Polimorfismo MHC e origine dell'uomo -...

3
CORREDO CROMOSOMICO DELL'UOMO CROMOSOMA 6 UMANO tétli tfoosSt &tie 4ti) ' <, t qattecru.zete `1/4.* eles f4444. t oPOIS> tttieel."'w ctíttEF REGIONE DELLA CLASSE I P5-3 IV-2 I 70 P5-2 80 21 VII-3 8- 1 AY IV 2 H P5-5 90 30 92 VI I III V I J / 16 175 i i 1U1 1ifJ1 II 311 OCT-3 C TLI II3B 1 17 'i P5-1 HSR1 FLIE DR (INATTIVO) B1 82 i 133 1 DRB1'0101 DRB1'0102 ORBI '0103 ORBI 1501 ORB1 '1502 DR/31'1503 DRB1 '1601 ORBI' 1602 DRB1 0301 DRB1 0302 ORBI '0303 ORSI '0401 DRBI '0402 ORO I'0403 ORO I'0404 ORBI '0405 DRB1 '0406 DRB1 '0407 DRB1 '0408 ORBI '0409 ORB1'0410 DRB1 0411 ORBI '0412 DRB1'11011 ORBI '11012 ORO 11102 ORO 11103 ORB111041 ORBI '11042 DRB1 '1105 ORBI '1201 ORBI '1202 DRB1'1301 ORBI '1302 DRB1'1303 ORBI '1304 ()ROI '1305 ORO l'1306 DRB1'1401 DRB1'1402 ORB1 '1403 ORSI '1404 DRB I '1405 DRB1 '1406 ()ROI '1407 ORO l'1408 DRB1 '1409 DRB11410 ORBI '0701 DRB1 '0702 ORO 1'080l ORB1 '08021 ORBI '08022 DRBI '08031 ORSI '08032 DRB1'0804 DRB1'09011 DRB1'09012 DRB1'1001 DRB30101 DR83'0201 DRB3'0202 DRB30301 LOCI A DI CLASSE I LOCI A E B DI CLASSE II L a regione cromosomica che codifica per il mag- gior complesso di istocom- patibilità è decisamente la parte più variabile del ge- noma. Nell'uomo è chiama- ta HLA ed è localizzata in un piccolo segmento del cromosoma 6 (in alto). Nel- la mappa molecolare (al centro) ogni rettangolo rap- presenta un locus. I colo- ri denotano raggruppamen- ti funzionali; i geni apparte- nenti alla classe I sono rap- presentati in verde e quelli della classe Il in rosso. Gli alleli noti sono elencati per tre loci selezionati (in que- sto riquadro); i simboli dei geni consistono nella desi- gnazione di un locus (come HLA-DRB1), seguita dalla designazione di un allele contrassegnata da un aste- risco (come *0101). REGIONE DELLA CLASSE II --, REGIONE DI LOCI NON CORRELATI CYP21P G15 C4B Hsp70 LMP7 DOB1 016 014 CYP21 )(A C4A Bf G9a Nomi G7a LTB TAP2 IDOA2 DRB1 DRB9 DOB I DOB3 IDOA1 \ DRB2 / I / / I i DRB3 \ DRA G1fi 017 OSG RD Glo 09 Hom2 G6 b G BAT5 02 G5 G4 13144 TNF G A B a 111 II IN I Il GLI13 012 111 i 1 2 G È] it lil 41- n - n 4-0-> RING9 D B KE4 DMB RING2 I COLIIA2 DPBI DMA TAP1 RING1 KE5 DPA21DPA1 KE3 RING3 LMP2 DPB2 1 / DNA 1111 I - O 100 CHILOBASI 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 1600 1700 1800 1 2000 2100 2200 2300 2400 2500 2600 2700 2800 2900 3000 3100 3200 3300 3400 3500 3600 3700 3800 44 LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994 La specie umana, si è originata da un ristretto gruppo di individui, for- se da un'unica donna, oppure ha avuto origine da un ampio gruppo, com- posto anche da 10 000 individui? Alcuni studi recenti sostengono l'idea che la no- stra specie, come altre, abbia avuto ori- gine all'interno di piccole popolazioni ancestrali, ma un'indagine sull'evolu- zione dei geni che controllano la capa- cità del sistema immunitario di ricono- scere le proteine estranee ha fornito ele- menti in disaccordo con una simile opi- nione. Per capire il problema, è utile ri- considerare il sistema immunitario, il modo in cui esso riconosce gli agenti in- vasori e i geni che lo controllano. La storia comincia più di mezzo se- colo fa con il patologo inglese Peter A. Gorer dell'University College di Lon- dra. Gorer scoprì che ogni organismo schiera sulla superficie della maggior parte delle cellule una vasta gamma di marcatori molecolari che distinguono l'uno dall'altro gli individui della stessa specie. Poiché questi marcatori determi- nano la compatibilità tra i vari tessuti (cioè la capacità di accettare un tessuto trapiantato da un altro individuo), sono stati chiamati molecole di istocompatibi- lità. In seguito, Gorer dimostrò che, tra le numerose molecole di istocompatibi- lità, vi è un insieme che ha un'influenza predominante. Questo insieme è prodot- to o, come dicono gli addetti ai lavori, specificato, da una regione cromosomi- ca nota come maggior complesso di isto- compatibilità (MHC), una lunga schiera di loci genici che occupano una singola regione di un cromosoma. (In genetica si indicano in corsivo i geni e in tondo le molecole da essi prodotte che portano, in genere, lo stesso nome.) Sappiamo oggi che il ruolo fisiologi- co delle molecole MHC non è propria- mente quello di rigettare i trapianti chi- rurgici, ma di indurre una risposta im- munitaria ai parassiti. Mentre vengono sintetizzate all'interno della cellula, le molecole MHC si legano a brevi peptidi che espongono poi sulla superficie cel- lulare. Per la maggior parte, questi pepti- di derivano da proteine dell'organismo (peptidi del sé), ma quando l'individuo è infettato da un parassita le molecole MHC che vengono via via assemblate raccolgono anche peptidi derivati dalla demolizione delle proteine dell'agente estraneo (proteine del non sé). Particolari linfociti, i linfociti T, scru- tano continuamente le superfici delle al- tre cellule: ignorando quelle che espon- gono peptidi del sé, si fissano su quelle le cui molecole MHC presentano peptidi estranei. Essi si comportano così perché possiedono recettori complementari del- la particolare combinazione costituita da molecole MHC del sé e peptidi del non sé. I recettori dei linfociti T riconoscono questa combinazione e così facendo at- tivano i linfociti i quali, a loro volta, mettono in moto una complessa schiera di meccanismi destinati a distruggere sia la cellula invasa sia lo stesso agente in- vasore. D'altro canto, nel caso di un tra- pianto di tessuto, i linfociti T riconosco- no come estranee le molecole MHC del donatore, che sono diverse da quelle del- l'ospite, e l'attacco immunitario viene quindi diretto contro il trapianto. La regione cromosomica per l'MHC umano, denominato complesso HLA (dall'inglese human leukocyte antigen), contiene oltre 100 geni e occupa una re- gione cromosomica la cui lunghezza su- pera i quattro milioni di coppie di basi. Solo alcuni di questi geni codificano per molecole interessate nella presentazione di peptidi ai linfociti T; gli altri com- prendono geni che controllano la scis- sione delle proteine in peptidi e il tra- sporto di questi attraverso le membrane; geni che specificano altre componenti del sistema immunitario; geni che con- trollano funzioni ignote o senza alcuna relazione con la risposta immunitaria; infine, geni non funzionali. I geni MHC veri e propri si possono inquadrare in due classi, I e II, che si distinguono sotto il profilo sia strutturale sia funzionale. Ci concentreremo qui sul gene DRB1, uno dei geni funzionali di classe II, presenti nell'uomo e in altri primati; tuttavia le conclusioni a cui si è giunti in base all'analisi di questo gene valgono, per la maggior parte, anche per altri geni per l'MHC. Il fatto che i trapianti di tessuti siano invariabilmente rigettati dall'ospite se il donatore non ha alcun vincolo di affinità con esso indica che, riguardo alle mole- cole MHC, siamo tutti diversi l'uno dal- l'altro. Questa conclusione è confermata dal sequenziamento dei geni MHC, che ha rivelato come ciascun locus codifi- cante per l'MHC possa essere occupato da uno tra molti alleli (forme geniche al- ternative). Poiché su un dato cromosoma vi sono parecchi loci codificanti per l'MHC ognuno dei quali ha vari alleli, sono teoricamente possibili moltissime combinazioni alleliche (almeno 1012). In realtà, nella popolazione umana si manifesta solo una frazione delle com- binazioni possibili; ma anche questa per- centuale è abbastanza elevata da assicu- rare che in pratica non vi possano essere due individui, senza affinità tra loro e scelti a caso, con gli stessi alleli MHC in corrispondenza di tutti i loro loci MHC. Questa situazione è in stridente contrasto con quella di altri sistemi ge- nici, nei quali ogni locus ha un solo al- lele oppure un basso numero di alleli, di cui uno comune e gli altri rari. La situa- zione in cui in un locus esistono alleli multipli e ogni allele è presente in una popolazione con una frequenza apprez- zabile viene definita polimorfismo. L'elevato numero di alleli è però sol- tanto una delle due straordinarie caratte- ristiche del polimorfismo del maggior complesso di istocompatibilità: la secon- da è la grande diversità che esiste tra gli alleli MHC a livello nucleotidico. Di so- lito, in altri sistemi genici gli alleli pre- senti in un determinato locus variano al più per alcune sostituzioni di nucleotidi; nell'MHC certi alleli differiscono invece per 100 o più sostituzioni. Ora, per quanto riguarda la speciazio- ne, cioè quel processo mediante il quale una specie parentale dà origine a specie figlie, se fosse vero che le nuove specie derivano da un piccolo numero di indi- vidui fondatori o, in caso estremo, dal materiale genico di un'unica femmina fecondata, i polimorfismi emergerebbe- ro ex novo dopo ogni speciazione. In al- tre parole, il polimorfismo dovrebbe es- sere più recente della specie. Ci si può facilmente rendere conto del perché im- maginando un sacchetto con 20 000 bi- glie di 40 diversi colori, in cui ogni co- lore sia rappresentato in modo uguale. Se si pescano a caso 100 biglie. c'è una probabilità molto bassa (il 2 per cento, per l'esattezza) che il campione conten- ga tutti i 40 colori. U na più precisa argomentazione ri- guardo alla comparsa relativamente recente del polimorfismo è fornita dalla teoria della coalescenza nella genetica di popolazioni. Si può pensare che anche i geni, come i re e gli aristocratici, abbia- no un albero genealogico. Le genealogie di due geni neutrali qualsiasi, scelti a ca- so in una popolazione tuttora esistente, possono essere teoricamente seguite al- l'indietro nel tempo fino a quando si fondono in un unico gene ancestrale. (Un gene è considerato «neutrale» quan- do non conferisce un vantaggio selettivo rispetto ad altri geni.) Il numero medio di generazioni necessario per ripercorre- re all'indietro le genealogie fino alla lo- ro coalescenza in un unico gene è uguale al doppio della dimensione effettiva del- la popolazione, ovvero grosso modo al doppio del numero di individui che si ri- producono. Pertanto, postulando una di- mensione effettiva dell'antica popola- zione pari a 10 000 individui e un tempo medio di 20 anni per una generazione, il tempo di coalescenza medio di due geni neutrali oggi presenti nella popolazione umana è pari a 400 000 anni. Poiché og- gi si ritiene che l'Homo sapiens arcaico sia comparso più di 500 000 anni fa, il polimorfismo della specie umana do- vrebbe essersi sviluppato in gran parte da quell'epoca in poi. Se questa conclusione valesse anche per i geni MHC, si dovrebbe presumere che questi geni abbiano una velocità di mutazione molto più elevata rispetto agli altri. Solo in questo modo essi avrebbero potuto accumulare, nello stesso interval- lo di tempo, un polimorfismo tanto mar- cato. In effetti, una quindicina di anni fa questo era ciò che più o meno tutti LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994 45 Polimorfismo MHC e origine dell'uomo La diversità dei tipi tissutali si è evoluta milioni di anni prima della comparsa di Homo sapiens di Jan Klein, Naoyuki Takahata e Francisco J. Ayala

Transcript of Polimorfismo MHC e origine dell'uomo -...

Page 1: Polimorfismo MHC e origine dell'uomo - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994_306_4.pdf · Il modello della coalescenza fa risalire le genealogie

CORREDO CROMOSOMICODELL'UOMO

CROMOSOMA 6 UMANO

tétli tfoosSt&tie 4ti)

'<, t qattecru.zete

`1/4.*eles f4444.toPOIS> tttieel."'w ctíttEF

REGIONE DELLA CLASSE I

P5-3

IV-2 I 70P5-2 80 21

VII-3 8-1 AYIV2 H P5-5 9030 92 VI I III V I J / 16 175

i i 1U1 1ifJ1 II 311

OCT-3C TLIII3B

117

'iP5-1

HSR1FLIE

DR

(INATTIVO)

B1

82 i

133 1

DRB1'0101

DRB1'0102

ORBI '0103

ORBI 1501

ORB1 '1502

DR/31'1503

DRB1 '1601

ORBI' 1602

DRB1 0301

DRB1 0302

ORBI '0303

ORSI '0401

DRBI '0402

ORO I'0403

ORO I'0404

ORBI '0405

DRB1 '0406

DRB1 '0407

DRB1 '0408

ORBI '0409

ORB1'0410

DRB1 0411

ORBI '0412

DRB1'11011

ORBI '11012

ORO 11102

ORO 11103

ORB111041

ORBI '11042

DRB1 '1105

ORBI '1201

ORBI '1202

DRB1'1301

ORBI '1302

DRB1'1303

ORBI '1304

()ROI '1305

ORO l'1306

DRB1'1401

DRB1'1402

ORB1 '1403

ORSI '1404

DRB I '1405

DRB1 '1406

()ROI '1407

ORO l'1408

DRB1 '1409

DRB11410

ORBI '0701

DRB1 '0702

ORO 1'080l

ORB1 '08021

ORBI '08022

DRBI '08031

ORSI '08032

DRB1'0804

DRB1'09011

DRB1'09012

DRB1'1001

DRB30101

DR83'0201

DRB3'0202

DRB30301

LOCI A DI CLASSE I• LOCI A E B DI CLASSE II

La regione cromosomicache codifica per il mag-

gior complesso di istocom-patibilità è decisamente laparte più variabile del ge-noma. Nell'uomo è chiama-ta HLA ed è localizzata inun piccolo segmento delcromosoma 6 (in alto). Nel-la mappa molecolare (alcentro) ogni rettangolo rap-presenta un locus. I colo-ri denotano raggruppamen-ti funzionali; i geni apparte-nenti alla classe I sono rap-presentati in verde e quellidella classe Il in rosso. Glialleli noti sono elencati pertre loci selezionati (in que-sto riquadro); i simboli deigeni consistono nella desi-gnazione di un locus (comeHLA-DRB1), seguita dalladesignazione di un allelecontrassegnata da un aste-risco (come *0101).

REGIONE DELLA CLASSE II --, REGIONE DI LOCI NON CORRELATICYP21P

G15 C4B Hsp70

LMP7 DOB1 016 014 CYP21 )(A C4A Bf G9a Nomi G7a LTB

TAP2 IDOA2 DRB1 DRB9DOB I DOB3 IDOA1 \ DRB2

/ I / / I i DRB3\ DRA G1fi

017 OSG RD Glo 09 Hom2 G6b G BAT5 02

G5G4 13144 TNF

G A Ba

111 II IN I IlGLI13 012 111i 1 2

G È]

it lil41- n - n 4-0->

RING9 D BKE4 DMBRING2 I COLIIA2 DPBI DMA TAP1

RING1 KE5 DPA21DPA1KE3

RING3 LMP2DPB2 1 / DNA

1111 I -

O 100

CHILOBASI200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 1600 1700 1800 1 2000 2100 2200 2300 2400 2500 2600 2700 2800 2900 3000 3100 3200 3300 3400 3500 3600 3700 3800

44 LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994

Laspecie umana, si è originata da un

ristretto gruppo di individui, for-se da un'unica donna, oppure ha

avuto origine da un ampio gruppo, com-posto anche da 10 000 individui? Alcunistudi recenti sostengono l'idea che la no-stra specie, come altre, abbia avuto ori-gine all'interno di piccole popolazioniancestrali, ma un'indagine sull'evolu-zione dei geni che controllano la capa-cità del sistema immunitario di ricono-scere le proteine estranee ha fornito ele-menti in disaccordo con una simile opi-nione. Per capire il problema, è utile ri-considerare il sistema immunitario, ilmodo in cui esso riconosce gli agenti in-vasori e i geni che lo controllano.

La storia comincia più di mezzo se-colo fa con il patologo inglese Peter A.Gorer dell'University College di Lon-dra. Gorer scoprì che ogni organismoschiera sulla superficie della maggiorparte delle cellule una vasta gamma dimarcatori molecolari che distinguonol'uno dall'altro gli individui della stessaspecie. Poiché questi marcatori determi-nano la compatibilità tra i vari tessuti(cioè la capacità di accettare un tessutotrapiantato da un altro individuo), sonostati chiamati molecole di istocompatibi-lità. In seguito, Gorer dimostrò che, tra

le numerose molecole di istocompatibi-lità, vi è un insieme che ha un'influenzapredominante. Questo insieme è prodot-to o, come dicono gli addetti ai lavori,specificato, da una regione cromosomi-ca nota come maggior complesso di isto-compatibilità (MHC), una lunga schieradi loci genici che occupano una singolaregione di un cromosoma. (In geneticasi indicano in corsivo i geni e in tondole molecole da essi prodotte che portano,in genere, lo stesso nome.)

Sappiamo oggi che il ruolo fisiologi-co delle molecole MHC non è propria-mente quello di rigettare i trapianti chi-rurgici, ma di indurre una risposta im-munitaria ai parassiti. Mentre vengonosintetizzate all'interno della cellula, lemolecole MHC si legano a brevi peptidiche espongono poi sulla superficie cel-lulare. Per la maggior parte, questi pepti-di derivano da proteine dell'organismo(peptidi del sé), ma quando l'individuoè infettato da un parassita le molecoleMHC che vengono via via assemblateraccolgono anche peptidi derivati dallademolizione delle proteine dell'agenteestraneo (proteine del non sé).

Particolari linfociti, i linfociti T, scru-tano continuamente le superfici delle al-tre cellule: ignorando quelle che espon-

gono peptidi del sé, si fissano su quellele cui molecole MHC presentano peptidiestranei. Essi si comportano così perchépossiedono recettori complementari del-la particolare combinazione costituita damolecole MHC del sé e peptidi del nonsé. I recettori dei linfociti T riconosconoquesta combinazione e così facendo at-tivano i linfociti i quali, a loro volta,mettono in moto una complessa schieradi meccanismi destinati a distruggere siala cellula invasa sia lo stesso agente in-vasore. D'altro canto, nel caso di un tra-pianto di tessuto, i linfociti T riconosco-no come estranee le molecole MHC deldonatore, che sono diverse da quelle del-l'ospite, e l'attacco immunitario vienequindi diretto contro il trapianto.

La regione cromosomica per l'MHCumano, denominato complesso HLA(dall'inglese human leukocyte antigen),contiene oltre 100 geni e occupa una re-gione cromosomica la cui lunghezza su-pera i quattro milioni di coppie di basi.Solo alcuni di questi geni codificano permolecole interessate nella presentazionedi peptidi ai linfociti T; gli altri com-prendono geni che controllano la scis-sione delle proteine in peptidi e il tra-sporto di questi attraverso le membrane;geni che specificano altre componentidel sistema immunitario; geni che con-trollano funzioni ignote o senza alcunarelazione con la risposta immunitaria;infine, geni non funzionali.

I geni MHC veri e propri si possonoinquadrare in due classi, I e II, che sidistinguono sotto il profilo sia strutturalesia funzionale. Ci concentreremo qui sulgene DRB1, uno dei geni funzionali diclasse II, presenti nell'uomo e in altriprimati; tuttavia le conclusioni a cui si ègiunti in base all'analisi di questo genevalgono, per la maggior parte, anche peraltri geni per l'MHC.

Il fatto che i trapianti di tessuti sianoinvariabilmente rigettati dall'ospite se ildonatore non ha alcun vincolo di affinitàcon esso indica che, riguardo alle mole-cole MHC, siamo tutti diversi l'uno dal-

l'altro. Questa conclusione è confermatadal sequenziamento dei geni MHC, cheha rivelato come ciascun locus codifi-cante per l'MHC possa essere occupatoda uno tra molti alleli (forme geniche al-ternative). Poiché su un dato cromosomavi sono parecchi loci codificanti perl'MHC ognuno dei quali ha vari alleli,sono teoricamente possibili moltissimecombinazioni alleliche (almeno 1012).

In realtà, nella popolazione umana simanifesta solo una frazione delle com-binazioni possibili; ma anche questa per-centuale è abbastanza elevata da assicu-rare che in pratica non vi possano esseredue individui, senza affinità tra loro escelti a caso, con gli stessi alleli MHCin corrispondenza di tutti i loro lociMHC. Questa situazione è in stridentecontrasto con quella di altri sistemi ge-nici, nei quali ogni locus ha un solo al-lele oppure un basso numero di alleli, dicui uno comune e gli altri rari. La situa-zione in cui in un locus esistono allelimultipli e ogni allele è presente in unapopolazione con una frequenza apprez-zabile viene definita polimorfismo.

L'elevato numero di alleli è però sol-tanto una delle due straordinarie caratte-ristiche del polimorfismo del maggiorcomplesso di istocompatibilità: la secon-da è la grande diversità che esiste tra glialleli MHC a livello nucleotidico. Di so-lito, in altri sistemi genici gli alleli pre-senti in un determinato locus variano alpiù per alcune sostituzioni di nucleotidi;nell'MHC certi alleli differiscono inveceper 100 o più sostituzioni.

Ora, per quanto riguarda la speciazio-ne, cioè quel processo mediante il qualeuna specie parentale dà origine a speciefiglie, se fosse vero che le nuove speciederivano da un piccolo numero di indi-vidui fondatori o, in caso estremo, dalmateriale genico di un'unica femminafecondata, i polimorfismi emergerebbe-ro ex novo dopo ogni speciazione. In al-tre parole, il polimorfismo dovrebbe es-sere più recente della specie. Ci si puòfacilmente rendere conto del perché im-

maginando un sacchetto con 20 000 bi-glie di 40 diversi colori, in cui ogni co-lore sia rappresentato in modo uguale.Se si pescano a caso 100 biglie. c'è unaprobabilità molto bassa (il 2 per cento,per l'esattezza) che il campione conten-ga tutti i 40 colori.

Una più precisa argomentazione ri-guardo alla comparsa relativamente

recente del polimorfismo è fornita dallateoria della coalescenza nella genetica dipopolazioni. Si può pensare che anche igeni, come i re e gli aristocratici, abbia-no un albero genealogico. Le genealogiedi due geni neutrali qualsiasi, scelti a ca-so in una popolazione tuttora esistente,possono essere teoricamente seguite al-l'indietro nel tempo fino a quando sifondono in un unico gene ancestrale.(Un gene è considerato «neutrale» quan-do non conferisce un vantaggio selettivorispetto ad altri geni.) Il numero mediodi generazioni necessario per ripercorre-re all'indietro le genealogie fino alla lo-ro coalescenza in un unico gene è ugualeal doppio della dimensione effettiva del-la popolazione, ovvero grosso modo aldoppio del numero di individui che si ri-producono. Pertanto, postulando una di-mensione effettiva dell'antica popola-zione pari a 10 000 individui e un tempomedio di 20 anni per una generazione, iltempo di coalescenza medio di due genineutrali oggi presenti nella popolazioneumana è pari a 400 000 anni. Poiché og-gi si ritiene che l'Homo sapiens arcaicosia comparso più di 500 000 anni fa, ilpolimorfismo della specie umana do-vrebbe essersi sviluppato in gran parteda quell'epoca in poi.

Se questa conclusione valesse ancheper i geni MHC, si dovrebbe presumereche questi geni abbiano una velocità dimutazione molto più elevata rispetto aglialtri. Solo in questo modo essi avrebberopotuto accumulare, nello stesso interval-lo di tempo, un polimorfismo tanto mar-cato. In effetti, una quindicina di annifa questo era ciò che più o meno tutti

LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994 45

Polimorfismo MHCe origine dell'uomo

La diversità dei tipi tissutali si è evoluta milionidi anni prima della comparsa di Homo sapiens

di Jan Klein, Naoyuki Takahata e Francisco J. Ayala

Page 2: Polimorfismo MHC e origine dell'uomo - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994_306_4.pdf · Il modello della coalescenza fa risalire le genealogie

Il modello della coalescenza fa risalire le genealogie dei geni (linee in colore) a unantenato comune. Questo schema rappresenta una popolazione di cinque indivi-dui, ciascuno con due geni (dischi in giallo). In mancanza di selezione, il numerostimato di generazioni (righe) che separano una coppia di geni affini sarebbe ugua-le a 10, ossia due volte la dimensione della popolazione effettiva. Ma poiché la po-polazione è così esigua, gli effetti casuali sono rilevanti e la stima molto variabile.

9

pensavano del polimorfismo del mag-gior complesso di istocompatibilità; tut-tavia, uno di noi (Klein) non ha condi-viso questa unanimità.

Alla fine degli anni settanta BernhardArden, Edward K. Wakeland e Klein,che a quell'epoca lavoravano tutti alMax-Planck-Institut fiir Biologie di Tti-bingen, trovarono alleli per l'MHC iden-tici in due specie di topo differenziatesidue milioni di anni fa. Questo risultatoinatteso, in specie la cui diversità dellemolecole MHC è perlomeno pari a quel-la umana, implica che i geni MHC nonsi siano evoluti più rapidamente di altri.

Nel 1980 Klein propose che la grandediversità degli alleli MHC a livello nu-cleotidico derivi non da una velocità dimutazione elevata, ma dalla trasmissio-ne del polimorfismo del maggior com-plesso di istocompatibilità dalla specieparentale alle specie figlie. Secondoquest'ipotesi transpecifica, la maggiorparte degli alleli MHC viene trasmessanel corso della speciazione, proprio co-me i gioielli di famiglia vengono passatidi generazione in generazione. Pertantoil tempo di coalescenza medio degli al-leli per l'MHC può essere molto più lun-go della vita di una specie.

La prima prova diretta in favore del-l'ipotesi transpecifica si ebbe nel 1988,quando si cominciarono a confrontare lesequenze di alleli MHC appartenenti aspecie affini. Klein e Felipe Figueroa delMax-Planck-Institut di Ttibingen, in col-laborazione con Eberhardt Gtinther del-l'Università di Góttingen, dimostraronol'esistenza di alleli che si erano differen-

ziati prima della separazione delle lineeevolutive che condussero al topo dome-stico e al ratto delle chiaviche, un eventoche si fa attualmente risalire a più di 10milioni di anni fa. Prove dell'antichitàdegli alleli MHC nei roditori e nei pri-mati sono state trovate anche nei labo-ratori di Wakeland, che oggi lavora al-l'Università della Florida a Gainesville,di Werner E. Mayer del Max-Planck-In-stitut di Ttibingen, di Peter Parham dellaStanford University, di Henry A. Erlich,che allora lavorava alla Cetus Corpora-tion di Emeryville in California, di Ro-nald E. Bontrop della ITRI-TNO di Rijs-wijk, nei Paesi Bassi, e di altri.

Un esempio di polimorfismo transpe-cifico è offerto da due alleli umani pre-senti nel locus DRBI: essi differisconodi più l'uno dall'altro di quanto differi-scano i corrispondenti alleli di scimpan-zé. Le relazioni possono essere misuratecon precisione in termini di distanze ge-netiche, cioè come rapporto tra il nume-ro di sostituzioni nucleotidiche e il nu-mero di siti confrontati. Si può costruireun albero genealogico dei quattro alleliin cui queste distanze siano proporzio-nali alla lunghezza dei rami e i geni conle più brevi distanze tra loro siano vicini.

L'albero indica che i due alleli umanisi sono differenziati da un gene ancestra-le comune prima che gli antenati dellaspecie umana e dello scimpanzé si sepa-rassero l'uno dall'altro, oltre quattro mi-lioni di anni fa. Klein, Figueroa e ColmO' hUigin del Max-Planck-Institut di Tii-bingen hanno ottenuto dati secondo cuialtri alleli MHC umani si sarebbero dif-

ferenziati prima della separazione delleproscimmie dagli altri primati, oltre 65milioni di anni fa. Durante tale periododevono essere avvenute molte speciazio-ni e il polimorfismo del maggior com-plesso di istocompatibilità si deve esseretrasmesso attraverso ognuna di esse.

T; antichità delle genealogie di alleliMHC è in contraddizione con la

conclusione a cui è giunta la teoria dellacoalescenza, secondo la quale tutti gli al-leli umani risalirebbero a non più di400 000 anni fa. Nel 1990, uno di noi(Takahata) propose che la difficoltà fos-se insita nella principale premessa dellateoria: a suo parere, i geni in questionenon sarebbero neutrali, ma soggetti auna selezione equilibratrice, una formadi selezione che conserva due o più alleliall'interno di una popolazione per untempo più lungo di quanto ci si attende-rebbe se essi fossero soggetti a derivacasuale. Nell'estendere la teoria a genisottoposti a selezione, Takahata dimo-strò che il tempo di coalescenza varia inproporzione all'intensità della selezione:quanto più essa è intensa, tanto maggio-re è il tempo che due linee genealogichedi geni impiegano per fondersi. I suoicalcoli danno tempi medi di coalescenzadi molti milioni di anni.

Una prova indiretta che i geni che co-dificano per l'MHC sono sottoposti a se-lezione equilibratrice venne fornita daAustin L. Hughes e Masatoshi Nei, chelavoravano entrambi allo Health ScienceCenter dell'Università del Texas a Hou-ston. Questa prova si basa sulla distin-zione tra sostituzioni nucleotidiche chenon modificano l'identità degli ammi-noacidi specificati (indicate come sino-nime) e sostituzioni nucleotidiche chemodificano invece l'identità degli am-minoacidi specificati (e sono indicatecome non sinonime). Dato che le muta-zioni influiscono in maniera uguale suisiti sinonimi e non sinonimi, il rapportotra i due tipi di sostituzione (parametroche chiamiamo gamma) dovrebbe essereuguale a 1, ammesso che le sostituzionisiano selettivamente neutrali.

Le sostituzioni sinonime sono gene-ralmente neutrali, mentre quelle non si-nonime possono conferire un vantaggioe quindi produrre una «selezione positi-va» che dà un valore gamma superiorea 1. Queste sostituzioni possono ancheconferire uno svantaggio, provocandouna «selezione negativa» che rende ilvalore gamma inferiore a I. Pertanto ilparametro gamma dovrebbe rivelare lapresenza della selezione.

Hughes e Nei divisero la regione cro-mosomica che codifica per l'MHC indue parti: una che codifica per gli am-minoacidi interessati nel legame con ipeptidi (regione di legame con i peptidio PBR) e l'altra che comprende il restodel gene (non PBR). Essi trovaronoquindi che nei geni che codificano perl'MHC i valori gamma erano superiori auno per il segmento PBR e inferiori per

la parte non PBR, e ne conclusero che laselezione favorisce le sostituzioni di am-minoacidi nella regione PBR (dove ineffetti è concentrata la maggior parte delpolimorfismo), sfavorendole invece nel-la restante parte del gene.

Nel 1991 Adrian V. S. Hill e collabo-ratori dell'Università di Oxford presen-tarono una possibile prova diretta dellaselezione positiva dei geni per l'MHCdimostrando che certi alleli MHC umanicontribuiscono a proteggere l'organismoda Plasmodium falciparum, il parassitamalarico responsabile della terzana ma-ligna. La PBR della molecola MHC èquindi sottoposta a una pressione selet-tiva che la induce a diversificarsi, presu-mibilmente allo scopo di offrire prote-zione dalla grande varietà di parassiti aiquali è esposto un vertebrato. La sele-zione è ciò che mantiene per lunghi pe-riodi di tempo le genealogie degli alleliper l'MHC nella popolazione e permetteloro di essere trasmessi dalla specie pa-rentale alle specie figlie.

Dato che l'evoluzione della diversitàdel maggior complesso di istocompati-bilità dipende dal numero di individuiche si riproducono, si deve dare perscontata una certa dimensione della po-polazione per fare affermazioni sullapersistenza degli alleli. In realtà, tutta-via, non sappiamo quanto fosse grandein passato la popolazione umana, parti-colarmente al momento della comparsadella specie.

C ome abbiamo ricordato all'inizio, sipresuppone di frequente che una

specie abbia origine da piccole popola-zioni fondatrici, e in effetti un similescenario può benissimo spiegare l'origi-ne delle specie insulari (si veda l'artico-lo La selezione naturale e i fringuelli diDarwin di Peter R. Grant in «Le Scien-ze» n. 280, dicembre 1991). Ma, in ge-nerale, non si dispone di alcuna informa-zione diretta sulla dimensione delle po-polazioni fondatrici. Per fortuna, però, ilpolimorfismo MHC offre l'opportunitàdi studiare indirettamente la speciazio-ne: se fosse noto il numero di alleliMHC che una specie figlia ha ereditatodalla specie parentale (e anche la velo-cità di mutazione e l'intensità della se-lezione), si potrebbe stimare la dimen-sione della popolazione fondatrice.

Ammettiamo di aver trovato un certonumero di alleli per l'MHC in una po-polazione di una data dimensione. Sepotessimo ripercorrere all'indietro neltempo la genealogia degli alleli, osser-veremmo innanzitutto due alleli che sifondono, poi ancora altri due e così via,fino a quando tutti gli alleli oggi presentisi siano fusi in un unico antenato comu-ne. Si immagini di aver appena assistitoa una fusione e di essere in attesa dellasuccessiva; il tempo di attesa diventauna variabile casuale che può avere teo-ricamente un valore qualsiasi da zero al-l'infinito. In realtà, però, certi tempi diattesa sono più probabili di altri e pos-

sono essere calcolati partendo dalla di-mensione della popolazione e dal nume-ro di alleli ancestrali (quanto maggioreè questo numero, tanto più rapida è lacoalescenza). Per contro, se il tempo dicoalescenza e il numero di alleli ance-strali sono noti, possiamo stimare la di-mensione effettiva della popolazione.

Per valutare il tempo di coalescenza,si confrontano le sequenze nucleotidichedegli alleli MHC in un dato locus, sicalcolano le loro distanze genetiche esi rappresentano queste differenze sottoforma di albero genealogico. Yoko Sattadel Max-Planck-Institut di Ttibingen haindicato come sia possibile mettere inrapporto un simile albero con la crono-logia assoluta, dimostrando che le sosti-tuzioni sinonime negli alleli per I'MHCavvengono con regolarità cronometricase le si esamina su lunghi periodi di tem-po, ed è riuscita a calibrare le datazionifacendo riferimento alla documentazio-ne fossile.

La velocità che la Satta ha calcolatopermette di leggere i tempi di coalescen-za di singole coppie di alleli su un alberogenealogico, come pure il numero di al-leli ancestrali esistiti in un qualsiasi

istante passato. Dal numero noto di alleliMHC-DRB1 ancora esistenti stimiamoche la dimensione effettiva a lungo ter-mine della popolazione umana negli ul-timi 500 000 anni sia stata dell'ordine di100 000 individui. I calcoli effettuati peraltri loci per l'MHC umano danno gene-ralmente stime analoghe. Una dimensio-ne rilevante della popolazione si ricavaanche per altre specie di primati il cuipolimorfismo MHC è definito in modoragionevolmente buono.

Tuttavia questi calcoli non escludonola possibilità che la popolazione abbia diquando in quando subito un declino, for-se in seguito a epidemie o carestie. Si-mili cataclismi demografici avrebberoprodotto «colli di bottiglia» genetici, co-sì chiamati perché consentono solo a unafrazione di alleli di passare alla fase suc-cessiva della storia evolutiva della popo-lazione. Non si deve, comunque, chia-mare per forza in causa un cataclisma:non è difficile immaginare che un pic-colo gruppo di individui possa a un certopunto separarsi dalla popolazione prin-cipale, migrare verso una regione distan-te ed espandersi nel nuovo ambiente,dando origine a una nuova specie.

LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994 47

La risposta immunitaria ha inizio quando una molecola MHC (in grigio) che vie-ne sintetizzata nella cellula si lega con un peptide (in rosso). Il complesso che nerisulta si trasferisce sulla superficie cellulare, dove viene esposto ai linfociti T. Que-sti lo ignorano se il peptide è derivato dalle proteine dell'ospite, mentre si fissa-no su di esso se il peptide è estraneo. Il legame ha lo scopo di attivare i linfociti.

46 LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994

Page 3: Polimorfismo MHC e origine dell'uomo - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994_306_4.pdf · Il modello della coalescenza fa risalire le genealogie

«COLLO DI BOTTIGLIA»

Il processo dell'origine di una specie a partire da pochi fondatori dovrebbe lasciareun segno rivelatore sotto forma di ridotto polimorfismo. La popolazione rappresen-tata in alto è ristretta a soli due individui da un «collo di bottiglia», con quattroalleli in corrispondenza di un singolo locus. I due fondatori possono trasmettere nonpiù di quattro alleli alle generazioni successive e quindi a qualsiasi specie nuova acui possano dare origine. In questo caso la deriva genetica ha lasciato solo due allelida trasmettere alla nuova specie. I dischetti rappresentano i geni, i colori i vari alleli.

HLA-DRB1*0701

Patr-DRB1*0702

Alberi dentro gli alberi

Il polimorfismo transpecifico è evidente in questo con-fronto del locus per I'MHC-DRB1 tra uomo (HLA) e

scimpanzé (Patr). In ciascuna specie si sono paragonatidue alleli; quelli umani differiscono l'uno dall'altro (righeverticali in alto) più di quanto differiscano dalle relative

parti nello scimpanzé. Quando le differenze sono trasfor-mate in distanze genetiche e rappresentate tramite un al-goritmo in un albero genealogico (a sinistra in basso), iltipo di ramificazione indica che gli alleli si sono differen-ziati molto prima delle due specie (a destra in basso).

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 20 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 71 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0

HLA-DRB1`0302HLA-DRB1*0701 1111111111 I 1 1 II I II Il I 1 III I1111 _J

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 20 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 71 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0

HLA-DRB1*0302Patr-DRB1*0305

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 20 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 5 5 6 6 715 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0 5 0

SPECIE ANCESTRALE

Patr-DRB1'0305

HLA DRB1*0302

— Patr-DRB1*07021

HLA-DRB1*076111

0,00 0,01 0,02 0,03 0,04 0,05DISTANZA GENETICA

SPECIAZIONE

SPECIE A SPECIE B

TI comportamento dei geni nella fase acollo di bottiglia è difficile da analiz-

zare con metodi matematici a causa delforte effetto delle fluttuazioni casuali,ma può essere simulato al calcolatore. Siparte da 100 000 «individui» che possie-dono 200 000 «geni»; ognuno di questigeni porta l'uno o l'altro di 40 differenti«alleli», che sono presenti con frequenzauguale. Il calcolatore estrae a caso 1000geni (e, quindi, 500 individui), istituen-do così la prima «generazione» del collodi bottiglia. Da questo insieme estrae al-tri 1000 geni (la seconda generazione),sostituendo ogni volta il gene estrattocon un altro gene dello stesso tipo primadi estrarre il successivo. Dopo aver ela-borato 10 generazioni, la macchina con-ta gli alleli rimanenti e la frequenza concui compaiono. L'intera simulazioneviene quindi ripetuta numerose volte perottenere una stima della probabilità chetutti gli alleli passino attraverso il collodi bottiglia.

Risulta così che tutti i 40 alleli supe-rano il collo di bottiglia nel 60 per cento

delle simulazioni. Se il collo di bottigliaè molto più stretto oppure se si estendeper un numero di generazioni molto piùgrande, la probabilità scende a un livellotanto basso da non permettere di atten-dersi realisticamente che il polimorfi-smo venga trasmesso da specie a specie.Pertanto concludiamo da queste simula-zioni che la popolazione fondatrice diuna specie non possa consistere di menodi 500 individui che si riproducono. Inrealtà, la dimensione minima è probabil-mente molto al di sopra di questo valoreperché abbiamo stabilito deliberatamen-te le condizioni della simulazione in mo-do da ottenere una sottostima (abbiamoconsiderato gli alleli in corrispondenzadi un solo locus e soltanto quelli che dif-feriscono a livello della PBR).

Queste stime sono in contraddizionecon l'idea assai diffusa che le specie ab-biano origine da piccole popolazionifondatrici in cui fluttuazioni casuali del-le frequenze geniche producono le con-dizioni necessarie per ottenere effetti piùintensi dalla selezione naturale. Il poli-

morfismo MHC esclude categoricamen-te la possibilità che le popolazioni uma-ne moderne siano derivate da un singoloindividuo, da una Eva.

Nel 1987 Rebecca L. Cann, che alloralavorava all'Università della Californiaa Berkeley, e collaboratori riferirono ri-sultati ottenuti analizzando il DNA mi-tocondriale di parecchie popolazioni u-mane (si veda l'articolo Una genesi afri-cana recente di Allan C. Wilson e Re-becca L. Cann in «Le Scienze» n. 286,giugno 1992). Quest'analisi non fu laprima e non sarà l'ultima del genere, maebbe una vasta risonanza principalmentea causa dell'espressione usata dagli au-tori («Eva mitocondriale»), ampiamenteintesa, soprattutto da parte della stampapopolare, nel senso che gli esseri umanimoderni abbiano avuto origine da unsingolo individuo. In realtà, lo studiodella Cann e collaboratori non dimostra-va questo. Ciò che gli autori sostenevanodi essere riusciti a stabilire (benché an-che questo sia contestato da parecchi ri-cercatori) è che tutte le varianti di DNA

mitocondriale oggi presenti nella popo-lazione umana sono derivate da una mo-lecola ancestrale posseduta da una fem-mina vissuta all'incirca 200 000 anni fa.

Una simile conclusione, anche se ve-ra, non significherebbe affatto che l'al-bero genealogico della specie umana eb-be inizio 200 000 anni fa con una singo-la madre: vorrebbe soltanto dire che gli«alleli» ancora esistenti del DNA mito-condriale si sono fusi in un'unica mole-cola ancestrale presente a quell'epoca.Ma, poiché il DNA mitocondriale vieneereditato come unità, lo si può conside-rare alla pari di tutti gli altri 40 000 geniumani, ciascuno dei quali può essere fat-to risalire, teoricamente, a un proprio ge-ne ancestrale. Questi geni esistettero intempi diversi del passato; i geni perl'MHC, come abbiamo visto, possonoderivare da antenati vissuti più di 65 mi-lioni di anni fa. L'espressione «Eva mi-tocondriale» ha indotto molti a pensarein termini di alberi genealogici degli in-dividui, anziché di alberi genealogici deigeni. I dati della Cann e collaboratorinon sono realmente in contraddizionecon i dati relativi all'MHC né dimostra-no una fase a collo di bottiglia nell'evo-luzione della specie umana.

I dati sull'MHC sottintendono che laprimitiva linea di discendenza degliominidi si sia scissa, a un certo punto,in almeno due popolazioni, una dellequali ha condotto all'attuale Homo sa-piens. Questa popolazione consistevain almeno 500, ma più probabilmente10 000, individui riproduttori, i qualipossedevano la maggior parte degli alle-li MHC e delle genealogie alleliche chesi trovano oggi nella popolazione uma-na. Questa grande popolazione ancestra-le può essersi suddivisa in gruppi piùpiccoli, ma questi dovevano ancora co-municare tra loro, scambiandosi conti-nuamente geni e impedendo così la per-dita, per fluttuazione casuale delle fre-quenze geniche, del prezioso tesoro delpolimorfismo MHC. Il polimorfismoche oggi protegge gli esseri umani daiparassiti è un'eredità che è stata trasmes-sa attraverso innumerevoli generazioniper oltre 65 milioni di anni.

ja stima della dimensione della popo-i

li lazione evolutasi in Homo sapiens èsoltanto un esempio delle applicazionidel polimorfismo delle molecole MHC.In futuro dovrebbe anche essere possibi-le valutare la dimensione delle tribù co-lonizzatrici che sono state le artefici del-le grandi migrazioni umane, raggiun-gendo le Americhe, l'Australia, la Poli-nesia e il Giappone. In termini più ge-nerali, il polimorfismo delle molecoleMHC verrà indubbiamente sfruttato performulare ipotesi sulla natura dello stes-so processo di sviluppo di nuove specie.Per esempio, dovrebbe essere possibilescoprire se il cambiamento evolutivo ab-bia luogo soprattutto attraverso singoli«salti» al momento della speciazione(come sostengono i paladini della teoria

degli equilibri punteggiati), oppure se sitratti di un processo continuo che siestende per tutta la vita di una specie (siveda l'articolo L'evoluzione del dar-winismo di G. Ledyard Stebbins e Fran-cisco J. Ayala in «Le Scienze» n. 205,settembre 1985). Si dovrebbe anche po-ter accertare se le specie compaiano per«gemmazione» da una specie ancestraleche continua a esistere, oppure se ognispeciazione comporti la trasformazionegraduale di una specie in un'altra.

Il polimorfismo del maggior comples-so di istocompatibilità contribuirà a ri-solvere questi e altri problemi negli or-ganismi in cui è presente, ma gli stessimetodi possono essere estesi ad altri po-limorfismi genici. Ne sono un esempioeloquente i sistemi genici che controlla-no l'autoincompatibilità nelle piante. Inmolte specie vegetali, il polline deposi-tato su uno stimma non riesce a germi-nare e a svilupparsi all'interno dello stilodel pistillo se polline e pistillo esprimo-no lo stesso allele in corrispondenza diun locus di autoincompatibilità. In un si-mile locus possono trovarsi parecchiedecine di alleli.

Thomas R. Ioerger, ora all'Universitàdell'Illinois, e Andrew G. Clark e Teh--Hui Kao della Pennsylvania State Uni-versity hanno studiato le sequenze nu-cleotidiche di alleli appartenenti a trespecie della famiglia delle solanacee:una pianta di tabacco ornamentale, unapetunia selvatica e una patata selvatica.Essi hanno trovato che in una data spe-cie alcuni alleli sono più divergenti l'u-

no dall'altro che non, individualmente,dalle loro controparti in un'altra specie,e hanno concluso che alcune genealogiedi alleli dovevano essere preesistenti alladivergenza delle tre specie, avvenuta cir-ca 27-36 milioni di anni fa. Pertanto, an-che per queste specie, le popolazionifondatrici dovevano essere ampie.

Questo dato, così simile a quello chefa confluire gli alleli per l'MHC dell'uo-mo e dello scimpanzé in un antenato co-mune, dimostra le notevoli possibilitàinerenti allo studio comparato della di-versità tra alleli. Tutte queste indagini,fornendo un'opportunità di studiare po-polazioni vissute milioni di anni fa, do-vrebbero servire come punto di partenzaper una nuova disciplina scientifica: lapaleogenetica di popolazioni.

BIBLIOGRAFIA

KLEIN JAN e FIGUEROA FELIPE, Evolu-tion of the Major HistocompatibilityComplex in «CRC Critical Reviews inImmunology», 6, n. 4, 1986.

KLEIN JAN, Natural History of the Ma-jor Histocompatibility Complex, JohnWiley & Sons, 1986.

TAKAHATA NAOYUKI, A Simple Ge-nealogical Structure of Strongly Balan-ced Allelic Lines and Trans-species Evo-lution of Polymorphism in «Proceedingsof the National Academy of Sciences»,87, n. 7, aprile 1990.

48 LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994

LE SCIENZE n. 306, febbraio 1994 49