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Pli NEWS LA VOCE DEL LICEO CLASSICO PLINIO IL GIOVANE N° 5 APRILE 2011 Il Liceo Plinio diventa grande di Andrea Pellegrini È questo l’ultimo numero di Plinews, ‘La voce del Liceo Classico “Plinio il Giovane”. La prossima volta dovremo aggiungere ‘Scientifico’ e ‘Scientifico delle Scienze Applicate’. Il Liceo, dun- que, spiega le ali, desideroso di spiccare un volo verso confini ancora più ambi- ziosi. L’istituzione di un Polo Liceale a Città di Castello ha avuto finalmente un esito felice, dopo le frustrazioni del pas- sato. La politica e le istituzioni hanno gio- cato un ruolo fondamentale e per questo motivo abbiamo deciso di aprire questo numero con gli interventi di Riccardo Ce- lestini, Assessore alle Politiche Culturali di Città di Castello, e di Nicola Morini, Consigliere Comunale di Castello Libera. Non si tratta della solita retorica. I contri- buti che abbiamo pubblicato dimostrano l’impegno, la partecipazione, la serietà con cui il Comune ha perorato la causa della Scuola in Altotevere. Poi, come di consuetudine, abbiamo affrontato argo- menti d’attualità e di costume, trattato temi più o meno impegnati, senza impor- re una linea definita, ma cercando di fa- vorire gli interessi dei collaboratori. Un pensiero, però, lo voglio esprimere: che su 300 studenti, solo una decina – per lo più di una certa sezione – collaborino al Giornale d’Istituto è un dato che ci deve far riflettere. Mi pare curioso che, in un Lo Scientifico a Città di Castello: una svolta epocale Finalmente, dopo anni di tentativi fallimentari, il Liceo Plinio il Gio- vane ha l’opportunità di crescere e di ampliare la propria offerta formativa, per soddisfare le esigenze di un territorio vasto ed etero- geneo di Riccardo Celestini, Assessore alle politiche scolastiche L’istituzione, a partire dal prossimo Anno Scolastico 2011-2012, degli indirizzi scientifici all’interno del Liceo “Plinio il Giovane”, approvata da tutti i livelli istituzionali territoriali (Comune, Provin- cia, Regione), costituisce una “svolta storica” per il nostro sistema formativo. Ciò non solo ed in quanto la richiesta di potenziamento dell’asse culturale scientifico presso il Liceo classico era stata, nel decennio precedente, periodicamente reiterata, a fronte anche di una domanda “consolidata” nel tempo (con una mobilità di 250- 300 studenti/anno, prevalentemente fuori Regione), quanto piutto- sto per il fatto che essa si inserisce armonicamente in un contesto complessivo che ri-articola l’offerta formativa per aree omogenee, più adeguato alla determinazione di un sistema scolastico locale più efficace, non solo a contenere i fenomeni di dispersione scolastica che sempre di più caratterizzano la società moderna, ma anche a formare e generare nuove professionalità, nuove figure che siano in grado di rispondere ai nuovi fabbisogni del mercato del lavoro e del territorio, negli scenari ridisegnati ovunque dalla crisi mondiale, nei quali sarà necessario un di più di innovazione ed innovatività, continua a pag. 2 Liceo Classico “Plinio il Giovane” - viale Armando Diaz, 2 - 06012 Città di Castello (PG) - tel. 075.8554243 - fax 075.8554724 - www.liceoplinio.net - [email protected] 150

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Pli NEWSla voce del liceo classico plinio il giovane

n° 5 aprile 2011

Il Liceo Plinio diventa grande

di Andrea Pellegrini

È questo l’ultimo numero di Plinews, ‘La voce del Liceo Classico “Plinio il Giovane”. La prossima volta dovremo aggiungere ‘Scientifico’ e ‘Scientifico delle Scienze Applicate’. Il Liceo, dun-que, spiega le ali, desideroso di spiccare un volo verso confini ancora più ambi-ziosi. L’istituzione di un Polo Liceale a Città di Castello ha avuto finalmente un esito felice, dopo le frustrazioni del pas-sato. La politica e le istituzioni hanno gio-cato un ruolo fondamentale e per questo motivo abbiamo deciso di aprire questo numero con gli interventi di Riccardo Ce-lestini, Assessore alle Politiche Culturali di Città di Castello, e di Nicola Morini, Consigliere Comunale di Castello Libera. Non si tratta della solita retorica. I contri-buti che abbiamo pubblicato dimostrano l’impegno, la partecipazione, la serietà con cui il Comune ha perorato la causa della Scuola in Altotevere. Poi, come di consuetudine, abbiamo affrontato argo-menti d’attualità e di costume, trattato temi più o meno impegnati, senza impor-re una linea definita, ma cercando di fa-vorire gli interessi dei collaboratori. Un pensiero, però, lo voglio esprimere: che su 300 studenti, solo una decina – per lo più di una certa sezione – collaborino al Giornale d’Istituto è un dato che ci deve far riflettere. Mi pare curioso che, in un

Lo Scientifico a Città di Castello: una svolta epocaleFinalmente, dopo anni di tentativi fallimentari, il Liceo Plinio il Gio-vane ha l’opportunità di crescere e di ampliare la propria offerta formativa, per soddisfare le esigenze di un territorio vasto ed etero-geneo

di Riccardo Celestini, Assessore alle politiche scolastiche

L’istituzione, a partire dal prossimo Anno Scolastico 2011-2012, degli indirizzi scientifici all’interno del Liceo “Plinio il Giovane”, approvata da tutti i livelli istituzionali territoriali (Comune, Provin-cia, Regione), costituisce una “svolta storica” per il nostro sistema formativo. Ciò non solo ed in quanto la richiesta di potenziamento dell’asse culturale scientifico presso il Liceo classico era stata, nel decennio precedente, periodicamente reiterata, a fronte anche di una domanda “consolidata” nel tempo (con una mobilità di 250-300 studenti/anno, prevalentemente fuori Regione), quanto piutto-sto per il fatto che essa si inserisce armonicamente in un contesto complessivo che ri-articola l’offerta formativa per aree omogenee, più adeguato alla determinazione di un sistema scolastico locale più efficace, non solo a contenere i fenomeni di dispersione scolastica che sempre di più caratterizzano la società moderna, ma anche a formare e generare nuove professionalità, nuove figure che siano in grado di rispondere ai nuovi fabbisogni del mercato del lavoro e del territorio, negli scenari ridisegnati ovunque dalla crisi mondiale, nei quali sarà necessario un di più di innovazione ed innovatività,

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Liceo Classico, così pochi ab-biano la passione di scrivere, di esprimere il proprio pensiero al di là di uno schermo di compu-ter. Si tratta di vincere un po’ di pigrizia e di recuperare il senso di appartenenza ad una comu-nità scolastica che vada oltre la personale quotidianità. Non mi sembra un impegno da tita-ni. In chiusura, a nome di tutta la scuola, anche se in anticipo, desideriamo rivolgere un pen-siero alla ‘mitica’ Rosaria Ros-si, che ad Agosto se ne andrà in pensione. Abbiamo cercato di dissuaderla da questo folle, scriteriato ed insensato gesto, ma inutilmente. E allora, nel-l’attesa di un sontuoso banchet-to di congedo, le mandiamo un grande abbraccio e un sentito grazie per l’impegno, la serietà e la pazienza verso tutto e tutti.

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di ricerca e conoscenza scientifica, in allineamento con quanto elabo-rato dalla UE nella strategia Euro-pa 2020 per la promozione di una crescita sostenibile (tarata su un uso più efficiente delle risorse natura-li, nel rispetto degli obiettivi che si è posta in materia di cambiamenti climatici, energia, trasporti, materie prime, biodiversità...). Gli obiettivi di Europa 2020 chiedono dunque a tutti gli Stati membri di promuovere una crescita “intelligente, inclusiva e sostenibile, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale”. La sfida, per tor-nare a crescere, anche a Città di Ca-stello - per tutti ma soprattutto per le istituzioni pubbliche e scolastiche - è quindi sulla qualità dell’investimen-to sui saperi, sul capitale umano, per costruire una società della conoscen-za diffusa, nella quale l’innalzamen-to dei livelli di cultura in generale e di quella scientifica in particolare (rispetto ad es. ai nuovi settori della green economy, delle energie rinno-vabili…) diventa elemento dirimen-te per la competitività del sistema.

Il riordino delle Superiori a Città di Castelloe la conquista dello scientifico: grazie alla riforma Gelmini

di Nicola Morini, Consigliere Comunale “Castello libera”

Circa un anno fa dalle pagine di questo giornalino annunciavo la svolta per la nascita del polo liceale (comprensivo di corso scientifico) a Città di Castello. In effetti que-sto traguardo tanto agognato è stato reso possibile grazie all’approva-zione definitiva della tanto “vitupe-rata” riforma dei Licei attuata dal Ministro Gelmini. Una novità che è stata capace di “sparigliare” le carte ed aggirare lo storico “veto” di Pro-vincia e Regione all’istituzione del-lo scientifico tifernate. Do volentie-ri atto all’attuale assessore Celestini e alle Istituzioni scolastiche locali di aver saputo sfruttare l’occasio-ne propizia e trovare la strada per scongiurare la chiusura del Liceo “Plinio il Giovane”. Dai banchi del-l’opposizione in Consiglio Comu-nale abbiamo sempre lavorato per questo obiettivo, mantenendo un at-teggiamento fermo ma responsabi-le; avanzando mozioni, condividen-do documenti, votando per il bene della città e non per spirito di parte. Un’assenza di demagogia che è da suggerire a chi condanna con troppa facilità le politiche scolastiche del governo senza riconoscerne i meriti di semplificazione e arricchimen-to, come anche nel nostro caso. Le riforme infatti possono essere tut-te legittimamente contestate, però è utile coglierne anche gli aspetti positivi. Nel paese dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Bianchi e dei Neri, un pizzico di serenità e di onestà intellettuale in più non guasterebbe, soprattutto in politica.

Guardando oltre il caso del Li-ceo, in un’ottica cittadina, ho trova-to ragionevoli e responsabili anche gli accordi raggiunti tra gli Istituti locali per favorire il ridimensiona-mento scolastico e salvare così l’au-tonomia di Circoli e Istituti. Con-divido anche la scelta di puntare sulla formazione di un forte “polo tecnico”, con il Franchetti e il Sal-

viani, e di un “polo professionale” con il Patrizi-Baldelli e il Cavallot-ti. Spiace soltanto constatare che non si è voluti andare fino in fondo nella scelta di seguire la tripartizio-ne (liceale, tecnica e professionale) della riforma delle Scuole Superiori in quanto i nuovi indirizzi tecnici, “turistico” e “agrario”, sono stati in-seriti nel “polo professionale”. Una scelta che tradisce la natura tecnica dei corsi in questione e che potrebbe generare una debole coerenza didat-tica e gestionale. Bisognava avere un po’ più di coraggio accettando la scommessa di puntare su un “polo professionale” puro che in una città industriosa come la nostra può dive-nire fucina di “operai specializzati”, così ricercati nel mondo del lavoro, che in passato hanno fatto la fortuna dell’economia altotiberina.

Per il resto il compito della politi-ca, almeno per ora, si ferma qui. Non rimane che augurare alle Istituzioni scolastiche locali e ai loro Dirigen-ti di affrontare al meglio il compi-to di rilancio e governo del sistema scolastico locale. Lo straordinario successo delle iscrizioni al “polo liceale” prova che quanto abbiamo sostenuto finora, circa la necessità di questa nuova offerta formativa , fosse realmente nelle attese degli studenti e delle loro famiglie. È un forte atto di fiducia che non dobbia-mo deludere.

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“Viaggio” è una parola che Leo-pardi definirebbe poetica: non im-plica solo spostarsi, muoversi, ma anche compiere un processo inte-riore, conoscere il diverso, avven-turarsi nello spazio e nel tempo, affrontare l’ignoto e comprendere meglio il già noto. È una parola che richiama il fascino del mistero, su-scita adrenalina e aspettativa, com-prende, forse nelle sue venature più nascoste, paura e angoscia, perché l’approccio con il mondo è una messa in discussione con se stessi. Vi sono molti modi per interpretar-lo: il viaggio fisico di Ulisse, quello spirituale di Dante, quello forma-tivo di Renzo…i vari significati si intrecciano, creando un reticolo di accezioni non scindibili tra loro. Essenzialmente esso consiste, no-nostante gli scopi e i metodi diver-si, nel rapportarsi con l’ignoto ed il diverso per poterne uscire, in qual-che modo, arricchiti. Relazionarsi con il mondo, che sia attraverso un viaggio fantastico o reale, permet-te di comprendere l’essenza di se stessi, il valore del luogo da cui si proviene, il potenziale delle proprie capacità, l’importanza del proprio ruolo nell’universo. È infatti il con-trasto tra gli opposti che rende uni-che e irripetibili le parti. Secondo Hegel, l’amore non è altro che la sintesi tra due opposti che, non eli-minandosi a vicenda, si completano e ognuno rimane arricchito grazie alle caratteristiche dell’altro, di cui è mancante. Importante è il modo di approcciarsi “all’altro”. In tal sen-so, ci sono due tipi di viaggiatori: quello “distratto” e quello “perspi-cace”. Le memorie del viaggiatore distratto saranno una lunga succes-sione di flash, istantanei e splendidi, di qualcosa che ha colpito, inorridi-to, affascinato, incuriosito. Questo aprirà la corazza della sua cultura e

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Il viaggio: sintesi tra gli opposti, ricerca di sé e tensione verso l’infinito

di Ester Giorgi

dei suoi pregiudizi giusto un po’, lo stretto indispensabile per far fluire qualche raggio del mondo, da poter trattenere con sé e portare a casa. Il viaggiatore distratto è colui che ritornerà dal luogo da cui è partito, felice di essere uscito dal proprio mondo anche solo per poco e aver compreso quanto la sua “casa” sia speciale. “Non capisce, forse, non ama il proprio paese chi non l’ha abbandonato almeno una volta” 1. Al contrario, il viaggiatore profon-do è colui che, uscito dal suo guscio e abbattute qualsiasi tipo di barriere psicologiche, si inoltra nei meandri del mondo, da quelli più in vista a quelli più nascosti e sconosciuti; è colui che accoglie in sé tutto ciò che incontra nel suo cammino, è colui che si addentra nella novità e la rende parte di sé. Quest’ultimo tipo di viaggiatore, appena iniziato il percorso, si dimenticherà da dove è partito, perché sentirà come patria e parte di sé ogni luogo che incon-trerà. È un cosmopolita, che non af-fronta mai concretamente la via del ritorno, poiché, teso verso qualcosa di sempre più alto, sente di appar-tenere all’universo tanto quanto l’universo gli appartiene. In ogni luogo si sente a casa, pur sentendo la mancanza di tutti gli altri posti. In questo senso, la natura umana è così magnifica e crudele: dà occa-sione di percepire il profumo e il respiro di ogni atomo in ogni luogo in cui una persona può trovarsi, ma senza mai poter abbracciare tutto ciò che ha visto e sentito contempo-raneamente. Un infinito irraggiun-gibile, una sorta di asintoto, cui ad ogni passo il viaggiatore si avvici-na, senza mai riuscirlo a toccare e stringere tra le mani. “Oggi più che mai vivere significa viaggiare. […] Sempre più incerto, nelle vertigino-se trasformazioni del vivere, appare

il ritorno a se stessi. L’Ulisse odier-no assomiglia […] a quello dante-sco, che si perde nell’illimitato” 2. Nessun viaggiatore è da biasimarsi, né colui che sceglie la via del ritor-no né colui che si dedica alla conti-nua ricerca del nuovo: il primo sce-glie il concreto, il finito; il secondo preferisce la ricerca dell’inimma-ginabile, dell’infinito. L’uno e l’al-tro hanno scelto due punti di vista opposti per comprendere la realtà. Il primo realizza da dove è venuto, le sue origini, il secondo fantastica su dove andrà, su quale oceano la sorte lo condurrà, il suo futuro. I due potrebbero essere comparati a due personaggi di Hermann Hesse 3: Narciso rimane tutta la vita in un convento, ma affronta comunque il suo sudato viaggio: sui libri di gre-co, latino, aritmetica e geometria, un viaggio spirituale che lo porta alla conoscenza e alla consapevo-lezza della sua natura e dei suoi limiti: l’Ascesi verso l’Idea, l’ele-varsi dello spirito verso l’Assoluto. Boccadoro, al contrario, trascorre gran parte della sua esistenza fuori, nel mondo, nella continua avventu-ra: s’imbatte nell’amore, si trova a faccia a faccia con la morte, fluttua sulla corrente del piacere, del dolo-re, delle sensazioni. Ha la visione della Madre Natura: la sua essenza, la sua origine. Un viaggio che dura tutta la vita e solo alla fine, in pun-to di morte, capirà chi è veramente. Il suo viaggio rimane incompiuto a causa dei limiti della sua natura umana (la vecchiaia, la morte): non ha raggiunto il suo Infinito, ma, continuamente esule e pellegrino, ricercandolo è riuscito a toccare la piena consapevolezza di sé.

1 M. Soldati, America primo amore.2 C. Magris, Tra i cinesi che sognano Ulisse.3 H. Hesse, Narciso e Boccadoro.

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Ludopatia: malattia del secolo

Viviamo in una società dove tutto sembra facile, basta accendere la TV che veniamo bombardati da programmi in cui non è premiata l’intelligenza o la personalità di uu individuo, ma la fortuna che uno può avere.

Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, divi del cinema, rock star... ma non è così! E lentamente lo stiamo imparando a discapito nostro. Il fatto che ci sia un tasso di giocatori pa-tologici molto alto, ci fa comprendere come l’italiano medio non sia soddisfatto della sua attuale situazione, e che tende a migliorare la propria vita puntando nella fortuna. Ma non è il conto in banca, o la macchina nuova o l’ultimo cellu-lare alla moda che fa di noi uomini migliori. I soldi che possediamo finiscono col possederci, perché pretendiamo sempre di più e se non si può lavorare, si tenta la sorte con giochi d’azzardo per migliorare la propria situazione economi-ca. La maggior parte dei giocatori, si legge nello studio condotto dal Codacons,

Quale eredità ci hanno lasciato gli esteti?di Cecilia Robellini

“L’estetica è un settore della filo-sofia che si occupa del bello naturale e artistico, ovvero del giudizio di gu-sto.” Questo termine ha assunto per noi un’accezione diversa nel signifi-cato corrente. Noi intendiamo parlare sempre del “bello” quando vogliamo dare un “giudizio estetico”, ma non ci rendiamo conto di quanto questa concezione di bellezza sia distante da quella che veniva privilegiata in pas-sato. È vero, anche per il “dandy” la bellezza deve essere in qualche modo artificiale, deve essere ostentazione e sfarzo, costruzione e artifizio, ma la sua eccentricità e il suo modo di vivere anticonformista, che non può non rispecchiarsi nell’abbigliamento, hanno uno scopo ben preciso. Egli vuole vivere la propria vita come un’opera d’arte: la bellezza é anti-conformismo ed estremismo. L’esteta sostituisce alle convenzioni sociali le leggi del bello e va continuamen-te alla ricerca di piaceri raffinati, che raggiunge anche attraverso l’utilizzo di alcool e droghe. La sua più grande paura è quella di cadere nel banale e nel comune. Questa continua ricer-ca dell’estremo e del piacere trova espressione nel personaggio di Oscar Wilde, Dorian Gray, l’eterno attraente ragazzo che per rimanere tale vende perfino la sua anima a Mefistofele, infliggendo al suo ritratto le pene dei mali da lui commessi. Hegel sostiene che l’estetica non dovrebbe essere intesa né come “scienza del sentire”, né come una disciplina che prende in considerazione i sentimenti suscitati dalle opere d’arte, bensì come “filo-sofia dell’arte”, avente per oggetto il “bello artistico”, superiore, nella sua spiritualità, rispetto al bello naturale, poiché “tutto quel che è spirituale è superiore a ogni prodotto naturale”. Kant invece pone il “bello artistico” e il “bello naturale” sullo stesso piano. Il sublime rappresenta il conflitto tra la ragione e la sensibilità, piace per se stesso, come “il bello” e si divide per lui in due aspetti: sublime ma-tematico, il sentimento dell’infinita

grandezza della natura al cospetto dell’uomo, che si sente così piccolo, e sublime dinamico, il sentimento dell’infinita potenza della natura che ci spaventa e ci appassiona allo stes-so tempo, nelle sue manifestazioni, come i terremoti o le eruzioni vulca-niche. Questo concetto è riassumibile nelle parole “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me” (KANT, Critica del Giudizio), in cui egli rico-nosce la propria piccolezza nei con-fronti dell’immensità della natura, ma è consapevole di poter raggiungere l’eternità grazie alla forza della ra-gione. Per Kierkegaard la vita esteti-ca è la negazione di qualsiasi valore o principio morale, ma il seduttore non pecca consapevolmente, poiché segue soltanto i propri istinti, si “la-scia vivere” senza pensarci neanche, come lo stesso Don Giovanni, che incarna alla perfezione la figura del-l’esteta per eccellenza. Il kierkegaar-diano “demoniaco sensuale”, a mio parere, è estremamente attualizzato, in un mondo, il nostro, dove il fattore estetico è diventato lo scopo princi-pale della vita e dove spesso, se non

sempre, esso è usato come veicolo per il raggiungimento del piacere fisico. Dunque sono molte le analogie con il movimento estetico dei grandi pen-satori e letterati, ma c’è una profonda differenza: l’arte dov’è andata a fini-re? La ricerca del piacere è un’eredità che ci portiamo dietro ben volentieri, ma rischia di trasformarsi per noi in semplice piacere fisico, perseguibile con ogni mezzo e artificio, come la chirurgia estetica, la grande salvezza e al contempo il grande male dell’età moderna. Siamo così ossessionati dal desiderio di raggiungere la perfezione esteriore, dal desiderio di “spiccare” su tutti gli altri; così ossessionati da noi stessi che le bellezze del mondo, le vere opere d’arte hanno perso tutto il loro senso. Mettiamo da parte tutti i sentimenti, eccetto pochi: l’egoismo e l’invidia, solo questo c’è dietro il “no-stro bello”. L’unico dubbio è : quando saremo tutti indistintamente perfet-ti, chi si distinguerà? Chi spiccherà? Come faremo a evitare la spaventosa prospettiva di cadere nel banale e nel comune, tanto odiata da noi come lo era duecento anni fa?

Da puro e semplice divertimento, il gioco sta diventando una vera e propria malattia, che miete le sue vittime in strati sempre più ampi di popolazione. Il ludopate ha bisogno di cure, la sua è una malattia subdola. Lo Stato ha un com-portamento ambiguo: dal gioco, infatti, l’Erario ricava cospicui guadagni

di Carlo Alberto Paladino

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sono persone con scarsa autonomia, insicure, che appartengono ai ceti me-dio/bassi, che tendono a giudicarsi in maniera negativa, nascondendo il più delle volte una stato depressivo. Han-no difficoltà nel gestire i propri senti-menti ed a esprimerli agli altri. Spesso pensano che la loro vita sia un falli-mento, si sentono diversi dagli altri e si chiudono in se stessi, tendendo a na-scondere la malattia del gioco. Sono sempre di più le persone allettate dalla vincita facile, basta fare un giro per i numerosi bar e le sale da gioco. Ci sono un numero esagerato di famiglie che cadono in disgrazia perché dilapidano lo stipendio alle macchinette. Inoltre, da come si legge in una inchiesta del Corriere della Sera, anche il tasso di donne che hanno dipendenza da gioco è salito vertiginosamente, soprattutto tra i 25 e 45 anni: il 40 %, contro il 25 % dei giovani fino a 21 anni e il 35 % degli uomini tra i 35 e i 50 anni. È il risultato di una ricerca realizzata dal Codacons con Monopoli di Stato e Sisal, che parte dal dato dell’Or-

ganizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui il 3% della popolazione adulta italiana, 1,5 milioni di soggetti, tende a porre il gioco al vertice del-le priorità della vita. La maggioranza dei soggetti a rischio(il 32%) dice di giocare esclusivamente per guada-gnare, solo il 21% per divertimento. Corse (78%), partite (86%), Bingo e Lotto (65%) rappresentano i giochi preferiti dai maschi, mentre le donne mettono in cima alle preferenze poker on-line(42%) e slot (46%). A livello psicologico si assiste al repentino pas-saggio da euforia a depressione, oltre ad un atteggiamento ossessivo e di bisogno quasi fisiologico di giocare. Il gioco d’azzardo patologico viene inserito nel contesto della patologia psichiatrica e rappresenta una malat-tia cronica, progressiva e comporta un disturbo della capacità di percezione della realtà. La maggior velocità di gioco, la possibilità di riscuotere im-mediatamente le vincite, la perdita di una dimensione sociale e rituale, la soglia di accesso facilitata: sono al-

cuni dei fattori che hanno contribuito a cambiare le modalità di gioco, un processo che ha degli effetti indiretti anche sull’evolversi delle patologie legate al gioco compulsivo. Il gioco è ormai un prelievo anomalo imposto dallo Stato che ha bisogno di soldi. E le persone giocano senza sapere nep-pure quali sono le reali possibilità di vincita. Il presidente del Codacons Carlo Rienzi, la cui critica è ad am-pio raggio e si basa sul cambiamento del gioco a livello generale, dice che la maggior parte delle persone va in ricevitoria a giocare, ma in realtà ci si reca in questi posti, si versa un pro-prio contributo e si prende una schedi-na, ormai senza neanche più scegliere i numeri e andando a escludere anche quella componente ludica di base. La ludopatia deve essere sconfitta con una propaganda per la consapevolez-za dei giocatori. Lo Stato dovrebbe rinunciare a parte delle entrate per promuovere una massiccia campagna di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno.

Il turismo dell’orrore Curiosità o compartecipazione al dolore?

di Deborah Galasso

Cogne, Erba, Via Poma, Perugia, Avetrana, Brembate e infine Chigno-lo d’Isola, il paesino in provincia di Bergamo dove è stato recentemente ritrovato il corpo della piccola Yara. Luoghi di delitti atroci, stragi fami-liari, di cui la gente non sembra più farsi specie. La violenza sta diven-tando una normalità nella vita della gente comune, si ha a che fare con quella che in un suo libro Hannah Arendt definì “la banalità del male”. Ed ecco quindi che una domenica di bel temp,o invece di organiz-zare una bella gita in qualche città d’arte di cui la nostra Italia è piena, si parte addirittura in comitiva per andare a visitare i luoghi di queste stragi, per ripercorrerne le tappe, vedere da vicino la casa e i luoghi frequentati dalla vittima. Orrore! La gente è così attratta dal dolore? Sicuramente uno dei casi più recen-ti ed eclatanti è quello di Avetrana,

dove decine di persone sono andate a sfilare nei pressi di casa Scazzi e Misseri per guardare il garage dove è stato commesso il delitto. Gente che scatta fotografie e gira video, alcuni che addirittura si mettono in posa per scattare una foto ricordo sullo sfondo di quei luoghi di dolo-re, mamme che ai loro bambini di-cono con inaudita naturalezza: “Lì è morta Sarah!”, indicando il garage di Michele Misseri. Davanti a tutto ciò il sindaco ha dovuto prendere addirittura provvedimenti e chiu-dere le strade che portano al luogo del delitto, a causa degli evidenti di-sagi arrecati alla viabilità cittadina. Complice di questa spettacolarizza-zione è sicuramente la forte pressio-ne mediatica a cui è stato sottoposto il delitto di Avetrana, ma ciò non giustifica l’insensibilità e soprattut-to l’inopportunità delle persone che rendono meta di turismo un luogo

di dolore. Ma ciò che è veramente incomprensibile è capire da cosa sia spinta questa gente. Curiosità o una sorta di insana compartecipazione al dolore? Difficile trovare una rispo-sta, ma bisogna avere rispetto per chi non c’è più e per chi resta tutti i giorni a combattere con il proprio dolore.

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Niente è più vago della cosiddetta spiritualità indiana, niente è stato più tenacemente inseguito dai numerosi viaggiatori e studiosi che si sono av-vicendati nel subcontinente. In terre lontane, non tanto dal punto di vista geografico, quanto culturale, venia-mo messi di fronte alle nostre proie-zioni, al modo in cui la nostra cultura ha mediato e rielaborato le civiltà al-trui e viceversa. Pensare che l’India possa rappresentare, per noi occiden-tali, un libro aperto, equivale a rite-

principio creatore, il Padre miseri-cordioso e il giudice imparziale. Al singolo, prima che alla comunità dei fedeli, è fatto obbligo di conoscere la legge morale che da Dio discende e al cui rispetto è, almeno in parte, le-gata la possibilità di una salvezza eterna. Non così in India, dove l’in-duismo, la religione più largamente praticata, accanto all’islamismo, al cristianesimo, al buddismo e ad altre minori, ci riporta ad un politeismo cosmogonico di derivazione natura-listica e pagana. Tutto deve essere adorato, esiste un Dio per ogni cosa, ogni momento ed occupazione della giornata è degno di essere sottolinea-to attraverso la preghiera ed il rito. La mia sensazione è che la ridondan-za indiana -gli Indiani sono una po-polazione brulicante, dove il singolo si perde in una folla indistinta, in un territorio vastissimo, in atteggiamen-ti vistosamente formali- abbia avuto bisogno di una sua adeguata rappre-sentazione, di una pletora di miti ed interpretazioni, capaci di rendere conto dell’infinito gioco di scompo-sizione e ricomposizione del reale. L’India pullula di templi: di grandi e piccole dimensioni, lungo le strade, all’interno dei palazzi e delle singole abitazioni -dove, solitamente, non sono più vasti di un nostro caminet-to- affinché, due volte al giorno, come prescritto, si possa svolgere la pooja(preghiera): all’alba, per invo-care la protezione del Dio, al tramon-to, in ringraziamento per la giornata al suo termine (in fondo, quello che i Cristiani fanno col mattutino e i ve-spri). La prescrizione prevede che ci si lavi prima della cerimonia (come non riandare alle abluzioni di rito musulmano o al battesimo cristiano, dove la purificazione assume valore sacramentale ed iniziatico!) e che ci si veli il capo in segno di rispetto (quello che facevano le nostre don-

Reportage dall’India - II parte

di Augusta Ramaccioni, con la collaborazione di Anna Gambini

nere che, nella Grecia odierna, la classicità ci si debba mostrare imme-diatamente nella sue linee essenziali, o che, passeggiando per le vie di Roma, le vestigia della città ci possa-no restituire, tutta intera, la grandez-za dell’impero. Semplificando al massimo grado: un mio compagno di scuola indiano mi ha candidamente confessato la sua radicata convinzio-ne che gli Italiani guidino, perlopiù, Ferrari, visto che tali fuoriserie ven-gono prodotte nel nostro Paese! L’oriente è, per antonomasia, miste-rioso, inaccessibile: favoloso pae-saggio folcloristico ed oleografico. La globalizzazione -computer, tele-fonini, fogge moderne- ha omologa-to, solo in apparenza, gli usi e i co-stumi di una popolazione che resta multiforme e diversificata. Il concet-to di spiritualità evoca, nel mondo occidentale, l’idea di una concezione religiosa dell’esistenza, dal nascere al morire ed oltre. L’ortodossia cri-stiana riconosce nell’unico Dio il

ne, fino pochi decenni fa, entrando in una chiesa); nel caso la preghiera ab-bia luogo in un tempio pubblico, è necessario togliersi le scarpe (usanza rispettata anche dai musulmani); l’accesso al tempio è interdetto alle donne mestruate, considerate impure -come nel Vecchio Testamento, tanto che tale ancestrale repulsione è so-pravvissuta a lungo anche nella so-cietà occidentale più moderna, in particolare nelle campagne, dove il sangue riconduceva ad una naturali-tà cruenta e dolorosa. La preghiera, per lo più guidata dagli anziani, come da noi maggiormente legati al rispet-to della tradizione e del precetto, suggerisce, ad un osservatore estra-neo al rito, un senso di superstizione così prepotente da assumere una connotazione innegabilmente idola-tra: il divino si configura come inelu-dibile necessità e, come tale, va pla-cato nella sua potenza incline alla vendetta. La preghiera necessita di un corredo (come la celebrazione eu-caristica, del resto): un piatto di allu-minio in cui porre riso, polvere rossa ed un frutto (legato alla preferenza del Dio), dolcetti a forma rotondeg-giante -dolcetti di cui Ganesh, il dio dalla testa di elefante è particolar-mente ghiotto-, candele, petali di ga-rofano e, infine, un campanellino. La preghiera viene celebrata recitando alcuni mantra (litanie), mentre col piatto vengono eseguiti movimenti circolari, da sinistra verso destra, usando, esclusivamente, la mano de-stra, visto che la sinistra, impiegata

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per compiere riti igienici, è, per que-sto motivo, considerata impura. Alla fine della preghiera, il frutto offerto viene condiviso da tutti i membri della casa, compresi i servi (viene preso anch’esso con la mano destra e non può, per alcun motivo,essere ri-fiutato), in una sorta di comunione, di sacrificio non cruento. Nelle gran-di città, dove i ritmi di vita stanno diventando frenetici, non tutti recita-no la preghiera due volte al giorno. Tale processo di secolarizzazione non sembra, tuttavia, anticipare un’ inevitabile deriva atea -in particolare i giovani, impegnati nel lavoro e nel-lo studio (lo fanno anche per loro gli anziani, vestali del culto, mediatori: del resto, anche la nostra religione ammette la preghiera di intercessio-ne). Il rito non riguarda soltanto fe-stività e ricorrenze sacre, numerosis-sime in questo Paese, anche se spesso il loro intimo significato sembra sfuggire ai più; del resto molti cri-stiani, anche praticanti, ignorano il senso più profondo della liturgia o dei sacramenti. Rientrano in questa ‘liturgia’ non solo matrimoni, nascite e funerali (ancora una volta, l’esi-stenza è racchiusa all’interno di una circolarità a cui nulla sfugge), ma qualsiasi avvenimento che rappre-senti una qualche novità, fosse anche l’acquisto di una macchina o un semplice trasloco (anche noi benedi-ciamo case ed animali, a sottolinea-re, non tanto l’intrinseca divinità del tutto, quanto l’interessamento amo-revole dell’unico Dio alle vicende umane nel loro complesso). Il dio più popolare è, appunto, il dio ele-fante, animale potente, docile, servi-zievole ed intelligente. Il numero degli dei è pressoché infinito, a ricor-darci come il molteplice sia illusorio, travestimento incessante ed inesauri-bile della più dolorosa brama, quella che ci fa desiderare di esistere e di chiamare altri esseri all’esistenza, velo di Maya –apparenza- steso a di-fesa della metafisica unicità dell’es-sere. Da qui deriva, forse, la difficol-tà degli Indiani rispetto ad una comunicazione diretta, qualsiasi sia l’ oggetto, la situazione o la persona interessata: tutto deve essere soltanto

accennato, nel rispetto della profon-dità più insondabile dell’essere. Il mondo animale, contrariamente a quanto valga per Cristianesimo, an-tropocentrico quanto teocentrico, deve la sua sacralità alla sua impos-sibilità di desiderare, almeno nei ter-mini in cui il desiderio si configura come motore dell’azione umana e causa della sua fallibilità. Per questo motivo la vacca è adorata in tutta l’India, grande madre che niente nega di sé (latte, carne, pelle), smem-brata come Cristo sacrificale e com-pletamente appagata del suo amore donativo. Il subcontinente è di solito tollerante nei confronti di ogni reli-gione, purché questa non si arroghi il possesso esclusivo della verità. La sera di Natale, per esempio, ho se-guito la messa in una chiesa cristia-

na gremita da ottocento persone: al suo interno, la costruzione assomi-gliava a qualsiasi altra comunissima chiesa, particolarmente pacchiana, forse, coi suoi simboli cristiani (un altare, un crocifisso e un tabernaco-lo, accanto ai quali mi è parso di scorgere qualche amuleto ed effigie della tradizione indù ); al suo ester-no, essa era addobbata come un ca-sinò di Las Vegas, ed è là, sul sagra-to, che sette preti (non saprei dire se il loro numero facesse, volutamente, riferimento alla simbologia della Bibbia, in cui il sette sta per l’infini-to) hanno concelebrato, metà in hin-di, metà in inglese, con sottofondo di chitarre rock e cani che scorrazza-vano indisturbati in prossimità del-

l’altare. Alla fine della cerimonia, è arrivato un babbo natale a distribui-re dolci e a ballare con i preti. Data la particolare circostanza, non ho potuto appurare se, nonostante l’abolizione legale delle caste, resi-sta, all’interno delle chiese cristiane, la suddivisione netta tra vari reparti, destinati, appunto a caste diverse, desiderose di non mescolarsi, nono-stante la loro conversione ad una re-ligione che, per prima, ha stabilito la pari dignità di tutti gli uomini di fronte all’unico Dio. Nate per distin-guere gli Ariani, vittoriosi, e per questo motivo puri, rispetto agli aborigeni sconfitti, e per questo mo-tivo impuri, col tempo, le caste si sono configurate come le nostre cor-porazioni di arti e mestieri; corpora-zioni tese a preservare incontamina-

ta l’ampia varietà di razze e di specializzazioni interposte tra i due poli, quello dei bramini e quello de-gli intoccabili: ogni casta aveva un suo ambito di appartenenza, all’in-terno del quale, ognuno poteva dedi-carsi ad una sola occupazione, il che riduceva compiti e salari, dando co-munque a tutti, anche ai più miseri, la possibilità di un pur minimo ruolo sociale. La famiglia presso cui vivo dispone di un cuoco, una cameriera,un autista e una serva -scusate,si dice così,anche se questo ripugna alla mia sensibilità- addetta unicamente al la-vaggio dei piatti: una sorta di elemo-sina camuffata, affinché tutti abbia-no, in un Paese sovraffollato, qualcosa di cui vivere.

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dal nostro inviato

Nel pomeriggio di venerdì 18 Feb-braio, nella Sala degli Specchi del Cir-colo degli Illuminati di Città di Castello a Palazzo Bufalini si è tenuto il conve-gno “Federalismo fiscale: opportunità e rischi”, organizzato dal Liceo Clas-sico “Plinio il Giovane” nell’ambito delle celebrazioni per il 150° Anniver-sario dell’Unità d’Italia. Il convegno si è aperto con i ringraziamenti della preside Maria Rosella Mercati e i saluti dell’Assessore al Bilancio, Domenico Duranti, che ha concluso con un que-sito radicale: “Se il Federalismo partirà nel 2014, nel frattempo, chi pagherà il peso della crisi?”

Il primo relatore è stato il prof. Ve-nanzio Nocchi, che ha tracciato un pro-filo storico-teorico del federalismo in Italia, a partire dalla radice etimologica del foedus, del patto che nasce tra stati precedentemente autonomi che deci-dono di costruire un nuovo ordinamen-to istituzionale, devolvendo molti dei propri poteri a un governo centrale. Il Federalismo come possibilità mancata, dall’Unificazione alla Costituzione del 1948, è stato illustrato con riferimen-ti a Cattaneo, Jacini, e ai netti giudizi epistolarmente espressi contro la cen-tralizzazione piemontesizzante niente-meno che da un Giuseppe Garibaldi.

Ha poi preso la parola il dottor Tommaso Consigli, commercialista e autore di un saggio sul federalismo fiscale di prossima pubblicazione, che ha fornito un’analisi tecnica della leg-ge-delega 42/2009 e dei recenti decreti attuativi e, quindi, di tutta una serie di meccanismi di cui si sentirà sempre più parlare già nell’immediato futuro: costi e fabbisogni standard; uniformità della contabilità; certificazione dei bilanci; fallimento politico; rimozione di diri-genti e governatori; imposte di scopo, fino ai progetti di un Codice delle Au-tonomie e di un Ministro delle Regioni eletto direttamente da queste.

Federalismo fiscale: opportunità e rischi

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Appunti di viaggioAlcune considerazioni sulla nostra esperienza di neoiscritti al Liceo Plinio

“VAI AL CLASSICO…!?” Quante volte ci hanno ripetuto questa frase, con un’aria scioccata e disdegno-sa? Ma come mai l’abbiamo scelto? La classica risposta è: non mi piace la matematica, oppure mi ci manda-no i miei. L’idea che ha sempre dato questa scuola è quella di un istituto per menti colte, per un’èlite. Inco-minciando questo percorso abbiamo avuto conferma che è una scuola im-pegnativa.. e siamo solo all’inizio! Un nuovo mondo per noi “quartini”! Nuove materie, manifestazioni, as-semblee nelle quali possiamo espri-merci e condividere i nostri pareri: NON SIAMO PIU’ I RAGAZZINI

DELLE MEDIE! Qua alle superiori si respira un’aria differente, con per-sone più grandi, con interessi vari e nettamente più mature ed essendo, gli alunni, in numero maggiore, abbiamo la possibilità di un ampio confronto, che contribuisce a una crescita e una maturazione personale. E seppur alle prese con proff severi, perdendo varie diottrie per colpa del Rocci, confon-dendoci tra i vari “ablativi” di latino, siamo convinti che la nostra scelta sia stata la migliore, perché questa scuola può offrirci il massimo, perché le ore di studio non saranno sprecate: la no-stra è l’unica scuola in grado di fornir-ci una cultura ampia e non specifica.

di Martina Bani, Elettra Sideri, Alessandro Tosti

A seguire, il prof. Gian-franco Cavazzoni, Ordinario di Economia Aziendale della Facoltà di Economia del-l’Università degli Studi di Perugia, ha inserito il tema del federalismo fiscale in un’analisi di economia monetaria e fiscale, che ha messo in rilievo come politiche di intervento di tipo keyne-siano incontrino oggi l’ostacolo dei deficit di bilancio e debbano tener con-to della speculazione. Punto centrale dell’intervento è stata, però, la precisa stratificazione in ordine di importan-za dei significati del federalismo, che quindi andrebbe correttamente impo-stato come, innanzi tutto, sociale/ci-vile, quindi istituzionale e, da ultimo, fiscale. Il prof. Cavazzoni ha, infine, sotto il profilo tecnico, sottolineato con forza l’esigenza di una omogeneizza-zione dei sistemi contabili dei vari enti pubblici, nonché il ruolo della scienza economica nella formazione e nell’in-dirizzo degli operatori e dei dirigenti.

L’ultimo intervento, quello del prof. Tommaso Sediari, Ordinario di Economia Europea nella Facoltà di Economia dell’Università di Pe-rugia, ha ripercorso le tappe fonda-mentali del processo di formazione dell’Unione Europea, dall’ormai lon-tana Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio fino alla unificazione monetaria, della quale ha messo in evidenza i benefici.

Il dibattito che è seguito, in cui sono intervenuti anche l’Assessore Duranti e il Consigliere Regionale della Lega Nord Gianluca Cirignoni, ha messo in luce la necessità di un approfondimento del tema con la col-laborazione di enti territoriali, univer-sità e scuole, inserendolo nel contesto generale del problema della fiscalità italiana.

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Etica e WikiLeaks (*)

La finalità di questo breve scritto vuole essere quella di delineare e cen-trare l’essenza dell’etica. Abbiamo deciso di parlare di un fatto di stretta attualità e ampliarlo con cenni storici e documenti.

Il sito internet WikiLeaks (dall’in-glese “leak”, “perdita”, “fuga” [di no-tizie]) ha reso pubblica la mancanza di un’etica comune e indispensabile, che regoli i rapporti tra i vari stati. Si tratta di un sito la cui finalità è quella di diffondere documenti segreti, prin-cipalmente di carattere governativo ed economico, ottenuti da fonti anonime, e di garantire limpidezza nei rapporti internazionali. Il sito è curato da gior-nalisti, attivisti, dissidenti governativi, scienziati di ogni parte del mondo. Come loro stessi lo definiscono, si tratta di un sito “che porta alla luce i comportamenti non etici di governi e aziende”.

La presentazione ufficiale su inter-net è la seguente: “WikiLeaks is a non-profit media organization dedicated to bringing important news and informa-tion to the public. We provide an inno-vative, secure and anonymous way for independent sources around the world to leak information to our journalists. We publish material of ethical, politi-cal and historical significance while keeping the identity of our sources anonymous, thus providing a univer-sal way for the revealing of suppressed and censored injustices”. Per il 2011 il sito ha annunciato un attacco al siste-ma bancario internazionale.

Se si considera che i bilanci di certe imprese multinazionali superano per dimensione quelli di alcuni paesi in via di sviluppo e se si considera poi la dimensione globalizzata dell’econo-mia, diventa obbligatorio concludere che l’esigenza etica può diventare un

fattore destabilizzante oppure un ele-mento chiarificatore e un correttivo, visto che già si parla di cyber-sceriffi, cyber-guerra, pirati etici, info-guerra …etc. Nonostante il prefisso, il proget-to non è un wiki e non ha alcun legame con Wikimedia, l’organizzazione sen-za fini di lucro che possiede i server di Wikipedia. Il fondatore del sito è l’au-straliano Julian Paul Assange, nato il 3 luglio 19�1.

Intorno alla fine degli anni Ottanta, Assange aderisce al movimento “In-ternational Subversives”, un gruppo di hacker informatici all’interno del qua-le Julian prende il nickname di “Men-dax” (sotto l’ispirazione di una frase di Orazio (Odi, III, XI, 34-35): “… periurum fuit in parentem/ splendide mendax …” (… contro il padre sper-giuro fu nobilmente menzognera …). Orazio si riferisce con “nobilmente menzognera” all’unica delle Danaidi che non uccise il proprio sposo e anzi lo fece fuggire.

In questo periodo si discute molto su di lui, ci si chiede se sia un “pira-ta etico” o semplicemente un “crimi-nale”. Dalla folla, e specialmente dai fan, è considerato un paladino della verità, un liberatore di notizie tenute da troppo tempo sotto silenzio. I critici non la pensano così, aprendo un vero e proprio dibattito mondiale sulla sua “avidità di pubblicità”, che lo avrebbe spinto a diffondere dati anche a scapito di molte vite.

Non avendo censurato i nomi con-tenuti in molti file riservati e segreti, ha suscitato numerose polemiche e dissensi, attirandosi l’inimicizia degli stati e, in particolare, degli Usa.

Ulteriori polemiche sono sorte sui fondi pressoché “segreti” con cui As-sange e i suoi 840 collaboratori man-dano avanti il sito internet: chiuso per

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mancanza di denaro a dicembre è stato poi riaperto in pochissimo tempo. In base alle dichiarazioni del fondatore, questi “fondi oscuri” sono in realtà delle donazioni effettuate dai suoi nu-merosi sostenitori e non un riciclo di denaro sporco come i suoi avversari sostengono. Perciò anche in un’or-ganizzazione che si prefigge di scon-figgere la segretezza nel campo della politica, dell’economia, della diplo-mazia, sembra esserci un qualcosa di segreto.

Julian Assange dichiara testualmen-te nell’intervista rilasciata a Forbes l’11 novembre: “Non sono uno anti-sistema. Sino a quando i mercati sono consapevoli, allora io sono un liber-tario. Ma ho abbastanza conoscenza della politica e della storia per sapere che il libero mercato rischia di finire in una situazione di monopolio se non si lavora per mantenerlo libero. Wiki-leaks è nato con lo scopo di rendere il capitalismo più libero ed etico.”

Wikileaks pone, dunque, un pro-blema etico e morale alle fondamenta stesse della democrazia.

Gli Stati possono mentire, formu-lare in segreto, all’interno delle stanze del potere, giudizi estremamente ne-gativi su uomini e situazioni, e in base a questi impostare la propria politica, estera ed economica, ma i loro cittadi-ni devono rimanerne all’oscuro.

Per estensione, allora, come devono comportarsi gli imprenditori nella ge-stione delle loro imprese, sia a livello nazionale che a livello internazionale?

Se WikiLeaks fosse distrutto, ver-rebbe elevato a principio il fatto che lo Stato possa mentire ai suoi stessi citta-dini o la grande impresa ai consuma-tori e perfino ai suoi stessi clienti, e si potrebbe quindi invocare una “ragion

di Alessandro Quaranta, Michele Bravi, Marta Ceccarelli

(*)Testo della relazione presentata l’11 dicembre 2010 nella sala Consiliare del Comune di Città di Castello nell’ambito del progetto Etica e Im-presa: Giovani, Istituzioni ed Imprenditori a confronto, organizzato dalla Scuola di Etica ed Economia di Assisi.Mentre Julian Assange (fondatore del sito WikiLeaks) si trova attualmente nel carcere di Wandsworth a Londra, è interessante riprendere la notizia riportata dal suo sito riguardante la catastrofe del Giappone. Il fatto è stato riferito dal quotidiano britannico Daily Telegraphe: l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) aveva avvertito il governo di Tokyo, già due anni fa, che le sue centrali nucleari più vecchie, come Fukuhi-ma, non sarebbero state in grado di reggere un terremoto su vasta scala. (Da Il Sole 24 Ore di Venerdì 18 Marzo 2011).

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1. Un robot non può recar danno a un essere umano, né permettere che, a causa della propria negligenza, un essere umano patisca danno.2. Un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani, a meno che contrastino con la Prima Legge.3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questo non contrasti con la Prima o la Seconda Legge. Queste sono le famose Tre Leggi della Robotica, citate in ogni opera, cinematografica o letteraria, che riguarda i robot o gli androidi. Proprio in quest’opera, scritta tra il 1940 e il 1950, queste Leggi vengono esposte, calate nella vita quotidiana di una umanità che ormai convive con i robot e la tecnologia. Storie, piccoli racconti di vita quotidiana, che cercano di mostrare e di dimostrare il rapporto tra l’uomo e le macchine e anche le contraddizioni di questi cervelli positronici, così sofisticati. I personaggi principali, che vengono riproposti in più racconti sono tre: la robopsicologa Susan Calvin, che sembra avere più affinità con i robot che con gli esseri umani, e i due collaudatori sul campo di nuovi prototipi, Gregory Powell e Mike Donovan, non sempre fortunati e non sempre amanti dei nuovi modelli, i quali creeran-no loro sempre grandi problemi. Il libro è piacevole, una lettura non impegnativa che diverte

io, robotdi Asimov IsaacCasa editrice: MondadoriAnno di pubblicazione: 2003N. pagine: 291Prezzo di copertina: € 9,50

La Bacheca del Lettore a cura di Roveno Valorosi

e affascina ed è anche spunto di riflessioni, soprattutto se ci si sofferma a pensare che il libro è stato scritto quasi settanta anni fa. Tascabile e poco voluminoso, è piacevole anche nell’ “aspetto”, senza presentarsi come un assurdo “mattone” fantascien-tifico privo di gusto e di innovazione. Il prezzo è ridotto visto che è un best-seller da tantissimo tempo (ormai potrebbero addirittura regalarlo!), pertanto sarebbe un ottimo acquisto, un tocco di classe nella vostra libreria, nella quale dovete sicura-mente lasciargli un posto di massimo rispetto vicino ai grandi della letteratura. E, se proprio non vi piace l’idea di leggerlo, almeno guardatevi il film liberamente ispirato con Will Smith, che nulla ha a che vedere con l’opera, ma almeno è divertente!

d’impresa” che andrebbe ad aggiun-gersi alla ragion di Stato di cui si parla già da qualche secolo.

Per la Ragion di Stato, la soprav-vivenza e la sicurezza dalla nazione impongono il segreto su atti e fatti, la cui conoscenza potrebbe minacciarle. Il segreto di stato può così rivelarsi un’arma a doppio taglio: da una parte, garantisce la sicurezza nazionale, ma dall’altra può coprire interessi illeciti pubblici e addirittura privati.

Rispetto agli sviluppi di questa vicenda siamo un po’ tutti degli spet-tatori, però noi vorremmo cercare di comprendere meglio la situazione che si va delineando ricorrendo anche a dei precedenti di carattere storico.

Il fatto che WikiLeaks abbia reso pubblici centinaia di migliaia di docu-menti diplomatici riservati non va con-siderato un evento unico nella storia.

Qualche settimana fa un servizio su “La �” e ieri una risposta di Ser-gio Romano ad una questione posta da un lettore sul Corriere della Sera hanno richiamato come precedente di WikiLeaks il 191�, con la decisione di Lenin e Trotsky di render pubblici i trattati segreti che avevano portato alla Prima Guerra Mondiale. Vennero rive-

lati anche i finanziamenti alla stampa francese per presentare la situazio-ne economica della Russia zarista in modo così positivo da invogliare i ri-sparmiatori francesi a comprare le car-telle del debito pubblico russo. Sergio Romano, poi, mette in evidenza come, però, accordi segreti ci furono tra la stessa Russia sovietica e la Germa-nia nel 1922, in margine al trattato di Rapallo. Si può anche ricordare che la fase politica in cui ebbe fine il regime comunista in Russia venne denomina-ta, all’interno e all’esterno della Rus-sia stessa, con la parola di “Glasnot” che significa “trasparenza”.

Una via di ricerca che vorremmo percorrere potrebbe portare ad un pre-cedente teorico ancora più remoto.

Niccolò Machiavelli, nella sua ope-ra principale, Il Principe, un trattato di dottrina politica scritto nel 1513, so-stiene come il Principe, e quindi il buon statista, debba possedere la capacità di essere “simulatore e gran dissimulato-re”, tenendo un comportamento fred-do, razionale, e quando la situazione lo imponesse, anche spietato e cinico.

Questo problema del rapporto tra etica e segretezza nella politica degli stati può trovare un’altra possibilità di

indagine e forse chiarimento nell’in-terpretazione “obliqua” di Machiavel-li, nella quale rientrano anche Rous-seau e il Foscolo, che ebbe origine da Alberico Gentili, giurista del 500’ nato a San Ginesio, nelle Marche, che stu-diò anche all’Università di Perugia ma che operò per la maggior parte della sua vita in Inghilterra. Secondo questa interpretazione, citata nel nostro libro di testo di italiano (G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccari, La letteratura, vol.2 “L’Umanesimo, il Rinascimento e l’età della Controriforma”; ed. Para-via, Torino, 2006, pag. 461) i politici sanno benissimo che la politica richie-de violenza, astuzia, frode e, quindi, segretezza, per cui l’insegnamento del “Principe” non sarebbe rivolto ad essi, ma ai popoli, cioè ai sottoposti e alle vittime.

Come “pirata etico”, quindi, Assan-ge sembrerebbe poter contare su pre-cedenti storici e filosofici importanti e, in definitiva, nessuna etica in cam-po politico statale ed internazionale, economico e finanziario, sembrerebbe possibile senza una pubblicità ed una trasparenza quali condizioni indispen-sabili per una reale conoscenza e un consapevole controllo. (*)

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Qualche considerazione semiseria sulle considerazioni semiserie del prof. Venturini sulla questione delle gite scolastiche di terza liceo

di Francesca Marinelli

Leggendo l’articolo “Qualche con-siderazione…” del prof. Venturini riguardante il viaggio d’istruzione di terza liceo (ebbene sì, ritengo più che giusto definirlo tale) sullo scorso numero di Plinews (n.4 Novembre 2010), ho voluto, da brava “verginella offesa”, fare anche io le mie consi-derazioni semiserie sull’argomento. Lungi da me dare il via ad una ten-zone medievale con il prof. (non ne sarei certamente in grado), ho ritenuto però doveroso difendere gli studenti dalla così squallida immagine che si evince dal suddetto articolo, nono-stante la vena ironica con la quale è stato scritto sia evidente (e a dir poco magistrale). Una riga dopo l’altra, in-fatti, ci si delinea la triste storia di un docente che, con romantico titanismo, combatte solo contro il decadimento intellettuale della scuola, di cui le gite rappresenterebbero una forte compo-nente. Causa ne sarebbero la stessa classe docente, popolata da individui buonisti e pigri, e, ovviamente, gli studenti, una masnada di decerebrati disposti a spendere centinaia di euro (che, per inciso, non per tutti sono “poche lire”: non è propriamente vero che chiunque, gita a parte, ha occasione di viaggiare in ogni dove) esclusivamente per fare vasche nelle più famose piazze europee o per quat-tro salti in discoteca, e che, per di più, sono convinti che il “Barri Gotic” sia un rave di ispirazione dark e “Gaudì” una casa di moda molto fashion.

Facile imputare tutte (o quasi) le colpe del deterioramento culturale ai “giovani”, entità astratta composta da individui governati da istinti edonisti, moderni e convintissimi seguaci del-la filosofia di Epicuro. La crisi eco-nomica, i conflitti mondiali, il buco dell’ozono, sono temi che interessano SOPRATTUTTO noi, la generazione, cioè, che si è ritrovata questi enormi problemi sulle spalle (e a crearli e poi aggiungerli al nostro carico ci hanno ben pensato gli stessi che ora ci accu-sano di non fare abbastanza – l’ana-

grafe è, in questo caso, dalla nostra parte). Perciò l’interesse per i viaggi d’istruzione, genuino e naturale, non è giustamente interpretabile, nemme-no in modo “semiserio” (aggettivo che, se si volesse fare, come si dice, “l’avvocato del diavolo”, sembre-rebbe messo lì come inoppugnabile scudo dietro il quale scagliare beffar-damente le proprie formidabili frec-ciatine) come prioritario, nelle nostre giovani menti, rispetto a tutti gli altri argomenti di ben più alta rilevanza; sarebbe ugualmente ingiusto imputa-re la stessa colpa a quegli insegnanti che non possono sacrificare nemme-no dieci minuti delle loro ore mensili nelle classi all’approfondimento e alla discussione di queste importanti tematiche, con le scadenze program-matiche che incalzano.

Si punta il dito contro il fatto che in gita gli studenti possano dilettarsi in qualsiasi modo che non consista in visite a luoghi di cultura, allora come mai le puntatine a pub e locali sono permesse quando non caldamente ap-provate dai docenti? Sono davvero complici di un così efferato crimine contro la moralità e l’istruzione? Evi-dentemente ci si rende conto, stereoti-pi sulla movida a parte, che veramente le capitali europee hanno qualcosa di valido da apportare alla nostra cultu-ra, che non ne esiste una tale da offrire approfondimenti consistenti per i pro-grammi di tutte le materie e che, in-fine, un po’ di sano divertimento non intacca certo la nostra scientia. D’al-tronde non tutti hanno la forza morale e spirituale per affrontare la scelta di una vita ascetica… Ecco un’altra de-bolezza tipica dei giovani. In più, un conto è fare considerazioni ironiche - ma non troppo – e distribuire demo-craticamente le colpe di un presunto decadimento intellettuale e culturale dovuto (anche) ai viaggi d’istruzione, un altro fornire proposte utili e in-novative per cambiare l’attuale stato delle cose, se ce n’è un’effettiva ne-cessità.

La gita scolastica, quindi, spe-cialmente quella di terza liceo, è sì importante per gli studenti, ma non vitale (tant’è che, per quanto riguarda quest’anno in particolare, comprendo benissimo le ragioni di chi si nega come accompagnatore per il viaggio d’istruzione, nonostante sia anche il mio turno di partire per la famigera-ta “gita di fine corso”, come giustis-sima è anche la considerazione che non debbano essere sempre gli stessi docenti a fare da accompagnatori) e, inoltre, non è solamente apprezzata per i suoi risvolti ludici. Per essere corretta ed evitare inutili ipocrisie, devo dire che veramente, per alcuni, il tutto si riduce ad una mera ricerca “della movida notturna della metro-poli prescelta”, come affermato dal professor Venturini. Di certo, però, questa non può essere una motivazio-ne condivisa da tutti: come per qual-siasi altro argomento, generalizzare è sbagliato e dannoso. C’è ANCHE, sì, la componente “divertimento”, come pure quella umana, che è perlomeno arido definire “scempiaggine pseu-dopedagogica”. Eppure anche il prof. deve essere stato giovane: ce l’im-maginiamo, teneramente, prendere lo zaino sulle spalle e seguire di malavo-glia i depravati compagni dell’ultimo anno di superiori, che lo strapperanno ai tanto agognati musei per trascinarlo in notti di follie all’insegna della tra-sgressione…

Concludo dicendomi fiduciosa che non tutti i docenti sottoscriverebbero l’articolo di cui si è parlato, in quanto gli insegnamenti e gli obiettivi che la scuola si propone, dei quali essi per primi sono convinti perseguitori, sono ben lontani dal creare orde di superfi-ciali discotecomani.

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Pellegrini: “Osservate qui quanto Beatrice sia sadica: fa dire a Dan-te come la pensa, poi si fa una grassa risata e gli confuta la tesi in modo inoppugnabile”.

Nestri: “Se alle bidelle chiedi di tenere qualcosa, loro fanno “Ah, io..” ed alzano le mani. Seguono la filosofia dell’ahismo!”.

Polidori, mentre sta traducendo un testo: “Non accordiamoci con que-ste cose che ci perplessono…”.

Massi ad uno studente a cui si in-travedono le caviglie: “E da quan-do si viene a scuola nudi?”.

Pruscini: “On this evening you’re going out with your boyfriend. To-night you’re going out with your second boyfriend…that’s funny!”.

Corinne (I C): “Italo Calvino scrisse non solo ‘Il Visconte di-mezzato’, ma anche il ‘Barbone rampante’ ”.

In classe si guarda il film Troy ed Achille (Brad Pitt) sta per es-sere ucciso. Polidori: “Certo che amazzare un uomo così è proprio un peccato!”.

Nestri: “Nel mondo di Freud po-tremmo facilmente sentire una frase del tipo: vieni qui, perverso polimorfo, vieni dal babbo!”.

Roscini: “Se continuate così fare-te uscire il mio lato oscuro!”Studente: “Prof, che lato?”Roscini: “…il mio lato B!”.

Pellegrini: “In questi versi, Bea-trice interroga Dante… e lui si giustifica o no?”.

Roscini: “A Geografia mi man-cherebbe la Carletti, ma era ai colloqui…”Carletti (I C): “Non importa, vengo”.Francesca (I C): “Prof, non do-vrebbe interrogare per rispetto di chi è venuto!”.

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Odi et amoConsiderazioni da maturanda

di Francesca Marinelli

Odio e amo. Forse ti chiedi come io faccia.Non so, ma sento che ciò accade, e mi tormento.Catullo

Or che sono arrivata a scorgere il traguardoe il libro mi tormenta maligno e un po’ beffardo,inerme osservo l’animo dividersi equamentetra la nostalgia del passato e gli stenti del presente.Quando fanciulla varcai la porta timida e insicurad’un tratto mi trovai per una selva oscura…Gli anni son corsi veloci sulle sudate carteove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior partee mentre rimembro questi anni di tormentoil cor ondeggia pavido tra ragione e sentimento.Dir non saprei perché, tant’è che non m’accorgoche m’assale di Stoccolma lo terribil morbo.Dei banchi e della gente che ivi mi tennero prigioniera,impedendomi il diletto, a volte anche di sera,già mi sovviene tuttaviaun’inspiegabile nostalgia.Di voti e di pagelle è poca l’importanza,poiché di ben altro è fatta la sostanza:Del diman non v’è certezza, ma la base è sicura,qui ho imparato amor per la Cultura.Il futuro è un’incognita, il lavoro è un’utopiama dell’Odissea saprò cantare sarchiando per la via.Di una cosa non v’è dubbio nell’incerto mio destino:se scriver dovrò “disoccupata”, potrò scriverlo in latino.