Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione...

43
1 04/10/2015 Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea Dispense del prof. Sergio Cesaratto [email protected] AA 2015-16

Transcript of Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione...

Page 1: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

1 04/10/2015

Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea

Dispense del prof. Sergio Cesaratto

[email protected]

AA 2015-16

Page 2: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

2 04/10/2015

INDICE (provvisorio)

Complementi introduttivi di Macroeconomia

Capitolo 1

Sostenibilità delle unioni monetarie: la teoria delle aree valutarie ottimali

1.1. What is the appropriate domain of a currency area? Il contributo base di Mundell

1.1.1. Unioni monetarie fra paesi e fra regioni

1.1.2. Aggiustamenti asimmetrici e tendenze deflazionistiche in un’unione valutaria

1.1.3. Shock asimmetrici in un’unione valutaria: un’esposizione più standard

1.1.4. La flessibilità del cambio è davvero efficace?

1.1.5. Effetti flessibilità del cambio: un’esposizione più standard

1.1.6. La mobilità del lavoro

1.2. Sostenibilità di un’unione monetaria e diversificazione produttiva

1.3. Unioni monetarie complete implicano un bilancio federale

1.3.1. Fiscal capacity

1.3.2. Bilancio federale e trasferimenti fiscali in Europa e negli Stati Uniti

1.3.2. Trasferimenti fiscali fra regioni

1.4. Perdita della sovranità monetaria e debito pubblico

1.5. Unione monetaria e unione politica

1.6. Perché prevalse l’idea di farla: l’influenza della teoria dominante (+ costi di

transazione).

Capitolo 2

Le idee che hanno influito nella creazione dell’UME2.1. Giustificazioni microeconomiche: diminuzione dei costi di transazione

2.2. Giustificazioni macroeconomiche

2.2.1. Differenze istituzionali nel mercato del lavoro.

2.2.2. Politiche monetarie nazionali, coerenza temporale e credibilità (il modello di Barro &

Gordon)

2.2.3. Modello B&G per economie aperte

2.2.4. Credibilità e costo di un’unione monetaria

2.3. Due diverse visioni della disoccupazione

2.4. Movimenti di capitale compensatori di squilibri commerciali

2.5. Una ragione più pragmatica per cui s’è fatto l’euro

2.6. Aspetti politici del processo di unificazione europeo

Page 3: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

3 04/10/2015

2.7. Euro e ultra-liberismo

2.6. Le triadi impossibili dei cambi fissi

2.7. Le triadi inquietanti

Capitolo 3

La transizione verso l’UM e gli accordi di Maastricht5.1. I criteri di adesione all’UM nel Trattato di Maastricht

5.2. Perché quei criteri?

5.2.1. Far convergere i tassi di inflazione

5.2.2. Convergenza bilanci pubblici

5.2.3. Convergenza tassi di cambio

5.2.4. Convergenza dei tassi di interesse

5.5. La Banca Centrale Europea

5.5.1. Due modelli di banca centrale

5.5.2. Caratteristiche istituzionali della BCE

5.5.3. Modifiche recenti

Capitolo 4

Origini della crisi europea, cambi fissi, movimenti di capitale e crisi finanziarie

4.1. Lo sviluppo della crisi europea

4.1.1. Sintesi interpretativa

4.1.2. Esame dei dati: l’andamento divergente delle partite correnti

4.1.3. Il lato dell’offerta

4.1.4. Il lato della domanda

4.1.5. Flussi di capitale, crescita e partite correnti: è sbagliata la realtà o la teoria?

4.1.6. Il ruolo della Germania

4.2. La similarità della crisi europea con le precedenti crisi finanziarie

Capitolo 5

Politica monetaria

6.1 - Politica monetaria – Obiettivi e regole

6.1.1. Regole di politica monetaria e il modello di inflation targeting

6.1.2. Obiettivi finali e intermedi della BCE

6.2 - Politica monetaria – Strumenti e obiettivi

6.2.1. Alcune relazioni di base

6. 2. 2. Moneta esogena e moneta endogena; sistema dei pagamenti e politica monetaria

Page 4: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

4 04/10/2015

6.2.3. Strumenti di politica monetaria e offerta di moneta

6.2.4. Strumenti di gestione della base monetaria

6.2.5. Domanda e offerta di riserve (base monetaria)

6.3. Target 2, i “sudden stop” nei movimenti di capitale e la crisi europea

6.3.1. Sistema dei pagamenti e politica monetaria

6.3.2. Sistemi di regolazione dei pagamenti interbancari e TARGET 2

6.3.3. Sistemi di pagamento internazionali e TARGET 2

6.3.4. TARGET 2 e la crisi europea

6.4. La politica monetaria europea nella crisi

6.4.1. Revisione degli strumenti standard della BCE

6.4.2. Le politiche non-convenzionali adottate dalla BCE dal 2008

6.5. Su alcune differenze fra BCE e FED e il Quantitative Easing

6.5.1. La trasmissione della politica monetaria prima e dopo la crisi

6.5.2. Differenze nelle modalità di reazione della BCE e della Fed alla crisi

6.5.3. Il “quantitative easing

6.5.4. La restituzione dei fondi LTRO

6.5.5. Le misure della BCE del giugno/settembre 2014: il TLTRO

Capitolo 6

Politica fiscale

7.1. La “filosofia” della politica economica europea e l’assenza di coordinamento fra politica

fiscale e monetaria nell’UME

7.2. Una politica fiscale fatta di vincoli: il Patto di Stabilità e Crescita

7.3. Perché l’UME non ha un bilancio federale e le ragioni dei vincoli fiscali

7.3.1. Perché l’Europa non ha un (serio) bilancio federale

7.3.2. Contabilità del rapporto debito pubblico/Pil

7.3.3. Perché i vincoli fiscali: il punto di vista dominante

7.3.4. I rischi di un elevato debito pubblico: default versus convertibilità risk

7.3.5. Conclusioni circa la “desiderabilità” di vincoli fiscali

7.4. La “riforma” del PSC e l’attuale intricata governance europea - “crisis prevention” e “crisis

management”

7.5. Crisis prevention e coordinamento macroeconomico

7.5.1. Il Semestre europeo

7.5.2. Il Six-pack

7.5.3. Il Two-pack

Page 5: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

5 04/10/2015

7.5.4. Il Fiscal Compact

7.5.5. Macroeconomic Imbalance Procedure (MIP)

7.6. Crisis management: EFSF e ESM

7.6.1. EFSF

7.6.2. ESM

7.7. Dibattito su moltiplicatori fiscali e austerità espansiva

7.7.1. I moltiplicatori fiscali

7.7.2. L’austerità espansiva

7.7.3. Perché il fiscal compact non può funzionare

Capitolo 7

La matassa ingarbugliata della Banking Union

8.1. Cos’è una crisi bancaria

8.2. Stati Uniti ed Eurozona a fronte di una crisi bancari

8.3. Il “doom loop” fra Stati e banche

8.4. La necessità di una Unione Bancaria europea

8.5. La logica dei pilastri

8.6. Cosa ha fatto l’Europa in direzione della UB?

8.6.1. SSM affidato alla BCE

8.6.2. La Banking Recovery and Resolution Directive

8.6.3. Il SRM

8.6.4. SSM - Passaggio di consegne alla BCE e stress-test preliminare sulla capitalizzazione delle banche

Page 6: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

6 04/10/2015

Istruzioni importanti

L’esame è in forma scritta su temi aperti. E’ prevista una prova intermedia. Sebbene non

obbligatorio, gli studenti possono trovare utile studiare anche su P.De Grauwe, Economia

dell’unione monetaria, Il mulino 2013.

Si prega vivamente di fissare il ricevimento su appuntamento scrivendo con congruo anticipo alla

mail [email protected]. Il professore risponderà tempestivamente a ogni quesito posto per e mail.

Durante il corso saranno probabilmente apportate modifiche, correzioni e aggiornamenti alle

dispense. Sarà cura del docente apportarle in colore rosso sì da facilitarne l’individuazione.

Fa parte del programma il ripasso della macroeconomia che può esser svolta sul libro su cui la si è

studiata, oppure (meglio) sulle dispense messe a diposizione nella pagina web del docente. Per

comprendere l’impostazione keynesiana del corso è obbligatorio lo studio del saggio:

http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2014/03/la-critica-delleconomia-politica-ieri.html.

Altre letture obbligatorie sono indicate nelle dispense.

Page 7: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

7 04/10/2015

Capitolo 1

Sostenibilità delle unioni monetarie: la teoria delle aree valutarie ottimali1

La prima ed evidente questione che si deve affrontare in merito a un’unione monetaria (UM)

è se la sua costituzione arrechi o meno dei vantaggi economici e sociali. Da questi dipenderà, da

ultimo, se essa potrà o meno anche condurre a vantaggi politici, vale a dire a una spinta verso una

maggiore unità politica fra i paesi membri. In assenza di tali vantaggi sarebbe dunque sconsigliabile

procedere verso l’unificazione monetaria in quanto l’esito potrebbe essere una maggiore disunione

politica, dunque l’arretramento del processo di unificazione politica. I termini della questione

potrebbero però essere rovesciati. Laddove vi fosse una forte spinta politica all’unificazione

politica, la solidarietà fra i paesi membri può portare a misure tali da attenuare gli eventuali

svantaggi del’unione monetaria. Errato sarebbe tuttavia ritenere che l’unificazione monetaria di per

sé, vale a dire senza tener conto dei suoi possibili svantaggi, possa condurre a una maggiore

unificazione politica. Purtroppo, come vedremo, quest’ultimo errore è stato compiuto, in buona o

cattiva fede, dai governanti europei, nonostante gli avvertimenti di molti economisti.

Infatti il tema di una possibile unificazione monetaria europea è assai antico, risale infatti

agli albori del processo di unificazione economica, dunque agli anni 1950.2 Sin d’allora gli

economisti si sono dunque occupati del tema se l’Europa fosse o meno una’area valutaria ottimale

(AVO o Optimal Currency Area od OCA)), se cioè costituisse un’area alla quale un’unificazione

valutaria avrebbe arrecato benefici netti. La risposta sembro essere stata piuttosto negativa. 3 In

1 Per confronto, si vedano anche i capitoli 1-4 di De Grauwe (2013), in particolare il capitolo 1.2 Le vicende dell’unificazione economica europea sono ben narrate in G.Montani, L’economiapolitica dell’integrazione europea, UTET, Novara, 2008.3 La teoria delle AVO informò l’opinione, generalmente scettica, degli economisti americanisull’unificazione monetaria europea. Un’utile rassegna al riguardoè:http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication_summary16343_en.htm che,pubblicata nel 2009, sembra celebrare l’euro come un successo e una smentita dello scetticismoamericano proprio quando, rioni della sorte, l’Eurooa entrava in una crisi da cui non sembra uscire.Un argomento spesso presentato è che gli economisti americani volevano difendere il ruolo

Page 8: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

8 04/10/2015

questo capitolo esamineremo alcuni importanti contributi al dibattito e cercheremo di spiegare

perché negli anni 1980 prevalse un punto di vista diverso.

1.1. What is the appropriate domain of a currency area? Il contributo base di Mundell

Mundell (1961) definisce “currency area” un insieme di regioni che fissano i propri tassi di cambio

e, al limite, adottano una moneta unica. Per le ragioni che vedremo, una regione è inoltre definita

come quella all’interno della quale c’è mobilità dei fattori, mentre fra regioni non c’è mobilità dei

fattori (ibid:658, n.6). Il quesito che Mundell si pone è dunque:

What is the appropriate domain of a currency area? (ibid: 41)

1.1.1. Unioni monetarie fra paesi e fra regioni

L’autore confronta la situazione di due paesi legati da un accordo di cambi fissi a quella di due

regioni all’interno di una medesima nazione. Le nazioni/regioni sono fra loro disomogenee in

termini di prodotti. Nel suo ragionamento Mundell ha in mente economie vicine alla piena

occupazione,4 per cui spostamenti della domanda da una nazione/regione all’altra tendono a

generare inflazione nella nazione/regione che beneficia dell’aumento di domanda per i propri

prodotti.

Mundell (ibid: 657) comincia col caso di due paesi, ciascuno con la propria divisa e legati da

un accordo di cambio, supponendo che si verifichi uno spostamento della domanda dal paese B al

paese A. Egli propone questo ragionamento:

Suppose first that the entities are countries with national currencies. The shift of demand fromB to A causes unemployment in B and inflationary pressure in A. To the extent that prices areallowed to rise in A the change in the terms of trade will relieve B of some of the burden ofadjustment. But if A tightens credit restrictions to prevent prices from rising all the burden ofadjustment is thrust onto country B; what is needed is a reduction in B's real income and if thiscannot be effected by a change in the terms of trade - because B cannot lower, and A will notraise, prices – it must be accomplished by a decline in B's output and employment. The policyof surplus countries in restraining prices therefore imparts a recessive tendency to the worldeconomy on fixed exchange rates or (more generally) to a currency area with many separatecurrencies.

In sostanza se c’è quello che i “moderni” libri di testo chiamano uno “shock asimmetrico” a sfavore

dei prodotti del paese B a favore di quelli del paese A, la nazione avvantaggiata dovrebbe

idealmente lasciar correre domanda interna e inflazione, lasciar apprezzare il proprio tasso di

esclusivo del dollaro come moneta di riserva internazionale. In verità essi sembrano aver predetto irisultati dell’euro meglio di molti colleghi europei.4 Si ricordi che nel 1961 siamo nel pieno dell’epoca Keynesiana, e anche Mundell appare moltomeno conservatore di quanto si rivelerà successivamente.

Page 9: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

9 04/10/2015

cambio reale e perdere competitività a favore della nazione svantaggiata sì da accrescere le proprie

importazioni e diminuire le proprie esportazioni. Sulla base dell’esperienza storica Mundell sembra

pessimista che ciò accada.5 Quello che più probabilmente potrebbe accadere è che il paese B sia

costretto a politiche recessive allo scopo di ridurre le proprie importazioni e riequilibrare la bilancia

commerciale. Ciò avrà effetti negativi anche sul paese in surplus, che vedrà calare le proprie

esportazioni (la “recessive tendency” di cui parla Mundell nel passo ora citato).

A commento analitico osserviamo i seguenti punti:

- Il tasso di cambio reale, che sappiamo essere un indicatore di competitività, è in questo

caso definito come er = pAen/pB, dove en è il tasso di cambio nominale, e pA e pB sono,

rispettivamente, il livello dei prezzi nei paesi A e B. Poiché en è fissato dall’accordo di

cambio, il paese A perde competitività se pA aumenta.

- Seguendo la teoria monetarista, in un sistema di cambi fissi, in maniera del tutto simile

al gold standard, il paese in disavanzo commerciale (o più in generale di partite

correnti)6 vede diminuire la propria base monetaria, mentre il paese in avanzo la vede

aumentare. Già questo induce una tendenza deflazionistica in B e una inflazionistica in

A.7 Inoltre per evitare una svalutazione della propria divisa, B innalzerà il tasso di

interesse per attirare capitali atti a finanziare il disavanzo estero, mentre,

simmetricamente il paese A dovrebbe diminuire i propri tassi per evitare una

rivalutazione della propria valuta. I movimenti del tasso di interesse agevolano così

l’aggiustamento commerciale che si svolge sia dal lato del paese in disavanzo che di

quello in avanzo. Il paese in disavanzo importerà di meno nel breve periodo per la

caduta del reddito – generata dagli effetti negativi dell’aumento del tasso di interesse

sulla domanda aggregata e da una eventuale politica fiscale restrittiva - e riguadagnerà

5 Al riguardo Mundell cita il comportamento “non cooperativo” di Francia e Stati Uniti, i paesi insurplus negli anni precedenti la grande crisi, e quello della Germania negli anni 1950 nei qualiaveva già accumulato forti surplus commerciali proprio attraverso un attento controllo chel’inflazione interna si mantenesse inferiore q quella dei concorrenti (si v. al riguardo Cesaratto &Stirati 2011: ).6 Un iniziale disavanzo commerciale, se persiste, determina una posizione netta sull’estero negativa(indebitamento netto) e un pagamento di interessi sull’estero che, aggiungendosi al disavanzocommerciale, aggrava il disavanzo delle partite correnti.7 Questa visione è un po’ meccanica. Non è infatti detto che all’aumento di base monetaria (viacanale estero) e a una eventuale diminuzione del tasso di interesse nel paese A segua una maggioredomanda di credito e una espansione della domanda aggregata. Sì può però ammettere che se ilpaese A è vicino al pieno impiego, l’aumento della domanda dall’estero potrà generare tendenzeinflazionistiche. Queste saranno ancora più accentuate se il paese A agisce in modo da riequilibrarele bilance commerciali attraverso una politica fiscale espansiva. Mundell è pessimista che ciòaccada, anzi il paese A potrà adottare politiche volte a impedire un rialzo dell’inflazione.

Page 10: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

10 04/10/2015

nel medio periodo competitività di prezzo per la minore inflazione; simmetricamente il

paese in avanzo importerà di più per l’espansione della domanda interna e perderà

competitività di prezzo nel medio periodo.

- Il paese A potrebbe, tuttavia, sterilizzare l’aumento di base monetaria dovuto al surplus

commerciale impedendo in tal modo la spinta all’aumento della domanda interna e

all’inflazione. Se inoltre esso fosse il cosiddetto “paese ennesimo”, quello rispetto alla

cui valuta gli altri paesi fissano il cambio,8 esso non avrebbe necessità di evitare una

rivalutazione del proprio cambio (in violazione dell’accordo di cambio), e saranno i

paesi in disavanzo a dover accrescere i propri tassi di interesse per evitare una

svalutazione della propria. In tal modo il peso dell’aggiustamento sarebbe

completamente sui paesi in disavanzo.

Mundell ritiene dunque che, probabilmente, l’aggiustamento ricadrà su prezzi e salari del

paese in disavanzo che riguadagnerà competitività attraverso un deprezzamento del proprio tasso di

cambio reale. Nel dibattito corrente questa viene definita “svalutazione interna” per contrapporla

alla tradizionale svalutazione “esterna” del tasso di cambio nominale. Riprenderemo fra poco le

difficoltà che tale aggiustamento può comportare.

Dapprima esaminiamo il caso simmetrico di due regioni all’interno di un medesimo paese. La

differenza col caso di due regioni (nazioni) legate da un accordo di cambio è che l’appartenenza a

una medesima nazione implica una qualche forma di solidarietà fra le regioni che si manifesta,

nell’illustrazione di Mundell, nell’accettazione da parte della regione in surplus di politiche

espansive.9 La situazione è ora quella di:

regions within a closed economy lubricated by a common currency; and suppose now that thenational government pursues a full-employment policy. The shift of demand from B to Acauses unemployment in region B and inflationary pressure in region A, and a surplus in A'sbalance of payments." To correct the unemployment in B the monetary authorities increase themoney supply. The monetary expansion, however, aggravates inflationary pressure in regionA: indeed, the principal way in which the monetary policy is effective in correcting fullemployment in the deficit region is by raising prices in the surplus region, turning the terms oftrade against B. Full employment thus imparts an inflationary bias to the multiregionaleconomy or (more generally) to a currency area with common currency. (ibid: 658-59)

L’impegno alla piena occupazione – ricordiamo che Mundell scrive peraltro nel 1961 quando

questo impegno era prioritario in seguito alla sfida del modello socialista – implica politiche

8 Per esempio gli n-1 paesi paesi potrebbero fissare il tasso di cambio rispetto al DM (o qualunquealtra valuta di rifrimento).9 Vedremo come un riequilibrio si possa avere non solo con politiche espansive da parte delleregioni più competitive, ma anche con trasferimenti inter-regionali

Page 11: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

11 04/10/2015

espansive che, in particolare, farebbero crescere l’inflazione nelle sub-regioni in piena occupazione,

e se l’elasticità al prezzo della domanda dei prodotti delle due regioni è elevata, ciò può condurre al

riequilibrio.10

Confrontando i due casi, quello di nazioni che stringano accordi di cambio e quello di regioni

all’interno di una medesima nazione, Mundell intravede dunque una tendenza deflazionistica nel

primo caso e una inflazionistica nel secondo concludendo dunque che:

The optimum currency area is not the world. (ibid: 659)11

Potremmo esporre il ragionamento di Mundel in forma grafica (fig. J). Lo shock di domanda

di prodotti rispettivamente negativo per l’Italia e positivo per la Germania si manifesta della parte

superiore della figura come uno spostamento verso sinistra della curva IS italiana e verso destra di

quella tedesca.12 Dato il comune tasso di interesse, l’output cade in Italia e aumenta in Germania.

Nella parte inferiore sono mostrate le curve di Phillips (le rette tratteggiate che legano i livelli di

reddito nella parte superiore del grafico ai tassi di disoccupazione nella parte inferiore sono solo

indicativi di un collegamento: tanto più alto è il reddito tanto minore il tasso di disoccupazione). Al

principio i due paesi hanno il medesimo tasso di inflazione. In seguito allo shock asimmetrico il

tasso di inflazione tende a diminuire in Italia e ad aumentare in Germania. Se questo accade, il

livello relativo dei prezzi fra i due paesi si riaggiusta in maniera tale che il tasso di cambio reale

dell’Italia diminuisce, vale a dire essa riacquista competitività (per esercizio lo si verifichi

guardando alla formula er = pAen/pB). Con la ripresa delle esportazioni italiane e con la diminuzione

di quelle tedesche le funzioni IS torneranno nelle loro posizioni originarie. 13

10 Ciò non è detto, come ben sappiamo dall’esistenza di fenomeni di persistente arretratezzaeconomica come nel Mezzogiorno d’Italia.11 Un problema delle UM che è meno notato è quello del cambio esterno dell’UM, vale a dire versopaesi terzi. Come nota Meade (1957: 387) e sopratutto Fleming (1971: 469), i paesi membri di unaUM potrebbero avere interessi divergenti circa il tasso di cambio esterno. I paesi con surpluscommerciali esterni potrebbero per esempio osteggiare la richiesta di unasvalutazione/deprezzamento del cambio da parte dei paesi in disavanzo. Tale situazione ècertamente parte delle attuali criticità dell’Eurozona.12 La posizione nello spazio della funzione IS dipende, com’è noto, anche dal livello delleesportazioni.13 Per semplicità ci riferiamo qui e altrove al caso di due paesi. Attraverso la deflazione dei prezzipeggioreranno le ragioni di scambio per il paese in disavanzo il quale dovrà cedere una quantitàmaggiore dei propri beni esportati (ceduti a un prezzo minore) in cambio della medesima quantità dibeni dal paese in surplus. Questo comporta naturalmente una caduta del reddito reale nel paese indisavanzo che dovrà rinunciare a consumare parte dei beni che produce per accrescere, appunto, laquantità di beni da cedere al paese in avanzo.

Page 12: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

12 04/10/2015

i i

IS0 IS1

i0

IS1 IS0

YI YG

Ip Gp

1Gp

0Ip 0

Gp

1Ip

uI uG

Fig. J

La studentessa si può però domandare: ma se si torna allo status quo ante, i tassi di

inflazione e il tasso di cambio reale non tornano anch’essi al livello precedente? In verità affinché la

diminuzione dell’inflazione in Italia (e l’aumento in Germania) siano permanenti, le due curve di

Phillips si devono spostare. Illustriamo questo punto considerando il caso in cui, secondo le

aspettative di Mundell, la Germania opera una contrazione della domanda interna in maniera da

impedire l’aumento dell’output (la IS tedesca non si sposta), la diminuzione della disoccupazione e

la maggiore inflazione, sicché l’aggiustamento ricade esclusivamente sull’Italia. Essa dovrebbe

dunque conseguire un aggiustamento dei prezzi assai maggiore al costo di un più elevato e

prolungato periodo di più elevata disoccupazione. Questa prolungata ed elevata disoccupazione

rende più docile, per così dire, le forze di lavoro per cui la curva di Phillips si abbassa (vale a dire a

parità di tasso di disoccupazione salari nominali e prezzi crescono a un tasso minore). Nella figura

G, la Germania rimane nell’equilibrio iniziale A. L’Italia passa dapprima in B, ma recuperando

Page 13: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

13 04/10/2015

competitività via minore inflazione torna in A con una curva di Phillips “più bassa”. (La IS italiana

torna verso destra in seguito all’aumento delle exp italiane).

i i

IS0

i0 B A A

IS1 IS0

YI YG

Ip Gp

0Ip 0

Gp

1Ip

uI uG

Fig. G

1.1.2. Aggiustamenti asimmetrici e tendenze deflazionistiche in un’unione valutaria

In un importante contributo Fleming (1971) concorda con la conclusione di Mundell, da un lato,

circa una tendenza deflazionistica in aree valutarie in cui la conduzione della politica monetaria e

fiscale non sia coordinata al sostegno della piena occupazione nell’insieme dell’area e, dall’altro,

circa una tendenza inflazionistica laddove tale coordinamento e sostegno si manifestasse (ibid: 481-

2).

Considerando il primo caso di Mundell, quello di un’unione valutaria fra paesi, Fleming

(1971) ritiene che alla base degli squilibri vi possano essere i differenti tassi di inflazione associati

ai livelli di piena occupazione nei diversi paesi membri (ibid: 468-9). In altri termini ciascun paese

membro potrebbe avere una differente curva di Phillips (a parità di u, i tassi di inflazione essere

diversi). Politiche di mantenimento della piena occupazione, poiché associate a variazioni nei tassi

di cambio reali e a squilibri nella competitività relativa fra paesi, richiederebbero flessibilità nei

Page 14: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

14 04/10/2015

cambi nominali. In loro assenza e data la rigidità verso il basso che prezzi e salari mostrano nelle

moderne economie (ibid: 471) appare, tuttavia, difficile affidare l’aggiustamento alla flessibilità dei

prezzi e salari nei paesi in disavanzo. In assenza di un atteggiamento “cooperativo” dei paesi in

avanzo, ciò implica che i paesi in disavanzo si troveranno con persistenti tassi di disoccupazione

indesiderati (in modo da rendere il proprio tasso di inflazione simile a quello dei paesi più virtuosi

nella relazione disoccupazione /inflazione espressa nella curva di Phillips) (ibid: 481-2).

Possiamo offrire un’esposizione più analitica di quanto detto. Si suppongano due paesi

(Italia e Germania). Ricordando la determinazione dei prezzi via mark-up ( ) per cui

)1( q

wp , dove q è il prodotto per lavoratore ( q = Y/N).14

Applicando le derivate logaritmiche per ciascun paese otteniamo:

GGG

III

qwp

qwp

ˆˆˆˆˆˆ

qqqdtdqq //)/(ˆ è il tasso di variazione della produttività (prodotto per lavoratore), www /ˆ

è il tasso di variazione dei salari nominali e ppp /ˆ è il tasso di inflazione. Le equazioni

definiscono i tassi di variazione dei prezzi che, dato il tasso di variazione dei salari nominali e della

produttività, mantengono costante la quota dei profitti sul reddito (infatti: qpw /1 ). Per

esempio, se q = 2% e w = 5%, ne segue che p deve essere pari al 3%. Se invece q = w ne risulta

p = 0.

Nel lato destro della figura H abbiamo la curva di Phillips. Sull’asse verticale il tratto OH

indica il tasso di aumento della produttività che è un dato sia per G che per I. La retta sulla sinistra

indica il corrispondente aumento dei prezzi a fronte di un aumento dei salari nominali.

14 In pratica il prezzo è fissato applicando al costo del lavoro per unità di prodotto w/p (CLUP o unitlabour cost ULC) un ricarico .

Page 15: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

15 04/10/2015

Gw

C

H B

Gq

pG O uG

Fw

A

C’

H

Iq

pI O uI

Fig. H

Supponendo che i prezzi nei due paesi debbano essere i medesimi, ovvero GI pep , dove e

è il tasso di cambio nominale,15 si ha:

GI ppe ˆˆˆ .

Se GI pp ˆˆ l’Italia manterrà la competitività di prezzo se e > 0, vale a dire se il cambio lira/DM

deprezza (più lire per un DM). Così se l’Italia sceglie il punto A e la Germania il punto B si renderà

necessario un deprezzamento della lira. Se ciò non avviene il tasso di cambio reale aumenta e

l’Italia perderà competitività. Un’UM non sarebbe sostenibile in tali condizioni. Solo una

condizione intermedia, con la Germania in C e l’Italia in C’ renderebbe l’UM tollerabile (ammesso

15 Se GI pep , il tasso di cambio reale er = ePI/PG è uguale a 1.

Page 16: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

16 04/10/2015

che la produttività q si accresca al medesimo tasso). Le politiche tedesche negli anni dell’UME sono

andate tuttavia precisamente in senso opposto.

Supponendo che in Italia si abbia II qw ˆˆ . mentre in Germania GG qw ˆˆ , in Italia si avrà Ip

costante mentre in G Gp diminuisce sottraendo competitività all’Italia. Questa a detta di alcuni è

stata la condotta tedesca negli anni dell’UME. L’obiettivo di inflazione media europea era del 2%

mentre la Germania, anche in virtù di importanti riforme del mercato del lavoro, è riuscita a

mantenersi costantemente al di sotto. Naturalmente quello del 2% non era un criterio che Trattati

europei chiedevano ai paesi esplicitamente di rispettare, ma secondo alcuni economisti era pur

tuttavia implicito laddove si fosse voluta assicurare un’esistenza armonica dell’UME.

Per saperne di più:

http://www.rosalux.de/fileadmin/rls_uploads/pdfs/Studien/Studien_The_systemic_crisis_web.pdf

Lettura: da Fleming (1971)

disequilibrium might arise because differences between participants in the strength of trade unionism, in

national attitudes to full employment or inflation, or in the rates of productivity growth, led to differences in

the rates at which wage costs tend to rise at the nationally preferred levels of unemployment.

If the participating countries remained free to meet incipient disequilibria by altering their exchange rates

relative to each other and to outside countries they would be able, by non-recurrent or by repeated

adjustments of par values, to maintain or restore payments equilibrium while preserving levels of aggregate

demand compatible with the nationally preferred com-promises between full employment and price stability.

If, however, such adjustments were precluded by adherence to a group with fixed relative exchange rates,

then, if the external payments and receipts of the group as a whole were kept in balance through suitable

adjustments of the uniform exchange rates, participants in a relatively weak payments position would tend to

be in overall payments deficit, and those in a relatively strong position would tend to be in overall surplus.

The former, after they had exhausted their ability to run down reserves or to borrow, would be forced to

tolerate, either temporarily or even (in the case of dynamic disequilibrium) indefinitely, a level of

unemployment that was higher, and a rate of inflation that was lower, than would correspond to their

preferred compromise between the two. The latter, on the other hand, might be compelled, through a

technical inability to offset the effect of their surpluses on money stocks or flows, or through unwillingness

to go on financing the accumulation of reserves by government borrowing from the private sector, to permit

a rate of price inflation greater, and a level of unemployment lower, than would correspond to their preferred

compromise between the two. (ibid: 468)

Where tendencies towards progressive relative disequilibrium existed within a unified exchange rate area

because some of the participating countries had more favourable unemployment/inflation relationships than

others, the following situation would tend to emerge and persist. Much the same rate of price inflation would

prevail over the area as a whole, a rate somewhat higher than that preferred by the surplus members. The

Page 17: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

17 04/10/2015

deficit members would be able to keep their rates of inflation down to the common level only by tolerating

indefinitely a level of unemployment higher than they would prefer if they were free to change their

exchange rates and adopt their preferred positions on the unemployment/inflation curve. (ibid: 469).

…the fixation of exchange rates among a group of countries will probably worsen the

unemployment/inflation relationship for the area as a whole. That is, it will increase the amount of

unemployment required to hold inflation at any given rate, and will increase the rate of inflation

corresponding to any given level of unemployment. It does not follow that both inflation and

unemployment must necessarily rise. In any arrangement in which the maintenance of a fixed

exchange rate is given overriding priority the countries in payments surplus can usually maintain

the rate by accumulating reserves while those in payments deficit may lack the reserves to spend in

maintaining the rate. So long as demand management remains a national responsibility, and any

balance of payments assistance among members is held to modest proportions, therefore, the deficit

rather than the surplus countries are likely to have to assume the greater

part of the burden of removing the payments disequilibria by adapting the level of demand. The surplus

countries may be able to stay fairly close to the preferred point on their employment/inflation curves while

the deficit countries may have to depart considerably from theirs in a deflationary direction. In this event, the

entire worsening in the unemployment/ inflation relationship in the area as a whole may take the form of

increased unemployment, and the average rate of inflation in the area may decline. …

What has been said above about the disinflationary effects to be expected from adherence to a fixed

exchange rate area is true only so long as it operates in a decentralised fashion without too generous

arrangements for financial assistance from surplus to deficit countries and without effective

centralisation of monetary and budgetary policies. Should such centralisation prevail, the anti-

inflationary tendencies inherent in fixed parities may be offset or even outweighed by expansionary action on

the part of the central authorities. Mere fixity of exchange rates, as we have seen, would be likely to force the

deficit countries within the area to pursue policies involving more unemployment and less inflation (or more

deflation) than they would voluntarily have adopted in the absence of payments difficulties. In these

circumstances it would not be unreasonable for any central monetary or financial authority to expand

demand to a point at which the " surplus " countries were suffering as much from unwanted inflation as the

deficit countries from unwanted unemployment. (ibid: 481-2).

Alla luce delle tendenze deflazionistiche che un’unione valutaria può comportare per i paesi in

disavanzo e che, da ultimo, si trasmette all’intera area valutaria,16 non sorprende dunque che

16 La deflazione nei paesi in disavanzo comporta infatti una diminuzione del commerciointernazionale svantaggiando così anche i paesi in surplus.

Page 18: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

18 04/10/2015

Mundell abbia accostato le tendenze deflazionistiche di un’unione valutaria a quelle del gold

standard. In questo senso Mundell argomenta come:

many economists blamed for the world-wide spread of depression after 1929. But if thearguments against the gold standard were correct, then why should a similar argument notapply against a common currency system in a multiregional country? Under the gold standarddepression in one country would be transmitted, through the foreign-trade multiplier, toforeign countries. Similarly, under a common currency, depression in one region would betransmitted to other regions for precisely the same reasons. If the gold standard imposed aharsh discipline on the national economy and induced the transmission of economicfluctuations, then a common currency would be guilty of the same charges… (Mundell 1961:660)

Questo passo è importantissimo perché mostra che l’assimilazione al gold standard di una UM mal

concepita - senza cioè le istituzioni che ne correggano le possibili problematiche negative – risale

a Mundell 1961. 17

Da notare come lungi da credere ciecamente nelle virtù taumaturgiche della flessibilità dei

prezzi e salari nel paese deficitario, e a maggior ragione se questo è costretto a manovre recessive

sulla domanda aggregata, il Mundell “più keynesiano” dei primi anni 1960 cita il “foreign-trade

multiplier” come meccanismo di trasmissione internazionale della recessione.18 Torneremo

sull’assimilazione al gold standard dell’unione monetaria.

Box – I costi della deflazione

17 Mundell segnala una differenza fra il gold-standard (e anche un sistema di cambi fissi) e unaunione monetaria: in quest’ultima la nazione/regione deficitaria non soffre di crisi di liquidità(perdita di oro o di riserve internazionali convertibili in oro) in quanto le banche possono affidarsialla creazione di liquidità da parte della banca centrale (come fa, come vedremo, l’Eurosistema).Ma ciò, dice Mundell, non cambia l’essenza della questione, ovvero il fatto che alla lunga il paesedeficitario deve aggiustare i propri conti esteri: “It is true, of course, that interregional liquidity canalways be supplied by the national central bank, whereas the gold standard and even the gold-exchange standard were hampered, on occasion, by periodic scarcities of internationally liquidassets; but the basic argument against the gold standard was essentially distinct from the liquidityproblem.” (660). Circa la distinzione fra sistema a cambi fissi e unione monetaria, v. Cesaratto 2013mimeo (T2).18 Livello del prodotto (e relativo tasso di crescita) in un paese sono vincolati nel lungo periodo alrispetto del pareggio della bilancia dei pagamenti (per evitare un crescente indebitamento estero).Secondo l’approccio Kaldor-Thirlwall, l’ammontare e tasso di crescita delle esportazioni vincola intal modo livello e tasso di crescita del prodotto. Dal modello:

M = mY

E = E

E = M (equilibrio commerciale)

si deriva Y = E /m (moltiplicatore del commercio estero), ovvero EY . Nel caso di più paesi,politiche deflative in un paese B si ripercuotono sul paese A che vede calare le proprie esportazioni.

Page 19: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

19 04/10/2015

Sia Mundell che Fleming sembrano riporre fiducia nella potenziale flessibilità di prezzi e salari nel

riaggiustare l’equilibrio in un’unione valutaria fra due paesi. In questo essi sembrano trascurare gli

effetti negativi della deflazione nel paese in disavanzo. Tali effetti negativi si manifestano in

svariati modi:

- il valore reale dei debiti di famiglie e imprese aumenta, incluso il valore reale del debito estero se

va restituito al cambio fisso. Ciò induce i soggetti indebitati – che vedono diminuire i propri introiti

nominali, ma non il valore nominale del servizio del debito – a stringere la cinghia, aggravando la

spirale recessiva.

- quando i prezzi cadono famiglie e imprese pospongono gli acquisti in attesa di prezzi più bassi.

- tassi di inflazione bassi o negativi accrescono il saggio reale di interesse scoraggiando la spesa

finanziata dal credito.

La deflazione implica così ulteriore contrazione del mercato interno e ciò comporta la perdita di

economie di scala e di produttività anche per le imprese esportatrici, costrette a un confronto impari

con le imprese dei paesi in surplus.

Si veda al riguardo il bell’articolo di Fernando Vianello

http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2013/11/krugman-e-vianello-sulla-deflazione.html

1.1.3. Shock asimmetrici in un’unione valutaria: un’esposizione più standard (DG)

Un’esposizione più standard del modello di Mundell utilizza l’apparato convenzionale delle curve

AS-AD (v. per esempio De Grauwe 2013, cap. 1). Si supponga che Francia e Germania formino

un’unione monetaria (fig. M). Uno shock asimmetrico sposta la domanda di prodotti dalla F verso

la G (per esempio a causa di un mutamento dei gusti o un’innovazione nei prodotti tedeschi).

Page 20: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

20 04/10/2015

PF PG

AD1 AD0 AS AD0 AD1 AS

P0

YF YG

1FY 0

FY 0GY 1

GY

Fig. M

Assumendo che vi sia piena occupazione si genera un aumento della disoccupazione in Francia e

inflazione in Germania. L’aggiustamento può avvenire attraverso una variazione dei salari relativi:

wF diminuisce e wG aumenta per cui le funzioni AS si spostano – quella della Francia verso il basso

e quella della Germania versi l’alto - sino a ristabilire il livello iniziale dei rispettivi redditi e

l’equilibrio commerciale (quest’ultimo non visibile nella figura K).

PF PG

PG1 EG AS1 AS0

AD1 AD0

P0 E E

PF1 EF

AS0 AS1 AD0 AD1

YF0 YG

0

Fig. K

Il prezzo dei prodotti francesi è diminuito e quello dei prodotti tedeschi aumentato per cui la

Francia ha perso ragioni di scambio con la Germania.

Page 21: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

21 04/10/2015

La ragione di scambio è data dal tasso di cambio reale.

G

Fnr P

PEE

A parità di tasso nominale, se PF diminuisce, i francesi dovranno cedere più prodotti in

cambio della medesima quantità di merci tedesche.

L’equazione del tasso di cambio reale mostra come tale riaggiustamento nelle ragioni di

scambio sia alternativamente ottenibile con un mutamento del tasso di cambio nominale

(impossibile però in una unione valutaria).

1.1.4. La flessibilità del cambio è davvero efficace?

Nel saggio di Mundell – e in genere nella letteratura originaria sulle OCA – c’è fiducia che

mutamenti del tasso di cambio reale, ottenuti via svalutazione interna (deflazione di prezzi e salari

nel paese in deficit)19 o esterna (via variazioni del tasso di cambio nominale) possa ripristinare

l’equilibrio. Spesso con riferimento al classico articolo di Friedman 1953, la svalutazione esterna è

tuttavia ritenuta più efficace della svalutazione interna:20

In the international trade example, if demand shifts from the products of country B to theproducts of country A, a depreciation by country B or an appreciation by country A wouldcorrect the external imbalance and also relieve unemployment in country B and restraininflation in country A. This is the most favourable case for flexible rates based on nationalcurrencies. (Mundell 1961: 659)

Nei termini della fig. J (sopra), l’aggiustamento del cambio fra Italia e Germania ripristinerebbe le

funzioni IS loro posizione originaria, ovvero nei termini della fig. M (sopra) le funzioni AD nella

loro posizione iniziale.

Il dibattito fra gli economisti è da sempre molto vivo sugli effetti degli aggiustamenti di

cambio. Coloro che ritengono che tali aggiustamenti siano inefficaci nel lungo periodo basano tale

conclusione sul fatto che l’aumento del prezzo dei beni importati che consegue a un

deprezzamento/svalutazione della valuta può determinare un aumento dei salari monetari, volto al

19 Come sopra illustrato, la deflazione nel paese in disavanzo (o la svalutazione esterna) sarà tantominore quanto più il paese in avanzo lascia espandere la propria domanda interna e inflazione.20 Si osservi che sebbene una svalutazione esterna conduca in genere a un aumento dell’inflazione acausa dell’aumento di prezzo in moneta nazionale dei beni importati, questo diminuisce il valorereale dei debiti interni (che sono denominati in valuta nazionale), e non lo accresce come nel casodella svalutazione interna. Si accresce però il valore reale dei debiti esterni se denominati in valutaestera.

Page 22: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

22 04/10/2015

recupero del potere d’acquisto, tale da annullare i vantaggi dell’aggiustamento.21 Viene talvolta

citata l’esistenza sempre maggiore delle “catene globali del valore”, per cui un prodotto del paese X

ha un fortissimo contenuto di componenti provenienti dal paese Y, Z ecc. Per cui una svalutazione

della divisa del primo paese rispetto agli altri comporterebbe un aumento dei costi di produzione del

prodotto in oggetto. Nel caso dell’Italia, tuttavia, c’è da chiedersi se questo argomento, forse valido

per le grandi imprese multinazionali, si applichi al tessuto delle piccole e medie imprese.

Gli effetti della svalutazione sulla competitività si manifestano se c’è almeno una parziale

illusione monetaria, per cui i salari nominali adeguano solo parzialmente all’aumento dei prezzi dei

beni importati. Secondo Mundell tale illusione monetaria è meno probabile per paesi piccoli i quali

mostrano in genere un’incidenza maggiore delle importazioni sul reddito rispetto ai paesi grandi.

Questo implica che gli effetti di una svalutazione su prezzi e salari reali sarebbero più percepibili

dando più probabilmente luogo a fenomeni di resistenza salariale, annullando i vantaggi

concorrenziali della svalutazione stessa:

The thesis of those who favour flexible ex-change rates is that the community in question isnot willing to accept variations in its real income through adjustments in its money wage rateor price level, but that it is willing to accept virtually the same changes in its real incomethrough variations in the rate of exchange. In other words it is assumed that unions bargain fora money rather than a real wage, and adjust their wage demands to changes in the cost ofliving, if at all, only if the cost-of-living index excludes imports. Now as the currency areagrows smaller and the proportion of imports in total consumption grows, this assumptionbecomes increasingly unlikely. It may not be implausible to suppose that there is some degreeof money illusion in the bargaining process between unions and management (or frictions andlags having the same effects), but it is unrealistic to assume the extreme degree of moneyillusion that would have to exist in small currency areas. (Mundell 1961: 663)

Pur dando credito a questi argomenti, coloro che propugnano l’efficacia degli aggiustamenti di

cambio ne sostengono l’efficacia proprio per aggirare l’inflessibilità di prezzi e salari che rende la

21 Gli effetti benefici degli aggiustamenti sulla competitività di prezzo possono naturalmente essereinsufficienti a compensare gli svantaggi sulla qualità dei prodotti esportati. Se però l’inizialesvantaggio competitivo del paese in disavanzo è stato causato da un suo più elevato tasso diinflazione (e non da uno svantaggio relativo alla concorrenzialità nella qualità dei prodotti),l’aggiustamento di cambio può essere, ceteris paribus, efficace. Nel caso dell’Italia negli annidell’euro, per esempio, si potrebbe ritenere che la sua perdita di competitività sia stata soprattuttodovuta al suo zoccolo inflazionistico rispetto ai concorrenti piuttosto che all’obsolescenza del mixproduttivo (che, seppur concentrato in settori tradizionali, ha anche aspetti di innovatività, design,ecc) o ad andamenti divergenti della produttività, almeno nei periodi in cui la domanda aggregatal’ha sostenuta. Si può anche ritenere che in caso di shock relativi a linee di prodotto che diventanomeno richieste, una svalutazione possa rafforza la competitività delle linee di prodotti ancoraconcorrenziali.

Page 23: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

23 04/10/2015

svalutazione interna non percorribile se non al prezzo di un’aumento della disoccupazione tale da

piegare la resistenza alla diminuzione dei salari nominali. Così per esempio Milton Friedman nel

suo classico saggio del 1953:

If internal prices were as flexible as exchange rates, it would make little economic differencewhether adjustments were brought about by changes in exchange rates or equivalent changesin internal prices. But this condition is clearly not fulfilled. The exchange rate is potentiallyflexible in the absence of administrative action to freeze it. At least in the modern world,internal prices are highly inflexible. They are more flexible upward that downward, but evenon the upswing all prices are not equally flexible. The inflexibility of prices, or differentdegrees of flexibility, means a distortion of adjustments in response to changes in externalconditions. The adjustment takes the form primarily of price changes in some sectors,primarily of output changes in others.Wage rates tend to be among the less flexible prices. In consequence, an incipient deficit thatis countered by a policy of permitting or forcing prices to decline is likely to produceunemployment rather than, or in addition to, wage decreases. The consequent decline in realincome reduces domestic demand for foreign goods and thus demand for foreign currencywith which to purchase these goods. In this way it offsets the incipient deficit. But this isclearly a highly efficient method of adjusting to external changes. If the external changes aredeep-seated and persistent, the unemployment produces steady downward pressure on pricesand wages, and the adjustment will not have been completed until the deflation has run itssorry course. (Friedman 1953: 165).

E con una famosa metafora Friedman compara gli effetti di un aggiustamento del cambio al cambio

dell’ora legale:

The argument for a flexible exchange rate is, strange to say, very nearly identical with theargument for daylight savings time. Isn’t it absurd to change the clock in summer whenexactly the same result could be achieved by having each individual change his habits? Allthat is required is that everyone decide to come to his office an hour earlier, have lunch anhour earlier, etc. But obviously it is much simpler to change the clock that guides all than tohave each individual separately change his pattern of reaction to the clock, even though allwant to do so. The situation is exactly the same in the exchange market. It is far simpler toallow one price to change, namely, the price of foreign exchange, than to rely upon changes inthe multitude of prices that together constitute the internal price structure. (ibid: 173).

Vianello (2005) così evoca la metafora la cui prima formulazione attribuisce a Irving Fisher:

“Una variazione del tasso di cambio è equivalente, dal punto di vista della concorrenzialità dei prodotti

di un paese, a una variazione del livello generale dei prezzi. Sui costi sociali del tentativo di far

diminuire i salari monetari e i prezzi, e su come essi possano essere evitati ricorrendo alla svalutazione

della moneta, ha richiamato l’attenzione Keynes (1923). Irving Fisher ha paragonato la variazione dei

tassi di cambio all’adozione dell’ora legale: come è assai più semplice mettere avanti di un’ora tutti gli

orologi che convincere ciascun abitante del paese ad alzarsi un'ora prima la mattina, così è assai più

semplice far variare il tasso di cambio che fare affidamento, per ottenere lo stesso risultato, sulla

variazione di una moltitudine di prezzi e di redditi monetari (cfr. Fisher, 1923, p. 101).”

Page 24: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

24 04/10/2015

La metafora può così essere riformulata: la svalutazione interna è un modo di imporre l’ora

legale solo ad alcuni, mentre la svalutazione esterna la impone a tutti.

Una risposta definitiva circa gli effetti degli aggiustamenti di cambio sulle bilance commerciali

non può essere data. Si tratta di verificare caso per caso se la resistenza salariale all’aumento di

prezzo dei beni importati sia o meno tale da annullare i vantaggi dell’aggiustamento di cambio. La

svalutazione interna si baserebbe infatti su un meccanismo più certo per piegare la resistenza a una

diminuzione dei salari reali, vale a dire l’aumento della disoccupazione.

1.1.5. Effetti della flessibilità del cambio: un’esposizione più standard (DG)Consideriamo un equilibrio AS-AD per la Francia e supponiamo uno spostamento sfavorevole della

AD per i prodotti francesi (fig. T). La AD si sposta verso basso-sinistra (punto B). Una svalutazione

la potrebbe riportare nella posizione originaria (A). Quello che tuttavia accade è che aumenta il

prezzo dei beni tedeschi importati e ciò comporta una diminuzione dei w/p. Se i lavoratori francesi

reagiscono chiedendo salari nominali più elevati, la AS si sposta in alto a sinistra annullando gli

effetti della svalutazione (punto C).

Page 25: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

25 04/10/2015

PF

C AS

A

B AD

Y1 Y0 YF

Figura T

Il livello dell’output ritorna dunque al livello originario Y0, cioè l’economia ritorna nel punto A,

solo se i lavoratori sono disponibili ad accettare una riduzione del salario reale che è implicita in

una svalutazione. Quindi sia la svalutazione interna che quella esterna conducono al riequilibrio

commerciale se i salari reali cadono. Le conclusioni di De Grauwe (2013: 51) al riguardo ci

sembrano pertinenti:

Pertanto, le condizioni necessarie per ristabilire il livello iniziale di output sono le stesse inentrambi i regimi [svalutazione interna o esterna]: i lavoratori … devono accettare la riduzionedei loro salari reali anche se è una soluzione difficile da adottare in entrambi i contesti. Ladomanda che sorge e la seguente: in quale regime questa condizione può essere soddisfatta nelmodo più semplice e meno gravoso? In un mondo perfetto, privo di illusione monetaria, nonc’è differenza. Se i lavoratori … si oppongono alla riduzione dei loro salari reali, lo farannosia nel caso di unione monetaria sia nel caso di cambio flessibile. In entrambi i regimi saràdifficile ottenere la variazione del prezzo relativo e quindi ritornare al livello iniziale dioutput. Sennonché, in un mondo meno perfetto, i lavoratori affetti da illusione monetariapotrebbero contrastare la riduzione dei salari reali causata dalla diminuzione dei salarinominali più fortemente di quanto farebbero se la stessa riduzione fosse causata da unaumento nei prezzi (mantenendo costante il valore dei salari nominali). Pertanto, si può direche in una realtà del genere, l’aggiustamento dello squilibrio creato da uno shock da domandasarà molto più difficile e costoso, in termini di output sacrificato, nel caso di unione monetariaanziché nel caso contrario.

1.1.6. La mobilità del lavoro

Riprendendo le fila dell’esposizione di Mundell, egli ritiene dunque che mentre una UM fra

due nazioni imprima una tendenza deflazionistica all’economia internazionale, una UM fra due

regioni possa imprimere una tendenza inflazionistica (para. 1.1.1). L’analisi di Fleming portava a

conclusioni analoghe.

Page 26: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

26 04/10/2015

Arriviamo ora al cuore della tesi di Mundell: se fra due nazioni/regioni pur disomogenee o

colpite da eventi negativi asimmetrici v’è mobilità dei fattori produttivi (in particolare del lavoro),

allora esse possono costituire una OCA. Supponiamo che il paese B subisca una riduzione della

domanda internazionale per i propri prodotti. In luogo di una deflazione di prezzi e salari, o di

politiche recessive,22 lavoratori si possono spostare dal paese B verso quello A. Sulla scorta della

definizione di regione sopra enunciata, A e B costituiscono in verità una sola regione e, dunque:

The optimum currency area is the region. 660

Ma i lavoratori del paese B troveranno lavoro nel paese A? Un supplemento di spiegazione

lo troviamo in un altro classico sulle OCA, Kenen (1969: 43). Supponendo che il paese A sia in

piena occupazione (cosa che Kenen non specifica), la maggiore domanda per i prodotti di A si

tradurrà in maggiore domanda di lavoro (eccesso di domanda di lavoro come s’usa dire) mentre nel

paese B la minore domanda di lavoro si tradurrà in disoccupazione. Con perfetta mobilità del lavoro

questi disoccupati muoveranno da B ad A dove troveranno occupazione. Ciò che accade non

sarebbe dissimile a quanto accadrebbe in un Paese singolo laddove, a parità di domanda aggregata,

mutasse la composizione di quest’ultima a sfavore di una industria in declino e a favore di una in

espansione: a parte il periodo di transizione, nel lungo periodo non si genererebbe disoccupazione

poiché i lavoratori muoveranno da un settore all’altro.23

Ci si può ora domandare se l’UME è un’AVO sotto il profilo della mobilità del lavoro. La

risposta tende a essere negativa in quanto sebbene la mobilità sia relativamente elevata per le figure

professionali più alte, essa è più ridotta per motivi linguistici e culturali per le figure professionali

più modeste. Gli Stati Uniti costituiscono invece sotto questo profilo un’AVO.

1.2. Sostenibilità di un’unione monetaria e diversificazione produttivaKenen (1969) aggiunge due elementi alla questione della sostenibilità di una OCA. Il primo è che

se i membri di un’UM presentano strutture produttive molto diversificate, essa sarà meno soggetta a

ripercussioni aggregate di primaria grandezza in seguito a mutamenti sfavorevoli della domanda per

i prodotti di alcuni paesi (Kenen 1969: 49). Eventuali “shock asimmetrici” tenderanno cioè a

compensarsi fra loro nel tempo in quanto ora colpiranno un paese, ora l’altro, ed essendo inoltre

22 Il calo della domanda e delle importazioni dovuto alla minore domanda di prodotti nazionali puònon essere sufficiente a ristabilire l’equilibrio commerciale: fare esempio.23 Le due industrie potrebbero naturalmente utilizzare tecniche a diversa intensità di lavoro e questopotrebbe avere effetti sull’occupazione (Kenen 1969: 43-44)

Page 27: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

27 04/10/2015

ciascun paese molto diversificato gli effetti saranno relativamente minori. In questo senso i paesi

più grandi sarebbero meglio predisposti rispetto ai più piccoli all’adesione a un’OCA.

Un’influente studio preparatorio all’unificazione monetaria predisposto dalla Commissione

Europea (EU 1990) giudicò la probabilità di shock di domanda concentrati in un solo paese come

improbabili. Secondo questa tesi la progressiva integrazione e l’aumento del commercio che

seguirebbe l’unificazione monetaria porterebbe alla ricollocazione delle varie attività o di diverse

fasi del ciclo produttivo nei paesi membri sì da accrescere la diversificazione e la resistenza shock

asimmetrici. A questa tesi viene in genere contrapposta quella di Paul Krugman per cui l’esistenza

di economie di scala porta alla concentrazione regionale di determinate attività (cioè a una divisione

internazionale del lavoro).

La posizione della Commissione ha trovato sostegno nella tesi di Frenkel and Rose (1996)

secondo cui la similarità fra gli stati membri si accrescerebbe proprio in seguito all’aumento del

commercio che risulterebbe dall’unificazione. Per questa ragione questa tesi è stata definita teoria

dell’”OCA endogena”. La questione è stata naturalmente molto dibattuta e criticata (De Grauwe

2013: cap. 2). In particolare gli effetti positivi attesi dell’unificazione monetaria sul commercio

infra-EZ pare siano stati molto esagerati. Inoltre, alla luce di quanto vedremo in seguito, gli squilibri

europei non sembrano essere tanto derivati da “shock asimmetrici” su singole produzioni, ma da

“shock asimmetrici” che hanno riguardato il complesso della domanda aggregata in questi paesi. Le

politiche di “austerità” con cui l’EZ ha affrontato la crisi hanno successivamente comportato seri

processi di “de-industrializzazione” nei paesi della periferia europea ragione per cui v’è da ritenere

che in seguito a ciò la disomogeneità produttiva fra i paesi membri sia grandemente cresciuta.

Il secondo elemento introdotto da Kenen è illustrato nel prossimo paragrafo.

L’economista francese Artus si è domandato quali siano stati gli effetti della crisi sugli

eventuali processi di convergenza all’interno dell’UME. Le sue valutazioni sono assai negative.

(vale la pena leggere tutto l’articolo: http://cib.natixis.com/flushdoc.aspx?id=70753). In assenza di

trasferimenti fiscali, l’aggiustamento degli squilibri esterni fra le economie è stato effettuato via

“svalutazione interna”. La mortificazione della domanda interna che ne è seguita ha a sua volta

determinato processi di deindustrializzazione e di emigrazione di forze di lavoro qualificate.

It is now well understood that the euro zone’s key problem is the structural heterogeneity of the

member countries, combined with the lack of federalism. The disappearance of exchange-rate risk

facilitated the various countries’ productive specialisation according to their comparative

advantages, leading to an initial deindustrialisation of the peripheral countries to the benefit of the

core euro-zone countries, mainly Germany.

Page 28: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

28 04/10/2015

From the creation of the euro until 2008, this led to increased external deficits among the peripheral

countries, given their specialisation in services and construction; and the crisis broke out when their

external debts became too large to be financed.

The lack of federalism means that no flows of public money or transfers have circulated between

the member countries, from the countries posting a trade surplus to countries with trade deficits, in

order to prevent external debts from accumulating and a crisis. It also means that the troubled

countries have not benefited from any support for job creation or reindustrialisation.

One could then think that the crisis could have corrected part of the heterogeneity. The most

troubled countries are experiencing a decline in their wages and an improvement in their

competitiveness, due to declining activity and rising unemployment (which we have decided to call

"internal devaluations"). This should have enabled them to attract new investments, regain market

shares, and should therefore have made the euro zone more homogenous.

But the effect of the euro-zone crisis on the zone’s economy has been completely different. The

situation of the countries already facing problems with their external deficits and deindustrialisation

has worsened and, accordingly, the heterogeneity of the euro zone has been made even worse

instead of being corrected. In these countries, a significant decline in domestic demand has been

required to wipe out the external deficits and stabilise the external debts, which could no longer

increase. The decline in domestic demand and the resulting recession have led to a sharp rise in

company bankruptcies, a marked deterioration in the situation of banks associated with a high level

of interest rates and, accordingly, a massive decline in business investment.

As a result, industrial production capacity has declined drastically in these countries: the

concentration of euro-zone industry in the core countries (Germany) has gathered momentum

instead of correcting. Accordingly, the euro zone’s situation has worsened instead of improving: the

heterogeneity has become more pronounced, and the deindustrialisation of the periphery to the

benefit of the centre has gathered momentum, which for the time being condemns the peripheral

countries to stagnating activity and impoverishment.

Page 29: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

29 04/10/2015

Moreover, given the migration of the labour force and young graduates within the euro zone, which

previously was very low but has become substantial since 2011, the peripheral countries are

doomed to an unsustainable situation: hollowing-out of the economy and skilled youth leaving their

Page 30: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

30 04/10/2015

home countries, while the requirement to service the public and external debt remains unchanged,

despite a productive base and a tax base that have contracted. This paints a very worrying picture,

with the exception that it is beginning to be understood that Germany and the European authorities

are apparently becoming more aware that the extreme heterogeneity towards which the euro zone is

heading will be unsustainable without the implementation of stabilising mechanisms: joint

investments, pooling of elements of social welfare, European resolution funds for banking crises,

support to young job seekers, discussions on a counter-cyclical euro-zone budget and on a fund to

help structural reforms.

1.3. Unioni monetarie complete implicano un bilancio federale

Regioni con strutture produttive simili e ben diversificate e/o con facile mobilità del lavoro

potrebbero dunque costituire una AVO. Quella dei trasferimenti fiscali fra regioni di un’unione

valutaria è una terza possibilità per rendere sostenibile un’UM. Una struttura di trasferimenti fiscali

fra regioni più ricche verso le regioni più disagiate implica un bilancio federale. Questo agisce in

due modi.

(a) Nel caso di uno shock asimmetrico, l’area svantaggiata verserà meno contributi al bilancio

federale mentre vedrà probabilmente accrescere i trasferimenti a suo favore (sussidi di

disoccupazione per esempio). L’opposto accade nella regione in surplus. Questo allevia i

costi dell’aggiustamento (via salari o mobilità del lavoro). De Grauwe (DG) definisce questo

sistema una sorta di assicurazione pubblica. Gli economisti “mainstream” individuano una

difficoltà nell’instaurare questo tipo di assicurazione reciproca, difficoltà basata sul rischio

di “moral hazard” da parte dei paesi colpiti negativamente da shock asimmetrico. La regione

svantaggiata, una volta sussidiata, potrebbe infatti non effettuare gli aggiustamenti

“strutturali” – come le famose riforme, vale a dire le liberalizzazioni del mercato del lavoro

che favoriscono l’aggiustamento dei salari reali.

(b) Gli squilibri fra paesi o regioni di un’UM potrebbero avere natura strutturale, cioè derivare

da un ritardo storico nel loro sviluppo rispetto ai paesi più avanzati piuttosto che da shock

asimmetrici. Per costituire una AVO un’UM dovrebbe dunque idealmente dotarsi di

trasferimenti strutturali (cioè durevoli nel tempo) per accelerare lo sviluppo industriale delle

aree in ritardo (per esempio sostenendo investimenti, infrastrutture, istruzione e ricerca

ecc.). Queste aree – definiamole periferiche - saranno peraltro anche le meno diversificate, e

spesso con tassi di inflazione più elevati rispetto a quelle più sviluppate – definiamole

Page 31: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

31 04/10/2015

centrali o “core”.24 Per questa ragione essa saranno anche più esposte a shock asimmetrici o

a sopravvalutazione del tasso di cambio reale.

1.3.2. Bilancio federale e trasferimenti fiscali in Europa e negli Stati Uniti

A confronto con gli Stati Uniti, il bilancio federale europeo è minuscolo sebbene le differenze nel

reddito pro-capire fra i paesi europei siano ben superiori a quelle fra gli Stati americani. Una prima

tavola tratta da Barba e De Vivo (2013) mostrano come negli Stati Uniti sia i bilanci degli Stati ed

enti locali che quello federale si collochino su valori cospicui in rapporto al Pil con un bilancio

federale più ampio in rapporto al Pil di quelli locali. Dotati di un bilancio federale, la politica fiscale

americana ha potuto aggredire la crisi a livello federale. All’opposto, il bilancio comune dell’UE

non raggiunge l’1% del Pil comunitario, a confronto di bilanci nazionali di dimensione cospicua.

Le due tavole successive mostrano i trasferimenti netti pro-capite negli Stati Uniti a confronto con

l’UE (in altre parole se in termini pro-capite un singolo Stato è beneficiario o datore netton nella

redistribuzione inter-regionale). La lettrice può osservare la scala dei trasferimenti misurati in

migliaia di dollari nel primo caso e centinaia di euro nel secondo.

24 In queste dispense l’origine dell’inflazione è vista nel conflitto distributivo. Questo è talvolta piùesacerbato in economie meno sviluppate dove le risorse da spartire sono più limitate, e più sottocontrollo in quelle più ricche dove le risorse sono più ampie.

Page 32: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

32 04/10/2015

Nel loro ottimo articolo Barba e De Vivo (2013) esaminano la questione degli squilibri regionali

nell’Eurozona a confronto con quelli degli Stati Uniti osservando come:

Page 33: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

33 04/10/2015

a) Le differenze nel reddito pro-capite fra gli Stati membri sono più significative nell’EZ

rispetto agli USA (sebbene la diseguaglianza fra i cittadini sia in genere maggiore negli

USA, com’è noto).

b) Negli Stati Uniti il governo Federale effettua una significativa azione perequativa nei livelli

del reddito pro-capite fra i diversi Stati, azione che in Europa viene sostanzialmente

condotta solo all’interno degli Stati fra le rispettive regioni.

Da un punto di vista analitico (Barba e De Vivo 2013) è importante osservare come l’azione

perequativa inter-regionale svolta dal settore pubblico non vada meramente considerata come un

dono delle regioni più affluenti a favore di quelle più svantaggiate. La spesa pubblica torna

infatti come domanda di prodotti rivolta principalmente alle regioni più ricche.25 In questo senso

non si tratta di uno scambio di “qualcosa in cambio di nulla”, ma di uno scambio di “qualcosa

per qualcosa”. La spesa pubblica perequativa fra regioni genera infatti un aumento delle

esportazioni nelle regioni più ricche e un aumento delle entrate fiscali (o dei risparmi destinati

all’acquisto dei titoli pubblici se la spesa è in disavanzo), essa dunque si “autofinanzia”. Ma

lascia anche un aumento di reddito e occupazione che non si sarebbe verificato senza quella

spesa.

Questa forma di finanziamento degli squilibri commerciali dentro un’area valutaria comune

è anche superiore al finanziamento privato via movimenti di capitale che lascia un’eredità di

posizioni debitorie dei membri in disavanzo che può sfociare in una crisi finanziaria. Vale a

dire, in alternativa ai trasferimenti fiscali, i membri più svantaggiati di una UM possono

finanziare i loro disavanzi esterni indebitandosi coi paesi più forti. Questo può tuttavia sfociare

in una crisi debitoria, come vedremo essere successo proprio in Europa.

1.3.1. Fiscal capacity

Sponsorizzato dall’allora Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rampuy, nel

novembre-dicembre 2012 si è discusso a livello europeo di un budget europeo in esclusiva

funzione anti-ciclica e di dimensione ridotta, comunque più vicina alla proposta di un budget

assicurativo federale contro disturbi asimmetrici che a un bilancio federale. Quest’ultimo

implica trasferimenti volti a perequare le condizioni socio-economiche fra le regioni, oltre che a

25 I trasferimenti fiscali possono essere visti:

a) Come perequativi di squilibri commerciali che maturano con l’Unione Monetaria;b) Come funzione perequativa dei redditi pro-capite fra regioni pur in presenza di un equilibriocommerciale fra di esse; in questo caso sono proprio i trasferimenti che, accrescendo il potered’acquisto nelle regioni più disagiate generano uno squilibrio commerciale. La bilancia deipagamenti (le partite correnti) fra regioni ricche e povere rimane tuttavia in pareggio essendo ildisavanzo commerciale compensato dai trasferimenti.

Page 34: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

34 04/10/2015

svolgere funzione assicurativa in caso di shock asimmetrici. Tale fondo europeo è stato

denominato “fiscal capacity”. Al tempo della discussione la Germania riteneva accettabile una

fiscal capacity attorno fra lo 0,2% e lo 0,3% del Pil europeo, mentre la Francia sosteneva una

dimensione fra l’1,5% e il 2%. Le fonti di finanziamento di tale fondo non furono discusse

approfonditamente, se non per menzionare la tassa sulle transazioni finanziarie (la famosa

“Tobin tax”), un deus ex machina dalla dubbia efficacia e che viene evocato quando si vogliono

finanziare iniziative europee senza spaventare i contribuenti. Fu anche detto che una fiscal

capacity europea di sostegno a shock asimmetrici già esisteva nell’European Stability

Mechanism (di cui ci occuperemo nel capitolo 7), un istituto a capitale europeo che può

emettere titoli a sostegno di Stati in difficoltà. Van Rampuy sostenne che, tuttavia, mentre lo

ESM è uno strumento per le emergenze, la fiscal capacity doveva essere un intervento per

squilibri più di routine. Comunque, i tedeschi si sono alla fine intimoriti che tale fondo potesse

essere il principio di un vero bilancio federale di base alla temuta “transfer union”, cioè una

struttura significativa di trasferimenti inter-regionali, per cui non se n’è fatto nulla. Negli utlimi

mesi (giugno 2015) se ne è cominciato a riparlare.

da http://blogs.ft.com/brusselsblog/2012/10/eu-summit-leaked-qa-to-summitteers/:

The proposal is so contentious – the French see it as a nascent supranational budget that would

spend on things such as unemployment insurance; the Germans a small, targeted fund to help start

short-term programmes such as job training schemes – that Van Rompuy yesterday sent around a

“background note” to national delegations to flesh out the idea.

The first question Van Rompuy poses in the note is what the eurozone budget – dubbed a “fiscal

capacity” – would do, exactly? The answer is pretty short. First, it could absorb “country-specific

economic shocks” by setting up “an insurance-type mechanism”. Secondly, it could be the carrot to

go along with the austerity stick, providing “support” for countries going through “structural

reforms”. But Van Rompuy also makes one thing clear:

These functions could and should be designed in a way that they do not lead to permanent transfers

across countries. They would not be income equalisation tools.

This line is aimed at Berlin, which has repeatedly fretted that the eurozone is turning into a “transfer

union”, sending wealth from high-income northern countries to struggling southerners.

Relying only on these national stabilisers in the context of a monetary union is, however, not

efficient from an economic standpoint. Indeed, in the absence of a fiscal capacity, countries need to

maintain fiscal buffers higher than would be required with such an EMU-wide insurance

mechanism.

Page 35: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

35 04/10/2015

Van Rompuy is a bit vague on just how this “insurance mechanism” would work. Countries would

pay into the budget in “good times” and would get benefits “in bad times”, he writes. Because all

countries would pay in at some point and get benefits at another, it would “not lead to permanent

transfers”.

Per saperne di più:

http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ec/132796.pdf

http://blogs.wsj.com/brussels/2012/10/11/euro-zone-budget-stirs-controversy

http://blogs.wsj.com/brussels/2012/12/04/the-size-of-the-euro-zone-budget/

Un articolo critico del senso limitato in cui in Europa si parla di “unione fiscale” è:

http://www.economonitor.com/blog/2012/06/what-fiscal-union-means/

1.4. Perdita della sovranità monetaria e bilancio pubblico

I teorici delle AVO avevano avvertito circa i pericoli di un’UM europea. Un elemento

sembra essere tuttavia sfuggito ai più: la perdita della sovranità monetaria ha delle forti implicazioni

sulla sostenibilità dei bilanci pubblici. Per ciò che mi consta, solo alcuni economisti legati alla

cosiddetta Modern Monetary Theory (come Randall Wray e Stephanie Kelton) avevano per tempo

avvertito circa queste conseguenze. Solo a crisi europea già ben avviata economisti come Paul de

Grauwe, probabilmente orecchiando queste tesi, hanno cominciato a sostenere tesi simili.

Fondamentalmente l’idea è che nessun governo può fallire fintanto che esso possiede una banca

centrale sovrana disponibile a finanziare il rinnovo del debito pubblico. Vedremo come nella crisi

europea la BCE abbia svolto la sua tradizionale funzione di “prestatore di ultima istanza” (lender of

last resort) nei confronti delle banche, ma in maniera più limitata nei riguardi dei debiti sovrani.

Vale la pena offrire una lunga citazione da De Grauwe (2013: 19-20) che confronta casi

del Regno Unito (fuori dell’UME) e della Spagna (dentro l’UME) e spiega perché i tassi sui titoli

pubblici possano differire:

“il governo inglese, non potendo trovare i fondi per rinnovare il debito a tassi di interesse

ragionevoli, costringerebbe certamente la Banca d’Inghilterra a fornire i contanti per

rimborsare i detentori di obbligazioni. Il governo inglese può dunque contare sulla liquidità

occorrente per finanziare il debito, e ciò significa che gli investitori non possono far

precipitare una crisi di liquidità tale da costringere il governo inglese all’insolvenza. Vi è una

superiore forza di ultima istanza, la Banca d’Inghilterra.

La situazione è drasticamente differente per un paese membro di un’unione monetaria, come

la Spagna. Supponiamo che gli investitori temano un’insolvenza del governo spagnolo. Di

conseguenza vendono titoli di stato spagnoli, spingendone il tasso di interesse al rialzo. Fin

Page 36: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

36 04/10/2015

qui gli effetti sono uguali a quelli di che si avrebbero nel caso inglese; il resto è molto diverso.

Gli investitori che hanno incassato euro vendendo titoli del debito pubblico spagnolo,

decideranno verosimilmente di investirli altrove, poniamo in titoli di stato tedeschi. Ne

consegue un deflusso di euro dal sistema bancario spagnolo. Non vi è un mercato dei cambi,

non vi è un tasso di cambio flessibile che possa arrestare questa fuoriuscita. Pertanto la

quantità totale di liquidità (offerta di moneta) esistente in Spagna si contrae. Il governo

spagnolo è investito da una crisi di liquidità, ossia non può ottenere i fondi occorrenti per

rinnovare il suo debito a tassi di interesse ragionevoli. Inoltre, il governo spagnolo non può

costringere la Banca di Spagna a fornire la liquidità occorrente. La banca centrale comune (la

BCE nel caso dell’Eurozona) può fornire tutta la liquidità del mondo, ma il governo spagnolo

non controlla quell’istituzione. La crisi di liquidità, se è abbastanza forte, può costringere il

governo spagnolo all’insolvenza, data l’impossibilità di trovare il contante per rimborsare i

detentori di obbligazioni. I mercati finanziari lo sanno e mettono alle strette il governo

spagnolo quando i deficit di bilancio peggiorano. Perciò in un’unione monetaria i mercati

finanziari acquisiscono una forza tremenda e possono mettere in ginocchio qualsiasi paese

membro.

La situazione della Spagna ricorda quella delle economie emergenti che devono contrarre

prestiti denominati in valute estere. Tali economie emergenti hanno lo stesso problema, ossia

possono trovarsi di fronte a un “brusco arresto” degli afflussi di capitale, che si interrompono

improvvisamente, innescando una crisi di liquidità [Calvo 1988; Eichengreen et al. 2005].

L’analisi precedente sottolinea la fragilità di un’unione monetaria. Se gli investitori non hanno

fiducia in un dato stato membro, ne vendono i titoli, facendone salire il tasso di interesse e

innescando una crisi di liquidità, che può a sua volta dare luogo a un problema di solvibilità –

ossia, con un tasso di interesse più elevato il peso del debito pubblico aumenta, costringendo il

governo a ridurre la spesa e aumentare la tassazione. Questa forzata austerità di bilancio è

politicamente costosa e può a sua volta portare il governo a interrompere il servizio del debito

e a dichiarare l’insolvenza. Entrando in un’unione monetaria i paesi membri divengono quindi

vulnerabili alle ondate di sfiducia degli investitori. Si noti che in questa dinamica è insita una

profezia che si autoavvera: se i mercati finanziari ostentano una mancanza di fiducia nella

capacità (o nella volontà) di un dato stato di servire il proprio debito, gli investitori ne

vendono i titoli rendendo per ciò stesso più probabile l’interruzione del servizio del debito di

quello stato.”

Di qui la possibilità paventata da De Grauwe di equilibri multipli, ovvero se i mercati si aspettano la

solvibilità di un paese, i suoi tassi di interesse si manterranno contenuti riflettendo questa fiducia;

Page 37: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

37 04/10/2015

ma se si insinua il dubbio della sfiducia nella solvibilità di un paese, questo sarà alla mercé dei

mercati che domanderanno tassi sempre più elevati avvalorando così la possibilità di una crisi

sovrana. Curiosamente di questa situazione si possono avvantaggiare i paesi più forti e virtuosi,

come la Germania. La “flight to quality”, ovvero la forte domanda di titoli di Stato considerati

sicuri, come i titoli tedeschi, determina un calo dei tassi di interesse per quei paesi. Di qui l’aumento

dei famosi “spread”, o differenziali dei tassi di interesse fra titoli di Stato a 10 anni dei paesi europei

in difficoltà rispetto ai titoli tedeschi a 10 anni (Bund) (figura U).

Fonte: http://cib.natixis.com/flushdoc.aspx?id=74480

Figura U

Come nota De Grauwe (2013: 21-22):

…Il lettore può trovare sorprendente che in quest’unione monetaria fra [Spagna] e Germania i

tassi di interesse possano divergere. Non è forse una caratteristica di ogni unione monetaria

che prevalga ovunque lo stesso tasso di interesse? La risposta è che tale caratteristica vale per

il tasso di interesse a breve termine, che è sotto il controllo della banca centrale comune. I

tassi di interesse a lungo termine possono invece divergere. Nel caso considerato si tratta dei

tassi di interesse a lungo termine su titoli di stato, i quali tassi divergeranno se gli investitori

attribuiscono differenti gradi di rischio al possesso dei differenti titoli di stato. Nell’esempio

della [Spagna] e della Germania, gli investitori percepiscono un rischio di inadempienza più

Page 38: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

38 04/10/2015

elevato nei titoli di stato francesi che in quelli tedeschi e richiedono pertanto un tasso di

interesse (di rendimento) più elevato sui titoli francesi. Si deve altresì notare che è il tasso di

interesse a lungo termine che incide sulla domanda aggregata.”

La diminuzione degli “spread” che si verifica dalla seconda metà del 2012 (fig. U) è un effetto

dovuta a un’azione della BCE (denominata Outright Market Transactions-OMT), che studieremo,

decisa nell’estate del 2012 e volta a garantire un suo intervento a sostegno dei titoli sovrani nel caso

di possibile default di uno Stato. Tale default comporterebbe l’uscita di quello Stato dall’UME in

quanto solo un ritorno alla moneta nazionale e una ridenominazione del proprio debito pubblico in

questa moneta - che esso questa volta emette – può assicurare la sua solvibilità e la sua capacità di

far fronte ai pagamenti. Nel luglio del 2012 l’euro era, in effetti, in gravi difficoltà, con il pericolo

che i tassi di interesse sui titoli italiani e spagnoli potessero schizzare a livelli insostenibili

costringendo questi paesi all’abbandono della moneta unica.

In conclusione, privi di una BC sovrana gli stati membri dell’UME sono costretti al rispetto di

stringenti vincoli di bilancio anche in condizione di recessione pena la perdita di fiducia dei mercati

nella sostenibilità del debito. Anche negli Stati Uniti gli Stati membri sono vincolati al pareggio di

bilancio, privi anch’essi di una BC nazionale. Vi è però un bilancio federale spalleggiato da una BC

federale. In Europa si è finito per caricare l’azione di politica economica anti-crisi sulle sole spalle

della BCE, dunque della politica monetaria, senza una politica fiscale adeguata - che implica un

bilancio federale non potendo esser3e condotta a livello di Stati locali. Peraltro la medesima BCE si

è trovata a dover operare in un regime pieno di vincoli sulla sua azione.

Per saperne di più:

http://cib.natixis.com/flushdoc.aspx?id=74480

http://www.economics.cornell.edu/arazin/Paul%20Krugman2012.pdf

La dottrina di Bagehot (da De Grauwe 2013: 248)

Idealmente la funzione del prestatore di ultima istanza dovrebbe venire utilizzata soltanto quando le

banche (o i governi) devono affrontare problemi di liquidità. Non dovrebbe essere invece utilizzata

quando essi sono insolventi. Questa la dottrina formulata da Bagehot (1873). La banca centrale non

dovrebbe salvare banche o governi che sono insolventi. Questo punto di vista è certamente corretto.

Tuttavia il problema posto da questa dottrina è che è spesso difficile distinguere le “crisi di

liquidità” dalle “crisi di solvibilità”. Come si è sostenuto in precedenza, le crisi del debito sovrano,

quando esplodono, sono molto spesso una miscela di problemi di liquidità e di solvibilità. Le crisi

di liquidità portano al rialzo dei tassi di interesse sui titoli di debito emessi dai governi e quindi

degenerano rapidamente in problemi di solvibilità. Questi ultimi portano spesso a crisi di liquidità

che intensificano i problemi della solvibilità. È dunque facile affermare che la banca centrale

Page 39: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

39 04/10/2015

dovrebbe fornire liquidità soltanto ai governi o alle banche che sono a corto di liquidità ma

adempienti, ma spesso questa regola è molto difficile da mettere in pratica.

In realtà le cose sono ancora peggiori. Quella dottrina porta a un paradosso: se fosse facile separare

i problemi della liquidità da quelli della solvibilità, anche i mercati riuscirebbero a farlo. Pertanto,

se un governo si trovasse sotto pressione, i mercati finanziari riuscirebbero a stabilire se il suo

problema è quello della liquidità o della solvibilità. Se stabilissero che si tratta

di un problema di liquidità, sarebbero disposti a fornire al governo il credito occorrente. La banca

centrale non dovrebbe intervenire. Se i mercati stabilissero invece che si tratta di un problema di

solvibilità, non sarebbero, a ragion veduta, disposti a fornire credito a quel governo. La dottrina

Bagehot giunge alla stessa conclusione: la banca centrale non dovrebbe salvare un governo

inadempiente. La conclusione è che se le crisi di solvibilità e di liquidità potessero essere separate le

une dalle altre, non vi sarebbe alcuna necessità di un prestatore di ultima istanza. I mercati

finanziari si farebbero carico dei problemi. Ma, visti i tempi che corrono, chi ci crederebbe? Vi è un

solo modo in cui la dottrina Bagehot potrebbe venire utilizzata dalla banca centrale comune di

un’unione monetaria. Bagehot ha affermato il principio che in periodi di crisi la banca centrale

dovrebbe fornire una liquidità illimitata applicando un tasso penalizzante. L’applicazione di questo

principio era vista da Bagehot come una possibilità di fare fronte al problema dell’azzardo morale.

La banca centrale comune potrebbe applicare questo principio, impegnandosi a fornire una liquidità

illimitata non appena il tasso corrente sui titoli del debito del paese A dovesse superare quello su

titoli esenti da rischio (poniamo, il tasso sui titoli di stato tedeschi) in misura maggiore, poniamo, di

200 punti base (a puro titolo esemplificativo). Questa potrebbe essere per la BCE un possibile modo

di venire incontro alle preoccupazioni relative all’azzardo morale.

[Vedremo che la BCE con l’iniziativa OMT intrapresa ha seguito precisamente questa logica]

1.5. Unione politica e unione monetaria

Una morale che si può trarre dal dibattito che abbiamo illustrato è che un’UM fra paesi

disomogenei è un’impresa assai complessa che richiede grande coesione e solidarietà fra i paesi, e

in particolare un bilancio federale comune di sostanziosa entità con alle spalle una banca centrale

comune che lo garantisca. Questo è ciò che accade negli Stati Uniti dove la Federal Reserve (Fed)

funge da garante di ultima istanza per i titoli del governo federale. Tale assicurazione non è estesa

agli Stati membri, i quali sono così vincolati a un sostanziale pareggio di bilancio. La coesione

economica e sociale dell’unione è dunque assicurata dalle istituzioni federali. In Europa, come

approfondiremo, alla banca centrale è fatto addirittura divieto alla BCE di sostenere i titoli pubblici

(vedremo con quali scappatoie la BCE l’ha tuttavia fatto) mentre il bilancio federale è minuscolo.

Page 40: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

40 04/10/2015

La spiegazione di queste differenze è nel fatto che gli Stati Uniti sono un’unione politica

mentre UME e UE) non lo sono. Sfortunatamente i governanti europei hanno ritenuto che l’UM

potesse costituire un’accelerazione verso una maggiore unione politica. La crisi dell’UME sta

indicando che un’UM senza una preliminare unione politica non può funzionare: solo quest’ultima

può assicurare lo sviluppo di adeguati meccanismi assicurativi e di solidarietà tali da consentire

un’adeguata coesione economico-sociale. Come predetto da Nicholas Kaldor (1971: 206) nel

passaggio che segue, un’inversione dei termini – prima l’unione monetaria poi quella politica –

potrebbe allontanare quest’ultima, come sta ora accadendo in Europa:

Some day the nations of Europe may be ready to merge their national identities and create a

new European Union – the United States of Europe. If and when they do, a European

Government will take over all the functions which the Federal government now provides in

the U.S., or in Canada or Australia. This will involve the creation of a “full economic and

monetary union”. But it is a dangerous error to believe that monetary and economic union

can precede a political union or that it will act (in the words of the Werner report) “as a leaven

for the evolvement of a political union which in the long run it will in any case be unable to do

without”. For if the creation of a monetary union and Community control over national

budgets generates pressures which lead to a breakdown of the whole system it will prevent the

development of a political union, not promote it.

Conclusioni

Un’UM sostenibile sembra dunque implicare un bilancio federale con forme di trasferimenti fiscali

fra paesi membri e una BC che funga da prestatore di ultima istanza nei riguardi del debito sovrano.

L’impegno in questa direzione è dunque tale da richiedere una preliminare unità politica che leghi i

paesi alla solidarietà reciproca, mentre è sbagliato pensare che possa essere l’unificazione monetaria

ad accelerare l’unione politica, se non in forme impositive da parte dei paesi più forti.

Ci dobbiamo dunque domandare perché, alla luce di queste obiezioni, l’UME sia stata comunque

creata. Una risposta può forse provenire da questo mio articolino. Lo si studi perché la posizione di

Hayek verrà trattata a lezione. Una articolazione più complessa del ragionamento è in

http://www.asimmetrie.org/working-papers/wp-201508-alternative-interpretations-of-a-stateless-

currency-crisis/

Page 41: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

41 04/10/2015

Il “più Europa” (è) liberistaSergio Cesaratto

Il No greco al referendum ha scatenato un coro quasi unanime di commenti secondo cui

dall’impasse europea “fra gli opposti nazionalismi greco e tedesco” si esce solo con un’Europa

politica e solidale, “meno egoista” insomma. Nei più avveduti, questa visione muove dalla

constatazione che l’Europa monetaria non costituisce un’”area valutaria ottimale”. Si argomenta

dunque che un’unione monetaria sostenibile implica un’unione politica, la sola che può garantire

che i paesi forti si facciano carico, attraverso un cospicuo bilancio federale, dei paesi deboli. Ahimè

il modello mercantilista tedesco, disastroso in un’unione monetaria, è anche refrattario a una unione

federale “pesante”. Un argomento ancor più dirimente per dimostrare che un’Europa politica è pur

possibile, ma solo con uno Stato minimale, viene da un vecchio saggio di Hayek del 1939. La sua

argomentazione è che una federazione fra nazioni economicamente e culturalmente disomogenee (si

potrà poi ragionare sull’importanza relativa dei due aggettivi) e che controlli un cospicuo

ammontare di risorse, non potrà durare a lungo. Essa si fratturerà presto sui criteri di distribuzione

delle risorse e/o del potere di allocarle. La fine dell’ex-Yugoslavia è l’esempio più evidente. E basti

guardare a quello che succede in questi giorni. Che legittimazione avrebbe un’autorità federale

europea di andare contro la volontà di molti paesi di non aiutare la Grecia a sollevarsi? Non sarebbe

neppure troppo democratico, a ben vedere. Questo pone la parola fine al sogno dei più tenaci

europeisti per cui il problema dell’euro si risolverebbe completando l’unione monetaria con

l’unione politica. Dalla padella nella brace verrebbe da dire.

L’astuto Hayek precisa che politicamente sostenibile sarebbe invece uno Stato federale “leggero”,

che abbia poco o nessun potere redistributivo e che si occupi solo di regolamentare i mercati e poco

altro. Esso sarebbe non solo possibile, ma desiderabile. Per un liberista, naturalmente, non certo per

un socialista. Non sorprende che, tanto per fare un esempio nostrano, i più ostinati federalisti italiani

siano i radicali, tenaci liberisti in economia. E non è un caso che il Rapporto dei 5 Presidenti

(Draghi, Junker ecc.) sulla riforma politica dell’UE si rifaccia fondamentalmente al modello Hayek:

nessuna funzione fiscale perequativa a Bruxelles, banca centrale monetarista e limitazione

all’autonomia degli Stati nazionali.

In tal modo si completerebbe il disegno hayekiano che svuota del tutto gli Stati nazionali dei poteri

monetari e fiscali, privando le classi lavoratrici nazionali del loro terreno naturale di conflitto: il

proprio Stato nazionale. La democrazia si riduce così alle lotte per le libertà civili, coerentemente

ritenute centrali dai radicali (il resto la fa il mercato). Si completa così anche la globalizzazione:

Page 42: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

42 04/10/2015

non solo il capitale si sottrae al conflitto delocalizzando, ma anche lo Stato si fa evanescente - di

esso rimane solo il sorriso beffardo del gatto di Alice lassù da Bruxelles.

Naturalmente l’indefesso internazionalista ci dirà che a fronte della globalizzazione di Stato e

capitale, anche il lavoro si deve internazionalizzare e creare fronti sovra-nazionali. La storia è

tuttavia parca di esempi in questa direzione. L’intreccio fra lotte per l’indipendenza nazionale e per

il socialismo è invece un classico della storia del movimento operaio.

La vicenda greca impone che la sinistra prenda coscienza delle ragioni profonde della crisi europea,

e smetta di attribuirla a una generica tecnocrazia neoliberista. Vi sono ragioni materiali per cui

questa è l’unica Europa possibile ed è quella che le élite desiderano, avvantaggiandosi anche

dell’ingenuo europeismo della sinistra. Come Hayek aveva ben colto, il federalismo è la Mecca dei

liberisti (e dovrebbe essere anatema per i socialisti). Questo non implica l’abbandono dell’idea della

fratellanza fra i popoli. Attenzione però al fondamentalismo utopico: è di un vecchio e colto amico

de il manifesto, Danilo Zolo, ricordare la massima di Proudhon, “Chi dice umanità cerca di

ingannarti”.

(da http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2015/07/il-piu-europa-e-liberista.html)

Riferimenti bibliografici (provvisorio)

Bagnai A. (2012), Il tramonto dell’euro, Imprimatur ed.

Cesaratto, S. (2014). Balance of payments or monetary sovereignty? In search of the EMU's originalsin - a reply to Lavoie, Asimmetrie, WP 2014/06 (December),http://www.asimmetrie.org/wp-content/uploads/2014/12/AISWP201406.pdf

Cesaratto, S. (2015) FraMarx e List: sinistra, nazione e solidarietà internazionale a/ working papers2015/02 www.asimmetrie.org

Mundell, Robert, (1961), “A theory of optimum currency areas”, American Economic Review, vol.

51, no. 4, pp. 657-665.)

Friedman M. (1953), The Case for Flexible Exchange Rates, in Friedman M. (ed.), Essays in

Positive Economics, University of Chicago Press, pp. 157-203.

Godley, W. (1992), Maastricht and All That, London Review of Books, Vol.14, No. 19. [ link

English ] [ link Italiano ]

Fleming, J.M. (1971), On Exchange Rate Unification, The Economic Journal, 81, pp. 467-488

Frankel, J.A., Rose, A.K. (1996), The Endogeneity of the Optimum Currency Area Criteria,

National Bureau of Economic Research Working Paper 5700. [ link ]

http://www.economics.cornell.edu/arazin/Paul%20Krugman2012.pdf

Kaldor 1971 (The Dynamic Effects of the Common Market, New Stateman, 12 March 1971).

(http://www.concertedaction.com/2012/08/16/nicholas-kaldor-on-the-common-market/)

Page 43: Politica monetaria e fiscale dell’Unione Monetaria Europea · La necessità di una Unione Bancaria europea 8.5. La logica dei pilastri ... obbligatorio, gli studenti possono trovare

43 04/10/2015

Kenen, P.B. (1969), The Theory of Optimum Currency Areas: An Eclectic View, in R.A. Mundell

and A.K. Swoboda (eds.), Monetary Problems of the International Economy, Chicago

University Press, pp. 41-60.

Vianello F. (2005), La moneta unica europea, mimeo,

http://www.fernandovianello.unimore.it/site/home/una-selezione-di-scritti.html (ora in

Economia & Lavoro, vol. 47, pp.17-46).