Pignataro-Violenta

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Pignataro violenta sul lettino del dott. Freud di Franco Simeone ® www.comunedipignataro editore Marzo 2009 via Gramsci, Pignataro Maggiore (CE)

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Pignataro violenta sul lettino del dott. Freud di Franco Simeone ® www.comunedipignataro editore Marzo 2009 via Gramsci, Pignataro Maggiore (CE) Pietro Ricciardi

Transcript of Pignataro-Violenta

Pignataro violenta sul lettino del dott. Freud

di Franco Simeone ® www.comunedipignataro editore Marzo 2009

via Gramsci, Pignataro Maggiore (CE)

taro violenta sul lettino del dott. Freud”. È il titolo, sottilmente e volutamente giocato sul filo dell'ironia, di una lettera - pamphlet di Franco Simeone al Sindaco di Pignataro Maggiore, Avvocato Giorgio Magliocca. Nulla, in questa lettera, di “provocatorio” e che miri, a differenza di altre persone, ad innescare sterili polemiche, quanto inutili e dannose. E' un Franco Simeone sempre più “disamorato” della politica, sempre più incline al “samizadat”, sempre più critico e oppositore, in termini di confronto e di dialettica, verso gli uggiuosi percorsi a senso unico della cultura “conformista”, che ha il solo obiettivo di spegnere ogni palpito di persona libera e autonoma, che rivolgendosi al Sindaco e quindi, conseguentemente, a tutti i Consiglieri Comunali e alla “moltitudine sociale” invita ad osservare, riflettere, e a lanciare lo sguardo dell'interrogare - interrogarsi per capire la nostra città, il nostro tempo, per promuovere: “Il bello ha il valore biologico di ciò che utile, benefico, e stimolante di vita”. Pietro Ricciardi

PIGNATARO VIOLENTA SUL LETTINO DEL DOTT. FREUD

Lettera aperta al Sindaco di Pignataro Maggiore, Avv. Giorgio Magliocca

Una città in bianco e nero Ci sono alcune città che sembrano ferme nella contemplazione del loro passato. Come delle persone anziane, queste città sembrano vivere di “memorie storiche”. Forse, per questo sentono i Bronzi di Riace quasi come contemporanei, usciti dopo un tuffo nel mare. Sono città anche piene di persone raffinate, ironiche, brillanti, ma è come se si fossero fermate nel tempo, quasi che non fossero capaci di stare al passo coi tempi. Pignataro Maggiore è una di queste città. È una città disgregata, sgrammatica nel modo stesso di essere, sullo sfondo di un panorama di un consumismo un po’ sfigato e di serie c. Sarà anche per questo che il sogno di Schönberg, che il postino per strada fischiettasse musica dodecafonica si è avverato in modo perverso: il postino c'è, non è nazista, fischietta, solo che la musica è quella delle lupare e dei fucili a pallettoni, delle bombe e degli incendi ... “Città fluida” con il corollario del crollo della comunità, il collasso dell'identità, l'esilio del senso, e la secolarizzazione totale. Vedo menti raffinate scrutare l'orizzonte con gli occhi fissi nella tele - visione. L'orizzonte sarebbe allora la post - modernità, o meglio la “tarda modernità” di Alain Tourain, quella stagione vagamente autunnale, declinante, in cui si avverte la lenta, huizighiana morte di un'epoca, e insieme l'annuncio ineluttabile della nuova era? I giorni non sono più vissuti per sé stessi, non sono più che dei domani. E il popolo non esiste più… il popolo è stato perduto. Giovani che vivacchiano, in qualche modo, sotto i bar senza alternative. Due persone anziane, osservate da una panchina poco distante, restano per oltre un'ora sedute al tavolino di un bar in silenzio, privi di una “prima persona”, incapaci di qualsiasi reale rapporto con la “seconda persona”, uniti solo da una bottiglia di birra vuota, senza nulla da dirsi, impauriti. Non c'è un luogo dove fare musica, teatro, dove impegnarsi e responsabilizzarsi. Il bianco e nero è una politica fatta solo di carriera, di “parentopoli sindacale” e di mercerie clientelari, è una scuola obsoleta, “scarrupata” e senza libertà, è la precarietà infinita di un lavoro sporco, maledetto e subito, è una città senza spazi di libertà, è una città dove la camorra non assolda più i suoi mercenari esclusivamente nelle fasce sociali del bisogno. La “moltitudine sociale” che abita la città e il suo territorio ha bisogno di una religione materiale del senso (eine sinnliche Religion). Ma non è solo la moltitudine sociale ad averne bisogno, ma anche i filosofi. Un monoteismo del cuore e della ragione, un politeismo dell'immaginazione e dell'arte, questo è ciò di cui abbiamo bisogno… Dobbiamo avere una nuova mitologia, ma questa mitologia deve essere al servizio delle idee. Deve essere una mitologia della ragione. Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus Hegel, Hölderlin o Schelling Non ci manca la comunicazione, al contrario, ne abbiamo anche troppa, ci manca la creatività. Ci manca la resistenza al presente.

Per tutto il corso dei tempi, il bello è rimasto la categoria centrale della dimensione estetica. Ma questa idea esprime l'ethos che fornisce il comun denominatore dell'estetica e della politica? In quanto oggetto di desiderio, il bello appartiene al dominio degli istinti primari, Eros e Thanatos. Il mito lega gli opposti: il piacere e l'orrore. La bellezza ha il potere di contrastare l'aggressività: trattiene e immobilizza l'aggressore. La bellissima Medusa pietrifica colui che la guarda. “Poseideone, il dio dai riccioli azzurri, dormì con lei in un soffice prato, su un letto di fiori primaverili”, dice Esiodo nella Teogonia. Perseo la uccide, e dal suo corpo decapitato balza Pegaso, il cavallo alato, simbolo dell'immaginazione poetica. Affinità fra il bello, il divino e il poetico, ma anche fra il bello e la gioia non sublimata. Pertanto, l'estetica classica, mentre insisteva sull'unione armoniosa, nel bello, della sensualità, della fantasia e della ragione, insisteva del pari sul carattere ontologico ed obiettivo del bello, in quanto Forma in cui l'uomo e la natura trovano il loro più pieno appagamento. Immanuel Kant si domandava se non vi sia una segreta connessione tra la Bellezza e la Perfezione (Volkommenheit), e Friedrich Wilhelm Nietzsche scriveva: “Il bello come specchio (Spiegelung) della Logica, e cioè, le leggi della logica sono le leggi del Bello”. Il bello è la padronanza degli opposti senza tensione, in modo che la violenza non è più necessaria… Il bello ha il valore biologico di ciò che utile, benefico, e stimolante di vita. Vogliamo un luogo dove fare cultura, musica, teatro dal basso che sia il punto di partenza del riscatto sociale dei giovani dove possano convivere le varie anime dell'universo giovanile, dove si possa fare solidarietà concreta a chi ne ha bisogno. Oh, ne abbiamo abbastanza di questo abuso che ne hanno fatto della nostra città. Non è affatto triste che essa sia la nostra dimora. Se non fosse che perchè essa ci offre un semplice asilo, vestiti semplici, e in più il giglio e la rosa, la mela e la pera - essa è una dimora adatta a mortali e a immortali.

Violenza e simbolizzazione. I recenti episodi di cronaca sotto gli occhi di tutti, cui è sottesa la gravità e la radicalizzazione sul territorio del fenomeno mafioso - camorristico che attinge le sue leve ormai non più solo nelle fasce sociali del bisogno, conduce a lanciare lo sguardo dell'interrogare - interrogarsi su “Violenza e Simbolizzazione” ponendo a confronto i “saperi”. Un interrogare - interrogarsi però non da scettici, non vano, e includente. Lo sguardo dell'interrogare - interrogarsi lanciato “oltre la soglia” dell'accadimento è uno sguardo differente e diverso che rischiara, illumina, ascolta con gli occhi, origlia con le palpebre. È lo sguardo della pienezza, la questione dello sguardo è la questione della rappresentazione e il suo rapporto col tempo… Per molti versi, l'angelo (l'Angelus Novus di cui parla il “pensatore berlinese” Walter Benjamin), è esageta del tempo: rappresenta una dimensione del tempo, alla quale è ancora concessa una forza… La forza, la stessa produzione di questa forza in senso forte, è ciò che trascina il tempo al di là del tempo, è ciò che può consentire di sfondare il “regime di rappresentazione” in cui viviamo, e di guardare “oltre la linea” della consumazione dell'Idea, e dunque di quel nulla che instancabilmente viene rappresentato. L'approccio interdisciplinare dei saperi è richiesto dalla complessità dell'argomentazione; quello della violenza, che conduce ad interrogarci sul Male, che però è un argomento molto generale. Il profilo dello scandaglio analitico non si colloca sul versante del piano etico, naturalmente, ma si colloca sul versante finora “in conoscibile” in termini di sofferenza psichica e nei suoi rapporti con la simbolizzazione. Si può immaginare che la violenza sia la risultante conseguenza di una ridotta capacità di simbolizzazione e lo sfogo di puri istinti? O, invece, la post - modernità porta con sé una violenza che segue schemi e modelli imposti, come quelli tele - visivi? È vero, si può pensare che l'eccesso di violenza, agita o subita, impedisca l'elaborazione psichica e funzioni come un “anti – pensiero”, ma in realtà le cose sono più complesse. In guerra, per esempio, gli elementi simbolici in senso forte sono presenti, così come negli episodi di scontri negli stadi di calcio. Penso, non a torto, che bisognerebbe ridefinire alcuni concetti proprio perchè, nella post - modernità, le cose si sono complicate. Prendiamo, ora, la “potenza” mafiosa - camorristica. Sembrerebbe una tipologia di violenza che elude il pensiero e si fonda soltanto sull'azione. Essa, invece, ha un notevole livello di simbolizzazione, basti pensare alle procedure di affiliazione, alla terminologia, alle "famiglie", ecc. Fino a che punto si può intervenire in questo settore? E che aiuto può dare una disciplina del sapere come la “psicoanalisi” che lavora sul singolo più che sulla collettività? In realtà, già Freud si è occupato del “Disagio della civiltà” e, dunque, di un ambito sociale e non solo clinico. Mi rendo conto, almeno nel caso della nostra città e del suo territorio, che la psicoanalisi non può offrire gli strumenti adatti ad incidere sulla società. Quello che posso dire è che, secondo me, molti nostri concittadini hanno posto in atto (per dirla con Jaques Lacan) dei “dispositif” di difesa per cui riescono a non percepire l'escaltion della

“potenza” camorristica, il suo cambio di paradigma di potere e quindi, conseguentemente, l'escalation della violenza sottesa a tale fenomenologia del cambio paradigmatico e del suo dispiegamento nell'esercizio del “potere” mafioso - camorristico. Bisognerebbe concentrare penso, forse non a torto, il vomere della ragione sul “corpo”, come luogo eletto dell'esercizio della violenza e, poi, sul processo con cui si produce la disumanizzazione. Cercando di coinvolgere nella risposta il sapere delle altre discipline, perchè questa è la “sfida culturale” da portare alla “potenza” mafiosa - camorristica post - moderna. Cercare, nella risposta fornita dal sapere delle discipline, un elemento di convergenza per decifrare l'enigma dell'autodistruttività che incombe sul singolo e sulla collettività. Quello della violenza è un discorso centrale, ma non deve scadere nei catastrofismi. Ciascuno di noi ha uno sguardo stupito sulla propria epoca, ma alla distanza le cose cambiano. Il “Novecento” è stato un secolo terribile, ma anche in passato si sono registrati momenti di grande violenza. Oggi, il nodo principale è la perdita della simbolizzazione o la sua trasformazione in immagine, così pervasiva, che toglie peso e significato alla realtà. Un esempio è la violenza che, oggi, cerca una forma immediata di rappresentazione. Come nei filmati di maltrattamenti ripresi con il telefonino, che arrivano su You Tube. Ma penso anche a fenomeni come Second Life che si attivano quando la capacità di incontrare l'altro nella vita reale è decaduta totalmente. In altri termini, è il dispositivo dell'immagine che toglie il senso alla realtà. Allora che cosa si può fare? Gli strumenti del sapere psicoanalitico di cui disponiamo sono “perenni”, stabili, legati a mitologie. Vanno, dunque, declinati nei modi della conemporaneità post - moderna e posti a confronto con la realtà che si trasforma. E che travalica i confini del prevedibile, come nei casi efferati di cronaca che sono sotto gli occhi di tutti noi. Si, il “silenzio della violenza” imposto dalla potenza mafiosa - camoristica ad una moltitudine sociale è davvero sconvolgente. Nel caso della camorra sembra che ci sia una modalità di violenza legata alla ricerca di oggetti simbolici, o meglio di una “identità supplementare” che altrimenti non ce la fa a reggere.

Adolescenti alla ricerca della propria identità E' riecheggiata, diversi mesi fa, da più parti dei vari politiciens “caserecci” la definizione (per così dire) di “popolazione incivile” “di città immutabile” per non dir peggio… Questo, in occasione, di episodi di vandalismo verficatisi in città e che hanno visto la distruzione di panchine, giostrine, ecc… Definizioni, quelle, da prendere sul serio? Chi ha bisogno di visioni vada al cinema, chi ha bisogno di certezze vada in chiesa. Preoccupato, per tali episodi? Certo che lo sono. Come si fa a sottovalutare i segnali che giungono da questa tipologia di episodi? Sarebbe un errore grave. Quale che sia la motivazione scatenante la follia che ha condotto a questi episodi queste brutte storie rappresentano un campanello d'allarme. Nei quartieri di una città abbandonata a se stessa, dove si cresce e si vive assorbendo modelli educativi sempre più deboli, per i ragazzi vien meno quel tessuto sociale connettivo di sostegno che, in una “forchetta cronologica” di 20 - 15 anni fa, veniva garantito da una rete composta da scuola, centri sportivi, e parrocchia. Quel modello oggi è morto e sepolto, e con esso è scomparsa ogni politica programmatica in favore dell'adolescenza. È questo, ovviamente, un fenomeno che non riguarda solo Pignataro; ma, anche, tutta la Campania e, più in generale, l'intero Mezzogiorno d'Italia. Bisogna tenersi alla larga dal cercare di individuare una causale specifica in rapporto a quello che accade. A determinare simili risposte possono essere tante cose… Meglio restar fuori dalla strada lastricata delle ipotesi: siamo dinanzi ad un arcipelago molto variegato e vasto, regolato da schemi la cui logica non sempre prevede un rapporto causa - effetto. Penso, per esempio, a quello che accadde nel periodo in cui si lanciavano i sassi dal cavalcavia delle autostrade. Nella nostra città finora, per tutto quel tanto o quel poco che mi è dato conoscere, non si è mai parlato di “Adolescenza alla ricerca di una propria identità”. Certi episodi non succedono perchè si verificano in quella parte della città piuttosto che in un'altra parte. La verità è che oggi i ragazzi seguono una tendenza precisa: si devono sentire protagonisti diretti di qualcosa e, per questo, agiscono spesso in un gruppo capace di dar loro un'identità precisa. Piuttosto ora, a tal punto, rovescerei il discorso… Premesso che certi episodi accadono ormai ovunque e sono dunque “globali”, non mi stupisco del fatto che in città si verifichino in maniera, tutto sommata, molto ridotta. Mi stupisco, invece, che non capiti più spesso, considerato che il tessuto sociale del quale parliamo è composto da tanti ragazzini che restano senza una guida consapevole, in balia di modelli sbagliati, in una città senza speranze. Ragazzini che hanno, peraltro, una certa facilità economica che consente loro di accedere anche alle droghe, a cominciare dalla cocaina. I loro miti di riferimento sono il “guappo” tardo - moderno - quello di Gomorra, tanto per intenderci; - e, la lusinga del guadagno facile. E tutto questo trova terreno fertile in mancanza di reti protettive e di una seria, concreta politica per gli adolescenti.