Politiche del lavoro · Cartesio: metodo: evidenza, analisi, sintesi, revisione Popper: scopo,...

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Istituzioni, economia, politica economica e del lavoro - La natura scientifica delle teorie economiche - Economia, società e istituzioni: teorie degli economisti istituzionalisti e neoistituzionalisti - Politiche economiche in Italia e in Europa

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Istituzioni, economia, politica

economica e del lavoro

- La natura scientifica delle teorie economiche

- Economia, società e istituzioni: teorie degli

economisti istituzionalisti e neoistituzionalisti

- Politiche economiche in Italia e in Europa

L’economia «marginalista» è «scienza»?

Bacone: metodo: osservazione, induzione, teorizzazione

Cartesio: metodo: evidenza, analisi, sintesi, revisione

Popper: scopo, approcci e metodo della conoscenza scientifica

scopo: spiegare fenomeni noti con asserzioni che descrivono

lo stato dei fenomeni da spiegare (explicandum) individuando

le cause ignote che li governano (explicans dell’explicandum)

approcci: essenzialismo (Cartesio), strumentalismo (Berkeley

e Bellarmino), falsificazionismo (Bacone e Popper)

metodo: problemi – teorie – critiche : le teorie sono congetture

che, sottoposte a verifica, possono ugualmente mostrarsi vere

o false: ma anche le falsificazioni «indicano i punti in cui

abbiamo, per così dire, toccato la realtà» (POPPER)

L’economia «marginalista» è «scienza»?

I mercantilisti usavano il metodo baconiano: alle osservazioni O1, O2, …On,

facevano seguire le induzioni I1, I2, …In e le teorie T1, T2,…Tn (Barrotta):

O1 I1 T1 O2 I2 T2 …. On In Tn

Per Quesnay e Smith la ricchezza sociale (explicandum) è spiegata (explicans)

da moventi ( physis, droit naturel, laissez faire, tableau économique, self-

interest, sympathy e mano invisibile) intuiti per introspezione. Non potendo

falsificare le loro teorie con esperimenti i fondatori dell’economia usavano

le osservazioni per controllare le assunzioni fatte per via deduttiva (come

continuarono a fare anche Malthus e Sismondi); in simboli:

Oi → T => Oc → T

dove «la freccia doppia indica il momento deduttivo (dalla teoria T si deducono

nuovi fenomeni osservativi di controllo Oc) e le frecce rappresentano i passi

induttivi (Oi sono le osservazioni iniziali e T le nuove teorie modificate alla

luce della nuova esperienza)» (BARROTTA).

L’economia «marginalista» è «scienza»? La procedura dei fondatori dell’economia è il razionalismo empirico:

«l’aggettivo empirico indica che per i primi economisti le fondamentali

assunzioni economiche sono ottenute grazie a ovvie induzioni, appena

bisognevoli di prova. Il sostantivo razionalismo indica una concezione

non fallibilista del metodo dell’economia: se il ragionamento è effettuato

con cura e attenzione i teoremi economici hanno la stessa certezza delle

premesse da cui derivano e i ritrovamenti empirici possono illustrare, ma

non controllare le teorie economiche» (BARROTTA).

Ricardo e ricardiani «usando una retorica baconiana di fatto aderirono a

una concezione cartesiana della scienza» (BARROTTA) distaccandosi sia

dal razionalismo empirico dei fondatori dell’economia, sia dal metodo

baconiano delle scienze naturali: «in economia gli elementi ultimi delle

generalizzazioni fondamentali ci sono noti per via di conoscenza

immediata; nelle scienze naturali per via di inferenze» (ROBBINS ).

L’economia «marginalista» è «scienza»? L’economia marginalista che i neoclassici trassero dai classici è «scienza simile

alla geometria che inizia con assiomi da cui i teoremi economici derivano per

deduzione»; avendo «adottato la strategia di proporre modelli basati su due

principi unificatori – il comportamento massimizzante e il concetto di equilibrio

– l’adesione ipocrita e sincera degli economisti neoclassici al metodo ipotetico-

deduttivo ha avuto il risultato di nascondere la peculiarità di questo approccio e

i problemi che esso presenta» (BARROTTA).

L’economia marginalista è il paradigma della scienza economica. Il paradigma

è la visione del mondo che una comunità scientifica adotta dopo una fase di

scienza straordinaria nella quale il confronto fra visioni alternative provoca una

rivoluzione scientifica al termine della quale si afferma un nuovo paradigma

che avvia una fase di scienza normale nella quale gli “scienziati” (riconosciuti

tali dalla comunità scientifica) risolvono rompicapo (problemi applicativi) e

formano allievi con una manualistica che riporta i principi del paradigma, senza

indicarne l’origine storica (KUHN).

L’economia «marginalista» è «scienza»?

L’economia «marginalista» è «scienza»? Per Kuhn «la superiorità di una teoria rispetto a un’altra è qualcosa che

non può essere dimostrata durante il dibattito. Ciascun partito invece deve cercare di convincere l’altro con la persuasione». Pera parte da questo assunto di Kuhn per proporre un suo ‘modello retorico’.

«Il modello metodologico (Popper) concepisce la scienza come partita a due giocatori: il ricercatore propone e la natura, con un sì e un no forti e netti, dispone. Nel modello contrometodologico (Kuhn) la situazione è la stessa, con la sola differenza che qui la voce della natura è tanto flebile che è sovrastata da quella dell’interlocutore fino al punto che è questi a mettere in bocca alla natura le risposte desiderate. Il modello retorico (Pera) prevede tre giocatori, tutti ugualmente protagonisti: c’è un proponente che avanza una tesi, la natura che dà risposte e una comunità di interlocutori che, attraverso un dibattito regimentato da fattori di vario tipo, forma il consenso su una risposta, la quale a partire dal quel momento diventa la voce ufficiale della natura. In questo modello la natura non parla da sola, parla nel dibattito e tramite il dibattito» (PERA, 1992).

L’economia «marginalista» è «scienza»?

A – Scienze naturali

COMUNITÀ SCIENTIFICA A comunicazione (strumentale) con la natura

dibattiti che propone la teoria 1

regimentati che propone la teoria 2 NATURA

COMUNITÀ SCIENTIFICA B comunicazione (strumentale) con la natura

B – Scienza economica

SCUOLA ECONOMICA A comunicazione (dialogante) con la società

dibattiti che propone la teoria 1

regimentati che propone la teoria 2 SOCIETÀ

SCUOLA ECONOMICA B

comunicazione (dialogante) con la società

L’economia “marginalista” e “marxista” sono «scienza»?

A – Economisti: fisiocrati e classici

Quesnay, Turgot, Smith comunicazione (dialogante) con la società

Bentham

dibattiti che propone la teoria 1 SOCIETA’ REALE

regimentati che propone la teoria 2 (TRANSIZIONE DECOLLO)

Malthus, Sismondi, Marx comunicazione (dialogante) con la società

B – Economisti:

Marginalisti (Jevons, Edgeworth, Walras, Pareto, Marshall, Pigou, Hicks, Samuelson…)

ECONOMIA imposizione di soluzioni politiche

DI MERCATO astratte/miracolistiche di equilibrio (liberista? )

MODELLI DI SOCIETA’ SOCIETA’ REALE: SVILUPPO

“PARADIGMATICI” E CICLO (recessione, crisi e

stagnazione, ripresa, prosperità)

ECONOMIA

PIANIFICATA imposizione di soluzioni politiche

astratte/miracolistiche di equilibrio (socialista?)

Marxisti (Engels, Lenin, Sweezy, Kantarovich, Lange, Sraffa, Napoleoni…)

Le teorie dello sviluppo economico sono «scienza»?

SCHUMPETER (“trionfo del laissez-faire” nelle fasi “espansive” del ciclo)

“modello eroico-elitario” del ciclo di sviluppo

dovuto ai vari Ford, Agnelli, Mattei, Jobs... e

adottato dalle ideologie conservatrici

KUZNETS (“teoria” dello SOCIETA’ REALE dello sviluppo e del sottosviluppo) (stadio “a consumi di massa”)

“teoria generale” del ciclo e sviluppo che è

adottata dalle politiche economiche progressiste

(molto anche in Italia) ed è oggi oggetto di dibattito in

USA per la ripresa dell’occupazione dopo la crisi finanziaria

KEYNES (“fine del laissez-faire” nelle fasi “recessive” del ciclo”)

Dai classici moderni agli istituzionalisti e neoistituzionalisti

Sebbene Schumpeter, Keynes e Kuznets abbiano approcci teorici diversi

per spiegare lo sviluppo e il ciclo economico concordano su un punto:

l’irrilevanza della teoria neoclassica che spiega gli equilibri di mercati

perfettamente concorrenziali, conseguiti con la massimizzazione dei

fini di produttori e di consumatori perfettamente razionali, perché:

- la tecnologia non è esogena all’economia ma è creata e fatta evolvere

nei processi competitivi dagli imprenditori innovatori che operano per

modificare gli equilibri consolidati dei mercati (Schumpeter);

- sviluppo e ciclo dipendono dall’assorbimento dell’offerta aggregata da

parte di consumi e investimenti: questi dipendono dai tassi di interesse

e quindi dalle scelte politiche in materia monetaria (Keynes);

- le teorie di sviluppo e sottosviluppo devono considerare tutti i fattori

sociali influenti sull’economia: non solo beni prodotti e consumati ma

anche demografia, conoscenze, struttura socio-istituzionale (Kuznets).

Questi approcci rivalutano Malthus e Sismondi e si ritrovano anche nelle

teorie degli economisti “istituzionalisti” o “neoistituzionalisti”.

Istituzioni (“regole del gioco”) e organizzazioni (“giocatori”)

«Le istituzioni solo le regole del gioco di una società o, più formalmente, i vincoli che gli uomini hanno definito per disciplinare i loro rapporti. Di conseguenza danno forma agli incentivi che sono alla base dello scambio sia che si tratti di scambio politico, sociale o economico.

«Sono organizzazioni gli apparati politici (partiti, parlamento, consigli comunali, agenzie pubbliche), gli apparati economici (imprese, sindacati, cooperative), gli apparati sociali (chiese, club, associazioni sportive) e gli apparati educativi (scuole, università, centri di addestramento professionale).

«Il ruolo fondamentale delle istituzioni è ridurre l'incertezza determinando una struttura stabile (anche se non sempre efficiente) di relazioni sociali.» (NORTH).

Istituzioni (“regole del gioco”) e organizzazioni (“giocatori”)

L’istituzione è un «insieme relativamente coerente e efficace di regole socialmente condivise» e l’organizzazione un «insieme coordinato di risorse umane e materiali» (PARRI)

«Le istituzioni sono regole di condotta che governano le nostre azioni e la maggior parte delle istituzioni che emergono da tali regolarità di comportamento sono adattamenti all’impossibilità (di ciascuno) di conoscere consapevolmente in dettaglio tutti i fatti che influenzano l’ordine della società.» (HAYEK)

«Una istituzione è definita come l’azione collettiva nel controllo, liberazione e espansione dell’azione individuale; le sue forme sono gli usi non organizzati e i sistemi organizzati di relazioni (going concerns); l’azione individuale è partecipazione a scambi negli affari, nelle gestioni e nelle relazioni sociali (bargaining, managining and relationing transactions). Il controllo tramite usi e sistemi organizzativi consiste in regole operative (working rules) che governano più o meno ciò che l’individuo può, deve o gli è concesso (can, must, or may) fare o non fare.» (COMMONS)

Le posizioni teoriche degli economisti “istituzionalisti” «Le istituzioni e lo sviluppo economico sono un tema vecchio almeno

quanto l’economia politica: riflessioni su questo tema possiamo infatti

già rintracciarle negli scritti di Sismondi, economista svizzero vissuto

tra XVIII e XIX sec., convinto che il raggiungimento dell’equilibrio

della teoria classica non fosse né automatico né indolore (tesi di laurea

“Istituzioni e sviluppo economico” discussa nel 2008 alla LUISS).

Il filone di ricerca fu ripreso dalla scuola storica tedesca dell’economia,

avversa all’idea che esista un unico modello economico da seguire per

il progresso: il laissez-faire che aveva permesso all’Inghilterra di

divenire l’economia guida, la Nazione della rivoluzione industriale,

non dava gli stessi esiti in Germania: per gli studiosi tedeschi, seguire

il modello inglese avrebbe costretto le Nazioni arretrare a perpetuare il

sottosviluppo (tesi di Sismondi). La scuola storica tedesca rifiutava il

metodo della scuola classica: l’economia non si può studiare con il

metodo induttivo delle scienze naturali, o deduttivo della matematica,

perché non ci sono leggi universali da scoprire» (ibidem)

Le posizioni teoriche degli economisti “istituzionalisti”

L’istituzionalismo americano, di cui i principali esponenti sono Veblen e

Commons, deriva dalla scuola storica tedesca che si basava sull’idea

che l’attività economica è condizionata dall’ambiente istituzionale e

quindi non si possa analizzare senza conoscere la natura e le tendenze

evolutive delle istituzioni, che sono il contesto dell’agire economico

dei singoli e dei gruppi sociali (ibidem).

Veblen analizza l’avvento dell'era tecnica, perché la costante evoluzione

della tecnologia rivoluziona la struttura istituzionale e gli abiti mentali

ereditati dal passato: per la concezione istituzionalista dell’economia il

centro di decisione resta l’individuo ma, essendo l’uomo un «fascio di

abitudini sociali, di modi di fare e di pensare», le scelte e le azioni di

ogni individuo sono dettate da una mente “istituzionalizzata”».

Con una mente istituzionalizzata l’individuo tenta di imporre ordine al

mondo tramite bargaining managining and relationing transactions

che creano le istituzioni cioè le azione collettive nella limitazione,

liberazione e espansione dell’azione individuale» (COMMONS).

Cause del superamento dell’economia “istituzionalista”

Pur avendo ragione nella sostanza, l’economia istituzionalista americana

è superata o oscurata da teorie che pur critiche della teoria neoclassica

hanno impianti analitici più facilmente interfacciabili con l’economia

main stream che è sempre più rigorosamente matematica:

1. l’analisi della concorrenza monopolistica (Chamberlin);

2. l’invenzione della macroeconomia (Keynes);

3. l’analisi dell’organizzazione delle imprese (Coase);

Concorrenza monopolistica: Chamberlin riconosce la paternità vebleliana

per cui pur operando in mercati definiti concorrenziali molte imprese

hanno un certo grado di potere monopolistico; accoglie le critiche

istituzionaliste alla concezione “estrema” di homo oeconomicus dei

neoclassici; ammette l’operare di forze esterne – culture, tradizioni,

consuetudini – sul comportamento dell’agente economico; fa suo il

grande tema istituzionalista della non esogenità della tecnologia: le

imprese rompono l’ordine stabilito per introdurre innovazioni.

Cause del superamento dell’economia “istituzionalista”

Invenzione della macroeconomia: Keynes condivide l’idea di Commons

che la società attraversi 3 fasi (scarsità, abbondanza, stabilizzazione) e

che nell’ultima riduca il raggio di azione dell’agente economico entro

un complesso sistema di relazioni “istituzionalizzate” che rimanda alla

concezione istituzionalista della natura umana (vedi la propensione al

consumo) aprendo a rapporti più stretti fra economia e sociologia e fra

economia e scienza politica. Con l’introduzione dell’incertezza (solo

implicita nell’economia istituzionalista) l’impianto teorico di Keynes

è più appealing del complesso sistema vebleliano fondato sul trinomio

istituzioni-istinti-tecnologia; il fascino delle teorie keynesiane sugli

istituzionalisti dipese anche dalla critica delle degenerazioni della

finanza che ricorda la dicotomia vebleniana fra business e industry, in

quanto vi era una convergenza della visione keynesiana e di quella

vebleniana (o più in generale, istituzionalista) sulle potenzialità

destabilizzatrici dell’economia finanziaria su quella reale.

Cause del superamento dell’economia “istituzionalista”

Analisi dell’organizzazione delle imprese: Coase in The nature of the

firm del 1937 afferma che nei mercati non si scambiano beni ma diritti

sui beni e che, in condizioni di incertezza, l'accesso ai mercati non è

gratuito e comporta costi di transazione ex ante (costi di informazione

sui beni e sui prezzi; contrattazione e stipula di contratti) ed ex post

(verifica di merci e servizi, risarcimenti per incompleto o mancato

rispetto degli accordi, giudizi arbitrali, cause civili …).

Per Williamson i costi transazionali e informativi delineano il confine

efficiente fra azienda (impresa organizzata) e mercato: l‘azienda è uno

spazio economico distinto dal mercato e gestito da una gerarchia che

mira al controllo e alla pianificazione della gestione dell’impresa.

Le imprese si organizzano in varie forme (U-form, M-form, N-form); le

forme reticolari spaziano dalle imprese transnazionali ai sistemi locali,

come i distretti industriali, turistici, agricoli, ecc. che si collocano a

metà strada tra mercato e organizzazione gerarchica (sono detti quasi-

mercati o quasi-organizzazioni).

Confine efficiente fra azienda (impresa organizzata) e mercato

Nei distretti industriali i processi produttivi sono scomponibili in fasi e

ogni fase è divisibile in molte unità produttive: le imprese formano un

reticolo (network) di relazioni (verticali, laterali e diagonali) basato sui

bassi costi di transazione (mercato comunitario) e di informazione

(atmosfera industriale). Nei distretti il coinvolgimento degli enti locali

privati (banche) e pubblici (province) crea l’ispessimento di relazioni

socioeconomiche (caratteristiche individuate da Marshall nel distretto

dell’acciaio di Sheffield: il distretto industriale è detto perciò anche

"distretto marshalliano“).

Il D. Lgs. 228/2001 applica all'agricoltura il modello distretto; sebbene vi

siano differenze notevoli fra agricoltura e industria (le aziende agrarie

non si concentrano nel territorio come le industriali), anche i distretti

agricoli o agro-alimentari presentano rapporti cooperativi tra imprese

(mercato comunitario), comuni tecnologie per le produzioni tipiche

(atmosfera industriale) e un ispessimento di relazioni tra enti locali,

imprese e consumatori dei prodotti tipici (vedi Parmigiano-Reggiano).

Dal “distretto industriale” al “distretto agricolo”

Distretti industriali in Toscana L’IRPET individua i distretti

industriali della Toscana:

• Tessile-moda (verde): Prato,

Empoli, Valdarno Casentinese

• Cuoi-pelli-scarpe (marrone

chiaro): Santa Croce, S. Miniato,

Hinterland fiorentino

• Mobili (marrone): Val d’Elsa,

Valdera, Valdichiana, Medio

Valdarno

• Oreficeria (giallo): Arezzo

• Carta (bianco): Garfagnana,

Lucchesia

• Marmo (celeste): Carrara, Massa

Sistemi produttivi manifatturieri in Toscana

In Toscana i sistemi

produttivi manifatturieri

sono 13 ed interessano

importanti settori tra

cui:

• Alimentare

• Mezzi di trasporto

• Componentistica auto

• Legno e mobile

• Alabastro

• ……………

Il dialogo (sismondiano) tra economia, società e politica

SCUOLA (MACRO) ECONOMICA A

dibattito bilanci pubblici

regimentato statistiche ufficiali

GOVERNO DELLO STATO

popolazione guardiana

(ALTA POLITICA?)

ISTITUZIONI

(ECONOMIA POLITICA?)

SOCIETÀ CIVILE

associazione degli uomini

dibattito

regimentato indagini ad hoc – focus group

sondaggi d’opinione

SCUOLA (MICRO) ECONOMICA B

Perché l’economista deve “dialogare” con la società? L’applicabilità del modello retorico all’economia deriva dall’approccio

ermeneutico: «i fenomeni economici rappresentano il ‘testo’ che gli

agenti economici cercano di interpretare. Un discorso analogo vale per

gli economisti. L’interpretazione ermeneutica sottolinea che compren-

dere non è un atto passivo, non significa copiare o rispecchiare una

natura oggettiva, ma richiede una mente attiva: comprendere significa

dialogare o conversare con colui che è interpretato; ove ‘dialogo’ e

’"conversazione’ indicano che chi è interpretato pone questioni a colui

che cerca di comprenderlo.» (Gadamer)

Il modello retorico darebbe una base solida alla «scienza di governo» di

Sismondi se i dibattiti regimentati tra economisti, uomini di governo,

imprese, consumatori e società civile fossero focalizzati sul confronto

fra mano invisibile del mercato e istituzioni (mano visibile dell’alta

politica), non solo a livello globale e nazionale, ma anche a livello di

ogni spazio geografico, nel rispetto delle realtà storiche e dei processi

in atto di una più o meno rapida trasformazione della struttura sociale.

“Alta politica”: verso un inesorabile declino? Qual è il significato attribuibile all’aggettivo “alta” politica di

Sismondi? Quello di sovrastare gli interessi particolari di

persone, gruppi sociali e territori appartenenti a una stessa

dimensione nazionale! Ma che cosa accade quando decade o

viene meno la dimensione nazionale? Emergono due altre

dimensioni: quella locale e quella globale, l’una e l’altra mal

dominate da una politica non più “alta” (costituzionale) ma:

dalle consorterie locali la prima; dalle regole dei mercati la

seconda! Se le conseguenze del paradigma dell’economia

neoclassica sono che l’unica istituzione oggetto dello studio

dell’economia è il mercato nelle sue diverse manifestazioni

e se tali regole sono assunte a livello mondiale dalla WTO,

dalla BMI, dal G7, G8, G20 … la politica “alta” è relegata a

principi universali e astratti, che restano spesso inapplicati.

Politiche economiche (dirette e indirette)

L’economia nei principi costituzionali nazionali

internazionali (UE, BCE, WTO, G7, BMI)

Politiche

economiche nazionali (statali, regionali, locali)

generali (spesa pubblica, moneta)

economiche settoriali (industria, turismo …)

sviluppo, occupazione, welfare

Politiche sociali (educazione, casa, cultura, immigrazione)

nazionali infrastrutture, trasporti

energia, ambiente, sviluppo sostenibile

urbanistiche, territoriali, difesa del suolo

Costituzione della Repubblica Italiana Art. 2-La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo

sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solida-rietà politica, economica e sociale.

Art 3-Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,impediscono il piano sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione, politica, economica, sociale del Paese.

Art. 4-La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e pro-muove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadi-no ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Costituzione della Repubblica Italiana Art. 35-La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.

Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. (…)

Art. 36-Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assi-curare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita per legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi.

Art. 37-La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono assicurare la sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabi-lisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Costituzione della Repubblica Italiana Art. 38-Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari

per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. (…) Gli inabili e minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento pro-fessionale.

Art. 39-L’organizzazione sindacale è libera. (…) I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

Art. 41-L’attività economica privata è libera. Non può svolgersi in con-trasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità della persona umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere coordinata e indirizzata a fini sociali.

Art. 42-La proprietà è pubblica o privata (…) La proprietà privata è rico-nosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Costituzione della Repubblica Italiana Art. 43-Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o

trasferire, mediante espropriazione e mediante indennizzo, allo Stato, a enti pubblici e comunità di lavoratori determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia o monopoli che abbiano carattere di utilità generale.

Art. 45-La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fine di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicu-ra, con i dovuti controlli, il carattere e le finalità.

Art. 46-Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenza della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

Politiche economiche nazionali: sommario - Mantenimento dell’IRI (banche, imprese pubbliche)

- Creazione dell’ENI

- Creazione dell’ENEL

- Istituzione (inutile) del CNEL

- Piano Fanfani sulla casa, legge Segni sulla riforma fondiaria

- Programma Zaccagnini per lo sviluppo della rete autostradale

- Legge (ideologica vuota) di programmazione economica generale

- Statuto dei lavoratori

- Sistema sanitario nazionale

- Lotta all’inflazione, blocco della scala mobile, svalutazione della lira, svendita delle riserva aurea della Banca d’Italia

- Euro, istituzione della BCE e declassamento della Banca d’Italia

- Istituzione di varie Autority per la concorrenza, la borsa, ecc.

- Avvio delle “liberalizzazioni” (vendita sul mercato di azioni IRI)

- Verso una (pericolosa) legge costituzionale sul pareggio del bilancio

Statuto dei lavoratori (L. 20.05.1970 n. 300) “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà

sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul

collocamento”.

Art. 1. Libertà di opinione.

I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede

religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di

manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi

della Costituzione e delle norme della presente legge.

Art. 8. Divieto di indagini sulle opinioni.

È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso

dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche

a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del

lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione

dell'attitudine professionale del lavoratore.

Statuto dei lavoratori (L. 20.05.1970 n. 300) Art. 2. Guardie giurate.

Il datore di lavoro può impiegare le guardie giurate (RD 1931) solo per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. È fatto divieto al datore di lavoro di adibire le guardie alla vigilanza sull'attività lavorativa (…)

Art. 4. Impianti audiovisivi.

È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.

Art. 5. Accertamenti sanitari.

Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.

Statuto dei lavoratori (L. 20.05.1970 n. 300) Art. 18. Reintegrazione nel posto di lavoro.

Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15.7.1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposi-zioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.

Statuto dei lavoratori (L. 20.05.1970 n. 300) Art. 18. Reintegrazione nel posto di lavoro.

Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Statuto dei lavoratori (L. 20.05.1970 n. 300) Art. 18. Reintegrazione nel posto di lavoro.

L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.

L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Politiche economiche internazionali

1957: trattato di Roma, che istituisce la Comunità Economica Europea (CEE)

1965: trattato di Bruxelles, che unifica i Consigli dei Ministri e le Commissioni di CEE, CECA, Euratom

1984: trattato sulla Groenlandia (Danimarca), cui è riservato il regime dei territori d’oltremare

1992: trattato di Maastricht sull’Unione Europea che prevede l’unione monetaria (istituzione dell’euro) e il coordinamento delle politiche estere, della difesa, della polizia e della giustizia (… ancora da fare!...)

2001: trattato di Nizza, che amplia le competenze della CE in vista dell’ingresso dei paesi PECO

Politica europea: CEE a 6 dal 1957 al 1972

Politica europea: CEE a 9 dal 1972 al 1979

Politica europea: CEE a 10 dal 1979 al 1985

Politica europea: CEE a 12 dal 1985 al 1994

Politica europea: UE a 15 dal 1994 al 2003

Politica europea: UE a 25 dal 2003 al 2005

Politica europea: UE a 27 dal 2005 al 2012

Unione Europea: configurazione ufficiale 2012

Unione europea: organi istituzionali

CONSIGLIO DEI MINISTRI, formato al massimo

livello dai presidenti dei consigli dei ministri di tutti

i paesi aderenti (in certi casi – vedi Francia - capi di

stato): sulle materie specifiche (agricoltura) il CdM

dell’UE è formato dai ministri (dell’agricoltura)

COMMISSIONE, formata da due rappresentanti per

ogni paese (norma rivista dopo l’ampliamento a 27 o

28 paesi dell’UE)

PARLAMENTO, eletto in proporzione agli elettori che

sono presenti nei paesi membri

CORTE DI GIUSTIZIA, nominata dai paesi membri

Unione europea: organi istituzionali CONSIGLIO DEI MINISTRI: assume le decisioni

politiche adottando le proposte della Commissione, approvando i trattati e le iniziative comuni elaborati dalle diplomazie dei paesi membri; la costituzione europea, bocciata dai referendum in Francia e Olanda, è riproposta come trattato fra paesi membri

COMMISSIONE, elabora le “leggi” europee, cioè i regolamenti, le direttive, le raccomandazioni, i libri bianchi (o verdi) e controlla la loro applicazione

PARLAMENTO, approva norme e indirizzi di politica comunitaria ma non è un vero “organo legislativo”

CORTE DI GIUSTIZIA, giudica in materie comuni

Politica europea comune Trattato di Roma:

Libera circolazione di beni e di servizi

Libera circolazione di persone e di capitali

PAC (politica agraria comune)

Politica comune dei trasporti

FSE (fondo sociale europeo)

FESR (fondo europeo sviluppo regionale)

FEOGA (fondo orientamento e garanzia per l’agricoltura

BEI (banca europea per gli investimenti)

Bilancio CEE 1986:

FEOGA 23.104 63,3%

F. sociale 2.533 6,9%

F. regionale 2.373 6,5%

ricerca industria 762 2,1%

Spese generali 6.402 17,5%

• CEE 35.174 96,3%

• CECA 439 1,2%

• FSE 897 2,5%

Regolamenti CEE 2052/88 e 2081/93

Regolamenti pluri-fondo:

A – fondi strutturali

• FEOGA (agricoltura)

• FSE (sociale)

• FESR (regionale)

B- organi finanziatori:

• BEI (banca europea degli

investimenti)

• CECA (comunità del

carbone e dell’acciaio)

• EURATOM

Obiettivi di sviluppo:

1 – aree in ritardo di sviluppo

2 – aree a declino industriale

3 - disoccupazione di lunga

durata

4 - inserimento professionale

giovani

5a – orientamento delle

strutture agricole

5b - sviluppo rurale

Programma LEADER II (reg. 2082/93): logica bottom-up

Leader (Liaisons entre actions de développement de

l’économie rurale)

Applicazione: nelle aree degli obiettivi 1 e 5b

Approccio: dalla logica “top-down” (alto-basso) del

reg. 2081/93 alla logica “bottom-up”(basso-alto) del

reg. 2082/93

Metodo: individuare i sentieri di sviluppo originali,

diversificati e adatti ai contesti fisici, naturali e

socioeconomici locali (per uno sviluppo endogeno,

sostenibile e autogestito delle zone rurali)

Programma LEADER II (reg. 2082/93): logica bottom-up

Soggetti: privati e pubblici che intendano procedere a

iniziative di sviluppo locale, endogeno, integrato e

sostenibile formando un GAL (Gruppo di Azione

Locale) che deve preparare e realizzare un PAL

(Piano di Azione Locale)

Contenuti dei PAL: progetti di sviluppo rurale

originali, predisposti e attuati da un partenariato di

soggetti pubblici e privati, rivolto a valorizzare i

prodotti competitivi offerti dai territori e attuando i

servizi di supporto che inseriscano le competenze

necessarie alla promozione di prodotti/servizi

Diffusione programma LEADER II in Europa

Accordo GATT per costituire la WTO

“Scatola rossa” (interventi a

favore dell’agricoltura da

ridurre o abbattere):

• protezione alla frontiera

• ritiro delle eccedenze

• quote di produzione

• riposo terre coltivate

• sussidi alla produzione

• riduzione costi degli input

“Scatola verde” (interventi a

favore dell’agricoltura da

mantenere):

• stabilizzazione mercati

• servizi (ricerca, SSA..)

• sostegno redditi

• orientamento strutture

• misure agro-ambientali

• piani agro-regionali

Agenda 2000: nuova politica strutturale