Populisti!

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Populisti Settimanale quotidiano La politica si fa al microfono Il Serale numero 16 08 ottobre 2012

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La politica si fa al microfono

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Populisti

Settimanale quotidiano

La politica si fa al microfono

Il Seralenumero 16 08 ottobre 2012

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Parole, popolo e passepartout

Due anni fa Ilvo Diamanti provava arimettere insieme i cocci di un termine

abusato e sfruttato in modi diversi a secondadelle generazioni. «È populista, o comunqueconsiderato tale, lo stile di comunicazione deipolitici e della politica. O meglio, latrasformazione della politica incomunicazione». Con l’avvento dei partitipersonali gli uomini di governo hannoimparato a rivolgersi a un elettorato divenutopubblico pagante, dimostrando di trovarsi aproprio agio nei nuovi media. Armati esoddisfatti dei loro spin doctors hanno peròsottovalutato la comunicazione, il campo in cuistavano spostando il proprio raggio politico, e sisono scoperti, complice la progressiva sfiducianei partiti, a rincorrere il mostro che hannogenerato.

Le parole sono il delta di un fiume che orapuò essere percorso al contrario:

Montezemolo, Della Valle, Marchionne e poigiornalisti, comici, scrittori. Personaggi, checon la politica non hanno niente a che fare, siinsinuano nel vuoto creato dal fallimento deipartiti e sfruttano le dichiarazioni come chiaviper aprire l’agenda politica. Il populismo ècambiato: da strumento di consenso, aconsensuale distruzione del vecchio sistema.

di Filippo Desabato

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Capo d’accusa di una generazione

Ci sono molti modi per rac-contare il declino di una

civiltà. Uno di questi è descri-vere la distorsione delle paroleda essa create, imposte alla sto-ria, e poi evirate del propriosenso originario a causa dell’in-voluzione di quegli stessi am-

bienti che le avevanodato vita.

Una di queste è“populismo”. Comespiega Bruno Bongio-vanni nell’Enciclope-dia delle Scienze

Sociali, il termine, nato in Rus-sia nella seconda metà dell’Ot-tocento, corrisponde alla parolarussa narodničestvo, la quale asua volta deriva da narod (“po-polo”), e si sviluppa nella cor-rente di idee socialiste formatasisotto l’Impero zarista. La parola

identificava nel popolo, ossia inquella realtà contadina lontanadalla classe operaia occidentale,accusata di lottare contro laborghesia solo per rilevarne agie costumi, il vero soggetto dellarivoluzione. Questa sorta divirtù morale era poi in sintoniacon un certo orgoglio “pan-slavo”, e vedeva nello sviluppodella comunità rurale russa labase di un’attività politica favo-revole.

Narodnik, populista, non eraallora il contadino, bensì il mi-litante che incitava il popolo adiventare consapevolmente ciòche esso già era.

Da questa premessa, fonda-mentale, bisogna poi spostarsidi qualche anno e qualche chi-lometro. Infatti è nel 1891 chea Cincinnati nasce il People's

Dal fascismo fino alla Lega, il populismo oggi è diventatoun’arteria del nostro modo di comunicare, svincolandosidalla vecchia politica che l’ha generato di Nicola Chiappinelli

Narod, popolo esocialismo: la parolanasce nella Russia zaristadell’Ottocento

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Party. Il partito del popolo sipresenta come punto terminaledi una più vasta protesta agraria,originata soprattutto dagli effettidella “grande depressione” sta-tunitense degli anni Settanta.Ma oltre alla grande finanza cor-rotta, tra gli elementi avvertiticome nemici da questo movi-mento politico troviamo ancheil nascente melting pot: avver-sari dichiarati erano infatti gliebrei, gli immigrati più recenti,e naturalmente i neri.Ed è proprio a partire dall'e-

sperienza americana, la qualepresenta aspetti di continuitàcon quella russa, che il terminein questione si carica di signifi-cati particolari volti a rilevarenell'atteggiamento populistico ilpaternalismo o la demagogia dichi, per fini propri, organizza omobilita le istanze delle masse.Prime esemplificazioni di

questa condotta sono indivi-duate storicamente in alcuni re-gimi del Sud America dellaprima metà del Novecento,come il Brasile di Getulio Vargase l’Argentina di Peron: la con-clamata supremazia della vo-lontà popolare e la fascinazioneper il consenso plebiscitario rap-presentano il nucleo ideologicodel cosiddetto “populismo lati-noamericano”.Da questi connotati prende

spunto la pubblicistica della se-conda metà del secolo che inizia

a definire “populistici” alcuniaspetti dei diversi fascismi natiin Occidente, tra cui quellomussoliniano. E spostiamo cosìl’attenzione in maniera miratasul nostro Paese.Liberazione, e ricostruzione,

cambiano tutto. O quasi. Un sag-gio di Roberto Biorcio ricordauna ricerca del 1963, degli stu-diosi Almond e Verba, in cui silegge che gli italiani usciti dalla

guerra mostravano uno scarso li-vello di cultura civica, a vantag-gio di una cultura cosiddetta“particolaristica” che univa lascarsa fiducia nei confronti delsistema, alla sfiducia nelle pro-prie capacità di influenzarlo.L'Italia degli anni Cinquanta

Da Vargas (foto) a Peron: la supremazia dellavolontà popolare e la fascinazione per ilconsenso plebiscitario sono il nucleo delcosiddetto “populismo latinoamericano”

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appariva dominata dall'aliena-zione politica che si legava allasfiducia verso gli altri e alla sen-sazione di vivere in un ambientesociale carico di pericoli. Altriaspetti di questa basso grado ci-vico erano un limitato orgoglionazionale, atteggiamenti parti-

giani nella lotta politica, scarsacompetenza e diffusa indiffe-renza rispetto agli obblighi dellapartecipazione. Nonostante ladiffusione e il breve successo ot-tenuto dall’Uomo Qualunque diGuglielmo Giannini, il movi-mento poi diventato partito che

riuscì a far eleggere 30 suoi de-putati in Assemblea Costituente,la vita dell’Italia del dopoguerrasembrava comunque confutarel'immagine di un Paese domi-nato dall'alienazione politica: lapartecipazione elettorale simanteneva elevata; milioni dicittadini si iscrivevano ai partitidi massa; le mobilitazioni socialierano frequenti e raccoglievanoampie adesioni; la stessa Chiesacattolica suppliva alle carenzedella cultura civica degli italiani,diffondendo orientamenti checondizionavano la socializza-zione di gran parte della popola-zione.Il quadro cambia progressiva-

mente dagli anni Sessanta: boomeconomico ed espansione deiconsumi modificano gli stili divita del Belpaese. I partiti tradi-zionali iniziano ad attecchiremeno, e le mobilitazioni studen-tesche e operaie dimostranocome l’attivismo sia penetrato in

Il Qualunquismo, che portò 30 suoi deputati in AssembleaCostituente, è diventato il paragone più utilizzato per

definire i nuovi populisti.

Nonostante successi come quello dell’UomoQualunque, la vita dell’Italia del dopoguerraconfutava l’immagine di un Paese dominatodall’alienazione politica

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ampie fasce di una società civilemaggiormente convinta dei pro-pri mezzi.La situazione resta tale per un

paio di decenni, fino al traumairreversibile: Tangentopoli.Basti citare la scomparsa dellaDc e del Psi dallo scenario poli-tico italiano per chiarire come sidebba parlare di un evento li-mite, non a caso la fine dellaPrima Repubblica. E la Secondaporta con sé due grandi novità:la Lega Nord e Forza Italia. Al-dilà del livello istituzionale,conta evidenziare l’impatto de-cisivo che i due partiti, ad inter-valli alla guida del paese dal ’94fino al novembre scorso, hannoavuto sul piano comunicativodella politica.Prima Bossi con gli attacchi

xenofobi e anti-meridionali, la“Roma ladrona” e il suo Senatoabitato per più di vent’anni, lepaventate “proteste fiscali”, la ri-vendicazione di indipendenzadella Lombardia e di tutto ilNord perché “ognuno deve es-sere padrone a casa propria”;quindi Berlusconi, il managerper eccellenza, l’uomo capace ditutto che decide di “scendere incampo” per “il Paese che ama”, acolpi di tasse da abbassare, co-munisti da affrontare e benes-sere da distribuire.A distanza di anni, in Italia, si

sente parlare di populismo e de-magogia. La ricetta è nuova, ma

gli ingredienti son quasi glistessi: uso perfetto dei media di-sponibili, stampa e tv; ricercachiara dei colpevoli dello statodelle cose; risposta alle istanzepiù superficiali della popola-zione, che adesso però sono sti-molate dallo stesso mondo dellacomunicazione; quindi il pro-cesso si arricchisce di un ulte-riore elemento di distorsione.La scomparsa dei partiti di

massa ha dunque creato unvuoto, che la società civile ita-liana ha subito riempito identi-ficandosi in alcune figure diriferimento, alle quali si può ag-giungere il nome dell’ex magi-strato Antonio Di Pietro, natouomo politico dalle ceneri di

Bossi, Berlusconi, Di Pietro: la scomparsadei partiti di massa ha creato un vuoto che la

società civile italiana ha subito riempito,identificandosi in figure di riferimento

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VECCHI POPULISTINon c’è più solo la Lega, non più solo i partitipersonali, ma chiunque voglia fare politica

parte dallo stesso modo di comunicare

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“Mani Pulite” e formatosi sullascia giustizialista e legalitaria delcane da guardia contro i soprusidel “palazzo”. Oggi diventato“casta”.La personalizzazione è prose-

guita quindi di pari passo con lamediatizzazione del dibattito so-ciale, e ha tirato dentro giorna-listi, imprenditori, personaggidello spettacolo e gente comune;il tutto nel contesto di una cre-scente crisi economica che hacostretto la comunità a unarealtà di continui sacrifici, e l’haresa vulnerabile a slogan anacro-nistici e prese di posizioneestreme nel segno della rottura.Si è assistito così all’ultima

trasformazione del fenomeno“populista”, che nasce e muoreall’interno della società civilestessa. Individuati infatti negliuomini della classe dirigente isoli responsabili dei problemiquotidiani, i cittadini si stannofacendo ora portatori di un rin-novamento che esiste soltanto inloro stessi, e che pare non possaessere in alcun modo rappresen-tato.E la decadente politica tradi-

zionale prova adesso ad attin-gere a piene mani da questorisentimento, cavalcando unasorta di paradossale anti-con-senso. Nella speranza di poter ri-prendere il controllo di unostrumento che per decenni le hapermesso di manovrare la so-

cietà, e che ora ha perso dallemani, lasciando che chiunquepotesse se ne appropriasse. Larete e i social network hannofatto il resto.Il nuovo populismo si è così

radicato e moltiplicato, alleatosicon il vuoto di potere di quellastessa politica che l’aveva creato.

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Il senso di Luca per il “popolare”«Un luogo di ideazione civile», «libero da ideologismi»: alleprossime elezioni Italia Futura si propone di essere un partitonuovo, ma le sue parole “vecchie” smentiscono Montezemolo

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Il patron della Ferrari ha già aperto le porte aldialogo con «le persone responsabili presenti nel

Pdl, così come con quelle nel Pd»

di Marta Cioncoloni

La corazzata Berlusconicade a picco e Monte-

zemolo si decide a fare ilgrande passo: Italia Futurasarà presente nell’arenaelettorale 2013, a lottare perquei potenziali 15milioni divoti orfani del PdL. Un«partito innovativo e popo-lare che non imbarca nes-sun naufrago». Popolare… opopulista?

Era il marzo 2007 quandoMontezemolo scherzavasulla sua eventuale discesain campo alla guida di unnuovo movimento politico.“Apriremo anche una sede aCopacabana”, diceva. Evi-dentemente aveva già miredi espansione coloniale,giacché solo due anni doponasceva Italia Futura, e co-minciava a diffondersi intutta Italia, conquistando iconsensi dei primi delusi delcentro destra. Non esatta-mente un partito, ma «unluogo di ideazione civile,politica ed economica»,come si legge nelle varie di-chiarazioni rilasciate dalgiorno della prima parola aoggi, «libero da ideologismi»e «strumento di mobilita-zione dell’opinione pub-

blica», ma con la precisaidea di fondare un partito«nuovo, che nasca dalla so-cietà civile». Un partito «po-polare» che non tenga piùconto delle classiche divi-sioni novecentesche che vo-gliono, per forza, una destracontrapposta a una sinistra,e che, naturalmente, siapromotore dei giovani difacce nuove. Il presidentedella Ferrari prende le di-stanze, anche lui, dal poveroBerlusconi, il quale, comeun amante non corrisposto,continua a dargli sostegno eapprovazione, cercando diaccaparrarsi un po’ di bene-volenza, quasi a dire «lo so,Luca, ho sbagliato, madammi un’altra possibilità».Apre le porte, però, al dia-logo «con le persone re-sponsabili che sono nel Pdl,così come abbiamo ottimirapporti con la parte più re-sponsabili del Pd». Qualisiano i criteri di assegna-zione di questa dote, non èancora dato saperlo. Ag-giungendo il sostegno a unMonti bis, argomento invetta alle classifiche dimolte «nuove forze politi-che» da quando il Premier

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ha timidamente, ma nean-che troppo, ammiccato allaproposta, non ci resterebbeche concludere: «e visserotutti felici e contenti». E allora via il vecchio e

avanti il nuovo, “non s’im-barcano naufraghi”, ma ildubbio è semplice e lecito:saranno davvero queste leintenzioni di Italia Futura, oè solo un tentativo di libe-rarsi delle vecchie zavorreper continuare a restare agalla?La creatura di Monteze-

molo sembra a tutti gli ef-fetti una di quelle “nuovevecchie” entità che ha tro-vato nella crisi della Se-conda Repubblica terrenobuono per tentare la scalataalle poltrone, cavalcando

l’onda dell’indignazione eprofessandosi portatrice diidee innovative per unariaffermazione dell’Italia afianco delle potenze econo-miche europee. Nell’inter-vista rilasciata al Corrieredella Sera a fine settembre,il patron di Confindustria,nonché, lo ricordiamo,

nuovo soggetto sui binaridel trasporto ferroviario coni treni Italo di Nuovo Tra-sporto Viaggiatori, sembrapendere un po’ più verso ilpopulismo che verso il po-polare. Qualcuno addita giàmister Ferrari come il«Grillo chic e ben petti-nato», e i suoi consiglierinon nascondono di provareuna certa ammirazione perl’originale, e di condividerela vicinanza su alcuni temi.Per esempio, il fascino pergli strumenti di democraziadiretta come i referendumconfermativi, quando sitratta di riforme istituzio-nali, leggi elettorali o leggiche riguardano la politicacome il finanziamento pub-blico, o la possibilità di re-vocare il mandato alparlamentare assenteista evoltagabbana, l'anglosas-sone istituto del recall.

La nuova creatura di Montezemolo sembra atutti gli effetti una di quelle “nuove vecchie”entità che ha trovato nella crisi della seconda

Repubblica terreno fertile per una scalata

«Grillo chic e ben pettinato». Luca Cordero ha lanciato la sfida aTrenitalia con la sua Ntv, ma passa già per un populista, solo piùelegante ed educato di altri.

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D’altra parte è squisita-mente grillina anche l’insi-stenza sulle facce nuove,che Italia Futura sta reclu-tando nelle realtà locali inquantità sufficiente a na-scondere i polverosi opera-tori di backstage. Poi c’è ladecisione di evitare la can-didatura a premier, limitan-dosi a un sostegno per lalegittimazione di Monti,che potrebbe servire piùche altro a distrarre dal pa-lese conflitto d’interessi chesi presenterebbe in caso divittoria. Conflitto d’interessi…

storia vecchia ormai. E poidiciamocelo, l’escamotagede “l’uomo della provvi-denza” è superato e non fapiù presa su nessuno. La

continuità con le idee diForza Italia, d’altra parte,non è un punto che l’entou-rage di Montezemolo sipreoccupa troppo di celare.Qualche tempo fa l’econo-mista Nicola Rossi, unadelle tre personalità dispicco del movimento, in-sieme allo storico Andrea

Romano e al manager CarloCalendra, dichiarava «è in-dubbio che Italia Futuranasca anche sul fallimentodi Forza Italia. Silvio Berlu-sconi non ha realizzatoquella rivoluzione liberale eliberista che aveva pro-messo. Ecco, noi in un certosenso cercheremo di realiz-zare le riforme modernizza-trici, anti corporative eliberalizzatrici che costitui-vano il manifesto politico diForza Italia e in parte delPdl». In effetti, il clima ge-nerale somiglia un po’ aquello della ahimè famige-rata “discesa in campo” del’94: un leader indiscusso,anche se se ne resta in se-conda fila, una strutturacentralistica che si appoggiaa un’organizzazione azien-dale, qualche politico dilungo corso e molti giovaniintellettuali. Mettiamoci poi

«Non mi candido»: mandare avanti ilmovimento di Italia Futura è un modo per

nascondere il gigante conflitto di interessi che siverrebbe a creare in caso di successo alle elezioni

Nicola Rossi, personalità di spicco del movimento, ha detto che«Italia Futura nasce anche dal fallimento di Forza Italia.Berlusconi non ha realizzato la rivoluzione liberale promessa»

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Che sia popolare o che sia populistacome altri, Montezemolo nuota

agevolmente nel vuoto lasciato daipartiti e ne riutilizza le parole

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un collettivo e incitante“fare squadra” o un “menotasse e meno spesa pub-blica” qua e là e… e pur-troppo siamo sempre lì,manca solo l’inno ufficiale.

La verità è che è difficilecreare a un partito “popo-lare” se i nuovi attori dellapolitica usano la parola “po-polare” per nasconderel’ombra populista, e se il po-pulismo di oggi è basato suatteggiamenti puramentedemagogici.

Perché un partito sia ve-ramente “popolare”, è es-senziale porre il popolo,appunto, nella condizionedi potere interpretare ecomprendere la realtà so-ciale, mettendo a disposi-zione codici interpretativi,sì vari, ma anche completi eaccessibili a tutti. Il populi-smo della Seconda Repub-blica invece si limita aservire al “popolo” una sedi-cente rielaborazione in slo-gan dei propri lamenti dabar sport. Non offre inter-pretazione, non genera unosforzo interpretativo: fa ste-rili ricerche di mercato sucosa vorremmo cambiare,cosa ci manca, e, poco dopo,lo offre impacchettato da unpartito.

Montezemolo afferma: «Ilprogetto a cui è sempre stata

interessata Italia Futura ècontribuire al rinnova-mento della politica nellepersone, nelle idee e nelleproposte. Per questo è ne-cessario costruire unagrande forza popolare,riformatrice e autentica-mente liberale, che nascadall’incontro tra società ci-vile e politica responsabile esi ponga l’obiettivo di dareconsenso elettorale al per-corso avviato da Monti».

Era più o meno lo slogandi Berlusconi. Somiglia piùo meno vagamente a quellodi Renzi, se togliamo gli in-centivi per la “rottama-zione”. Echeggia il succo deivaffa-day di Grillo e sembrapiù una linea di continuitàcon il passato che quel mo-vimento rivoluzionario percui si spaccia.

Permettere al popolodi interpretare larealtà sociale: così unpartito diventadavvero “popolare”

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Lo “scarparo” anarchico

L'ultimo atto è storia di ap-pena due settimane fa, l'oc-

casione è un convegno su "Inostri campioni e le sfide dell'e-conomia mondiale", la location èl'aula magna dell'Università Boc-coni, in tempi di governo tecnicodivenuta quasi una sorta di"Terza Camera", o meglio, un'ap-pendice dell'esecutivo dei pro-fessori. Sul proscenio prende laparola Diego Della Valle e im-mediatamente, come sovente av-viene in occasione di un tema

per il compito in classe al liceo,si finisce fuori traccia: dal "re dellusso" arrivano "picconate" dicossighiana memoria nei con-fronti della fabbrica di autovet-ture torinese e soprattutto, per

sineddoche, del suo amministra-tore delegato Sergio Mar-chionne, divenuto nell'ultimomese il bersaglio prediletto del-l'imprenditore di Porto Sant'El-pidio. A onor del vero, un targetfacile come un poppante intentoal sonnellino pomeridiano, intempi di diffusa e motivata im-popolarità dei vertici del Lin-gotto. «La Fiat è stata presa conle mani nella marmellata perchéhanno deciso di andarsene dueanni fa, i loro uffici stampa lavo-

rano più dei loro uffici di proget-tazione» l'esordio di MisterTod's, che ha definito i verticidell'azienda «improvvisati che ciprendono in giro» rincarando poila dose dall'alto dei suoi utili co-

Lingotto, un bersaglio facile:«La Fiat è stata presa con le maninella marmellata perché hanno

deciso di andarsene due anni fa, iloro uffici stampa lavorano più dei

loro uffici di progettazione»

Orientarsi nelle parole di DiegoDella Valle: mappa di dichiarazionidell’imprenditore “di sinistra”divenuto capopopolo

di Pasquale Raffaele

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stanti – 35 milioni di euro di pro-fitto nel 2011 - in un settore an-cora abbastanza florido comequello dei beni d'elite: «La crisiesiste per chi non ha nulla davendere» sino alla mirabile con-clusione, un autentico manifestopopulista dall'ovvietà disarmanteche in un sol colpo gli consentedi rintuzzare aprioristicamentele (prevedibili) critiche per il suoeccesso di vis polemica e dischierarsi idealmente al fiancodei dipendenti italiani licenziatio cassintegrati, la categoria so-ciale in assoluto più martoriatadal manager italo-canadese inpullover: «In questo Paese c'èsempre il gruppo di benpensantiche quando uno fa critiche diceche non è questo il modo di fare,ma chiederei agli operai di Ter-mini Imerese se sono eleganti le

lettere che hanno ricevuto e cheprefigurano la perdita del postodi lavoro». A stretto giro, dalconvegno organizzato a Torinodall'Unione degli industriali, lapiccata replica del destinatario:«La smetta di rompere le scatole.Con quanto lui investe in unanno in ricerca e sviluppo noinon ci facciamo nemmeno unaparte di un parafango». Il botta erisposta non è che l'ultimo capi-tolo di uno scontro le cui scher-maglie dialettiche sono state

iniziate lo scorso 13 settembre,all'annuncio da parte del super-manager che il piano FabbricaItalia - progetto da 20 miliardi diinvestimenti e altrettanti nuovimodelli di vetture, lanciato in

«In questo Paese c’è sempre ilgruppo di benpensanti che quandouno critica dice che non è questo ilmodo di fare»

«La smetta di rompere le scatole» la piccatarisposta da Torino. «Con quanto lui investe inun anno noi non ci facciamo un parafango»

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pompa magna nell'aprile 2010allo scopo di rilanciare la produ-zione nazionale - semplicementenon esisteva più, in quanto noncompatibile con le attuali condi-zioni di mercato. Non proprio unfulmine a ciel sereno per chi vo-leva avere occhi per vedere eorecchie per intendere: la poli-tica industriale della (fu) fabbricatorinese è cambiata e la ricercadella manodopera ha rivolto lapropria attenzione verso altrilidi, bye bye Lingotto. Piuttostosorprendenti, invece, le succes-sive dichiarazioni di Della Valleche, con un certo livello di astra-zione, individuava negli "azioni-sti di riferimento" enell'"amministratore delegato" -a sua detta autori di scelte sba-gliate - il vero problema dellaFiat. Durissimo il prosieguo,

quasi una presa di distanza d'uf-ficio da ambienti criminali: «Èbene che questi "furbetti cosmo-politi" sappiano che gli impren-ditori italiani seri, che vivonoveramente di concorrenza ecompetitività, che rispettano ipropri lavoratori e sono orgo-gliosi di essere italiani, non vo-gliono in nessun modo essereaccomunati a persone comeloro»; e molto meno astratto l'in-vito al "ragazzino" John Elkann -nipote dell'Avvocato e attuale

presidente della Fiat - a lasciarperdere la casa automobilistica difamiglia per dedicarsi allo sci e algolf. Una stoccata anomala neicontenuti – in linea con le posi-zioni di Vendola, Airaudo e Lan-

«È bene che questi “furbetti”cosmopoliti” sappiano che gliimprenditori italiani seri nonvogliono essere accomunati a loro»

Bye Bye Lingotto. La ricerca di manodoperadella Fiat già da tempo è stata indirizzata

altrove: Della Valle spara in ritardo su fatti noti

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dini, non esattamente degli im-presari col pallino del mercato –e pesante nei toni, definiti "inac-cettabili" finanche da uno comeLuca Cordero di Montezemolo,che di Della Valle è amico divecchia data e socio in affari –nell'alta velocità ferroviaria conNtv-Italo, senza contare la reci-proca presenza nei rispettiviconsigli di amministrazione dellaFerrari e della Tod's – ma che

nella circostanza, in quanto "di-pendente" Fiat, si è visto tra duefuochi, costretto a una mossa dicauta diplomazia, pur non nu-trendo particolare simpatia perMarchionne. Questa la fotogra-fia. Il negativo, invece, mette inluce gli strascichi di un furi-

bondo scontro nei "salotti buoni"dell'alta finanza: lo scorso aprile,dopo aver bramato a lungo di en-trare a farne parte, lo "scarparo"(definizione di Cesare Romiti,storico dirigente Fiat e attualePresidente onorario di Rcs Quo-tidiani) ha abbandonato il pattodi sindacato che raggruppa gliazionisti di controllo del gruppoRCS-Mediagroup (fra le altrecose, editore del Corriere dellaSera), in aperta polemica propriocon John Elkann; quindi, ha datoinizio a un massiccio acquisto dititoli azionari del gruppo, giun-gendo a detenerne l'8,67% - ri-spetto al 5,5% del patto - eannunciando, la scorsa setti-mana, di volere aumentare an-cora la sua quota.

IN MEDIA STAT VIRTUS. La prin-cipale spiegazione dell'atteggia-

Della Valle è il negativo di unafotografia che mette in luce glistrascichi dello scontro nei “salottibuoni” dell’alta finanza

“Scarparo” è la definizione che ne diede CesareRomiti, storico dirigente Fiat e attualePresidente onorario di Rcs Quotidiani

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mento "anarchico" di DiegoDella Valle è l'indipendenza eco-nomica del suo impero, che gligarantisce lauti dividendi senzadover dipendere dagli istituti dicredito. Grazie a questa posi-zione privilegiata, può affermaretutto e il contrario di tutto e as-sumere sempre le posizioni poli-tiche che più gli aggradano. Daelettore dichiarato del PartitoRepubblicano durante la PrimaRepubblica divenne sostenitoree finanziatore della nascenteForza Italia nel 1994, salvo poiprenderne le distanze già nel1996, a causa dei metodi poco or-todossi di Berlusconi. Lo scontroaperto fra i due si consuma nel2006, a distanza di una decinad'anni: durante un convegno or-ganizzato da Confindustria a Vi-cenza il Cavaliere, nel suo

intervento a sorpresa, attaccafrontalmente Della Valle, reo diessere un "imprenditore di sini-stra" con "qualche scheletro nel-l'armadio" e di avergli dato del tudurante una puntata di "Porta aPorta" risalente a qualche meseprima, invitandolo quindi adadoperare in futuro un più ri-spettoso e distaccato lei per ilPresidente del Consiglio; dallaplatea, Mister Tod's scuote ilcapo. Della Valle è anche un pre-senzialista fisso sui mezzi di

informazione, trend accentuatodopo la fondazione, da parte del-l'amico Montezemolo, di ItaliaFutura (di cui è membro ancheDella Valle), associazione defi-nita da fonti ufficiali come un

Della Valle è un presenzialista fissosui mezzi d’informazione; trendaccentuato dopo la fondazione diItalia Futura di Montezemolo

Evoluzioni. Da elettore del PartitoRepubblicano e sostenitore della nascita di

Forza Italia a “imprenditore di sinistra”

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think tank e considerata da moltiosservatori come la testa di ponteper un imminente impegno delpresidente della Ferrari nell'a-gone politico.

Memorabili rimangono duebordate scagliate all'inizio delloscorso ottobre, nel pieno dellacrisi dell'agonizzante governoBerlusconi: prima l'annunciopubblicato sui principali quoti-diani nazionali contro "l'incom-

petenza di buona parte dellaclasse politica italiana", poi l'at-tacco in diretta televisiva rivoltoal ministro Bondi, umiliato esminuito in prima serata a Bal-larò ("Quando discuto della qua-lità dei prodotti, parlo con i capidelle ditte, non con il ragazzo di

bottega"). Un paio di pedate dello scar-

paro più anarchico dello Stivale.

Sparare sulla Croce Rossa, ovveroBondi: «Quando discuto dellaqualità dei prodotti parlo con i capinon con il ragazzo di bottega»

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Il mestiere del giornalista popSe i partiti perdono il loro ruolo centrale, ai loro giornali checosa rimane? Il populismo non è più un’esclusiva delletestate schierate, ma un vizio esteso più di un cancro

Che l’avvento dell’era Berlusconi abbiaradicalmente cambiato il modo di fare

politica è un dato di fatto. Dal 1994 a oggi,complice la crisi dei partiti tradizionali inseguito alla vicenda “mani pulite”, abbiamoassistito ad una progressiva e inesorabile“mediatizzazione” della politica.Si parla di due decenni di roboanti campagne

elettorali, fatte di mirabili promesse quasi maimantenute e governi che hanno occultato i lorofin troppo evidenti fallimenti grazie a unapotentissima “propaganda pop”. In un similecontesto, ha trovato le perfette condizioni perattecchire il pericoloso concetto di“antipolitica”; ovvero la sfiducia, mista a vogliadi rivalsa, nei confronti di una classe politicaritenuta incompetente e dedita solo ai propriinteressi.Chi all’interno di questa evoluzione del

linguaggio politico ha senza dubbio avuto unruolo di primo piano è la cara vecchia cartastampata, il mondo dell’editoria. Questo perché

di Daniele Di Corcia

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il giornalismo nel corso degli anni ha vistoaumentare il proprio peso nel dibattito politico,assumendone progressivamente sia le formeche i toni, ormai traboccanti di un populismosempre più intriso di demagogia. Faciledimostrazione è la stampa “berlusconiana”:Libero, Panorama, Il giornale; trasformati inavamposti del Cavaliere, pronti a lanciare leproprie bordate contro il nemico di turno. Laricetta è semplice: trasformare I “nemici” delsingolo in una reale minaccia per l’intero Paese,facendo leva su argomenti di facile presa suicittadini. Esempi concreti? “Pisapia alza letasse, ma compra Quadri per 250mila euro” (dail giornale), dove l’unico intento è quello di farpassare il messaggio che un sindaco, cosiddetto“comunista”, stia ingiustificatamente alzando letasse, per poi sperperare i soldi dei contribuentiin cose futili.

Impossibile poi non citare la celeberrima“crociata” di Repubblica contro Berlusconi. Unottimo esempio di come un quotidiano,innegabilmente vicino ai salotti buoni dellasinistra, riesca a colpire quello che da anni haidentificato come il nemico “politico” dacombattere. A tal proposito è disposto a far levasull’apparente e illusorio strato di moralità dicui il popolo italiano è permeato, tentando discandalizzarlo sbattendo in prima pagina la vitaprivata di dubbio gusto dell’avversario:“Berlusconi-D'Addario, ecco i nastri: Aspettaminel letto di Putin”. Questo il tenore di alcuneprime pagine del quotidiano diretto da EzioMauro,con tanto di approfondimentosuccessivo di tre pagine, il cui evidente e meroscopo va ricercato nel tentativo di innescareun’ipocrita indignazione nel malcapitatolettore.

Molto differente è la situazione di quei

Tra le crociate dellastampa berlusconianae quelle di Repubblica

non cambia nulla

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giornali che, sorti in epoca recente, si sonoprefissati l’obiettivo di colmare la voraginevenutasi a creare tra politica e comunecittadino, cavalcando la nascente onda dellasopracitata antipolitica. Esempio principe diquesta corrente è Il Fatto Quotidiano, giornalefondato da Antonio Padellaro e MarcoTravaglio nel 2009. Ciò che differenzia latestata di via Valadier da buona parte delpanorama giornalistico italiano è proprio il nonavere una matrice politica ben definita. Non neha una proprio perché non ne necessita; glibasta ergersi a “paladino della giustiziapopolare” nella lotta contro i “potenti”. Ed è inquest’ottica che va letta la battaglia condotta alfianco dei magistrati contro gli “attacchi”perpetrati ai danni delle toghe da parte delmondo politico. L’ultimo dei quali, ovvero ilconflitto d’attribuzione fra poteri dello Stato,sollevato dal presidente della RepubblicaNapolitano in merito alle intercettazioniriguardanti lui e Mancino, nell’ambitodell’inchiesta sulla trattativa “stato mafia”, haaddirittura convinto i plenipotenziari del Fattoa indire una raccolta firme in sostegno dellaprocura di Palermo. Al riguardo così si èespresso lo stesso Padellaro sulle pagine delFatto: «di fronte all’incredibileaccerchiamento cui sono sottoposti i pm diPalermo da parte di Quirinale, Csm,Avvocatura dello Stato, Pg della Cassazione eGoverno, credo una risposta dei cittadini siaindispensabile. Dai partiti d’altronde non ciaspettavamo granché».

Non differente è il motivo per il quale, se dauna parte tutti gli abitanti delle “alte sfere”possono essere potenziali obiettivi delleinvettive di Travaglio e co., dall’altra non èaffatto casuale che personaggi come Di Pietro

Ciò che differenzia IlFatto Quotidiano è ilnon avere una matricepolitica chiara

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(che sulla storia della “lotta ai soprusi deipotenti” ci ha costruito un intera carrierapolitica), ma ancor di più Beppe Grillo godanodel velato appoggio del quotidiano. Sì, perchéin buona sostanza quello che Il Fatto e ilMovimento 5 stelle di Grillo si prefiggono,sebbene in ambiti e con modalità differenti,non è poi così diverso: fare della massa, stanca erabbiosa per anni di soprusi, il combustibile delproprio successo. Proprio come la migliortradizione populista insegna.

L’ordine degli attacchinon cambia il

populista: basta avereun nemico

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Il populista furioso

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In più di vent’anni le parole e i concetti del comico ligure nonsono cambiati; ma, con internet le elezioni alle porte e la pocacredibilità dei partiti, alle parole sono seguiti gesti e azioni tipicidi un ambizioso dittatore

Circa due secoli fa, nei suoiscritti classici, il filosofo

scozzese David Hume si doman-dava come fosse possibile chemolti si facessero governare dapochi con facilità, senza ribel-larsi. La conclusione cui giunsefu che il governo si basa sul con-trollo dell’opinione, principiovalido tanto per i governi dispo-tici e militarizzati, quanto perquelli liberi e popolari. In Italiacon la fine della prima repub-blica e dei partiti di massa chebene o male garantivano unaconnettività politica, economicae culturale, con cui collimare odiscordare, alla democrazia fon-data sulla costruzione del con-senso, si è sostituita lademocrazia dell’opinione. Va dasé che chi riesce ad essere piùpersuasivo, servendosi sapiente-mente dei media, risulta vin-cente. Ieri Berlusconi, con latelevisione e la sua demagogiainfarcita di parole come libertàe popolo, svuotate della loro se-mantica storica e piegate a unapolitica bonapartista; Grillooggi, con internet e un populi-smo sempre più infuocato.

In un’intervista apparsa il 1giugno su Sette, a Gian Antonio

Stella che gli chiedeva se fosseinfastidito dalle accuse di popu-lismo, Grillo replicava che«detto da loro è un compli-mento» senza aggiungere altro,senza nemmeno specificare chifossero quei loro. Più diffusa-mente, spiegava di non esserequalunquista : «ma noi non c’en-triamo niente con l’uomo qua-lunque. Non siamo passatisti.Noi vogliamo andare avanti,cambiare». E in effetti, anche sespesso le sue invettive riecheg-giano quelle di Guglielmo Gian-nini, fondatore dell’ Uomoqualunque, Grillo non arrive-rebbe mai a dire che non c’è bi-sogno di politici e ideologi. Lui

fa politica. E la fa con le armi delpopulismo: con quel “noi” reite-rato, polo positivo opposto a un“loro”, polo negativo; con il con-tinuo sottolineare che il M5s èfatto di giovani colti: in un Paesevecchio e con un analfabetismodi ritorno in aumento. Infine

di Elisabetta Specchioli

Prima regola della battaglia mediatica: nonspecificare mai a chi ci si riferisce con“loro”:«detto da loro è un complimento» replicava

Grillo in un’intervista a Stella

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con gli insistiti attacchi ai partitie ai politici ladri e corrotti, in unPaese dove le recenti vicendeparlano da sole. Se è vero che ilpopulismo spunta cronicamentefuori in situazioni di crisi, non èaltrettanto vero però che è sicu-ramente in grado di risanarla, lacrisi che va strombazzando. ConGrillo ad esempio, si ha la sensa-zione che applichi alle sue argo-mentazioni un metodobaconiano quasi monco: ad unapars destruens spiccata e di forteimpatto, che gli fa meritare lapalma di “miglior populista”, ac-compagna il più delle volte unapars construens vaga e un po’ fa-cilona. Un esempio: il 22 set-tembre è salito sul palco diParma a fianco del sindaco Piz-zarotti (M5s). Lanciatosi nellaconsueta, teatrale filippica sudebito, Bce, Francia e Germaniache strozzano l’Italia, fatta la di-sanima della situazione, in pienoparossismo marzulliano, si è poi

chiesto chi l’abbia fatto questodebito, se lui o loro (di nuovo,loro) e dunque perché mai do-vrebbe trovarla lui la soluzione?Poi però una proposta la fa: farecome l’Ecuador, che il suo de-bito ha deciso di non pagarlo piùe basta. Ecuador poi punito conl’embargo, ma che è riuscito asopravvivere perché tutto il Sud

America gli si è stretto attorno,aiutandolo. Mentre i Paesi euro-pei si soffocano tra di loro. E chela visione eurocentrica è avulsadalla realtà attuale. Questa lasintesi di dieci minuti di di-

Il contesto sudamericano è completamente diverso rispetto auna Unione Europea, sia pur premio Nobel per la pace, dove

i Paesi si soffocano tra di loro

«Fare come l’Ecuador, che il suo debito hadeciso di non pagarlo più e basta». L’Ecuador,punito con l’embargo, è sopravvissuto graziealla collaborazione con gli altri Paesi

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minuti di discorso. Ora, ci siaspetterebbe un’idea meno im-palpabile dal leader di un par-tito, magari demagogica, vabene, ma non così tanto dema-gogica. E si giunge così all’uro-boro grillino. Come può unpartito fare dell’anti partitocra-zia un cavallo di battaglia? Per-ché il Movimento 5 Stelle è unpartito a tutti gli effetti, con unprogramma, una piattaforma po-litica, una struttura organizzatae, dopo le amministrative, con-siglieri regionali e sindaci eletti.

Sempre nell’intervista a Stella,Grillo afferma: «Quando c’è unpartito, c’è la corruzione […]noi vogliamo un iper-democra-zia senza i partiti». Nel nuovomondo targato Grillo, la gentevoterà delle idee giuste, un pro-gramma costruito ascoltando ilparere della gente stessa e realiz-zabile grazie all’aiuto dei mas-simi «esperti del mondo inquesto o quel settore». Ribadisce

poi che M5S non è assoluta-mente un partito, non ne haproprio la struttura, che addirit-tura non hanno un segretario,che hanno giusto «tre o quattroregolette». Giacché si tratta difare democrazia dal basso, anche«le liste vengono fatte dal basso.

Dai cittadini. Il capolista, il can-didato sindaco, è una scelta loro.Non li calo mica io dall’alto».Eppure, il simbolo è di sua pro-prietà; eppure su questa concla-mata costruzione autarchica edal basso, un’ombra inquietante,l’hanno gettata le esternazioni di

Nel nuovo mondo targato Grillo la gente voterà le ideegiuste. «Quando c’è un partito, c’è la corruzione. Noi

vogliamo un iper democrazia senza partiti»

«Le liste vengono fatte dal basso, dai cittadini.Il capolista, il candidato sindaco, è una sceltaloro. Non li calo mica io dall’alto». Ma ilsimbolo è di sua proprietà

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in cui viene descritto un futuroapocalittico, scandito data perdata: ad esempio, nel 2020 do-vrebbe avere inizio la terzaguerra mondiale, si userannoarme batteriologiche e l’umanitàsi ridurrà di un miliardo di indi-vidui. Si susseguiranno altreamenità di questo tipo, fino al2054, quando nascerà Gaia, unnuovo governo mondiale elettotramite internet, in cui «ogni es-sere umano può diventare presi-dente e controllare il governoattraverso la Rete. In Gaia i par-titi, la politica, le ideologie e lereligioni scompaiono». Un 1984rovesciato.Propendiamo per la prima

ipotesi sperando che quella conCasaleggio sia solo una sorta dijoint venture. Perché già nel1986 Grillo inveiva dalla tv con-tro i socialisti ladroni e perchéha attraversato lo Stretto diMessina a nuoto. Impresa che seda un lato vuole pittoresca-

mente dimostrare che del pontenon c’è bisogno, non aggiun-gendo nulla al discorso politico(sapere quante bracciate ci vo-gliano per coprire 3 km di mare,non sembra essere effettiva-mente un’urgenza del Paese),dall’altro s’inserisce appieno

nell’iconografia che solitamenteaccompagna i grandi leaders po-pulisti. Grillo ce l’ha fatta e ac-colto dalla folla in visibilio, hadichiarato: «questo è il terzosbarco in Sicilia in 150 anni. Ilprimo fu Garibaldi che portò iSavoia, il secondo fu fatto dagli

«Questo è il terzo sbarco in Sicilia in 150 anni. Il primo fuGaribaldi che portò i Savoia, il secondo fu fatto dagli

americani, che portarono la mafia

Attraversare a nuoto lo stretto di Messina daun lato non aggiunge nulla al discorsopolitico, dall’altro s’inserisce appienonell’iconografia che segue i grandi populisti

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in cui viene descritto un futuroapocalittico, scandito data perdata: ad esempio, nel 2020 do-vrebbe avere inizio la terzaguerra mondiale, si userannoarme batteriologiche e l’umanitàsi ridurrà di un miliardo di indi-vidui. Si susseguiranno altreamenità di questo tipo, fino al2054, quando nascerà Gaia, unnuovo governo mondiale elettotramite internet, in cui «ogni es-sere umano può diventare presi-dente e controllare il governoattraverso la Rete. In Gaia i par-titi, la politica, le ideologie e lereligioni scompaiono». Un 1984rovesciato.

Propendiamo per la primaipotesi sperando che quella conCasaleggio sia solo una sorta dijoint venture. Perché già nel1986 Grillo inveiva dalla tv con-tro i socialisti ladroni e perchéha attraversato lo Stretto diMessina a nuoto. Impresa che seda un lato vuole pittoresca-

mente dimostrare che del pontenon c’è bisogno, non aggiun-gendo nulla al discorso politico(sapere quante bracciate ci vo-gliano per coprire 3 km di mare,non sembra essere effettiva-mente un’urgenza del paese),dall’altro s’inserisce appienonell’iconografia che solitamenteaccompagna i grandi leaders po-pulisti. Grillo ce l’ha fatta e ac-colto dalla folla in visibilio, hadichiarato: «questo è il terzosbarco in Sicilia in 150 anni. Ilprimo fu Garibaldi che portò iSavoia, il secondo fu fatto dagliamericani che portarono lamafia, il terzo sono io con ilM5S». Un climax veramenteniente male.

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Settimanale quotidiano*

*Un tema a settimana,un aggiornamento ogni sera.

Lorenzo Ligas, Silvia Fiorito, Elisa Gianni

Chiara Esposito