCavaliere, che Bernardo era nato nel1899, era figlio di Francesco e di RosaParodi nativa della Costa di Ovada.Aveva tre sorelle Lucia Caterina, MariaGiulia e Teresa, due fratelli Francesco edAntonio, più grandi di lui. È curioso ilfatto, se le mie ricostruzioni genealogi-che sono esatte, che per ben sei genera-zioni il primo figlio si chiamasse sempreFrancesco! Un terzo fratello, anche luiAntonio, era nato nel 1894 ed era mortoin tenera età, da qui, due anni dopo, ladecisione genitori di chiamare ancoraAntonio il nuovo nato.

Dai fogli matricolari conservatiall’Archivio di Stato di Alessandriarisulta che tutti e tre i fratelli combatte-rono nella Prima Guerra Mondiale:Francesco, il più grande era alto 162centimetri, capelli castani e faceva ilcontadino. Mobilitato nel gennaio 1916nel 37° Reggimento Fanteria venne fattoprigioniero dagli Austriaci a BorgoVaragno nel maggio 1916 durante l’a-vanzata austriaca che portò alla rotta diCaporetto. Venne liberato nel novembre1918 e congedato nel 1919.

Antonio il secondo fratello, anche luicontadino, venne chiamato alle armi nel

1917 nel 68° Reggimento Fanteria econgedato nell’ottobre del 1920. InfineBernardo era alto 158 centimetri, capellineri e naso aquilino con occhi castani,faceva il meccanico e sapeva leggere escrivere. Venne arruolato nel 226°Fanteria nel giugno del 1917 e congeda-to nel marzo del 1921. Venne nuova-mente mobilitato nel 1938 ed assegnatoalla Quarta Corte Territoriale nel 1940.Come si può vedere tutti e tre i fratelliriportarono la pelle a casa dalla Guerradopo essersi fatti un bel periodo di naia,Francesco addirittura tre anni di prigio-nia! Tutti e tre i fratelli vennero insigni-ti dei riconoscimenti dovuti ai militariche avevano partecipato alla GrandeGuerra e potevano fregiarsi del titolo diCavaliere. Bernardo andò a lavorare aGenova all’Ansaldo, ma la sua passioneper la storia locale lo portò più volte apubblicare su riviste locali articoli sulla

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storia di Molare. Nelle pagine delle Vied’Italia, la rivista ufficiale del TouringClub Italiano, nell’aprile 1948 pubblicòun articolo sul Polentone, di cui fa risa-lire le origini al 1730. Nel 1981 pubbli-cò alcuni articoli sulla rivista Diocesana,l’Ancora di Acqui Terme, sempre sulleorigini di Molare e sui più antichicognomi della zona di Molare eCremolino: grazie alla collaborazione diPaolo Bavazzano di URBS e dei respon-sabili dell’Archivio Storico Diocesano,Gabriella e Walter: ne ho trovato traccianei numeri di marzo e giugno del 1981.

A mio avviso sono interessanti anchei quadretti che Bernardo amava dipinge-re utilizzando Molare come tema: sonoscorci del paese con il castello dei ContiGaioli-Boidi come sfondo.

Le chiacchierate con diversi perso-naggi di Molare non mi hanno permessodi soddisfare in pieno la mia curiosità digenealogista. Credo che il sogno dichiunque si diletti di genealogia sia dimettere a posto tutti i tasselli di un albe-ro genealogico, ma questo con i Bonarianon è possibile. A detta di alcuniBonaria di Molare, quelli esistenti a tut-t’oggi sono più o meno tutti imparenta-

ti fra loro. Questo potrebbe essere veroperché secondo Peter Ralph, autoreinsieme a Graham Coop dello studioapparso su PLoS Biology, “….il fattoche ciascuno di noi ha due genitorisignifica che il numero di antenati perogni individuo raddoppia ad ogni gene-razione. Usando la matematica possia-

mo calcolare che 10 generazioni fa ogniindividuo aveva mille antenati e 20generazioni fa ne avevano un milione ecosì via. Ma se andiamo a 40 generazio-ni fa, all’epoca di Carlo Magno, arrivia-mo a un trilione di antenati e questo è unproblema perché ci sarebbero stati piùantenati che persone. Da questo si dedu-ce che un sacco di quegli antenati devo-no essere stati la stessa persona”.

Se immaginiamo che in Italia lestime concordano sul fatto che nel 1200vivevano non più di dieci – undici milio-ni di abitanti,è senz’altro probabile chegli antenati dei Bonaria attuali si sianopiù volte incrociati nel corso dei secoli.

Per finire questo mio breve lavorosui Bonaria e per completare le informa-zioni in mio possesso sono riuscito adinserire in un ramo dei Bonaria diMolare sia Michele Bonaria, cheDomenico Bonaria ai quali sono dedica-te due strade a Molare. Il primo fu unpartigiano ucciso dai tedeschi nel 1944 aMolare, Michele Bonaria “Laila”, classe1924, venne assassinato la sera, verso leore 20.30 del 2 ottobre ‘44, alla periferiadi Molare, sulla strada per Cremolino;“Laila” e altri partigiani dovevano com-piere un’azione a Molare ai danni di un

Nella pag. prec., in alto: il cav. Bernardo Bonaria.In basso: Bernardo Bonaria militare, classe ‘99.

In questa pag.: illustrazioni di Bernardo Bonaria tratte dai numeri de “l’Ancora”.

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noto fascista del luogo. “Laila”, che eraa guardia della strada, intimò l’”ALT” aun camion proveniente da Acqui, ma perrisposta ricevette una serie di colpi diarma da fuoco che lo colpirono mortal-mente; al mattino del 3 ottobre, adagiatosu una scala a pioli, venne portato alcimitero di Molare. Alla luce delle miericerche questo Bonaria non è nato aMolare, ma, probabilmente a Genova. Ilpadre, infatti, Luca Giovanni di Molare,sposò nel 1923 una ragazza di Borzoli,Ester Ferrars, forse l’atto di nascita diMichele, detto Laila, andrebbe cercato aGenova.

Domenico Bonaria invece avevalasciato un lascito testamentario che per-mise nella metà dell’Ottocento dicostruire l’asilo di Molare ed è ricordatoda una targa nei pressi della BibliotecaComunale.

Questo Bonaria fa parte di un ceppodi cui sono riuscito, non senza qualchedifficoltà, a ricostruire l’albero genealo-

gico fino all’inizio del ‘600! A questiBonaria, proprietari e benestanti, sonoda ascrivere diversi medici e religiosi.

Con la collaborazione del geologoVittorio Bonaria, anche lui appassionato

cultore di storia molarese e nonsolo, sono riuscito ad inserireentrambi nei vari ceppi molare-si dei Bonaria!

Nel testamento “segreto”consegnato al notaio GiovanniBattista Baldizzone di Molare,pochi giorni pria di morire,Leopoldo Domenico Bonaria,nomina suoi eredi il nipoteDomenico, figlio del fratelloBernardino, i nipoti AntonioRossi e la moglie Bonaria, ilfiglioccio Michele Merlino.Non si dimentica nemmeno delmezzadro Canepa Giuseppe,ricordando ai suoi esecutoritestamentari, di confermarlonei suoi incarichi. Ma soprat-tutto lascia tutti i suoi restantibeni alla realizzazione di un’o-pera pia, un asilo nido per l’i-struzione dei figli e delle figliedi Molare. Esecutori testamen-tari ed amministratori di que-st’opera pia vengono nominatii più illustri personaggi del

paese: il sindaco, Conte Giuseppe GaioliBoidi, il parroco, l’Arciprete BiagioZerbino, il Marchese Giovanni BattistaRaggi ed il conte Celestino Tornelli.

Un ringraziamento va comunque aVittorio Bonaria per la copia delle car-toline di Molare disegnate dal Cav.Bernardo e, ovviamente a Lina, nipotedi Bernardo, che mi ha permesso di alle-gare a questo articolo alcune foto dellafamiglia.

L’albero genealogico dei Bonaria ètroppo esteso per allegarlo alle pagine diquesta rivista, chi fosse interessato puòsempre scrivermi a:

[email protected]

BibliografiaB. BONARIA, La sagra del polentone a Molare,Le vie d’Italia, Rivista ufficiale del TouringClub, aprile 1948.B. BONARIA, I più antichi casati di Molare eCassinelle, L’Ancora, marzo 1981.B. BONARIA, L’origine di Molare nei documen-ti, L’Ancora, giugno 1981.ARCHIVIO DI STATO DI ALESSANDRIA, Notaialessandrini, V° Versamento, Notaio G.B.Baldizzone, testamenti. ARCHIVIO PARROCCHIALE BEATA VERGINE DI

MOLARE, Libri battesimi, matrimoni e defunti.ARCHIVIO STORICO COMUNALE MOLARE, AsiloInfantile.

In questa pag.: Molare, cartoline d’epoca.

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Relazione sull’attività dell’Accademia Urbensenell’Anno 2017di Giacomo Gastaldo

L’anno 2017 è stato unanno importante perl’Accademia Urbense.Infatti, sono stati celebratitre fondamentali anniversa-ri: il Ventennale della mortedi “Nino” Natale Proto,nostro grande benefattore,che ci consente di portareavanti diverse iniziative; ilTrentennale della nascitadella Rivista “URBS” ed il Sessantennale dellaRicostituzione dell’Acca-demia Urbense fondata nel1783.

Quindi, lungo questosolco, proseguono le attivitàdi ricerca e pubblicazioni;mostre; conferenze culturalie commemorative per citar-ne alcune. Imprese coronata anche daaltre iniziative elencate nella presenterelazione.

DonazioniIl Sindaco Emerito di Ovada,

Lorenzo Bottero ha donato la sua raccol-ta privata di scritti (autori vari) relativi ai“Fatti della Benedicta” pubblicati, neldopoguerra, su giornali e riviste. Talecollezione, corredata da documentazio-ne fotografica, è stata incorporata nel“Fondo Lorenzo Bottero”. Per garan-tirne la conservazione, l’AccademiaUrbense ne ha iniziato la digitalizza-zione.

Paola, Donatella e Raffaella Bersi,figlie del compianto Pittore e ScultoreSergio Bersi, hanno donato un pregevo-le autoritratto del loro Padre e una testa,in cotto, del pittore Franco Resecco,ritratto in età giovanile.

MostreMostra commemorativa del 25

APRILE tenutasi nella Loggia di S.Sebastiano dal 22.4.17 al 25. 4.17 daltitolo: “In un Giorno di Aprile si è fattala storia”. L’Urbense ha fornito la relati-va documentazione basata su giornalidell’epoca conservati nel proprioArchivio Storico.

Mostra Antologica in ricordo di“Nino” Natale Proto. La Mostra si èsvolta dal 9 Settembre al 27 Settem-

bre ’17 nella Loggia di S. Sebastianoorganizzata da Ermanno Luzzani eGiacomo Gastaldo, col sostegnodell’Amministrazione Comunale diOvada. Nell’ambito della Mostra, ilmaestro Ermanno Luzzani ha svolto dueconferenze molto seguite:“Natale Proto, la formazione e la primamaturità”;“Natale Proto, l’evoluzione di una car-riera nell’arte di un testimone del ‘900”.La mostra ha avuto un successo di pub-blico. Un particolare ringraziamento èdovuto al V. Sindaco Giacomo Pastorinoed all’Assessore alla Cultura RobertaPareto per il loro cortese e costante inte-ressamento nonché al senatore AdrianoIcardi per l’applaudito intervento con-clusivo alla Conferenza.

Mostre di PitturaErmanno Luzzzani, mostre personali:Bosco Marengo (All’aria aperta ...Aprile/Maggio 2017);Spinetta Marengo, Paesaggi dell’anima -attimi ed atmosfere senza tempo -Settembre 2017);Il maestro Ermanno Luzzani, e la suascuola hanno esposto le loro opere inuna Mostra dal titolo “Suggestioni pitto-riche . fra vitigni e paesaggi monferrini”nell’ambito della “Festa dell’uva 2017”svoltasi a Molare.

Una bella mostra di pittura è stata

presentata ad Ovada inPiazza Cereseto, dal titolo“OVADA, dintorni e...”. Ipittori nostri soci, RobertoColombo e Adriano Valeri,nei loro paesaggi hannodipinto Ovada con varie tec-niche pittoriche.

Presentazione LibriIn Aprile a palazzo

Ducale di Genova, è statopresentato il libro postumodi Romeo Pavoni editodall’Accademia Urbense“Bizantini e Longobardi fraLiguria e Oltregiogo Temi eproblemi”. I relatori sonostati Guido Borghi, DanieleCalcagno, Marina Capanna,Sandra Origine e EdilioRiccardini, per l’Accademia

Urbense era presente il TesoriereGastaldo.

Il comune di Parodi Ligure e l’asso-ciazione Oltregiogo e l’AccademiaUrbense hanno organizzato una seratanel vecchio monastero di San Remigioin ricordo dello storico Emilio Podestà.Erano presenti molti professori universi-tari tra cui il nostro consigliere EdilioRiccardini.

ConferenzeNella Primavera del 2017 il Botanico

e Geologo Prof. Renzo Incaminato,Consigliere dell’Accademia Urbense, hatenuto una serie di conferenze divulgati-ve destinate al folto pubblico di appas-sionati:“I boschi dell’Ovadese” (conferenzapreparatoria 18 maggio 2017 - SalaCOOP - Ovada);“Passeggiata tra i boschi” (25 maggio2017 - Alture appenniniche).

Conferenze ArtisticheIl maestro Ermanno Luzzani, pittore

e studioso di Arti figurative - col patro-cinio dell’Accademia Urbense - ha tenu-to un ciclo di conferenze che ha richia-mato molti appassionati:La veduta veneziana , da Bellini aGuardi , ( 9 febb. 2017 - Sala Consigliodel Comune di Masone);Zuanne Antonio Canal, il “Canaletto”sommo pittor di vedute, (17 febb. 2017 -

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Sala Coop Liguria- Ovada);Bernardo Bellotto... quando il veduti-smo divien internazionale, (24 Feb -b.2017 - Sala Coop Liguria - Ovada);La Macchina Vasariana (2 marzo 2017 -Sala Coop Liguria - Ovada);Visita al museo di S. Croce in BoscoMarengo, (9 Marzo 2017);Le Impressioniste, quando l’Arte si veladi rosa (17 Mar. 2017 - Sala CoopLiguria- Ovada);Eduard Manet, un maestro fra passato edavvenire, (14 Aprile 2017 - Sala CoopLiguria- Ovada);Bertke Morisot, Eva Gonzales, MarieCassan, Marie Bracquemono, LeImpressioniste. Quando l’Arte si veste dirosa, Comune di Masone - Sala delConsiglio - 19 Ott. 2017.

Volumi e documentiÈ proseguita l’attività di catalogazio-

ne di nuovi volumi e di alcuni documen-ti recentemente acquisiti dalla BibliotecaSociale e dall’Archivio Storico. Lenuove acquisizioni sono state centocin-quanta.

Inoltre, è continuata la catalogazionedi manoscritti, documenti e pubblicazio-ni (talune risalenti ai secoli scorsi)riguardanti l’Ovadese. Materiale, raccol-to in alcuni decenni da PaoloBavazzano, che oggi assomma a 2.344documenti.

Biblioteca sociale e Archivio StoricoPeriodici

Durante l’anno è continuato il riordi-no e la sistemazione delle riviste, pub-blicate da Associazioni Culturali eBiblioteche, che sono entrate a fare partedella Biblioteca Sociale. Attività svoltasempre con immutata passione dalleArchiviste e Bibliotecarie Ins.Margherita Oddicino e Ins. RosannaPesce Pola.

Le testate, i giornali e le riviste dis-ponibili risultano essere duecentootto.

Schede d’archivioSono state stampate, catalogate e

archiviate circa 770 schede.Commemorazioni

S. Paolo Della CroceIn occasione del 150° Anniversario

della proclamazione a Santo di Paolo

della Croce, nella Cattedrale dell’As -sun ta di Ovada, il Parroco Don GiorgioSanti ha aperto la commemorazioneseguita da un intervento del V.Presidente Paolo Bavazzano sulla riccaiconografia dedicata al Santo.

Dal canto suo il maestro ErmannoLuzzani, noto studioso d’Arte, ne harievocato la figura illustrando alcuneimportanti opere artistiche relative alSanto Patrono ovadese presenti nellachiesa: la statua, l’altare e quadri tra iquali uno, assai importante, eseguito daIgnazio Tosi ed uno di proprietàdell’Accademia Urbense.

Ha chiuso la cerimonia commemora-tiva la Signora Luisa Russo sul Votofatto dalle Autorità Civili e Religiose il18 ottobre 1943 affinché Ovada fosserisparmiata da lutti e distruzioni dellaSeconda Guerra Mondiale.

Don Domenico PestarinoSabato 25 Novembre 2017, presso il

Collegio di Mornese, si è svolta laCommemorazione del Bicentenariodella Nascita di Don DomenicoPestarino alla quale ha assistito unnumeroso gruppo di Sacerdoti e fedeliriunitisi attorno a MonsignorMicchiardi, Vescovo di Acqui, ed alleSuore della Congregazione Salesiana.Oratori ufficiali sono stati il Prof. PaoloMazzarello, docente di Storia della

Medicina all’Università di Pavia, PaoloBavazzano, Sr Eliane Petri, Docente diSpiritualità di S.M.D. Mazzarello allaFacoltà Auxilium FMA. Era presenteGiacomo Gastaldo tesoriere edConsigliere delegato dell’AccademiaUrbense.

Visite GuidateIn collaborazione con Coop Liguria è

stato svolto un ciclo di “Visite guidate ”alle quali hanno partecipato numerosiSoci Coop genovesi sotto la guida delMaestro Luzzani e del V. PresidentePaolo Bavazzano:21 ottobre 2017 - Pinacotecadell’Urbense - Cattedrale - Oratori delleConfraternite - Casa natale di S. Paolodella Croce -;28 ottobre 2017 - Pinacoteca e sededell’Urbense - Cattedrale - Oratori delleConfraternite.2 dicembre 2017 - Pinacotecadell’Urbense - Oratori di Ovada e S.Croce di Bosco Marengo.

Stage Scuola/LavoroDurante il periodo estivo, due allievi

del locale Liceo Scientifico “Pascal”hanno frequentato uno “StageScuola/Lavoro” ad indirizzo archivisti-co:Emanuele Bonifacino ha riordinato l’e-meroteca sociale;Filippo Gorini ha rimesso in ordine gli

Nella pag. prec.: durante la Mostra su Nino Natale Proto, da sinistra Giacomo Gastaldo,Ermanno Luzzani, Paolo Bavazzano e don Giorgio Santi.

In questa pag.: uno scatto fotografico durante le visite guidate di Paolo Bavazzano.

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spartiti musicali del Fondo “Aschero -Bertolini”.

Didattica per le scuoleNel corso dell’anno scolastico si

sono svolti diversi incontri con alcuneclassi delle Scuole Elementari “Dania” e“Padre Damilano” vertenti su argomentidi storia locale.

Inoltre alcune classi degli IstitutiSuperiori come il “Barletti” e “MadriPie” hanno fruito di visite guidate aipunti della città presentanti maggiorevalenza storica.

Pubblicazioni nell’anno 2017Rivista Culturale “URBS - Silva et

Flumen -“ 2017 - XXX anno di pubbli-cazione e diffusione presso Soci,Biblioteche di Sodalizi, BibliotecheCiviche, Biblioteche Scolastiche eBiblioteche Universitarie.

Con l’ultimo numero dell’anno 2017ha esordito come nuovo DirettoreResponsabile di “URBS” il Decano deigiornalisti ovadesi e Sindaco Emerito diOvada Lorenzo Bottero, e Ivo Gaggeroper l’impaginazione della rivista. Unsentito ringraziamento da parte delPresidente, della Redazione e degliAssociati vada al Prof. Enrico CesareScarsi per avere ricoperto l’incarico diDirettore Responsabile della nostra rivi-sta culturale per trent’anni.

Franco Paolo Olivieri, Guida diRocca Grimalda, edita dall’AccademiaUrbense e dal Comune di RoccaGrimalda.

Paola Toniolo, La Cofraternita eL’oratorio della SS. Annunziata diOvada, con interventi di Aurora PetrucciTabbò e Francesco Caneva – Editadall’Accademia Urbense , in collabora-zione con la Confraternita della SS.Annunziata di Ovada.

Ermanno Luzzani e GiacomoGastaldo, catalogo generale a colori“Disegni ed dipinti di Natale Proto”.Edito dall’Accademia Urbense - 176pagine.

Il 9 dicembre il comune di Colleferroha presentato il Volume di carte, docu-menti e disegni dell’Ingegnere MicheleOddini donati dall’Accademia Urbensealla Città, riguardanti la progettazionedelle fabbriche e il primo villaggio diabitazioni costruito a Colleferro nel“Primo Novecento”. Il volume è statocurato da Renzo Rossi dal titolo“Omaggio a Oddini”. L’Accademia erarappresentata da Giacomo Gastaldo.Pubblicazioni in corso di lavorazione.

Alessandro Laguzzi, Guida diCastelletto d’Orba.

Giovanni Calderone, Guida diSilvano d’Orba.

RingraziamentiConcludo con un ringraziamento al

Reverendo Don Giorgio Santi sempredisponibile per le consultazionidell’Archivio parrocchiale; al nostrografico Giuliano Alloisio a cui dobbia-mo i disegni delle belle tessere del soda-lizio dell’Accademia, all’ing. Bruno

Tassistro, responsabile fiscale ed infor-matico del sodalizio, alle nostre archivi-ste: le signore Margherita Oddicino eRosanna Pesce Pola, al nostro segretarioPier Giorgio Fassino.

Un grazie riconoscente ai nostri Sociche ci sostengono con il loro contributoeconomico del “5 ‰”, ai Soci Soste -nitori, ai nostri Sponsor, agli Enti localidell’Ovadese, ed in particolare alComune di Ovada.

In questa pag.: Colleferro, 9 dicembre 2017, presentazione del libro “OMAGGIO AODDINI. L'architetto del '900”. Nella foto, con il nostro Consigliere Delegato eTesoriere Giacomo Gastaldo, l’autore, lo storico Renzo Rossi, e il sindaco diColleferro Pierluigi Sanna.

A ottobre del 2017 è mancata laconsigliera Adelaide Calderone,per molti anni una animatrice cultu-rale non solo dell’AccademiaUrbense ma anche di Lerma.Ricordiamo in particolare i suoicostanti impegni per le ristruttura-zioni del Santuario della Rocchettadi Lerma e della ChiesaParrocchiale lermese.

Gli associati dell’Accademia Ur -bense l’hanno conosciuta in occa-sione della giornata del F.A.I., gesti-ta dal Sodalizio. Per tale evento siera messa a disposizione dei visita-tori che venivano a Lerma per vede-re gli affreschi del Cinquecentonella Chiesa del cimitero.

Da allora abbiamo sempre colla-borato, ad esempio in occasionedella pubblicazione della “Guida diLerma”.

Inoltre mi piace ricordarla comeautrice, unitamente al maritoGiuseppe Moggio, del volume“Lermaciò”, opera di grande succes-so editoriale locale che descrive lavita dei Lermesi del secolo passatoarricchita con una importante icono-grafia.

Adelina per chi scrive e stata unagrande amica; una “Combattente”che ha dato a Lerma un contributoinportante anche in campo ammini-strativo essendo stata per quindicianni Vice Sindaco.

L’Urbense tutta la ricorda comevalida consigliera dell’Associazionesempre disponibile nelle iniziativeartistiche.

Giacomo Gastaldo

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Nello scorso dicembre è mancato inGenova l’amico e prezioso collaborato-re dott. Remo Alloisio. Questo modestoomaggio alla memoria non lo ripagacerto di tutte le attenzioni che Egli haavuto per l’Accademia Urbense dellaquale è stato fondatore e consigliere.Una figura indimenticabile per noi chelo conoscevano da molti anni e al qualevolevamo bene per tanti motivi. Per que-sto desideriamo nuovamente esprimereil nostro più sincero cordoglio allasignora Gisetta e ai Famigliari che conRemo hanno perduto una insostituibileesistenza.

Al momento della redazione delprimo numero della rivista (1986) Remoera presente e ha fatto parte della reda-zione fino alla sua dipartita. È sufficien-te scorrere l’indice delle annate per sco-prire quante volte la sua penna si èmessa in movimento per noi. Con noi hapubblicato l’interessante volumetto Ilcatalogo strumento dell’Arte, a corredodella mostra svoltasi nel 1979 nella log-gia S. Sebastiano. In più occasioni hastudiato opere della quadreriadell’Urbense, raccogliendo puntualinotizie utili alla realizzazione di inserti acataloghi d’arte. Sue le conferenzeCapire l’arte moderna (1975) e Il vero efalso nell’arte (1978). Ma Remo non erasolo questo.

Nato a Ovada il 23 dicembre 1929,

componente di una famiglia numerosa(7 figli), quindicenne, partecipa allalotta di Liberazione come staffetta colnome di battaglia Pinocchio. Il suo com-pito è quello di portare ordini e vettova-glie alle formazioni partigiane. Il 30dicembre 1944 viene arrestato con lamadre Rita Bausola ed il fratello Sergiodalla Gestapo e, dopo un duro interroga-torio, condotto al carcere di NoviLigure. La sua famiglia, come si puòapprendere in maniera più approfonditanell’articolo di Pier Giorgio Fassinopubblicato in altra parte della rivista, èattivamente impegnata nella lotta di

Liberazione. Il padre Giovanni (Luigi)appartiene al movimento Giustizia eLibertà e in Ovada è tra i fondatori delC.L.N. La sorella Stefania (Bianca) e ilfratello Sergio (Cencio) sono attivi nellaResistenza, prima nella zona ovadese epoi in quella di Torino. Al papà Remodedicherà, nel 1981, il libro Luigi è stan-co, parafrasando il codice criptato usatoda Radio Londra.

Tra gli appunti che Remo ha lasciatoc’è il ricordo della sua prima giovinezzatrascorsa al Ricreatorio Don Salvi diOvada: «Le innumerevoli partite chedisputavamo all’Oratorio erano memo-

Un ricordo di Remo Alloisiodi Paolo Bavazzano

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rabili, il campetto in terra battuta che ciprocurava ad ogni caduta sanguinoseescoriazioni, era il nostro “Eden”». Eproprio al Don Salvi, sotto la guida spi-rituale di don Domenico, svilupperà unforte sentimento religioso che lo accom-pagnerà per tutta la vita e che si riveleràil distintivo di un uomo capace di ascol-tare, umile e rispettoso ma al tempo stes-so fermo nei propri ideali, una bella per-sona insomma, con la quale era un pia-cere conversare di qualsiasi argomento.

Nel dopoguerra affianca allo studiol’incrollabile passione per il pallone. Lasua parabola in ambito calcistico lo vedegiocare nell’Alessandria negli anni incui la squadra è in serie C, (l’Inter lovorrebbe ma…) poi entra nel Varese,nella Novese, nell’Asti e infine nella for-mazione calcistica di Quarto al mare. Èamico fraterno dei calciatori FrancescoTortarolo di Ovada e Stefano Angeleri diCastellazzo Bormida, mediani, militantiin serie A e dei quali ha tracciato un belricordo in «Urbs» nel secondo numerodel 2002.

Appena laureato, inizia il tirociniopresso la farmacia Gavino diCampomorone affiancando in laborato-rio l’anziano dott. Federico. Poi entranel vivo della professione e, dal 1958 al1988, in Genova, conduce con la mogliesignora Gisetta la farmacia Lazzeri (incorso Magenta) in società con il dott.Malvicini.

Nel frattempo affina i propri interes-si per l’arte studiandola a fondo fino afarsi apprezzare come critico preparato eequilibrato. Remo, infatti, ha saputovalorizzare artisti (pittori in prevalenza),poco noti pubblicando numerosi articoli,oltre che su «Urbs» anche sulle riviste«Arte e Stampa» e «Ponente d’Italia»edite da Sabatelli, gestore dell’omonimaGalleria d’Arte in via Cairoli a Genova,dove Remo sovente si poteva incontrare.

Presidente negli anni 80 della sezio-ne A.N.P.I Manin-Burlando, copre lacarica di segretario dell’Istituto Storicodella Resistenza in Liguria, dal 1991 al1993, sotto la presidenza dell’avv.Raimondo Ricci. Vice presidente

dell’A.N.P.I. provinciale di Genova dal1993 e Consigliere Nazionaledell’A.N.P.I.; collabora alla rivista«Patria Indipendente». Rafforza i contat-ti con i centri di Roma ed altri e soprat-tutto tiene innumerevoli incontri nellescuole con studenti ed insegnanti perapprofondire la conoscenza della storiadella Resistenza. Incontri spesso condi-visi con una testimone di eccezionecome Liana Millu, ex deportata e parti-giana. Instaura rapporti d’amicizia conFulvio Cerofolini Presidentedell’A.N.P.I. e poi Sindaco di Genova.In varie occasioni è proposto come ora-tore ufficiale delle celebrazioni del 25Aprile e, a Ovada, dove torna sempre

volentieri, è sovente richiesto dallaSezione zonale dell’A.N.P.I. per incontricon i giovani delle scuole cittadine,aventi come tema il periodo resistenzia-le.

Nel ringraziare la sorella Lina che diRemo, con la solita cortesia, ha fornitotante informazioni, ci piace concluderecon un flashback: …quando in redazio-ne squillava il telefono e dall’altra parteera Remo a parlare, si capiva subito che,oltre alla ragione specifica per cui stavachiamando, desiderava sapere le ultimenuove della sua Ovada, dove oggi ripo-sa, e se gli rispondevi in dialetto ridevadi cuore.

Nella pag. prec., in alto: Il primo da sinistra è il quindicenne Remo “Pinocchio” Alloisio,staffetta partigiana, Ovada 1° maggio 1945.In basso: l’Alloisio calciatore, il penultimo a destra, con la divisa dei Tigrotti di Ovada.

In questa pag.: Remo Alloisio in un’intervento all’ITIS C. Barletti.

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CAMILLA SALVAGO RAGGI, Volevomorire a ventanni, Ed. Lindau - Torino,2017 - Brossura pag. 116 - “PremioLetterario per la donna scrittrice” -Rapallo Carige 2017 - Premio specialedella Giuria -

Più un dovere di cronaca che unarecensione sono le poche righe dedicate daquesta rubrica al volume di CamillaSalvago Raggi, pubblicato recentementedalla torinese Lindau.

Il titolo, senza dubbio curioso, richia-ma alla memoria un atteggiamento di vitaora rivisitato con l’animo di una nobileSignora che, imperturbabile, prosegue lasua attività di scrittrice tanto brava quanto,talvolta, ignorata da una miope e indolen-te “aristocrazia del sapere”.

Eppure, un giorno, potrebbe esserericordata come una nuova Jane Austen,visti gli argomenti trattati nelle sue opere,scritte tra le mura di Campale equiparabilea Chawton Cottage:

“Si, lo confesso, ho un debole perquello stile di vita che ho conosciuto solonei libri, british nel senso più ampio dellaparola. Tè per la prima colazione conuova e bacon, cambiarsi per pranzo, avereuna cameriera alle spalle per sistemarsi icapelli .... Downton puro, ovvio. ....... Epoi prati a distesa, cavalli, grossi canisbavanti e scodinzolanti - e c’è, io almenoce lo trovo, un nesso tra questi blasonatis-simi signori di campagna e i sofisticatissi-mi da me ugualmente amati intellettuali diBloombury - penso a Virginia Woolf e alsuo entourage, Vanessa, Vita Sackville-West, i giardini di Charleston e Monk’sHouse .... Suono snob?..... Spero di no,diciamo nostalgica di un mondo che hoamato senza averne mai fatto parte.”.

A queste tipiche riflessioni personali siaggiungono le narrazioni di esperienzeinconsuete con particolari che mai potrem-mo trovare nei libri di storia. Si veda l’epi-sodio di Kesselring, comandante supremodi tutte le forze tedesche in Italia, che alcu-ni possono immaginare in un bunker dellaLinea Gotica, intento a dettare ordinanzeper la lotta alle formazioni partigiane sem-pre più attive ed audaci sulle alturedell’Appennino tosco-emiliano e roma-

gnolo. Stridente contrasto con la realtà,osservata dalla ventenne Camilla, cherivela un feldmaresciallo della Luftwafferidotto ad un pacato cliente del lussuosohotel di Nervi, gestito da tre fratelli sviz-zeri, i quali, in un ovattato salotto, ospita-no probabili incontri clandestini di appar-tenenti al Comitato di Liberazione.

Eccolo:“E poi nel ’44, ci furono i tedeschi.

Pezzi grossi della Wermacht: dei lorogradi non ho mai capito gran che ma inastrini che si sovrapponevano sulle lorodivise - ogni nastro una battaglia, no? -incutevano una qualche sorta di rispetto.Odoravano di panno militare, di grasso distivali. Avevano voci alte e risate fragoro-se. Non fraternizzavano né coi Beeler nécon gli altri clienti. I quali, noi comprese,li sbirciavano fra intimoriti e curiosi. Poiuna sera capitò in albergo - nientepopodi-meno - che il feldmaresciallo Kesselring!Brusio fra i clienti, occhiate più che maicuriose, più che mai intimorite. Ma nonbasta: quando la sera del suo arrivo io ela mamma stavamo per salire in camera,davanti all’ascensore ci trovammo lui. Luie un altro ufficiale, forse il suo attendente.Con un batter di tacchi, un «madame ...» -eccolo farsi da parte per lasciarci entrare.

Così fu che nella cabina (oh, lo ricordobene quell’ascensore, legno, vetri e stra-puntino di velluto ....) ci ritrovammo a fac-cia a faccia con lui e il suo attendente.Breve il tragitto dal piano terra al primopiano ma - vero che l’ascensore salivalento ( nel suo procedere con un lieve cigo-lio di carrucole) - sembrò lunghissimo pernoi, mute, a testa bassa, consapevoli diun’intrusione (forse non avremmo dovutosalire insieme a loro?) e nello stessotempo di un privilegio. Proprio il feldma-resciallo Kesselring! E proprio a noi dove-va capitare! L’emozione durò a lungo e inqualche modo dura ancora oggi, se miviene di raccontarlo. Il nemico può essereodioso quanto si vuole, ma ha pur sempreuna sua sinistra fascinazione.”.

A questi brevi cenni che invitano aduna lettura dell’intero volume, si aggiun-gono le calorose congratulazioni di tutta laRedazione di “URBS” all’Autrice per larecente elezione ad “Ovadese dell’Anno”.

(pier giorgio fassino).

LUCA REMIGIO PICCARDO, All’ombradella tua assenza in fiore, Edizione Eracle,2018. Illustrazioni di Giovanni Dolcino.Prefazione di Patrizia Giacobbe, medicopsichiatra.

Luca Remigio Piccardo, forte delleprecedenti esperienze letterarie, in questonuovo libro elabora vicende un po’ diversedall’usuale: parla di sé, degli affetti piùcari, della sua terra, ed è forse per questoche mi ha chiesto, come appassionato distoria locale, di leggere l’opera ancora inbozze e di divagarvi intorno.

La narrazione ha riacceso in me tantiricordi legati ai due torrenti che si unisco-no appena dopo Piazza Castello.L’abbraccio è affettuoso, avvincente, e avolte impetuoso come un fiume in piena:simile al ritmo narrativo di Luca che per laverità intriga fino all’ultima pagina.Complessivamente il suo può considerarsiun ardente omaggio ai corsi d’acquadell’Ovadese e alla pesca sportiva. Figurecentrali e marginali animano l’intero libroe il racconto è intervallato da battute d’ar-

Recensioni

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resto e variazioni sul tema che amplianol’esposizione dei fatti oltre l’assunto prin-cipale. L’azione si svolge negli ultimidecenni del secolo scorso e il filo narrati-vo percorre e ferma nel tempo gli ultimisprazzi di una civiltà morente e ormai fini-ta. Egli fa rivivere vite di generazioni pro-tagoniste di buona parte del Novecento: unsecolo di grandi trasformazioni sociali ed’importanti conquiste scientifiche, segna-to però da tragici eventi. In ogni famigliaqualcuno ha raccontato dell’ultima guerra,parlando dei bombardamenti, dei tedeschi,della Benedicta, della Liberazione, dellaborsa nera e della tessera annonaria chepermetteva appena di sopravvivere allafame. A Luca quel brutto periodo lo avràcertamente ricordato nonna Luigina, figu-ra emergente e onnipresente nei vari capi-toli del libro. Essa, dopo aver perso l’ama-to compagno di una vita, per superare ilforte dolore si dedica sempre di più alnipote su cui riversa tutto il proprio affettoprotettivo. Si tratta di una nonna sprintdotata di automobile, una Ford Fiestacolor rame con un orsetto Coccolino sedu-to sul cruscotto, una donna davvero spe-ciale che sa raccontare e insegnare masoprattutto ascoltare. Un giorno i due deci-dono di entrare in un negozio di articolisportivi e acquistano una canna da pesca ealtre attrezzature a corredo. Ha così iniziouna lunga avventura fluviale che il lettoreavrà modo di scoprire una pagina dopoall’altra, fino al penultimo capitolo. Dicoquesto perché il pezzo finale si discostamolto dal resto del racconto e forse meri-terebbe un’analisi più attenta e profondadello scrittore, compito per me non facile.

Mentre Luca getta l’esca e aspettaimpaziente che il pesce abbocchi, la nonnasferruzza a maglia e tiene sotto controllo lasituazione. I posti dove lanciare la lenzacoprono un vasto territorio. Tempo e divie-ti permettendo, i nostri pescano un po’ovunque, a monte e a valle dei due torren-ti, ed ogni luogo è descritto accuratamen-te, tanto che uno ci mette un attimo adorientarsi: il lago della Marchesa, i Ciuttiposto rinomato per le fragole, il Gazzolo,il guado del Gnocchetto, la Rebba, toponi-mi che già nella denominazione riflettonoun’origine antica che varrebbe la pena distudiare.

La trama letteraria è invece un po’ piùcomplessa, a tratti intricata, ma mette inluce un narratore di grande sensibilità cheprocede con garbo e passione nell’avvi-cendarsi delle situazioni e degli eventi nar-rati. A più riprese Luca denuncia, senzapeli sulla lingua, i soprusi dei potenti,quelli che contano insomma e che sovente,come si dice dalle nostre parti “fanno deirotti”.

A trattazioni documentate e minuziose,soprattutto legate all’universo ittico (infor-mazioni precise sulle varie specie di pescie sull’impiego di tecniche e di trucchiinfallibili per prenderli all’amo) ne seguo-no altre dagli sviluppi fantasiosi e fiabe-schi, persino tenebrosi (la pesca notturnapervasa da inquietanti presagi) e ancorapassaggi letterali di viva partecipazioneumanitaria e politica che indirizzano lapenna di Luca su temi sociali, talora svi-scerati con un po’ di sarcasmo e buonadose di criticità. Come se egli dovesseesprimere i propri pensieri rispondendo adue anime, una pacifista e l’altra bellicosa.Lapidaria è la denuncia del fiume avvele-nato dall’industria dell’uomo, la Bormida,esemplare vergogna di un territorio fraPiemonte e Liguria da sempre svilito edepredato di risorse naturali preziose evitali come l’acqua. Si dice che l’acquadeviata, arginata, compressa, prima o doporipassa dove un tempo scorreva.

Riaffiorano inoltre dal racconto diLuca visioni rasserenanti, immagini che daragazzo ho vissuto lungo il torrente.Eventi accaduti in ambiti fluviali certa-mente più animati e chiassosi di oggi, poi-chè tanta gente delle amate sponde nefaceva punto di riferimento e di ritrovodurante tutto l’anno.

La vegetazione ripariale, i riflessi del-l’acqua, i cieli azzurri e le nubi di un bian-co antico immutato, sono visioni tipichedei nostri luoghi che invitano alla rifles-sione e ai ricordi. Rivedo Piero che pescaseduto sulla chiusa dello Stura, appenasotto il campo di tutti, con il berretto rossoe giallo del colorificio Boero. I pesci cheabboccano l’infilza uno dopo l’altro in unvimine. Per cena le sue prede finiscono inpadella e l’odore di fritto si spande pertutto il quartiere. Cosi ognuno può imma-ginare, se ve ne fosse bisogno, che Pieroha trascorso il pomeriggio al fiume con lasua inseparabile e rudimentale canna dibambù.

Nei caldi pomeriggi estivi, quando inlontananza tra cielo e terra, l’aria surriscal-data fa tremolare l’orizzonte e balla lavecchia, l’ora silenziosa della siesta è rottadal vociare di ragazzi dei quartieri popola-ri che, come tanti pulcini pigolanti, davan-ti alle mamme gravate del paniere colmodi biancheria, scendono al torrente. Ilghiaieto si popola di varia umanità e, comeverseggia il poeta, dove l’onda fa la schiu-ma e scorre la gorgogliante ravesa, ledonne sistemano la propria ciappa e,ginocchioni sul paniere, cominciano alavare e a strofinare i panni con il saponeprofumato di Marsiglia. I figli si disperdo-no o si riuniscono in bande lungo le spon-de, alcuni si eclissano fra i cespugli e ini-ziano a giocare. Il bagno è permesso nonprima di una certa ora per via della dige-stione in corso. Mai prima del 29 giugno,perché un detto popolare sentenzia che S.Pietro, custode delle chiavi del paradiso,quel giorno vuole per sé almeno unbagnante. Dopo i tuffi nel punto dove l’ac-qua del torrente è più profonda e di colorverde cupo, il divertimento più bello èquello di scovare i pesci nascosti sotto lepietre cercando di acchiapparli con lemani. Gianni, quando invece di un pescestana una biscia, dopo averla fatta roteare

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a lungo, creando una certa apprensioneall’intorno, la getta verso le lavandaie cheatterrite urlano e imprecano verso il ragaz-zo terribili accidenti.

Altra figura presente giornalmente sul-l’arenile era il sabbiaiolo, ossia il passato-re di arena che lavorava per conto degliimpresari edili. I suoi attrezzi consistevanoin un badile e in una rete di ferro fissata suquattro assi che serviva a setacciare laghiaia per ottenere la rena più fine. Ognimetro cubo di sabbia equivaleva a pochelire e anche tale occupazione, oltre chefaticosa, era miseramente retribuita. Unacartolina d’epoca ferma la visione di quat-tro cavalli che attraversano il fiume tiran-do un carro, il tumbarin, pronto per essereriempito, altri pochi disegni del pittoreResecco raffigurano sabbiaioli in sosta edè quasi tutto ciò che rimane di loro.

Quando i salici sono sugosi di linfavitale c’è chi li raccoglie e li spella rimuo-vendone la corteccia e le foglioline. Deivimini legati in fascetti ne fanno incetta icestai dai quali saranno trasformati inpanieri, cestini, cavagne e in rivestimentiper fiaschi e damigiane. Martinetti, ilcestaio con bottega in vico vecchio decidesempre lui il prezzo. Ci scuce qualcheliretta per il biglietto d’ingresso al cinema-tografo ma spesso i soldi sono appena suf-ficienti per l’acquisto della striscia delfumetto di Tex Willer.

D’estate fino a quando fa buio negliorti vicini al torrente si sente parlare, moltefamiglie stanno consumando la propriacena imbandita nei pressi del cascinottodegli attrezzi agricoli. Dopo le rituali pra-tiche d’innaffiatura, ora che il caldo è piùsopportabile, una buona insalata è quelloche ci vuole: olio, aceto e sale si porta dacasa e se il vino manca ci si accontentadell’acqua del pozzo. Un’acqua limpida etersa come quella delle sorgenti vicino alfiume alle quali ognuno può dissetarsisenza tema di farsi venire il mal di pancia.

Il torrente può anche celare insidieimprovvise. Verosimile, e quasi sospesanel vuoto, è la descrizione che Luca fadella piena improvvisa del torrente,annunciata dal sopraggiungere di foglie eramoscelli mentre il livello dell’acquacomincia a salire. Allora è tempo di scap-pare via, persino quando il sole splende

alto nel cielo. Nei bricchi ha piovuto el’onda cogliendoti di sorpresa ti arrivaaddosso che non te ne accorgi nemmeno. Ivecchi giornali parlano di salvataggi mira-colosi, di pescatori in balia del vorticelimaccioso, tratti in salvo in extremis. Neiprimi anni del Novecento uno di loro rima-sto isolato in mezzo al ghiaione riesce aguadagnare la riva grazie agli acrobati delCirco equestre Travaglia attendato in città:Agli impavidi soccorritori il ben meritatoriconoscimento della classica medagliadorata e un encomio stampato sullaGazzetta Ufficiale del Regno.

Dopo la piena la gente scendeva al tor-rente per vedere se trovava qualcosa dibuono. Qualche pesce ancora vivo che sidibatteva nelle pozze di acqua sporca, lalegna da mettere nel camino e nella stufa.C’era una regola che raramente era tra-sgredita. Sul mucchio di legna venivaposata una pietra che stava a significareche qualcuno l’aveva raccolta e nessuno, aparte un ladro. si sarebbe azzardato a pren-derne.

Nelle vicinanze del torrente si giuoca abocce, si improvvisano balli campestri e inagosto si organizzano le pesciolate, nien-t’altro che fritture di pesce in padella. Lacompagnia vede riuniti provetti suonatoridotati di clarino, fisarmonica chitarra emandolino, come si può notare nella pic-cola foto, sbiadita e bisunta, rimasta pertanto tempo nel portafoglio di Domenico.Quanti ricordi e che tempi.

(paolo bavazzano).

Docu-film di Telemasone: Don Berto ilprete partigiano.Masone. Venerdì 28 aprile 2017, alle ore21 nel Cinema Opera Mons. Macciò èstato proiettato il docu-film dal titolo “Unacroce sulla giacca - Don Berto il prete par-tigiano”. In occasione del 72° anniversariodella Liberazione e del 10° dalla morte diDon Bartolomeo Ferrari, alcuni volontaridell’Associazione Multimedia No Profithanno realizzato un vero e proprio corto-metraggio, portando sul grande schermo ipunti salienti del libro “Sulla Montagnacon i partigiani” scritto e pubblicato daDon Berto, il cappellano dei partigianidella divisione Mingo che operò nell’en-troterra ligure, nel territorio tra la

Benedicta, le Valli Stura e Orba e il BassoPiemonte nella zona dell’ovadese.Per la realizzazione del film, il team si èavvalso del ricchissimo archivio diTeleMasone Rete Vallestura, costituito dainterviste e commemorazioni degli eccididella Benedicta e dei 13 Martiri diMasone; un importante contributo fotogra-fico è stato offerto dal Museo Civico A.Tubino di Masone, dall’ Istituto per laResistenza di Genova e dall’ AccademiaUrbense di Ovada, oltre che da privati.Il Museo Passatempo di Rossiglione hainvece fornito buona parte dei costumi edegli oggetti d’epoca per le riprese.Durante la serata sono intervenuti DonGiampiero Armano, testimone della stragedella Benedicta del 1944, il Presidentedella Provincia di Genova dell’A.N.P.I.Massimo Bisca e Don Carlo Canepa, ilparroco di Santa Maria della CellaSampierdarena, parrocchia in cui DonBerto operò nei suoi ultimi anni.L’intento della serata è stato quello di pro-porre una visione diversa della Resistenza;tolti gli aspetti storici e politici rimane dadescrivere, con un efficace confronto pas-sato/presente, la forza d’animo con cui igiovani partigiani hanno difeso la proprialibertà.Una morale di certo inflazionata, ma resaancor più apprezzabile dalle comparseingaggiate tra i giovani della Valle Stura.

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“Nino” Natale Protoa Santa Croce

Mostra dedicata alla sua Figura: la mostra

dal 1 al 17 giugno 2018

Nell’ambito dei programmi editoriali dell’Accademia, in

primavera uscirà il libro postumo di Romeo Pavoni dedicatoalla storia dell’Oltregiogo

Genovese.

In autunno verrà presentato il libro“Il giorno che facemmo un Re”,omaggio a Claudio Villa, Reuccio

della Canzone Italiana.La tiratura del volume è molto limitata:

i Soci interessati potranno prenotarlo entro Settembre.

Nel mese di settembre, dal 21al 30 avverrà un mostra pittorica

ed un angolo conferenziale, dedicati al fascino dei cieli

del Monferrato. In esposizione opere del Maestro

Ermanno Luzzani e dei suoi allieviovadesi e boschesi.

L’evento si terrà presso la Loggia di San Sebastiano in Ovada.

SOSTENETE LE INIZIATIVE DELL’ACCADEMIASOTTOSCRIVENDO IL 5 X MILLE INTESTATO

AL NOSTRO SODALIZIOP.I. e C.F. 01294240062

Invitiamo tutti i Soci e i Simpatizzanti a visitare il sito internet dell’Associazione. Vi troveranno una biblioteca on-line di circa un centinaio di monografie

ed inoltre tutti i numeri di URBS, salvo l’annata in corso.

L’evento avverrà presso la prestigiosa sala Gorbacev, sita

presso il Complesso Monumentaledi Santa Croce in Bosco Marengo.

Nel contesto lo studioso d’Arte Ermanno Luzzani terrà un conferenza

sul talento e la poliedricità artistica del Maestro.

Autoritratto, 1963

TESSERAMENTO 2018Attraverso la Vostra quota associativa ci permettete di svolgere al meglio le attivitàdell’Associazione, volte alla difesa del patrimonio storico-artistico, usi, tradizioni

e dialetto dell’Ovadese, storicamente inteso, ed alla sua valorizzazione.

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