Pompei - unirc.it · 2012. 11. 30. · GGA «Göttingische Gelehrte Anzeigen». Grimal P. Grimal,...

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Pompei di Paul Zanker Storia dell’arte Einaudi 1

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  • Pompei

    di Paul Zanker

    Storia dell’arte Einaudi 1

  • Edizione di riferimento:Paul Zanker, Pompei, trad. it. di Andrea Zambrini,Einaudi, Torino 1993

    Storia dell’arte Einaudi 2

  • Indice

    Storia dell’arte Einaudi 3

    Abbreviazioni 5Elenco bibliografico integrativo 10Ringraziamenti 18

    Parte prima Pompei e oltre; nuove domande sullaqualità delle città romane 19

    Le immagini urbane 21Il gusto abitativo e l’autocoscienza culturale 31

    Parte seconda Immagini di una città:gli spazi pubblici 52

    Impostazione del problema 53

    I. La città ellenistica del II secolo a. C. 59

    Le costose abitazioni del ceto elevato 60Gli edifici destinati alla formazionedella nuova cultura presso il tempio arcaico 65Lo scarso interesse per la sistemazione del Foro 72

    II. Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum 81

    Nuovi edifici pubblici 82Un nuovo gusto abitativo e l’autorappresentazioneprivata 89

  • Indice

    Storia dell’arte Einaudi 4

    III. L’ideologia augustea e la nuova fisionomiadella città agli inizi dell’impero 98

    Rinnovamento dei templi e dei culti antichi 99Adorazione dell’imperatore e culto imperiale 101I monumenti onorari imperiali nel Foro 110Il nuovo teatro in marmo 113Un campus per la gioventú 118Di alcuni abbellimenti della città 120Il nuovo acquedotto 122Le tombe onorarie di utilità comune 124

    IV. Dopo il terremoto del 62 d. C. 130

    Parte terza Abitare «da ricchi»: la villa comemodello delle case pompeiane 136

    V. Villa e acculturazione: «abitare in Grecia» 139

    Antiche case di città signorili e ville alla modacostruite sulle mura cittadine 146Una villa in miniatura 149Una fontana nel cortile 156Grande santuario in piccolo giardino 158Vista sul «bosco sacro» di Diana 160Giardini con sculture 163Un banchetto notturno all’aperto 167Grandi raffigurazioni per piccoli sogni 172Gusto abitativo e identità culturale 180

  • Abbreviazioni

    Le abbreviazioni corrispondono a quelle della bibliografiadel «Deutsches Archäologisches Institut» e di AA (1978), pp.661 sgg. Inoltre vengono utilizzate le seguenti abbreviazioni:

    AA«Archälogischer Anzeiger».

    ActaAla«Acta archaeologica Lovaniensia».

    ADeltArkiogikÿ Aedtàou

    AJAAmerican Yournal of Archaeology.

    AM«Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts,Athenische Abteilung».

    AndreauJ. Andreau, Les affaires de Monsieur Jucundus, Roma 1974.

    AnnEconomSocCiv«Annales: économies, sociétés, civilisations».

    AnnOrNapQuad«Annali dell’Istituto Orientale di Napoli».

    ANRWAufstieg und Niedergang der Mönischen Welt.

    AnrJ«The Antiquaries Journal».

    Archaeology«Archaeology. A Magazine Dealing with the Antiquity ofthe World».

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    AW«Antike Welt».

    Y. BauerMunificentia Privata Pompeiana, tesi di laurea discussaall’Università di Monaco, 1988 (manoscritto).

    BdA«Bollettino d’arte».

    BJb«Bonner Jahrbücher des Rheinischen Landesmuseums in Bonnund des Vereins von Altertumsfreunden im Rheinlande».

    BullCom«Bullettino della Commissione archeologica comunale diRoma».

    CastrénP. Castrén, Ordo populusque Pompeianorum. Polity andSociety in Roman Pompeii, ActaInstRomFin VIII, Roma1975.

    CILCorpus Inscriptionum Latinarum.

    CIJ«Classical Journal».

    DArch«Dialoghi di Archeologia».

    Della CorteM. Della Corte, Case e abitanti di Pompei, Roma 19653.

    de VosA. de Vos - M. de Vos, Pompei, Ercolano, Stabia. Guidaarcheologica Laterza, Roma 1982.

    DöhlH. Döhl, Plastik aus Pompeji, vol. I Catalogo, vol. II note(Göttinger Habilitationsschrift, 1976, non pubblicata).

    Paul Zanker Pompei

    Storia dell’arte Einaudi 6

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    GuidaE. La Rocca - M. e A. de Vos - F. Coarelli, Guida archeo-logica di Pompei, Roma 1976.

    Gymnasium«Gymnasium. Zeitschrift für Kultur der Antike undhumanistiche Bildung».

    HBrP. Hermann, Denkmäler der Malerei des Altertum.

    HiMP. Zanker (a cura di), Hellenismus in Mittelitalien, voll. I eII, AbhGöttingen, serie III, n. 97, 1976.

    IstMitt«Istambuler Mitteilungen».

    JdI«Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts».

    JRS«The Journal of Roman Studies».

    KockelV. Kockel, Archäologische Funde und Forschungen in denVesuvstädten II, in AA (1986), pp. 443-569.

    La RoccaE. La Rocca - M. de Vos - A. de Vos, Pompeji, BergischGladbach 1979.

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    Marb W PrMarburger Winckelmann-Programm.

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    Paul Zanker Pompei

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    MemAccLincei«Memorie - Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei.Classe di scienze morali, storiche e filologiche».

    MemAmAC«Memories of the American Academy in Rome».

    MonPittMonumenti della pittura antica.

    Neue ForschungenB. Andreae - H. Kyrieleis (a cura di), Neue Forschungen inPompeji, Recklingausen 1975.

    NeuerburgN. Neuerburg, L’architettura delle fontane e dei ninfei nel-l’Italia antica, in MemAccNapoli V, (1965).

    Noack-LehmannF. Noack - K. Lehmann - Hartleben, Baugeschichtliche Unter-suchungen am Stadtrand von Pompeji, Berlino-Lipsia 1936.

    NSC«Notizie degli Scavi di antichità».

    ÖJh«Jahreshefte des Österreichischen Archäeologischen Insti-tutes in Wien».

    Op Rom«Opuscula Romana».

    OverbeckJ. Overbeck - A. Mau, Pompeji, Leipzig 18844

    Overbeck-MauJ. Overbeck, Pompeji in seinen Gebäuden, Alterthümernund Kunstwerken, quarta edizione rivista e ampliata in col-laborazione con A. Mau, Lipsia 1884.

    Pompei 79F. Zevi (a cura di), Pompei 79. Raccolta di studi per il deci-monono centenario dell’eruzione Vesuviana, Napoli 19842 .

    Paul Zanker Pompei

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  • PP«La Parola del Passato».

    RA«Revue Archéologique».

    RAC«Rivista di Archeologia Cristiana».

    REPaulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissen-schaft. Neue Bearbeitung.

    RendAccNap«Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere eBelle arti di Napoli».

    RM«Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts.Romische Abteilung».

    RömGermF«Römisch-germanische Forschungen» (RGF).

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    SearF. B. Sear, Roman Wall and Vault Mosaics, 23. Ergh. RM(1977).

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    YalClSt«Yale Classical Studies».

    Paul Zanker Pompei

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  • Elenco bibliografico integrativo

    La bibliografia comprende la letteratura apparsa a partire dal 1988.In alcuni casi, nelle note e nelle didascalie delle illustrazioni, vi si accen-na esplicitamente, ricorrendo soltanto al nome dell’autore e all’anno dipubblicazione. In particolare vorrei ricordare l’eccellente recensione allibro di L. Richardsonn jr, Pompei. An Architectural History, Baltimore1988, di S. De Caro in «Gnomon», LXII (1990), pp. 152 sgg., e l’ap-profondita discussione di questo mio studio a opera di A. Hoffmann,«Gnomon», LXIV (1992), pp. 426-33 con relative aggiunte critiche.Nella raccolta di studi edita da F. Zevi, Pompei I, Banco di Napoli,Napoli 1991 viene, con mia grande soddisfazione, ampiamente accet-tata la mia analisi, ma, purtroppo, mancano i rinvii bibliografici.

    Per la problematica relativa all’abitare e alla rappresentazionesociale cfr. ora in generale soprattutto i lavori di Wallace-Hadrill1988, 1990; per la situazione particolare nella Pompei dell’inizio delprincipato cfr. Mouritsen 1988, che in parte riesamina i risultati deiCastrén da me utilizzati (cap. III). Stando a Mouritsen, ma anche sullabase del lavoro di Dickmann (1992), il «gusto abitativo tardo pom-peiano» deve essere visto come un fenomeno piú generale e nondovrebbe essere messo in relazione cosí diretta con la mentalità deiliberti, come io faccio nel mio testo. Cfr. anche l’introduzione.

    AA.VV., Alla ricerca di Iside. Analisi, Studi e restauri del-l’Iseo pompeiano nel Museo di Napoli, Napoli 1992.

    ADAM, J. P., L’edilizia romana privata. Pompei e il suoagro, in I Terremoti prima del Mille in Italia e nell’areamediterranea, Bologna 1989, pp. 224-43.

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  • – Osservazioni tecniche sugli effetti del terremoto di Pom-pei del 62 d. C, in I terremoti prima del Mille in Italiae nell’area mediterranea, Bologna 1989, pp. 460-74.

    ADAMO MUSCETTOLA, S., La trasformazione della città traSilla e Augusto, in ZEVI 1991, pp. 75-114.

    ANDERSSON, E. B., Fountains and the Roman Dwelling.Casa del Torello in Pompeii, in «Jahrbuch des Deut-schen Archäologischen Instituts», 105 (1990), pp.207-36.

    BEK, L., Towards Paradise on Earth. Modern Space Con-ception in Architecture, a Creation of RenaissanceHumanism [«Analecta Romana» suppl. 9], Odense1980.

    BERNSTEIN, F., Pompeian Women and the Programmata,in R. I. CURTIS (a cura di), Studia Pompeiana et Classi-ca in Honor of W F. Jashemski, vol. I, New Rochelle1988, pp. 1-18.

    CARANDINI, A. e RICCI, A. (a cura di), Sette finestre. Unavilla schiavistica nell’Etruria romana, voll. I-III, Mode-na 1985.

    CARANDINI, A., La villa romana e la piantagione schiavi-stica, in MOMIGLIANO, A. e SCHIAVONE, A. (a cura di),Storia di Roma, vol. IV, Torino 1989, pp. 101-92.

    CAROCCI, F. - DE ALBENTIIS, E. - GARGIULO, M. et al., Leinsulae 3 e 4 della regio VI di Pompei. Un’analisi stori-co-urbanistica, Roma 1990.

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    COHON, R., Greek and Roman Stone Table Supports withDecorative Reliefs, Ann Arbor 1986.

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    CURTIS, R. I., A. Umbricius Scaurus of Pompeii, in R. I.CURTIS (a cura di), Studia Pompeiana et Classica inHonor of W F. Jashemski, vol. I., New Rochelle 1988,pp. 19-49.

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    – Pompeii and Rome in the Augustan Age and Beyond. TheEminence of the Gens Holconia, in R. I. CURTIS (a curadi), Studia Pompeiana et Classica in Honor of W F.Jashemski, vol. I, New Rochelle 1988, pp. 51-68.

    – The Roman Convivium and the Idea of Equality, in O.MURRAY (a cura di), Sympotica. A Symposium on theSymposion, Oxford 1990, pp. 308-20.

    DE ALBENTIIS, E., Indagini sull’Insula Arriana Polliana diPompei, «Dialoghi di Archeologia», s. 3, 7.1, (1989),pp. 43-84.

    – La casa dei Romani, Milano 1990.DE CARO, S., Lo sviluppo urbanistico di Pompei, in «Atti

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    – La città sannitica: urbanistica e architettura, in ZEVI1991, pp. 23-46.

    – recensione a L. RICHARDSON JR., Pompeii. An Architectu-ral History (1988), in «Gnomon», 62, (1990), pp. 152-61.

    – The Sculptures of the Villa of Poppaea at Oplontis. A Pre-liminary Report, In MACE. DOUGALL (a cura di),Ancient Roman Villa Gardens [Dumbarton Oaks Col-loquium on the History of Landscape Architecture10], Washington (D. C.) 1987, pp. 77-133.

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  • Paul Zanker Pompei

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    NEUDECKER, R., Die Skulpturenausstattung römischer Vil-len in Italien, München 1988.

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    Paul Zanker Pompei

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  • Ringraziamenti.

    Nella preparazione di questo libro ho ricevuto moltepliciaiuti. Oltre al traduttore Andrea Zambrini e a Francesco deAngelis, soprattutto Luisa Musso mi ha aiutato nel faticosolavoro di revisione del testo. A lei vada un grazie particolare.Salvatore Settis ha incoraggiato fin dall’inizio il progetto diquesto libro e senza il suo sostegno non sarebbe arrivato a buonfine.

    Per il reperimento degli originali delle illustrazioni hoavuto il sostegno di H. Glöckler e J. Bauer. Oltre alle istitu-zioni menzionate, hanno messo a mia disposizione originali diillustrazioni L. Eschebach, H. Heinrich, V. Kockel e R. Senff.A loro, e a Maria Perosino e Valentina Castellani della CasaEditrice Einaudi, vada il mio grazie.

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  • parte prima

    Pompei e oltre: nuove domandesulla qualità delle città romane

    Il tema «città» va di moda, anche nell’ambito del-l’archeologia classica. Al momento, però, per un archeo-logo è quasi impossibile scrivere una storia delle cittàgreche e romane che sia sufficientemente articolata e chepossa in qualche misura rendere giustizia alle proble-matiche e agli interessi moderni, perché le nostre cono-scenze sull’aspetto concreto delle città antiche sonotroppo limitate. Ciò potrà sembrare esagerato conside-rando l’abbondanza, ormai impossibile da circoscrivere,di rovine e di scavi; nondimeno corrisponde ai dati difatto.

    Naturalmente conosciamo innumerevoli templi, tea-tri, terme, anfiteatri, basiliche, circhi, piazze, e talvol-ta perfino parti dell’impianto viario di una città. Siamoin grado di descrivere l’«evoluzione» tipologica di sin-gole classi edilizie (cosa che è avvenuta fino alla nausea),e financo di dare questa o quella spiegazione sulla lorofunzione nella vita quotidiana (per la qual cosa peròl’interesse continua a essere scarso)1. Ma solo in rarissi-mi casi è possibile analizzare in concreto l’organizza-zione spaziale complessiva di una città e metterla inrapporto con il mondo quotidiano di una determinatasocietà e con i suoi specifici bisogni.

    I motivi di una tale mancanza risiedono nella storiadell’archeologia e nei mutamenti di interesse da partedegli archeologi e del loro pubblico. Finché si andava

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  • alla ricerca essenzialmente di opere d’arte interessandosipoi solo a singoli edifici particolarmente notevoli e benconservati, problematiche come quelle che oggi ci inte-ressano non hanno praticamente ricevuto attenzione.Anche al tempo dei grandi scavi in estensione del XIX edegli inizi del XX secolo erano estremamente rari i casiin cui venivano portate alla luce in maniera sistematicaparti ampie, o almeno in sé conchiuse, di una città. Aquei tempi, però, sugli scavatori non gravavano ancorai grandi scrupoli metodologici che al giorno d’oggi ren-dono del tutto impraticabili scavi di questo tipo. Negliultimi decenni, infatti, le tecniche di scavo si sono tal-mente affinate che possono lavorarvi solo équipes dispecialisti che aspirino a un’ampia gamma di compe-tenze. A ciò vanno aggiunte le esigenze, ormai spessoeccessive, per una documentazione il piú possibile com-pleta, connesse a lunghi e complicati preparativi e ad alticosti di pubblicazione (con la triste conseguenza cheperfino scavi importanti non di rado rimangono ineditiper decenni).

    Anche l’archeologia classica, che non spicca certo perparticolare progresso nelle tecniche di scavo, ha fattoproprie tali esigenze, al punto che pure il dissotterra-mento di settori limitati di una città, come per esempiole case a terrazzo di Efeso, assorbe le energie di un’in-tera generazione. A ciò vanno aggiunti gli enormi costinon solo per lo scavo vero e proprio, ma anche per daresuccessivamente un aspetto attraente alla zona scavata.Tutto ciò che può risvegliare un interesse piú generaleoggigiorno dev’essere ricostruito e sistemato in manie-ra gradevole per il visitatore: quelle che s’innalzanodovunque nelle aree di scavo sono perciò rovine siste-mate ad arte.

    Il deplorevole stato della documentazione – soprat-tutto per quanto riguarda l’immagine complessiva dellecittà, e piú in particolare quella dei quartieri d’abita-

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  • zione – migliorerà solo molto lentamente, sebbeneattualmente gli scavatori pongano il dovuto accento sutali aspetti. Non rimane, dunque, che riesaminare quan-to è già noto alla luce di una nuova problematica. A taleproposito le città del Vesuvio assumono un’importanzacentrale grazie al fatto di essere state «sigillate» dall’e-ruzione del vulcano. I miei due studi, qui presentati perla prima volta insieme e in traduzione italiana, vannovisti in questa prospettiva. Essi sono stati scritti intempi e occasioni differenti e trattano solo aspetti par-ziali della problematica delineata sopra. Pubblicati ori-ginariamente su riviste specialistiche, spero che – comeritiene l’Editore – possano interessare e sollecitare anchel’appassionato di antichità, il visitatore attento dellecittà vesuviane, cosí come chi è interessato in generalealla storia del vivere e dell’abitare nella città. Gli ambi-ti tematici coinvolti sono quelli dell’immagine urbana(Stadtbild) e del gusto abitativo (Wohngeschmack). Quidi seguito tenterò di chiarire questo modo ancora pocodiffuso di impostare i problemi in relazione a spazi esistemi figurativi, e di inserire i due studi entro una piúampia cornice storica.

    1. Le immagini urbane.

    Il primo lavoro si occupa delle immagini urbane diPompei, dando una posizione di preminenza agli edifi-ci pubblici. Con il concetto di «immagine urbana»2

    intendo designare nella maniera piú comprensiva possi-bile l’aspetto esteriore di una città. Ciò su cui vorreiporre l’accento non sono tanto le singole architetturequanto le loro reali funzioni nel contesto complessivodello spazio pubblico: al centro dell’interesse non cisono problemi storico-architettonici in senso stretto,bensí la città come concreto spazio di vita. Lo spazio

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  • pubblico, quindi, verrà inteso alla stregua di un palco-scenico che la società stessa si crea secondo i propribisogni. Non importa se siano stati interessi politici,sociali o economici a determinare le decisioni, numero-se e tra loro indipendenti, che hanno preceduto le sin-gole realizzazioni: l’immagine urbana che ne risulta offrein ogni caso allo storico l’autorappresentazione autenti-ca di una società. In quanto palcoscenico e spazio dellavita quotidiana, infatti, gli edifici pubblici, le piazze, lestrade, i monumenti, cosí come le case e le necropoli conle rispettive decorazioni figurate, sono nel loro insiemeun elemento sostanziale dell’autorealizzazione di chi inquello spazio vive. Proprio perché tali immagini urbanevengono a formarsi attraverso un complesso intreccio disingole decisioni, alla cui base sono anche interessi con-trastanti, esse ci dicono molto sull’autocoscienza di unasocietà.

    Cosí intese, le immagini urbane rappresentano anchel’ambito in cui si esplica la vita cittadina, influenzandoa loro volta gli abitanti: esse infatti riflettono e diffon-dono i messaggi e i valori realizzati negli edifici e neglispazi. Le immagini urbane hanno cosí una funzione fon-damentale nell’ambito della convivenza cittadina. Neigiorni di festa esse costituiscono le quinte dei rituali reli-giosi e politici, nella vita di tutti i giorni rendono con-sapevoli delle comodità dell’esistenza, o anche delle suecarenze, e definiscono, per esempio mediante le diffe-renze nelle facciate delle case, le idee circa i ranghisociali.

    Pompei.

    Al tempo della sua distruzione Pompei era già unacittà antica, in cui avevano vissuto molte generazioni insocietà differentemente strutturate. Se, come per lo piú

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  • accade, ci si limita a considerare solo l’immagine, con-servata casualmente, della città sepolta nel 79 d. C., sicoglie solo l’ultima di una serie di immagini urbane.Difatti, nel periodo compreso tra l’inizio del II secoloa. C., quando i ricchi patrizi oschi fecero costruire leloro sontuose dimore secondo il gusto ellenistico diffu-so, e il momento del seppellimento, quando le grandifamiglie per la maggior parte si erano già ritirate dallacittà, si possono distinguere almeno quattro concezionidiverse dell’assetto dello spazio pubblico. Ritengo chesia possibile ricostruire queste differenti immagini urba-ne almeno nelle linee generali. Bisognerà allora doman-darsi quali fossero gli interessi dietro i singoli progettiedilizi e analizzarli entro il quadro dei mutamenti poli-tici e sociali cui fu sottoposta la città. Sulla base del-l’insieme della città del 79 d. C., conservata per caso, sidelineano i contorni di quattro differenti immagini urba-ne, alle quali si possono assegnare rispettivamente imondi quotidiani di quattro diverse società.

    Pompei non era affatto un centro importante, bensísolo una delle tante città di provincia di media gran-dezza in Italia. Fortunatamente, però, le strutture e imutamenti dello spazio pubblico che vi si delineanosono senz’altro caratteristici almeno per quanto riguar-da le città della tarda repubblica e della prima età impe-riale in Italia e nelle province occidentali. Ciò si potreb-be dimostrare in base a tutta una serie di risultati spe-cifici ottenuti in altre città. Cosí, per esempio, anchealtrove nel I secolo a. C. le città si aprono verso l’ester-no. Ovunque si trovano sepolture rappresentative fuoridalle porte lungo le strade regionali; ovunque i ricchi sifanno costruire ville di lusso davanti alla città. Dapper-tutto, in quel periodo, le tradizioni culturali locali deipopoli italici confluiscono in una nuova cultura unitariadefinita da Roma. Grazie alla sua vicinanza alle cittàprecocemente ellenizzate della Campania, a Pompei si

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  • delineano in maniera piú chiara che altrove quei processielementari di acculturazione che hanno modificato inmaniera cosí radicale la cultura romana antica dai tempidell’invasione dell’esercito romano nell’Oriente greco.

    Lo stesso vale per il riassetto dello spazio pubblicoall’epoca di Augusto. Come a Pompei, il culto imperia-le lascia ovunque la propria impronta nei fori delle cittàdell’Occidente. Quasi in ogni centro il teatro viene rin-novato e ampliato. Dappertutto le famiglie aristocrati-che si impegnano sia nell’abbellimento dell’aspetto delleproprie città, sia nei miglioramenti delle loro infra-strutture.

    Vale perciò la pena di registrare e riflettere accura-tamente sui singoli sviluppi avvenuti a Pompei. Non c’èun’altra città antica di cui abbiamo un’immagine para-gonabile anche solo approssimativamente (e ciò sebbe-ne Pompei non sia affatto scavata per intero). A diffe-renza della maggior parte dei grandi centri di età impe-riale nell’Africa del Nord e in Asia Minore, la Pompeidel periodo romano comprende i due periodi caratteriz-zati dai mutamenti forse piú radicali della strutturaurbanistica: da una parte, il processo di standardizza-zione della tarda repubblica, e dall’altra, la trasforma-zione dei presupposti ideologici conseguenti all’instau-razione della monarchia, all’epoca di Augusto e degliimperatori giulio-claudî.

    Anche nell’ambito di una trattazione completa delmutamento delle immagini urbane romane, i fatti quidiscussi sulla scorta dell’esempio di Pompei dovrebberopertanto occupare un posto centrale. Essi acquistereb-bero maggior rilievo soprattutto se confrontati con lapolis greca classica ed ellenistica da un lato, e con le cittàdella piena e tarda età imperiale dall’altro. Qualchebreve osservazione potrà servire almeno a dare un’ideadella piú ampia cornice storica in cui andrebbe inserital’immagine ricostruita per Pompei.

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  • L’aspetto «democratico» della polis greca classica.

    Un confronto con le «immagini urbane» delle cittàgreche di età classica potrebbe mostrare quanto queste,a differenza delle città romane, fossero influenzate dagliideali di uguaglianza politica (tra coloro che erano cit-tadini a pieno diritto) e di partecipazione attiva alla vitacivica. Vuoi nell’agorà, vuoi nel teatro (dove si svolge-vano le sedute dell’assemblea popolare) o nel bouleute-rion (dove si riuniva il consiglio), in nessun luogo dellacittà greca si trovano strutture gerarchiche cosí marca-te come accade invece regolarmente nell’assetto spazia-le delle città romane. Nelle poleis lo spazio pubblicocostituiva un’unità organica compatta, in cui i luoghidelle decisioni politiche, i punti di incontro sociale e iculti cittadini erano altrettanto integrati quanto il gin-nasio, un’istituzione educativa accessibile a tutti. Èsignificativo che solo i templi dei culti misterici (e piútardi quelli delle divinità orientali) fossero situati inzone decentrate: in tali casi, infatti, si trattava di neces-sità e di bisogni privati.

    Nel IV secolo a. C. l’idea di uguaglianza democrati-ca influí perfino sulla struttura delle case. Nelle fonda-zioni ex novo, come la piccola città provinciale di Prie-ne nelle vicinanze di Mileto, ai cittadini furono assegnatilotti di terreno di eguali dimensioni, sui quali poi sor-sero delle case incredibilmente simili. Ciò non signifi-cava affatto eguaglianza di proprietà; si trattava invecedi una forma simbolica dell’organizzazione spaziale, chesubordinava decisamente l’ambito della vita privata allospazio pubblico o, se si vuole, lo «politicizzava». Chepoi questi progetti ideali venissero presto ostacolati dal-l’effettiva disuguaglianza materiale – ossia dal fatto chei ricchi non tardarono a ingrandire le loro case a spesedei piú poveri – è altra cosa. La decisione in favore ditali simboli «democratici», figurativi o spaziali, poteva

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  • peraltro aver luogo anche indipendentemente dall’ef-fettiva costituzione politica di una città: gli ideali poli-tici di uguaglianza civica vennero interiorizzati comeforme estetiche anche in altri ambiti, diffondendosisotto forma di gusto e di mentalità. Prescindendo dallecause e riflessioni concrete che portarono a queste imma-gini urbane democratiche, ai fini dell’autocoscienza deicittadini rimane comunque significativo il fatto che essiabbiano vissuto per secoli, fino in età imperiale, in unospazio pubblico modellato dagli ideali democratici. Sirestava fedeli tanto alle vecchie immagini urbane quan-to alle vecchie forme dei rituali politici, che ripropone-vano ai cittadini gli ideali dei loro antenati (anche se insenso fortemente nostalgico). Questa situazione cambiòsolo sotto la monarchia, quando il potere politico, coe-rentemente con i propri presupposti occidentali, fumesso in scena soprattutto nel culto imperiale3.

    Le strutture delle città romane.

    Le città romane e quelle italiche romanizzate, inve-ce, rispecchiano già durante la repubblica una strutturapolitica affatto diversa. Le grandi famiglie aristocratichedi Roma abitavano in case particolarmente rappresen-tative nei pressi del Foro Romano o direttamente su diesso (come a Pompei). Negli ampi atri si raccoglieva laclientela, il cui numero rifletteva direttamente il presti-gio e il potere di ciascuna famiglia. Era dalle potenti sedifamiliari che si influenzava l’esterno, lo spazio pubbli-co, e non viceversa come nella polis greca. Anche nei forigli edifici statali rappresentativi, che spesso erano staticostruiti a spese di una delle grandi famiglie, domina-vano la scena in misura molto maggiore che su un’agoràgreca; si pensi soltanto alle basiliche del Foro Romanoche recavano, senza eccezioni, il nome della famiglia del

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  • fondatore, oppure anche allo stretto collegamento deigrandi templi del culto statale con determinate case:questi templi delle divinità politiche dominavano i foridelle città romane e italiche. Ciò non accadeva nella polisgreca, dove i grandi dèi della città erano venerati in san-tuari a parte, mentre l’agorà apparteneva in primo luogoai cittadini. Nei templi del Foro Romano, invece, giàprecocemente si sancí l’unità di religione e Stato: i Dio-scuri venivano venerati come soccorritori in battaglia,Saturno vegliava sulle semine e Concordia doveva garan-tire la pace interna. Significativo è anche il fatto che ilSenato si riunisse sovente in questi templi. Ma era neicapitolia delle colonie civiche che il bisogno romano dimettere in scena unitariamente religione e Stato trova-va la sua espressione piú vistosa: essi venivano posti sul-l’asse dei fori, evidentemente secondo un disegno pro-mosso da Roma, cosicché il traffico passasse davanti ailoro piedi. Erano nati cosí anche dei simboli per indi-care l’appartenenza a Roma e la rivendicazione deldominio da parte di questa4.

    A differenza della polis greca, in cui tanto i luoghidell’educazione e dello sport quanto i teatri erano com-pletamente integrati nello spazio politico frequentatonella vita di ogni giorno, nelle città romane in un primotempo quasi non si dànno impianti confrontabili. Quan-do poi, sulla scia dell’ellenizzazione, questi vengonoman mano creati, vengono a costituire una particolareforma di spazio pubblico «non-politico», separato dalcentro politico. Evidentemente l’educazione e la cultu-ra non sono componenti ovvie della vita comunitaria,bensì beni di lusso ripresi dai greci: a Pompei ciò èdimostrato in maniera paradigmatica dal quartiere deiteatri; ma anche nella Roma tardorepubblicana tutti gliedifici «culturali» vengono significativamente costruitifuori dalle mura, sul Campo di Marte.

    Già a una data piuttosto alta le città romane erano

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  • molto piú aperte verso l’esterno rispetto alla polis greca.A differenza di questa, esse appartenevano a un impe-ro, e ciò comportava evidentemente un rapporto deltutto diverso con lo spazio. Questo si vede già dal fattoche le strade regionali passavano attraverso i centri dellecittà, possibilmente per i fori. I sontuosi monumentifunerari delle famiglie rivali, posti ai lati delle straderegionali, presuppongono anche un pubblico esterno,cosí come in seguito faranno gli anfiteatri, collocati perlo piú alle periferie cittadine. È su uno sfondo del gene-re che va visto l’assetto (ma anche il mancato assetto)dello spazio pubblico nel II e I secolo a. C.

    L’immagine dello spazio pubblico modellata, a Pom-pei come altrove in Occidente, dall’ideologia augusteanon necessita di commenti supplementari, dato che,come si è detto, in nessun’altra delle vecchie città roma-ne o italiche la situazione si presenta cosí chiara come aPompei. Solo nelle nuove fondazioni (per esempioNîmes, Aosta, Mérida) il mito imperiale viene messo inscena in maniera ancor piú ostentata, mediante templial centro dei fori; solo lì i teatri, coerentemente con illoro valore nell’ambito del programma di rinnovamen-to culturale augusteo, ottengono una posizione di rilie-vo nel centro, mentre mura e porte sontuose illustranosimbolicamente l’attitudine romana al combattimento5.

    La segmentazione della dimensione pubblica nellacittà di età imperiale.

    Vorrei però richiamare l’attenzione anche sui muta-menti, cosí importanti da un punto di vista storico-cul-turale, cui fu soggetta nel corso delle generazioni suc-cessive l’immagine urbana ideologicamente modellatadella prima età imperiale. Essi vanno di pari passo conle nuove forme della «dimensione pubblica» quali si

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  • sviluppano gradualmente nelle mutate condizioni dellamonarchia. A tale proposito l’elemento piú significati-vo è forse costituito dai grandi edifici termali (anche aPompei, dopo il terremoto del 63 d. C., con la costru-zione di un grande impianto termale si intervenne sul-l’immagine urbana in maniera nuova e qualificante): icittadini stavano assieme per ore nei bagni, godendo del-l’acqua calda, dell’aria riscaldata e delle piscine. Ladimensione pubblica si concretizzava qui in piacevolicondizioni esteriori, e significava tempo libero, ricchecure fisiche e, nelle città piú grandi, anche il godimen-to di ambienti allestiti lussuosamente con la possibilitàdi intrattenimenti delle piú diverse specie. In tali occa-sioni si stava per lo piú insieme a gente del proprioquartiere: nelle grandi città la distribuzione delle termesecondo i quartieri d’abitazione viene continuamentericonfermata dagli scavi. I luoghi di incontro sociale sispostarono dunque dal centro verso le singole parti dellasuddivisione urbana.

    La segmentazione secondo quartieri urbani o rag-gruppamenti sociali è un tratto caratteristico delladimensione pubblica nella piena età imperiale6. Nelleimmagini urbane del II secolo d. C. ciò è ravvisabileanche in altre tipologie edilizie: bisognerebbe ricordareanzitutto gli edifici collegiali e i santuari delle divinitàorientali e di altre «sette». Quanto piú la vita comuni-taria si trasferisce in questi spazi segmentati, manife-standosi in attività e piaceri un tempo collegati piutto-sto all’ambito privato (come i pasti in comune nelle sedicollegiali), tanto piú lo spazio del foro, che è politico insenso tradizionale, perde d’importanza come centrod’incontro dei cittadini: da quando diventa luogo ceri-moniale e monumentale per l’adorazione e il culto del-l’imperatore, sembrano venirvi meno la vita quotidianae il ritrovo spontaneo. Ciò vale perlomeno per le cittàd’Italia e delle province occidentali dell’Impero, dove

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  • ormai solo in rari casi si registrano attività edilizie neifori. Naturalmente il culto imperiale e le attività ammi-nistrative continuarono ad aver luogo lì, e vi si eresse-ro sempre nuove statue onorarie; ma la partecipazionedella popolazione a questi rituali di lealtà non sembraessere stata piú molto spontanea, altrimenti non si sareb-be riempito lo spazio libero delle piazze con un tal nume-ro di statue.

    Le nuove forme della «dimensione pubblica seg-mentata» si svilupparono invece nelle terme, negli edi-fici collegiali, nei santuari di comunità cultuali esclusi-ve, e non da ultimo in determinati tratti viari partico-larmente frequentati. I punti piú animati del quadrourbano si distinguono tra l’altro grazie a marciapiediporticati e anche a latrine sontuose; nel corso del II e IIIsecolo d. C. queste ultime acquistarono spesso unanuova qualità come edifici e diventarono anch’esse – perquanto ciò possa sembrare strano oggigiorno – degliimportanti luoghi di comunicazione sociale!7.

    Ma in quanto collettività civico-politica, la popola-zione poteva ormai sperimentare se stessa solo comefolla di spettatori nell’arena o al circo. Questi diventa-rono cosí anche gli unici luoghi in cui ci si poteva espri-mere politicamente, applaudendo oppure – al riparo del-l’anonimato – protestando. Gli imperatori o gli altrirappresentanti del potere sedevano in palchi rialzati,visibili a tutti, ma affatto inaccessibili: anche questo èun elemento significativo dell’immagine urbana di etàimperiale.

    È sorprendente come le prime avvisaglie di quasitutte queste trasformazioni cominciassero già a deli-nearsi chiaramente a Pompei quando la città fu sepolta:è una dimostrazione della sensibilità con cui le immagi-ni urbane reagiscono ai mutamenti sociali.

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  • 2. Il gusto abitativo e l’autocoscienza culturale.

    Anche le case d’abitazione sono un elemento essen-ziale delle immagini urbane. Esse segnano il passaggiodallo spazio pubblico a quello privato e offrono ai loroproprietari le piú svariate possibilità di autorappresen-tazione e di autorealizzazione. Per quanto riguarda glieffetti suscitati dalle case, però, bisogna distinguere tragli sguardi dei passanti e le impressioni degli invitati edegli abitanti. Ora, sebbene quella dell’«abitare» siaun’esperienza cosí ovvia e quotidiana, difficilmente sipuò pensare a un ambito culturale in cui le differenzetra ciò che ci è familiare e ciò che lo era per un romanosiano maggiori. Questo rende arduo l’approccio al tema«casa e modo di abitare», e conduce quasi inevitabil-mente a falsi problemi e a conclusioni erronee.

    Esperienze proprie ed esperienze «altre».

    Le nostre abitazioni sono degli spazi privati in cui lafamiglia ristretta vive completamente al riparo dallasfera pubblica. La «privacy» indisturbata è un valorealto, addirittura protetto legalmente. Solo poco spaziorimane per gli ospiti e per l’autorappresentazione socia-le, eccezion fatta di alcuni gruppi ristretti della società.La maggior parte delle abitazioni delle nostre famiglie èfrequentata di norma solo da parenti e amici, e non viha piú luogo un’ospitalità connessa a una rappresenta-tività formale. Lavoro e affari sono di norma rigida-mente separati dall’abitazione privata; essi hanno luogoin edifici specifici e per lo piú distanti.

    L’allestimento interno dell’abitazione borghese servenel complesso – nonostante tutte le «sottili distinzioni»(Bourdieu) – piú alla realizzazione dei propri bisogni, alrafforzamento dell’autocoscienza e alla realizzazione di

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  • tendenze estetiche che a una autorappresentazione confinalità precise. Perlomeno all’esterno ormai anche i ric-chi, che ricevono ancora «ospiti» in forma tradizionale,evitano ogni esibizione troppo appariscente, dato chesarebbe impopolare e perdipiú pericolosa; la signorilitàviene espressa in forme indirette, meno spettacolari,come nella scelta della zona residenziale o nell’estensio-ne delle aree.

    La casa romana, invece, era un centro di comunica-zione sociale e di autorappresentazione dimostrativa.Essa si trovava nel centro della città. Già la sua facciatae il suo ingresso rivelavano lo status del proprietario. Digiorno, quando i portoni stavano aperti, dall’entrata sipoteva guardare in profondità verso l’interno grazie allasapiente messa in scena degli assi visivi. Se ci si basa sullecase di Pompei, anche nel «ceto medio» regnava una pro-fusione di spazio enorme, almeno per i nostri standard;ma tale profusione, come l’intero arredo, era al serviziodell’autorappresentazione del padrone di casa.

    Il criterio fondamentale nell’organizzazione dellospazio era la chiara distinzione tra le parti rappresenta-tive della casa, destinate alla frequentazione sociale, egli ambienti puramente funzionali dell’infrastruttura(dalla cucina alle stanze per il personale). Nei nostrialloggi «senza schiavi» accade l’esatto contrario: abbia-mo cucine abitabili, bagni abitabili, e cosí via. Dato chenon abbiamo personale di servizio e che siamo costan-temente «tra noi», una separazione dell’ambito funzio-nale non ha senso. Nella casa romana, invece, solo laparte rappresentativa serviva per abitarvi effettivamen-te, e solo questa era arredata in maniera adeguata. Nellesue dettagliate descrizioni di ville Plinio il Giovaneprende in considerazione appunto solo questa parte8. Iconfini tra i due ambiti normalmente non erano rigidi,ma venivano contrassegnati chiaramente mediantesegnali ottici e simbolici. Cosí, per esempio, ogni ospi-

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    te poteva facilmente riconoscere il passaggio alla zonadella servitú grazie all’improvvisa cessazione di decora-zioni sontuose.

    La moderna cultura abitativa borghese è caratteriz-zata dall’assegnazione fissa di determinate stanze adeterminate funzioni della vita quotidiana e da un arre-damento che modella conseguentemente lo spazio (stan-ze da letto e da pranzo, soggiorni, camere per bambini,ecc.); nella casa romana, al contrario, le stanze arreda-te in maniera rappresentativa venivano impiegate inmolti modi: negli stessi luoghi di giorno si svolgeva lavita familiare, i bambini giocavano, venivano accolticlienti e visitatori, schiavi e liberti ricevevano i loroincarichi, e probabilmente passavano anche i locatari diappartamenti e botteghe, mentre verso sera venivanoricevuti gli ospiti della cena.

    Vi erano meno mobili che da noi, ed erano piú facil-mente spostabili. Gli stessi letti per i banchetti poteva-no essere comodamente portati da una stanza all’altra aseconda delle necessità. Soprattutto mancava quellagrande quantità di armadi e scaffali di ogni tipo che è ilsimbolo del bisogno di accumulare e conservare cosícaratteristico del modo di abitare moderno. Si poteva-no quindi valorizzare molto di piú le stanze in quantotali, decorandole per intero. Solo le chiese e i castellibarocchi possono darci un’idea di come le immaginidominavano le camere. Anche i soffitti stuccati e i pavi-menti a mosaico si presentavano come grandi superficifigurate articolate sistematicamente, contrariamente aquanto avviene nelle nostre abitazioni, in cui le aree«vuote» non occupate da mobili vengono «riempite» piúo meno casualmente con un quadro.

    L’ambito della casa accessibile ai visitatori non offri-va dunque alcuna «privacy», e non vi erano stanze sepa-rate, per esempio per donne e bambini o per gli ospiti.Negli ambienti di passaggio centrali, l’atrio e il peristi-

  • lio, tutti incontravano tutti. Già solo la percezione diquesto andirivieni, della moltitudine di stanze l’unaaccanto all’altra e delle pratiche totalmente differenti aseconda del giorno e dell’ora facevano della casa di unagrande familia un luogo di intenso incontro sociale, chenon si può comprendere con i nostri concetti di «priva-to» o «pubblico». Rimane ancora poco chiaro se, oltrea questi ambienti del piano terra, allestiti in maniera rap-presentativa e usati per finalità molteplici, esistesserodelle stanze di uso piú riservato, realmente «private»secondo la nostra mentalità, come camere da letto o peri bambini ai piani superiori (che di solito non sono con-servati e solo raramente si possono ricostruire in detta-glio); si potrebbe però supporre di sì. Una tale incertezzamette chiaramente in risalto l’insufficienza delle nostreconoscenze circa lo svolgersi degli eventi piú banali dellavita quotidiana e circa la loro localizzazione concretaentro la casa romana.

    La casa come luogo dell’autorappresentazione sociale.

    Negli ultimi anni Andrew Wallace-Hadrill9 hadescritto in maniera molto convincente la «strutturasociale» della casa romana, mostrando come tutta l’or-ganizzazione dello spazio fosse volta all’autorappresen-tazione del padrone. È una constatazione tutt’altro chebanale, dato che tale funzione sociale della casa eradeterminante ai fini sia della disposizione spaziale dellecamere e delle sale, sia della scelta dell’allestimentodecorativo. Due aspetti si rivelano quanto mai caratte-ristici in questo contesto: da un lato, l’utilizzazione dif-ferenziata delle stanze a seconda del rango del visitato-re; dall’altro, l’importanza della profusione e dello spre-co dello spazio nel senso della conspicuous consumptiondi Veblen10.

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  • La scena dei clienti nell’atrium in attesa del ricevi-mento mattutino fu sancita già nella letteratura anticacome indice dello status sociale del patronus. I visitatoridi maggior riguardo venivano ricevuti in ambienti piúpiccoli, posti di solito in parti piú interne della casa. Icolloqui confidenziali si svolgevano a quattr’occhi incamere appartate (cubicula). Gli amici venivano con-dotti per il banchetto in sale da pranzo che spesso si tro-vavano nella parte posteriore del peristilio a giardino. Sidelineava cosí una gerarchia sociale che, trasposta nel-l’organizzazione dello spazio, portava sempre piú versol’interno della casa. Solo di recente si è potuto dimo-strare come già nell’assetto dei peristili delle case pom-peiane del I secolo a. C. gli architetti dovessero badarea che l’ospite, attraversando la casa, ricevesse un’im-pressione il piú possibile completa della sua ampiezza edel suo sontuoso apparato decorativo. Ciò veniva otte-nuto tra l’altro con il collocare gli ambienti di ricevi-mento piú rappresentativi nei cortili colonnati, cosicchéil visitatore poteva ammirare nella maniera piú ampiapossibile l’allestimento della casa, incluso il giardino,prima di arrivare a destinazione11.

    La moltitudine di stanze a disposizione giocava unruolo decisivo per il rango di una casa. Il padrone dove-va avere la possibilità di scegliere tra piú stanze a secon-da del tipo di visitatori, del numero di invitati, dell’orao della stagione. Questa possibilità di scelta era uno sta-tus symbol decisivo; anche l’apparato decorativo venivadifferenziato secondo questi criteri. In tal modo l’ar-chitettura e l’arredo degli ambienti venivano posti diret-tamente al servizio della competizione sociale, il chenaturalmente doveva ripercuotersi anche sull’«evolu-zione formale» e sullo stile dei diversi generi artisticiimpiegati per l’allestimento, in particolare sulla pittura.

    Quanto detto finora vale ovviamente per le case delricco ceto dirigente: solo chi vi apparteneva aveva biso-

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  • gno di grandi atria per la propria clientela e di adegua-te sale da pranzo per i propri amici (Vitruvio). Ma, inuna società competitiva a mobilità relativamente eleva-ta, i ricchi creano, con il loro stile di vita e le loro formedi comportamento, dei modelli per i meno abbienti e imeno potenti, perlomeno se perseguono forme di auto-rappresentazione cosí intensamente come gli aristocra-tici romani. L’assetto rappresentativo dato a una partedella casa non era peraltro un fenomeno specificamen-te romano: anche nella polis greca classica le case dei ric-chi erano costruite piú sontuosamente e arredate megliodi quelle dei meno benestanti. Anche nel IV secolo a. C.ci si poteva senz’altro aspettare un peristilio o un por-tico colonnato e una bella stanza per il simposio maschi-le, se si era invitati da un ricco ateniese. Nelle case elle-nistiche di Delo e altrove si trova già un vero e propriotratto di rappresentatività con piú ambienti di ricevi-mento, decorati non di rado con ricche forme architet-toniche, mosaici pavimentali, dipinti, mosaici e stucchiparietali. Lo stile rappresentativo della casa romana sisviluppò sulla base di questi stimoli ellenistici, ma acqui-stò presto dimensioni affatto nuove nello spirito di aspracompetizione della tarda repubblica12.

    Modi di abitare e valori.

    Con la «struttura sociale» della casa romana, con ladisposizione e l’assetto delle stanze finalizzati all’auto-rappresentazione, cogliamo però solo uno degli aspettisostanziali. Non meno interessante, e forse anche piúcaratteristica riguardo al modo di abitare, mi sembra laproblematica circa i valori realizzati simbolicamente inqueste ostentate messinscene dello spazio e circa l’au-tocoscienza che ne è alla base. Perché ci si identificavacon determinate immagini, forme architettoniche, figu-

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  • re mitologiche? Quali pensieri, ricordi, desideri, spe-ranze erano chiamate a suscitare le forme simbolichedella decorazione? Mi riferisco qui a tutto ciò che, dalpunto di vista del contenuto, veniva fatto oggetto del«discorso» nell’autorappresentazione. Ciò che viene pre-sentato al visitatore si trova infatti esposto anche allavista propria; accanto allo sguardo del padrone rivale odel visitatore che istituisce confronti esiste anche losguardo di coloro che abitano nella casa, vivendo gior-no per giorno nelle stanze assieme alle immagini. Ilpadrone stesso non vedeva la sua casa soltanto in rap-porto al visitatore che intendeva impressionare: volevaanche goderne di persona! Ciò comporta un importan-te presupposto: che egli potesse identificarvisi.

    Qui è piú facile ricorrere alle nostre esperienze.Oggigiorno l’assetto delle abitazioni è diventato, assie-me al continuo parlare del cibo, uno degli argomenti pre-feriti delle conversazioni raffinate. Una massa di riviste,libri, opuscoli – differenziata secondo i costi e le prete-se culturali – ci propone ogni possibile modello di arre-damento, dallo stile rustico della casa di campagna finoagli interni ispirati all’avanguardia architettonica. Némancano analisi e riflessioni sociopsicologiche sulle rela-zioni tra gusto abitativo da un lato, e il canone colletti-vo di valori, l’autodefinizione, le aspirazioni sociali e cul-turali dall’altro. Anche solo in base alle offerte dei varigrandi magazzini un futuro storico potrebbe dire moltosui nostri valori e sui nostri sogni per il tempo libero.

    Un compito archeologico.

    Chi cerca nelle fonti letterarie antiche una proble-matica di questo tipo, potrebbe ricevere la facile impres-sione che a quel tempo non ci si preoccupasse granchédi questo argomento. Difatti anche in età imperiale, in

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  • cui forse ci aspetteremmo una situazione diversa, solodi rado si parla in maniera piú dettagliata dell’aspetto edell’organizzazione di ambienti rappresentativi13; in lati-no non sembra esistere un termine per indicare il con-cetto di «abitare». Ciò però non significa affatto che ilmodo di abitare non fosse a quei tempi un oggetto diconversazione, ma che tale riflessione evidentementenon avveniva in primo luogo in ambito letterario (che,a causa della sua radicale impostazione classicistica tuttavolta verso l’epoca d’oro della Grecia, si occupava solodi rado delle condizioni di vita contemporanee). Il dia-logo si svolgeva comunque intensamente nelle casemediante le stesse forme simboliche dell’abitare: l’imi-tazione, la combinazione e il superamento costanti nelcreare spazi e decorazioni non sono altro che un discor-so continuo sul modo di abitare sfarzosamente.

    Lo studio del «gusto abitativo» è pertanto un com-pito squisitamente archeologico, che però finora prati-camente non è stato svolto in questa prospettiva. Saràquindi necessario sviluppare nuove strategie, visto chele ricerche attuali si limitano di norma alla tipologia ealla datazione di singoli generi artistici, come pittura,terrecotte, bronzi, utensili, ovvero alle piante delle casee alla loro «evoluzione». Invece la problematica relati-va al gusto abitativo implica soprattutto la ricostruzio-ne dei contesti di cui questi vari elementi fanno parte.

    I lavori di base sulla casa romana e sul suo allesti-mento risalgono alla seconda metà del secolo scorso: fuallora che nacquero gli ammirevoli libri di J. Overbecke A. Mau su Pompei14, in cui le conoscenze di architet-tura, pittura e ogni tipo di oggetti mobili furono per laprima volta riunite per dare un’immagine della «casaromana». Nonostante il loro orientamento normativo,questi libri continuano a offrire, assieme alle successivee piú dettagliate pubblicazioni di scavo, un buon approc-cio per le riflessioni sul modo di abitare. Ma oggi la regi-

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  • strazione di stampo positivistico dell’intero materialeproveniente da una casa non basta piú; anche il «mododi abitare» dovrebbe essere periodizzato come l’imma-gine urbana. Anche qui bisognerebbe tentare di colle-gare tesi di ampio respiro su aspetti della «casa e delmodo di abitare romano» a indagini sullo sviluppo dauna fase all’altra. Vengo cosí al soggetto vero e propriodella mia ricerca.

    Purtroppo il secondo dei lavori qui pubblicati, quel-lo sulla «villa come modello del gusto abitativo tardo-pompeiano», può offrire solo una piccola sezione dellastoria del modo di abitare in età imperiale, che è in granparte ancora tutta da studiare. Il lavoro è dedicato a unfenomeno specifico, che però a mio avviso ha un’im-portanza fondamentale per la comprensione del modo diabitare romano. Punto di partenza sono gli evidenti rap-porti tra le forme architettoniche e gli elementi dell’ar-redo di molte case pompeiane da un lato e, dall’altro, leville di lusso della tarda repubblica.

    Il sorgere di un nuovo stile abitativo nella formadella «villa».

    Nella villa urbana l’aristocrazia romana ha realizza-to, a partire dalla metà del II secolo a. C., una conce-zione totalmente nuova dell’abitare15. Essa ebbe tantosuccesso da affermarsi in seguito in tutto l’Impero roma-no, non solo nel ceto elevato, bensí anche come stile abi-tativo comune. In questa nuova concezione l’architet-tura e la decorazione di tutti gli ambienti rappresenta-tivi della villa furono posti al servizio di un’idea unita-ria, al di là delle loro funzioni pratiche e rappresentati-ve: essi dovevano richiamare alla mente nelle forme piúsvariate la Grecia con la sua cultura esemplare, traspo-nendola simbolicamente nel presente come una sorta di

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  • mondo superiore. Ciò veniva realizzato mediante unagran quantità di effetti ottici e di atmosfera. Cortiliinterni, giardini, camere e saloni, fontane e corsi d’ac-qua ricordavano forme architettoniche greche e veniva-no in parte corredati di nomi greci. Dovunque ci si vol-gesse, in una di queste ville riccamente allestite, lo sguar-do si posava su opere di tematica greca. Vi erano inte-re serie di copie da sculture greche in diversi formati;nelle pitture murali e nei mosaici pavimentali erano rap-presentati miti greci; la stessa mobilia trasportabile e iservizi da tavola erano pieni di immagini con allusioniall’arte e alla cultura classica. I giardini ricordavano isantuari greci; i panorami paesaggistici riflettevano lenuove esperienze ellenistiche della natura e del paesag-gio. Si voleva richiamare nello spazio la cultura grecacome un tutto unico e concluso e prenderne in tal modosimbolicamente possesso. Il modo di abitare divennequindi una nuova forma di reminiscenza culturale.

    A differenza dei sistemi figurativi dei palazzi rina-scimentali e barocchi, che pure sono confrontabili percerti aspetti, i densi intrecci di immagini nella villaromana di solito non erano organizzati in forma diprogrammi individuali, armonizzati tra di loro inmaniera meditata, bensí comparivano come sequenzefigurative libere, e per molti versi arbitrarie: ciò cheimportava era che fossero greche, artisticamente pre-gevoli e ricche di associazioni. Un uomo colto comeCicerone teneva però a che un determinato ambientenon fosse ornato da una decorazione inappropriata:immagini dionisiache non si addicevano a un peristiliodedicato agli studi, bensí a una sala da pranzo, comesi verifica spesso nelle case pompeiane; lo stesso valeper le numerose scene erotiche nelle piccole stanze diriposo. Solo in questo senso molto generale le imma-gini potevano riferirsi a specifiche funzioni degliambienti e descrivere la casa anche «topograficamen-

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  • te» come un luogo di vita piacevole, come del restoaccadeva già nelle case ellenistiche.

    Lo sfondo storico per la genesi di questo affascinantee nuovo modo di abitare in spazi caratterizzati dalla remi-niscenza culturale è l’entusiastica ripresa della culturagreca ad opera di una parte dell’aristocrazia romana apartire dal tardo III secolo a. C. Di tale ripresa non face-vano parte solo la cultura e le arti, bensí anche il sontuo-so e piacevole stile di vita della tryphé, quale fioriva soprat-tutto nelle corti ellenistiche, ma era anche programmati-co, incarnandosi nella figura di Dioniso, nella società dellecittà greche dell’intera koiné. Poiché all’inizio i filelleniromani non poterono esprimere la loro autocoscienza nellasfera pubblica a Roma, dato che lì sarebbero entrati inconflitto con gli austeri valori tradizionali e con le formedi vita del mos maiorum (lo slogan politico contro il nuovostile dionisiaco si chiamava luxuria), essi si procuraronodelle alternative nelle ville di campagna sotto forma di unproprio mondo privato in cui potevano realizzare le loroidee senza essere frenati da scrupoli politici.

    La villa divenne il palcoscenico di un nuovo stile divita del tempo libero (l’otium). Ne facevano parte deter-minati rituali, che potevano svolgersi realmente, o anchesoltanto nelle menti degli abitanti e dei visitatori. Si con-versava nel «ginnasio», che idealmente si trovava adAtene, ma in realtà nel cortile colonnato del peristilio;si passeggiava lungo un canale, un euripus, che ricorda-va la voluttuosa vita di Alessandria; si conducevanodiscussioni dotte con gli amici, in parte addirittura confilosofi greci che facevano parte della familia e abitava-no nella casa; le sculture presenti nel giardino stimola-vano a conversazioni sulla letteratura, la storia e l’artegreche, oppure ci si poteva ritirare in un ambienteappartato per dedicarsi a riflessioni filosofiche.

    Che si trattasse di una ricostruzione tutta romanadella vita greca e che nella Grecia classica non fossero

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  • mai esistiti tali «greci di formazione» a tempo perso, èaltra cosa. Naturalmente anche nelle ville romane e nellericche case urbane la realtà aveva spesso un aspetto assaidiverso rispetto all’ideale di cultura alla cui attuazioneinvitavano le forme simboliche degli spazi della remini-scenza. Tuttavia con questa nuova forma del modo diabitare era nata, per la prima volta nella storia, la «cul-tura» come sfera di vita in sé conclusa, dove ci si pote-va ritirare durante le ferie e nel tempo libero; il mondodella villa e dell’otium era antitetico a quello degli affa-ri, della politica e delle corti giudiziarie in città: era unospazio della vita privata separato dalla sfera pubblica.

    Con «privato» non si intende qui alcun tipo di chiu-sura verso la società, anzi: il neonato spazio di vita pri-vata veniva sfruttato nella maniera piú intensa possibi-le dal punto di vista sociale. Ci si incontrava con amici,con gente del proprio ceto, con colleghi in affari, conclienti; soprattutto nel banchetto (anch’esso stilizzatoalla greca) sorsero nuove forme di comunicazione. In talecontesto architettura e arredo erano posti al servizio del-l’autorappresentazione del proprietario della villa, dive-nendo un importante strumento nella competizione peril potere, l’influenza e il denaro. Per chi voleva appar-tenere al ceto dirigente erano indispensabili il possessoe la «conduzione» di ville allestite in maniera adegua-tamente sontuosa nelle maggiori località di vacanza (sulgolfo di Napoli, a Tuscolo o a Terracina). Cosí la nuovaautocoscienza culturale dell’aristocrazia romana fu findall’inizio anche oggetto di autorappresentazione nelquadro della competizione reciproca. Nello stile di vitae in quello abitativo della villeggiatura due bisogni ele-mentari si fondevano in un’unità culturale.

    Naturalmente, nonostante l’onnipresenza del mondofigurativo greco e dei suoi peculiari rituali culturali,nella villa i romani non volevano diventare dei greci. Alcontrario: qui essi estesero e definirono la propria auto-

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  • coscienza culturale, creando cosí un presupposto essen-ziale per le loro aspirazioni al dominio del mondo. Leforme simboliche del nuovo modo di abitare esprime-vano il fatto che i romani avevano avuto accesso all’e-redità culturale dei greci: essi sapevano non solo con-quistare e regnare, ma anche «vivere», poiché si eranoimpossessati allo stesso modo della paideia della polisclassica e del voluttuoso stile di vita dionisiaco (la tryphé)dei re ellenistici. Che in un primo momento ciò si siaconcretizzato solo nella coesistenza di due forme di vita,quella pubblica del negotium a Roma e quella privata del-l’otium nelle ville, dà un’idea delle tensioni presenti inquesto processo di acculturazione, pur tanto fecondo dalpunto di vista culturale. Si può ben dire che solo que-sta ambiziosa autocoscienza definitasi nella villa conferìai romani, anche agli occhi dell’Oriente greco, quel-l’autorevolezza che non avrebbero mai ottenuto con learmi soltanto.

    La villa diventa modello per il gusto abitativogenerale dell’età imperiale romana.

    Il nuovo stile abitativo dell’aristocrazia divenne gra-dualmente un modello per l’intera società. Da una formadi vita élitaria si sviluppò un gusto comune con cuianche strati sociali piú ampi potevano identificarsi. All’i-nizio, probabilmente, elementi dell’architettura e del-l’arredo vennero ripresi nelle case urbane degli aristo-cratici di Roma; da lì il nuovo modo di abitare si diffu-se nelle case dei nobiles delle città di provincia; al piútardi nella prima età imperiale esso era divenuto unostile comune.

    È qui che si inserisce la mia ricerca. Essa mostra, inbase a una serie di particolari, come, nella Pompei dellaprima età imperiale, i diversi elementi del nuovo modo

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  • di abitare venissero imitati anche in case di medie e pic-cole dimensioni. In tale contesto evidentemente nonaveva importanza per i proprietari delle case il fatto chele ristrette proporzioni degli spazi consentissero soloforme miniaturizzate e che una vita di società nello stiledei proprietari di ville fosse impensabile. Nelle casepompeiane la vita rimase presumibilmente modesta ecolta (o incolta) quanto prima. Ma perché mai i pro-prietari spendevano tanto denaro e fantasia per dare alleloro case qualcosa dell’aura di una villa? Perché i citta-dini di Pompei volevano partecipare del lusso dei con-temporanei ricchi, almeno nel trasognato vagheggiaredei loro desideri e delle loro idee?

    Le ville degli aristocratici romani si trovavano alleporte di Pompei. Sarebbe perciò facile supporre un’i-mitazione diretta da parte dei loro vicini immediati. Sesia questo il caso, o se invece il fenomeno dell’imitazio-ne delle ville (cosí come i modelli della decorazioneparietale dal cosiddetto Secondo al Quarto Stile e comele statuette da giardino) si sia diffuso a partire da Roma,non è un fatto che si possa determinare facilmente; laseconda altenativa è però molto probabile. Ciò che sipuò dire con sicurezza è che la diffusione del nuovo stileabitativo è un fenomeno generale che determina il mododi abitare in tutto l’Impero romano fino alla tarda anti-chità; tale affermazione vale almeno per i valori chestanno alla base delle varie forme simboliche. Le singo-le realizzazioni assunsero forme assai diverse nel corsodelle generazioni, ma la visualizzazione simbolica di cul-tura, lusso e piacere di vivere in un quadro unitario,attuata per la prima volta nello stile abitativo della villa,si affermò ovunque.

    Questo modo di abitare rappresenta perciò qualchecosa di piú di un caso particolarmente eclatante di imi-tazione di status. In questa prospettiva, nella mia trat-tazione del 1978 non ho descritto adeguatamente il pro-

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  • blema come programma culturale totale. Il nuovo gustoabitativo divenne simbolo ed espressione di una conce-zione e di un programma culturali insieme con le relati-ve forme di vita quotidiana.

    Il modo di abitare come espressione di appartenenzasociale e di autocoscienza culturale.

    Le singole fasi di propagazione del nuovo gusto abi-tativo non sono state finora descritte in quanto tali.Potremmo tuttavia esporle in via paradigmatica ser-vendoci della diffusione delle pitture parietali dalSecondo al Quarto Stile nelle città del Vesuvio. Inun’analisi statistica Andrew Wallace-Hadrill16 hamostrato che la presenza e la qualità della pittura parie-tale delle case pompeiane è in diretto rapporto con lagrandezza e il numero degli ambienti. Nel corso dellaprima età imperiale la moda di far dipingere le stanzenel cosiddetto Quarto Stile si diffonde in tutto il cetomedio. Solo le case molto piccole, con una superficie di100 metri quadrati o meno, non hanno di regola pittu-re parietali. Le imitazioni di ville da me descritte appar-tengono allo stesso periodo e sono espressione delmedesimo gusto abitativo. Con le sole pareti dipinte ilproprietario di una casa concretizzava per cosí dire ilminimo indispensabile del nuovo gusto abitativo. Wal-lace-Hadrill osserva giustamente che queste pitturerozze e spesso di scarsa qualità sono un’espressione diappartenenza sociale (soprattutto da parte degli arram-picatori sociali through rebirth of imitation) piuttostoche un’esibizione di lusso e ricchezza; esibizione che,d’altra parte, sarebbe sembrata abbastanza ridicola con-siderate le effettive proporzioni delle case piú modeste.Ma termini dispregiativi come «kitsch» e «banalizza-zione» non rendono giustizia al fenomeno, consideran-

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  • dolo in maniera troppo unilaterale dal punto di vistadell’imitazione e della carenza culturale.

    «Appartenenza» vuol dire di piú: il processo di dif-fusione del nuovo stile abitativo e del suo adattamentoa condizioni modeste era anche un processo di appro-priazione e interiorizzazione da parte di chi non potevapermettersi né il lusso né una cultura elevata; era un pro-cesso di astrazione, se si vuole, addirittura di sublima-zione, e ne possiamo agevolmente osservare lo svilupponelle stesse pitture murali.

    Su alcune sfarzose pareti di Secondo e Terzo Stile iriquadri mitologici centrali rimandano ancora occasio-nalmente alle pinacoteche reali di ricchi collezionisti incui si trovavano originali greci (per esempio nel caso diuna nota pittura murale proveniente dalla Farnesina).Evidentemente, però, non si trattava di «succedanei» dipinacoteche inesistenti, dato che queste pitture si tro-vano perfino nelle case piú ricche. Le raffigurazioniparietali creavano piuttosto un sistema simbolico in cuigli oggetti di lusso, che in alcune ville erano realmentepresenti, venivano combinati con spazi e oggetti fruttodell’immaginazione. Le pitture parietali di Secondo Stileevocavano, come la villa, degli spazi di reminiscenza, mali svincolavano dalla realtà dello spazio concreto, ren-dendoli cosí disponibili per chiunque potesse permettersiuna pittura parietale. Si innescava in tal modo un pro-cesso di astrazione che rendeva le forme simbolichedelle immagini sempre piú indipendenti dagli oggetti raf-figurati. È possibile leggere chiaramente questo proces-so nei mutamenti formali delle pareti dal Secondo alQuarto Stile (ca. 80 a. C. - 79 d. C.): al posto delle archi-tetture e dei beni di lusso quasi afferrabili con manosulle pareti tardorepubblicane, nei sistemi parietali diprima età imperiale compaiono architetture, cose e per-sone straniate manieristicamente, trasposte in uno spa-

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  • zio singolarmente irreale. All’astrazione formale delleimmagini di Quarto Stile corrisponde, come vedremo,anche un processo di astrazione dei valori. Proprio per-ché ben presto nelle pitture parietali ciò che importavanon era piú il lusso concreto di ciò che veniva raffigu-rato, bensí i simboli di valori generali, anche la pitturapiú modesta assolveva completamente al proprio com-pito: ossia, quello di fornire alla relativa stanza l’aura diun modo di abitare di alte pretese, esprimendo quindiuna determinata appartenenza culturale – anche a pre-scindere da ogni velleità di competizione.

    L’esempio delle immagini mitologiche mostra chequesto bisogno di appartenenza era qualcosa di piú cheuna bella decorazione e che non aveva piú niente a chefare con l’imitazione di pinacoteche di ville. Tramite lacostante ripetizione (anche in altri ambiti dell’attivitàculturale coeva: per esempio nel teatro, nella scuola,nelle recitazioni) alcuni miti divennero cosí familiariche cominciarono a essere collegati sempre piú imme-diatamente a situazioni della propria vita individuale,con la funzione di metafore di quest’ultima. Gli innu-merevoli sarcofagi con rilievi mitologici mostrano qualiproporzioni assumesse con il tempo, anche in strati piúampi della popolazione, questa associazione fatta di con-fronti mitici: si ha l’impressione che i miti siano stati uti-lizzati con quella naturalezza con cui da noi un tempovenivano usate le storie bibliche. Anche con un siffattolinguaggio colto, comprensibile in tutto l’Impero, l’uo-mo comune esprimeva, non diversamente che con lepitture parietali, la propria esigenza di appartenenzasociale e culturale. Allo stesso tempo, però, sembra chei miti gli abbiano offerto anche dei modelli di compor-tamento per la propria esistenza: altrimenti non avreb-be delineato nella loro raffigurazione dei termini di para-gone per la sua personale afflizione, per la consolazio-ne, la speranza e la gioia di vivere. È questo ciò che

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  • intendevo quando parlavo di un processo di appropria-zione e interiorizzazione avvenuto con il diffondersi delnuovo gusto abitativo.

    La situazione è analoga per il paradigma «lusso e vitaagiata» che dai tempi di Lucullo era indissolubilmentecollegato con la concezione della villa e di un modo di abi-tare sfarzoso. Anche questi «valori» furono fissati e innal-zati nelle forme simboliche della decorazione degliambienti. I segni piú evidenti dello sfarzo lussuoso,marmi e metalli preziosi, costose stoffe e colori, conchi-glie e pietre rare, ma anche cibi scelti, erano presenti nellospazio abitativo, realmente o in immagine, a secondadelle spese e del patrimonio del proprietario. Allo stessotempo, però, i topoi della luxuria erano cosí strettamen-te connessi, nella decorazione degli ambienti, alle imma-gini mitiche e agli altri simboli elevati della cultura clas-sica, che questi due pilastri della tradizione ellenistica rap-presentavano ormai, almeno nel mondo delle forme sim-boliche, un’unità inscindibile. Ciò che un tempo era statodenunciato come luxuria corruttrice veniva ora intesocome un valore alto nel contesto delle forme simbolichedel modo di abitare; esso incarnava qualcosa come la pie-nezza e il piacere della vita. Le allusioni al lusso nelladecorazione, cosí come le numerose raffigurazioni dioni-siache, davano all’osservatore la certezza di abitare in unmondo felice. Ciò comunque corrispondeva totalmenteagli stereotipi ideologici della felicitas temporum e del-l’aurea aetas tipici dell’arte imperiale.

    All’interno degli ambienti d’abitazione questi pro-grammi figurativi significavano anche un’esortazione arealizzare quello che veniva richiamato alla memoria: ciòaccadeva per esempio nei rituali legati al banchetto che,almeno secondo le intenzioni, univano in egual misurapiacere e cultura.

    Viene spontaneo supporre che esistesse un rapportotra questa neutralizzazione e rivalutazione del lusso nel

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  • quadro delle forme simboliche e il suo effettivo atte-nuarsi in seguito al diminuire della competizione socia-le all’interno del ceto dirigente (Tacito, Ann. III 55).Comunque le pareti di Quarto Stile, come le imitazionidi ville nelle case pompeiane, testimoniano che il feno-meno veniva percepito in maniera diversa rispetto aprima.

    Il culto della cultura nell’Impero.

    Che il nuovo modo di abitare si potesse affermare inmodo tale da diventare addirittura gusto abitativo comu-ne dell’Impero dipende senza dubbio anche dai muta-menti sociali che l’istituzione della monarchia portò ine-vitabilmente con sé. Un aspetto dell’arte romana colpi-sce particolarmente: i temi politici del mito imperiale,che dominavano ampiamente lo spazio pubblico, si limi-tavano a giocare un ruolo subordinato nel mondo figu-rativo privato della casa e della tomba; anzi, nella mag-gior parte delle abitazioni non ricorrevano affatto. Ciòindica che, nell’economia generale della cultura, la con-cezione romana del modo di abitare rappresentava– anche dopo la sua diffusione generale – una sorta dicontrappeso al mondo dello Stato e della politica.

    La scena politica era occupata dalla casa imperiale;gli onori pubblici sottostavano al suo controllo. In que-sta situazione attività culturali di ogni genere, che finoad allora erano state in gran parte oggetto della vita pri-vata, acquistarono un’importanza del tutto nuova. L’e-ducazione e le attività culturali divennero in misura cre-scente anche oggetto di autorappresentazione pubblicaper la classe dirigente, e quindi anche parte della vitapubblica. Il motivo è semplice: l’educazione e la cultu-ra erano un ambito della vita quotidiana privo di rischiperché neutrale dal punto di vista politico. Al tempo di

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  • Plinio il Giovane, per esempio, la frequentazione diconferenze pubbliche e semipubbliche, in cui venivanorecitati i prodotti letterari di amici e conoscenti, assor-biva buona parte dei compiti giornalieri di un senatoreromano: anche Plinio, parlando di sé, se ne lamenta17.L’enorme successo degli «oratori da esibizione» della«seconda sofistica» mostra come le attività culturalipotessero condurre perfino a cariche politiche, ocomunque ad altissima reputazione. Rappresenta infi-ne solo un logico sviluppo il fatto che gli imperatoristessi dovessero rivendicare per sé tali qualità: l’attivitàfilosofica di Marco Aurelio, ma già le ambizioni diNerone come cantante, vanno senza dubbio considera-te in questo contesto.

    Grazie a questa nuova dimensione delle attività cul-turali nello spazio pubblico, il fatto di abitare entroambienti della reminiscenza culturale e della gioia divivere acquistò un significato supplementare, diventan-do il simbolo della cultura di alto livello garantita dal-l’Impero romano. Nell’età imperiale, poi, le forme sim-boliche della decorazione domestica penetrarono semprepiú nello spazio pubblico. Si pensi solo allo splendidoallestimento delle grandi sale termali e ai parchi pubblicicon le loro fontane, i giardini, le sculture. In tal modouna serie di elementi particolarmente significativi dellusso élitario della villa veniva realizzata anche nellospazio pubblico per ampi strati della popolazione. Ilconfine tra privata luxuria e publica magnificentia, defi-nito nella tarda repubblica e condizionato ideologica-mente, si trovava a essere nuovamente soppresso. Nelleforme mutate della dimensione pubblica, di cui si è par-lato prima, si potevano ora realizzare gli stessi valori delmodo di abitare «privato». In tal modo il lungo e com-plicato processo di acculturazione giunse in una certamisura a conclusione.

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  • 1 Ma cfr. Thébert 1989; Dickmann 1992.2 Per maggiori dettagli, cfr. il mio contributo in W. Trillmich - P.

    Zanker (a cura di), Stadtbild und Ideologie. Die Monumentalisierungder hispanischen Städte zwischen Republik und Kaiserzeit (Abh. Bayer.Akademie 103, München 1990), pp. 9 sgg.

    3 W. Höpfner - E.-L. Schwandner, Haus und Stadt im klassischenGriechenland, München 1986; W. Schuller et al. (a cura di), Demok-ratie und Architektur, München 1989; T. Hölscher, The City ofAthens: Space, Symbol, Structure, in A. Mohlo et al., City-States inClassical Antiquity and Medieval Italy, Ann Arbor 1991, pp. 355-80.

    4 P. Gros - M. Torelli, Storia dell’urbanistica. Il mondo romano, Roma1988, con esauriente bibliografia.

    5 P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Torino 1989, pp. 314sgg.; M. Pfanner, Modelle römischer Stadtentwicklung am BeispielHispaniens und der westlichen Provinzen, in Trillmich - Zanker cit.,pp. 59 sgg.

    6 Su ciò piú dettagliatamente P. Zanker, Veränderungen im öffentlichenRaum der italischen Städte der Kaiserzeit, in L’Italie d’Auguste à Dio-clétien. Colloque internationale, Roma 1992 (in corso di stampa pres-so l’École Française).

    7 Su ciò dettagliatamente tra breve R. Neudecker, Öffentliche Latri-nen im Wandel der kaiserzeitlichen Stadt.

    8 Förtsch 1993.9 Wallace-Hadrill 1988-91.10 Th. Veblen, The Theory of the Leisure Class, New York 1899.11 Dickmann 1992.12 I. Raeder, in «Gymnasium», 95, 1988, pp. 163-68.13 Förtsch 1993.14 Overbeck-Mau.15 Visioni di sintesi in Mielsch 1987; Neudecker 1988 con la recensione

    di R. Förtsch, in «Gnomon» LXIV, (1992), pp. 520-34.16 Wallace-Hadrill 1991.17 Cfr. L. Friedländer, Darstellungen aus der Sittengeschichte Roms

    (Leipzig 192310), II, pp. 191 sgg., in particolare p. 228.

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  • parte seconda

    Immagini di una città: gli spazi pubblici

    Questo studio, apparso dapprima nel 1987, è stato sov-venzionato dalla Kommission zur Erforschung des antiken Städ-zewesens della Bayerische Akademie der Wissenschaften. Ho pre-sentato il risultato delle mie riflessioni in varie Università, rice-vendone stimoli e suggerimenti, di cui sono riconoscente. Vor-rei specialmente ricordare Stefano De Caro, A. Hoffmann,Valentin Kockel, Michael Pfanner e Johannes Bauer, di cui hopotuto utilizzare la tesi di laurea Munificentia Privata Pom-peiana discussa all’Università di Monaco (1988) (abbreviazio-ne: Bauer). Spesso ho conservato la forma espositiva elabora-ta per le conferenze e ho contenuto entro limiti ristretti le note.Grazie all’eccellente esposizione sullo stato delle ricerche fattada Valentin Kockel (abbreviazione: Kockel), l’orientamentonon è problematico (cfr. anche AA (1985), pp. 495-571).

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  • Impostazione del problema

    Il carattere «inospitale» delle nostre città, che spe-rimentiamo ogni giorno, ci ha sensibilizzati all’aspettodell’ambiente cittadino e alla sua influenza sull’uomo.Mai in passato, come negli ultimi due decenni, si è tantodiscusso sulla città in relazione alla qualità della vita. Èdiventato sempre piú chiaro lo stretto rapporto tra con-dizioni economiche, sociali, sanitarie e culturali di unasocietà e l’aspetto delle relative città. Nell’arco di unasola generazione, visioni e valori di segno opposto hannodominato la discussione, dalla città a misura d’automo-bile alle zone pedonali, dai centri cittadini che si svuo-tano la notte ai centri commerciali e per il tempo libe-ro, dalle città satellite e dormitorio agli appartamenti dilusso nel centro storico.

    Queste esperienze opprimenti del presente e lediscussioni che ne sono nate hanno avuto un effettoquanto mai stimolante sulle discipline storiche. Il tema«città» è da molto tempo sulla bocca di tutti. Fra lemolte problematiche nuove, una sembra particolarmen-te fruttuosa e interessante: tracciare il quadro d’insiemedi una città in un periodo storico determinato, cioè stu-diare l’aspetto materiale e la forma estetica della cittàcome specchio della situazione e della mentalità dellasocietà che vi abita. Sia le piante delle città, le loroarchitetture e simboli di ogni tipo sia i rituali e i modidi vita che vi si realizzano andranno allora intesi come

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  • una struttura coerente, come espressione di bisogni, divalori, di attese e di speranze di una società1.

    Quando le circostanze lo consentano, la fisionomiadi una città intesa in tal senso può essere quanto maisignificativa. Ciò vale per città di ampio sviluppo, il cuiaspetto non è determinato dalla volontà di un signore odai presupposti ideologici di una concezione generaleunitaria, ma dalla realizzazione di molti interessi ano-nimi e in parte perfino contraddittori. Ma proprio per-ché i singoli hanno creduto di seguire solo bisogni con-creti, necessità pratiche o preferenze personali, il pro-cesso che ne risulta è una autorappresentazione auto-noma, e non costruita come un quadro complessivo, diquella società.

    Ma una volta definita la fisionomia di una città, nonpotremo da storici sottovalutarne l’influenza sulla men-talità degli abitanti. L’organizzazione dello spazio cit-tadino, con cui ci confrontiamo ogni giorno, può avereeffetti