Poema autobiografico Pubblicato su ...Quando fidammo, e libera bandiera Primi sciogliemmo(3), di...

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CANTO ICAPRERA

Sulle tue cime di granito, io sentoDi libertade l'aura, e non nel fondoCorruttor delle Reggie, o mia selvaggiaSolitaria Caprera. I tuoi cespugliSono il mio parco, e l'imponente massoDammi stanza sicura ed inadorna,Ma non infetta da servili. I pochiAbitatori tuoi ruvidi sono,Come le roccie che ti fan corona,E come quelle alteri ed isdegnosiDi piegar il ginocchio. Il sol concentoS'ode della bufera in questo asilo,Ove né schiavo né tiranno alberga.Orrido è il tuo sentier, ma sulla viaDell'insolente cortigiano il cocchioNon mi calpesta, e l'incontaminataFronte del fango suo vil non mi spruzza.Io l'Infinito qui contemplo(1), scevroDalla menzogna, ed allor quando l'occhioMi si profonda nello spazio, a LuiChe il seminò di Mondi, un santuarioErger sento nell'anima: scintillaVicinissima al nulla, ma pur parteDi quel tutto supremo. Oh! sí di Dio,Sí! particella dell'Eterno sei,Anima del proscritto! E lo sarebbeL'anima del tiranno? Il sol risplendePur sulle colpe del malvagio. O forseMeglio del cedro del potente il nanoArbusto cresce del tapino? ForseÈ il Regio Ostello più colpito e salvoLo sdrucito tugurio dal flagelloTempestoso di Bora? Allora un dubbioDalla materia sollevato, il santoDi Natura sorriso ed i superniDell'Eterno decreti e le speranzeRinnegherei. Ma no! Sulle superbeCervici del Libàno, il fulminanteTuono ha percosso, e giù nelle convalliSono i giganti capovolti. Il timoSorge allor sulla vetta, irradïato

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Dagli amplessi di Febo e all'InfinitaMi prostro allor potenza e umíle adoro!Qui non passeggia l'impennato e rittoVariodipinto sgherro, all'imperanteVile stromento. Il menzogner LevitaCome il suo cuor, nero vestito, il lezzoNon trasfonde nel puro aer, che avvolgeQuesta di quarzo irta scogliera, onustaNon di dovizie, indispensabil pastoAll'indecente archimandrita e donnoDelle plebi infelici. Alli scoscesiInseminati suoi dirupi ed ermiNon approda il polputo; i delicatiNon consente calzari il fier macigno,Che copre la deserta, e l'aspro irsutoSpino, di seta le dorate giubbeNon consente, e la mensa all'appetitoDel Monsignor non è adeguata. E poiOgnun qui fugge l'impostor, la jenaD'Italia secolar maledizione.Qui, tranqüillo, il mio pensiero spaziaTra le vicende del passato, e posaSpesso su' campi insanguinati in ambiGli emisferi. Ove mai, tra le superbeSchiere dominatrici, fu macchiataQuesta mia destra allo schiavo sacrata?Degli oppressi la causa, ovunque, ardenteIo propugnai, e la genia scettrataInvan nei lacci mi ha sospinto, e l'animaImmacolata la final battagliaSospira, ove decisa sia la sorteDell'Italia e di tutti, ove una voltaSulla liberticida Idra travoltaPiombi sicura scimitarra e il mondoDel pestifero suo morbo sia terso.CANTO IIIL CORSARO

Cara memoria di compagni, a voiMi collega la mente e l'AtlanticoSorvola, e cerca invan su quelle spondeUna pietra, che segni ove cadestePer l'altrui patria liberar, e ItaliaSalutaste cadendo. O mio Rossetti,(2)Fratello di sventura, all'Oceàno

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Quando fidammo, e libera bandieraPrimi sciogliemmo(3), di Marica(4) all'ertaL'occhio correa sull'onde, e cento predeIn balía del corsaro(5) inosservatoS'offrian ricche ed inermi, il vil metalloMeta non fu degna di noi, ma il santoNome di Libertade; e sulla toldaDel legno Imperïal, allorché umileS'inginocchiò di Mauritania il figlioVita chiedendo, «Oh! solleva la fronte,«Infrante son le tue catene, il bacio«Ti accolga d'un fratello»(6). E dolce amplessoConfondeva il liberto e il generosoGuerrier della Liguria! Or tra le sabbieMoventi del Brasil posa la salmaInonorata dell'illustre, e appenaÈ Italia conscia di tal figlio. Un giornoForse verrà, ove l'ingrata schiattaChe i governi presiede alla memoriaDel martirio de' prodi, a cui fu angustoIl mondo, accennerà. Non eran quelliItali campi di battaglia, è vero,Altri eran gli oppressor, altri gli oppressi,Altro il vessillo coll'oscuro emblemaIgneo-dorato del Vesuvio(7), e sempreAlla vittoria prediletto e caro.Ma quando il nato da Marsala all'AlpiL'Oceano solca, e dall'inospitaleConculcata sua terra(8) alla lontanaChiede asilo Columbia, e su quel lidoDi libertade scende, Italia! il tuoPur caro nome riverito ei trova!Son de' tuoi prodi le virginee zolleDel nuovo Mondo insanguinate e l'ossaForse insepolte; ma se ricca moleI generosi non alberga, e invanoRicerca il vïator ove cadutoSia il fratello o l'amico, alle solingheCapanne chieda del deserto o all'aureoDel cittadin palazzo. Oh! dell'ItaliaDiran, se degni furon figli i fortiChe Libertade propugnâr sui lidiSorridenti del Plata. Ove s'inoltriDel salto alle spumanti cataratteUdrà de' suoi tai fatti, che le gesta

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Uguaglian dei trecento di Leonida.(9)CANTO IIISANT'ANTONIO

Dell'Uruguay sulle incantate sponde(10)Sorge ridente un colle, e su quel colleDi sepolcro una croce. Un dì, nei montiDella libera Elvezia, il prepotenteTemerario s'accinse(11), e gl'insoffrentiDi giogo montanari, all'alabardeCorser furenti. Chi resister puoteDel popolo al terribile cimento,Quando davver voglia cacciar nel nullaImpostori e tiranni? Un monte sorgeNella pianura di Morat e... d'ossaAccatastate di tiranno e servi.Tal sorge, o Salto, sulla tua corona(12)De' miei fratelli la memoria. Un d'essiMonti l'ossa racchiude(13) ed ivi posanLe frammiste di servi. Oh! per fortunaSon delle Reggie le reliquie informiE del pasciuto nel tugurio. Il teschioImbianca il sole del potente e il cranioDello schiavo. Le turgide e polputeSembianze del Levita al sozzo vermeServon di pasto, e le sparute e scarneGuancie dell'infelice al suol dannato.Sacre reliquie dei miei prodi! ItaliaProstrata ancella dell'estraneo, e servaD'eunuchi servi, per vergogna natiDe' Scipïoni sulla terra, un raggioRivide in ciel della sua gloria antica,Al battagliar de' nuovi Fabi(14); un cennoDi gioia rallegrò la venerandaRugata fronte, e sollevolla altieraCome ne' tempi di Marcello, alloraChe dominati da Cartago i setteColli, e di Canne, e Trasimeno il truceVincitor la premeva, alle lontaneIberiche campagne i suoi guerrieriRimandava superba, e i calpestatiDal numido corsier campi vendevaAd altissimo prezzo(15), ed alle muraBronzo-merlate di cittadin pettiLo straniero sfidava, e le stupende

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Mostre il fatale vincitor fuggiva.E tu, figlio d'Alzate(16), Anzani, un piedeSulla polvere e il fuoco nella destra,Ricevevi il protervo, che la resaVoleva importi de' fratelli stanchi(17)Dalla battaglia decimati e pochiRimasti illesi; la fatal rovinaTu risparmiasti colla generosaIntemerata tua parola: «In aria,«Io volerò colle macerie e i monchi«De' miei compagni corpi e le codarde«Salme di voi all'oppressor vendute».E allontanossi il gallonato e tronfioMercenario, e la libera contradaTutta festante, i coraggiosi accolse.E le pie donne al capezzal dell'egro,Curve, lambenti l'orride di ferroE di piombo ferite, il dolce labbroRicettacol d'amor, non ripugnavanPosar sul gonfio lacerato fiancoDel libero soldato. «A noi la vita«Salvaste, o prodi, e dall'oltraggio vile,(18)«Ed essa a voi sia consacrata(19)». Oh! l'uomoChe non risente della donna il plauso,Di fango ha il cuore, e del gentil affettoDella bella di Dio impareggiabileOpera, è indegno. Oh! sotto il palpitanteDi donna seno, il creator deposeD'ogni virtude il seme, e santuarioDi generosi sensi è la bellezza.E finché Roma alle vestali il sacroFuoco affidò, dell'Orïente i molliCostumi non fiaccâr delle quiritiAlme la tempra indomita, ed il MondoVide robusto di matrona il figlioPasseggiar vincitor dalle paludiMïotidi all'Atlantico e dal RenoAll'Eufrate. Ma, quando la corrottaD'Asia preferse meretrice, al castoDella sua donna amplesso, e l'indorataAlla di ferro sua armatura, il truceIperboreo soldato, a cui la dagaPesante troppo avea ceduto, il donnoContemplò sogghignando, impiastricciatoDi lezzosi profumi e di vivande

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E di licori dondolante, il piedeSulla cervice disprezzante poseDel Romano, e lo fe' tant'anni servo!CANTO IVMONTEVIDEO

Eri pur bella, o di Colombo terraAvventurosa, e l'ospital tuo senoAl proscritto porgesti! Ivi trovammoNon quiete, no, perché della malnataDei tiranni genía anche gl'immensiNon difettan tuoi campi, ma una dagaPer combatter gl'infesti, ed una patriaNon di rovine seminata. Un cieloCome d'Italia, abitator fratelli,E donne impareggiate. Il santo nomePur della serva, calpestata, domaNostra terra, un sol dì non fu banditoDagl'Italici crocchi, e quando il fieroDei ferri tintinnio la furibondaRabbia segnava della mischia, il tuo,Italia, nome qual fatal scintillaI tuoi proscritti percuoteva, e imbelleDiventava il nemico, e rinfrancateDi libertade le falangi, e placidiPotea sonni dormir la non armataFolla di donne e di fanciulli, quandoL'Itala Legïon copría le mura.(20)Tojes, prode dei prodi, a noi fratelloNelle battaglie, ove la patria tua,Scevra di gare, un dì ricordi il braccioPiù valoroso de' suoi figli, il forteChe più li valse nel periglio, un sassoErgerà almen sulle reliquie santeDi chi morì per essa e di chi l'elsaPorger sdegnò del mercenario al grido,E si trafisse, all'Utican simíle,Al servir preferendo inclita morte!(21)CANTO VRIO-GRANDE

Pria di lasciar l'Americano lido,Ad altra terra io devo un cenno, un segnoChe mi ricordi ai prodi, intemeratiFigli del Continente(22). All'Oceàno,

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Quando prima affidai la venturosaTempestata mia vita, alle cocentiDell'Ianeiro approdai sponde ospitali.Ivi un impero, e schiavi ed insoffrentiPopoli del servaggio. Incarcerato,Di Santa Croce nell'oscuro speco(23),D'Italia un figlio, di color che il MondoTrovano angusto, e libertà dovunqueSanta. Il fatal delle battaglie eventoCondusse al piè dell'Imperante un stuoloDi generosi Rio-Grandensi e secoIl mio fratello Zambeccari(24), illustreTra gl'Italiani illustri. Il fier vessilloRepubblicano mi affidaro, e 'l sciolsiPrimo sull'Oceàno. Allorché il laccioOve m'avvinse la fallace fedeDe' Governi del Plata infransi(25), e il soleDi libertà risalutai sull'ormeDel valoroso Ligure(26), le terreToccai del Rïo-Grande, ove tremendaFerveva inegual lotta tra le immenseFalangi dell'Impero ed i valentiDi libertà campioni; asilo e ferroTrovai tra questi ed imparai siccomeSi combatte e si vince, e a non contareSe son molti i nemici. Il valorosoDel deserto Centauro(27), ove si pugniPer la sua terra, per la donna sua,Non conosce perigli; il suo destrieroLo nutre(28) e la foresta lo riparaDall'intemperie. Egli a padron non serveE libertà preferisce alla vita.Oh! de' primi anni miei felice etadeDalla speranza sì abbellita, e scevraD'ogni pensier, che di virtù non fosse!Là del Camacuàn, sulle ridentiSponde(29) ed al limitare della selva(30)Sorge un ostello, ove non aspettatoPuò capitare il vïator; le anticheDell'ospitalità leggi sacrateTrova, ed è accolto e festeggiato. StancoPuò riposar le membra, o se la viaPercorrer vuol, ivi un corsiero è pronto(31).Ivi le prime gesta, onde l'umileMio nome noto ai generosi venne

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Ospiti miei, e del materno affettoRitrovai le delizie, il già canutoDonno(32) era tal, che di leggende anticheGuerrier più prode, io non suppongo.Non fu fortuna al coraggioso semprePropiziatrice; alla sua patria il donoDi libertà fu differito e troppo!E sulla faccia della terra sparsoDi traditori il seme(33); essi soventeDi Moderati hanno l'assisa, e sempreOstentazione di virtude; il voltoCamaleonio mal nasconde il tetroDell'alma umor, e per sventura ovunqueSono la feccia dell'Inferno, il tifoDivorator della famiglia umana(34).O patria mia, come di donna amata,Chi non risente il celestial tuo spiroÈ ben malvagio, o ben codardo! EppureSorge una gente nel tuo seno, e figliaPer tua vergogna, tüa, che l'improntaSopporta dello schiavo e se ne abbella.Moderati!... e finiamla; il lezzo sgorgaDalla penna, scrivendo il scelleratoInfame nome. Voi la stessa cretaVeste a color del Vatican simíle.Due son le storie dell'Italia: l'unaDi grandezze e di glorïe, la vileNel letamaio trascinata è l'altra.Patteggiatori di misfatti e d'onte,Liberator vi proclamate?... Oh! viaCANTO VII 73 - RITORNO

Là dalle pampe del deserto, un nucleoVeleggia alla tua volta, Italia! E forseLe tue miniere li hanno spinti, i tuoiD'arte e d'oro palagi, o le vezzoseTue donne? I tuoi martirii ed il dolenteRantolo del servaggio a te guidavaI novelli Argonauti. Essi hanno intesoRumoreggiar, là nel lontano, un gridoChe, disperata, sollevar voleviLa rugata tua fronte, e di cateneI frantumi spezzar sulle cerviciDi chi t'oppresse e vilipese. Un ferro

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Noi ti portammo e non tesori(35), e l'almaDi chi pugnava in Sant'Antonio. EppureLa rossa giubba de' miei fier soldatiAbbarbagliò la delicata e castaNelle battaglie sempre e nell'onestoSchiatta de' Moderati. Invano i prodiSeminâr l'ossa dal Verbano a' spaltiDe' sette colli, agl'inesperti e imberbiSegnando il come alle costor masnadeSi travaglian le spalle!(36) Oh! le lor gestaNon son tra i fasti dell'Italia conte.(37)Anzani, un cenno ancor! Tu, dalle spondeAmericane, le affralite membraAl mar fidavi, e nell'egro tuo cuoreSol confortato dalla speme, il caroDella natia tua terra almo sembianteEra scolpito; ove l'invitta destraSulla bilancia delle patrie sortiPesato avesse, il masnadier predoneChe da tanti anni questa sventurataNon sua contrada padroneggia, i montiPer sempre avria varcato, e non dimessaSmorta saria la fronte de' suoi figli.Così nol volle il fato, e la LombardaTerra che ti diè vita, e che di ferreaTempera avvolse la guerriera e puraAnima tüa, non dovea che l'ossaRaccoglier del più grande de' suoi prodi!(38)Oh!... sii propizio alla fatal coorteDe' proscritti, Oceàno! Essi al conquistoNon van del Vello(39), e sulla tolda unitiIl tuo seno solcando, alla natiaInneggian terra(40), e così bella e tantoSventurata! Al fragor de' tuoi marosiDe' miei compagni la sonora e maschiaVoce s'immischia. Un giovinetto(41) all'arteD'Orfeo cresciuto, delle pugne il cantoDei men periti disciplina e tuttoModula, verso ed armonia. Il fieroDi vergin sembïante e la chiomataFronte, alle belle di Colombia figlieEran di fiamme ; ma l'intemerataAlma all'Italia avea sacrata. E l'ossa?...Il mercenario le calpesta. Il nome?...Il dispotismo lo ripudia. E Italia?...

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Scorderà forse chi morì per essa!Dondola i fianchi maestosi, e solcaLeggera l'onda inargentata e azzurra,Bella «Speranza!»(42) Il tuo nocchier non contaPortar d'Italia la fortuna in senoDe' suoi cantanti passeggier, ed essiBen venturosi, Libertà cercando,Troveranno una tomba. Il suol che copreDegli Orazi la polve, è degno ostelloAi generosi; ma più degno il cennoChe segneranno, precursor de' MilleIntemerati confratelli. ItaliaInsuperbir può di tal prole, il vecchioVolto, atteggiato alla mestizia, altieroRisollevar, e dal lezzoso immondoLetamaio sortire, ove tant'anniLa tuffaro i codardi; alle sue glorieNon tornerà delle conquiste, e il pattoSanto consacrerà delle Nazioni.Alto e spumante è l'Oceàno, e lungiEqui-distanti i continenti; snelloSguizza il delfin festante alla fendenteProra sfidando, e l'apparir giocondoDell'innocuo del mar ospite amico(43),Unico forse a dissipar la immensaMonotonia del flutto. Eppur, col dardoLo guata l'uomo per ferirlo, e pastoFarlo innocente ; ma una voce cupa:«Al fuoco!» grida; «incendio nella stiva»(44).Un inesperto, la mal chiusa fiammaAvvicinava all'alcool e in un puntoErane il fusto divampante appressoDi combustibil vettovaglie pieno.Grande il periglio, e confusion non pocaNella ciurma. Il leon, quando la proleMinacciata, è men fiero. I valorosiS'accalcar nella stiva e la voragoIn un momento divorar. La morteColpir potea, ma non fugar quei forti!(45)Sorgon dal mar, come due fari eccelsi,Le d'Alcide colonne, e le salutaCommosso il navigante, e chi le spondeMediterranee chiama patria, i dueVede colossi d'Anfitrite, il segnoChe non lontana è la sua terra e i cari

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Suoi congiunti. E chi pianse per vent'anniSulle sciagure della desolataItalia süa, o figli della terra,Rivalicando dell'Atlante i mariVerso colei, di vero affetto ei v'ama.Salve, o terra di prodi, antica Iberia!Come son belle le tue sponde! Il fluttoCome d'Italia ne carezza il lido.Come d'Italia son festanti i colliDi vendemmie, e di fiori le convalliImbalsamate; ma sulle tue zolleDello straniero posan l'ossa, e il fieroNatio corsier, delle tue pampe è donno!(46)Troppo preziosa è libertade e DioNon a ciascuno la consente. Il preteInfesta ancor le tue contrade, e gareS'odono ancor tra le tue genti, ignareTutt'or del vero; ma se il calpestioS'ode d'estraneo corridor, tentandoL'inespugnati tuoi confini, un nemboCondensato di forti alla riscossaDel minacciato focolar, le ingordeAvranno tomba invaditrici turbe.Come di vampa vacillante, al fineDel vitale licor spegnesi, il forteMortal involto del guerriero il lungoVïaggio avea spossato; isterilitoL'avanzo nerboruto. Anzani l'auraAvea fiutato dell'Ibera terra,Ove tant'anni avea pugnato e vinto.Nobile schiera di proscritti, a cuiOve si atterrano i tiranni è patria,A voi ben noto è il prode a Contavecchia(47)Assalitor primiero, e LusitaniaLo salutò tra gl'Itali redentiDa una nuova Termopile.(48) Una lagrimaTrasser dall'occhio del soldato invittoLe ricordanze glorïose. Un lieveRefrigerio trovammo al sofferenteSulla terra spagnuola e proseguimmo.CANTO VIINIZZA

Fuggon le coste della Gallia al celereDella «Speranza»(49) scivolar. La spinge

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Ponente impetuoso, e le nevateCime, che un dì furon d'Italia ed ora...Son l'appannaggio d'un tiranno! Il biancoManto sporgon dall'onda e il più sublimeBello mostrano aspetto(50) al navigante!Chi vi vendette non vi vide, o sommiBaluardi d'Italia; ei di paludiLimo aveva nell'anima e i codardiAbitatori di pantani e vili,Che lo sorresser nella scellerataImpresa fedifràga, il puro etereoAer, che spira dalle imbalsamateValli non respirarono. Il mercatoSe no, compito non saria, ed ioSenza l'Italia rinnegar le stancheMembra potrei posar sul suol natio.Salve! o di Segurana e di MassenaTerra diletta! Il masnadier che compraT'ha, per tuffarti nel servaggio, il prezzoNon godrà dell'inganno. I conculcatiPopoli, stanchi delle sue nequizie,Il macchiato di sangue abbatterannoTrono, sostenitor dell'impostura.Giunge la notte. Il venticel dell'AlpiQuale custode del virgineo senoRespinge i flutti accavallati e gonfiDalle tempeste(51), che il Lïone e il Giano(52)Furïosi tramandano nel verno.Fiuta nell'aer tuo natio, o stancoReduce navigante, e ben ricordiImbalsamato quel fragrante aroma,Che ti beò bambino, e nell'oscuraNotte accennavan dell'ostel la viaDe' giardini i profumi(53), ed il tranquilloDi Limpia porto(54) t'accogliea festante.Soverchia gioia nella vita è infaustoPrecursor di sciagure, e la tremendaMi balenò sentenza, allorché chiaraL'alba del mio ritorno il natio locoIlluminava e la perduta patriaOrmai redenta e figli e sposa e MadreIo rivedea felici. Oh! chi ridireDella canuta genitrice i cenniProrompenti d'affetto? «Io ti rividi«Ed obliate ho le mie pene», disse

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La veneranda! collo stesso accentoChe m'accogliea fanciullo, allorché illesoIo m'affacciava da' perigli, e dolceAmmonitrice all'irrequieta audaceNatura frapponea miti consigliCon quel suo fare d'angiolo. Oh! immensoSorriso d'una madre, il tuo ravvivaIncantatore refrigerio e il duoloTutto s'oblïa d' un'intiera vita.Furon giorni di gioia. I miei fratelliD'arme dovunque festeggiati, accoltiCome in famiglia dagli affettüosiConcittadini miei. Nizza, d'ItaliaSentiva i danni e le vergogne; i prodiCorrean suoi figli alla riscossa il trucePugnar straniero, ed olocausto alfineSull'altare cader, da traditoriSacrificati per viltà e venduti.Italia mia! io non dispero. I ceppiTu frangerai sopra gl'infranti troniDe' carnefici tuoi, e LibertadeBenedirà le tue sventure e il sanguePer lei versato. Ma sulla tua terraPesa ancor tal canaglia, che la metaMolto allontana del riscatto, e molteSaranno ancor le tue sventure, i guaiAccumulati da' perversi. Il pondoDe' vestiti di piombo(55) ancor il piatto(56)Fanno innalzar de' generosi, e il ventreL'anima signoreggia e la deturpa.Addio Plata ridente, addio compagniDel nuovo Mondo; il nostro posto voiSí! degnamente sosterrete(57) a fiancoDe' valorosi Americani. Il neroVi affidammo vessillo(58) alle masnadeD'un tiranno funesto, e alla vittoriaSacro!CANTO VIIILUINO E MORAZZONE1848.

...... O propizie, addio, onde benigneDell'Oceàno! Sull'interminatoTuo sen l'acciar noi arrotammo, a' RegiLigio giammai, ma a Libertade ed ora

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Giunti a servir qui questa serva, il donnoCe lo disprezza, e invan ti abbiam solcatoLieti e fidenti di poter alfineDar questa vita all'infelice e bellaItalia nostra.Erranti ancor, cacciatiSiam sulla nostra terra, e chi servirlaSenza l'assisa allaccïar da servo,Vuol, è rejetto! E si richiede forseSe reduce di pan manca o di tetto,Onde posar le stanche membra? Il tetroDi diffidenza sguardo sulla rossaCamicia fiso, alle lontane colpeD'aver tramato per la causa stessaChe or capitana il Sire(59), e il simulacroDella ragion(60), che governar il MondoDovria, incresce; ma si finge amarlo,Ché diritto divin più nol consente.Dello schiavo la prole, e le sorgentiGenerazioni della coscia il dritto(61)Infame han calpestato, e della glebaColla sudata fronte il vil guadagnoMa non servaggio li contenta. «E dunque,«Statuto diamo a questi servi, alcuni«Di lor chiamiam sotto la real mensa«A roder l'ossa»! E non difettan maiAdoratori della pancia, o compriCon fettuccie, la patria ed i congiuntiRinnegando! La frode e la menzognaCosì si aggiunge al dispotismo, il giogoCosì indorato Libertà si chiama.Fugge impaurito il masnadier, lo incalzaMoltitudine fiera oltre il confine,E la terra Lombarda e la VinegiaDi Libertà respiran l'aura; il forteSiculo spazza la mendace turbaDegli oppressori, e da Marsala all'AlpiSgherro stranier più non alberga.StanzaPerò della nostrana lüe il semeAppestator; e tanto più il suo morboÈ micidial, quanto lo copre il veloDel Galant'uomo, e tal gramigna abbondaIn questa sciagurata Italia nostraIn tanta copia d'appestarne il Mondo.

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«Ecco l'Armata! al cittadin non cape«Di guerreggiar il dritto; il villanello«Vada alla vanga e la canaglia al banco.«Qui siamo noi! Di Filiberto il cuore«Ereditammo, e dell'ancella il fiore«Vogliam raccoglier noi, non mani lorde«Di catrame o di fango, ed il carciofo«A foglia, a foglia, papperem da noi«Senza consorti, ché saria tutt'una,«A voi non sarem grati... » Oh! lo sappiamoSire! e l'Italia noi serviam, non voi!Funesta figlia del delitto(62), i tuoiNon son sconti peccati! Il sacerdoteDi Satana t'offusca e la scettrataGenía ti travolge! Invan di prodiMandi folla al martirio ; alla catenaTu sei dannata ancor da chi ti sugge,Da chi ti oltraggia e ti mantiene serva!Son gl'Italiani giubilanti, indarnoAmmaestrati dal passato, il regioCustode è alla frontiera, il simulacroDi libertà li ha disennati. ImportaPoco dell'armi! Il disputare importaDi Governo la forma, e lo impennatoPavoneggiar berretto e di vellutoLa zimarra o la giubba; e l'argomentoDe' sapienti: qual del grand'ImperoCapitale sarà, città cospicua!Intanto il lupo, che la ricca predaSciolta per un momento avea, i lanutiSconsigliati contempla e, ritempratoDalle solite gare, il truce denteRiappicca sicuro alle divisePecorelle, e fa stragi, e frutta e donneE sostanze non sue sgavazza e sperde.Cadde ingannata, derelitta, esangueLa gran donna Lombarda! Un dì solettaMa pure cinta del suo ferro, i donniAvea spazzato come nebbia. I fortiAvean provato ai variopinti sgherriChe, chi non teme, vince e le masnadePoco servon di servi, ai valorosiDi libertà campioni. Ora, fidenteAlle regal promesse, il suo non vintoPopol soggiace al truculento, esoso

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Esercito dell'Austria. Un'oste intieraSenza pugnar, fuggita a capo chino,Attraversa le vie ove fanciulliFugar que' mercenari vincitori!A testimoni di viltà chiamatiDai confini Lombardi(63), i rossi figliDi ben altre battaglie il vergognosoSpettacol contemplar, e nella fogaDe' fuggenti travolti, il retroguardoFecer(64) fremendo, e sui vicini colliPiantar d'Italia lo stendardo. E il grido:«Sulla terra d'esiglio, oh! forsennati,«Ove correte?» echeggiò tra le turbe.Ma indarno! Alle vicine aspre montagneDell'Elvezia i fuggenti le vergognePortan d'Italia al disprezzante, altieroSogghigno de' superbi montanari.Là sulle sponde del Verbano il fieroBorïoso stranier le rovesciateAquile a rïalzar correa; ma tuttiNon son fuggiti gl'Italiani, un pugnoL'aspetta e lo martella. Il saccomannoFugge incalzato da paura tale(65)Da morirne, e le sponde inargentateRallegransi del Lago al fragorosoInno della vittoria. I poverelliAbitatori, sventurati e buoni,Delle belle contrade i redentoriRiconoscenti salutaro, e il tetroDimenticâr delle masnade aspettoPer un momento.Ma chi mai dall'ondeS'avventura, ove ancor ferve la mischiaDe' combattenti, su ben fragil schifo?Una è di quelle creature a DioCare ed all'egro. Il portamento altiero,Dolce, ad angiol simíl, caro forieroDi Provvidenza sembra, e la sua voceIncantatrice ti fascina: «Oh! lascia«Ch'io raccolga i soffrenti; i tuoi caduti«Col nemico caduto, alle mie stanze«Consenti. Il sangue uno ha il color, le carni,«Accomunate nel patir, confini«Più non conoscon. L'imperante al servo«Che mandava al macello, un scellerato

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«Disse l'Italo, eretico, nemico«E di Dio e dell'uomo, edificante«Opera esterminarlo e la sua polve«Gettar al vento! La menzogna al furbo«Tiranno è saldo piedistallo, è vita».Fise alle Orïental sponde le luci,Laura scorge il conflitto(66), il trepidanteAffretta barcajuol; ritta alla poppa,Segna al più folto della pugna e chiedeDel capo! O Donna, non sei tu del beneLa vera imago, ed il tiranno il maleNon rappresenta, che l'umana specieAffligge? Io chino bacerò la zollaDal tuo piede solcata ed il tuo santoNome all'Italia consacrato sia!Per un momento, sì, fur rallegrateLe campagne Lombarde. A Morazzone,Cinta dovunque la sottil colonnaDe' vincitori di Luino, un cerchioDi fuoco li restrinse(67) ed obbligatiDi aprirsi il varco colla spada, il suoloRaggiunser poi dell'ospitale Elvezia.Sei ricaduta nel servaggio, o Donna,Un dì del Mondo e sempre educatriceDelle genti. I tuoi falli non scontatiSono tuttor; molli di tempra, imbelliSono forse i tuoi figli o non concordi?L'Austro ripiglia le ben note vieNell'aperto tuo seno. Alla Vinegia,Non doma ancor, a suo bell'agio inviaNumerose le schiere e la circonda.Morbo di Reggia(68) m'affastella e inutileDiviene il corpo. Nel perenne motoDel campo, io non sentiva il distruttivoMalore; ma l'inerzia ed il cordoglioD'una caduta patria a soggiacereM'impone. Allor le stanche ed ammorbateMembra trascino, dagli alpestri montiAlle belle del Varo inospitaliSponde(69). Ma Nizza all'imperante additaLa mal intesa prepotenza e varco.Reduce, tra i miei cari, io mi ritempro,Ma non m'acqueto. Alla soggetta ItaliaCome può uno non pensar? V'è forseAltro da fare nella vita, quando

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La patria è schiava, che cercar il modoDi liberarla e preparare un ferroPer sterminar i suoi tiranni?TaccioDi stoltizie narrar con cui la neraSetta ci perseguiva dalle spondeDel Varo all'Adrio, ove per poco il nerboDe' miei migliori all'Ottomano lidoEra respinto(70). Il prete-re tal sorteGià avea deciso, allorché Roma, stancaDi menzogne, il maggior de' suoi MinistriImmolava, e la schiera de' proscrittiAlle Romane squadre assocïava.Sacra memoria del passato, immensaRuina di due mondi, il tuo recintoSembra la culla del Creato. AccantoAl simulacro della pietà umana,(71)Intiero, intatto, il cadavere sorgeTrastullo de' Tiranni(72). E sorge il padreDell'umane grandezze(73) accanto al bucoFetido del mendico, e nell'ammassoAccatastato delle tue macerie,Tutto spira di grande, e le miserieEd i delitti, che t'han fatto serva!Io ti vidi fanciullo! e la tua imagoCome sul bronzo si scolpì nel cuoreIncancellata. Tra i confusi e sparsiDi giganti rottami, il giovanileMio senno s'ispirava e forse il pocoOprato a quel fascíno io tutto devo!CANTO IXROMA

Quattordici anni conta la malvagiaD'un tiranno fazione, all'urna il votoFu d'un intero popolo, e menzognaIl proditor rapace, alle non saldeMura condusse(74). All'insolente cennoDi resa, un pugno di guerrier risposeCol ferro e sul Gianicolo di fronteSpinse i suoi formidabili, e se riaFortuna a Italia non negava un genio,Oh! sin d'allor dalla Sicana terraAll'Alpi, sgombro avria l'estraneo e forseQuesta chiamar dovria «Terra di vivi»(75).

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Forato è il poncho(76) e sotto la mia rossaCamicia, il sangue gronda. Un Franco piomboM'avea tastato il fianco, e BonaparteFu mal servito per la prima volta!Guardo d'attorno. E sotto le frementiZampe del mio corsier non è un dei setteColli calpesto? Io non giurai tant'anniDi servir questa schiava e liberarla,O seppellirmi tra le sue rovine?Che bella morte! Ed io sorrisi comeAll'apparir d'una fanciulla amata.Non era morte, ché ben altre ancoraDovea miserie sopportar, ed altroPiombo solcare queste membra, ad altraMano affidato colla stessa impronta!Sì! sul finire dell'April pugnammoCome si pugna per la patria, e l'innoDella vittoria rallegrò le anticheDell'Eterna contrade ed i proterviMasnadier d'un tiranno alle calcagnaLa salvezza affidâr, e nuovi inganniA meditar sulle lor navi e nuoveSchiere aspettar. La libertà RomanaA chi la Franca libertà distruggerVoleva era molesta, e con menzogneInvïava i suoi bravi a risaldareLe Italiche catene e la Tïara,Pestilenza del Mondo, agli insoffrentiImpor col ferro. Ei ben sapea, l'infame,Alle liberticide arti il chercumePiù d'ogni altro propenso, e sull'ignaroMiserabile popolo, il fallaceOnnipotente. Con quel serpe a mano,Facil divenne il soggiogar l'incautoFranco, e comprar da servi ModeratiLa mia povera Nizza.Infin pugnammoPer Roma e per l'Italia! I sarcofàghiChe di donni del Mondo le reliquieSerban, di polve non indegna aspersiFuron, e l'ossa de' guerrier cadutiL'ossa de' padri non macchiâr, per Dio!Molto il valor, ma la viltade moltaTra questa gente d'una razza stessa,Anche una volta la fatal ancella

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Prostituïrono all'estraneo. Io vidiFatti da Fabio o Lëonìda, e turpiMercati ed inudite codardìe!Ormai cessata è la difesa. Il fieroS'aspetta vincitor con sulle labbraIl dileggio pei vinti. Invan da fortiPugnaron pochi contro molti(77). Il preteRinnegò Italia e il moderato; al ventreFanno di patria il sacrificio. Indegni!Han preferito a libertà il servaggioE al nazional decoro, le vergogne!Son le macerie delle tue grandezzeDi brutture lordate, Roma. E morteNon saria meglio, che la sciagurataVita di schiavo sotto il puzzolenteNegromante moderno, infëudatoA tutte le tirannidi e bastardoAnimalaccio, non simile a belvaVeruna? Il bruto abitator di selvaIl suo luogo natio discerne ed ama.Al sacerdote di Satàna chiediDella sua patria il nome! Egli nel ventreHa patria, Dio, famiglia ed Universo!Cessata è la difesa e corteggiateSaran domani le belle RomaneDall'altiero soldato, e tu, nipoteDi Camillo, la fronte al suo cospettoChina, e ti prostra del tuo donno al piede.Intanto a me si fe' davanti un messoDella grande Repubblica(78), e la navePronta a ricevermi mi accenna. Il figlioDella Colombia alla non vinta schieraOffre un asilo generoso; e gratoRicorderò tutta la vita. AccettaPur non venne l'offerta. «Alle nevate«Cime dell'Appennin questo di prodi«Avanzo io condurrò. Questo vessillo,«Di piombo e ferro traforato, a' servi«Servir potria di perno, e se la sveglia«Dal popolo, leon che dorme, è udita,«Del destino d'Italia io non dispero».Stolto!... passeggerai dall'uno all'altroMare, e lo schiavo l'incallito colloDal giogo appena moverà a guardarti,E tornerà alla gleba, ove sudante

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A fecondar le biade, che l'estraneoCorridor nutriranno ed il satolloVitichiomato masnadier, giacenteNel focolar briaco e la tua donnaAccarezzando. Oh! di vergogne il cruccioPiù de' disagi m'infastidia, il pigroTorpore dei soffrenti e la venaleDe' soddisfatti contentezza, alloraChe questo paradiso delle gentiÈ manomesso, depredato, e infetto,Stolto! che speri da cotesta inerteDiscendenza di frati? I tuoi più fidiTi lasceranno, i tuoi più cari affettiSaranno spenti; e le foreste, i montiPiù scoscesi alle tue stanche piagateMembra un rifugio accorderan tra i lupi,Men scellerati dello sgherro, a' tuoiPassi insidioso, ad inseguirti intento.Perdona Italia, se le tue sventureE il mio dolor m'inacerbaro, e tetraFecer l'indole mia. Non tutti i tuoiNati son pravi. Alla furente cacciaDel tiranno segugio, io fui protettoDa intemerata gioventù(79), siccomeLeona la sua prole, e sul TirrenoDall'Adrio io giunsi inosservato e salvoDalla Grifagna e da' cagnotti suoi.Grazie, Italiana gioventù! la vitaCh'io vi devo è a voi sacra. Alle venturePugne la serbo e quel pensiero soloMe la fà cara. Ove l'egra mia salmaNon corrisponda al cuor, nelle battaglieNon mi lasciate indietro. Oh! questo pondoBen conoscete, o generosi; e carchiIo vi ho veduti di queste miserieTra le scoscese d'Aspromonte rupiBalzarmi al lido. Un corridor, un carroPotrò forse salir, ma se impotente!...Non mi lasciate indietro. Oh! non negateA me che, fido per trent'anni al vostroLiberator vessillo, altro non volliIo guiderdon che Libertade. Oh! Dio,Non mi negate nel final conflittoTra i primi un posto e salutar tra i primiIl santo giorno, che l'Italia sgombra

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Sia da ladroni e che non più lamentoS'oda d'oppresso sulla nostra terra.Di Buonaparte s'introduce l'osteNella città de' preti. Il nuovo BrennoGuarda invano e impaurito, se un PapirioOd un Manlio, agguatato, colla destraSulla daga il trafigga o lo minacci.Invan! Tutto è grandezza in quel recinto,Ma di reliquie! Nelle vie calpesteDai padroni del Mondo un popol gemeChe si chiama Romano e simulacroAltro non è. Ove l'antico al carroI vinti regi trascinava, il nuovoCenci trascina e vilipende. I fortiChe moriron per lui sono insepolti,E i pochi avanzi mutilati o priviDi libertade, incatenati e chiusiNelle infernali bolgie, ove a SatànaPorge culto il Levita ed alle gentiNasconde, infame inquisitor, nequiziePer cui s'oscurerebber le divineLuci del sol, se di tenebre orrendeNon fosser carche e nel sepolcro avvolte.CANTO XRITIRATA

Prosegui il tuo cammin, Proscritto; un pugnoTroverai sempre d'insoffrenti il pesoDelle catene. Invano la birragliaDi quattro Re t'insegue!(80) Il santüarioChe porti in cuore per l'Italia, infrantoNon sarà questa volta. A dure proveTu sei serbato ancor, e degli sgherriTutt'ora i sonni turberai. L'improntaDel ferro del tuo baio(81), alle regaliStanze stampata, insegnerà a' proterviChe anche per loro giunge l'ora, e il paneAssaggeran della sventura, e il duolo.Sono le turbe istupidite. Il prete,Seminatore di menzogne, accennaAl castigo di Dio; un plauso sorgePur tra le moltitudini, al cospettoDe' pochi, sprezzatori di tiranni.Istupidito è pure il mercenarioDel risoluto a fronte Italo stuolo.

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Tale il Leon che si ritira, spintoDa numeroso di shakali(82) stormo,Qualche volta si ferma, acciò nol credaTimor la ciurma di codardi, e indietroRespinge la canaglia. ImbaldanzitiDal numero, gli sgherri il sacro nucleo,Resto onorato delle patrie pugne,Minaccian d'assalir. Ma le scosceseRupi dell'Appennin e l'imponenteMarziale aspetto de' miei fidi, il baldoFrenano ardor delle masnade, e salviSi giunge alfin sulla neutral contradaDi San Marino, unica terra alloraIn Italia non serva, ed il gentileOspitale suo popolo accoglievaCome fratelli, i reduci guerrieri.Ma che! Rispetta de' neutrali i lariIl prepotente? E non son forse vaneVoci giustizia, leggi, e il decantatoDiritto delle genti? I numerosiBattaglioni son legge, ed il capriccioD'un tiranno è giustizia; e così fiaSinché lo schiavo all'impostor consentaLa fede sua, e sinché il ventre all'anima,Se pur ne hanno una, venga ammesso primoDa' Moderati, e soddisfatti, e stolti.Itali! Allor che per la nostra terraBrandir un ferro voi potrete ancora,Non vi stancate! La fatal genìaChe vi conculca da tanti anni, il fioPaghi de' suoi delitti, e sinché un soloStraniero o nostro infesti questo vostroTerrestre paradiso, alla guainaNon affidate il brando. Il seme iniquoDi chi ambisce l'altrui, come gramignaPropaga in questo suolo. Eppure stanchiIo vi ho veduti tante volte al sacroAnfiteatro delle pugne, e il campoAbbandonar alla mal'erba, quandoNon arduo era lo svellerla, e gloriosoTanto il finire del riscatto l'opra.Sempre un pugno d'eroi estolle al MondoL'Italiana virtude, e sempre è prontoA' più duri cimenti, ove si pugniPer Libertà; ma indifferenti troppo

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Sono le masse e non costanti. I pochiCadono adunque, e con lor cade ItaliaIn vergognosa servitù prostrata.«Torna a' tuoi focolari, o stanco stuolo«De' miei giovin compagni. Alla tua donna«Non raccontar che ti stancasti, e preda«Lasciasti Italia allo stranier. Ma dille«Che accomiatato fosti, e che la serva«Patria giurasti di salvar, allora«Che richiamato nelle file(83)».Intanto,Io seguirò, ché son reietto, estraneo,In questa terra(84) che tant'amo..., e mecoSeguirà la mia donna, intemerata!Inseparabile compagna ed egraDel proscritto. Infelice!... Essa i suoi cariBimbi non rivedrà; sulle deserteD'Adria, moventi sabbie, i suoi doloriTermineranno ed una croce, un sassoNon segneranno al passeggero l'ossaDi chi moriva per l'Italia, e spessoPer liberarla i suoi guerrieri spinse(85).Oh! donna del mio cuor! fu questo duroAlla mia patria sacrifizio! e il pondoNelle tue viscere nutrito, e i cariSuperstiti, che grazie alle vigliaccheD'ermafroditi mene, interminataFan dell'Italia la contesa, forseDovran gettarsi in olocausto, mentreGozzoviglia il codardo, ed i successiNon suoi millanta, e vil predon si sfamaDel popol nelle viscere e nel sangue.«Scendete e disarmate quei felloni»(86)Io dissi a' miei compagni, al limitareDi Cesenatico. E siccome lampo,Furono presi e disarmati i pochiSgherri dell'Austria, insedïati e tronfiNell'Italiana terra. Era preludioNon disprezzabil di salvezza, e donniDi numerosi legni, alle LagunePotriasi giunger. La fortuna intantoNon cessò di esser ria. Un temporaleL'onda infuriò dell'Adrio, e nell'angustaFoce i marosi accavalcati e infranti,Ostinata barriera a' perseguiti,

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Spumeggianti innalzavan. E la funeDe' ferri, infranta(87), alla balìa dell'ondeRibuttava i bragozzi(88) e il periglianteDe' miei compagni pugno alla mercedeDell'Austro numeroso e non lontano.Ad altra strage era serbato il fidoDe' superstiti nucleo! Io navigavaAlfin coi pochi, e sullo stesso pinoCongiunti aveva la dolente donna,Il Bassi e l'integerrimo tribunoDella Romana plebe, il valorosoCiceruacchio(89), e due diletti imberbiFigli di lui. Io contemplava mutoQuei cari, e alla consorte un sorso d'acquaPorgea, conforto miserando e soloAlla fuggente vita.Era un tramontoCome ne' dì più fausti, e nel mio cuoreAmareggiato dalla dolorosaScena presente, al primo nato e belloFiglio della Natura il mesto sguardoRivolsi; a lui che riverente e lietoIo salutavo ne' prim'anni, quandoFiglio dell'onde il tramontar o l'alba,Religioso, io salutava... ed ora«L'ultima sera tu segnar potessi«Di questa vita sciagurata e nulla!»E tu, sollievo del dolente, o DeaPropiziatrice della notte! il latteoTuo disco sorge a confortar soventeIl nocchier perigliante e lo smarritoVïator del deserto. In questa notteBen fosti avversa all'infelice(90), e nunziaAi masnadieri d'un tiranno! Il tuoChiaror scoperse ai perseguenti i legniChe tragittavano i fuggenti; e alloraCome mastini sulle nostre traccieTutto il naviglio s'affollò, e ben lieveCostò fatica lo assalir, lo sperdereQuel resto miserando, che pur altoPortava ancor il marzïal vessilloRotto, forato, ma che pure ItaliaPotea guardare insuperbita e direA' suoi predon, che le calcagna alateMostrâr più volte a questi macilenti

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Calunniati suoi figli. E questa vitaTra le miserie e le tempeste scorsa,Nell'esiglio incallita e nel dolore,Ha pur un lato che alla patria miaPosso sacrar, alta la fronte, e il piedeSopra rottami di catene, e il pugnoSopra le labbia di stranier protervo,Segnando a lui che se del vecchio MondoLei fu matrona, ove non sian divisiNon soffriran padron, gl'Itali, o sgherri!Fummo dispersi, e dei tredici(91), pochiApprodaro alla sponda. I più prigioniFuron dell'Austro. Io approdai col caroPeso di lei che si moriva, e lascioPensar lo stato del mio cuor. Da un latoLe barche perseguenti, il grosso stuoloD'Austrïaci sul lido, ed i ribaldiBirri del prete, come bracchi attentiA fiutare la preda. In una nubeCome nei dì che furo, avviluppatiCredo noi fummo. Io mi rimasi a pocaDistanza dalla sponda il mio tesoroA custodir, e di cotanto amoreGiammai avevo amato l'infeliceDe' miei bambini Madre.Il sacerdoteVero di Cristo, Bassi(92), non lontanoCadea nell'ugna del chercuto, e fieraMorte affrontava, dopo la torturaChe tanto ambisce il scellerato avanzoDe' Ministri d'Inferno. A poche migliaMoriva pur Ciceruacchio e i figliDa piombo; il pargoletto delli dueMoria trafitto sulla sabbia, e un pioSoldato al calcio del fucil fidavaIl fracassar del giovinetto il cranio(93).E i Moderati si affatican oggiL'amicizia dell'Austria a meritarsi!CANTO XIANITA

Morte, io sorrisi al tuo cospetto! e questaCertamente non fu la prima volta.Il volto mio, ben noto alla sventura,Nel tremendo frangente di mia vita

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S'atteggiava al dolore... e che dolore!Nell'agonia l'amata donna! e un sorsoD'acqua negato a quell'inariditeLabbia!... Io sorrisi! Ma da disperato,Ma di demon fu quel sorriso. Il fuocoDell'Inferno m'ardeva, e pur io vissi!Solo compagno di sventura allatoMi sedeva Leggiero(94); alla scoperta,Perché ignari del sito, egli s'accinse,E trovò un coraggioso: era Bonetti.Della falange dei proscritti, inerme,Abitator di quei dintorni, il birroAvea deluso e sulle terre sueDalle città appartate, inosservatoDa profugo vivea. Il caro amicoCom'Iride apparì nella tempesta.Io lo seguía, non conscio della vita,Lei sorreggendo all'ospital dimora.Ivi un giaciglio la raccolse e, mentreCorcata, il pugno mi stringea... di ghiaccioSi fe' la man della mia donna!... e l'almaS'involava all'Eterno!Io brancolando,Baciai la fredda fronte e del mio piantoL'inumidiva! «Oh! perché una lagrima«Non spargerò su tanta donna! e quanto«Io perdo, non sapete, o circostanti!»Furon le sole mie parole a loro,Che m'accennavan di fuggir i fieriNon lontani segugi, ed inselvarmi(95).Itala terra è che ti copre, Anita!E terra schiava! La vagante, incerta,Vita trascinerò nelle foresteE l'Oceàn risolcherò ; ma l'ossaTüe, quasi insepolte(96), alla birragliaNon lascerò dello straniero! I campiOve ramingo e perseguito, appenaIo scamperò, risuoneran del piantoE rantolar di mercenari e spieTrafitti e moribondi. Al santüarioVenduto de' miei padri avranno stanzaLe tue reliquie, e d'altra donna amataMadre ad entrambi, adornerai l'avello!(97)CANTO XIIPROSCRITTO

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E m'inselvai nella Pineta(98) e piaGioventù mi protesse! Allor che il tetroPersecutor il mio covil fiutava,Un gareggiar tra i generosi a sitoPiù sicuro guidarmi, e ben soventePochi cespugli dividean l'ambitaPreda ed i perseguenti, e la favellaSpesso di loro mi colpì l'orecchio(99).Dall'Adrio all'Appennin, dai monti al lidoTirreno, io corsi in salvatrice nubeDi coraggiosi cittadini. InvanoS'udì minaccia di tiranni, a morteDannar chi asilo concedesse al fieroDi Religion nemico e delle Leggi!Leggi e Religïon si noma il ventreDai prepotenti della terra e dallaCiurmaglia che l'incensa. Io, Libertade!Il venerando e santo nome tuoUdii tant'anni profanar dal truceDi Buenos-Ayres oppressor, e delleLeggi sostenitor chiamarsi un fidoDi quel tiranno, al suo padron simíle(100).Sant'Alberto, Forlì, Prato, RavennaE voi ben cari Maremmani, un cennoDi gratitudine accogliete, e un dolceRicordo a Modigliana, ove gentileDi Cristo un sacerdote(101) all'ospitaleSua magion mi raccolse, ed instancabilGuida seguimmi tra i dirupi e l'erteDell'Appennino.La fatal d'ItaliaSorte, e de' preti, e de' codardi l'opraL'avean ridotta prostituta, ancellaDello straniero tra le braccia, e tuttaFu di Ferruccio la contrada ingombraD'Austriaci sgherri. Sulla via che guidaDa Bologna a Firenze, e sul pendioChe guarda a questa, in un ostel sedutoCol mio fido compagno, un po' di ciboCi rinfrancava, ed alle stanche membraLieve riposo si concesse, il capoDella destra nel concavo e addossatoSovra un pancaccio, quando udii sommessoTocco alla spalla, ed inalzati gli occhi,

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Ceffi di birri mi s'affacciâr. TostoChinai la fronte ancor, e allora il sonnoNon era vero(102) e sinché le masnadeSgombrar l'ostello u' dal licor attratteFur, non mi mossi. Eran coloro un corpoD'Austri, padroni dell'Italia, e spintiSul Tirreno dall'Adrio, ove sedareDe' turbolenti servi il pazzo ticchioDi Libertade, e passeggiar soleanPomposamente e senza meta spesso.Per comparir più tanti, alcuna voltaDa una porta vedeansi entrar, dall'altraEran usciti(103), e del contado ingombreLe vïe a contemplar le bellicoseOrde di sgherri ben pasciuti, altereE disprezzanti la canaglia, cuiSe non sollecita a far largo ai donni,Davan di sbieco nelle reni ed ilareSorrideva il colpito, acciò men truceLo guardasse il padrone e, recidivo,Qualch'altro calcio non piombasse a tergoDi quella schiena da bastone(104).Ed io!Fuggir ho visto questi tracotantiE morir di paura!(105) ed a' miei piediI più protervi!(106) E son tuo figlio, o Italia,Ad onta de' codardi, che vendutaM'hanno la culla, e succhiai latte tuoImmacolato, e i miei maggiori tuttiFuron d'Itala creta e nella vitaT'idolatrai e... quanto Dio, sicuro!Non imprecar, profugo, ai tuoi. SventuraForse più che malvagia a così umíleStato han condotto l'Italo; è la peccaForse antica di Roma, delle gentiDominatrice. Chi l'altrui depredaPar destinato ad esser preda altrui!Tale il Romano, il Macedone, il Franco;Degl'odierni predon tal sorte fia!Si lascia a tergo l'Appennin, il lidoDel Tirreno cercando; alle MaremmeEtrusche, fidi condottieri EtruschiCi guidan salvi. Il mare appar propizioCome una volta, quando al primo alboreDella mia gioventù, mi sorrideva

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Con il sembiante d'un amico, e alteroSolleticava nel mio cuor desioD'imprese virtüose. Io lo rividiIl vasto seno d'Anfitrite, ansante,Intenerito dall'innumerabileSomma d'affetti, di memorie e sensiSuscitati nel cuor dall'imponenteElemento primiero. Un fragil schifoI proscritti raccolse e, costeggiandoIl Liburno confin, sulle LigùriCoste ci pose inosservati e salviDella vita; ma non di Libertade!CANTO XIIISECONDO ESILIO

Furono i piani di Novara infaustiAll'Esercito Regio, e Italia vintaSenza pugnare quasi! Il Sir Sabaudo,Del popol diffidente, ai pochi suoiVolle affidar l'impresa. E non capisconoQuesti Siri «ch'amor d'amor si paga»Non di menzogne. E son sin'or menzogneGli affetti vostri per le plebi! Il giornoIn cui davvero Libertà vorreteE il ben di tutti procacciar, quel giornoVedrà la meta dell'uman riscatto,Aspirazion di secoli, non vanaVoce; e dimessi i gallonati e gonfiGran dignitari servi, ed all'aratroL'impiegato e il Levita, sanguisugheInvereconde del laborïosoAgricoltor; delle città la fecciaNon atteggiata a spie e le masnadeAlto-piumate alla robusta vangaSospinte. Allor di corruzione il germeInaridito, e la Nazion dotataD'incliti figli ed operosi e forti,Chiamati alla riscossa, a milïoniVoleranno all'appello e lo stranieroSimile a nube mattutina, i montiRivarcherà per non più metter piedeSu questa terra nostra sciagurata!Così non è! «Pochi, ma fidi a noiVogliam soldati e la metà di voiServa, alla gleba!... l'altra ben pasciuta,

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Inciondolata, meretrice... ai cenniNostri devota. I vostri figli il carroTrascineranno del potente; il vostroFia dimezzato aver, alle dorateSale e tripudii provvedendo e... zitto!Ché il lamentarsi è vieto; anzi plaudentiSulla felicità de' governatiE la nostra Maestà clemente e amata»!E intanto, è Italia calpestata e servaDello straniero. In bando i suoi più fidiDi vergogne insoffrenti. Il fier delittoD'aver servito il mio paese ancoraUna volta mi sfratta. Alle lontaneDell'Indo sponde un mendicato asiloCerca, proscritto; la tua terra il pondoTüo più non consente. Invan l'amastiCome Dio s'ama! Se a vestir livreaPiegato avessi il dorso, e nella follaAccomunato di camaleontiIl tüo ai tanti prostituti nomiAvessi aggiunto, il tuo vagar cessatoAvria e pingue, e festeggiato, accoltoCome in famiglia da chi regge. E il restoPera del Mondo, condannato al bastoEd a servir della fortuna i cari.Io vagherò nelle foreste! I fluttiDell'Oceàno insaleranno questeGuance abbronzate. Il parco mio sostegnoImplorerò dalle selvaggie tormeDel nuovo Mondo, e l'incallita destraRipiglierà la vanga, anziché il mioPiegar ginocchio ai prepotenti, e a voiPorger consorzio, o moderata fecciaDell'Inferno e vergogna delle genti!Ventiquattr'ore ad abbracciar i mieiOrfani figli, e sotto occulta scorta(107),Mi fu concesso. I pargoletti al senoMi strinsi e, addolorato, alle pietoseCure d'amici generosi, io porsiI derelitti, ed il cammin ripresiDell'esiglïo.Il dispotismo ovunqueHa i suoi segugi, e le deserte areneTrovai di Libia inospitali(108) e l'irtoD'Alcíde scoglio ora Britanno(109). Un caro

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M'accolse amico alfin sul TangitanoLido(110), u' trovai quïete — se quïeteV'è pel proscritto sulla terra e in cuore,Quando s'ha Italia vergognata e schiava!Deve il suo frutto con sudata fronteL'uomo acquistar, non aggravar l'altrui.Benché gentile a me l'ospite amico,Non più pesar sul generoso io volli,E solcai l'onde di bel nuovo, al priscoMestier volgendo; ma pur ardua viaResta per viver al proscritto, e moltoMi toccò di salir per l'altrui scaleE scender, pria di contentar la bramaD'indipendente vita. Io generosiConcittadini ritrovai dal freddoSettentrione all'abbruciate faldeDel Cimborazzo, e di gran meravigliaNon è dovunque ritrovar fratelliItali, e prodi ed ospitali e sacraIn lor di patria caritate il culto(111).Migliori son gl'Itali fuori, e taleNon altra gente(112).In irrequieta vitaCosì vagai per la Colombia. Alfine,In Lima, un mercantil legno m'accolseE alle lontane della China spondeDrizzai l'antenna e verso l'India e versoIl nuovo quinto della Terra(113). Il giornoQuasi alla notte non far luogo io vidiLa prima volta(114), e la stupenda, immensa,Meravigliosa vastità del padreDegli Oceàni(115). Sulla fredda zonaSpinto a Levante dall'etereo motoTraslatore dell'Orbe(116) al tempestosoDell'Orno capo m'avvicina, e a BoraTorcendo ancor, nella perenne brezzaM'ingolfa e spinge al Peruano lido.Propizi i geni del ritorno e cariIo rividi del cuore, alle fraterneMense ospitali fui accolto, e quasiMi sembrai tra i miei lari(117). Ove il fataleChe mi lega destin a quella mestaSventurata mia terra e le sue ingiurieDi vendicar io non giurassi, forseTra le ben care Americane il mio

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Destin fissato avria! Ma chi scordareSi può dei nati tuoi, Italia? InfameSarà colui che ti rinnega, o il neroDelitto lo conculca, o di letameHa l'anima perversa. Il masnadieroChe ti ha coperto di vergogna, il vileChe, moderato, si millanta, oh! soliPonno oblïarti o in braccio allo stranieroProstituirti. Ma la maschia tuaProle che t'idolatra, e che la morteSolo pretende per mercede e l'ontaLavarti col suo sangue, oh! quella, Italia,Piange commossa nel pensar che un giornoCol proprio ferro ti farà redenta!Sempre ha l'Italia in cuor l'esule e il suoNome santo lo abbella. Alle lontaneS'avventura contrade e, sia fortunaSorridente od avversa, il suol natioAnelante ricerca, ove deporreTra le miserie o le dovizie l'ossa(118).E tal son io. Questa soperchia vitaTi sacrai da fanciullo, e le tue zolleSpero bagnar col vecchio sangue mioPer libertà recarti. E che m'importaD'ingrate turbe le nequizie e l'odioDe' potentati della Terra? In croceIl pio tribuno delle plebi, e primoFra tutti l'alma amareggiata ruppeConficcante il martel del mercenarioLe sue inchiodate(119) membra; e quanti a luiVoller seguir nella fatal carrieraDi libertà, di popolo, di dritto,Periron come lui. E che più monta,L'ingrata folla delle plebi al boiaPlaudiva e per la vita di Barabba(120)Chiedeva, e truce al Nazaren la morte!I Gracchi, i Rienzi, ed i Dentati un fineS'ebber simíle. Di tiran la scureSul palco fe' le nobili cerviciA piè del popol rotolar, e schiavoTornar l'inverecondo, istupiditoO rinnegando chi per lui moria!Pur non ritraggon dal sentier tracciatoI tuoi campioni, Italia! E non la solaVita daran, ma l'alma lor sull'ara

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A te sacrata com'a Dio daranno!Ripiglia l'Oceàn, profugo, il tuoE di vagar destino. Il tempestosoOrno rivarca e il Boreal ricercaEmisfero, ove un dì la gran scintillaDi libertà svegliava un Mondo(121) e il MondoDell'immensa Repubblica fregiava.E di là all'Anglia, de' proscritti asilo,Terra di forti, baluardo onustoDi generosi. Ove la maschia voceNon rimbombasse d'Albion sui fatiDell'Europa, il fallace protettoreD'ogni tiranno in schiavitù le gentiAvria respinto!... ed il fruir de' secoliPer l'uom perduto. Il menzogner t'avvinseTra le fetide braccia, e nel tuo cuoreUn pugnal configgeva, infame drudoMillantando d'amarti, Italia! e viliCodardi figli e ruffian trovasti.Dall'Anglia al Lusitan lido e all'IberoVolgi la prora. A manca il Gallo golfoLascia, e la tua natia Nizza al tirannoInfeudata! Al cospetto la superbaLigure Donna si presenta; è questaAlfin Italia non contesa? O forseNei pendii(122) del Magnanimo costeiEntra pur essa? Se l'ultima voltaNon t'arrivaron le lunghissime unghie,Genova, guarda che in ulterïoriUnghiate puoi cader, se di castratiGovernanti t'abbelli, come suoli.CANTO XIVSECONDO ARRIVO

Sono in Italia dopo un lustro. E questoSarà l'ultimo esiglio? Oh! di frementiDel servaggio non manca; ma di malveSempre è ripieno questo suolo. Il climaSarà che invola l'ardimento a questiDi Roma discendenti! E il sole stessoNon è, che alzava sulle LegïoniDominatrici dell'antico Mondo?Illuminato non è ancora il ForoDa' raggi stessi? I sette colli stessiNon son che vider trascinati ai carri,

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Trïonfatori del gran popol, l'osteDei Regi della Terra? Oh!... le macerieRestano sol di tante glorie, e i figliDe' Scipioni son chercuti, o serviDello straniero!Alla fatal di RomaDifesa, son caduti Itali taliDa glorïar il Mondo. Io quando vidiPugnar Masina, il Bolognese, e il forteFiglio della Liguria(123) e il duce invittoDe' Lombardi,(124) oh! la fronte alzai superboD'essere nato sulla terra stessa,Che donava tal prole e fui fidenteSulla sorte di lei, benché traditaE manomessa da predoni. E RomaStessa così depressa ed avvilitaE ingombra di perversa e corruttriceGenía, che l'Universo tutto appesta,Non ha il suo popol che insoffrente portaDello straniero il giogo ed odia e sprezzaIl trafficante vil di sue vergogne?Scordata ha forse la sua storia? AlcideDelle storie del Mondo? Ove l'invidiaDi chi fu servo a lei sparisca, e nudoS'erga il colosso ch' ha per base l'orbe«Ti prostra genuflesso, e la primiera,Verme! contempla delle glorie umane».Sono in Italia co' miei figli. Il tettoPaterno non m'alberga, il dolce amplessoNon m'ha beato di mia Madre, e leiChe di mia vita fu compagna, dormeSu d'una terra non redenta, Italia,Ma serva! E lo stranier v'impera e il passoNon drizzerai, proscritto, al solitarioTumulo santo che la copre. Il donnoÈ l'assassino de' tuoi cari, e soloTi resta il ferro per aprirti il varcoAl desïato avello.Ebbene il ferroArroterò tutta la vita, o vileImpudente canaglia; e se la voceMïa è sentita dagli schiavi, il sonnoVostro sarà turbato e più fecondi,Dal vostro sangue letamati, i campi.Poco è sentita la mia voce. Un velo

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D'inerzia copre l'infelice terra!Pochi a tentar s'avventan, ma chi reggeNon vuol consorti alle sue prede. Il SireEi chiamerà d'inferno alla riscossa,Ma non gl'invitti ch'egli teme. Il sertoAll'altrui serto sull'oppresse gentiFia sostituto, e libertà, menzogna,Per ingannar le turbe, e la corrottaDel popol parte accalappiar con doni,Infin servaggio che Statuto ha nome.Reduce, l'onda a rivarcar t'appresta.Se vuoi la vita sostentar, l'anticaArte ripiglia. Non servir l'ItaliaTu puoi, ma il donno, variopinta assisaSe non vesti. Sei servo, e nella greggeIl tuo posto ripiglia, e la tua parteDella mercè sudata a piè del tronoReca a impinguar del dignitario il pasto.Propiziatrice non trovai fortunaAlle fatiche, e dell'uman consorzioStufo, il deserto m'apparia qual asseNella tempesta, di salvezza. E l'ermo,Anelante, cercai sul derelittoLido della Sardegna, e te trovaiCaprera venturosa. Oh! caro scoglio,Refugio amato dal mio cuor, qual donnaAmata! E se scordar potessi il MondoTra i tuoi dirupi, nulla più vorreiDesiderar su questa terra, e un sassoChiederti del superbo tuo granitoPer ricoprirmi...! Ma non sarà vero,Io che giurai di non depor l'acciaioSinché l'Italia sia calpesta, ancellaDi masnadieri! E là, sulle LaguneSchiave, non son della mia donna l'ossaForse insepolte ancor? Dunque quïeteNon si ricerchi in questa vita. I RegiTormentatori, e tormentati, e praviVogliono..., e sia; noi che siam nati al cultoDell'amore fraterno, alla vendettaEd alla strage sol si pensi. I campiNoi solcherem sudanti, e le carezzeCalpesteremo de' potenti. Ov'ardaDello schiavo lo sdegno, alle battaglieRitornerem. Intanto, il solitario

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Tuo sen disserra alla sventura, o sacraFiglia dell' onde, e l'ombra de' tuoi massiConsenti, infin che Libertà ci appelli!Qui non s' innalzan di colossi alteriLe superbe macerie, il simulacroDella burbanza de' potenti, erettoDalla fatica dello schiavo, e il segnoDi fasto non iscorgi. Il santuarioDella natura è questa alle TirreneOnde ritolta dall'immensa destraDi chi sospinse l'Imalaia e l'Alpi.Di prischi abitator sorgon vestigiDovunque, tra le balze ed i dirupiDella selvaggia, ma di umíl proscrittoE perseguiti furon gli abituri(125),Connessi appena da cemento. Il climaCome il granito vi è robusto e i ventiNon consenton le nebbie, e quindi il morboMicidial non vi alberga; alle propinqueUbertose costiere i suoi mïasmiAccumulando, gli abitanti uccideO ne deturpa della vita il nerbo(126).Ivi gl'immensi milïoni ad opraSalvatrice sarian, e non nel vanoMantener d'oste numerosa, e pinguiCamaleonti inutil non soltanto,Ma perniciosi corruttori e pesteDell'umana famiglia. Intanto il mestoSardo trascina, egro, ignorato, immondo.Che importa! Il grande dignitario sciala.Basta d'affanni e di rancori. Un'astaImpugnam, ma di vanga. Il dorso a' RegiPoco pieghevol, ben si piega al santoDella terra lavoro, e se il sudatoAlla famiglia pan basta, che importaSe popolato di tiranni e schiaviMai sempre è il mondo? Così non fu sempre?Chi se 'l soffre se 'l merta! Alla catenaChi piega il collo, dopo la catenaAvrà il bastone. E che mai serve il malePugnar tutta la vita e de' soffrentiLa causa propugnar? Quando alla metaArrampicar sembrommi e nella destraStringerla, indietro mi voltai: la patriaChe Dio mi diede allo stranier venduta

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Vidi, e da Grande il truffator fregiarsi!Più tardi, un sciame di liberti al PrenceDicea: «Da voi noi libertade avemmo,E libertade da voi sol vogliamo»(127).Come se Prence e Libertade un soloPrincipio fosse!... Vanga! Vanga! Vanga!E cerca d'oblïar tante stoltizieDell'umana famiglia. Oh! se il LeteoFosse quest'onda che ti accerchia, o fosseTra il Continente e te l'ampio OceànoVanga! e ti acqueta, agricoltor. La viaDa percorrer è lunga, ma ad usuraLa fatica avrai paga. A quei tiranni,Che la tua patria conculcâr, mercedeDaran gli eventi. La fatal birragliaChe i tuoi compagni assassinò a' piediTuoi fia prostrata e tu, guarda, vendettaNon prenderai di lor, perché sul vintoE genuflesso tuo nemico il ferroNon hai bagnato ancor(128). L'inverecondoSgherro, allorché fortuna arride, è fieroE tracotante; ma altrettanto è vileQuando infelice.La fatal geníaDi chi l'Italia regge, alle battaglieNon s'avventa per noi. Sottrar la imbelleDal dominio d'infami tirannelli?Alla buon'ora! ma dominatriceEssere in luogo di color, e plebeTacita vuol, e sottomessa e pravaCome fu sempre, lusingata e serva.CANTO XVIL '59

Un dì, tra i solchi del mio campo, un messoApportator di fausta nuova giunge«Guerra all'Austriaco, - ei dice, - il Re Sabaudo«Immantinente bandirà. L'aiuto«Del Sir di Francia è certo, e questa volta«Si vuol il popol parteggiante al fiero«Di Libertà conflitto». Un mio sogghignoAccolse il messaggier. Il Lupo e il FalcoPatteggiaron tra lor dunque, e le agnelleVoglion compagne nell'arringo. Oh! guaiPer le lanute e per l'Archimandrita

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Che le conduce. Immascherato il FalcoDa Aquila, l'Adriaco mar ritrovaSul Mincio e torna il patteggiato agnelloAd aggrappar. I denti il fier compagnoConfigge all'altro. Archimandrita e mandraAll'Inferno per ora, e poi vedrannoLe Mäestà di regolar l'Interno,Cioè: «Coi soldi tuoi, popol, un nembo«Ti doneran di dignitari e birri».Eppur convien marciar ove si pugnaContro i nemici dell'Italia. È belloVeder un giorno di battaglia, in fugaQueste masnade assuefatte al pingueViver del ladro, depredar non soloMa disprezzar questi di Roma figliPerché discordi e nell'inganno spinti.E fur sconfitte le indecenti! I prodiItali, soli, non sommanti a molti(129),Si risovvenner che la terra stessaPartoriva i Camilli, e nelle reniMi preser quei ribaldi spaventatiDi baionette a punta. I campi ameniDi Varese e di Como i bellicosiVider dell'Alpi Cacciatori, e i cantiDelle vittorie rallegrâr le belleFiglie del Lario e del Verbano. I fattiDell'antiche d'Italia armi, i nipotiAvrian rifatto, se l'ermafroditaCasta de' Moderati il sonnolenteLicor, a stille, sulle sventuratePlebi non diffondeva! Il barattiereDella povera Nizza ai coraggiosiChe finirla volean collo stranieroRapiva l'armi. «E si lasci a chi tocca«Fare», dicea l'astuto: e ben sapevaChe coll'armi alla man l'Italo, il turpeAvria infranto mercato e le cateneRotte agli schiavi suoi fratelli e il lordoSir di Cajenna maledetto, e a schifo.Sulla sponda gentil del Garda un sitoSorge, ove l'arte e la natura a garaSpandon bellezze. Ivi le nevi ai montiNe argentan la corona e le convalli.Partenopeo il clima, e le fragranzeHanno e la sicula dolcezza i frutti.

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AUTOGRAFO RIPRODOTTO FOTOGRAFICAMENTEDAL «POEMA»(CANTO XV. IL '59)CANTO XVIIL CORRUTTORE

Il campione dell'Idea, il padreDella menzogna e corruttor del Mondo(130),Discese a patti con chi scrive e, turpe,L'anima, scellerato, alle sue brameCredea curvarmi, misurando il mioDal suo cuore di fango! «Il rio Governo(Diceva il messo del furfante) e voiAborre(131) e in cenci i valorosi lasciaVostri compagni. Io largirò di tuttoQuesta prode falange, e l'oro, in pegnoDella fede del Sire, io qui vi porgo».«Ite, foriero d'un tiranno, i doni«Vostri disprezzo! Alla corrotta schiera«Dei ciondolati i doni, e sole a noi«Bastan di pan e ferro le dovizie.«Oh! se reietti, malarmati e sconci«Ci condanna chi regge, ei sa che Italia«Non lui si serve dalla coraggiosa«Gioventù, che mi segue. Al coccodrillo«Che mi vuol suo, dite: che questa destra«Io mozzerò pria ch'essa serva al vile«Scellerato disegno e pria che il patto«Della mia terra, barattier, io segni.«Tenti la Volpe i Moderati e campo«Vasto trovar può tra color, che al ventre«Adoratori si prostran; ma in questa«Pur sventurata Italia, ove s'accinga«In quella parte che si chiama plebe,«Ah! colla fronte sollevata, il giuro!«I discendenti dei Fabrizi(132) altieri«Ancora ei troverà, e le fallaci«Calpesteranno sue promesse e... un giorno«Vendicheran su quell'infame i guai«Trilustri e la vergogna d'esser stati«Servi a servile masnadier codardo!»(133)Donni noi siam dell' occidental spondaDel Garda e l'Austro, impaurito, adocchia

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La rossa giubba. Il suo naviglio infestaL'Itala sponda, e un dì, sulla riviera,Mi risovvenni d'esser nauta e i fluttiAver solcato da corsaro. AgguatoTeso all'incauto incrociator nemicoIn imboscata fu travolto e tetroSpettacol diè sotto l'inesorabilBronzo ignivomo, e il capovolse e secoNel pelago affondò l'intiera ciurma(134).Non è libera Italia! eppur compitaDegl'Italiani è la missione!... Il donnoCosì comanda: «A Solferino ho vinto«Ïo, non voi; eccovi il suol Lombardo«Da me conquiso ed io mi pappo Nizza«E de' Sabaudi le colline, il sacro«De' tuoi maggiori Mausoleo, o servo«Dominator di servi! Ai gracchiatori«Che chiaman sempre l'altrui ferro all'opra«Di redimer la patria, a' pugni apponi«Questo di ferro braccialetto e un morso«Alla garrula lingua. Al cuor d'Italia«Il tarlo io pascio da tant'anni, e lei«Prostituita ancella alle mie voglie!Chi se 'l soffre se 'l merta.(135) Ove più il santoPudor non tinge le verginee goteE virtude si chiama il servir sempreNostri od estranei donni; ove chi fervePe' suoi lari servir e la sua vitaGetta alle mischie del conflitto, intentoA vincere o morir solo per lei,Che vita dielli, è perseguito a morteDalla malnata ermafrodita setta,Come parlar di Libertade? In tempioContaminato ella non sie