Polvere rossa di Beppe Gaido e Mariapia Bonanate - estratto

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POLVERE A S S O R BEPPE GAIDO MARIAPIA BONANATE Chaaria Una piccola città della gioia e dell’amore nell’Africa equatoriale

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Polvere rossa è l’epopea dei poveri, dei deboli e degli esclusi che lottano ogni giorno per la sopravvivenza e cercano salvezza e cure a Chaaria. È anche la storia di chi ha deciso di mettersi in gioco e di dedicare la propria vita a chi soffre in questo piccolo angolo d’Africa. È una testimonianza di dolore, forza, dedizione e sacrificio.

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Polvere rossa è l’epopea dei poveri, dei deboli e degli esclusi che lottano ogni giorno per la sopravvivenza e cercano salvezza e cure a Chaaria. È anche la storia di chi ha deciso di mettersi in gioco e di dedicare la propria vita a chi soffre in questo piccolo angolo d’Africa. È una testi-monianza di dolore, forza, dedizione e sacrifi cio.

«La polvere rossa non ci lascia mai e ci avvolge tutti i gior-ni mentre lavoriamo con gli ammalati; a volte diventa una nebbia fi ttissima che entra negli occhi e non ci permette di vedere. Non ci lascia respirare e ricopre i nostri abiti e capelli, quando camminiamo per strada. La troviamo sulla pelle, color ebano, dei nostri pazienti, quando ar-rivano, stanchi e sudati, dopo ore ed ore di cammino su percorsi a volte impraticabili. Avvolti dalla polvere rossa i contadini lottano e faticano per strappare alla terra e alla siccità quei raccolti che permetteranno di evitare ancora una volta lo spettro della fame. Si deposita pesante sul nostro cuore ogni volta che, dopo sforzi estenuanti, non riusciamo a salvare la vita di un nostro ammalato».

Fr. Beppe Gaido

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BEPPE GAIDOMARIAPIA BONANATE

POLVERE ROSSA

Chaaria.Una piccola città

della gioia e dell’amorenell’Africa equatoriale

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I proventi derivanti dalla vendita del libro saranno devoluti al Cottolengo Hospital di Chaaria (Kenya).

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

ISBN 978-88-215-9678-0

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Ai dimenticati e agli esclusiche lottano per la vita

in ogni parte del mondo.

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«...gli uomini si sono stancati e si sono rotti i piedi su questa terra di Dio per secoli e secoli, nel freddo e nel caldo, che anche questo fa parte del-la vita. Un barlume di eternità filtra sempre di più nelle mie piccole azioni e percezioni quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza malattia tri-stezza o paura, ma sono insieme con milioni di persone, di tanti secoli: an-che questo fa parte della vita che è pur bella e ricca di significato nella sua as-surdità, se vi si fa posto per tutto e se la si sente come un’unità indivisibile. Così, in un modo o nell’altro, la vita diventa un fatto compiuto, ma si fa veramente assurda non appena se ne accetta o rifiuta una parte a piacere, proprio perché essa perde allora la sua globalità e diventa tutta quanta arbi-traria».

Etty Hillesum

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PREFAZIONE

Polvere rossa non è solo un nuovo libro, dedicato al “sogno di Chaaria”. Vuol essere anche la risposta ai tanti lettori che, dopo avere accolto con entusiasmo e partecipazione Ad un passo dal cuore, mi hanno chiesto con insistenza di conti-nuare a coinvolgerli nell’avventura del “Cottolengo Mission Hospital” con un secondo volume. Quando il primo fu pub-blicato, due anni fa, suscitò un sorprendente passa parola e raggiunse un vasto ed eterogeneo pubblico. Quest’ampio consenso mi ha profondamente commosso e spinto a ripren-dere il racconto di quanto accade in quello che era un pic-colo dispensario e oggi è diventato un importante ospedale di riferimento, non solo per la regione dove è situato, ma anche per tanta gente che arriva da molto lontano.

Con Polvere rossa abbiamo l’opportunità di ripartire tut-ti insieme, ciascuno facendo la sua parte, per ritornare a camminare e abitare con la gente di un angolo di Afri-ca che si trova in una situazione di povertà estrema e di abbandono. In particolare fra i più dimenticati che sono accolti in quella piccola “cittadella dell’amore e della spe-ranza” che è diventata Chaaria.

Polvere rossa, come Ad un passo dal cuore, non è un libro di carta, ma un libro di carne, di volti, di situazioni nelle qua-li incontriamo persone al cui posto potremmo esserci noi, per quel sorteggio misterioso del destino umano, per quella

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corrispondenza di sentimenti e di emozioni, di attese e di speranze, che rappresentano la piattaforma comune dell’u-manità tutta.

Con questa consapevolezza mi sono rimesso con Maria-pia Bonanate al lavoro, aiutato dal materiale che continuava ad accumularsi ogni giorno nel mio cassetto. Storie di don-ne, uomini, bambini, che spesso avevo abbozzato di getto, per prolungare un incontro e un’emozione, per non perdere la memoria d’istanti e di ore che lasciano un segno per sem-pre e ci permettono di scoprire i significati più profondi del vivere e del morire. Per dare voce ai nostri poveri e ai nostri ammalati, protagonisti di un’epopea che mi ha cambiato la vita e di cui adesso anche noi, autori e lettori, facciamo par-te. Sono loro i personaggi principali di questo “romanzo”, dove la realtà supera di gran lunga la finzione per autenticità e verità. Per il coraggio, la dignità e la capacità di non arren-dersi di fronte a situazioni impossibili.

Polvere rossa è una continuazione ideale del primo libro, ma anche qualcosa di totalmente nuovo nei confronti di quello che è un diario quotidiano della vita di ogni giorno tra gli ospiti di Chaaria. È un’opera articolata, divisa in ca-pitoli, ciascuno dei quali vuole approfondire un argomento particolare non soltanto sulle tante situazioni difficili che incontro ogni giorno in Kenya, ma che a tutti, in contesti diversi, può accadere di vivere.

È anche un racconto “aperto”. Il capitolo finale è spalancato sul futuro, nella fiducia che Chaaria continui ad essere il luo-go dove “gli ultimi” trovano approdo e salvezza. L’epopea dei poveri non termina mai. Ci auguriamo, con l’aiuto e il coinvol-gimento di voi lettori, che avete dimostrato tanta appassionata condivisione, di poter continuare ancora a raccontarla.

Fr. Beppe Gaido

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Quando atterro all’aeroporto “Jomo Kenyatta Interna-tional” di Nairobi, è il suo odore, prima di ogni altra cosa, a dirmi che sono arrivato nella mia Africa. Aspro e dolce, vigoroso come un vento potente e leggero come una carez-za. S’insinua sotto la mia pelle, penetra nel corpo, invade la mia anima. È l’odore che avvolge Chaaria, l’ospedale che è diventato tutto il mio mondo. Il luogo di un sogno iniziato alla fine degli anni Novanta, oggi una realtà di lacrime e di gioia, di sconfitte e di successi. Di tanto amore e di tanta speranza.

È l’odore del glicine che m’investe prepotente quando passo accanto al bananeto. È quello amaro dei fiori e dei frutti maturi che s’impasta con la mia stanchezza di sem-pre e la rende meno pesante. Ma l’odore che più mi attrae e m’imprigiona, è il forte odore di umanità che respiro a pie-ni polmoni nei reparti dell’ospedale. È l’odore dei “buoni figli”, uguale a tutte le latitudini. Quando ero un giovane novizio lo chiamavo “il profumo del Cottolengo”.

È ancora l’odore che arriva dall’alito irrespirabile di un malato affetto da carcinoma dell’esofago che mi vie-ne incontro per dirmi che non riesce più a deglutire nulla, neppure la saliva. Mentre parla, vorrei scappare lontano perché a stargli vicino mi sale dallo stomaco una nausea che mi soverchia. Sono le zaffate che arrivano dal povero

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corpo dell’anziano, raggomitolato su se stesso, o dalla fisto-la urinaria di una donna che se la trascina dietro dall’ulti-mo parto.

Mi penetra l’acre profumo del sudore che avverto in sala parto, mentre cerco di aiutare a partorire una mamma, esausta dopo un lunghissimo travaglio. L’olezzo nausea-bondo del latte cagliato che invade ogni angolo del nido, dove tante madri tribolano con il tiralatte per cercare di nutrire, con un contagocce o una siringa, i loro microsco-pici bambini prematuri.

Spesso nel mio studio entrano donne di etnia noma-de, ricoperte di collane e con vistosi braccialetti. Hanno il bimbo in braccio e lo allattano serenamente di fronte a me. Si portano appresso un odore forte, tipico dei luoghi che abitano, misto di puzza di sterco, di sudore e del grasso animale che si spalmano sulla pelle come emolliente. I pa-zienti islamici, insieme all’henné con cui gli uomini si colo-rano la barba e le donne si adornano di greche e tatuaggi, m’investono con il profumo indefinito di un balsamo molto gradevole, che mi piace e mi aiuta a identificare le persone di quel particolare gruppo etnico che arriva dal Nord.

E poi la candeggina! Ne sento il profumo un po’ ovun-que. È usata per pulire e disinfettare gli ambienti, ma spes-so l’impieghiamo anche per gli ammalati e noi stessi. Agli inizi quell’aroma acre mi dava alla testa, provavo un senso di disgusto. Poi ha iniziato a piacermi, quando lo sentivo sulle mani lavate e rilavate nel disperato tentativo di elimi-nare quei testardi residui di un cattivo odore che riescono a passare anche attraverso i guanti sterili, quando si fa un’o-perazione o una medicazione in parti del corpo putrefatte. Molte volte un odore particolare mi riporta a una persona, a un caso clinico, a un successo o a una sconfitta professio-nale. Quasi sempre a una grande sofferenza mia e altrui.

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L’odore che sovrasta tutti gli altri è quello della notte di Chaaria, dominato dai fumi della diossina del nostro inceneritore. Non possiamo usarlo di giorno perché puzza troppo e quindi incendiamo i rifiuti di notte. Ma vicino a casa c’è l’albero di guava, colmo di frutti, che riempie le na-rici con il suo profumo dolce ed attraente. Tanti altri sono i profumi e i fetori che mi avvolgono ogni giorno. Sono spesso odori di sofferenze, di vite difficili, di malattia e di povertà. Sono gli odori della vita della nostra gente per la quale sono felice di sacrificarmi.

Questi odori, ogni volta che arrivo dall’Italia, mi fanno sentire quest’ultima di colpo lontana, come se le settimane che vi ho trascorso si riducessero a pochi istanti. I primi giorni, lontano da Chaaria, non passano mai. Mi sento quasi depresso al pensiero del lungo periodo che mi separa dal ritorno tra gli ammalati del mio ospedale. Poi il tempo trascorre sempre più in fretta e mi ritrovo all’aeroporto di Malpensa con un nodo alla gola, con la sensazione di non aver avuto abbastanza tempo per fare tutto quanto era nei miei desideri, non essere riuscito a incontrare tutte le per-sone alle quali voglio bene.

Che strano! Quasi non mi ricordo quando sono stato in questa o quella città a incontrare tanti amici. Sono scher-zi della mente che lasciano uno strascico di tristezza, ma dopo alcuni momenti di “rodaggio” e disorientamento, ri-prendo, abbastanza in fretta, il ritmo di sempre. Ricomin-cio a lavorare a tempo pieno, dal mattino presto alla sera tardissimo, per non parlare delle chiamate notturne. Come sempre accade, ho quasi la sensazione di non essere mai andato via da Chaaria.

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Chaaria mi ha cambiato profondamente la vita. Come persona e come medico, mentre i miei capelli incanutiva-no. Mi ha salvato da un’esistenza forse più comoda e sicura, certamente più anonima e monotona. A Chaaria ho sco-perto che cosa è la felicità. Ho capito che quel piccolo seme che sempre inseguiamo, il seme della felicità, si annida in una vita spoglia di ogni privilegio, povera e umile. Lo trovi nella condivisione totale, nella dedizione senza riserve agli “ultimi” e a coloro che soffrono. Mai lo potrai trovare nella competizione selvaggia, nell’invidia e nella gelosia.

La felicità che ho scoperto a Chaaria è diversa dall’al-legria. Non coincide con il ridere di cui spesso ho poca voglia, molti mi considerano burbero e scontroso. È una sensazione profonda e vasta, non la puoi misurare, diffici-le da descrivere. È uno stato della mente e del cuore, una sensazione di pace interiore che puoi provare anche quan-do non hai voglia di sorridere o quando piangi per qual-che sconfitta nella lotta quotidiana fra la vita e la morte. È provare una grande pace che ti fa sentire pienamente realizzato, parte dell’umanità che hai incontrato. E la sera, quando ti corichi, ti viene spontaneo un canto di lode e di ringraziamento al Signore che ti ha sostenuto nelle batta-glie della giornata.

È la felicità che provi la mattina, alle sei, quando sorge

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il sole in una nuvola rossa e lo contempli con lo stupore di quando eri bambino. Quando ti alzi con entusiasmo e chiedi a Dio di aiutarti a rendere ogni giorno migliore del precedente, mentre avverti una vaga, ma confortante sen-sazione di essere al posto giusto e di fare le cose giuste.

Chaaria mi ha insegnato che anche in quel pantano che spesso è la nostra vita, può nascere un sorriso, un qualcosa di buono per noi e per le persone alle quali ci dedichiamo. Mi ha insegnato che la Provvidenza non è una parola o un concetto astratto, ma una realtà tangibile perché Lui ti lascia arrivare fin sull’orlo del baratro, e a volte della disperazione, ma poi ti tende la mano. Non ti lascia mai cadere nel vuoto.

Quante volte mi sono detto: «Questa volta è finita! Non ce la farò mai a risolvere questo problema!». Proprio quando stavo per arrendermi, è giunto un aiuto dal cielo a rimettermi in piedi, a ridarmi speranza, coraggio e ot-timismo.

A Chaaria tocco la morte ogni giorno. Mi devasta e mi sconvolge. Poi, nello stesso giorno, sperimento la vita e la sua vittoria sulla morte, quando nella sala parto dove il pianto di un bimbo, appena nato, sale verso il cielo, o nella pediatria un bimbo, in coma, riapre gli occhi e si mette a succhiare il latte dal seno materno.

Ho appena lasciato sul fasciatoio il corpicino di Dome-nico, quattro mesi, che se n’è andato, mentre io cercavo disperatamente di rianimarlo. Ci ha lasciato tutti muti, in-capaci di parlare a quella mamma che ci guardava e già sapeva. Aspettava di ascoltare dalla nostra bocca la ter-ribile notizia. Ma la mia voce era prosciugata dall’ango-scia. Poi, pur con il cuore a pezzi, ho avvertito nel profondo della mia anima quella misteriosa felicità di cui parlavo prima. Mi giungeva dal pensiero che con Domenico c’ero,

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di domenica, e che lui non è andato in Paradiso, abbando-nato a se stesso, ma con me accanto fino all’ultimo respiro.

La felicità di Chaaria, quando la incontri, non ti lascia più, neppure in questi momenti drammatici. Sai sempre dove trovarla, non cambia con il vento e neppure con le tue “lune storte”. Ha solide radici nella “buona notizia”, perché senti di avere dato tutto e di essere per questo “uno dei servi buoni e fedeli del Vangelo”. Allora questa felicità può andare di pari passo con tanta sofferenza, sia tua, sia del prossimo che condividi. Può nascere anche dal pianto, da un pesante periodo di scoraggiamento. È quello strano colpo di coda che ti rilancia in piedi, proprio quando hai toccato il fondo e inspiegabilmente ti fa sentire di nuovo vigoroso, con tanta voglia di ricominciare.

Ti alzi al mattino e gli occhi si riempiono dell’incanto dell’alba, la giornata ti sorride e ti entusiasma. Un’alba, come quella di Chaaria, riempie il cuore e ti dà la forza per andare incontro anche agli impegni più faticosi. Quan-do poi, quasi a mezzanotte, con il corpo a pezzi, cerchi di raggiungere la camera, nella speranza di un po’ di riposo notturno, è ancora il cielo di Chaaria ad aprirti il cuore e a mozzarti il fiato. A volte t’incanta il cielo stellato, senza luna, altre volte è una luna piena che ti pare di poter toc-care. Ti fermi allora nel silenzio che ti avvolge come un mantello di velluto, alzi gli occhi e tutto attorno scompare in istanti di intensa, pura contemplazione. La natura placa il cuore e riempie l’anima, lenisce le ferite. Ripensi a tutte le battaglie sostenute, rivedi la donna già operata che speri di non dover rioperare, rivivi i difficili momenti del lungo intervento, sei ore di sala operatoria, per un carcinoma del retto che sembra essere andato bene.

Guardi il cielo e raccomandi a Dio i due giovani in con-dizioni disperate: una sedicenne con un cancro al pancreas

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che continua ad avere, dopo l’intervento, delle emorragie nello stomaco e non sai più che cosa fare; il ragazzino con la perforazione intestinale da tifo che forse non sopravvi-vrà. Gli parli del bambino denutrito e malato di leucemia, del feto già morto nel ventre materno che abbiamo estratto per salvare la vita alla mamma. Quante persone e quante storie ti passano davanti agli occhi in quegli attimi magici d’immersione totale nel cielo! Quanti rimorsi per le cose che avresti voluto fare diversamente o meglio.

Chaaria, così gentile nella sua natura rigogliosa, così esigente, dura, a volte feroce, nei drammi che ti pone da-vanti ogni giorno. Anche in questo contrasto sta il suo fa-scino irresistibile. Un mondo fiabesco, per le bellezze della sua natura, un girone infernale, quando tutto precipita in ospedale. La mia Chaaria, poetica e devastante, ma sem-pre stupenda.