Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

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LE STORIE DI P O L I B I O DA MEGALOPOLI VOLGARIZZATE SUL TESTO GRECO DELLO SCHWEIGHAUSER E CORREDATE DI NOTE DAL DOTTORE I. KOHEN TRIESTE TOMO TERZO MILANO DALLA TIPOGRAFIA De ’ FRATELLI SONZOGNO i8a5.

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LE STORIE

D I

P O L I B I O

DA M E G A L O P O L I

VOLGARIZZATE

SUL TESTO GRECO DELLO SCHWEIGHAUSER

E CORREDATE DI NOTE

DAL DOTTORE I. KOHEN

DÀ T R I E S T E

TOMO T E R Z O

MILANODALLA TIPOGRAFIA De ’ FRATELLI SONZOGNO

i 8a5 .

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DELLE STORIE

DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.

LIBRO QUINTO.

T 1I. JLl a s s o in cui Arato il minore era statò pretore finiva, già col sorger delle Pleiadi : che così (i) computava allor il temjko la nazione Achea. Questi adunque depose la m agistratura, ed (a) Eperato assunse il governo de­gli Achei. Gli Etoli ebbero a pretore (2 ) Dorimaco. Circa lo stesso tempo Annibaie, in sul principio della s ta te , intraprendeva già manifesta guerra contro i Ro­mani , e partitosi da Cartagine nuova, e passato il fiume E b ro , incominciava ad eseguir il disegno di an­dar in Italia. I Romàni spedirono Sempronio in Africa con un esercito, e Pubblio Cornelio in Ispagna. Antioco e Tolem eo, poiché disperarono di compor le loro dif­ferenze intorno alla Celesiria colle ambascerie e cogli abboccamenti, incominciarono a farsi la guerra. Il re F ilippo, che abbisognava di vettovaglie e di danaro per il mantenimento dell’esercito, convocò gli Achei a par-

A .d iR536C X L Ì Ì

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✓i.d iR . lamento per mezzo de’ loro maestrati. Ragunatasi la

536 moltitudine in Egio conformemente alle leggi, reggen­

do egli che gli Arati (3) tergiversavano, per cagione delle male arti che Apelle usava contra di loro nell’ele­zione de’ m aestrati, ed Eperato , era per natura iner­te, e da tutti dispregiato : arguita quindi la colpa d’ A- pelle e di Leonzio, risolvette d’appigliarsi nuovamente ad Arato. Indusse adunque i maestrati a trasferire il congresso in Sicione, ed accostatosi ad amendue gli A rati, ed accagionando Apelle di tutto 1’ accaduto , pregolli a persistere ne1 sentimenti di prima. A che a- vendo essi prontamente acconsentito, il re entrò fra gli Achei, e pella cooperazione degli anzidetti, ottenne ogni cosa a seconda de’suoi disegni. Imperciocché de­cretarono gli Achei di dargli tosto (4) per la prima le­vata cinquanta talenti, di distribuire all’ esercito tre mesi di soldo , e d’ aggiungervi diecimila moggi di fru­mento; e peli’ avvenire , ogni qual volta egli stesso ve­nisse a guerreggiar insieme con loro nel Peloponneso, percepisse ciaschedun mese dagli; Achei diciassette ta­lenti.

II. Fatto questo decreto , gli Achei ritornarono alle loro respettive città. Poiché l’esercito uscì delle stanze, il re consigliatosi cogli amici determinò di far la guerra per mare $ persuaso che in tal guisa soltanto egli po­trebbe d’ improvviso affacciarsi a’ nemici da tutte le parti 5 laddov’ essi non potrebbonsi soccorrer vicende­volmente , come quelli eh’ erano divisi di paese , e te- mevan ciascheduno per sè stesso l’ incerta e subitanea comparsa de’nemici per mare. Imperciocché avea egli

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guerra cogli E to li, co’ Lacedemoni!, e cogli Elei. Ciò A .d iR

stabilito, adunò le navi degli Achei e le proprie nel 536 Lecheo, e facendo continui sperimenti esercitava i sol­dati della falange, e gli assuefaceva a maneggiar i remi, eseguendo i Macedoni di buon grado ogni suo coman­damento. Avvegnaché son essi ne' cimenti di terra e nelle battaglie campali provatissimi e valorosissimi, e dove il bisogno lo richieda prontissimi alle marittime im prese, instancabili nel tirar fossi, e piantare stec­cati , ed in ogni genere di siffatti lavori, non altrimenti) che gli Eacidi, introdotti da Esiodo,

« (5) Godati la guerra , a l pari & un banchetto ».

Il re adunque e la soldatesca de’ Macedoni ocCupavansì a Corinto negli esercisti ed apparecchi marittimi. Apelle pertan to , non potendo soggiogar F ilippo, nè sop­portare il proprio abbassamento , in .veggendosi di- «prezzato, congiurò con Leonzio e M egalea, eh’ essi guastassero i disegni del re in tutti gli affari a ’ quali in­tervenissero , mentre eh1 egli, recatosi a Calcide, pro­caccerebbe che non gli fosse fornito il bisognevole per le imprese. Costui adunque, poich’ ebbe concertata co­gli anzidetti (6 ) la maliziosa tram a, andò a Calcide, adducendo al xe certi assurdi pretesti, e intrattenutosi colà, con tanta costanza attenne il giuramento, ubbi­dendo a lui tutti mercè dell’antica sua autorità, che alla fine fu costretto il re dal bisogno a (impegnar le argenterìe , che per uso proprio tenea, affine di sosten­tarsi. Raccolti che furon i vascelli, e i Macedoni in­strutti nel rem are, il re distribuì all’ esercito il fru-

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.diR . mento e il soldo, salpò, e il giorno susseguente ap* 536 prodò a Patra con seimila Macedoni e milledugento

mercenarii.III. Nello stesso tempo Dorimaco pretore degli Etoli

mandò agli Elei Agelao e Scopa con cinquecento (7 ) cerne di Creta. Gli Elei temendo, non Filippo pren­desse ad assediar (8 ) Cillene, fecero ragunata di mer­cenarii , e tennero apparecchiati i proprii soldati ; af- forzaron eziandio Cillene con molta cura. Locohè scor­gendo F ilippo, raccolse i mercenarii degli Achei, ed alcuni Cretesi che- seco ave a , e parte della cavalleria Gallica, e con essi uno scelto drappello delle milizie d’A- ch ea , che tutti sommavano duemila, e Iasciolli nella città di Dim e, afBnehè a lui fossero di sussidio, ed insieme gli prestassero servigio di guardia contro le minacce degli Elei. Egli avendo già prima scritto ai M essenii, agli Epiroti, agli Acarnani e a Scerdilaida di armar tutte le loro navi, e di venirgli incontro a (9 ) Cefallenia, salpò da Pàtrà secondòchè avea stabilito, ed afferrò a Pronno in Cefallenia. Vèggendo la picciola città di (1 0 ) Pronno difficile da assediarsi, e il suo contado ristretto , andò innanzi coll’ armata e prese porto néll» città «li ( 1 1 ) Paiunte. Scorgendo la campagna di questa abbondante di frumento, èd atta a nutrire 1’ e- sercito , sbarcò le sue forze ed accampossi presso alla c ittà } e tratte le navi a te rra , circondolle di fossa e di steccato T e mandò i Macedoni a foraggiare. Egli girò intorno alla città , esaminando come possibil fosse d1 accostar alle mura le opere e le macchine; con ani­mo di ricevere colà gli alleati, ed insieme espugnar la

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eittà. E ra suo intendimento, in primo luogo di torre J .d iR .

agli Etoli, i marinai di cui avean sommo bisogno } per* 536 ciocché valevansi delle navi de’ Cefalleni, quando fa- ceano le discese nel Peloponneso, e guastavano la spiag­gia degli Epiroti e degli Àcamani : secondariamente di preparar a sé e agli alleati nn comodo ricettacolo per assaltar le terre de’ nemici. Imperciocché (i a) giace Ce­fallenia presso al golfo di C orinto< e guarda il mare di Sicilia , sovrastando alle parti settentrionali ed occiden­tali del Peloponneso, e singolarmente al paese degli E lei, dell’ E piro , dell’Etolia, e dell’ A cam ania, che voltate sono a mezzodì ed a ponente.

IV. Siccome adunque era P isola comoda per racco­glier gli alleati , ed opportunamente situata a danno de’ paesi nemici e a prò degli amici ; affrettossi di ri­durla in suo potere. Osservando tutte le parti della c ittà , quali dal mare , quali da scoscese rupi circon­date , tranne un picciol luogo eh’ è p iano , e guarda Zacinto, divisò d’ accostar le opere da quella parte, e di concentrar colà tutto l’assedio. Mentre il re era in queste cose occupato, vennero quindici barche man­date da Scerdilaida: (i 3) che più non né potè spedire, per cagione delle macchinazioni e turbolenze suscitate d a (i4 ) varii signori dell’ Illiria. Vennero ancora dagli alleati gli ajuti stabiliti cogli Epiroti, cogli Acarnani, e co’ Messemi ; sendochè dopo 1’ espugnazione della, città di (i5) F ialea , i Messenii non adduce vano più pretesti per esimersi dal prender parte alla guerra.Come fu preparato 1’ occorrente per P assedio, e le ( i6 ) catapulte c le macchine da lanciar pietre dispo-

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diR. ste ne’ convenevoli luoghi per respinger i difensori, il536 r e , esortati i Macedoni, accostò le macchine alle mura,

e mercè d’ esse incominciò à scavar le mine. Ed avendo in breve tem po, per l’assiduità de’ Macedoni nel la­vorare , sospesi dugento piedi di m uro , il re avvicina­tosi alle mura confortò i cittadini a fare con lui pace. Ma non gli dando essi retta, fece appiccar fuoco ai pun­telli, e precipitar tutto il muro sostenuto. Poscia mandò lor addosso dapprima 1’ armadura leggera sotto gli or­dini di Leonzio, divisa per branchi, e comandò che facesse impressione per la rottura. Leonzio, memore dell’ intelligenza con A pelle, tre volte i soldati, che successivamente aveano già superata la rottura, distolse dal compiere la presa della città; e corrotti avendo an­ticipatamente i principali duci, tergiversando e timido mostrandosi, fu finalmente ributtato dalla città con grave sconfitta, quantunque ben di leggieri potesse vincer i nemici. Il re, veggendo intimoriti i duci, e la maggior parte de’ Macedoni feriti, desistette dall’ assedio, e si consigliò, cogli amici intorno a ciò che fosse da farsi in appresso.

V. Nel medesimo tempo Licurgo faceva una spedi­zione nella Messenia, e Dorimaco colla metà degli Etoli invadeva la Tessaglia, persuasi amendue di ritrarre per tal guisa Filippo dall’ assedio di Paiunte. Per la qual cosa vennero ambasciadori al re dagli Acarnani e da’ Messenii. Quelli dell’ Acarnania stimolavan il re ch’en­trasse nel territorio degli Etoli, a fine di richiamai' Do- rimaco dalla Macedonia, e guastasse tutta la campagna degli Etoli impunemente. Quelli de’ Messenii il prega-

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vano di soccorrerli, e lo avvertivano, eh’ essendo (1 7 ) A.diR . i venti boreali nel massimo vigore, possibil era di far 5'i&

in un giorno solo il tragitto d a Cefallenia nella Mes- senia. Donde il Messenio Gorgo concludeva , che con improvviso ed efficace assalto Licurgo poteva esser sor­preso. Leonzio, perseverando nel suo proponimento , forte spalleggiava G orgo, preveggendo che Filippo sa­rebbe per (1 8 ) consumar la state senza p rò ; perciocché navigar a Messene era facil cosa, ma ritornare di l à , mentre dominano i, venti da settentrione, è impossibile.Quindi era manilesto , che Filippo rinchiùso coll’ eser­cito nella Messenia, costretto sarebbe a passarvi livreato della state senza far nulla , mentre che gli Etoli corse arrebbono tu tta la Tessaglia e 1’ E p iro , e spogliate e guastate a mano salva. Di tal fatta adunque erano le rovinose insinuazioni che costoro facevan al re. Ma Arato che intervenne pur al consiglio , sostenea l’opi­nione contraria, e andava dicendo che conveniva diriz­zar le prore alla volta dell? Etolia, e colà recar la guer­ra ; perciocché essendo Dorimaco fuori in ispedizione cogli Etoli, bellissima era l’occasione d’assaltar e gua­star 1’ Etolia. Il r e , d ie parte già diffidava <ìi Leon­zio , dacché nell’ assedio avea con malizia operato, parte dalla consulta intorno a Paiunte avveduto crasi delle sue male a r t i , risolvette d’ appigliarsi al parere d’Arato. Quindi scrisse ad Eperato pretore degli Achei, che raunasse gente per soccorrer i Messenii ; ed egli partitosi da Cefallenia giunse il secondo giorno a Leu- cade coll’armata di notte tempo. Ivi allestì tutto il bi­sognevole (1 9 ) nel canale D ioritto , e trasportate colà

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A.diR . le navi) entrò nel golfo d’Ambràcia, il quale, conforme 536 di sopra dicemmo, dal mar di Sicilia molto s’ innoltra

per entro a’ luoghi mediterranei dell’ Etolia. Compiuto ch’ebbe il cammino, ed afferrato a (ao) Limnea poco innanzi giorno, ordinò asoldati di pranzare, e di ren­dersi più spediti alla partenza, deponendo molte delle loro bagaglie. Raccolse poi le guide, ed interrogolle, ed investigò le particolarità intorno a que’ luoghi e alle città aggiacenti.

VI. In quella venne Aristofante pretore degli Acamani con tutte le loro forze; perciocché avendo ne’tempi addietro molto sofferto dagli E toli, ardentemente de­sideravano di vendicarsi ad ogni modo, e di arrecar ad essi danno. Il - perchè , lieti abbracciando l’ assisten­za de’ Macedoni , presentàrónsi in armi , non solo quelli cui la legge impóneva di militare, ma ezian­dio alcuni de’più vecchi. Nè minor fervore aveano gli Epiroti per simili cagioni, òomechè peli’ ampiezza del loro paese, e pella subita comparsa di Filippo tardas­sero àd accozzar i suoi. Dorimaco colla metà degli E to li, secondo che dicemmo, era assente, e 1’ altra m età avea:lasciati a casa, stimando che sufficiente fos­se questo presidio ne’ casi improvvisi per le città e la campagna. Il r e , lasciata una conveniente guardia alle bagaglie, levossi da Limnea verso sera , e prose­guito avendo circa sessanta stadii, accampossi. Poich’ebbe cenato^ e dato alquanto di riposo all’ esercito, mosse nuovamente y e camminato avendo di notte senza in­terruzione , venne al fiume Acheloo , essendo già d ì , fra Conope e . Strato, affrettandosi d’assaltar (ai)Term q di repente ed inatteso.

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VII. Leonzio conosceva che per due motivi Filippo A .d ia

conseguirebbe il suo proponimento, e vano riuscirebbe 536 ogni sforzo degli Etoli ; l’ u n o , perchè celere ed im­provviso sarebbe 1’ arrivo de’ M acedoni, 1’ altro per la situazione di Termo, che fortissima com’era, gli Etoli la­sciata avean al tutto sprovvista e senza difesa, non sospet­tando essi giammai, che Filippo fosse permettersi a tanto rischio. La qual cosa considerando Leonzio, e tuttavia persistendo nel suo disegno, consigliò a Filippo d’ ac» camparsi sulle rive dell’ Acheloo, e di far riposare 1’ e- sercito dal viaggio notturno, ingegnandosi di dar agli Etoli alcun poco di comodo per venir al soccorso.A rato, veggendo che non avanzava tempo all’ impre­sa, e che Leonzio vi opponeva manifesti ostacoli, scon­giurava Filippo di non lasciarsi sfuggir l’ occasione, e di non indugiare. Persuaso il re da questi detti, ed of­feso già dalla condotta di Leonzio, proseguì il cammino.Passato il fiume Acheloo, marciò difilato verso Termo, ed in marciando arse e guastò la campagna. Oltrepassò alla sinistra Strato, Agrinio, T estia; alla destra Co­nope, Lisimachia, Tricorno, (aa) Fiteo, e giunse alla città di Metapa , situata sul lago di Tricorno, e sullo stretto eh’ è dappresso, distante quasi sessanta stadii dal summentovato Termo. Questa, abbandonata dagli E to li, occupò e vi mise dentro cinque cento soldati, volendosene servir di stazione peli’ entrata ed uscita dallo stretto: che montuosa ed aspra è tutta quella costa del lago , e densa di boscaglie, ed ha perciò la strada angustissima e difficile. Poscia, collocati i mercenarii nella vanguardia , dopo di questi gl’Illirii, ed appresso

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A.diR . l’ armadura leggera e la falange , marciò per lo stretto.536 Nel retroguardo eran i C retesi, e al fianco destro i

Traci e gli spediti, che di conserva camminavano per la campagna; perciocché il sinistro lato della battaglia era assicurato dal lago nell’estensione di circa trenta stadii.

Y11L Passati gli anzidetti luoghi, e giunto al villag­gio chiamato Panfia, ed assicurato questo ancora con un presidio, proseguì vèrso Termo per una strada non sólo assai erta e scabra, ma che eziandio da amendue le parti ha scoscesi precipizii T per modo che in alcuni luoghi il passaggio era molto pericoloso. T utta la salita è (a3) di quasi trenta stadii ; la quale avendo in breve tempo compiuta, perciocché i Macedoni camminavano forte , giunse essendo il giorno molto innoltrato a Ter­mo , ove stabilì gli alloggiamenti, e mandò l’ esercito a guastar i circonvicini villaggi, a correr il piano di T erm o , e a saccheggiar in Termo stesso le case, che piene e ra n o , non solo di frumento e d’ ogni maniera di vettovaglie, ma della miglior suppellettile ancoraché avessero gli Etoli. Imperciocché, siccome ciaschedun anno facean colà fiere e ( 2 4 ) davano splendidissimi spet­tacoli , e innoltre in questo luogo eseguivano l’elezione de’ maestrati ; Così ogn’ uno per il ricevimento degli ospiti, e pesgli apparecchi delle solennità vi deponeva i più preziosi suoi effetti ; i quali, oltrecchè aveano colà a valersene, speravano che sicurissimi vi sarebbono stati, giacché nessun nemico si sarebbe arrischiato giammai d’invadere cotesti luoghi, così forti per na­tura , che servivano come di rocca a tutta l’ Etolia.

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Il perchè, goduto avendo quel paese d ilunga pace , A. di R. riboccavano d ’ ogni bene, così le case circa al tempio , 536 come tutti i luoghi dattorno. Quella notte adunque , pieni d’ ogni sorta di p red a , ivi albergarono. Il giorno appresso scelsero fra le suppellettili le più preziose e le più facili a trasportarsi ; le altre ammucchiarono in­nanzi alle tende e bruciarono. Lo stesso fecero delle armi eh’ eran appese ne’ portici : quelle di maggior va­lore recarono seco, ed alcune scambiarono; le rima­nenti raccolsero, e vi appiccaron il fuoco, ed ascen­deva» queste a meglio di quindici mila.

IX. Fin qui fu tutto secondo le leggi della guerra bene e giustamente operato; ma ciò che fu fatto dipoi, come io debba narrarlo , non so. Conciossiachè , ram­mentandosi di quanto fecero gli Etoli a Dio e a Do- dona, arsero i portici, e guastarono tutti i voti che rimaneano , de’ quali ne avea d5 assai preziosi, e con molta diligenza e spesa lavorati. Nè contentaronsi di distrugger i tetti col fuoco, ma spianaron eziandio l’e­dificio , e rovesciarono le statue j che non eran meno di due mila; molte ancora ne ruppero, tranne quelle che aveano iscrizioni o forme d’Iddìi; che da tali s’ asten­nero. Indi scrissero sulle pareti quel verso eh’ è in bocca di tu tt i , principiando già allora a sorger (a5) il vivace ingegno di (2 6 ) Samo figlio di Crisogono, il qual era stato allevato col re. II verso è questo :

Or vedi ove volò (27)' di Dio la freccia ?

Ed ebbe il re e gli amici che il circondavano la più fer­ma persuasione d’ aver renduta agli Etoli la giusta e

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A.di R. dovuta pariglia per le empietà da loro commesse a Dio.536 Io pertanto sono d’ avviso contrario ; e se retto sia il

mio giudizio, di leggieri arguirà ciascheduno non da altri esem pli, che da quelli che offre la stessa famiglia reale. (2 8 ) Antigono, vinto eh1 ebbe Cleomene, re de’ Lacedemoni!, in battaglia campale , s’ impossessò di Sparta ancora. Era egli, padrone di trattar la città e i cittadini a suo talento : tuttavia tanto fu lungi dal fax* male a’soggiogati, che all’opposito restituì loro il patrio governo e la libertà , e poiché conferì a’Lacedemoni i maggiori beneficii, così in pubblico, come in privato, se ne ritornò a casa. Il perchè fu egli giudicato, non .solo a quel tempo un benefattore, ma dopo la morte Ancora un salvatore; nè da’Lacedemonii soltanto, ma eziandio da’Greci tutti conseguì onor e gloria immor­tale pegli anzidetti fatti.

X. Il primo Filippo pure che accrebbe il ream e, e fu l’autore dell’ altezza di questa casa , vinti eh’ ebbe gli Ateniesi nella battaglia di Gheronea, non operò tanto colle arm i, che (2 9 ) colla dolcezza e colla affa­bilità delle maniere. Imperciocché in guerra e colle ar­mi quelli superò soltanto, e ridusse in suo potere, che con lui affrontaronsi; ma colla benignità e colla mode­razione ebbe in suo arbitrio tutti gli Ateniesi, ed insieme la loro città.-Nè a’ mali fatti aggiugneva egli l’ ira; ma le sue guerre e persecuzioni avean fine, come prima gli si parava dinanzi qualche occasione di di­mostrar la sua mansuetudine e bontà. (3o) Quindi re ­stituendo i prigioni senza riscatto, rendendo gli ultimi onori agli Ateniesi uccisi, rimettendo eziandio per

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mezzo d’ Antipatro le lor ossa, e vestendo la maggior A. di

parte di quelli che ritornavano, sagacemente eon pie- 536 ciolo spendio ottenne grandissimo effetto; perciocché ab­battendo colla magnanimità l’orgoglio degli Ateniesi, gli ebbe, da nemici eh’ erano , cooperatori prontissimi in qualsivoglia impresa. Che dirò d’ Alessandro ? Il quale in tanta collera montò contra i T ebani, che vendette gli abitanti, e Spianò la c ittà , ma in prendendola non ebbe a vile la pietà verso gli D e i, sibbene provvide grandem ente, che neppur con mancanza involontaria si (3 1) violassero i tem pli, e qualunque luogo sacro.E passato in Asia per vendicare la scelleratezza de’Per- siani verso i G reci, punì bensì gli uomini condegna­mente a’loro misfatti., ma (32 ) da tutto ciò eh’era agli Dei intitolato s’ astenne, quantunque i Persiani in questa parte singolarmente imperversato avessero nella Grecia. Queste cose dovea Filippo allora di continuo recarsi alla mente , per mostrarsi successore ed erede non tanto del supremo potere, che delle massime e della magnanimità degli uomini anzidetti. Egli per­tanto molto affaticossi in tutta la sua vita di farsi conoscer descendente di Filippo e d’ Alessandro ; ma non punto si curò d’ imitarli. 'Quindi mentreché stn- diavasi di far il contrario di quanto i summentovati avean fatto , procedendo negli anni, ne conseguì presso tutti una fama contraria.

XI. Delle quali azioni una ne fu la presente. Im­perciocché lasciandosi trasportare dall’ ira alle scelle­ratezze commesse dagli E to li, e sanando male con male, non credeva egli di far cosa enorme ; ed a Scopa

P o l ib io , to m o m . 2

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J .d iR . e Dorimaco rimproverava la vita turpe e d’ogni per- 536 fidia m acchiata, biasimando 1’ empietà loro verso gli

Dei in Dodona e in D io, mentitegli facendo lo stesso, non credeva d’ incorrer nell’infamia medesima presso chi ne avrebbe contezza. Che distrugger e guastar le castella, i p o rti, le c ittà , gli uomini, le navi, le frutta ed altre cose simili appartenenti ( ai nem ici, a fine di fiaccar le forze di questi e crescer le proprie, a ciò fare costringono le leggi e i diritti della guerra. Ma ciò che a’ proprii affari non è per arrecar utilità alcuna, nè a’ nemici pregiudicìó nella guerra presente, malmenare per (33) soperchianza templi, statue, ed ogni sacro arre­do, non è questo forse effetto di costume e d’ira furente? Conciossiachè non debbano gli uomini onesti far guerra a’ cattivi con animo di perderli e sterminarli, ma per­chè si correggano ed emendino i loro falli, nè menar la mazza tonda sovra i colpevoli e gl’ innocenti, ma più presto salvar e toglier alla distruzione insieme co’ puri quelli che sembrano Tei. Opera da tiranno colui che facendo del m ale, domina col terrore chi a malin- cuor ubbidisce, odiato da’ sudditi e questi odiando ; ma da re si diporta c h i, facendo bene a tu tt i , pella bontà ed umanità è am ato , e comanda a tali che di buon grado regger si lasciano. £ quanto mancasse al­lora Filippo sovrattutto si comprende dal figurarsi, che cosa probabilmente pensato avrebbono gli Etoli, ov’egli fatto avesse il contrario di ciò che narram m o, non guastando i portici e le statue, ne maltrattando alcuno de’ voti. Io per me credo che buonissimo ed umanis­simo 1’ avrebbono stimato , conscii com’ erano di ciò

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I geh’ essi avean fatto a Dio e a D odona, e sapendo A. di X

bene, come Filippo era allora padrone di far ciò che- 536 volea , e commettendo le maggiori crudeltà, a buon dritto l’avrebbe fa tto , quanto era alle loro colpe; ma mercè della sua clemenza e magnanimità amò meglio di non pagarli di» contanti.

X II. Dond’ è chiaro, che gli Etoli avrebbono sè me­desimi incolpati , e Filippo lodato e ammirato , come quegli che con animo regio e generoso usato avrebbe pietà verso gli D ei, mentrechè contro di loro sfogata avrebbe Ja sua ira. E diffatti il vincer i nemici coll’ o- nestà e colla giustizia arreca molto maggior vantaggio che non fanno le vittorie colle armi: che a queste cede per necessità, a quelle per elezione chi è superato, e le une correggono con gravi danni, le altre emendano senza offese. E ciò che più monta, ove decide la forza, la maggior opera è de’ soldati, ove il contrario ha luogo il vanto è tutto de’ duci. Forse taluno non darà a Filippo tu tta la colpa delle cose allor accadute, per cagione della sua giovinezza, sibbene agli amici che eoa lui conversavano ed operavano, fra i quali era Arato e Demetrio Fario. Ma a chi d’amendue attribuirsi debba cotal consiglio difficil non è d’additare; nè a tal uopo è necessario d’essersi allora trovato presente. Imper­ciocché prescindendo anche da tutto il tenor della vita, in cui non si rinviene, che Arato facesse giammai al­cuna cosa precipitosamente e senza ponderazione, lad­dove in Demetrio riscontrasi tutto il contrario:'abbiam la prova più indubitata delle massime di ciascheduna in affari consimili, della quale , a suo tem po, faremo convenevole menzioue.

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Id iS . X III. Filippo (che di qui ci siamo dipartiti) tutto ciò 536 che potè esser rapito prese seco, ed uscì di T erm o,

ritornando pella stessa via eh’ era venuto. La preda e I’ armadura grave mandò innanzi, e alla coda pose gli Acamani e i mercenarii, affrettandosi di passar le stret­te , giacché aspettava che gli Etoli venissero a nojargli il retroguardo , affidati nella fortezza naturale de’ luo­ghi , Io che avvenne immantinente. Imperciocché gli Etoli accorsi, e ragunatisi in numero di quasi tremila sotto Alessandro da Tricone, finattantochè Filippo era sulle alture non si appressarono, e rimasero in certi luoghi nascosti; ma come prima si mosse il retroguardo invasero Termo e furon addosso agli ultimi. I : quali scombuiatisi, gli Etoli tanto più fervidamente incalza­vano e tagliavano', fidandosi della sicurezza de’ siti. M a Filippo, provvedendo all’ avvenire, mandò gl’Illirii ed i più agili dell’ armadura leggera sotto un colle ove faceasi la discesa. Costoro balzaron ad un tratto sugli avversarii intenti ad inseguire e già tropp’oltre trascor­si , ne uccisero cento e tre n ta , e poco meno ne pre­sero ; gli altri si diedero a fuga precipitosa per vie sco­scese. Dopo questa vittoria quelli eh’ erano alla coda arsero (34) Panfio, e passate a salvamento le strette ùnironsi co’Macedoni. Filippo, accampatosi presso Me- tap a , aspettò colà il retroguardo. Il giorno appresso, spianata M etapa, proseguì, e prese gli alloggiamenti intorno alla città chiamata Aera. Il dì vegnente, par-,

. titosi di là , guastò la campagna, e pose il campo presso a Conope, ove rimase il giorno susseguente. L ’ indo­mani levossi di bel uuovo , e marciò lungo l1 A cheloo,

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finché giunse a Strato. Passato il fiume collocò l’ esei'- ‘A. diR . cito fuori del tiro , e andava tentando quelli di dentro. 536

XIV. Imperciocché udito avea, che gli Etoli concorsi eran a Strato con tre mila fan ti, quattrocento cavalli e cinquecento Cretesi; ma non- osando nessuno d1 u- scirgji incontro, rimise in cammino la vanguardia, an­dando alla volta di Limnea e delle navi. Mentre il re­troguardo passava dinanzi alla c ittà , uscirono dappri­ma pochi cavalli degli E to li, e nomarono gli estremi ; poscia venne fuori il corpo de’ Cretesi, a’di cui cavalli unironsi eziandio alcuni Etoli, ed appiccatasi una zuffa generale, costretti furono quelli eh’ eran alla coda di voltarsi e di combattere. Dapprincipio era la pugna eguale; ma venuti gl’Illirii in soccorso de’ mercenarii di Filippo, i cavalli e i mercenarii degli Etoli piega­rono e fuggiron alla sfilata. I regii inseguirono la mag­gior parte di loro sin alle porte e presso alle m u ra , e

ne uccisero da cento. Dopo questa fazione quelli della città stettero cheti, e quelli del retroguardo giunsero salvi al campo e alle navi. F ilippo, accampatosi di buon o ra , sacrificò agli Dei in ringraziamento del fe­lice successo della spedizione, e convitò ad un tempo tutti i duci a mangiare. Imperocché erasi egli acqui­stata la lode d’ aver penetrato in luoghi pericolosi , e tali che nessuno innanzi a lui erasi arrischiato d’ inva­dere con un esercito : ed egli non solo vi entrò colle sue forze, ma poi ch’ebbe eseguito tutto ciò che aveasi proposto , fece salvo ritorno. Per le quali cose esul­tando accignevasi a banchettar i duci. Megalea pertanto e Leonzio erano dolenti della buona fortuna del r e ,

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A.diR . come quelli che incaricati da Apelle a por impedimenti 536 a tutte le sue imprese, noupoterono ciò fare. Laonde,

essendo lor riuscita ogni cosa contraria, vennero, seb­bene abbattuti d’ animo, al convito.

XV. Entrarono subito il re e gli altri in sospetto, che costoro meno de’ compagni si rallegrassero "dell’ac­caduto. Innoltratasi la beverìa, ed essendo gli spi­riti già dal vino esaltati, obbligati a fare lo stesso, bentosto si sciorinarono ; perciocché sciolto il con­vito , agitati da ubbriachezza e furore andaron at­torno in traccia d’ Arato , é riscontratolo nel rito rno , dapprima lo svillaneggiarono, poscia gli gittaron pie­tre addosso, ed essendo molti venuti in soccorso d’ a- mendue le p a rti , grande schiamazzo e movimentò in- surse nel campo. Il re udito il rum ore, mandò gente ad informarsi del caso e a sedar il tumulto. Arato narrò a questi il fatto, e addusse per testimoni quelli ch’erano pre­senti; indi si sottrasse da’mal trattamenti, recandosi alla sua tenda. Leonzio non si seppe come in mezzo allo stre­pito se ne fuggì. II re, chiamati a sè Megalea e Crinone, poiché conobbe ciò ch’era avvenuto, aspramente rabbuf- follì;ma essi, non che si umiliassero, aggiunsero con inso­lenza, che non desisterebbono daHoro proponimento, fin­ché non avessero dato ad Arato il dovuto premio. Irritato il re a cotali detti, incontanente volle che (35) dessero un pegno di venti talenti, e comandò di condurli in carcere.

XVI. II giorno appresso, fatto venir Arato, il confortò, assicurandolo che presa avrebbe tutta la possibile cura dell’ affare. Leonzio, come riseppe il caso di Megalea , venne con Un drappello di milizia leggera nella tenda

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d e ir e , persuaso, che spaventato P avrebbe per cagione A.dlR.

della sua giovinezza, e tostamente indotto a pentirsi. 536 Entrato con lui m paro le , gli dom andò, chi ardito avesse di por le mani addosso a Megalea e di cacciarlo in carcere ? Rispondendo il re con fermezza , aver sè ciò ordinato ; Leonzio sbigottito, e alquanto sospirando, se ne andò corrucciato. Il re salpò con tutta Pannata, e tragittato il golfo approdò in breve tempo a Leuca- de. Colà impose a quelli che incaricati erano della di­stribuzione delle prede, di non procrastinare la faccen­d a , ed egli, raccolti gli am ici, fece il processo a Me­galea. Accusò Arato Leonzio ed i suoi partigiani di tutto ciò che commesso avean in addietro , ed espose la (36) strage da loro fatta in Argo dopo la ritirata d’ Antigono , e la convenzione con A pelle, non meno che gli ostacoli opposti nell’ assedio di Paiunte , e cor­roborò tutto con prove e con testim oni; onde non po­tendo Megalea e i suoi compagni nulla opporvi, furon unanimamente da tutti gli amici del re condannati. Crinone rimase in carcere; per la multa di Megalea assunse Leonzio la mallevadorìa. In siffatti termini era la intelligenza d’ Apelle e di Leonzio , riuscita ad un esito contrario alle loro prime speranze; perciocché credevano, che spaventato Arato e rimaso Filippo iso­la to , farebbòno ciò che loro sembrerebbe vantaggioso; toa avvenne tu tt’ altro.

XVII. Circa lo stesso tem po, Licurgo sènz’aver fatta cosa memorabile, ritornò dalla Méssenia ; poscia mosse di bel nuovo da Sparta ed occupò (8 7 ) Tegca. Essen­dosi le persone ritirate nella rocca, prèse ad assediarla;

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A.diR . ma non potendo per alcun modo' eseguir nulla, si ri* 536 dusse un’altra fiata a Sparta. Gli Elei fecero una scor­

reria nel territorio di D im e, e tratti in un agguato i cavalli eh’ erano venuti in soccorso , di leggeri -li mi­sero in fuga. Nel quale scontro perirono.non pochi Galli, e de’,cittadini furono presi Polimede da Egioj e Agesipoli e Diocle da Dime. Dorimaco nel principio, della sua spedizione cogli Etoli, stimava, conforme dissi di sopra , che avrebbe impunemente spogliata la Tes­saglia , e fatto desistere Filippo dall’assedio 'di Paiunte} ma trovati (38) Crisogono e (3 9 ) Patreo pronti in Tes­saglia a com battere, non osò di scendere nel p iano , ma si tenne alle falde de’m onti, e vi rimase. Com’ebbe la nuova dell’ entrata de’ Macedoni nell’Etolia, lasciata la Tessaglia, andò in tu tta fretta al soccorso della pa­tria^ ma trovò , che i Macedoni erano già dall’ Etolia partiti. Per tal guisa costui era in (4o) difetto, e tardi dappertutto airivava.il re salpato da Leucade, e gua­stata nel passaggio la campagna de’ Jan te i, approdò con tu tta 1’ armata a C orinto, e stanziatosi colle navi nel Lecheo, sbarcò l’esercito e spedì corrieri alle città alleate del Peloponneso , indicando il giorno in cui tu tti doveano trovarsi armati in Tegea, ove pemotte- rebbono.

XVIII. Com’ ebbe ciò disposto non s’ intrattenne punto a Corinto, e ordinò a’ Macedoni di levar le ten­de. Marciò per Argo, e il secondo giorno venne a Te­gea , ove ricevette gli Achei eh’ eransi raccolti, e pro­seguì per la m ontagna, ingegnandosi d’ invader il ter­ritorio de’ Lace'demoni senza ch’essi se n ’accorgessero.

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Il quarto d ì , girati i luoghi deserti, pervenne alle col* A .diR .

line che sono di rincontro alla città, « lasciatosi a destra 536 il (4i) Menelaio giunse perfino ad Amicla. I Lacede­moni , veggendo dalla città l’ esercito che passava, rimasero attoniti e pieni , di tim ore, maravigliandosi dell’accaduto. Imperciocché stavan essi ancora in aspet­tazione pelle nuove giunte loro circa la distruzione di T erm o,,e le altre gesta di Filippo in E to lia , ed erasi sparso fra loro qualche rum ore, che Licurgo sarebbe mandato in soccorso degli Etoli; ma che il pericolo fosse per venir a loro così presto da tanta distanza, nessuno d’essi avrebbe neppure pensato, tanto più che l’ età del re era tale da inspirar disprezzo anzi che nò.Quindi giugnendo loro siffatto avvenimento alla sprov­vista, erano con ragione spaventati. Conciossiachè Fi­lippo , essendo nelle imprese più audace ed attivo che noi ammetteva 1’ età sua, tutti i suoi nemici riduceva in imbarazzo e ristrettezza. Diffatti, partitosi dal centro dell’Etolia, conforme dissi di sopra, e passato di notte il golfo d’ Am bracia,. afferrò a Leucade. Colà rimase due giorni, e il terzo salpato di buon.m attino, arrivò il dì appresso nel Lecheo, dopo aver guastata la spiag­gia degli Etoli. Poscia, continuando sempre il cam­mino , arrivò il settimo giorno sulle alture d e l. Mene­laio che sovrastanno a Sparta; per modo che quasi nessuno a’ proprii occhi credeva. I Lacedemoni adun­que, impauriti di sì inaspettato caso, non sapeano che farsi in quel momento.

XIX. Filippo accampossi il primo giorno presso A- micla. E il luogo (4a) chiamato Amicla il più fertile

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A-diR. d’ alberi e di frutta m tutta la Laconia, distante da 536 Sparla circa venti stadii. V’ ha eziandio un tempio d’A-

pollo , il più celebre di pressoché tutti i templi della Laconia. E situata dalla parte della città che guarda il mare. Il giorno appresso, guastando la campagna, discese nel così detto (43) accampamento di P irro , e correndo e ardendo per due giorni i luoghi vicini, pose il campo presso (44) C am io , donde partitosi marciò verso (45) A sine, cui diede parecchi assalti, m a non facendo gran effetto, se ne levò, e continuando il cam­mino guastò tutta la cam pagna, eh’ è inclinata al mar di Creta sin a (46) Tenaro. Dato poi di volta passò davanti alla stazione navale de’ Lacedem oni, chiamata (4 7 ) G izio, che ha un porto sicuro , ed è da dugento e trenta stadii lungi dalla città. Lasciato questo a man d estra , prese gli alloggiamenti -intorno (48) all’ Elia , contrada fra tutte quelle della Laconia, (4 9 ) ove parti- tamente si riguardi, la più grande e bella. Di qui spedi i foraggiatori, il luogo stesso tutto guastò col fuoco, e vi corruppe i frutti della te rra , e giunse co’ guastatori sino ad (5o) Acria e (51) L euca, e a l territorio dei (5 2 ) Boei.

XX. I Messenii, ricevuta la lettera di Filippo, in cui gli invitava a dare soldati, non erano punto inferiori di zelo agli altri socii, ma con tutto impegno fecero la spedizione , e mandarono la gioventù più fiorita , due­mila fan ti, e dugento cavalli. Ma essendo pella lun­ghezza della strada arrivati a Tegea più tardi che vi giunse Filippo , dapprincipio eran in forse che cosa avean a fare ; ma temendo, non sembrassero aver ope-

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rato con m alizia, per cagione de’ passati sospetti eli1 e- A .d iit ransi contro di loro mossi , andarono nella Laconia 536 per il territorio d’ Argo, con animo di congiugnersi con Filippo. Come vennero a (53) Glimpe, picciola terra fra 1’ Argia e la Laconia, vi si accamparono sen-

z’ arte e neglettamente , perciocché non circondaron il compreso di fosso e di steccato , nè procuraronsi un luogo opportuno , ma affidati nella benevolenza de’ter­razzani, stanziaronsi di buona fede davanti alle mura. Licurgo , avvisato dell’ arrivo de’ Messenii, prese i m ercenarii, e alcuni Lacedemoni!, e si mise in cam­

mino , e giunto colà in sul far del giorno , assaltò il campo arditamente. I Messenii che in ogni cosa eransi mal consigliati, e singolarmente in ciò eh’ eran usciti di Tegea senz’ aver numero sufficiente di soldati, e senza valersi d’ uomini esperti j tuttavia nella pugna stessa come furon assaltati fecero il possibile per la lo­ro salvezza. Imperciocché non sì tosto videro comparir i nem ici, che lasciata ogni cosa, rifuggironsi in fretta presso, il castello. Quindi Licurgo s’ impossessò bensì della (54) maggior parte de’ cavalli e delle bagaglie 5

ma non prese nessun uomo vivo, ed otto cavalli soli uccise. I Messenii, toccata questa sconfitta, ritornaron a casa per la via d’ Argo. Licurgo , gonfio del buon successo, venuto a Sparta occupavasi degli apparecchi di guerra, e sedeva a consiglio cogli amici, per non lasciar Filippo ritirarsi dalla Laconia senz’ averlo ci- ' mentato in battaglia. Il r e , (55) partitosi dall’ Elia , proseguì devastando la campagna ; ed il quarto gi'orno giunse nuovamente in Amicla con tutto 1’ esercito in­torno al mezzodì.

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A. di R. XXI. Licurgo, poich’ ebbe dati a’ duci e agli amici 536 gli ordini necessarii circa la futura battaglia, uscì della

c ittà, ed occupò i luoghi intorno al Menelaio , avendo in tutto duemila uomini ; e con quelli eh’ erano rimasi in città stabilì, che badassero, affinchè, quando egli alzerebbe il segnale, solleciti sortissero da molti luoghi della città e schierassero 1’ esercito per modo , che ri­guardasse 1’ E urota, dov’ è meno distante dalla città. In questi *termini erano le cose di Licurgo e de’ Lace­demoni!. M a , affinchè per l’ ignoranza de’ luoghi, la narrazione non riesca disordinata e oscura, descriver dobbiamo la loro natura e situazione ; lo che c’ inge­gniamo di fare in tutto il corso della storia, raffron­tando sempre e collocando insieme i luoghi ignoti coi conosciuti e rammentati. Im perciocché, èssendo alla maggior parte di coloro che guerreggiano per mar e per terra pericolose le ambigue cognizioni de’ luoghi, e volendo noi che tutti apprendano non solo ciò eh’ è accaduto , ma in qual guisa ancor accaduto sia : tener non dobbiamo in poco conto le descrizioni locali, in qualsivoglia affare, e molto meno in quelli di guerra. Nè hacci a rincrescere d’ usare per segni i (56) cogno­mi , quando de’ p o r ti, de’ m ari, delle isole , quando de’ tem pli, de’ m onti, de’ contadi; e per ultimo le dif­ferenze (5 y) dell’ ambiente , dappoiché coteste cose so­no agli uomini le più famigliari. Che così soltanto egli è possibile di recar a cognizione de’ leggitori ciò eh’ è igno to , conforme dicemmo. Siffatta è pertanto la na­tura de’ luoghi, di cui ragioniamo.

XXII. S parta , considerata nella sua figura to ta le , è

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ro tonda, e giace in p ianura, ma contiene in parte di- A .d iK

verse irregolarità ed eminenze. A oriente le scorre di- 536 nanzi il fiume E uro ta , che la maggior parte dell’ anno per la piena non può essere guazzato. Le eminenze , su (58) cui è il Menelaio, sono di là del fiume, dal lato della città eh’ è fra levante e mezzodì, aspre , di diffi­d i accesso, e assai alte, e dominan affatto l’intervallo eh’ è fra la città e il fiume. Per questo intervallo, non più grande d’ imo stadio e mezzo , passa l’ anzidetto fiume accosto alla radice del m onte, e Filippo dovea necessariamente per esso ritornare avendo a sinistra la città e i Lacedemonii pronti e schierati, e a destra il fiume e le forze di Licurgo stanziate su’ colli. Imma- ginaron ancora i Lacedemonii la seguente astuzia. Ot­turato i l fiume di sopra, il fecero straripare fra la città e le alture \ onde allagato essendo il terreno , non (59 ) che i cavalli, neppure i fanti vi poteano cammi­nare. Il perchè nuli’ altro rimanea che di condur 1’ e- sercito rasente le falde de’ monti sotto le colline in lunghe file , che non poteano vicendevolmente soste­nersi , e di esporle per tal guisa alle offese de’nemici.Lo che considerando Filippo , e consigliandosi cogli am ici, giudicò la più necessaria operazione in quél frangente, di scacciare prima Licurgo dalla posizione del Menelaio. Presi adunque i mercenarii e l’armadura leggera, ed oltre a questi gl’ Illirii, passò il fiume , e andò alla volta de’ colli: Licurgo , avvedutosi dell’ in­tenzione di F ilippo, preparò i suoi soldati ed animolli al cim ento, e a quelli della città diede il segnale. Fat­to ciò , tostamente coloro che ne avean avuto l’ inca-

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A. di R. rico uscirono colle forze orbane al luogo destinato in- 536 nanzi alle m ura, collocando i cavalli nell’ala destra.

XXIII. F ilippo, avvicinatosi a Licurgo, dapprima gli (6 0 ) mandò addosso i mercenarii; donde avvenne, che in sul principio combattessero con miglior succes­so i Lacedemonii, come quelli che non poco eran fa­voriti dalla qualità delle armi e de’ luoghi. Ma poichò Filippo mise dietro a’combattenti l1 armadura leggera, affinchè stesse alle riscosse, ed eg li, fatti girare gl’ Illi- r ii , assaltò i nemici da’ fianchi : i mercenarii suo i, in­coraggiati dal sussidio degl’ Illirii e della milizia legge­ra , in molti doppii rinfrancaronsi alla pugna, e la gente di Licurgo, sbigottita dall’ assalto dell’ armadura grave, piegò e andò in volta. Caddero di quésti cento, e poco più ne furono presi: gli altri fhggiron in# c ittà , e Licurgo stesso per vie dirupate ritornò nella città dì notte tempo con poca gente. Filippo fece occupar il colle dagl’ Illirii, e coll’ armadura leggera e (6 1 ) cogli scudi brevi si ridusse all’ esercito. Frattanto A rato , uscito d’ Amicla colla falange, era già vicino alla città. Il re adunque, passato il fium e, restò alle riscosse dell’ armadura leggera e degli scudi brevi, e de’ cavalli ancora , finché la grave armadura rasente le falde dei colli passò a salvamento le strette. Venuti quelli della città alle mani col sussidio de’ cavalli, e fattasi la zuffa universale, gli scudi brevi pugnarono valorosamente : a tale che Filippo ebbe in siffatto incontro pure indu­bitata vittoria, ed inseguì la cavalleria de’Lacedemoni sin dentro alle porte ; poscia tragittò impunemente 1’ E u ro ta , e (6 2 ) marciò alla coda della falange.

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XXIV. Ma essendo già ora che tutti si raccoglies- A .d iR , se ro , necessitato di colà accamparsi, fece gli {alloggia- 536. menti nell’uscita delle strette. Per accidente le guide avean (63) circoscritto un sito ta le , quale non trove­rebbe chiunque invader volesse il territorio della La­conia , lungo la città stessa. Imperciocché v’ ha nel principio delle anzidette strette, chi da Tegea o da al­tra parte mediterranea s’avvicina a Sparta , un luogo distante dalla città al più due stadii, situato sul fiume, il di cui fianco che guarda la città e il fiume é circon­dato da una lunga e al tutto inaccessibile rupe. Sopra questa è un picciolo piano atto a cultura, e ridondante d’ acque , ed insieme opportunamente posto peli’ en­trata e l’ uscita d’ un esercito ; per modo che chi vi pianta il campo, ed occupa il poggio (6 4 ) sovrastante, é da reputarsi alloggiato con sicurezza per rispetto alla città aggiacente, ed alloggiato in ottimo sito , padrone ^ essendo dell’ ingresso e del passaggio delle strette. Fi­lippo, avendo colà posto il campo con sicurezza, il giorno appresso mandò innanzi la salmerìa, e schierò 1’ esercito nel p iano , che potea esser ben veduto dalla città. Si fermò alcun poco , indi piegatosi in fianco marciò verso Teg^i. Giunto al luogo ove (65) combat­terono Antigono e Cleomene, vi si accampò, e il gior­no susseguente, visitati i luoghi, sacrificò agli Dei sovra amendue i colli, di cui l’uno è chiamato Olimpo, l’al­tro Èva; poscia proseguì, afforzato avendo il retroguar­do. Pervenuto a Tegea, vi vendè tutta la preda, e pas­sato per Argo , giunse coll’esercito a Corinto. Trovatisi colà gli ambasciadori de’ (6 6 ) Rodii e de’ Chii per trat-

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i . diR . tar la pace, diede lord udienza; ed infingendosi, e di- 536 cendo eh’ era prontó e adesso e da lungo tempo a far

la pace cogli EtoK, congedolli, imponendo loro di parlare cogli Etoli pure circa 1’ accomodamento. Egli poi discese al Lecheo, ed occupossi del tragitto, spic­ciar volendo certi affari di maggior importanza che avea nella (6 7 ) Focide.

XXV. Frattanto Leonzio, Megalea e Tolemeo, per­suasi di poter ancora spaventar Filippo, e cancellare per tal guisa gli antichi falli, andavano vociferando fra gli scudi brevi e il (6 8 ) corpo scelto che i Macedoni chia­mano A g e m a , come essi per tutti esponevansi a’peri- coli, e non era loro renduta giustizia, nè riceveano la preda loro dovuta giusta il costume. Con tali detti in- citaron i soldati a stringersi in drappelli, a saccheggiare gli alloggiamenti de’ principali amici del r e , ad abbat­tere le porte e romper il tetto dell’ albergo reale. Men­tre ciò accadeva, e la città tu tta era in tumulto e con-

. fusione, Filippo risaputa la cosa, venne in fretta dal Lecheo, correndo in c ittà , e ragunati i Macedoni in tea tro , parte gli ammonì, parte proverbiolli tu tti per ciò che aveau fatto. Grande era il rumore ed infinito10 scompiglio, volendo gli uni che s’ incarcerassero e percuotessero gli autori del misfatto, gli altri che si la­sciassero in libertà , e a ciascheduno fosse perdonato.11 re allora dissimulò, quasi che fosse pago, ed esor­

tati tu tt i , se ne andò , sapendo bene chi erano gli au­tori del movimento, quantunque s’ infingèsse in quel

momento.XXVI. Dopo questo tumulto gli affari della Focide

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che sembravano p ian i, incontrarono alcuni ostacoli. A. di R.

Ma Leonzio rinunziò ad ogni speranza, dappoiché niente 536 procedeva secondo i suoi disegni, e ricorse ad Apelle, che con frequenti ambasciate chiamò da Calcide, facen­dogli a sapere P imbarazzo e il disagio in cui era per la discordia col re. Apelle pertanto, mentre che soggior­nava a Calcide, attribuivasi maggior autorità che non gli si conveniva; perciocché spacciava che il Re, ancor giovine, fosse quasi in tutto a lui soggetto, e di nulla padrone, e il maneggio degli affari e la facoltà supre­ma a sé traeva. Quindi i governatori ed amministratori della Tessaglia a lui facean capo, e le città della Gre­cia ne’ decreti, negli opori e ne’regali, poco rammen- tavan il re , ed Apelle.era loro tutto in ogni cosa. Fi­lippo di ciò informato , da molto tempo se ne adon­tava , ed era assai dolente ; come quegli che avea assi­duamente Arato al fianco, il quale con tenace- attività insisteva nel proposito. Tuttavia reprimeva egli il suo risentimento, e nessuno potè penetrare , dov’ egli an­dava a ferire, e qual fosse la sua intenzione. Apelle, ignaro di quanto lo risguardava , e persuaso che ove si fosse presentato a Filippo , avrebbe tutto a suo ta ­lento governato, partissi da Calcide per assister Leon­zio. Venuto a Corinto , Leonzio Megalea e Tolemeo eh1 erano duci degli scudi brevi e degli altri più cospi­cui corp i, molto adoperaronsi, ed incitarono la sol­datesca perchè gli si facesse incontro. Eseguì egli il suo ingresso con grande pompa ed ostentazione, pella mol­titudine de’duci e de’soldati che andati erano ad incon­trarlo, e recossi dal viaggio subito a corte. Ma volendo

polibio, tomo n i . 3

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A.diR. secondo 1’ antico costume entrare, il rattenne uno degli 536 uscieri giusta 1’ ordine ricevuto, dicendo che il re non

avea tempo. Attonito Apelle di tal novità , e non sa­pendosi buona pezza che cosa fare in emergente co­tanto inaspettato, ritirossi turbato : gli altri dileguaronsi tosto da lu i , per modo che alla fine entrò solo co’ suoi ragazzi nell’ albergo. Imperciocché gli uomini in gene­rale per lievi motivi s’ innalzano e s1 abbassano , massi­mamente nelle corti ; non altrimenti che le (6 9 ) pie- truzze nell’ abbaco , le quali a piacere del calcolatore ora valgon un denaro , ora un talento. Così i cortigiani ad un cenno del re sono felici, e poco stante miseri. M egalea, veggendo che l’ assistenza d’ Apelle riusciva contraria alla sua aspettazione , era pieno di timore , e meditava la fuga. Apelle pertanto ammesso era alle conversazioni e ad altri simili onori, ma ne’ consigli e nelle confabulazioni giornaliere non avea parte. I giorni appresso il re salpato avendo dal Lecheo per dar com­pimento agli affari della Focide, prese seco Apelle; ma essendogli ttìrnata vana l’ impresa retrocedette da (7 0 ) Eiatea.

XXVII. Frattanto Megalea ritirossi in Atene, lasciando Leonzio mallevadore de’venti talenti; ma non avendolo i maestrati Ateniesi ricevuto, andò a Tebe. Il re, partitosi da C irra , afferrò col suo Seguito nel porto di Sicione , e salito in città si scusò presso gli A rconti, e andò ad alloggiare da A ra to , con cui passava tu tto il suo tem po, e ad Apelle ordinò di navigar a Corinto. Avute le nuove di M egalea, mandò gli scudi b rev i, clic con­duceva Leonzio, nella Trifilia con Taurione, sotto p re-

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testo di certa urgenza, e poiché erano p a rtiti, coman- -d. dì R

dò che (7 1 ) s’ incarcerasse Leonzio per cagione della 536 somma che aveva guarentita. Avendo gli scudi brevi ciò risaputo per mezzo d’ una persona mandata da Leonzio, spedirono ambasciadori al re pregandolo, che , se per qualche altra causa avesse fatto imprigio­nare Leonzio, non pronunciasse la sentenza loro as­senti : altramente se ne sarebbono tenuti grandemente offesi e disprezzati. (Cotale libertà di parlare aveano sempre i Macedoni verso de’ loro re ). Che se il mo­tivo fosse la mallevadorìa prestata per M egalea, la pa- gherebbon essi, facendo una colletta. Il r e , irritato dalla gara di costoro, tolse Leonzio di vita più presto che non avea divisato.

XXVIII. Gli ambasciadori de’ Rodii e de’ Chii ritor­narono dall’ E tolia, avendo fatto una tregua di trenta giorni, e dicendo che gli Etoli eran pronti a trattar la pace. Destinaron eziandio un giorno, in, cui d im an-- darono che Filippo andasse al Rio , promettendo che gli Etoli calati sarebbono ad ogni accordo. Filippo, ac­cettata la tregua, scrisse agli alleati, significando loro di mandar deputati a P a tra , che deliberassero intorno alla pace cogli Etoli. Egli arrivò colà per mare dal Le­cheo il secondo giorno. In quello furono spedite a lui certe (7 2 ) lettere dalla Focide, che Megalea scritte avea agli E to li, in cui gli esortava a non ismarrirsi e a con­tinuar la guerra , dappoiché le cose di Filippo eran al Verde per mancanza di vettovaglie : oltre a ciò conte- nevan accuse contra il re ed insulti che scoprivan il suo odio. Lette queste lettere, e stimando Apelle prima cau-

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A. diR . sa d’ ogni male , il fece incontanente circondare da guar- 536 die, ed in fretta lo spedi a Corinto insieme col figlio e

col (7 3 ) fanciullo amato. Contro Megalea mandò a Tebe Alessandro, ordinandogli che il citasse in giudicio per la guarentigia. Eseguito avendo Alessandro 1’ ordine ri­cevuto , non aspettò Megalea l’ esito , e si diede la morte. Circa gli stessi giorni morì Apelle col figlio e col Batillo. Così usciron costoro di v ita , incontrando una fine conveniente alla loro condotta, e sovrattutto alla sfrenata insolenza che usarono verso d’Arato.

XXIX. Gli Etoli (7 4 ) dapprincipio, a dir vero', solle­citavano la pace , oppressi com’ erano dalla guerra, e non andando loro gli affari a seconda; perciocché spe­rando d’aver in Filippo un fanciullo, per la sua età ed inesperienza, il trovaron un uomo consumato , così nel divisar le imprese , come nel recarle ad effetto, ed essi apparvero uomini dappoco e puerili ne’ particolari non m eno , che nel maneggio universale della guerra. Ma come riseppero il tumulto che fecero gli scudi brevi, e la morte di Leonzio e d’ Apelle , sperando esser in corte grande ed arduo movimento, mandaron in lungo e procrastinarono il giorno destinato al congresso di Rio. Filippo lieto accolse siffatto pretesto , confidando nel prospero successo della guerra , e si prefisse di sventare gli accordi} quindi confortò gli alleati ch’era- no presenti a non adoperarsi per la pace , ma sibbene per la guerra, e levate le ancore navigò di bel nuovo a Corinto. I Macedoni congedò tutti e per la Tessaglia mandolli a svernare in pa tria , ed egli uscì di Cen- crea, è peli’ EuripO lungo la costa dell’ Attica andò a

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(j5 ) Demetriade. Colà fece da’Macedoni processare To- A. di R

lemeo , che solo rimaneva della società di Leonzio , e 536 punilìo coll’ estremo supplicio. —■ A que’ tempi Anni­baie invase l’Italia , ed accampossi di rincontro all’eser­cito Romano presso il fiume Po. A ntioco, conquistata la maggior parte della Celesiria , era ritornato alle stan­ze. Licurgo re de’ Lacedemonii era per timore degli Efori fuggito in Etolia ; perciocché gli E fori, essendo loro stato falsamente riferito , ch’egli tramava nuovità, raccolsero di nottetempo la gioventù, ed andarono alla sua casa ; ma egli avutone sentore, uscì di là insieme co’ suoi famigli.

XXX. Sopraggiunto il verno , e ritornato Filippo in Macedonia, siccome Eperato pretore degli Achei era disprezzato dalla milizia civile, e da’mercenarii al tut­to (7 6 ) abbominato , così nessuno ubbidiva a’ suoi co*- m andam enti, e nulla era preparato per la difesa del paese. Locchè considerando P irria, che dagli Etoli era stato mandato agli Elei per capitano, ed avea mille trecent’ E toli, e i mercenarii degli E le i, oltre a mille fanti de’cittadini e dugento cavalli, per modo che in tutto sommavano circa tre mila uomini, guastava non solo sovente la campagna de’ Dimei e de’ F a re i, ma eziandio quella de’ Patrei. Finalmente accampatosi sul monte chiamato Panacaico che sovrasta alla città di Pa- t r a , arse tutta la campagna che guarda il Rio ed Egio.Le città adunque maltrattate e da nessuno soccorse 3 difficilmente recavano i tributi, ed i soldati cui proro- gavansi e tardavansi gli stipendii, operavano nella stessa conformità, quand’ erano mandati in soccorso. (7 7 ) Per

3?

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Ardi A cagione di cotal vicenda che amendue rendevano, gli af- '536 fari andavano di mal in peggio, e alla fine si sciolse il

corpo della milizia straniera. Colpa di tutto ciò fu l’im­becillità del capo. In tale situazione erano le cose degli A chei, quando giunto il tempo Eperato depose il go­verno. Gli Achei in sull’incominciar della state crearono

c x l iii pretore Arato il maggiore. — Questo era 1’ andamento 53y degli affari in Europa. Noi pertanto, dappoiché per via

della divisione de’ tem pi, e della circoscrizione de’ fat­ti , procacciati ci siamo un luogo opportuno, passiam alle gesta dell’ Asia, compiute nella medesima Olimpia­de che le antecedenti, e poscia ritorneremo alla narra­

zione di quelle.XXXI. E dapprincipio ci accigneremo ad esporre,

(7 8 ) giusta il primo nostro proponimento, la guerra che .per la Celesiria insurse fra Antioco e Tolemeo. Che quan­tunque ci sia ben n o to , come a quel tem po, in cui finimmo il racconto delle cose di G recia, era quella guerra {7 9 ) pressoohè decisa e giunta al suo termine } ciò non di meno scelta abbiamo siffatta introduzione e partizione della storia presente. Ed affinché il leggitore non s’ inganni nell’ esatta notizia de’ parziali avveni­m enti, noi abbiamo stimato di fornirgli abbondevole istruzione, rammentando il principio e il fine d’ogni fatto accaduto in questa Olimpiade contemporaneamente agli affari della Grecia. Nè crediamo esservi cosa più neces­saria in questa Olimpiade per la più facile intelligenza e chiarezza della narrazione, ohe -di (So) non intrecciai*

fra loro i fatti, ma di separarli e dividerli «pianto è pos­sibile , finattantochè pervenuti alla prossima Olimpiade,

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incominceremo a descriver per ordine le gesta di eia- A. di E

schedun anno. Imperciocché, avendo noi preso a seri" vere, non una storia particolare, ma gli avvenimenti di tutte le nazioni, ed essendoci assunto, a così dire , il più grande lavoro di questo genere tra quanti ne ese­guirono i nostri m aggiori, conforme in addietro già e- sponemmo : egli è mestieri, che ci facciamo colla mag­gior cura alla distribuzione e all’ordinamento della ma­teria, affinchè l’ opera nostra , così nelle p arti, come nel tutto riesca chiara. Q uindi, riandando brevemente i regni d’ Antioco e di Tolem eo, c’ ingegneremo di muovere da’principii più indubitati « conosciuti intor­no alle cose da narrarsi ; locchè è sovrattutto neces­

sario.XXXII. Conciossiachè gli antichi, in dicendo 1 che

(8 1 ) il principio è la metà del tutto, avvertir ci volesse­ro, come in ogni affare molto affaticarci dobbiamo a bene incominciarlo. E mentre che sembrano aver .con «sage- razione parlato , a me pajono aver detto m eno, del vero \ potendosi affermare con fiducia, che il prin­cipio , non che formi la metà del -tutto , si estende an­cor sino alla fine. Che come potrà alcuno lodevolmente incominciare , senz’abbracciar colla mente tutto il com­plesso dell’ impresa, e senza conpséere donde, ed a qual fine, ed in grazia di che all’ opera s’ aceigne ? E come recapitolerà egli convenientemente i fatti , ove non li confronti tutti col principiò y e -non sappia ppr qual m odo , e per quali cagioni giunto sia alle gesta presenti ? Il perchè chi legge o scrive u n i storiai uni­versale por debbe in ciò la maggior industria , « Bon

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4.diR . creder che il principio sino alla metà soltanto , ma sino5 3 7 alla fine si estenda. La qual cosa noi pure c’ ingegne-

rem ora di fare.XXXIII. Sebbene io non ignoro come molti al­

tri storici usano la mia favella, dicendo che seri* vono una storia universale, ed imprendono una mag­gior opera che non fecero i loro maggiori. Intor­no a’ quali, se si eccettui (8 2 ) E foro, che fu il pri­mo e solo ad applicarsi a cotal lavoro, io lascerò di parlar maggiormente , o di rammentarne alcu­no. Rammenterò soltanto, come a’ nostri giorni vi ebbe taluno, che in (83) tre o quattro paginette de­scrisse la guerra de’ Romani e de’ Cartaginesi, e van­tassi d’aver trattati gli avvenimenti del mondo. Eppure in Ispagna e in Africa, non meno che in Sicilia e in Italia eseguivansi allora moltissime e grandissime gesta; e là guerra d’ Annibaie fu , se si eccettui, quella per la Sicilia, di gran lunga la più celebre e di maggior durata fra quante ne sono s ta te , a tale che tutti erano costretti a volgervi lo sguardo per cagione della sua in tensità, e a temere del suo» esito : locchè chi è tanto ignorante che non sappia ? Tuttavia certi storici, non rappresentando neppure quanto que’pittori, che (8 4 ) alla buona figurano sulle pareti i fasti delle nazioni, dicono di aver abbracciate tutte le gesta de’Greci e de’Barbari. E la ragione di ciò si è, che l’ imprender colle parole le opere più grandi, è , quasi che dissi, cosa a tutti co­mune ; ma il recar ad effetto gesta illustri non riesce punto agevole. Quindi quello è in arbitrio di ciasche­duno cui basti l’ animo di vi si mettere : questo è assai

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Jìr/ijie. T'JZf ^

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r a ro , e a pochi concesso nel corso della vita* A tal di­scorso m’ indusse la millanterìa di coloro che insù1

perbiscono de’ proprii componimenti. Ora ritorno al principio del propostomi lavoro.

XXXIV; Tolemeo, soprannomato Filopatore, dopo la morte del (85) padre , uccise (8 6 ) il fratello Maga e i suoi partigiani, ed assunse il dominio dell’Egitto. Sti­mava egli essersi sciolto da s è , e coll’ uccisione degli anzidetti, da’ domestici tim ori, e da’ pericoli di fuori averlo liberato la fortuna colla morte d’ Antigono e di Seleuco, essendo Antioco e F ilippo , successori di quelli, assai giovani e pressoché fanciulli. Affidato a- dunque per coteste ragioni nel favor dèlie circostan­ze , trattò le faccende del regno (8 7 ) come se festeg­giasse , e (8 8 ) sbadato e di diffidi accesso si mo­strava a’ cortigiani, e agli altri che maneggiavano gli a f­fari dell’ Egitto, e trascurato e neghittoso a quelli cliè governavano le province esterne, laddove i re anteriori maggior cura ne aveano che dello stesso Egitto. Imper* ciocché, signoreggiando la Celesiria e C ipro, sovrastia^ vano a’re di Siria per mare e per terra. E padroni dèlta più illustri città e luoghi e porti su tutta la spiaggia dalla Panfilia sino all’ Ellesponto , e del territorio di (8 9 ) Lisimachia ancora, eran dappresso a?signori dell’A* sia, non meno che alle isole. Stavano poi osservando gli affari della Tracia e della Macedonia, possedendo (9 0 ) le contrade d’Eno (9 1 ) 'e diM aronea e d’altre più lontane città. Per tal guisa stendevano lungi le mapi, e riparan­dosi in molta distanza da tanti potentati, non temeva­no giammai per l’ impero dell’ Egitto : quindi a buon

A. di R

537

CX XX Il

ii53*

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A. di R. diritto gran conto faceano delle cose esterne. Ma il re 53a anzidetto, governando tutto trascuratamente pegli in­

decenti am ori, e le pazze e continue gozzoviglie, trovò meritamente in breve tempo molti che alla vita e al trono di lui insidiavano; fra i quali fu il primo lo Spar­tano Cleomene.

XXXV. Costui, mentre che visse Tolemeo Evergete, col quale fece, alleanza e tra tta ti, stette cheto , speran­do sempre d ’ ottener per mezzo suo i convenienti 'soc­corsi per ricuperar il patrio regno. Ma poiché quegli morì , ed il tempo progrediva, (9 2 ) e le circostanze della Grecia chiamavano Cleomene qaasi per nom e, es­sendo anche morto Antigono, gli Achei in guerra, e i Lacedemoni uniti cogli Etoli nella nimistà contro gli Achei ed i Macedoni, secondochè sin dapprincipio Cleo- mene erasi proposto ed avea impreso d’ effettuare : tan­to maggiormente & egli costretto a sollecitare con ogni premura ;la eua partenza d’Alessandria. Per la qual cosa tUpprinpipii» afefcoccossi col re , ed invitollo a dargli la provvigione necessaria ad un esercito per andarsene : poscia , e&sencto pocD ascoltato, il pregò instantemente di licenziare lui solo co’proprii domestici; sendochè le circo&taxree opportuna occasione gli somministravano di riacquistar U patrio soglio. Il re pertanto , non ba­dando posto à siffatti discorsi, nè provvedendo all’av­venire per le mentovate cagioni, da sbalordito e stolto eh’ egli e ra , non dava giammai retta a Cleomene. Ma Sosibio, il quale allora con somma autorità presiedeva agli afiferi, chiamati a consiglio i Grandi a lui devoti, presti intórno a ; Cleomene la risoluzione di non licen-

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ziarlo con un armata e con provvigioni. Imperciocché A. diR.

disprezzavan essi le cose esterne per la morte d ’ Anti- 53a gono, e vane credean le spese a cotal uopo. Oltre a ciò temevano, n o n , trapassato essendo Antigono, e non restando alcun altro rivale, Cleomene stesso pre­sto senza fatica s’ assoggettasse la G recia, e grave (g3) e formidabil avversario loro divenisse, come quegli che in chiara luce vedea gli affari lo ro , aveail re per dis­perato , e molte parti del regno osservava come in bra­ni , ed in lunghi intervalli d istratte , offerenti non po­che occasioni a tentar qualche impresa. (g4) Ed erano in Samo molte navi, e grande numero di soldati nei dintorni d’Efeso. Per le mentovate cagioni adunque non approvarono il consiglio di spedirlo approvvigionato : e dall’ altro canto congedare un tant’ «Omo con disprez­zo , e farselo manifesto nemico , stimavano non con­venir loro punto. Quindi non rimaneva che di tra tte ­nerlo contra sua voglia : locchè nell’istante e senza di- battimenti disapprovarono tu tt i , non credendo sicuro di lasciar il (9 5 ) leone e gli agnelli nella medesima stali la ; e Sosibio sovra gli altri ne avea sospetto pella se­guente causa.

XXXVI. Allorquando occupavansi dell’ uccisione di Maga e di Berenice , temendo non fallisse loro l’ im­presa , precipuamente per 1’ audacia di Berenice, co­stretti furono ad accarezzar i cortigiani, ed a soscri- vere a tutti de’compensi, ove le cose riuscissero a se-* conda de’ loro voti. Allora Sosibio, comprendendo ,chtì Cleom ene, il quale abbisognava dell’ ajuto del re , era fornito di prudenza e di cognizioni veramente prati-

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A . dì R. c h e , l’allettò con grandi speranze e gli partecipò il di- 53a segno. Cleomene reggendolo spaventato , e sovrattutto'

in timore de’ soldati stranieri e de’ m ercenarii, il con­fortò , promettendogli, che i mercenarii non gli avrei- bon recato punto di danno , ma sibbene giovamento. Maravigliandosi Sosibio ancor maggiormente della pro­messa ; ora non vedi tu ( gli disse ) come gli stranieri sono circa tremila Peloponnesi, e da mille C retesi, i quali, ove diam loro un solo cen n o , pronti sono tutti, a servirei ? Costoro, se tinisconsi in tuo favore, di chi temi ? Al certo li (9 6 ) soldati di Siria e di Caria ? —> Al­lora Sosibio, sentendo ciò con piacere, doppiamente, incoraggiossi a torre di mezzo Berenice. In appresso, considerando la leggerézza del re , sempre tomavagli alla mente , e sotto agli occhi gli veniva 1’ audacia di Cleomene, e la benevolenza' degli stranieri verso di lui. Quindi allora singolarmente inculcava costui al re ed a’ suoi, amici di prevenir Cleomene, e farlo riun chiudere. Per il qual divisamento Sosibio si valse della seguente congiuntura.

XXXVII. Era un Nicagora da M essene, il di cui; padre fu già ospite del padre d’ (9 7 ) Archidamo re di Sparta. Questi ne’ tempi addietro di rado si bazzica­vano; ma allorquando Archidamo fuggi da Sparta per

• timore di Cléomene, e venne nella Messenia, Nicagora non solo il ricevette di buon grado in casa cogli altri suoi domestici, ma ne nacque eziandio in appresso pel frequente conversare un’ assoluta benevolenza e fami­gliarità fra di loro. Il perchè, avendo poscia. Cleomene dato speranza che avrebbe, fatto ritornai’ Archidamo e

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si sarebbe con lui riconciliato, Nicagora adoperassi A. di

nelle ambasciate e nello stabilire gli accordi sulla pa- 53a rola data. I quali come furono stipulati, Archidamo si restituì a S parta, affidato nelle transazioni fatte per mezzo di Nicagora. Cleomene pertanto venuto incon­tro ad Archidamo, l’uccise; ma Nicagora e gli altri che erano con lui risparmiò. Verso altrui Nicagora simulava d’esser molto obbligato a Cleomene della sua salvezza; ma fra sè dolentissimo era dell’accaduto, sembrando aver egli avuto colpa dell’assassinio del re. Cotesto Nicagora adunque era poco tempo fa approdato in Alessandria, conducendo cavalli, e come uscì della nave trovò Cleo­mene e (9 8 ) Panteo, e con essilppita , che passeggia­vano sul lembo del porto. Come Cleomene il vide, lo sa­lutò e abbracciò amichevolmente, e gli chiese, a che far era venuto. Rispos’ egli, a vender cavalli. Assai me­glio , disse Cleomene, avresti fa tto , se 'in luogo di ca­valli condotti avessi (9 9 ) ballerini e suonatrici d’ arpa : che il re presente in queste cose tu tto si occupa. Al­lora Nicagora sorrise, e si tacque ; ma dopo alcuni giorni, fattosi più famigliare di Sosibio per via de’ ca­valli , gli riferì in aggravio di Cleomene il testé mento­vato discorso , ed osservando che Sosibio 1’ ,ascoltava con piacere, gli espose tutta l’antica sua animosità con­tro-Cleomene.

XXXVIII. Come Sosibio conobbe, che costui era di Cleomene nem ico, parte facendogli alcuni doni nel- l’ istante , e parte promettendone per 1’ avvenire , gli persuase di scriver una lettera contra Cleomene , la quale lascerebbe suggellata, affinchè pochi giorni dopo

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A. di R. la sua partenza un ragazzo a lui la portasse ; come se532 mandata fosse da Nicagora. Eseguito ch’ebbe Nicago­

ra quanto fu ora d e tta , ed essendo la lettera stata re­cata da un ragazzo a Sosibio dopo che Nicagora erasi partito ; quegli andò subito dal re col domestico e col­la lettera. Disse il ragazzo avere Nicagora lasciata la lettera con ordine di darla a Sosibio. Siccome era scritto in quella le tte ra , che Cleomene, ove non lo spedissero coll’ apparecchio conveniente e con ogni co­sa necessaria, metterebbe a soqquadro il regno ; cosi Sosibio , afferrata subito questa occasione , stimolò il re e gli amici suoi a non indugiare, ma a cautelarsi e far incarcerar Cleomene. Nè guari andò che gli fu da­ta una casa molto spaziosa, ove dimorò custodito $ in ciò solo diverso dagli altri incarcerati, che soggiornava in una prigione più ampia. Locchè considerando Cleo* m ene, e avendo infausto presentimento dell’ avvenire, risolvette di provar tu tto , non tauto colla persuasione di conseguir il suo intento ( che non avea egli proba­bilità alcuna che l’ impresa fosse per riuscirgli), quanto molto maggiormente colla brama di morir con onore, e di non tollerar nulla che indegno fosse del passato suo ardimento. Ricorrevagli eziandio alla m ente, con­forme a me sembra , e dinanzi gli si parava ciò che accader suole agli uomini di gran cuore :

« Non ( i o o ) da vigliacco al certo e senza gloria Io perirò, ma qualche fa tto oprando Che i posteri udiranno ».

XXXIX. Aspettata dunque la partenza del re per

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Canopo, sparse la voce fra quelli che il.custodivano , A.diR .

come il re era per liberarlo. Per la qual cagione ban- 53a chettò i suoi serventi, e mandò a’ custodi carni, coro­ne e vino. Poiché costoro si godettero queste cose senza sospetto, e s’ ubbriacarono, uscì egli insieme cogli amici eh’ erano seco, e co’ suoi servi, intorno al mezzo giorno, non osservato dalle guardie, co’ pugnali branditi. Andando innanzi riscontrarono nella strada principale Tolemeo , lasciato allor a presidio della cit­tà. Sbigottiti quelli che P- accompagnavano a tanta au­dacia, lui trassero dalla quadriga ed .(io i) amazzarono, e il popolo esortaron alla libertà. Ma non badando lo­ro , né movendosi nessuno ( che tutti atterriva l’ ina­spettata impresa ) , voltaronsi e corsero alla rocca, per abbattere le porticcyiole, e valersi degl’ incarcerati per il lor intehto. Ma fallito loro anche questo disegno, perciocché i comandanti della rocca, presentendo P av­venire , avean assicurata la p o rta , con animo generoso al tutto e laconico colle proprie mani s’ uccisero. Cosi Cleomene fisi di vivere : uomo di singolare destrezza ( 1 0 2 ) nelle pratiche, e di grande ingegno nell1 ammi­nistrazione degli affari ; in somma nato fatto per esser

duce e re.XL. Non (io3) molto dopo questo avvenimento ri-

bellossi Teodoto governatore della Celesiria, Etolo di origine , parte per disprezzo del re che menava vita scostumata , parte diffidando de’ cortigiani ; perciocché non molto tempo addietro prestati avea al re segnalati servigi in molti affari , e segnatamente nella prima irruzione d’ Antioco nella Celesiria , senza che ne ot-

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A. dì R. tenesse ringraziamento alcuno ; anzi al contrario essen-53a do stato richiamato in Alessandria , per poco non cor­

se rischio di perder la vita. Per queste cagioni prese di parlar con Antioco , e di consegnargli le città della Celesiria. Il re accolse lieto l’offertogli partito} onde con breve trattato si esegui la faccenda. Affinchè pertanto di questa casa dominante diamo la stessa contezza che dell’ antecedente , ricondurremo la storia al tempo in cui Autioco assunse le redini del regno , recapitolando per transunto gli avvenimenti sino al principio della prossima guerra. — Era (io4) Antioco figlio minore di

5 3 1 Seleuco , soprannomato Callinico. Morto il p ad re , e cxxxix succedutogli nel regno pella maggior età il fratello Se-

1 leuco, trasferì dapprima la sua sede nelle regioni su­periori. Ma poiché Seleuco , passato il Tauro , fu ucci­so a tradimento , conforme abbiam detto di ( i o5) so­pra , prese egli il supremo potere e regnò j affidando il governo delle province di qua del Tauro ad Acheo , e le parti superiori del regno a M olone, e ad Alessan­dro di Molone fratello : ed era Molone satrapa della M edia, e Alessandro della Persia.

532 XLI. 1 quali disprezzando 1’ età sua fanciullesca , e :xxxix Sperando che Acheo s’ associerebbe alla loro impi-esa,

11 ma sovrattutto temendo la crudeltà e malvagità d’ E r- m ea, che allora presiedeva a tutti gli affari, divisarono' di ribellarsi e di smuovere dalla fedeltà le province di sopra. Ermea nativo della Caria, era stato preposto al­l’amministrazione dello Stato da Seleuco fratello d’An­tioco , che questa cura alla fede sua commise , allor­quando fece la spedizione verso il Tauro. Conseguita

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ch’ ebbe tanta dignità; ingelosì di tutti quelli eh’erano A.diR.

in favore alla corte ; e crudele essendo per n a tu ra , 53a puniva gli uni per delitti d’ignoranza ch’ egli recava a mala parte, agli altri intentava accuse ( 1 0 6 ) artefatte e false, mostrandosi giudice (1 0 7 ) invincibile ed acerbo.Ma il suo principale studio e ciò che sovra ogni altra cosa gli stava a cuore , si era di torre di mezzo Epi- gene , il quale ricondotto avea 1’ esercito raccolto da Seleuco. Con questo proponimento stava egli sempre in osservazione di qualche incontro e pretesto di ca­lunniar il suddetto. Ragunatosi il Senato per deliberar intorno alla defezione di Molone, e comandato avendo il re che ciascheduno dicesse il suo parere sul modo di opporsi agli attentati de’ ribelli, consigliò il primo Epigene, che non si dovesse indugiare, ma con ogni sollecitudine stare dietro al presente affare, ed innanzi e sopra ogni cosa avesse il re a recarsi su’ luoghi, e in persona attender a’ momenti favorevoli. Che per . tal guisa non'oserebbe punto Molone co’ suoi partigiani di tentar qualche novità in presenza del re, e d’un giu­sto esercito al cospetto de’ popoli : o se tuttavia s’ arri­schiassero di farlo , e perseverassero nel proposito , in­contanente sarebbono pigliati dal volgo e consegnati . al re.

XL1I. Non avea 1’ anzidetto finito di parla re , quan­do Ermea montato in collera disse : già da lungo tem­po aver egli, insidiatore e traditore del regno , ingan­nati tu tti, ma ora sì far chiaro col suo consiglio, come in compagnia di pochi s’ ingegni di dar la persona del re in mano a’ nemici. Questa volta pertan to , come

f o l u u o , tomo 111. 4

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A dìR. ( 1 0 6 ) dato fuoco alla calunnia, lasciò Epigene , mani»532 festando amarezza intempestiva anziché odio, e nell’e-

sporre la sua sentenza si cansò dalla spedizione contro M olone, paventando il pericolo pella sua inesperienza nelle cose della guerra. Sibbene studiavasi di condur un esercito contra Tolem eo, stimando cotal guerra scevra da rischio per la viltà del re mentovato. C osì, spaventati tutti quelli eh’eran a consiglio, spedì contra Molone un esercito capitanato da Senone e da Teo- doto ( 10 9 ) Em iolio, ed Antioco stimolava continua- mente a rivolgersi alla ricuperazione della Celesiria : che soltanto, ove il re giovinetto avesse la guerra tutto all’ intorno , credeva egli che non renderebbe conto delle mancanze passate, nè sarebbe (n o ) diminuita la sua au to rità , per il bisogno che di lui avrebbe il re nelle pugne e ne’ pericoli in mezzo a’ quali si trovereb­be. Il perchè alla fine fece ad arte una le tte ra , come se da Acheo fosse m andata, e recolla al re. In questa

significava A cheo, che Tolemeo lo sollecitava ad im­possessarsi del regno , e gli prometteva di provvederlo di navi e di danari a tutte le sue imprese, qualora egli prendesse la benda rea le , ed apertamente si appro­priasse il supremo potere , che col fatto già era nelle sue mani ; quantunque invidiando a sè stesso il tito lo , ricusasse la corona datagli dalla fortuna. Il r e , pre­stando fede alla le tte ra , pronto e pieno di speranza s’ accinse alla spedizione della Celesiria.

X LIII. F ra ttan to , essendo egli a ( i n ) Seleucia sul Ponte, venne il capitano navale Diognito dalla Cappa- docia confinante col mar E usino, conducendo seco

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Laodice figlia del re Mitridate , che vergine era stata A. di R

destinata sposa al re Antioco. Mitridate vantavasi di- 53a scendente d’ uno (u à ) de’ sette Persiani, che uccisero il M ago, e conservava il dominio dato anticamente da Dario (i 13) a’ suoi maggiori presso il Ponto Eusino. Antioco , ricevuta la vergine con grande comitiva e magnificenza, compiè tosto le nozze splendidamente e con regio apparato. Dopo 1’ esecuzione degli sponsali discese in (114) Antiochia, e dichiarò Laodice regina ; indi occupossi degli apparecchi di guerra. Frattanto -Molone, preparati ch’ebbe ad ogni caso i popoli della sua satrapìa , colla speranza del bottino , e col timore che incusse a’ duci, cui produsse false e minaccevoli lettere del Re; avendo nel fratello Alessandro un pronto cooperatore, ed essendosi eziandio assicurato delle vi­cine satrapìe, per via della benevolenza de’ capi e di regali ; usci con un grand’ esercito contro i capitani del re. Senone e T eodoto , sbigottiti al suo arrivo, ritfra- ronsi nelle città. M olone, impadronitosi della cam­pagna ( f i 5) Apolloniatide , avea abbondanza di vetto­vaglia, ed era già in addietro formidabile per la grandezza della sua signoria.

XLIY. Imperciocché tutti (i 1 6 ) gli armenti de1 ca­valli regii sono nelle mani de’ M edi, presso i quali ha eziandio immensa quantità di frumento e di bestiame.Della fortezza naturale e grandezza della contrada non si può dir abbastanza. Conciossiachè giaccia la Media nel centro dell’Asia, c superi in ampiezza ed altezza di terreno tutte le altre asiatiche province, ( 1 1 7 ) ove le loro parti si confrontino. Sovrasta a .valorosissime c

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A. diR . grandissime nazioni. Imperciocché le giace davanti vèrso 53a oriente il piano deserto , eh’ è tra la Persia e la (i 1 8 )

Parrasia ; sta eziandio a cavaliere delle così dette ( 1 1 9 ) -porte Caspie, e le domina^ e tocca i (1 2 0 ) monti de’ T ap iri, non molto distanti dal (1 2 1 ) mare d’ Ircania. Ove inclina a mezzodì giunge sino alla Mesopotamia ed all’ Apolloniatide \ ha al fianco la Persia , da cui là divide il ( 1 2 2 ) monte Z agro , il quale ha una salita di circa cento stadii, contiene molti gioghi, parte distanti, parte serra ti, è tagliato da burron i, e in alcuni siti da valli, abitate da’ ( 123) Cossei, da’ Corbeni, da’Car­chi , e dà molte altre genìe di barbari, che hanno fama d’ esser eccellenti in guerra. Dal lato d1 occidente è dessa contigua a’eosì detti ( 1 2 4 ) Atropazii, e non molto lungi dalle nazioni che arrivano al Ponto Eusino. A settentrione è circondata dagli (i25) Elim ei, dagli A riaraci, da’ Caddusii e da’ Matiani , e sovrasta alle parti del Ponto che attaccansi alla Meotide. La stessa Media è da levante a ponente divisa (1 2 6 ) da molte montagne , fra cui giacciono pianure piene di città e di villaggi.

XLV. Molone adunque signoreggiando questo paese, che avea ogni opportunità per formarne un regno, era già da molto tempo formidabile , conforme pria dissi, per la possanza del suo dominio $ e allora, sembrando i capitani del Re cedergli i luoghi ap erti, laddove i suoi soldati eransi grandemente inanimiti per il buon successo de’ primi passi, parve egli affatto tremendo e irresistibile a tutti gli abitanti dell’ Asia. Il perchè dap­prima, passato il Tigi-i, s’accinse ad assediai' (1 2 7 ) Seleu-

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eia } ma impeditogli il tragitto da Zeusi che gli avea A .diR

occupate le barche, andò agli alloggiamenti in Gtesi- 53a

fonte (1 2 8 ), e preparò all’esercito il necessario per isver- nare. Il re , sentito il progredir di Molone, e la ritirata de’ proprii capitani, acconciossi di bel nuovo a marciare contra di lui, desìstendo dalla spedizione contra Tolemeo, per non perdere la buona occasione. Ma Ermea, perseve- cxxxn rando nel suo antico proponimento, mandò contra Mo-, u* Ione Senita Acheo con assoluto potere ed un esercito, di- ^

cendo dovere co’ribelli guerreggiar i suoi capitani, e co’re egli stesso siccome re disegnar le imprese, e venir a deci­sivi combattimenti. Costui, avendo per cagione, dell’ età' il giovinetto nelle mani, andò innanzi, e raccolse le forze in (1 2 9 ) A pam ea, donde levatosi giunse in Laòdicea.Di qui mosse il Re con tutto il suo esercito, e varcato il desérto, entrò nella (i3o) valle chiamata M arsia, che giace fra le falde del Libano e dell’Antilibano , 'e dagli anzidetti monti è ridotta ad angusto spazio il quale dov’ è più stretto trovasi impacciato da s ta g n i da paduli, ne’ quali tagliasi la (13 1) canna olezzante. »

XLVI. Domina queste strette da un lato certo ca­stello denominato Broco, dall’ altro G erra, lasciando una via angusta. Marciò molti giorni per quella valle ,> e fatte sue le città aggiacenti, pervenne a Gerra. M a trovando che l’Etolo Teodoto avea già preoccupati;Broco e G erra, ed afforzate le strette presso al Padula con fossi e steccati } e disposti gli opportuni presidii, dapprincipio s’ accinse a battere que’ luoghi, ma sic co-, me per cagione della loro fortezza era più offeso di; quello che offendeva, e Teodoto era aàcor incontami-

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t.d ilì. n a to , così desistette dall’ impresa. Il perché, tanta 533 essendo la difficoltà di cotesti s iti, come egli ebbe la

nuova, che Senita era disfatto, e Molone signore di tutte le province di sopra, lasciò la spedizione presen­t e , ed accorse alla difesa delle proprie cose. Imper­ciocché Senita, mandato conforme poc’anzi dicemmo, capitano con autorità illim itata, e maggior facoltà di quella che s’ aspettava, trattava gli amici con arrogan­za, e con soverchia audacia attaccava i nemici. Costui, trasportati gli alloggiamenti in (i3a) Seleucia, e chia­mato a sé Diogene governatore della Susiana, e Pizia- de ( i 33) prefetto del mar Rosso, uscì coll’ esercito, e fattosi riparo del fiume T ig ri, accampossi di rincontro a’ nemici. Vennero a lui molti a nuoto dal campo di Molone significandogli, che , ove tragittasse il fiume , tu tta la gente di Molone a lui s’ accosterebbe, sendo- chè la moltitudine portava invidia a M olone, e al re èra grandemente affezionata : a’ quali detti Senita fat­tosi tronfio , prese a passar il T ig ri, c dimostrando di voler fabbricare un ponte sul fiume in certo sito ove sorge un’ isola, non preparava nulla di ciò che a tal uopo era necessario : ( il perchè Molone disprezzava questa dimostrazione : ) raccoglieva pertanto ed allesti­va le navi, e con grande cura in ciò s’ adoperava. Scelti poscia da lutto l’ esercito i più robusti cavalieri e fan ti, e lasciati a custodia del compreso Zeusi é Pi- z iade, progredì di notte tempo da ottanta stadii sottoil campo di Molone, e trasportato nelle navi l’esercito a salvamento prese m entr’ era ancor notte gli allog­giamenti in un luogo opportuno, circondato nella mag-

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gì or parte dal fium e, e nel resto assicurato da stagni A. di

e da fanghi. 533

XLVII. Molone, accortosi di ciò eh’ era, spedi la ca­valleria per impedir il passaggio di quelli che ( 133) sta­vano tragittando , e tagliar quelli. eh’ erano già pas+ sati. Ma come fu dessa vicina alla gente di Senita , non facea mestieri di nemici ; che per l’ ignoranza dei luoghi da sè stessi sommergevansi, cd impantanatisi ne’fanghi, erano tutti inabili al combattimento, e molti di loro eziandio perivano. Senita , persuaso che al suo appressarsi le forze di Molone passerebbono a lui, fat­tosi innanzi sulla sponda del fiume ed avvicinatosi, po­se il campo allato a’ nemici. Frattanto M olone, o per usar qualche stratagemma , o perchè diffidava de’ sol* d a ti, e temeva non avvenisse alcuna cosa di quelle che aspettava Senita , lasciate le bagaglie nel campo , par­tissi di n o tte , e marciò senza posa alla volta della Me­dia. S en ita , supponendo esser fuggito Molone spaven- . tato del suo arrivo, e perchè sospettava delle proprie forze, primieramente traslocò i suoi alloggiamenti in quelli de’ nem ici, e vi fece passar i suoi cavalli colle loro salmeric dal campo di Zeusi ; poscia ragunò i sol­dati ed esortolli a far animo e a sperar bene dell’ esito della guerra , essendo Molone -fuggito ; e insieme ordi­nò a tutti di procacciarsi il bisognevole e di rinfrescar­si , avendo egli divisato d’inseguir i nemici in sul mat­tino del di vegnente.

XLVIII. La moltitudine rinfrancatasi, e d’ ogni ma- uiera di vettovaglie provvedutasi, s’abbandonò al' cibo e al v ino, e alla poltroneria conseguenza di siffatti ap-

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!. di R. petiti. Molone , poiché s’ ebbe dilungato alquanto , e533 cenato , diede di volta e ritornò, e trovati tutti sdrajati

e briachi, assaltò il campo de’ nemici in sul far del giorno. Senita, e quegli che gli erano dintorno sbigot­titi del caso inaspettato, non potendo destare i soldati oppressi dalla crapola , precipitatisi senza riflessione sugli avversarii, perirono. Goloso che giacevano furono la maggior parte trucidati sulla stessa paglia ov’ erano, coricati $ gli altri gittandosi nel fium e, tentavano di passarlo per giugner al campo sull’ altra ripa : tuttavia anche di questi perì il maggior numero. In somma va­ria era per tutto l’esercito la confusione ed il tumulto; perciocché tutti erano attoniti e pieni di tim ore, ed avendo dinanzi agli occhi il campo di rincontro in bre­vissima distanza, non awedevansi della forza del fiume e della difficoltà di passarlo, pel grande desiderio di salvarsi. £ nella smania e nell’impeto di cercare scam­po , gittavansi nel fiume , e vi facevan entrar eziandio i giumenti colle bagaglie •, non altrimenti che se il fiu­me con qualche provvidenza li dovesse ajutar es salvi condurre agli alloggiamenti che stavano di rimpetto. Donde avvenne che tragico fosse e strano l’aspetto del fiume j il quale menava alla rinfusa co’nuotanti cavalli, gium enti, a rm i, cadaveri , ed ogni maniera di suppel­lettili. Molone impadronitosi del campo di Senita , e passato poscia il fiume impunemente, perciocché nes­suno glielo impediva, fuggito essendo al suo arrivo Zeusi ancora, s’ impossessò pure degli altri alloggia­menti. Eseguite queste cose, venne coll’ esercito a Se- leucia, u presa questa pure di primo im peto, essendo

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Zeusi fuggito colla sua gente, ed insieme con essi Dio- A. di

m edonte prefetto della provincia di Seleucia, proseguì, 533 e senza fatica soggiogò le Satrapìe di sopra. Insignori­tosi di Babilonia e del paese presso al mar Rosso, giunse a Susa. Questa città ancora prese al primo ar­rivo , ma avendo assaltata la rocca niente fece, per­ciocché 1’ ebbe prevenuto il condottiero Diogene, che in quella erasi introdotto. Quindi desistette da questa impresa, e lasciata gente per assediarla, si partì subito di l à , e ritornò coll’ esercito a Seleucia sul Tigri. Ivi ristorò i suoi con molta cura, ed aringatili continuò le sue operazioni. Occupò la (i 35) Parapotamia sino alla città (i36) d’ E uropo, e la Mesopotamia sino a Dura. Antioco, come riseppe questi avvenimenti, conforme dissi di sopra, rinunziò ad ogni speranza sulla Celési- r ia , e tutto applicossi a questa guerra.

XLIX. Allora il re , ragunato nuovamente il Senato, e ordinato a ciascheduno di dire quali apparecchii s’a­vessero a fare contra M olone, riprese Epigene la pa­rola e disse, che già da lungo tempo si dovea senza indugio seguitar il suo consiglio, innanzi che i nemici ottenessero tali vittorie: tu ttavia, aggiunse, dovrebbesi adesso ancora por ogni cura a questo affare. Ermca un’ altra fiata con ira inconsiderata e temeraria inco­minciò a svillaneggiar il suddetto , lodando insieme sò stesso con arroganza , c caricando Epigene d’ assurde e false accuse, e scongiurando il re di non trascurar così irragionevolmente , nè abbandonar la speranza di ricuperare la Celesiria. Con tali discorsi offese molti, e ad Antioco stesso fu m olesto, il quale , pei* quanto

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A.diR. s’ affaticasse di riconciliarli, a stento cessò la contesa.533 Parve a tutti eli’ Epigenc partito più necessario • e più

vantaggioso consigliasse ; quindi fu preso di proseguir con vigore la guerra contro Molone. Allora E rm ea, simulando d’ accordarsi cogli a ltr i, e fattosi un altro , disse dover tutti senza mendicar pretesti eseguire quan* to erasi determinato , e con prontezza e diligenza oc* cupavasi degli apparecchii.

L. Ragunatesi le forze in Apam ea, e nato essendo qualche ammutinamento nella moltitudine pegli stipen- dii ancor dovuti, Ermea , trovato il re sbigottito d’ un movimento in cotal tempo accaduto, promise di pagar a tutti li sa larii, ove gli cohcedesse eh’ Epigeoe non fosse in quella spedizione ; perciocché , disse, niente può a dovere operarsi in questa spedizione, con tanta ira e dissensione insorte nell’esercito. Il re udì ciò con dispiacere , ed a tutto potere procacciava eh’ Epigene l’avesse ad accompagnare, peli’esperienza eh’egli avea nelle cose di guerra; ma circondato e preoccupato dal­le male arti d’ E rm ea, il quale (i3y) sovveniva a’ suoi bisogni, lo assediava, ed ogni servitù gli prestava, non era egli padrone di sé'stesso: quindi cedette alle cir* costanze, ed accordò quanto colui gli chiedeva. Epige­ne adunque ( 138) ritirossi, secondochè gli fu coman­dato , in Apam ea, ed i membri del consiglio erano del tumulto sbigottiti.; ma 1’ esercito, conseguilo ciò che avea dom andato, rivolse la sua affezione a chi era sta­to autore del pagamento degli stipendii. Se non che i (1 3 9 ) Cirresti ammutinaronsi, ed in numero di quasi seimila si tòlsero dall’ ubbidienza, c per molto tempo

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recarono gravi disgusti} ma finalmente sconfìtti in bat- A. taglia da uno de’ capitani del re } perirono quasi tu t t i , 53 e quelli che avanzarono si arresero alla discrezione del re. E rm ea , poiché tratti ebbe al suo partito gli amici del re col terrore, e l’esercito co’ vantaggi che gli pro­curò , levate le tende proseguì in compagnia del re } ad Epigene poi tese un laccio , giovandosi dell’ opera d’ Alessi custode della rocca d’ Apamea. Scrisse una lettera, come se da Molone mandata fosse ad Epigene, e indusse un. ragazzo di lui con grandi promesse a por­tarla in casa d’Epigene, ed a mescolarla colle sue car­te. Ciò fa tto , venne subito Alessi, e domandò ad Epi­gene, se non gli erà stata recata certa lettera da partef di Molone } negando egli, ÀlcSsi aspramente chiese che gìi lasciasse cercare, éd entrato subitamente, trovò la lettera. Del qual pretesto volutosi uccise tosto Epigene. Dopo questo avvenimento il re fu persuaso eh’Epigene meritamente fosse perito } i cortigiani ebbeì’O sospetto di ciò eh’ e ra , ma tacquero per paura.

LI. Antioco, giunto all’ Eufrate, e prese seco, le for- ie che vi erano, prosegui, e pervenuto in ( r 4 o) Antio­chia di Migdonia intorno al solstizio brumale vi rimase^ volendo colà passare il rigore dell’ inverno. Fermatosi circa quaranta g iorni, andò a ( 14 1 ) L iba, dove tenne consiglio per quale strada andar dovesse contro Molo­n e , e com e, e donde procacciar il necessario alle mi­lizie (che Molone erà ne’ d’ intorni di Babilonia). Ad Ermea parve che fosse da marciare lungò il Tigri , met­tendosi innanzi questo e i fiumi ( l4 2) Lieo e Capro'. Zeusi, recandosi alla mente la morte d’ Epigene , dal-*

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4.diR. V un canto temea dì manifestare la sua opinione, dal-533 l’ a ltro , chiaro essendo l’ errore d’ E rm ea, a stento

s’ attentò di suggerire , che s’ avesse a passar il T ig ri, esponendo fra le altre difficoltà di camminar presso al fium e, come dopo aver viaggiato buona pezza, varcar dovrebbono una strada deserta di sei giorni per giugner al così detto ((43) canale regio , il quale, ove preoc­cupato fosse da’ nem ici, impossibile sarebbe di passar­lo , e manifestamente pericoloso, perciocché far do- vrebbesi la ritirata pello stesso deserto, e .singolarmen­te perché difetterebbono delle cose necessarie. Che se passassero il T ig ri, chiaro dimostrava egli che i popoli dell’ Apolloniatide, tratti sarebbon a pentim ento, ed abbraccerebbon il partito del r e , dappoiché ora non per elezione, ma per forza e timore facevano le cb- mandamenta di Molone ; nè esservi dubbio che 1’ eser­cito abbonderebbe di vettovaglie per la fertilità del

. suolo. Ma ciò che più m ontava, asserì, che a Molone tagliato sarebbe il ritorno nella M edia, e che trar non potrebbe da que’ luoghi il bisognevole : onde costretto sarebbe a com battere, o , non volendo ciò fare, le sue forze ben presto cangerebbono volontà, e nel re collo- cherebbono le loro speranze.

L II. Approvata la sentenza di Zeusi, divisero incon­tanente 1’ esercito in tre parti, e in tre luoghi tragitta- ron il fiume gli uomini e le salmerìe. Poscia marciaro­no alla volta di D ura , e appena arrivati levaron 1’ as­sedio di questa città, eh’ era stretta da uno de’ duci d i Molone. Di là fattq cpntinue levate, superarono 1’ ot­

tavo giorno il monte (» 44) Qrico e giunsero in Apollo-

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nia. Molone frattanto , sentito 1’ arrivo d e l're , e diffi- dando de’ popoli della Susiana e della Babilonia , per- 003 ciocché gli avea di recente e all’improvviso conquistati, temendo eziandio non gli fosse tagliata la strada della M edia, avvisò di far un ponte sul T ig ri, e di traghet­tar le sue fo rze, ingegnandosi di preoccupar, ove po­tesse , la parte montuosa dell’ Apolloniatide, giacché avea gran fiducia nella moltitudine de’ frombolieri chia­mati (i4^) Cirzii. Recata ad effetto la sua risoluzione, andò innanzi a marcie sforzate. E ra Molone vicino agli anzidetti luoghi, ed il re usciva d’Apollonia con tutto l’ esercito; per modo che i drappelli leggeri d’amendue mandati innanzi incontraronsi sopra certe alture. Que­sti dapprincipio affrontaronsi e stuzzicaronsi, ma ap­pressatisi i respettivi eserciti, si ristettero. Allora ritor­nati a’ suoi, accamparonsi distanti l’uno dall’altro qua­ranta stadii. Sopraggiunta la notte, Molone riflettendo, quanto pericoloso e difficile sarebbe di far combattere i ribelli co! reali di giorno e a fronte, s’ accinse ad at­taccar Antioco di notte. Scelse adunque da tutto l’ e- sercito i più robusti e vegeti, e li fece girar per occulti luoghi, con animo di dare 1’ assalto da un luogo emi­nente ; ma risaputo che cammin facendo dieci soldati ad un tratto erano passati dalla parte d’ A ntioco, de­sistette da questo disegno, e voltatosi presto e fatta la ritirata giunse a’ suoi alloggiamenti ili sul far del gior­n o , ove-riempiè tutto l’ esercito di tumulto e confusio­ne. Imperciocché , svegliati con ispavento quelli eh’ e- rano rimasi nel campo dall’ arrivo di coloro che ritor­

navano , per poco non precipitaronsi fuori de’ ripari.

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Molone , per quanto p o tè , chetò il tumulto che vi era nato.

LU I. Il 're pronto a dar battaglia, come spuntò l’al­ba usci del campo con tutto 1’ esercito. Nell’ ala destra collocò in prima fila le lance a cavallo, cui prepose Ardi, uomo sperimentato nelle bisogne di guerra. Dietro a questi applicò i Cretesi alleati, poscia i ( 146) Galli Tettosagi. Presso a questi pose gli stranieri e mer­cenarii venuti dalla G recia, a’ quali attaccò il cor­po della falange. L1 ala sinistra diede a’ così delti ( 14 7 ) Com pagni, eh’ erano cavalieri. Davanti all’ eser­cito mise gli elefanti, che sommavano dieci, in certi in tervalli, cd i battaglioni sussidiarii di fanti e di ca­valli distribuì nelle a le , con ordine di circondar i ge­mici , poiché si sarebbon affrontati. Indi aringò l’eser­cito , andando a tto rn o , con poche parole convenienti alla circostanza. L ’ala sinistra diede a Ermea e a Zeli­si ; la destra condusse egli. Ma Molone penò molto a far uscire i suo i, e confusamente schierolli, per cagio­ne dello scompiglio in cui erano stati la notte antece­dente. Tuttavia distribuì i cavalli in amendue le ale, regolandosi dietro lo schieramento degli avversaria I Galli (i4«) scudati e tutta 1’ armadura grave pose nel mezzo fra i cavalli. I saettatori e frombolieri, e tutta la gente di siffatt’ arm a attelò oltre la cavalleria da amendue i lati. I carri falcati fccc preceder all’esercito in giusta distanza. L ’ ala sinistra diede al fratello Neo- lao , la destra ebb’ egli.

LIV. Succeduto lo scontro degli eserc iti, 1’ ala de­

stra di Molone rimase fedele , e valorosamente pugnò

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colla geute di Zeusi ; ma la sinistra , come prima co- A. di nokbe che veniva al cospetto del r e , passò a’ nemici. 533 Ciò fatto avvilironsi li soldati di M olone, e quelli del re presero doppio vigore. Molone accortosi dell’ avve­nuto , e dappertutto già circondato , figurandosi i tor­menti che sarebbe per sofferire, ove fosse preso vivo, si diede la morte : ed egualmente tutti coloro eh’ ebbe­ro parte alla sua impresa, fuggirono ciascheduno a casa sua , e finirono la vita nello stesso modo. Neolao scap­pato dalla pugna, e giunto in Persia presso ( 149) Ales­sandro fratello di Molone , trucidò la madre ed i figli di M olone, e dopo la loro morte uccise sè stesso, avendo indotto Alessandro a fare il medesimo. Il re mise a sacco gli alloggiamenti de’ nem ici, e comandò che fosse impiccato il cadavere di Molone nel luogo più esposto della Media : locchè fu eziandio tostamen­te eseguito da chi n ’ ebbe l’ incarico ; perciocché , re­catolo nella (i5o) Callonitide, lo impiccarono sulla sa­lita del monte Zagro. Ind i, rimproverato l’esercito con molte p aro le , e datagli in segno di perdono la destra il fece accompagnar nella Media da persone a ciò de­stinate , e che riordinar doveailo gli affari di quella provincia. Ritornato poi a Seleucia, ristabilì le cose delle satrapìe d’ intorno , trattando tutti con modera­zione e prudenza. E rm ea, costante nel suo proponi­mento , accusò di vani delitti gli abitanti di Seleucia, ed impose alla città una multa di mille ta len ti, esiliò il maestrato degli ( 15 1 ) Adigani , e mutilando , ucci­dendo , e martoriando fece perir molli Seleucii. Le quali crudeltà a stento il re potè finalmente m itigare,

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i. di R. parte persuadendo E rm ea, parte governando le cose a 533 suo piacere : e la città repristinò, condannandola pei

suoi falli alla multa di soli cencinquanta talenti. Poi- ch’ ebbe ciò disposto, lasciò Diogene a governato­re della M edia, Apollodoro della Susiana, e Ticone . i5a) grancancelliere dell’ esercito spedì per governa­tore nella provincia del mar Rosso. Per tal modo fu castigata la ribellione di Molone , e rimesso l’ ordine nelle satrapìe di sopra, che in conseguenza di quella eransi scomposte.

LV. Il r e , altiero della conseguita vittoria, e volen­do minacciar ed atterrire quelli che sovrastavano alle sue satrapìe , e i sovrani de’ bari)ari confinanti, affin­chè nessuno con vettovàglie o soldati osasse di soccoi> rer quelli che da lui si ribellassero ; intraprese conixa di loro ima spedizione, e in prim o luogo contr’ A rta- bàzane , che reputavasi il più poderoso e attivo d i que’ principi, e signoreggiava le così dette (i53) A tro- pazie e le nazioni a queste finitime. Frattanto Erm ea , quantunque temesse la spedizione ne’ paesi di sopra , siccome pericolosa, e bramasse , conforme dapprim a divisato avea, quella contro Tolemeo : tuttavia ricevu­ta la nuova che al re nato era un figliuolo, stim ando che ad Antioco nelle contrade superiori ' derivar p o ­trebbe da’ barbari un grave infortunio , o che gli s a ­rebbe data occasione di torlo di mezzo , vi diede il suo assenso; persuaso che, morto Antioco, egli sa reb ­be tutore del fanciullo e padrone del governo. P re sa cotal risoluzione passarono il monte Z agro, ed invase­ro il territorio d1 Artabazane, che giace presso a lla

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M edia, e n ’ è separata da’ monti che sono nel mezzo. di Sovrasta ad esso quella parte del P on to , donde di- 533 scende il Fasi , e tocca il mar Ircano. V’ ha grande numero d’ uomini robusti, e maggiore di cavalli, e vi abbondano le altre cose ancora pegli apparecchii di guerra. Conservavasi questo regno sino dal tempo dei Persiani, ( i54)-trascurato a’giorni d’ Alessandro. Arta- bazane , spaventato dell’ arrivo del re , e singolarmente per cagione dell’ età su a , ( che era egli già molto vec­chio ) ; cedette alle circostanze, ed accettò le condizio­ni che Antioco gli prescrisse.

LYI. Poiché fu confermata la pace, il medico Apol- lofane, molto amato dal r e , veggendo eh’ Ermea non usava con moderazione la sua au to rità , temeva per il r e , ma molto più era in sospetto e paura della pro­pria salvezza. Il perchè alla prima occasione ne fece parola al r e , esortandolo che non si stesse neghittoso, nè fosse senza sospezione dell’ audacia d’ Ermea , nè aspettasse tan to , finché cadesse nella sciagura del fra­tello. Non esser lui lontano dal pericolo ; quindi il pre­gava badasse, e soccorresse con ogni cura sè e gli amici. Antioco gli confessò dal suo can to , che odiava e temeva E rm ea, e disse che aveva a lui grandi obbli­gazioni dell’affetto con cui erasi arrischiato di parlargli di queste cose : onde Apollofane fu molto confortato, osservando che non erasi ingannato circa l’opinione ed i sentimenti del re. Antioco pertanto pregò Apollofa­ne di adoperarsi non solo colle paro le , ma co’ fatti ancora per la salute sua e quella degli amici. Rispon­dendo 1’ altro eh’ egli era a tutto apparecchiato , d’ ac-

p o l i b i o , tomo i l i . 5

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A. di R. cordo fra di lo ro , ed adducendo il pretesto che al re 533 sopraggiunte fossero certe vertigini, abolirono per qual­

che giorno ( i55) i servigi della cam era, e allontanaro­no quelli che gli esercitavano, e gli amici ebbero quin­di facoltà di conferire col re privatamente quando vo- leano , sotto specie di visitarlo. In questo intervallo, preparate le persone opportune all’opera, pronte tutte ad ubbidire peli’ odio che portavano ad E rm ea, occu- paronsi di mandar ad effetto l’ impresa. E siccome i medici dicevano, dover Antioco in su’ primi albori fare una passeggiata, m entr’ era 1’ aria fresca ; cosi venne Ermea al tempo destinato, e con lui quegli ami' ci eh’ erano conscii dell’affare : gli altri tardarono, per­ciocché il re era uscito molto prima dell’ usato. Così trassero Ermea fuori degli alloggiamenti in un luogo solitario , e poscia , andato il re un poco in disparte , come per un’ occorrenza , il trafissero. Tal fine ebbe Ermea, degno di qualsivoglia supplicio per le sue azio­ni. Il re , liberato da molto timore c fastidio , si mi­se in cammino per ritornar a casa. T utti gli abitanti delle provincie per cui passava lodavano le sue gesta ed i suoi consigli, ma sovrattutto lo esaltavano p e r la destituzione d’ Ermea. Nello stesso tempo le d o n n e in Apamea lapidarono la moglie d’ E rm ea, ed i fanciulli i suoi figli.

LVII. A ntioco, giunto a casa , e mandate le fo rze alle stanze, fece chiamar (i56) A cheo, ed accusollo , (i5y) facendo fede prim ieram ente, ch’ egli osato a v e a di cignersi il diadem a, e di farsi salutar r e , ed in se ­condo luogo significandogli, come non era a sé ig n o to ,

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eh’ egli coltivava pratiche con Tolemeo, ed in generale ■d.di'B. movea più di quello che gli si conveniva. Imperciocché 533 Acheo , allorquando il re marciò contr’ Artabazane, stimando che Antioco soccombesse e , quand’ anche ciò non avvenisse, sperando che per cagione della lunga distanza gli riuscirebbe d’ entrar in Siria avanti il ritorno d e ire , e di conquistar il regno sollecitamen­te ; giovandosi dell’ opera (i58) de’ C irresti, eh’ eransi dal re ribellati ; uscì con tutto 1’ esercito della L id ia , e giunto in Laodicea di F rig ia , si cinse il diadem a, e colà arrogossi dapprima il nome di r e , ed osò di scri­ver alle c ittà , instigato a ciò principalmente dal fuor­uscito (i5g) Siniride. Proseguiva egli senza interruzione ed era già vicino alla Licaonia, quando 1’ esercito am- mutinossi, mal pago di marciare contro chi era suo re per natura. Il perchè Acheo , accortosi di questa per­turbazione , desistette dall’ im presa, e volendo persua­dere all’ esercito che non era giammai stata sua inten­zione d’ invadere la Siria, (1 6 0 ) tornò indietro, guastò la Pisidia, e procacciata gfan preda a’ suoi soldati, e conciliatasi la loro benevolenza e fede, ritornò a casa.

LV III. Il re che tutto ciò bene conoscea, mandava spesso a chiamar Acheo, minacciandolo , conforme dissi di sopra, e tutto tutto occupavasi negli apparec­chi contra Tolemeo. Laonde raccolto l’ esercito in A- pamea sul principio della primavera, propose agli ami­ci di consultare, per qual via dovessero far impressione nella Celesiria. Mólte cose essendosi dette in questo particolare , a intorno all’ indole de’ luoghi, e intorno agli apparecchi, e intorno alla cooperazione della for-

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A. di R. za navale : Apollofane , del quale dianzi ancora par- 533 lam m o, d’ origine Seleucio , ( 16 1 ) tagliò tutte le opi­

nioni j innanzi a lui pronunziate, e disse , che stolta impresa sarebbe desiderar la Celesiria, e farvi una spe­dizione , mentre che si trascurava Seleucia, soggiogata da Tolemeo , città capitale , e quasi, a così dire , il focolare del loro impero : la quale , oltre alla vergogna che reca al regno , essendo presidiata da’ re d1 Egitto , grandissime e bellissime opportunità offre a prosperi successi, laddove in manò de’ nemici è grandissimo impedimento a tutte (1 6 2 ) le sue imprese. Impercioc­ché , ovunque diviserà d’ innoltrarsi, di non minore provvedimento e presidio avrà mestieri pe’ propri! luo­ghi , temendo di Seleucia , che d’ apparecchio per as­saltar i nemici ; e conquistandola, disse, non solo as­sicurerebbe la pa tria , ma pegli altri disegni e propo­nimenti ancora di spedizioni , e terrestri e m arittim e, molto vantaggio ne. trarrebbe per la comoda situazione del luogo. Essendo tutti persuasi da questi de tti, fu stabilito d’ espugnar prima questa città : che sino dai tempi di Tolemeo sovrannomato Evergete era Seleucia occupata da una guemigione de’ re d’ E g itto , allor­quando ( 163) pe’ casi di Berenice, e l’ ira che ne con­cepì, andò con un esercito nemico in S iria , e s’ im­padronì della città mentovata.

535 LIX. Vinto questo p a rtito , ordinò Antioco a Dio- cxl gnete comandante della forza navale di far vela per

1 Seleucia. Egli mosse d’Apamea coll’esercito , ed es­sendo cinque stadii circa distante dalla c ittà , accam- possi presso al corso de’cavalli. Spedì Teodoto Emio-

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lio con forze sufficienti nella Celesiria, per occupar le A . d iR

stre tte , ed insieme per esser di presidio a que’ luoghi. 535 La posizione pertanto di Seleucia, e la natura de’ suoi dintorni è tale. Giace essa sul mare fra la Cilicia e la Fenicia, e le sovrasta un monte altissimo chiamato (i64) Corifeo, il quale a ponente è bagnato dalle ulti­me onde del mare eh’è fra Cipro e la Fenicia, e dalle parti d ’ Oriente è a cavaliere della campagna d? Antio­chia e di Seleucia. A mezzodì di quello giace Seleucia, e n ’è separata da un burrone profondo e. inaccessibile.Giugn’ essa sino al mare per varie tortuosità, ma è pella maggior parte circondata da precipizii e da balze scoscese. Ove guarda il mare le sta di sotto una pia­nura , nella quale trovasi il m ercato , ed il sobborgo d’ eccellenti mura fornito. Del pari tutto il compreso dèlia città è afforzato da grandiose m ura , ornato magnificamente di tempii e d’ altri edificii. Un solo ac­cesso ha dalla parte del m are , lavorato a guisa di sca­l e , diviso in spessi e continui declivii e (i65) torcia menti. Non lungi da lei sbocca il fiume O ronte, il quale incomincia il suo corso ove congiungonsi il Li­bano e l’ Antilibano, e attraversato il piano d’Amico ( 1 6 6 ) va ad Antiochia, pella quale passa, e poiché ha ricevute tutte le immondizie umane peli’ abbondanza delle sue acque, alla fine in poca distanza da. Seleucia mette foce nell’ anzidetto mare.

LX. Antioco innanzi ogni cosa mandò profferendo a’ principali della città danari e molte speranze , a fine di riprender Seleucia senza combattimento,' e non po­

tendo persuadere i cap i, corruppe alcuni de’ comau-

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d-diR. danti subalterni. Ne’quali posta la sua fiducia, appron-535 tò 1’ esercito, come se dalla parte del mare co’ soldati

navali fosse per dar 1’ assalto, e dalla parte di terra con quelli del campo. Divise adunque 1’ esercito in tre p a r ti , e fatta un’ esortazione conveniente alle circo­stanze, e promessi per mezzo di banditore doni grandi e corone, così a’ gregarii, come a’ duci che valorosa­mente combatterebbono ; a Zeusi e A quelli eh’ erano con lui assegnò il sito della porta per cui vassi in An­tiochia, ad Ermogene quello eh’è presso al tempio dei D ioscuridi, ad Ardio e a Diogneto commise 1’ attacco della darsena e del sobborgo ; perciocché ebb’ egli pat­tuito con quelli di d en tro , c h e , ove coDa forza preso avesse il sobborgo, gli sarebbe consegnata la città. Dato il segnale, tutti ad un tempo e da tutti i lati con terribil impeto andaron all’assalto. La maggior audacia pertanto usaron Ardi e Diogneto ; sendochè le altre parti espugnar non si possono , se non se arrampican­dosi a modo di quadrupedi e com battendo, ma colle scale non si assalgono punto ; laddove la darsena ed il sobborgo permettono ( 1 6 7 ) d’ accostare, di stabilir e d’ applicar le .scale impunemente. Il perchè, avendo la milizia navale appoggiate le scale alla darsena, e i sol­dati d’ Ardi al sobborgo, e facendo essi prove di som­mo valore, nè potendo quelli della città venir in soc­corso , stretti essendo da tutti i lati, il sobborgo cadde presto in potere d’ Ardi. Sforzato il quale, i duci su­balterni eh’ erano corro tti, corsero immantinente a Leonzio, che avea il supremo com ando, e chiesero che fossero mandati ambasciatori ad Antioco per trat-

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tare con lui avanti che la città fosse presa colla forza. -d-diR Leonzio, ignorando che i duci erano guadagnati, e 535 spaventato della loro costernazione , mandò tosto per­sone ad Antioco per stabilir i * patti sulla sicurezza di tutti gli abitanti.

LXI. Il re accettò la proposta, e promise sicurtà ai liberi, che sommavano circa seimila. Ricevuta pertanto la c ittà , non solo risparmiò i liberi, ma ricondusse ancora i fuorusciti, e restituì loro ( 1 6 8 ) la cittadinanza e gli effetti. Il porto e la rocca assicurò con presidii.E ra il re in ciò occupato, quando venne a lui lettera da Teodoto, nella quale questi il chiamava in tutta fretta a dar di piglio agli affari della Celesiria: ond1 egli era in grande imbarazzo e pieno di dubbiezza su ciò che avea a fa re , e sul modo di governarsi in cotal emergente. (1 6 9 ) Teodoto era etolo di nazione, ed avendo prestati molti servigi alla casa de’ Tolem ei, conforme dissi in add ie tro , non che avesse conseguito il meritato premio , fu eziandio in pericolo della v ita , mentre che Antioco facea la spedizione contra Molone.Ei si fu allora, che rinunziato ad ogni speranza nel r e , ed entrato in diffidenza de’ cortigiani, prese da sè Tolemaide , e Tiro per mezzo di Panetolo, e chiamò Antioco sollecitamente. Il re , differita ad altro tempo l’ impresa contr’ Acheo , e posposto ogni altro afìare , levossi coll’ esercito, prendendo il cammino che dianzi avea fa tto , e varcata la (1 7 0 ) valle detta Marsia , ac- campossi circa le strette di G erra , presso al lago che giace fra le montagne. U dito , che Nicolao capitano di Tolemeo era stanziato davanti a Tolem aide, ed asse-

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I- di IR. diava T eodoto , lasciò addietro là grave armadura-, e 53’5 ordinò a’ duci di assediar Broco, castello che giace sul

lago dov’ è il passaggio, mentitegli co’più spediti andò innanzi con animo di levar 1’ assedio. Ma Nicolao che già prima risaputo avea 1’ arrivo del re , si tolse di l à , e mandò il cretese Lagòra e l’etolo Dorimene a preoc­cupar (1 7 1 ) le strette di Berito. 1 quali il re assaltò, e ai primo impeto mise in fuga ; poscia accampossi nelle strette.

LXII. Colà ricevette il resto dell’ esercito, ed arin- gatolo , secondochè richiedeva 1’ occasione, proseguì con tutte le forze, pieno di fiducia e gonfio d’ aspetta­zione nel buon successo che gli si mostrava. Venutigli incontro Teodoto e Panetolo co’ loro am ici, gli accok se amorevolmente, e prese da loro Tiro e Tolemaide, e gli apparecchi che vi erano , fra i quali quaranta va­scelli, è di questi venti coperti in tutto punto arm ati, e di non meno che quattr’ ordini, gli altri di tre , di d ue , e ( 1 7 2 ) saettie. Queste consegnò a Diogneto ca­pitan d’armata. Ma avuta nuova che Tolemeo era an­dato a M enfi, che tutte le forze raccoglievansi a Pelu- s io , che (1 7 3 ) chiùdevànsi le bocche de’ canali, ed ot- turavansi i pozzi d’ acqua potabile : si rimase dell’ im- presa di Pelusio, e girando per le città tentava di far­le su e , quali colla forza, quali colla persuasione. Le città più deboli, spaventate del suo arrivo, gli si ac­costarono ; ma quelle che fidavansi del lor armamento e della forte loro situazione , resistettero, e queste fu costretto ad assediare, ed a perdervi molto tempo. Ma Tolemeo in luogo di porger pronto ajuto a’ suoi, con-

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forme si conveniva, li tradì manifestamente, non po- A. di A

tendo neppure per imbecillità concepir un disegno : 535 tanto fu da lui trascurato ogni apparecchio militare.

LX III. Del resto Agatocle e Sosibio che allora pre-< siedevano al governo, fecero in. quel fràngente il possi­bile , per quanto permettevano le circostanze. Imper­ciocché deliberarono di Occuparsi negli apparecchi di g uerra , e frattanto mandaron ad Antioco ambasciadori per rattener il suo impeto, e tutto fecero per confer­m arlo nell’ opinione eh’ egli avea di Tolem eo; la qual era ch’egli non avrebbe giammai osato di gueiTegiare, m a per via di colloquii ed amici avrebbe trattato , ed a lui persuaso d’ uscire della Celesiria. Presa questa ìisolu* zione, Agatocle e Sosibio, a cotal cura destinati, spe­dirono diligentemente ambascerìe ad Antioco ; e ad un tempo invitarono i R odi, i Bizantini, i Ciziceni, e gli Etoli, a mandar ambascerìe per negoziare la pace. Le quali arrivate, andando e venendo da amendue i r e , diedero loro grandi comodità a prendersi tempo per preparar la guerra. Con queste i ministri di Tolemeo che risiedevano a Menfi spesso s’ intertenevano, e si­milmente riceveano quelle che venevano da parte di Antioco, facendo loro lieta accoglienza. Frattanto chia- m aron e raccolsero in Alessandria i mercenarii, ch’erano da loro stipendiati nelle città esterne. Mandaron ezian­dio gente ad assoldare milizie straniere, e procaccia­rono vettovaglie a quelli che già aveano , e a quelli che erano per arrivare. Così adoperavansi pure negli altri apparati di guerra, correndo a tal uopo sovente fuori e dentro d’ Alessandria, affinchè non mancasse alcuna

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à. di IL cosa necessaria all’impresa che meditavano. Il prowe-535 dimento delle arm i, e la scelta e distribuzione degli

uomini affidarono al tessalo Echecrate ed a (1 7 4 ) Fos- sida meliteo, ed insieme ad Euriloco da Magnesia e al beozio Socrate, cui aggiunsero (1 7 5 ) Cnopia Alo- rite. (1 7 6 ) E fu ben ventura che prendessero costoro, i quali militato avendo con ( 1 7 7 ) Demetrio ed Anti­gono , conoscevan a un di presso il vero guerreggiare, e tutto eiò che fa mestieri alle fazioni campali. Essi adunque, ricevuta la moltitudine , per quanto fu pos­sibile , l’ ammaestrarono nella disciplina militare.

LiXIY. Imperciocché primieramente la divisero per nazióni e per e tà , e distribuirono a ciascheduno 1’ ar- madura conveniente, non faoendo conto di quella che già aveano ; pòscia fecero le ordinanze appositamente, secondochè il presente bisogno ló richiedeva, scioglien­do i co rp i, ed abolendo le coscrizioni che pria in ra­gione degli stipendii si praticavano. In appresso gli eser­citavano, rendendo ad essi famigliali, non solo il co­mando, ma eziandio i movimenti proprii alle respettive armadure. Facevano ancor ragunanza in armi ed esor­tazioni , nelle quali prestaron il maggior servigio An- dromaco da (1 7 8 ) Aspendo e 1’ argivo Policrate , di recente colà passati dalla Grecia , cui l’ impeto greco, ed i ritrovamenti di questa nazione erano famiglia- ri. Oltre a eiò eran essi cospicui per nascita e per ric­chezze , e maggiormente Policrate per l’antichità della sua casa, e per la gloria che suo padre Mnesiade acqui- stossi nelle lotte. Q uesti, esortando i soldati in privato e in pubblico , "inspirarono ne’ loro animi coraggio ed alacrità al futuro cimento.

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LXV. Ebbe poi ciascheduno de’summentovati una A .dìR condotta adattata alla propria abilità. Imperciocché 535 Euriloco da Magnesia conduceva da tremila uom ini, i quali formavan il corpo presso il re chiamato Agema.U beozio Socrate aveva sotto di lui due mila sondi brevi.L ’ acheo Fossida, e Tolemeo figlio diT rasea con An- dromaco da Aspendo, esercitavan nello stesso luogo la falange ed i mercenarii Greci : e capitanavano la fa­lange Andromaco, e Tolemeo, e i mercenarii Fossida.La ' qual falange. era di venticinquemila uom ini, e i mercenarii sommavano circa ottomila. I cavalieri ap­partenenti alla corte erano settecento, che Policrate addestrava, aggiungendovi gli Africani e gl’ indigeni; e questi egli tutti conduceva, in numero di quasi tremila.I cavalli venuti dalla G recia, e tutti quelli de’ merce­narii , esercitati eccellentemente dal tessalo Echècrate in numero di duem ila, arrecarono nella battaglia gran­dissima utilità. Nè minor cura ebbe Cnopia P alorita della gente da lui com andata, eh’ erano tutti C retesi, ascendenti a tremila uomini c irca , fra cui mille cerne sotto gli ordini del cnossio Filone. Armaron eziandio tremila Africani alla macedonica , de’ quali era capo Ammonio barceo. L’ altra massa degli Egizii, compo­sta di ventimila falangiti, era soggetta a Sosibio. Fu ragunato pure un corpo di Traci e di Galli; d’indigeni e de’loro figli da quattrom ila; e di quelli che oltre ad essi furono di fresco condotti, da duemila : de’ quali era capitano il trace Dionisio. Tale fu dunque 1’ eser­cito procacciato a Tolem eo, per rispetto al numero e alla differenza delle nazioni.

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A. di IL LXYI. Antioco assediava'(1 8 0 ) Dora, e non potendo535 effettuar nolla per la fortezza del luogo, (1 8 1 ) e pe’soc­

corsi che vi mandava Nicolao , ed appressandosi' già l’inverno, acconsentì alla proposta degli ambasciadori di Tolemeo di far tregua per quattro m esi, e di calar circa tutto il resto ad accordi amichevoli. Ma in ciò fa­cendo era egli ben lungi dall’ esser sincero , bramando di non star molto tempo assente da’ proprii s ta ti, e di mandar le forze a svernar in Seleucia;. perciocché Acheo' manifestamente insidiava al suo regno, ed avea senza dubbio intelligenze coii Tolemeo. Concessa la sospenr sione d’arme , Antioco rimandò gli ambasciadori, or* dinando lóro di fargli a sapere quanto prima le inten­zióni di Tolem eo, e di raggiugnerlo in Seleucia. La­sciati adunque in qtie’ luoghi convenienti presidii, e affidata a Teodoto l ’inspezioné di tu tto , se ne ritornò, e giunto in Seleucia , mandò l’esercito alle stanze. Del resto più, non si curava d’ esercitar i soldati, persuaso che non vi sarebbe più bisogno di com battere, posse­dendo egli già alcune parti della Celesiria e della Feni­cia, e sperando che le altre gli si sarebbero volontaria­mente e per via di trattati arrese : non osando Tole­meo puntò di ridursi a una battaglia decisiva. Lo stesso sentimento aveano gli ambasciadori, per cagione d’ami­chevole accoglienza fatta lóro da Sosibio, che risiedeva in M enfi, e perchè gli : apparecchi che facevansi in A i léssandria non lasciavansi veder a quelli ch’erano (1 8 2 ) ad Antioco m andati.

LXVII. Quindi allora venuti pure gli ambasciadori, disse loro Sosibio ch’era pronto à tutto. Antioco per tanto

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ogn’ industria in ciò poneva, che superasse gli Alessan­drini , come nelle arm i, cosi nella giustizia della sua causa, quando con essi abboccavasi. £ giunti gli am­basciadori in Seleucia, e discesi essendo ne’particolari intorno alla pace , conforme ne erano stati incaricati da Sosibio ; il re nel difender le sue ragioni, diceva, ( i83) non esser tanto grave il danno e la manifesta in­giuria testé sofferta da Tolemeo nella occupazione d’al- cuni luoghi della Celesiria, e meno d’ ogni altra cosa m etter egli in conto d’oltraggio la presente spedizione, come quella che tendeva a riconquistare ciò che a sé apparteneva. La prima occupazione che di que’ luoghi fece ( i8 /f) Antigono il Losco, e ia signoria che n’ ebbe Seleuco, esser i più veri e legittimi possessi, donde a sé e non a Tolemeo derivava il diritto sulla Celesiria. Imperciocché Tolemeo avea fatto guerra ad Antigono, non per sé, ma per ajutar Seleuco a procacciarsi il do­minio di quel paese. Ma precipuamente insisteva egli sulla concessione fatta in comune da tutti i R e, allor­quando , vinto eh’ ebbero Antigono, per sentenza con­corde tutti, ( i85)Cassandra, Lisimaco, ( i 8 6 ) e Tolemeo aggiudicarono a Seleuco ( 1 8 7 ) tutta quanta la Siria. Quelli eh’erano colà per Tolemeo ingegnavansi dT pro­var il contrario ; sendoche esageravano la presente of­fesa , e indegno dicevan esser il caso , attribuendo allo spergiuro di Teodoto il tradimento e la spedizione di Antioco. Producevan ancora i conquisti di Tolemeo di L ago , asserendo che Tolemeo a questa condizione guerreggiato avesse in società di Seleuco, che a questo procacciato fosse il dominio di tutta l’ A sia, ed a sé

11A .d iR

535

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A. diK. ne venisse il possesso della Celesiria e della Fenicia.535 SifFate cose ed ài tre simili esponevansi sovente da amen-

due le parti nelle ambascerìe e ne’colloquii, ma nulla, affatto si diffinì : che (1 8 8 ) per via di comuni amici

discutevasi 1’ affare, e nessuno v’ avea di mezzo che rattener potesse e frenar l’ impeto di chi sembrava of­fender l’ altro. Ma il maggior disturbo recava ad amen- due l’emergenza d’ Acheo ; perciocché Tolemeo stu- diavasi di comprender Acheo nella convenzione, ed Antioco non sofferiva che neppur se ne parlasse, or­ribile cosa stim ando, che Tolemeo osasse di protegger ribelli, e di far menzione di siffatta gente.

536 LXVIII. Quindi poiché ebbero amendue abbastanza cxi ii protratto il tempo colle ambascerìe, .e gli accordi non

recavansi ad alcun term ine, e già awicinavasi la pri­mavera: Antioco raccolse le sue forze con animo d’in­vadere per mare e per te r r a , e di soggiogar ciò che rimaneva della Celesiria. Tolemeo diede la direzione di tutto a Nicolao , fece portar le vettovaglie in abbon­danza a (1 8 9 ) Gaza, e' spedì le forze terrestri e m arit­time. Le quali come furono giunte , Nicolao pieno di fiducia s’ accinse alla guerra, prontamente esegueudo tutti i suoi comandi Perigene capitano dell’ armata: che questi avea preposto Tolemeo alle forze di m are , che consistevano in trenta vascelli coperti ed oltre quattro- cento navi da trasporto. E ra Nicolao d’origine Etolo, e in pratica ed audacia militare non cedeva a nessuno di quelli che per Tolemeo combattevano. Occupò egli con una parte dell’ esercito (1 9 0 ) le strette presso a Plata­no , e coll’ altra ov’ era in persona, tenne i dintorni

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della città di ( 1 9 1 ) Porfireone, affinchè il re da questo -d.diR lato non facesse impressione, e ad un tempo vi si stan- 536 ziò la forza navale. Antioco, progredì sin a (1 9 2 ) Marato, ed essendo a lui venuti gli Aradii per trattar alleanza, non solo accettò questa , ma compose eziandio le dif­ferenze che in addietro fra loro aveano, riconciliando gli Aradii isolani con quelli che abitano il continente. Poscia entrato presso la così detta (1 9 3 ) Faccia di Dio, renne a B erito , occupando Botri nel passaggio , e ardendo Triere e ( 1 9 4) Calamo. Di là mandò innanzi Nicarco e T eodoto , ordinando loro di preoccupar le strette presso al fiume (>9 5 ) Lieo. Egli poi col glosso dell’eser­cito andò innanzi, ed accampossipresso al fiume (1 9 6 ) Damura , navigando con lui di conserva il capitano . d’ armata Diogneto. Riunitosi ivi con Nicarco e Teo­doto e gli spediti che seco aveano, andò a riconoscer le strette già occupate da Nicolao, ed esaminata bene la proprietà de’ luoghi, ritornò frattanto agli alloggia­menti. I l dì vegnente , lasciata colà la grave armadura, e prepostovi N icarco, marciò col rimanente dell’ eser­cito per dar compimento alla divisata impresa.

LXIX. In quel luogo la falda ( 1 9 7 ) del monte Libano riduce la spiaggia ad imo spazio angusto e breve, il quale è innoltre tagliato (1 9 8 ) da un dorso di malagevol accesso ed aspro, lasciando una strada ristretta e mala­gevole lungo il mare. Colà erasi allora Nicolao stabilito, ed alcuni luoghi preoccupando con molta gente, altri af­forzando con varie opere, credeva d’impedir facilmente l’ ingresso ad Antioco. Il re, distribuito l’esercito in tre parti , una ne consegnò a Teodoto, ordinandogli d’az-

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A .d iit zuffarsi e di sforzare il passo sul fianco del Libano ;536 l’ altra diede a Menedemo , con molta istanza impo­

nendogli di tentar il passaggio per mezzo il dorso; la terza collocò lungo il mare, e gli destinò capitano Dio­d e , governatore della Parapotamia. Egli colla guardia del corpo tenne il luogo di mezzo, volendo invigilar a tu tto , e soccorrer chiunque ne avesse bisogno. Ad un tempo Diogneto e Perigene, allestivano ed attelavano i suoi alla pugna navale, tenendosi, per quanto era pos­sibile , alla terra, ed ingegnandosi di far comparire un solo aspetto di pugna terrestre e navale. Ad un solo segno e ad un solo comando essendosi dato l’assalto, fu la battaglia marittima eguale, perciocché la moltitu­dine della gente egli apparecchi simili erano da amen- due le parti. Per terra dapprima vinceva Nicolao, come colui eh’ era ajutato dalla fortezza de’luoghi ; ma aven­do Teodoto prestamente sforzati quelli che guardavano la m ontagna, e calando poscia con impeto dall7 a lto , i soldati di Nicolao andaron in volta, e tutti a precipi­zio fuggirono. Nella fuga ne caddero da duemila, ed al­trettanti ne furono presi vivi : i rimanenti ritiraronsi tutti verso Sidone. Perigene che buone speranze avea della pugna navale, veggendo la sconfitta di quelli di te r ra , fece la ritirata a salvamento negli stessi luoghi.

LXX. Antioco col suo esercito venne ed accampossi presso Sidone ; ma di tentar la città non s’arrischiò, perchè v’ era stata raccolta grande copia di vettovàglie, e v’ avea moltissima gente , così ab itan ti, come rifug­giti. Levatosi adunque di là coll’ esercito s’ incamminò alla volta di Filoteria , e al navarco Diogneto ordinò

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di ritornar colle navi a Tiro. Giace Filoteria (1 9 9 ) sul A. di IL lago , in cui entra il fiume G iordano, e dond’esce 536 nuovamente nel piano così detto di Scitopoli. Impa­dronitosi per accordo d’ amendue le mentovate c ittà , animoso accingevasi alle future imprese: che la campa­gna a queste città soggetta potea di leggeri' fornir i viveri a tutto l’esercito, e abbondevolmente sommini­strar ciò che facea d’ uopo alle operazioni. Assicurate quelle con presidii, passò la montagna, e giunse presso ad (aoo) Atabirio, che giace sovra un colle che ha (2 0 1 ) la forma di mammella ed una salita d’ oltre quindici stadii. Allor Antioco per via d’insidie e di certo strata­gemma ebbe la città. Imperciocché provocati quelli di dentro a un badalucco, e richiamati tosto i suoi ch’e- ran andati molto innanzi per appiccar la zuffa, e po­scia fatti voltare gli stessi che fuggivano e balzar fuori quelli ch’erano appiattati, molti nel conflitto ne uccise, e finalmente inseguendoli e riempiendoli di spavento prese di primo impeto questa città ancora. — Circa quel tempo Cerèa uno de’ governatori soggetto a Tolemeo passò ad Antioco , il quale trattandolo generosamente fece sì, che molti duci degli awersarii vacillarono nella fede. Poco stante adunque venne a lui il Tessalo Ippo- loco con quattrocento cavalli dell’esercito di Tolemeo. Poich’ebbe Atarbiopure assicurata, si tolse di là , e in proseguendo ricevette la sommessione di (2 0 2 ) F ella ,Camo e Gefro.

LXXI." Tale essendo il buon successo de’suoi affari, gli abitanti (ao3) dell’Arabia contigua, esortatisi vicen­devolmente, tutti d’unanime consenso a lui si unirono»

P o l i b i o , tomo III. 6

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A. diit. Con siffatto accrescimento di speranze e di sussidii536 proseguì, e pervenuto nella (uo4) Galatide, s’impadronì

di (ao5) Abila, e di quelli che andati vi erano a soc­correrla, condotti da Nicia, prossimo parente ed affine di (2 0 6 ) Mennea. Restava ancor G adara, riputato il luogo più forte di quelle contrade ; ma accampatosi di­nanzi , ed erettevi delle opere , presto vi sparse gran terrore, e prese la città. Udito poscia che in (2 0 7 ) Rab- batamana città dell’ Arabia erano raccolti molti ne­mici , i quali guastavano e correvano la campagna de­gli Arabi ch’eransi a lui accostati: lasciata ogni altra cosa, mosse a quella parte e piantò il campo sulle al­ture, ove giace la città. Girato poi il colle, e veggendo che da due luoghi soli era accessibile, colà recò le forze, ed in que’ luoghi appunto fabbricò le macchine,

, dando la cura delle opere parte a Nicarco, parte a Teo­doto ; mentre eh’ egli prestavasi ad amendue, e colla sua diligenza e vigilanza promovea la loro gara. Es­sendo Teodoto e Nicarco molto assidui, ed in continua emulazione fra di lo ro , a chi prima rovescerebbe il muro opposto alle loro opere : non istette guari che contra l’aspettazione caddero amendue le parti del muro. Ciò fatto , ripetevan di notte e di giorno gli assalti, e facevan ogni sforzo senza intermissione; ma pella mol­titudine della gente concorsa nella città vani riuscirono i continui tentativi che faceano; finattantochè un pri­gioniero mostrò loro un andito sotterraneo, per cui gli assediati discendevano a far acqua. Questo ruppero ed otturarono con terriccio e sassi ed altra simile materia. Allora cedettero quelli della città per mancanza d’ a-

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equa e si arresero. Insignoritosi adunque di Rabbata- A. diR. n a n a , vi lasciò Nicarco con un presidio conveniente , 536 e spediti Ippoloco e Cerèa ribellatisi da Tolemeo con cinquemila fanti ne’ luoghi della (2 0 8 ) Samaria e co­mandato loro di stanziarvisi, e di proteggere quelli che a lui ubbidivano, si partì coll’esercito alla volta di To- lemaidc, risoluto avendo di colà svernare.

LXXII. Nella medesima state i (2 0 9 ) Pednelissei as­sediati («1 0 ) da’ Selgei e ridotti agli estremi, manda­rono per soccorso ad Acheo. Il quale avendoglielo di buon grado accordato, essi coraggiosamente sostennero l’assedio, riposandosi sopra gli ajuti promessi. Aclieo elesse Garsieri con seimila fanti e cinquecento cavalli, e spedilli in fretta a soccorrere i Pednelissei. I Selgei, conosciuto l’arrivo degli ajuti, preoccuparono le strette intorno alla così detta (2 1 1 ) Scala colla maggior parte del lor esercito, e tennero l’ingresso di (2 1 2 ) Saporda, distruggendo tutti i passaggi e sentieri. Garsieri, invasa la Miliade, ed accampatosi intorno a Cretopoli, poiché s’avvide, che per esser que’ siti già occupati gli riu­sciva impossibile di proseguir il cammino, immaginò la seguente astuzia. Levato il campo indietreggiò, come se rinunziasse all’ajuto che dovea recare peli’anteriox’e occupazione de’ passi. I Selgei facilmente credendo, che Garsieri abbandonato avesse il pensiero d’ajutare, parte ritiraronsi nel cam po, parte in c ittà , imminente essendo il ricolto del frumento. Ma Garsieri voltatosi, giunse a marce sforzate sulle montagne, e trovatele deserte, le assicurò con presidii, a’ quali tutti prepose Faillo. Andato poi coll’ esercito a (2 1 3) Perga, mandò

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A. diR. di là ambascerie agli altri abitanti della Pisidia, e neDa536 Panfilia, ponendo loro innanzi agli occhi quanto erano

minacciati dalla possanza de’ Selgei, ed invitandoli tutti ad assocciarsi con Acheo 7 e a soccorrer i Pednehssei.

LXXIII. I Selgei frattanto mandaron un capitano con forze , sperando di spaventare Faìllo mercè della pra­tica che avean de’ luoghi, e di buttarlo fuori delle for­tificazioni; ma non avendo conseguito il lor intento, e perduti molti soldati negli assalti, rinunziaron a questa speranza, evie più di prima perseverarono nell’assedio e nellia costruzione delle opere. Gli Etennei (2 1 4) per­tanto, che abitano le montagne della Pisidia sopra Side, spediron a Garsieri ottomila uomini di grave armadura, gli Aspendii la metà di questi. I S iditi, e per! rispetto della benevolenza loro verso Antioco, e maggiormente pell’odio che portavano agli Aspendii, non ebbero parte al. soccorso. Garsieri, presi seco gli ajuti e le proprie forze, s’appressò a Pednelisso, persuaso di levar l’asse­dio al primo arrivo; ma non essendosene i Selgei sbigot­titi, si tirò in picciola distanza, e pose il campo.' .Es­sendo i Pednelissei oppressi dalla penuria, Garsieri in­gegnandosi di far il possibile, approntò duemila uomini, e dato uno stajo di frumento a ciascheduno, mandolli di nottetempo a Pednelisso. I Selgei, accortisi della fac­cenda , corsero ad impedirglielo ; donde avvenne, che la maggior parte degli uomini che portavan il finimento furon tagliati, e che i Selgei di tutto s’impossessa­rono. Della qual cosa insuperbitisi, presero ad as­sediare non solo la c ittà , ma eziandio Garsieri. Impe­rocché hanno i Selgei in Interra sempre un non so che

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dì audace e d’avventato. Quindi lasciato allora pure il A. diR. necessario presidio dentro allo steccato , cbl resto del- 536 l’esercito stanziaronsi d’intorno in varii luoghi, e ardita­mente assaltaron ad un tempo il campo de’ nemici. Incalzando il pericolo da tutte le parti, e strappàto es* sendo già lo steccato in alcuni siti, Garsieri che in veg- gendo l’accaduto disperava già dell’esito, mandò i ca­valli per certo luogo che non era guardato. Questi cre­dendo' i Selgei che fossero spaventati, e che temendo dell’avvenire si ritirassero, non vi badarono, anzi al tutto li neglessero. Ma essi attorno scorrazzando, e riu­sciti alle spalle de’ nemici, furon loro addosso, e va­lorosamente menarono le mani. Dopo questo avveni­mento i fanti di Garsieri presero animo, e quantunque avessero già piegato, voltaronsi indietro, e rattennero l’impressione degli avversarii : onde i Selgei da tutte le parti circondati, andaron finalmente in volta. Nello stesso tempo i Pednelissei, assaltati quelli ch’erano ri­masi negli alloggiamenti, ne li scacciarono. Estesasi la &ga in molti luoghi, caddero non meno di diecimila.Di quelli che rimasero, gli alleati tutti ricoveraron a casa, ed i Selgei per la montagna ritornaron in patria.

LXXIV. Garsieri levatosi di l à , inseguì tosto i fug­genti , affrettandosi di passai' le strette, e d’avvicinarsi alla città, pria che i nemici che fuggivano si fermassero e facessero qualche deliberazione intorno al snò arrivo.Venn’ egli adunque coll’ esercito alle porte della città.I Selgei, fuori di speranza d’esser ajutati da’ socii, per­ciocché la sciagura era comune, èd abbattuti dalla sof­ferta disgrazia , forte temevano per sé stessi e per la

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A. diR. patria. Quindi raguuatisi a parlamento , determinarono536 di mandar per ambasciadore uno de’ cittadini nomato

Logbasi, il qual era stato lungo tempo famigliare ed ospi­te (a i5) di quell’Antioco, che morì in Tracia; ed essen­dosi a lui data in deposito Laodice, divenuta poi mo­glie d’Acheo, la educò come figlia, e maravigliosamente fu affezionato alla vergine. Il perchè stimando i Selgei esser lui l’ambasciadore più acconcio alla circostanza,lo spedirono. Costui, abboccatosi privatamente con Garsieri, tanto fu colla volontà alieno dal soccorrere la p a tria , secondochè convenivasi, che al contrario esortò Garsieri, a mandar tosto per Acheo, impegnan­dosi di consegnare la città. Garsieri, accettata pronta­mente la speranza offerta, mandò a chiamar Acheo ed a significargli l’emergenza. Co’ Selgei fece tregua, ma trasse ognor in lungo il termine della convenzione, pro­ducendo opposizioni e dubbii, perciocché aspettava Acheo, e dar volea comodo a Logbasi pe’ colloquii e per preparar l’impresa.

LXXV. Frattanto , mentre che spesso andavan e ve­nivano per intertenersi in discorsi, quelli del campo , fattisi più famigliari, introducevansi in città per prov­vedersi di vettovaglie. La qual cosa a molti fu già so­vente causa di ruina. ( a i 6 ) E sembra a me l’uomo fra tutti gli animali il più facile ad esser ingannato, come chq tenuto sia il più scaltro. Imperciocché quanti alloga giamenti e castella, quante e quali città a questo modo furono tradite ? Ed essendo ciò tanto spesso e cosi ma­nifestamente a molti già accaduto, io non so come nuovi sempre ci troviamo ed inesperti a siffatte trame. La

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causa di questo si è , che non ci procuriamo la cogni- A. diR

zione de’ singoli disastri, che colpiron i nostri mag- 536 giori ; ma sibbene gran copia di vettovaglie e di danari, e fabbricazioni di mura e d’arm i, con molta fatica e spesa procacciamo pe’ casi inaspettati, e ciò ch’è il più facile di tu tto , e grandissimi servigi ne presta in tempi di pericolo , tutti negligiamo ; quantunque negli ozii onesti acquistai’ possiamo con diletto cotesta spe- rienza per via della storia, ( 2 1 7 ) e delle assidue ricer­che sopra le cose. — Del resto Acheo venne al tempo de­stinato. I Selgei, seco lui abboccatisi, concepirono grandi speranze di sperimentar qualch’effetto d’insigne uma­nità. In quello Logbasi, raccolti a poco a poco nella ' propria casa i soldati ch’eransi introdotti dal càm po, consigliò a’ cittadini di non perder 1’ occasione, ma di adoperare, riguardando alla benevolenza dimostrata da Acheo, e di recar a fine il trattato, convocando a par­lamento il popolo per deliberare sul presente stato delle cose. Fattasi tosto la ragunanza , consultarono ; chia­mati eziandio tutti quelli eh’ erano alle stazioni, con animo di concluder l’affare.

LXXVI. Logbasi, convenutosi cogli avversar» del tem po, approntò quelli che avea raccolti in casa, c sé co’ figli preparò e armò alla pugna. Per ciò che spetta ai nemici, Acheo colla metà delle forze marciò verso la c ittà , e Garsieri colle rimanenti progredì alla volta del così detto Ccsbedio, ch’è un tempio di Giove op­portunamente situato sovra la città ; perciocché ha là disposizione d’nna rocca. Se ne avvide per avventura un caprajo, e lo riferì alfa ragunanza : onde chi corse

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A. diR. al Cesbedio, chi alle stazioni, e la moltitudine nell’iin- 53(i peto dell’ira alla casa di Logbasi. Scopertasi la pratica,

salirono gli uni sul tetto, gli altri (a i8 ) sforzarono Pa­trio , ed uccisero Logbasi co’ figli, e in un con essi tutti quelli che ivi erano ; poscia bandirono agli schiavi la libertà, e dividendo sè stessi, andaron a difender i luoghi opportuni. Garsieri adunque, veggendo il Ces­bedio già occupato, desistette dal suo proponimento. Acheo si spinse innanzi sin alle porte; ma i Selgei. sor- tirono , ed uccisero settecento soldati M isii, e gli altri ributtarono. Dopo questa fazione Acheo e Garsieri riti- raronsi negli alloggiamenti. Ma i Selgei, per timore delle discordie intestine e delle invasioni nem iche, spediron i più vecchi fra di loro colle insegne di supplicanti, e stipularono la pace alle seguenti condizioni: Darebbono subito quattrocento ta len ti, e i prigioni Pednelissei. Aggiugnerelbono dopo qualche tempo altri trecento talenti. I Selgei adunque per l’empietà di Logbasi ven­nero in pericolo di perder la patria , e col lojo gene­roso ardire la salvarono, e non disonorarono la li­bertà , e ( 2 1 9 ) l’affinità che hanno co’ Lacedemonii.

LXXVII. Acheo , poich’ebbe ridotta in suo potere la Miliade e la maggior parte della Panfilia, levò le tende, e giunto a S ard i, fece continua guerra ad At- talo, minacciò Prusia, e a tutti quelli che abitano di qua del Tauro fu formidabile e molesto. Mentre che Acheo faceva la spedizione contro i Selgei, Attalo coi Galli (aao) Egosagi girava per le città dell’ Eolia, e le contigue a queste, che dapprima eransi per paura ar­rese ad Acheo. Delle quali la maggior parte a lui si

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diedero volontarie, e gliene ebbero grado ; poche abbi­sognarono della forza. Quelle che spontanee passaron in suo dominio, furtfno primieramente (2 2 1 ) Cuma, Smima e Focea; poscia gli" ( 2 2 2 ) Egei ed i Temniti, spaven­tati del repentino Suo arrivo. Vennero pure ambascia- dori da’ (2 2 3) Tei e da’ Colofoni a consegnar sè e le loro città. Ricevute queste ancora alle stesse condizioni delle p rim e, e presi statichi, udì con benignità singo­lare gli ambasciadori de’ Smimei, avendo questi sovra gli altri mantenuta a lui la fede. Continuando il cam­mino , e passato il fiume (3 2 4 ) Caico proseguì verso le abitazioni de’ M isii, e allontanatosi da queste per­venne ai (aa5) Carsei, i quali spaventò, non meno che coloro che guardavano (2 2 6 ) Diclimatiche (le fortezze ge­melle ) , a tale che Temistocle lasciato da • Acheo co­mandante di quelle castella, gliele consegnò. Partitosi di qui, e guastato (2 2 7 ) il piano d’ Apia, superò il monte chiaimato (2 2 8 ) Pelecante, ed accampossi presso al fiume Megisto.

LXXVIII. Ivi, (2 2 9 ) ecclissata laluna, iGalli che già da lungo tempo male sopportavano i patimenti del viaggio, come quelli che faceansi seguir in guerra sui carri dalle mogli e da’ figli, prendendo allora quel caso per un mài augurio, non vollero più andar avanti. Il re Attalo che da loro non traeva vantaggio alcuno, vedendoli nel cammino staccarsi dagli altri, ed accamparsi in dis­parte , ed al tutto disubbidienti e superbi, cadde in un imbarazzo non comune. Imperciocché tem ea, non, inclinatisi ad A cheo,'con lui l’assaltassero, ed insieme dubitava di conseguirne mala fama, ove circondati li

89A. diR.

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A.diR. facesse tutti trucidare, noto essendo, come sulla fede536 di lui passati erano in Asia. Quindi valutosi dell’ oc­

casione m entovata, promise che pér allora gli avreb­be rimessi al passo, e darebbe loro un luogo comodo per abitare , ed in appresso li compiacerebbe d’ ogni cosa possibil ed onesta che fossero per chiedergli. At- talo adunque , ricondotti i Teboragi (a3o) nell’Elles- ponto, e trattati benignamente i Lampsaceni, (a3i) gli Alessandrini, e gl’ Iliei, perciocché gli aveano serbata la fede, si ridusse coll’ esercito in (a3a) Pergamo.

5 3 7 LXXIX. Antioco e Tolemeo, in sull’incominciar dellaCxl 111 primavera, pronti avendo gli'apparecchi, occupavansi di

decider la spedizione con una battaglia. Tolemeo adun­que uscì d’ Alessandria con settantamila fanti, cinque­mila cavalli, e settantatre elefanti. Antioco , risaputa la loro partenza, raccolse le sue forze. Eran queste fra (a33) Dai, Cannami e Cilicii armati alla leggera da cinquemila uomini, la cura e la condotta de’ quali ebbe il Macedone Bittaco. Sotto 1’ Etolo Teodoto che tradì Tolemeo erano i-soldati più scelti del regno, armati alla foggia di Macedonia, diecimila uomini, la maggior parte de’ quali portava (a34) scudi d’argento. La falange som­mava ventimila, capitanata da Nicagora e da Teodoto chiamato Emiolio. Oltre a questi v’avea duemila (235) Agri ani e Persiani, saettatori e frombolieri, e con essi mille T rac i, condotti da (236) Menedemo Albandese. V’ avean ancora Medi, (1 3 7 ) Cissii, Cadusii, e Carma- ni, in tutto cinquemila, cui era ingiunto d’ ubbidire al Medo Aspasiano. Arabi ed altri a questi confinanti ascendevan a diecimila e soggetti eran a Zabdibelo. I

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mercenarii venuti dalla Grecia; conduceva H Tessalo Ip- A . diR.

poloco, ed il loro numero saliva a cinquemila. Cretesi 5 3 7

n ’ ebbe mille cinquecento sott’ Euriloco , e Neocretesi mille sotto Zeli da Gortinio, con cui erano cinquecento lancieri Lidii, e mille (238) Cardaci sotto il Gallo Lisi­maco. I cavalli montavan in tutto a seimila, quattro­mila de’ quali affidati erano alla condotta d’ Antipatro, nipote fraterno del re: agli altri era preposto Temisone.Era dunque 1’ esercito d’ Antioco composto di sessan» tadue mila fan ti, con seimila cavalli, e cento due elefanti. - ‘

LXXX. Tolemeo j avviatosi a Pelusio, alloggiò dap-t prima in questa città. Ivi raccolse gli (a3g) arre tra ti, e poich’ebbe misurato il frumento all’esercito, levossi e proseguì camminando rasente il (a4°) Casio e le così dette Voragini per un terreno privo d’acqua. Pervenuto ( 2 4 0 il quinto giorno al luogo destinato, accampossi in distanza di cinquanta stadii da Raffia, che dopo (a42) Rinocolura è la prima città (a43) della Celesiria verso 1’ Egitto. Circa lo stesso tempo venne Antioco colle sue forze, e giunto m Gaza (a44) ristorò colà l’esercito, poscia andò innanzi a bell’ agio, e passato davanti a Raffia pose il campo di nottetempo, lungi dagli aVver- sarii circa dieci stadii. Dapprincipio, trovatisi a cotal distanza, ebbero gli accampamenti l’ imo di rincontro all’altro. Ma dopo alcuni giorni Antioco, e per prender un luogo più opportuno, e per inspirar coraggio all’eser­cito , si fece cogli alloggiamenti più vicino a Tolemeo, per modo che gli steccati non erano cinque stadii l’uno dall’altro distanti. Nel qual tempo nacquero parecchie

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jì. diR. avvisaglie fra quelli che uscivano a far acqua e a fo- 53y raggiare; e scaramucce ancora ebbero luogo nell’ in­

tervallo fra i due cam pi, quando di cavalli, quando di fanti.

LXXXI. In quello Teodoto fece un’ impresa (;»42) con Etolica bensì, ma non vile audacia. Imperciocché, co­noscendo le costumanze ed il genere di vita del Re per aver in addietro molto tempo dimorato alla sua corte, entrò con altri due di buon mattino nel campo de’ ne­mici. Alla faccia non fu egli riconosciuto per cagione dell’ oscurità, nè tampoco indicollo il vestito e il resto (a 4 6 ) dell’ attillatura , essendo in. quel campo ancora varie fogge (^4y) d’ abbigliamenti. Scorta avendo nei giorni antecedenti la tenda del Re, come quella eh’ era vicinissima al luogo dove si fecero le scaramucce, ardita­mente vi trasse, -e in passando non fu veduto da alcuno de’ primi. Lanciatosi nella tenda, in cui il Re soleva dar udienza e pranzare, frugò dappertutto, ma non trovò il Re; sendochè Tolemeo pigliava riposo fuori della tenda co­spicua in cui mangiava e vacava agli affari. Feriti per­tanto due di quelli che ivi dormivano, (>4 ®) e ucciso Andrea medico del Re, salvo si ritirò nel suo alloggia­mento, levatosi contro di lui un poco di rumore appe­na quando si sottrasse dal campo. Così quanto è alla audacia, compiè costui il suo disegno, ma per ciò che spetta alla previdenza fallì, per non aver bene investii gato, ove Tolemeo era solito a prender riposo.

LXXXII. I Re, poiché cinque giorni rimasero l’ uno dirimpetto all’ altro accam pati, risolverono amendue di venire a una decisiva battaglia. Incominciò Tolemeo

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a muovere 1’ esercito fuori dello steccato, ed immanti- ut. diR nento Antioco gli si fece incontro colle sue forze. Le 5 3 7

falangi, e la scelta milizia armata alla Macedonica, amen- due schierarono di fronte. Le, ale Tolemeo collocò in questa guisa. Policrate co’ cavalli a lui soggetti tenne l’ala sinistra. F ra questa e la falange erano i Cretesi, ac­canto a’ cavalli, e loro appresso (»4 9 ) banda reale , dopo di questi gli scudi brevi con Socrate, contigui a- gli Africani armati alla Macedonica. Nell’ ala destra era il Tessalo Echecrate co’ suoi cavalli, e a mano manca di lui stavano i Galli e i Traci. Dopo venia Fossida coi mercenarii Greci accostati alla falange Egizia. Degli e- lefanti quaranta erano nell’ ala sinistra, ove combatter dovea Tolemeo, e trentatre schierati furono innanzi al- 1’ ala destra, e presso a’ cavalli mercenarii. Antioco col­locò i sessanta elefanti, a cui era preposto Filippo (25o) seco lui allevato, là dov’ égli stesso combatter dovea’con Tolemeo. Dietro a questi pose due mila cavalli sotto gli ordini d’ Antipatro , e due mila ne attelò in forma di falce. Presso a’ cavalli nella medesima fronte mise i Cre­tesi, e dopo di questi i merceòarii Greci; poscia schierò i cinque mila armati alla Macedonica sotto il Macedo­ne Bittaco. Nella battaglia sinistra pose precisamente nell’ ala due mila cavalli condotti da Temisone, e pres­so a questi i Cardaci e i lancieri Lidii ; poscia i fanti leggeri sotto Menedemo, che sommavano tre mila; do­po questi i Cissii, Medi e Caimani, e accanto ad essi gli Arabi, e i popoli con essi confinanti attaccati alla fa­lange. I rimanenti elefanti mandò innanzi all’ ala destra, preponendo loro uno ch’ era stato (a 5 i) paggio reale, ed aveva nome Miisco.

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■ dilL LXXXIII. Schierati che furono gli eserciti in cotal 5 3 7 guisa, passarono amendue i Re co’ duci e cogli amici in*

nanzi alle respettive fronti, esortando ciascheduno i suoi. E siccome avean tutti e due le maggiori speranze nelle falangi, così posero la maggior industria nell’ arin- garle. Ajutaron in ciò Tolemeo Andromaco e Sosibio, e la sorella (a52) Arsinoe; Antioco Teodoto eNicarco: che questi avevano in ambi gli eserciti la condotta delle felangi. Era il tenore delle ammonizioni in ciascheduna parte pressoché il medesimo; perciocché (a53) nessuno di loro avea qualche proprio fatto illustre e memorabile da recar in mezzo, come quelli che di recente assunto ebberò il dominio. Quindi rammentando la gloria e le gesta de’ maggiori 7 tentarono d’ inspirar alle falangi a- nimo ed ardire ; e massimamente porgendo loro lusin­ghe peli’ avvenire, pregavano ed esortavano così in par­ticolare i duci, come in comune tutti quelli d i’ erano per combattere a diportarsi con coraggio e valore, nel presente cimento. Queste e simili cose dicevano scor­rendo le file a cavallo, parte essi medesimi, parte per mezzo d’ interpreti.

LXXXIV. Ma poiché venne Tolemeo colla sorella alla sinistra di tutta la loro schiera, ed Antioco collo (a54) squadrone de’ cavalli regii alla destra, dato il segno dell'attacco, affrontaronsi dapprima cogli elefanti. Alcuni di quelli di Tolemeo urtarono gli avversar), e sovr’essi egregiamente combattevano gli uomini dalle torri, dav- vicino avventandosi le sarisse (aste Macedoniche) e vi­cendevolmente percuotendosi. Ma più bello ancora era veder le belve pugnar insieme di fronte con violenza e

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corrersi addosso. Che (a55) in tal guisa combattono co- A . di R.

testi animali. Avvinghiandosi (a56) ed intrecciando' tra 53’j loro i'denti, spingonsi (a5y) con-tutta la forza, ed osti­nati difendon il posto , finattantochè l’ uno 1’ altro non sow erchia, e in là caccia la sua proboscide. Quando questo nel piegare scopre il fianco, il vincitore lo feri­sce co’ denti, siccome fanno i tori colle corna. La mag­gior parte degli elefanti di Tolemeo cansava la bat­taglia, conform’ è costume degli elefanti Africani, i quali (a58) non tollerano l’odore e la voce degli Indiani, (2 5 9 ) ma spaventati ancora, per quanto io credo , della loro grandezza e forza, fuggon immantinente in veggendoli approssimarsi da lungi. Locchè allor pure avvenne. Le belve scombuiate e (a6 o) spinte addosso alle proprie schiere, oppressero la banda reale di Tolemeo e la fecero piegare. Ma Antioco, girata avendo l’ala sovragli elefanti, assaltò Policrate e i cavalli da lui condotti: ed insieme i mercenarii Greci eh1 eran intorno alla falange, dal la-

. to interno degli elefanti, attaccarono gli scudi brevi di Tolemeo, e li respinsero, essendogià le loro schiere dis­ordinate dagli elefanti. Per tal modo tutta 1’ ala sini­stra di Tolemeo oppressa piegò.

LXXXV. Echecrate, che avea 1’ ala destra, dapprin­cipio osservava P azzuffamento delle ale anzidette ; ma poiché vide la colonna- di polvere portarsi verso de’suoi, e gli elefanti della sua parte non osar punto d’ acco­starsi agli avversarii, ordinò a Fossida, che avea i mer­cenarii G reci, d’attaccar quelli che gli erano schierati di fronte. Egli uscito di fianco, co’ cavalli, e.con quelli che attelati erano presso gli elefanti, si pose fuori del-

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A.diR. P assalto delle belve, ed i cavalli nemici, quali alle spal-5 3 7 l e , quali a7 fianchi attaccando mise presto in fuga. Lo

stesso fece Fossida e tutti quelli che gli erano dintorno; perciocché gittatisi sovra gli Arabi e i Medi, li costrin­sero ad andar in volta precipitosamente. Vinse adun­que 1’ ala destra d’ Antioco , e la sinistra fu sconfitta ; ed essendo per siffatto modo amendue le falangi nuda­te dalle a li, rimasero intatte in mezzo al p iano, con dubbie speranze sull’ avvenire. In quello pugnava An- ti<tócrvAdtKtafei!deétr& con glande vantaggio. Tolemeo, ritiratosi * sotto la falange, si fece d iora innfenxij e venu­to al cospetto dell’ esercito, atterrì gli avversarli, ed ai suoi ntise gran fervore ed alacrità. Quindi Andromaco e Sosibio posero subito la lancia in réstàfid iano ltra- ronsi. I militi scelti di Siria per breve tempo'focercK<&- sta; ma quelli che condotti erano da Nicarco tbsto'pie­garono e ritiraronsi. (1 6 1 ) Antioco, qual inesperto e giovine, credendo che siccome dalla sua parte, cosi dalle altre tutte fosse la vittoria, inseguiva quelli che fuggiva­no. Finalmente certo soldato de’ veterani fermollo e mostrigli la polvere che dalla falange moveasi verso il suo campo ; ond’ egli conobbe la faccenda, e tentò di correre coll’ insegna reale al luogo ove i suoi erano schierati ; ma trovando tutti fuggiti, fece la ritirata in Raffia , persuaso che, per quanto era in lui, aveva vinto, e stimando che l’ infelice esito dell’ affare procedeva, dall’ altrui viltà e timidezza.. LXXXVI. Tolemeo, la cui vittoria decisa fii dalla fa-

iiiftge, inseguiti avendo gli avversarii co’ cavalli e coi mercenarii dell’ al^ destra, e molti uccisi, ritirossi, e

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negli alloggiamenti dond’ era uscito pernottò. U giorno A .dìit appresso, levati e seppelliti i proprii m orti, e spogliati 53j quelli de’ nemici, si tolse di là, e proseguì verso Raffia. Antioco subito dopo la fuga pensò d’ accamparsi fuori della c ittà , raccolti eh’ ebbe quelli eh’ erano fuggiti in frotte; ma essendosi il maggior numero ritirato nella città, fu egli pure costretto d’ entrarvi. Uscito poscia di buon mattino cogli avanzi dell’ esercito, si diresse (2 6 3 ) verso Gaza. Colà stabilì gli alloggiamenti, e mandato avendo per la licenza di levar i m orti, 1’ ottenne e li tumulò co’ dovuti onori. Morirono della gente d’ Antitìco, fanti non molto meno di dieci m ila, cavalli più di trecento.Vivi furono presi oltre quattro mila. Degli elefanti peri­rono tre nell’ istante, due delle férite. Di quelli di Tole­meo furono uccisi da mille cinquecento fan ti, e circa settecento cavalli; elefanti ne morirono sedici, e gli al­tri quasi tutti furono presi. Tal fine ebbe la battaglia fra i due Re per il dominio della Celésiria. Levati che furono i cadaveri , Antioco si ridusse a casa coU’ eser­c ito , e Tolemeo ebbe RafEa e le altre città al primo arrivo, gareggiando tutte fra di loro a chi prima gli si arrenderebbe e ristabilirebbe il suo dominio. È per­tanto costume di tutti in siffatte circostanze d’ accon­ciarsi sempre in qualche modo al presente ; ma sovra gli altri la razza d’ uomini che abita que’ paesi ha l’in­dole proclive a cotal genere di compiacenze richieste dal tempo. Ed allora ragion volea che ciò accadesse , mercè della benevolenza che gli animi guidava verso i re d’ Alessandria : sendochè i popoli della Celesiria (a63)

p o l i b i o , tomo in . 7

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A. di È. venerano, checché ne sia il motivo, sempre p iù questa 53y casa. Quindi non oùiisero veruna sorta di liete dimo­

strazioni, (a64) Onorando Tolemeo con corone, con sa­crifici!, con altari e con ogni adorazione di questa fatta.

LXXXVU. A ntioco, come prima giunse nella città che ha il suo nome, mandò Antipatro figlio di suo fra­tello , e Teodoto Emiolio ambasciadori a Tolemeo per la pace , temendo una invasione nemica. Imperciocché diffidava egli della soldatesca per la sconfitta toccata, e paventava non Acheo si prevalesse dell’occasione contra di lui. Tolem eo, non riflettendo punto a queste cose, ma contento dell’ ottenuta vittoria, perchè inaspettata, e del conquisto non atteso della Celesiria, non era alie­no dalla quiete, anzi oltre il dovere vi era propenso, tratto dall’ abituale sua leggerezza, e dalle magagne del suo animo. Q uindi, venuto a lui Antipatro cogli altri ambasciadori, minacciolli alcun poco, e biàsiniò Antioco di ciò che avea fatto, ma gl! concèdette tregua per un anno, e spedì con essi Sosibio per istabilire l’accordo. Egli poi, soggiornato eh’ ebbe tre mesi in Siria e in Fe­nicia , e riordinate le c ittà , lasciò Andromaco da As­pendo per governatore di tutti gli anzidetti luoghi, e mosse colla sorella e cogli amici alla volta d’ Alessan­dria , pósto avendo alla guerra una fine (a65) che nes­suno nel regno sarebbesi aspettata, considerando in tut­to il resto il tenor della sua> vita. Antioco, stipulata la tregua con Sosibio, occupossi, secondochè aveasi pro­posto dapprim a, dell’ apparecchio contr’ Acheo. — In questi termini erano gli affari dell’ Asia.

LXXXVIII. (2 6 6 ) I Rodii, a’ tempi de’ quali in ad-

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dietro parlammo , presa occasione dal terremoto poco -A diR. anzi presso di loro avvenuto, in cui cadde il gran Co- 53y losso e la maggior parte delle mura e delle darsene, con tanta prudenza e abilità adoperaron in quella con­giuntura, che ne ridondò loro vantaggio anziché danno.Tanto differiscono fra gli uomini, cosi nelle private come nelle pubbliche faccende, dalla stupidità e dall’infingar­daggine la diligenza e l’assennatezza : che quelle volgon in danno eziandio i felici eventi, queste convertono in utilità gl’infortunii ancora. I Rodii adunque talmente govemaronsi in quella vicenda, che grande e terribile rappresentando la loro disgrazia, e usando nelle amba­scerie gravi e dignitose parole, non meno ne’ congressi, che nelle conferenze particolari, indussero le città e singolarmente i re a far loro sontuosi regali, sapendo­gliene perfin grado i donatori. Imperciocché (2 6 7 ) Gerone e Gelone diedero loro non solo (2 6 8 ) settantacinque ta ­lenti d’argento, parte subito, parte in brevissimo tempo, e cinque per la spesa dell’olio a quelli che esercite- rebbonsi (2 6 9 ) nel Ginnasio, ma dedicarono pure nella loro città caldaje d’argento cogl’imbasamenti, e alcune brocche. Oltre a ciò destinarono dieci talenti pe’ sacri­fici!, ed altri dieci (2 7 0 ) a sollievo de’ cittadini affinchè tutti i doni ascendessero a cento talenti. Accordaron eziandio franchigia a quelli che presso di loro appro­davano, e diedero loro cinquanta (2 7 1 ) catapulte di tre cubiti. E finalmente dopo esser loro stati cortesi di tante cose , quasi riconoscendosi beneficati, eressero nella (2 7 2 ) Mostra di Rodi due statue rappresentanti il popolo di Rodi coronato dal popolo di Siracusi.

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J.d iR . LXXXIX Promise loro anche (a^3) Tolemeo tre-537 cento talenti d’argento, ed un milione (2 7 4 ) d’ardebbi

di frumento ; legni da costruzione per sei vascelli da cinque, e dieci da tre ordini, consistenti in travi di pino (2 7 5 ) quadrati di giusta m isura, insieme venti mila braccia ; moneta di bronzo mille tallenti , stoppa tre­mila , tele7da vela tremila. Pel ristabilimento (2 7 6 ) del Colosso tremila (2 7 7 ) talenti di bronzo; cento architetti, trecencinquanta operaj, e per il loro salario quattor­dici talenti all’anno. Oltre a c iò , pegli spettacoli e sa­crifica dodicimila ardebbi di frumento, e ventimila pel mantenimento di dieci triremi. Di queste cose diede la maggior parte subito, e de’ danari la terza parte. Del pari Antigono donò loro diecimila pezzi di legno della lunghezza d’otto a quattro braccia ad (2 7 8 ) uso di pali; assi (2 7 9 ) per tavolati lunghe tre braccia e mezzo cin­quemila , tremila talenti di ferro , mille di pece co tta , di pece cruda mille misure. Innoltre promise cento ta­lenti d’argento. (2 8 0 ) Criseide sua moglie aggiunse cento mila moggia di frumento, e tremila talenti di piombo. Seleuco padre d’ Antioco , oltre la franchigia a quelli che approderebbono nel suo reame, donò dieci navi da cinque palchi allestite, dugento mila moggia di grano, legna (2 8 1 ) cinquemila braccia, ragia e crine di cia­scheduno mille talenti.

XC. Lo stesso a un di presso fecero Prusia e Mitri­date , e i signori che allora dominavan in Asia, cioè a

dire (2 8 2 ) Lisani a, Olimpico, Limneo. Le città poi che sovvennero i Rodii secondo la loro possa, non è facile d’annoverare: a tale che ove alcuno consideri il tempo,

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in cui la loro città incominciò a rimettersi, forte si ma- A. di il raviglierà, come in così breve ora crebbero tanto le 5 3 j sostanze private e la pubblica opulenza; ma se riflettasi all’ opportunità del sito , e alla quantità degli effetti recati colà da fuori, non è a stupirsene: anzi per poco non sembrerà essa prosperar meno di quello che do­vrebbe. Le quali cose noi abbiamo dette, primieramente per significar la magnificenza de’ Rodii neUe pubbliche instituzioni, per cui sono ben degni di lode e d’imita­zione; in secondo luogo per far conoscere quanto sieno meschini oggidì i doni de’ re , e quanto sia poco ciò che le nazioni e le città da loro ricevono : affinchè i re che larghi sono di quattro o cinque talenti, non ere* dano di aver fatto gran cosa, nè pretendano di procac­ciarsi da’ Greci la benevolenza e l’onore eh’ ebbero gli antichi re; e le città recandosi innanzi agli occhi , la gran­dezza de’ doni passati, non rimeritino sbadatamente i pic­cioli e miseri che ora si fanno con sommi e solennissimi ,onori; ma tanto più s’ ingegnino di serbar a ciasche­duno i convenevoli compensi, (a83) rammentandosi che i Greci di gran lunga superiori sono agli altri uomini.

XCI. In sull’ incominciar della s ta te , mentre che Ageta era pretore degli Etoli, ed avendo Arato assunta la pretura degli Achei : ( che di qui ci partimmo per volgerci alla guerra sociale: ) Licurgo Spartano se ne venne indietro dall’Etolia. Imperciocché gli Efori, avendo trovata falsa l’accusa, per cui andò in bando, manda­ron a richiamarlo. Costui adunque ordinò coll’ Etolo Pirria ch’ era pretore degli Elei, di far una irruzione nella Messenia. Arato ricevuta avea la milizia straniera

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A.diR. degli Achei corrotta, e le città poco premurose di 53^ contribuir danaro a quest’ oggetto ; pei’ciocchè l’ an­

tecessore di lui Eperato, conforme dissi di sopra, avea la repubblica male e con negligenza amministrata. Tutta­via esortati gli Achei; e attenuto un decreto a tal uopo, con vigore occupossi degli apparecchi di guerra^ Decre­tarono gli Achei le seguenti cose. Avessero ad (2 8 4 ) alimentarsi ottomila mercenarii a piede, e cinquecento a cavallo; scelti A chei tremila fa n ti , e trecento caval­li , f r a i quali Megalopolitani cogli scudi di bronzo cinque cento fa n t i , e cinquanta cava lli, e lo stesso numero d’ Argivi. Decretaron ancora di mandar fuori navi a volteggiare , tré intorno (2 85) al lido orientale dell’ Argolide e nel golfo d’Argo, tre circa Patra, Dima, e quella marina.

XCII. Mentre che Arato in ciò adoperavasi, e que­sti apparecchi allestiva, Licurgo e Pirria indettatisi d’u­scire nello stesso giorno, andarono verso la Messenia.Il pretore degli Achei, conosciuto il loro divisamente, venne co’ mercenarii e un drappello della milizia scelta in Megalopoli, a difesa de’ Messemi. Licurgo venuto fuori ebbe per tradimento (2 8 6 ) Cai ama, castello de’ Messemi, indi proseguì affrettandosi di raggiungere gli Etoli. Pirria uscì d’Elide con pochissima gente, ed es­sendogli impedito l’ingresso nella Messenia da’ (2 8 7 ) Ciparissei, se ne ritornò. Il perchè L icurgo, non si potendo unire con P irria , nè bastando egli all’ impre­sa, dopo aver dato per breve tempo alcuni assalti ad (2 8 8 ) A ndania, si ridusse di bel nuovo a Sparta sena’ aver fatto nulla. A rato , essendo a’ nemici fallito il disegno,

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provvedendo, siccome era ragionevole , all’ avvenire , 4- ài R concertò con (2 8 9 ) Taurione di preparare cinquanta 53y cavalli e cinquecento fan ti, e co’ Messenii che spedis­sero-un egual numero di cavalli e di fanti; volendo con questa gente guardar il territorio de’ Messenii, de’ Me- galopolitani, de’ Tegeati e degli Argivi ; imperocché que­sti territorii confinano colla Laconia, e più degli altri nel Peloponneso esposti sono alle ostilità de’ Lacede­moni!, Colla 'milizia scelta degli Achei e co’ mercenarii, risolvette di custodir le parti dell’ Achea che voltate sono all’Elea e all’Etolia.

X CIII. Combinate queste disposizioni, riconciliò i Megalopolitani fra loro per decreto degli Achei. Cpn- ciossiaehé avendoli di recente (2 9 0 J Cleomene privati della patria, e come si dice dalle fondamenta distrutti, difettavan essi di molte cose, e di tutte aveano strettezza; e quantunque d’animo non cadessero , erano tuttavia nell’impossibilità di spendere, così in pubblico, come in privato. Quindi tu tt’era pieno Ira loro di contese , gare ed ira; la qual cosa accader suole, e ne’ pubblici affari, e nella vita privata, quando le facoltà vengon meno alle imprese. Dapprima disputarono circa il mu­ramento della c ittà , dicendo alcuni che la si dovea ri- strignere, e ridur a tale , che prendendo a cignerla di mura potessero compier il lavoro e difenderla, ove le sopraggiungesse qualche caso ; giacer essa ora distrutta per cagione della sua grandezza, e della scarsità de? suoi abitanti. Oltre a ciò voleano che i possidenti la terza parte de’ loro fondi contribuissero a (2 9 1 ) dota­zione de’ nuovi cittadini che fossero per esser presi.

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A. diR. Altri non tolleravano che si diminuisse la città) nè ap*537 provavano che si conferisse la terzaparte delle posses­

sioni. Ma grande sòvra le altre fu tra essi la contesa circa le leggi scritte da (3 9 2 ) Pritanide, che Antigono avea lor dato a legislatore, ed era uno degli uomini più illustri del Peripato, e della setta che vi si profes­sava. Disputando essi così, Arato postavi tutta la pos­sibile cura , cessò la loro discordia. Le condizioni, a cui finirono le loro differenze incisero in una colonna, che rizzarono presso l’altare di Vesta nel tempio di (2 9 3 ) Giove Accordatore.

XCIV. Dopo questa riconciliazione , Arato levato il campo andò al congresso degli Achei, e consegnò i mercenarii a Lieo da F a ra , ch’ era allor vice-pretore del patrio (2 9 4 ) distretto. Gli Elei disgustati di Pìr- ria, fecero venire dagli Etoli un altro capitano, Eu- ripida. Questi , aspettato il congresso degli Achei, prese sessanta cavalli e duemila fanti, e si mise in cammino, e varcato il contado di Fara , corse la campagna sino al territorio d’ E g io , indi fatta molta p red a , ritirossi verso (2 9 5 ) Leonzio. Lieo, avu­tone nuova, venne in fretta al soccorso, e raggiunto il nemico e di botto con lui azzuffatosi, gli uccise quat- trocent’uomini e dugento ne prese vivi, fra cui eraao alcune persone cospicue, Fissia, Antanore , Clearco , Androloco, Evanoride, Aristogitone, Nicasippo ed Aspa- sio. Le armi e le bagaglie vennero tutte in suo potere. Intorno a quel tempo il comandante del naviglio Acheo, fatta 'una spedizione a (2 9 6 ) Molicria ne riportò poco -meno di cento schiavi ; poscia torse il cammino e na-

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vigò alla volta di (2 9 7 ) Calcea. Usciti gli abitanti per A.diR. difendersi, s’ impadronì di due vascelli lunghi colle 53y ciurme , e presso (2 9 8 ) il Rio dell’ Etolia prese un na­vicello insieme colla gente, che vi era. Così concorrendo ad un tempo le prede per mar e per te r ra , e accoz­zandosi da queste sufficiente copia di danaro e di vet­tovaglie, nacque ne’ soldati fiducia di conseguire gli ‘ stipendi!, e le città vennero in isperanza di non esser gravate da’ tributi.■■ XCV. Mentre che accadevano le cose anzidette, Scer- dilaida reputandosi offeso dal re Filippo, perchè questi non gli avea pagato (2 9 9 ) il residuo della somma con lui pattuita, spedì quindici barche, tentando di portarsi via con frode il danaro dovutogli. Approdate a Leucade furono da tutti siccome amiche ricevute, pelle sociali pratiche ch’eran in addietro fra loro corse. Non fecero esse, a dir vero, male alcuno, nè il poterono pella man­canza del tempo; se non che contra la fede de’ trat­tati assalirono i Corintii Agatino e Cassandro ch’erano colà venuti colle navi di Taurione, ed aveano già come amici afferrato con quattro vascelli, i quali presero ed insieme co’ legni mandaron a Scerdilaida. Poscia sal­pati da Leucade ed andati verso (3oo) il promontorio di Malea, raccolsero preda e menarono seco i merca­tanti. Avvicinandosi già la stagione del ricólto, e tras­curando Taurione di presidiare le anzidette città, Arato colla sua gente scelta prestava sussidio agli Argivi che mietevàn il frumento. Euripida pertanto uscì cogli Etoli per spogliar la campagna de’ Tritei ; ma L ieo , e De- inodoco, capitani della cavalleria Achea, risaputa la

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A. diR . partenza degli E t oli dall’ Elide, raccolti i Dimei, i Pa* 5 ‘iy trei ed i Farei , ed aggiunti a questi i m ercenarii, in­

vasero l’Elea, e pervenuti al luogo chiamato (3oi) Fis- sio , mandaron i più spediti e i cavalli a fare scorri* bande, e la grave armadura nascosero nell’ anzidetto sito. Essendo gli Elei popolarmente sortiti contra gli scorridori, ed incalzandoli nella ritirata, balzarono fuori li soldati di Lieo ed assaltarono quelli' ch’eransi troppo innoltrati. Non resistendo gli Elei all’ impeto , ma fug­gendo alla prima comparsa, ne uccisero da dugento, e ottanta circa ne presero vivi, e recaron ih salvo la preda da ogni parte raccolta. Ad un tempo il navarco degli Achei fece frequenti discese sulle spiagge della (3oa) Calidonia e della Naupazia, spogliò la cam pagna, e sconfisse due volte i loro .ajuti. Prese ancora Cleo- nico da Naupatto , il quale, perciocché era pubblico ospite degli Achei, non fu nell’istante venduto, e dopo qualche tempo fu messo in libertà senza riscatto.

XCVI. Circa lo stesso tempo Ageta pretore degli E toli, fatta la massa del popolo, depredava la campa­gna degli A cam ani, e corséggiava impunemente tutto l’Epiro. Ciò fatto ritornò a casa, e licenziò gli Etoli alle loro città. Gli Acarnani dal loro canto intaserò il ter­ritorio di Strato, e colti da panico terrore , vergogno­samente , ma senza danno se ne ritornarono: nè osa­rono d’inseguirli gli abitanti di Strato, credendo la loro ritirata insidiosa. A (3o3) Fanotea pure fu commesso un (3o4) tradimento a rovescio in questa guisa. Alessan­dro, preposto da Filippo alla Focide, macchinava un inganno cpntro gli Etoli per via di certo G iasone, il

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quale a lui soggetto, era comandante di Fanotea. Que- A. diil. sti mandò ad Ageta pretore degli E to li, e sì gli accordò 5.3 7

la consegna della rocca de’ Fanotesi, ed intorno a ciò fece giuramento e convenzione. Giunto il giorno desti* n a to , venne Ageta cogli Etoli di nottetempo presso la città, e nascosi avendo gli altri in certa distanza, colà ri­mase. Scelti poscia cento de’ più abili gli spedì verso la rocca. Giasone, che avea Alessandro pronto nella città con soldati, ricevette i giovani secondo il tratta­to, e tutti gl’introdusse nella rocca;m a gittatisi dentro quelli d’ Alessandro, il drappello scelto degli Etoli fu fatto prigione. Ageta, sopraggiunto il giorno, conobbeil fa tto , e ricondusse a casa l’esercito, caduto Veggen- dosi in un laccio non dissimile da quelli ch’egli sovente tendea.

XCVII. Frattanto il re Filippo prese (3o5) Bilazora, eh’ è la città più grande della (3 0 6 ) Peonia , ed assai opportuiiamente situata per entrare dalla Dardania nella M acedonia, per modo che mercè di questa fazione erasi quasi liberato dal timore d’esser invaso da’ Dar- dani, i quali difficilmente entrati sarebbono nella Ma­cedonia, poiché Filippo per via dell’anzidetta città avea in suo potere tutti gl’ingressi. Avendola assicurata, spedì in fretta Crisogòno con gente dalla Macedonia supe­riore, ed egli, colle forze che prese dalla (30 7 ) Bottiea e dall’Anfassitide," venne in (3 0 8 ) Edessa. Aspettati colà i Macedoni ch’erano con Grisogono, levossi con tutto l’esercito, e il sesto giorno arrivò in (3 0 9 ) Larissa. Con­tinuò il cammino senza posa tutta la n o tte , ed in sul mattino pervenne a (31 0 ) Melitea, la quale città tentò,

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A. di R. accostando le scale alle sue mura. Il repentino e ma-537 spettato caso atterrì i Melitei a tale, ch’egli di leggeri

sarebbesi della città impossessato ; ma essendo le scale molto più brevi del bisogno , gli fallì l’impresa,

XCVIII. Nel qual genere sovrattutto sono da incol­parsi i duci. Imperciocché se taluni, non facendo prov­vedimento alcuno, nè misurando le m ura, i precipizii, ed altri somiglianti siti, per cui s’ accingono ad entrar in una c ittà , inconsideratamente vi si accostano per prenderla; chi di ciò non li biasimerà? E se avendo, per'quanto è in lo ro , fatte coteste misurazioni, la co­struzione delle scale, e di siffatte macchine , che con picciola fatica si compongono, ed in grande (311 ) danno di sé prova, affidano temerariamente a qualsivoglia per­sona ; come non saran essi a ragione accusati ? Che in tali affari non è possibile di ometter ciò che doveasi fare senza pagarne il fio : sibbene alla colpa conseguita immantinente la pena in molti' modi. Nell’azione stessa gH uomini più valorosi esposti sono al pericolo, ma più

i ancora nelle ritirate, quando il nemico incomincia a disprezzarli. Della qual cosa v’ ha moltissimi esempi!. Imperciocché di quelli che vennero meno in siffatte im­prese , trovansi p iù , parte m orti, parte ridotti all’e­stremo pericolo, che non senza danno liberati. Per ciò che spetta all’ avvenire , egli è indubitato , eh’ essi pro­cacciansi diffidenza ed odio. Oltre a ciò awertiscono tutti di starsi in guardia : che non solo (31 2 ) a chi fu danneggiato, ma eziandio a chi ha contezza dell’acca-

■ d u to , dassi in certo modo avviso di badare e di guar­darsi. Quindi chi presiede agli affari non dee temerà-

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riamente metter in pratica cotali divisamente La ma- J.ditL. mera pertanto di misurar e fabbricare siffatti oggetti, è 53? agevol e sicura, ove con metodo si eseguisca. — Ma ora riprender dobbiamo il filo della narrazione , e nel corso della storia a tempo e luogo convenienti c’inge­gneremo di m ostrare, come schivare si possano nelle imprese cotali errori.

XCIX. Filippo , deluso in questo proponimento, ed accampatosi presso al fiume (31 3) Enipeo , fece venir da Larissa e dalle altre città gli apparecchi d’ assedio , ch’égli avea fatti durante l’inverno. Imperciocché tuttolo scopo della sua spedizione si era d’espugnar la Tebe così detta Ftiotide. Giace questa città non lungi dal m are , in distanza di circa trecento stadii da Larissa, e signoreggia opportunamente la Magnesia e la Tessa­glia 5 e della Magnesia sovrattutto la campagna di De- m etriade, e della Tessaglia quella di (3i4) Farsalo e di Fera. Da lei gli E toli, quando la occupavano, fa- ceano frequenti scorrerie, e gravi danni recavano agli abitanti di Demetriade , di Farsala, e di Larissa : che sovente estendevano le loro corse sino al (3i5) piano denominato Amirico. Laonde F ilippo, non pigliando la cosa a gabbo, ogn’industria vi pose per prenderla colla fòrza. Raccolte adunque cencinquanta catapulte, e venticinque macchine da lanciar p ie tre , andò verso Tebe , e diviso 1’ esercito in tre p a rti, prese i dintorni della città. Con una accampossi presso Scopio; coll’al­tra presso il così detto Eliotropio ; la terza stanziò sul monte che domina la città. Lo spazio fra gli alloggia­menti afforzò, comprendendolo con un fosso e doppio

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4 .dìR . steccato, ed innoltre assicuroUo con torri di legno,5 3 7 collocate ad ogni cento piedi con sufficiente presidio.

Poscia ragunò tutti gli apparecchi in un luogo, e in*/ cominciò ad accostar le macchine alla rocca.

C. I primi tre giorni non potè condur innanzi le opere , perciocché quelli della città difendevansi valo­rosamente e con grande audacia ; ma poiché per la frequenza delle scaramucce e la moltitudine delle frecce i difensori più esposti della città erano parte uccisi, parte feriti, gli assediati alquanto rallentarono, ed i Macedoni incominciarono a scavar mine. (31 6 ) Coll’as­siduità del lavoro, sebbene contrariati dalla natura del luogo, il nono dì appena pervennero al muro. Indi trava­gliando a vicenda, per modo che non lasciarono nè giorno, nè notte , in tre dì minarono dugento piedi di muro, eli puntellarono ; ma non potendo gli appoggi regger il peso , e cedendo, cadde il muro innanzi che i Mace­doni vi gittassero il fuoco. Nettate poi diligentemente le rovine, apparecchiaronsi all’entrata, ed essendo già per isfbrzare il passaggio, i Tebani sbigottiti arrendettero la città. Filippo con questa fazione assicurate avendo le cose della Magnesia e della Tessaglia, privò gli E toli di grandi prede, ed insieme giustificò presso l’esercito l’uc­cisione di (3 1 7 ) Leonzio, il quale in addietro nell’assedio di Palea maliziosamente avea operato. Divenuto signore di Tebe vendette gli abitanti che v’ avea , ed introdot­tavi una colonia di Macedoni, la denominò (31 8 ) Filip- popoli in luogo di Tebe. — Compiuta che fu questa im­presa, vennero nuovamente da’ Chii, da’ Rodii, dai Bizantini e dal re Tolemeo ambasciadori per tra tta r la

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pace. A’ quali date avendo risposte simili alle prime, e A.diR. detto che non era alieno dalla pace, impose d’andar ad 53 j esplorare la volontà degli Etoli. Egli pertanto della pace poco si curava, ed insisteva nelle ulteriori operazioni.

CI. Il perchè, sentito che le barche di Scerdilaida predavano (31 9 ) intorno M alea, e trattavano tutti i mercatanti come nem ici, avendo eziandio contra la fede de’ trattati presi alcuni legni de’ suoi stanziati a Leucade, allestite dodici navi coperte ed otto sco­perte , e trenta (3ao) fuste passò 1’ Euripo, affrettan­dosi di raggiugner gl’ Illirii, tutto intento alle sue im­prese , ed alla guerra contro gli E to li, perciocché nulla sapeva di quanto era accaduto in Italia. Che allorquando Filippo assediava Tebe , i Romani scon­fitti furono da Annibaie (3a 1) nella battaglia d’Etru- ria, e la fama di cotal avvenimento non era per an­che giunta a’ Greci. Filippo, non avendo più trovate le barche, afferrò a Cencrea, e spedì i vascelli coperti con ordine di navigar alla volta d’Egio e di Patra : le altre navi fece passar peli’ istmo, e comandò a tutte di stanziarsi nel Lecheo, ed egli cogli amici recossi in fretta a’ giuochi Nemei in Argo. Era egli colà intento a guardar la lotta del nudo, ed ecco venir un corriere colla nuova che i Romani erano stati rotti in una grande battagliale che Annibaie era padrone della campagna. Nell’istante mostrò il re la lettera al solo Demetrio Fario, imponendogli di tacere. Questi si valse dell’occasione, ed avvisò doversi quanto prima por da banda la guerra contro gli E toli, ed attender agli affari dell’ Illiria , e al passaggio in Italia. Imperciocché, diceva egli j i

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J.diR.33y

Greci fanno g ii ora i tuoi comandamenti, in apprestoli faranno: gli Achei di buon grado, perchè ti sono af­fezionati , e gli Etoli spaventati da ciò che avvenne loro nella presente guerra. L’ Italia po i, disse , e il tragitto colà, è il principio del conquisto universale, (3 a a) che a nessuno più che a te si conviene, e questo è il tempo opportuno, essendo i Romani tanto abbattuti.

GII. Con questi detti accese tosto F ilippo, come quegli, per. quanto io credo, eh1 era re giovane, avven­turoso nelle sue gesta, e in ogni cosa audace ; oltrec- chè era rampollo d’ una casa , cui più di qualsivoglia altra solleticava la speranza del dominio universale. Fi­lippo .adunque, siccome dissi, allora a Demetrio solo manifestò la notizia che gli recava la lettera, poscia ra- gunò gli amici, e tenne consiglio sulla pace da farsi cogli Etoli. Non essendo neppur Arato contrario alla riconciliazione, perciocché gli sembrava che avvantag­giati in guerra erano per fare la pace : il re , senz’ as­pettare gli ambasciadori, che a nome del pubblico trat­tassero l’affare, mandò subito Cleonico da Naupatto agli E to li, il quale trovò , (3a3) dacché era uscito di prigionia^ che aspettava il congresso degli Achei. Egli, ricevute le navi da C orinto , e le forze di terra, venne con esse ad Egio, e proseguendo vetso Lasione, prese (3*4) Pirgo ne’ campi del Peneo , fingendo d’invadere l’ E lea , per non mostrarsi troppo pronto a finire la guerra. Indi essendo Cleonico due o tre volte andato e ritornato , e pregandolo gli Etoli di venir con loro a colloquio, vi acconsenti, ed abbandonato ogni pensiero di guerra , spedi corrieri alle città alleate , invitandole

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a mandar deputati al consiglio, nel quale si delibere- A. di rebbe in comune intorno alla pace. Indi passò coll’eser- 5 ^ 7

cito a (3a5) Panormo, e visi accampò: il qual luògo è un porto del Peloponneso, che giace di rincontro a Naupat- to. Colà aspettò i deputati de’socii. Mentre che ragunarsi doveano gli anzidetti, navigò a Zacinto, riordinò colla sua autorità gli affari dell’isola, e ritornò al consiglio.

GUI. Come i deputati furono raccolti , mandò agli Etoli Arato e Taurione, ed alcuni altri che con questi erano venuti. I quali presentatisi agli Etoli uniti in con­gresso generale a N aupatto, indirizzaron loro uu breve discorso, e veggendo la lor inclinazione alla pace , ri- tornaron a Filippo per dargliene ragguaglio. Gli E to li, bramosi di finire la guerra, mandaron con essi amba­sciadori a F ilippo, chiedendo che venisse a loro col- 1’ esercito , affinchè, parlandosi dawicino , la faccendaavesse un convenevole esito. H re eccitato da cotal in-

/v ito , navigò coll’ esercito nella così detta (3 2 6 ) valle della Naupazia, eh’ è lungi dàlia città al più venti, sta­dii. Àccanipatosi, e circondate le navi e gli alloggia­menti di steccato , vi rim ase, aspettando il tempo del colloquio. Gli Etoli vennero popolarmente senz’ armi', ed essendo- distanti circa due stadii dal campo di Filip­po , mandavansi oratori e discorrevano circa le cose presenti. Dapprincipio spedì loro il re tutti quelli ch’e- rano venuti per parte degli alleati, comandando ad essi di offerir la pace agli E to li, a condizione che amendue ritenessero citj) che. aveano. Gli Etoli. prontamente vi acconsentirono ; del resto v’ ebbe pe’particolari fre- . P o l i b i o i forno h i . -8-

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J . di g. quenti ambasciate fra loro, delle quali la maggior parte 53^ ometteremo, perciocché non sono degne di menzione:

sibbene rammenteremo l’ammonizione che Agelao da Naupatto nel primo colloquio diresse al re ed agli al­leati presenti.

CIV, Il (3aji) quale parlò in questa sentenza. Non do­ver sovrattutto i Greci giammai guerreggiar tra loro, ma ringraziare molto gli Dei, se, tutti avendo una sola volontà, ed afferrandosi le (3a8) mani, conforme fanno coloro che tragittano i fiumi, possano respignere gli as­salti de’(3ag) B arbarie salvar sé stessi e le loro città. Tut­tavia , ove ciò non fosse al tutto possibile, li pregava d’ essere per ora concordi, e di star in guardia, preveg- gendo il podere degli eserciti, e la grandezza della guerra che in (33o) Occidente era insorta. Esser ma­nifesto già adesso a chiunque benché mediocremente versato ne’ pubblici afiki-i, com e, se i Cartaginesi su­pereranno i Romani in guerra , o i Romani i Cartagi­nesi, non v’ ha alcuna probabilità che i vincitori s’ar­restino a’domimi degl’ Italiani e dei Siciliani, ma che verranno ed estenderanno i loro disegni e le loro forze oltre il convenevole. Quindi esortava tu tt i , e massima- mente Filippo a guardarsi dal pericolo ; e la guardia,io questo consistere, ove, lasciando di distrugger i G reci, e di renderli facil preda degli assalitori, ne ab­bia al contrario cura come di sé stesso, e provvegga al bene di tutte le parti della G recia, come 6e fossero sue proprie ed a lui appartenenti. In qu&to modo ado­perando avrebbe i Greci verso di sé benevoli, e co­stanti copperatori in tutte le imprese; e gli stranieri

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meno insidierebbono al suo imperio, spaventati dalla A. diR. fede che gli serbano i Greci. Che se avea desiderio di 5 3 7

conquisti mirasse all’ Occidente , e ponesse mente alle guerre che ferveano in Italia; affinchè fattosi prudente osservatore, tentasse a tempo di conseguire la signoria generale. Non esserii tempo corrente sfavorevole a co­tali speranze. Le differenze e le guerre co’Greci, esor- tavalo, differisse a maggior ozio, e sovrattutto in ciò s’ affaticasse, che avesse in suo arbitrio di far con essi guerra o pace, quando a liti piacesse. Ma se le nubi che dall’Occidente si mostravano egli permetteva che si po­sassero ne’ paesi della G recia, molto è da tem ersi, disse, non le tregue e le guerre, e tutto questo giuoco che ora insieme giuochiamo, tanto noi tutti abbatta, che gran mercè ne faranno gli Dei lasciandoci la facoltà di guerreggiar e di far pace fra di noi a nostro piaci­mento, o d’esser al tutto arbitri delle nostre contese.

CV. Con questo discorso Agelao (331 dispose tutti gli alleati alla pace , e singolarmente Filippo , al qua­le molto acconciamente ragionò, preparato come era già dalle ammonizioni di Demetrio. Laonde accor­datisi fra di loro circa i particolari, e ratificata la convenzione , separaronsi recando ciascheduno alla re- spettiva patria pace in luogo di guerra. Tutte queste cose , cioè a dire , la battaglia dé’ Romani in E tru ria , quella d’ Antioco pella Celesiria, e l’ accomodamento degli Achei e di Filippo cogli E to li, avvennero il terzo anno della centesima quadragesima olimpiade. Questo fu il tempo e questo il consiglio, che gli affari della Grecia , dell’Italia « dell’ Africa intrecciarono dap-

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A.diR prima. Imperciocché nè Filippo, nè im aestrati supremi 53y de’ Greci a ve ano più rispetto allo (3 3 a) stato solo ideila

Grecia , facendo guerra o pace, ma tutti già dirizzavano gli sguardi all’ Italia. E non andò guari, che circa gli isolani e gli abitanti dell’Asia avvenne lo stesso : sen- doehè da' quind’innanzi quelli cui Filippo dispiacea, ed alcuni eh’ erano in discordia con Attalo non voi* geansi a M ezzodì, nè a O riente, ma riguardavan all’Occaso, e chi a’ Cartaginesi, chi a’Romani man­dava ambascerie. I Romani egualmente ne spedi- van a’ G reci, temendo l’ audacia di F ilippo, e fa­cendo provvedimenti, affinchè non gli assaltasse in quelle circostanze calamitose. — Noi pertanto, poiché, secondo la (333) nostra promessa di prim a, abbiamo conforme ne sem bra, chiaramente dimostrato, quan­do , come , e per quali cagioni gli affari della Grecia complicaronsi con quelli dell’ Italia e dell’ A frica, e continuammo la narrazione delle cose greche sino ai tempi in cui i Romani superati furono nella battaglia di C anna, ove ponemmo fine alla sposizione degli affari d’Italia, termineremo questo libro ancora, condotto avendolo agli anzidetti tempi.

CVI. Gli Achei adunque, come prima cessarono la guerra, eletto a pretore Timosseno, ritomaron a’ioro costumi e alle loro occupazioni, e le altre città pure del Peloponneso ristorarono le loro (334) sostanze, coltivarono la cam pagna, repristinarono i patrii sa- crifìcii e congressi, e tutte le solennità divine eh’eran in uso presso ciascheduna. Imperciocché quasi in di­menticanza eran venute queste cose a’ più di loro pella

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frequenza delle guerre passate. Nè so io giàeorae i Pe- A.diR .

loponnesi (335) nati fatti oltre agli altri uomini per 53j una vita mansueta e um ana, la godettero meno di tutti ne’tempi addietro: ma furono sempre conforme dice Euripide :

■D i nudi.'(336) carchi * e' mai d a ll anni, cheti.

Locchèm i sembra loro avvenir meritamente; perciocché essendo tutti per natura atti a governare ed amanti di libertà , combatton.insieme di continuo, senza esser punto disposti a ceder il primo luogo. Gi Ateniesi, francati dal timone de’ Macedoni, sembravano già pos­seder una soda libertà; ma reggendosi co’consigli (33^) d’Euriclide e dì Micione, non mescolavansi punto ne­gli affari degli altri G reci, e seguendo le massime e le inclinazioni de’loro cap i, davansi con effusione a tutti i re , e singolarmente a Tolemeo ; e tolsero a far ogni genere di decreti e di bandi, tenendo poco conto del- 1’ onesto ,-pell’ inconsideratezza de’loro superiori.

CVII. Tolemeo subito dopo queste gesta ebbe a so­stenere la guerra contro gli Egizii. Imperciocché il re testé mentovato armati avendo gli Egizii alla guerra contr’ Antioco, appigliossi ad un utile partito per il pre­sente , ma non< già peli’ avvenire. Che insuperbiti della vittoria di Raffia, non potevano tollerare d ' esser co­mandati, ma cercaveuio soltanto un duce ed una (338) persona, (339) stimandosi sufficienti a recarsi ajuto: edil fecero finalmente , nè dopo molto tempo. Antioco, fatti- grandi apparecchi nell’ invernò , sopraggiunta la

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’.iliR. state, passò il Tauro,-e stipulata società col jre A ttalo,537 imprese la guerra contr’Acheo. Gli Etoli compiacevansi

nell’ istante della pace incontrata cogli A chei, non es­sendo la guerra loro andata a seconda, per la qual cosa elessero a pretore Agelao da Naupatto, il quale sembrava aver contribuita la maggior parte a cotesta pace: ma fra poco ne furono dolenti, e biasimaron Agelao, come quegli che avea loro troncata ogni occasione di vantag­giarsi colle prede esterne, ed ogni speranza, di {?iova)v sene nell’avvenire, perciocché non con alcuni Greci, ma con tutti gli avea pacificati. Egli, sopportando siffatto n> ragionevole biasimo, li tenne a freno: ond’ essi eran co­stretti a durarla contro alla propria natura.

CVIII. Il re Filippo , recatosi dopo la pace per mare in Macedonia, e trovato Scerdilaida, che sotto pretesto de’ danari a lui dovuti, pe’ quali avea eziandio prese a tradimento le navi presso Leucade^ e saccheggiata allora una piccola città della (34o) Pelagonia, denominata Pisseo, tratte al suo partito le città della (34 0 Dassaretide, se­dotte con promesse quelle della (34») Febatide, cioè Antipatria, Crisondiona, G ertunta, e corse gran parte della campagna di Macedonia a queste confinante; mosse subito coll’ esercito, ingegnandosi di ricuperare le città ribellate. Risolvette poi di far guerra a Scerdilatid% sti­mando cosa al tutto necessaria di porre in buon stato gli affari dell’ Illiria, pelle altre imprese che meditava, « singolarmente per il passaggio in Italia. Conciossiachè Demetrio tanto infiammasse nel re cotesta speranza, ed il desiderio a cotesta impresa, che Filippo dormendo ne sognava, e tutto era immerso in questi pensieri. E

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facea ciò Demetrio, non in grazia di Filippo, (che a lui A. diit. in queste cose appena la (343)terza porzione assegnava)*, 53? ma più peli’ odio che portava ai HoBiaiu> e sovrattutto per amore di $è e delle proprie speranze : che per tal modo solamente credeva egli di ricoverare la Signoria di Fara. Del resto, partitosi Filippo coll1 esercito, ricon­quistò le anzidette città, ed occupò nella Dass&retide (i44) Creonio, e G erunta; intórno al lago (345) Licni- dib, Enchelana, Qerace, Satione, Beo ;u c l territorio dei Calieeoi B an tia ,ed Orgiso iu su quello de’ Pissantini. Compiuta questa sp?dkione, mandò le forze a’ quartieri.E ra cotesto l’ inverno, in cui Annibale, guastati avendo i luoghi più nobili dell’ Italia, era per i svernar a Gettone nella'Daunia. I Romani crearon allora consoli Caio T e­renzio e Ludo Emilio.

CIX . Filippo, mentre svernava, rifletteva che pelle sue imprese gli facea' mestieri di navi, e di rematori ; non già per uso di battaglia • navale , chfe non ispevava egli esser possibile di combatter in mare co’Romani, ma più -pel trasporto de’ soldati, e per tragittar più presto colà ove avea destinato > e per comparir a’ nemici ina» spettatamente. Quindi supponendo esser a ciò più ac» concia la costruzione navale degl’ Illirii, prese'quas» il primo fra i re di Macedqnia a fabbricar cento barche. Allestite che i ’ ebbe, ragunò le forze in sul principia della state, ed esercitati alcun poco i Macedoni nei ré* m are, salpò. Allor appunto Antioco passava il Tanro. Filippo j poiché (346) navigò peli’ Euripo e intorno al capo M alea, venne nelle vicinanze di Cefallenia e di Leucade, ove prese terra ed aspettò, minutamente in-

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A.diR. formaridbsidell’ arfnata romana. Sentito eh1 eSsa 5 tan- 538 ziava a Lilibeo, si fece: animo, ed alzò le aneore, pro­

seguendo alla volta S Apollonia.GX. Avvicinavasi egli già -alla foce del fiume A oo,

d ie cotre 'p reuo alla città d’Apollonia, quando invase 1’ armata un terror (347) pànico, quale assale. talvòlta gli eserciti di terra. Imperciocché alcuhe, barche che navigavamo alla còda, afferrato avendo in un’isola, che chiamasi (348) Sasorie e giace pressò) all’ ingresso dèi m ar Ionio,' vennero di nottetempo a Filippo, dicendo} che insieme con essi àvean alcuni approdato provenienti dallo (349) stretto , i quali anaunùaron loro d ’ aver la­sciate a Regio : delle navi romame dacinque ordini, che dirigevansi verso Apollonia per unùrsi a Scerdilaida. Fi­lippo, credendo che già gli fosse addòsso l’armata nemica, impaurito levò le ancore , ed ordinò ehe si navigasse indiètro. Fatta la ritirata senz’ ordine, arrivò il secondo giorno à Cefatìenia, poiché ebbe dì e notte continua­mente navigato.' Ripreso un poco d’ animo, rimase colà, dimdo voce, che il suo ritorno cagionato era da alcune

. faccende oh’ egli avea nel Peloponneso. Ma (35 o), non era si tutto falso il suo terrore. Imperciocché Scerdilaida, udendo come Filippo costruiva molte barche durante l’ inverno , ed aspettando eh’ egli giugnesse per mare , mandò significando la cosa a’Romani, e richiedendoli d ’.aQuti. I Romani, spedirono una diecina di navi dell’ar­mata di Lilibeo, e queste furono vedute presso Reggio. Che se Filippo spaventato non le avesse pazzamente fug­gite, avrebb’ egli allora precipuamente conseguito il suo intento nell’ llliria; percÌQCché i Romani erano con tutti

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i pensieri e gli apparedchì rivolti ad Annibale ed alla A. di battaglia di’ Canna, ed egli sarebbési, second’ ogni ra- 538 gione, impossessato di que’ vascelli. Ora turbato per cqp tal nuova ritirossi in M acedonia, senza. danno , a dir vero; ma non senza vergogna.

GXI. OSÒ che fece Prnsia a que’ tempi è degno d’es- ser mentovato. I Galli che il re Attalo per la fama del loro valore avea fatti venir dall’ Europa , a fine di va­lersene nella guerra contr’ Acheo, abbandonarono l’an- zidetto re pe’ sospetti (351) in addietro riferiti, deva­starono con grande sfrenatezza e violenza le città del- 1’ Ellesponto, e finalmente s’ accinsero ad assediar (3 5 2 )Ilio. Gli abitanti d’Alessandria nella Troade fecero al­lora un’ azione non ignobile. Imperciocché spedirono Temista con quattro mila uomini, levarono 1’ assedio di Ilio , e cacciaron i Galli fuori di tutta la Troade , non lasciando loro pervenir le vettovaglie, e mandando a vuoto le loro imprese. I Galli, occupata Arisba nel ter­ritorio d’Abido, tesero poscia insidie e fecero eziandio aperta guerra alle città di que’ dintorni. Contro a’quali andò Prusia con un esercito, e vinti avendoli in batta­glia, uccise gli uomini pugnando, e (353) i figli e le donne quasi tutte trucidò negli alloggiamenti, e le bagaglie diede in preda ai combattenti. Con questa fazione liberò le città dell’ Ellesponto da grande timore e pericolo, e lasciò a’ posteri un bell’ esempio, onde non diano (354) a’ Barbari d’ Europa facil entrata in Asia. — In tale stato erano gli affari della Grecia e dell’Asia. L ’ Italia, dopo la battaglia di Canna, abbracciò pressoché tutta il par­tito de’ Cartaginesi, conforme fu esposto nel libro an-

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J . di R. tebedente. Noi (355) pertanto finiamo la narrazione a538 questi tempi, poiché raccontati abbiamo gli avvenimenti

dell’Asia e de’ Greci compresi nell’ Olimpiade centesima quadragesima. Nel libro seguente rianderemo brevemente le cose in questo preparate, e volgeremo il discorso alla Repubblica Romana, secondochè dapprincipio promet­temmo.

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r u m DEL QUINTO LIBRO.

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SOMMARIO

D E L Q U I N T O L I B R O .

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pesato assume. la pretura presso gli A chei — Filippo s i accosta nuovamente ad A rato — Decreto del congresso degli A chei ( $ 1.) — Filippo risolve d i fa r la guerra per mare — Prontezza de’ soldati M acedoni — A pelle congiura con Leonzio e Megalea — Filippo s i parte da Corinto c o li armata ( $ l i . ) —- G li E lei afforzane Cillene — Filippo va a Cefallenia — Palea città d i Cefallenia — Sito d i Cefallenia^ ( § H I. ) — Filippo presso

Paiunte — Sospende un tratto- d i muro e ta b b a tte — La perfidia d i Leonzio non g li lascia prendere la città ( j IV . ) — Gli A car- nani invitano Filippo ad invadere V Etolia — I M essenii implo­rano t ajuto d i lu i contra Licurgo — Filippo segue il consigliò & A rato — Approda a Limneo ( $ V. ) — G li Acam arù a lu i s i uniscono — Egli va a Termo n e ll Etolia ( § VI. ) — Leonzio in­vano s’affatica d i porre ostacoli a l divisam ente del re — Filippo tragitta t Acheloo — M etapa città 'su l lago Tricorno ( J VIL ) — Filippo giugnea Termo — Ragguardevole opulenza d i Termo — / M acedoni mettono tu tto a sacco e a fu o co ( § V ili . ) — A tter­rano il tempio — Epigramma del poeta Samo —t- Filippo s’ ab­bandona troppo alla vendetta, — Antigono fu giàpiii moderato verso g li Spartani ■ ( $ IX. ) — E Filippo fig lio d ’ A m inta verso gli A teniesi — E Alessandro verso i Tebani e Persiani —- Filippo peggiora col crescere degli anni ( § X. ) — D iritto d i guerra — Giusta moderazione del vincitore — D ifferenza d i tiranno e re ( $ XI. ) — La più nobil, vittoria s i , i vincer il nemica

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in giustizia — Demetrio Fkrio cattivò consigliere d i F ilip ­po ( § XII. ) — Filippo retrocede da Termo — G li E toli nojano il retroguardo , e sona respinti — Panfio — M etapa — A era — Conope — Strato ( § X III. ) — Filippo ritorna dall’ Etolia in Limnea alle navi — Banchetta i suoi generali — D olenti inter- vengon a l convito M egalea e Leoniio ( § XIV. ) — Leonzio coi suoi assalta Arato — Megalea e Orinone sono condotti in car­cere ( J XV. ) — l i r e difende Arato — Filippo ritorna a Leu- cade — I nemici dt A rato sono condannati in giudicio (§ XVI.) — Sforzi d i L\curgo contro i M essem i ed i Tegeati — E degli E lei contra i Dimei — Spedizione infruttuosa d i Dorimaco nella Macedonia — Filippo ritorna a Corinto ( 5 XVII. ) — S? af­

fr e tta <T andar a Sparta — Eseguisce tutto con maravigliosa prestezza \ § X V III, ) — Am icla presso Lacedemone Fi­lippo guasta la Laconia sino a Tenaro ( § XIX. ) — I . M es­sem i convengano troppo tardi a Tegea — Pongon il campa a Glimpe — N e sona scacciati da Licurgo-^-'Lieurgo aspetta Filippo a Sparta (§ XX.) • M enelaio presso Lacedemone — La situazione de’ luoghi debbesi nella storia accuratamente in­dicare ( J XXI. ) — Situazione d i Sparta — Licurgo « i La­

cedemoni aspettano Filippo — Filippo s’accinge a discacciar Licurgo dà M enelaio e lo eseguisce ($X X II.) ■— G ii Spartani

fa n n o una sortita , ma Filippo li respinge in città (§ X XIII.) — Accampamento di Filippo presso Sparta Filippo ritorna, dalla Laconia in Corùftò (§ X XIV.) — Leonzio solleva i soldati ( § XXV. ) — E chiama A pelle da ■ Calcide — Apelle, entra con gran pompa in Corinto — N on è ammesso a l cospetto -del re — I cortigiani sono sim ili alle pietruzze de’ calcolatori (J XXVI.) — M egalea sen fugge — Filippo va senza fra tto nella Focide — A Sicione alloggia in casa et A - rato — Leonzio è messo in ceppi — Ed ucciso per'ordine d i Filippo ( § XXVII. ) —r Tregua d i Filippo cogli E toli — M e­galea m ette su gli E toli — Si dà la morte — Apelle muore

in carcere ( § XXVIII. ) — N on riescono g li accordi cogli Etoli t - Tolemeo è punito con pena capitale — Avvenim enti

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contem poranei— Licurgo ricovera presso g li Etoli (§ XXIX.) — Filippo sverna in M acedonia — V Etolo P in ta guasta F A - chea .— Eperato pretore infingardo degli A ch e i— A rato mag­

giore, pretore degli A chei \ § XXX. ) — Guerra cT Antioco e d i Tolemeo per la Celesiria — M aniera d i narrare le cose delT A sia — La storia d i Polibio è universale ( $ X X X I.) — I l principio è la metà del tutto — I l principio è più della m età del tutto ( § XXXII. ) — A vanti Polibio Eforo solo scrisse una storia universale — A nnali descritti sulle pa­

reti ( § XXXIII. ) — Tolemeo Filopatore re d Egitto — I re (C Egitto aveano grande cura degli affari esterni — Tole­meo Filopatore neglige ogni cosa (§ XXXIV.) — Cleomene in Alessandria — Tolemeo trascura Cleomene.— Sosibio primo m inistro di' Tolemeo — Ha sospetto di Cleomene ( § XXXV. - X X X V I.) — Nicagora da M essene ospite (T Archidamo re d i S p a rta — Cleomene ucciso avea Archidamo a tradimento —■ Nicagora viene in Alessandria (J XXXVII.) — Sosibio tende insidie a Cleomene per mezzo di Nicagora — Cleomene messo in custodia (§ XXX VIII.) — N e scampa — S"uccide (§ XXXIX.) — Teodoto governatore della Siria ribellasi da Tolemeo e passa a d Antioco — Antioco Magno fig lio di Seleuco CalUnico — Succede a l fra te llo Seleuco nel regno di Siria — Governatori tE A ntioco, Acheo, M olone ed Alessandro (J X L .) .— M olone governatore della M edia s i ribella da Antioco — Ermea primo m inistro <f A n tioco , invidioso e crudele — Epigene condot­tiero — Persuade ad Antioco che vada in persona contro M olone { $ XLI. ) — Ermea calunnia Epigene — Senone e Teodoto Emiolio sono, mandati contro M olone — Ermea sti­m ola Antioco alla guerra contro Tolemeo (J X LII.) — N ozze t£ A ntioco con Laodice — M itridate re del Ponto — M olone spaventa i generali t f Antioco — S1 impossessa delV Apollo- n ia tide (§ X LIII. ) — Descrizione della M edia — Confini d ella M edia (§ XLIV.) — Formidabile potenza d i M olone — Accam pam ento presso Ctes{fonte — Seneta è spedito contra M olone — Antioco invade la Celesiria — Valle M arsia —

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Canna -olezzante ( J XLV. ) — Le castella d i Gerra e Broco difese da Teodoto — Antioco retrocede — Spedizione d i Se­ne la contra M olone — Seneta passa il T ip i ( § XLVI. ) — M olone tenta invano d’ impedirgli il passo — M olone fogge dal campo — Seneta occupa il campo di M olone (J X LV II.) — M olone di repente ritornato opprime Seneta e f a orrenda strage del suo esercito — M olone prende Seleucia su l T igri —• Susa — M olone occupa la Parapotamia e la M esopota- mia ( $ XLVIII. ) — Antioco delibera sulla guerra contro M olone — Ermea svillaneggia Epigene ■— Vince il partito delia spedizione contro M olone ($ XLIX.) — Per inganno d Ermea è rimandato Epigene — Ammutinamento de’ Cirresti — P er nuovo inganno d Ermea Epigene è ucciso { J L. ) — Antioco sverna in Antiochia d i M igdonia — V iene a Liba — Ermea opina d i proseguire lungo il T igri — Z eusi consiglia d i passar il Tigri ( § LI. ) — Antioco passato il Tigri perviene in. A pol­lonia — M olone egualmente ritorna n e ll Apolloniatide — Am endue gli eserciti s ’ incontrano —■ Stratagemma d i M olone andato a vuoto ( § LII. ) — Pugna £ A ntioco con Mo­

lone ( $ LU I. ) •— V ittoria d Antioco — 1 fra te lli d i M olone t uccidono — I l cadavere d i M olone è impiccato — Ermea incrudelisce contra gli abitanti d i Seleucia — Adigani ($ LIV .) —• Spedizione d Antioco contro Artabazane — A d Antioco nasce un fig lio — Regno' d Artabazane — Antioco f a pace con Artabazane ( § LY. ) — Apollofane medico — Esorta Antioco a tor d i mezzo Ermea — I l re vi acconsente — Ermea è ucciso — Antioco ritorna a casa ( § LVI. ) — Acheo m edita

d assaltare la Siria — Assum e il titolo d i re — D esiste dal-, t impresa per Fammutinamento deir esercito ( $ LVH- ) — Se­leucia capitale della Siria — Era ancora nelle mani degli Egizii ( j LV III. ) — Antioco assedia Seleucia per m ar e p er terra Situazione d i Seleucia — Oronte fium e ( § L 1X. ) — Antioco batte Seleucia ( J LX. ) — Seleucia s’arrende ad A n ­tioco — Teodoto invita Antioco a passar in Celesiria — A n ­

tioco vi si reca ( $ LXI. ) — Riceve da Teodoto Tiro e To-

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lemaide — S ’ impadronisce d! altre càia ( J LX1I. ) — / mi­n istri d i Tolemeo s’intrattengono con ambasciate — Frattanto preparanof la~guerra ( $ LX II1. ) — La m ilizia è con grande cura ristabilita in Egitto ( $ LXIV. ) — F orte e ■ generali d i Tolem eo ( $ LXV. ) — Dura città è invano battuta da A n-

Hioco — Tregua con Tolemeo — Spera Antioco di poter con­servare la Celesiria ( § LXYI. ) — Infruttuose ambascerie fr a Antioco e Tolemeo ( J LXVII. ) — La guerra s’ incomincia per terra e p er mare — N icolao comandante delle fo rze d i Tolemeo — Perigene capitano d e ll armata — Nicolao occupa le strette presso Platano e i dintorni d i Pofireone — Antioco accetta g li A radii p er alleati — Entra nella Fenicia — N i­carco e Teodoto generali Antioco — Diogneto capitano délF armata (§ LXV1I I . ) — Antioco sloggia Nicolao dalla sua stazione ($ LXIX.) — Filoteria e Scitopoli sono~ consegnate a d Antioco — Presa «f Atabirio — Cerèa ed Ippoloco da Tolemeo passan ad A ntioco ( § LXX. ) — G li A rabi a lu i f uniscono — Antioco prende Abila nella GaladXtide — Rab- batamana — Antioco F espugna —- E va a svernare in Tole­

maide ( § LXXI. ) — Pednelisso città della Pisidia assediata da Selgei — Acheo manda a ju ti a’ Pednelissei — I Selgei occupano tu tti gli acceisi — Garsieri generale d? Acheo gF in­ganna e passa oltre ($ LXX11.) — G li Etennei e g li Aspendii s’uniscono a Garsieri — Garsieri fa poco profitto contro Pedne­lisso — È egli stesso assediato da’ Selgei — I Selgei vanno in. volta — Pednelisso è liberata dalF assedio ( § LXX1II. ) — Garsieri assedia i Selgei —■ Logbasi ambasciadore de' Selgei — Tradisce la patria ad Acheo ( § LXXIV. ) — G li uomini d i ■ leggeri sono ingannati — A questo d ife ttO \ rimedia la s to r ia — Acheo stesso viene a Selgea — Logbasi medita una fro d e contro la patria ( § LXXY. ) — La fro d e i scoperta — Logbasi è uc­

ciso — I Selgei fa n n o pace con Acheo — Sono affini de’ La- cedemonii ( § LXXYI. ) — A italo piglia F Eolide ad Acheo — E la M isia ( $ LXXV1I. ) — Un’ ecclissi lunare spaventa i G alli nelF esercito d ' A ttafo — I Galli Tettosagi invitati da A italo

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erano passati in A sia - A tialo ritom a a Pergamo (.§ LXXYIII. ) - Tolemeo ed Antioco si preparano a dar battaglia. — Forze (T Antioco ( § LX X IX .) — Tolemeo / alloggia c o lf esercito presso Raffia ~ Antioco d i rimpetto a lai s’accampa ( $ LXXX. ) - Audacia Etolica d i Teodoto — Credendo eT uccidere Tolemeo ammazza il suo medico ( $ LXXXI. ) — Schieramento d i Tole-• meo — Schieramento e t Antioco ( J LXXXII.) —: I re.aringano i loro soldati ( § LXXX111. ) — Battàglia di Raffia — Pugna degli elefanti — G li elefanti d! A frica temono quelli d!India — L ’ ala sinistra d i Tolemeo è vinta ( § LXXX1V. ) — V a la destra vince — Combattimento delle fa la n g i — L a fa lange (£ Antioco è messa in fuga. (§ LXXXY.) — V ittoria d i Tolemeo — N u­mero d é mancati — Le città della Celesiria garreggiano nel- f arrendersi a Tolemeo ( J LXXXV1. ) — Antioco chiede la pace — Tolemeo troppo amante della qu iete, ferm a la pace con Antioco (§ LXXX V II.) — Fortunata sciagura de’ Rodii — D oni d i Gerone e d i Gelone a’ Rodii (§ LXXX V ili.) — D oni d i Tolemeo — L f Antigono — D i Seleuco ( $ LXXXIX. ). — I f a ltri principi e città — Ammonizione a’ Greci che stanno dietro a’ regali de’ sovrani e delle nazioni ( jj XC. ) — Licurgo è richiamato a Sparla dall’esilio ■—. Arato pretore degli A chei ristabilisce la milizia ( $ XCI. ) — Licurgo invade la M esse - nia — L ’ Etolo Pirria non .può a lu i unirsi — Licurgo se ne va senz’ aver fa tto nulla ( § ,XCII. ) — Dissensione de’ M ega- lopolitani circa il ristonamento della città — Pritanide Peripa­tetico — Arato m ette cP accordo i M egalopolitani (<j X CIII.) — Iàco vicepretore del distretto d i Fara combatte felicem ente c o lf Etolo Euripida — G li A chei sono eziandio per mare f e ­lici ( J XC1V. ) — Sperdilaida inimicato con Filippo — Tau­rione negligente cantra gli E toli — G li A cìiei vittoriosi nel- 1’ Elide e sulle coste delV. Etolia ( § XCV. ) Vicendevoli scor-

■ rerie degli E toli e degli A cam ani — Simulata tradigipne della città d i Fanota — V Etolo Ageta è ingannato colle sue pro­

prie arti ( § XCVI. ) — Filippo prende . Bilazora nella Peo­nia — La Boltiea — L ’ A nfassitide —., Edessa — Filippo

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applica scale troppo brevi alle mura di M elitea ($ XCVII. ) — N elle imprese hassi a d operar con cautela — A ltrim enti ne conseguita danno —r M etodo d i misurarAe scale ($ XCVI11.) — G li E toli tengono Tebe nella F tiotidé — Filippo la b a t­te (5 XCIX. ) — La espugna — E cambia il suo nome in quello d i F ilippopoli ( § C. ) — V a contro Scerdilaida — Riceve in Argo la nuova della ' sconfitta de’ Romani — De­metrio Fario persuade a Filippo d i passar in Italia (J CI.) — Filippo desidera d i fa r pace cogli E toli — S i vale a ciò della m ediazione d i Cleonico — Pirgo ne’ campi del Peneo — Pa- normo porto del Peloponneso — Filippo riordina le cose k t Z a c in to (§ C U .) — G li E toli trattano la pace con Filippo e. cogli A chei ( § CUI. ) — Diceria d Agelao da Nctupatto a Fi­

lippo e "agli A chei intorno ■ la pace ( § ClV. ) — È fa tta la p a c e 'fra gli E toli , g li A chei e Filippo — Avvenim enti con­temporanei — D a quest’ epoca incominciano le cose d Oriente a connettersi con quelle d Occidente — .Legame delle narra­zion i ('$ CV. ) — Timossenp pretore degli A chei — ■ Quiete ristabilita nel Peloponneso — ‘G li A teniesi vilm ente adulano i Re (§ C Y I.)— G li Egizii ■suscitano guèrra a Tolemeo — A ntioco s’ accinge alla guerra contr* Acheo — Gli E toli in­tolleranti "della p a ce— Agelao pretore degli E toli ( $ GV1I. ) — Scerdilaida piglia a Filippo molte città— -F ilippo lo attaccà p er terra — E riprende le città prese ( J CV III. ) — Filippo allestisce uri arm ata d i cento barche — Si reca alla costa del- t Iiliria ( § C1X .) — Un terror panico invade ta rm a ta — Filippo ritorna a casa itt tu tta fre tta ( J C X .J— ; / G alli che assediano Ilio sono espulsi dalla Troade — E distrutti' da

Prusia — Passaggio a l ‘libro sèsto ( $ 0 X1. ) ■ ■

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p o l i b ì o , tomo in .

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i3o

ANNOTAZIONI

A L Q U I N T O L I B R O

In questo libro, siccome nell’ antecedente , trattatisi gli avveni­menti della Grecia avanti eh’ essi s’ intrecciassero con quelli dei Romani. Quindi è che non se ne trova menzione alcuna in T. Livio , e che le storie di Polibio sono l’unica sincera fonte ove attingonsi. Noi ci asterremo da qualsivoglia riflessione intorno alle cose qui narrate , riservandoci di farlo più opportunamente nel corso del libro. Solo osserveremo che , siccome i Romani , poich’ ebbero debellata Cartagine, giunsero a tanta possanza, che in vano la Grecia tutta e 1’ Asia , sebbene concordi, loro avreb­bono resistito : cosi i Greci , se più provvidi ed uniti che noi furono , mentre Annibaie erti padrone dell’ Italia , eollegati si fossero co’ Cartaginesi , e vi avessero considerabili forze spedite , 1’ eccidio di Roma e del suo impero sarebbe stato inevitabile. Tanto dipendono i grandi successi dal saper cogliere i favorevoli momenti , e tanto giova la concordia , non solo alla propria «divezza, ma eziandio all' accrescimento dello Stalo.

(i) Computava allor il tempo ec. L ’ anno civile degli Achei incominciava col sorger delle P leiadi, o d ir Togliamo del T o ro , a cui il testé mentovato gruppo di stelle occupa il dorso: la qual epoca corrisponde alla seconda metà circa del nostro maggio. L o stesso riferisce il nostro nel lib. ìv, 37 , ove rammenta l’elezione d’Arato nell’ anno antecedente.

(1) Eperato. V. ìv , 8a. - Dorimaco V. iv , 67.(3) Tergiversavano. Questo verbo m’ è sembrato il più accon-

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ciò per render il scaso dell’ i 9*A«a«*<ò, eh« > io ^appresso altre

fiate occorre, e che fecondo la Mia etimologia lignifica fa r male con. determinato, volontà. Qui pertanto , trattandosi d’ un infe­riore verso il suo faperiore, denota esso più presto cansare d i fa r il b en e , disubbidire, mendicar pretesti per non eseguire i comandamenti a ltru iy locchè coincide col tergiversare nostro, e col tergivdrsari de’ L atin i, V. la Crusca ed il Forcellini a

queste voci.'(4) P er la prima levata. ’-Ata ^v y i che qui usa Polibio è pro­

priamente la partita del' campo da un luogo per essere trasferito in uà altro , e non già , conforme traduce lo Sohweig. expedi- tio , ( spedizione ) che ha un senso molto più largo , e vate ‘ il complesso d i tutte le operazioni che (ormano una impresa mili­tare. Quindi non voliò male questo passo il Casaub. scrivendo : quo die prim um castra R ex m overet, e debolissima è l’ obbie­zione dello Schweigh., thè Filippo già da tre mesi erasi levato ' coll’ esercito dalla Macedonia, ed avea già abbastanza ajutato gli Achei. Non dalla Macedonia sibbeue da Argo muover dovea Filippo, dove, secondoohè vedemmo nella fine del secondo libro egli avea svernato.

(5) Godon la guerra. Questo Verso non trovasi ira le Opere d’ Esiodo a noi pervenute.

(6) La maliziosa trama. 11 lesto di questo luogo, suona così : O v)*t (tir * h , 7«<«37ft r v tS i f t t t t t *<*< K»x*rf*wtvr*fii-

t t t w f i t lè ls ) cioè letteralmente: Q uesti adunque

siffa tte cose avendo pattu ite, e con m aliziosi modi adoperando. Laonde x*KtTf**tv in » f i f 7<im non è fraudulenteragerecum .

aliquo (trattar alcuno con frode), siccome asserisce lo Schweigh- nel vocabolario; che in tal caso avrebbe Apelle ingannati Leon­zio e Megalea ( che sono gli anzidetti ) e non Filippo. Ma s e , conforme non può dubitarsi, , uomo di m ali co­

stum i è la radice del summentovato verbo , io non credo esser andato lungi dal v e ro , esprimendolo per il s h o effetto , cioè a dire per il maligno; ed astuto ritrovamento, che qua’degni tutori del giovane re indirizzarono «Ila sua mina, i

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(7) Cerne d i Creta. N tm f lp t f leggesi in Polibio, che non

«ignifica già nuovi C retesi, dappoiché non sussisterà la distin­zione' di Creta vecchia e nuova ; sebbene, conforme giudiziosa­mente suppone lo Schweigb., reclute, soldati recentemente rac­

colti in Creta.(8) Cillene. Porto degli E le i, che oggidì appellasi Chiarenta.

V. Cluv. intrv in unir. Geog. p* 333, nota i del Bunone.

(9) Cefallenia. Cefaloma de’moderni. In antichissimi tempi fu chiamata M elena ( Plin. iv , tg , 11) , e Samo- vigendo la

'guerra Trojana ( Strab. x , p. 4^7 ) > onde* quando dicesi che Dlisse era signore di Samo, non l’isola di questo nome nel mar Egeo , ma^ Cefallenia si accenna, -* E dessa secondo Tucidide (11 , p. 119) 'situata dirimpetto all’ Acaraania ed all’ isola di Leucade ; locchè debbe intendersi per modo che Leucade le giace

-a - Settentrione , e 1’ Acaraania ad Oriente. La -sua parte meridio­nale è voltata. all’ Achea ed all’ E lidei ed in questa trovavasi Paiun te, ove Filippo erasi recato da Patra.

(10) Palante. Lo Scoliaste di Tucidide ( 1, p. 20 ) chiama ■questa città Pale; ma Polibio nel cap. 5 del presente libro l’ap­pella in accusativo n»*.»utlx , Paiunta. Qui egli la denomina

IS t r i k i r ; città de' Palei, o Palesi, locchè alquanto

strano ci sem bra, più naturale essendo la derivazione di cotal -gentilizio da Palea , o da Pale.

( n ) Pronno. È plurale nel testo , l* tit T l f i t t t v : , it n f i t t n ,

donde feci il singolare Pronno. Pronea ( rifui*»» ) denomina

questa città Io Scoliaste di Tucidide , e Strabone ( x , p. 455 ) Proneso. Secondo T. Livio ( xxrvm , 28 ) Nesiotae addiman- davansi i suoi abitanti.

(13) Giace Cefallenia. 'Molto più esatta è questa descrizione del sito dell’, isola mentovata che non quella di Tucidide, ed appuntino dimostra la sua opportunità pelle discese che dw essa facevansi sul continente vicino.

( i3) Che p iù 'n o n ne potè spedire. Nel-trattato ch e ’ Filippo fermato aveacf^n Scerdilaida , questi' avea promesso di fare la guerra agli Etoli per mare con trenta ■ barche ( 1 v , 29), ma ora

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non ne potè mandare; che la metà pelle ragioni addotte nel testo.(14) tJuvaj- j signori ec-.; Quantunque Scerdilaidai fosse re del-

l’ IUiria , egli sembra non pertantoche il sust regno avesse una coitituzione feqdale , e che la sua potestà;non tfossef assoluta. I l vocaholo rfótasto che qui adopera Polibio, sebbene significa ta!? volta ; soprano di minor conto , ed eziandio re , non msoo qhe l’ italianb potentato , in questo luogo noto può aver altro! senso che di: feudatario , o vogliam dire di rignore che mediante' 1 retribraùone di qualche somma, e l’ohbligo di servile in , guerr% esercita supremo dominio nel sua {Mese.1 A questa classe appar­teneva Demetrio E arkr che. tanto figura nella1 storia, di que’tempi,

(15) F ialea. Y ,,iv f 3 © 3 l. . r(16) Catapulte. 11 testo, a dir vero y reca ^lAu. ch’ è quanto

dire fre c c e , arm i da getto da ( fitto ) ; ma giusta Esi-

chio sono amendue le voci talvolta sinonim i, prendendosi il continente p d ‘ contenuto , e vicevèrsa. Qui pertanto sembra che non senza ragione preferisse il nostro per distinguere l’uf­

ficio delle catapulte, ch’ era di lanciar ‘d a rd i, <3a quello de’ j t j - I f i f i t k u ( petrobofi ) destinati a buttar piètre.

(17) I venti boreali. Polibio li chiama Etesii , i quali, do­vendosi allora fare la navigazione • versò ' Mezzodì, non potean essere che settentrionali, siccome quelli con cui di sopra (iv , 44) vedemmo che dal Ponto si passa nfell’ Ellesponto.

(18) Consumar la state. I venti: Etesii , secondo Plinio ( it , 47 ) , insorgono due giorni dopo 1’ ingresso del sole nel ' segno del Lione, e durano quaranta giorni : cioè a dire sino ’al prin­cipio di settembre , quando la siate può considerarsi finita.

(19) N el canate D ioritto. Narra Strabene ( x , p. 45j ) che Leucade fu un giorno penisola dell’ Acarnanià , '.e perciò da Omero chiamata spiaggia dell’ Epiro ; ma che i Corintii, im­possessatisi di questa spiaggia , scavando l’ istmo della penisóla ( tT<»f vfa>7tr T tt U Sfi t i y formarono l’isola di Leucade. 11 ca­

nale prodotto dal mentovato taglio ebbe dal fatto il nome di A ié fvx l t t . Lo Schweigh. crédette di accennare nella versione

la sua origine scrivendo, in fre to nanu e ffo sso , quem D iory-

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cium voanH y ma io ho stimato meglio! d i non iare alpuna «gr giunta al nome pròprio di quell’ acqua, ancorché potrcbbesi ap­pellare Canale Scavato , o detto ■ Scavo. Dionigi d’ Alicarnasso ( 1, p. 4o ) ne fa egualmente menzione. -> Reda pertanto mera­viglia come Tucidide ( ìv , p. a54 ) parli d? un istmo Leucadio, per cni i Peloponnesi trasportarono le n a v ir i non dirim enti che facessi peli’ istmo di Corinto ; quando la spedizione de’ Corinti!, nella quale giusta Strabone ( 1. c. ) venne quello stretto forata , fu molto anteriore alla guerra del Pdoponnetoi Nfe mi persuade punto ciò che scrive il Casaub. al luogo citato ói: Strabone, eh» l’ istmo non era abbastanza diviso, parchi vi potessero sempre passare le n av i, ma che talvolta era necessario di. girar l ’ isola , siccome prati cavasi p rim a, o di trarre le aav i'per terrai; c iò , dico , non mi persuade , dappoiché , se tale difficoltà vi fosse sUta , Filippo non avrebbe colà allestita 1# sya arm ata., Quindiio su p p o n g o , che dapprincipio quel tragitto fosse molto angusto, ma che in appresso l’ ayessero allargato.

(ao) Limnea. Questo luogo non trovasi presso i geograff <*ntii c h i, e debb’ -essere stato un porto ; dell’ Etolia nel golfo d’ Am- bracia , a poca distanza dall’ Acheloo. L’ affinità del st o nome colla voce *</»« ( limne,) che significa lago, e palude, sembra

indicare che. qualche cosa di situile fosse nelle sue vicinanze , siccome il L im oso , tempio di Diana fra la Laconia e. la Mes-

seqia, da siffatta circostanza traeva la sua denominazione- Stra­bene v iu , p. 36i )>

(ai) Termo. In tre modi esprime Potibip jquesto., nom e: nel singolare mascolino e neutro , , > e nel pluraleneutro, 7<e oìppeìt. lo ho escluso Ì1 p lurale, siccome inusitato

nella nostra favella per nomi di luoghi. — Se v’ avesse colà sor» genti calde, come selle Terme di Sicilia, e presso alle Termos pile non trovo da nessuno indicato.

(aa) Fiteo. Secondo lo Schweigh. è. questa c ittà , che Polibio scrive , diversa da , rammentata nel lib. ìv ,

63 ; giacchi la prima era ad Occidente dell’ Acheloo , ed in ad­dietro avea appartenuto all’ Acarnania, quando la seconda era

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a d cuor dell’ Etoiia. *- Per ciò che spetta alfe altre città «pii nominate, d’ Arginio solo paria Disdoro: le altre nota sono co-

(*3) D i qu o ti trenta stadii. Se la «alita era coai erta come la descrive Polibio, c lan g a trenta stadii, cioè pressoché quattro m iglia, oonvien arguirech» Termo situata fosso sulla Tetta dì una ben alta montagna; locchè topa ia pah Credersi d’una città tanto ragguardevole. P er la qual cosa io dubito d ie incorso sia qualche orrore neU’ enuhterazione del nostro , per inawertenzrf de’ copisti. Un simile sbaglio osservammo nel lib. tv , 78 aver commesso Pausanìa in additando 1* altéisza del coHe su cui «fa fabbricata AUfera ««Ha T rig lia, recando a trenta stadii i dieci che a quella assegna Polibio.

■ (»4) Davano tp lm didtitèm i spettaooli. •GJi E tofi, a detta d* Agatarehider presso Ateneo ( x t i , p. 5a j ) f‘ superavan Ogni altro popolo nel tosso -e n d viver delitioftamente, ed appunto pa*ciÒ nessuno ' correva «ea maggior pronum a alla morte.’ O ra vedete triste esempio degli effetti cbe prodettftno là ^ssipasìène e& it trar dietro senza ritegno a’piaceri de’ sensi ! Una nazione intera, la quale, venutile h i eoo i messi di soddisfare a’ suòi capricciosi bisogni, si dà ad una vita rapace, e più della morte teme un avvenire privo ckrtl# voluttà per cui una sciagurata abitudine ha contratta. Se non che egli è da credersi che le frequenti, anzi perpetue guerre che gli E to lia v e a n a - sostenere contra i popoli bellicosi da cui erano circondati, non lasciassero loro tempo' di dedicarsi agli studi'che nobilitano la mente ed : ingentiliscono i costumi ; onde i poehi momenti io cui cessavano dalle armi da-» Van alle ‘gozzoviglie, agli spettacoli ed a tutti i rumorosi diletti ;

che consideravano qual compenso atie fatiche ed a' pericoli della loro vita. V .. la nostra prefazioncella alle nòte del lib. rv. • .

(a5) I l vivace ingegno. Non panni che lo Schweigh. abbi* renchito adeguatamente I* isr</i{<*7*r del testo per elegdns ingé1

nium. 11 vocabolo greto significa propriamente destrezza, cioè celerità ed aggiustatezza nell’ operare, ed applicato all’ ingegno vale vivacità , rapidità nel concepire ed criUnciare. E ben fe il

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verno'di > •Stato citato da. Polibio un vivo' «lancio di fervida £m-

tasia, anziché ima studiata eleganza.(a6) Santo figlio di Crisogono. Meleagro Siro che intonso, a lr

l’Olimp. 170 fiori sotto Selene». V I , ed intatcci& nna corona d i 46 antichi epigrósimatisti,-. a- ciaschedMto de’ quali assediò il, nome d’ un fiore o< d’ nn albero , mnnaénta: questo: poeta nella prefazione «IT opera suddeUa, ma,il chiama Samio, qualificandolo ritmo d i lauró-dalle nere, fog lie} doole. lice arguire ch’.egli can­tasse eroi e vittorie ■( V. Fabric. Bihliot. Gvaec. p. se g .). Nb- paria Plutarco aacora, che l’appella - egualmente iStenuo.nol tnattàto della diBeiWea . fra: l'adulatore e I’ arnica ( Opp. T. 11, p. 5 3 :), dicendo cb’ egli fu vittima della sua franchezza verso Filippo.

7) Di. Dio -la freccia . Nel doppio tatuo d i Dia sta la bril­lante arguaia d» questo verso, la quale : si k- potuta conservare nell* versione italiana. -S a a b r« e * * o u n a parodìa de} verso 860 de’ Supplici d’ fiwipide , o jw A d ra tto , ragionando a Teseo di Capaneo fulminato da G iev«, dipe;

O ' f i t 7ì» i / t f t t , l iÀ nim ié 1

Vadi lo splendido , u’ vplò la freccia?

(a8) Antigono. V , 13». 11, cc. i6g , 70.(ag) Coll’m, do lcetta . Diodoro. ( *vi, p -55g ) sembra aver avuto

innanzi agli occhi Polibio., quando scrisse, che : questo re ac­crebbe il suo potere, non,tanto col valor delle arm i, che col- 1’ affabilità de’ discorsi e .coll’ amorevolezza del trattale* £ Filippo stesso , prosegue il mentovato- storico, gloriavasi più della sua. prudenza ■ n«Ue cose m ilitari, e delle riconciliazioni procurate per via d’ amichevoli colloqui!, che,npn dell’ ajuto che gli prestava il valore ; dappoiché, diceva eg li, le vittorie che ottengonsi pei combattimenti sono comuni a . tutti coloro che hanno parte nella spedizione, ma quelle che conseguiva per mezzo d’affabili ragio­namenti a sè solo attribuiva.

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-(&) Q uindi reitàu«hétò - ee. Dapprincipio ; tr tm r'K o d o ro ( t t r , p .5 5 3 ) , tro tti Filippo dopo la vittO riadi' Cheronea con-, insolenza i misei-i prigioni $ m a, avendolo Demade, orator Ate­niese che fra questi trovavasi, punto' con un motto pieno d’attica grazia, edflgiò di'repente là sua condotta, e fece pace cogli A teniesi, restitnéndb loro i Soldati cattivi senza riscatto. Okurtino ( nr, r4 ) rtffetisce'le Messe cose’che ;leggon* i ' nel nostro, ed ag- giugne che Filippo tnanflò' in Atene Suo figlio Alessandro insieme con Àtrtipatfb. - V idi 'anche ilnobtro ix *a8.

• ty t) Si violassero! i templi ec. tDiodbro ( xvif, p. 568-69 ) in espotieftd© nlitìtrtumente le1 Ctrcoitanìe dell’eccidio di Tebe , no» ramtfeni* quest’ atto pietoso d’.Alessandro' vèrso gli Dei. Pausarla pertanto nel nono libro riferisce che avendo-i Macedoni inco- m ìnciato• a- spogliare il tempio de’ Gabiri ch! era fuori della città,

insurse repentinamente una grave procella , e caddero molti fui— mini che consumarono i sacrìleghi ; onde Alessandro proibi tosto al* suoi soldati di «offender i luoghi sacri,

(3o) Sta da tà tto ciò ec.' ArrUaao ( de eixped. Alex, v i , pag.; i 4a segg. ) lasciò scrìtto che Alessandro, impossessatosi dell» Per­sia , punlcolla m orte tu ttico lo ro che fitrono convinti d’ avere spogliato qualche tem pio, o violati' i sepolcri.

(33)' Per soperchiam o. 11 testo ha (« T t fM u , cioè superflua­

m ente , sem a bisogrio, per trastullo e prepotenza , conforme soglion operare i vincitori inumani. La' voce' italiana con cui mi sonò ingegnato di rendere questo concetto, corrisponde cosi ^1- l’ idea d’ abbondanza e superfluità , come a quella di offesa per tracotante audacia. - Quante 'profónde dottrine di morale e di politica nOn sono contenute in- questo capitolo e nel susseguente !

(34) Panfio. È Q villaggio, situato aU’ ingresso delle strette che conducevan a T e rn o , che . Polibio di sopra ( c. 8 ) denominò Partfia.

(35) Che desterò un pegno.. E’sembra che prèsso i Greci ( almeno presso i Macedoni ) vigesse la legge che. oggidì è stabi­lita in Inghilterra, di porre in libertà un reo , ove qualche suo

amico deponesse un» somma, a guarentigia della sua persona ,

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sino all' emanarione della sentenza. Infetti • apparisce dal susse­guente capitolo | 6 , e più,chiaro ancora dal cffp. 96 che Megalea non era incarcerato . dappoiché fuggi, avendo Leousio per lui già esb o rsa ti i ch ies ti T en ti, talenti.

(36) La strage da loro fa tto in Argo- Antigone» poiché Cleomene ebbe presa Megalopoli, Ucepziò » Macedoni, ed apdé

alle stanze in Argo ( » , 64 )} m» uscitene alla primavera een tutte le sue forze atsaltò Cleomene e lo «confisse ( 65~6g ) , e poscia ritornò in Argo, dove fu ceJm#to d’ w o ri ( 7 0 ). P i; li si ridusse iti Macetjopia , e vi ruppe gl’ lUirii che l’ aw ano invasa, ed allora pare eh’ egli lasciasse un presidio in Argo. ,sotto il t»r mando di Leonzio « Megalea, i quali avranno colà, fatto strage della fazione favorevole a’ Lacedemonii; quantunque nè il nostro t nè alcun altro storico:, fra quelli che seno a n o i, pervenutirden

scrivà cotesto avvenimento*{37) Tegea. Questa città che, presa da Cleoniene agli Etoli ,

fu per opera d’Antigono rimessa nel suo prima state ( 11, 46, 70 ), giaceva nel confine.della Laconia e dell’Argolide, ed era quindi soggetta alle sorprese;degli Spartani.

(38) Crisogono. Forse padre del Poeta Saino o Samio, di cui parlò Polibio di sopra nel cap. 9.

(3g) Patreo. Questi è dal nostro nel libro it > c. a4 chiamato amico del re< Osserva lo Schweigh. che. Ovidio rammenta un Centauro che coti appellava»!, ed argomenta quindi che in Tes­saglia , patria de’ favolosi uominit-cavalli, famigliare fosse cotesta nome.

(4.0) Era in difetto. Questa frase Tolgare mi è sembrata render esattamente V àA testo , essendo secondo Esichio

lo stesso che taA«/ir t n , dtficere , venir meno.

( i i ) I l M enelajo. Monte il chiama Livio ( x x x i t , a& ) , e non è improbabile che Polibio ancora ciò volesse indicare, preponen­dovi l’articolo 7* , o forse Tòt mascolino ( come • s!pvi » i> 55;

T ti Tmif**, i t , 4 8 ) : checché dica lo Schweigh. d’ una città

che giusta il nostro sulla sua T etta , od alla sua radice esistesse.

La Terapne, o Teramne secondo Plinio ( 11, 8 ) , ove a detta

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di Pansania ( 111,19) era tra tempio dì Menelao , « la tómba di Menelao ed <Elena, non ha nulla che fare col monte Menelaio, da cui la divide 1’ Eurota , ed il mentovato commentatore v i , per quanto io credo, di gran lunga errato Supponendo siffatto luogo lo stesso che la cittì di Menelajo da lui immaginata.

(4.2) Am icla. Riferisce Strabono ( v i t i , p. 364 ) , che i primi E radidi i quali nella Laconia si * stabilirono, avendo diviso il paese m sei p arti, riservarono a s i Sparta , e diedero il distretto cP Amicla, come il più eccellente, a quelli che loro tradirono la Laconia, persuadendo agli antichi abitanti d’ emigrarne. T . Livio ( i i i i v , 28 ) , parlando de’ dintorni di questa cittì , dine : cir- cumjecla urbi frequentis e t amoeni agri loca.

(43) Accampamento di Pirro. Piirico chiama Pausania ( iti, a i ) questo sito. Pirro figlio d’Achille era stato in Sparta, dov’egli, reduce da Troja, prese in moglie Ermione figlia di Menelao ed Elena. V. Omer. Odiss. ìv , v. 5 ; Ovid. E pist Hertnion. ad Orest. ; 'i

(44) Cam io. » Città della Laconia, che non trovo rammen-* tata da alcun autore. Plinio ( rv , 6 , 10 ) pone Cam io nelT Ar-t cadia , aia la scrittura è dubbia. Nella Messenia , non lungi da F are, Pausania ( tv > 3 i ) addita Ki f t i t t , i t x n t

( Camio , sacro boico d’ Apollo ). Ma nella stessa parte della Laconia di cui trattasi qui, Pansania (111, a4 ) parla d’un Apollo Camio K ufttT tt x - iX t l f i t t t t A x «AA*». V ebbe pertanto nella

Laconia parecchi templi e statue d’ Apollo Carneo o C am io , conforme riferisce lo stesso Pausania ( i n , i 3 , a i , 26 ) » Schweighauser.

(45) A sine. Città marittima della Laeonia ricordata da Stra­

bene ( v i l i , p. 363 ) , e giusta Tucidide ( ìv , p. >59 ) oppor­tunamente situata 'pelle discese dal mare.

(46) Tenaro. È ' situata presso al promontorio dello stesso no­me , eh’ è l’ estremità del monte Taigeto. Celebri erano i marmi neri che scavavansi nelle sue vicinanze, e dal luogo chinmavansi Tenarii ( Strab. viti , p. 367 ; Plin. x x x v i, 18 ).

(47) Oizio. -Strabene ( 1-1 c. ) pretende che questo porto cosi

i 3 9

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eccellente fosse creato dall’ arte. La sua distanza - da Sparta k in Polibio Sènza dubbio • fallata , siccome già avvertiroob SI- Bertuello ed il Reiske, e più s’ avvicina sii vero. StrahOrie (1. c .) ,i lq * a le asaegpa a questo intervallo dugento quaranta stadii. Io ho vjoluto nel volgarizzamento accennar almtenò un tanto éurore , cbe< tu » può certamente cadere in autore- còsi esatto-icome .il nostro.

(48) Elia. Fu già Elo cktà tieila Laoonia situata - sul ;mare f conforme'scorgesi da Tucidide- ( i t , p. 287) e da Om ero.(lLi B v. 585 ) , e quindi traeva il nome quella piarte dell’ agra la - conico ,' che Polibio'chiama Elia. A’tempi di Strabone .pertasix] ( v ili, p. 363 ) non era dessa d ie un villaggi». Secondo «[«testa geografo fabbricolla E lio figlio di Perseo. >

' (49) Ove partitameritè si riguardi. Cioè a dire , non osser­vandola nel suo complesso , - ma esaminandola a parte a parte : che in estensione assoluta avralla forse superata qualche altro distretto della Laconia , in a . in . nessuno fu probabilmente tanta copia di naturali bellezze, tanta abbondanza d’ uomini , tanta ricchezza dì coltivazione. I l testo ha, i t <rfkt

che letteralmente suona',, come a parte considerata, e forte «ni maraviglio, che la penetrazione dello-Schweigh. non giunse a vedervi il fondo , siccome egli stesso confessa. Nel cap. 44 di questo libro ricorre la stessa frase.

(50) A cria.' F ra questa città e Gizio, secondo Strabone (Le.), 1’ Eurota sbocca nel mare. 1

(5 1) Letica. Questa annovera Polibio di sopra ( iv , 36 ) fra i luoghi che Licurgo nel principio del suo regno riprese agli Ar-. givi , quantunque la sua distanza dagli altri paesi conquistati in quella spedizione faccia meritamente dubitar al Cellario ( Geogr. antiq. p. 1199 ) che la presente Leuca e quella fossero la stessa città. il

(5i) Soei. Là città di Boea collocata è dà Strabone presso al promontorio di Malea , punta orientale del golfo Laconico , sic­come il promontorio di Tenaro è l'occidentale. I Boiei (Strab. x, p. 451 ) erano una popolazione Etolica alla. sorgente dell’Eveno.

(53) Glimpe. Intorno a questo luogo V* ìv , 36. .

4 o

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i (54) D ella maggior parte de’ cavalli. « Di questi s’impossessò Licurgo, forse pecchi, a cagione del repentino assalto, i Messenii non ebbero ’ abbastanza tempo d’ imbrigliare i cavalli e di con­durli, seco. » Sohweigh.• (55) P artitosi dair Elia. Era dunque Filippo allora retroce­duto da Boea, siccome prima da Tenaro, facendo capo ad Elo c h e , situato in fondo del golfo Laconico , era in egual distanza da amendue le mentovate città. ,.

(56) J cognomi. Molto ha questo luogo affaticati i commenta­tori ; ma tutto l’ imbarazzo , secondochè a me pare , nacque :dall’ aver, riferito nel testo 1’ iwut&fitis alla voce che

immediatamente la precede, e non a tutti gli altri sostantivi an­teriori , che varie situazioni esprimono. Laonde il Casaubono in- •terpctrò nomine a g ri, e 1’ Ernesti facendosi

da un sostantivo più indietro lesse t f t n i i r t t t i f t t i c .

m onti òhe hanno il nome della campagna. Lo Schwegh. , po ­nendo una virgola fra ed vorrebbe formare

del secondo di questi vocaboli un - sostantivo isolato , quasiché oltre alla cognizione de’ p o rti, de’ mari ec. , si rendesse ancor' necessaria , per comprendere la descrizione de’ fatti d’ a rm i, la notizia de’ cognomi o sovrannomi che a ciascheduno d’ essi fosse stato imposto. Ma oltreché non trovasi che in forma

'd ’ aggettivo ( i l sostantivo essendo ta ttili fu * ) , molto oscura sa­

rebbe., la costruzione senza qualche aggiunta, p. e. xa) I t t f

«i»7 Ut (ix««v^caif ? ). Q uindi, per mio avviso, cancellisi la

virgola poèta dallo Schweigh., e riferiscasi l’aggettivo i tr t i t i fcut

a tutti i nomi che Polibio destina a segni che agevolano il com­prendimento delle fazioni militari.' (57) Del?’ ambiente. Cioè a dire delle regioni celesti intorno alle- quali il nostro ragionò distesamente nel lib. 111 , c. 36 , il quale consultisi insieme colle, note che scrivemmo a quel luogo.

(58) Sa cui è il M enelaio. Ogni monte di qualche, elevatezza, siccome pare che fosse, questo , è fiancheggiato da colline di lui più basse, sulle quali sembra quasi posare. Quindi non hassi a

i 4 i

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prendere cotesto Mehelaio per un luogo fabbricalo «alla cima della montagna che avea lo stesso nome; che in tal caso assurda sarebbe 1’ espressione del nostro, essere siffatto luogo sopra tutte quelle eminenze , 7«*r fi*lt$vi t$>' u t 7« MitiXaì'ir i« ri. Non

è adunque il presente passo in contraddizione con quanto abbiam asserito nella nota 4° circa la non sussistenza d’ una città sulla vetta o alle falde del monte qui rammentato.

(5g) N on che i cavalli ec. « E’ sembra che s’ avesse a dire a rovescio , non che i fa n ti neppur i cavalli ; perciocché il cavallo sporge più fuori dell’acqna, e nuota meglio. Può tuttavia difendersi la lezione comune, sendochè un fante armato passeggia più fermo e sicuro nelle onde che non un cavallo. > Reiske.

(60) G li mandò addosso. Trovo inopportuna l’ emendazione che il Reiske e lo Schweigh. pretesero di fare al testo, scrìvendo iu ia i t so li mandarono (i mercenarii), in luogo di «»7»7t i $ n * t , mandò loro ( cioè a quelli di Licurgo ) addosso ec. ;

dappoiché il verbo i f t i t m , nel senso in cui qui prendesi, si

costruisce sempre col dativo, e «»7•«* per soli , precisamente

q u e lli, sarebbe mero pleonasmo , bastando il d ire , che ordinò a’ mercenarii d’attaccare, per far conoscere che l’inclini benza era data a quest’ arma sola.

(61) Scudi brevi. Quantunque i peltasti più all’ armadura leg­gera che alla grave appartenessero , sono essi non pertanto, e qui, e in altri luoghi del nostro autore dalla milizia leggera di­stinti. 11 perchè oonfesso d’ aver errato interpetrandoli altrove ( ìv , 75 , 80 , v , 4 ) armadura leggera. Più , sem bram i, loro & appropria nel nostro idioma una denominazione presa dalla qualità dello scudo, donde il nome greco traevano. Ora , defi­nisce Esichio , »! 7J» xTtrtiftTKiM t jg t i l t f , che hanno

piccioli scudi, e w M n , itrtrit II ut in scudo che non

ha m argine, quindi più ristretto degli altri. Inoltre dioe .Servio al lib. v i i , v. 733 dell’ Eneide : cetra , genas scuti brtvioris ; e che cetrati e peltaslae erano la stessa cosa ce. lo fa sapere Li­vio ( x x x i, 36 ). Tacito ( Vit. Agric. c. 3 6 ) riferisce che i Bri­tanni riparavansi brevibus cetris. - A tutto ciò riflettendo io mi

I 4-3

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to n arrischiato di nomare questa specie di milìzia scudi brevi, non altrimeati che lance, e Corano appellansi altre dalla qualità

dell' armadnra onde sono distinte.(6q) M arciò alla coda, della falange. Questa era l ' armadura

grave che , siccome vedemmo, Filippo mandò pelle strette , sussidiandola coll’ armadura leggera , cogli scudi brevi e colla cavalleria, che continuando il cammino con lui rimasero.

(63) Circoscritto. Disputano i commentatori se mftXmfitftitmt

o abbiasi a leggere nel testo, lo preferisco il

primo di questi participii ; giacché non èra incarico delle guide di cigner il luogo preso di fossa e di steocato, sibbene di circo­scriver i limiti dentro a’ quali dove* formarsi 1’ accampamento.

(64) U poggio sovrastante. Suppone lo Schweigh. che questo fosse il medesimo che dapprincio occupò Licurgo, e poscia F i­lippo fece prenderà dagl’ lllirii. Ma il colle presidiato da Licurgo era avanti di giugner alle strette ( i l passaggio delle quali egli impedir volea a Filippo ) , e libera avea la comunicazione colla città: laddove nella posizione qui descritta le strette erano già varcate , • ed una rupe grande ed inaccessibile trovavasi fra h città e gli alloggiamenti.

(65) Ove combatterono. V. n , 66.(66) De’ Rodii e de’ Chiù Questi sino dalla guerra Bizantina

eransi uniti in società col re Attalo , antico alleato degli E toli, per intercessione del quale e’ si pare che trattassero 1» pace qui rammentata. In appresso congiunsero tutti le loro armi contra il re F ilippo, e lo ruppero in una grande battaglia navale , de­scritta dal nostro nel lib. xvi.

(67) N ella Focide. Questa provincia greca era stata nella guerra così detta sàcra soggiogata da Filippo padre d’Alessandro Magno , che i Tebani capitali nemici di quella avean chiamato in ajulo. Riacquistò essa pertanto la sua libertà insieme cogli altri stati della Grecia per opera d’ Antigono primo , re di Ma­cedonia, il quale, assalito ad uu tempo da’ Galli e dal re P irro, abbisognava de’ loro soccorsi per ricuperare il patrio regno ( Diod. Sic, xix , p. 714 )* Fu già amica d’ Antigono secondo ,

143

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tutore del re F ilippo, che la comprese neU’alleanza cóntro il r« Cleomene, ( Polib. rv , 9 ) e nemica degli E to li, Contra i quali portò lagnanze al congresso che tenne Filippo co’ suoi alleati in Corinto, quando accignevasi alla guerra. Sociale (ìv, a5 ). Quindi non è impossibile che Filippo sperasse .allora di recare per mezzo di quella naaione qualche colpo fatale agli E toli, sebbene in ap­presso gli andò a vuoto il disegno (v , 36). Ella è pertanto cosa singolare, che Polibio siasi contentato.di dareimcenno cosi poco significante in . un aliare eh’ egli qualifica d’ alta importanza.• (68) E U . corpo scelto. Gl’ interpetri latini lascian intatto il vocabolo , agema non escluso lo Schweigh. che ne’com­

menti ancora al tu tto . lo .sorpassa. L ese s i pertanto in Ateneo < (v ,p . i9 4 )7 « xm Xti fM ét myi/ tm , x- f i l tr t t t /•»*#>

rixrmftm Imt i r t i * ) ) i l coti detto agema eh’è riputato il piti

fo rte- corpo d i cavalleria. Curzio pure ( iv , 5a ) scrive, equites quos agema voeant ; e T . Livio ( x x x v i, 4« ) ala m ille ferm e equitum agema eam voeant. Tuttavia secondo lo stesso Livi» ( x l i i , 5 i ) era agema quanto legione, e fprmavasi de’più scelti fra i ce trati, e un *■»£<*«» i y t f t a (agemp'-a piedi) rammenta

eziandio Arriano nel libro v della spedizione d’Alessandro. Esi- ch io , oltre a’ fanti ed a’ cavalli, vi pone anche gli elefanti , e dagli altri corpi in ciò il distingue eh’ esso precedeva il re. J i y i f i» , sono sue parole, 7» wpt<"«r 72 fiariXÌt/t l i y fm . ,

i x t p i t l u i «<>ì ìtrw ttt x ttt »«££». 'Concludiamo adunque che

cosi tutto il corpo scelto composto di pedoni, cavalli ed elefanti, come le sue parti di soli fan ti, o di soli cavalli costituite por­tassero questo nome , e.che prossimo all’ agema in dignità fosse il corpo de’ cetrati, donde quello traevasi. Quindi non h mara­viglia se Leonzio ed i suoi socii di ribellione a questi due corpi, siccome al fiore dell’ esercito, si rivolsero per conseguire il loro perfido intento.

(6g) Le pietruzze d e lt abbaco. Degni sono d’ essere, in oc­casione di questo detto, citati due testi che riferisce lo Schweigh. Solone ( che Polibio sembra qui. aver avuto presente all’ imagi- nazione) dice presso Diogene Laerzio ( 1, p. i4> ed. Lond. ) « I

i *4

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potenti presso i tiranni simili sono alle pietruzze che servono pe’ calcoli. Imperciocché , siccome queste indicano quando più , quando meno ; cosi quelli ora grandi ed illustri fatti sono da’ ti­ranni , ora da essi disonorati. £ Plutarco (Apophtegm, p. 174 ) mette in bocca ad Oronte genero del re Artaserse , da questi abbassato e condannato. « Non altrimenti che gli ossetti degli aritmetici ora valgono migliaja, ora imita , gli amici del re ora possono tutto , ora pochissimo. » - Ma quantp più si avvera questo fatto dove regna la licenza popolare ! Ce lo dica la rivo­luzione di Francia a’nostri giorni accaduta, nella quale chi testé sedeva in grembo alla fortuna, e disponeva della vita e delle sostanze de’ cittadini, dopo breve dominio esalava sul patibolo l’anima infame, per ceder ad -altri il suo posto e la sua ventura.

(70) Eiatea. Città principale della Focide sul fiume Ce fiso, molto opportunamente situala per impedire le invasioni dalla parte della Tessaglia ( Strab. ìx , p. 4°7 , 4a4 ) : per modo che gli Ateniesi, come udirono che Filippo d’ Aminta se n’ era im­possessato , forte sbigottirono , e si tennero per ispacciati.

(71) <S” incarcerasse. Lo Schweigh., con esempi tratti da Po­libio e da Demostene, ingegnasi di provare contro il Casaubono ed il Reiske , che il verbo k w k y tn che occorre nel testo può

significare trar innanzi a l giudice , senza che sia necessario di supporre che Leonzio sia stato portato in carcere. Ma ove si consideri che i soldati di Leonzio profferìronsi di pagare per lui la m ulta, chiaro è eh’ egli noi avea fatto , e che quindi il r e , affinchè non fuggisse come Megalea, avrà voluto assicurarsi della sua persona. Oltre a ciò non avrebbe potuto il r e , dietro una semplice citazione , far eseguire subito nel reo la sentenza capi­tale. Che se « sra j'iu trovasi talvolta in senso di citare, «*-«-

y t ty ì t , di cui poco appresso si vale Polibio nel narrare 1’ am­

basceria de’ soldati, è da Esichio, da Suida e da tutti i Lessi­cografi interpetrata : consegna a l maestrato delle carceri, <fev portazione. Ma forse scrisse il nostro iwmymyìi , siccome hanno

145

poLiBio, tomo ili. IO

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tutti i -codici: vocabolo che Esichio, Suida e 1’ Etimologo espon­gono per , cattività.

(7i) Lettere dalla Focide. La scoperta di questo tradimento di Megalea prova che la Focide era in una situazione molto op­portuna per ispiar le mene degli Etoli; onde sempre più rendesi verisimile che la spedizione secreta di Filippo in quella provin­cia , della quale parla il nostro ne’ capitoli a i e 26 , mirasse a

qualche progetto contro 1’ Etolia.(73) Fanciullo amato. Puer delicatus voltano gl’ interpetri

latini 1’ i / i / t u c i del testo, che tanto spesso riscontrasi negli

scrittori greci. Potrebbe ancora dirsi Batil lo, dal giovine di

questo nome amato e celebrato da Anacrcont'e, o dal mimo cosi pure appellato, che Mecenate, di cui fu liberto, amò sviscerata­mente , secondo che narra 1’ antico Scoliaste di Persio. •- Del resto non era sempre presso i Greci 1’ amore che gli uomini portavano a’ belli fanciulli di tempera sensuale ; locchè scorgesi da varii luoghi di Platone , e singolarmente da’ dialoghi intitolati ad Alcibiade, ne’ quali Socrate > diclifkrandosi di questi amatore, pone a scopo del suo affetto il preservare dalla corruzione 1’ og­getto amato , e l’ indirizzarlo alla virtù.

(74) Dapprincipio. Ho aggiunta questa parola al testo sull’ au­torità del Reiske, il quale con ragione ridette, che altrimenti 1’ ttfttt ( come pom a ) con cui incomincia il seguente periodo

■naie col presente sarebbesi legato.(75) Demetriade. Città marittima e principale della Magnesia,

la qual provincia alcuni ( Polib. v , 99 ; Plin. ìv , 9 , 16) d i­stinguono dalla Tessaglia , altri ( Liv. xxvii , 3a , xxxn , 37 ; Strab. ix , p. 436) vogliono che m questa sia compresa. Fu essa, a detta di Strabone , ( 1. c. ) fabbricala da Demetrio Poliorcete re di Macedonia , il quale vi stabilì una eccellente stazione na­vale. La sua situazione nel seno Pagaseo , dirimpetto al golfo Meliaco , che domina le Termopile , la rendea di tanta impor­tanza , che Filippo la chiamava lino de’ ceppi della Grecia , (L iv . xxxit, 37 ) insieme con Calcide che signoreggia l’Euripo, e coll’ istmo di Corinto ; non contum eliosius, aggiugne lo stesso

i46

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storico quam v e n u ti dappoiché queste erano U principali s tÌu »

che davan mgresso nell’EIlade e ael Peloponneso. Vedi il nostro negli avanzi del lib. xvii , u .

<76) Abbominato. Polibio usa qui voce tale dìe indica non solo disprezzo, ma eziandio odio. Imperciocché „»7«*,,.„7 , , Con

cui é espresso il sentimento che' la soldatesca urbana avea per Eperato , significa propriamente sentir basso d ’ alcuno , tenerlq dappoco, siccome e denotfl

ma applicato alla mala disposizione *le’ merce-nani verso lo stesso pretore, partecipa de’ sensi di accusare, e condannare attribuiti al medesimo verbo greco , e che presup­pongono delitto o qualità odisvole. Lo Scliweigh. nota nel voca­bolario la maggior forza di *«7m y . , i n u , in confronto di * « -

7t e m i l i ma non discende a nessun particolare analitico, e neglige questa differenza nella traduzione.

(77) Per cagione d i coiai vicenda ec. Cioè a dire : siccome le cittì che nel guasto dato da’ nemici alle loro campagne soffe- rivano , senza esser soccorse dal comune dagli Achei , vendica- vansi col non pagare i tributi , e siccome i soldati , che per mancanza di danari nell’ erano noo rieeveano gli stipendii, in contraccambio di ciò non facean il loro dorare, cosi gli afiàri ect

(78) Giusta il prim o nostro proponimento. V. 1, 3 , m , 2. .("9) Pressoché decisa, « La narrazione degli afiàri dèlia Gre­

cia s arrestò all’ Qlimp. c u , , a , corrispondente all’ anno di Roma 536 , e la guerra fra Aatioca e Tolemeo ( incominciata ncll’Olinip. cxxxix, 3 , A. d, R. 534) fini nell’ Olimp. c x l , 5, A. d. R. 537 , dopo la- battaglia di Raffia. Vedi v , 79 , 87. » Schweighauser.

(80) N on intrecciare fr a loro i fa tti. Due .seno i metodi di scriver una stori* universale : 1! uno di narrare,separatamente t fetti di ciascheduna nazione ; 1’ altro di trattare non disgiunte le gesta di varii popoli, accadute in un corso determinato di tempo. La prima maniera è da preferirsi , ove il complesso degli avve­nimenti , che ad una nazione appartengono > può rappresentarsi isolato senza mescolarvi grpn ia tta quelli -di un’akra, e tali peana

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peli’ appunto gli avvenimenti della Grecia e deff Asia descritti dal nostro, innanzichè i Romani vi prendessero parte. Il secondo modo è migliore , quando le storie di ciascheduna regione sono talmente fra loro complicate, che il dividerle nuocerebbe all’ in­telligenza d’ esse , siccome accadde , poiché i Romani passarono in G recia, e figuraron in tutte le guerre che ivi • dapprima, e poscia nell’ Asia si fecero.

(81) I l principio è la metà del tutto. Questa sentenza deriva da Esiodo , il quale nel poema intitolato *py* *•< » ilavori e le giornate, a versi 4o dice

N***•<, * S ' f r a n t e<r» ir r iti Z f t m ik tT tt .

Sciocchi, non sanno il mezzo Quanto sia più del tutto.

Del resto io non trovo che questa sia una digressione insulsa , siccom'essa sembrò al Casaub. ed allo Schweigh.; anzi vi scorgo per entro ( sebbene quasi sotto ruvida scorza ) un ammaestra­mento utile in tutte le imprese della vita. Imperciocché chi ad «m’opera si accinge necessario è «he da capo a fondo la esamini, e pongasi innanzi agli occhi tutta la concatenazione de’ meazi ed effetti che posti sono fra i l principio e la fine di quella ; e cosi incominciandola, può dirsi ch’egli siasi già del suo esito assicu­rato. Che se ogni scrittore siffatto precetto osservasse , come lo osservò esattamente il nostro, non abbonderebbono cotanto i mostruosi parti dell’ ingegno in ogni genere di sapere.

(83) Eforo. Scrisse questi la storia de’ Greci e de’ Barbari dal ritorno degli Eraclidi sino all’ assedio di Perinlo, che cade nel- 1’ anno vigesimo primo del regno di Filippo figlio d’ Aminta , abbracciando lo spazio di ^5o anni in trenta lihri. V. Voss. da histor. grtec. et la t., lib. 1 , c, 7.

(83) In tre o quattro paginette. I compendii , così storici, come scientifici, si scrissero in tutti i tempi a comodo delle per» •one, le quali, contente d’ qna tintura che appaghi la loro vana

1 43

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curiosità, schifano -la fatica di penetrar addentro nelle cose , e di procacciarsi solide cognizioni. Opere di cotal fatta sono con ragione biasimate‘dal nostro , siccome non punto instruttive. Se non che le moltissime scoperte, che a’giorni nostri si sono fatte nelle scienze fisiche e nelle a r t i , non si potendo co’ distesi trat­tati render tanto comuni, quanto 1’ utilità loro richiederebbe ; fu creduto necessario di darne succosi transunti negli scritti perio­dici che uomini valenti ne’ varii rami del sapere vanno pubbli­cando. Savio divisamente invero, e da’ bisogni del secolo impe-' riosamente .voluto, ma pur troppo già perduto di vista da molti dotti a siflàtte compilazioni intenti ; sendochè poco scrupolosi nella scelta de’ collaboratori, ammettono sovente in quelle , non già ragionevoli compendii delle migliori fra le più recenti pro­duzioni , sibbene infedeli mutilazioni, e parzialissimi giudizii, da presunzione e da invidia dettati. - Mi perdoni il cortese leggi­tore se , traendo dietro al costume del mio autore , mi sono al­quanto d?l proposito dilungato : che ne’ lunghi viaggi ricrea tal­volta l’uscire della battuta, quand’ anche lo si faccia per visitare qualche orrida piaggia.

(84) M ia buona. UtXÌÌtttmt scrisse Polibio , che qui non si­

gnifica già civilm ente, pulitam ente, ma con ischiettezza e sim- p licita , opposte all’ accuratezza ed al diligente studio eh’ esige la composizione della vera storia, conforme ha egregiamente osser­vato il Reiske.

(85) D el padre. Era questi Tolemeo Evergeta.(86) Il fratello Maga. V. il cap. 36 di questo libro, e xv, a5.(87) Come se festeggiasse. Nel testo il qual

vocabolo fu parafrasato (fallo Schweigh. quasi continuos ludos agitaret, e dall’ Ernesti, leviter e i ad ostentationem magis quam accurate. Tolta essendo la metafora dalle pubbliche adunanze , in cui e le rappresentazioni teatra li, e i giuochi della palestra làceansi a puro diletto degli spettatori con pompa e magnificen­za : egli è chiaro che Polibio volle significare aver Tolemeo ma­neggiati i pubblici afiari , come se fosse sempre stato in festa e giolito, sen^a riflettervi molto , od assoggettarsi a fatica.

*49

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(38) Sbadato. Mi b o b attenuto all’ idea del Casaubi che spiega ùìtxi'fritìc*, incuriostun (che non ha cura di ùulla), trovandosi

• »/<rr«»/r presso il, nostro s o ra te in senso d’attenzione; laddove V interpretazione del Reidee e dell’ E rnesti, cui nemo possit i x i r t i r a i , cioè supervenire , oltrecchè ha dello stiracchiato ,

sal-ebbe una stucchevole ripetizione del /»»4*7<u*7*» ( difficilém

aditn ) che tosto segue.(8g) Lisimachia. Città fabbricata da Lisimaco , generale d’ A—

lessandro Magno in mezzo all’ istmo che dalla Chersoneso . T ra­cica mena nel continente della Tracia. La Sua centrate situazione,

fra il mar Egeo ed il continente dell’ Europa e dell’Asia , era riputata così importante , che avendola i Traci incendiata e di­strutta , Antioco Magno la rifabbricò e ripopolò , destinandola a residenza del suo figlio Seleuco ; locchè indusse i Romani a di­chiarargli la guerra. V. Liv. x X x t i i , 38 , Strab. V nt, p. 33i .

(90) Le contrade ec. Non le città sole , siccome col Casaub. interpreta lo Schweigh. , ma insieme colle città le respettive campagne ancora : d ie ciò denota 1’ espressione 7S» *«7ì A Ì t t t ,

x. 7. A. , cui si sottintende ló r t t t , eh’ è quanto d ire, luoghi

appartenenti ad Etto ec.(91) Eno-M aronea. Città marittime sulla costa della Tracia ,

la prima alla foce dell’ Ebro , 1’ altra a quella dell’ Ismai o. Le città ulteriori dovean essere A bdera, Napoli ed Esima , non lungi dal golfo Pierio , quindi opportunissime per osservare la Macedonia.

(g2) E le circostanze dèlia Grecia. V. ìv , 35.(g3) Grave é form idabil avversario. Era Cleomene stato col­

mato di beneficenze dal re Tolem eo, e non dovea supporsi eh’ egli con tanta ingratitudine avesse a rimunerarlo. Tuttavia non ignorava Sosibio 1’ immensa ambizione e l’ ingegno sommo di quel re profugo , e da quell’ accorto e praticissimo uomo di stato eh’ egli era ben sapeva , come all’ avidità di conquisti cede

ogni più nobile sentimento.(g4) Ed erano in Samo ec. A giudicare dalle estese possessioni

de’ re d’ Egitto nelle isole e sulle spiagge marittime , conforme

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le riferisce Polibio , le loro forze navali debbon essere stale a que’ tempi molto .superiori che non quelle degli altri rivali.

(g5) I I leone e g li agnelli ec. Cleomene spalleggiato da’ mer­cenari! del Peloponneso , era da que’ cortigiani timidi e gelosi della propria inflnenza sulla volontà del re imbecille, paragonato al leone, mentre che essi consideravano sé medesimi come agnelli incapaci di resistere alla forza ed all’ impeto di tanta fiera.

(96) I soldati, d i Siria ec. Disse ciò il re di Sparta ironica­mente , nota essendo 1’ infingardaggine della milizia asiatica ap­petto al valore de’ Greci d’ Europa. Asseriva • Quinzio Flaminio die i Siri erano molto migliori schiavi che non soldati, e M. Acilio che sconfisse Filippo diceva che i Siri ed i' Greci d’ Asia eran una razza d’uomini leggerissimi, e nati per servire ( Liv. xxxv , 49 ; x x x v i, 17 ). Cicerone nell’ orazione prò Fiacco, c. 37, recitava a’testimoni Asiatici del suo avversario i proverbii che nell’ Asia medesima correvano in disprezzo delle - varie sue nazioni. A . tanto era giunto il loro avvilimento.

(97) Archidam o. Questi fu già nominato da Polibio, (ìv, 35) allorquando egli rendette conto degli Eraclidi superstiti in La­cedemone dopo la scacciata di Cleomene. Vedi ancora il nostro v ili, 1 , e Plutarco nella vita di Cleomene p. 807,'dov’è citato Filarco , il quale, parzialissimo come fu di Cleomene, pretende che Archidamo fu ucciso contro la volontà di questi.

(98) P a n te o e con essi Ippita. Eran costoro i due più fidi amici di Cleomene, e bene il dimostrarono nella tragica fine di questo r e , siccome leggesi presso Plutarco ( in Cleom. p. 822 e seg. ) dove il secondo è nominato Ippo ta , 'h n r ira t.

(99) Ballerini e sonatrici eP arpa. K oa/clvr « a l r«/t/3vK«r

ha il testo , che i Romani , poiché insieme colle scienze ed arti della Grecia ebbero adottate ancor le sue lascivie, appellarono egualmente cinaedos et sambucistrias. 1 Cinedi dicervansi cosi secondo Nonio «irà 75 t i f t x l t t xj»«7» , dal muovere il corpo

che facevano nel ballar e giuocare la pantomima. Le sambucistrie trassero il nome dallo strumento di musica appellato sambuca , definito da Yitruvio (v i, 1 ) uno strumento triangolare form ato

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d i corde ineguali in lunghezza ed in larghezza , simile adun* que'alla nostra arpa. Ma era la sambuca ancor una macchina da guerra somigliante ad un ponte levatojo , per cui dalle navi e dalle torri di legno.si passava sulle mura del nemico. Yeget. de re milit. rv , c. 71 ; Vitrnv. x , cap. u lt ; Lips. Poliorc. Lib. 1 , dial. 6.

(100) N on da vigliacco. Versi che Omero pone in bocca ad Ettore , allorquando a’ accigne a pugnar con Achille. Iliad. V. 5o4 e segg.

(101 ) Ammazzarono. I commentatori vanno strolagando , che cosa abbia qui scritto Polibio. Il che hanno la

maggior parte.de’ libri non è voce di buon conio; e quand’ an­che, siccome pretende il Reiske, in dialetto macedonico suonasse rinchiusero, non sarebbe da ingoiarsi 1’ assurdità che a cotesti disperati rimanesse il tempo di condur in carcere Tolemeo. Quindi attenendomi alla relazione che dà Plutarco di questo fatto ( Cleom. p. 822 ) , io leggo «xi*7t<»«», e così la intese il Pe­

roni , che tradusse interfecere con . più coraggio e buon senso che non gl’ interpreti posteriori.

(102) N elle pratiche. Non compresero , per quanto a me sembra , il Casaub., e lo Schweigh. che il copiò , la forza del­l’espressione trfis Vctt IfitX/as usata in questo luogo dal nostro: che vitce consuetudo et colloquia fam iliaria , conforme essi vol­tarono il vocabolo anzidetto, non costituiscono la virtù politica che Polibio loda in Cleomene : virtù che ad uomo privato an­ziché a reggitore di popoli s’ addice. Sibbene volle significar il nostro, che il mentovato re avea un’abilità singolare nello strin­ger amicizie , e nell’ introdurre negoziati ; locchè è parte prin­cipale in un capo il quale non solo col valore, ma eziandio col- 1’ accortezza e colla sagacità sappia provedere a’ casi suoi. In questo senso scrisse Tucidide ( 1 , p. 54 ) « •« 75 iV* i f t t X i i t ,

disputare per V eguaglianza, e vi p. 423 k i y t i t 7i rp tw iv n t

i f i / x m r t , trattò con convenienti discorsi : le quali frasi hanno

relazione a pratiche fra nazione e nazione destramente condotte, e non a semplici colloqui familiari.

i 5 a

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( to 3) N on molto dopo ec. Questo periodo , confuso e tronco nel testo , non potea nel volgarizzamento così lasciarsi. Il verbo ribellassi, che regge il sostantivo Teodoto , manca in Polibio ,■ e vi fu giudiziosamente aggiunto da’ traduttori latini ; dappoiché, sarebbe pur stata cosa mostruosa il sospendere 1' azione di Teo­doto sino alle remote espressioni : prese di parlar con Antioco. Non sono pertanto d’ accordo collo Schweigh. che ft i l* cf« 1 cu­

lti, dopo questo (cioè Cleomene) abbiasi a leggere e non fttììc

cT< 1ùv"Ì» , dopo di ciò , siccome dietro il codice Augustano

tradusse il Casaubono. Di Cleomene, che non era suddito di Tolemeo , non potea dirsi che si fosse da lui ribellato ; sibbene di Teodoto , non solo suddito del mentovato re , ma eziandio al suo servigio.

(104) Antioco. Fu questi poscia denominato il Grande , pro­babilmente pelle gloriose sue gesta in età molto giovanile controi potentissimi ribelli Molone ed Acheo. Non fu egli così felice nelle guerre che imprese fuori della Siria , ed avendo nel prin­cipio del suo regno, conforme osserva Polibio ( x i , 34 ) destata di se grande aspettazione , in processo di tempo non vi cor­rispose.

(105) D i sopra. Vedi n , 70 e ìv , 48.(106) A rtefatte. Checché dicasi il R eiske, x-a/ii7«f non

sembra qui appartenere al dialetto macedonico , del quale , non so perchè , questo commentatore principalmente accusa Polibio. A nzi, secondochè io credo, significante oltremodo è cotesto vo­cabolo, che denota non essere state soltanto false le acpuse d’Er­mea , ma con somma arte ed astuzia fabbricate , perchè acqui­

stassero colore di verità.(107) Invincibile. Non era necessario di cangiare 1’ £fT)nltt

(inv itto ) che leggesi ne’ migliori codici in i r t f t f ì l n U t ( ine­

sorabile ) , siccome dietro alcuni altri codici fecero il Xilandro ed il Casaubono. Lo Schweigh. non dissimulò nelle note la con­venienza della prima lezione, ma nel lesto non ebbe 1’ animo di riceverla.

(108) Dato fuoco alla calunnia. Cioè avendovi applicati degli

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stim oli, come chi mette sotto ad un edificio materia accesa, clie lentamente propaga la struggitrice fiamma. Questo , se non vò errato , c il senso di in S v i f /M t , che lo Schweigh. giustamente

deriva da i r t l v Q t * . Dislinguon, a dir vero , 1’ Eraesti ( Graec.

Lexic. ) ed il Perizonio ( ad £ lian . var. hist. ix , 4< ) due mo­dificazioni dell’ accendere , significate da questa voce , passiva 1’ u n a , esprimente lentezza e segretezza nel prender fuoco ; l’ al­tra attiva corrispondente all’atto dell’ appiccarlo per introduzione di sostanze ardenti. Siccome pertanto qui prendesi in senso at­tivo , così ho creduto di dovermi appigliare al secondo degli anzidetti significati, non espresso esattamente dal fom item leviler accendisse degl’ interpelli latini.

(log) Emioìio. Singoiar è questo cognome che in italiano suona uno e m etto , imposto a costui , dice lo Schweigh. , forse per­d i’ era di statura tanto alta che 'agguagliava la lunghezza d’ un uomo e mezzo ; siccome Prusia all’ opposto ( xxxit , 2 ) è chia­mato iip irvt àiìp j m etto uomo , per essere stato soverchia­mente breve.

(n o ) Diminuita. Leggo k « A « w $ i i d a •*», recidere, menomare , in luogo di ( sarebbe impedita ) da

x t tX im , impedire , molto più naturale essendo 1’ espressione

autorità diminuita che a. im pedita, ed avendo i copisti sovente, conforme dimostra Enrico Stefano (in Thesauro) scambiato l’un verbo coll’ altro. D ignitate exueretur volta lo Schweigh. , se­guendo il Casaub. , locchè è molto più che Aon scrisse Polibio , o 1’ uno o 1’ altro de’ mentovati verbi si preferisca. Nel testo pertanto conservò egli ««Av&vrte■$*!.

( i n ) Seleucia su l ponte. Tre erano le città denominate Se­leucia : la maggiore sul mare denominata Pieria e fabbricata da Seleuco Nicatore, era la residenza de’ re di Siria ; S. sul Tigri che dopo la caduta di Babilonia divenne la capitale deir Assiria ; e quella eh’ è qui nominata , castello secondo Strabone ( xvi -, p. 74g ) della Mesopotamia, dov’ era un ponte sull’ Eufrate, dal quale trasse il nome.

( n a) De'sette Persiani ec. Morto il re Cambise , fu il Ira­

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fello di lui Smerdi , o M ergi, o Sfendadate, tecondochfe alcuni10 nomano , ucciso dal Mago Comete, e messo sul trono Oro- pasta di Comete fratello che nella faccia e nella persona tutto a Smerdi Somigliava. Scoperto 1’ inganno per mezzo d’ una concu­bina del r é , che > con lui dormendo , 'il trovò senza orecchie , fattegli mozzare da Cànibise : sette fra gli ottimati Persiani , che ne furono avvertiti , fecero congiura , cd entrati nella regia uc­cisero il Mago. V. Eflodot. in , 65 é seg.; Ctesias Persie. 3, ì 4» Just in. 1 ,9 .

(113) Dario. Figlio d’ Istaspe, quello fra i sette che, trucidato11 Mago, regnò in Persia. S e , come vantavasi Mitridate, Arta- bazo, 1’ autore della sua casa , ebbe realmente da cotesto Dario il regno del Ponto nou può accertarsi , e meno provato egli è ancora che Artabazo fosse uno de’ sette uccisori del Mago , dap­poiché non trovasi il suo nome fra quelli che annovera Erodoto, nè tampoco fra quelli che rammentati sono da Ctesia.

(1 l i ) Antiochia. Fu questa pure edificata da Seleuco Nicatore, e così appellata in onore di suo padre Antioco. Era essa dentro a terra , e divisa dall’ Oronte che ha le sue sorgenti fra il Li­bano e 1’ Antilibano. Per distinguerla da altre città che portano10 stesso nom e, ebb’essa il cognome di Epidafne, da un grosso borgo a lei vicino con una selva , in mezzo alla quale era un tempio sacro ad Apollo e Diana , a cui pellegrinavano gli An- tiochesi. V. Più», v , a i ; Justin. xv , 4 ; Polib. v , 5g ; Strab. xvi , p. 749.

(115) Apolloniatide. Questa provincia era situata , conforme scorgesi dal seguente capitolo, fra la Mesopotamia e la Persia. Il Reiske dice eh’ essa corrisponde all’ odierno Nahawend nel Lau- restan. A detta di Strabone ( xv , p. 732 ) chiamavasi antica­mente Sitacene, e confinava colla Susiana di Babilonia ; dond’ è

manifesto 1’ errore del Cluverio , il quale ( Intr. in un. Gcogr. L . v , c. i 4) fa due province dell’ Apolloniatide c della Sitacene.• (116) G li armenti. Circa 1’ eccellenza de’ cavalli medi leggasi11 nostro x , 2 7 - Erodoto ( v i i , 4o ) loda sovra gli altri cavalli della Media , pella loro grandezza, quelli che dalla vasta pianura

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ove nutrivansi eran chiamati I f i s e i , e narra che il cocchio di Serse, allorquando invase la Grècia, era da destrieri di cotale razza tirato. Strabone ( x i , p. 5a5 ) scrive pure che i re di Persia servivansi di cavalli Nisei, ed a’ suoi tem pi, siccome a’ nostri , chiamavasi erba Medica ( Medicago lupulina de’ botanici ) quella che accavalli è pasto tanto gradito , e di cui la Media ab­

bondava.(117) Ove le lóro parti s i confrontino. Cioè a d ire , la Media

è più grande delle altre province dell’ A sia, non già quando nella loro totalità siéno comparate; m a, se ogni loro parte se­paratamente si consideri, troverassi in lei maggior estensione di terreno utile, che non nelle altre asiatiche regioni.

(118) Parnasia. I Parrasìi rammentati da Strabone 5o8 ) sono popoli dell’ A lbania, la cui situazione nell’ angolo Pford— Ouest del mar Ircano non corrisponde punto a quello della Parrasia qui additata. Ciò considerando lo Schweigh., e riflet­tendo eziandio che oscura nazione erano i Parrasìi, laddove di una cospicua provincia in questo luògo parla Polibio, suppose che ( Partiene ) abbia a leggersi : nome che da’ Geo­

grafi fu talvolta dato alla P artia , situata peli’ appunto, con­forme accenna il nostro ad Oriente della Media. Ma se il deserto nel testo rammentato era la Caramania deserta , siccome sembra allo stesso Schweigh., io dubito non la supposta Parrasia debba convertirsi in A ria , fra la quale e la Persia Tolemeo ( v i , 6 ) pone l’ anzidetto deserto. Allora questo non precisamente a Le­vante , ma al Sud-Est della Media giacerebbe ; e forse , a ciò mirando , non scrisse Polibio xaf ì t fi ir 7 hr ttt 7 «e wf'oe

a ta l tX k f ftifn (aLevante ed alle partid ’ O riente) che sarebbe

goffa ripetizione , ma tfìc f à t 7»» tu x*t 7à* w ft t

S if i i ì t f fttfn ( a Levante, ed alle parti dell’ Oriente estivo ).

(119) Porte Caspie. Così chiamavasi un ristrettissimo passag­gio lungo otto miglia , lavorato ne’ monti che dividono la Me­dia dalla Partia. Plin. v i, 17 , Solin. c. 5o.

(120) M onti de' Tapiri. Gli stessi per cui conducono le porte

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Caspie. Intorno alla nazióne di questo nome , V. Strabone z i , p. 5 i 4 e 5a3.

(121) M are Ircano. Il mare Caspio trasse questa denomina­zione dagl’ Ircani che abitavano la sua sponda orientale sopra la Partia.

(122) M onte Zagro. Strabone ( x i , p. 5aa ) Zagrio- lo chia­ma , e scrìve eh’ esso divide la Media dalla Babilonia ( Assiria ).

( ia 3) Cossei — Corbeni — Carchi. Strabone ( x v i , p. 744) mette i Cossei nell’ Assirìa ; fa pertanto menzione particolare dei Cossei montani , che dopo il Zagrio abitano sopra la Media ( x t , 522 ). Secondo Tolemeo ( v i , 3 ) sono essi una popolazione della Susiana a’ confini dell’ Assiria. - La Corbania ( paese dei Corbeni ) è da Strabone ( x v i , p. 745 ) assegnata agli E lim ei, nazione dell’ Assiria , e probabilmente la medesima che gli Elimei m ontani, da lui nominati presso i Cossei del ZagrO, e qualificati egregii saettatori - I C archi, da nessun altro scrittore rammen­ta ti , crede lo Schweigh. che sieno i Carduchi, collocati da To­lemeo ( v i , a ) nella parte della Media confinante coll’Armenia; ma sono essi troppo lungi dal Zagro. I Carduchi di Strabone ( x v i, p. 646 ) lo sono ancor m eno, come quelli che aveano sede nell’ Assiria , in vicinanza del Tigri.

' ( ia 4) Atropazii. Con lungo ragionamento prova lo Schweigh. contro il Reiske , che non hassi qui a leggere Satrapie, con­forme hanno tutte le edizioni , e che la nazione di - cui parla Polibio in questo luogo abitava V A tropatene, chiamata da Stra­bone M edia Atropazia : il qual nome le derivò da certo A tro- pato , che la governava pe’ re di Persia , ed avendola salvata dall’ invasione de’ Macedoni vi stabili un proprio regno che du­rava ancona a’tempi di Strabane. Ciò non pertanto il mentovato commentatore non è alieno dal crederli gli stessi che i Sospiri d ’ Erodoto ( i , jo 4 , n o , ìv , 37 ). E didatti essendo costoro dal testé citato storico posti fra la Colchide e la Media , verso la parte più montuosa di questa , molto con lui si conforma il nostro , che limitrofi dice gli Atropazii alle nazioni che toccano

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il Ponto Eusino > ansi a 'quella fra 1« mentovate nazioni or* scorre il Fasi ( v , 55 ) , quale si fe peli’ appunto la Colchidc.

(i a5) Elimei. Strabone ( xv , p. ) li colloca a Settentrione della Susiana , e non della Media. - Ariaraci. Sono questi pro­babilmente gli A nariàci, che Strabone ( x i , p. 5r4 ) , e Tole- nieo ( v t , a ) , il quale Amariaci li chiama , annoverano fra i popoli che abitano la sponda meridionale del mar Caspio. - 1 Cadusii a Levante degli antecedenti. Secondo Plinio ( vi , » 8 , | 6 ) imposero i Greci questo nome a’ G eli, ma Tolemeo (vi, a) ne fa due popoli distinti. - I M atiani confinano secondo Stra­bone ( l. c. ) co’ Cadusii, ed il loro territorio ( Id. x i , p. 5 ig ) è d’ una fertilità singolare.

( ia 6 ) Da molte montagne. Le principali sono: il Zagro a Occidente, i monti Coroni a O riente, e nelle parti centrali l’ O- ronte ed il lasonio. V. Tolemeo ( v i , a ).

( 1 2 7 ) Seleucia. Secondo Plinio ( v , a i , a5 ) chiamavasi Se­leucia de’ Parti. Y. sopra la nota n i .

( ia 8 ) Ctesifonte. Residenza invernale de’ re P a rti, conforme insegna Strabene, ma a’ tempi di Polibio non era tanto cospicua che in appresso, quando i Parti se ne impossessarono.

(lag) Apamea - Laodicea. Queste città della Siria non sono da confondersi con quelle d ’eguid nome che Strab. (x i, p. 5?4) assegna alla Media , sebbene, a detta sua, fossero greche. Tole­meo rammenta un’ Apamea nella Mesopotamia ( v , 1 8 ) poco lungi dal confluente del Tigri e dell’ Eufrate, ed un’ altra nella Partia ( vi , 5 ).

(130) Valle chiamata Mccrsia. Strabone ( x v i, p. 756) inette questo distretta fra Berito (città della Fenicia, Beruti d’oggidì ) e Damasco, e narra ohe fu aggiunto al territorio di Berito , poiché Agrippa la fece risorgere dalle sue m ine, e vi collocò due legioni romane. - V’ebbe eziandio ia que’dintortai un fiume denominato Marsia.

(131) Canna a len a n te . La relazione che Teofrasto ( Hist. p lant ix , 7 ) e Plinio ( xii , 11 ) danno del. sitò dove cresce questa pianta s’ accorda con quanto ne scrive il nostro. Se non

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che negano gli anzidetti naturalisti eh' essa prQvenga fra il Li­bano e l’Aotilibano , conforme era la volgar opinione ; »ib- bene fra il Libano ed un altro monte poco ragguardevole, in una picciola valle paludosa , dappoiché fra le mentovate catene di monti è un campo spaziosissimo, chiamato , a detta di Teò- frasto A u lo n e , che propriamente significa vallone, valle larga, e non è diverso dalia Marsia del nostro. - I Botanici moderni appellano la stessa canna acorus calam us, e ne distinguono due varietà : 1’ una asiatica , che nasce spontaneamente nelle .Indie orientali, e singolarmente al Malabar , e nelle isole di Ceylan e d’ Amboina , 1’ altra eh’ è prodotta ne’ fossi e negli stagni d’ Eu­ropa. V. Persoon, Synops. p lant T. i , p. 38a ; Murray , ap ­parata medicam. T . v , p. l 5. — Non è adunque vera l’ asser­zione del Mattioli ( in Dioscorid. p. 58 ) che a’ nostri giorni perduta è la specie asiatica, quand’ anche più non fossero gli stagni della Siria che n’ erano fecondi. Nè tampoco è vero , conform’ egli pretende, che dell’ asiatica si adoperava la canna stessa , mentrechè dell’ europea la radice sola si usa ; efficacissime essendo le radici in amendue. .

(i 3a) Seleucia. L’ occupazione di questa forte città era di somma importanza, come quella che assicurava a chi se ne sa­rebbe impossessato il passaggio del T ig ri, che dividea.amendue gli eserciti. Quindi avea Molone pure tentato di rendersene sw gnore , ma fu ributtato da Seneta.

(133) Prefetto del m ar rosso. « Mar rosso o Eritreo era no­me comunissimo , non solo del golfo Arabico , ma del Persico ancora, siccome apparisce da varii altri luoghi di Polibio, di Strabono, di Plinio , d’. A rriano, e di Diodoro. Quindi il pre­fetto che per il re governava la provincia , la quale a mezzodì della Babilonia giace pressa il golfo Persico dalla parte dell’ A - rabia , chiamavasi prefetto del mar rosso o del Eritreo. » Schweighauser.

(134) Stavano tragittando. Leggo i7'i « f , quelli che ancora passavano, siccome propose lo Schweigli. nelle note,

quantunque nel testo egli abbia scritto , e tra­

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dotto di conformità , eos qui priores sequerentur assurda le­zione , secondochè io credo , cotesti priores non essendo stati per anche nominati , ma riscontrandosi appresso in quelli eh’ e* rano già passati, iJJ* cTi«/3i/3i|Ka7«r.

(135) Parapolamia. Dqe erano le province di questo nome che significa , province vicine a lfium e ; 1’ una presso 1’ Eufrate descritta da Strabone ( xvi , p. j 53 ) , che la disse soggetta a regoli Arabi ; 1’ altra sulla sponda del Tigri , della quale parla Plinio ( t i , 27 ) , dandole per luoghi finitimi la Calonitide e Ctesifonte. Della seconda tratta qui Polibio.

(136) Europo. Tolemeo ( v i , 2 ) rammenta una Europo nella Media, poco lungi dalle porte Caspie, e Strabone ( x i , p. 5a4) riferisce d ie fu fabbricata da. Seleuco Nicatore , il quale così la nomò , avendola i Parti chiamata Arsa eia. - Dura giaceva se­condo Polibio (c . 5 i ) di là del Tigri per chi veniva dalla Me- «opotamia. Non era essa dunque in questa provincia , sibbene nella Parapotamia del T ig ri, e ragionevol è quindi il sospetto dello Schweigh. che queste regioni sieno state nel testo ( forse per inavvedutezza de’ copisti ) scambievolmente mutate : nel qual caso 1*Europo qui mentovata da Polibio, non quella della Media sarà stata , ma quella che Plinio ( v , a i ) pone nella S iria, e Tapsaco , ed A hfipoli ancor appella , la stessa Tapsaco che giusta Tolemeo ( v , 19 ) è nell’ Arabia deserta sull’ Eufrate, al confine occidentale della Mesopotamia. - Del resto sembrano queste occupazioni essere state semplici scorrerie; dappoiché veg­liamo nel cap. 5 i , Antioco attraversare senza impedimento la Mesopotamia e giugner alla riva del Tigri.

(1.17) Sovveniva a’ suoi bisogni. Ciò esprime Polibio con j che lo Schweigh. nelle note spiega variis artibus,

astuta rerum administratione. Ma la perfidia artifiziosa d’trm e a è già sufficientemente indicata col vocabolo ( mali

costumi, mali modi d’operare), ed • tu tto f i /» senz’altra aggiunta

non racchiude l’ idea d’ astuzia , di prava intenzione.( 138) B ititv ssi. . . . i n Apamea. Se l’ esercito era in questa

città raccolto, conforme scorgcsi dal principio di questo capitolo,

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dovea Epigene altrove, e non in Apamea ritirarsi. Il Reiske credette di. sciogliere questa . difficoltà , leggendo ,( quartieri d’ inverno ) in luogo d’ A w i f t u a t , dietro le tracce,

del corrotto vocabolo ìpó l ior , che riscontrasi ne’ codici più an­

tichi. Ma se questa spedizione, siccome narra Polibio nel seguente capitolo, ebbe luogo nella stagiòn invernale , non vi potean es­sere quartieri d’inverno. Quindi è più ragionevole il credere collo Sdhweigh-, che 1’ esercito non in Apamea stessa, ma in qualche distanza dalla medesima iibssè accampato, non dovendosi, nè qui, nè in altri,luoghi, ove parlasi d’alloggiamenti, prender a rigore la preposizione in.

(139) Cirresti. È la Cirrestica quella parte della Siria che ha a settentrione il monte Amano e la Cotnagene, a poneste il territorio d’ Antiochia, a levante 1’ Eufrate , ed il Libano a mez­zogiorno. V. Strab. x v i , p. 753. - Cirro è la capitale di questa provincia, donde trasse il'nom e, e Cirresti noi/ è soltanto l’ ap­pellativo degli abitanti di questa c ittà , conforme dietro Stef. Bi­zantino scrive lo Schweigh. , ma vi si comprende una popola­zione ben maggiore , siccome lo dimostrano le diciannove città annoverate in quella da Tolemeo ( v , 14 ) » ed il numero di sei mHa combattenti eh’ essa avea fomiti all’ esercito d’ Antioco.

(140) Antiochia d i M igdónia , chiamata ancora Nisibi , è si­tuata fra il monte Masio ed il Tigri nella Mesopotamia. 1 Ma­cedoni le imposero ilnome che qui leggesi nel testo (Strab. xvi, p. 747 , Tolem. v , 18 ). Fu essa città molto forte ; a tale , che Tigrane, reputatala inespugnabile , non la soccorse essendo asse­diata da Lucullo , il quale , a detta di Dione Cassio ( xxxv , p . 3 , 4 ) , poiché se n’ ebbe a grande stento impossessato , vi stabili i quartieri d’ inverno , non altrimenti che fece Antioco.

(14 1) Liba. Questo luogo , che non trovasi in altri autori è probabilmente lo stesso che la Deba di Tolemeo ( 1. c. ) poco lungi da Nisibi sulla ripa occidentale del Tigri. Non comprendo come al Reiske , al Cellario ed allo stesso Schweigh. potesse sfuggire cotesta somiglianza di nom i, ed insieme la necessità che

p o l i b i o , t o r n o 111. 11

i 6 i

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Nisibi; le quali condizioni non trovatisi nella Lambana, o Lab-

bana che lo Schweigh. propone.(142) Lieo e Capro , fiumi dell’ Assiria , che discendono dal

monte Nifate ( onde l’ Assiria e 1’ Armenia sono separate ) e

dal monte Cadmo perdevansi nel Meandro (Strab. x i i , p. 5^8 ) - Signore, com’era Molone, dell'Apolloniatide, non solo il Tigri, ma gli anzidetti fiumi ancora , ed il Gorgo pure separavano i due eserciti.

( i43) Canale regio. A Seleucia l’Eufrate dividesi in due ram i, l’-uno de’ quali va a Babilonia , quindi prosegue lungo spazio ancora e si disperde per le campagne ; l’ altro sotto Apamea sbocca bel Tigri , ed amendue portano il nome di canale regio (Tolem . v , 1 8 , ao ). Osserva il Reiske che queste acque con ­servano tuttora in arabo a un di presso la stessa denominazione, chiamandosi nahr e l malìe, fiume del re.

( ■44) Orico. Peno a conformarmi collo Schweigh. nel credere che questo sla il nome proprio d’ un monte , dappoiché nessun geografo ne fa menzione. Forse scrisse Polibio 7*

O ' f n i t t , che sarebbe quanto dire la regione montuosa. La qual

cosa t tanto più probabile, quanto d ie poco appresso troviamo rammentata la parte aspra dell’ Apolloniatide 7«> 7ir

A** A Awr i«7<cT«f.

(145) Cirzii. Due popolazioni di questo nome v’ avea ; 1’ una nella Persia , 1’ altra nella parte settentrionale della Miedia , sul Zagro e sul Nifate ( Strab. x i , p. 5a3 , xv , p. .727 ). Quelli che oggidì chiamansi Curdi, e che conservano la vita errante degli antichi C irzii, e com’ essi campano di latrocinio, sembrano essere discendenti di coloro che abitavano fra la Media e 1’ Ar­menia , dove hanno ancora la loro sede. V. Pinkerton, Geogr. modera. T. ìv , p. 3 i.

(146) G alli Teltosagi. « De’ popoli G allici, che anticamente passarono in A sia, tre soli sono rammentati : i T rocm i, i T o -

sboccano nel Tigri. V. Tolem. v i, Frigia altresì portavano questi nomi

, 1 ;. Strab. x v i, p. 737. Nella ni due fium i, i quali, calati

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Iistoboii, ed i Tettosagi. A’ Tettosagi che avean presa abitazione intorno al fiume Halys, i re di Siria pagavan tribu to , secondo- chè narra Livio ( xxxvm , 16 ) ; locchè non fecero g ii gratui­tamente , ma a condizione che quelli fornissero loro truppe ausir liane. Ed Appiano pure ( Hist. Syr. c. 3a ) e Livio ( x x x v m , 24 ) riferiscono che i mentovati tre popoli furono nell’ esercito d’ Antioco, allorquando egli guerreggiò co’Romani. » Schweigh.

(147) Compagni. Cavalieri erano pure i compagni nell’ esercito d ’ Alessandro Magno ( Diodor, xvm , p. 628 ) , e nella pompa cFAntioco Epifane (Polib. xxx i, 3). I l vocabolo greco ‘E7a/jm i , che nel testo ad essi corrisponde , significa propriamente am ici, ed indica che cotesto corpo era composto di giovani legati in­sieme con sentimenti di benevolenza ; onde viemmaggior esser dovea la loro emulazione ne’combattimenti. Di co tal gente dicesi eh’ era formata la sacra coorte de’ T ebani, che operò tanti pro­digi di valore , ed Eteri vuoisi che fossero i trecento Spartani ette con Leonida succumbettero alle Termopile. Non si applichi pertanto un senso men che onesto alla greca espressione , con­fondendo questi soldati amici colle Etere o cortigiane ; dappoi­ché Ateneo ( xvi , p. 571 ) ne insegna che onestissimo è il pri­mitivo significato di questa voce , la quale trasferita fu poscia

alle donne che fanno mercimonio del loro corpo, per coprire la turpitudine di co tal professione.

(148) D i scudi armati. è nel testo , cioè porta­

tori d i scudi. I S i f f i , a dir vero , sono secondo Polibio ( 11,

3o ) cosi i brevi scudi gallici, come i lunghi romani ; e Polieno ( Stratagem. ìv , Antig. 21 ) , e Diodoro ( x x i i , i 3 ) appellano 3-v f t tp i fov f i Galli armati , quando Plutarco ( .Emil. Paul,

p. 265 ) dà lo stesso nome a’ legionari! romani. Quindi io credo che S-iftts sia la denominazione generica di scudi, e che non

significhi precisamente, siccome vuole lo Schweigh. , lo scudo maggiore e bislungo, quale 1’ usavano i Romani. È pertanto da sapersi che i Galli conducevano seco in battaglia non solo le mogli ed i fig li, ma eziandio molta gente disarm ata, conforme scorgesi da’luoghi di Diodoro e di Polieno testé citati. Il perchè

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non dee recar maraviglia , se a’ combattenti di quella nazione , per distinguerli dalla turba inerm e, apposto viene dagli autori il qualificativo portatori d i scudo. Anzi io non dubito punto che , siccome ha già avvertito il Reiske, Polibio qui pure scrivesse I t tr

Svfteipif tvs TxXxlxs , senza separare i Galli dagli armati di

scudo coll’ interposizione della congiunzioue xtù , (e) ; e cosi ho

Voltato questo luogo.( i4g) Alessandro. Era costui , siccome vedemmo di sopra ,

governatore della Persia.( t5o) Callo nitide. K «A A ai/ìir. Strabone ( xi , p. 529 ) , e

Plinio ( v i , 3 i , 2 7 ) Chalonkis appellano questa provincia, e la pongono nell’Assiria, fra Ctesifonteed il monte Zagro. Quindi, sebbene non precisamente nella Media fosse esposto il cadavere di Molone, il monte su cui lo trasportarono essendo non lungi dal campo di battaglia, e dominando ad un tempo la Media , era cotesto sito il più opportuno al divisamente d’ Antioco.

( i5 i) Adigani. V oce, per quanto sembrò al Reiske, corrotta dal caldeo , D ajanin, giudici, cui è prefìsso l’articolo ,

come chi dicesse, i giudici. I l Casaubono appunto per cagione di questo articolo volle la mentovata parola araba o ebrea ; dap­poiché , conforme giustamente osserva lo Schweigh. , i Caldei non lo usavano. Autorizza a siffatta conghiettura 1’ affinità del- l’idioma siriaco coll’ebraico, e la probabilità che gl’ indigeni con nome vernacolo abbiano distinto un tribunale urbano.

( i5 '2) Gran cancelliere ec. Colui che presiede all’ economia militare , e comanda agli scribi ed a’ questori, siccome a’ nostri giorni gli ordinatori , o commessarii generali.

(153) Atropazie. V. la nota 124 di questo libro.(154) Trascuralo a’giorni d 1 Alessandro. Se crediamo a Stra­

bone ( xi , p. 525 ) , Atropato donde quella parte della Media trasse il nome , la difese valorosamente , e salvolla da’ Macedoni che 1’ aveano invasa , poscia vi stabilì un regno , e 1’ Artabazane qui nominato era suo discendente.

(155) I servigi della camera. Quelli che a’ nostri giorni p re ­stati vengono da’ Ciamberlaui, e da’ così detti gentiluomini d i

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camera , appostati nel palazzo per essere pronti a tutto ciò che occorrer potesse alla persona del re. - Potrebbonsi eziandio in siffatti servigi comprendere le ufficiose comparse ed i complimenti de’Grandi che vengon a ricevere gli ordini del Sovrano; c cotesti grandi erano distinti dagli amici e confidenti , fra i quali trova- vasi Apollofane, non già Ermea.

( i56) Acheo. Di costui vedi ìv , 8 e 46 , v , 4o.( i5^) Facendo fed e . Cioè dimostrando co’ fatti le accuse por­

tate contr’Acheo. Male adunque interpretò lo Schweigh. Jixptttp-

lupcptirtc, testans (scongiurando), aggiugnendo nel vocabola­

rio Polibiano che cotesta voce stà isolata , quasi per parentesi , e non è relativa a’ delitti d’ Acheo qui annoverati ; locchò non bene si comprende come possa esser» - L ’ Ernesti meglio colse nel segno (Graec. Lexic. voi. i , p. 5a) dando a Jia/uaplópofitet,

oltre il senso di scongiurare, obtestari, quello di far fede, in­segnare , dem onstraredocere .

( i58) Cirresti. Y. il cap. 5o di questo libro.( i5g) Siniride. Essendo in alcuni codici scritto Sieride ( Jnf-

f iS»s ) suppone lo Schweigh. , nè senza verisimiglianza , che

questi sia la medesima persona che Garsieri o Garsieride , il quale nel cap. 72 e segg. apparisce generale d’ Achco. Donde costui fosse stato espulso non si conosce ; tuttavia se è lecito di formar una conghiettura sulla desinenza del suo nome , ' non è improbabile eh’ egli fosse egiziano , comune essendo 1’ ultima sil­laba in ris a’ nomi di cotesta nazione , siccome vedesi in Mceris, O siris, Sèsostris , Bochoris ec. Nè credasi che a’tempi de’ To- lemei aboliti fossero gli appellativi vernacoli ; dappoiché in una inscrizione greca apportata , pochi anni sono , dall’ Egitto , ed appartenente ad una età molto posteriore, cioè all’imperio d’An­tonino Pio io lessi Senchonsisis e Sapaulis, nomi al certo di conio egiziano , siccome egiziani sono nella modesima i nomi dei mesi Pachòn e Famenòs in cui accennasi avvenuta la nascita e la morte del mentovato soggetto. - Del resto sarà forse cotesto Siniride o Garsieride stato giovevole ad Acheo pelle relazioni

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eh’ egli con Tolemeo coltivava , procacciando di ritornare per co tal guisa nella grazia del suo Sovrano.

(160) Tornò indietro. Non semplicemente mutato ilinere (can­giato il cammino ) , conforme traduce lo Schweigh., significando l ' i r i r r f i^M t che usa Polibio , voltatosi per fare un cammino

opposto al primo. Infatti era la Licaonia , a cui Acheo fii già vicino , molto più presso alla Siria , donde la dividea la sola Cilicia, che non la Pisidia situata a mezzodì della Frigia minore.

(161) Tagliò ec. I l Casanbono voltò questo luogo alquanto confusamente : omnium priorum sententias Apollophanes . . . . de numero sententiarum exem it. Con molto maggior proprietà e più convenientemente al significato del vocabolo i r t l t f t t che

leggesi nel testo tradusse lo Schweigh. omnes ante ipsum diclas sententias prcecidit. Io ho pure creduto di dover conservare nel volgarizzamento 1’ energica espressione di recidere , troncare , tagliare, in considerando che non senza eleganza dicesi tagliar le parole in bocca ad alcuno , tagliare il discorso , per far cessare le parole', il discorso; non altrimenti che Apollofane ces­sar fece le opinioni degli altri.

(i&a) Le sue imprese. Cioè quelle d’ Antioco.(163) Pe' casi d i Berenice , figlia di Tolemeo Filadelfo e so­

rella di T. E vergete , maritata con Antioco Teo. Morto questi, Seleuco suo figlio conceputo con altra moglie ripudiata, gli sue cedette ed uccise Berenice con un *suo figliuolino ; per la quale scelleratezza attirossi la guerra da Tolemeo. Giustino ( xz .ru , 1 ) ehiama costei Beronice , ed in alcuni codici di Polibio è dessa appellata Bernicc. Antioco Magno che ricuperò Seleucia era figlio di Seleuco uccisore della mentovata regina. V. la nota 106.

(164) Corifeo. Dal ceppo de’ monti che formano l’ Amano , e che separano la Siria dalla Cilicia, staccasi un ramo ch’estendesi lungo la campagna di Seleucia e d’ Antiochia e chiamasi P ieno.

' L’ estremità occidentale di questo ramo giugne al mare presso il golfo Issico , dov’ è oggidì Alessandretta , ed il nostro la deno­mina Corifeo , eh’ è quarto dire supremo , principale , forsa

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per denotare la maggior altezza di questo giogo appetto agli altri

gioghi del Pierio.(165) Torcimenti. Abbia scrìtto Polibio n » X m f t » n , come

hanno la maggior parte de’ codici, o , conforme leg-

gesi ne’ codd. Vatic. e Fiorent. , o , secondochè

piace allo Schweigh. ; siccome le respettive radici di questi vo­caboli , r x a io t , « « A iir , significano tutte tortuoso ,

obbliquo, cosi ho creduto che non disconvenga loro la voce ita­liana che ho preferita. Ma 1’ che, precede non mi è

sembrato significare flex ih u s (g iri, piegature), quale lo tradusselo Schweigh., prendendolo quasi per sinonimo di ;

che brutto pleonasmo ciò sarebbe. Sibbene equivale i f * \ i / t » ,

per quanto io credo, al latino inclinatio, derivato da lynXlim ,

inclino , e , trattandosi come qui di terreno, non può in volgare rendersi più acconciamente che per declivio , dolce discesa. La scala adunque in questo luogo descrìtta era composta di gradini separati fra di loro da declivii , e talmente congegnati, che ne risultava la forma di chiocciola, o di spirale , come quella eh’ h la più atta a rendere meno faticosa e quasi insensibile la salita più erta.

(166) Amice. Nome secondo il Bochart (Geogr. Sacr. p. 1 , lib. t , c. 1) dedotto da amuk o amik, che nella favella de’ Siri e degli Ebrei significa profondo. Se non che (V . Buxtorf. lex. Heb. et Chald. p. 564 ) amòk pQ y è in ebraico profondo , e

Tlpny > amukà , profonda , voce che più s’ avvicina all’ ipiixti del testo, eh’ fe pur femminile.

(167) D ' accosta ti ec. In ,tre momenti si distingue il maneg­gio delle scale che adoperarsi peli’ espugnazione d’ una fortezza. Nel primo vengon esse recate nella vicinanza delle mura, locchè richiede un terreno praticabile , e ciò chiama Polibio wptrftpì1

accostamento ; nel secondo si determina il luogo in cui le loro estremità inferiori hanno a saldarsi , e questo è significato col vocabolo rr&rtf , stabilim ento ; nel terzo appoggiansi le estre­

mità superiori al muro della città nemica , la quale operazione esprìme la voce vp i r ^ in r , appoggiam ene.

1 6 7 '

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(168) La cittadinanza e gli effetti. - Leges suas civitati, et juas cuique privato rum facultates redd id it, tradussero il Casaub. e lo Schweigh. , non riflettendo , eh’ essendo Seleucia città della Siria e patrimonio d ’ Antioco, questi col solo riprenderla, senza alcun atto particolare, le restituiva le sue leggi , le quali dovean pur essere le leggi comuni, con cui tutto il regno era governato, e non proprie , leges suas , quasiché fosse stata città libera. 11 perchè io non dubito, che <lt»7»~n relativo sia a Itili wtQtvyilttc

( fuorusciti ) , e *<>A<7i/* significhi i diritti che godono i citta­

dini, ridonati a coloro che peli’ esilio gli avean perduti; siccome gli effetti non a tutti i cittadini furono restituiti, sibbene agli stessi fuorusciti che n’ erano stati spogliati.

(169) Teodoto. Era costui diverso da Teodoto Erniario, del quale è fetta menzione in parecchi luoghi di questo libro.

(170) V alle detta M arsia. V. sopra c. 45.(171) Le strette d i Berito. V. la nota i 3o di questo lib ro ,

ove sull’ autorità di Strabone feci conoscere che la valle Marsia riusciva dal lato del mare a Berito. All’ esito adunque di co testa valle pyre che fossero le strette qui mentovate.

(173) Saettie. KiA«7ir è il nome che dà Polibio a questo ge-

pere di picciole n av i, cui corrisponde in latino celoces. Nel senso primitivo denota siffatta voce in amendue le lingue un cavallerizzo che salta da un cavallo all’ a ltro , (desu lto r) ovve­ramente il cavallo medesimo ( equus desultorius ). Per similitu­dine chiamaronsi cosi le navi sottili che hanno un solo remeggio, e corrono con grande velocità , e per tal cagione appellaronsi cosi ancora i legni da corsale. V. Esichio in KtA*r, e Forcellini

in Celox. Il vocabolo italiano contiene una viva imagine di grande celerità.

(173) Chiudevansi le bocche de’ canali. Tengo con Suida , col Reiske e coll’ Ernesii , i quali leggono , chiu­

dersi , e rigetto 1’ à m rr t / ta vr , dischiudersi, che preferisce lo

Schweigh. ; perciocché essendo intenzione di Tolemeo d’ inon­dare il terreno per impedir ad Antioco l’ingresso in Egitto, era ben naturale eh’ egli facesse otturar le bocche, o dir vogliamo

i ,G8

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le uscite de’ canali ; donde avveniva che 1’ acqua in essi conte­nuta, crescendo sempre per quella che da tergo affluiva, e pieno trovando il solito alveo , traboccava ed allagava la campagna. La qual cosa come poteva accadere , se aprivano le anzidette bocche? Ma lo Schweigh. credette falsamente che per inondar il piano era necessario di aprir i canali col farvi de’ tag li, loccliè non volle certamente indicar Polibio , usando vocabolo tale che racchiude l’ idea di bocca , orifizio.

(174) fo ss id a M eliteo. Era Melitea città della Ftiotide , di­stretto della Tessaglia , e siccome , a detta di Strabone ( ix , p. 433 ) , tutti i Ftioti chiamavansi Achei, cosi non è da ma­ravigliarsi , se altrove ( c. 65 ) Polibio appella il medesimo Fos- sida Acheo, n i v’ avea d’uopo, siccome piacque allo Schweigh., che questo duce dimorasse qualche tempo nell’ Achea del Pelo­ponneso, per acquistare siffatto cognome.

(175) Cnopia A lorite. A loro, ovveramente Oloro, oggidì Dia* noro, è città della Macedonia mediterranea n d distretto de’lòrori. (V . Tolem. n i , i3 ).

(176) E f u ben ventura ec. Nè i duci, nè i soldati della Grecia asiatica mai valsero tanto , che potessero star ' a fronte del valore e della scienza militare eh’ erano ne’ Greci d’ Europa. Quindi i potentati dell’Asia, per quanto abbondassero di sudditi, nelle guerre ogni loro fiducia collocavano nelle forze che trae­vano dall’ E uropa, e ne’ capitani che di colà venivan al loro soldo. V. la nota 96 di questo libro.

(177) Demetrio ed Antigono. 11 primo fu padre , il secondo patrigno e tutore di Filippo che allora regnava in Macedonia.

(178) Aspendo. Città della Panfilia nell’ Asia minore fabbri­cata dagli Argivi ( Strab. xii , p. 570 , xiv . p. 667 ). Notisi che Andromaco , non dalla molle Panfilia , ma dalla Grecia re­

tava il suo impeto ed ingegno.{179) Agema. V. la nota 68 di questo libro.(180) Dora. Città marittima della Fenicia , a mezzodì del

monte Carmelo , erroneamente posta da alcuni nella Galilea. (V . Tolemeo v , i 4> Joseph, contra Appion. p. 1067 éd 1611).

Doron la chiama Plinio ( v , 17, 19).

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(181) E pe?soccorsi. Nicolao, poiché erasi ritirato dall’ assedio di Tolemaide, dovea essersi avvicinato a D o ra , non molto da lei distante verso mezzogiorno , e quindi trovarsi in situazione opportuna per mandare soccorsi in quella città ; ma Lagora e Dorimene , che Antioco dopo la ritirata di Nicolao discacciati

avea dalle strette di Berito , ( c. 61 ) non è probabile che po­tessero ridursi in D ora , conforme suppone lo Schweigh., dap­poiché Antioco subito dopo averli sconfitti , awiavasi alla stessa città. Laonde io non dubito punto che 7u t in

plurale accenni li frequenti e successivi ajuti che il generale di Tolemeo, il quale avea avuto tutto 1’ agio di ritirarsi di là di Dora , vi andava mandando , e non sembrami tanto superfluo quanto sembrò all’ anzidetto commentatore il subinde che ' il Casaub. aggiunse all’ opem fereba l.

(182) A d Antioco. Ad Ptolemseum scrisse il Casaub. ; e Sif­fatti a prima giunta parrebbe ragionevole che agli ambasciadori mandati ad Antioco non si facessero vedere gli apparecchi di guerra , affinchè non ne dessero contezza al loro sovrano. Ma riflette opportunamente il Gronovio ? che neppure gli stessi am­basciadori spediti da Tolemeo avean ad esser al fatto di quegli arm am enti, onde, corrotti forse da Antioco , non gli palesassero tutto. E più a proposito ancora osserva lo Schweigh. , che gli oratori mandati ad Antioco non erano Egiziani, ma Rodii , Bi­

zantini ec. , conforme apparisce dal cap. 63.(183) N on esser tanto grave il danno ec. Cioè quanto Tole-

meo spacciava per danno e manifesta ingiuria. Sembrami per­tanto che tutta 1’ espressione , siccome eli’ è nel testo , ha un certo che di duro e d’ improprio che volentieri avrei causato nel volgarizzamento, se non avessi temuta la taccia di soverchia licenza.

(184) Antigono il Losco. Cieco d’un occhio. Fu egli il prim o re di S iria , e gli succedette Seleuco Nicatore , dal quale fu uc­ciso in battaglia. Eran a lui nella divisione dell’ impero d’ Ales­sandro toccata la Panfilia , la Licia , la Frigia Magna, e poscia eziandio la Persia e la Cilicia. Ma essendo suo figlio Dem etrio,

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eh’ egli avea lasciato nella Celesiria per opporsi a’ progressi di Tolemeo Lagide , stato da questi rotto , passò egli .stesso il Tauro con un poderoso esercito , ed occupò la Siria e la Feni­cia , già tenute da Tolemeo, il quale, tenendosi a lui inferiore

di forze, sgomberò quelle provincie senza combattimento, avendo pria distrutte le città principali da sè tenute. V. Diod. Sic. xvm , pp. 6 3 8 , 648 , x ix , pp. 721 , 729; Justin. xv , 4.

(185) Cassandro , Lisimaco. De’ generali d’ Alessandro il pri­mo che dopo la sua morte si fece proclamar re, fu Antigono in Siria. L’esempio di costui fu seguito da Tolemeo suo grande ri­vale. Appena ebbero di ciò contezza Cassandro e Lisimaco, che si cinsero essi pure la reai benda, e quegli divenne signore della Macedonia , questi della Tracia. Frattanto avea Seleuco conqui­stata 1’ Asia maggiore, ed i re summentovati temendo la potenza e la bravura d’ Antigono, che colla sola fama della sua venuta avea vinto Tolemeo , eccitarono quel nuovo felice avventuriere ad associarsi con loro per perder il re di Siria ; locchè eziandio accadde. Allora Sdeuco , per concessione degli alleati, aggiunse alle sue possessioni il regno della Siria , e stabili la dinastia dei Seleucidi , che vi dominò per ben due secoli e mezzo , finché ne fu spogliata da’ Romani. V. Diodoro, Giuslino.

(186) E Tolemeo. Ben 'mi maraviglio come nessuno degli edi­tori e commentatori di Polibio siasi avveduto che qui non potea stare Seleuco , dappoiché la concessione era stata fatta a lui dagli altri alleati , eh’ erano Cassandro , Lisimaco e Tolemeo, ed a lui spettava l’ accettarla. Nè v’ avea fra que’ re due Seleuci, nè dovea esser omesso Tolemeo.

(187) Tutta quanta la Siria. Non osta a ciò l’asserzione poca appresso riferita dagli ambasciadori di Tolemeo , aver il Lagide pattuito con Seleuco che a sè rimarrebbe il dominio della Cele­siria e della Fenicia; potendo sussistere, che , a malgrado di questa condizione segreta , il re d’ Egitto nel pubblico trattato abbia insieme cogli altri re accordata a Seleuco tutta la Siria.

(188) Per via d i com uni amici. Cioè degli ambasciadori dei

R o d ii, de’ B izantini, de’ Ciziccni e degli Etoli , che per sola

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ufficiosità eransi intromessi fra i due sovrani litiganti, nè avean potestà d’ imporre o di minacciar ad alcuno di loro.

(189) Gaia. Città della Giudea secondo Tolemeo ( v , 16 ) ;

secondo Plinio ( v , i 4 ) dell’ Idumea , poco lungi dall’ Egitto. Era essa mediterranea , ma avea io t qualche distanza un eccel­lente porto.

(190) Le strette presso a Platano. Giuseppe (Bell. Jud. 1, 27) rammenta un villaggio ( ) della Fenicia chiamato n \* lx*n

(P ia tan e) nella vicinanza di Sidone, e da Tolemeo ( v , 14 ) scorgesi che v’ avea nella Siria a mezzodì di Laodicea sul mare una città denominata Platano. Qui non è dubbio che si trattasse della Piatane Fenicia, giaechè Antioco corse senza incontrar ne­mici sino a Berito , fra la quale e Sidone dovean esser le men­tovate strette. Non è quindi improbabile , siccome ha già osser­vato lo Schweigh», che le strette di Berito mentovate -di sopra al cap. 61, siano le medesime che le qui riferite.

(191) Potfireone. Stef. Bizantino, secondando forse il nostro , la chiama città della Fenicia. Procopio la dice villaggio; e dis­fatti nè di questa , nè di Piatane , siccome di luoghi poco rag­guardevoli , fanno menzione i geografi più antichi di Stefano.

(ig?) Marato , è collocata da Tolemeo (1. c.) nella Casiotide, provincia della Siria così detta dal monte Casio che in quella sorge. Plinio ( v , 17 ) la pone di rimpetto all’ isola, d’ Arado ;

dond’ è da supporsi eh’ essa col suo territorio formasse il conti­nente degli Aradii , o che almeno vi confinasse.

(ig 3) Faccia d i Dio. ©«•<» wflr ttrat. Nome d’ un promon­

torio, ove giusta Strabone (xv i, p. 754) finisce il Libano. Plinio 1’ ha sorpassato. Presso a questo è Tripoli e fra l’ uno e 1’ altroil castello di Trieri.

(194) Calamo , fu omessa da Strabone ; non così da P lin io ,il quale ( v , 17 , 20) Botri , Trieri e Calamo ricorda di con­formità col nostro. Tolemeo ( 1. c. ) di Botri sola fa menzione.

(ig5) Lieo. Plinio ( 1. c. ) mette fra questo fiume e Borito la città di Leanto , non dimenticata da Strabone , ( x v r, p. "5 6 )

ma trasandata da Tolemeo, non meno che il fiume Lieo.- Se le

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strette presso al Lieo fossero diverse da quelle di Berito e di Platano fe difficile a dirsi, benché sia improbabile che ad uti solo passaggio angusto siensi assegnati tre luoghi.

(i g6) Damura. Lo stesso' fiume che Strabone ( 1. c. ) appella Taruyras , è Plinio corrottamente Mago ras. — A più chiara in­telligenza di quanto abbiamo fin qui riferito circa lfe differenti notizie che sulla costa della Fenicia ne forniscono i tre più ce­lebri geografi dell’antichità che' conosciamo con Polibio confron­tati , gioverà in altrettanti abbozzi rappresentar all’’ occhio gli oggetti da loro espressi.

( 197) D el monte Libano. Forse dell’ Antilibano , il quale se­condo Strabone ( L c. ) principia alla marina di. Sidone , dove allora marciava Antioco.

(198) Tagliato. Vedi bellissima immagine che ci' offre uno scrittore, tacciato dalla pedanterìa di secchezza di stile, e povero d ’ ornamenti dichiarato. T ra le falde dell’ Antilibano ed il mare è un piano ristretto , ma intersecato da un’ aspra eminenza , fa­cente angolo’ Colla serie maggiore de’ monti. Quest’ ostacolo , che alla marcia d’Antioco s’attraversa, è'rappresentatosotto la figura d ’ un cinto o cerchio che stringe il corpo a mezza vita , e quasi in due parti il divide : che’ tal è la forza del (da

Jiugvttvf t ì metter il cinto ) con ardita e felice metafora tras­

portato alla strìscia mqntuosa che tronca la continuità del piano summentovato. Transversim interceptus tradusse lo Schweigh. , ed io era tentato di scrivere precinto , se tagliato non mi fosse

parato assai più conveniente a ll’ liso della nostra favella.(199) Sul lago. Questo è il lago di Genesaret o Tiberiade ,

la di cui metà occidentale appartiene alla Giudea , 1’ altra , che riesce pi piano di Scitopoli ( chiamato Bet-san dagl’ indigeni ) forma il confine fra la Giudea e la Decapoli della Siria. V.

Tolem. v , i 4 , >6 ; Joseph, antiq. Jud. v , p. i 4 » > Plin. v , 16, 18 - Filoteria sembra che fosse nella Giudea, e che traesseil suo nome da Piloterà , sorella di Tolemeo l i , che fabbricò questa città , ed un’ altra ancora così denominata fece sorger in Arabia. Y. Strab. x v i, p. 769.

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(aoo) Atabiria. Monte di Tabor» che Gioseffo (bell. Jud. ìv , i ) chiama lla b irio , e discordando non poco dal nostro, ma senza dubbio di lui più instruito, dice eh’ è alto trenta stad ii, inac­cessibile dalla parte di settentrione, ed ha sulla cima1 un piano di venti stad ii, non facendo menzione d’ alcun castello su quello fabbricato.

(aoi) Che ha la fo rm a d i mammella. Cioè a dire conica, o , per usar una similitudine a’ tempi nostri famigliare, di pane d i zucchero. Lo Schweigh. con determinazione troppo vaga tradusse in rotundo colle : meglio alquanto il Casaub., in colle leniter se attollenle. lo ho voluto conservare la proprietà del testo , dove col bell’ epiteto d i f t t t m i t i n t è mirabilmente dipinto l’ in­

sensibile decrescimento del monte dalla base ed il suo finire in una vetta non del tutto appuntata, qual si è la cima della mam­mella , o d ir vogliamo il capezzolo.

(101) Fella. Città della Deca poli, celebrata da Plinio peli' ab­bondanza delle sue acque. — Camo sembra la stessa che Cantone JlOp situata nella Galaitide ( J lidie. 10 , v. 5 ) - Di Gefro non

parla nessun autore, ed il Reiske crede di scoprir in questo no­me una somiglianza con quello di Ebrone, alla qual’ ipotesi con­traddice pertanto la distanza di questa città dalle altre qui ram­mentate , trovandosi essa nel centro della Giudea presso a Ce­

roso li m a . Forse è la medesima che Tolemeo ( v , 16) chiama Gazaro, siccome Camo la Cosmo dello stesso autore , amendue situate sulla sponda orientale del G iordano, non altrimenti che la Decapoli, a cui appartenevano Scitopoli e Pella.

(ao3) Arabia. È questa 1’ Arabia pfitrea , e singolarmente la nazione de’ Rateni presso i monti che la dividono dall' Arabia feline. ( Tolem. v , 17 ).

(ao4) Gaialide. Gioseffo la chiama Galaadite , e G aladene, cui s’ approssima il nome ebraico , G hilaad

(ao5) Abila. Tolemeo ( v , 14 ) pone A bida e Gadara fra 1’ Antilibano , il monte Ippo ed il lago di Genesaret : situazione precisa che la scrittura ( Deuteron. 111, Josue xm ) assegna alla

174

Page 175: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

G a la a d i t e , d o v e n e l m o n te C h e rm o n fac ilm en te s i rico n o sce

1’ A n tilib a n o (*) , e n e ’ m o n ti d e l G h ila a d l ’ Ip p o .

(•206) M e n n e a . « È s in g o la r e , c h e il N icia , d i cu i t r a t t a s i ,

f u d is tin to d a P o lib io col d ire e h ’ eg li e ra p a d re d i M ennea ,

u o m o eg u a lm en te o sc u ro . M enneo p a d re d i T o le m e o , s ig n o re

d e lla C a lc id en e n e lla S i r ia , è ra m m e n ta to d a GiosefTo e d a S t r a ­

b o n e ( x v i , p . 7 5 5 ), m a eg li è d ’u n seco lo e m ezzo p o s te rio re »

S ch w e ig h a u se r .

(3 0 7 ) R a b b a ta m a n a . N e lla sc r i t tu ra ( D e u te ro n . I. c .) è q u esta

c i ttà c h ia m a ta R a b b a ta -H a m m o n ita r u m , e fu g ià la re sid en za

d e l g igan tesco O g r e d e ’ B a ssa n iti, le d i cu i possession i in siem e co n

q u e lle d i S ich o n r e d i C h e sb o n d iv e n n e ro la G iu d e a P e re a (**).

L o S c h w e ig h . su p p o n e c h e fosse F ilad e lfia p o s ta d a G ioseffo

( b e ll. Ju d . 111, 4 ) n e ll’ e s tre m ità o r ie n ta le d e lla P e re a ; m a P o ­

l ib io d ice esp ressam en te e h ’ e ra n e ll’ A ra b ia , e d A ra b i e ra n o g li

A m m o n iti , d o n d e tra sse i l n o m e.

(308) S a m a r ia . P ro v in c ia , seco n d o G ioseffo ( 1. c . ) s itu a ta f ra

la G iu d e a e la G a lile a . L a c a p ita le d e llo stesso n o m e fu g ià r e ­

s id en za d e ’ r e d ’ Is ra e lle , fa b b ric a ta d a l r e A m ri s u l m o n te So-r

m e ro n . L a d is tru sse S a lm a n a ssa re r e d ’ A s s ir ia , e , fa tta e m ig ra r

d a qu e lle c o n tra d e tu tta la p o p o la z io n e , v i m a n d ò a d a b ita re i

C u te i , n az io n e p e rs ia n a c h e s ta b ili c o là l’ id o la tr ia .

(2 0 9 ) P e d n e lis s e i. S tra b o n e a n n o v e ra P e tn e lis s o f ra le c ittà

d e lla P a n f i l ia , e la p o n e n o n lu n g i d a A sp en d o ,( x i v , p . 6 6 7 ).

C o là P lin io p u re ( v , 2 6 ) la co lloca ; m a A r te m id o ro c ita to d a

S tra b o n e ( x i i , p . 5j o ) la m e tte n e lla P is id ia , la q u a le se co n d o

T o le m e o ( ìv , 5 ) facea p a r te d e lla P a n filia . C ic e ro n e c h e la

(*) Nel laego citato dal Deuteronomio è detto che i Sidooii chiamavano

Scirion il monte Chermon. Ora sappiamo da Strabono che 1* Antilibano esten-

devasi sino alla costa d i S idone, ed il re Davide ( Psalm. 3 9 ) parla del L i ­

bano e del Scirion come di monti gemelli ; quindi non crediamo d* aver qui

proposta nna vana conghiettara.

(** ) Da ff i pn t fOl t r * che usasi singolarmente parlando d’ «n fidine ; come

chi dicesse Giudea Oltre-giordanica. Con questa d e n o m in a to n e icdicaras i la

Giudea situata ad Oriento del G iordano.

l ’j S

Page 176: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

e sp u g n ò an d a n d o n e lla O ilicia c lie g li e ra to c c a la -" in p r o v in c ia ,

la c h iam a P in d e n is s o , e V a ttr ib u is c e a ’ C ilic ii lib e r i ( e p . a d .

fam il. x v , 4 )• T o le m eo co m e il n o s tro l’ a p p e lla , e P ed n e lisso

è i l suo n o m e p resso S te fan o B iza n tin o . I l C a sau b . n e lle n o te a

S tra b o n e g iud iz io sam en te o p in a ' ch e ab b ias i a se g u ire la lez io n e

d i P o lib io ) a n te r io re ag li a l tr i c h e d i q u es ta c ittà d a n n o co n tezza .

( a io ) Se lg e i: L a c ittà p iù c o n s id e ra b ile d e lla P is id ia e ra S e lg a

se co n d o S tra b o n e ( x u , p . 56g e seg. ) , e fa b b ric a ta d a ’ L a c e ­

d em o n i!’, l ib e ra com e P èdneU sS ò , e m o lto popolosa .'

(211) S c a la . « I l m o n te C U m ace ( c h e ta l su o n a S c a la n e ll’ i-

d io m a d eg li E lle n i ) se p a ra la L ic ia e la M iliade , e h ’ è co n s id e ­

ra ta o d a p a r te d è lia L ic ia , d a l la P is id ia e .d a lla P a n f ilia ., e d i ­

v e n n e c e le b re 1 p e lla m arc ia <f A le ssa n d ro M agno (P lu ta rc . in A lex ,

p . 6 7 3 e s e g .) . P e r q u e l m o n te , a ;c h i d a lle p a r t i b cc id en ta li

d e ll’ A sia m in ó re v iagg ia v è rso o r ie n te , ofTronsi d u e p assag g i ,

siccom e in se g n a S tra b o n e ( x iv , p . 6 6 6 ) : P u n o d à lia L ic ia

p ro p r i am en te cosi d e tta n é lla P a n f i lia , p e r quelle s tre tte c h e so n a

d ie tro le c ittà d i F a s e lo f r a lo stesso m o n te e d i l m a r e : l ’ a ltro

d a lla M iliade n e lla P is id ia p e lle stèssè fauci d e ’ m o n ti, n o n lu n g i

d a T e n n e s s o , c ittà d e lla P isid ia . O ra G a rs ie r i c h e A ch eo sp e d ito

lavea d a lla L id ia , d o v e v a e n tra re n e lla P is id ia p e r la M ilia d e : il

p e rc h è so n o qu i d a in te n d e rs i co tes te s tre tte c h e o c c u p a ro n o i

S e lg e i , la cu i p o ten za in q u e lle c o n tra d e se m b ra essere s ta ta

g ra n d e » S ch w e ig h a u se r .

(2 J 2) S a p p rd a . S tra b o n e p a r la n d o de’n o m i d i lu o g h i c h e h a n n o

u n sig n ifica to sozzo ( i n i , p . 6 1 9 ) a d d u c e p u re quello d i S a ­

p e r d a , pesce d i pessim a q u a lità ch e sa la to v en iv a d a l P o n to

( V . E sich io ; V o ss. E ty m o lo g ic . ; C asaub . ad A ten . v i i , c . 1 7 ) ,

e q u a n tu n q u e egli n o n accen n i q u a l luo g o fosse cosi a p p e lla to ,

n o n è im p o ssib ile c h e avesse in m en te il passagg io q u i r a m m e n ­

ta to d a P o lib io , d ’ u n a so la vocale a lte ra to .

(213) P e rg a . C ittà po co d is ta n te d a P ed n e lisso n e lla P a n f ilia

m e d ite rra n e a , c e leb re p e r il tem p io d i D ia n a P e rg e a c h e so rg ea

n e lla sua v ic in a n z a , e d o v e faceasi c iasch ed u n a n n o so le n n e c o n ­

g resso . ( S tra b . x iv , p . 6 6 7 ; T o le in . v , 5 ; P lin io v , 2 6 ).

17 6

Page 177: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

( a i 4) E te rn ic i. Q u esta n az io n e o b b lia ta d a ’ geografi d e e p u r

e sse re s ta ta p o te n te , a g iu d ica re d ag li a ju ti c h e m and& a d A cheo .

A b ita n d o e s s a , secondo la descriz io n e d i P o l ib io , le m o n ta g n e

d e lla P is id ia so p ra S id e , c ittà s itu a ta su l m a re d e lla P a n filia ,

co n v ien c re d e re c h e tu tta la p a r te m o n tu o sa d e lla P a n f ilia com ­

p re sa fosse n e lla P isid ia . E d in fa tti n e lla P is id ia p o n e T o le m eo

( v , 5 ) e P ed n e lisso e S elga c h e h a n n o p o siz io n e m o n tu o sa .

(215) A n tio c o c h e m o r ì in T ra c ia . « D i co stu i n o n tro v a s i

a lcu n a n o t iz ia , e L ao d ice c h e m a rita ss i a d A ch eo fu fig lia d e l

r e M itrid a te , co n fo rm e r ife risc e P o lib io ( v m , a 3 ) , n o n d i

qu esto ig n o to A n tio c o , sicco m e a p p a r ir p o tre b b e d a questo p asso »

S ch w eig h au se r.

( a i6 ) E se m b r a a m e . C iò c h e fa ca d e re g li u o m in i n e lle r e t i

c h e so n o lo ro tese d a ll’ a ltru i p e rfid ia , n o n è g ià so la m e n te il

n eg le tto s tu d io d e lla s to ria , e l ’ ig n o ra n z a de’ casi sim ili a v v e n u ti

a ’ lo ro m a g g io r i , siccom e P o lib io afferm a , m a g ran d iss im a p a r te

v i h a n n o le s fren a te p a s s io n i, e s o v ra ttu tto l ’ am b iz io n e e l ’ a v a ­

r iz ia , ig n o te a ’ b r u t i > c h e la ra g io n e o ffu scan o , e 1 facile a co n ­

seg u irs i le ra p p re se n ta n o c iò c h e a l tr i n o n p o te ro n o tten e re . N on

ig n o rò C esare a l ce rto la m ise ra f in e d i A lessan d ro , n è q u e l

co n q u is ta to re c h e fu i l te r ro r d e ’n o s tr i te m p i, la m o rte sc iag u ra ta

d i C esare , e tu tta v ia la sc ia ro n s i a m e n d u e d a ll’ in d o m ita vog lia

d i s ig n o re g g ia re , tra s c in a r a l v a rc o d o v e i l d e s tin o g li a tte n d e v a .

(a 17) E d e l le a s s id u e r ic e rc h e e c . S ig n ifican tissim a esp ressio n e

q u i u sa P o lib io , c h e la so la g reca fav e lla g li p o tè so m m in is tra re ,

la qu a le , a p p icca n d o la des in en za « ru m a c e rte affezion i o q u a ­

l i tà d e ll’ a n im a , n e in d ica il su p re m o g ra d o . C osì è

la g iu stiz ia quasi p e rso n if ic a ta ; i v Q p t r iw 1’ im p e r tu rb a b il a lle ­

g rezza e d i l a r i tà , q u a le si c o n v ien e a d u n a seguace d i V e n e re

c o n q u es ta n o m e d e n o ta ta ; f t i t i p t r v t n la m e m o ria n e lla su a ec­

ce llenza , e d eg n a di' q u a lif ica re la m a d re d e lle M u s e , c h e p a r t i

p u r so n o d e lle se n sa z io n i, d i cu i fa 1’ u o m o te so ro n e lla sua

m em o ria . C osì in questo lu o g o t r tX v r f» y /* t t v r n sign ifica la lo ­

d ev o le c u rio s ità m a d re d ’ o g n i s a p e re , m ercè d e lla q u a le c o n in -

roLuuo , tomo u t. 1 a

*77

Page 178: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

defessa diligensa investighiamo la Datura degli oggetti, e le cause

degli avvenimenti.( a l 8) S fo n a r o n o U a tr io . T t i i t à v X n 't i t l ^ i f t t n ) f i m r i f t t t t t t

p ro p ria m e n te > f e c e r o f o n a a l le p o r te d e l t a t r i o , le q u a li a p r i ­

v a n o in te rn a m e n te , m entrechfe q u e lle d e lla s tra d a a p riv a n si d i

f u o r i L ’ a tr io e ra la sa la c h e d a v a in g resso a lle s ta n ze in te rn e .

(219) V affinità ec. V. la nota a io .(120) I G a lli E gosagr. C osi leggesi in tu t t i i l ib r i a p e n n a e

a s ta m p a , e n o n T e t to s a g i , s iccom e sc riv e i l C asau b . D a l cap i­

to lo se g u en te veg g iam o d i e la sed e d i co s to ro e ra n o le c o n tra d e

d e ll’ E lle sp o n to , d o v e se c o n d o L iv io ( x x x v m , 1 6 ) e ra n s i s ta ­

b i l i t i i T ro c m i m o lto tem p o ad d ie tro . Q u in d i c o n ra g io n e lo

S ch w e ig h . n eg a c h e i G a lli q u i m e n to v a ti fo ssero i T e tto sa g i , ì

q u a li g iu sta lo s to r ic o ro m a n o a b ita v a n o le re g io n i in te rn e d e l-

1’ A sia d i q u a d e l T a u ro , e fu ro n o sc o n fitti d a llo stesso A t ta lo ,

c h e ricu sò d i p a g a r lo ro t r ib u to , siccom e facevano g li a l t r i p o ­

te n ta ti asiatic i.

(221) C u m a , F o c e a , S m im a . C ittà m a r ittim e f ra d i lo ro v i­

c in e ; le p r im e n e ll’E o l id e , l ’u ltim a n e lla Jo n ia . - D i F o c e a use) •

la co lon ia c h e fa b b ric ò M arsig lia .

(222) E g e i-T e n tn iti . E g a e T e m n o c h ia m a S tra b o n e ( X in ,

p . 621 ) le c ittà d a c o s to ro a b ita te , am en d u e n ell’ E o lid e .

(22S) T e ii-C o lo fo n ii . E ra n o T é o e C o lo fon io c ittà s itu a te su lla

co sta d e lla Jo n ia . L a p r im a fu p a tr ia d e l so av issim o A n a c re o n te ,

e d e lla su b lim e E r in n a , em u la tr ic e d ’ O m e ro . L ’a ltra ce le b ra v a s i

p e li’ ecce llen te su a ca v a lle r ia , la q u a le d a v a la v itto ria a q u e lla

p a r te p e r c u i c o m b a ttev a ; d o n d e n a c q u e i l p ro v e rb io : C o lo p k o -

n it tm a d d e r e , p e r f in ir u n a im p re sa , siccom e la g u e rra fin iv asi

p e li’ ag g iu n ta d e ’ cav a lie r i C o lo fon ii. ( S tra b . x iv , p . 643 ).

(224) Caico. Sono d’ accordo col Reiske , che non L ieo , (fiume della Frigia e della Caria che sbocca nel Menandro, dal sito che occupava Attalo troppo lontano ) sibbene Caico abbiasi a leggere, il qual fiume divide 1’ Eolide dalla M isia, in cui At­talo allora entrava.

(225) C a w e i. S tra b o n o ( x i i r , p . 6o3 ) ra m m e n ta n e lla T ro a d e

i^B

Page 179: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

Careso c h e , flo rid a a ’te m p i d ’ O m e ro , e ra a ’ su o i te m p i d e se rta ;

la Caresene reg io n e m o n tu o s? e p ien a d i v i l la g g i , e d i l fium e

Careso c h e 1’ a ttra v e rsa . - N o n è a d u b ita rs i c h e i a qu e lle p a r t i

a b ita s se ro i C a rse i d e l n o s tro , d a p p o ic h é e n tr a r d ee n e lla T ro a d e

c h i , c a m m in a n d o v e rso se tte n trio n e , esce d e lla M isia , siccom e

fece A ita lo .

(336) D id im a tic h e , N o n c o m p re n d o co m e p o tè v e n ire n e lla

fan tasia a llo S ch w e ig h . c h e le cas te lla q u i m e n to v a te fo ssero fab ­

b r ic a te su l m o n te D in d im o c h e so v ra s ta a C iz ico , ce leb re p e l

te m p io c h e g li A rg o n a u ti v i d e d ic a ro n o a lla m a d re d eg li D e i ,

q u in d i ch ia m a ta D in d im e n e ( S tra b . z ì i , p . 5^5 ) . L ’ u n ic a c im a

c h e se co n d o i l te s té c ita to g eografo a v e a q u e l-m o n te n o i ren d ea

a l c e rto a tto a lla d o p p ia d ifesa c h e , a d e tta d e l n o s tro , desso

av ea . O ltra c c iò , essen d o si A n tio c o , e n tra to a p p e n a n e lla M isia ,

d a^ q u esta a l lo n ta n a to , p e r e n tr a re n e l te r r i to r io de’ C a rse i ch ’e ra

n e lla F r ig ia m in o re , n o n p o te v a eg li esse r g iu n to n e lla v ic in an za

d i C izico p re sso a l m a re , f ra il q u a le e la F r ig ia e ra il m ag g io r

tr a t to d e lla M isia d a lu i n o n v arca to .

(227) I I p ia n o d i A p ia . Io so n o te n ta to d i leg g ere A p o llo n ia ,

i n c o n s id e ra n d o c h e A p ia n o n è d a ’ g eografi n o m in a ta , n è f ra le

c ittà d e lla F r ig ia , n è f ra q u e lle d e lla M isia , m a c h e T o le m eo

( v , 1 ) p o n e A p o llo n ia su l R in d a c o n e lla M is ia , e S tra b o n e

( z ì i , p . 5y 5 ) s e m b ra c h e la c o llo c h i n e lla F r ig ia ; r if le tte n d o

in o ltre c h e il fium e M egisto p o c o ap p resso ra m m e n ta to e ra p ro ­

b a b ilm e n te il M a c e s to c h e a d e tta d i S tra b o n e ( 1. c . ) e d i

P lin io ( v , 4o , 3a ) sb o cca n e l R in d a c o , e n o n g ià i l R in d a c o

stesso , co n fo rm e d ie tro lo S co liaste d ’ A p o llo n io R o d io ( tro p p o

p o s te rio re a’ m en to v a ti g e o g ra f i, n o n c h e a P o lib io , p e r f a r au ­

to r ità ) so stien e lo S c h w e ig h . A ita lo p e r ta n to , il q u a le c o n u n

e serc ito v itto rio so p e rc o rse av ea la Jo n ia , 1’ E o lid e e la M isia ,

g iu n to e ra a ’ c o n fin i d e lla B itin ia , d o v e g iusta P lin io ( 1, c . )

s c o rre il R in d a c o . Q u i e ra s itu a ta 1’ A p o llo n ia , la cu i ca m p a g n a

g u as tò ; po sc ia v o lta to si a d e s tra senza p a ssa re il m e n to v a to fiu ­

m e , p e rv e n n e eg li alle sp o n d e d e l M acesto p e r f in ire il eo n q u is to

d e lla M is ia , c h e g li e ra s ta ta ra p ita d a A cheo .

Page 180: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

(328) P e le c a u te . N o n p a r e c h e q u esto m o n te fosse t r a i p rò

ra g g u a rd e v o li dell’.A sia m in o re , d a p p o ic h é P o lib io so lo n e p a r la .

L a su a situaz ione d o v e a esse re f ra i f iu m i R in d ac o e M acesto .

( V . la n o ta an teced en te ).

(339) E c c lis sa ta la la n a . Q u an d o n e ll’ u ltim a g u e rra m aced o ­

n ic a , n a r ra T . L iv io ( x l i v , 3 7 ) , il tr ib u n o S u lp ic io G a llo

p re d isse l’ o sc u ram en to d e lla lu n a c h ’ e ra p e r se g u ire la p ro ss im a

n o t t e , n o n {spacciandosi p e r in d o v in o , m a -d im o s tra n d o d i e c iò

p e r o rd in e d i n a tu ra a te m p i d e te rm in a ti accade : i G a lli r e p u -

ta r o n i R o m a n i d i sap ienza d iv in a d a ta t i , ed i M aced o n i, p o p o lo

g reco , e d a que’ te m p i d i 'g r a n lu n g a p ili in c iv ilito e m en o s u ­

p erstiz io so d e lla g en te ro m a n a , 1* e b b e ro p e r tr is te au g u rio , e

n o n f in iro n o d ’ u r l a r e , f in a tta n to c h è 1’ a s tro o tte n e b ra to n o n r i ­

to rn ò a lla su a p r im a luce . T a n to è v e ro c h e n o n 1’ ig n o ran za

so la d isp o n e 1’ an im o a lla su p e rs tiz io n e , m a c h e m o lto m ag g io r­

m e n te i l fan n o le sc iag u re e d il se n tim e n to d e lla p ro p r ia d e b o ­

lezza. Q u in d i g li acc iacch i d e l co rp o , e la vecch iezza , e 1’ av ­

v ersa fo rtu n a c o n v e rto n o so v e n te g li u o m in i p iù lib e r tin i e sca ­

p e s tra ti , p e r q u a n to a b b ia n d e l re s to la m en te illu m in a ta , in

tim id i p ic c h ia p e tti, e l ’ o n es tà d e lla v i ta , e la p u rezza dè’co s tu m i

so n o d ifese assai p iù efficaci c o n tro a m e n d u e g li eccessi in fa tto

d i re lig io n e , che n o n la c iv iltà p iù p e r f e t ta , ed i l possesso p iù

co m p iu to d e lle fisiche sc ienze.

(a3o) E lle sp o n to . E b b e q u esta c o n tra d a i l n o m e d a l m a re c h e

la b a g n a , e co m p ren d ev a g iu sta T o le m eo i l t r a t to c h ’é d a C izico

a lla foce dello S c a m a n d ro , e seco n d o P lin io e ra la sija e s tre m ità

se tte n trio n a le 1’ E sep o f ra P a r io e C izico . M a v ’ avea ez ian d io

u n E lle sp o n to su lla sp o n d a o p p o s ta d ’ E u ro p a , a ltr im e n ti d e tta

C h e rso n eso T r a c i c a , e d in q u esta r ic o n d u sse A tta lo i G a lli

c a p a rb ia

(a 3 1) I L a m p s a c e n i ec . Lampsaco era città dell’ Ellesponto , dove il Granico mette foce nel m are, fra Pario ed Abido, avea un porto buonissimo e fertile territorio. Serse donolla a Temi­stocle fuoruscito per procacciarsene il vino. Chiara al sommo e nobile fra le dttà dell’ Asia la predica Cicerone ( Yerr. 1 , a< )

i8o

Page 181: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

e lo d a T ufficiosità e la q u ie te de’ su o i a b ita n ti - A le s s a n d r ia e d

I l io fu ro n o n e lla T ro a d e . L a p r im a in co m in c iò a fa b b ric a re

A lessan d ro M ag n o f ra i p ro m o n tp r ii S ig eo e L e t te o , d o v e lo

S c a m a n d ro s i sc a ric a n e l m a re , e d o p o la su a m o r te f in tila L i­

s im a c o , i l qu a le v i accolse g li a b ita n ti d e lle a ltre v ic in e c i ttà c h e

cad ev a n in n iin a . L a se c o n d a , d e n tro a te r r a s itu a ta su llo stesso

S c a m a n d ro , p re se i l n o m e d a ll’ in felice cap ita le d i q uelle c o n ­

t r a d e , e d i su o i c itta d in i v a n ta v a n s i ez ian d io d ’ o c c u p a re il s ito

d i q u e l l a , se b b e n e c iò n o n sia v e r o , s iccom e p u ò p ro v a rs i d a

O m e ro . V . S tra b , x m , p . 5 8 9 e seg .

(a3a ) P erg a m o . D e’ p icco li p rin c ip ii d i q u esta c i t t à , e d e ll’ a l­

tezza a cu i s a l i , s in g o la rm e n te m e rc è d e l fav o re d e ’ R o m a n i ,

v e d a s i S tra b o n e ( x i tx , p . 6a 3 e seg . ) , secondo i l quale 1’ A t­

t a lo , d i c u i p a r la q u i P o lib io , fu il p r im o c h e assu n se la d ig n ità

re a le .

(a33) Dai , Caramanii, Cilicii. A b ita v a n o questi p o p o li diffe­

r e n t i c o n tra d e m o lto f ra d i lo ro d is ta n ti; p e rc io c c h é i D a i e ra n o

S c iti d e l m a r C asp io ( S tra b . x i , p . 5 i t ) , i C a ra m a n ii e ra n o

s itu a ti a le v a n te d e lla P e rs ia ed a m ezzodì d e lla P a r t ia ( T o le ra .

▼ , 3 , 5 , 9 ) , e d ' i C ilic ii fo rm av an o 1’ e s tre m ità m erid io n a le

d e ll’ A sia m in o re so p ra la S ir ia . L i co n g iu n se q u i P o lib io p e l-

1’ eguale a rm a d u ra c h e tu t t i av ean o , e p e rc h è a d u n so lo d u c e

e ra n o so gge tti.

(a3£) S c u d i £ a rg e n to . A r g ir a s p id i s in o c o s to ro c h ia m a ti n e l

te s to . Q uesto g en ere d ’ a rm a d u ra fu se co n d o C u rz io ( v i t i , 1 7 )

e G iu s tin o ( 11 , 27 ) is titu ito d a A lessan d ro M agno n e lla sp ed i­

z io n e d e ll’ In d ia , affinchè , e ssendo in tu tto su p e rio re a ’ n em ic i ,

e g li n o n fosse in q u e l r icch iss im o paesè in fe rio r a d essi n e l lusso

d e lle a rm i. M a c o n q u a l fo n d am en to lo S c h w e ig h . asserisca c h e

c o s to ro a p p a rten esse ro a ll’a rm a d u ra g ra v e , io n o i veggo . 11 passo

d i D io d o ro S icu lo d a lu i c ita to n e fa sa p e re so ltan to ch e g li

A rg ira sp id i e ra n o u n c c rp o d i fan teria - in sig n e p e llo sp le n d o re

d e lle a rm i e p e l v a lo re d ella g en te ; nfe p u ò c re d e rs i c h e le

p ia s tre d ’ a rg en to le q u a li , a d e tta d i C u rz io , c o p r iv a n i lo ro

s c u d i, ren d essero questi m o lto p iù p esan ti c h e se fo ssero s ta ti d i

m e ro b ro n zo .

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( a 35) A g r ìa n i. In to rn o a q u esta n az io n e 'T ra c # v e d i c iò c h e

sc riv em m o n e lla n o ta a o 8 d i qu esto lib ro .

(a 36) M e n e d e m o A la b a n d e s e . E ra A la b a n d a illu s tre c ittà d e lla

C a ria . A la b a n d o c h e la fo n d ò e ra co là a d o ra to p iù sa n tam en te

c h e n o n qua ls iv o g lia d iv in ità m ag g io re , se c o n d o c h è rife risce C i­

c e ro n e ( d e n a tu ra D eo r. m , 19 ) . Q uesto stesso M enedem o è

m en to v a to d i so p ra ( c . 6 9 ) senza i l n o m e d e lla p a tr ia .

(337) C ìssii. S tra b o n e ( x v , p . 7 3 8 ) sc riv e c h e cosi c h ia m a -

v a n s i i S u s i i , o d i r v o g liam o g li a b ita n ti d e lla S u sian a , ( p r o ­

v in c ia la p iù o cc id en ta le d e lla P e rsia ) d a C issia , n o m e con c u t

E sc h ilo ap p e lla la m a d re d i M em none , i l d i cu i p a d re T ito n e

d icesi c h e a b b ia fa b b ric a ta la c it tà d i S n s a , a n tic a sed e d e ’ r e d i

P e rs ia . S eco n d o T o le m eo ( v i , 3 ) e ra l a C issia u n a p a r te d e lla

S n sian a , n è p e r a v v e n tu ra q u e lla d o v e r itro v a v a s i Susa.

( a 38) C a rd a c i. C a m p a n o c o s to ro , d ic e S tra b o n e ( z v , p . 734),

d i r u b e r i e , e tra g g o n i l n o m e d a K a r d a c h e p re sso i P e rs ia n i

h a il s ign ifica to d i v a lo r o s o , e g u e r re s c o . E sich io a questa v o c e

asse risce c h e siffatta d en o m in az io n e d e r iv a d a n n a q u a lch e n a z io n e ,

o d a a lc u n luo g o ; m a E u staz io ( a d I lia d . B . v . 3 7 9 ) so s tien e

d ie tro E lio D io n isio e T e o p o m p o c h e n o n e ra n o u n a g iu sta r a z z a ,

m a in g en e ra le i B a rb a r i c h e m ilitav an a ' so ld o . In fa tti p re sso

C o rn . N epo te (D a ta m . 8 ) so n o n o m in a ti C a rd a c i in d is tin ta m e n te

tu t t i i c e n to m ila fan ti B a rb a r i c h e A u to fra d a te av ea n e l suo e se r ­

c ito , in o p p o siz io n e a’ so ld a ti C a p p a d o c i, A r m e n i , P a flag o n i ,

F r i g i , L i d i , e d ’ a ltre as ia tich e n az io n i - I l R e la n d ( D iss . v u i ,

T . 11, p . i 5a , i 53 ) o sse rv a c h e K a r d e z ian d io n e l P e rs ia n o

m o d e rn o d e n o ta bellico so , e n o n è im p o ssib ile c h e v i a b b ia

q u a lch e an a lo g ia F e b ra ic o K a rd ò m o m p , c h e sign ifica sc u re ,

m a n n a ja ( V . B u x to rf. L ez ic . p . 6g 3 ) , e c h e fo rse sa rà s ta ta la

ro zza a rm a la quale p o rta v a n o qu esti p iù assassin i c h e n o n g u e r ­

r ie r i d isc ip lin a ti.

(a3g) A r r e tr a t i . C io è a d ire q u e lli c h e c am m in av an o p iù le n ­

ta m e n te , e q u in d i e ra n o rim asi a d d ie tro . I l g reco ,

c h e d ie tr o e r a n s i tr a s c in a ti h a u n a fo rza p a r tic o la re , m a 1’ u so

d e lla n o s tra lin g u a n e r ifiu ta la v e rs io n e le tte ra le .

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( a 4o ) l ì Casio e le così dette Voragini. L a d esc riz io n e d i

q u e s ti s iti d ee r ip e te rs i d a S tra b o n e ( x v i , p . 7 6 0 ) , il q u a le così

ra g io n a c irc a i m e n to v a ti lu o g h i « È i l C asio u n c o lle ( h i f o t )

a r e n o s o , a g u isa d i p ro m o n to r io , senz’ ac q u e , o v e g iace i l c o rp o

d i P o m p e o M a g n o , e d è il te m p io d i G io v e C a sio . . . Q u in d i

è la v ia c h e a P e lu s io m e n a , su lla q u a le so n o . . . le v o ra g in i

c h e p re sso A P e lu sio fa il N ilo t r a b o c c a n te , essendo que* lu o g h i

b a s s i p e r n a tu ra e p a lu d o s i » . T o le m eo ( ìv , 5 ) n o ta la c it tà

d i C a ss io , e d a le i im p o n e a d u n d is tre tto i l n o m e d i C a ss io tid e ,

m a d e l co lle q u i acce n n a to n o n fa eg li m o tto , l o il n o m a i sem ­

p lic e m e n te il Casio , a tte n e n d o m i a l 7* K«ri» d i P o lib io . I l

C a sau b . e lo S c h w e ig h . c o n m a g g io r a rb itr io 1’ a p p e lla ro n o Ca- sium montem , d a n d o p e r ta l g u isa ez ia n d io lu o g o a c o n fo n d e rlo

c o l m o n te C a sio d e lla S i r i a , n o n p o c o d a lu ì d is ta n te .

(241) Pervenuto il quinto giorno ec. A v a n ti q u es te p a ro le

leg g esi in tu t t i i co d ic i c iò c h e co n sav io d iv isa m e n te Io S ch w e ig h .

tr a s p o r tò d u e p e r io d i a p p re sso , a p p lic a n d o lo a d A n tio co , c ioè :

e giunto in Gaza ec. D iflà tti e ssen d o G a z a p iù se tte n trio n a le d i

R a f f ia , ra g io n v u o le c h e A n tio co p ro v e n ie n te d a lla S i r ia , e n o n

T o le m eo c h e a rr iv a v a d a ll’ E g it to passasse p e lla p r im a d i q u este

c i t t à , a ffine d i re c a rs i n e lla seco n d a . S e n o n c h e il so sp e tto d e l

R e ta n d o , d e l P a lm ie ri e d e l W e sse lin g io c ita ti d a llo S c h w e ig h . ,

c h e d u e G aze v i fo ssero , in m ezzo a lle q u a li e ra s itu a ta R affi a ,

n o n è a l tu tto senza fo n d a m e n to , o v e s i c o n s id e r i , c h e se co n d o

T o le m e o ( v , 16 .) G a z a av ea u n p o r to in s itu a z io n e ta le , c h e d a

«sso p assav asi a R affia , la sc ian d o G aza a s e tte n tr io n e . Q u in d i

n o n è im p o ssib ile ch e i l r e cF E g itto g iu n to a R in o c o lu r a , co n ­

tin u a n d o a co steg g ia r il m a re a b b ia p ro se g u ito p e r A ntfidoue e d

i l p o r to d i G aza , e siasi p o sc ia r ip ie g a to v e rso R a ff ia , q u a n d o

A n tio c o v e n n e co l suo e se rc ito n e lla G aza m e d ite rra n e a . C iò n o n

p e r ta n to n o n m i so n o p e rm esso d i m u ta re l ’o rd in e s ta b ili to d a llo

S c h w e ig h . , s e m b ra n d o m i im p o n e n te 1’ o b b ie z io n e d e l R e ta n d o >

c h e , se d i d u e G aze si fosse t r a t t a to , P o lib io , s c r i t to re ta n to

a c c u r a to , p e r n o n re c a r co n fu sio n e le a v re b b e d is t in te — D el

re s to o sserv a g iu s tam e n te lo S c h w e ig h ., c h e p e rc o rso av en d o

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T o le m eo co l suo e se rc ito in so li c in q u e g io rn i lo spazio d a P e -

lu s io a R affia , ch e secondo l ’itin e ra rio d ’A n to n in o è d i 114 m i­

g lia r o m a n e , la m a rc ia d i lu i fu s tra o rd in a ria m e n te sfo rza ta . M a

ra m m e n tia m o c i ch e A n n ib a ie co m p iè in q u a ttro g io rn i co ’ su o i

i l c am m in o d i 6 0 0 s ta d ii, eg u a li a ^5 m ig lia , c h e so n o d a l p asso

d e l R o d a n o a l co n flu en te d i q u esto co ll’ I s a r a , p e r lu o g h i s tre tti

e d im p e d i t i , p e r m o d o ch e fece quasi 19 m ig lia p e r g io rn o : e

n o n c i m arav ig lie re m o c h e T o le m eo p e r s iti p ia n i e senza o sta ­

c o li , e d o ltre a c iò sp in to d a l b iso g n o d ell’ acq u a , o n d e q u e s ti

p e n u r ia v a n o , n e fece d a 23 p e r c iasch ed u n d i.

(242) Einocolura. T o le m eo p o n e qu esta c ittà n e lla G assio tide

d e ll’ E g itto , e la ch iam a R in o c o ru ra eg u alm en te ch e G ioseffo .

(243) Della Celesiria. È da notarsi che Polibio comprende nella Celesiria tutta la Palestina , la quale Tolemeo ( v , 16 ) distribuisce nella Galilea, Samaria, Giudea d i qua e d i là del Giordano , ed Idumea.

(a44) R is to rò c o là T e s e rc ito . U f t r u r t t ì n t f i S t 7i»S o ì t t f t ì i h a i l te s to , c h e m a le re n d e tte ro g l’ in te rp re ti l a t i n i ,

e t r u r s u s in d e p r o fe c tu s . I l w fìt t p re p o sto a d i t u f i u / e f i i m r

n o n sign ifica sem p licem en te p r e n d e r seco le fo rze , m a p re n d e rn e

a l tr e in a g g iu n ta , lo cch è è falso c h e A n tio co facesse , p e rv e n u to

■ c h e fu in G aza . E p re sc in d en d o a n c h e d a siffatta c irco stan z a ,

n o jo sa su p e rflu ità sa re b b e s ta to i l d ir e ch e A n tio c o , v e n u to in

G a z a , s i to lse d i là n u o v am en te co ll’ ese rc ito p e r p ro se g u ire in ­

n a n z i. Q u in d i h o ricev u to l ’ a l tro s ign ifica to ch e h a

X a f i f ia t t ) d i r in fre sc a re , r is to ra re d a lle fa tiche d e l v iagg io , e

c h e m o lto m eg lio s’ a d a tta a qu esto luogo . L o S c h w e ig h ., q u a n ­

tu n q u e n e l d iz io n ario P o lib ian o a d o tti il m en to v a to senso , n e

esc lu d e tu tta v ia il p re se n te passo .

(245) C o n E lo lic a b e n s ì ec . G li E to li so n o d a l n o s tro in v a r i i

lu o g h i ( 11 , 3 , 4 , 45 , 49 , ìv , 6 7 ) d e sc ritti p e r g en te su p e rb a ,

fe ro c e , a v a r a , c h e nessu n m ezzo d i lu c ro re p u ta tu rp e , e d a

gu isa d i f ie re avvezza è a v iv ere d i ra p in a . Q u in d i è c h ia ro ,

c h e 1’ audacia e to lica m ista e ra se m p re a qu e lla v iltà d ’ an im o ,

c h ’esclude il v e ro co rag g io , e c a d e r n o n p u ò neU’u o m o v a lo ro so .

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L ’ az io n e p e r ta n to d i T eo d o lo avea b en sì tu tta la fe ro c ia e c ru ­

d e ltà e to lica , e s e v o g liam eziand io tu tta la sua av v en ta tag g in e

e d inco n sid e ra tezza > m a , q u a n to a l su o s c o p o , p o te a esse re p a ­

ra g o n a ta a l g eneroso a tte n ta to d ’ u n o S cevo la c o n tro P o rs e n n a ,

o d ’ u n a G iu d itta c o n tr ’ O lo fe rn e .

(346) A tt i l la tu r a . H t p t x t x ì è la vo ce g reca c h e h o cosi

e s p re s sa , d e lla qu a le d ice lo S c h w e ig h . e h ’ essa è p ro p r ia d e l

v e s tia r io , e s ign ifica 1’ o rn a m e n to d e l c o rp o ( c ò rp o ris cu ltu m ).

L a su a co m p o siz io n e d i s rlp\ e 1’ av v ic in a m o lto , se n o n

m ’ in g a n n o , a l v o cab o lo ita lian o d a m e p re sce lto ; d a p p o ic h é u n

v es tito c h e s1 a d a tta in to rn o a l c o rp o , com e se fosse in to rn o a

lu i ta g lia to , n o n p u ò a m en o d i so r tire q uell’ e leganza è leg ­

g ia d ria , in c h e 1’ a ttilla tu ra p ro p ria m e n te consiste .

(347) A b b ig lia m e n ti. C irc a la v o ce i i t f v / t t t / x , c h e h o s f a t ­

ta m e n te tra d o tta , veggasi la n o ta 2 9 7 a l q u a rto lib ro .

(348) U cc iso A n d r e a . N el l ib . i h d e’ M accabei n a rra s i , ch e

T o le m eo sc am p ò d a lla m o rte p e r o p e ra d i c e r to D o siteo fig lio

d i D rim ilo ( G iu d eo ap o s ta ta to d a l c u lto d e ’suo i p a d r i ) , i l q u a le

so s titu ì a l r e u n a p e rso n a d e l vo lg o .

(a4g) L a b a n d a re a le . C io è 1’ a g em a , d i c u i ab b ia m o lu n g a ­

m en te rag io n a to n e lla n o ta 6 8 d i qu esto lib ro .

(a5o) S eco lu i a lle v a to . N o n p rec isam e n te c o lla c ta n e u s , co n ­

fo rm e h a n n o g l 'in te rp re ti la t in i , ch ’ fe q u a n to d ir e , n u d r i to c o llo

s te s s o la t te ; m a in siem e c o l r e ed u ca to e d a m m a e s tra to in tu tto

c iò c h e a p p a r tie n e a lla g u e rra ed a ll’ am m in is traz io n e c iv ile . C o -

te s ti g io v a n i, v e n u ti in e tà ad u lta , e ra n o i p iù c a r i co n fid en ti

d e l r e , e q u i a p p u n to vegg iam o u n o d ’ essi c o m a n d a re in q u e lla

p a r te d e ll’ ese rc ito , d o v e A n tio co è ra p e r co m b a tte re . C osi os­

se rv iam o C riso g o n o , c h e co n F ilip p o eb b e co m u n e l’educaz ione,

e o n d u rre le fo rze d i lu i n e lla T essag lia e n e lla F o c id e ( v , 6 ,

9 7 ) , e ta lm en te a lu i affezionato , c h e g li fu se m p re a u to re d i

c lem en tissim e az io n i ( v i i , 1 a , 1 1 , a 5 ).

(a5 i ) P a g g i re a li. B x n P w x a ì n -a tifn n o n sono p e r m io av v iso ,

f i g l i d ’ a m ic i d e l r e , co n fo rm e su p p o n e lo S ch w e ig h . , m a fan ­

c iu lli d i n o b ile d isc e n d e n z a , in c a r ic a ti d e ’ m in u ti se rv ig i in to rn o

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a lla p e rso n a d e l r e , n o n d iv e rs i d a ’p ag g i c h e se rv o n o n e lle c o r t i

d eg li o d ie rn i s o v r a n i , e c h e , e n tra ti n e ll’ a d o le sc e n z a , a p i i

ra g g u a rd e v o li m in is te r i v en g o n o d e v a t i , s ic co m e acca d d e a l

M iisco q u i ra m m e n ta to .

( i 5i ) A r s in o e . « C o s te i , d ic e V a u to r e d e l te r z o l ib r o d e i

M a c c a b e i , v . 5 , a n d a n d o a tto rn o e so rtav a 1’ e s e rc ito , a tteg g ia ta

a co m p assio n e ( e b e n g lien e d a v a m o tiv o la v ig liacch e ria d e i

fra te llo ) , e c o n la g r im e e co ’ cap eg li sp a rs i tu t t i p r e g a v a , c h e

sé s te s s i , e d i f ig li e le m o g li a ju ta sse ro an im o sa m e n te , p ro m e t­

te n d o c h e , se v in c e sse ro , d a re b b e a c iasch ed u n o d u e m in e d ’o ro » .

E ta n ta fo rza e b b e ro le p re c i fe m m in ili, e la g en ero sa p ro m e ssa ,

c h e 1’ ese rc ito d i T o le m e o o tte n n e c o m p iu ta v itto ria .

(253) N e s s u n o d i lo r o ec . O sse rv a ro n o g ià i l R e isk e e lo

S c h w e ig h ., c h e q u a n to q u i asse risce P o lib io n o n p o te a c a d e re in

A n tio c o , co m e q u eg li c h e av ea g ià cose ta li c o n su m a te , c h e a l t r i

re c a ti sa re b b e s i a g ra n d e g lo r ia ; d a p p o ic h é e b b e sogg ioga to M o­

lo n e , e r id o tta la S ir ia in su o p o te re .

(a54) S q u a d r o n e . « A n tic a m e n te , s c r iv e i l G r a s s i , D iz io n .

m ilit . T . a , p . , so n a v a s c h ie r a , s q u a d ra , b a tta g lio n e , o ra

s i r is tr in g e a d u n a p a r te d ’ u n reg g im en to d i c a v a lle r ia d i c e n to

c a v a lli » . M a , q u a n tu n q u e seguendo 1’ u so m o d e rn o b a s ta to sa ­

r e b b e d i r e n d e r tX n p e r isq u a d ro n e se m p lic e m e n te , io h o v o lu to

a m p lia re l’ e sp ressio n e co ll’ a g g iu n ta d i c a v a l l i , a ffinchè q u a lch e

tr o p p o so ttile c ru s c a n te , in v a n o ce rc a n d o q u ésto s ig n ifica to nel so lo cod ice d i lin g u a d a lu i v e n e ra to , n o n n e d ia carico, d ’ a v e r

p o s ta u n a m a n o q u a lu n q u e d i so ld a ti in lu o g o d i u n a co m p ag n ia

d i cav a lie ri.

(355) I n t a l g u is a c o m b a tto n o . In te re ssa n te è questa d e sc ri-

e io n e d e l m o d o , in c u i g li e lefan ti f ra lo ro s’ azzuffano , om essa

d a g li a l t r i a u to r i e d a P lin io stesso c h e ta n to d istesam en te p a r la

d i q u esti an im ali e d e ’ lo ro co s tu m i n e l l ib ro o ttav o d e lla s to r ia

n a tu ra le . A ris to tile ( H is t. an im . lib . i x , c . i ) rife risce so lta n to

« h e g li e lefan ti c o m b a tto n o in s iem e fo rte m e n te e s i fe risco n o co i

d e n t i , e c ije y ■vinto a ta le s i a v v ilisc e c h e n o n p u ò so p p o r ta re

i a voce d e l v in c ito re .

i 8 6

Page 187: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

(256) A v v in g h ia n d o s i . P ro b a b ilm e n te co lla p ro b o s c id e , n e lla

q u a le h a n n o g li e lefan ti so m m a fo rz a e d ag ilità , in e n tre c h e i

lo ro p ied i a n te r io r i n e ll’ a ttitu d in e s ta z io n a ria , g rossi e c o r t i co m e

so n o , m a le p o sso n e rg e rs i e d a b b ra c c ia rs i. In fa tti veg g iam o to s to ,

c h e ▼ iacea q uell’ e le fa n te , i l q u a le cacc iav a i n fianco la p ro b o ­

sc id e d ell’ a ltro .

(a5^) C o n tu t ta la f o r z a . Q u esto se m b ra m i c h e vo lesse e s p r i ­

m e r P o lib io , p re p o n e n d o a f i (a l ’a r tic o lo 7? , q u asi avesse d e tto :

c o n q u e lla e h ’ è f o r z a , c o lla f o r z a p e r e c c e lle n za .

(q58) N o n to lle ra n o F o d o r e e c . Q uesta o p in io n e è r ife r ita d a

P o lib io , m a d a lu i n o n c re d u ta ap p ie n o , d icen d o eg li p o co a p ­

p resso c h e , seco n d o il su o p a r e r e , fu g g iv an o g li e lefan ti d ’A frica

sp a v e n ta ti d a lla g ran d ezza e fo rza d i q u e lli d ’ A s ia : la q u a l ca ­

g io n e è assai p iù p ro b a b ile d e lla p r im a , n o n o sse rv an d o si siffa tte

a v v e rs io n i f r a g li a l tr i a n im a li. P lin io p u re ( v i l i , 9 ) sc riv e

« In d ic u m (e le p h a n te m ) A fri p a v e n t, n e c c o n tu e r i a u d e n t; narri

e t M a jo r In d ic is m a g n itu d o e s t ec. A ’ n o s tr i g io rn i a n c o ra g li

e le fan ti d e l S en eg a i e d e lla G u in e a so n o m in o ri d i q u e lli d e l-

l ’ In d ia ( B uffon h is t. n a t. T . 28 , p . >54 , e d iu S o n n in i ). S e

n o n c h e q u e lle f ra le b e lv e d i T o le m e o c h e c o m b a tte ro n o co lle

b e lv e a v v e rsa rie d o v e tte ro a d a ltra ra z z a a p p a r te n e re ', e d e ra n o

fo rse in d ia n e esse m e d e s im e , o w e ra m e n te d e ’ paes i jdegli E tio p i

e d e ’ T ro g lo d iti , c ioè d e ll’ A frica o rien ta le ( V . T o le m eo A fric .

T a v . 4) ,» d o ve q u es ti a n im a li so n o assai p iù g ra n d i e fo rti ch e

n e ll’ A fric a o cc id en ta le ( BufT. o p . c it, p . i 5 i ) , e d o v e seco n d o

D io d o ro ( i n , p . 108 ) , T o le m eo E v e rg e te , p a d re d e l p re se n te ,

li fece co n o g n i d ilig en za cacc iare .

(aSg) M a s p a v e n ta ti a n c o ra . N o n h o c re d u ta in u tile la p a r t i -

ce lla x « ì d o p o «AA<c , siccom e la re p u ta ro n o g l’ in te rp e tr i la tin i

c h e la neg lessero . P o lib io , r ip o r ta ta la cau sa m e n o v e ris im ile

d e lla fuga d eg li e lefan ti d ’ A frica d in a n z i a q u e lli d ’ In d ia , so g -

g iu g n e m o d es ta m en te i l su o p a r e r e , n o n e sc lu d en d o la sen ten za

v o lg a re , m a u n e n d o la a lla su a p e r v ia d e lla m e n to v a ta c o p u la .

(260) S p in te a d d o s s o . B e lla e n ecessa ria co rre z io n e fece q u i lo

S c h w e ig h . a l te s to , n e l q u a le p r im a d i lu i leggevasi 7«ef t r f t t

187

Page 188: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

« 7i i l » \ n t n tm & è i f iÀ tm i , s p ìn te e s se n d o le sc h ie re ( a c c u ­

sa tiv o ) c o n tr o d i lo ro , d o n d e a lc u n sen so n o n s i cav a , e ' s e ­

co n d o u n ’a ltra lez io n e 7ìcr srp t t i v i U t 7« { i « ( l e sc h ie re in n a n z i

a lo ro ) , d a lla q u a le , o ltre a lla d isco rd an za d e l passivo co ll’ ac ­

c u sa tiv o n o ta ta n e lla lez io n e a n te r io re , em erg e 1’ a s su rd ità ch e

g li e le fa n ti, sp a u riti e s p in ti in d ie tro , p re c ip ita v a n s i su lle sc h ie re

c h e sta v an lo ro d a v a n ti. M a sc riv e n d o , co n fo rm e fece i l su llo d a to

c o m m e n ta to re , c n o i , a lu i a tte n e n d o c i, tra d u c e m m o : *■p tr l ì t i

i v l S t » . 7. A. , o g n i d iffico ltà è a p p ian a ta .

(261) A n tio c o q u a l in e s p e r to e c . L ’ e r ro re cT A n tio co e la

cau sa d e lla su a sc o n fitta fu la sua so v e rch ia in sis ten za n e l v a n ­

tag g io e h ’ eg li o tte n n e co ll’ a la d e s tra . C h e s e , s iccom e fece T o ­

le m e o , to s to m o s tra to si fosse a lla fa lan g e: q u es ta , d a lla p resen z a

d i lu i a n im a ta , a v re b b e c o n m ag g io r v a lo re co m b a ttu to . M a

T o le m e o , co n scio d e lla p ro p r ia d a p p o c a g g in e , lasciossi g u id a re

d a ll’ e sp e rien z a e sag ac ità d ’ A n d ro m a c o e d i S o sib io : lad d o v e Q

g io v in e r e d i S i r i a , d a l so lo suo im p e to c o n c i ta to , p ro cacc io ssi

la v itto ria d o v e m eno im p o r ta v a , e d a b b a n d o n ò i suo i n e l p iù

decisiv o m o m en to .

(262) V e r s o G a za . N o n m i so in d u rre a d a d o tta r co l P a lm ie ri

e co l R e is k e , o ltre a lla G a z a d i S ir ia o d i F e n ic ia , eh ’ è la

p r e s e n te , u n ’ a ltra d ’ E g itto f ra R in o c o lu ra e P e lu s io , s o v ra n n o -

m a ta P a laeo g aza ( G a z a v e c c h ia ) . D io d o ro ( x i x , p . 7 * 5 ) p o n e

esp ressam en te F a n tic a G a z a n e lla S ir ia , e d a le i n o n fc n g i d e b -

b ’ essere s ta ta la n u o v a ; d a p p o ic h é , c o n fo rm e n a r r a i l su c c ita to

s to r ic o ( p . 7 1 7 ) , D e m e trio fig lio d i S eleuco , ro tto d a T o le m e o

d a v a n ti alla p r im a d e lle m e n to v a te c i t tà , in r itira n d o s i g iu n se lo

ste sso g io rn o d ella su a sc o n fitta , v e rso i l tra m o n ta r d e l so le ,

n e lla seco n d a. V . la n o ta 241 d i qu esto lib ro . ,

(a63) V in e r a n o ec . Io n o n t e n t e r e i , siccom e v o r re b b e il

R e is k e , e n o n d isa p p ro v a lo S c h w e ig h - , i l r p i r n v t i n ( a d o ra n o ,

v e n e ra n o ) c h e h a n n o tu tti i l ib r i , co n v e rte n d o lo in w p t r x x f t u n

( sono in c lin a ti) . Im p e rc io c c h é , seb b en e il p r im o d i questi v e rb i

s i costru isce co ll’ accusativo , n o n m an can o esem pli ( ed il co n ­

fessa lo S ch w e ig h . stesso ) in cu i reg g e il te rz o caso . M a n o n

i88

Page 189: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

p e r q u esta ra g io n e g ram m atica le so lta n to io lascere i in ta tto i l

te s to P o lib ia n o ; s ib b e n e a n c o ra , p e rc h è facendo c o ta l m u taz io n e ,

a v re b b e c o n no josa tau to lo g ia sc ritto il n o s tro , ch e i p o p o li d e lla

C e le siria so n o an im a ti d i b en ev o len za v e rso la casa d ’ E g itto ,

p e rc h è so n o a d essa in c lin a ti. Q u an to è p iù rag io n ev o le i l d i r e ,

c h e la p ro p en sio n e c h e a le i av ean o m an ifestavasi n eg li a tt i d i

v en eraz io n e ch e le d im o strav an o .

(264) O n o r a n d o T o le m e o ec . E i s i fu a llo ra c h e T o le m eo

v isitò G e ru sa le m m e , e p o ich ’ eb b e sacrifica to a l v e ro D io , v o lle

a v iv a fo rza e n tra re n e l luogo p iù sa c ro d e l te m p io , m a d a u n

rep en tin o te r ro r e ch e Ity in v ase n e fu im p e d i to , siccom e n a r ra s i

n e l p rin c ip io d e l l ib ro te rz o d e ’ M accabei.

(a65) C h e n e s su n o n e l re g n o sa r e b b e s i a sp e tta ta . E d in

r e a ltà n o n fu m e rito d i T o le m e o , se cosi te rm in ò qu esta g u e r ra ;

s ib b e n e tu tta la lo d e d e l suo b u o n esito a ttr ib u irs i d e b b e a 'm i ­

n is tr i ed a’ g en e ra li d e l r e , c h e c o n ta n ta segretezza se p p e ro

c re a re e d a d d e s tra re u n p o d e ro so e s e rc ito , e s in g o la rm en te a

S o sib io c h e f u , siccom e a ltro v e r ife risce i l n o stro , a s tu tissim o

m a n e g g ia to re , e n e lla b a tta g lia d i R affia co m an d ò la falange

( c . 65 ) c h e r ip o r tò la v itto ria - L a so re lla d i T o lem eo a n c o ra

e b b e l a su a p a r te in q u e l felice r isu lta m e n to . ( V . la n o ta a 5a ) .

(166) I R o d ii. A cce n n a qu esto te rre m o to G iu s tin o ( x x x , 4 ) ,

e lo d ice accad u to lo stesso a n n o , in cu i F ilip p o V r e d i M a­

c e d o n ia , a ssa lito d a tu tta la G re c ia , e h e i R o m a n i sp a lleg g iav an o ,

ch iese la p a c e , e d o tte n n e u n a tre g u a so ltan to . M a c iò a v v e n n e

1’ a n n o 556 d i R o m a , c o rrisp o n d e n te a ll’ o lim p iade i 45 , 2 ,

q u in d i d ic ian n o v e a n n i d o p o i fa tti p o c ’ anzi n a r ra t i , cu i assegna

P o lib io 1’ o lim p . 140 , 3 , ossia 1’ a n n o d . R . 53j . O ltre a c iò

rife risce G iu stin o ( l . c . ) , com e n e llo stesso g io rn o ch e r iu sc ì

fu n e sto a R o d o su rse d a l se n o d è i m a re u n ’ iso la n u o v a fra T e ­

la m e n e e T e ra s ia , a p p a r te n e n ti a lle C ic lad i. P lin io ( 11 , 8 9 )

d i c e , c h e la stessa iso la em erse cen to tr e n t’ a n n i d o p o c h e n e l

q u a r to a n n o d ell’ o lim p . c x x x v e ra n o n a te T e ra e T e ra s ia ; on d e

se co n d o lu i i l m en to v a to te rre m o to a v re b b e av u to lu o g o il se ­

co n d o a n n o d e ll’ o lim p . clxvii. M a q u an to po co s i ap p o n esse ro

1 8 9

Page 190: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

a l v e ro G in itin o a P lin io r is u lta d a ’ n o m i de* r e , c h e a d e tta

d e l n o stro re g a la ro n o sì g en ero sa m e n te i R o d i i , t ro v a n d o s i f r a

q u e lli A n tig o n o D o so n e , c u i l ’ a n n o d . R . 531 successe F i l ip p o ,

e S eleuco C a llin ico p a d re d ’ A n tio co M agno , c h e m ò ri 1’ a . d i

R . 5a 8 ( P o lib . a , 71 ) . A n d ò a n c o r e r ra to E u se b io , i l q u a le

( C h ro n ic . 1 ) n e l seco n d o a n n o d e ll’ olim p* c x x x r x , c h e fu il

p r im o d e l re g n o d ’ A n tio co M a g n o , p o se la m en to v a ta ca ta s tro fe .

I I p e rc h è è d a r ife r irs i qu esto caso a ll’ ep o ca c h e fo rm ò il su b -

b ie tto d e lla cosi d e tta P re p a r a z io n e d i P o lib io , e se q u i lo tro ­

v ia m o , có n v ie n d ire , co n fo rm e o p in a lo S ch w eig h . , ch e a llo ra

te rm in a ta fosse la r is tau raz io n e d e lle m u r a , d e lle d a r s e n e , e

d e lle a ltr e p a r t i d e lla c ittà d i R o d i , c h e ro v esc ia te fu ro n o in

quell’ o rre n d o te rre m o to .

(267) G e r o n e e G e lo n e , n L a lib e ra lità d i G e ro n e v e rso i

G re c i lo d a il n o s tro n e l lib ro v i i , 8 . G e lo n e fig lio d i G e ro n e

m o r ì in e tà d ’ o l tre c in q u a n t’ a n n i , a v a n ti il p a d re ( P o lib . 1. c .

T . L iv . x x i n , 3o ). C h ’ eg li avesse p a r te n e l reg n o s i co n o sce

d a qu este p a ro le d i P o lib io » . S ch w e ig h a u se r .

(268) S e t ta n ta ta le n ti . N e l te s to leggesi : » « «

» i» 7« i f y v f t # I c iX t t t la r 7*r i t t 7* I t l t r i lm

y v f t n i r l * ( se tta n ta c in q u e ta le n ti d ’ a rg e n to d a d a r s i

p e lla sp esa d e ll’ o lio a q u e lli c h e s’ ese rc ita n o n e l G in n a s io ). M a

q u esta lez io n e è m an ifestam en te v iziosa , n o n essendo p o ss ib ile

c h e p e li’ o lio so lo av esse ro i R o d ii r ic e v u ta u n a som m a co s i

e n o rm e , m e n tre c h e n u lla fu lo ro assegnato p e lle fa b b ric h e .

Q u in d i il R e isk e so sp e ttò c h e d o p o t f iS * ( t i* * i la fo ssero a n d a te

sm a rr ite a lcu n e p a ro le c h e in d icasse ro la d es tin a z io n e de’ s e tta n ta

ta le n ti a l r is ta u ra m e n to d e lle m u ra e d e lle d a r s e n e , e ch e i r i ­

m a n e n ti c in q u e se rv isse ro p e li’ o lio . L o S ch w e ig h . p ro p o n e d i

leg g e re *u,'t t r i t ì i à f y . 7* A. ( 7 5 ta l. d ’ a rg . ) d i p e r

s è , e p o sc ia i r fc t (fi ( o l t r e a c i ò ) 7J» i t t 7* ÌA<*<»»

( 1’ o lio p e lla sp esa ec . ). A m e è se m b ra to p iù co n v en ien te d i

t ra s p o r ta re il so lo c in q u e a lla sp esa d ’o lio , sen za fa re a lcu n ’ a ltra

m u taz io n e o a g g iu n ta , po ten d o si d a sè c o m p re n d e re c h e la so m ­

100

Page 191: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

m a m a g g io ra fo rn ita d a O e ro n e d o v ea esse r im p ieg a ta n e lla spesa

m a g g io r e , q u a l e ra la rifab b ricaz io n e d eg li ed ific ii cad u ti.

(3 6 9 ) N e l G in n a s io . E r a i l G in n a s io p re sso i G r e c i , e la

P a le s tr a p re sso i R o m a n i i l luo g o d o v e la g io v e n tù a d d es trav a si

n e lla c o r s a , n e lla lo tta e d in a l t r i e s e rc iz i i , p e r d a r a l lo ro

c o rp o ro b i^ te z z a e d ag ilità . O r a , a ffinchè p iù p ro n ti r iu sc isse ro

i v a r ii m o v im e n ti d e lle m e m b ra , e a d u n tem p o c o n m ag g io r

fa c ilità s o ttr a r s i p o tesse ro i c o m b a tte n ti d ag li assa lti d eg li a v v e r­

sa ri! , u n g e v a n s i q u esti d ’ olio i l tro n c o e le es trem ità .

(270) A so llie v o d e ' c i t ta d in i. N o n v a n n o d ’ acco rd o g l’ in te r -

p e tr i ed i c o m m e n ta to ri d i P o lib io n e lla sp iegazione d i q u esto

lu o g o , c h e su o n a n e l te s to t i r 7U t n t X t ì i t { p e l-

l ’a u m en to d e ’c itta d in i ). 11 C a sau b . c re d e tte c h e si tra tta sse d ’ac ­

c re sc e re c o n q u e lla m o n e ta i l n u m e ro deg li a b ita n ti , d i c u i m o lti

e r a n o p e riti n e l te r re m o to , e v o ltò a d fr e q u e n ta n d a m u rb e n t

in c o lis . M a i c itta d in i n o n so n o u n a m e rc e c h e s i acq u ista co l

d a n a ro , sicco m e g li sch iav i. I l P e ro tti tra d u sse a d u su m c iv iu m ,

q u as ich é avesse le tto ù w i x u v n t . - P iù rag io n ev o l’ è la c o n g h ie ttu ra

d e ll’ E m e s t i , c h e co ta l au m en to in te n d a s i d e lle sostanze de’ c itta ­

d in i p iù p o v e ri. N o n p a n n i p e r ta n to , co n fo rm ’ £ o p in io n e d e l

m ed esim o , c h e a b b ia a le g g e rs i i i r t i p t r i e , i l q u a l v o cab o lo

p re sso T u c id id e ( 1 1 , p . i 3 3 ) sig n ifica co n su m azio n e v o lu ttu o sa

d e lle faco ltà ; s iccom e in te rp e tra co là lo S co liaste : 7i t

m t , 7u t « n A u l n i f * a ì j c f v x x $ t t * t , g o d im e n ti e d i l e t t i , e

n o n a ltr im e n ti u so d e lle cose n ecessa rie a lla v ita .

(271) C a ta p u lte d i t r e c u b iti . G iu sto L ip s io (P o lio rc e L lib . 111,

d iaL 3 ) ad d u cen d o q u esto p asso d i P o lib io e d u n s im ile d i A p ­

p ia n o so stien e co ll’ a u to r ità d i F e s to , c h e la m isu ra tr ic u b ita le

n o n a p p a r te n e v a a lle c a ta p u lte , m a a ll’ a rm a c h e d a qu e lla e ra

la n c ia ta - I l c u b ito è la d is tan z a d a ll’ ap ice d e lle d ita a l g o m ito ,

q u in d i m ezzo b ra c c io - Io p e r ta n to h o c re d u to c h e d ir s i possa

c a ta p u lta d i t r e c u b iti , siccom e d ic iam o can n o n i d i d o d ic i , d i

v e n tiq u a ttro e c . , in d ic a n d o il p eso d e lla p a lla c h e g itta si fu o ri

d e l m ed esim o .

(2 7 2 ) M o s tr a . E ra n e l P ire o , c io è p o r to d ’ A ten e , c e r to s ito

I9 I

Page 192: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

d o v e i m e rc a ta n ti esp o n ev an o le m o s tre d eg li effetti c h e v e n d e ­

v a n o , e ch e d a lla cosa stessa tra e v a i l n o m e , c h iam an d o s i b . i i y f t a ,

( M ostra ) V . E sich io a q u esta v o c e , e g li a u to r i c ita ti n e lla

n o ta — S enofon te (E lle n ic . v , i ) n a r r a c h e essendosi g li E g in e ti

c o n u n ’ a n n a ta o s tile av v ia ti a l P ire o , a lc u n i d ’ essi g iu n ti a l

D ig m a sa lta ro n o f u o r i , e n e ra p iro n o p a re c c h i m e rc a ta n ti e

m a rin a i.

( a j 3) T o le m e o . D i co g n o m e E v e rg e te ^ p a d re d i co lu i c h e a l­

lo ra reg n av a .

(274) A r d e b b i . S eco n d o E sic h io e ra l ’ A rta b o ( c h e cosi è

q u esta vo ce n e l tes to ) u n a m isu ra d e lla M edia , c o rrisp o n d e n te

«1 m ed icano a ttico . D a qu esto lu o g o sco rg esi c h e a n ch e in E g itto

v a lev an si d e lla stessa m is u ra , la q u a le se m b ra tu tto ra co là co n ­

se rv a rs i so tto il n o m e d i a rd e b b e , eq u iv a len te a t r e s ta ja e m ezzo

v e n ez ia n i.

(275) T r a v i d i p in o q u a d r a t i d i g iu s ta m isu ra . D alla, q u a lità

d e l leg n o resin o so e re sis ten te a ll’ u m id i tà , e d a lla ta g lia tu ra d e l

m edesim o q u i in d ic a te n o n è a d u b i ta r s i , eh ’ esso s e rv ir d o v ea

p e lla fab b rica z io n e d e lle n a v i. Q u in d i n o n e ra n o i tra v i d i p in o

d iv e rs i d a ’le g n i d i co s tru z io n e p r im a n o m in a ti, siccom e ap p a risce

d a l t e s to , do v e qu esti a r tic o li sono se p a ra ti - L a g iu s ta m isu r a ,

a tte n e n d o m i a l R e is k e , n o n 1’ h o ap p lica ta , co n fo rm e r isu lta

d a lla lez io n e c h e in tu tti i l ib r i r is c o n tr a s i , a’ c u b iti ( **£<<* )

e a lle b ra c c ia , m a .a lla lu n g h ezza d elle t r a v i , leg g en d o : r i v i t / r * t

I t i f t t y i f i é t i f t f t t l f t H t r i l l i l e I t ì fc tK iT ftv f /i tc , e n o n t f i f t i ì f u :

x i z i t f . P o tre b b e ez ian d io d a rs i c h e P o lib io avesse sc ritto

t f t f t i l f c a ( d i g iusta grossezza ) , se co n d o ch è so sp etta lo stesso

R e is k e , m a tro p p o v e rre b b e c o n q u es ta co rre z io n e a d a lte ra rs i

il testo .

(376) P e l r is ta b ilim e n to d e l C o lo sso . T u tta v ia n o n fu esso

r is ta b ilito , e d a’ te m p i d i P lin io (H is t . n a t x x x .iv , 7 , 18 ) v e ­

d essi a n c o ra q u esta p ro d ig io sa m o le stesa a l suo lo .

(377) T a le n t i d i b r o n z o . I l testo h a 7« a « > 7« so lam en te ; m a

co n rag io n e rifle tte il R e isk e c h e d e b b ’ essere s ta ta o m essa la

i g a

Page 193: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

p a ro la £ « * » « $ ( d i b ro n zo ) ; d a p p o ic h é d i qu esto m e ta llo e ra

i l co losso .

(3 7 8 ) A d u so d i p a li . I n u su m c u n e o ru m tra d u sse i l C a sa u b .,

c o n fo n d e n d o r ip n t / r x t t i ch e h a i l n o s tro e o a a-tp m i r i m i , d im i­

n u tiv o d i tfp i» (c u n e o ) « M a a q u a l u o p o , d im a n d a lo S c h w e ig h ;

d iec im ila c u n e i , o u n m a g g io r n u m e ro a n c o ra , se d a u n pezzo

p a re c c h i s i facevano ? £ q u a’ c u n e i d i se d ic i c u b iti ! C h e se d a

u n a t r a v e p iù se n e ta g lia v a n o , cò sa im p o rta v a a d d ita r e la lu n ­

g h ezza d e llp t r a v i ? » Q u in d i , a p p o g g ia to a d E sic h io e a d u n o

sc o lia ste d ’ A risto fan e , d im o s tra eg li c h e rQ n * t'r* » t d e r iv a d a

« ■p i f ( v esp a ) , i l c u i v e n tre p o s te rio rm e n te si r is tr in g e e fin isce

in u n a p u n ta , im ita n d o la fo rm a d ’ u n p a lo , c u i fu p e r so m i­

g lia n z a lo stesso n o m e ap p o sto .

(379) A s s i p e r ta v o la ti . I l te s to h a r r p m lip t t d e riv a to d a

c r f i t i v f n c h e s ign ifica c o p r ir u n p ia n o c o n ta v o le o q u a ls iv o g lia

a l t r a m ate ria . Q u i tra tta s i d ’ assi d e s tin a ti a so la i d e lle s ta n ze e d

a c o p e r te d e lle n a v i c h e c o m p re n d o n s i so tto H n o m e d i ta v o la ti.

(280) C rise id e . E r a q u es ta v e d o v a d i D e m e trio e m a d re d i

F ilip p o ( V .- E u se b . C h ro n . 1 ). D o p o la m o r te d e l m a rito sp ò -

. so lla A n tig o n o D o so n e .

(281) L e g n a c in q u e m ila b r a c c ia ec . L o Schw eigh* :ba co n ­

se rv a ta la d isp o siz io n e co n fu sa d e l te s to n e ll’ a n n o v e ra re q u esti

a r t ic o l i , e tra d u c e : m a te r ia l , re s in te e t c r in is d e n a m illia c u ­

b ito r u m e t m il l ia ta le n ta , l o h o u n ita l ’esp ressio n e d e lla m isu ra

a lle le g n a , e qu e lla d e l p eso a g li a l tr i o g g e tti. 11 po i

s tim a i d i d o v e r sp ie g a re c o n u n i b re v e g iro d i p a ro le .

(282) L is a n ia , L im n e o , O lim p ic o . C h i fo ssero c o s to ro che

P o lib io ap p e lla d in a s t i , c io è so v ra n i d i m in o r c o n to , q u a li so n o

a’ n o s tr i g io rn i i D u c h i , G r a n -D u c h i ec. , e d in q u a l p p r te d e l-

1’ A sia av essero d o m in io n o n si h a co n tezza a lcu n a . C h e n o n

re g n a sse ro in c o n tra d e b a rb a re se m b ra in d ic a re i l c a ra tte re g reco

d e ’ lo ro n o m i.

(285) R a m m e n ta n d o s i. H o Seguita la c o n g h ie ttu ra d e l Reiske , il quale suppose che in n a n z i a d m t w M lr r t t , s iccom e leggesi in

f o l i b i o , to m o i l i . i 3

»93

Page 194: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

tu t t i i c o d ic i , fosse om esso i l v o cab o lo f t i f t u i f t i p t i , to c c h e

d e b b a a v e r so sp e tta to ez ian d io i l C a s a u b . , in tro d u c e n d o n e lla

su a v e rs io n e la p a ro la m e n to re s . L o S c h w e ig h . co rre sse a rb i t r a -

r ia m e u te »rm t t X t / m i , p re te n d e n d o c h e p e r e lliss i si p o ssa s o t -

t in te n d e re 7«#«47« f i m M u . N o n g li d isp iace p e r ta n to u n ’ a l t r a

em en d az io n e p ro p o s ta d a l R e isk e d i c o n v e r tire V i i . i n « , c h ’e g li

in te rp re ta , q u o d e c o ro s e r v a n d o , m a c h e se m b ra m i s te n ta ta .

Io m i lu sin g o d ’ a v e r a b b ra c c ia ta l ’ o p in io n e p iù rag io n ev o le .

(284) A lim e n ta r s i . N o tis i q u es ta esp ress io n e , la q u a le in d ic a

ch e i so ld a ti q u i a n n o v e ra ti n o n av ean o a le v a rs i te m p o r a r ia -

m e n te , m a d o v e a n esse re s ta n z ia ti e m a n te n u ti d a lla leg a p e r

q u a ls iv o g lia e v e n to .

(a 85) A I lid o o r ie n ta le d e l t A r g o l id e . Q u esto tr a t to d i c o s ta ,

c h e fianchegg ia 1' E p id a u r ia e la T r e z e n ia , fu p e r ecce llen za

c h ia m a ta Av «7« ( A c te , sp ia g g ia d i m a r e , lid o ) e ta le la d e n o ­

m in a q u i P o lib io - D io d o ro tu tta v ia ( x v m , p . 633 ) d is tin g u e

d a g li A rg iv i g li a b i ta n t i , così d e ll’ A c te , co m e d e lle a ltre p r o ­

v ince- a q u es te co n tig u e - P e r c iò c h e sp e tta a l sen so d e lla v o c e

A «7* , è dessa d a llo sco lia ste d ’ O m e ro ( IL B . v . 3g5 ) co s i

d e f in ita : i x a f » ^ a X Ì t v i * t tea) i c i l f é J m 7«'*••* , «*■<> l i n i f i

yliirSxi , i i r r ' t , f n m r à a t «al w tp ix X * r $ a i l a x v f ta ì tc ,

s i to p r e s s o a l m a r e e s a s s o s o , d a l r o m p e rs i c h e f a n n o in to r n o

a lu i le o n d e . Q u in d i e b b e ro a l t r i l id i a n c o ra q u esto n o m e , e

F A ttica p u re fu p e r c ag io n e d e lla su a estesa costa v ic in a a’m o n ti

a p p e lla ta A c te ( T zeze L y c o p h r . p . 88 ; S tra b . i x , p . 5g i ) e

la p a r te m a r ittim a d e ll’ A c a rn a n ia fu eg u a lm en te cosi ch ia m a ta

( S tra b . x , p . 461 )•

(286) C a la m o . D i q u esto lu o g o fo rte d e lla M essenia n o n tro v a s i

m en z io n e p re sso a lcu n a l tro an tico . S e m b ra p e r ta n to c h e fosse

p o c o lu n g i d a ’ co n fin i d e lla L a c o n ia » d a p p o ic h é L ic u rg o se n e

im p o ss e ss ò , a p p e n a u sc ito c o ll’ ese rc ito .

(287) C ip a r isse i. E ra C ip a rissa la p r im a c ittà m a r ittim a d e lla

M essen ia c h e in c o n tra v a si v e n e n d o d a lla T r i f i l ia ; p ro v in c ia , s ic ­

com e v ed em m o , a p p a r te n e n te d i ’ E lid e .

«94

Page 195: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

(3 8 8 ) A n d a n ia . H o se g u ita la lez ione d e llo S c h w e ig h ., i l q u a le a

w f'e t 7* i , e sp re ssio n e m o lto o s c u r a , e e h e fece d a r i

d o tt i in is tra n e c o n g h ie ttu re , so s titu ì a r j «*■ 7»» A '» /* » /* » , essendo

A n d a n ia c i t tà d e lla M essen ia ra m m e n ta ta d a P a u sa n ia e d a S tra ­

b o n e ( y m , p- 36o ) , e s itu a ta f ra I r a e M essene su lla s tra d a

c h e co n d u ce a M egalopo li. O m e ro l a ch iam a q ( E c a l i a ) .

E ta n to è la lez io n e d e l su llo d a to c o m m e n ta to re p iù r a g io n e v o le ,

q u a n to m eg lio s’ac c o rd a c o l w ftr f i tX c tc z r t m r c i f u t t f ( fa c e n d o a t ­

ta c c h i ) c h e p reced e .

(389) T a u r io n e . C o lu i c h e F ilip p o la sc iò su o lu o g o ten en te n e l

P e lo p o n n eso . ( V . ì v , 6 , 8 7 ).

(390) P r iv a t i d e l la p a tr ia . ( V . i r , 55 e ì v , 2 5 )

(391) A d o ta z io n e . L eg g o c o l R e isk e à i * x . \ i p u r i i , s o r t i t io -

n e m , d is tr ib u z io n e p e r s o r te , e n o n à i t t n X i p u n t , r ie m p im e n to ,

s u p p lim e n to . Q u a n d o p resso i G re c i accadeva in u n a c i ttà c am b ia ­

m en to d i g o v e rn o , i te r re n i c h e av ean a p p a r te n u ti a ’e itta d in i espu lsi

p o n e v a n s i in c o m u n e , e la s o r te d ec id ev a d e lo r o n u o v i p a d ro n i, i

q u a li to g liev an s i se m p re f ra i p iù z e lan ti fau to ri d e l n u o v o o r ­

d in e d i cose. N ello s te sso m o d o d is tr ib u iv a n s i d a ’ R o m a n i i fo n d i

a ’ so ld a ti eh ’ e ra n o m a n d a ti n e lle co lo n ie . - I o n o n h o c re d u to d i

d o v e r e s p rim e re q u es ta p a r t ic o la r ilà n e l v o lg a r iz z a m e n to , m a m i­

ra n d o a llo sc d p o d e ll’ o p e ra z io n e , c io è a lla c reaz io n e d e ’ n u o v i

p o s s e s s o r i, h o u sa to q u e l v o cab o lo c h e p iù m i è se m b ra to c o r ­

r isp o n d e re a c o ta le sco p o .

(393) P r ita n id e . N ella v ita d ’A r is to tile sc ritta d a in c e rto au to re^

e p u b b lic a ta d a l M e n a g io , P r i ta n id e è f ra g li u n d ic i su ccesso ri

d e llo S ta g ir ita p e r o rd in e d ’ e tà ( c h e così io in te rp e tro il * » 7J»

7«£<? c h e c o là le g g e s i) n o m in a to l ’o tta v o . P lu ta rc o a n c o ra ( S y m -

p o s . 1 , O p p . T . u , p . 6 1 2 ) ra m m e n ta q u e s to f ilo s o fo , q u a n ­

tu n q u e eg li n o n d ic a c h e fosse p e rip a te tic o . C iò c h e d i lu i a sse ­

r is c e P o lib io m e tte la cosa fu o ri d i d u b b io , e d a to r to so stien e il

M en ag io eh ’ eg li c o n a lc u n i a l t r i d eg li u n d ic i c h e in qu e lla v ita

r isc o n tra n s i n o n so lo n o n fu ro n o su ccesso ri d ’ A r is to t i le , m a n e p ­

p u re P e r ip a te tic i.

(393) N e l te m p io d i G io v e a c c o r d a to re . ’E» h a il t«r*

i 95

Page 196: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

i t o , su lla q u a l vo ce v ed i la n o ia i 3^ d e l se co n d o lib ro . E ra

co tes to tem p io in E g io , d o v e gli- A ch e i te n e a n o il lo r an n u o c o n ­

g resso .

(294) D is tre tto . C o n p a ro la p iù s ig n if ic a n te m a im p o ss ib ile a

re n d e rs i n e l n o s tro id io m a c h iam a P o lib io n e ll A ch ea rvtltXnct

ciaor-Kprlun tr a t to d i paese, c h e c o n tr ib u iv a in c o m u n e ( m / l i x t t )

u o m in i e d a n a r i , siccom e eg reg iam en te sp ie g a i l R e isk e co te s ta

esp ressione .

(2g5) L e o n z io . L u o g o n o n co n o sc iu to d a n e ssu n a u to r e , e c h e

io so sp e tto esse r u n a c o rru z io n e d i L e u t tr o ( AeS*7^«* ) n e l t e r ­

r i to r io d i R ip e f ra E g io e F a r a ( V . S tra b . v i a , p . 3 8 7 ) , d o v a

p e li’ a p p u n to a c c a d d e ro i fa tti q u i n a r ra ti .

(296) M o ìic r ia . C ittà d e ll’E to l i» , f ra la qu a le e N a u p a tto è il

p ro m o n to r io A n tù r io . 1

(297) C a lce a . S eco n d o S tra b o n e ( x , p . 45g ) il m o n te C a lc id e ,

d a A rte m id o ro d en o m in a to C a lce a ( X aA fcSia ) , g iace n e ll’A c a r-

n a n ia ( p ro p ria m e n te n e ll’ E to lia ) f ra la foce d e ll’ E v e n o e P le u -

ro n e . M a stran iss im a è l’ esp ressio n e d i S t r a b o n e , e ta le c h e n o n

s i c o m p re n d e , se c ittà fosse co tes ta C a lc id e o m o n te . P o lib io scio ­

g lie sifià tto d u b b io e c i a d d ita l ’ em en d az io n e d e l g e o g ra fo , il

q u a le s e m b ra a v e r s c r i t to , n o n 7ò cgtt i X « A x if ( i l m o n te la

C a lc id e , m a 7» cgts *»i i wiXit x£\mt ( i l m o n te e la c ittà

d i C a lc id e ). D u b ito p e r ta n to se v ’ avesse u n ’ a l tr a C a lc id e m e d i­

te r ra n e a n e ll’E to lia su ll’E v e n o , co n fo rm e asserisce lo S c h w e ig h .;

d a p p o ic h é qu e lla e h ’ eg li c re d e t a l e , m e n to v a ta d a S tra b o n e n e l

l ib . x , p . 447 j O m e ro c ita to d a q u es to geografo c h ia m a X «A xuT a

, C a lc id e lito ra le . N è d iv e rsa d a ll’ O m e ric a è q u e lla d i

c u i n a r ra T u c id id e ( 1 , p . 71 ) c h e a p p a r te n e v a a ’ C o r ìn t i i , e

c h e g li A ten iesi p re se ro g ira n d o co lle lo ro n a v i il P e lo p o n n eso .

D e l re s to v ’ av ea p a re c c h ie a l t r e c ittà d i qu esto n o m e : C a lc id e

d ’ E u b e a , C a lc id e d i T r a c i a , C a lc id e d i S icilia .

(2 9 8 ) I l R io . « A ltr im e n ti A n tir r io . S tefano , B iza n tin o fa , a

d i r v e r o , d i R io u n a c ittà d e ll’ E to l ia , ch e n o n è d iv e rsa d a

M oìicria ; m a re a lm en te è desso u n p ro m o n to r io , c h e sp o rg e s e i

m a re p resso M o ìicria . » S ch w eig h au ser.

i 9 6

Page 197: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

(299) I I r e s id u o d e lla so m m a . A v ea F ilip p o s ta b ilito co n S ce r-

d ila id a d i p a g a rg li v en ti ta le n ti a ll’ a n n o , a ffinch’ eg li m olestasse

g li E to li p e r m a re . V . ìv , 2 9 , v , 3 , 4-

(300) I l p r o m o n to r io d i M a le a . P u n ta o r ie n ta le d e l go lfo d e lla

L a c o n ia , in to rn o a cu i la n av ig az io n e e ra m o lto p erico lo sa p e lla

c o n tra r ie tà d e ’ v e n ti ( S tra b . v m , p . 3^8 ). I l n o m e g reco è in

p lu r a le , e su o n a le M alee.

(301) F is s io . L u o g o d i p o ch issim a co n sid eraz io n e e d a n essu n

a l t r o sc ritto re n o m in a to .

(302) C a lid o n ia -N a u p a z ia . T e rr i to r io d i C a lid o n e e d i N au-

p a tto .

(303) F a n o te a . P ic c o la c ittà d e lla F o c id e su l fiu m e C efiso

( S tra b . ix , p . 4 0 7 ). L ’ a u to re de’ v iag g i d ’ A n a c a rs i la co n fo n d e

c o n P a n o p e o , a l tr a c ittà d e lla F o c id e so p ra O rc o m e n o , p o co

lu n g i d a O p u n z io , cap ita le d e ’ L o c r i E p ic n em id ii ( S tra b . ix ,

p . 4>6 ).

(30 4) T r a d im e n to a ro v e sc io . G ia so n e fin g en d o d i tr a d ire A les­

sa n d ro tra d ì A g eta ; q u in d i co lse il f ru tto d e ll’ in g a n n o c h i d o v ea

r im a n e r in g a n n a to , e r im a se tr is to c h i v ed easi in p u g n o i l p ro ­

fitto . C iò esp resse P o lib io esa ttam en te c o l v o cab o lo x « A n s r f «cTonr,

c h e in g e g n a to m i so n o d i v o lta re c o lla m ag g io r p o ss ib ile p re c i­

sione . F a ls a e t s im u la ta tr a d it io tra d u sse lo S c h w e ig h ., m a n o n

r e s e , p e r q u a n to s e m b ra m i, tu t ta la fo rza d e l te s to . Im p e rc io c ­

c h é s im u la to b e n s ì e ra il t r a d im e n to , m a c o n v e n iv a ez ian d io in ­

d ica re la q u a lità d e lla s im u la z io n e , ch e co n sistev a a p p u n to n e l-

l ’ in v e r tire l’ o rd in e d e lla tram a.

(30 5) B ila z o r a . < S tef. B iza n tin o la c h ia m a B im azo ( B ù ftttg o t ) j

e si r ife risce a lla tes tim o n ian za d ’ E fo ro ; m a L iv io ( x l i v , 26 )

s’acco rd a c o n P o lib io . » R e isk e .

(306) P e o n ia . C osì ap p e llav as i seco n d o L iv io ( x i , 3 ) in tem p i

p iù re m o ti 1’ E m a tia ; n o m e c h e a n tic a m e n te eb b e tu tta la M ace­

d o n ia d a l r e E m a tio n e , c h e d ie d e co là i p r im i sagg i d i v a lo re .

( J u s t in . v u , 1 , P lin io ì v , 17 , 1 0 ) . E ra la P e o n ia , g iu sta T o ­

le m e o ( i h , 13 ), s itu a ta nel. c e n tro d e l m en to v a to r e g n o , e c o n ­

te n e v a P e lla c ap ita le d e l m edesim o. M a a g iu d ic a r e d a q u a n to n e

*97

Page 198: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

d ic e i l n o s t r o , « P lin io ( L e . ) c o p r iv a essa 1 c o n fin i s e tte n tr io ­

n a li v e rso la D a rd a n ia .

(307) B o ttie a . I n S tra b o n e so lta n to ( v i i , p . 33o ) tro v o f a t ta

m en z io n e d i q u esta p ro v in c ia , c h e seco n d o lu i il fium e A s s i o

A s s io d iv id e a d a ll’ A m fa s s i t id e , p e r m o d o e b e essen d o q u esta a d

o rie n te d e l m en to v a to f iu m e , la B o ttie a g iacev a a d o c c id e n te d e l

m ed esim o .

(30 8) E d e ssa . R ife risce G iu s tin o ( L e . ) c h e G a ra n o m e n tre

ce rc a v a co n u n a g ra n d e m o ltitu d in e d i G r e c i , p e r c o m a n d a m e n to

d e ll’ O ra c o lo , u n a sed e n e lla M acedon ia , v e n u to n e ll’ E m a z ia ,

o c c u p ò la c ittà d ’ E d essa se g u en d o u n a g reg g ia d i c a p re , senza

c h e gli a b ita n ti se n e acco rg essero p e r c ag io n e d e lla fo lta n e b b ia

e d e lla d iro tta p io g g ia . I n m em o ria d i q u es to a v v en im en to c h ia m ò

e g li 1’ a n z id e tta c ittà E g ia d a i i y t s ( E g o s ) g en itiv o d i c a p ra .

S o lin o ( c . i 5 ) n a r ra c h e C a ra n o , g iu n to co ’ suo i in M acedon ia

d a l P e lo p o n n eso , fa b b ric ò u n a c ittà e h ’ eg li a p p e llò E g a , do v e

a v ea o sserv a to eh ’ e rasi c o r ic a ta u n a g reg g ia d i c a p r e , se co n d o il

re sp o n so d a to g li d a ll’O raco lo . Q u in d i n o n e r a n o , a d e tta d i questo

a u to re , E g a ( o E g e a ) e d E d essa la stessa c i t t à , lo c c h è fu ez ian ­

d io o p in io n e d i T o le m eo ( l . c . ) c h e a m e n d u e d istin g u e .

(3 0 9 ) L a r is s a . C ittà m e d ite rra n e a d e lla T essag lia su l fium e

P e n e o , c h e n o n d ee c o n fo n d ersi co lla L a ris sa m a r i t t im a , so v ra n -

n o m a ta C r e m a s te , ossia p e n s i le n e lla F tio t id e p re sso a l sen o

M aliaco .

(3 10) M e lite a . È f ra le c i t tà d e lla T essag lia ra m m e n ta ta d a

S tra b o n e ( i x , 434 ) e d a P lin io ( ì v , 1 6 , 9 ) . I n te m p i p iù lo n ­

ta n i ch ia tn av asi P i r r a , e i su o i a b ita n ti a sse riv an o c h e in p icc io -

liss im a d is tan z a d a lo ro fosse i l p o c o rag g u a rd e v o le cas te llo d ’£7-

l a d e , d o n d e g li E lle n i tra ss e ro i l n o m e .

(3 n ) D a n n o d i t è p ro v a . N o n h o v o lu to n e g lig e re n e lla v e r ­

s io n e la p ro p r ie tà d e lla frase g reca (T««><e« 7«> «v7«» v t ì f c *

( d a r e p ro v a d i s è ) re la tiv a a l l’ o g g e tto ' c h e n e g li sp e rim e n ti si

d im o s tra e ffica ce , in o p p o siz io n e a v t i f i t 7 jn e

( p r e n d e r e p ro v a d ’ a lcu n a c o s a ) c o n c e rn e n te a l sn -

b ie tto c h e lo sp e rim e n to in slitu isce . I l c a p e r e e x p e r im e n tu m dei

1 9 8

Page 199: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

la t in i c o rr is p o n d e a lla seco n d a d i q u este fra s i ; n o n così p o sso a

essi re n d e re la p r im a c h e q u i r i s c o n tr a s i , e c h e gl’ in te rp e tr i

e s p rim o n o p e r e x p e r im e n to o o g n a sc u n tu r .

(3 1>) A c h i f u d a n n e g g ia to . H o se g u ita la le s io n e p ro p o s ta

d a llo S c h w e ig h . su ll’ a u to r ità d e ’ p iù r ip u ta ti c o d i c i , sicco m e la

p iù ra g io n e v o le : c ioè a d ire w * S t i r i t ( c o lo r o c h e so f f ro n o ) in

lu o g o d i w u f t v n t ( c h e so n o p r e s e n t i ) , e r v t i ù n ( c h e c o n o ­

s c o n o ) d a r v t h / t t ( c o n o s c e r e , s e n t ir e ) p e r m i t r i d a r i t t i f t t

( s o n o in siem e co n a lc u n o , c o n v e rso ) .

(3 i 3) E n ip e o . Q u esto f iu m e , se c o n d o S tra b o n e ( v m , p . 3 5 6 ) ,

d isc e n d e d a l m o n te O tr i c h e in s iem e c o l P in d o fo rm a la c a te n a

o c c id e n ta le d e lla T e ssag lia ( P lin . ìv , i 5 , 8 ) ; e r ic e v e l ’ A p i-

d a n o , c h e v ie n e d a F a rsa lo . Q u in d i d ee F ilip p o e sse rsi accam ­

p a to p o c o lu n g i d a q u esta c ittà . U n a ltro fiu m e d i q u es to n o m e

e r a n e ll’ E l id e , e ca d e v a n e ll’ A lfeo , m a a’ te m p i d i S tra b o n e

(1 . c . ) avea g ià c an g ia ta d en o m in az io n e .

(3 i 4.) F a rsa lo . Q u esto è p ro p r ia m e n te il n o m e d e lla c it tà r e n -

d u ta ta n to c e le b re p e lla d isfa tta d i P o m p e o ; n o n g ià F a r sa lia ,

c o n fo rm e p e r e r ro r e r isc o n tra s i in a lcu n i te s ti a n tic h i. ( V . F o r -

c e llin i L ex ic . a d v o c . P h a rg a liam ) , a co n c u i d e n o ta v a s i i l suo

te r r i to r io ; o n d e leg g esi in L iv io ( x x x m , 6 ) P h a r s a lia te l lu s .

(3 15) P ia n o d e n o m in a to A m ir ic o . F r a le c ittà d e lla T essag lia ,

c u i g li E to li re c a v a n o d a n n o co lle lo ro s c o r r e r ie , L a ris sa e ra la

p iù d is ta n te d a T e b e , d o n d e q u e lli u sc iv an o . I l p e rc h è io n o n

d u b ito c h e i l p ia n o q u i n o m in a to fosse la g ra n d e p ia n u ra , n e lla

q u a le e ra n o L a rissa » F e ra e p a re c c h ie a ltre c i t tà , e c h e a’ te m p i

d i S tra b o n e ( i x , p . 4 4 3 ) c h iam av as i c a m p o P e la sg ic o : T t »v»

x a X t u p u t t i , so n o p a ro le d i q u e l g e o g ra fo , H tX » r y i» » t a ri </<«».

(3 16) C o W a ss id u ita d e l la v o ro . I l te s to n o n h a c h e 7jf d i n n ^ i / «

( co lla f re q u e n z a , co n tin u az io n e ) , ed il R e is k e , c h e io h o se g u ito ,

acco n c iam en te p ro p o n e d i a g g iu g n e rv i 75 v i tu ( d e l l a v o r o ) o

q u a lc h e cosa d i sim ile .

(3 17) L e o n z io . V e d i so p ra c a p p . 4 e 27 .

(3 18) F ilip p o p o li. 7J r ‘J f iX /n w n t r ^ X i t , la c it tà d i F il ip p o ,

c h ia m a P o lib io la stessa c h e T . L iv io ( x x x i x , a 5 ) d en o m in a

*99

Page 200: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

P h ilip p o p o lis , e se n za d u b b io p a r la q u esti d e lla T e b e F t i a , d a p ­

p o ic h é l’ a n n o v e ra f r a q u e lle c ittà c h e F ilip p o to lse a g li E to li . C osi

l ’ ap p e lla p u re D io d o ro ( l i b x x v i , ec l. 7 ) . I P o e t i , s iccom e V ir ­

g ilio , O v id io , L u c a n o , P e tro n io , e q u a lch e s to r ic o -a n c o ra , sic ­

co m e F lo ro , c o n fu se ro q u esta c i ttà c o n F i l i p p i , e h ’ e ra n e lla

M aced o n ia es trem a a’ c o n fin i d e lla T r a c i a , e d o v e C assio e B ru to

sc o n fitti fu ro n o d a O tta v ia n o e M . A n to n io . S c r iv o n essi ( V . F o r -

e e llin i a d voc . P h i l ip p i) c h e la b a tta g lia in cu i c a d d e ro g li u l­

tim i p ro p u g n a to ri d e lla R e p u b b lic a R o m a n a a v v e n n e n eg li stessi

cam p i F a rsa lic i , n e ’ q u a li fu ro tto il g ra n d e P o m p e o , e n o n

lu n g i d a c u i e ra situ a ta la T e b e d i T essag lia . L a q u a l a sse rz io n e

in d u sse in e r ro re i l P a lm ie r i , facen d o g li c re d e re c h e F ilip p o p o li

a n c o ra dovesse ch iam ars i F i l i p p i , e c h e m e s tie r i fosse d i c o rre g ­

g e re P o l ib io , c o n v e r te n d o 4> t\iz r w v s - i x i t in

(3 19) I n to r n o M a le a . C io è i l p ro m o n to r io d i M alea. V . so p ra

i l cap . 95 .

(3 20) F a s te . H ' / t i tX i i i t c h iam a P o lib io le p icc io le n a v i , d e lle

q u a li se rv iv an s i g l’l l l i r i i p e r p re d a re . I n co n fo rm ità d i c iò d efin isce

E s ic h io q u esto v o cabo lo : f m c f t t <rA<7<> < f/x g tì» i ^ c r f i x a t , p ic ­

c o lo n a v ig lio c o n d u e o r d in i d i r e m i , p e r u so d i p ir a ti . L ’ o r i­

g in e d i qu esto n o m e c h e su o n a : ( v ascelli ) d a u n o e m e z z o , è

cosi a d d ita ta d a ll’ E tim o lo g o : T» i f t i c X i t t *vj/ * A 0 » i f t l S i

i c n , w f ù t Te « s r «#7S fttc% e$ vci, u n a p a r te e m e z z a -è v u o ta

d i r e m a to r i , a ffin c h è d a q u e lla s i c o m b a tta ; c ioè d i q u a ttro

p a r t i u n a so la è o ccu p a ta d i r e m a to r i , e tr e n o n n e h a n n o . -

I R o m a n i c h ia m a v a n o q u esta specie d i b a rc h e tte m y o p a r o n e s ,

i l q u a l v o cab o lo c o n m o lta p ro b a b ilità d e r iv a lo S c a lig e ro d a

/ t v i t t t , e ssen d o la fo rm a d i siffa tti le g n i b is lu n g a , e s im ile a

q u e lla d e ’ so rc i ( V . V o ss. E ty m o lo g . a q u es ta v o c e ) - A llo s te sso

s ig n ifica to c o rris p o n d e in ita lia n o f u s ta , c h ’ è sp ie g a to d a lla C ru ­

sc a : s p e z ie d i n a v ilio d a re m o d a co rseg g ia re .

(3a i ) N e lla , b a tta g lia d ’ E tr u r ia . P re sso i l lag o T ra s im e n o .

( V . m , c. 8 4 ).

(322) C h e a n e s s u n o p iù c h e a t e s i c o n v ie n e . C o m e a q u e ­

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Page 201: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

g li c h e g lo ria v asi d i d isc en d e re d a A lessan d ro M agno. V . so ­

p r a c . 5 .

(323) D a c c h é e ra u sc ito d i p r ig io n ia . C osì se m b ra m i c h e d e b -

b a n in te rp re ta rs i le p a ro le d e l te s to i * 7? r ( l e t ­

te ra lm e n te , fu o ri d e lla p rig io n ia ) , e n o n co m e le tra d u sse lo

S c h w e ig h . : e x q u o c a p tu s f u e r a t ( d a c c h é e ra s ta to p re so ) ,

q u as ich é eg li fosse a n c o r p r ig io n e . D i so p ra ( c. 9 5 ) r ife r ì P o li­

b io , ch e , essendo eg li cad u to n e lle m an i d i F i l ip p o , a llo rq u a n d o

qu esti d ied e il guasto a lla cam p ag n a d i N a u p a t to , fu po sc ia m esso

in lib e r tà sen za risc a tto . C h e se , m e n tre tro v av asi in E g io , n o n

fosse s ta to l ib e r o , co m e a v re b b ’ eg li p o tu to a sp e tta re co là a suo

a rb itr io il congresso d eg li A chei ?

(3i 4) P irg o . L iv io ( x x v ii , 3q ) fa m en z io n e d ’ u n caste llo d i

q u es to n o m e s itu a to n e lla d is ta n z a d i c in q u e m ila p assi d a E lid e .

C re d e lo S c h w e ig h . c h e i l P irg o q u i n o m in a to d iv e rso fosse d a l

L iv ia n o , e v ic in o a’ co n fin i d e ll’ A chea e d e ll’ A r c a d ia ; m a n u lla

im p ed isc e ch e F ilip p o in u n a g ro ssa s c o rre r ia si app ressasse a lla

c a p ita le d e ll’ E le a , q u a n tu n q u e su a in ten z io n e n o n fosse d i occu ­

p a re q u esta p ro v in c ia . - D e l re s to legge-vasi il p re se n te p asso

s tra n a m e n te c o r ro tto n e ’ co d ic i , e d i l C a sau b i in g eg n an d o si d ’ e -

m e n d a r lo fece p e g g io , c a n g ia n d o I t l f z r i f i z r n - i t i s ( P i r g o n e ’ P e -

r ip p ii) i n 1*7s i ; i / V o ts ( n e l le ru in e , c ioè u n a to r re n e lle ru in e '

d i L asio n e ). I l R e isk e v o lle co n se rv a re l ’ an tica le z io n e , e lo

S c h w e ig h . p ro p o n e n e lle n o te a p p iè d e l te s to ( n e i

c a m p i d in to rn o a l P e n e o ) , m a n e ’c o m m e n ta rli se n e r itr a tta .

S icco m e p e r ta n to 10 p o r to o p in io n e , c h e d e llo stesso P irg o p a r ­

la s se ro , e L iv io e P o l ib io , e q u e llo c h e è ra m m e n ta to d a llo s to ­

r ic o ro m a n o e ra p o c o lu n g i d a E lid e b a g n a ta d a l P en eo ; così h o

p re fe r ita la c o rre z io n e d ello S c h w e ig h ., co m ech è d a lu i stesso

r iv o c a ta .

(3q5 ) P a n o rm o e c . V . Ia n o ta 124 a l l ib ro p rim o .

(3a 6) V a lle d e lla N a u p a tia . K a lx e t 7Ut , e h ’ è

q u a n to d ir e : i lu o g h i c o n c a v i d e lla N aupaz ia , ta li c h e s’ a b b a s ­

sa n o d a tu tte le p a r t i , com e fan n o a p p u n to le va lli. N ello stesso

se n so è d a in te n d e rs i la C e lesiria K»?Aii Z v j <* , d e lla qu a le tan to

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Page 202: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

p a r la il n o s t r o , situ a ta in u n p ro fo n d o p ia n o f ra le c a ten e d e l

L ib a n o , d e ll’ A n tilib a n o e d i a ltre a ltiss im e m o n tag n e .

. I l q u a le p a r lò ec . C o n p o c a esattezza s to ric a G iu slin o

( xxix , 2 ) fa c h e F ilip p o a ll’ in c irc a co lle stessa p a ro le a r in g h i

i M aced o n i.

(3 'i8) A ffe r r a n d o s i le m a n i. C o si n a r r a D io d o ro ( x v n , 55 )

c h e l’ e se rc ito d ’ A lessan d ro p assò i l T i g r i , p re se n ta n d o u n a so la

m a s s a , de’ lo ro c o rp i c o m p o s ta , a ll’ im p e to d e lle o n d e ; q u a n tu n ­

q u e C u rz io ( ì v , 3 7 ) asserisca c h e fecero qu esto tra g itto a lz a n d o

le a rm i su lla t e s ta , n e lla q u a le a t t i tu d in e , co n fo rm e osserva i l

F re in sh e m io , n o n p o tev an o i so ld a ti p a s sa r u n i t i , se n o n se a

d u e a d u e .

(329) B a rb a r i , « D e n o ta v a eg li i R o m a n i , s iccom e n e l l ib ro

ix , 5y . » R e isk e .

(35o) N e lF o c c id e n te . T a l e ra la p o siz io n e d e ll’ I ta lia p e r r i ­

sp e tto a lla G rec ia . 11 C asaub . le s s e , seg u en d o i C o d ic i m a n o sc rit­

t i , la . l t à v i i f i l t r i , e tra d u sse a d v e r s u s i l la s im m e n s a s v ir e s

( il q u a le i l la s im m e n s a s n o n è n e l te s to ) ; m a il R e isk e g iu d i­

z io sam en te n e fece 1* 11 J i t t n . G iu s tin o a n c o ra fa d ir e a F i l ip p o

n e llo stesso d isc o rso . « Y id e re to n a n te m ac fu lm in a n te m a b oc~

c a s u p r o c e lla m . *

(331) D isp o s e t u t t i g l i a lle a ti a l la p a c e . I n o g n i te m p o le

g u e r re e s te rn e fu ro n o n eg li s ta ti i l m ig lio r r im e d io c o n tro a lle

in te s tin e d isc o rd ie , s o v ra ttu tto n e lle r e p u b b l ic h e , d o v e 1’ a m b i­

z io n e d e ’ p o te n ti h a c o n tin u o b iso g n o d i pasco lo . O g n i p a g in a ,

a cosi d i r e , d e lla s to r ia d e ’R o m a n i , a llo rq u a n d o p o p o la rm e n te s i

reg g ean o , a tte s ta q u esta v e r ità . M a a lla G re c ia , d a lle co n tin u e in ­

te rn e s tra g i m a lm en a ta e d e s a u s ta , p o c o g io v am en to re c ò la s fo r ­

za ta u n io n e d a l t im o re d ’ u n e s te rn o n em ico o p e ra ta .

(33a) A l l o s ta lo so lo . I l te s to h a se m p lic em en te cu y k g t h •

m a av v e rte o p p o rtu n a m e n te lo S c h w e ig h . c h e deesi so ttin te n d e re

( t i f i ( s o lo . ) I n fa tti sa re b b e s ta ta cosa tro p p o a s s u rd a , c h e i

G re c i facendo p a c e n o n a v e sse ro p iù b a d a to a ll’in te re sse del p r o ­

p r io p a e s e , m a u n icam en te si fossero v o lti ag li a ffa ri c h e a g ita - ,

v a u s i in I ta lia f ra i R o m a n i ed i C a rtag in es i.

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(333) L a n o s tr a p ro m e ss a e c . V . i , 3 , r v , 2 8 .

(354) L e lo ro s o s ta n z e . N e’ c o d ic i n o n leggesi c h e i S in t , e

(il p e r m e ra c o n g h ie ttu ra ch e il C asau b . agg iunse f i l t v t ( f a c o ltà ,

so s tan ze ). L o S c a lig e ro , a tte n e n d o s i a l P e r o t t i , c h e sc risse rc -

s p u b lic a s c o m p o n e b a t , p re fe rì a ll’ a n z id e tto v o ce t i f t t v t ( l e g g i ) ;

m a lo S c h w e ig h . a b u o n d ir itto tien e co l C a s a u b ., d a p p o ic h é

x l i t f t t t t e à t x x l i » p a i ( p o s s e g g o , e r i to rn o in possesso ) d ices i

c o n m o lto m ag g io re p ro p r ie tà d e ’ b e n i e d e lle fo rtu n e c h e n o n

d e lle l e g g i , e d ó ltre a c iò le c ittà d e l P e lo p o n n eso n o n a v ean

a ltr im e n ti p e rd u te le lo ro le g g i , t r a n n e qu e lle p o c h e c h e , p e r

esse re s ta te c o n q u is ta te , m u ta ro n o g o v ern o .

(335) N a t i f a t t i e c . L ’ in c iv ilim en to d i tu tte le n a z io n i c h e

a b ita v a n o q u es ta p e n iso la , la fe r tilità d e l lo ro te r re n o , 1’ o p p o r ­

tu n ità ch e d a v a n o a’ tra ffich i le estesissim e lo ro co ste , le in s titu -

z io n i p o litich e e re lig io se c h e a v e a n a d o t ta te , e ra n a l c e r to a ttis ­

sim e a s ta b ilire la p ro s p e r i tà d i c ia s c h e d u n a , o v e la c u p id ità d i

p rim e g g ia re n o n avesse d i c o n tin u o a rm a te le u n e c o n tro le a ltre .

E fu co tes ta m a l a u g u ra ta sm a n ia da’ p iù re m o ti te m p i la in fe li­

c ità d e lla G r e c ia , la q u a le n o n cosi to s to usc i v itto rio sa d e lla

te r r ib i le lo tta co lla P e rs ia , c h e fu la c e ra ta p e lle d issen sio n i d eg li

A te n ie s i co g li S p a r ta n i , p o sc ia a n d ò so s so p ra p e lla g a ra d e ’L a c e -

m o n i co ’ T e b a n i ; e q u a n tu n q u e in a p p re sso g ra n p a r te d i lei

p ieg asse so tto il g iogo de’ r e d i M a c e d o n ia , e s i stesse c h e ta ,

1’ a ltra , e s in g o la rm e n te il P e lo p o n n e s o , n e ll’ a tto stesso c h e

sp ira v a l i b e r t à , in fu ria v a c o n tro sé m ed esim a. C osi n o n av en d o

essa sa p u to c o n se rv a re 1’ u n io n e c h e 1’ e b b e sc a m p a ta d a lle sm i­

s u ra te fo rze d i S e r s e , a ta n to d i d eb o lezza s i r id o s s o , c h e la

c o n c o rd ia in lei o p e ra ta d a l te r ro re d e lle a rm i o cc id en ta li in u tile

r ip ie g o d iv e n n e a lla su a sa lvezza. - S i .m arav ig lia lo S c h w e ig h .

d e l l ’ a sserz ione d i P o lib io c h e i P e lo p o n n e s i o ltre g li a l t r i u o m in i

a t t i e ra n o a d u n a v ita m an su e ta e d u m a n a , g iacch é c iò n o n

p o te a s i d ire d e g li S p a r ta n i , be llico s i ben sì e d i se v e ri c o s tu m i,

m a n o n p u n to m an su e ti. Q u an d ’ a n c h e p e r ta n to i L aced em o n i

n o n fo ssero s ta ti c h e la q u in ta p a r te a p p e n a d i tu tto i l P e lo p o n ­

n e s o , eg li n o n è p o i v e ro che u n a n a z io n e a u s te ra n e l te n o re d i

ao3

Page 204: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

v ita , e n e ll’ a r te d e lla g u e rra e s e rc ita ta , n o n p o ssa g u sta re le

do lcezze d e lla pace . Q u ale f r a le n a z io n i m o d e rn e è p iù so b r ia

d e g li S v iz z e r i , e q u a le p iù in d u ra ta a ’ p a tim e n ti d e lla g u e rra ? e

tu t ta v ia m e n a n essi u n a v ita tra n q u illa , n è m a i so n o fra. d i lo r o ,

o co ’ v ic in i in d is c o rd ia , p e rc h è , c o n te n ti d e l p ro p r io s ta to , n o n

conoscono il f u ro r d e lle co n qu iste .

(336) D i m a li c a r c h i. F ra m m e n to d ’ u n a tra g e d ia in c e r ta d i

E u rip id e . L o S ch w eig h . legge s r t ch ’ eg li c re d e m o ­

d ific a to d a t r { n r f fn % & n , a c c e n d ito r i d i g u e r ra , o s p ir a n ti g u e r ra ,

se n d o ch e sig n ifia a c c e n d o e sp iro . M a se m b ram i p iù r a ­

g io n ev o le l ’ a l tr a lez ione d i , to l le r a n t i d i s t e n t i ,

p ro p o s ta -d a l B a m e sio e d a l M u s g ra v io , p e r c u i si e v ita u n a r i ­

p e tiz io n e , e c h e h a u n ’ an alo g ia n e l 7a d ’ Es i chi o.

(33^) E u r ic lid e e M ic io n e . <* P a u sà n ia ( 11, 9 ) li c h iam a r e to r i

d e g li A ten iesi g ra ti a l p o p o lo . M o riro n c o s to ro in ap p resso a v v e ­

le n a ti p e r co m an d am en to d i F ilip p o » . S ch w e ig h au se r.

(338) E d u n a p e r so n a . ITf è n e l te s to , c io è a d i r e ,

se co n d o la sp iegazione d e l R e is k e , u n u o m o c h e la su a a u to r i tà ,

o se cosi v o g lia s i , la su a o m b r a , o m a sc h e ra p re s ta sse ag li E g iz i i ,

so tto cu i n a sc o n d e n d o si p o te sse ro fa re c iò c h e lo ro p iacesse. — L a

v e ra causa p e r ta n to d e lla rib e llio n e d e ’ so ld a ti in d ig e n i fu ro n o le

l ib id in i s fren a te d i T o le m eo , e l ’ in d e g n a con fid en za eh ’ eg li a v e a

d a ta a d A gatocle , il q u a le a su a p o s ta g o v e rn a v a i l re g n o in ­

siem e co lla so re lla c o n c u b in a d e l r e . - L a p e rso n a a c u i le m ili ­

z ie m a l co n ten te fecero cap o s i fu T le p o le m o , g io v an e au d ace e

p e r v ir tù m ilita re sp ecch ia to . Q u es ti rid u sse A lessan d ria n e lla

m ag g io r r is tr e tte z z a , in te rc lu d e n d o le V e tto v ag lie , e d o p o la m o r te

d i S o sib io e del r e , segu ita in q u e l t r a m b u s to , assunse l ’ a m m i­

n is tra z io n e d e l reg n o . V . P o lib . x v , a 5 e s e g . , x v i , a i .

(3 3 9 ) S t im a n d o s i su ffic ie n ti . P e rsu a s i essendo ch e d a sè s o l i ,

senz’ a ju ti e s te rn i , a v re b b o n o m ig lio ra ta la p ro p r ia co n d iz io n e .

(34o} P e la g o n ia . P ro v in c ia se tte n trio n a le d e lla M a c e d o n ia , f r a

l ’ E r ig o n e e l ’ A ss io , c h e ch iam av asi a n c o r T r ip o li t td e ( S tra b . v i t ,

p . 3 2 7 ) d a lle t r e c ittà c h e la co m p o n ev an o , c io è A z o r o , P it io

e D o lic h e ( L i v . x l h , 5 3 ) . L a c ittà d i S to b i c h e d ie d e i l n o m e

204

Page 205: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

a G io v a n n i S to b e o , e d Oggidì ap p e lla s i Stara.ch.ino , ig n o ta a’ testé

c ita ti a u to r i , m a ra m m e n ta ta d a T o le m eo ( t u , i £ ) se m b ra p o ­

s te rio rm e n te essere s ta ta fab b rica ta d a ’ R o m a n i , e d isfatti P lin io

( ìv , ì y , ) i o ) la c h ia m a o p p id u m c iv iu m R o m a n o ru m . - P its e o

n o n tro v a s i c h e in Polib io* '

(341) D a s sa re tid e . G iu s ta S tra b o n e ( v i i , p . 3 i 8 ) a p p a r te n e v a

q u es ta p o p o la z io n e , e h ’ eg li q ualifica o sc u ra , a ll’ U l i r ia , e d e ra

s itu a ta f r a i D a rd a n i e g li A rd ic i. S tef. B iz a n t . , c ita n d o il l ib . v m

d i P o lib io , p o n e eg u a lm en te i D a ssa rh i ( A « n r« ;J 7» t ) n e ll’ Illi r i a ;

o n d e io m ’ in d u c o a c re d e re c h e d u e fossero le p ro v in c e d ì q u esto

n o m e , l ’ u n a i l l i r i c a , l ’ a l tr a m aced o n ica . - P lin io ( i h , a 5 , a 3 )

co llo ca i D assa re ti d ie tro i P a r te n i , c h e il n o s tro s te sso ( 11, 11 )

a n n o v e ra f ra i p o p o li d e ll’ I lli r ia . ■

(34a) F e b a tid e . T ra n n e P o lib io n essu n o co n o sce qu esto n o m e. -

A n tip a tr ia . L iv io ( x x x i , 27 ) r ife risce c h e q u e s ta c ittà e ra si­

tu a ta in u n passagg io an g u s to - C r iso n d io n e , G e r tu n ta . N ella

v ic in a n z a d ’ A n tip a tr ia e ra n o , a d e tta d i L iv io ( 1. c. ) , C o rru g o

e G e r r u n ia , c h e fo rse n o n d iffe riv an o d a ’ lu o g h i q u i n o m in a ti

d a P o lib io . ,■

(343) L a te r z a p o r z io n e . N o n c o m p re se ro q u i b e n e , se co n d o -

c h e a m e p a r e , g l 'in te r p re t i la tin i la m e n te d i P o lib io . S c r iv e n d o ,

v i x e n im te r tio lo c o a liq u o ta h u ju s r a tio n e m h a b e b a t , v e n g o n

essi a s ig n if ic a re c h e D e m e trio p o n ev a F ilip p o n e l te rzo lu o g o ,

q u as ich é d o p o d i sé e d ’ a lc u n a l t r o , c h e n o n si sa c h i s i a , eg li

ten esse F ilip p o in q u a lch e co n to . M a fa tto s ta c h e i l 7{ /7»» f t i g t J *

c h e q u i lèggesi, é u n a p o rz io n e eguale a lla te rz a p a r te d e l tu tto ;

d o n d ’ è c h ia r o , c h e D e m e tr io , d e lle co n q u is te c h ’ eg li s p e ra v a ,

d i fa re p e r m ezzo d i F i l ip p o , d es tin a v a a q u esti a p p e n a la te rz a

p a r t e , v o len d o tu tto il re s to p e r sé .

(344) C re o n io e G e ru n ta . S tim a lo S c h w e ig h . esser q u este le

m ed esim e c h e fu ro n o d i so p ra m en to v a te co ’ n o m i d i C riso n ­

d io n e e G e r tu n ta ; m a P o lib io , in r ic o rd a n d o le c ittà r ic o n q u i­

s ta te d a F i l i p p o , acce n n a com p lessiv am en te q u e lle f ra c u i e ra n o

C riso n d io n e e G e r tu n ta c o m p re se , e p o sc ia n o m in a se p a ra ta m e n te

C re o n io e G e ru n ta . O ltre a c iò e ra n o le u n e n e lla D a s sa re tid e ,

le a ltre n e lla F e b a tid e .

2 0 5

Page 206: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

(345) L a g o L i m i d io . S traberne ( v i i , p . 3 2 7 ) d ice , c h e in ­

to rn o a lla c ittà d i L ic a u n te so n o p a re c c h i la g h i c h e d i p e sc i a b ­

b o n d a n o . T o le m eo ( 111, i 3 ) la p o n e n e ’ D a s s e re ti; m a D io d o ro

n e l lib . x v i s’ ao co rd a co l n o s tro : se n o n c h e eg li a p p e lla il la g o

L ic h n it id e . I l C asau b . a l su c c ita to lu o g o d i S t r a b o n e , s ’ in g e g n a

d i co n c ilia re q u este d u e o p in io n i , f ig u ra n d o s i la c ittà d i L ic n u n te ,

e h ’ egli d ie tro a S tef. B iz. a p p e lla L io n id o e L ic n i to , d a u n lag o

o p a lu d e c irc o n d a ta . - L e n o tiz ie c h e si h a n n o su lle c i ttà c h e se ­

g u o n o so n o v ag h e o n u lle . 1 P is s a n tin i so n o fo rse g li a b ita n ti

d i P isseo n e lla P e la g o n ia , d i so p ra n o m in a ta , e O rg isa s e m b ra

esse re V O rg esso ra m m e n ta ta d a L iv io ( x x x i , 2 7 ) , c a s te llo n e l-

1’ e s tre m ità d e lla M a c e d o n ia , p re sso C o rra g o e G e ra n io .

(346) P o ic h é n a v ig ò e c . L ’ in im ic iz ia d i F ilip p o c o n S c e rd i-

la id a r e d e ll’ l l l i r i a , e h ’ eg li av ea b e n s ì scaccia lo d a l su o te r r i to ­

r io , m a n o n d e b e l la to , i l c o s trin s e a fa re g li a p p a re c c h i n a v a li

in T essagK a ( p ro b a b ilm e n te in D e m e tr ia d e , p o r to p r in c ip a le d i

q u e lla p ro v in c ia ) ed a g ira re tu t to il P e lo p o n n eso p e r re c a rs i in

A p o llo n ia , c ittà m a r ittim a d e ll’ E p i r o , d o n d e c o n b re v e tr a g it to

s i p assav a in Id ra n te ( O tra n to ).

(347) T e r r o r p a n ic o . P a n , ra c c o n ta P o lien o ( S tra ta g e m . lib . 1 )

e ra g en e ra le d i B acco m o lto sag ace ed a cco rto . A v e n d o le s p ie

a n n u n z ia to a B a c c o , c h e tro v a v a s i c o l su o ese rc ito in u n b o sc o

d a ru p i c i r c o n d a to , co m e u n im m en so n u m e ro d i n e m ic i c ra s i

o ltre q u e l lu o g o a c c a m p a to , P a n in se g n ò a ’ s u o i , c h e d i n o tte ­

te m p o tu tti in siem e alzassero g ran d iss im e s tr id a . I l r im b o m b o

d e lle b a lze e la co n cav ità d e l b o sco fecero s ì , c h e i n e m ic i c re ­

d e tte ro esse r 1’ o s te m o lto m ag g io re c h e n o n e r a , e d i ta n to t i ­

m o re li r ie m p ie ro n o , c h e si d ie d e ro a p re c ip ito sa fuga . Q u in d i

fav o le g g io ss i, ch e la n in fa E c o e r a am ica d i P a n , e d i v a n i e

n o ttu rn i te r ro r i fu ro n o ch iam a ti p a n ic i .

(348) S a so n e . S eco n d o S tra b o n e ( v i , p . 281 ) g iace q u est’ iso la

a m ezza s tr a d a fra 1’ E p iro e B r in d is i , il q u a l in te rv a llo c p e l-

l ’ a p p u n to l’ in g resso d e l m a r Jo n io p e r c h i v ien e d a ll’ A d ria tic o .

D i r in c o n tro a d essa ò la p u n ta de’ m o n ti A c ro c e ra u n ii.

(349) D a llo s tr e t to , c io è d i S ic ilia , « I L a tin i p u re u san o se n i-

a o 6

Page 207: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

p licem en te f r e tu m p e r f r e tu m S ic u lu m , q u an d o la s itu az io n e dei

re sp e ttiv i lu o g h i a b b a s ta n z a in se g n a d i quale s tre tto s i rag io n i.

C osi L iv io ( x « x , 2 8 ) , p a r la n d o ' d ’ A n n ib a ie , d ice : q u i I ta l ia n i

a b A lp i b m a d f r e tu m m o n u m e n tis in g e n tiu m re ru m ecrm plesse t » .

S c h w c ig h a u se r .

(350) M a n o n e r a ec . L a p a rtic e lla n e g a tiv a n o n è n e l t e s to ,

e v i fu d a l C aSaubt m o lto rag io n ev o lm en te su p p o s ta . Im p e rc io c ­

c h é n o n e ra fa lso c h e s ta c c a ro n si d a L ilib e o a lcu n e n a v i r o m a n e ,

ch iam a te in a ju to ' d a S c e rd ila id a c o n tra F ilip p o . L o S c h w e ig h .

so s tien e 1’ in te g r ità d e l t e s to , e r ig e tta il su p p lim e n to d e l C a -

sau b o u o .

(351) I n a d d ie tr o r i fe r i t i . Mei c a p ito lo 7 8 d i q u esto l ib ro .

P o lib io si v a le q u i d e l v o cab o lo « ; 7ì j c h e sig n ifica t e s t é , n o n

h a g u a r i , m a c h e n o n d e b b ’ essere p re so co n tu tto il r ig o r d e l

te rm in e .

(352) I l io . In to rn o a qu esta c ittà e a d A lessan d ria d e lla T ro a d e

leg g asi la n o ta 231 d i q u es to lib ro .

(353) E i f i g l i , e l e d o n n e . A b b ia m g ià o sserv a to a ltro v e c h e

i G a l l i , q u an d o a n d a v a n in g u e rra , c o n d u c e v a n o seco le m o g li

e d i f ig liu o li , a ffinchè la p re se n z a d eg li o g g e tti p iù c a r i m a g g io r

a rd ire lo ro in sp ira sse .

(354) b a r b a r i <t E u ro p a . I l R e isk e c o n v e r ti acco n c iam en te

1’ accu sa tiv o 7o le f i u f f i i f t v t , c h e leggesi in tu t t i i l i b r i , e c h e

n o n h a a lc u n senso n e l d a tiv o 7*7* f i * g f i i ( » iv , o n d e / t * w o i ù r S t t i -

l o l t flo tg fi& g o if- lìr i t i f i i t r t t è q u a n t o f t ì So» 1*1 r v y % é g tu

» . 7 . A. , n o n d a r e , a c c o r d a re a ’ b a r b a r i i l p a ssa g g io .

(355) N o i p e r ta n to e c . N e lla fin e d e l lib . i n , av ea d e tto P o ­

lib io , c h e a llo rq u a n d o a v re b b e n a r ra ti i fa tti d e lla G re c ia acca ­

d u ti n e ll’ O lim p ia d e c x l , eg li p assa to sa re b b e a lla sposiz ione d e lla

R e p u b b lic a ro m a n a . O ra c i an n u n z ia , c h e g li av v en im en ti d e lla

G re c ia in q uell’ O lim p ia d e co m p resi so n o d a lu i ra c c o n ta ti; q u in d i

a sp e tta rc i d o v ev am o eh ’ eg li a tten esse la p ro m essa d i .farc i c o n o ­

scere n e l l ib ro sesto la fo rm a d e l g o v e rn o ro m a n o , p re m e tte n d o

u n a b re v e recap ito laz io n e d e lle cose tr a tta le n e l p re se n te l ib ro ,

n o n a ltr im e n ti c h e n e l p r in c ip io d e l q u a r to e d e l q u in to egli

207

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d ied e q u a lch e c e n n o in to rn o a lle co se c a n te m p o ra n e a m e n te a c c a -

d u te in Isp a g n a ed in I ta lia , e t r a tta te d is te sam en te n e l l ib ro te rz o .

L a o n d e io n o n c o m p re n d o p e rc h è .d e b b a so sp e tta rs i co llo S c h w e ig h ;

c h e P o lib io a b b ia sc ritto •«» 7y 7f / 7p,j8//3A « ( n e l te rz o l ib ro ) in

lu o g o d i i t 7*«7y ( in q u esto ). L e cose p re a c c e n n a te n e l te rz o

fu ro n o g i i d iffu sam en te esposte n e l q ù a r to e ■ n e l q u in to e d il

c o m p e n d io d e s tin a to a s ta re in ca p o a l se sto b e n p iù ra g io n e ­

vo lm en te d o v ea r ife r irs i a l lib ro c h e im m ed ia tam en te lo p re c e d e ,

c h e n o n a d a ltro p iù re m o to q u a le s i è il te rzo .

a o 8

F1NB DELLE ANNOTAZIONI DEL LIBRO QUINTO.

Page 209: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

DELLE STORIE

DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.

2 ° 9

AVANZI DEL LIBRO SESTO.

I. J t eh ciò che spetta alle reppubbliche G reche, le quali spesso crebbero, e spesso sperimentarono (i) sov­vertimenti, facil è la sposizione degli avvenimenti pas­sati , e la sentenza sull’ avvenire. Conciossiachè agevol riesca il narrare ciò eh' è n o to , e predir il futuro non è difficile, facendo conghiettura dalle cose già accadute. Ma intorno a’ Romani non è punto facile, nè espor lo stato presente per la (2 ) mista forma del loro governo, nè annunziar l’avvenire, mercecchè ignoransi le parti­colari loro instituzioni ne’ tempi addietro, così in pub­blico , come in privato. Quindi chi chiaramente scorger vuole le cose eccellenti che in quella repubblica sono, di non comune attenzione e disamina ha d’uopo. Ora la mag­gior parte di coloro che voglion magistralmente di siffatto argomento discorrere, dicono esservi tre generi di gover­no, de’quali il primo chiamano Regno, Aristocrazia l’altro,

p o l i b i o , tomo III. i 4

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il terzo Democrazia. A questi sembrami che meritamente chieder si possa, se ci adducono i mentovati governi come soli, o almeno come i migliori : che in amendue i versi mi sembrano andar errati. Imperciocché il miglior go­verno è da reputarsi quello che delle proprietà di tutti gli anzidetti è composto. La qual cosa non per razioci­nio solo , ma per esperienza ancor ci è no ta, dacché Licurgo costituì il primo in questa guisa la repubblica de’ Lacedemoni. Ma non è neppur da ammettersi che queste forme sole esistano ; sendochè vedemmo alcuni governi monarchici e tirannici che moltissimo differi­scono dal regno , eppure sembrano in qualche parte somigliargli : dond’è , che tutti quelli che regnano soli, per quanto è in loro, mentiscono ed usurpano il nome di regno. V’ebbe eziandio alcuni governi in cui pochi dominavano, e che parevan avere qualche cosa d’ e- guale alla signoria degli O ttim ati, dalla quale , a dir vero , sono molto distanti. Lo stesso dicasi del domi­nio popolare.

II. Che vero sia ciò che asseriamo, quindi è mani­festo, che non ogni monarchia hassi tosto a chiamar re­gno , ma soltanto quella che spontaneamente è conce­duta, e più col consiglio che non col timor e colla forza si regge. Così non ogni oligarchia è da stimarsi aristo­crazia ; sibbene quella in cui per elezione gli uomini più giusti e prudenti imperano. Egualmente non è de­mocrazia quella ove tutta la moltitudine è padrona di fare ciò che vuole e si propone ; ma là dov’ è patrio costume venerar gli D ei, rispettar i genitori, onorar i vecchi, ubbidir alle leggi, presso cotali corpi è da ere*

210

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dersi che v? abbia democrazia, quando vince ciò che piace al maggior numero. Quindi dobbiamo dire avervi sei generi di governi : tre che sono a tutti sulle labbra, e de’ quali pur ora parlammo, e tre a questi di natura affini} cioè a dire , (3) l’ impero d’ un solo, la signoria di pochi, e il (4) dominio del volgo. Dapprincipio senza statuti e per solo impulso di natura formasi l’ impero d’un solo. A questo tiene dietro e da lui nasce aggiu- gnendosi arte ed emendazione, il Regno. Il quale poiché è degenerato ne’ mali che sono in lui rad icati, vale a dire nella tirannia $ tolti i R e , nasce 1’ Aristocrazia. Questa ancora essendo per sua natura volta in Oligar­chia, allorquando l’ira della moltitudine si vendica del­l’ingiustizia de’ Grandi, si produce il governo popolare, dalla cui insolenza e scelleratezza emerge a lungo an­dare la sovranità del volgo. Che vero sia quanto intorno a queste cose dicemmo puossi apertamente conoscere ponendo mente a’ naturali principii, a’ nascimenti e alle mutazioni di ciascheduna d’esse. Imperciocché colui solo che sa come ognuno di questi governi nasce, può cono­scere ancora l’aumento e il colmo, e la tramutazione di ciascheduno, e quando, e come ne avverrà la fine, e dove riescirà. Il qual modo di sposizione stimai il più conveniente alla repubblica Romana, perciocché sin da principio il suo stabilimento e la sua aumentazione fu secondo natura.

III. Più accuratamente forse le naturali reciproche tramutazioni de’ governi furono esaminate (5) da Platone e da alcuni altri filosofi; ma cotal disamina essendo va­ria e prolissa, pochi v’ arrivano. Il perchè quanto ere-

211

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diamo che di quella appartener possa ad una storia di fa t t i , e adattarsi alla comune intelligenza, tanto c’ in­gegneremo di toccare sommariamente. Che se alcuna cosa sembrerà mancar a questo prospetto universale , ciò che diremo in appresso partitamente darà un suf­ficiente compenso per ciò che ora è lasciato in dubbio. - Quali sono adunque i primordii de’ governi, e donde diremo che questi dapprincipio nascano ? (6 ) Quando ,o per diluvii, o per influenza pestilenziale, o per isteri- lità de’ cam pi, o per altre simili cagioni, nasce deperi­mento del genere umano , quali avvenimenti esser già stati abbiam appreso, e ragion vuole che abbian ad es­ser ancora : perisce insieme ogni industria ed arte. Ma quando da’ , quasi che dissi } semi rimasi in processo di tempo è ricresciuta la moltitudine degli uomini $ al­lora come gli altri animali, così questi pure, ove raccol- gansi (ed è ragionevole che quelli della medesima spe­cie s’accozzino peli’ imbecillità della loro natu ra), ne­cessariamente condotti sono e dominati da chi prevale in robustezza di corpo e audacia d’ animo ; non altri­menti che osserviamo nelle altre schiatte d’animali che non govemansi coll’ opinione. La qual cosa dobbiam credere certissima opera della n a tu ra , veggendo in quelli senza contrasto i più forti dominare, siccome nei to r i , ne’ cignali, ne’ galli e in altri simili. Dapprinci­pio adunque egli è probabile, che gli uomini pure co- tal vita m enassero, raccogliendosi a guisa di b ru ti, e seguendo i più robusti e possenti, cui la forza è il li­mite dell’impero} locchè può denominarsi (7 ) Monarchia. Ma quando in cotesti corpi a lungo andare si stabilisce

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una comunità d1 educazione e una reciproca famiglia­rità , (8 ) principia a nascer il Regno, svolgendosi negli uomini 1’ idea dell’ onesto e del giusto, e di ciò egual­mente che a questi è contrario.

IV. Incominciano pertanto e sussistono le cose an­zidette nel modo che segue. Tutti dalla natura spinti sono al co ito , donde nascon i figliuoli. (9 ) Ora, quan­tunque volte il giovine educato fattosi adulto non è ri­conoscente verso chi P ha allevato , e noi assiste, ma all’ opposito s’ attenta d’ ingiuriarlo con parole e con fa tti, egli è manifesto che ciò dispiacere ed offesa re ­cherà a chi per avventura n’ è testimone, e conosce la cura e le pene de’ genitori nel govèrno de’ figli e nel loro sostentamento. Imperciocché differendo il genere

umano in ciò dagli altri viventi, eh’ esso solo ha mente e raziocinio, non è al certo verisimile che gli uomini trasandino la mentovata differenza del giusto e dell’in­giusto, conforme fanno gli animali bruti; sibbene pren­deranno cognizione del fatto, e ravvisatolo il disappro­veranno, provvedendo all’ avvenire , e riflettendo che lo stesso a ciascheduno d’ essi può accadere. E se giam­mai alcuno è ne’ pericoli dall’ altro soccorso o difeso, ed egli non rimeriti il suo salvatore, anzi s’ingegni di nuocergli, sarà un cotale senza dubbio abborrito da chi ne avrà contezza, e dell’ altro avran tutti compassione, temendo non a sè stessi un giorno Simil caso avvenga. Donde sorge in ciascheduno qualche idea (1 0 ) della forza e teorica del dovere, eh’ è principio e fine della giusti­zia. Egualmente ove alcuno ne’ pericoli combatta per tu t t i , ed incontri e sostenga gli assalti di robustissime

2 l 3

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.fiere, meritamente avrà egli dalla moltitudine benevola ed onorifica accoglienza; ma chi fa il contrario conse­guirà vituperio e sdegno. Dond’ è ragionevole che s’ in­generi ne’ più una certa dottrina del turpe e dell’one­sto , e della differenza che fra loro esiste, e sarà l’uno emulato ed imitato pell’utile che arreca, e 1’ altro fug­gito. Allorquando adunque chi ha nello stato il maggior potere protegge sempre gli anzidetti ( n ) secondo l’opi­nione del popolo, ne acquista egli da’ sudditi fama di (1 2 ) giusto compensator de’ meriti. Nè per timor della fo rza , ma più presto per sentimento, di buon grado a lui s’ assoggettano, e d’accordo gli conservan l’im pero; e quand’anche sia molto vecchio unanimi il difendono, e a tu tta possa oppongonsi a chi insidia la sua signoria. Ed in questa guisa da Monarca insensibilmente diventa R e , quando dalla ferocia e dalla vigoria passa il prin­cipato alla ragione.

V. Questa è presso gli uomini la prima idea dell’ o- nesto e del giusto, e di ciò eh’ è ad essi contrario; questo il principio e 1’ origine del vero regno. Imper­ciocché non a quelli solo, ma eziandio a coloro che da essi nascono i sudditi per lungo tempo serban il domi­nio , persuasi, che i figli procreati da tali genitori e sotto di loro educati, 'avranno le stesse massime. Che se , quando che sia , dispiaccion a’ posteri, (i3) ele- gonsi questi maestrati e R e , non più secondo le forze del corpo e la veemenza dell’ anim o, (<4 ) ma in ra ­gione dell’ eccellenza del sapere e della riflessione, a- vendo per via de’ fatti sperimentato quanto siano gli uni dagli altri diversi. Anticamente coloro che scelti

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erano ed ammessi a cotal dignità invecchiavano nel re­gno , afforzando e murando i luoghi opportuni, e con­quistando territorio, parte per sicurezza, parte per pro­cacciar a’ sudditi abbondanza delle cose necessarie. E mentre in ciò occupavansi erano fuori d’ ogni accusa ed invidia, perciocché non vestivansi gran fatto diver­samente dagli a ltr i, nè distinguevansi ne’ cibi e nelle bevande, ma menavano vita a quella degli altri eguale, conversando al pari colla moltitudine. Ma poiché co­loro che per nascita e successione assunsero il supremo p o tere , pronti trovaron i mezzi di sicurezza, pronto tutto ciò che al vitto fa d’ uopo ; seguendo disordinate cupidità peli’ affluenza d’ ogni cosa , stimarono conve­nirsi a’ principi vestiti diversi da quelli de’ sudditi, di­verse e varie voluttuose vivande e suntuosi apparati, e non doversi loro contraddire nell’ uso degl’ illeciti amo­rosi piaceri e congiungimenti. Quindi f u , che per al­cuni attentati destandosi invidia e offesa, per altri ac­cendendosi odio e ira nemichevole, il regno si convertì in tirannide, e nacque il principio del suo scioglimento', e si stabilirono le insidie contro i regnanti ; le quali non da’ pessimi, ma da’ più generosi e magnanimi, ed insieme arditi cittadini sono tram ate; perciocché que­sti meno degli altri tollerar possono gli oltraggi dei principi.

VI. La moltitudine, quando si è procurata de’ cap i, unendo con essi i suoi sforzi contro i re pelle anzidette cagioni, toglie al tutto la forma di regno e di monar­chia, e dà principio ed origine (i5) all’Aristocrazia. Im­perciocché a coloro che disfanno la monarchia il po­

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polo come pev riconoscenza tosto concede il potere so­vrano , e ad essi affida le sue cose. I quali dapprima contenti di cotal incarico, nulla hanno in maggior pre­gio della comune utilità, e con somma cura ed assiduità ogni affare maneggiano, così privato, come pubblico. Ma quando i figli ricevono da’ padri per successione cotal facoltà, inesperti come sono di mali, ed ignari af­fatto dell’ eguaglianza e libertà civile, e sin da fanciulli educati nelle franchigie e nelle dignità de’ pad ri, si danno parte all’avarizia ed all’ingiusto amor de’danari, pàrte all’ ubbriachezza ed alle insaziabili gozzoviglie che ne sono compagne, parte ad insultar donne ed a rapir fanciulli. Costoro cangian 1’ Aristocrazia in (1 6 ) , Oligarchia, e tosto risveglian nel volgo sentimenti simili a quelli che abbiam testé mentovati. Il perchè avviene che ( 1 7 ) volgansi alla stessa disgraziata fine eh’ ebbero i tiranni.

VII. Conciossiachè vedendo taluno l’invidia e 1’ odio che lor portano i cittadini, ed arrischiandosi poscia di attaccarli con qualche detto o fa tto , ha subito tu tta la moltitudine a pronta cooperatrice. Indi chi di loro uc­cidono , chi caccian in bando , ma non osano di pre­porsi un re, temendo le passate ingiustizie, nè ardiscono d’affidar a molti i pubblici affari, avendo ancor innanzi agli occhi la scelleratezza degli antecedenti. Restando loro intatta la sola speranza che in sè stessi pongono, a que­sta appigliansi, ed il reggimento oligarchico convertono in democrazia, ed il provvedimento e la fede dei pub­blici negozi essi medesimi s’addossano. E finattantochè rimangon alcuni, che sperimentarono (1 8 ) l’ orgoglio e

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la prepotenza, sono essi contenti della presente costi­tuzione, di nulla facendo maggior conto che delPegua­glianza e della libertà. Ma come sopraggiungon i gio­vani , e la democrazia è consegnata a’ figli de’ figli, non tenendo in gran pregio l1 eguaglianza e la libertà per esser ad esse assuefatte, cercano di sormontare gli altri; nel qual difetto cadono precipuamente coloro che gli altri in ricchezza avanzano. ( 1 9) Quando poi get- tansi ad ambir onori, s da sè e per via della propria virtù non vi possono pervenire, dilapidan le loro so­stanze , adescando e corrompendo la moltitudine in ogni guisa. Donde avviene, che, poiché han renduto il volgo avido e famelico di doni coll’ imprudente lor am­bizione, sciogliesi la democrazia ancora e convertesi in violenza e impero di mani. Imperciocché, avvezza com’è la moltitudine a consumare 1’ altrui, ed a ripor la spe­ranza di campare nelle facoltà aliene ; ove conseguisca un capo magnanimo ed audace,' esclusa per la sua po­vertà da’ pubblici onori, si riduce ad un governo ma­nesco, ed accozzatosi commette uccisioni, esilii, nuove divisioni di te rre , finché imbestialito torni a trovar un despota e monarca, (2 0 ) Questo è il circolo de’ go­verni , questo 1’ ordine di na tu ra , secondo il quale si cangiano e tram utano, ed al medesimo punto gli Stati ritornano. Chi queste cose esattamente conosce, in di­scorrendo le future vicende de’ governi (a 1) andrà forse errato ne’ tem pi, ma di rado s’ ingannerà pronun­ciando senz’ira e invidia, (2 2 ) circa il grado dell’incre­mento , o della decadenza, o la disposizione al tramu­tarsi. Quanto è alla repubblica Romana, per via di questa

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investigazione potremo principalmente giugner alla co­gnizione del suo primitivo stato, del suo accrescimento e del suo colmo, e così del cangiamento in retrocessione che quindi nascerà. Che questa repubblica fra tutte le a ltre ,

conforme testé dissi, siccome ha avuto il suo incomin- ciamento e il suo crescere secondo la n a tu ra , così avrà pure la mutazione in contrario secondo la na­tura. Locchè scorgerassi per quanto direm in appresso.

V ili. Ora con poche parole rammenteremo la le­gislazione di Licurgo; essendo cotal discorso non alieno dal nostro proposito. Avea egli compreso come ciasche­duna delle anzidette cose avviene per necessità di na­tura , e concludeane che ogni forma di governo sem­plice e stabilita sopra un solo potere è pericolosa, per­ciocché ben presto si volta nel vizio che 1’ è proprio , e che le tien dietro naturalmente. Conciossiachè, sic­come del ferro è peste congenita la ruggine, e del le­gno i tarli e le tignuole; donde avviene che, quand’an­che scampino dalle offese esterne, periscono per ciò eh’ è lor innato : così ha la natura in ciaschedun go­verno piantato un qualche m alore, che sempre 1’ ac­compagna ; nel regno il modo detto (a3) m onarchico, nell’aristocrazia quello della sovranità di pochi, e nella democrazia quello della ferocia e del ( 2 4 ) dominio delle mani, ne’quali possibilnonè che in processo di tempo non degenerino le anzidette forme, siccome abbiam te­sté riferito. Locchè preveggendo Licurgo costituì un go­verno, non semplice e d’una sola forma, ma riunì tutte le virtù e proprietà de’ migliori, affinchè nessuna di queste, crescendo oltre il dovere, trabocchi ne’ vizii af­

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fini, e la forza di ciascheduna tratta essendo dall’azione delle altre alla parte opposta, non inclini in alcun lato, nè troppo vi penda, ma contrappesato e ad equilibrio ridotto, duri cotal governo lungamente, (a5) quasi nave che vince lo sforzo del vento, o della corrente. I re non potevan insuperbire, perchè temevan il popolo, cui era data una sufficiente parte nel reggimento, e il po­polo a vicenda non osava di disprezzar i re per paura del senato , i membri del quale essendo tutti eletti se­condo la loro v irtù , doveano sempre accostarsi al più giusto; per modo che la parte infievolita, perseverando negli antichi costumi, sempre maggiore faceasi e più poderosa, mercè de’ Senatori che verso di lei si in­clinavano e le agghignevano peso. Laonde così siste­mata avendo la sua repubblica, (2 6 ) conservò a’ Lace­demoni la libertà più lungo tempo , che non la tenne qualsivoglia altro popolo che noi conosciamo.

IX. Quegli adunque, preveggendo in certo modo colla ragione, donde, e come ciaschedun cangiamento suol avvenire, guarentì l’anzidetta repubblica da ogni danno. I Romani, sebbene nella costituzione che die­dero alla patria conseguirono lo stesso fine, non per via di raziocinio, ma mediante molte lotte ed agitazio­ni , (2 7 ) scegliendo sempre il meglio per mezzo delle cognizioni acquistate nelle proprie vicende, pervennero alla stessa meta di Licurgo, ed al più bello sistema di governo de’nostri giorni.

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(2 8 ) Dee pertanto un buon giudice apprezzar gli scrittori non da ciò che han omesso, ma dalle cose che dicono, e se in queste s’abbatte a qualche menzo­gna, sapere, che le omissioni furono fatte per ignoran­za ; ma se vero è tutto ciò eh’ espongono, concedere, che quelle reticenze ancora da riflessione e non da ignoranza procedono.

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Erano dunque, conforme dissi in addietro, tre le parti tutte che aveano potere nella repubblica, e mercè di queste ogni particolare con equabilità e convenienza ordinavasi ed amministravasi, per modo che nessuno neppur degl’ indigeni affermar potrebbe con certezza, se la repubblica in generale sia aristocratica, democra­tica, o monarchica. E ben a dritto : che ove c’affisiamo nella potestà de’ consoli, sembra il reggime al tutto mo­narchico e regio; ove in quella del senato, aristocra­tico , e se alcuno consideri la potestà della moltitu­dine , parrà esso affatto democratico. Le respettive for­me che (3 9 ) un di prevalsero nella repubblica, ed ora pure prevalgono , tranne poche cose, sono le seguenti.

X. I Consoli, innanzi d’uscir colle legioni, essendo in Rom a, arbitri sono di tutti i pubblici affari ; per­ciocché gli altri maestrali tutti ad essi subordinati so­no , e loro ubbidiscono, da’ tribuni della plebe in fuo­ri. (3o) Essi introducono gli ambasciadori nel senato; essi riferiscono nelle deliberazioni urgenti ; essi hanno tutto il maneggio de’ decreti, e tutte le pubbliche bi­

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sogne che compiersi debbono per mezzo del popolo, ad essi appartiene di pigliarne cu ra , non meno che di chiamar a parlamento, rogar i d ecre ti, ed eseguir ciò eh’ è piaciuto alla moltitudine. Negli apparati di guer­ra , e generalmente nella condotta delle operazioni cam* pali, hanno essi un’ autorità pressoché assoluta : con- ciossiachè loro si competa d’ imporre a’socii quanto lor p a re , di crear tribuni, arrotar soldati, e far scelta de’ più opportuni. Oltre a ciò padroni sono di punir in campagna chiunque vogliono, ed hanno facoltà di spen­dere de’pubblici danari ciò che lor p iace, accompa­gnandoli il questore, che pronto eseguisce tutto ciò che gli ordinano. A ta le , che chi a questa parte ri­guarda, meritamente dice che il lor governo è schiet­tamente (3i) monarchico e regio. Che se alcune di queste cose, o di quelle che direm o, fossero per can­giarsi, o al presente, o dopo qualche tem po, (3 2 ) ciò per niente si riferirebbe all’ asserzione che ora ne pro­nunciamo. ~

XI. H Senato ha primieramente l’arbitrio dell’ era­rio , passando per le sue mani tutte le entrate e le spese egualmente. Imperciocché non posson i questori far spendio alcuno per qualsivoglia bisogno, senza de­creto del Senato, se non se per comando de’ consoli. E la spesa più ragguardevole di tutte e più grande che fanno i censori da cinque in cinque apni nella ristau- razione ed erezione delle pubbliche fabbriche, fassi pure coll’ autorità del Senato, il quale ne concede il permesso a’ censori. Del pari tutti i delitti commessi in Italia , che mestieri hanno di pubblica punizione, cioè

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a dire, i tradimenti, le .congiure, gli avvelenamenti, gli assassinii, affidate sono alla cura del Senato. Inol­tre , ove qualche individuo o città d’Italia bisogno ab­b iad i compor una lite , o sia meritevole di castigo, o gli faccia mestieri di soccorso o di presidio, il Senato a tutto ciò provvede. E se necessario è di mandar fuori d’ Italia un’ambasceria per far pace, o per esortare o eziandio per imporre (33) o per accettar chi si arrende,o per annunziar guerra, il medesimo fa le occorrenti disposizioni. Similmente venendo a Roma ambascerie, come si convenga riceverle, e dar loro risposta, tutto ciò è occupazione del Senato. Al popolo non spetta nessuna di queste cose. Quindi è , che ove alcuno venga da altri paesi in assenza del console, il governo gli sembri al tutto aristocratico: locchè credono per av­ventura i più de’ Greci, e de’re ancora, concludendo essi col Senato la maggior parte de’ lor affari.

XII. In conseguenza di ciò chi non ricercherà con ragione, qual parte e di qual natura lasciata sia al po­polo nel governo; mentre il Senato ha l’arbitrio di tutte quelle cose che abbiamo partitamente esposte, e ciò che più monta, il maneggio di tutta l’entrata ed uscita , ed i consoli hanno assoluto potere negli apparecchi di guerra, e nelle fazioni militari ? Tuttavia rimane una parte al popolo ancora, anzi la più im portante: che i prcmii e d i castighi sono in mano del popolo soltanto; (34) co’quali unicamente ritengonsi i principati, e le repubbliche, e tutta la vita umana. Imperciocché da co­loro che, o non conoscono siffatta differenza, o co­noscendola male amministrano questa parte , nessun’im­

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presa può ragionevolmente esser condotta. E come lo sarebb1 ella ove hannosi in pari onore i buoni éd i cat­tivi? Giudica dunque il popolo sovente in materia di danari, quando una grossa multa è da imporsi per qual­che delitto, e massimamente quando trattasi di tali che han avuto un cospicuo maestrato ; nelle pene di morte giudica egli solo. (35) Nella qual bisogna prevale presso di loro un costume degno di lode e di menzione: sendo che a quelli che sono a morte sentenziati, poiché è pronunziata la condanna, dà cotesto costumfe la fa­coltà d’ andarsene apertamente , condannando sè stessi a spontaneo esilio , quand’ anche delle tribù che con­fermano l a . sentenza una sola rimanga senz’ aver vo­tato. E sono i banditi salvi in N apoli, Preneste, T i­voli (36), ed altre c ittà , che hanno questo patto coi Romani. I (3y) maestrati dà il popolo a’ più benemè­riti; locchè è in una repubblica il più bel premio dell’o­nestà. Dipende ancor da lui l’approvazione delle leggi, e ciò ch’è di somma im portanza, delibera egli intorno alla pace ed alla guerra. E circa le alleanze, e le ces­sazioni delle ostilità, e le convenzioni, è pur egli che tutto conferma e ratifica, o fa il contrario : per modo che potrebbe alcuno dire a buon d ritto , che il popolo ha la maggior parte nella repubblica, e che il governo è democratico.

X III. Per qual guisa dunque la repubblica romana divisa sia in ciascheduna delle tre forme, abbiam detto; ma come ciascheduna di queste parti possa, ove vo­gliano , (38) operar colle altre in opposizione ò d’accor­do , direm ora. Il console , poiché , conseguita 1’ anzi-

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detta facoltà, esce in campo colf esercito, sembra es­ser l’ assoluto padrone d’ eseguir ogni cosa che alla guerra appartiene : ciò non pertanto abbisogna egli del Senato e del popolo, e senza questi non può recar nulla ad effetto. Imperciocché debbono mandarsi alle legioni le vettovaglie, e (3 9 ) senza la risoluzione del Senato, nè frumento, nè vestiti, nè salari! posson es­sere spediti all’ esercito ; a tale che vane riuscirebbono le imprese de’ duci, ove il Senato si proponesse di ope­rar con m alizia, e di frappor ostacoli. Sta adunque nel Senato , se i disegni e divisamente de’ capitani hanno a compiersi, o nò: perciocché egli è signore di m andar un altro capitano, finito che sia il termine annuo, o eli lasciar quello che già v’ era. Ed ha lo stesso ordine- il potere di celebrar pomposamente ed esaltar le gesta de’ du c i, non meno che d’ oscurarli ed abbassarli ; che quelli eh’ essi chiamano trionfi, per via de’ quali rap ­presentano con evidenza a’cittadini le cose operate da’ capitani, non possono dignitosamente, anzi talvolta nè punto nè poco eseguirsi, ove il Senato non vi ac­consenta, e non accordi per quelli le spese. Per (4 0 ) cessar le ostilità la deliberazione del popolo è loro as­solutamente necessaria, per quanto sieno lungi dalla pa tria , dappoiché esso, conforme dissi di sopra, con­cede o nega a’ trattati la ratificazione. Ma ciò che m ag­giormente rileva si è , che deponendo il supremo mae- s tra to , debbon a lui render conto delle loro operazio­ni , per modo che in nessuna maniera sicuri sono i consoli, che trascurano la benevolenza del Senato, o del popolo.

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XIV. Il Senato dall’ altro canto , che ha tanto po­tere , è primieramente costretto a rispettare la moltitu­dine ne’ pubblici affari, ed a tenerne conto. L«e più gravi e maggiori inquisizioni e correzioni de’ delitti di

-Stato , che puniti vengono colla morte , non può desso eseguire, ove il popolo non approvi la delibera­zione da lui fatta. Lo stesso dicasi di ciò chc al Senato medesimo appartiene. Imperciocché se (4i) alcuno pro­pone una legge che toglie al Senato una parte dell’au­torità che il costume gli accorda, o lo spoglia di qualche sua prerogativa ed onore, o diminuisce ezian­dio le sue sostanze, il popolo é padrone di confermar questa legge, o di non accettarla. Ma v’ ha di più. Se un solo (4 a) tribuno della plebe si frappone al giudicio, non che il Senato possa condur a fine qualsivoglia di­scussione , non può desso neppur sedere, nè in alcun modo ragunarsi. E sono i tribuni della plebe sempre obbligati di far ciò che piace al popolo, e sovrattutto di mirar alla sua volontà. Laonde, in grazia di quanto dissi, teme il Senato la moltitudine, e dirizza la mente al popolo.

XV. Così è a vicenda il popolo soggetto al Senato, e debbe aver a lui riguardo, in pubblico non m eno, che in privato. Imperciocché molti essendo i lavori, che da’ censori distribuiti vengono per tutta Italia, nei restauramenti e nelle erezioni de’ pubblici edifizii, che diffidi sarebbe l’annoverarli, e molti ne’fiumi, ne’por­ti , negli (43) o r ti, nelle miniere , nelle campagne , in somma in tutto ciò che cade sotto la signoria de’ Ro­mani ; ciascheduna delle mentovate cose è maneggiata

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dalla plebe, e quasi che d issi, tutti interessati sono nelle compre e negli emolumenti che se ne cavano. Che alcuni prendon i lavori in arrenda da’ censori, altri fanno con quelli società j chi (4 4 ) guarentisce pegli ar­rendateli , e chi per essi impegna le sue sostanze al pubblico. Le quali cose tutte sono in arbitrio del Sena­to , potendo esso prolungar il termine, alleviare soprag­giungendo qualche caso, e annullar affatto la condotta, ove accada cosa, che impossibile renda il soddisfarla. £ v’ha molti oggetti, in cui il Senato grande danno, ed all’ opposito grande vantaggio arreca a chi maneg­gia i pubblici proventi: che a lui di tutte queste cose è data relazione. Ma ciò che più importa si è, che dal suo corpo tolgonsi i giudici pella maggior parte delle (45) controversie pecuniarie, così pubbliche , come private, ogni qualvolta 1’ accusa è grave. Il perchè tutti sono alla sua fede vincolati, e temendo d’aver un giorno di lui bisogno, guardami bene dall’ opporsi e resi­stere (46) alle sue deliberazioni. Così difficilmente con­trariano i disegni de’consoli, perciocché nelle spedi­zioni militari tu tti, e in generale, e in particolare ca­dono sotto la loro autorità.

XVI. Tale essendo il potere di ciascheduna parte nel danneggiarsi e soccorrersi reciprocamente, la loro com­binazione è acconcia a tutte le circostanze , per modo che non è possibile di trovar una repubblica meglio di questa costituita. Imperciocché allorquando un esterno pericolo imminente costrigne tutti a sentir e ad ope­rare d’ accordo, tale e tànta diviene la forza di quel governo, che nessuna cosa necessaria è omessa, tutti a

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gara rivolgendo insieme i loro pensieri al nuovo caso , nè ritardando essi l ’esecuzione de’ decreti, e coope­rando ciascheduno in pubblico ed in privato a conse­guire l’ intento. Laonde (4y) invitta diviene la repub­blica, e tutto ciò che ha risoluto ottiene, per la pro­prietà della sua forma. Quando poi liberati da’pericoli di fuori vivono in prosperità ed abbondanza, frutti delle vittorie, godendo del loro felice s ta to , e dandosi buon tem po, e poltrendo volgonsi all’ insolenza e alla superbia, siccome suol addivenire. Allora sovrattutto puossi vedere, come la repubblica da sè stessa tragge i rimedii a’ suoi mali. Gonciossiachè , quando una delle sue parti (4 8 ) gonfiatasi muove brighe, ed oltre al do­vere fassi potente; egli è chiaro, che, nessuna di per sè essendo perfetta, secondochè testé abbiam ragionato, e ciascheduna potendo trarre al lato opposto ed impedir i proponimenti dell’ altra ; egli è chiaro, dissi, che nes­suna delle parti può esuberare, nè soverchiar le altre. Che tutte rimangono nel proprio stato , quali rattenute nel loro impeto, quale sin dapprincipio temendo l’atten­zione della compagna.

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XVII. (4g) Poiché han nominati i consoli, creano (5o) i tribuni militari in numero di quattordici, d’infra quelli(51) che sono già cinque anni sotto le arm i, ed a questi aggiungono dieci altri che vi sono dieci anni. Del resto(52 ) vengon i cavalieri obbligati a militare dieci anni (53) e d i fanti sedici,sotto l’età di quaranta sei anni; da (54)

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quelli in fuori che censiti sono meno di quattrocento dram m e, i quali omettonsi tu tt i , e riservansi per uso della marina. Che se il caso è urgente, (55) i fanti an­cora servir debbono vent’ anni. Un impiego civile non è permesso ad alcuno d’assumere, pria che compiuti abbia dieci anni di milizia. Quando i consoli sono per fare la coscrizione de’ soldati, destinano al popolo il giorno, in cui hanno a presentarsi tutti i Romani che sono in età atta alle armi; e ciò fassi ogni anno. Ve­nuto il giorno , e giunta in. Roma la gioventù abile a combattere, e raccoltasi poscia nel Campidoglio , divi- donsi i tribuni più giovani, secondochè dal popolo o da’consoli sono stati creati, in quattro parti; percioc­ché la generale e prima divisione delle loro forze è in quattro legioni. I quattro che furono prima creati as­segnano alla legione che chiamano prima ; i tre che se­guono alla seconda, i quattro che vengon appresso alla terza; ed i tre ultimi alla quarta. De’più vecchi, i due primi collocano nella prim a, i tre secondi nella seconda legione, i due dopo questi nella terza, ed i tre ultimi nella quarta.

XVIII. Fatta la distribuzione ed elezione de’ tribuni per modo , che tutte le legioni abbian un egual numero di comandanti, l’uno dall’altro separati seggono se­condo le rispettive legioni, traggon a sorte le tribù ad una ad una , e chiaman a sé quella eh’ é loro toccata. Da questa scelgono quattro giovani, eguali a un di presso d’età e di corporatura. Poiché li hanno avvicinati, i primi tribuni fanno la scelta della prima legione, i se­condi della seconda, i terzi della terza, e gli ultimi

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della quarta. Appressati poi altri quattro, fanno cerna, i primi di quelli della seconda legione , e così in seguito , e gli ultimi di quelli della prima. Poscia ne accostano altri quattro, ed i primi levano quelli della terza legione, gli ultimi quelli della seconda. E così facendo sempre di questa ragione la scelta in giro, pigliano per ciasche­duna legione uomini del medesimo taglio. Eletto il nu­mero che han divisato (e questo ascende a quattro mila dugento fanti per ciascheduna legione, talvolta a cin­que mila, ove apparisca un maggior pericolo), (56) an­ticamente erano soliti di scerre per ultimo i cavalieri dopo i quattromila dugento fanti ; ora il censore ne fa dapprincipio la elezione secondo il lor estimo ; e ne formano trecento per cadauna legione.

XIX. Finita la coscrizione nel modo indicato , rac- colgon i tribuni gli eletti delle respebtive legioni, e pre­sone da tutti uno ch’è il più acconcio, gli danno que­sto giuramento: (5 7 ) Ubbidirò a miei superiori, e farò i loro comandamenti secondo la mia.possa. Gli (58) altri tu tti ad uno ad uno vengon innanzi, e giurano, signi­ficando, che faranno lo stesso che il primo. Nel mede­simo tempo i consoli avvisano i maestrati delle città alleate d’ Italia , che vogliono seco loro militare , addi­tando ad essi il num ero, il giorno, e il luogo , in cui hanno a comparir quelli che saranno destinati. Le c ittà , fatta la scelta e dato il giuramento nella guisa testé ri­ferita , spediscon i suoi, aggiugnendovi un comandante èd un (5 9 ) cassiere. A Roma i tribuni, dopo il giura­m ento, stabilito un giorno ad ogni legione, ed un luogo, nel quale presentar deesi senz’ armi, le licenziano. Ve­

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nuti nel giorno prefisso, eleggono i più giovani ed i più poveri a V eliti, quelli che a questi s’approssimano ad Astati, conforme li chiamano, la più florida gioventù a Principi, ed i più vecchi a Triarii: che tali e tante sono presso i Romani le differenze ne’nomi, nelle e tà , e nelle armadure in ogni legione. Li distribuiscono nel modo seguente. I più vecchi e così detti Triarii sono seicento ; i Principi mille dugento, ed altrettanti gli A stati; gli altri ed i più giovani (6 0 ) lanciatoli. Ove sieno più di quattromila nella stessa proporzione li di­vidono , tranne i T ria rii, che sono sempre eguali.

XX. A’ più giovani ordinano di portar spada, lance, ed uno scudo leggero, denominato parma. È la panna solidamente costruita, e di grandezza sufficiente per riparar la persona ; perciocché ha la figura ro to nda , (6 1 ) e un diametro di tre piedi. Oltre a ciò ornano loro il capo d’ un elmo (6 2 ) senza cresta e cimiero , coperto talvolta di pelle di lupo, o di simil cosa, a difesa ed a di­stintivo, affinchè palesi rendansi a’ duci inferiori, Quan­do (63) avanti le insegne con valore o altramente com­battono. Il dardo de’ Veliti ha comunemente il legno lungo due cubiti e grosso un dito; la punta è lunga un

palm o, e tanto sottile ed affilata, che necessariamente dopo la prima lanciata si piega, e non può esser r i m a n ,

data da’ nemici. Che se ciò non fosse , diverrebb’ essa (6 4 ) una freccia reciproca.

XXI. A’ secondi per rispetto all’ e tà , denominati A- s ta ti, comandano di portar (65) 1’ armadura intiera. È1 armadura intiera de’ Romani primieramente lo scudo, largo due piedi e mezzo (6 6 ) nella superficie convessa,

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e lungo quattro piedi : il maggiore ha un (6 7 ) palmo di più. È congegnato di (6 8 ) due tavole unite con colla bovina: 1’ esterna superficie è avvolta in tela, e poscia in cuojo di vitello. Nelle parti superiori ed inferiori della circonferenza ha desso (6 9 ) una piastra di ferro , che lo difende da’ colpi di taglio , e fa sì che impu­nemente può poggiarsi a terra. Vi è pur adattato un (7 0 ) bellico di ferro , che Io salva da’ colpi violenti di p ie tre , di lance, e di qualsivoglia altra forte saetta. Collo scudo han la spada, che adagiano alla destra coscia, e chiamano (^ijspagnuola. Ha questa una punta eccellente, e taglio gagliardo da amendue le parti, per­ciocché forte e soda é la sua lama. Aggiungonsi due ( 7 2 ) spiedi, ed elmi di b ronzo, e stivali. I spiedi sono parte grossi, parte sottili, ed i più com patti, quali ro­tondi del diametro d’ un palmo , quali quadrati, della stessa misura ad ogni lato. I sottili rassomigliano a me­diocri lance (7 3) da cacciar cinghiali, e li portano in­sieme colle anzidette. Il legno di tutti questi é lungo tre cubiti. A ciascheduno è attaccato un dardo di fer­ro (7 4 ) uncinato, eguale al manico in lunghezza, la di cui legatura peli1 (7 5 ) uso , assicurano tanto saldamen­te, avvinghiandolo (7 6 ) sin alla metà del manico, e strin­gendolo con spessi anelli, che nell’adoperarlo non pri­ma si rilascia 1’ annodamento , di quello che rompasi il fe rro , quantunque nel fondo e dov’ è congiunto col manico sia grosso un dito e mezzo ; tale e tanta cura metton essi a siffatto congiugnimento. Dopo tutto ciò fregiano l’ elmo d’ un (7 7 ) pennacchio, e di tre piume ritte purpuree o nere, lunghe un cubito ; le quali es-

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'sendo aggiunte alla cima insieme colle altre armi, l’uomo apparisce il doppio maggior di sè stesso, ed il suo aspetto è bello e spaventoso agli awersarii. I più pren- don ancora una lamina di bronzo, che ha dodici dita da tutte le parti, e la pongono sul p e tto , chiamando­la (7 8 ) guardacuore ; e così compiono l’armadura. Quelli che censiti sono oltre diecimila dram m e, in luogo di guardacuori (7 9 ) aggiungono alle altre armi corazze guer- nite d’ uncini. La medesima guisa d’ armadura hannoi Principi ed i T ria rii; se non che in vece di spiedii Triarii (8 0 ) portano lance.

XXII. Da ciascheduno degli anzidetti generi, eccet­to che da’più giovani, eleggono a (8j) caposchiere dieci, secondo il merito del valore. Poscia fan una scelta d’al­tri dieci, e tutti questi appellano caposchiere, dei quali il primo che fu eletto siede nel consiglio. Questi ne eleggon altrettanti che stanno nel retroguardo. Indi in­sieme co’ caposchiere dividon ogni età in dieci p a rti , tranne i lancieri, ed assegnano a ciascheduna parte degli uomini eletti due conduttori e due raccoglitori. (8 2 ) I lancieri, secondo il loro numero, distribuiscono egualmente fra tutte le parti. E ciascheduna di queste parti chiamano (83) squadra, drappello e insegna; e i conduttori (84) centurioni, e caposchiere. (85) Costoro scelgonsi ne’ respettivi drappelli d’ infra tutti i due uo­mini più vegeti e valorosi a bandierai. E due conduttori fanno per ciascheduna squadra : ragionevolmente ; per­ciocché incerti essendo (8 6 ) i casi in che può avvenirsi il conduttore, e non ammettendo i bisogni di guerra pretesto alcuno, non vogliono che il drappello si trovi

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senza duce e capo. Quando adunque presenti sono a- mendue , il primo eletto conduce la parte destra del drappello, ed il secondo la sinistra. Che se alcuno di loro m anca, quello che rimane conduce tutti. (87) A- man essi che i centurioni sieno non tanto audaci ed avidi di pugna, quanto buoni condottieri ed impertur­babili , d’ alto anim o, non j5er assaltar il nemico in­tatto , o per appiccar la zuffa, ma perchè, vinti ezian­dio ed oppressi, non cedano , e muojano sul luogo.

XXIII. In egual modo dividono la cavalleria in dièci (88) squadroni, e traggono da ciascheduna tre cap i, i quali da sè assumono tre raccoglitori. Quegli adunque che fu eletto il primo comanda lo squadrone, e lo con­duce, e gli altri due fanno 1’ ufficio (89) di capodieci , e chiamami (90) tutti Decurioni. Non essendovi il pri­mo, il secondo fa le veci di caposquadrone. L’ arma­dura de’ cavalieri è ora simile a quella de’ Greci. Anti­camente non aveano corazze, ma combattevano (91) in farsetto ; donde avveniva che pronti erano e spediti a balzar di cavallo, ed a risalirvi con prestezza; ma nelle mischie a grande pericolo esponevansi, perciocché pu- gnavan ignudi. Le aste per due ragioni eran loro ino­peranti (92) : primieramente , perchè facendole sottili e tremule non poteano coglier il punto a cui le dirizza­vano , e pria che la parte davanti in qualche cosa si conficcasse, scosse dal movimento stesso de’cavalli, quasi sempre si spezzavano. Oltre a ciò , siccome le fa- ceano senza punta nell’ estremità inferioi’e , così sé ne servivano al solo primo colpo, poscia rompevansi e non erano di nessun uso. Gli scudi avean di cuojo bovino,

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simili alle focacce (g3) ombelicate che pongonsi sovra le vittime; e questi non duravan agli assalti, non avendo solidità ; e scuojati ed imputriditi dalle piogge, se prima erano di malagevol u so , allora affatto inutili divenivano.Il perchè avendo cotali armi fatta mala prova, adotta- ron presto la struttura delle armi Greche, per cui il primo colpo assestato coll’ estremità anteriore va a se­gno, ed è insiem efficace, essendo l’asta solidamente co­strutta e non tremula, ed ove voltisi, fermo e gagliar­do è l’ uso della punta di sotto. Lo stesso dicasi degli scudi : che negli (94) assalti da lungi e da vicino saldi e sicuri sono nell’ adoperarsi. Conosciute queste cose, si fecero tosto ad imitarle; perciocché (g5) i Romani sono fra tutte le nazioni i più. atti a cangiar costumi e ad emular il meglio.

XXIV. I tribun i, poiché han fatta questa divisione, e dati cotesti ordini intorno alle arm i, mandano la gente a casa. Giunto il di in cui han tutti giurato di raccorsi nel luogo destinato da’consoli ( ed assegna pres­soché sempre ciascheduno d’ essi alle sue legioni un luogo separato ; perciocché a ciascheduno vien data una parte degli ajuti con due legioni Romane ; ) i coscritti si presentano tutti immancabilmente, non ammetten­dosi altra scusa in quelli che han giurato, se non se (96) contrarii auspicii, ed (97) impossibilità. Raccoltisi gli ajuti ancora insieme co’ Romani, i comandanti degli al­leati , (98) proposti da questi, ma costituiti da’ consoli, e denominati prefetti, in numero di dodici, occupansi nell'amministrazione e nel maneggio delle cose che ai medesimi appartengono. Costoro dapprima scelgono ai

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consoli da tutti gli alleati presentì, i cavalli e fanti più opportuni al vero uso della guerra, che chiamano Estraordinarii, o vogliam dir Eletti. La moltitudine tutta de’ socii, per ciò che spetta a’ fanti, è il più delle volte eguale a quella delle legioni Romane ; ma i cavalli sono tre (99) cotanti. ' Da questo prendono pegli estraordi­narii, de’cavalli quasi la terza parte , de’ fanti la quin­ta : gli altri dividono in due p a rti, e chiamano l’ una ala destra, l’altra ala sinistra. Fatte queste cose ade­guatamente , i tribuni ricevon i Romani in un cogli al­lea ti, e pongon il campo. Siccome, circa la (100) dispo­sizione degli eserciti esiste presso di loro una sola e semplice dottrina , a cui attengonsi in ogni tempo e in ogni luogo ; così mi sembra convenirsi alla circo­stanza il tentare , per quanto può farsi con paro le, di recar a cognizione de’ leggitori il governo delle forze nelle m arce, negli accampamenti (101) e negli schie­ramenti. Imperciocché chi è tanto straniero alle opere belle ed industri, che applicar non voglia alquanto la mente a queste , le quali, come ne sarà informato , gli forniranno la scienza d’una delle cose più degne d’esser rammentate e conosciute ?

XXV. La maniera loro d’ accamparsi è tale. Quan­tunque volte è destinato il luogo per il cam po, la parte più comoda pel prospetto e pel comando occupa la ten­da ( 1 oa) del capitano. Piantato il vessillo l ì , ove questa è per esser fissata, misurano intorno allo stesso vessillo un luogo quadrato, per modo che tutti i lati ne sie- no (io 3) distanti cento piedi, e si formi un’aja di quat­tro jugeri. In un solo lato di questa figura, eh’ è ( io 4) il

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più opportuno per far acqua e foraggiare, sono le le­gioni Romane collocate in questa guisa. Sei essendo i tribuni in ciascheduna legione, conforme abbiam testé detto , e due le legioni Romane che ha ogni console, egli è chiaro, che dodici tribuni militano con cadauno de’con- soli. Le costoro tende mettono tutte in una linea retta, eh’ è parallela al lato ( io 5) prescelto del quadrato , e cinquanta piedi da esso distante, perchè v’ abbia luogo pe’ cavalli , pe1 giumenti, e pelle altre bagaglie de’ tri­buni. Le tende sono voltate dalla parte deretana alla anzidetta figura, e guardano (106) il lato di fuori, che debb’ essere intèso, e sarà eziandio sempre da noi chia­mato la fronte di tutta la figura. I padiglioni de’tribuni sono in eguale distanza fra di ló ro , ed (107) occupano tanto spazio, che estendonsi per tutta la larghezza delle legioni Romane.

XXVI. Misurati altri cento piedi davanti (108) a tutte le tende de’ tribuni, dalla linea che termina questo spa­zio in larghezza, e eh’ è parallela alle mentovate tende, incomincian a fare gli alloggiamenti delle legioni, go­vernandosi in questo modo. Divisa 1’ anzidetta linea in due parti, nella linea tirata dal punto della divisione ad angoli retti collocano i cavalli d’ amendue le legio­ni , gli uni di rincontro agli a ltri, distanti fra di loro cinquanta piedi, e (109) formanti la partizione nell’ in­tervallo di mezzo. Le tende de’cavaliei’i e de’ fanti fatte sono in egual modo : che tutta la figura, così dell’ in­segna, come dello squadrone è quadrata. Guarda essa le vie trasversali, ma a norma di queste è la lunghezza sua definita ; perciocché ha cento p iedi, ed il più delle

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volte ingegnatisi di far la profondità ancora della stessa m isura, fuorché ne’ socii. Quando usano legioni più grandi, accrescono in proporzione la lunghezza e la profondità.

XXVII. Fattasi (n o ) pervia degli alloggiamenti della cavalleria in ^mezzo alle tende de’tribuni come una stra­da per traverso fra la linea anzidetta ed il luogo da quelli occupato: (che diffatti riesce simile a strade la figura di tutti que’ passaggi, essendo lungo amendue le parti col­locati qua i drappelli, là gli squadroni :) applican a tergo degli anzidetti cavalli i Triarii d’amendue le legioni, cioè ad ogni squadrone una ( n i ) insegna in simile figura; per modo che toccandosi le figure fra di lo ro , ( n i ) guardan i Triarii il lato opposto a quello cui rivolti sono i cavalieri. La larghezza di ciascheduna insegna ri- ducon alla metà della sua lunghezza, perchè il numero di questi è il più delle volte la ( 113) metà del numero delle altre parti. Quindi comechè spesso ineguale sia la quan­tità degli uomini, agguagliansi sempre tutte le parti in lunghezza pella differenza della profondità. In distanza d’altri cinquanta piedi da amendue i lati attelano dirim­petto a’ Triarii i Principi, i quali volti essendo pure ai mentovati intervalli, produconsi nuovamente ( 114) due strade , che hanno l’ incominciamento e l’ingresso dalla medesima linea, donde 1’ hanno i cavalli, cioè dallo spazio di cento piedi ch’è dinanzi a’ tribuni, e finiscono di rincontro a’ tribuni al fianco dello steccato, che dap­principio stabilimmo esser la fronte di tutta la figura. Dopo i Principi, alle spalle d’ essi, ( 115) guardando egualmente indietro, mettono gli Astati, per modo che

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le figure che formano si tocchino, (i 16) £ siccome dieci insegne sono in ciascheduna parte secondo la divisione primitiva, così eguali divengono tutte le strade in lun­ghezza, e le loro estremità livellansi al fianco dello steccato eh’ è nella fronte : dove eziandio le ultime in­segne voltandosi s’ attendano.

XXVIII. Dopo gli Astati lasciano ancor uno spazio di cinquanta p ied i, e vi stanziano i cavalli degli alleati colla faccia voltata a quelli ; incominciando (117) dalla medesima linea , e nella medesima finendo. Il numero degli alleati, conforme dissi di sopra, è , per ciò che spetta a’ fan ti, eguale a quello delle legioni roma­ne , meno gli straordinari) (118); quello de’ cavalli è doppio, sottraendosi da questi ancora la terza parte pegli straordinarii. Quindi ne aumentano in proporzione la profondità nel configurare gli alloggiamenti, ed inge­gnami di renderli pari in lunghezza alle legioni Ro­mane. Compiute le (119) cinque strade tutte che attra- versan il campo, (120) mettono nuovamente le insegne de’ fanti alleati indietro voltate presso i cavalli, cre­scendo la larghezza in proporzione, e facendole guar­dar lo steccato, ed i Iati di fianco. Le prime tende presso ciascheduna insegna da amendue i lati occupano i Centurioni. £ mentre che nel modo accennato pian­tano gli alloggiamenti, discostano il sesto squadrone cin­quanta piedi dal quinto, e lo stesso fanno nelle schiere de’ fan ti, a tale che diviene questa un’ altra strada che passa per mezzo le legioni, attraversa le summentovate strade, ed è parallela alle tende de’ tribuni. La chiamano quintana, perciocché lungo i quinti ordini si estende.

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XXIX. Il luogo che di dietro sta sotto a’ padiglioni de’ tribuni, da amendue le parti del ( la i) circondario del pretorio , serve parte al foro, parte al questore, ed a tutte le cose necessarie all’esercito ch’egli ha seco. In amendue le estremità delle tende de’ tribuni all’ in­dietro, formando con queste tende come (122) la figura d’ una forbice, alloggiano i ( ia 3) cavalli scelti degli straordinarii, ed alcuni che militano volontariamente in grazia de’ consoli. Tutti questi accampansi lungo i fian­chi dello steccato, e guardano , chi ( 124) gli apparati del questorio, chi dall’ altra parte il foro. Per tal modo sono essi il più delle volte presso a’ consoli allog­giati , ma nelle marce ancora ed in altre occorrenze recan i servigi loro al console ed al questore , ed in­torno a loro s’ aggirano. Opposti a questi stanno, volti allo steccato, i fanti che prestan la medesima opera degli anzidetti cavalieri. Dopo questi rimane una strada larga cento piedi, parallela alle tende de’ tribun i, la quale dall’ altra parte del foro e del pretorio e del que­storio si estende innanzi a tutte le mentovate parti dello steccato. Nel lato superiore di cotesta strada accampati sono i cavalieri straordinarii degli alleati, e guardan il foro , ed insieme il pretorio ed il questorio. Alla metà dell’ alloggiamento di questi cavalli, e nella dirittura del sito che occupa il pretorio, rimane una strada di cinquanta p ied i, che conduce al lato .posteriore del cam po, e quanto alla sua direzione posa ad angoli rètti sull’ anzidetta via larga. Alle spalle di questi cavalli met­tono i fanti straordinarii degli alleati, voltati allo stec­cato e al ( i25) lato posteriore di tutto il campo. (126) Il

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vano lasciato da amendue le parti a’ fianchi laterali è dato agli stranieri ed agli alleati che estemporaneamente sopraggiungono.

XXX. Per tale disposizione la forma intiera del cam­po è un quadrato di lati eguali, e le strade che ifi va­rie parti s’ intersecano, e tutta la restante distribu­zione il rendono simile ad una città. Lo steccato è di­stante dalle tende in ogni banda dugento p iedi, e (127) siffatto vuoto arreca loro molti ed insigni vantaggi. Im ­perciocché è comodo è conveniente all’ entrata ed uscita delle legioni : che tutti (128) dalle respettive strade rie- scon a questo vuoto, e non si rovesciano e calpestano precipitandosi tutti ad una parte. Ed il (129) bestiame che v’ introducono , e la preda che tolgon a’nemici colà raccogliendo, custodiscono la notte sicuramente. Ma ciò che più monta si è , che negli assalti notturni nè fuoco nè dardi li raggiungono, se non se di rado assai, e quasi senza danno, per la grande distanza, e ( i3o) perlo spazio ch’è intorno alle tende.

XXXI. Data la quantità de’ fanti e de’ cavalli, in amendue le ragioni, o facciano cadauna legione ( 131 ) di quattro , o di cinquemila uomini; e data egualmente la profondità, la lunghezza e la ( i32) spessezza delle in­segne , ed inoltre gl’ intervalli delle vie più strette e più larghe, date finalmente tutte le altre cose : facil è a chi attender vuole il comprendere la ( 133) grandezza del luogo, e tutta la circonferenza degli alloggiamenti. Che se cresce talvolta la quantità degli aju ti, che sin dapprincipio militava, o se poscia estemporaneamente

vi sopraggiugne : cogli estemporanei riempiono, (134)

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oltre agli anzidetti luoghi, quelli che sonò presso il pre­torio, ristrignendo il foro ed il questorio nello spazio ch’è rigorosamente necessario all’uso. ( 135) Ove un maggior numero abbiasi a collocare che non fu quello degli uo- rmini dapprima insieme usciti, aggiungon una strada da amendue le parti delle legioni Romane, lungo i fianchi. Che se le quattro legioni ed amendue i consoli in un solo compreso sono raccolti, non dobbiam altro imma­ginarci , se non se due eserciti, che attelati nel modo testé detto attaccansi, e voltansi ( i36) la faccia e toc- cansi ove alloggiati sono gli straordinarii di ciaschedun o s te , i ( 13;) quali guardar fanno il lato posteriore di tutto il campo. Allor avviene che la figura si rende oblonga, lo spazio è il doppio del primo, e la (138) cir­conferenza una volta e mezza. Quando adunque amen- due i consoli insieme s’ accampano, usano sempre co­tali alloggiamenti ; ma ove sieno separati, tutto fanno □e lla stessa guisa-, se non che pongon il foro, il preto­rio ed il questorio in ( i3g) mezzo alle due legioni.

XXXII. Dopo aver piantato il campo, ragunansi i tribuni e danno il giuramento a tu tt i , liberi insieme e servi (i4o) che sono nell’esercito, facendoli giurare ad uno ad uno. Il (141) giuramento è: che non trafughe­ranno nulla dal campo ; anzi, ove alcuno fosse per tro­vare qualche cosa, la recherà a tribuni. In appresso or­dinano le insegne de’ Principi e degli Astati di ciasche­duna legione, destinandone due alla cura del luogo ( 142) eh’ è dinanzi a’ tribuni : che durante il giorno la mag­gior parte de’ Romani s’ intertiene in cotesta piazza j quindi con ogni diligenza l’ annaffiano sempre e fanno

polibio , tonto in . 1.6

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pulita. Delle altre diciotto , tre toccali in sorte a eia* scheduli tribuno; perciocché tante ( i43) sono le inse­gne degli Astati e de’ Principi in ogni legione , giusta la divisione testé riferita ; ed i tribuni sono sei. Delle tre insegne ciascheduna fa a vicenda il suo servigio ad ogni tribuno in questa guisa. Poiché han occupato il luogo per il cam po, rizzan costoro la tenda, e ( i44) fanno il pavimento intorno ad essa , e se necessario è di chiudere con ripari qualche parte delle salmerie per maggior sicurezza, questi ne hanno la eura. Danno eziandio due guardie, e la guardia é di quattr’ uomini, che fanno la sentinella, parte avanti la tenda, parte di dietro presso a1 cavalli. Avendo ciaschedun tribuno tre insegne, ed in ciascheduna essendo oltre cent’uomini, senza i Triarii («45) ed i lancieri (che questi non ser­vono), facile riesce 1’ opera, perciocché a ciascheduna insegna tocca il servigio ogni quattro giorni ; i tribuni hanno il necessario pe’ loro comodi, e ad un tempo 1’ onore, che acquista loro dignità ed autorità. Le in­segne de’ Triarii sono libere dal servigio de’ tribuni ; ma ciascheduna dà ogni giorno una guardia allo squa­drone di cavalleria, che ( i46) è più vicino alle sue spalle. Questi, oltre ad altre cose, custodiscono sovrat- tutto i cavalli, affinché impicciati nelle funi non s’ of­fendano e rendansi inutili, nè sciolti gettinsi sugli altri cavalli, e faccian confusione e strepito nel campo. Di tutte (147) le insegne una fa ogni giorno a vicenda la veglia presso il capitano, la quale il salva dalle sor­prese , ed è insieme d’ ornamento al supremo potere.

XXXIII. Nel tirare il fosso e rizzare lo steccalo ,

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due ( i48) lati addossano a’socii,dove alloggiano amen- due le loro ale, e due a’ Romani, una ad ogni legione. Diviso ogni lato per insegne, i centurioni ne pigliano cura partitamente , assistendovi. L’ approvazione uni­versale del lato spetta a due ( i49Ì de’tribuni, e questi hanno ancor la vigilanza sul resto del campo; percioc­ché dividendosi a due a due comandano a vicenda due mesi nello spazio semestrale, e quelli cui tocca la sorte presiedono a tutte le bisogne del campo. Le stesse in- cumbenze hanno i prefetti presso i socii. I ( i5o) cava­lieri ed i centurioni tutti rassegnansi di buon mattino alle tende de’tribuni, ed i tribuni a quella del console. Questi ordina sempre ciò che fa d’ uopo a’ tribuni, ed i tribuni a’cavalieri ed a’centurioni, e questi a’soldati, quando il tempo respettivo lo richiede. La consegna- zione del segnale notturno assicurano in questa guisa. In ciascheduna specie di cavalieri e di fan ti, dalla de­cima insegna alloggiata all’ estremità delle strade, scel- gon un ( i5 i) uomo eh’ è libero dal servigio della guar­dia. Costui viene ogni giorno in sul tramontar del sole alla tenda del tribuno, e preso il segno, eh’ è una ta­voletta inscritta, se ne va. Ritornato alla sua insegna, dà egli il ( i52) legnuzzo ed il segno in presenza di te- stimonj al conduttore della prossima insegna. Lo stesso fanno tutti di seguito, finché giugne alle prime insegne attendate in vicinanza de’ tribuni. Questi riportar deb­bono la tavoletta a’ tribuni, menti1’ è ancor giorno. Se riportate furono ( i53) tutte le tavolette date, riconosce egli che il segno é stato dato a tu tti, e ch’è a lui per­venuto per via di tutti : ma ove ne manchi alcuno, fa

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egli nell’ istante ricerca dell’accaduto, sapendo dall’in­scrizione, da qual parte non è venuta la tavoletta, e colui donde deriva 1’ impedimento, trovato che s ia , riceve il meritato castigo.

XXXIV. Quanto è alle guardie notturne in questo modo si governano. Il capitano e la sua tenda custo­disce l’ insegna che colà veglia, e i padiglioni de’ tri­buni , e quelli degli squadroni de’ cavalli, coloro che da ogn’ insegna, siccome testé riferimmo, a ciò furono destinati. Similmente ad ogni drappello pongono tutti una guardia della propria gente. Le altre dispone il capitano. Presso al questorio mettonsi il più delle volte tre guardie , e due presso ciascheduno (i 54) de’ legati e de’ consiglieri. Il lato ( 155) esterno riempiono i lan­c ieri, che (i 56) il dì vegliano presso a tutto lo stec­cato ; di tal ufficio essendo essi incaricati : ed agl’ in­gressi dieci de’medesimi fanno la sentinella. Il primo di quelli che destinati sono per guardie da ogni stazio­ne un raccoglitore di ciascheduna insegna conduce la sera al tribuno, il quale dà a tutti costoro per le re- spettive guardie ( i5y) tavolette, che contengono brevi caratteri. Questi pigliatele se ne vanno a’ posti loro as­segnati. La fede della ronda é appoggiata a’ cavalieri; conciossiachè il primo ( i58) capo squadrone d’ ogni le­gione ordinar debba la mattina ad uno de’ suoi rac­coglitori, che (159) a quattro soldati del suo squadrone significhi di far la ronda innanzi al pranzo. Poscia debbe lo stesso annunziar verso sera al conduttore dello squadrone seguente, che a lui spetta la cura della ronda per il dì appresso. Questi udito 1’ ordine, è te­

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nuto di far la medesima cosa il giorno vegnente, e cosi quelli che vengono dopo. I quattro che scelsero i rac­coglitori dal primo squadrone, poiché sortite hanno le sentinelle, recansi al tribuno, e pigliano da lui in iscritto , ( i60)per quante e quali stazioni debbano gi­rare. Indi vegliano i quattro presso alla prima insegna dei T riarii: che il centurione (161) di questa ha l’inca­rico di far suonare la tromba in ciascheduna vigilia.

XXXV. Venuto il tempo fa la prima ronda quegli cui è toccata in sorte, menando seco alcuni amici per testi- monj. Gira egli pe’luoghi suddetti, non solo intorno allo steccato ed agl’ ingressi, ma eziandio intorno a tutte le insegne, e gli squadroni. Se trova le guardie della prima vigilia deste, prende da loro la tavoletta; ma se trova alcuno che dorme , o che ha lasciato il posto , chiama i vicini a testim onj, e vassene. Lo stesso ese­guiscono le altre ronde che vengon appresso. La cura di dar il segno delle vigilie colle trom be, conforme te­sté dissi, affinché 1’ odano insieme le ronde e le senti­nelle , è ogni (162) giorno a vicenda incumbenza dei centurioni della prima insegna de’ Triarii in ciasche­duna legione. In sul fare del giorno ogni ronda riporta il segno al tribuno, e se rinvengonsi tutti quelli che furono ( i63) dati, senza carico di nessuno, se ne van­no ; ma se alcuno ne reca un minor numero che non è quello delle guardie, rintracciano d a l(164) carattere qual guardia ha mancato. Come l’han riconosciuto, chiamasi il centurione, il quale conduce seco coloro eh ’ erano destinati alla guardia, e questi disputano colla ronda. Se il difetto è nelle guardie, la ronda to«

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sto il rende (165) manifesto invocando la testimo­nianza de’ vicini, conforme è suo dovere ; ma ove ciò non siasi fatto, cade tutta la colpa sulla ronda.

XXXVI. (166) S’ asside tosto il consiglio de1 tribuni, e fassi al reo il processo ; e se è condannato il percuo­tono con bastoni. Il castigo del bastone è tale. Il tri­buno ppende un legno, e con esso tocca appena il condannato. Ciò fatto tutti i soldati della legione bat­tendolo con legni e con sassi, il più delle volte l’ am­mazzano nel campo. Ma quand’ anche alcuno scampas­se , non è egli però salvo. E come il sarebbe colui, al quale non è lecito di ritornar nella propria patria , e cui neppure i prossimi parenti oserebbono di ricever in casa ? Il perchè coloro che cadon una volta in sif­fatta sciagura sono spacciati. Lo stesso supplicio patir debbe il raccoglitore ed il conduttore dello squadrone, se non annunziano, quegli alle ronde , questi al capo del seguente squadrone in tempo quanto conviene. Es­sendo adunque la punizione così forte ed implacabile, le guardie notturne sono presso di loro tenute con tutta esattezza. Debbono pertanto i soldati ubbidir ai tribun i, questi a’ consoli. Ha il tribuno la facoltà d’im- por (167) multe, di levar pegni, e di far (168) nerbare. I prefetti l’ hanno sugli alleati. E bastonato chi ruba qualche cosa dal campo ; egualmente chi fa testimo­nianze false, e chi nel fior dell’ età è sorpreso abusar del proprio corpo; in oltre colui che tre volte pelle stesse cause è stato punito di multa. Questi trascorsi castigano come delitti; ma a viltà e vituperio militar* ascrivono ta (169) seguenti colpe. Ove alcuno per bu­

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scar un premio riferisce falsamente a’ tribuni qualche suo atto di valore; similmente quand’ uno per (170) paura lasci il posto assegnatogli; del pari ove alcuno getti per timore le armi nel combattimento. Il perchè v’ ha chi nelle stazioni a certa morte soggiace, sopraf­fatto da maggior num ero, e non vuole abbandonar l’ordinanza, paventando la punizione che gli sovrasta da’ suoi. Taluno che in combattendo si è lasciato ca­dere lo scudo, la spada, o qualche altr1 arma, si (171) lancia temerariamente fra i nemici, colla speranza.o di riacquistar ciò che ha perduto , o di schivar mo­rendo manifesta vergogna , e gl’insulti de’ suoi.

XXXVII. Che se molti commettono gli stessi mi­sfatti , e insegne intiere piegano e abbandonano il po­sto ; non adottano di bastonarli o d’ ucciderli tutti , ma trovano alla cosa un (172) espediente util insieme e terribile. Imperciocché (173) il tribuno raccoglie la legione, e prodotti in mezzo i disertori, dà loro un aspro rabbuffo, e finalmente ne tira a sorte, (174) quando cinque , quando otto , quando venti, e gene­ralmente ha sempre in mira di prender circa il decimo de’ delinquenti. Coloro fra questi vigliacchi cui tocca la sorte, fa egli bastonare nell’anzidetto modo spieta­tamente ; agli altri fa misurare orzo in luogo di frumen­to , e comanda loro d’alloggiare fuori del campo e delle fortificazioni. Del re s to , siccome il timore ed il pericolo della sorte sovrasta a tutti egualmente, incerto essendo su chi cadrà, e l’esempio d’ignominia col ci­barsi d’orzo a lutti egualmente appari iene, (175) così ottiensi da siffatto costume quanto è possibile, e per eccitar terrore , e per raddrizzar i casi fortunosi.

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XXXVIII. Con bel modo eziandio instigano la gio­ventù ad esporsi a’ cimenti. Poiché nata é qualche fa­zione ed alcuni di loro han fatte prove di valore , il capitano chiama a parlamento l’ esercito, e prodotti quelli che fecero qualche azione segnalata, dapprima pronuncia la lode di ciascheduno, esaltando il suo va­lore, e 'quan to v’ha degno di memoria nel corso della sua vita : poscia chi ha ferito un nemico regala egli di un’ (176) asta gallica, e chi l’ ha morto e spogliato, se è fante, d’ una (177) coppa, se cavaliere, d’una barda­tura : anticamente donavano un’ asta sola. Le quali

•cose conseguisce, non (178) chi in battaglia schieratao nella presa d’ una città ferisce o spoglia qualche ne­mico ; sibbene chi nelle scaramucce, o in altre simili occasioni, ove non v’ ha necessità alcuna di combat­tere a corpo a corpo 7 volontariamente e per elezione si dà a cotale cimento. A quelli che nell’espugnazione d’una città salgon i primi sulle mura danno (179) una corona d’ oro. (180) Similmente chi copre collo scudo e salva qualche cittadino o socio, il capitano insignisce di doni. Coloro che furono salvati, ove di buon grado coronar non vogliano il loro salvatore , i tribuni, giu­dicata la causa, costringon a ciò fare. Chi ha ottenuta la salvezza onora il benefattore per tutta la vita come padre, ed ogni cosa è obbligato a prestargli non altri­menti che a genitore. Cotal incitamento non solo chi ode ed è presente accende a gara ed emulazione nei pericoli, ma eziandio quelli che rimangon a casa. Im­perciocché coloro che ottengono siffatti doni, oltre alla gloria che ne ritraggon nel campo, e la fama che tosto

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conseguiscono nella patria, come ritornano a’suoi, ne vanno decorati nelle pompe; dappoiché a quelli sol­tanto è lécito di portar cotàli fregi, che pel valore ono­rati ne furono da’ capitani. Le spoglie pongono (182) ne’siti più cospicui delle case, affinché sieno monu­menti e testimoni della loro virtù. - Tanta essendo la lor diligenza e cura circa i premii e le pene nel cam­po , a buon diritto le guerresche loro imprese riescono a felice e gloriosa fine. Di ( 183) stipendio piglian i fanti due (184) oboli il giorno ; i centurioni il doppio , i ca­valieri una dramma. (185) Misuratisi a’fanti, di frumento due terzi di staio attico, al più ; e a’ cavalieri ( 186) sette staia d’ orzo al mese, e due di frumento. I fanti degli alleati hanno porzione eguale a quella de’Romani, ed i cavalieri uno staio e un terzo di frumento, e cinque d’ orzo : e (187) dannosi a’ socii gratuitamente. A’ Ro­m an i, (188) se abbisognino ancora di grano, di vesti­t i , o di qualche arm a, il questore detrae dagli stipen- dii il prezzo stabilito.

XXXIX. Levano il campo nel modo seguente. Co­me (189) la tromba ha dato il primo segno, disfanno le tende , ed uniscono tutte le bagaglie ; ma non è per­messo ad alcuno di torre o di piantar la propria tenda avanti quella de’ tribuni e del capitano. Al secondo se­gno caricano le salmerie su’ giumenti, e al terzo dèb- bonsi metter in cammino i prim i, e muoversi tutto il campo. Nella vanguardia comunemente collocano gli straor din arii ; a questi tiene dietro l’ala destra de’ so­cii , cui seguono i giumenti degli anzidetti. A questa squadra viene appresso la prima legione Romana, colle

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sue salmerie a tergo ; poscia la seconda, seguita dai propri! giumenti, e dalle salmerie degl! alleati, che sono alla coda ; perciocché chiude la marcia 1’ ala sini­stra degli alleati. I cavalli ora vanno alle spalle delle respettive p a r t i , ora camminano a’ fianchi de’ giu­menti , per contenerli, e procacciar loro salvezza. Quando aspettati un assalto alla coda, l’ordine resta il medesimo ; se non che gli straordinarii degli alleati dalla vanguardia passano al retroguardo. Alternativa- mente ogni legione ed ogni ala occupa un giorno la fronte, e segue a vicenda da tergo , affinchè tutti ab­biano a partecipar egualmente dell’opportunità intiera di far acqua e di foraggiare, cangiando sempre fra di loro la posizione della vanguardia. Hanno ancor un altro genere di marcia in tempi di pericolo, quando trovansi in luoghi aperti. Conducono gli Astati, i Prin­cipi , ed i Triarii in tre falangi ( r 90) distese, mettendo in­nanzi tutti i giumenti delle insegne che precedono, dopo le prime insegne quelli delle seconde, dopo le seconde quelli delle terze , e di questa ragione pongono sempre i giumenti in ordine alterno colle insegne. Disposta per tal modo la m arcia, come sopraggiugne qualche peri­colo, ora piegando a (191) sinistra, ora a destra, (192) mandano innanzi le insegne fuori de’ giumenti dal lato de’ nemici. Così in breve tempo e con un solo movi­mento ( 1 g3) tutto il corpo di grave armadura si dispone in ischiera, ( ove (ig4), oltre a ciò non debbano girare gli Astati), ed i giumenti, e tutta la folla che li segue, ritiratisi dietro quelli che sono schierati, hanno una sta­zione convenevole per qsser fuori di pericolo.

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XL. Quando nel cammino s’avvicinan al luogo dove han a stabilir il cam po, vanno innanzi il tribuno e que’ centurioni eh’ eleggonsi ogni volta a questa fac­cenda. Q uesti, poiché han visitato tutto il luogo nel quale debbon ( i g5) accamparsi, occupano dapprima colà il sito, dove, secondo che abbiano, detto, hassi a piantar la tenda del capitano, ed esaminano in qual prò* spetto e lato dello spazio che circonda il pretorio deb- ban alloggiarsi le legioni. Scelti questi luoghi, misurano il circuito del pretorio ; poscia la linea su cui pongonsi le tende de’ tribuni ; indi 1’ altra a questa parallela , donde principiano gli alloggiamenti delle legioni. Nello stesso modo misurano con linee lo spazio eh’ è dall’al­tra parte del pretorio , di cui abbiam non ha guari molto partitamente discorso. Eseguito ciò in breve tem­po , pella facilità della misurazione, essendo tutti gli intervalli definiti e per uso conosciuti ; conficcano una (196) insegna, ch’ è la prim a, nel luogo ove dee pian­tarsi il padiglione del capitano, la seconda nel lato (*97) prescelto, la terza a mezzo della linea su cui at­tendatisi i tribuni, la quarta in quella, (198) lungo la quale vengono mosse le legioni. Queste tende le fanno rosse , quella del capitano bianca. Nell’altra parte del (199) pretorio piantano, quando lance ignude , quando insegne d’altri colori. Fatto ciò misurano le strade, ed in ogni strada conficcano un’ asta. Donde avviene, che, come prima awicinansi le legioni nel cammino, e il luogo del campo rendesi chiaramente visibile, ogni cosa fassi nota a tu tti, prendendo essi l’indizio dall’insegna del capitano, e da questa argomentando il rimanente.

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Del resto conoscendo ciascheduno bene in quale strada ed in qual sito della strada debba attendarsi; percioc­ché ogn’uno occupa sempre lo stesso luogo del cam­po , accade in certo modo lo stesso che avviene, quan­do un esercito entra nella città del suo distretto. Con­ciossiachè colà ancora dalle porte si divaghino, e cia­scheduno tosto giunga alla propria casa senza fallare, conoscendo in (aoo) generale e in particolare, in qual sito della città è il suo albergo. Non altrimenti succede negli accampamenti de’Romani.

XLI. Nella qual cosa mi sembrano i Romani, atte­nendosi in ciò al partito più facile, andar pella via opposta a quella de’ Greci. Imperciocché i Greci nel- 1' accamparsi reputano cosa principale il seguir luoghi forti per n a tu ra , schivando la fatica di tirar fossi, ed insieme credendo non esser eguale la sicurezza procac­ciata dall’ arte a quella che fornisce la fortezza naturale de’ luoghi. Quindi è , che obbligati sono a prendere qualsivoglia forma nello stabilimento del cam po, ac­conciandosi a’ luoghi, ed a mutar ogni volta in diffe­renti guise le parti fra loro : onde instabile riesce il sito dell’ alloggiamento, così pegl’ individui, come pegli ordini. Ma i Romani amano meglio di tollerar la fatica di cavar fossi, e gli altri stenti che ne sono insepara­bili , in grazia de’ comodi che ne risultano, ed affinchè abbiano sempre il medesimo compreso conosciuto ed unico. - Questi sono i precipui particolari intorno alla (201) teoria della (202) milizia Romana, e sovrattutto intorno agli accampamenti.

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XLII. Quasi tutti gli storici pervenir ci fecero la fama della virtù di queste repubbliche : della Spartana, della Cretese, della (203) Mantinese, della Cartaginese. Alcuni eziandio han fatto menzione dell’Ateniese e della Tebana. Io (204) quelle om etto, e l’ Ateniese e là Te- bana credo che non abbian bisogno di molte parole, perciocché nè i loro incrementi furono ragionevoli, nè la loro floridezza stabile, nè le loro mutazioni moderate; ma poiché per qualche fortunato accidente hanno subita­mente brillato, mentre come suol dirsi (2o5) pareva lor toccare il ciel col d ito , sperimentaron un cangiamento in contrario. I Tebani assaitaron i Lacedemoni, (206) fa­voriti dalla costoro sciocchezza e dall’ odio che ad essi portavano gli alleati, e mercè del valore d’un uomo o due che le anzidette cose comprendevano, acquistaronsi pres­so i Greci fama di valore. E che non la costituzione del governo, ma il valore de’capi fosse a’Tebani cagione di vittoria, la fortuna poco stante a tutti fece manifesto. Im­perciocché le loro cose crebbono, fiorirono, e si disciol­sero apertamente colla vita d’Epaminonda e di Pelopicfa. Donde hassi a presumere, che (207) non il governo, ma gli uomini fossero allora cagione del lustro di Tebe.

XLIII. Lo stesso debbe intendersi della repubblica d’A tene, la quale sovente forse fiorì, ma ebbe il suo maggior splendore dal valor di Temistocle, e tosto provò una (208) mutazione in peggio peli’ incostanza della sua natura. (209) Imperciocché il popolo d’Atene è ognora simile a un vascello senza padrone, in cui quando da timore di nem ici, o da minaccia di burra­sca i passeggeri spinti sono a concordare ed a badar

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al tim oniere, tutti fanno egregiamente il loro debito; ma quando' ripreso attimo incominciano a dileggiar i cap i, e a tumultuare fra di loro per differenza d1 opi­nioni ; a llora, mentre che alcuni preferiscono di navi­gare , altri stimolano il timoniere ad afferrare , altri lan­ciano fuori i cavi, altri li trattengono , e comandano di ritirarsi, brutto spettacolo offrono colla loro dissen­sione e contesa a chi da fuori li vede, e a’ loro com­pagni di navigazione ne ridonda pericolo; onde spesso dopo aver solcati grandissimi m ari, e - scampate fieris­sime procelle, romponsi in porto e presso a terra. Lo stesso sovente già accadde alla repubblica d’ Atene : che dopo aver talvolta respinti i più grandi e tremendi pericoli pel valore del popolo e de’ capi, (aio) negli ozii imperturbati, non so com e, (ai i) senza motivo e fuor di ragione alcuna fiata inciampò. Il perchè nè di questa nè della Tebana non dobbiamo ulteriormente parlare, presso le quali il volgo oltre modo fiero ed acerbo , e allevato nella violenza e nell’ ira , maneggia tutto secondo le proprie passioni.

XLIV. Passando alla repubblica de’ Cretesi, due cose si meritano la nostr’ attenzione : che i più dotti fra gli antichi scrittori , (aia) Eforo , Senofonte , Calli sten e , Platone, primieramente la dicono eguale a quella dei Lacedemoni, poscia l’asseriscono degna di laude. Delle quali due cose nessuna sembrami vera: e se ne potrà far ragione da ciò che segue. In primo luogo tratteremo della loro ineguaglianza. Proprio è dicono della repub­blica di S parta , primieramente che nelle possessioni de’ fondi nessuno ha più dell’ a ltro , ma tutti i cittadini

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aver debbono una porzione eguale delle pubbliche terre. In secondo luogo considerano (a i3) l’acquisto del da­naro , il quale non essendo presso di loro punto in onore , viene ad esser affatto tolta dalla repubblica ogni gara del più e del meno. Per ultimo hanno i Re fra i Lacedemoni perpetuo dominio, e i così detti (a 14) Vecchi sono a vita, per mezzo de’ quali e co’ quali si amministrano tutti gli affari della repubblica.

XLV. Ma presso i Cretesi tutto è contrario a queste instituzioni. Imperciocché le leggi permetton loro di estender il possesso de’ terreni quanto possono, per così dire all’ infinito, ed il danaro é fra loro in tanto pregio, che non solo necessario, ma eziandio onestis­simo reputano il suo acquisto. E generalmente tanto è colà indigeno (a i5) l’amor di turpe guadagno e l’ava­rizia , che i Cretesi soli fra tutti i mortali nessun lucro stimano vituperevole. I maestrati sono presso di loro annui, e la costituzione è democratica. Laonde noi sovente penammo a comprendere, come oggetti di na­tura opposta ci sieno stati annunziati amici e affini fra di loro. Ed oltre ad aver sorpassate differenze così no­tabili , distendonsi soprappiù in molte parole, dicendo aver Licurgo solo fra gli uomini veduto ciò eh’ è più importante. Imperciocché due essendo le cose per cui ogni repubblica è salva, il valore contro i nem ici, e la concordia de’ cittadini, Licurgo togliendo l’ avarizia aver insieme tolta ogni civil discordia e sedizione : dond’ è , che i Lacedemoni, privi di questi mali, mollo meglio di tutti i Greci si governano e sono, fra sè d’ac­cordo. Ciò asserendo essi, e veggendo dal confronto

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come i Cretesi peli1 avarizia innata avvolti sono in moi* tissime private e pubbliche discordie, ed uccisioni c guerre cittadine, non ne fanno caso alcuno , ed osano d’ affermare, che quelle repubbliche sono eguali. Eforo, da’ nomi in fuori, usa le stesse parole nella descrizione d’ amendue i governi, per modo che ove alcuno non badi a’ nomi propri!, conoscer non può in veruna ma­niera di qual egli tratti. Le cose pertanto in cui fra di esse differiscono, mi sembrano esser queste ; ma i mo­tivi per cui stimiamo, non esser la repubblica di Creta nè lodevole nè da im itarsi, ora esporremo.

XLVI. Secondoche io credo , due principi! v’ ha in ogni governo , pe’ quali la sua (a 16) essenza e la sua costituzione debbono abbracciarsi o fuggirsi, e questi sono i (a 17) costumi e le leggi. S’hanno a preferir quelli che la vita privata degli uomini rendono santa e casta, e la pubblica condotta mansueta e giusta : da fuggirsii contrarii. Siccome adunque , allorquando veggiam presso alcuni le abitudini e le leggi lodevoli, con fidu­cia pronunciamo esser le persone ancora ed il lor go­verno di lode degni; così quand’osserviamo gli uomini avari nella vita privata, e le azioni pubbliche ingiuste, dir potremo meritamente , esser le leggi ancora ed i costumi particolari, e tutto il governo cattivo. Nè pos- sibil è di trovar nelle faccende private ingegni più frau­dolenti de’Cretesi, tranne ben pochi, nè più ingiusti nelle pubbliche imprese. Il perchè non credendo noi esser la loro repubblica eguale a quella de’ Lacedemoni, nè d’ altronde meritarsi laude ed emulazione, la riget­tiamo dall’ anzidetto confronto. Ma neppur la repub­

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blica di Platone egli, è giusto che con quella abbiasi a paragonare, comechè alcuni filosofi questa pure cele­brassero. Imperciocché , siccome nessun (a 18) artefice scenico o atleta, (219) che non esercita la professione,o non ha il suo corpo addestrato, è da noi ammesso alle atletiche tenzoni ; cosi neppur questa repubblica ammetter dobbiamo alla contesa del primato, (aao) ove pria fatto non abbia realmente mostra di qualche sua opera. Che se, conforme le cose stanno sino a1 nostri giorni, ciò che intorno ad essa fu ragionato recassimo a confronto colle repubbliche di S parta , di Roma e di Cartagine, lo (aai) stesso faremmo che colui il quale ponesse in mezzo qualche statua, e la paragonasse con uomini vivi e spiranti. Che quand’ anche, per ciò che spetta all’ arte, essa meriti ogni laude , la comparazione di cose inanimate colle animate giugnerà meritamente difettosa ed inconveniente del tutto all’ osservatore.

XLVII. Lasciam adunque cotesto argom ento, e ri­torniamo alla repubblica di Sparta. A me sembra Li­curgo aver colle sue leggi provveduto egregiamente alla concordia de’ cittadini, alla sicurezza della Laconia, ed alla conservazione della libertà di Sparta per modo, che divino anziché umano- divisamento sia il suo da reputarsi. Imperciocché l’eguaglianza nelle possessioni, e la semplicità e comunanza del v itto , render dovean ciascheduno temperante nella privata condotta, e gua­rentir la repubblica da sedizioni : e l’esercizio nelle fa­tiche e nelle opere pericolose formava uomini robusti e coraggiosi. Le quali due cose, cioè a dire il valor e la temperanza, concorrendo in un animo od in una

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città, non è ifacile che qualche male interno vi nasca ,o che da altri venga soggiogata. Avendo egli adunque così e per ta’ mezzi costituita la repubblica, stabile si­curezza procurò a tutta la Laconia, e agli Spartani stessi lasciò una libertà di lunga durata. Ma (222) al conquisto degli Stati a ltru i, ed alla supremazìa , e in generale alla gara nelle imprese, non mi pare che abbia punto provveduto, nè in particolare, nè in generale. Restava dunque ch’egli inducesse i cittadini nella ne­cessità o nel proponimento di rendersi, come nella vita privata contenti e semplici, così ne’ pubblici costumi moderati e temperanti. Ora avendoli in ciò che riguarda alla vita privata ed agli statuti civili formati alieni da ogni ambizione e prudentissimi, verso degli altri Greci lasciolli avidissimi d’onore, di dominio e di ricchezze.

XLVIII. E chi non sa com’essi primi quasi fra i Greci volsero il desiderio alle terre de’vicini per avarizia, e recarono guerra a’Messemi per (aa3) renderli schiavi? Chi non ha dalle storie appreso, come per caparbietà obbligaronsi con giuramento di non togliersi dall’ assedio di Messene pria d’ averla colla forza ridotta in lor po­tere? Ciò pur è a tutti n o to , aver essi per brama di dominare su’ Greci sostenuto di far i comandamenti di quelli che vinti aveano in battaglia. Imperciocché i Per­siani che invasero la Grecia vinsero per la libertà com­battendo ; ma ritornati quelli a casa dopo la fuga, con- segnaron loro per tradimento le città Greche (224) nella pace fatta per mezzo d’Antalcida , a fine d’aver abbon­danza di danari per acquistare la signorìa de’ Greci. Allora fu scoperto il difetto della loro legislazione. Con-

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ciossiachè finattanto che desideravan il domìnio su’vi­cini e su’ Peloponnesii, traevano daUa Laconia stessa sufficiente copia di gente è di vettovaglie, pronte avéndo le provvigioni delle cose necessarie , e facendo a casa solleciti (225) -ritorni e tragitti. (226) Ma poiché inco* minciarono a spedir armate per mare, ed a guerreggiar con eserciti di tèrra fuori del Peloponneso; al certo nè la moneta di ferro , nè 1’ annuo baratto de’ frutti colle altre cose di cui abbisognavano , giusta le leggi di Li* curgo, fu ad essi sufficiente : dappoiché pelle loro im­prese mestieri aveano di moneta comune , e d’ apparec­chi stranieri. Laonde costretti furono di recarsi alle porte del Re di P ersia , d’ imporre tributi alle isole, e d’ accattar danari da tutti i Greci ; conoscendo , che se altenevansi alla legislazione di Licurgo, aspirar non po­tevano a qualsivoglia eonquisto, non che al dominio de’ Greci.

XLIX. Ma in grazia di che àbbiam noi fatta questa digressione? Affinchè pe’fatti stessi fia manifesto, come la legislazione di Licurgo bastasse alla custodia del. pro­prio territorio ed alla conservazione della libertà. Dif- fatti a chi approva cotesto scopo di governare conceder dobbiamo;, che non v’ ha e non è stata altra costitu­zione éd ordine politicò preferibili a quelli de’Lacede­moni: Ove pertanto alcuno brami maggiori cose, e stimi esser più bello e dignitoso comandar a m olti, aver esteso dominio, ed esser da tutti osservato e ri­spettato : hassi in qualche parte a confessare, esser il governo Spartano difettoso, ed il Romano più eccel­lente, e meglio costituito peli’accrescimento della po-

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testa. Là qual cosa pe’ fatti stessi chiara si rende. Im­perciocché i Lacedemoni essendosi mossi al (227) con­quisto del principato della > Grecia, vennero ben tosto in pericolo'di perdere la propria libertà : laddove i Ro­m ani, avuta la (228) signorìa d ’ Ita lia , in poco tempo assoggesttaronsi tutta la terra abitata ; avendo non poco contribuito a farli giugner a capò di questa impresa l’ abbondanza delle provvigioni e la faoilità di procac­ciarsele*. ■ >

L. Là (£29) repubblica de1 Cartaginesi, per ciò che spetta alle differenze generali, sembrami primitivamente essere stata bene costituita; perciocché 'eran presso di «ssa* (a3o) règi, ed il (a31) consiglio de’ vecchi avea autorità aristocratica , ed il popolo era arbitro di queDe cose che a lui appartengono, e: nelPaccordo universale delle sue parti rassomigliava a quella de* Romani e dei Lacedemoni. Ma a’ tem pi, in cui i Cartaginési entra­rono nella guerra Annibalica, eran essi a peggior con­dizione, a migliore i Romani. Imperciocché, siccome v’ ha secondo la nàtura in ogni corpo e governo e (a3a) -pràtica un’aumento, poscia un apice, indi un deperi­mento, ed essendo le maggiori forze.intorno all’ apice; così differivan allora in ciò fra d’esse quelle repubbliche: che quanto più tosto la Cartaginese si convalidò, e in­nanzi alla Romana pervènne al colmo della sua felicità, tanto maggiormente allora Cartagine già (233) sfioriva, e Roma era peli’ appunto nel sommo vigóre, ed il suo 'governo s’ assodava. Il perchè nelle deliberazioni presso •i Cartaginesi ri popolo già arrogava&i il maggior potere, quando fra i Romani il se^ato l’ avea intatto. Donde

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avvenne , che consultando plesso gli uni la moltitudine, presso gli altri gli ottimati, le deliberazioni de’ Romani circa.i pubblici affari ebbero il vantaggio. Per la qual cosa ancora, avvegnaché al.tutto abbassati, bene con­sigliandosi alla fine superaron in guerra i Cartaginesi.*

LI. Che se discendiamo a’ particolari, per figura alle bisogne della guerra : per mare, conform’è ragionevole,i Cartaginesi sono più esercitati e meglio vi si prepa­rano 5 perciocché siffatta pratica é loro famigliare ab antico , (?.34) ed i mari frequentano più di tutti gli uomini. Ma nelle fazioni di terra i Romani han .molto più esercizio de’Cartaginesi ; . sendochè quelli vi pongon ogni studio, ed i Cartaginesi poco si curano della mi­lizia a piede , e fanno scarso provvedimento per la ca­

valleria. Cagione di ciò si è , che (a35) usano forze stra­niere e m ercenarie, mentre che i Romani valgonsi di indigeni e di cittadini. Laonde per cotal parte ancora è questa repubblica più lodevole di quella : che la Carta­ginese colloca sempre la sua speranza di libertà nel coraggio de1 mercenarii, e la Romana nel valore de’ suoi e negli ajuti de’ socii. Quindi, ove alcuno d’essi tocchi dapprincipio qualche ro tta , i Romani rii&ettonsi del tutto: non così i Cartaginesi. Coriciossiachè quelli com­battendo per la patria e pe’figli non sanno por termine all’ ira , ma durano pugnando con tutta l’anima, finché superano i nemici. Ecco perchè i Rom ani, nelle ; forze navali di gran lunga inferiori a’ Cartaginesi, perciò che spetta all’esperienza , siccome dissi di ■ sopra, vincono tuttavia generalmente pel valore degli uomini. C he , quantunque ne’ cimenti di mare non poco sia giovevole

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il (a36) ministero nautico, ciò non pertanto il coraggio de’ soldati navali aggiugne il maggior peso alla vittoria. Avanzano, a dir vero, per natura tutti gl’italiani i C ar­taginesi e gli Africani, iu robustezza di corpo, e in addaci a d’animo ; ma grand’ eccitamento ancora metton essi alla gioventù in questo particolare mediante i pub­blici costumi. Uno solo basterà rammentare, qual prova della diligenza che pone la repubblica nel formarne uom ini, pronti a tollerar tutto per conseguir in patria la fama di bellica virtù. .

LII. Quando muore presso di loro qualche uomo il­lustre , compiuti i funerali, il recano (a3^) con tutto ciò che alla pompa appartiene nel foro a’ così detti ro­stri, (238) collocandolo talvolta ritto che possa vedersi, di rado coricato. Gli sta intorno tutto il popolo , e se ha lasciato un figlio adulto che per avventura sia pre­sente, monta questi su’ rostri : altrimenti qualche altro parente di lui discorre intorno alle virtù del defunto, ed alle cose da esso operate in vita. Donde avviene, che la moltitudine rammentandosi delle sue gesta, e raffiguran­dole, non solo chi fu socio a’ suoi fatti, ma quelli ancora che non v’ebbero parte tanto commuovonsi, che il caso appartener sembra non meno al pubblico che a’ consan­guinei. Poscia (239) seppellito il m orto , e fattegli le esequie . pongono l’effigie di lui nel luogo più cospicuo della casa, e vi metton 'attorno un tempietto di legno. L’ (a4o) effigie è una maschera eh’ egregiamente rap­presenta il defunto, e nella configurazione e nel colore. Queste immagini ne’ giorni di pubblici sacrificii aprono ed ornano con somma diligenza ; e quando muore una

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persona illustre della medesima famiglia, la portano in pompa , e 1’ applicano a tale che di grandezza e (a<fi) taglia pare al defunto similissimo. Gl’ indossan eziandio la toga pretestata , se fu console o pretore, se censore la purpurea, e se ebbe trionfato, o meritato il trionfo, porta una veste tessuta d’oro. Vanno in processione sovra ca rri, e li precedono verghe e scuri e tutto ciò che suol esser al fianco de’ m aestrali, secondo la di' gnità che godettero in vita. Giunti a’ rostri seggono tutti in fila sovra sedie d’avorio: spettacolo del quale più bello facil non è che vegga un giovine che ama la glo­ria ed il bene. (a42) E chi non iscuoterà 1’ aspetto con­temporaneo delle immagini quasi viventi e spiranti d’uomini saliti in fama per la loro virtù? Qual vista ap­parir può di questa più bella ?

LIII. Del resto chi pronuncia 1’ elogio di colui che è per esser seppellito, terminato il discorso, prende a parlar degli a ltr i, incominciando dal più vecchio dei presenti, ed espone le felici gesta e le azioni di cia­scheduno. Laonde rinnovandosi ognor la fama degli uomini per virtù insigni, immortalasi la gloria di coloro che han operato qualche cosa d’ egregio, ed il nome di chi ha beneficata la patria noto si rende alla mol­titudine ed è trasmesso a’ posteri. Ma il più importante si è , che la gioventù eccitata ne viene a tollerar tutto peli’ interesse comune, a fine di conseguir il buon nome che gli uomini valorosi accompagna. La qual cosa acquista fede da siffatti esempii. Molli Romani sponta- nebmente (a/{3) discesero a singoiar tenzone per la de­cisione di tutta la guerra: non pochi scelsero inevitabil

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m orte; (a44) alcuni in guerra per cagione dell’ altrui salvezza ; altri in pace per sicurezza della repubblica. Taluni aventi il supremo po tere , (245) uccisero i pro- prii figli contr’ogni costume e legge, apprezzando mag­giormente l’utilità della patria, che non 1’ affetto natu­rale verso il più prossimo sangue. Motti di questi fatti narransi presso i Romani ; ma al presente basterà ram ­mentarne Uno solo , per cagion di esempio e di fede. >

LIV. Dicesi, che Orazio soprannomato Coclite, com­battendo con due nemici sull’ estremità ulteriore 'del p o n te , situato sul T eb ro , innanzi alla c ittà , poiché vide farsi avanti molta gente d ie veniva in soccorsa de’ nemici, temendo non a viva forza entrassero nella città, voltatosi a quelli di dietro gridasse, che tostamente si ritirassero e tagliassero il ponte. I quali avendogli ubbidito, finattantochè non tagliarono il ponte , durò , egli, quantunque ricevesse molte ferite , e rattenne la foga de’ nemici, attoniti non tanto della sua forza, che della sua fermezza e audacia. Rotto il ponte la fu­ria degli avversarli fu frenata ; ma Coclite gittatosi nel fiume armato , (246) morì di sua volontà, la salute della patria, e la gloria che a lui ne sarebbe per derivare preferendo alla presente v ita , ed a quella che ancor. gli rimaneva. Tal è l’ impeto e la gara che per le oneste azioni s’ ingenera négli animi della gioventù col mezzo delle loro abitudini.

LV. I costumi e le leggi circa l’aumento delle fortune migliori sono presso i Romani, che non presso i Carta­ginesi. (247) Imperciocché fra questi nulla di ciò che spetta al lucro è turpe ; laddove fra quelli niente- è più

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vituperevole che lasciarsi corrompere con don i, e arric­chirsi con mezzi illeciti, e quanto han in pregio 1’ ac­cumular dovizie onestamente, tanto reputano vergognosa 1’ opulenza procacciata con modi vietati. Prova di ciò sia che presso i Cartaginesi i maestrati apertamente comperarsi con regali, e presso i Romani (a48) cotal attentato è punito colla morte. Laonde essendo presso amendue i popoli (a 49) premii opposti assegnati alla v irtù , ragion vuole che dissimili sieno pur le loro mene per ottenerli. Ma là maggior prerogativa della repub­blica Romana sembrami esser l’opinione che hanno de­gli Dei. E ciò appunto che recasi ad onta presso gli altri uom ini, panni che consolidi le cose de’ Romani: dico lo (a5o) scrupolo nelle cose divine. Che questa parte è presso di loro tanto messa in pompa , ed introdotta nelle azioni private della vita e ne’ pubblici affari, che nulla più. Di che molti stupiranno, m a, per quanto io credo , fan essi ciò in grazia del volgo. (a5 1) Che se possibil fosse di compor una repubblica d’ uomini savii, necessario forse non sarebbe un tal ordine. Ma dappoi­ché la moltitudine è leggera e piena di voglie illecite, irragionevole nell’ ira e pronta alla violenza; nulla ri­mane per contenerla che terrori occulti e siffatte tragi­che illusioni. Quindi hanno gli antichi, per mio avviso, non temerariamente né a caso , introdotte cotali opi­nioni circa gli Dei e le pene dell’ inferno ; sibbene le hanno molto più temerariamente e senza ragione sbanditei .moderni. Laonde, a tacer delle altre cose, quelli che presso i Greci amministrano i danari pubblici, ove un ta ­lento solo venga loro affidato, quand’anche abbiano dieci

a65

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controllori, e altrettanti sigilli, e due cotanti testimoni, non possono serbar fede. Ma i Romani ne’ maestrati e nelle ambascerie maneggian molto d anaro , e sotto la fede del solo giuramento osservano ciò che prescrive il dovere ; e mentre che fra le altre nazioni raro è trovar un uomo che s’ astenga da’ pubblici effetti, e ne abbia le mani pure presso i Romani di rado incontrasi alcuno che colto sia in siffatto delitto.

LVI. Ora che a tutto ciò ch’esiste sovrasta deperi­mento e m utazione, non ha quasi bisogno d’ esser ri­cordato ; perciocché la necessità della natura basta ad acquistarvi fede. Due pertanto essendo i modi in cui ogni genere di governo perisce, 1’ (a5a) mio esterno, l’altro ad essi innato , di quello che viene da fuori in- stabil è la teoria, ma quella de’vizj intrinseci é deter­minata. Qual maniera di governo prima nasca, quale poi, e come 1’ uno nell’ altro si m uti, abbi am detto di sopra; onde chi (a53) connetter può il principio col fine del presente argom ento, vale già di per sé a pronunciar sull’avvenire. Ed é questa, per quanto io credo , cosa chiara. Imperciocché quand’ uno s ta to , dopo aver re­spinti molti e grandi pericoli, perviene ad una potestà e signorìa non contrastata; egli é manifesto che addi­mesticatosi a lungo andare coll^ prosperità, il vivere vi si rende più sontuoso, e gli uomini ambiscono più del dovere le magistrature e le altre imprese. Le quali cose molto innanzi procedendo, incomincerà il can­giamento in peggio dal desiderio di dominare, (454) e dalla vergogna della condizione privata. A ciò s’ aggiu- gnerà l’arroganza nel trattare ed il lusso. Presterà (a55)

a66

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il nome al cangiamento il popolo, quando reputerassi offeso dall’avarizia d’alcuni, e gonfierassi adulato da altri per ambizione. Allora acceso d’ i r a , e in tutti i suoi consigli da furore guidato, non vorrà più ubbi­dire nè aver eguali diritti co’ capi, ma esser egli tutto, e tutto potere. Ciò fatto, riprenderà la città i bellissimi nomi di libertà e di democrazia, ma in realtà avrà il peg­giore di tutti i governi, quello del volgo. Noi pertanto poiché espósto abbiamo la formazione e 1’ incremento di questa repubblica, il suo apice e lo stato suo pre­sente, ed oltre <a ciò in che differisca dalle altre, e cosa sia in lei il peggio ed il meglio ; porremo qui fine al nostro discorso intorno alla repubblica Romana.

LVII. Tuttavia un fatto solo brevemente rammente­remo congiunto co’tempi di quella parte della storia, donde (a56) deviammo, affinchè, non solo colle paro­le , ma colle cose ancora, prodotto in mezzo, siccome fa un buon artefice , qualche saggio de’ nostri lavori , rendiamo palese il vigor e la potenza eh’ ebbe a quei tempi la repubblica. Annibale poiché , superati i Ro­mani nella battaglia di C anna, s’impossessò degli ot­tomila uomini lasciati a guardia degli alloggiamenti ; presili tutti vivi, concesse loro di mandar a’ suoi, perchèli riscattassero, e salvi li facessero. Avendo quelli a tal uopo eletti fra loro dieci de’ più illustri, Annibaie fattili giurare che ritornerebbon a lui, spedilli a Roma. Uno degli e le tti, (257) uscito appena dello steccato, disse d’ aver non so che obliato, e tornato indietro, e preso ciò che avea lasciato, si rimise in cammino; sti­mando mediante il ritorno d’ aver serbata la fede , e

2 6 7

A . d iR .

538Olim.14o iiii

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sciolto il giuramento. Venuti costoro a Roma pregaron ed esortaron il Senato non invidiassero a7 prigioni la salvezza, ma permettessero che, pagando ciascheduno tre (a5 8) mine , salvo ritornasse a’ suoi parenti : che Annibaie gliel’ avea accordato. Esser loro meritevoli di salvezza, come quelli che non avean combattuto: da v i l i n è fatto nulla che indegno fosse di Roma ; ma lasciati alla custodia del cam po, poich’ erano periti gli altri in battaglia, stretti da iniqua fortuna, caddero nelle mani de’ nemici. I Romani, quantunque di grandi rotte toccate avessero in pugnando, privati allora di quasi tutti gli alleati, ed aspettando che fra poco l’ul­timo pericolo colpisse la patria ; udite queste paro le , non ebbon a vile il decoro, cedendo alle sciagure, nè omisero alcuna cosa che a’provvedimenti si convenisse; sibbene, conosciuto il proponimento d? Annibale, come egli per siffatta azione volea procacciarsi abbondanza di danari, e ad un tempo torre agli avversari! l’ostina­zione nel combattere , mostrando che a’vinti rimaneva tuttavia qualche speranza di salute: tanto eran lungi dal fare ciò che loro chiedeasi, che nè pietà de’suoi li movea, nè conto alcuno faceano del vantaggio che tratto avrebbon da quella gente. Mandaron adunque a vuoto i divisamenti d’ Annibaie, e le speranze ad essi attaccate, negando a costoro il riscatto; ed a’proprii sol­dati imposero la legge di vincer o di morire, non restando lo ro , ove superati fossero, alcuna speranza di salvezza. Quindi avendo ciò decretato, licenziarono i nove am­basciadori che a tenore del giuramento di propria vo­lontà ritornarono; ma colui che con sofismi dal giura­

2 6 8

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mento sottrarsi volea, rimandarono legato a’ nemici; per modo che Annibaie non fu tanto lieto d1 aver vintii Romani in battaglia, quanto umiliato e sbigottito della costanza e m a g n a n i m i t à loro nelle deliberazioni.

Frammenti.

LVIII. Io (aSg) m’ induco a credere, che Roma fab­bricata fosse il secondo anno della settima olimpiade. ( Polib. presso Dion. cTAlicam. /. 7 4 )•

3 6 9

(260) Palazio dicesi da certo giovinetto Palante, che ivi mori ( lo stesso l. 3a ).

Presso (261) a1 Romani è vietato alle donne di ber vino ; beon esse pertanto il cosi detto (262) vino passo. Questo fessi dall’uva appassita; ed è simile nel gusto al vino dolce d’ (263) Egostèna (264) e di Creta : quindilo usano stimolate dalla sete. Ma donna che bee vino impossibil è che lo nasconda. Conciossiachè in primo luogo non ha dessa la cantina in suo potere ; poscia debb’ essa (265) baciar i parenti suoi e quelli del ma­rito sino a’ figli de’cugini, e ciò ogni giorno, come prima li vede. Quindi incerta essendo chi seco lei par­le rà , o in chi potrà avvenirsi, sta essa in guardia:

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sendochè per poco che n’abbia assaggiato non v’ha bi­

sogno d’ altra accusa (Ateneo X , p. 44° )•

27°

Fabbricò eziandio ( Anco (266) Marcio ) la città di Ostia sul Tevere ( Stef. Biz. alla voce Ostia ).

(-267) L ucio , figlio di Demarato da Corinto, andò a Rom a, affidato in sè stesso e nella sua ricchezza, e persuaso , che gli si offrirebbe qualche (a68) occasione, per cui non sarebbe inferior a nessuno nella repubblica ; avendo eziandio una donna abile ad ogni cosa, é op­portuna ad aiutarlo in qualsivoglia disegno. Venuto a Rom a, e conseguita la cittadinanza, tosto acconciossi a rendersi piacevole al re. E in breve tem po, parte col profonder d anari, parte cOlla destrezza del suo in­gegno , e singolarmente Colle arti in cui era allevato , fattosi gradito al Principe, acquistò presso di lui grande autorità e fiducia. In processo di tempo venne con Marc­elo in tanta famigliarità, che con lui (269) abitava ed amministrava gli affari del regno. Ne’quali procacciandoil bene di tu tti, e aiutando « favorendo sempre chi gli chiedea qualche grazia, e facendo ad un tempo delle sue dovizie uso magnanimo secondo il bisogno e a tempo, in molti collocò i suoi benefici), e presso tutti acquistassi benevolenza e fama d’alta virtù, e conseguì finalmente il regno (Estratti Valesiatii ).

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T utte (270) le opere di virtù per ben esercitarle conviene esercitarv i da fanciulli, ma sovrattutto il va­lore ( Estrat. Valesiani).

2 7 1

Che l’impossibile accompagnato colla menzogna, non lascia neppur difesa a chi v’ incappa ( Marg. del Cod. Urbin ).

Fece cosa degna d’uomo savio e prudente , chi (271) secondo Erodoto sa , quanto la metà sia più del in­tiero ( Ivi ).

Apparar a non esser menzognero verso gli D ei, è fomite della verità che coltivarsi dee fra gli uomini.

W -

Nella maggior parte delle opere umane, chi acquista, è ben disposto a conservare; ma chi riceve ciò eh’ è preparato, a dissipare ( Ivi ).

Un (272) luogo ancora così chiama»., Rinco, presso

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Staralo ; in .E tolia, confórme ! dice Polibio nel sesto libro delle Istorie { Ateneo 111, i 5 , p. g5 ).

2^2

(273) Volcio, città d’Etraria. Polibio nel sesto. (Stef. Bizant.ì

F IN E D E G L I A V A N Z I D E L S E S T O L IB R O .

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SOMMARIO

INTORNO LE VARIE FORME DI GOVERNO

I S I NG OLA RM ENT E

D E L L A R E P U B B L IC A R O M A N A .

2 7 3

1» «

I j a r e p u b b lic a R o m a n a è d iffic ile a c o n o s c e r s i — S o lita d i­

v is io n e d e lle tr e f o r m e d i g o v e rn o — ■ N o n è su ffic ie n te m e n te

e s a tta ( § I. ) — ■ D if fe r e n z a f r a la M o n a r c h ia e i l R e g n o —

V O lig a rc h ia e F A r is to c r a z ìa — L a D e m o c r a z ìa e F O c lo c ra ­

z ìa — S e i g e n e r i d i g o v e rn o — R e c ip ro c o c a n g ia m e n to d ’ u n

g e n e re n e l l ’ a l tro ( g II . ) — P la to n e d e lla re p u b b lic a — P r i­

m o p r in c ip io d e lle so c ie tà c iv i l i ( g I I I . ) — ■ O rig in e d e l le n o ­

z io n i d e l g iu s to e d e lF o n e s to — O rig in e d e l R e g n o ( § IV . ) —

B e n e v o le n z a d e ' s u d d i t i v e r so la fa m ig l ia d e ’ R e — O rig in e

d e l la T ir a n n id e ( § V . ) — C o m e n a s c a F A r is to c r a z ìa —5 F O lig a rc h ia ( § V I . ) — L a D e m o c r a z ìa — I J O c lo c ra z ìa e

v io le n z a d e lle m a n i ( § V I I . ) — G iro e q u a b ile d e lle r iv o lu ­

z io n i n e ’ g o v e r n i ( § V i l i . ) — L e g g ‘ d i L ic u r g o — L a f o r m a

d e l la r e p u b b lic a R o m a n a è s o m ig lia n te a l la L a c o n ic a — R e ­

p u b b lic a R o m a n a m is ta d i tr e p a r t i ( § IX . ) — D ir i t t i d i

c ia s c h e d u n a — P o te r e d e ’ C o n s o li in c i t tà — I n g u e r ra —

È q u a s i re g io ( § X . ) — P o te r e d e l S e n a to — S e m b r a u n

re g g im e n to A r is to c r a tic o ( § X I . ) — P o te r e d e l p o p o lo n e l la

r e p u b b lic a — I r e i d i m o r te p o s s o n o a n d a r in .s p o n ta n e o

e s ilio ( § X II . ) — U n ’ o r d in e h a b iso g n o d e l l ’ a l tr o — I l

p o l ib io , tomo ili. 18

Page 274: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

c o n s o le h a m e s tie r i d e l t a iu to d e l p o p o lo e d e l S e n a to ( § X I II . ) — r

I l S e n a to è so g g e tto a l p o p o lo ( § X I V . ) — I l p o p o lo a l

S e n a to ( § X V . ) — L a f o r m a d e l la r e p u b b lic a R o m a n a è f r a

tu t te la p iù c o m o d a — L a re p u b b lic a R o m a n a tr a e d a sé

s te s s a i r im e d ii a ’ s u o i m a li ( § X V I . ) —

I a s T i T v z i o n i m i l i t a r i b e ’ R o m b i .

A v a n t i r e le z io n e d e ’s o ld a ti c r e a n t i i tr ib u n i — N u m e r o d e g l i

a n n i d i s e r v iz io m ilita re — C o s c r iz io n e d e ’ s o ld a t i — D is tr i ­

b u z io n e d e ' tr ib u n i ( § X V I I . ) — I tr ib u n i f a n n o la s c e l ta —

N u m e r o d e ’ f a n t i in u n q le g io n e — P e ’ c a v a lie r i ( § X V I I I . ) — :

G iu ra m e n to m ilita re — C o s c r iz io n e d e g li a l le a ti — Q u a t­

tr o sp e c ie d i f a n t i n e l la le g io n e ( § X I X . ) — A r m e d e ' v e ­

l i t i ( § X X . ) — A r m a d u r a g r a v e — S c u d o — S p a d a —

S p ie d i — E lm o c o lla c r e s ta — G u a rd a c u o re — C o ra zza —r-

A s t e d e ' T r ia r i i ( § X X I . ) — C e n tu r io n i — B a n d ie r a i —

U ffia io d e ’ c e n tu r io n i ( § X X I I . ) — S q u a d r o n i d i c a v a lli —

D e c u r io n i — A r m e d e ’ c a v a lie r i e r a n a n tic a m e n te p o c o c o ­

m o d e — P o sc ia f u r o n m ig lio ra te a fo g g ia d e ’ G re c i ( § X X I I I . ) —

J s o ld a t i c o n v e n g o n a r m a ti n e l lu o g o s ig n ific a to d a l c o n s o le —

A l l e a t i — P r e fe t t i d e g li a l le a ti — S tra o r d in a r ii — A le d e i

S o d i — D is p o s iz io n e d e l l ’ e s e rc ito ( § X X I V . ) — A c c a m p a ­

m e n to — P re to r io — T e n d e d e ’ tr ib u n i ( § X X V . ) — T e n d e

H e lle le g io n i ( § X X V I . ) — S tr a d e d e l c a m p o — T e n d e d e i

■T r ia r ii — D e ' P r in c ip i — D e g li A s ta t i ( § X X V 11. ) — S i to

d e g li a l le a l i n e l c a m p o — S tr a d a q u in ta n a ( § X X V I I I . ) —

F o ro e q u e s to r io . — E le t t i d e ’ S tr a o r d in a r ii — V o lo n ta r u —

T e n d e d e g li S tr a o r d in a r ii •.— S o d i s tr a n ie r i ( § X X I X . ) —

A s p e t to d e l ca m p o s im ile a d u n a c i t ta — S p a z io f r a le te n d e

e lo s te c c a to ( § X X X . ) — S p a z io in tie r o d e l c a m p o — C h e

c o sa f a c c i a s i , s e v ’ h a u n m a g g io r n u m e r o d i s o d i — C a m p i

u n it i cF a m en d u e i c o n s o li - C a m p i c o n s o la r i s e p a r a ti ( § X X X I . ) —

G iu ra m e n to c a m p a le — S e r v ig i d e ’ s o ld a t i n e l c a m p o —

G u a r d ie d iu r n e ( § X X X I I . ) — F o s s o e s te c c a to in to r n o a l

274

Page 275: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

c a m p o — U ffic io d e ’ tr ib u n i n e l c a m p o — . I d u c i m in o r i ra.s -

s e g n a n t i a’ m a g g io r i — S e g n o n o ttu r n o ( § X X X I I I . ) :— V i ­

g ilie n o t tu r n e — I v e l i t i fa n n o la g u a r d ia a l lo s te c c a to ■—

T a v o le t te d e lle g u a rd ie — R o n d e — L a tro m b a d à i l se g n o

d e l le v ig ilie ( § X X X I V . ) — M a n ie r a d i f à r k ìa r o n d a —

R ic e rc a s e v e r a ( § X X X V .) — S u p p lic io m ili ta r e , b a s to n a ta __

P e n e d i c u i è a rb itr o i l tr ib u n o — D e li t t i m i l i ta r i — • F r u t to

d e l la s e v e ra d is c ip lin a ( § X X X V I .) - D e c im a z io n e ( § X X X V I I .) -

P re m ii m il i ta r i - S a la r io ( § X X X V I I I . ) — M a rc ia ( § X X X I X . ) __

A c c a m p a m e n to c a m m in fa c e n d o ( § X L . ) — R a g io n e e t a c c a m ­

p a r s i m ig lio re p r e s s o i R o m a n i c h e p r e s s o i G r e c i ( § X L I .) __

C o m f u o m t o d e l i* x e p v b b l i c b e d e ’ L a c e d e m o n i b d b ’ C a s t a g i b e s i

CO* QVELLA d b ’ R o M A lf t .

L e re p u b b lic h e a n tic h e p it i c e le b r a te — L a re p u b b lic a d e ’ T e ­

t a n i n o n h a p e r s è n u l la d ’ e c c e lle n te ( § X L I I . ) — L a re ­

p u b b lic a d e g li A te n ie s i è s im ile a d lin a n a v e s e n z a p a d r o n e —

I n A te n e e in T e b e d o m in a i l v o lg o ( § X L I II . ) — L a re ­

p u b b lic a d e ’ C re te s i m a le s i p a ra g o n a a q u e lla d e ’ iM c e d e -

m o n i, — I n s t i tu z io n i S p a r ta n e ( § X L I V . ) — I n s t i tu z io n i

C re te s i a q u e s te c o n tr a r ie ( § X L V . ) — L a re p u b b lic a d e i

C re te s i n o n è s im ile a l la L a c o n ic a — L a f o r m a d e lla re p u b ­

b lic a C re te se n o n è p u n to d a lo d a r s i — R e p u b b lic a d i P la ­

to n e ( § X L V I .) — L o d i d e l la re p u b b lic a S p a r ta n a ( § X L V I I . ) —

C o m o d i e d in c o m o d i d e lla rep u b b l /c a d i S p a r ta ( § X I j V 111-X 1jI~X..)-

R e p u b b lic a d e ’ C a r ta g in e s i — A u m e n to , a p ic e e d e te r io r a m e n to

d e lle re p u b b lic h e ( § L . ) — I C a r ta g in e s i s o n o s u p e r io r i n e lle

c o se d i m a re — I R o m a n i g l i a v a n z a n o n e lla m iliz ia d i t e r ­

r a — I so ld a ti d e ’ C a r ta g in e si c o m b a tto n o p e r is tr a n ie r i , i

R o m a n i p e ’ s u o i — G l’ I ta l ia n i s o n o p e r n a tu r a e d e s e rc iz io

p iti f o r t i d e g li A fr ic a n i — S tim o li a l la v ir tù p r e s s o i R o ­

m a n i ( § L I . ) — E lo g i d e ’ m o r ti in n a n z i a ’ r o s tr i — L e im a -

g in i d e g li a n te n a t i a c c o m p a g n a n o i l fu n e r a le ( § L II . ) —

N e l l ’ o ra z io n e f u n e b r e lo d a tis i a n c o r le g e s ta d e ’ m a g g io r i —

2.75

Page 276: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

L o c c h è e c c ita la g io v e n tk a d a z io n i g lo r io s e ( § L U I - ) —:

O ra zio C o ó lite ( § L I Y . ) — A v a r iz ia d e g l i A jr ic a f i i « r M o ­

d e r a z io n e d e R o m a n i — ■ R e lig io s ità d e ’ R o m a n i — E lo ro

sc ru p o lo sa o s s e r v a z io n e d e ’ g iu ra m e n ti ( § L V . ) :— M u ta la

r u in a d e lla r e p ù b b lic a R o m a n a ( § L Y 1. ) — ; V igor, e c o s ta n z a

d e l la r e p u b b lic a R o m a n a a i te m p i (F A n n ib a ie -rr- I R o m a n i

n o n v o g lio n o r is c a tta r i p r ig io n i — I l s o ld a to R o m a n o d e e

v in c e r o m o r ir e ( § L V I1. )

a 7 6

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ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI Ì)EL LIBRO SESTO

a77

D . questo lib rò è da credersi che la parte p iù . grande sia a

n o i pervenuta. I l trattato d eg li órd in i della repubblica R o m a n a ,

preceduto dal discorso su lle varie form e d e’g o v e r n i, non sem bra

a l certo m utilato. S e n on che da fram m enti del libro x x i ( cap.

10 ) ,' apparisce ch’eziandio de’ collegi de’ Pontefici abbia ragionato

P diib id n e l m edesim o l ib r o , e de’ costum i privati e dom estici

ancora sem bra eg li aver in quello' fatto parola , s'econdochè scor­

gevi da u n avanzo conservatoci da A te n e o , ( V . il Cap. 58 de l

p resente libro ) e da C icerone ( d e republ. ì v , 3 éd . M aii ) ,

11 quale lanciò scritto aver P o lib io accusate d i negligenza le isti-t

tuzioni de’ R om ani n ell’ educazione de’ f ig li , lo cch è avrà eg li v e -

risim ilm ente fatto in qùesto stesso l ib r o , descrìvendo le costu­

m anze d ell’ ansidetta nazione. Cosi è probabile ch e intiero sia i l

trattato della m iliz ia r o m a n a , n on m en o ch e i l confronto d eg li

ord in i c iv ili d i R om a co n quelli d i altre celébri repubbliche

delT antichità. - L a parte storica p er ta n to , ch e , conform e d im o­

stra: la notizia in torna a T arquin iò P risco fornitaci dagli estratti

V a le s ia n i, debb’ essere stato u n com p en dio d e’ fatti ne’ prim i

tem pi d i R om a accaduti ( quale C ic e r o n e , im itando forse il n o ­

stro , la consegnò nel libro secondo della repubblica ) ; la parte

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sto r ic a , d is s i , da cui probabilm ente i l sesto lib ro in c o m in c ia v a ,

è , se s i eccettui il suddetto p iccio lo fram m en to , da reputarsi fra

g li scritti perduti d i P o lib io . - L o S ch w eig h . ha, così in questo

lib ro com e in tutti l i seguenti , de’ quali c i r im angono p iù o

m en o estesi avanzi-, prem esso un breve acconcio tito lo ad o g n i

m ateria , valendosi sovrattutto d i quegli ch e g li offeriva il cod . U r ­

b inate. N o i , per n o n interrom pere la continuazione de’ c a p ito li ,

abbiam o relegati cotesti accennam enti n e’ rispettiv i soinm arii.

(1) S o v v e r tim e n ti. M t la .p t l ì f iX tr % i{ c u t tiX m fr i è

1’ espressione del t e s to , ch e significa propriam ente : fe c e r o s p e -

r ie n z a d i to ta le c a n g ia m e n to ; avendo lo S ch w eig h . con rag ion e

disapprovato n e lle note 1’ avverb io i X c c ^ t f S e riferito a x rtìf « »

t t X n f t ( com ech è egli l ’abbia ricevuto n e l testo ) , co n cui ver­

rebbe P o lib io a d ire , f e c e r o in t i e r a , c o m p iu ta s p e r ie n z a d i

c a n g ia m e n to : concetto che ha d ello storp io anziché no.

(1) M is ta f o r m a ec c . T uttavia n e’ prim i tem pi della repubblica

poca autorità avea il p op olo , e quasi' tutto i l governo riduceasi

n el S e n a to , per m odo ch e aristocrazia era quella form a da d irsi

p iù presto ch e signoria m ista. S e non ch e sedici anni d op o 1’ e-

spu lsione dei r e , nata la separazione del p op o lo ed il su o ac ­

cam pam ento su l m onte A v e u iin o , equilibrassi il som m o potere

fra i tre elem enti qui nom inati.

(3) V im p e ro d ’ u n s o lo M u l t i t i il chiam a P o lib io , m a

in tende per questo n om e la tirannide, appellando regno ( /Sa

A*/*» ) la m onarchia temperata.

(4) D o m in io d e l v o lg o , denom inato dal nostro ,

c io è a d ire signoria della tu rb a , 75 della feccia della

plebe. A ristotile ( P o lilicor . ìv , 4 ) ram m enta una specie d i de­

m ocrazia dall’ oclocrazia non diversa , nella quale o g n i cosa è

am m inistrata co’ suffragi e non colla legge, e dove tutto possono

g li oratori ch e aggiran il p opolo . 11 qual reg g im en to , a detta

sua , non è neppur degno del n om e di governo.

(5) D a P la to n e . Questi nel dialogo intitolato P o litic o ( O pp .

T . a , p . a g i e seg. ed. H enr. S teph. ) determ ina l e varie form e

d e’ governi co’ vocaboli : u n o , p o c h i , m o lti. L ’ uno ed i pochi»

278

Page 279: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

cred’ e g l i , doversi partir in d u e , secon dochè l ’ ubbidienza è pre­

d a ta p er forza o per vo lontà . N el prim o casa la m onarchia et

t ira n n id e , e 1’ aristocrazia oligarchia : nel secondo la m onarchia

è regno , e 1’ aristocrazia govèrno d ’ ottim ati. V a eg li pertanto

d i gran lu n g a erra to ,, stim ando la dem ocrazia sem pre la mede-*

■ i m a , o com andi i l popolo con violenza , o adoperi esso n e l-

l ’ im perare con m oderazione. C on m ig lior Senno annovera P o lib io

fra i governi degenerati là signoria intem perante d e l v o lg o ; m a

tal era p eli' appunto il governo d’ A te n e , patria di P latone.

(6) Q u a n d o p e r d i lu v i i ec c . P erché necessario fosse ch e il

genere um ano , avanti d’ unirsi in società , perisse insiem e - co lle

sue opere p er qualche universale sciagura , e poscia si riprodu­

cesse , n o n bene si com prende. F orse non v o lle P o lib io farsi

dalla prim a creazione della nostra sp e c ie , avvolta in assurde fa­

v o le dalla credenza pagana , ed am ò m eglio d i tener dietro ai

prim ordii della m edesim a , ch e cadono so(to I’ esperienza , ed

hanno qualche storica certezza.

( j ) M o n a rc h ia . O ltrem odo vago è il senso d i questo vocabolo

presso gli antichi. A P o lib io è desso sinonim o di tirannide ; lad­

d o v e P latone ( P o litic . 1. c. ) ed A ristotile ( P o liticor. v , i o ) il

p igliano in buona parte. I R om ani n on distinguevano m onarchia

da regno , e dem ocratici esaltati com ’ erano , appellavano tiranni

tutti i principi « ch e so li avean perpetuo d om in io sul p op olo .

V . C icer. de repub. i l , 2 - .

(8) P r in c ip ia a n a s c e r i l reg n o . A dunque il g overn o ch e più

Confassi alla natura ed a’ b isogni d e ll’ uom o è la m onarchia tem ­

perata , m oderatrice della giustizia , c d 'o g n i virtù pubblica e

privata ch e tende alla conservazione della società. T utte le altre

form e d i governo procedono dall’ abuso della forza e dalla cor­

ruzióne de’ c o s tu m i, e sono da considerarsi com e degenerazioni

dal tipo prim ordiale. E difatti pressoché tutte le rep ubbliche,

cosi d ’ ottim ati com e p o p o la r i, d i cu i è a n o i giunta la storia ,

incom inciarono co ll’ esser reg n i, ed i prim i che in questi ebbero

il som m o potere venerar faceansi p er sa v ie zza , per onestà e per

valore. T a li furono i se i prim i re d i R o m a , ta li i C ecropidi in J

279

Page 280: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

A ten e , M inosse in C reta , i B accliiadi in C orinto ec. V . g li storie!

R o m a n i; Justin. 11, 6 ; D iod . S ic . v , p . 23^ ; E rodo t. v , g ì .

(9) O ra e c c . L e cure b enefiche d e’ genitori verso i f i g l i , ed

i l rispetto e la ri conoscenza di questi verso d i q u e l l i , rappresen­

tano perfettam ente le relazióni ch e son o tra i sovrani ed i loro

su d d it i , e con m olta accortezza pone il nostro V esercizio d i

queste v irtù a fondam ento del regno. Q uindi proced’ eg li ag li

atti di benevolenza ch e prestansi v icen d evolm en te nella società

eziandio t a l i , ch e im iti n o n sonp co ’ legam i d e l sangue. A d

am endue i m entovati generi d i virtù oppone i v izii d ’ insubordi­

nazione e d ’ ingratitudine , e n e fa risultare co n m olta natura­

lezza T idea del giusto e dell’ in g iu sto , che da colali esem pli n a ­

sce n ell’ an im o non per an ch e corrotto dalla lussuria e dalla cu ­

p idigia.

(10) D a lla f o r z a e te o r ic a d e l d o v e r e . L a forza d e l d overe è

il su o v a lo r e , c ioè la sua im portanza nella c iv ile società , Fenduta

chiara p eg li esem pli. L a te o r ic a d e l dovere è la scienza ed il

com p lesso d e’ princip ii che reggono Y esercizio d i quello . 1» .ho

am ato m eglio d i conservar la greca espressione l a , , accet­

tata n ella nostra fa v e lla , che di seguire lo S c h w e ig h ., H. quale

n o t i l ia traduce questo vocabolo y m olto p iù vaga- essendo l ’ idea

d i n o tìz ia , ch e a qualsivoglia c o g n iz io n e , eziandio superficiale e

lim itata può app licarsi, ch e non qnella d i te o r ic a , la quale c o n ­

tiene la ragione ed il fondam ento della pratica.

(11) S e c o n d o V o p in io n e d e l p o p o lo . I cod ici tutti h anno qui

7ì f l u i v e X X ì t J i a x i f t i t , ch e il Casaub. interpetrò ,

in c o llo q u iis c u m m u lt i tu d in e . 11 R eiske, cui n o n andò a sangue

siffatta sp iegaz ion e, stim ò da p rincip io ch e , sign ifi­

casse d e le c tu s , c o s c r iz io n e d i s o ld a t i , per m odo ch e s’ avesse a

supporre che P o lib io intendesse d i d ire : s e i l p r in c ip e s e rb a i l

g iu s to e r o n e s to n e l t a r r o ta m e n to d e ’ c i t ta d in i . La qual esp o ­

sizione quanto sia m eno adattata al contesto di quella del- Ca­

saub. , ognuno se i vede. T u tta v ia iir appresto i l m ed esim o

R e is k e , accortosi forse , dell’ incongruenza da n o i notata r p ro ­

pose , o p in io n i ; ncHa qual lezione (u seguito disilo

2 8 0

Page 281: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

Schw eigh .-, e n o i pure la ricevem m o nel vo lgarizzam ento , quan­

tunque non ci sem bri da rigettarsi quella del Casaubono.

C i a ) G iu s to c o m p e n s a to r d e ’ m e r iti. Q uindi m olto giudiziosa­

m ente m ette M ontesquieu ( E sprit des lo ix 1. ì v , c . 2 ) 1’ on or a base delle buone azioni nella m o n a rch ia , com e quello c u i .la Spe­

ranza de’ prem ii aggiugne stim oli efficacissimi.

(13) E le g g o n s i Q u esti ec c . E g li è talvolta a v v e n u to , ch e i d i­

scendenti di princip i um ani e valorosi dopo vo lger d i secoli

caddero n ell’ im becillità , e m enando vita m olle e lussuriosa tra­

scurarono g li affari d ello Stato , e v i lasciarono prevalere ogn i

tiianiera d i d isordin i : a t a le , ch e le p o p o la z io n i, o quelli ch e

am m inistravano le p u b bliche faccen d e , costretti furono ad esclu ­

derli dal regno , ed a co llocare su l suprem o seggio ch i per a l­

tezza d i m ente e per sobrietà d i costum i n ’ era p iù m eritevole.

C iò non pertanto non ridondarono sem pre coteste m utazioni in

van taggio de’ pop oli ch e le fecero. Im p erc io cc h é , siccom e la

stabilità d e’ regni n on ha guarentigia p iù soda che la savia con ­

dotta de’ regnanti : così là tranquillità delle nazion i non ha sal­

vaguardia p iù sicura ch e l ’ im perturbata trasm issione d el som m o

potere a’ leg ittim i successori. 1 perpetui cangiam enti d i dinastìe

n eg l’ im peri rom ani d’ O ccidente e d ’ O r ien te , e le perturbazioni

e le' stragi che lor tennero d ie tr o , v i spensero le u ltim e scintille

d i patrio am ore , e furono la vera cagione del loro eccidio.

(14) M a in ra g io n e ec c . O p p one qui P o lib io i l valore d e llo

sp irito ( il sapere ) alle forze del c o r p o , ed il pacalo ragiona­

m en to ( in ch e con siste la r iflessione) al subito im peto d ell’ an i­

m o , ed esprim e , coteste due qualità c o ’ vocab oli y i t t f i n ( da

y i i r t s , op in ione nata da c o g n iz io n e ) , è X t y i r f t i c ( r a z io c in io ,

facoltà ragionativa ). G l’ in terpreti latin i rendettero queste idee

p e r s a p ie n ti a 'e t p r u d e n t i ^ , ind icando g li astratti delle cogn i­

z ion i e de’ ra z io c in ii, anziché le cose m edesim e.

(15) A r is to c r a z ìa . Q uesta forma d i govern o n o n n asce sem pre

d all’ abuso dell’ autorità m onarchica. V ’ ebbe , così n eg li antichi

tem p i com e ne’ m oderni delle rep u b b lich e , le quali sin dal p rin ­

c ip io della loro instituzione erano aristocratiche, o dalla d e m o ­

28 I

Page 282: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

crazia passaron a l d om in io degli ottim ati. C osi in R o d i , ch e

dapprim a ebbe reggim ento p o p o la re , p revalse finalm ente la fa­

z ion e de’ n ob ili ( V . D em ost. O r a t d e R h od ior . liberiate ) ; ed

A ten e m ed esim a , propugnatrice ostinatissim a del principio dem o*

c r a t ic o , costretta dopo la m orte d ’ A lessandro M agno d’ arren­

dersi ad A n tip a tro , fu da questo a form a aristocratica ridotta

( V . D iod . S ic. x v i ì i , p . 6 3 7 ). N è altrim enti V in eg ia , ch e sin

presso a l i 3o o erasi retta a dem ocrazia , ven n e co ll’ e lezione d e l

D o g e P ietro G radenigo tutta in potere de’ patrizi!. A ll’ op p osito

fu la repubblica di G enova aristocratica sino da’ suoi p r im ord ii,

n o n m eno ch e 1’ O landa ; e le p iccio le repubbliche di R agusi e

d i L ucca. In generale eg li sem bra ch e la signorìa de’n ob ili abbia

più facilm ente allignato ne’ p a e s i , ch e tutta la lo ro opulenza

traggono da’ traffichi d i m are. Im perciocché coloro che p er tal

v ia arricchiscono , e fannosi potenti , di leggeri recansi n elle

m ani le redini dello Stato. P er questa ragione il governo della

com m erciante Inghilterra tende all’ A ristocrazia , sebbene la p o ­

testà regia e la popolare v i h anno gran parte.

(16 ) O lig a rc h ia . Secondo A ristotile ( P olitic. in , 8 ) è o ligar­

ch ia là d o v e regnano i ricchi ; perciocché sono questi press’o gn i

p op o lo sem pre in m olto m inor num ero che n on i poveri : lad ­

d o v e n ell’ aristocrazìa n o n ì p iù doviziosi ma i m igliori signoreg­

g iano. Q uindi cotnprendesi com e l’oligarchia è una degenerazione

dell’aristocrazia , ed indica corruttela di costum i , per cui v en a li

rendonsi g li o n o r i, e nel conferir le cariche principali hassi p iù

rispetto alla ricchezza ch e alla virtù ed al m erito.

(17) C h e v o lg a n s i ecc . N o n h o Voluto n egliger nella versione

i l p i del testo , ch e ha una forza singolare , signifi­

cando la m utazione od il r ivolg im ento d i fortuna ch e form a

l ’ u ltim o periodo d* una lunga serie d ’ avvenim enti. O n d e T iX a t

x x l* r r ( tQ % i che qui le g g e s i , è quanto l’ esito e la final

conclusione d i siffatto periodo.

(18) L ’ o rg o g lio e la p r e p o te n z a . ~ T jy if « £ ? n o n è sem plice

p o t e n t i a , n è J v t x r n fa t schietta d o m in iu m , s iccom e i traduttori

latin i spiegarono questi vocab oli j m a il prim o derivato da

282

Page 283: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

v t r i { i % i i t . s o v r a s ta r e , so v e rc h ia r e , è una potenza c h e vuole

1’ altrui abbassam ento, e S v t» tT \ (a , da , q u e l, dom in io

c h e sovra i sudditi s’ aggrava. Q uindi io credo superflua 1’ ag­

giunta d i l £ t i x / y t t t ( de’ p o ch i ) fatta a lle m entovate parole

dal C a sa u b ., e adottata dallo S ch w eigh . ; dappoiché l ’ idea d i

fierezza , eh ’ è da quelle in sep a ra b ile , indica abbastanza ch e si

tratta d eg li o lig a r c h i, de’ quali èssi ragionato n ell’ antecedente

capitolo , e ne’ periodi anteriori d el presente.

(19) Q u a n d o p o i g e l ta n s i ec c . T utto ciò ch e qui narrasi del

passaggio della dem ocrazia in oclocrazia ed in t ir a n n id e , può

considerarsi co m e una profezìa di quanto accadde alla repubblica

R om ana n e’ tem pi a P o lib io p o ste r io r i, finché G iu lio Cesare a

sè ridusse la potestà suprem a. — N ella stessa guisa i buon i ord in i

della repubblica F iorentina degenerarono b en presto in licenza

popolare ed in am bizione de’ r ic c h i , finché la signorìa passò

n elle m ani della M edicea fam iglia.

(ao) Q u e s to è i l c ir c o lo ec c . A ltro c ir c o lo , e b en p iù rapido

d e l qui descritto percorsero a’ dì nostri le varie form e d i go­

vern o nella rivoluzione d i Francia. U na m onarchia da principe

um anissim o governata , per varie sciagurate c a g io n i , ch e qui non

accade ram m entare, m utossi in dem ocrazìa , la q u a le , n on tro ­

vando pascolo d i generosi sentim enti , fu tosto convertita nella

più orrenda e sanguinaria oclocraz ìa , ch e giam m ai desolasse un

paese. Q u esta , giunta al su o c o lm o , m odiiìcossi in o lig a rch ia ,

ch e fra non m olto fu d i leggeri spenta da un despota , i l quale

vittim a della propria smisurata am bizione cedette finalm ente il

luogo ad un regno tem perato. £ tutto questo g iro com piessi in

m eno di trent’ anni.

(21) A n d r à J o r s ’ e r ra lo n e ’ te m p i. A dunque n o n isfuggì alla

perspicacia d i P o lib io la possibilità ch e in brev i spazii di tem po

si consum ino le tram utaiion i d e’ g o v e r n i , conform e ved em m o

nella nota precedente esser accaduto n ell’ età nostra.

(22) C irca i l g ra d o ec c . n » v 7j f u t i » * r r c i irr i> i

l ì i t < p $ tg * s , ì TTtv f t t l a r r i r i l *4 sono le parole di P o lib io ,

ch e letteralm ente suonano : in q u a l lu o g o d ’a u m e n to o d i m in a

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Page 284: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

è c ia sc h e d u n a , e d o v e s i c a n g ia . Q uesto passo secondochfe a

m e p a r e , fu eon p oca Esattezza rendutu dagl’ in terpetri la tin i :

q u o lo c o s i t q u a e q u e i l l a r u m , in c r e m e n to n e p r o p io r a n r u i-

t i a e , e t in q iia m fo r m a m s i t im m u ta n d o ; dappoiché rion se

più v ic in o alla prosperità o al deperim ento sia un governo volile

qui indicar P o lib io , ma sibbene a qual punto dell’ uno o d ell’ a l­

tro sia pervenuto , n è in qual forhta abbia a nascere il tram il-

tam ento dello s ta to , m a se esso v i sia già m aturo , cd a r ice­

verlo si disponga;

(23) M o n a rc h ic o . Abbiamo' già avvertito ( n . 3 e 7 ) c h e

presso i l nostro m onarchia e tirannide so n o sinonim i.

(24) D o m in io d e l le m a n i. 7f i t t i i denom ina

P olib io il m odo oclocratico y dalle v io lenze d i m ano ch e la sfre­

nata ciurm aglia v i com m ette.

(a5) Q u a s i n a v e e c c . M olto Ila quésto luogo esercitata V in ­

dustria degl’ interpetri e de’ com m entatori; E nrico Stefano d e f in isc i

i l vocabolo à i l / w X t t * qui usato da P o l ib io , n ttv ig a tio q u a e

f ì t a v e r so u tr iu s q u e re m o ru m a c tu e t im pulsili ; lo ccb è pare

ch e sign ifich i : n a v ig a z io n e e se g u ita c o l la z io n e e d im p u lso d e i

t e m i , o p p o s ti a lla fo r z a d e l v e n to e d e lla c o r r e n te , e meta­

foricam ente , siccom e n e l presente p a s s o , u g u a g l ia n z a , p a r i tà .

Cotesta spiegazione adottata dallo S ch w eig h . è diffatti la p iù ra­

g ion evole. S e n on ch e qilesti co n troppo lungd g iro d i paro le

scrisse : q u e m a d m o d u m in n a v ig a n d o s e r v a tu r n a v is , d u m n i -

m iiis v e n to r u m im p e tu s o p p o s ita v i r e m o ru m te m p e r a tu t ; n o ti

essendo necessario d i porre a confronto la conservazione d ellà

nave colla durata del governo1, m a reggendosi il paragone su l

m oto equilibrato. - G li altri spositori tutti d iedero m ciampsr-

Hetle. I l Casaub. assurdam ente v o ltò , n o n sec iiS a c f i e r i s e n lp e r

a m a i in n a v ib u s , q u a s h in c in d e p a r 1 v is V e n to n im ìm p e l l i t :

ch e due ven ti contrarii i qOali battono qua è là un vascello n o n

si confanno con im a tranquilla egualità d i m ovim en to . - L ’ E r n e -

sli non è seco m edesim o d ’ accordo. N el d izionario P o lib ia n o ,

accostandosi alla sentenza del Casaub. spiega e g l i , M / t r X t i * ,

u t c u m n a v is c o n tr a r i l i e e n tis in d iv e r s a s p a r te s r a p ìtu r , é

à84

Page 285: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

n ei L e x ic o n m anuale copia la definizione d’ Jìnr. Stefano citando

P olib io ; ina dubita iu am endue d ell’ integrità della lezione. 11 R eiske suppone ch e à t ì / w t t t a , u r to d i v e n ti c o n tr a r ii abbia

scritto il nostro. Sebbene lo s te s s o , 1’ idea d i venti al tutto

e s c lu d e n d o , proponga ancora d ’ interpelrar à t 'l / t r X t i» , c u m

q u is a d v e r su s j lu m e n a u t a e s tu m m a r is n i t i tu r ; lo cch è n o n

sem bram i gran fatto alieno dalla m ente dS P o lib io , la corrente

d el fium e o d e l m are com battuta dalla forza de’ rem i producendo

lo stesso effetto ch e l ’ im peto de’ venti superato dalla m edesim a

azione.

(26) C o n se rv ò a ’ L a c e d e m o n i ec c . D u r ò ' la costituzione che

diede L icurgo a Sparta un seco lo avanti la prim a q lim p ia d e ,

circa 6 6 0 a n n i, e fu abolita l ’ anno d i R om a 5a8 dal re C leo­

m ene 111, le cu i gesta e tragico fine narrate leggon si n e l a .°, 4-u

e 5.° libro d i queste storie. Y , P etav . ration. tem p. p. 1 , 1. 11,

c . 4 , nota a , e p . 1 , 1. ìv , c . 4*

(27) S c e g lie n d o se m p re i l m eg lio . C osì non m olti anni dopo

la instituzione della rep u b b lica , ribellatosi il p opolo pella sover­

chia autorità ch e arrogavansi g li o t t im a ti, fu la potestà d i quo-

st’ ord ine circoscritta colla creazione de’ tribuni. A vved u tisi in

a p p resso , ch e per evitare le confusioni ch e nascevano dall’ op-:

posizione de’ poteri era necessario Io stabilire u n cod ice d i leggi 1

n om inaron a tal uopo i decem viri co n facqltà assoluta. I q u a li,

consultata la sapienza de’ G r e c i , com posero le fam ose dod ici ta­

vo le ; m a continuando oltre il b isogn o n ell’ esercizio delle loro

fu n z io n i, e d ispoticam ente d ip o rta n d o si, furono a b r o g a ti, e re­

stituito il governo consolare. Frattanto la petulanza de’ tribuni

co lle ragunanze d e l p op olo im pediva i com izii co n so la r i, ed al-r

l ’ am m inistrazione suprem a d eg li affari s i proposero tribuni m ili­

tari con potestà consolare. C otesto trionfo della p leb e abbassò il

Senato creapdo per il corso d i quarantasei ann i gli anzidetti tri­

b uni tutti dalla classe de’ p atr iz ii, e com e prim a fu a questa di­

gn ità elevato un p lebeo , r itornò 1’ antico ordine de’ consoli. -

P er tal guisa era , dopo m olte v ic e n d e , a’ tem pi d i P olib io in-*

tradotto un cod ice d i ben ponderate le g g i, consolidata la dignità

a85

Page 286: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

con so lar* , e stabilito l ’ equilibrio fra il p otere d e l Senato e quello

d el p op olo .

(?8) D e e p e r ta n to e c c . S ebbene questo periodo è io tutti i co ­

d ic i continuato co lle cose an tecedenti, c iò n o n pertanto n e d eb b e

essere d istaccato , form ando esso una sentenza isolata , ch e se ­

condo lo S ch w eigh . era fórse parte dell’ introduzione a l trattato

della repubblica R om ana. I l perch è lo h a l ’ anzidetto autore sotto

siffatto tito lo com p reso ; m a io h o creduto d i farne u n articolo

a p a r te , n on essendo chiara co tal connessione. A ssai p iù v er is i-

m ile sem bram i l ’ op in ione del R e is k e , ch e d e l tutto fuori d i

lu ogo sia questo p è z z o , e forse da riferirsi a l princip io del cap . 3 d op o le p arole 75» i t i i w x w f i S t t l m t (per c iò ch e ora è la­

sciato in dubbio ) , innanzi a lle quali avea P o lib io fatta m en zion e

d i P latone e d ’ altri filosofi ch e trattarono d i p olitica .

(■ig) U n d i . L o S c h w e ig h ., attribuendo a l 7<7 i de l testo i l

significato d i lu n e te m p o r is , a l lo r a , in q u e l te m p o d e te r m in a to ,

stim ò ch e per cota l tem p o s’ intendesse quello ch e seguì la bat­

taglia di C a n n e , la quale m esse aveva in fondo le co se d e ’ R o ­

m ani , e donde questi fra p oco così form idabili risorsero. Q uindi

concluse eg li ch e P olib io n o n m olto prim a avesse fatto m otto

d ello stato in cu i trovavasi la repubblica nella guerra d ’A nnibale .

Ma gratuita affatto è cotesta asserzione , prendendosi 7«7< soven te

in senso d i -ao ìi , a l iq u a n d o , in a l tr o te m p o , u n g io rn o , n è

altrim enti dovendosi questo vocabolo spiegare nel presente lu ogo .

C he se nella fine del terzo lib ro , dopo la sposizione della m en ­

tovata guerra , i l nostro annunziò il trattato della repubblica R o ­

m ana, non perciò n e trasse egli da quella guerra l ’occasione, co n ­

form e pretende lo S ch w eigh . ; m a , dato un cen n o sugli argo­

m en ti del 4 " e del 5." lib ro , passò ad indicare quello d e l 6 .° :

d ov’ è da notarsi, ch e il discorso su lla repubblica R om ana (vW tg

7i t Y u p u t lu i w»At7st * t Aé y t f ) . siccom e colà s’ esprim e

P o lib io , abbraccia non solo le instituzion i p o litich e , m a le c iv ili

e m ilitari ancora di quella nazione , contenute n e l 6 .° l ib r o , ed

in gran parte perdute.

(3o) E s s i in tr o d u c o n o e c c . « In questa parte d* ufficio qual s i -

a8 6

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tnìlitud ine v ’ abbia co lla m aestà regia è difficile a d ir s i C he 0 0 -

testa fosse incum benza del pretore u rb a n o , scorgesi da C icerone

(A c a d e m . n , 4 5 ) , e da A ppiano ( M itridat. c. 6 ) , e P olib io

stesso sem bra accennarla ( x x i v , 2 ) . C iò tuttavia nulla im ped isce,

ch e siffatta cosa in addietro spettasse a’ c o n s o l i , siccom e qui

espressam ente, in segna i l nostro, a S c h w e ìg h a u se r .

(3 i) M o n a rc h ic o e re g io . Q ui son o queste due espressioni d i

egual v a lo r e , e si riferiscono a l potere assoluto d i cu i erano in ­

vestiti i c o n so li , e n on già alla giusta o ingiusta severità del loro

procedere.

(3•>) C iò p e r n ie n te ec c . Y a le a d ire : le restrizioni o g li allar­

gam enti ch e fossero per farsi in appresso all’ autorità de’ co n so li,

del S en a to , o d e l p o p o lo , n o n sarebbono m ai t a l i , ch e n e r i­

sultasse una form a politica n o n m ista della m o n a r ch ia , dell’ ari­

stocrazìa e della dem ocrazìa.

(33) O p e r a c c e tta r c h i s i a r r e n d e . 11 testo ha so lo

( c h e sarà per accettare) ; m a i l G ronovio giudiziosa­

m en te-p rop on e di sottintendervi in s o c ie tà , o in s u d d i ta n z a , e

co n ragione disapprova la v ers io n i assurda d el C a sa u b ., a d s u -

s c ip ie n d u m a liq u id . Se n on ch e era su p erflu o , conform e osserva

lo S c h w e ig h ., ch ’egli alterasse il testo scrìvendo t r f t e X v ^ a / t i t n t }

dappoiché ■n -a .^a X a .fid a ta significa egualm ente accettar ch e w g tv -

A»^c/3a>a>.

(34) C o’ q u a l i u n ic a m e n te e c c . L a sicurezza d eg li s ta t i , n o n

ip en o che degl’ in d iv id u i, n o n p u ò , secondo la sentenza qui enun­

ciata da P o lib io , con altri m ezzi ottenersi ch e co’ prem ii accor­

dati alle b u on e a z io n i, e co lle pene inflitte a’ delitti ; in som m a

colla g iu s tiz ia . Ma quale sarà la g iustizia am ministrata da una

m oltitudine che im perar non sa alle proprie passioni ! N e l cap . 4 di questo libro avea già il nostro collocato i l carattere d ’ un buoi}

regnante n ell’ equa retribuzione de’ m eriti e delle colpe.

(35) N e lla q u a l b iso g n a e c c . Savia d isposiz ione fu q u esta , dap ­

p o ich é n on è quasi p ossib ile ch e il p op o lo , o dando slogo al

proprio cieco r isen tim en to , o suscitato da u om in i s e d iz io s i , n o n

287

Page 288: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

abbia sp e tt» condannato alla pena capitale ch i non 1’ avea m e­

ritata.

(36) E d a ltr e c ittà . Q ueste eran eziandio fuori d ’ Italia , s ic ­

com e M arsiglia , dove r icoverò M ilo n e , condannato peli’ u ccisione

d i C lod io . A ’ tem pi degl’ im peratori furono destinate a luogh i d i

esilio parecchie isolette n e l m ar M editerraneo e nell’E g e o , p iù o

m en o d e se r te , quali erano l ’ isola P and ataria , d o v e A ugusto re­

leg ò la propria f ig lia , e Serifo e Giara fra le C icladi. Talvolta'

ninndavansi i co lpevoli in rem ote contrade fra nazioni b a r b a r e ,

siccom e O vid io ch e fu cacciato fra i G eti.

(37) I m a e s tra ti d à i l p o p o lo . C iò sarà stato vero sino a’ tem pi

in cu i scrisse il nostro ; m a p o ich é l’am bizione de’ G randi tro v ò

f.tcil esca a’ suoi d isegni nella corruzione della p le b e , i più in ­

degni cittadini elevati furono sovente alle principali d ig n ità , e

s i videro C lo d ii , V e r r i , e P is o n i , d i m ille scelleratezze b ru ttati,

regger p r o v in c e , ed occupar il tr ib u n a to , e lo stesso consolato.

(38) O p e r a r . . . in o p p o s iz io n e o d ’ a c c o r d o . N e l testo le g -

gesi . . . * * ì n r i f ^ ì i i ( oootraoperarc . . . . e

collaborare ) ; locch é n o n esprim e il v e l a u x i l io , v e l im p e d i­

m e n to s ib i in v ic e m e s se degl’ interpetri latin i. L ’ im pedirsi e d

incepparsi d elle parti n o n m odererebbe le loro azion i, m a a nu lla

r iu sc ir eb b e , o sa n a causa d i confusione e d ison liq e. L ’ aiuta p a i

n o n è tanto cooperazione d i forze e g u a li, com e qui d eb b on o su p ­

p o rsi i d iversi poteri and’ è com posto la s ta to , quanto accessione

d 'u u qualche m om ento alla prim itiva energia.

(39) E s e n z a la r iso lu z io n e d e l S e n a to e c c . « P otrebbe c iò

c h e qui d ice 1’ autore sem brar in contraddizione co n quanto r i­

ferisce ne’ capp. 10 e 11 circa l ’ assoluta facoltà ch e avea il co n ­

so le d i d isporre de’ danari ; m a è facile conciliar queste d u e a s i

serzioni. Im p erc io cc h é , d op och é il Senato ha decretata la spesa

pella g u e r r a , e d op o ch e il danaro è sta lo consegnato al que­

store , il console fa del danaro quell’ uso ch e g li pidee. Ma d a p ­

princip io , e p o i , quando v ’ hà b isogno d i n uove vettovaglie e

d i nuova m o n e ta , l ’ aliar è n e ll’ arbitrio d e l Senato . * S c h w e i ­

g h a u se r.

2 8 8

Page 289: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

(4o) P e r c e s s a r le o s til i tà . L o S c h w e ig h ., prendendo a sbro­

g liare questo p a sso , parm i ch e 1’ abbia m aggiorm ente im brogliato.

A vea letto i l Casaub. : 7»» y i f t ì t t S i f t t v 7» S t x X i i r S x t x x ì x / x i

* v l» 7 t à i t t y n x t o i t m , letteralm ente: i l p a c if ic a r è d e l p o p o lo :

e d è lo ro g r a n d e m e n te n e c e ssa r io . C he cosa è lo ro necessario ?

non già i l p opolo , m ascolino essendo ò S i /x o e , e neutro ù i x -

y x .a t* i ; onde P o lib io , esprim er vo len d o siffatto se n s o , avrebbe

scritto: x x ì i t i t i ( i S ri/tee ) X /x i à v l t i c x i x y x x l t t i r r t , e

q u e s to ( i l p o p o lo ) è ecc . L o S ch w eigh . credette d i apportare

m aggior lu ce aggiugnendo di suo arbitrio i le innanzi a 7» S t x -

X Ó irS x t m a togliendo l’ interpunzione fra questo verb o ed il sus­

seguente x x ì , fece sì ch e la propria sua versione : J a m v e r o

q u o n i a m f in ie n d i b e llu m p o te s ta te m p o p u lu s o b tin e t , h u ju s q u o ­

q u e c o n s e n s u c u m p r im is e s t i l l is o p u s , ch e questa v e r s io n e ,

d is s i , non p iù s’ accordi co l testo , donde alcun ragionevole si­

gn ificata , stando alla sua le z io n e , n o n si cava. C onciossiachè

cosa v u o l d ir e : l t « y t f t ì i S i / t t v i i e 7< S tx X i ts & x i x x \ \ l a i

i v i o le x t x y x x i o i i m , ch e in la tin o suonerebbe : p o p u l i a d

p a c e m fa c ie n d a m p lu r im u m q u o q u e i l l is ? s t n e c e s sa r iu m ? N è

n o n erasi il testé m entovato com m entatore avveduto d e ll’ insuffi­

cienza della correzione da lu i fatta , supponendo ch e parecchie

parole si fossero sm arrite. In tanta confusione arrischierò io pure

una ipotesi. D ue so n o , a m io p a r e r e , le incongruenze del testo :

1’ una quel genitivo 7t v i i f t t v così iso la to , ch e a nulla si rife­

risce ; 1’ a ltr a . 1’ aggettivo à i x y t t x i o i ch e stassi pur a p ig ione.

C om e sarebbe , s e adattando a r t u S i f i t v un sostantivo n eu tro ,

si trovasse eziandio l’ appicco peli’ à t x y u x l t i , e si pigliasse per

ta l g u is a , com e si suol d ir e , due co lo m b i ad una fava ? C otesto

sostantivo m olto a c c o n c ia m en te , cred’ i o , sarebbe f i t v X t v f i *

( consig lio , deliberazione ) , ed io ini so n o fatto lecito di rice­

ver lo nella m ia tra d u z io n e , conservando 1’ i le introdotto dallo

S ch w eigh .

(4>) S e a lc u n o ecc . L e più ardite proposizion i in questo p arti-

P O L I B I O , tomo HI. '' I q

2 8 9

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colare fecero i tribuni C . L ic in io e L . Sestio l ’ anno d i R . 3 7 9 .

P rom ulgaron essi tre leg g i tendenti a gravem ente pregiud icare

l ’ interesse n on m en o c h e l’ on ore de’ P a tr iz ii , a p rò d e l p op o lo .

S ebbene g li altri tr ibun i im ped iron lo ro d i rec ita r le , e d i ch ie ­

dere i suffragi del p op o lo . ( L iv . v i , 35 }.

(42) S e u n tr ib u n o ec c . G rande fu a l certo l ’autorità accordata

dalla costituzione a questi avvocati d e l p o p o lo , ch e lo ze lo p e i

lo ro clienti e la propria in d ole turbolenta sp insero talvolta ad

eccessi form idabili. Incitaron essi n o n d i rado la p leb e contro il

Senato n elle carestie ; tentarono d ’ im pedire la coscrizione d e l-

l ’ e serc ito ; vietarono p er cinque an n i d i creare m agistrali cu ra li;

usurparon a’ consoli i l d iritto d i con vocar i l S e n a to , ed uno d i

essi o sò perfino d i far m ettere le m ani addosso al console p e r

condurlo in carcere , conform e leggesi in T . L iv io e D ion ig i d i

A licam asso . C ontro tanta insolenza avea i l con so le A p p io C lau ­

d io , ch e fu p oscia d ece m v ir o , im m aginato d i guadagnare co n

uflicit e prom esse alcuni de’ tr ib u n i, perch è gridando V e to s i

opponessero al collega se d iz io so , e questo r im e d io , ch iam ato

in te r c e s s io n e , fu so v en te adoperato con ottim o successo . ( L iv .

11, 44 ; ì v , 48 )•(43) N e g li o r t i . Q uantunque g li orti p iù m agnifici d ell’ antica

R om a , siccom e que’ fam osissim i d i Sallustio e d i M ecenate , a p ­

partenessero a privati , singolarm ente n eg li u ltim i tem p i della

repubblica , quando il lusso avea rendute fam ig lia li siffatte d eli­

z ie ; c iò non pertanto n ell’ età d i cu i scrive P o lib io v ’ avea ezian ­

d io qualche orto p u b b lic o , la cu i conservazione cadeva sotto la

vigilanza d e ’ censori. T a l era la v illa pubblica fabbricata n e l

cam po M arzio , per cura de’ censori G . F u r io P acilo e M . G e -

gan io M a cer in o , d o v e a lloggiavansi g li am basciadori de’ n em ici ,

e facessi la coscrizione m ilitare ed il censo : tanto era dessa spa­

ziosa. A n zi considerando ch e alla v illa sem pre andava un ito l’o r ­

to , e ch e n elle dod ici tavole la villa è sem pre orto denom inata ,

(P l in . 4> n. x i x , 4 ) : io vengo nell’ op in ione ch e a questa v illa

pubblica m irasse precipuam ente P olib io ( V . L iv . ì v , 2 2 , x x x ,

21 , x x x m , a 4 ). 11 R e isk e , a ciò non riflettendo, eb b e per so -

* 9 °

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Spetta la voce xnw/m t, Uè volle accordarle grazia, se non se fa­cendola significare boschi e caccia.

(44) Chi guarentisce ecc. Cioè a dire entra Mallevadore senza obbligar alcuna proprietà: che tal è la forza di iy y v é ftx t in questo luogo — Chi impegna le sostanze, SiSiarn lite tv m tf. Letteralmente danno le sostanze, o dir vogliamo le costituiscono in ipoteca al pubblico, gli danno con esse sicurezza.

( i5) Controversie pecuniarie. Giudiziosamente osserva lo Schw:, che siccome 7àt <rvt*XXayfttt!» sono contratti, così xpilaì 7Sr rvrxXXttyftal tu hassi ad interpetrare giudici delle liti che na­scono per cagione de' contratti : alla quale spiegazione io mi sono conformato.

(46) Alle sue deliberazioni. Bene lesse lo Scaligero /9ou>i»~

ftxìm t (consigli, resoluzioni) in luogo di fitvX tiftiltii, dappoi­

ché fitvXti f t x , essendo sinonimo di fitixn rtj (vo lon tà), non

ammette il plurale. Tuttavia tradusse lo Schweigh. : voluntati il- lius obsistere.

(47) Invitta diviene. Singoiar frase qui usa Polibio, che non è senza eleganza ed energia. A' ivir Irriti t t , die’ eg li, cvftt8«/Vu

y!yita&'ici . . . 7ì» ìJitli>la lev rrtX thù ftx ìa ; irresistibileJassi . . . la proprietà della repubblica, trasportando 1’ attri­buto (invincibilità) dal subbietto (repubblica) a ciò che ne forma il carattere (proprietà).

(48) Gonfiatasi. Molta forza m’ è sembrato avere 1’ efttJeui del testo , ed ho tanto meno esitato a trasportarlo nel volgariz­zamento , quantochè l’ indole dell’ italiana favella non è aliena da siffatta metafora. Non so perchè gl’ interpreti latini hanno scritto se efferens , quando molto elegantemente dicesi intumescère per accendersi d’ ira e di superbia.

(4g) Poiché han nominati ecc. Eccoci giunti al celebre trattato della milizia Rom ana, eh’ esercitò 1’ ingegno di tanti eruditi nelle età decorse, ricco essendo di notizie a cosi grave materia spet­tanti oltre ogni altra opera di tattica che dall’ antichità è a noi pervenuta lo stesso Vegezio non. eccettuato, il quale gli usi dei suoi tempi confuse con quelli degli anteriori. Tre sono le ver-

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sioui latine che abbiamo di questo insigne lavoro. La prima ese­guita , siccome avvertimmo nella seconda prefazione al nostro volgarizzamento (T . 1, p. ao ) , da Gianni Lascari , non potè

non riuscire im perfetta, e perchè fu la prima , e perchè il tra­duttore , uomo greco, meno era nella lingua del Lazio che D ella

propria versato. Giusto Lipsio, osservato avendo nella traduzione del Lascari ineguaglianza di stile, ed in varii luoghi poco attac­camento al testo , ne fece una nuova. Ma il Casaubono, dopo un’ amplissima lode tributata alle lettere greche ed alle cognizioni storiche del professore di Lovanio, dice come gravi cause, che egli si riserva d’ espor altrove ( ed attenne egli la sua promessa in una epistola al Bongarsio ) 1’ ebbero indotto a non appagarsi di quella traduzione. Nulla dirò della versione dello Schweigh.,il quale , come nelle altre parti dell’ opera così in questa non deviò gran fatto dal suo predecessore. F ra i commentarii apposi­tamente scritti su questo trattato , sono da tenersi nel maggior conto quelli di G. Lipsio, i quali non solo rischiarano mirabil-

- mente il testo , ma lo suppliscon eziandio , contenendo tutto ciò che su tal argomento sparso trovasi nelle classiche opere dell'an­tichità. Noi li avemmo continuamente sotto gli occhi mentre che compilammo le note alla stessa materia appartenenti.

(50) Creano i tribuni. Egli è manifesto che avanti il presente capitolo Polibio ragionò de’ comizii, ne’ quali il popolo nominava i consoli ; il qual popolo creava eziandio parte de’ tribuni, se- condochè apparisce da quanto dicesi poco appresso. Dapprincipioil minor numero facevasi dal popolo (Liv. v i i , 5) ; ina nell’anno di Roma 444 sedici tribuni creavansi dal popolo per quattro le­gioni (ld. ix , 3o). Laonde ventiquattro essendo i tribuni che a’ tempi del nostro eleggevansi pe’ due eserciti consolari , cioè a dire per quattro legioni, ne viene che otto soli eran allora eletti da’ consoli. Del resto v’ ebbe in certi incontri qualche variazione in cotesta scelta, conforme riferisce Lipsio (de miL Rom. lib. 11, dialog. 9 ).

(5 1) Che sono già cinque anni ecc. Osserva il Lipsio, come'il nostro divide i tribuni in più giovani e più vecchi, e come i

2 9 2

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primi erano cavalieri, e più onorevoli, quindi più numerosi ; plebei gli a ltr i, e tutti e due maturi facevansi a questa dignità, allorquando consumata aveano la metà del tempo destinato alla loro milizia. Non era pertanto d’ uopo che Polibio esposte avesse queste particolarità in un testo perduto, conforme stima lo Schweigh. ; dappoiché ponendo qualche attenzione alle parole dell’autore non è difficile di dedurne i corollarii testé riferiti.

(5a) D el resto ecc. I commentatori ed interpetri di questa parte delle storie di Polibio aggiraronsi in molte dubbiezze ed ipotesi intorno al presente passo, manifestamente corrotto in tutti i ma­noscritti. Non ripeterò qui le lezioni proposte dal Casaub. e dal

Gronovio, nè le più antiche del Patrizj e del Leopardi, ten­denti tutte a far regger un periodo, dond’ egli è impossibile di trar per qualsivoglia verso un senso ragionevole, ove in due non si partisca. Cotesta necessità ebbe già il Lipsio sentita, e fece la mentovata divisione. Tuttavia lasciando 7£» X tttrS t (de­

gli altri) non sciolse ogni difficoltà, quantunque proponesse come variante 7» A i i v ' t i , che lo Schweigh. introdusse bensì nella tra­duzione, ma non nel testo.

(53) Ed i fa n ti sedici. Altro gravissimo imbarazzo ha qui pro­dotto un insigne guasto propagatosi per tutti i codici, ne’ quali leggesi Ita t Si a r e ù r tv (senz’ accenti ed aspirazioni) Sii VTfctlttit 7iAi«r ; la qual locuzione , quanto sia vuota di senso ,

chi noi vede? Lo Schweigh. amerebbe di seguir il Lipsio , che p e r iJ «v pone tite r i (v en ti), e rigetta l’ opinione del Casaub.,

che legge iu x v r /tv t (sedici anni). Ardita troppo, a d ir

vero , è cotesta emendazione ; m a, per ciò che spetta al numero degli an n i, io credo che il Casaub. abbia meglio colto nel se­gno , pella ragione eh’ egli adduce al Bongarsio nell’ epist. 65 ; cioè, che dovendo i fanti, conforme tosto dice Polibio, ne’ casi d’ urgenza servire vent’ ann i, ne’ casi ordinarii più breve dovea esser il tempo fissato al loro servizio. Quindi ritenendo il nu­mero sedici, io conghietturo che il nostro abbia scritto • £ *•{«r

7»p7« , sei oltre a ciò (oltre a’ dieci stipendii). E che tale fosse

precisamente la somma degli anni prescritta pel servigio de’ fanti,

293

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l’ abbiamo da Tacito, il quale (AnnaL 1, 17) n arra , che i sol­dati , ammutinatisi dopo la morte d’Augusto, chiedevano un’ ag­giunta allo stipendio che riceveano d’ un denajo il giorno, e r i ­cusavano d’esser obbligati a militare oltre sedici anni. — Lungi poi da ogni probabilità è la modificazione proposta dal Grono- vio , * i t i ( debbon oltre a ciò cinque), recando senza fon­damento a quindici gli anni della milizia de’ fanti ; e 1’ aggiunta dello Schweigh. tv f! t Tir erg alt in p u t ?*•» ,

t tx tn J t7 k. 7. A. (dacché pervenuti sono all’età militare deb­

bono ecc. ) è del tutto superflua , e quand’ anche fosse stata con­veniente , non si comprende perchè a* fan ti, anziché a’ cavalieri pria nominati, avesse ad esser fatta.

(54) Da quelli in fu o ri ecc. « Quattrocento dramme equival­gono a quatuor millia aeris (quattro mila sesterzi!) de’ Romani; siccome la somma di quindecim millia aeris che riscontrasi in Livio ( xxx ix , 44 ) é da Plutarco nel Cat. magg. p. 346 espressa per mille cinquecento dramme. Quindi si conosce ( tocche ha il Lipsio ancora osservato ) che nell’ età di Polibio era cangiata la legge censuaria di Servio Tullio , giusta la quale coloro eh’erano censiti undici mila assi appartenevan alla sesta classe, che non consideravasi neppur per classe , ed era libera dalla milizia. » Schweighauser.

(55) I fa n ti ancora. Per sostener l’opinione che vent’anni era presso i Romani il servizio ordinario della milizia a p ied i, lo Schweigh. altera qui il testo contra 1’ autorità di tutti i codici, e scrive iQ i/X tvn *<*< «r*£p r r f a l ' t v t t i , hi quoque (cioè quelli

riservati alla marina) pedibus mcrere ecc. Nè qual conghiettura colloca egli questa lezione appiè di pagina, siccome fa sempre in altri simili casi, ma sicuro del fatto suo nel testo medesimo la

inserisce. Che se , non deviando dalla scrittura Volgata , leggasi i<pilxavitit it w«£ai erftcliuttt debent pedites mereri, conforme

traduce il Casaub., e noi colla sua scorta volgarizzammo, viene mirabilmente a confermarsi quanto fu di sopra asserito circa il tempo de’ comuni stipendii m ilitari, minore di vent’ anni. E non mi muove, che dopo la battaglia di Canne e marinai, e schiavi,

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ed eziandio malfattori armati furono ; dappoiché, sebbene in quella estrema sciagura necessario era d'appigliarsi a rimedii tanto estremi , ciò non di meno in casi meno disperati sarà bastato che i fanti, che consumati aveano i sedici anni di milizia dalla legge prescritti, costretti fossero a continuar nelle loro funzioni. La qual classe di soldati,, se non m’ inganno, erano gli evocati, che peli’ appunto nelle guerre più ostinate e pericolose chiamati venivano ( siccome indica il loro nome) a riprender le armi già deposte. Se non che ridotti furono in un corpo, e così denomi­nati ( emeriti prima appellavansi) da Cesare Ottaviano, il quale incominciò a servirsi de’ veterani del padre , grandemente ono­randoli , nella guerra contr’ Antonio, secondochè narra Dione Cassio ( l v , p. 5 6 5 ). Ma anche in tempi anteriori frequente fu l’ uso di siffatti militi. Così, abolito il decemvirato, mossi es­sendosi ad un tempo i L atin i, gli Equi ed i Volsci a danno dei Rom ani, una . grande quantità d’ emeriti fu arrotata ( Liv. ih , , 57 ) ; e nella spedizione contra Perseo fu con decreto del Senato stabilito ? che non si congedasse nessuno che avea meno di cin- quant’ an n i, onde costretti trovavansi a portar armi m olti, cui da lungo tempo era decorso il tempo dovuto alla milizia. (Liv. x1.11, 5 3 , 3 4 ; Lipsio 1 , 8 ) .

(56) Anticamente ecc. lo tengo col Lipsio, che nulla sia da mutarsi nella scrittura de’ codici, i quali hanno itr) r t t t rirg* - xi<r%iXc'nc S ixx trl»n \ dopo i quattro mila dugento (fan ti), e

stimo inopportuna la correzione del Casaub., che converte Jix- x tn 't it in Sm xtrltv t 3 sottintendendo ìzrw uf, quasiché la le­

gione di quattro mila dugento fanti ( espressa talvolta da Polibio con numero rotondo 4 °oo ) avesse dugento cavalieri. Fatto s ta ,

che giusta L ivio, nessuna legione, neppur quella di 4aoo fanti, avea meno di trecento cavalli; e se il nostro nel lib. n i, 106 rammenta due legioni con inoo fanti e dugento cavalli, convien credere che il testo «ia colà sbagliato, dappoiché nel lib. 1, 16 egli avea detto che trecento eran i cavalli che i Romani aggiu- gnevano ad ogni legione di quattro mila uomini a piede.

(5 7) Ubbidirò ecc. Alquanto diversa da quésta è la forinola di

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giuramento che leggesi in Dionigi, e quella che riferisce Livio. Secondo il primo giuravano ché seguirebbon ovunque i consoli ( x i , p. 7^3 ) , e che non abbandonerebbono le insegne ( v i , p. 375). Giusta l’ altro ( n r, 20 ) solennemente promettevano: con- venturos se jussu consulis, nec injussu abituros. Ma tutte rie- scon al medesimo senso, e forse non erano prescritte le parole , che eiaschedun console o tribuno enunciava a suo piacere.

(58) Gli altri tutti ecc. O sservali Lipsio (1, 6) che non sem­pre ad uno ad uno i soldati pronunciavan il giuramento, ma che talvolta il facean per centurie, siccome vedesi in Cesare { de B. civ. 11 ). Qui pure , cred’ eg li, che non bene si com­

prenda, se si avanzassero soltanto ad uno, ad uno, e poscia in­sieme giurassero, oweramente se 1’ uno dopo 1’ altro recitasse la forinola che leggesi nel testo. Ma io porto parere, che, trattan­dosi di coscrizione, egli era conveniente che ciascheduno separa­tamente fosse citato ed ammesso al giuramento. Sebbene avanti la battaglia di Canne i fanti coscritti raccolti in centurie , ed i cavalieri in decurie giuravano volontariamente, ed appena in quella grave emergenza incominciarono ad esservi costretti da’ tribuni militari ( Liv. xxn , 38 ).

(5g) Cassiere. 11 testo h a , p tir r tiin t, distributore d i stipeti-• dii equivalente al questore delle truppe Romane. Il comandante qui chiamato , capo , nel cap. 24 nomasi latinamente

, Fnefectus.

(60) Lanciatoti. Non ho tradotto y(ar<p»<pi(ovt ( portatori di

lance) veliti, siccome han fatto gl’ interpetri latini, pelle ragioni addotte nella nota io 3 al primo libro, dove Polibio gli appella ypcrq>tpt*%ct (combattenti con lance ).

(61) E un diametro di tre piedi. Al Lipsio ( 111, r ) è sem­brata questa dimensione troppo grande, risultando dalla medesima una periferìa di nove piedi , quale non può aver avuto siffatto scudo , che secondo Livio ( x x v i, 4 ) era minore dell’ equestre, e parvum tegmen è detto da Valerio Massimo ( 11, 3 , 3 ) , e parmula da Frontino ( ìv , 7 , 29 ). Ma tutto 1’ equivoco ilasce dall’ essersi confusi i velili, creali nella guerra di Capua, co’ lan-

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datori semplici armati alla leggera. 1 p rim i, perchè a piede ed a cavallo combattevano, e speditissimi dovean essere per poter con velocità passare da un genere di pugua all’ altro, maneggia- van uno scudo breve e leggero ; ma gli altri che Livio in varii luoghi impropriamente appella velites, ed il nostro chiama ypt-

e y p t r Q t f i f t v t , non poteano portar uno scudo mi­

nore di quello eh’ è qui descritto, dappoiché dovea la sua gran­dezza bastar alla sicurtà della persona ( »*) ptiytd-tf àfxcvt rfee i<r<p*X 11*1 ) ; nè ciò sarebbesi ottenuto , se non coprivasi

con quello testa, petto e ventre, le quali parti in un uomo di mediocre statura non han meno di tre piedi. Quindi è da ri­prendersi la correzione del Casaub., che nella sua versione alla metà ridusse cotesta misura.

(62) Elmo senza eresìa e cimiero. Ahm scrisse

Polibio , propriamente , cC una semplice coperta di capo. Il Casaub. tradusse, vili capitis tegmine, il Lipsio simplici tegmine capitis, e lo Schweigh. ; nuda galea : ma in nessuna di queste espressioni v’ ha chiarezza, non essendovi spiegalo in che consi­sta la viltà , o la simplicità, o la nudità. Io mi son attenuto al Reiske, che definisce siffatta specie d’ elmo semplice, crista et cono carentem.

(63) Avanti le insegne. Male voltarono il Casaub. e lo Sche- veigh. *fé*nSutivétri t , in prceliis obeundis, e meglio esprime

la forza di questo vocabolo il occupantes pugnam del Gronovio, che io ho seguito, essendo, conforme osserva questo autore, pro­prio ufficio delle truppe leggere il combatter avanti gli altri a guisa di feritori.

(64) Una freccia reciproca. Cioè ta le , che lanciata sul ne­mico, da questo potrebbe ritorcersi su chi l’ha mandata. 11 testo ha Ktitc t fi'tXtt, freccia comune, sottintendi, ad amendue le

p a r ti, siccome Appiano ( Hispan. c. 47 ) chiamò gli elefanti s i i t i » ftitvs , nemici comuni, perciocché, voltatisi nel-

1’ esser incalzati, fanno sovente strage de’ suoi. Avendo in italiano la voce comune qualche cosa d’ ambiguo, ho creduto che meglio sarebbe intesa quella che ho prescelta.

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(65) V armadura intiera. la chiama Polibio, la

qual espressione mi k sembrata convenirsi meglio all’ indole della favella italiana che nou quella di justa arma che tolsero da Livio ( xxxvm , S2 ) gl’ interpetri latini.

(66) Nella superficie convessa. Tutti gli scudi erano, a dir vero, esternamente alquanto convessi, per modo che 1’ ombilico,o dir vogliamo il centro, sporgeva un poco in fuori, ed il resto della superfìcie insensibilmente retrocedeva sino a’ lembi ; malo scudo di cui parla qui Polibio era fatto a guisa d’ embrice, e rappresentava la metà d’un tubo diviso per lungo; quindi la sua dimensione in larghezza era un segmento di circolo, anzi proba­bilmente un semicircolo, e la dimensione in lunghezza una linea retta. ( V. Lipsio n i , a ).

(67) Un palmo di pik. Cioè la misura di quattro d ita , o la quarta parte del piede, che ne ha sedici. Questo era il palmo minore , * a \ a f r m , de’ Greci: che per il maggiore, r u ìS ’x p t t t ,

intendevasi lo spazio dal dito mignolo al pollice, quando le dita sono distese.

(68) Due tavole unite ecc. Secondo il Lipsio ( 1. c. ) non eran queste altrimenti le due metà dello scudo insieme unite , ma sibbene due pezzi eguali, l’ uno dietro all’ altro attaccato , affine d ’ accrescer la grossezza dell’ arma ; e le due tavole maggiori componevansi di molte m inori, talvolta v eziandìo lessevansi di vermene , preferendosi agli altri legni quello di salce pella sua pieghevolezza.

(69) Una piastra di ferro. Secondo Plutarco ( T. 1, p. i5 o ) fu Camillo 1’ autore di questo provvedimento nella battaglia che diede a’ G alli, le cui grandi spade avean un fendente formida­bile, siccome riferisce pur il nostro n , 3 o , 33 ; m , 114. Pella stessa cagione died’ egli a’ suoi elmi di ferro.

(70) Un bellico. K iy % * t ( conca ) il chiama Polibio dalla sua

forma spirale finita in pun ta , simile al guscio degli animali co­nosciuti sotto il nome di conchiglie.

(71) Spagnuola. Intorno a questa spada vedi la nota 109 da noi apposta al lib. 11.

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(73) Spiedi. Io mi aono determinato a così appellare quelli che Polibio chiama v o v « * fe d i traduttori latini pila , pella circo­

stanza che poco appresso veggiam assomigliati i più sottili alle lance da caccia, le quali italianamente diconsi spiedi (V . il vo- cab. della Crusca a questa voce ). Il Lascari ancora nella sua versione nomolli veruta . e troppo sembrami sottilizzare il Lipsio ( n i , 4- ) non approvando cotesta interpretazione.

( j3) Lance da cacciar cinghiali. Xtfivn'mt ha il testo , che

più correttamente si scriverebbe evfiitlus da cvfSu/«* dimi­

nutivo di avfinn , eh’ Esichio definisce x«w f o/3«A*», dardo da cignali. 11 Casaub. ed il Lipsio lasciaron il vocabolo greco sibunis senza tradurlo , ed a mio parere con miglior divisa­mente che non fece lo Schweigh., il quale con venabulum non espresse precisamente 1’ arma cui Polibio paragonò gli spiedi sottili degli Astati. — Secondo Festo illirica è 1’ origine di questa parola. - Di passaggio noterò a questo proposito un grave errore in cui incorse 1’ Ernesti. Scrisse egli nel suo voca­bolario greco , non so a qual fondamento appoggiato, la voce anzidetta coll’ * nella seconda sillaba, cn>/9«'o«, ed avendo tro­

vato in Esichio t v f i* m à vA«3*x«, « l o f c t S y l i i t i , ripostiglio da flauto o da freccia , attribuì a quella due sensi : l’ uno di ve­nabulum ; 1’ altro di theca e corio proprie suillo , arbitraria­mente combinando la 3-iiki) d’ Esichio con ruf.

(74) Uncinato. « Volle significar Polibio, che dietro allo spun­tone v’ avea degli uncini, affinchè facil cosa fosse di strappar fuori la lancia conficcata. » Lipsio.

(75) P eli uso. I codici tutti hanno x«< 7»'» , che il

Casaub. ed il Lipsio rendettero per usionemque ; ma oscu­ra , per non dire assurda , essendo la sentenza, cujus nexum usionemque adeo firm ant valide, pensò un tratto lo Schweigh., che *«7* l ì , , (secondo il bisogno) avesse scritto Polibio,

ed inserì nel testo questa emendazione. Tuttavia riflettendo po­scia , come non era necessario che la legatura si praticasse nel

n momento della pugna , ma che potea eseguirsi sin dapprincipio ,

richiamò ne’ commenti la lezione antica. Checché sia della vera

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scrittura di questo luogo, io l 'h o tradotto nel senso di w gìt Ini X f i / x i , che mi è sembrato il più ragionevole.

(76) Sia alla metà ecc. Ingegnosa è l’ idea del L ipsio , che dallo spuntone due lamine discendeano , le quali applicavansi al manico di legno, e con cerchi di ferro fortemente saldavansi. Questo era al certo il modo più sicuro per dare al manico ed alla lama quella fortissima unione che il nostro descrive.

(77) Pennacchio. Nel testo wltf /t» r r t , con una co­rona di penne , che i traduttori latini in varia guisa espressero. Serto pennaceo, scrisse il Casaub., apice plumeo il L ipsio, elo Schweigh. con perifrasi, galea crista ornata est. Io non credo d’ essermi appigliato ad una voce im propria, che la Crusca definisce : arnese di pih penne unite insieme, che si porta al cappello o al cimiero.

(78) Guardacuore. Precisa traduzione di K*gJiÌQvXx( , che

usò Polibio. Pectorale il chiamano gl’ interpetri latini ; nome che talvolta fu apposto alla corazza medesima ( V. Plin. v ii, 56, Varr. de ling. lat. ìv ). Il Dufresne rapporta guardacorum fra le voci del medio evo , onde tra per questa ragione, é perchè osservo che presso gli antichi non v’ avea certa differenza tra pectorale e lorica, quando le dimensioni del guardacuore qui additate erano ben minori di quelle della corazza, la quale, oltre al petto , copriva il ventre , la schiena ed i fianchi : io m’induco a credere che altramente chiamassero i Romani cotesta difesa, e la dicessero forse cordis custodiam, o custodiam semplicemente.

(79) Aggiungono ecc. Viziosa è senza dubbio la lezione zrtfi- 1/Stila i da’ più adottata, donde risulterebbe che i militi di cui

ragiona qui Polibio, sovra le altre armi si mettessero attorno , s’indossassero la corazza, e non comprendo come lo Schweigh. potè contra ogni buon . senso scrivere : (*) super caetera arma loricas . . . . induunt. Io ho seguito il Patrizj e il Lipsio che lessero v ftrr i'S itl* i.

(80) Portano lance. Queste erano più grosse e più forti degli

(*) P er qnantó super e supra significano ta lrp lta ultra , p r u d e r , dovessi in c u t u interpretazione eYìtare ogni equivoco»

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spiedi. V. n , 3 3 , ove vantasi l’ avvedutezza de’ tribuni, che nella guerra Gallica armarono le prime file colle lance de’ triarii, affinchèjmeglio degli spiedi resistessero a’ gagliardi fendenti delle spade nemiche.

(81) Caposchiera. Questo vocabolo, a dir vero, non trovasi, nè nella Crusca, nè nel dizionario militare del Grassi ; tuttavia mi sono permesso di formarlo, indotto dall’analogia d’altri vocaboli nella composizione de’ quali entra la prima parte di questo , e dal non aver trovata espressione più acconcia per denotare gli ordinum ductores de’ Rom ani, corrispondenti a’ 7«Ji«£f£<x dei

G reci, conforme li denomina Polibio. Chiamavansi questi ancora primipili, cioè primi fra i portatori de’ pili ( sp ie d i) , ma abu­sivo era cotal nom e, perciocché i primi ordini soli erano di quest’ arma fomiti. V. Dionigi, lib. i x , Veget. iv , 8.

(82) I lancieri ecc. Questi adunque non eran uniti in corpi ap­positi, e non aveano proprii capi, ma come la milizia più leggera uscivan essi in tempo di battaglia fuori dell’ordine cui eran asse­gnati, ed appiccavan la zuffa, poscia ritraevansi nelle respettive file.

(83) ‘Squadra, drappello e insegna. Cosi ho creduto di do­ver tradurre Iti-y/t* , k«< <nrt/(tct, *«< : espressioni,

a dir vero, molto vaghe, e che Polibio adopera promiscuamente. E non lo eran meno presso i Romani le voci ordo, manipulus vexillum. Ordo era propriamente una schiera, o banda di sol­dati comandata da un centurione, ma questa schiera, quando era una centuria, quando più , quando meno di cento uomini conteneva, ed allora confondevasi col manipolo. Il manipulus era secondo Vairone (d e L ., L rv ) la più picciola parte della legione che segue una bandiera, ma qual numero di soldati comprendesse non trovasi presso nessun antore. Ne è da credersi eh’ esso composto fosse di dieci soldati, i quali sotto un padi­glione alloggiavano, secondochè vuole Vegezio (11, i3 ) ; dap­poiché una mano di gente cosi poco ragguardevole non sarà stata preceduta da una bandiera. Lo stesso dicasi del vexillum , il quale secondo Livio ( vm , 8 ) conteneva centottanta uom ini, non_computata la milizia leggera che distrikuivasi fra le coorti ;

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ma denotava altresì alcuna fiata l’ insegna cui seguiva 1’ intiera coorte : onde leggesr in Livio ( z x v , i 4 ) vexillnm oohorli» Pelignae, ed in Tacito ( Annal. i , 4 > i) vexUlarius comitantis Galbam cohortis. Nel nostro idioma pure non hanno un senso determinato i vocaboli squadra , drappello , Insegna , siccome può vedersi nella Crusca e nel dizion. milit. del Grassi a queste parole.

(84) Centurioni. Il centurione, conforme 3 nome stesso lo denota , comandava ad una centuria , o dir vogliamo a cento uomini ( Vegct ii , i 3 ). Tuttavia reggeva talvolta il centurione una compagnia m inore, ed eziandio maggiore della centuria. Cosi

. veggiamo presso Livio ( v it i , 8 ) ad ogni ordine di sessanta soldati attribuiti due centurioni ed un bandieraio, e Vegezio ( t i , 8 ) racconta che nella milizia antica il centuno primipili governava quattro centurie.

(85) Costoro scelgonsi eco. Se la spira ( r> i* ;a ) che rtia- nipulus traducono gl’ interpreti latini, e noi voltammo drappello, conteneva due centurie, siccome afferma Ciucio presso A. Gel­ilo ( x v i , 4 )> assegnando alla legione sessanta centurie, e trenta m anipoli, e siccome il nostro accenna nel lib. x i , ?3 , dicendo che tre spire componevano la coorte ( in ragione di 6oo a 6ooo, la coorte essendo la decima parte della legione ) ; se i due ban­dierai appartenenti a ciaschedun drappello, non erano , conforme suppone il L ipsio, contemporaneamente in funzione, ma 1’ uno suppliva all’ altro che fosse stanco od ammalato : egli è chiaro che in una legione di seimila uomini non v’ avea oltre trenta insegne manipolari, e forse dieci altre spettanti alle coorti. Ma se ciascheduna banda di soli sessant’ uom ini, secondochè asse­risce Livio ( v i l i , 8 ) avea un bandieraio , egli ne segue che inolio maggiore dovea esser il numero di quelli in una legione ; la qual cosa non potea a meno di recare grandissima confusione. È pertanto da notarsi che nella materia che abbiamo per mani non hassi a negligere la ragione de’ tempi. La distribuzione d e ­gli o rdini, secondochè è descritta da Livio ( 1. c. ) , fu fatta , o era in vigore da tempi precedenti, 1’ anno 4 > 5 di Roma in oc-

3oa

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cagione della guerra latina; ma nell’ età di Gincio, citato da A. Gellio, se fu egli il medesimo che Macrobio ( Satura, lib. i , c. n ) dice aver lasciato il libro de fa s tis , ed essere stato ram­mentato da V airone, cangiata era ogni cosa. Che se la legge Cincia de donis et munerìbus, promulgata 1’ anno d. R. 55g ebbe lui per autore, 1’ età sua coincide quasi con quella di Poli­bio. Egli è dunque probabile che questi non meno che Cincio abbia considerato il manipolo composto di due centurie. Ma quando scrisse Varrone che fu contemporaneo di Cicerone, cioè un secolo circa dopo Polibio , ei si pare che fosse introdotto qualche cangiamento negli ordini della .milizia ; dappoiché non trovasi più che la centuria fosse la metà del manipolo, sibbene che il manipolo fosse la minima parte della legione che seguiva una bandiera. Nè andrà , cred’ io , errato chi supporrà che quell’ insigne tattico di M ario, il quale fiorì nel tempo interme­dio fra il nostro e V arrone, e parecchie mutazioni fece nell’ ar- inadura de’ Romani, siccome narra Plutarco nella sua vita, abbia eziandìo mutato in alcuna parte lo schieramento dell’ esercito.

(86) I casi in che può avvenirsi. A’Jii>«v yup tt lc t ( scrive

Polibio ) *«'< 7«S tra iim aedi Ito wccSilt 7< 7*r t/yt/tim , incerto essendo che cosa sia per fa r e per patire il condut­tore : espressione singolare che denota lq mancanze , così volon­

tarie come innocenti del condottiero , per cui 1’ opera sua ren- desi inutile o perniciosa, o al tutto cessi. I l fa re indica le colpe , il patire, le sciagure , p. e. malattie o morte. Non sof­ferendo il nostro idioma cotal modo di d ire , io ho abbracciate le mentovate due contingenze col nome di casi.

(87) Aman essi ecc. L’ uffizio de’ centurioni era propriamente di serbar 1’ ordine nelle file , e d’ impedire lo sbandamento dei soldati nel tempo della pugna. Quindi avrebbon essi operato cuntra lo scopo della loro istituzione , s e , da soverchio fervore spinti, più avessero badato ad attaccar il neiAico che ad opporre a’ suoi urti vigorosa resistenza.

(88) Squadroni. Questo vocabolo è adottato nella milizia dei nostri giorni per esprimer una compagnia di cent’ uomini a cu-

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T a l l o , e sembrami render eoo sufficiente esattezza la tarma dei Rom ani, e 1/a* de’ G reci. Se non che la torma conteneva ai

tempi di Varrone ( de L ., L iv ) soli trenta cavalieri, e nelle età posteriori trentadue ( Veget i r , i 4 ) ; ma corrispondeva tuttavia alla centuria de’ fan ti, siccome il suo comandante al centurione. Eustazio alla voce <>«/«> ( a torm e) che riscontrasi in Omero

( lliad. l i , 93 ) osserva, che cosi iXetJit come <A« scriveasi

anticamente per i< , non altrimenti che il loro radicale i i km ,

rivolgo. La qual scrittura e derivazione non sembrano punto irragionevoli, Ove si consideri che coleste divisioni eransi fatte appunto coll’ intendimento di agevolar i rivolgimenti e le evolu­zioni delle parti, onde componesi l’ esercito. E mi compiaccio che la stessa affinità tra le espressioni del subbietto e dell’ azione ha luogo nel nostro idioma, in cui squadronare, dietro gli esempli addotti dal G rassi, denota quello che i Francesi chia­mano manoeuvrer, cioè a dire , eseguir le varie rivoluzioni, secondo la definizione del testé mentovato Lessicografo.

(89) Capodieci. Cosi chiama il Segretario fiorentino nel trat­tato dell’ arte della guerra chi comanda a dieci soldati ; onde non ho esitato di trasportare nella nostra favella letteralmente i Stnaiig% tvs di Polibio.

(90) Tutti. Cosi il comandante dello squadrone, come il capo­dieci. Secondo Varrone ( I . e . ) i tre primi di ciascheduna die­cina chiamavansi decurioni, e tre ve n’ avea in ogni squadrone ; ma di conduttori o 'capi non ià egli motto.

(91) In farsetto. 12'» n /tetri t ; vocabolo spiegato da Suida

T» iaro 7i iiS i Tct m tva rftit, coperta sotto ( o meglio intorno

«rif) ) le parli pudende. Dietro questa traccia tradusse il L a ­

scari in subligaculis ( in mutande ) , e nello stesso scaso il Casaub. in campestribus ; ma il Lipsio rigettò meritamente que­ste versioni, non potendosi persuadere che i Romani fossero an­dati ignudi alla pugna , e vi sostituì in veste succinti, che lo Schweigh. con maggiore determinazione modificò in sola veste succinti; giudiziosamente riflettendo che la nudità accennata dal nostro era per rispetto alla corazza , c non alla toga, o sopra»-

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veste, cui non disdice l’ italiana denominazione di farsetto , che la Crusca definisce : vestimento del busto , come giubbone o camiciuola. La stessa espressione occorre nel lib. 11, c. 9 , e fu da me in egual modo volgarizzata.

(92) Inoperanti. vA * {**1 et non credo che sia 1* equivalente d ’ inutiles, in che lo convertiroiko i traduttori latini. Coteste lance, per quanto fossero fragili, e sovente si rompessero, feri­vano pure talvolta, e non potean dirsi inutili. Quindi io ho stimato di dovermi meglio accostare al senso del vocabolo gre­co ; che denota debolezza ed incertezza d’ azione, anziché total difetto della medesima.

(g3) Focacce ombelUcate. La composizione delle focacce, o schiacciate che dir vogliamo, trovasi in Catone, ( de re rustica c. 76 ) , dove chiamate sono liba , sotto il qual nome ( donde derivossi Ubare, eh’ è quanto sacrificare ) usavansi principal­mente ne’ sacrifici!. Quelle che imbandivansi ne’ conviti erano comunemente appellate placentae, e ve n’ avea di moltissime sorte , che trovansi descritte in Ateneo ( x iv , p. 647 , 648 ). Le ombelicate sembra che si adoperassero ne’soli sacrificii, dap­poiché non sono da Ateneo rammentate. Polluce ( n , 170) chia­ma quelle di cui parla Polibio , che nel mezzo hanno un bellico.

(94) Negli assalti da lungi e da vicino. IT{«r litt ìvifitX tie **) » ( '« lìti iw iS'trtit ha il testo , che gl’ interpetri, latini

avanti il Reiske non intesero. Lo Schweigh., seguendo questo spositore, voltò il presente passo nella guisa che qui leggesi vol­garizzato , giustamente osservando che n i è un attacco da

luogo prossimo, e da insidie, ed eziandìo un’arma che da vicino ferisce, siccome le aste e le spade; laddove iwtfitXuì sono

corpi che gittansi, e da lungi offendono , cioè frecce, palle, sassi.

(95) Perciocché i Romani. « Negli antichi tem pi, dice Ateneo ( v i , p. 373 ) , i Rom ani, se trovavano presso le nazioni sog­giogate qualche buona pratica, la recavano in patria . : . Cosi

POLIBIO, tomo III . 20

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appararono da’ Greci a costruir le macchine e gli strumenti di assedio, e con questi li superarono ; da’ Cartaginesi 1’ arte di guerreggiar per mare , e con questa li vinsero ; da’ Tirreni la battaglia stabile marciando in falange ; da’ Sanniti l’ uso dello scudo ; dagli Spagnuoli quello delle lunghe lance ( Gaesarum ) , ed altre cose da a ltr i, meglio eseguendole ». Dov’ è da notarsi che nulla dice Ateneo dell’ armadura , siccome tace Polibio delle macchine d’ assedio che i Romani presero da’ Greci.

(96) Contrarli auspicii. A. Gellio ( x v i , 4 ) annovera le se­guenti eccezioni alla comparsa de’ coscritti, tratte dal libro u t di Cincio de re militari : un funerale di famiglia , le ferie ven­demmiali , una malattia grave, un auspicio che non puossi prevaricare senza delitto, un sagrificio anniversario che non potrebbe fa rsi se la persona stessa quel giorno non fosse presente ecc.

(97) Impossibilità. A'ih tara, dice lo Schweigh., è il nome pro­

prio , col quale presso i Greci denotavansi le scuse legittime, per cui alcuno era assente , o eseguir non potea l’ incarico da­togli.- (98) Proposti da questi ecc. È molto ragionevole 1’ emenda­

zione dello Schweigh., il quale trovato avendo in Suida, dove cita questo luogo, wff itf iXnftt ttt (p roposti) in vece di xm9i -

rraf t t tn , ( creati, costituiti ) , e nel cod. Osoniese ,in luogo di iw ir tti , giudicò , che a quanto contengono gli altri

codici sia da aggiugnersi ciò eh’ egli trovò negli anzidetti > donde risulta il senso che io ho espresso nel volgarizzamento.

(99) Tre cotanti. Nel libro n i , 106 asserisce Polibio che il più delle volte gli alleati davano il triplice numero de’ cavalieri che fornivan i Rom ani, quantunque dalla stessa sua relazione ri­sulti che nella battaglia di Canne 36oo cavalli diedero gli alleati e a4oo i Romani ; locchè non costituisce neppur il doppio. Donde hassi a concludere che qui pure parlò il nostro di ciò che co­munemente accadeva. Nè è improbabile che dopo questa pugna, il di cui esito infelicissimo il nostro attribuisce allo scarso nu­mero de’ cavalieri (111, 116), i Romani abbian preso di accre-

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«cerio ne’ cim enti, ma con maggior aggravio degli alleati, affine di risparmiar i proprii.

(100) La disposizione degli eserciti. 1 vocaboli di xuftftfitxìi e rxftptfi&XXur , che spesso riscontratisi in Polibio, hanno un

doppio significato : quello di schieramento , ordinanza, e <T al­loggiamento , quartiere ; questo di schierar e di piantar il cam­po. Qui amendue questi sensi uniti sono nell’ espressione o-igi lìtf naftpt/itXtif, ed è convenuto valermi nel volgarizzamento

d’ un modo di dire che tutti e due gli abbracciasse.(101) E negli schieramenti. Osserva lo Schweigh. che il luogo

dove Polibio trattò di proposito questa materia era dopo il cap. 4o (a lui 42 ) di questo lib ro ; ma che il compilatore degli estratti ne recise cotesta parte. Tuttavia scorgesi dal lib. ix , cap. 20 che l’ autore scrisse un’opera apposita intorno alla tattica; onde tra per questa circostanza , e le frequenti occasioni eh’ egli ebbe di ragionare sullo schieramento de’ Romani nel corso di queste sto­r ie , è da credersi che avrà qui brevemente su cotal argomento versato.

(102) La tenda del capitano. Questa appellavan i Romani pnetorium ; perciocché, dice Festo , dapprincipio i pretori, sic­come in appresso i consoli, amministravano le guerre. I Greci ancora chiamavanla er fx l i lyn t , conforme apparisce da Suida;

ina Polibio usò la prima volta a maggior chiarezza due vocaboli, ( i I tv) rrf*lny,v nctitì, ed io l’ho seguito. — Del resto a’ tempi

di Vegezio (m , 4 ) piantavasi la tenda del comandante dopo la collocazione delle bandiere ne’ respettivi hioghi.

(103) Distanti cento piedi. Adunque ciaschedun lato di questo quadrato , essendo il doppio della distanza dal centra all’ estre­m ità, avea dugento piedi, e tutto il piano ne avea quarantamila, equivalenti a quattro jugeri greci, o dir vogliamo p le ttri, dap­poiché il plettro era cento piedi lungo e cento largo, cioè dieci­mila piedi in quadrato. A miglior intelligenza di siffatto calcola , gioverà qui trascrivere la figura che ne dà il Lipsio.

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Intorno alle proporzioni del pigerò e del plettro vedi la nota 171 al terzo libro. - Che tanto spazio occupasse il solo pretorio non dee recar maraviglia, ove riflettasi al numeroso stuolo di ser­venti e d’amici che seguitavan il capitano.

(104) I l più opportuno ecc. Quello che guardava la porta de­cumana , o dir vogliamo posteriore , ed insieme la piti distante dal pretorio , la quale appunto pella sua maggior lontananza dai nemici era la più comoda pe’ servigi* qui mentovati.

(105) Prescelto. Cioè destinato all’uopo di collocarvi le legioni.(106) I l lato di fuori. Quello dove accampate erano le forze

principali, voltato all’ uscita posteriore del compreso, e che este­riore diveniva per rispetto al pretorio, il quale occupava una posizione interna fra le truppe ordinarie e straordinarie, come meglio si conoscerà dall’ effigie e descrizione di tutto 1’ accampa­mento che darem in appresso. Lo stesso lato doveasi risguardare qual fronte, avendo le tende tutte voltate al medesimo la faccia.

(107) Occupano tanto spazio ecc. Di sei ordini di milizia era composta la legione : di cavalieri Rom ani, astati, prìncipi, tri*-

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r i i , fanti e cavalieri alleali, e di rincontro a ciascheduno di questi era alloggiato un tribuno.

(to8) A tutte le tende de' tribuni. Il testo ha qui soltanto * ir» i Tat (tutte le ten d e), ma poscia leggesi

A«A«r 7x “f 1 m> Xi&g%»r n i t t t i r (parallela alle tende de’ tri­

buni ). lo ho creduto di conciliare maggior chiarezza al periodo traportando i tribuni alla prima parte del medesimo , senza ri­petere questo sostantivo, siccome fecero i traduttori latini.

(109) Formanti la partizione. Cioè la separazione delle legioni nello spazio eh’ è fra di loro.

(ito ) Per via degli alloggiamenti. Ho ricevuta la emendazione del Gronovio, il quale scrisse, y i i t / i i i f f Stk (non Si secondo la lezione comune ) 7« i ! Tiriti 1 rag iju/S«A«r. . . ì i t t i ) gi/tns; dappoiché non gli alloggiamenti divenivano strada , sibbene ve- nivasi questa a formare mercè della posizione degli alloggiamenti. Lo Schweigh. non crede che abbiasi a mutar nulla nel testo, correndo secondo lui benissimo il senso anche senza il ita ;

locchè è vero considerando la gramaticale costruzione, non g ii riguardando alla convenienza della cosa.

( i n ) Insegna. Cioè quella quantità di soldati che militavano sotto una insegna, e che i Romani propriamente chiamavano manipulum.

(113) Guardati i Triarii. 11 tes^o è qui oscuro e forse cor­rotto , mancando al B \ i* l t lS t il sostantivo, in guisa che non

si comprende se abbia a riferirsi al r%nftA12t che prossimamente

il precede, donde risulterebbe confusione, appartenendo le figure cosi alle tende de’ Triarii come a quelle de’ cavalieri ; ow era- mente se debbansi sottintendere i Triarii di sopra nominati. Gli interpreti la tin i, variamente voltando questo luogo , si sono stu­diati di renderlo più chiaro. Il Casaub. scrisse: ita ut tangenti- bus se mutuo pedaturis, eo respiciant Triarii unde equites sunt aversi ( per modo che ecc. là guardino i T riarii, donde i cava­lieri voltano la faccia ). Il Lipsio tradusse : Sic quidem ut figura i se mutuo tangant, sed Triarii in alterarti partent aspiciant equitibus obversi ( cosi che le figure si tocchino, ma i Triarii

3op

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guardino l’altra p arte , opposti a’ cavalieri). Lo Schweigh. final­mente* in siffatta guisa rende questo passo: Ita ut tangentibus se mutuo figuris , quas metatio utrorumque fo rm a t, in aversam ab equitibus partem respiciant Triarii ( che toccandosi vicende­volmente le figure, formate dalla disposizione d’amendue, (ag­giunta del tutto superflua ) i Triarii guardino la: parte cui i cava­lieri voltan il dorso). Delle quali ’sposizioni facil è a vedersi che la più precisa è quella del Casaub., ( ed a questa io ho confor­mata la mia versione ) esprimendo essa l’opposta situazione delle

facce nelle respettive tende, locchè le altre non indicano Unto esattamente.

(113) La metà del numero. Seicento eran i Triarii in ciasche­duna legione, mentre che mille dugento sommavan i principi, ed altrettanti gli astati, siccome riferì di sopra Polibio nel cap. 23 . Tuttavia egli sembra da quanto qui leggesi, che tal fiata non vi fosse esattamente cotesta proporzione, sebbene sempre distribui- vansi per modo, che la lunghezza degli attendamenti riusciva eguale.

( n 4) Due strade. Una per ciascheduna legione, attraversante tutte le insegne, dallo spazio di cento piedi qui indicato sino al- l’ interstizio ch’ è fra gli alloggiamenti e lo steccato, dirimpetto alla strada de’ tribuni.

( n 5) Guardando egualmente indietro. Cioè toccandosi col tergo, ed avendo la faccia voltata a parti opposte.

(i 16) E siccome dieci ecc. Adunque de’ principi e degli astati militavano sotto una insegna 120 uomini, de’ triarii sessanta, e de’ cavalieri trenta.

(117) Dalla medesima linea. Da quella che occupano gli astati, per modo che amendue vengono a formare i confini longitudinali della strada che li separa.

(118) Meno gli straordinarii. De’ fanti prendevan a straordi­nari! , conform’ è detto al cap. 26 , la quinta parte. Colà scrisse pur il nostro che triplo era il numero de’ cavalli, quando qui dice eh’ era doppio; ma nel luogo citato parlò della cavalleria tutta un ita , laddove nel presente discorre della medesima già scemata del terzo.

3io

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(i tg) Le cinque strade. Queste risultavano dagl’ intervalli degli alloggiamenti d’amendue le legioni, in ogn’ una delle quali v’ avea una strada Fra i Triarii ed i principi, ed nn’ altra fra gli astati e la cavalleria de’ socii. La quinta era formata dallo spatio f » i cavalieri delle due legioni.• (120) Indietro voltate. Dorso a dorso co’ cavalieri.

( ia i) Circondario del pretorio. Secondo lo Schweigh. era questo circondario compreso nello spazio de’ dugento piedi in lunghezza e larghezza ( 4o,ooo piedi quadrati ) , nel qual era il pretorio. Ma è più probabile 1’ opinione del Lipsio che le cose qui descritte si trovassero fuori di questo spazio; dappoiché ap­pellandosi il pretorio rrfulnyitt , ciò che il circondava, « 7*5

rr(»lny/t» wtf/frcttif, non poteva essere dentro al medesimo.(122) Come la figura dS una forbice. Il Lipsio traduce, quasi

mflexam metationem , aggiugne pertanto nelle note che questa flessione non era curva o in forma semilunare, sibbene simile alla piegatura del gomito. Più precisamente ciò spiega lo Schweigh., dicendo che le tende della cavalleria qui mentovate posavano ad angolo retto sopra le tende de’ tribuni.

( ia 3) I cavalli scelti ecc., ed alcuni che militano volontaria­mente ecc. Ablecti sono i primi chiamati dal Lipsio con nome, che non solo non usò alcun autore per denotare gli scelti della cavalleria, ma che non trovasi neppure nel senso schietto di scelto; ablectus da ablego, significando separato, messo in disparte a qualche uso, anziché levato fuori della massa per cagione della sua eccellenza. I secondi interpretati sono dal medesimo spositore nelle note evocati, non senz’ anacronismo, essendosi questa deno­minazione appena a’ tempi di Cesare imposta a’ veterani chiamati dal riposo a militare nuovamente, conforme leggesi in Dione Cassio ( x l v , p. 276 , l v , p. 565 ).

(124) Gli apparati del questorio. Di sopra li ha il nostro appel­lati le cose necessarie a lt esercito che ha seco il questore, ed erano coteste i danari e le provvigioni che distribuivansi a’ solda­ti; oltreché, siccome raccogliesi da Igino e da Suida, vi si depo­

3i i

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nevano le prede e gli stalichi, e vi si ricercano gli ambasciatori

ed i messi.(i l 5) A l lato posteriore. Posciachè la fronte del campo chia­

masi da Polibio il lato verso cui guarda il pretorio, quello che ad esso volta le spalle dovea esser il deretano.

(126) I l vano lasciato ecc. Non quello a cui riusciva la fronte ed il tergo del campo, che sgombro esser dovea peli’ uscita, e l’ entrata dell’ esercito ; ma quello che situato era a destra ed a sinistra degli alloggiamenti.

(127) E siffatto vuoto ecc. Secondo il Lipsio, oltre a’vantaggi qui riferiti da Polibio nasceva da questo vuoto 1’ opportunità di collocare la milizia leggera ( da lui costantemente, siccome dagli altri interpreti di Polibio chiamata veliti ), a tale che di sopra -e di sotto attendavansi quelli che appartenevano alle legioni, e ne’fian­chi quelli de’ socii. 11 Patrizj al contrario, considerando il silenzio di Polibio circa gli alloggiamenti de’ veliti, e com’ egli ( V. c. 34 ) li distribuisce fra le altre parti dell’ esercito, giudicò che nell’ ac­camparsi occupassero lo stesso sito eh’ era assegnato agli altri drappelli. Allo stesso parere s’ accosta lo Schweigh.; ma io non son punto alieno dall’ adottare 1’ ipotesi del Lipsio. Imperciocché, se Polibio tacque del modo d’ attendarsi usato da’ veliti, c iò , cred’ io, deriva dal non aver essi osservato ordine alcuno nel farlo, come quelli che formavan una truppa irregolare, e disse­minati erano in due piani, ciascheduno de’ quali avea dugento piedi in. larghezza, e circa i5oo in lunghezza , di maniera che, quand’ anche fossero stati numerosi al pari degli altri soldati con-, tenuti nelle legioni, locchè non erano mai , lasciavan luogo ba­stevole a tutte le occorrenze del campo che il nostro qui descrive. La lor unione pertanto a’ corpi regolari della legione succedeva quando schieravansi in battaglia, o uscivano de’ quartieri, non quando accampavansi.

(128) Dalle rispettive strade. Comunemente usciva l’ esercito al largo pella porta decumana, a cui era volta la fronte del cam­po , ed a questa conducevan appunto le cinque strade, delle quali si è ragionato di sopra nel cap. 38. Che se per qualche assalto

3l2

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improvviso eia’ fianchi fosse stato necessario di sboccar pelle porte laterali, così dette principali; la via quintana, e la strada larga de’ tribuni, e lo stesso vacuo della parte anteriore offerivan a tal uopo' il miglior agio.

(iag) Ed il bestiame ecc. I commentatori cercano qui il pelo nell’ uovo. T ir 7i rS i v»pnr*w pttw i d f i f t f i i r u i , ««! rat i* tS i trtXt/t/mi Al(ms scrisse Polibio, le quali parole rigoro­

samente così avrebbon a tradursi: le prede de’ bestiami introdot­te , e quelle che fannosi da’ nemici. Ora al Gronovio ed allo Schweigh. parve cosa strana quel genetivo dell’ introdotto bestia­me , che lascia sottintender il sostantivo di prede affatto super­fluo. Ma tutto al più sarà siffatta costruzione una delle negligenze di stile, in.che cadde talvolta il nostro autore; nè perciò era necessario di distinguere la preda del bestiame da quella che to- glievasi a’ nemici, siccome fecero questi interpreti ; quasiché il bestiame ad, altri che a’ nemici si togliesse. Il Lipsio più s’ ap­pressò alla mente di Polibio traducendo : et pecudes adductas aut prcedas ex hostico captas , ed a lui mi son attenuto nel volgarizzamento di questo luogo.

( i3o) E per lo spazio ecc. Non è ben chiaro, come lo spazio intorno alle tende che in densi gruppi eran un ite, potesse con­tribuir a salvarle dalle armi e dal fuoco contro d’ esse lanciati : tutt’ all’ opposito la grande superficie che presentavano a mag­giori offese dovea esporle. Quind’ io credo, che codesto spazio riparatore non alle tende legionarie si riferisca , le quali erano salve pella loro distanza, sibbene a quelle de’ lancieri ( veliti ) , che sparse com’ erano pe’ grandi vani presso allo steccato, cinte trovavansi da vacui di maggior o minor ampiezza, e per tal

cagione più difficilmente colpivansi. - Lo Schweigh. sospetta che le tende de’ rispettivi drappelli non erano sul margine della strada, ma in qualche distanza dalla medesima, per modo che avean in certa maniera una circonferenza ( ambitum ). Ma sottile anziché probabile è siffatta supposizione ; dappoiché non avrebbe cotesta circonferenza diminuita la spessezza de’ padiglioni, nè scemato il pericolo che da tal circostanza loro derivava.

3 13

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( i3 i ) Di quattro ecc. Propriamente dì, quattromila dugento» avendo Polibio per brevità omesse le centinaia.

(i3a) Spessezza, cioè la moltitudine de’ soldati che compon­gono la insegna; locchè il nostro espresse con r i» vf. I l Casaub. riflettendo che la moltitudine delle insegne in nessun caso aumentavasi, lesse di suo arbitrio icu ir x ir tv t ( della lar­

ghezza), prendendo la profondità f ) per la densità della

massa prodotta dal numero de' soldati. Lo Schweigh. ; quantun­que nelle note dichiari che wXì&tt qui non importa quantità di

insegne, traduce .tuttavia questo vocabolo numerus ( vexillorum ).( r 33) Comprendere. Questo verbo non è nel testo , ma giudi­

ziosamente ve lo suppose lo Schweigh., proponendo l’ infinito y iS tx t (conoscere) o rv ttaùt (comprendere).

(134) Oltre agli anzidetti luoghi. Questi erano , per avviso del Lipsio , i vuoti lasciati dietro gli straordinarii, ‘secondochè signi­ficò espressamente Polibio nella fine del cap. 29.' ( i35) Ove un maggior numero ecc. Qui non trattasi degli estem­

poranei , ma di corpi più grossi coscritti posteriormente in ag­giunta alle legioni, o ritiratisi dall’ aperto , o , conforme vuol il Lipsio , d’ una terza legione arrivata , per cui rendeasi necessa­rio di stabilir una nuova divisione con apposita strada.

(136) Voltansi la faccia. In tal caso adunque due fronti avea il campo, ovveramente amendue i la ti, anteriore e posteriore, eran egualmente fronte e tergo.

(137) I quali guardar fanno ecc. Io ho seguita la lezione *'it izrtttvt di tutti i codici, adottata pure dal Lipsio, e senza

necessità, anzi con manifesto errore , mutata dal Casaub. , cui tenne dietro lo Schweigh. Scrivono questi tvs itrottùfcti t ì t ri* éstUu /3Aiereirtts X. r. X. che facemmo guardar ecc. Ma

ciò era superfluo che Polibio ripetesse ; sibbene interessava il sa­pere dove , essendo il campo addoppiato , collocassero gli straor­dinarii. Ora ci vien detto , che ciaschedun esercito gli aveva a tergo di s è , e che occupavano il lato posteriore di tutto il cam­p o , cioè a dire tutte le parti posteriori del medesimo che, sic­come vedemmo, eran d u e , e le stesse che le fronti.

3i4

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( i38) E la circonferenza una volta e mezza. Siccome gli eser­citi veni van addossati, così crescevan del doppio i soli lati di fianco , non quelli che costituivano la larghezza del campo, ed il tutto risultava un quadrato oblongo.

( i3$ In mezzo alle due legioni. Varie sono le opinioni degli spositori di Polibio circa questo luogo. Il Casaub. ed il Lipsio ren­dettero «rrp*Toiei2ùi$ per eserciti, ed il secondo confessa di non

bene comprender la mente dell’ autore; perciocché essendo i due eserciti separatamente accampati, lo spazio fra i medesimi esser dovea fuori de’ respettivi cam pi, dove non potean al certo esser collocati il fo ro , il pretorio ed il questorio. Secondo lo Schelio, col quale s’ accorda il Gronovio , e cui debbesi 1’ interpetrazione d i legioni che ho collo Schweigh. adottata , negli accampamenti semplici il pretorio era nella, strada che dalla porta pretoria con­duce alla decumana a traverso delle due legioni, poco avanti la via quintana. Il Reiske spiega Svi e rra tim i* duo castra , e crede che abbiansi a trasporre ip tv ( insieme )<e %*p)s (sepa­

rati ) , per modo che nella prima parte di questo periodo trattisi degli alloggiamenti separati, e nella ultima de1 medesimi uniti, nel qual caso solo il pretorio , il foro ed il questorio formavan il centro del campo , nulla mutando nel resto. E a dir vero , questa opinione mi sembra la più lodevole , per quanto non sia approvata dallo Schweigh.

Alla più compiuta intelligenza di quanto ha fin qui esposto Po­

libio intorno all’ accampamento de’ Romani, io stimo che riescirà giovevoje il riprodurre l’ effigie che di questo lasciò tracciata il L ipsio, e la dichiarazione eh’ egli vi soggiunse V. la milizia Ro­mana di questo insigne interpetre dell’ antichità, lib. v , p. 149 « seguenti.

Parte superiore

In esssa vedesì il Pretorio, situato nel mezzo, noti già dell’ ac­campamento , ma de’ duci. Di grande importanza era cotesto sito. Primieramente trovavasi non lungi dal nemico., e presso alla porta

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pretoria, che sempre quasi il guardava: affinchè il capitano osservas­se, se quello alcuna cosa tentasse o movesse, ed ammettesse tosto i messi o gli esploratori. L’altra cagion era, acciocché avesse in­torno a sè tutti i duci, del cui consiglio all’ uopo si valesse, ed a’ quali desse gli opportuni comandi ed incarichi. In terzo luogo, perchè avesse sotto gli occhi il campo e tutti i soldati, e vedesse se v’ abbia qualche mancanza o confusione. E siffatta vista fre­nava i soldati, i quali sapevano eh’ erano sempre presenti agli sguardi del loro capitano, e però in ogni cosa con più rispetto si diportavano. Nè agli sguardi del capitano soltanto, ma a quelli degli altri duci ancora; perciocché il questore, i legati, i tribuni eran quasi tutti a quella parte rivolti. Finalmente miravasi con ciò eziandìo all’ onore ed alla dignità, dappoiché in mezzo sono sempre le cose che tengonsi in pregio, e quelle cui vuoisi pro­cacciare sicurezza.

11 Questorio era al lato, non so se destro o manco. Se affiso il capitano voltato verso il campo, sarà desso il lato sinistro; se le aquile e lo stesso campo, il destro. Lo stesso dubbio nasce circa la porla destra e sinistra principale. Ma quanto alla cosa, nulla monta quale de’ due lati così appellisi. Ritengasi pertanto che il questorio era alla diritta, al di sopra aucora de’ legati ; conciossiachè il questore fosse magistrato del popolo, i legati soltanto costituiti in dignità.

I legali furono da noi a buon dritto collocati presso al pre­torio , sebbene Polibio non ne fece motto. Io ho distese le loro tende in largo, affinchè non togliessero affatto la vista del pre­torio agli straordinarii ; locchè ho eseguito pure nel questorio. Ove alcuno volesse piantarle in lungo, non mi vi opporrei ; se non che il mio modo è più decoroso. L’ uno de’ legati ha volta la faccia verso gli straordinarii, l’ altro verso i tribuni che gli stan­no di sotto. Ho interposta una strada fra loro ed il Pretore, ma picei ola, per cui ad esso si recassero , e coloro che abitavano col Pretore uscissero, non essendomi piaciuto d’ unirli affa Ito insieme ed attaccarli.

I tribuni situati sono iu una fila sotto al Pretorio. Dividensi

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in due parti pella via di mezzo, che dalle legioni condnce al Pretorio, e collocali sono a sei a sei per m odo, che ciaschedun ordine ha in vista la sua legione. Per esempio, i sei tribuni della prima legione a questa sono opposti; i sei della seconda alla se­conda. V ’ ha eziandio un ordine tra di lo ro , di maniera che il primo tribuno in dignità era il più vicino al P retorio , il secon­do veniva appresso, e cosi sino al sesto. Le loro tende erano disgiunte ; o perchè nell’ esser attendati separatamente v’ avesse qualche dignità: o perchè ragion volea, che vi fossero certe strade di mezzo, per cui senza giri si andasse nel foro. Quattro di que­ste strade erano praticabili, perdendosi la quinta, perciocché il Pretorio le stava di rincontro. Ciò indica Polibio in dicendo, che le tende de? tribuni erano in egual distanza fra di loro (c . a5 ) ; donde segue che v’ avea strade ed intervalli. Die’ egli ancora nell’ assegnar il posto a’ cavalieri, che incominciavano ad accamparsi dalle tende d i m etto de’ tribuni ( c. 26) ; adun­que le due prime tende de’ tribuni, cioè per rispetto a tutta la linea le mezzane, aveansi a collocar ad amendue i margini di quella strada, presso a cui accampavansi i cavalieri. Che se que­ste cose non fossero in Polibio, lasciato avrei di buon grado tuttolo spazio del Pretorio vacuo e libero. Avrebbe cotal disposizione recata grande utilità per le vettovaglie, non meno che per le aringhe ed i giudizii. Le quali cose ove io consideri, m’ induco a credere che cosi fosse. Imperciocché il pulpito era in uno de’ la t i , dal quale come poteva il capitano aringar comodamente i soldati, se gli stavano di rimpetto le tende? E se doveasi giu­stiziare con consiglio m ilitare, vedevansi comodamente dalla prossimità e nel vestibolo del Pretorio le sentenze eseguite, qua­lora vasto era lo spazio. Adunque ove ciò piaccia , rimuovansi da tutte le parti i tribuni dal Pretorio, anzi pongasi fra quelli e questo una strada di venticinque piedi ( i quali risultano dalla strada di cinquanta piedi opposta al Pretorio ) , e cotesta via servirà acconciamente al passaggio in amendue i fori : poi segua­no i tribuni, ed abitino nel giusto spazio di trecento piedi. Cosi rimarrà a ciascheduno la misura di cinquanta piedi, e decorosa­

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mente incominceranno da’ fanti, cioè da’ T riarii, ed i cavalieri ( i più onorati fra i cittadini) avranno libera la vista e l’ accesso al Pretorio. Ciò mi aggradirebbe : ma che farem noi delle parole di Polibio circa gl’ intervalli ? Probabil è che abbiansi ad inten­dere delle legioni più piene. Imperciocché essendo queste di cin­quemila dugento uomini, egli è manifesto che i Principi e gli Astati dovean occupare maggiore spazio. Comodamente adunque si collocheranno in questa guisa, restrignendo eziandio- gl’ inter­valli. E quand’ anche la bisogna non sia così, ciò non di meno resteranno inalterate le parole ed i precetti di Polibio, ove la tende de’tribuni facciansi in largo di soli quaranta piedi, e niente impedisce che le vie intermedie abbiali allora dodici piedi. Ciò che spetta all’ opposizione de’ cavalieri non dee prendersi con tanto rigore, essendo essi in parte soltanto opposti alle tende de’ tribuni, conforme scorgesi dal sito. La seguente tavoletta porrà sott’ occhi 1’ altra disposizione del Pretorio e de’ tribuni da noi proposta.

3 18

Tribuni

Pretorio

Tribuni

I Prefetti de’ socii, che Polibio (se pur parte del suo trattato, dov’ egli ne ragionò, non & smarrita ) non pone in nessun luo­go , sono da noi collocati al fianco de’ tribuni, dando loro sito e forma eguali, perciocché avean egual ufficio e dignità. Polibio da per tutto li mette al pari: se non che i tribuni erano più ono­rati , in quanto erano cittadini. Egli è altresì ragionevole che

opposti vengano alle loro ale o co m i, siccome i tribuni alle le­gioni. Dividansi adunque, e sieno in ciascheduna parte sei, ac­campati come i tribuni; salvochè le strade o gl’ intervalli sono qui più piccoli ( conforme osservasi nella tavola ) o forse nu lli, non

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essendo qui passaggi ; dappoiché gli Evocati e gli Scelti attaccati erano: alle loro spalle. Che cosa (arassi dunque dello spazio con­siderevole di piedi trecensessantatrè e mezzo? Conciossiaché trenta piedi prendiamo dalla stessa via di cinquanta p ied i, che separa i socii dalle legioni, e ciò facciamo perchè Polibio scrive che la tende degli Scelti e degli Evocati incominciano con obbliquo piegamento subito dagli ultimi tribuni. Quindi non debbonsi, per quanto sembra, separare con si grande intervallo : con alcuno pertanto, affinchè ed essi ed i prefetti distinti sieno da’ tribuni. Per questa mia misurazione sieno frapposti venti piedi. Se dunque di qui s’ incomincino le tende de’ tribuni , puossi diminuire in lunghezza la misura di quelle de’ tribuni, e dar loro , non cin­quanta piedi, ma quaranta soli. Cosi saran essi pareggiati, ed il resto di sopra verrà aggiunto agli Evocati.

I cavalieri evocati sono qui da me collocati prossimamente a’ prefetti, perciocché in dignità avanzano gli scelti. Tuttavia Poli­bio nomina gli scelti prima, e poco monta se pongansi di soprao di sotto.

I fa n ti evocati. Incerto è il loro numero, e sovente maggiore di quello che permette la capacità del luogo. Ma Polibio qui pone soltanto alcuni evocati. Se ve ne sono di più , hanno a mettersi accanto a prefetti, o agli straordinarii, di sopra nel vacuo ; o viene loro assegnato un nuovo sito nel traverso del foro. Imper­ciocché dice Polibio che questo ancora talvolta si riempie, e che allora il foro si trasporta nel questorio.

I cavalieri scelti. Uno squadrone.J fa n ti scelti. Per ora sia una coorte.I cavalieri straordinarii , forman in tutto otto squadroni : da

ciascheduna banda quattro. Noi li ponghiamo inferiormente ri- sguardanti il Pretorio ed i fori: (quantunque alcuni in altro modo li collochino ) cosi richiedendo le parole di Polibio. A ciò corri­sponde il resto della distribuzione, affinchè i fanti osservino i cavalli, essendo anche i triarii nelle legioni siffattamente collocali.

Le coorti straordinarie. Non so se io debba farne tre o quattro ; ma pognain ora che sieno tre : perchè il numero degli uomini

3*9

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sia eguala in amendue le particonverrà dividerli. Siei^o adtmqoe qua e là una e mezza ; ma le due mezze guaniino la strada, e cosi in certo modo sieno unite, correndo fra di loro l’ intervallo di pochi piedi. Se qui più ne m etti, e meno fra gli scelti, di leggeri per quanto abbiam detto si pareggiano. Ecco tutta la parte superiore, eh’ è la più imbarazzata, perciocché Polibio l’ ha con minor precisione descritta. Variano quindi gli altri nelle posizioni e ne’ numeri : io spero d’ aver dette cose verisimili, se non vere. Ora è da considerarsi, quanto alla prudenza Romana , che in tutta questa parte appena v’ ebbe un cittadino. La custodia del Duce supremo e de’ Duci subalterni affidar vollero a’ Socii ; per qual altra ragione, se non se affinchè prestando in tal guisa fede, obbligassero la fede loro? Ma v’ ebbe un’ altra causa più occulta, la qual era che avean intorno a sè e dinanzi agli occhi i princi­pali fra i Socii, e così impedivano che non si consigliassero se­gretamente o cose nuove tentassero. E sebbene costoro cingono da tutte le parti il capitano e 1’ hanno in custodia , noi tengono tuttavia per modo, che facendo mestieri non v’ abbia un presidio di cittadini. Imperciocché sono in amendue le parti gli Evocati, soldati veterani ; sono in sua compagnia alcune centinaia di uo­mini; ha egli a’ fianchi il questore ed i legati colla loro gente; gli stanno dinanzi i tribuni , a’ quali gli è sempre aperta la ritirata, e per questi alle legioni. Altra considerazione hassi a fare , che sono qui i luoghi grandi e vacui, o perchè il decoro , o perchè utilità il vuole. Il decoro richiede, che colà sieno amendue i fori; affinchè se avvenga qualche lite od oltraggio, v’ abbia chi giu­dichi o punisca. L ’ utilità addi manda , che vi sia quella grande via quintana , acciocché se fia d’ uopo schierare l’ esercito nel cam po, ciò, succeda facilmente colà e ne’ due fori. Ed ove met- tinsi da parte gli straordinarii, fassi un grande spazio pelle ordi­nanze. Segue ora

La parte inferiore.

I cavalieri Romani. Questi, come i più degni, sono collocati

nel mezzo, ed hanno le uscite liberissime. Qui stanno sicuri, e

3ao

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quantunque in battaglia altramente «iena disposti, ricevonsi qui tuttavia fra i fanti, perciocché non prestano nel campo alcun servigio.

I Triarii, prossimi a questi di luogo e d’ onore , unisconsi a loro nella stessa aja ; e perchè si risparmi una strada, e perchè osservino i cavalli, onde sciolti o vaganti non mettano confusione nel campo. La qual cosa poco appresso dirà lo stesso Polibio.

I Principi e gli Astati trovansi egualmente in un’ aja sola, e veggonsi non solo a drappelli, ma eziandio a coorti bellamente collocati. Imperciocché i T riarii, i Principi, gli Astati, formano con in una linea le respettive coorti. Ma dove sono i Veliti ? Di questi tace Polibio, e dal suo silenzio emersero sentenze discor­danti. Vollero alcuni che i Veliti fossero misti a’ drappelli, le di cui aje credettero abbastanza capaci ; indotti in tal opinione dal- 1’ aver prima riferito Polibio che i Veliti erano egualmente distri­buiti fra i drappelli. Qui adunque, dicono, han essi ad alloggiare. Ma i Triarii non possono ricever un numero eguale agli a ltr i, occupando essi la metà dello spazio che tengono i Principi e gli Astati. A ciò rispondono che ciaschedun drappello de’ Principi e degli Astati ne prendeva il doppio, cioè quarantotto , quando i Triarii non ne pigliavano d ie ventiquattro. La proporzioni, a dir vero , è giusta, ma non s1 accorda colle parole di Polibio, il quale asserisce esser la divisione stata eguale. O ltreché, se i Veliti fossero stati uniti a' T ria rii, perchè Polibio non impone ad «ssi piuttosto l’ osservazione de’ cavalli, più acconci essendo a cotal ministero ? e perchè colloca egli così distintamente T riarii, Principi , A stati, nè fa motto dell’ unione di quelli ? ma , ripi­gliano , non v’ ha altro luogo per collocarli. Non è vera ; e Po­libio stesso più sotto ce lo insegna, dove parla delle sentinelle.Die’ egli : (cap. 34 ) i'* i t r i t i tr iQ*nini ti j>{tTQtftA%ti

, *■*;' «A»» K t t S v p t i f H t t » i unt«i»inc

( Il lato esterno riempiono i Lancieri (Veliti) che il di vegliano presso a tutto lo steccato ). Secondo Polibio adunque i Veliti fanno di notte la guardia fuori dello steccato; di giorno pfesso allo stee-

p o l i b i o , tomo n i. a i

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cato ( di dentro certamente) s’ attendano e vi dimorano. E mno- vemi sovrattutto a ciò credere 1’ osservazione, che siccome in battaglia, in ischiera, ed altrove i Veliti sono fuori degli ordini, cosi son essi qui pu re , e rimandati a’ fianchi. L ’ esige eziandio tutta la maniera dell’ accampamento, nel quale i migliori stanno sempre in mezzo, ed a poco a poco giugnesi agli estremi. Sic­come adunque i Veliti sono gl’ infimi, così meritamente saran essi collocati nell’ ordine estremo, cioè accanto allo steccato e nello spazio che circonda le parti più interne del campo. Ma vi ha di più. Nota più sotto Polibio, che i Veliti liberi sono dalle guardie e dalle funzioni diurne : quindi, affinchè non sieno del tutto oziosi, rimangan essi presso allo steccato ed osservino, e siccome in battaglia ancora, sieno più vicini al nemico. E dis­fatti che tutto codesto spazio prossimo allo steccato sia senza o con lieve custodia, non si conviene. Quando poi haw i due corpi di V eliti, 1’ imo delle legioni, l’ altro de’ socii, partiscansi per modo, che il primo sia nella parte superiore ed inferiore, 1’ altro in amendue i lati. Imperciocché la stessa partizione fa tosto Po­libio nel piantamento del campo , guernendo i fianchi co’ socii, e ponendo le legioni in guisa, che la prima occupi il lato di sopra, la seconda quello di sotto. Adunque mille dugento Veliti saranno attendati sopra il P retorio , e altrettanti alla porta decu­mana : mille a ciascheduna delle porte principali. Alloggerannosi pertanto con semplice ordine, nè prenderanno internamente molto spazio ; dappoiché ciaschedun lato è grande , di mille piedi ed anche più. Senzachè i Veliti non hanno molte bagaglie ed armi, quindi basta loro uno spazio meno esteso. M a, dirà taluno, in questo modo i Principi e gli Astati avranno le tende troppo fra di loro distanti Non è così : perciocché, se trenta cavalieri ed al­trettanti cavalli occupano uno spazio eguale a quello d’un drap­pello, perchè non l’occuperanno centovent’ uomini ? massimamente che i centurioni, i supplenti, i bandierai ed i militi più onorati hanno i loro bagaglioni, e salmerie, e giumenti. E credo io che ogni drappello avesse muli alle tende, per portar macine ed altre simili cose, le quali non trovo che portassero i soldati

3sa

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stessi. Imagmiamci eziandio che perisse alquanto di luogo nel piantar le tende, e negl’ intervalli fra ciascheduna ; dappoiché non parmi che. tutte fossero talmente unite , che impediti rima­nessero 1’ uscita ed il passaggio : nè sarebbe ciò stato decoroso.- Vengon appresso.

I cavalieri de’ socii. Tutto il corpo sociale è situato all’ infuo­ri , quasi come nella battaglia stessa. Nè fu imprudenza il divi­derli e separare le forze; siccome all’opposito i Romani congiunti erano nel mezzo , e forti pel loro numero.

I fa n ti de’sociL A questi Polibio non dà nessuna via o inter­vallo, ma li colloca per coorti. Le quali coorti, detratti i Veliti, sono scarse, e di soli dugento trentasei uomini ; nè bene si scor­ge , se fossero confusamente collocate, oppure secondo i loro generi divisi. Poniam pertanto che F ultimo avesse luogo, e che i Triarii, i Principi e gli Astati separatamente alloggiassero; ciò è a dire per modo, che fossero tuttavia uniti a’ lati, siccome gli Astati ed i Principi co’ terghi. La ragione per cui gli unisco qui a’ lati si è , che ove io ponessi i Triarii presso a’ cavalli per lungo , sarebbono quelli in un sito incomodissimo e non accon­cio all’ uscita. Vorrei dunque altrim enti, e collocarli in guisa che tutti i centurioni guardassero lo steccato, o i Principii e la Quin­tana. Giò più si confarebbe alla loro dignità ed al lor agio: e vi acconsente Polibio , il qual pone i conduttori degli ordini in ambe le estremità: di ciaschedun drappello. È altresì da notarsi Che i centurioni : ed i decurioni erano alle respettive teste presso alle strade, e vicini, ad essi i bandierai. - Quando non v’ avea socii, e tutte le forze eran coscritte in legioni, il luogo de’ primi oc- cupavan le coorti P retorie, le quali pertanto non esistevan a’ tempi di Polibio, e poscia vennero in uso , singolarmente sotto' gl’ Imperatori.

Misure in piedi.

II piede è di due specie: il semplice ed il grande. Di amen-

due ci veleremo: del primo nelle misure di lunghezza e di la r-

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J5a4ghr-zza , deh secondo in amendue. Imperciocché il graqde è giusta Varrone ciò che volgarmente è il piede quadrato e superficiale, L’uso di questo è nelle aje, e per far conoscere la capacità de’piani.

I l Pretorio. È un quadrato giusto, di dugento piedi per ogni verso. Moltiplicando un lato peli’ altro ne risulta uno spazio di 4 o ,o q q piedi.

I l Questorio. Feci eguale alla m£tà del Pretorio j non senza causa. È desso prossimo a questo in dignità ; abbia dunque lq metà della sua m isura, e tanto maggiormente, quantochè ha ampii arnesi ed istrumenti. La sua larghezza è di 2 0 0 piedi, la lunghezza di 1 0 0 , il piano di 3 0 ,0 0 0 .

I legati abbiano la metà del questore ; qqindi ciascheduno 5o pjedf in lungo , e 100 in largo. Per lungo intendesi lo spazia dalla porta pretoria alla decumana ; per largo quello da una principale aU' altra.

I tribuni occupino di bel nuovo la metà del sito , con cin-> quanta piedi per cadaun lato ed un’ aja di a5oo piedi.

I prefetti eguali a’ tribuni, polle piccole eccezioni che dissi, 0 che posi nella tavola : quantunque ne’ numeri in generale mancai forse o avanzi un piede.

Gli evocati. Il loro numero è incerto, e quiqdi la qipmtità ancora de’ piedi loro assegnati. Supponghiamo che sieno trenta , cioè uno squadrone ronqano. Avranno So piedi in lunghezza, e i2$#in larghezza, ed occuperanno uno spazio quadrato di 10,009 piedi. Avanzano piedi a38 % , i quali danno un’ aja di circa 20,000 piedi, che capirebbe due drappelli di fanti Ro.mani, cioè a4o uomini.

Gli scelti, saranno uno squadrone di socii j quindi 4o cavar? lierL Adunque 1’ aja avrà circa piedi 13,533 % , c verrà formata dai numeri che ho notati, in lungo iaa , in largo 111 %. Di dietro v’ ha una coorte dello stesso nome di 336 uomini. La quadratura debb’ essere ?8,poQ piedi. Sarebbon adunque in largo p. a33 % circa, in lungo 120. Rimangon 19 piedi, che furon negletti nella tavola e calcolati per pieni.

I cavalli straordinarii. Quattro squadroni di socii | le aje di­vise nel ,niodo mentovato- Lo stesso nelle tre coorti di so p ra ,

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delle quali una e mezza in ciaschedun lato. Resta un vacuo ma­

nifestamente indicato da Polibio pe’socii che potrebbon arrivare.Nella parte inferiore sono i primi i cavalieri. La misura del

loro terreno additata da Polibio, è un’aja di 10,000 piedi. Questo spazio è eguale in tutti gli squadroni e drappelli ; nè dee repu­tarsi troppo grande per trenta cavalieri ; dappoiché v’ avea al­trettanti bagaglioni, e forse erano co’decurioni stessi alcuni ono­revoli compagni o serventi, ed altresì giumenti o muli pelle salmerìe, peli’ orzo , pel frumento. Che i cavalieri stessi non aveano some , e neppur i cavalli che montavano.

1 Triarii aveano la metà de’ cavalieri. Le altre cose eran eguali, e la stessa proporzione nelle m isure, eziandio quando aumentavansi le legioni.

Le strade sono determinate da Polibio , e tutte hanno cin­quanta o cento piedi. Eccettuo i viottoli fra i -tribuni o i pre­fetti , e fra le tende medesime, se ve n’ ebbe.

Le porte secondo la mia misurazione hanno cinquanta piedi ; perciocché le carra ed i giumenti abbisognano d’ un comodo in­gresso. L’estensione dello steccato è da una parte di 2017 piedi, dall’ altra un poco maggiore, di Mo5o; donde risulta un circuito di quasi un miglio e mezzo. In questo spazio agevolmente locar poteano 16,800 fa n ti, e mille ottocento cavalli ; oltre il seguito del pretore, de’ legati, del questore, de'tribuni, e tutta la massa de’ bagaglioni, de’ giumenti e delle salmerìe.

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( i4<>) Servi. Questi appartenevano a’ guerrieri di maggior dignità >

ed esercitavan nel campo gli ufficii più vili.(«4 1) I l giuramento è ec. Secondo Cincio presso A. Gellio

( x v i , 4 ) era questa la formola del medesimo. « Essendo in.magistrato i consoli ................ NelF esercito , e nella distanzadi dieci mila passi, non commetterai un furto doloso, nè solot nè con altri, oltre il valore d?una moneta d’argento per ogni giorno. Salvochè la lancia, F asta, le legna, il pasto, F otre, il fo lle e la fiaccola , se colà alcuna cosa troverai, o torrai,

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che non sarà tua, e che valga piìt <f una moneta «f. argento ,la devi recare al Console........... o a l Console........... o a chiquesti comanderanno ; o ti profferirai di restituire fr a tre giorni qualunque effetto avrai trovalo, o dolosamente tolto a chi crederai che appartenga, e non sosterrai d’ aver fa tto bene ».

(i^a) Del luogo eh’ è innanzi a’ tribuni. Eran questi i cosi detti Principii ( Principia ) , dove non solo conversavano, ma agitavansi ancora i giudizi!, ed altri pubblici affari.

( i43) Tante sono. Ciò è a dire venti : le diciotto qni nomi­nate , e le due destinate al servigio de’ Principii, ciascheduna composta d i ilo uomini, mille dugento essendo cosi gli Astati come i Principi

( ■ 44) Fanno il pavimento. Il Lipsio suppone che cotesto pa­vimento fosse di cespuglio, o di ghiara eziandio, quando stabi­livano i quartieri d’ inverno. Lo Schweigh. in copiando il Casaub. scrisse con inutile pleonasmo pavire et complanare, quando il testo non ha che

, («45) I Triarii ed i Lancieri. I primi aveano soli sessant’ uo­mini per insegna, e delle loro funzioni tosto parleraui : gli altri

non avean numero determinato, e secondochè leggesi nel cap. 34

facean la guardia presso allo steccato. L’ espressione pertanto, che questi non servono, dee prendersi in tal senso, che le men­tovate milizie non prestavan alcun servigio a’ tribuni.

(146) Ch’ i più vicino alle sue spalle. Nella descrizione dell’ac­campamento issi veduto che i Triarii eran alloggiati a tergo de* cavalieri, e seco loro attaccati per m odo, che ad ogni drappello di Triarii corrispondeva uno squadrone di cavalleria.

(147) Di tutte le insegne. Cioè non esclusi i Triarii. Ora trenta essendo le insegne in ciascheduna legione, ne v iene, che dopo trenta giorni toccava a ciascheduna il servigio. 11 Lipsio , non so con qual fondamento, crede che i drappelli de’ socii di­videssero cotesto ufficio co’ legionarii.

(148) Due lati ecc. I socii alloggiati a’ fianchi del. quadrato che racchiudeva il campo, tiravaa il fosso e piantavano lo stec­

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cato in quésti la ti, e le legioni che occupam i il centro ese- guivan i mentovati lavori ne’ lati superiore ed inferiore.

(149) A due de’ tribuni. 11 Lipsio crede che questi due pren- devansi uno da ciascheduna legione ; ma dodici essendo tutti i tribuni, stando a questa supposizione, il servigio d’ ogni coppia non due mesi, ma uno durar dovea, attesoché abbracciava, sic­come dice Polibio, lo spazio di sei mesi. Il perchè io porto pa­rere , che ciascheduna legione non uno ma due tribuni fornisse, e ciò indica Polibio stesso dicendo, che 1’ approvazione universale del lato (non dei lati) spettava a due tribuni; dond’è chiaro che i due lati che affidavansi alle legioni erano sotto l’ ispezione di quattro tribuni.

(150) I cavalieri ed i centurioni. Andavano questi adunque del pari iu dignità; quantunque sia probabile che non tutti i cava­lieri , ma i loro decurioni soltanto ( V. cap. a3 ) si presentassero co’ centurioni a' tribuni.

( ■5 i) Un uomo eh' è libero ecc. Da questo luogo apparisce che il giornaliero servigio presso il Pretore noti era prestato dal- l’ insegna intiera ; ma che alcuni uomini di quella rimanevano nelle loro tende a custodia del sito. Diversamente, allorquando toccava la guardia del Pretorio alla decima insegna de’respettivi generi di milizia, non sarebbesi trovato l’ uom o, del quale ra­giona qui Polibio.

( i5a) I l legnuzzo ed il segno. Ciò è a dire il pezzetto di legno eh’ era ad un tempo il segnale. Il Lipsio, per evitar forse F equi­voco che nascer poteva dalla copula et (*«<), quasiché altra cosa

fosse il legnuzzo, ed altra il segno, voltò questo passo : taleolam istam , sive ligellum.

( i53) Tutte. Quattro erano le tavolette che giravano per cia­scheduna legione; dappoiché una consegnavasi da’ tribuni ad ogni uomo scelto da’ decimi drappelli degli A stati, de’ Princìpi, de’ Triarii e de’ Cavalieri. Il Centurione pertanto di ciascheduna in­ségna la passava a tutti i suoi soldati, e da questi a lui ritornava per essere data al centurione della seguente insegna, il quale ri- novava l’ operazione del suo antecessore, e cosi prosegui vasi sino

all’ insegua più vicina al tribuno. Q uesti, ritornando a lui tutte

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le quattro tavolette, era «coro che il segnale era stato comuni­cato a tutti i soldati ; il qual segnale, conforme tosto leggesi, consisteva in una iscrizione fatta ad arbitrio e diversa sopra ogni tavoletta , non altrimenti che nella milizia odierna è la pa n ia che 1’ uno all’ altro bisbiglia nell’ orecchio.

(154) De’ legali. Di questi non fa menzione Polibio, nè dove tratta della disposizione del campo , nè dove ragiona delle funzioni de’ duci ; forse, per quanto stima- lo Schweigh. ; perchè a’ tempi dell’ Autore non era per anche costume che ad ogni capitano su ­premo siaggingnessero legati; forse ancora, continua il medesimo, fu ciò colpa di chi fece 1’ estratto di questo libro. À me sembra più verisimile la seconda di queste opinioni ; dappoiché anti­chissima era presso i Romani la instituzione de’ legati, con­forme scorgesi da T. Livio ( h ,. ?o ) , il quale, descrìvendo la ■pugna del console- Latino coatra Tarquinio Superbo, ram ­menta un legato Erminio , e nella battaglia che i consoli Pa­pirio e Carvflio diedero a’ Sanniti con amendue gli eserciti u n iti, l’anno d. R. 4% , riscontratisi presso il medesimo ( x, 4° ; -quattro legati. - Pei1 ciò che spetta a’ consiglieri, io li credo di­versi da’ legati, e tengo col Gron'ovio che fossero i caposchiera '( ordinum ductores ) , i -quali intervenivano a’ consigli militari ; ma ne escludo, per ciò.che concerne alle guardie, i più distinti fra i prefetti, che lo stesso autore vi volle comprendere, come quelli che guardati erano da’ socii cui comandavano.

(155) I l lato esterno. Lo Schelio, il quale contro al Lipsio sostiene che i Veliti alloggiavano nelle tende de’ legionari! inter- petra il «-Atp«Sr< implent, crebri* scilicel vigiliis et stationibus.

M a, per quanto siffatte guardie e stazioni fossero copiose, non bastavan esse per riempier uno spazio tanto considerevole.

(156) Che il dì vegliano ecc. Gli stessi Veliti che di giorno stanziavano in tutto P intervallo Fra le tende e lo steccato, di notte faceano la guardia fuori dello steccato Quindi non era da con-

> venirsi-il de die ( durante il giorno) del Casaub. e del Lipsioin quotidie ( ogni giorno ) , siccome fece Io Schweigh., cui calea

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di difendete P opinione contraria a quella del Lipsio per rispetto agli alloggiamenti de’ Veliti.

{ i5 j) Tavolette. Troppo sottile sembrami la distinzione che fa qui il Lipsio, scrivendo che le tavolette rammentate nel cap. an­tecedente , le quali Servivano a’ soldati per farsi distinguere da’ nemici, erano tutte eguali ed alquanto larghe; laddove quelle di cui ragionasi nel presente luogo erano di picciolissima mole. Dello stesso parere furono il Casaub. e lo Schweigh. ; onde tutti rife­rirono il /3 « A imt non al ^mpainhip» , ma sibbene al

(vXnptm , e tradussero tesserulas piane exiguas ( Lips. ) , op- pido eXiguas ( Casaub.), patvutas e Ugno tessellas (Schweigh.).lo pertanto non comprendo, perchè i ZvXtlQia. (legnuzzi) dati

alle guardie, avessero ad esser tanto più piccioli de’

che contenevano la parola ( che la stessa espressione usa Polibio in amendue iluoghi); nè mi so persuadere che la voce wAari7«» t con cui il nostro denomina ancora le prime tavolette, indichi Una notabile larghezza delle medesime ; ma credo soltanto che significhi la larghezza maggiore del pezzettino di legno in con­fronto della sua lunghezza e profondità. Frivola altresì parmi la ragione addotta dallo Schweigh., che nell’ accusativo

singolare non si usa, come dovrebb’essere riferendolo a %mpmxr4f». Quantunque egli sia più probabile che in

plurale abbiasi a leggere, dovendosi esprimere sulla tavoletta più di un segno , affine d’ indicar la qualità dell’ arma ( se A stati, Principi, Triarii ) ed il numero del drappello : dalla quale circo­stanza sarà derivata la picciolezza di cotesti segni.

( i 58) I l primo caposquadrone. Nel cap. a5 di questo libro avea detto Polibio che per ogni squadrone eleggevansi tre cap i, de’ quali il primo avea il comando di tutto lo squadrone. 11 Lipsio l’ appella tumue pnefectum aut decurionem ; ma con ragione10 Schweigh. ritenne il primo di questi nom i, siccome fece ancor11 Casaub.; perciocché ì\»p%n erano tutti i tre capi, e chi co­

mandava a tutto lo squadrone potea bensì esser ìx&p%tc , cioè uno

de’ capi di quello, ma non decurione , capo di dieci.( i 5g) A quattro soldati. Adunque eran tutti otto, due essendo

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le legioni nel campo ; e siccome dieci erano gti squadroni, cosi toccava 1’ undecimo giorno ad ogn’ uno l’ ufficio della ronda.

(160) Per quante e quali. Qui v’ ha senza dubbio corruzione nel testo ; ma i commentatori, secondochè a me p are , in affati­candosi di sanare la magagna , non videro dov’ ella stassi. Nel principio di questo periodo riferisce Polibio che i quattro scelti dal primo squadrone traevan a sorte le sentinelle che dovean fare ; ciò k a d ire , il tempo in cui toccava a ciascheduna di gi­rare ; quindi era superfluo che la stessa cosa ricevessero per iscritto dal tribuno, e se pure il testo ha wirrni , questo vocabolo non

può significare qua de vigilia, siccome l’ interpetrò lo Schweigh.Il perchè, o wlrr%t , o •minti > siccome ha il Lipsio, o « t'n ti ,

conforme leggesi in alcuni autorevolissimi codici, abbia scritto Polihio , io stimo che il senso di siffatta parola sia la quantità. delle stazioni che dovean esser visitate, e che al tribuno da cui c ru p stabilite, non già alle guardie destinate pella ronda avean ad esser note.

(161) I l centurione di questa. Primo era costui in dignità fra i suoi còlleghi, e chiamavasi centuno primipili; e per tal cagione era a lui data l’ importante incombenza di significare col suono della tromba l’ incominciameaio delle vigilie, eh’ erano quattro, di tre ore ciascheduna.

(i6 a ) Ogni giorno a vicenda. Non s’ accordano gl’ interpetri nel senso del *mSF iftipmt che leggesi in Polibio. U Lascari se­

guito dallo Schweigh.,( crede che questa espressione equivalga a quotidie, e che il faticoso, incarico di vegliar le notti peli’ esat­tezza delle ronde spettasse sempre a un centurione, o tutto al più a due. Ma il Lipsio , giustamente riflettendo che grave troppo riuscir dovea cotal ministero , tradusse per dies,. jcioè alterna­tamente, un giorno per uno, e suppose che di quattro centurioni eh’ erano ne’ primi drappelli delle due legioni, toccasse la veglia ogni quinta notte a ciascheduno, l a egual senso del Lipsio voltò le mentovate voci il Casaub., suo quisque die.

(>63) Che furono dati, vale a dire distribuiti alle guardie del tribuno.

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3 3 i

- ( i64 ) Dal carattere ecc. Quindi apprendesi, che eiaschedtma guardia avea il suo carattere apposito espresso sulla tavoletta che le veniva consegnata. Del resto leggo col Lipsio m 7*t i t r i i

XiAvrai (s i è sciolto dal suo dovere, vi ha mancato)

e non , ( abbandonò, lasciò) siccome lessero il Casaub.

e lo Schweigh. traducendo con poca convenienza : ex impressa nota de eo excubitorum quaternione, cujus ratio non constai, inquirunt.• ( i65) I l rende manifesto. Leggo collo Scaligero J iX n mrtnl ( fa palese), e non t m t ( è ) , siccome scrivesi volgarmente,

donde non risulta senso alcuno.(166) «S* asside ecc. Ragionevol correzione fece qui il Reiske

al testo, che innanzi a lui cosi leggevasi: »mB/rmtr*t f i vapa- X f ip * rv t t ip fm, rS x.pfnr*i, che il Casaub. tra­

dusse , statim igitur consilio advocato , Tribunus de ejus caussa cognoscit, ed il Lipsio, Tribunus judicat. Il Reiske mutando rm in r i i fece emerger il senso che collo

Schweigh. ho qui espresso , sembrandomi assai più probabile, che tutti i tribuni si fossero uniti per dar giudizio in un affare che tutto il campo interessava, di quello che un tribuno solo con altri giudici subalterni ne avesse avuto 1’ arbitrio. — K«9 /n>r«{ -

rati rvHSpltv rS %i\i*p%» ( sedendo il consiglio al tribuno ) ,

cancellata la virgola avanti il r« , che propone lo Schweigh.,

suona alquanto duro.(167) D’ impor multe, di levar pegni. Quantunque Polibio non

dica per quali mancanze queste più lievi pene s’ infligessero, egli è da supporsi che con esse si punissero i trascorsi di disubbidienza

a’ superiori in cose non gravi ; dappoiché precede all’ annovera­se n e di siffatte pene 1’ avvertimento circa la subordinazione

militare.(168) Nerbare. Questa punizione, non capitale siccome la ba­

stonata, era il virgis ccedere de’ Romani, che Polibio espresse con p*»niySt da p t im i , sferza, nerbo. Sebbene talvolta dopo la

flagellazione percuotevansi i colpevoli colla scure ; ma ciò non

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eseguivasi se non se per comando del console, o capitano supre­

mo , conforme con VBrii testi dim ostra il Lipsio.(169) Le seguenti colpe. Queste punivansi colla m orte, ma

essendo propriamente violazioni della disciplina militare nella qua­

le i Romani eran tanto rigorosi, alla morte aggiugnevasi l’ igno­minia.

(170) Per paura . . . per timore. Tanto più se questi delitti commessi furono per tradimento e perfidia. Ma non badavan i Romani alla causa di queste azioni, sibbene alle loro conseguenze, ed al mal esempio che ne derivava ì onde in qualsivoglia caso eran essi inesorabili nel punirle, eziandio quando il soldato spinto da forza superiore abbandonato avea il suo posto | sendochè giusta la disciplina Romaba , anziché Cedere, dovea egli morire sdì luogo, siccome chiaramente disse di sopra il nostro. Quindi non è una restrizione la clausola per paura qui addotta dal nostro, siccome suppone il Lipsio, ina più presto un* amplificazione.

(171) Si lancia temerariamente. « Credo che qui alludasi al figlio di Catone Censore, che nella guerra contro Perseo re di Macedonia, caduto di cavallo, mentre rimetteasi in p iede, per­dette la spada : per riprender la quale egli si spinse fra le punte de’ nemici, e ricevute molte ferite riportolla a* suoi, conforme narrano Plutarco, Valerio Massimo , Giustino e Frontino. » Lipsio.

(172) Espediente. Questo vocabolo sembrami avvicinarsi me­glio al x t r n ( esito , scioglimento ) del testo , che non) il ratio- nem del Lipsio, ed il remedium dello Schweigh.

(173) I l tribuno. Sospetta con ragione lo Schweigh. che Po­libio abbia qui scritto i rrpanyts , il capitano , e non » %t-

, il tribuno, cui non potea competere la facoltà di rac­

coglier tutta la legione. Tuttavia, mancando ogni autorità di co­dici e di edizioni, non volli cangiar nulla.

(174) Quando cinque, quando otto ecc. Opportunamente os­serva il Lipsio, non aversi ad intendere che talvolta uccidevasi il quinto, 1’ ottavo ecc., ma che secondo il numero de’ delinquenti i giustiziati erano tanti, o tanti. Del resto nota il medesimo, co-

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me a’ tempi degl' Imperadori, quando la disciplina militare era meno severa, levavansi a sorte per siffatte punizióni il vigesimq, ed eziandio il centesimo.

(175) Così ottiensi ecc. Gl’ interpetri ed i comentatori hanno qui cercato il pel nell’ uovo. Le parole di Polibio sono : re Jv- rmrtt i* r i» iS-trpiS, 1 h | x m r k x i

i f l fàmrn vmt tvptwrtft&rmt i letteralmente, prendesi da que­sto costume il possibile, e pel terrore,, e pella correzione delle sciagure. Il Casaub. tradusse le ultiine parole, ut acceptum detrimentum resarciretur, la qual idea é bensì conseguenza dì quanto disse Polibio, iqa non fu da lui espressa. Il Lipsio cre­dette superfluo il rv /u rro ftir tit, e voltò semplicemente, ad cor- rectionem. Il Reiske, cui npn piacque affatto questo vocabolo , propose di sostituirvi o 3t«av*(*ÌT»i (errori,

falli ). Lq Schweigh. inclina al parere del Casaub., e scrive ut minuatur calamitatis modus, lo pertanto stimo che il nostro parlasse in generale dell’ efficacia di cotal punizione a compensar le sciagifre sofferte con nuovi atti di valore, e non ipirasse par­ticolarmente a’ danni allor r ic e t t i . Imperciocché essendo la voce cvftwrùfttj» da Polibio il più delle volte usata nel senso di cala­mità e sfortunati eventi : la correzione operarsi dovea in tutti i Sinistri accidenti che potessero in appresso polpire gli eserciti che male pugnassero, non in quelli soltanto che aveano data occasione alla terribile pena di cui ragionasi. Sembra aver ciò compreso il Lipsio, che parlò di correzione universale, senz’ aggiugnervi altra deterrpinazione; quantunque egli non abbia sufficientemente atteso al vero significato della parola che segi^e a quella nel testo.

(176) Asta gallica. Ifo creduto di dover aggiugner all’ asta la

qualificazione del paese che a lei fu patria; dappoiché y tiin t che qui leggesi era la lancia de’ G alli, conforme dimostrammo nella opta 91 del secondo libro.

( '77) Coppa. la chiama Polibio, e patera gl’ interpo­l i latini : specie di bicchiere secondo Varrone de l. I. ìv , cosi chiam ato, eo quod pateat, perciocché è aperto , come Io sono peli’ appunto le nostre coppe o tazze. Se ne servivano

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gli antichi, giusta il testé citato autore , ne’ pubblici conviti per far girare la bevanda , e ne’ sacrifici! per offerir il vino al Nume. Era dessa talvolta un nobile dono che facevasi a’ duci' valorosi, ed eziandio a’ re ; ma allora la materia pure era pre­ziosa. Cosi regalò Scipione il re Massinissa d’ una coppa d’ oro ( lib. x x x , i5 ) , ed Emilio Paolo donò ad Elio Tuberone una tassa d’ argento dopo 1’ esito felice dell’ ultima guerra Macedoni­ca ( Plutarc. nell’ EmiL p. 370 ). Ha gli amici pure eransi di cotesti vasi fra di loro cortesi Quindi Orazio ( Od. ìv , 8 ) an­novera le patere fra i ricchi presenti che facevansi a’ compagni, mettendoli perfin a paro de’ laudati lavori de’ Parrasii e degli Scopa. Nè presso i Romani soltanto vigea quest’ uso, ma presso i Greci ancora, siccome apparisce da Diogene Laerzio ( in Tha- lete ), il quale riferisce aver certo Àrcade lasciata una patera con

ordine di darla al prìncipe de’ sapienti, e da Plauto, che nell’An­fitrione ( Act. 1, Se., 1, v. io 5 ) fa dir a Sosia, che il suo S i­gnore dopo 1’ espugnazione di Tebe consegui in dono una patera d’ oro. Anche fra i Persiani riscontrasi siffatto costume, narrando Eliano ( var. hist. 1 , 3a ) aver Artaserse insieme con altri doni impettita una patera d’ oro ad un ta le , che l’ ebbe accolto con singoiar cortesia. Riflettendo pertanto al. gran conto in che tenessi cotale suppellettile, e com’ essa era riservata per onorarne i più alti personaggi: io non posso, non assentire a’sospetti del Lipsio, che o (braccialetto) abbia scritto Polibio; dono

che faceasi eziandio a’ gregarii, siccome ne fanno fede T acito , P linio, Festo ed altri. Nè mi persuade ciò che dice in contrarioil Gronovio; sendochè dagli esempli eh’ egli adduce risulta pel- 1’ appunto la rarità di cotal dono, e la dignità de’ subbietti che n’ erano fregiati. - Non era tuttavia la Fiala sempre un vaso ad uso di bere, siccome osserva Ateneo ( x t , p. 5oo ) , citando al­cuni luoghi d’ O m ero, ma talvolta una semplice caldaja.

(178) Chi in battaglia schierata ecc. Questi, se era il primo a vincere, ricevea dal capitano un’ asta pura , così chiamata se­condo Varrone presso Servio (A£neid. v i , v. 760), perchè non avea ferro , ed indicava, a detta di Festo, la pace che mercè

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del valor si conseguile. Di questa specie non. seirìbra essere stata 1’ asta poc’ anzi dal nostro . rammentata , con cui avanti i suoi tempi usavasi di premiare le prodezze fatte negli spontanei af­fronti. — A questi doni aggiugne il Lipsio (1. v , dial. 17) i ves­silli fregiati d’ uno o di più colori, talvolta tessuti d ’ oro.

(179) Unti corona d oro. Questa era la corona così detta mu­rale , che dal nostro solo apprendesi essere stata d’ oro. A. Gel­ilo , che tutte le corone esattamente descrive ( v , 6) non dice di qual materia fosse, ed il Lipsio ( L e . ) con molti testi dimostra che qualsivoglia egregia fazione con aurea corona si premiava. Anzi fra i molti doni eh’ ebbe pegl’ incredibili suoi tratti di va­lore quel L. Sicinio celebrato da Vairone, Dionigi d’ Aliqarnasso, A. Gellio, e Plinio, distingue Valerio Massimo ( I I I , 2, 24 ) le otto corone auree dalle tre murali. La più nobile di tutte era 1’ ossidionale contesta di gramigna, e non davasi se non se a chi salvato avea tutto 1’ esercito assediato ( Plin. x x i i , 4 ). L’ ebbe Q. Fabio Massimo nella seconda guerra Punica, per aver scam­pata Roma dall' assedio. ( A. GelL, Plin. 11. cc. )

(180) Similmente ecc. A costui davasi la corona civica, fatta di foglie di querce o di leccio. Secondo Massurio Sabino presso A. Gellio non bastava per ottenerla d’ aver salvato un cittadino, ma era eziandio necessario d’ aver ad un tempo ucciso il nemico.

(181) Coloro che furono salvati ecc. V ha qui nel testo qual­che confusione, dipendente, per quanto a me sembra, non dalla mancanza o trasposizione d’ alcune voci, che i cementatori in vario modo ingegnansi di supplire e d’ ordinare, ma da una delle solite negligenze di stile che in Polibio riscontransL Ol n %•*>&(-

, scriv’ egli, Ttùf , i* t /tir txitTtt a-aimnf ilS* fin, x f / ta tr t t rvtMyKu^avfi 7»» r ir» tr» rrt(p*ttu 1. Dove

ogni oscurità svanirebbe, se dopo «-«Stira; si leggesse, iti* ftì

i x i i r t f tratSrm , xfi'ixiTtt s. r . A. , se noi fanno di buon grado, giudicando ecc. Cosi la intese Lipsio, che tradusse: Tri­buni cogunt servatos ( nisi id quidem ultra faciant ) ecc., e cosi ho io volgarizzato questo passo, il di cui vizio sta nell’ an­titesi /t ir - 3 t , che mal a proposito usò l’Autore. - Nè era caso

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raro , che un soldato per tal guisa dalla morte liberato i malin­cuore coronasse il suo salvatore, ed in luogo di padre il tenesse, conforme osserva Cicerone (P ro Cn. Plancia xxx) colle seguenti parole: A t id etiam gregarii miìites faciunt inviti, ut coronarti dent civicam , et se ab aliquo servatos esse fateantur : non quo turpe s i t , protectum in acie hostium manibui eripi ( nata id uccidere, nisi fo r ti viro et pugnanti cominus, non potest ) , sed onus beneficii reformidant, quod permagnum est , aliena deberi idem qux>d parenti. Tanto è proprio agli animi grandiil beneficar altrui per amore del bene, é per desiderio di glo­ria : e tanto è natura de’ vili 1’ arrossire de’ beneficii ricevuti.

(183) Ne’ siti più cospicui. Questi erano gli atrii e le porte slesse delle case dove affiggevansi. Ed in sì gran conta tenevansi da’ Romani coteste spoglie, che una legge rapportata da Plinia ( xxxv, a ) vietava di levarle a coloro che comperavano le case nelle quali erano appese. Così i rostri delle navi che decaravanil vestibulo della casa di Pompeo, non solo non osò di toglier Antonio che di quella casa come partigiano di Cesare s’ era im­possessato , ma vi esistevan essi ancora, per relazione di Capito­lino , a’ tempi de’ G ordiani, i quali come discendenti d’ Antonio, n’ erano padroni.

( ■83) Di stipendio ecc. Non sempre i soldati Romani erano stipendiali, m a, a detta di Livio, ( rv , 5g ) incominciaron ad esserlo dopo la presa d’Anxur ( poscia Terragna ) , quando pri­ma di quel tempo vi supplivan col proprio.

(184) Due oboli. Un obolo era la sesta parte d’ un denaro , quindi due oboli la terza. Adunque lo stipendio de’ centurioni, che ascendeva a quattr’ oboli per giorno, era pari a due terzi di denaro, ed i cavalieri che ricevean una dramma, cioè poco meno d’ un denaro, dovean esser in maggior considerazione d ie non i centurioni. Giulio Cesare, secondochè riferisce Svetonio ( Caes. cap. 26 ) , crebbe del doppio gli stipendii m ilitari, e Domiziano ( ld . Domit. c. 7 ) vi aggiunse quindici assi, e poscia , siccome hassi da Zonara, altri venticinque denari al mese, per modo che ridusse lo stipendio mensuale del soldato gregaria « cen­

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to (*) denari. - Qui non posso far a meno di notar un errore dello Schweigh. Il denaro , die’ egli, a’ tempi di Polibio , Talea sedici assi, conforme riferisce Plinio (x x x m , 3 , i 3 ) ; adunqu'e due

oboli, eh’erano la terza parte del denaro, corrispondevano rigoro­samente a cinque assi e un terzo. Ma dimentica 1’ anzidetto com­mentatore , che secondo lo stesso Plinio (1. c. ) , il denaro negli Stipendii militari non fu mai considerato superiore a dieci assi; quindi la terza parte del medesimo agguagliava tre assi e un terzo, e Giulio Cesare, aumentati avendo del doppio gli stipen- d ii, a sei assi e due terzi debbe averli recati, e non a dieci e due te rz i, siccome dat suo calcolo risulterebbe. Che se i soldati su­bito dopo la morte d’ Augusto ammutinarono, e chiesero che il loro stipendio da dieci assi cresciuto fosse a un denaro, ( Y. Tacit. AnnaL i, 17 ) ciò dee comprendersi per m odo, che i

dieci assi che ricevean sotto Augusto corrispondevan all’ incirca a’ sei assi (**) e due terzi ( propriamente a 6 ma picciola è la differenza) accordati da Giulio Cesare, sul ragguaglio di 10: 16, e che per conseguente Augusto non avea fatto aumento alcuno , non dicendo Svetonio a questo proposito ( Aug. c. i g ) , se non se: Quidquid autem ubique militum esset., ad certam stipen- diorum praemiorumque formularli adstrinxit ; locchè significa soltanto , eh’ egli ridusse tutt’ i soldati dell’ impero ad un deter­minato stipendio, quando innanzi a lui v’ avea qualche arbitrio in siffatto particolare.

(*) Questa somma r isa lta dal seguente computo :

6 i/4 assi c iv il i , pari & io m ilitari, accordati da G. Cesare , form ano almese 3oo assi militari , o .............................................................................deoari So

i 5 assi il giorno, aggiunti da Domiziano , sono 45o assi al m ese, pari a » 45

A ltra giunta mensuale fa tta da D o m iz ia n o ......................................................... » *5

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Somma denari 100(**) Coti la iotese il D aT anzati, la di cui postilla a questo luogo è degna

d’ essere tra sc r i t ta : « II denario , sono sue parole , per lit guerre f u aliato

da* dieci assi «* ted ic i, E pure i soldati toccavano i soliti dieci assi per un de­

ttano il giornot ed erano cinque ottavi d i denario (adunque assi 6 i /4 ) a ll' e f ­

fe tto t cioè a l comperarne le cose che a proporzione eran salite d i pregio, »

PO L IB IO 5 tomo III. 2 2

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(185) Misuranti ecf. Nolla panatica pure yeggiam osservata frai t a l i ed i cavalieri la slessa proporzione che osservava?! negli stipendii. Il salario del cavaliere tre volte superava quello del fante, e tre volte maggiore era la misura del frumento , che ri- ccvea il prim o, di quella che percepiva il secoudo, esseudo a/3 : a =5 i ; 3. È probabile altresì che » centi\rioni, siccome ot­tenevano lo stipendio doppip de’ fanti , così ricevessero, uno st:;j<\ e un teyzo dì frumento.

(186) Sette staj.a tT ano. Questo serviva d’ alimento, a’ cavalli, ma talvolta davasi in si\a vece danaro , appellate^ da Fritto hor-t dearium. I cavalieri (legli alleati riceveaq m eno, co&i d’ orzq corpe di frum entp, perciocché minor era, la loro dignità.

(■87) E dannosi■ a’ sopii gratuitamente. Quindi può arguirsi , che i socii servissero senza sùpegdio, o fossero pagati dalla na­zione cui appartenevano.

(188) Se abbisognino. In questa rubrìca h da credersi che si comprendessero le carni e gli altri cibi m ilitari, e. forge trasse da questi lo stipendio in greco il nome di i n t i n t i : che ì ^ m sì-t gnifica cuocere.

(189) Come; la tromba. I l testo ha tltti 7* w fv l t t tiptjtn ( come prima ha (Iato il segno ) : dove manca il sostantivo, e si sottintende la tromba. Il perchè è difettosa la traduzione degli interpetri latini : simul datum esi primum signum. Ammiano Marcellino ( x x iv , 1 ) chiama questo, itinerarium sojiarp m a nelle eia anteriori dicevasi vas$ conclamare , o semplicemente

conclamare { Cja$s., B. c>v. i , 66 , j 5 ) , quasi gridare, perchè si unissero le bagagìie.

(190) Distese. Cioè l'una presso l’altra (che questa è la forza di , quasi tf* j ’aAAijA*») , per moc^o che venivan a formare una fronte sola , marciando nella direzione delle file ,o , come si dice oggi, in colonna , ed avendo ciaschedun upov> la faccia voltata al tergo dell’ altro.

(191) A sinistra. Tl'ig eurml* , propriamente dalla parte dello scudo , che portavasi nella mjinq manca , siccome a destre\

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è significalo per m*fk ii fw, thil/fl paH* del fa lancia, eh? bran­

ditasi sulla mano diritta.

(193) Mandano innanzi. Pei’ {àrsi una idea precisa di questi rivolgimenti, non sarà inutile di tracciar la seguente figura.

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v

s a s

✓ / »

/a s a JP^spSp

sss I giumenti messi alternamente colle insegne. aaa Le insegne degli Astati , collocati nella parie minacciata dal

nemico.ppp Le insegne de’ Principi dietro gli Astati.tu Le insegne de’ Triarii dietro i Principi.nnn Ordinanza de’ nemici 'che assaltai» 1’ esercito di fianco.

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Tal essendo la posizione de’ vani co rp i, di leggeri compren- desi com e, affacciandosi il nem ico, svolger possansi in brevis­simo tem po, serrarsi e lasciar dietro a sè tutte le bagaglie ; pie­gando nel girare, 1’ una a destra, 1’ altra a sinistra, affine di non impacciarsi ne’ contemporanei movimenti, e cangiando cosi, nel mettersi un uomo accanto all’ a ltro , il fianco in fronte.

(ig 3) Tutto il corpo di grave armadura ec. La leggera, cioèi Lancieri, o Veliti, che nelle marce precedevan l’esercito, quan­tunque Polibio non ne p a r li, nel caso d’ una sorpresa, accor­reva tosto e ponevasi innanzi alla nuova fronte senza schierarsi, onde nojar e provocar i nemici.

(ig 4) Ove oltre a cib ec. Comparendo i nemici nel fianco dove- marciavan i T ria rii, doveano necessariamente gli Astati , che i primi sempre appiccavano la fcuffa , staccarsi dall’ altro fianco, e collocarsi nella fronte. Che se i Principi ancora avean ad entrare nella mischia , era d’ uopo che scambiassero il loro sito co’ T riarii, girando questi e mettendosi dietro gli altri : loc- chè ragion vuole che così fosse, quantunque Polibio noi accenni, siccome additò il rivolgimento degli Astati.

(ig5) Accamparsi. Mi sono strettamente attenuto al senso del verbo greco che i Romani esprimevano con

melari, castra metari, quasi prefiggere , destinare la meta ed il confine del luogo da occuparsi ; e cotesta voce fu eziandio ap­plicata alle campagne , ed a’ fondi degli edifici!, e metaforica­mente anche al tempo e ad altre cose, siccome ne insegna il Lipsio ( 1. v, dial. i2 ).

(196) Una insegna. Non già di quelle che portavansi innanzi ad ogni drappello , ma un panno de’ colori che tosto dirannosi, per servire di segno all’ uopo divisato.

{197) N el lato prescelto alla collocazione delle legioni, che altrove chiama il nostro fronte del campo, dove aprivasi la porta decumana.

(198) Lungo la quale ecc. Cioè quella che fiancheggia le le­gioni , situala ad angolo retto sulla linea testé denominata lato prescelto.

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(igg) Del Pretorio. Nel testo è semplicemente t r i

( dall’ altra parte ) ; ma giudiziosamente vi aggiunse il Casaub.. nella versione, in ciò seguito dallo Schweigh., Prattorii ; inten dendosi per cotal parte lo spazio dov’ erano alloggiati gli Scelti a gli Straordinarii. Il Lipsio tradusse , ad latera ( a’ fianchi) : m ale, significando 3-Artp»w uno de’ lati diverso daW altro. Nè

c’ induca in errore 1’ articolo plurale rìt f imi Stirip*, il qtiale

ìndica la moltiplicità degli oggetti anziché quella de’ nomi, non altrimenti che si direbbe in latino : qute ad alterum latus sunti Senzachè nulla v’ avea di particolare a 'la ti del campo che do­vesse con appositi segni esser distinto dalle parti centrali.

(aooì In generale, in qnal quartiere della città. - In parti­colare , in quale strada, ed in qual punto della medesima..

(201) Teoria. Ho qui conservato il vocabolo greco Btmp/x , che in questo luogo esprime dottrina, complesso di precetti, e non è abbastanza spiegato dalla ratio de’ traduttori latini.

(aba) Milizia romana. Il testo ha a-ipi rx trrfxróirtJx ( intor­

no agli eserciti), che sono le cosè appartenenti alla guerra', tll maneggio ed alla condotta delle forze armate.

(no3) Della Mantinese. Eliano ( Var. h ist 11, aa ) dice che giustissime erano le leggi de’ Mantinesi, non meno che quelle de* Locri ( Epizefirii nella Magna G recia, eh’ ebbero a legislatore Zeleuco), de’ Cretesi, e de’ Lacedemoni]. Secondo Aristotile e Massimo Tirio era la loro repubblica un’ Aristocrazia.

(ao4) Quelle ometto. Non omette pertanto Polibio , fra le re­pubbliche da lui annoverate, se non se la Mantinese; quindi è a credersi ehe altre ancora ne abbia nominate, che poscia noti descrìsse, una delle quali fu forse quella de’ Locri. Il Reiske ha creduto che il t x v t x s si riferisca all’ Ateniese ed alla Tebana, e

cosi lesse: ty à i i r x i r x t ptit t S , ri» Aàntxt'it G>n&x(- 1* , xi «v trXiv. r i k. r . A. ( Io queste ometto, (cioè) 1’ Ate­

niese e la Tebana, le quali ec. ). Ma fatto s ta , che Polibio non le trasandò altrim enti, benché poco sopra esse s’ intertenga.

( 2 o 5 ) Pareva lor ec. A t x i v r r x t a x . f i t u « « « f t i x x t i r x t in -

rti^iì» (sembl'avan allora e nell’ avvenire esser felici); le quali

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parole, essendo preceduta dalla forrtiota r i J i fny i f in t* ( eie*

che dicesi ) , debbono esser un modo proverbiate , elle io' tni som ingegnato di rendere con un altro simile italiano , riducendolo eziandìo a verso, a più esatta imitazione del Greco.

(206) Favoriti ec. I Lacedemoni, estendendo pazzamente la loro ambizione fuori della G recia, fecero una grossa spedizioneili Asia contro i Persiani, e lasciarono la patria sguernita de" mi­gliori suoi difensóri. Laónde fórmossi Contro di loro una cospi­razione di tutti i Greci, che la lorb prepotenza aveè offesi, ed

Agesilao richiamato col suo esercito, potè a grande sterito per qualche tempo sostener l’ onore delle armii Spartane. Ma vinti in una battaglia navale dagli Ateniesi e Persiani comandati da Co- none, ed assaliti poscia da’ Tebani sotto gli ordini d ' Epaminon­da, provarono gli amari frutti della loro stolida condotta, e del- 1’ odio de’ Greci. V. Senofonte, Diodore r Cornelio Nepote , Plutarco.

(207) Non il governo ma gli uomini. Quindi ebbe a dir Cor­nalo Nepote ( Epatnin* nel fine ) , che Tebe avanti Epaminonda e dopo la sua morte ubbidì sempre a stranieri ; laddove , J i- naitantoch' egli governò la repubblica, fu dessa la prima città della Grecia. Donde poteasi comprendere, come un uomo va­lesse più di tutto' lo Stato.■ (2o8-} Una nwtaiiowe in peggio. Questa avvenne alloppiando, debellati i Persiani, gli Ateniesi ed i Lacedemoni, contendendo pel primato della Grecia , straziarono vicendevolmente pel corso di circa treni’ an n i, finché riuscì agli Spartani condotti da L i­sandro d’impossessarsi d’ Atene. Sul qual argomento aggirasi quasi tutta la storia di Tucidide.

(309) Imperciocché il popolo i t Atene ecc. L ’ andamento de­gli altari politici fu già sovente paragonato’ al corso d’ una nave, e sublime sovra le altre è 1’ allegoria del vascello della repub­blica in mezzo alle onde procellose delle guerre civili nell’ ode d’ Orazio che incomincia :

O navis referrent in mare te novi Fluctus ecc. (Carni. 1. od. i 4 )•

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Mei qdal sènso chiamò Dante l’ Italia lacerata da fazioni ; Nave senza nocchiero in gran tempesta ( Purgai, v i , v. 77 ). Nobi­lissimo altresì è il quadro che traccia Cicerone ( Pro Sextio, 20 ) della repubblica romana salvata pel generoso sacrificio eh’ egli fece di sè stesso alli sediziosi, nella forma d’ una nave che, per­duto il timone, nuota in allo inare a grado delle tempeste, e da molte armate ostili assalita , non ha altro scampo che nel getto d’ un uomo solò. Ma imagine più v ita delle agitazioni d’ una moltitudine dominante, nod pdò vedersi di quella che éi offre Polibio nella presente còmparaziohe.

(310) Negli ozii irhperturbdli. Il testo ha i t u r i f i n Arti t p irrtitu is , che lo Schweigh. tradusse, in faciliimo rerum cur- su. Ora è pxrrAni interpetrata da Esichio rfvtpì, , ùim- trmln f , delizia* dilètto , riposo, ed a siffatti sostantivi che io

ho raccolti nel Vocabolo ozio , molto bene s’ accomoda 1’ epiteto kviftrr*T»t , privo di sciagure, imperturbato ; ma facilis rerum. cursus indica bensì la derivazione di da pArttt Siipef-

lativo di ( facile ) , non presenta tuttavia 1’ idéà cbnipiuta

dell’ espressione Polibiana.(311) Senza motivo. Ciò non pertanto Cicerone, da quel gran­

de uomo di stato eh* egli e ra , ci addita nell’ orazione prò Fiacco c. *) la ragione di questo procedere. Allorquando, die’ egli, tio- iniui imperiii, privi d1 o'giil cognizione sederan in teàlrò ( dove teneansi le ragunanze popolari ) , imprendeva/i essi guerre inu­tili , meitevan al comando della repubblica uomini sediziosi, é l cittadini pili benemeriti cacciavàn ih bando. Ed a questa smoderata libertà e licenza de’ congressi popolari attribuisce uni­tamente 1’ Oratore romano la caduta delle repubbliche Greche, è singolarmente dell’ Ateniese'.

( i 13) Eford. Le principali cose che scrisse questo storico in­torno alla repi/bblica de’ Cretesi leggonsi in Strabone ( i , p. 48o é segg. ). Fiatone ( de tegib. 1 Opp. T. 3 , p. 6 3 1 ) dice eh’ eguali erano le discipline de’ Cretesi e de’ Lacedemoni circa la voluttà ed il dolore, circa i pubblici banchetti e gli eserctaii ginnastici, ed asserisce che iholtiss’iirio eran Iodati da tutti i Greci. - A

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detta d* Aristotele ( Pofit. n , io ) le istituzioni de1 Lacedemoni . molto s’ avvicinavano a quelle de’ Cretesi, ma nella maggior parte delle cose eran i secondi men culti. - Senofonte non trovo che > lodata avesse la repubblica de’ Cretesi, nè che la riputasse simile a quella de1 Lacedemoni ; sibbene nell’ introduzione al Trattato della repubblica di Sparta riferisc’ egli, che Licurgo non imitò punto gli altri stati, ma che stabili cose alla maggior parte di questi contrarie.

( a i3) L' acquisto del danaro. Non solo perchè i migliori codici hanno Kr«m ( acquisto), ed il solo mediceo rlftnnt (esti­

mazione ) , hassi a preferir il primo vocabolo al secondo, con­forme sostiene lo Schweigh., quantunqu’ egli abbia adottata nel testo la lezione meno approvata ; ma soprattutto dee ciò farsi peril senso più ragionevole che ne risulta. Conciossiachè le gare del più e del meno aggirinsi più prossimamente circa l'acquisto delle dovizie, e , dove queste son in pregio , 1’ estimazione n’ è la conseguenza più remota.

(214) Vecchi. Scrive Senofonte (de Lacedsemon. republ. c. io ) , che Licurgo ponendo i vecchi ad arbitri della fortezza dell’ ani­mo , fece s ì , che la vecchiezza fosse tanto più onorata della ro­bustezza de’ giovani, quanto le gare degli animi sono da tenersi in maggior conto che quelle del corpo.

(215) Vamor di turpe guadagno e Tavarizia. Inconseguenza di questa sciagurata passione eran essi reputati falsi e menzogneri; onde ( cretizzare, farla da Cretese) era presso gli altri

Greci sinonimo d’ ingannare, conforme abbiamo da Esichio, e Polibio ( v m , 21 ) , parlando di tale che argomenta vasi di trap­polar un furbo, disse eh’ egli non sapeva come cretizzava con un Cretese. - È pertanto da sapersi che i costumi de’ Cretesi non furono sempre tanto malvagi, ma che avendo essi in tempi re­moti ubbidito ad ottime leggi, imitate da altri popoli, degene­ra rc i in appresso, siccome osserva Strabone ( x , p. 477 ) 1 e dopo i loro tiranni, che infestarono i mari della Grecia, si die­dero ad ogni sorta di rapina e di latrocinio. Per tal modo con­ciliarsi possono le contrarie opinioni che intorno a questa nazione

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ebbero il nostro ed i gravissimi antori da lui citati Reca tuttavia maraviglia, carne Polibio dissimulasse questa differenza , e spac­ciasse i Cretesi per scellerati in tutte le età. - Sovrattutto non

sono da tacersi i bellissimi loro provvedimenti per addestrare la gioventù alla guerra, ne’ quali furono singolarmente oggetto di emulazione agli Spartani, a tale che Aristotile ( Polit. v ii, a ) non dubitò d’ affermare che in Lacedemone ed in Creta quasi tutta l’ educazione e tutte le leggi miravan alla guerra. E perfino 1’ amore , conforme narra Ateneo ( xm , p. 5 6 1 ) , diressero amendue le nazioni a siffatto scopo, avendo instituito che innanzi alla battaglia a Cupido ed a Marte si sacrificasse, e volgendo la pederastia da’ piaceri brutali ad esercizii di valore nelle pugne e nelle cacce. ( Strab. x , p. 484 )•

( a i6) Essenza. T iti Jutiptis , propriamente le facoltà , che

il Casaub., seguito dallo Schweigh. tradusse form a. Siccome pertanto essenza è il principio delle proprietà naturali che sono in alcuna cosa, e dond*emana ogni sua attività, così ho creduto siffatto vocabolo più acconcio ad esprimere ciò che costituisce la particolar condizione d’ un governo, e la forza che in esso risiede.

(217) I costumi e le leggi. Secondo il ragionamento di Polibio questi due cardini della felicità politica dovrebbono sempre andar -del p a r i, e tuttavia suppone il più delle volte l’uno il difetto dell’ altro. Dove incorrotti sono i costumi, poco è mestieri del riparo delle leggi, perchè rari vi sono i delitti ; e dove i primi mancano, le seconde al tutto rendonsi inutili, perciocché la cu­pidigia , ajutata da’ raffinamenti sociali , deluder sa le più savie instituzioni. Il perchè, quantunque le azioni, così pubbliche come private, seguano sempre la natura de’ costumi, non è altrettanto vero che le leggi abbiano sopra d’ esse lo stesso im pero, e con ragione esclamò quell’ antico : Quid vana: sine moribus leges proficiunt ! - Posson adunque le leggi de’ Cretesi essere state ec­cellenti , siccome lo erano infatti , e non pertanto gl' individui ed il governo, per la non osservanza di quelle, aver avuta una condotta scellerata.

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(218) Artefici scenici. Nel testo è soltanto 7tg»/7« r j ma, sic­

come qui trattasi di pubblici spettacoli, còri tiriti può questo nome riferirsi ; che ad artefici destinati a siffatta rappresentazioni. Cosi erano quelli t che il nostro ( i v i , a i ) e Diodoro ( ir , 5 ) chiamano 7*»r m fi Tot A iiie r ti n ^ i / r » ( , i cantanti e balle­

rini nelle feste di Bacco.(319) Che non eserciti là professione. Siffattamente ho cre­

duto di tradurre t* ìf y* fin >t>iftnpiirevt, non attribuiti, non assegnati ( a chi ha l’ ifripresa de’ gittocKi scenici o atletici ); ta# essendo la forza del verbo t i f in t , che molto mi sorprende noft aver compresa il R eiskeiriccom ’ egli stesso confessa. Il Càsattb'.

6 lo Schweigh. voltarono , qui in album non fueriitt recepii ( coloro che non furono inscritti bel ròlo ) , e 1’ ultimo per di­fendere questa interpretazione cita Svetonio ( in Nerorie d à i ). Io ho badato più alla cdsa che alle circostanze che 1’ accompa­gnano, e mi sono studiato d ’ esprimerla colla frase più -usitata nel nostre* bùlgare.

(2Ì20) Ove pria. éc. Adn sdlo cdtesto argomento negativo a posteriori, cioè il difetto d’ esperienza , è contrario alla repub­blica di Platone , ma a priori àncora, vale a dire per forza di ragionamento, possono dimostrarsi assurde, antisociali, ed ezian­dio perniciose a’ buoni costumi molte leggi di questo filosofo. Sulle quali non è ora mio proponimento d’ interténermi , e ba­sterà addurre come saggio il bando dato a’ poeti, tsta ter utili al- 1’ incivilimento ne’ primorldii della Soèielà , e la comvtaioùe dei matrimoni! , per etti Óltre al pudor'è, parte tanto principale d’ ogni domestica è pubblica v irtù , viensi a togliere il dolcissimo affetto e la necessaria autorità di padre e di marito , e si con-1 foudono le proprietà distruggendo le successioni.

(aa i) Lo stesso faremmo ec. Ogni tfual volta Polibio metter vuole in piena luce qualche importante verità , si serve egli di comparazioni calzantissime , siccome fin qui spesse fiate avemmo occasione d’ osservare. Non è questo 1’ ùltimo de’ suoi p reg i, e grandemente aggiugn’ esso all’ evidenza delle sanissime riflessioni

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di Cui è si riccamente sparsa tutta la sua opera. Nessun altro storico, per quanto io Sappia , lo iggUaglia in questa parte.

(sa i) Ma al conquisto ec. Lungi dal provveder a queste co­se , e’ sembr’ anzi che tutto il contrario Licnfgo contemplasse, ben conoscendo , da quell’ egregio politico eh’ egli e ra , coinè il Valore d’ una libera nazione nelle discipline militari allevata, non trovando pascolo al di fuori , suscita interne turbolenze. Così divenne il conquistare un bisogno pella nascente repubblica roiilana , ed il rimedio da lei opposto a’ tumulti civili le fu ad uh tempo strumento di grandezza.

(2^3) Per venderli schiavi. Intorno alle guerre de’ Lacedemoni co’ Messenii vedi la nòstra annotazione i£o al libro ìv e gli autori colà citati. Tròppo grave pertanto sembra quest’ accusa di Polibio contra gli Spertahi , i quali dapprincipio per vendicare1 ingiuria fatta alle loto vergini, poscia per odio inveterato re­carono tanta strage a’ Messenii.

(224) Nella pace fa tta ec. Leggasi su qttesta paté quanto al>- hiara scritto nella nota undecima al primo libro.

(435) Ritorni e tragitti. Verbale traduzione di iwxtiJtvs *«} xttfXKtftiSis , e da preferirsi , secondochè io credo, alle para- frastiche versioni del Casaub. e dello Schweigh. ; il primo dei quali scrisse, et domum ipsi repetere , et res necessaria! ad- vehendas curare. Non è pertanto seilza grande probabilità 1’ o- pinioile dello Schweigh.; che « significhino i ritorni per te rra , e tntp**apti cT*< i passaggi per mare ; dappoiché « in &

sempre via terrestre j e *ap»*»(tiSn fu parecchie volte dal

nostro usata nel senso di tragittò d’ un fiume o del mare. Ma perchè non tradurre con maggioi' proprietà e fedeltà al testo : reditus et transvecliones ?

(226) Ma poiché ec. Per quanto Licurgo ( Vedi sopra la nota 242 ) prevedesse che i suoi Spartani estese avrebbono le lord armi oltre il proprio territorio per soggiogar altre popola­zioni del Peloponneso, nel qual caso, siccome asserisce Polibio, bastar loro potean i proprii mezzi : non imagmavasi egli, dover ua di giugner a tanto la loro ambizione ed avidità , che agli

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altri Greci più remoti recata avrebbono la guerra , con animo

di conquistarli ; supponendo forse, che le severe discipline eco* nomiche , cui gli avea assoggettati, distolti gli avrebbe da cotali

imprese.(227) A l conquisto del principato della Grecia. Ciò avvenne

allorquando conquistaron Atene , e spinsero le loro mire fuori dell’ Europa. ( V. la nota 206 ).

(228) La signoria d’ Italia. Era l’ Italia a’Romani ciò che il Peloponneso a’ Lacedemonii ; colla differenza che questi pegl’ m- stituti del loro governo non avrebbon dovuto militare oltre la mentovata penisola ; laddove i Rom ani, avendo le leggi più lar­ghe , agognar poteano al dominio universale. '

(229) La repubblica de’Cartaginesi. Aristotile (Polit. 11, n ) pronuncia questa repubblica , e la Cretica , e la Spartana affini fra di lo ro , e di gran lunga più buone delle altre. Tanta egli pertanto nella Cartaginese 1’ eccellente costituzione del popolo , per modo che non v’ insnrse mai sedizione d’ alcun momento , nè vi alzò capo un tiranno ; ma è da lui biasimato il soverchio rispetto che nell’ elezione a’ magistrati aveano pelle ricchezze , quantunque non negligessero la virtù.

(230) Regi. Non sono questi da confondersi co’ Suffeti dei tempi posteriori, di cui ciaschedun anno eleggevansi due , sic­come a Roma i consoli ( V. la nostra nota 112 al libro terzo); sibbene erano i più antichi creati a vita , non altrimenti che quelli de’ Lacedemonii, colla differenza soltanto che in Isparta non prendevansi se non se dalle due famiglie degli Eraclidi , quando in Cartagine non si faceva distinzione di famiglie.

(231) Consiglio de’ vecchi. Era questo presso i Cartaginesi diverso dal Senato , conforme apparisce dal lib. x , c. 18 , dove la loro •ytplvxrtx è manifestamente distinta dal riyxXnTtt. Qui

appella Polibio questo consiglio y tp i t r t t i , e Senofonte (d e La-

cedaem. rep. 10 ) , il denomina yipurf» , eh’ Esichio spiega

rirrnpta ytpétrtit , corpo de’ vecchi.(232) Pratica. Lo Schweigh., cui parve che un fatto qualun-

*Iue ( quaoque res gesta ) potesse bensì aver un incremento ed un

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apice , ma non già un deperimento , volle cangiar in

, dando al secondo di questi vocaboli il significato che

gli dà Aristotile , appunto dove parla della repubblica de’ Car­taginesi , cioè di costituzione , ordine. Ma , se cosi fosse , non gli avrebbe Polibio fitto precedere x«A iri/a ( governo ) , che

non ha senso diverso da quello delle voci anzidette. Io pertanto credo che abbiasi a lasciar il testo intatto, ed intendo per

, non un fatto qualunque , ma un trattato , maneggio , negozio, siccome la Crusca spiega pratica nel § a , in cui cade benissimo un rallentamento , e una diminuzione di vigore, al-

. lorquando s’ avvicina all’ esito.(233) Sfioriva. Questo verbo, se non vò erra to , rende per­

fettamente l’ imagine del ntpn*pt*£t che leggesi nel testo , ed è

molto più espressivo del senescebat (invecchiava) degl’interpetri

latini.(234) Ed i mari frequentano ec. Allorquando i Romani non

navigavano che ne’ mari di qua dello stretto delle colonne , i Cartaginesi estendevano le loro corse marittime oltre questo ter­mine per lunghissimi tra tti, così a tramontana come a mezzodì. Se crediam a Plinio ( 11, 67 ) , giunta che fu Cartagine si som­mo della sua potenza , Annone girò tutta 1’ Africa da Cadice sino a’ confini dell’ Arabia , e pubblicò la descrizione del suo viaggio: e nello stesso tempo fu mandato Imilcone per conoscere le parti esterne dell’ Europa- Sebbene, innanzi a’ Cartaginesi, i Fenicii loro autori visitarono le coste dell’Africa battute dal mar Atlantico , e vi fabbricarono alcune città , secondochè riferisce Strabone ( 1, p. 48 ).

(a35) Usano fo rze straniere. L’immenso pericolo che córseroi Cartaginesi dopo la prima guerra punica, per essersi affidati a cotali milizie , ha Polibio descritto nell’ ultima parte del primo libro.

(a36) I l ministero nautico. T?f »eeur<*S> %pi(*s scrisse Po­

libio , che il Casaub., copiato dallo Schweigh., tradusse nautica rei scientia. Ma xpt(u non è scienza , sibbene 1’ atto pratico

( della navigazione ) ridotto ad arte pel lungo uso ; tocche , se

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non m’ inganno, non saprebbe*! meglio esprimere che con mi-' nistero ( ministerium ) , vocabolo che significa generalmente , opera , servigio che prestasi da chi esercita un ufficio.

(337) Con tutto ciò che alla pompa appartiene. 11 testo ha soltanto/csrà rtv >»»«-• 5 **rfttv , (col resto dell’ornamento},

che lo Schweigh. , accorgendosi d 'aver tradotto troppo asciutta­mente , cum reliquo caltu , spiega con amplificazione nelle no te, facendone risultar il senso che mi son ingegnato d’ esprimere.

(a38) Collocandolo talvolta ritto. Non perchè il cadavere d’ Augusto, quando celebraronsi i suoi funerali, giacea nascoso in una cassa, e vedeasi la sua imaghie di cera in abito trionfale, conforme riferisce Dione Cassio ( iv i t 34 ) , bassi a credere collo Schweigh. , che sempre fosse rinchiuso il corpo dell’ estinto. Forse fu quest’ ijs o introdotto ne’ tempi posteriori a Polibio , e

nelle persone de* Cesari osservato, siccome scorgesi dalla rela­

zione ohe lasciò Appiano ( Bell. civ. 11, *47 ) » delle esequie di Giulio Cesare, ed Erodiano ( ì v , 3 ) di quelle degl’imperatori, nell’ occasione che narrò la morte di Settimio Severo. Ma il nostra troppo chiaro si spiega, ed i costumi da lui descritti non vanno- giudicali da ciò che nelle medesime circostanze pn^cavasi nelle età susseguenti.

(33g) Seppellito. La sepoltura presso i Romani eseguivasi pro­priamente dopo eh’ erasi bruciato il Cadavere sul ro g o , e le sue ossa 4“Ue ceneri raccolse eransi deposte in un' urna, e messe iu un*luogo sotterraneo. Qui pertanto S«*ri«t è termine univer­

sale , e comprende tutte le operazioni che facevansi cpl cadavere avanti di porlo sotterra, e la sotterrazione medesima. Lo stesso senso ha il sepelio de’ L atin i, che non dee confondersi col con- dcre, terra coudere, humo mandare , corrispondenti al nostro

sotterrare.(a4o) V effigie è una maschera. Plinio ( xxxv , a ) narra

come costumanza de’ tempi a’ suoi anteriori : Expressi cera vultus singulis disponebantur armariis, ut essent iniagines qiu? comi- tarentur gentilitia funera : semperque defuncto aliquo totus aderat familite ejus , qui unquam fu e ra t, populus.

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(a^ i) Taglia. L’ idioma nostro può qui per avventura usar* vocabolo tale , che molto più della conformano figura dello Schweigh. s’ avvicina al vifixaxi) del testo , derivato da

srrii» > tagliare, e rtp \ , intorno; quasiché si considerasse il

corpo tagliato con precisi contorni, i quali gli danno determi-; nata -figura. In tanta esattezza d’ espressione è da maravigliarsi , come gl-’interpreti abbiali potuto deviare in istranissime conghiet- ture , scrivendo il Casaub. , reliquum edam truncum adjecit, ed il Reiske applicando aotal voce a non so qual circoncisione di capelli. - Nel lib. v , cap. 8 1 abbiamo riscontrata la stessa parola nel senso d’ attillatura , e fatta a quel luogo la conve­niente annotazione.' (a4?) E chi non iscuoteràP T/V *’* ut x*p*rri<r»i ? Il verbo

x-apitfititi , nel senso d- eccitare , stimolare, va costrutto col dativo della persona e coll’ accusativo della cosa ; onde leggesi altrove nel nostro , raparritrai r i i i ìppiì» , metter in alcuno fervore, impeto , Sìtpr*t, fiducia , e simili. Ma coll' accusativo della persona non può esso significare lo stesso , per modo eh’ eliiticamenté abbiasi a sottintender la cosa, siccome tradusselo Schweigh- questo passo : quem impetus ad laudem non ca~ piat ? Più semplicemente yarrà allora il mentovato vocabolo quanto animare , commuovere , scuotere.

(?43) Discesero a singoiar temone. Illustri esempli di tanto coraggio sono i tre Orazii che combatterono co’ tre Curiazii , Manlio Torquato, e Valerio Corvo che in duello uccisero i Galli insultatori del romano esercito. V. Liv. v i i , io , 26.

(244) -4 leuni in guerra ; siccome i due Decii padre e figlio. - AUri in pace ; siccome Curzio che andò a volontaria m orte, precipitandosi armato nella voragine eh’ erasi aperta nel Poro , per soddisfare al responso dell’ oracolo. (V . Val. Mass., v , 6 , 2j Livio , v i i , 6 ).

' (^45) Uccisero i proprii figli. Furono questi L. Giunio Bruto ( Liv. 11, 5 ) , e T. Manlio Torquato, il secondo de’ quali quanto era stato pietoso verso il padre che 1’ avea con soverchio rigore educato , tanto , peli’ amore che portava alla patria , incrudelì

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contro il figlio ribelle alla disciplina militare (L iv. v it i , 7 ; Val. Mass. 11, 7 , 6 ) . Credesi che innanzi a questi Postumio Albino facesse eseguir nel proprio figlio per un consimile delitto la Stessa sentenza , ed il credulissimo Valerio Massimo ( 1. c. ) il narra come avvenimento indubitato ; ma T . Livio ( ìv , 39 ) non ci presta fede, pella giusta ragione che, se questo fatto fosse vero , non i comandamenti Manliani ( Manliana imperia ) , sib­bene i Postumiani sarebbero passati ia proverbio.

(246} Mori di sua volontà. Lo Schweigh. , dissimulando ona parte della relazione di T. Livio ( 11, 10 ) circa l’impresa d’ O - razio Coclite , pretende eh’ egli siasi espresso ambiguamente su questo particolare, ed abbia scritto soltanto, rem ausum plus

James habituram ad postero3 quam Jidei ; quando queste parole precedute sono immediatamente dalle altre, multisque superinci- dentibus telis incolumis ad suos tranavit ; donde scorgesi senza ambiguità alcuna, come quell’ eroe , passato a nuoto il T eb ro , giunse sano e salvo presso i suoi. Quindi Seneca ( epist 120 ) disse di lu i; non minus sollicitus ut armatus , quam utsalvus exire t, retento armorum victricium decore , tam tutus red iit, quam si ponte venisset ; e Floro (1 , io ) riferisce che, tagliato il ponte nuotò attraverso del fiu m e , e non lasciò le arm i, la qual ultima cosa, se morto fosse , non avrebbe potuto fare. Ma più chiara è la narrazione che di questo avvenimento ne lasciò Dionigi d’ Alicarnasso ( v , p. 396 ) , secondo il quale , pervenne Coclite alla sponda di là da molte ferite aggravato , e ridotto essendo all’estremo pericolo, guari tuttavia. Il perchè ha ragione il Palm ieri, che Polibio si trova qui in contraddizione con Livio : checché dica in contrario lo Schweigh. , e non solo con Livio , ina eziandio con Dionigi d’ Alicarnasso, Seneca e Floro. Se non che potrebbe darsi che *«rìt irf§xiftrtt /cim'AA«{i

rì>> /Si»» significhi, morì , quanto alla volontà, cioè a d ire ,

non rimase per lui che non morisse ; a tanto evidentissimo pericolo si espose. Ma, comechèlo Schweigh. traducesse in questo penso , voluntarke morti se destinavit ; io ho preferita la ver­sione del Casaub., spontaneam mortem oppetiit, siccome più

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naturale ; dò mi stupisco che Polibio narri 1’ affare diversamente dagli altri ; sibbene considerata la sua esimia veracità , la minor lontananza di lui da’tempi in cui quel fatto accadde, e la somma probabilità che all’ immensa impresa soccombuto fosse quell’ ar­dito romano , anziché si salvasse : io ni' induco a credere che Coclite realmente morisse, e che ciò abbia voluto significare il nostro autore.

(247) Imperciocché fr a questi ec. 1 Cartaginesi erano lina nazione di mercatanti, ed al lucro, mercé del quale assoldavano milizie straniere, doveano i principii della loro grandezza ; quindi non è maraviglia, se con ogni mezzo 1’ acquisto di ricchezze favorivano. Ma i Romani ripeteano la loro superiorità dal pro­prio valore, il quale stimarono non potersi conservare senza una vita frugale , e l’ induramento del corpo a’ patimenti ed alle pri­vazioni : cose incompatibili col furor delle dovizie , e col lusso je colla mollezza che gli tengono dietro inevitabilmente.

(248) Cotal attentato. Allude qui Polibio alle leggi severissime de ambilu che in varii tempi furono promulgate, e con siffatto rigore osservavansi, che non vi fu verso d’ ottenerne- giammai una diminuzione. ( V. Cicer. prò Sylla, c. a i , a3 ). Ed a tanto giunse l’ orrore che aveano i Romani pella venalità nelle pub­bliche faccende, che colla legge Cincia de-donis et muneribus stabilirono 1’ anno d. R. 55g » non dover alcuno accettar dono o rimunerazione pelle cause che difendeva.

(2Ì9) Fremii opposti. Cioè a dire , i Cartaginesi premiavano colle ricchezze , e queste conducevano agli onori : i Romani ri­compensavano colla fama , e per questa sola giugneasi presso di loro a' supremi magistrati.

(a5o) Lo scrupolo nelle cose divine. scrissePolibio , che propriamente suona , timor vano degli D e i, ( V. Esichio alla voce , e colà i suoi spositori ; Plutarc.

de Superstit. Opp. T . 11, p. 164 ). I Romani ne fecero super- stitio ( V. Cicero de nat. Deor. 1, 42 ) > e cosi voltò questo vocabolo il Casaubono. Tuttavia e’ si pare che i Romani ed i

POLIBIO, tomo i h . 5*3

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Greci non sempre vi attribuissero lo stesso «enso. 1 primi , di rigida coscienza com’ erano, non distinguevano gran fatto la su­perstizione dalla religione, e chiamavano perfino religioso? , se­condo Nigidi» presso A. Gellio ( rv , 9 ) , coloro eh’ erano so­verchi nel culto de’ Numi. Gli altri , adoratori meno zelanti della Divinità , non aveano neppur un nome che precisamente a religione corrispondesse, la voce ivrifiu» che per esprimerla

usavano significando egualmente pietà verso D io , e venerazione verso i genitori, i m agistrati, i m aestri, e amore verso la mo­glie ed i figli. Laonde non deesi qui prendere n i» in mala parte , e lo Schweigh. traducendola anxiam quondam re­ligio nis curam , meglio del Casaub. accostassi alla mente del- 1’ Autore , il quale non volle al certo lodare ne’ Romani una qualità viziosa.

(o5 i) Che se passìbìl fosse ec. Quanto danno arrechino al- 1’ ordine sociale le astrazioni filosofiche sostituite alla religione , nessuna età forse più che la nostra ha sperimentato. Ma nell’an­tica Grecia ancora le sette libertine , e T ateismo pubblicani enta professato , sembrano aver corrotti i costumi, ed introdotta la mala fede, rappresentata dal nostro in questo luogo con una forte

pennellata.( i5 i ) V uno esterno. Cioè le conquiste , per via delle quali

gK stati meglio ordinati ponno condursi all’estrema ruina, quando non hanno che deboli forze da opporre al torrente devastatore che gl’ invade. Tuttavia egli è certo che la corruzione interna molto favorisce i successi delle armi avversarie, siccome la G recia, guasta dal mal costume e rilasciata ne’ suoi ordini civili, venne di leggeri sotto il giogo de’ Romani , ed i Ronfani a vi­cenda , fiaccati dal lusso , ed a’ privati piaceri più che al pub­blico bene in ten ti, furono facil preda del valore oltramontano. Dall* altri) canto non mancano esempli di piccioli S ta ti, i quali e colla virtù delle a rm i, e colla saviezza de’ maneggi seppero schernire gli sforzi d’ eserciti immensi. Prova di ciò sia la glo­riosa difesa che col seqno e. colla mano fece la repubblica di

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Venezia contro le imponenti fòrze della lega di Cambrai , che da ogni lato per mar e per terra la stringeano.

(253) Connetter può il principio col fine ec. Cioè a dire : ehi congiugner sa ciò che nella prima parte degli avanzi di questo libro disse il nostro circa l’ indole de’ varii governi, coll’ esito che hanno naturalmente , può innanzi tratto predire i futuri destini della repubblica romana : che di questa ragiona qui tut­tavia Polibio.

(a54) E dalla Vergogna della condizione privata. Lo Schweigh. quantunque adottasse nel testo la felicissima emendazione del Reiske xatt T# rjjf ùot£l* i ctti'fiG ( e la vergógna dell’oscurità

della privazione d’ o n o re ), in luogo d’ iTtfùi che hanno i codici,

copiò nondimeno 1’ inetta versione del Casaub. , ab konoribus per* ambitionem petitis aut negatis , che non. Comprendo come equivalga neppure all’ iTif.y ( forma , aspetto d’ inono­

ranza ). Se non che del pari assurdo hassi a considerare il testo, nè tampoco 1’ tTSat che riscontrò lo Schweigh. in uncodice parigino , ed interpetrò , Species , sive splendor et ille- cebne glorile ac celebritatis , vale a sanar questa piaga. Meno mi dispiace il ftìr ts «cTa{/«r ( odio della bassezza ) proposto dall’ Erttesti ; ma più si avvicina , e alla forma del vocabolo vi­ziato , e al buon Senso la cdnghiettura del Reiske : onde io ho ricevuta eziandio ed espressa la sua interpretazione , ignominia conditionis privata.

( i55) Presterà il nome. « Cioè , coprirannosi col nome del popolo coloro che adulano la moltitudine, e la eccitano a tentar cose nuove: quindi fregeranno il nuovo statò delle cose col nome di stato popolare ; ma realmente ' sarà cotesto un governo della più vii feccia della plebe , che fa tutto senza verecondia delle leggi, con parzialità , con ira , con invidia , con cupidigia , e sempre verso quella parte si muove , nella quale i suoi piaggia- tori la trascinano ; finché troverassi ch i, spiata 1’ occasione , e tolti di mezzo gli em uli, occuperà di bel nuovo il regno e la tirannide. Che se volgiamo la mente a Roma , e riflettiamo alle turbolenze che sconvolsero la repubblica a’ tempi de’ G racchi,

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di S iila, di Cesare , de’ triumviri , bene comprenderemo come

s’ avverasse il presagio di Polibio ». Schweighauser.( i56) Donde deviammo. Avea Polibio interrotta la sposizione

della storia romana, per descrivere gli ordini civili e militari di quella repubblica , dopo la narrazione de' fatti accaduti nella Grecia contemporaneamente alla seconda guerra punica, e da lui esposti nel quarto e quinto libro. Gli avvenimenti rom ani, cui diede luogo nel libro presente, appartengono ad epoche anteriori, e sono probabilmente un compendio della storia di Roma dei primi tem pi, conforme abbiam osservato nella introdùzione alle note di questo libro.

(257) Uscito appena ec. Cicerone ( de officiis 111 , 3 a ) nar­rando questo fatto sull’ autorità di Polibio , scrive : unum ex' decem , qui paulìo postquam egressus erat e castris rediisset, quasi aìiqitid esset oblitus , Roma remansisse. Riflettendo al paulìo postquam io ho preferito collo Schweigh. il participio presente ix x tp iv lfu itt ( mentrechfe usciva , nell’ atto d’ uscire )

al passalo tx*iir*pivipnt»s ( già da lungo tempo uscito ) , sic­

come lesse il Casaub. - T . Livio riferisce questo avvenimento

nel lib. x x ii , 58.(a58) Mine. Moneta attica equivalente a cento dramme. Orti

essendo la dramma pressoché pari al denaro romano , tre mine corrispondono a circa trecento denari : somma nella quale s’ ac­corda Livio ( x x i i , 5i , 57 ) , che la fa ascendere a trecento' mimi quadrigati (denari d’ argento coll’impronta della quadriga)1, ed aggiugne , che questo era il riscatto chiesto da Annibale per ogni soldato romano, domandando egli per ciaschedun socio dir- gento depari, e cento per ogni schiavo.

(259) Io m’ induco a credere ec. Circa 1’ anno nel quale fa fabbricata Roma erano discordi le opinioni degli antichi. Polibio , se crediam a Dionigi ( 1 , 74 ) fondava la sua opinione in una tavola eh’ esisteva presso gli (*) Anchisei ; ma Dionigi esaminati avendo i libri censorii, e confrontate le epoche dell’ espulsione

( t ) Erà Aacbise eoa città a porto dell* Epiro , fabbricati da Anchine padra

d’ Enea, noo lungi da B u tra to ; ma a* lampi di Dionigi a rea già p ra to noma

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de* re , e detta presa di Homa pe* Gatti» còlte olimpiadi che in quelle correvano , concluse che 1* origine di cotesta città riferirsi debbe al primo anno della settima olimpiade. — V airone, a detta di Plutarco , asserisce che Homa fabbricata fu il terzo anno del-* l’olimpiade sesta, e dopo di lui Verro Fiacco ne’ fasti capitolini un anno più tardi vuole che ciò avvenisse. 11 P. Petavio, che molto sottilmente ragionò su questo particolare ( Rationar. temp. P. i i , Lib. ih , c. a ) , preferisce l’ opinione di Varrone , (non rammentando quelle di Polibio e di Dionigi ) come quella eh’ è confermata da moltissime testimonianze degli antichi , e dall’ os­servazione delle ecclissi solari e lunari.

(260) Palazio. Cioè il colle Palatino, uno de’ sette, su cui era edificata Roma. - Così racconta Dionigi ( Antiq. rom. 1 , 3 l , 3a ) il fatto accennato in questo frammento, a Era , se­condo che dicono, Palanzio figlio d’ Ercole e di Dina figliuola d" Evandro , cui innalzando 1’ avo materno un sepolcro sulla collina , nomò quel luogo dal giovine Palanzio ».

(261) Presso i Romani ec. Secondo Dionigi ( n , 25 ) proi­bivano le leggi di Romolo alle donne il ber vino, e la stessa pena stabilivano peli’ ubbriachezza e peli’ adulterio , siccome scrive pur A. Gellio ( x , 23 ) citando Catone. Plinio ( n v , i 3 ) racconta parecchi casi di matrone romane punite, eziandio colla morte , per aver trasgredito questo divieto.

(263) Vino passo. Oltre al passum nomina A. Gellio ( 1. c. ) loream e murrinam fra i vini dolci eh’ erano permessi alle donne. La prima, che dicesi anche lora, è il nostro acquerello, intorno alla cui preparazione leggasi Varrone de re rustica , c. 54. Circa la seconda, che scrivesi ancor Murrhina e Myr~ rhina , non sono d’ accordo gli autori ( V. Forcellini Lexic. ad Voce in Myrrhinus ) ; sembra pertanto che fosse una specie di passo, o il passo stesso condito con qualche aroma. Certo egli b che Plauto nel Pseudoio, citato da P lin io , 1’ annovera fra le cose dolci.

più oscuro , ( m f t m p a t t ie p tx r fa » ) chiam andosi, conforme credono

il G ia m b o ed 3 S ilburgio , Calliopi , po li» da Tolemeo nel litp anzidetto.

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(363) Egostèna. Città della Megaride secondo Stefaùoj(a64) E di Creta. Da Plinio (. xiV, 1 1 , 9 ) scorgesi , che fra

i vini passi quello di Creta riportava il vanto ; poscia veniva il Cilicio, finalmente quello d’ Africa e d’ Italia. Giusta il medesimo autore, le uve donde faceasi erano d’ una specie particolare, ma per avviso d’ alcuni traevasi da qualsivoglia uva seccata al sole , finché perdesse metà del suo peso. Se ne formava anche un passo secondario. Il vino santo che si fa in alcune parli d’ Ita­lia , e specialmente in Toscana ritrae molto dal passo degli an­tichi. Tedi R e, Elem. d’ Agricoli. voL I I I , cap. 16. Soleggiato l ’appella il Redi ( Y. il ditiram bo, p. 18 , v. 3 , e la respettiva nota ).

(365) Debb’ essa bacidr ec. Catone presso Plinio ( xiv , i 3 ) dice che le donne baciar doveano i p aren ti, affinchè questi sa­pessero se avean bevuto vino.

(366) Anco Marcio. Che questo re di Roma ha fabbricata Ò stia, ce lo dicono tutti gli storici.

(367) Lucio figlio di Demarato ec. « Che questo frammento con ragione ascrivasi al sesto libro di Polibio, apparisce cosi dalla serie degli stessi frammenti ( dappoiché tutti quelli che precedevano àppartenean a’ primi cinque lib ri, e noi a bello studio gli /omettemmo , essendo essi già pubblicati ) , come dalla circostanza che Polibio comprese brevemente nel sesto libro tutta la storia antica del popolo rom ano, incominciando da’ Re ». ValeSio.

(368) Qualche otcasione. Sta bene d ie m p4fft» ì, Conforme

stima il Reiske, possano significar dovizie, come quelle che so- glion aprir 1’ adito , e fornir occasioni alla grandezza ; ma po-* rfciachè nel principio di questo stesso periodo leggiamo che De­marato , venuto a R om a, affidavasi nella sua ricchezza, non era necessario di qui ripeterlo , torcendo innoltre il vocabolo greco anzidetto dal suo senso primitivo, ed alterando il testo col sosti­tuire Si* ra t iQ if f t i t a L i v itx t

(269) Abitava con lui. Il Yalesio approva 1’ emendazione di Emilio Porto a questo luogo nell’ int erpetrazione di Suida, che

358

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rapporta tutto questo articolo ; cioè di cangiare trvinttùt ( coa­

bitare in cvr/(«<xi<» amministrar insieme). Afa seguendo tosto

rv%%tipi<*ui che ha lo stesso significato , non so perchè abbiasi

a ricevere , sotto specie di correzione, così brutta tautologìa.(a 70) Tutte le opere ec. Congettura lo Schweigh. , che tutti

o quasi tutti i frammenti rinchiusi in questo capitolo apparten­gano alle antichità rom ane, di cui diede Polibio un sunto iq questo libro. Ciò , a dir vero , poco apparisce dal loro conte­nuto : solo è da osservarsi , per rispetto alle sentenze tolte dal margine del codice urbinate, che queste non furono altrimenti aggiunte dal compilatore degli estratti Polibiani in siffatto codice compresi, ma che formano parte del testo; siccome rendesi ma­nifesto per quelle che tolte sono da’primi libri che intieri a noi pervennero. P. e. leggesi nel libro secondo, subito dopo >1 prin­cipio del cap. 70 , giusta la qostra versione : Così suol sempre la fortuna terminar in modo inaspettato le pih grandi imprese, ed il còdice urbinate pone questa sentenza nel margine degli estratti del secondo libro.

(271) Secondo Erodoto. V . lib. v , 3.2 , e ciò che ivi anno­tammo.

(373) Un luogo ancora. A buon dritto crede lo Schweigh. che questo passo non appartenesse al libro sesto, dove non si vede come Polibio parlato avesse degli Etoli , e sospetta quindi che la citazione d’ Ateneo sia sbagliata.

(373) Volcio. Così denomiqavasi questa città latinamente (Vol- cium ) , quantunque Polibio scriva O A tn ; ( Olcios ). Tolemeo ( 111, 1 ) la colloca fra il porto di Telamone e Yolsinio , e Pli­nio ( 11, 8 ) riferisce , che i Romani ne dedussero la colonia di Cossa, picciola città secondo Strabone (v , p. i i 5 ) sulla marina Etnisca, non lungi da Populonia. - 11 Reiske suppone éhe que­

sto frammento appartenga alle guerre de’ Romani cogli Etruschi.

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FIKB DBLLS ANNOTAZIONI AGLI AVANZI DEL, LIBRO SISTO..

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DELLE STORIE3 6 1

DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.

AVANZI DEL LIBRO SETTIMO.

I. U o p o la cospirazione fatta contra (i) Geronimo re ^mba- . 1 w # sc a r ta / .

di Siracusa, tolto di mezzo Trasone, persuasero Zoippoe Andranodoro il r e , di mandar incontanente ambascia- Olimp. dori ad Annibaie. (2) Eletti adunque Policleto da Ciré- CXLl> 1 n e , e Filodemo da Argo, spedilli in Italia, imponendo^/. di R.

loro che trattassero di società co’Cartaginesi, e ad un 53g tempo mandò i fratelli in Alessandria. Annibaie accolti benevolmente Policleto e Filodemo, e date molte lusin­ghe al giovinetto Geronimo, rimandò in &etta gli am­basciadori , e con essi Annibaie Cartaginese, coman­dante allora delle trirem i, e i Siracusani Ippocrate ed Epicide suo fratei minore. Questi già da molto tempo militavano sotto Annibaie, ed avean il domicilio in Car­tagine , perciocché P avo loro fuggito era da Siracusa , venuto essendo in sospètto d’avere ucciso (3) Agatarco uno de’ figli d’Agatocle. Giunti costoro in Siracusa, ed

p o l i b i o , tomo n i . a3*

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di R. avendo Policleto e Filodemo rinunziato all1 ambasceria ?^ 9 e parlando il Cartaginese secondo gli ordini ricevuti da

Annibaie , fu il re prontissimo ad unirsi in società coi Cartaginesi. All1 Annibaie che a lui era venuto ingiunse di recarsi con sollecitudine a Cartagine, ove gli pro­mise che mandati avrebbe suoi oratori per abboccarsi co’Cartaginesi.

II. Frattanto il (4) pretore romano che a Lilibeo era preposto, senttjtp queste cose, mandò ambasciadori a Geronimo per rinnovare la convenzione fermata coi suoi maggiori. Geronimo , cui odiosa era quest’ amba­sceria , disse, condolersi co’ Romani (5) cattivelli, rhe a cattivo partito erano stati ridotti da’Cartaginesi. Stu­pefatti gli ambasciadori della costui assurdità, chiesero non pertanto chi gli avea ciò detto ? Egli mostrò i Caj> taginesi presenti, ed impone loro di convincer questi f ove per avventura mentissero, Ma dicendo essi non es­ser costume de’ Romani di creder a’ nemici, ed esor­tandolo a non far nulla contra ì trattati, dappoiché ciò PC a giusto e utile a lui singolarmente': rispose , che in­torno a questo avrebbe deliberato, e poscia fatta cono­scere la sua risoluzione. Dpmandò p o i, come, andati essendo innanzi alla morte dell’ avp sjnp al Pachino con cipquanta navi, ritorto avessero cambino? Avean i

Romani, poco tempo addietro, udito il trappssamento di Gerpne, e temendo non i Siracusani facessero novità per disprezzo dell’ età del giovine rimaso, fatta una spe­dizione navale a quella volta} ma risaputo che Gerone yivea , eransi di bel nuovo ridotti a Lilibeo. Quindi con­fessando essi allora che avean fatta U spedizione, epa

3<5a

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ètiiitho di sussidiare la gioventù di lui, e di prestar l’opera A. di loro a custodirgli il regno , ma avuta la nuova, che ^3g vivea il suo avo, eransi ritirati j asserendo, dissi, queste cdse, riprese il giovinetto : Lasciate or a me, o Roma­ni j custodir il mio regno, poiché (6 ) volto ho il mio corso alle speranze de’ Cartaginesi. I Romani, cono' sciuto il suo impeto, allora si tacquero , e ritornati ché furono, esposero le cose dette a chi gli avea mandati ;Ina da quiud’ innanzi 1’ Osservarono} e gUardaronsi dà lui come da nemico.

III. Geronim o, eletti Agatarco, Onesigène ed Ippo- stène } mandrilli con Annibaie a Cartagine, incarican­doli di fermar là convenzione a questi patti : Aves­sero i Cartaginesi à soccorrerlo con fo rte di terra 6 (ti mare, e icacciati con operiti' unita i Romani dtlla Si­cilia, dividessero l1 isola per modo, che il confine della respettive province fòsse il (7 ) fiume Intera , il qualé divide in due parti quasi eguali tutta la Sicilia. Giunti quelli a Cartagine , ne fécero discorso j e coneltoserò l’ affare, essendo i Cartaginesi prontamente (8 ) calati ad ogni condizione. Frattanto Ippocrate ed il suo com­pagno , entrati nella famigliarità del giovinetto, dap­principio il trastullavano , narrandogli le marce d’ An­nibale in Ita lia , e le battaglie campali e le pugne di lui. Poscia dicevano a nessun meglio che ad esso ap­partenere il governo di tutti li Siciliani } priihièramentè: perciocché era figlio di (g) Nereide figliuola di' ' Pirro (1 0 ) il quale solo per elezione e per benevolenza i Si­ciliani tutti approvarono lor capo e te itf Secondò luogo per cagione della signoria di suo avo Geróne, B

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I. di JL finalmente tanto arvOtipparon il giovine colle lóro fole t •r> 9 eh’ egli ad altri punto non badava, incostante com’era

per natura ed ancor maggiormente da costoro (i i) gon­fiato. ÌNel fervor delle pratiche che circa le anzidette cose tenea Agatarco in Cartagine , mandò Geronimo altri ambasciadori, dicendo che a sè spettava il dominio di tutta la. Sicilia , e chiedendo che i Cartaginesi nell’ a- equisto di quella il soccorressero, promettendo dal suo canto di biutarli nelle fazioni d’ Italia. I Cartaginesi comprendevano tutta l’ incostanza ed il furore del gio« vinetto; ma stimando esser loro utile per molti capi di non negligere gli affari di'S icilia, gli accordaron ogni cosa , e avendo già prima apparecchiati vascelli e sol* «iati, s’ accinsero a tragittar forze in Sicilia.

TV, I Romani, udito c iò , maadaron a lui di bel nuovo ambasciadori, scongiurandolo di non trasgre­dire i te t ta t i stabiliti Co’suol maggiori. Per la qual cosa Geronimo, ragunato il consiglio, mise a partito ciò che dpvea farsi. Gl’ indigeni non apersero bocca, temendo 1?» mattezza del presidente. Ma ( i a) Aristomaco da Co- rip to , e, Pamippo da Lacedemone, e il Tessalo Autonoo, opinarono che si perseverasse ne’ trattati, co’ Romani. An- dranodoro solo disse non doversi lasciar sfuggire 1’ o«- cjasione ; esser la presente sola, per cui possibil era di riconquistar l’ impero della Sicilia* Avendo questi cosi p a la to , il re. interrogò Ippocrate, di qual avviso egli eiyi? il q»ale come rispose f di qtlel)o d’ Andranodoro , ebbe fine la deliberazione. Per tal guisa fu sentenziata 1» :guerw» co’ Roip^ni. Geronimo p i a n t o non volendo apparir-di )dar« (j 3) sinistra risposta agli ambasciadori,,

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cadde in tanta assurdità, che non solo era per dispiacer a’ Romani, ma eziandio per offenderli apertamente. Imperciocchò disse che rimarrebbe fido a’ tra tta ti, se primieramente gli restituissero tutto 1’ oro che ricevuto avean da Gerone suo avo, poscia gli rendessero il fru­mento e gli altri doni eh’ ebbero da lui tutto il tempo addietro; in terzo luogo acconsentissero che tutto il paese e le città di qua del fiume Imera fossero de’jSiracusanL Gli ambasciadori e il Consiglio dopo ciò separaronsi, e Geronimo d’ allora in poi (i4) assiduamente attese ai bisogni della guerra, ragunò gente ed arm i, e fece ogni altro necessario apparecchio.

365

V. La (i5) città di Leonzio, per ciò che spetta alla sua posizione in generale, è volta a tramontana. Hà nel mezzo una valle p iana, in cui trovansi gli edificii de’ m aestrati, e la curia ed il fero stesso. Ad amendue i fianchi della valle ergesi un colle che ha precipizi! continuati, ma 1 piani di cotesti colli sevra i loro cigli pieni sono di case e di templi. Due porte ha la c ittà , di cui l’ una dall’ estremità meridionale della valle an- zidetta conduce a Siracusa, l’altra a settentrione mena a’campi così detti Leontini, ed al piano coltivato. Sotto l’ uno de’dirupi che guarda a ponente scorre il fiume che chiamano (1 6) L isso, lungo il quale stendesi sotto il precipizio stesso una fila di case che stanno in egual distanza dal fiume. Tra le case ed il fiume è (1 7 ) la strada di cui parlammo.

I ài 1 539

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4. di R 5 .<9Estr.

Vales.

VI. Àlctini storici, che hanno scritto sulla catastrofe di Geronimo, fanno molte parole, e spacciano grandi flriracoli, in narrando parte i prodigi che avvennero in­nanzi al suo regno, e le sciagure de’Siracusani, parte esagerando la èrudeltà defle sue maniere e l’ empietà delle sne azioni, e per ultimo 1’ enormità e l1 orrore delle cose accadute presso al tempo deDa sua morte ; a tale che nè ( 18) Falaride, nè (ig) Apòllodoro, nè qualsivoglia altro tiranno pare che più acerbo di lui fosse stato. Eppure essendo (so) fanciullo anéora per­venuto al regno, e di poi oltre tredici mesi non avendo' (a i ) imperato, passò di questa vita. In (2 2 ) questo inter-1

vallo di tempo possibil è che uno o due sieno stati marto­riati, e alcuni de’suoi amici e degli albi Siracusani uccisi 5

ma che si commettesse ogni più eccessiva scelleratezzai e stravagante empietà, non è probabile. Fu egli, a dir vero , d’ ibdole assai leggera e perfida, ma non da pa- fago riarsi ad alcuno de’ mentovati tiranni. A me seni- f)rano pertanto colora che scrivono le storie particolari, poiché lian preso a trattare argomenti di breve giro ecf angusti, poveri come sono di cose, esser costretti a fai* grande ci5 che è piccolo, e ad estendersi in moltef parole circa oggetti che non sono neppur degni di men­zione. Alcuni eziandio per difetto di criterio cadono in

.questo vizio. Quanto più ragionevolmente siffatti di­scorsi , i quali riempiono i libri e fanno soverchiamente ridondar le narrazioni, trasporterebbonsi a Gerone ed a Gelone, omettendo Geronimo ! Così più piacevoli tius'cirebbon a’ leggitori, e più utili agli studiosi.

VII. Conciossiachè Gerone primieramente (2 3) acqui-

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/stasse da sè il dominio di Siracusa e degli alleati, non ricevendo pronta dalla fortuna nè ricchezza, nè gloria, nè qualsivoglia altra cosa. E non uccidendo , nè cac­ciando in esilio , nè affliggendo alcuno de’ cittadini, fu .egli per cagione di sè stesso creato pe di Siracusa, locchè è più maraviglioso di tu tto } nè lo è m eno, che egli, non solo così acquistò il regno, ma il conservò eziandio nello stesso modo. Imperciocché (a4) avendo regnato cinquanta quattr’ aqni, mantenne alla patria la pace , serbò a sè il supremo potere scevro da insidie , e causò 1’ invidia che suol accompagnar tutte le cose elevate. Questi avendo spesso tentato di deporre la signoria , ne fu pubblicamente impedito da’ cittadini, Liberalissimo com’era verso i Greci, e di gloria amaar tissimo , procacciò a sè grande fama, nè piccola bene­volenza a’ Siracusani presso tutti. E trovandosi in ab­bondanza e diletto e moltissima dovizia, visse oltre novant’ ann i, conservò tutti i sensi, ed ogni parte del suo corpo sana. (9.5) Locchè sembrami segno non me­diocre, ma grande assai d’ una vita temperata.

36^

Gelone, vissuto più di cinquant’ ann i, si propose questo bellissimo scopo nplla v ita, di (2 6 ) ubbidir al genitore, e di non tener nè ricchezza , nè grandezza di regno , nè qualsivoglia altra cosa in maggior pregio della benevolenza e della fede verso gli autori della sua esistenza.

f. di Ji 5'ig

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di i t V ili, (ay) Questa è la convenzione che con giuramento 5^9 firmarono il capitano supremo Annibaley Magone, Mir-

' cale, Barmocale e tutti i senatori Cartaginesi che seco lui erano e tutti i Cartaginesi che seco lui militarono; con Senofane di Cleomaco da A tene , che il re Filippo di Demetrio mandò a noi ambasciadore, per sè, e pe1 Ma­cedoni , e pegli alleati. (2 8 ) In presenza di Giove, di Giunone y e <t Apollo ; in presenza del (2 9 ) Genio dei Cartaginesi, (3o) d? Ercole e di Jolao; in presenza di Marte, di Tritone, di Nettuno ; in presenza degli Dei (3i) ausiliatori, e del sole, della luna, della terra} in presenza de'fium i, de'prati, e delle acque; in pre­senza di tutti gli Dei che tengono Cartagine ; in pre­senza di tutti gli Dei che tengono la Macedonia e il resto della Grecia ; in presenza di tutti gli Dei, che presiedono alla guerra, e assistono a questo giura­mento, I l capitano Annibaie disse, e tutti i senatori Cartaginesi che seco lui sono , e tutti i Cartaginesi che seco lui militano : Quando a voi e a noi piace, giu­riamo questo trattato £ amicizia ed onesta benevolenza, come amici, famigliari e fra tè lli, a queste condizioni. ' Protetti sieno dal re Filippo , e da' Macedoni, e da tutti gli altri Greci loro alleati , i signori Cartaginesi e il capitano Annibaie, e quelli che sono seco lu i, ed i (32) vassalli de"1 Cartaginesi tutti che hanno le stesse leggi, (33) e gli Uticesi, e quante città e nazioni ubbidi- scon a' Cartaginesi, e 1 lorò soldati e socii, e tutte le città e nazioni, colle quali noi abbiamo amicizia in Italia , e in Gallia , e in Liguria y e con pui fossimo per contrarre amicizia ed alleanza in queste contrade.

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Saranno egualmente il re Filippo e i Macedoni 3 e gli J . di E altri alleati Greci protetti e guarentiti dagli eserciti 53g de Cartaginesi-e dagli Vticesi, e da tutte le città e na­zioni che ubbidiscon a’ Cartaginesi, e da socii, e dai soldati, e da tutte le nazioni e città in Italia , in Gal- lia e in Liguria , e da tutti gli altri che fossero per divenire alleati in quéste parti cT Italia. Non ci tende­remo vicendevolmente insidie , nè ci porremo agguati; ma con tutta prontezza e benevolenza senza frode ed insidia (34) sarete voi nemici di quelli che fanno guerra a Cartaginesi, tranne i re e le città e i (35) popoli, con cui avete trattati ed amicizie : siccome saremo noi nemici di quelli che guerreggiano col re Filippo , tranne i re e le città e i popoli con cui abbiamo trattati ed amicizie. Sarete eziandio nostri alleati nella guerra che, abbiamo co' Rom ani, finattantochè a noi e a voi da­ranno gli Dei un esito felice. Ci soccorrerete, secon­dochè fa rà mestieri, e conforme anderem d'accordo.(36) Che se gli Dei a voi e a noi nella guerra contro i Romani e i loro alleati concederanno un buon esito, e i Romani chiederanno di trattar amicizia ; la tratte­remo per modo , che la stessa amicizia facciano con vo i, e pattuiremo , che non sia loro lecito di muover giammai guerra a vo i, che non abbian in loro potere nè i (3 7 ) Corciresi, nè gli Apolloniati, nè i Durazze- si , nè Faro , nè D im alle, nè i Partini, nè gli Atin- tan i, e che restituiscano a Demetrio Fario tutta la sua gente eh’ è nel territorio de Romani. Ove i Romani a voi, o a noi movessero guerra, ci soccorreremo reci­procamente , secondo che ad amendue fa rà d’uopo.

V0 L1BI0 , tomo n i. »4

3 6g

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A. di A539

Estr.Vales.

Così se qualche altro ostilmente ci attaccasse, eccet- tochè i re, le città, e le nazioni con cui abbiamo trat­tali e amicizie. Che se ne piacerà di toglier o aggiu- gner qualche cosa a questa convenzione, torremo o ag~ giugneremo ciò che ad amendue noi piacerà.

IX. (38) Reggendosi i Messenii a democrazia, ed esi- gliati essendo gli uomini di maggior conto , mentre che coloro cui i beni di questi eran toccati in sorte signo­reggiavano la repubblica, male sopportavano gli antichi cittadini eh’ erano rimasi d’ esser messi con quelli in parità di dritti. ( Suida )

370

(3 9 ) Gorgo da Messene non era inferior a nessuno in ricchezza e in nobiltà. Per gloria atletica fu nel fior di sua giovinezza il più celebre di quanti ambiscon il premio negli esercizii di ginnastica. Imperciocché in dignità d’ aspetto , e in ogni coltura della persona, e in numero eziandio di corone nessuno de’ suoi con­temporanei avanzollo. E quando, rinunziato eh’ ebbe alla lo tta , applicossi allo Stato ed a trattare gli affari della p a tria , acquistassi in questa parte ancora non minor fama di quella che prima avea : sembrando egli lontanissimo dalla (/}o) rozzezza eh’ è compagna degli atleti, e stimato essendo abilissimo e prudentissimo ne’ maneggi politici.

Estr. ant. X. Essendosi, secondo il costume, portate a Filippo

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le interiora delle vittime, egli presele in mano ( le fece A. dì i) veder a Demetrio), ed (4 i) alquanto verso l’altra parte ^ 9 chinatosi, domandò mostrandole ad Arato, che cosa si­gnificassero, se sgomberare la ro cca ,o tenerla? Allora/ Demetrio, cogliendo il momento, disse : (4») se hai l’a-, nimo di vate, sgomberarla al più presto, se di re intento a grandi imprese, serbarla; affinché, lasciandola ora, tu non abbi a cercar altra occasione opportuna. Che per questo modo soltanto abbrancando amendue le corna , tu hai' in potere il bue : alludendo colle corna ad (43) Itomata ed alla rocca di C orinto , e col bue al> Peloponneso. Ma Filippo voltatosi ad Arato , gli chiese:E tu la stessa cosa mi consigli ? Questi nicchiava ; ma il re volle (44) ch’egli dicesse ciò che gliene pareva.»Onde stato un poco sopra di s è , disse; Tienlati,> se puoi farlo senza mancar di fede a’Messemi. (45) Ma se: occupando Itomata con un presidio, sei per perdere- tutte le rocche ed il presidio ancora che ricevesti da Antigono , con cui ti assicuri gli alleati ; ( intendendo la fede:) bada che non sia ora meglio, facendone uscir i soldati, lasciar colà la fede, e con questa presidiar >r Messenii non menò che §$i altri 'aHesrti.~ Filippo secondò il suo desiderio pronto era’ a violar i tra tta ti, conformi! fu manifesto per ciò che fece appresso ; ma essendo stato poc’ anzi acerbamente ripreso dal giovane Arato per (46) la strage fatta de’ Messenii, parlando allora il maggiore con franchezza e dignità, e pregandolo di non isprezzar i suoi d e tti, ebbe rossore, e presa la sua destra: orsù, disse, ritorniamo pella stessa strada.

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A. di R. 53qEstr.

Vales.

XI. Io pertanto arrestar voglio al presente il corso della narrazione, e parlar alcun poco di Filippo, per­ciocché (47) cotesto fa il principio della sua mutazione e del precipitevole suo peggioramento. Conciossiachè sembrami siffatto esempio il più evidente da proporsi a coloro che , avendo parte nel governo , desiderano di trar un qualche vantaggio dalla storia. Imperciocché siccome pella chiarezza del suo regno, e peli’eccellenza della sua natu ra , furono gl’ impeti di questo re al bene ed al male cospicui e notissimi a tutti i G reci} così il furon ancora le conseguenze opposte che ten­nero dietro ad amendue gl’ impeti. O ra , che allor­quando egli assunse il regno, la Tessaglia e la Mace­donia, e in somma tutte le province del suo dominio, gK erano talmente soggette ed affezionate, quanto a nessuno de’ re antecedenti, comechè giovin ancora ri­cevesse la signoria de’ M acedoni, quindi apprendesi facilmente. Essendo egli di continuo distratto dalla Macedonia pelle guerre cogli Etoli e co’ Lacedemoni, non che si ribellasse alcuna delle anzidette nazioni, nessuno de’ Barbari confinanti arrischiossi di toccar la Macedonia. Circa la benevolenza e la devozione verso di lui (48) d’ Alessandro e di (4g) Crisogono e degli altri amici possibil non è di ragionar condegnamente 5 nè quanto gli fossero propensi i Peloponnesii, 1 Beozu, gli E piroti, gli A cam ani, cui in breve tempo cagione fu di molti beni. In generale se lecito fosse d’ esagerar un poco , assai propriamente, cred’ io , potrebbesi dire di Filippo, eh’ egli era come 1’ amore di tutti i Greci peli’ animo suo benefico. E quanto valga una condotta

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onesta e la fede, 'abbiam in ciò un splendidissimo e A. grandissimo esempio, che (5o) tutti i Cretesi di comune accordo ed entrati nella medesima alleanza, elessero Filippo solo a capo dell’ isola, e senz’ armi e pericoli eseguirono cosa, che non troverassi di leggeri esser in addietro accaduta. Ma poiché fece tanti mali a’ Mes» senii, tutto a lui mutossi in contrario, e con ragione. Imperciocché voltosi a massime opposte alle anteriori, e aggiugnendovi ognora nuovi attentati, doveano le al­trui opinioni pure intorno a lui cangiarsi, ed*egli avvenirsi in esiti contrarii agli antecedenti. Locchè eziandio accadde, siccome per ciò che in appressa narreremo, renderassi palese a chi presterà diligente at­tenzione.

XII. Arato, veggendo che Filippo apertamente ados- savasi la guerra contro i Romani, e che le sue inten­zioni verso i socii eran al tutto cangiate, introdotte molte difficoltà e dubbiezze, a stento smosse Filippo dal suo disegno. Noi (5 i) pertanto ciò che nel quinto libro annunziato abbiam soltanto e adom brato, acqui­stando ora la cosa fede da’fatti, vogliamo rammemorar agli attenti leggitori di questa storia ; affinchè nessuna delle nostre asserzioni rimanga senza prove e contra­stata. Imperciocché allorquando , esponendo la guerra E to lica , (5 a) pervenimmo a quella parte della narra­zione , in cui dicemmo che Filippo con soverchia ani­mosità distrusse i portici e (53) tutti i voti di Termo ,

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4. di R. e che la causa di ciò riporsi dove a non tanto nel r e , 539 per la sua giovinezza, che negli amici che seco lui

'.erano : allora, dissi, pronunciammo che la vita d’ A- .rato il difendeva da qualsivoglia imputazione, ma che siffatte massime procedevano da Demetrio Fario. Noi promettemmo di chiarir ciò con quanto sarem per espor­re in appresso , trasportando a questo tempo la fede jdi quella nuda asserzione ; quando Filippo, presente essendo Demetrio, conforme .testé mostrammo riferendo le cose de’ Messenii, ed un sol giorno avendo Arato tarda to , incominciò a commettere le più glandi em­pietà. E non altrimenti che gustato una volta sangue umano , l’ uomo fassi lupo secondo la favola d’ Arca­dia, narrata (54) da Platone ne’ libri della repubblica; così egli, dato principio alle uccisioni e al tradimento de’ socii, di re convertissi in acerbo tiranno. Prova più evidente ancora della sentenza d’amendue , fu. il consiglio intorno alla' rocca (55) di Messene ; a tale -che nessun dubbio resta su ciò che fu fatto in Etolia.

XIII. Le quali cose non essendo controverse, egli è facile d’ argomentarne la differenza della condotta d’ a- mendue. Che siccome ora Filippo, persuaso tla A rato, serbò a’ Messenii la fede nell7 affare 'della rocca , e ad tina grande piagà, còme suol dirsi, cioè alle uccisioni passate , applicò wn picciol rimedio ; così nella guerra

: cogli E to li, seguitando Demetrio, fu empio verso gli D e i, distruggendo i voti ad essi consecrati, e peccò ■verso gli uom ini, trasgredendo le leggi della guerra, e

, fallì il proprio intendimento dimostrandosi nemico im­placabile ed acerbo a’ suoi avversarii. Lo stesso dicasi

3:4

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-delle cose di Greta \ perciocché valutasi in quelle della A. di i direzione d’ Arato , non che offendesse, non molestò ^^9 alcuno di quegli isolani, ed ebbe i Cretesi tutti in suo potere, e tutti i Greci trasse ad amarlo, pella gravità del suo contegno. All’ opposito attenendosi a Demetrio,, ed essendo causa a’Messemi delle testé mentovate scia­gure, perdette la benevolenza de’ socii, ed il credito presso gli altri Greci. Di tanto momento è a’ giovani r e , così peli’ infelicità, come pel consolidamento del regno, la (56) scelta degli amici eh» li accompagnano.Sovra il qual particolare non so come i più di loro sono cotanto negligenti, e alcun provvedimento non fanno.

3^5

XIV. (57) Intorno a Sardi facevansi avvisaglie e comr Estr' a battimenti continui senza posa, e di giorno e di notte ogni maniera d’ agguati, di (58) contragguati, d’ as­salti inventavan i soldati a danno reciproco. I quali chi descriver volesse partitam ente, lavoro inutile non meno che lunghissimo imprenderebbe. (59) Alla fine , cor­rendo già il secondo anno dell’ assedio, Lagora di»C reta , uomo di sufficiente pratica nelle cose della guerra, osservato avendo, (60) che le più forti città il più delle volte con somma facilità cadon in potere dei nemici per la negligenza degli abitanti, quando affi­dati nella fortezza naturale o artificiale del luogo, non si guardano e al tutto stannosi oziosi; ed avendo ezian­dio conosciuto, come le stesse prese vengano appunto

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i. di R. là dove sono più afforzate, e sembrano non presentar ^ 9 agli avversarli speranza alcuna; considerando allora

che 1’ opinione prevalsa in addietro circa la fortezza di Sardi avea tutti distolto dall’impadronirsene per (61) via di qualche ardita fazione, riducendosi alla sola spe­ranza d’ espugnarla colla fame: tanto maggiormente vi pose 1' anim o, ed ogni luogo investigò, bramoso di conseguire una tal occasione. Veggendo adunque che il muro presso alla così detta Sega ( sito ove la rocca si congiunge colla città) non era custodito, tutto oc- cupavasi in siffatta speranza ed in questo pensamento. La negligenza delle guardie da questo segno conobbe. Siccome il luogo era scosceso assai, e vi giaceva sotto un burrone, nel quale gittavansi i morti della c ittà , e le (6») carogne de’ cavalli e de’ giumenti ; raccoglievasi colà sempre una quantità d’ avvoltoi e d’ altri uccelli. Essendosi adunque Lagora accorto, che questi animali com’ erano sazii, riposavansi sempre sulle più alte rupi e sul muro , ne arguì che il muro ivi esser dovéa senza guardia, e la maggior parte del tempo deserto. Quindi accostatosi di notte tem po, con ogni cura rintracciò i siti che davan accesso, e permettevano di collocar le

• scale ; e trovato avendo che ciò potea farsi in certo luogo presso una ru p e , ne fece discorso al re.

XV. Questi accolse lieto P offertagli speranza, e confortò Lagora a consumare la fazione, il quale pro­mise disfar tutto il possibile, e chiese al r e , che co­mandasse all7 Etolo Teodoto, ed a Dionigi condottiero delle guardie di (63) unirsi a lui, e di prestare sè stessi, associando l’opera loro all’ impresa, attesoché sembra-

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vagli che amendue avessero a quella (64) 1’ abilità e A. I’ ardir conveniente. Acconsentì il re immantinente alla* sua richiesta ; onde accordatisi gli anzidetti, e fattesi intorno ad ogni cosa le opportune comunicazioni., aspettaron una notte , nella quale circa il mattino non isplendesse la luna. Ottenutala, il giorno innanzi all’e­secuzione elessero a prima sera da tutto l’ esercito quindici uomini i più robusti di corpo, e d’ animo-, i quali dovean accostar le scale, e salir uniti con auda­cia concorde. Poscia ne scelsero altri tre n ta , che in qualche distanza avean a star alle riscosse, affinchè, giunti che sarebbono dopo superato il muro alla vicina p o rta , di fuori si avventassero, tentando di tagliar i cardini e la (65) sbarra degli uscii, mentrechè gli altri di dentro rompessero la leva ed ^66) i lucchetti. Altri due mila furon destinati a seguirli, i quali entrati in città occupar doveano la (67) piazza che circonda il tea tro , e che opportunamente domina^ così la rocca, come la città. Ma affinchè nessun sospetto sorgesse del vero disegno mercè della scelta de’soldati, diedesi voce che gli Etoli erano per far impressione nella c ittà , sbucando da certo burrone, e che gli eletti dovean attentamente vigilare, perchè non accadesse ciò di cui aveasi indizio.

XVI. Essendo tutto p ronto , come prima s’ ascose la luna , pervenuto Lagora co’ suoi di soppiatto a’ di­rupi portando le scale, acquattaronsi sotto a certo ci­glione che sporgeva in fuori. Sopraggiunto il giorno, e partitesi le guardie da quel luogo, mentre che il re secondo il solito mandava i soldati alle stagioni, e la

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t. di R. massa faceva uscire nell’ ippodromo (68) e schierarsi ;5^9 dapprincipio nessuno avea sospetto di ciò che acca­

deva. Ma essendo state applicate due scale, per 1’ una delle quali salì Dionigi, e per 1’ altra Lagora i p rim i, nacque nel campo confusione e movimento. Impercioc­ché a quelli della c ittà , e alla gente d’ Acheo eh’ era nella rocca non veniano veduti quelli che salivano, per cagione del ciglione prominente sul precipizio ; ma quelli, del campo aveano sotto gli occhi 1’ audacia di coloro che montavano ed a taulo pericolo si espone­vano. Il perché alcuni sbigottiti dell’ avvenimento ina­spettato, altri preveggendo e temendo ciò eh’ era per accadere , attoniti ed insieme giubilanti si stavano. Laonde il re , veggendo il movimento ch’era per tutto

, il campo , e distrar volendo dal proposito 1’ attenzione de’ suoi e de’cittadini, mosse. 1’ esercito, e il condusse verso la porta situata nell’altra parte della città, chia­mata (69) Persiana. Acheo , osservando dalla rocca il movimento de’nemici diverso dal consueto, stette molto tempo infra d u e , non sapendo che farsi, e non po­tendo in verun modo comprendere che cosa succedeva. Alla fine spedì gente incontro a quelli che inoltravansi (70) verso la po rta ; ma facendo la discesa per luoghi stretti e scoscesi, tardo fu 1’ ajuto. Aribazo , governa­tore della città, non pensando a male, recossi a quella p o rta , cui vedea Antioco dar 1’ assalto, ed alcuni sol­dati fece salir sulle m ura, altri mandò fuori della por- t a , ordinando loro di rattener i nemici che awicina- vansi, e d’ affrontarli.

XVII. Frattanto Lagora, Teodoto e Dionigi, supe-

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rate le rupi co’ suoi vennero alla porta (71) dietro a A . d i I quelle situata. Alcuni d’ essi combatterono con quelli ^ 9 che riscontrarono, (72) altri tagliarono le leve. Ad un tempo accorsero di fuori quelli che a ciò erano stati disposti, (^3) e fecero lo stesso. Apertesi tosto le porte, entraron i due mila ed occuparono la piazza del teatro.Ciò fa tto , corsero tutti dalle mura e dalla porta così detta Persiana, ove poc’ anzi era andato Aribazo col soccorso, affrettandosi di (74) ordinare 1’ assalto con­tro a quelli eh’ entravano. Mentre ciò accadeva, in al­lontanandosi costoro fu aperta la porta, ed entrarono alcuni de’ reg ii, seguitando quelli che ritiravansi. Dai quali come fu presa la p o rta , entraron a ltr i, senza interruzione, ed altri tagliarono le porte vicine. La gente d’Aribazo e tutti quelli della c ittà , poiché eb­bero alcun poco combattuto co’ nemici en trati, fuggi­rono nella rocca. In quello Teodoto e Lagora indu- giavan intorno al tea tro , osservando con prudenza e cautela l’esito dell’affare. Il resto dell’esercito, entrato ad un tempo da tutte le p a rti, prese la città. Del ri­manente chi uccideva quelli a cui s’ affacciava, chi ar- deva le case, altri correvan dietro alla preda ed alla rap ina , per modo che tutta la città andò a soqquadro e a ruba. Così Antioco divenne ( j5) signore di Sardi.

Frammenti.

XVIII. (76) I Massili, nazione Africana, chiamati sono da Polibio nel settimo libro Massilesi (Stef. Biz.).Gli abitanti d’ (77) O rico, che trovansi i primi all’ in-

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4. di R. gresso dell’Adriatico, entrandovi a destra. (Lo stesso);.539 Polibio dice nel settimo libro , che i Capuani nella

Campania per la fecondità della loro terra accumula­rono tanta ricchezza, che trascorsero alla mollezza e al lusso', superando la fama divulgatasi intorno a (78) Crotona e Sibari. Non potendo adunque, continua egli, regger alla presente felicità, chiamaron Annibaie; il perchè ebbero a sofferir da’ Romani atrocissimi mali. Ma (79) i Petelinii serbando la fede a’ Romani, giun­sero a tanta costanza quando assediati furono da An­nibaie , che mangiarono tutte le pelli eh’ erano nella c ittà, e tutte le cortecce degli alberi ed i teneri tralci consumarono, e tollerato avendo l’assedio undici mesi, senza che alcuno li soccorresse, coll’ approvazione dei Romani s’ arresero (Ateneo lib. X II, c. 6 , p. 5u8).

38o

FINE DEGLI AVANZI DEL SETTIMO LIBRO.

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S O M M A R I O

DEGLI AVANZI DEL LIBRO SETTIMO.

ArTAfl DI SlUACOSA.

s i mbasct.ua di Geronimo ad Annibaie ( § I. ) — Geronimo schernisce gli ambasciatori romani ( § II. ) — Convenzione di Geronimo co’ Cartaginesi circa la divisione della Sicilia — Geronimo nipote di Pirro — Con un’ altra convenzione pat­tuisce per sè il possesso di tutta la Sicilia (§ III. ) — Nuova ambasceria de' Romani a Geronimo — Assurde pretensioni mosse da Geronimo a’ Romani — Geronimo si prepara alla guerra contro i Romani ( § IV. ) — Situazione della città d i Leonzio (§ V. ) — / vizii di Geronimo furono da alcuni esa­gerati (§ V I.) — Lode di Gerone — Lode di Gelone (§ V II.) —

ArrARi di Filippo ras or Ma cedo in

Formolo del trattato d i Filippo con Annibaie ( § V ili. ) — Sedizione de’ Messenii — Gorgo nobile Messenio ( § IX. ) — Deliberazione di Filippo circa Itomata rocca de’ Messenii — Consiglio di Demetrio — Consiglio di Arato — Filippo segue il consiglio £ Arato ( § X. ) — Filippo incominciò contro i Messenii a svelar Iindole sua perversa — Avanti questo tempo era da tutti i Greci amato — Poscia a tutti venne in odio (§ XI.) — Arato indusse Filippo a partiti onesti, Demetrio ad iniqui — Favola .deir uomo che si converte in lupo ( § X II. ) — La scelta degli amici è pére di grandissima importanza (§ X III.) —

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G usmmj t> Aartoco -co* Acato.382

V attedio d i Sardi t i protrae nel fecondo anno — Le città piii fo r ti talvolta p rendo n ii con gronda facilità — Lagora Cretete conosce dagli uccelli qual parte delle mura non era guardata ( § XIV. ) — Antioco approva il consiglio di L a - gora (§ XV.) — Felice audacia di Lagora — Acheo tiene la rocca d i Sardi — Stratagemma <f Antioco — Aribaio gover­natore della città ( § XVI. ) — Lagora sale sul muro per luoghi scoscesi — Antioco £ impossessa d i Sardi (§ XVII. ) —

GaEtMA D’ A s XIWJLE.

Ribellione de’Campani — I PeteUni sono colla fam e espugnati da.’ Cartaginesi ( § X V III.) —

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ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LIBRO SETTIMO

ingresso del terzo libro, donde incomincia propriamente la storia di Polibio, leggesi, che dopo la sposizione della re­pubblica de’ Rom ani, sarebbe stata per digressione trattata la ruina del regno di Gerone. Quindi apparisce esser questo av­venimento il meno importante fra quelli che nel presente libro si contengono ; ove al breve dominio del fanciullo Geronimo si riguardi, ed alle turbolenze che in Siracusa tennero dietro alla sua uccisione. Di molto maggior influenza negli affari de’ Ro­mani e de' Greci si fu il trattato d ’ Annibaie con Filippo di Macedonia, il di cui supplimento trovasi nel lib. x x h i delle sto­rie di Livio. Nè bassi a reputare di minor conto la spedizione di Filippo contro i Messenii, come quella che fu il primo passo di questo re alla tirannide; né il felice esito della guerra che sostenne Antioco contro il ribelle Acheo. La descrizione de’ quali fatti tanto maggiormente è da dolersi che imperfetta sia a noi pervenuta, quanto che per non esser intrecciati nella storia rom ana, Livio non ne ragiona punto.

( i) Geronimo. Era questi figlio di quel Gelone, che mori innanzi al padre Gerone l i in età d’ oltre cinquant’ anni.' ( V. i capp. 7 e 8 di questo libro) A detta di L ivio, ( xxrv, 4 ) l’avo,

preveggendo le sciagure che sovrastavan al regno da un prin­cipe pressoché fanciullo, volea nell’ultima vecchiezza dare go­verno libero a Siracusa; ma ne fu impedito dalle figlie, le

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quali 1’ assicurarono che Geronimo avrebbe soltanto il nome di re , e che in realtà i loro m ariti, Zoippo ed Andranodoro, amministrerebbono gli affari.

(2) Metti ecc. È osservabile che Geronimo all’ ambasciata presso Annibaie scelse due stranieri, non si fidando di quelli del paese, i quali aveano tutti in somma venerazione la me­moria di G erone, che all’ amicizia de’ Romani dovette la sua grandezza e la prosperità del suo regno.

(3) Agatarco. Agatocle fuggendo da Siracusa, allorquando il popolo, stanco delle sue sevizie, era contro di lui insorto, non ebbe tempo di pigliar seco i figli, i quali, partito il pa­dre , trucidati furono da’ soldati. Ma non si tosto ricuperò egli il regno, per opera d’ un esercito raccozzato in A frica, d ie fece crudelissimo scempio de’ suoi nemici, e singolarmente de-

uccisori de’ figli. Diodoro Siculo, che ( x x , p. 769 e segg. ) racconta questo fatto , nomina Agatarco 1’ autore H«lla sedizione contr’ Agatocle ; ma tace il nome de’ figli.

(4) I l pretore romano. Appio -Claudio Pulcro, secondo Livio ( x x iv , 6 .) , il quale ebbe il consolato l’ anno di Roma 541 , e fu ucciso il medesimo anno nell’oppugnazione di Capua.

(5) Cattivelli che a cattivo partito ecc. «7< *«««} kxhZc.... àsr*A«A«<rjr è ari £» cf«r J » » sono le parole deL testo. La coro-

passione ch e , vestita d’ ironia, questo mal consigliato giovine immaginavasi d’ esprimer a’ Rom ani, non permette di dar a i im 'i il senso di mali (scellerati) che leggesi nelle interpetra- zioni latine; sibbene d’ infelici, miseri, poverini, cui corrispon­de il cattivelli italiano. V. il vocabolario della Crusca a questa voce. - Diversa è la risposta che Livio mette in boera a G e­ronimo , ed in generale è tutta la sua narrazione meno circo- stanziata di quella che leggesi nel nostra

(6) Volio ho il mio corso ecc. Non ho voluto lasciar perire nella versione 1’ espressiva metafora usata qui da Polibio nella frase, e m ira tix «rj'or Tmt iXwiSmt. I

traduttori latini la presero dalla navigazione, scrìvendo mutata velificatione.

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(j) II fiume Intera. Scorre questo fiume ( oggidì denominato

Salso ) da settentrione a mezzogiorno per m odo, che la parte della Sicilia, la quale rimane alla sua sponda orien tale, com­prendendo i due promontorii Peloro e Pachino , riesce notabil­mente maggiore dell’ occidentale , che sporge in mare colla punta di Lilibeo. Siracusa trovavasi nella prima ; quindi è chiaro che Geronimo erasi riservata la porzione più ragguarde­vole dell’ isola.

(8) Calati ad ogni condizione. Avanti la prim a guerra pu­nica erano i Cartaginesi padroni di tutta la Sicilia , tranne il territorio di Siracusa, il quale non era molto esteso, dappoiché a tramontana confinava co’ Mamertini ( Messinesi ) , cd a po­nente avea per ultimo termine il contado d ’ Echetla ( Polibioi , 8 , i5 ). Ma l’opportunità d ’ afforzarsi coll’ alleanza di Ge­ronimo fece s ì , che di buon grado acconsentirouo a ccdcr ai Siracusani la maggior parte della Sicilia, ove riuscito fosse ad amendue di «cacciarne i Romani.

(9) Nereide. Stando a Giustino ( xxvm , 3 ) avea Pirro la­sciata una figlia sola nomata Olimpia, la quale, perduto ch’eb­be il m arito, abbandonò il regno a’ due figli che con esso avea concepiti. Morti questi innanzi alla m adre, e morta questa an­cora , rimase della stirpe di Pirro Nereide vergine , che poscia maritossi a Gelone. Laonde diDlcil è a credersi, che Nereide sorella fosse d ’ Olimpia e figlia di P irro , conforme asserisce il nostro. Ma forse pres’ egli qui la voce Svyxlti( ( figlia ) nel

senso più largo di discendente.(10) I l quale ecc. Pirro re d’ Epiro, sovrano valoroso cd

avido di conquiste, era passato con un esercito in Sicilia, i di cui abitanti l’ avean chiamato per difenderli contro i Cartagi­nesi , che li disertavano, ed in tal occasione gli fu per consenso di tutti dato il dominio di quell’isola. Ciò avvenne intorno al­l’ anno 470 di Rom a, settantanni circa avanti gli avvenimenti qui narrati. V. Giustino x v n i, 1 ; xx ili, 3.

(ix ) Gonfiato. Infelicemente tentò l’ Orsini questo luogo; perciocché, convertito in virgola il punto ch’ è dopo fcilea-

p o lib io f tomo 111. a 5

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( assurdo participio neutro che a nessun sostantivo si

riferisce ) impacciò la costruzione, la quale forte mi maraviglio come lo Scliwcigh. nelle note desideri che cosi sia riportata nel testo. £ chi uon vede lo storpio del seguente periodo ? iik 7ì «ai tpitrit i* i r » m t , « tra ig li» ' tri i l bzr i t i / .

IV I f t l T l V ( i T $ Ì t , Ù t f t l l t ..................S lX 'V f l tT Tt f t l t t t l , i z r i j r i f t v i l

■zT£t<rjìilT<*s. Conciossiachè avesse ( Geronimo) la natura inco­stante ; e molto maggiormente allora da quelli gonfiato essendo (n eu tro , non si sa che cosa siasi gonfiata), nelfervor de trat­tati mandò ambasciadori. Che se ftirm firS ’i» si muti in cT<«

t i , analogo al <ftlt r i it che lo prece­

d e , siccome propone il Reiske, cessa cou una picciola alterazio­ne ogni difficoltà.

( 1n) Ma Aristomaco ecc. Dalle opinioni qui enunciate si conosce quanto fosse debole il partito che consigliava il re a rompere co’ Romani. E quantunque Geronim o, non si fidando gran fatto de’ proprii paesani, si servisse molto di stranieri nell’ amministrazione delle pubbliche faccende, ( V. nota a ) tuttavia i tre consiglieri esterni nel testo nominati, per quanto animati non fossero da’ sentimenti degl’ indigeni, videro 1’ as­surdità di cotal risoluzione, e francamente vi si opposero.

( i3) Sinistra risposta. 11 testo ha fih n t t i i t S tx th à tr tz f/n - a-3-eti, non sembrar rispondere sinistramente, al qual avverbio gli

interpetri latini diedero il senso di mancanza di destrezza e <f abilità ; anzi il Casaub., introducendo un’ antitesi arguta , scrisse : Duni id agit, u t in dando legatis responso dexteritate usus videatur; in eam sinisleritatem incidit etc. Ma come l’ ita­liano sinistro, cosi il greco ntafot sta sovente per contrario,

cattivo, funesto : onde Esichio, spiegando questa voce, ha fra altre espressioni, trom('ot, étSticof , (ca ttiv o ,

scellerato, ingiusto, aspro ). Ora essendo F idea della destrezza che pretendeva d ’usare Geronimo, già compresa nell’apparenza eli egli volca darsi, fiouxiftitts tfì-<fo*s(>j ove s’ attribuisse a fin trxaiì; lo stesso senso di destrezza, si verrebbe a d ire ,

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che Geronimo destramente voloa dare a’ Romani una destra risposta.

(14) Assiduamente attese. Ho 'adottata 1’ emendazione dello Schweigh.; che V ii fy tr di tutti i libri converte in in ig yo vt, dimostrando con testi di Tucidide e di Plutarco che t r a t t o

Tot wixiptot significa eccitare, muovere la guerra; locchè

non volle al certo qui esprìmere Polibio.(15) La città di Leomio. « Apparteneva questo frammento

alla storia della uccisione di Geronimo, che accadde in Leon­zio , conforme sappiamo da Livio ( xxiv, 7 ) » Schweigh. Strar bone, a’ tempi del quale era insieme col suo territorio deva­stata , dice d’ essa ( v i , p. 373 ) che fu sempre partecipe delle sciagure, e giammai delle prosperità di Siracusa.

(16) Lisso. Questo fiume che non riscontrasi in nessun au­tore , per avviso del Cluverio, ( SiciL antiq. p. 128) sbocca nel Teriai, che in picciola distanza da Leonzio scoiTe dall’altra parte.

(17) La strada idi cui parlammo. Nella presente descrizione non trovasi che Polibio abbia rammentata questa strada; ma ei sembra che ne facesse motto allorquando esponeva i particolari dell’ assassinio di Geronimo, che sono fra le sue cose smarrite. A detta di Livio ( L c. ) la ristrettezza di quella, singolarmente dove riusciva al foro, diede a’ congiurati 1’ opportunità d ’ assal­tarlo , separato che 1’ ebbero con astuzia dalla sua guardia.

(18) Falaride. Tiranno d’Agrigento in S icilia, notissimo pel suo raffinamento nella crudeltà, e specialmente pel bue di bronzo, nel quale iacea lentamente bruciar i condannati.

(19) Apollodoro. Nome ignoto fra coloro che si rendettero celebri per tirannia in Sicilia o in altra regione. Forse bassi a legger Agatocle.

(20) Fanciullo ancora. Se crediam a Livio ( xirv , 4 ) , aveva egli quindici a n n i, quando sali sul trono di Siracusa.

(21) Imperato. B tariti ( vissuto) hanno tutti i libri. Io ho

seguita la ragionevole correzione del Reiske in fi*nxivr»s.(22) In questo intervallo ecc. Di cotal opinione non sembra

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essere stato L ivio, il quale ( x x i y , 5 ) n a rra , che oltre all’ in­solente fasto simile a quello del tiranno Dionigi, ed all’asprezza nel trattare , eziandio co’ più distinti, ed alle nuove libidini da lui inventate, fu la crudeltà sua tanto inum ana, e tanto grande il terrore che con essa eccitava, che alcuni de’ suoi tutori ( quindici gliene avea lasciati Gerone ) prevennero i sup­p lic i da loro temuti 'con volontaria mòrte. Se pertanto si con­sideri , che autore di siffatta condotta fu Andranodoro, e che in Geronimo era p iù giovami tracotanza e stolida leggerezza che non istudiata tirannia : svanirà io credo la disparità delle sentenze, e dando a ciascheduno il suo , avrà Andranodoro,

« Di re malvagio consiglier peggiore » tutto il carieo delle empietà commesse in quel breve regno , ed il fanciullo reale otterrà qualche scusa dall’ età e dalla per­fida seduzione di chi lo reggeva.

(q3) Acquistasse da s i ecc. Circa > primordii del regno di Gerone veggasi il lib. i , cap. 8 e 9 , ed ivi le nostre annota­zioni 21 e 23.

(24) Avendo regnato cinquanta quatti*armi. Giova qui tras­crivere l’ annotazione del Y alesio, commentatore e compila­tore degli estratti ch e , compresi sotto il nome di virtù e vizii, noi abbiamo , imitando lo Schweigh., distribuiti secondo 1’ o r ­dine de’ tempi fra i rispettivi libri. « Quanti anni, dice il Va- lesio, regnasse G erone, figlio di G erocle, è in disputa fra gli autori. Luciano ( in longsevis T. a , pag. 822, ed. Basii. Henric- petri ) gli attribuisce settant’ anni di dominio , secondo Deme­trio Calatino. Pausania ( Eliac. v i , ia ) scrive, che G«rone sali sul trono 1’ anno secondo dell’ Olimp. cxxvi. Q uindi, es­sendo egli morto il primo anno dell’ Olimp. c x l i , ne viene che il suo regno durò sessant’ anni. Ma giusta Polibio non re­gnò egli che 54 a n n i, i quali sorgono dall’ anno 4 dell’ Olimp. c x x v i i ; anno in cui, vinti i Mamertini in una grande battaglia, Gerone eh’ era allora pretore de’ Siracusani fu pubblicamente salutato r e , conforme riferisce Polibio ( 1, 9 ) ; quantunque DiocL Sic. nella descrizione di quella pugna ( EcL x x i i , i 5 )

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chiami Gerone r e , quasiché già il fosse. Il perchè io m’ induco a credere, che alcuni abbian calcolato il regno di Gerone dal principio della sua pretura, eh’ egli conseguì 1’ anno secondo dell’ Olimp. exxvi. In Luciano poi credo che sia un errore, e che vi si debba leggere ifax*i7a ( sessanta ' in luogo di

( settanta) ».

( ì5) Locchè sembrati.'* ecc. Quanto la frugalità della vita e la moderazione degli affetti alla longevità contribuiscano, non solo ove il corpo sortito abbia dalla natura una tempra robusta, ma eziandio quando recò seco dalla nascita qualche acciacco, per parecchi esempli dalla storia Conservatici si rende manife­sto. « Io nacqui infermo, scrivea Alvise Comaro allo Speroni ( Opp. T. 5, p. 329 ) cioè con debole complessione, e disor­dinato ; ed avvedutomi, con galanteria cominciai a fuggire li disòrdini, sicché acquistai F intera sanità che è in me. » E cotesta sanità conservò il valentuomo, mercè della sobria vita eh’ egli m enava, sin* all’ anno novantottesimo di sua e tà , nel quale mori di languor senile. Altro maraviglioso caso di fresca vecchiezza dovuta all’ astinenza, e tanto più notabile, quanto-' chè n ’ è subbietto uno degli uomini più insigni che nel secolo xv ristaurarono l’ ippocratica medicina, ci offre Niccolò Leo- niceno, intorno al quale riferisce il Giovio ( Elog. p. 43 ) , che avendolo un giorno interrogato, con qual segreto si fos- s’ egli conservato sì vegeto , nell’ estrema vecchiezza, poi­ché era tuttora ( oltrepassati avendo già i novant’ anni ) di­ritto della persona e con tutti i sensi sanissimi : Niccolò gli rispose, che F innocenza della vita aveagli conservate le forze delF animo ; e la temperanza quelle del corpo. E di siffatte massime sembra il nostro autore esser stato non solo fervido raccomandatore, ma esecutore rigoroso ancora ; dappoiché , a malgrado delle moltiplici sciagurate vicende che amareggiarono la sua vita, soccombett’ egli in età ben provetta a morte vio­lenta , e fu per tal conto annoverato da Luciano fra gli uomini che a rara longevità pervennero.

(26) Di ubbidir al genitore. Ciò non d i . meno racconta Livio

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( xxu i, 3o ) che Gelone, disprezzata la vecchiezza del padre, dopo la strage de' Romani nella battaglia di Canne, abbracciò il par­tito de* Cartaginesi, ed avrebbe fatte novità in Sicilia, se la morte, tanto opportuna che ne cadde il sospetto sul padre, noi avesse colpito mentrechè armava la moltitudine ed invitava i socii.

(27) Questa è la convenzione. Riferisce Livio ( x x m , 33 e seg. )

che Filippo avea, per fermar questo te tta to , mandato Senofane al campo d'A nnibale, e che nel rito rno , essendo quegli stato preso da’ Romani insieme cogli ambasciadori Cartaginesi che an­davano al re per far fede della convenzione , fu la scrittura presso di loro trovata. Con poche parole spicciasi lo storico ro­mano circa i patti dell’ alleanza, che il nostro espone distesa- mente , forse colle stesse espressioni dell’ originala

(28) In presenta ecc. Osserva il Reiske eh* le divinità in­vocate a testimoni del trattato spettavano alternatamente a’ Greci ed a’ Cartaginesi, giurando Senofane prima per quelle, poscia Annibaie per queste. Se non che 1’ ultima formola : in presenza di tutti gli Dei che presiedono alla guerra ecc., era comune ad amendue le parti.

(29) Del Genio ecc. Nel testo è S x l j tu t t , che il Casaub.

traduce coram Dea Cartaginensium, pella quale lo Schweigh. dice che questi intendesse Astarte, o la Venere celeste. Ma cotal interpetrazione non ha fondamento alcuno, siccome troppo uni­versale è il coram Numine dello Schweigh. Nè tampoco s’ ad­dice al significato dell’ anzidetto vocabolo greco la Fortuna del Reiske, che non è identica col Genius, anzi da lui affatto di­stinta , conforme leggesi in Macrobio ( Satura. 1, 19, p. 295). Io ho preferita la versione in Genio , riflettendo ch e , cosi gli uo­mini come le città ed i paesi aveano , secondo la credenza de’ pagani, le loro divinità tutelari che siffattamente denominavansL Quindi scrive Tertulliano ( Apologet c. 3a ). Nescitis , genios deemones esse ?

(30) Df Ercole e di Jolao. « Che Ercole adorato fosse da’ Cartaginesi , siccome discendenti de’ T ir ii, è abbastanza noto. Ma che Jolao , compagno d’Ercole , avesse culto presso gli stessi

39°

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Cartaginesi, non iscrive nessun altro autore ; gibbone sappiamo eh’ egli 1’ ebbe in Sicilia e(l in Sardegna ( Diod. ìv , 25 , 29 ; Pausali, x , 1 7 ) , quantunque non in quelle parti che ubbidivan a’ Cartaginesi. » Schweighàuser. La supposizione dello Scaligero che abbiasi a leggere ’l t i t v ( Ioau ) , e che questo corrisponda

al Iehova degli E brei, parmi cosa troppo strana ; e perchè non trovasi che i Fenicii o i Cartaginesi adorassero alcuna Divinità sotto questo nome, e perchè, ove pur ciò fosse stato , non è credibile che invocato avessero dopo Ercole siffatto Nume su­premo , e perchè la primaria Divinità de’ Cartaginesi era già stata invocata sotto il nome di Kag^tièon'at'

(3 1) Dei ausiliatori. propriamente commili­toni , che pugnano nelle nostre file. Expedilionis comites hanno gl’ interpetri latini ; ma , se non vò errato , molto più confassi alla dignità de’ Numi l’ idea dell’ ajuto che porgono a’ combat­tenti , chc non quella d’ un accompagnamento. Sebbene non dis- direbbesi neppure 1’ espressione di Socii delle nostre armi, ove riflettasi alla parte attiva che secondo Omero prendevano gl’ Id- dii nella guerra trojana , a ta le , che non solo ferivano, ma vc- nivan eziandio feriti, siccome Marte e Venere il furono da Dio­mede. IL E , vv. 33 5 , 855.

(32) Vassalli. 'Y«-«{£«<, sottocomandanti , o dir vogliamo

comandanti che dipendono da altri superiori, in quanto alle leggi che debbon far eseguire, ed a’ servigi militari che presta­n o , quali erano ne’ tempi bassi i signori feudatarii. V. Montesq. Espr. d. loix, L. xxx , c. i 5 ).

(33) E gli Uticesi. Sono questi dagli altri popoli distinti, per­ciocché era U tica, a detta di S trabone, ( x v n , p. 832 ì pros­sima a Cartagine in grandezza e in dignità, per modo c h e , dopo la distruzione di questa, fu pe’ Romani come la metropoli della Libia , ed il ricettacolo di tutti i loro affari in questa parte del mondo.

(34) Sarete. In tutti i libri leggesi irifità-* (sa rem o ); onde

il Reiske sospettò chc qui fosso una lacuna, e che Polibio scritto avesse , i-sófitB-x. znXiit/at , I ftttt fitt 7aiV -agtt Kàg%. ( sa-

3q 1

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remo nem ici, voi di quelli che fanno guerra a’ Cartag. ). Ma se ciò vero fosse, non leggerebbesi nel periodo appresso, i<refii&a,

Jì x*i ifttTs (sarem o ancor n o i) ; sibbene i f t t l t St ir tft ( e noi saremo ). Quindi è ragionevole la lezione dello Schweigh.,

che propone t<rtrBt ( sarete).(35) Popoli. Lodevolmente congetturò il Gronovio che a Xift't-

( p o r t i ) abbiasi qui a sostituire Si fitti (popolo). Diflatti

non si com prende, perchè debbansi i porti separare dalle città che precedono , e da queste non distinguersi i'popoli , i quali sovente a parecchie città di conto estendevan il loro dominio.

(36) Che se gli Dei ecc. Guasto era questo luogo in tutti i codici, e molto s’ affaticarono gl’ interpetri e commentatori di Polibio per restituirlo. L ’idea più ingegnosa ebbe^lo^Schweigh. convertendo il v t i ì n t U t «fi IS t S ta i i ftit *•< i f t ì t che

non significa nu lla , in a ,eii|«,»«7£» èt IS t S%£t ift'it *.{7. A.

( se faranno gli Dei a noi ecc. ) : frase, die’ egli , della lingua ebraica, con cui la punica avea grande somiglianza , e che tro­vasi in Samuele i , i 4 , 6. Ma io ho stimato di dover esprimere il senso più probabile dell’ autore, senza badar gran fatto alle parole eh’ egli può aver usatew

(3j ) I Corciresi ecc. I Rom ani, allorquando fecero la prim a spedizione nell’ llliria 1’ anno di Roma 5a5 ( V. Polib. n , 11 ) , approdarono dapprima a Corcira, e ricevuta in fede quest’ iso­la , assoggettaronsi Apollonia e Durazzo , e poscia i Partini e gU Atintani. Quindi avvedutamente proposero Annibaie e F i­lippo d’ escluder i Romani in un futuro trattato da’mentovati luoghi e paesi, che consideravano come le chiavi della Grecia dalla parte dell’ Italia.

(38) Reggendosi i Messenii ecc. Narra Plutarco ( in Arato p. io 5o ) , che tardando Arato maggiore a soccorrere i Mes­senii eh’ erano in sedizione, Filippo il prevenne d’ un gior­no , ed in luogo di conciliare i partiti commise fra di loro tanto m ale, che irritati viemmaggiormente gli uni contro gli al­tri divennero più facilmente sua preda.

(3g) Gorgo da Messene. « Fu questi senza dubbio nel nu­

3(p

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mero de* Magistrati o principali dello sta to , che Filippo concitò contro la p lebe, nello stesso tempo che a vicenda irritò la plebe contro di loro. Era pertanto lo stesso Gorgo già in addietro an­dato ambasciadore a F ilippo , ed avea implorato 1’ ajuto di lui pe’ Messenii contro Licurgo re de’ Lacedemoni (V . Polib. v , 5 ).

Pausania ( v i , i4 ) rammenta una statua di Gorgo Messenio fi­glio d’ Eucleto, vincitore al quinquerzio. » Schweigh.(4o) Rozzezza. ‘k-y*ilcts ( del combattimento della palestra ) leg-

gevasi in lutti i libri avanti la felicissima correzione del Toupio in in tym yittt ( difetto d ’ educazione ) seguita dallo Schweigh.

(4 i) E alquanto ecc. Plutarco ( in Arato L e . ) riferisco che Filippo mostrò i visceri ad Arato ed a Demetrio F ario , inchi­nandoci a vicenda ( i v i /tifa» cttrtxX irn ) verso amendue ,

cd interrogandoli. La qual cosa è più probabile di quella che qui narra Polibio, strano oltremodo essendo ch e , voltatosi il re ad Arato solo, per fargli veder 1’ interiora, Demetrio gli ab­bia data la risposta. 11 perchè io credo che v’ abbia una lacuna nel testo , e che dopo le parole tir Tur £<<;«t (p re ­

sele in m ano) manchino le seguenti, tcTi/mvi 7» bufiti!pia, ( mostrolle a Demetrio ) od altre simili. Io ho espressa nella versione questa mia congettura, chiudendola pertanto fra pa­rentesi.

(4s) Se hai P animo di vate. Costui, gittatosi dietro le spalle il timore de’ Numi e la coscienza, consigliava a Filippo il par­tito più confacente a’suoi ambiziosi disegni. Ma non era men biasimevole il r e , che cimentava gli Dei ad approvare una in­giustizia da lui desiderata.

(43) Itomata. Itome ( ’l^ iftti ) la chiama Strabone ( v iti, p. 361 ) , il quale scrive che la città di Messene rassomiglia a Co­rinto , perciocché sovrasta ad amendue un monte allo e scosce­so , circondato da un muro comune, per modo che serve di roc­ca. E qui cita egli il paragone che d’ entrambi fece Demetrio a Filippo per rispetto al Peloponneso. - Celebre era colà il

tempio di Giove Itomata descritto da Pausania ; nè senza fon­

3.9:>>

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damento sospetta lo Schweigh. che da cotal epiteto di Giove tragga origine il nome dell’ anzidetta rocca , siccome leggesi nel nostro ed in Plutarco j laddove ltome h a n , oltre a Strabone, Pausania e Stefano Bizantino.

(44) Ch’ egli dicesse. ' h. vici > i) fn ( ipsum dicere ) è la le­

zione volgare secondo tutti i codici, e lo Schweigh. volle in iv i è ( id ipsum ) mutare la prima di queste voci, pretendendo

che , ove si lasci 1’ i v l t i , il X tym debba preceder e non se­

guire. Ma stentato oltremodo e poco intelligibile riesce quel dop­pio accusativo io là , l ì Q ccn i/ttif ( lo stesso, ciò che gli sem­

bra ) quindi non ho cangiato nulla.(45) Ma se ecc. Stringentissimo argomento, e che valse ad

attizzare, per qualche tempo almeno, nell’ animo di Filippo l’ultima scintilla di virtù.

(46) Per la strage ecc. La plebe de’ Messenii, messa su da F ilippo , avea uccisi- circa dugento de’ nobili, secondochè narra Plutarco ( L c. ). Laonde il giovine Arato , amante di Filippo ( secondo il costume de’ Greci di far servir 1’ amore fra indivi­dui del medesimo sesso a virtuosi incitamenti ) il riprese gra­vemente , dicendo che per tal azione egli non sembrava a lui più bello. Filippo non gli rispose, ma data la destra ad Arato maggiore il fece uscir del teatro , e il condusse in Itom ata, do­ve accadde quanto è nel presente capitolo narrato..

(47) Cotesto fu il principio. Nel lib. ìv , c. 77 avea già Po­libio annunziato, che scelto avrebbe un tempo acconcio per esaminare ciò che Filippo d’un buon principe tramutò in tiran­no ; e qui sembra egli d ’aver attenuta siffatta promessa.

(48) Alessandro. Costui fu lasciato da Antigono, predeces­sore di F ilippo, quando m orì, capitano delle guardie ( ìv , 87 ) , e non è forse diverso da quell’ Alessandro figlio d ’Acmeto, che nella guerra Cleomenica comandava gli scudi di bronzo. ( ìv, 66 ).

(49) Crisogono. Di questi parla Polibio in parecchi luoghi del lib. v ( cc. 9 , 17 , 97 ) ; donde apparisce eh’ egli era molto famigliare di Filippo. Nel lib. ix , 23 è detto , che Crisogono cd Arato eran i migliori consiglieri che avesse Filippo.

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(5o) Che tutti i Cretesi ecc. Stando a quanto narra il nostro nel lib. ìv , 5 5 , avea Filippo soccorso in Creta il partito con­trario a’ Cnossii, e rendutolo preponderante : onde non é diffi­cile che senza guerra egli abbia colla sua autorità ristabilita la concordia in quell’ isola. A nzi, se crediam a Plutarco ( in Arato p. io 4 g ) , bastò un solo colloquio di lui co’ Cretesi per ridurli tutti a’ suoi voleri.

(d i) Noi pertanto ecc. Veggasi lib. v , c. la e seg.(5a) Pervenimmo. Circa il valore della voce im s r iftit che

qui usa Polibio, si consulti la nota 4^3 al terzo libro.(53) E tutti i voti. Nel testo è *-aì 7« X tiva 7Si ùittStiftxlai

( ed il rimanente de’ voti ) ; locchè non significa già che i po r­tici ancora a’ voti appartenessero ; siccome apparisce dalla ver­sione del Casaub. ricevuta dallo Schweigh., et reliqua donaria; sibbene sembrami, che debbasi qui al A«iir«e attribuir il senso

che gli dà il Reiske presso Demostene, nell’ ìndice della Gre­cità di questo autore : cioè di tutto. Nello stesso modo hassi ad interpetrare il fttlìt 7*3 Xttzrt» k ir fi tv che riscontrasi nel prin­

cipio del cap. 53 del lib. vi.(54) Narrate da Platone. Dice questo filosofo ( de repub.

1. ix , Opp. T. n , p. 565 ) , che un capo dello stato si converte in tiranno , quando egl’ incomincia a far ciò che secondo la fa­vola accader suole nel tempio di Giove Liceo in Arcadia, dove chi ha gustato di qualche viscere um ano, mescolato colle visce­re d’ altri anim ali, necessariamente diventa lupo. Tanto è in ogni cosa più difficile il non principiare, che l’arrestarsi avendo principiato.

(55) Rocca di Messene , cioè a dire Itom ata, di cui èssi par­lato nel cap. n di questo libro.

(56) La scelta degli amici. Egli è pressoché impossibile, che Sovrani amanti di conquiste, siccom’ era Filippo, per quanto abbian sortito indole generosa, non incappino finalmente in qual­

che seduttore che gliela guasti. Il possesso del Peloponneso, ar­dentemente bramato da F ilippo, gli avea renduta necessaria 1’ amicizia d ’Axato, uomo di somma autorità fra gli A chei, ed

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in tutta quella parte della Grecia. Sia le speranze eh' egli con* cepute avea intorno all’ llliria ed al dominio del mare Ionio gli mossero pelle mani Demetrio, il quale essendo strumento assai più idoneo alla sua avidità che non era 1’ altro , ottenne alla perfine sull’ animo di lui la maggior ascendenza.

(5y) Intorno a Sardi. « Che Antioco, sovrannomato il Gran­de , fatta la pace con Tolemeo Filopatore, voltati abbia tutti i suoi consigli alla guerra d’ Acheo, ed in sul principio della sta­te dell’ anno d. R, 5 3 8 , passato il T auro , imprendesse cotesta guerra , il disse Polibio nel lib. v , 87 , 107. Le prime gesta di siffatta guerra, noi crediamo che il nostro esposte le abbia nella parte posteriore del libro sesto , che andò smarrita. In questo libro vii narrò egli gli avvenimenti della stessa guerra eh’ eb­bero luogo nell’ anno susseguente ; la di cui parte presente molto notevole, che trattava della presa di S ard i, capitale dell’ im­pero d’ Acheo , ci conservò il compilatore de’ frammenti che de­nominammo antichi. « Schweighauser.

(58) Contragguati. Mi sono permesso di formare questa voce per esprimer 1’ ùiln 'iS fu t del testo, che con altra più acconcia

non si sarebbe potuta rendere. Valganmi per giustificazione i molti termini militari che colla stessa preposizione si compon­gono , conforme può vedersi nel dizionario milit. del Grassi.

(5g) A lla fine. Tà Ji srtptts non è qui propriamente sostan­

tivo , ma fa le veci d’ avverbio, e non è necessario che si sot­tintenda 1AbjSu, t 7%•> i wtXupKi* (p re se , ebbe l’ assedio),

siccome credette il Casaub. seguito dallo Schweigh., in scrivendo; huic oppugnationi finem imposuit. Nè hassi a reputar valevole la scusa, che la lontananza della conclusione, fi Si AA«»

(tan to maggiormente vi pose l’animo) dal nominativo

A a y ifx t ( Lagora ) esigeva siffatta costruzione. Chi attentamente leggerà il presente periodo, siccome fu da noi tradotto, niente parmi vi troverà d’ intralciato e d oscuro, sicché faccia mestieri di spezzarlo, adottando un’ alterazione nel testo.

(60) Che le più fo r ti citta ccc. La stessa Sardi fu già presa

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da C iro, appunto nel sito più forte e mcn custodito, siccome riferiscono Erodoto ( L 84 ) , e Senofonte ( Ciroped. v i i , a ).

(61) Per via di qualche ardi (fi fazione, ài» l t i» i l i t trp i^ a t ( per mezzo di cotale fazione ) scrive Polibio : cioè a d ire , con­forme spiega il Reiske, per qualche fatto del genere di quelli che sono rammentati nel principio di questo estratta

(62) Le carogne. Nel testo è »<u x (» s, che il Casaub. tradusse

interanea, e che realmente significa ventri. Cotesta espressione non^credo che debba intendersi con tutto il rigore, conforme vorrebbe lo Schweig. nelle no te , pentendosi della correzione in cadavera fatta nella versione. Forse distinguevansi co» questo nome i cadaveri degli animali, perciocché, venendo essi dì rado sepolti, offrono spesso alla v ista, nell’ avanzata putredine, la crepatura del ventre. Nè da altra origine, cred’ io , deriva il crepare che in italiano si dice del morir delle bestie, e delle persone- che come bestie si disprezzana

(63) Di unirsi a lui ecc. Sembrerà a taluno soverchio tanto apparato di parole ; ma non senza ragione , pann i, fu il nostro qui prolissa La semplice unione de’ condottieri nel testo ram­mentati non avrebbe che accresciuto il numero delle persone che diriger doveano l’ imprésa ; ma l’aggiunta che per tal modo faceasi a’ mezzi d’ eseguirla era 1’ oggetto più essenziale : onde l’attività di costoro e 1’ opera sociale che avean a prestare non erano espressioni da negligersi. ,

(64) Abilità. Osserva opportunamente lo Schweig. che la voce Sv*apits non significa in questo luogo forza corporale, siccome

voltolla il Casaub.; sibbene forza d’ ingegno, come quella che nella presente emergenza principalmente richiede vasi.

(65) La sbarra. Z vya fitt, cioè la trave che conficcata colle

due estremità .nel muro passa orizzontalmente sovra gli usci, ed impedisce a que’ di dentro l’apertura della porta. La qual cosa era qui necessaria, perciocché essendo questa parte delle mura poco custodita, non dovea siffatta porta aprirsi da quelli della città durante l’assedio, per non dar occasione a fughe ed a tradimenti. - Lo Schw'eigh. senza ragione si confonde nel

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ricercar il censo del vocabolo !*>-«/1«. A me sem bra, che la

condizione testò descritta della porta di cui trattasi, abbastanza determini il significato che a quello deesi attribuire.

(66) I lucchetti. Il ferro traforato che s' introduce in una delle im poste, e per cui passa la stanghetta dell? serratura nel* 1’ altra imposta saldata, chiamavasi pestulus da’ L atin i, ed i Greci ftéyyx ta t il denominavano, e /3«Aa>«> (ghianda) ancora

dalla somiglianza della sua forma Qon quella del frutto della querce. Se non che presso gli antichi, in luogo della no­stra serratura a toppa, era la leva, e per questa passava il fia ta m i , il quale fermavasi colla /3«A«iit* /« , cosi chiamata

secondo lo Scoliaste di Tucidide ( u , p. 101 ) irap* Te iyp ton t Tt /3«1 A«r»i, dall'acchiappare eh’ essa facea la ghianda, non

altrimenti che i nostri lucchetti afferrano i naselli delle odierne serrature.

(67) La piazza che circonda il teatro. Tì» 7«5 $ i«7p»u tr i .

f ìtrm scrive Polibio, verbalmente la corona del teatro , cioè a

dire lo spazio libero ch’ è intorno al medesimo: tr i (pini (e non

{T ttpanf, ch’ è propriamente la corona che si pone sul capo)

appellato essendo da’ Greci tutto ciò che è collocato intorno ad una cosa, massime per ornamento.

(68) Ippodromo. Vastissimo era sovente lo spazio di siffatto edilizio, dalle corse de’ cavalli che vi si faceano cosi denominato. Quello di Delfo era tanto grande che quaranta carri vi si po­teano disputare la vittoria. ( Voy. d. jeune Anach. T . a, p. 3 14 ) Nè si celebravano in quello soltanto i giuochi equestri , ma vi

si esercitava ancor la cavalleria militare, conforme apparisce da Senofonte. (AgesiL L xxv) I Romani li chiamavano circi, e ve ne avea nella Capitale parecchi, fra i quali il più cospicuo era il così detto circo Massimo, edificato da Tarquinio Prisco e da Giulio Cesare talmente ampliato, che contener potea dugen- sessanta mila uomini ( Sveton. lui. Caes. c. 39 ) : sebbene non solo le gare de’ cocchii colà amrairavansi, ma le pugne eziandio delle fiere e de’ gladiatori, finché sursero gli anfiteatri pella magnificenza degl’ Imperatori.

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(69) Chiamala Persiana. Questa era la porta orientale, es­sendo la Persia situata a levante della Lidia.

(70) Verso la parta. « Cioè quella porta che vicina era al luogo, dove Lagora ascendea co’ suoi compagni ; i quali, a dir vero , Acheo non avea veduti, quantunque comprendesse che i nemici tentavano qualche cosa da quella parte , perciocché vedea gli occhi di tutti volti verso di loro dal campo. » Schweigh.

(71) Dietro a quelle situata. M ale, per mio avviso, tradus­sero gl’interpetri latini t r i 7»» in x iif t t t t i t buA«> , ad portarli subjeclam. Non scorgesi dal testo, a che cosa questa porta fosse sottoposta ; sikbene significa talvolta ùroiti/puits situato a tergo, siccome nel lib. m , c. 74 trptt 7o> ù t ì o / k s >o> noi a/ti *, che

io amerei d’ aver tradotto, sino al fium e eh’ era loro alle spalle, in luogo di fiume soggiacente. Qui volle dir il nostro che La- gora , ed i socii della sua impresa pervennero alla porta ch’era dietro le ru p i, con tanta maestria da loro superate.

(72) Altri tagliarono le loro leve. La gente spedita da Acheo per combattere con quelli di Lagora non erano altrimenti usciti polla porta dietro le ru p i, che ragion vuole fosse sempre chiusa, ma probabilmente per una delle prossime a quella. Donde av­venne che i regii, i quali all’ anzidetta porta avventavansi, do­vettero tagliare la sbarra che di fuori la chiudeva, mentrechè quelli che scalato avean il muro ed eran entrati in c ittà , rom­pevano la serratura interna e finivano d’ aprirla.

(73) E fecero lo stesso. Cioè tagliarono la leva che di dentro assicurava la porta.

(74) Di ordinare f assalto. Hxptyyva» ha qui forza di coman­dare , siccome fa un duce a’ suoi soldati, o di comunicare i suoi comandamenti ; nel qual senso, conforme abbiam avvertito nella nota 247 al primo lib ro , trovasi questo verbo spesso presso Senofonte.

(75) Signore di Sardi. Yale a dire della città: che la rocca prcs’ egli 1’ anno seguente ( v in , a3 ).

(76) I Mussili. Intorno a questa nazione vedi la nota 119 al

terzo libro. « In qual occasione per tanto Polibio rammentati

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abbia » Massili in questo libro, non è diiaro. La prima men­zione di Gala e del costui figlio Massioissa, che furono regoli di questa nazione Numidica , occorre presso Livio ( xxxiy, 48 e seg. ) ; ma quella parte della storia Polibiana è al tutto per­duta ». SchweighaUser. .

(77) Orico. Città della Caonia, eh’ era provincia dell' Epiro confinante colla Macedonia. Livio ( xxiv, 4» ) narra, che , es­sendo essa situata nel piano e senza m ura, Filippo aveala di primo impeto occupata, per cagione della sua vicinanza all’Ita­lia ; ma d ie i Rom ani, scacciatone il debole presidio ch’egli vi avea lasciato, tosto se la ripresero. Questo fatto accadde, secondoil calcolo di Pulibio, che vuole fabbricata Roma l’ anno a del- 1’ Olimpiade xxvii, l'an n o di R. 539, sotto il consolato di Q. Fab. Mass. Verrucoso IV , c M. Claud. Marcello I I I , e giusta il computo di Dionigi d’Alicarnasso, consenziente co’fasti capito­lin i, l’ anno 54o. Ma che Livio all’anno 54o lo riferisse, quandoil nostro lo mette fra le gesta dell’anno 5 3 9 1 conforme sostienelo Schweigh., non mi so persuadere ; anzi mi è sommamente probabile che lo storico romano attenuto siasi alla cronologia di V arrone, di poco a lui anteriore, e reputato il più dotto tra i suoi concittadini. Questi avendo posta l ' edificazione di Roma nell’ anno 4 dell’Olimp. xxv i; dovrassi, cred’ io , per Livio crescer un anno ancora , e stabilire per il surriferito avveni­mento l’ anno 541. - Dalla confusione di q u e s t e tre ere nacquero molti intralciamenti nella cronologia della storia rom ana, la quale, a malgrado delle fatiche di tanti dotti che la dilucidarono colla critica e co’ monumenti antichi , merita una riforma.

(78) Crotone e Sibarì. Del lusso smodato de’ Sibariti ragiona minutamente Ateneo nello stesso libro dond’ è tratto questo fram­m ento, e non v’ha pressoché storico antico che non ne parli. Crotone pur era immersa nella lussuria, allorquando Pitagora stabilì colà la sua dimora. Ma tanto potè questo filosofo colle aringhe eh’ egli fece contro la mollezza, cui egli meritamente attribuiva la causa della perdizione di tante c ittà , che voltisi tutti ad una vita frugale, e datisi agli esercizìi violenti del corpo,

4°°

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divennero i più famosi atleti della Grecia, e condotti da quel Milone che vinto avea sette volte a’ giuochi olimpici, con po­che forze soggiogarono e distrassero l’effeminata Sibari, V. Justin. x x , 4 ; Strab. v i, p. 267; Diod. Sic. x i i , p. 294.

(79) I Petelini. Era Petelia città de’ Bruzii, la quale stretta da’ Cartaginesi e dagli altri Bruzii che il partito di questi avean abbracciato, mandò inutilmente per soccorsi al senato di Roma : onde messasi alla più vigorosa difesa , vi durò parecchi m esi, finché ridotta all’ eccesso della fame, e non potendo i cittadini più regger sulle m ura, si arrese, non senz’ aver fatta grandis­sima strage de’ nemici. V. Liv. xxiii , 20 , 3o.

4o i

FINE DELLE ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LIBRO SETTIMO.

p o l i b i o , tomo III.

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ANNOTAZIONE PARTICOLARE

Alla tavola inserita nel quinto libro a, pag. 4 ■ •

4 0 2

A m hxm creduto di non far cosa ingrata al leggitore, po­nendogli sotto gli occhi l’ effigie di alcuni regnanti, che figu­rano nelle presenti storie. F ra questi meritali al certo un luogo distinto Antioco III re di Siria cognominato il G rande, e To­lemeo 1Y re d’ Egitto coll’ appellativo di FOopatore, come quelli che non picciola parte hanno negli avvenimenti di guerra e di pace narrati in varii libri da Polibio, e sonoi protagonisti della guerra Celesiriaca esposta nel quinto libra. La persona di Mi- Iridate I Y , re del Ponto e suocero d’Antioco il G rande, non è , a dir vero , di molta importanza, non conoscendosi intorno alla sua vita se non se quel poco che ne scrive il nostro nel cap. 43 del libro succitato. Ma una disputa insorta circa una medaglia che porta il suo nom e, interessante mel rese , ed io ho deciso di farla copiare, persuaso che al mentovato re del Ponto abbia ad esser rivendicata, e non altrim enti, conform’ è parere dell’ Eckhel e del V isconti, attribuita ad un regolo d d - l’Armenia minore.

Sostengono questi insigni Archeologi (Eckhel Ni D. T. in , p. 206 ; Visconti Iconografia greca T. n , p. 333 ) , che la tiara di cui va ornato il mentovato Principe lo esclude dalla serie de’ re del Ponto, che sono tutti diademati, e costringe a ri­porlo fra i Sovrani dell’ Armenia, cui siffatta copertura del capo era famigliare. È pertanto da riflettersi, che la tiara, altrimenti detta cidaris o citaris ( V. Hesych. in x lia p it, e Voss. EtymoL

in c ij^ ris), e precisamente la diritta , qual è quella che portail nostro Mitridate, era il distintivo de’ re di Persia siccome

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leggesi in Seneca (*) (de beneficiis iìb. v , c. 3 i ) ; onde non è punto improbabile, che il suocero d’ Antioco, il quale secondo l’ espressione di Polibio ( 1. c. ) vantavasi discendente et’ uno de”sette Persiani che uccisero il Mago p'it aw iyttccth a t 7St 1*7* TltptrSi <><r *. 7. A, ) , mettesse una gloria

particolare nel farsi effigiar sulle monete colla tiara diritta dei re di Persia.

Tra per questa ragione, e per quelle che addurrò dove oc­correrà in Polibio menzione del Mitridate arm eno, creduto dal Visconti subbietto della medaglia in quistionc, io ho abbrac­ciato il parere del Frolich (N o t eleni, numism. Tab. x , fig. 5 ) (” ) che scorge in quella il sembiante di Mitridate IV.

La clava che vedesi nel rovescio della medaglia simboleggia, a detta del Visconti, la discendenza del suo Mitridate da Er­cole , cui gli ultimi re di Macedonia riferivano la lor origine, e per conseguente i Seleucidi ancora, nella famiglia de’quali era passata S tra tonica, figlia di Demetrio Poliorcete, e donde per via di madre nascea quel principe, figlio d’ una sorella di Antioco III. Ma con maggiore semplicità, se non vò errato , farassi a quello strumento di morte significar l’ uccisione del Mago, in premio della quale Artabazo ebbe da Dario il regno del Ponto. In tal caso non $<A«/uii7«p (Filometore, amico della

madre) conforme propose il Visconti , sibbene

(Filopatore, amico del pad re ), siccome ha sospettato il Frolich, suonerebbe il tronco titolo aggiunto al nome di Mitridate; dap-

(*) « Petit ilio (Demaratus a X-.rxe) u t Sarde* maximam Asiae civitatem ,

c a r ro Tecta s i n l r a r e t , rectam in capite tiaram gerens : id soli* da tum reg ibus .»

(**) La moneta fa tta incidere dal Visconti non fc perfettamente eguale a qaella

che riscontrasi nel Fròlich. La prima ha dieiro alla testa una palma , che

manca nella seconda 3 all’ opposiro in questa vedesi la clava rinchiusa in uà

serto d ’ alloro» tl quale invano cercasi nell* altra. Nell’ iscrizione delta prima

leggesi 4> I A . . . , in quella della seconda La tiara del Frólic sembra

cinta da uu diadema , dì cui svolazzan in dietro i due capi ; non cosi la tiara

del Visconti. Noi ci siamo allenati al disegno dell* Archeologo italiano» ch’ebbe

l 'originale da Berlino , mentrochè non a b b i tu potuto scoprircela provenieJM dell' altro.

4o3

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poiché la grandezza della costui casa derivava, non già dal san­gue materno, ma da quello del padre, che per una sarie d’an­tenati era stato in lui trasfuso dal primo fondatore Persiano.

Lo spazio che nella tavola rimanea abbiamo stimato di riem­piere col bellissimo medaglione, tratto dall’ iconografia greca, rappresentante Demetrio primo e sua moglie Laodice; essendo cotesto re di S iria, dopo Antioco I I I , il più insigne fra i Sc- leucidi, di cui ragionasi nella Storia che abbiam per m ani, singolarmente peli’ amicizia che lo stringea con Polibio, a’con­sigli del quale egli andava debitore della libertà e del trono. V. gli avanzi de’ libri xxx i, xxxn, xxxni.

4°4

Page 405: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

DELL E COSE CONTENUTE IN QUESTO TERZO TOMO

I N D I C E

olgarizzamento del quinto libro. . Pag. 5Sommario del quinto libro. . . . . » i a3Note al quinto libro................................................. » i 3o

Volgarizzamento degli avanzi del sesto libro . » 209Sommario intorno le varie form e di governo e singolar­

mente della repubblica romana. . » 2^3» 277

Volgarizzamento degli avanzi del settimo libro. » 361

Sommario degli avanzi del settimo libro . a 381Note agli avanzi del settimo libro . » 383Nota particolare. . . . . . . a 4oa

INDICE DELLE TAVOLE

Effigie di Antioco Magno, di Tolemeo Filopatore, di Mi-tridate I V , re del Ponto , e di Demetrio . • Pag. 4 i

Carta della Media , delV Assiria, della Babilonia , deUaMesopotamia e delV Arabia deserta » 47

Idem delt Asia minore , della Siria, della Fenicia , dellaGiudea e (T una parte de lt Egitto. » 67

Idem della Costa della Fenicia , secondo Tolemeo, Po­libio , Strabone e Plinio . . . . » 172

Forma delt accampamento de’ Romani » 3 iG

Nota: Le tavole (ad eccezione della prima) erano mancanti

nello scan originale.

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Page 407: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

Emendazioni al tomo terzo.

pag. Un.6 5 ed Sperato » e ra . leggi ed Sperato era

ivi iS anzidetti, ottenne »

7 ta Godac . . . .

ta io Arìstofante

iv i i l loro . . . .

18 a8 ne

aa *9 Leonzio non «i seppe come

a6 i4 dugento e trenta

37 9 nuovità . . . .

4o 17 se t i eccettui, quella

44 11 al certo li49 1 dignità; . . . .

55 a6 Padule . . . .

57 17, 18 Allora i l r e , reganato

nuovamente il sen a to , e

ordinato a ciascedano

5g *6 alle milizie68 a opin ioni, innanzi

76 a4 d* amichevole .

76 So per tanto

77 29 questo . . . .

79 a4 malagevol86 la Garsieri , a

90 7 i Teboragi

95 19 di fianco , co’ cavalli .

toa a5 prosegui affrettandosi

u à 1 in appresso

i 9i 95 tutte . •

135 8 Palea . . . .

(45 a i Ove combatterono .

>44] «t agema . . . .

i48 11 ***» « * . . . .i 5( a che non quelle

*63 16 E ter i . . . .

ivi 19 Etere . . .

i 65 Sa Famenòs . .

194 *1 Stanatatiao5 a ( I I I , (4) .

„ anzi detti ottenne ,, Godon

,, Ariitofanto

. „ costoro

„ nò

,, Leonzio , non si seppe come ,

, , (^dugento e ) trenta

,, novità

„ se si eccettni quella

,» al oerto de*

11 dignità

„ padale

,i Allora, raganatosi nuovamente il se­

nato , ed avendo ordinata il re a

ciascheduno ,, alle milizie :

„ opinioni innanzi

,, dell’ amichevole

,, pertanto

„ questi

,, diffidi

,, Garsieri a

„ gli Egosagi

„ di fianco co' cavalli

,, prosegui , affrettandosi

„ ed in appresso

„ tu tti

„ Pale

„ Ove combatterono „ agema,

tf WflffTdff

,, a quelle

„ E t i r i

,, E tèra

„ Famenòt

„ Stanziali

n (n i» >5) fra le città della Pelagooia

Page 408: Polibio Da Megalopoli - Le Storie Vol. 3

P<*£ 7/n.

aoj a 5 i * v ? a 4 léggi Ì » V 1 » 1 , < rvyx* (

sa5 4 corrosioni ,, punizioni

a(3 tS , s 4 testimonj , , , testimoni

s54 7 r it ira r li ,i r it ira rli

364 1 6 d o rò , e g li , „ dorò e g l i ,

sG6 7 p a ra presto • „ p a r e , presso

3 7 1 8 Erodoto' • . • , , Esiodo3 7 7 6 da framm enti . „ da* frammen ti

385 Si Senato ereando* ,, S enato , creando

3 8 9 io , t i ma f| *0-5*1, o ,,

• 9 0 l i curali . • , , co rra li

*9* 30 occhi m entre . ,, o cch i, m entre

5og a; f i X i w i t r m t . f i X t w i t m i

StS 10 genetiro . . „ genitivo5** 1 d isp o s ti , riceTOQst . „ disposti ; ricevonsi3s5 9 frum ento. Che „ frumento : cheS$7 1 denari „ danari (*)559 1 9 Erodoto . „ Esiodo