Pietro Proto La mancata comparizione (incolpevole) del ... · effetti di detta pericolosità....

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Pietro Proto La mancata comparizione (incolpevole) del ricorrente all’udienza nel procedimento cautelare. Conseguenze e rimedi.* SOMMARIO:1.Premessa 1: inquadramento del fenomeno e posizioni della giurisprudenza e della dottrina. 1.2. Premessa 2: cenni sulla natura del procedimento cautelare e suo inquadramento nell’ambito del sistema ordinamentale e in rapporto al giusto processo ex art. 111 Cost. 2. Breve indagine sul significato giuridico del fenomeno (dell’assenza del ricorrente all’udienza cautelare) nell’ambito del sistema normativo. 3. Le ragioni che negano l’applicazione analogica degli artt. 181 e 309 c.p.c. e il valore significativo dell’assenza del ricorrente all’udienza (cautelare) rispetto ai suoi possibili effetti. 4. Le sorti del giudizio cautelare a seguito dell’assenza del ricorrente all’udienza in relazione alla tipologia dei provvedimenti cautelari. 5. Rimedi avverso i provvedimenti di chiusura della fase di prime cure: la rimessione in termini e rapporti con il reclamo e la riproposizione del ricorso. 6. I provvedimenti di chiusura del procedimento diversi dal rigetto. 7. Considerazioni conclusive. Ad impossibilia nemo tenetur A Maria Rosaria Una toga prematuramente venuta a mancare 1. Premessa 1: inquadramento del fenomeno e posizioni della giurisprudenza e della dottrina. L’assenza del ricorrente all’udienza cautelare – attesa la inesistenza di una apposita disciplina nell’ambito del complesso normativo sul procedimento cautelare uniforme di cui all’art. 669bis e ss. c.p.c. – comporta, a seconda delle soluzioni adottate, una serie di implicazioni teoriche e pratiche che meritano alcune riflessioni espresse in queste poche righe 1 . * La presente riflessione è stata ispirata dal fatto accaduto ad un avvocato difensore del ricorrente in un procedimento cautelare che, mentre si recava in tribunale per l’udienza, subiva un incidente mortale e quando il giudice del procedimento ne è venuto a conoscenza lo aveva già chiuso con un non luogo a provvedere. Il fatto della mancata partecipazione all’udienza per causa non imputabile alla parte viene espressamente prevista da A. Proto Pisani nel suo progetto “Per un nuovo codice di procedura civile”, laddove nel Libro I, Capo V, intotolato “Termini e rimessione in termini”, testualmente all’art. 1.114.- “Rimessione in termini. La parte che sia incorsa in una decadenza (…) per mancata

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Pietro Proto

La mancata comparizione (incolpevole) del ricorrente all’udienza nel procedimento cautelare. Conseguenze

e rimedi.*

 

 

SOMMARIO:1.Premessa 1: inquadramento del fenomeno e posizioni della giurisprudenza e della dottrina. 1.2. Premessa 2: cenni sulla natura del procedimento cautelare e suo inquadramento nell’ambito del sistema ordinamentale e in rapporto al giusto processo ex art. 111 Cost.    2. Breve indagine sul significato giuridico del fenomeno (dell’assenza del ricorrente all’udienza cautelare) nell’ambito del sistema normativo. 3. Le ragioni che negano l’applicazione analogica degli artt. 181 e 309 c.p.c. e il valore significativo dell’assenza del ricorrente all’udienza (cautelare) rispetto ai suoi possibili effetti. 4. Le sorti del giudizio cautelare a seguito dell’assenza del ricorrente all’udienza in relazione alla tipologia dei provvedimenti cautelari. 5. Rimedi avverso i provvedimenti di chiusura della fase di prime cure: la rimessione in termini e rapporti con il reclamo e la riproposizione del ricorso. 6. I provvedimenti di chiusura del procedimento diversi dal rigetto. 7. Considerazioni conclusive.    

Ad  impossibilia  nemo  tenetur  

 

A Maria Rosaria Una toga prematuramente venuta a mancare

 

 

1. Premessa  1:  inquadramento  del  fenomeno  e  posizioni  della  giurisprudenza  e  della  dottrina.    

 

L’assenza  del  ricorrente  all’udienza  cautelare  –  attesa  la  inesistenza  di  una  apposita  disciplina  nell’ambito  del  

complesso   normativo   sul   procedimento   cautelare   uniforme   di   cui   all’art.   669-­‐bis   e   ss.   c.p.c.   –   comporta,   a  

seconda  delle  soluzioni  adottate,  una  serie  di  implicazioni  teoriche  e  pratiche  che  meritano  alcune  riflessioni  

espresse  in  queste  poche  righe1.  

                                                                                                               * La presente riflessione è stata ispirata dal fatto accaduto ad un avvocato difensore del ricorrente in un procedimento cautelare che, mentre si recava in tribunale per l’udienza, subiva un incidente mortale e quando il giudice del procedimento ne è venuto a conoscenza lo aveva già chiuso con un non luogo a provvedere. Il fatto della mancata partecipazione all’udienza per causa non imputabile alla parte viene espressamente prevista da A. Proto Pisani nel suo progetto “Per un nuovo codice di procedura civile”, laddove nel Libro I, Capo V, intotolato “Termini e rimessione in termini”, testualmente all’art. 1.114.- “Rimessione in termini. La parte che sia incorsa in una decadenza (…) per mancata

   Resta  escluso  dall’economia  del  presente  lavoro  il  procedimento  sommario  di  cognizione  ex  art.  702-­‐bis  c.p.c,  

mentre   non   mancheranno   cenni   di   riferimento   ai   procedimenti   speciali   e   camerali,   nonché   a   quelli   di  

separazione  e  divorzio  limitatamente  alla  fase  sommaria  camerale  dell’udienza  presidenziale  (artt.  708  c.p.c.)2.  

Il   problema   che   qui   interessa   riguarda   quella   particolare   causa   di   estinzione   per   inattività   delle   parti   c.d.  

semplice   che   si   verifica  a   seguito  della  mancata   comparizione  all’udienza   cautelare  e   che  per   il   processo  di  

cognizione  trova  disciplina  negli  artt.  181  e  309  c.p.c.,  e  per  quello  di  esecuzione  negli  artt.  630  e  631  c.p.c.3.  

Tale  fenomeno  riguarda  le  c.d.  vicende  anomale  del  processo  disciplinate  nel  Capo  VII  del  Libro  II  del  codice  di  

rito  negli  artt.  295  ss.  c.p.c.4  Sono  dette  anomale  perché  farebbero  terminare  il  processo  senza  l’emanazione  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         partecipazione ad un’udienza o per maturare di una preclusione dovuti a una causa ad essa non imputabile è rimessa in termini ove lo richieda (…)”., in Foro it. 2009, parte V, col. 1. 1 Le norme sul processo del lavoro ex artt. 409 ss. c.p.c. non contengono nessun rinvio alla normativa generale sulle vicende anomale del processo, come appunto l’estinzione, né disciplinano autonomamente il fenomeno. In un primo momento la giurisprudenza – ritenuto inapplicabile l’istituto generale disciplinato nel giudizio ordinario – faceva seguire, alla mancata comparizione all’udienza di discussione, la immediata estinzione del giudizio argomentando dal dato testuale dell’art. 420 c.p.c. secondo il quale non sono ammesse udienze di mero rinvio, successivamente si è fatta strada la tesi opposta. Per il primo orientamento: Cass. 21.6.1988, n. 4253; Cass. 12.3.1988, n. 4212; Cass. 8.5.1987, n. 4269. Per il secondo ed attuale orientamento: Cass. Sez. Un. 25.5.1993, n. 5839. In dottrina: G. Monteleone, Diritto Processuale civile, Cedam, Padova, 2012, 777. Il processo societario, invece, prevedeva un’autonoma disciplina di estinzione e di cancellazione della causa dal ruolo. A parte la cancellazione per mutamento del rito ex art. 1, ult. comma, Dlgs 17.1.2003, n. 5, l’art. 8, comma 4, prevedeva l’estinzione immediata nel caso di omessa notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza nei termini stabiliti e l’art. 16, comma 1, prescriveva la cancellazione della causa dal ruolo se nessuno era comparso all’udienza e, infine, in tema di appello l’art. 22, la cui rubrica si intitolava “inattività delle parti” la Corte, se nessuno compariva all’udienza, disponeva la cancellazione della causa dal ruolo. Il processo societario è stato abrogato dall’art. 54 della legge 18.6.2009, n. 69, sicchè ogni riferimento allo stesso è meramente scientifico e comparatistico. 2 Sulla tutela sommaria in generale: A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 c.p.c., in Riv.dir.civ., 1990, 402-403 ss. Nonché mi permetto di rinviare a: P. Proto, La riforma del procedimento possessorio, in Giust. Civ., Milano, Fasc. 3-2007, 84 n. 3, 85 n. 4 e 93 n. 32 e n. 36. In ordine alla fase presidenziale nel giudizio di separazione: P. Proto, Fase presidenziale nel giudizio di separazione giudiziale, in Giur. Merito, Milano, 06/2010, 1542 ss. n. 12 e n. 18. 3  L’estinzione  in  generale  è  un  fenomeno  che  risponde  all’esigenza  fondamentale  di  impedire  il  protrarsi  della  situazione   di   incertezza   per   la   quale   il   processo   era   stato   intentato.   Sull’estinzione   del   processo   v.:   G.  Monteleone,  Diritto  Processuale  civile,  cit.  492  ss;  Luiso,  Diritto  processuale  civile,  II,  Milano,  Giuffrè,  2000,  243  ss.;  A.  Proto  Pisani,  Lezioni  di  diritto  processuale  civile,  Iovene,  Napoli,  1999,  211.  4 Sotto la denominazione di c.d. vicende anomale (del processo) si annoverano gli istituti della sospensione, interruzione ed estinzione del processo disciplinati negli artt. 295 ss. c.p.c. nel Libro II nell’ambito del giudizio a cognizione piena. Di tali istituti deve ritenersi, senza dubbio, applicabile al giudizio cautelare, quello della interruzione perché a tutela della integrità del contraddittorio e della parità delle parti direttamente incidenti sul diritto di difesa. In termini: Trib. Roma, Sezione Specializzata del Tribunale delle Imprese, Terza Sezione Civile, Giudice F.R. Scerrato, Ord. 18-2-2015. Altrettanto non porrebbe problemi l’applicazione della sospensione, limitatamente a quella su istanza di tutte le parti, perché discendente dal principio dispositivo, applicazione – del resto - frequente nella prassi dell’esperienza del processo cautelare utilizzando la formula del rinvio ad altra udienza per trattative in corso di bonario componimento o altre simili o equipollenti. Ma forse senza scomodare l’istituto della sospensione convenzionale o su istanza di tutte le parti ex art. 296 c.p.c., la sospensione su istanza di tutte le parti – nella prima fase del giudizio cautelare – discenderebbe direttamente dal principio dispositivo del quale la tecnica dell’impulso di parte, rimessa alla potestas agendi delle stesse (parti) e del ricorrente in particolare, può ben essere esercitata mediante un’istanza di sospensione. Tanto più che il periodo di detta sospensione verrebbe stabilito prudenzialmente dal giudice e quand’anche si volesse ricorrere all’art. 295 c.p.c. non potrebbe superare i tre mesi. Non sarebbe nemmeno ostativa la c.d. pericolosità intrinseca della tutela cautelare perché, questa, dovrebbe ritenersi operante dall’adozione del provvedimento cautelare in poi e non prima, come, del resto, si evince dalla concomitante concessione delle misure di controcautela, quali la cauzione. Inoltre, la richiesta di sospensione proveniente dalla parte ricorrente che invoca la cautela o anche da parte di questa, unitamente alla controparte o alle controparti, comunque determinerebbe una sospensione o neutralizzazione degli

   di  una  sentenza  o  comunque  di  uno  dei  provvedimenti  decisori   tipici  di  cui  all’art.  131,  comma  1,  c.p.c.  che  

stabilisce  in  quali  casi,  previsti  dalla  legge,  il  giudice  pronuncia  sentenza,  ordinanza  o  decreto.5  

La  funzione  dell’istituto  è  quella  di  evitare  il  protrarsi  di  una  situazione  di  incertezza  connessa  alla  controversia  

sul   diritto   oggetto   della   contesa6.   Trattasi   di   una   conseguenza   precipua   del   principio   dispositivo   al   quale   si  

informa   il   processo   civile   che   si   realizza   mediante   la   tecnica   dell’impulso   di   parte7   in   contrapposizione  

all’impulso   d’ufficio;   quest’ultimo   in   relazione   ai   diritti   indisponibili.8   Sicchè,   la   inattività   di   tutte   le   parti,  

essendo  venuta  meno  la  vis  propulsiva,  conduce  al  fenomeno  effettuale  della  estinzione  del  processo.    

In   particolare,   oggetto   dell’interesse   della   presente   riflessione   è   la   inattività   “incolpevole”,   ovvero   quella  

mancata   attività   processuale   non   imputabile   a   volontà   o   a   negligenza   o   ad   imperizia   della   parte   o   del   suo  

difensore   che,   in  molti   casi,   darebbe   luogo   all’interruzione   del   processo   ex   artt.   300   e   301   c.p.c.,   come   la  

morte  o  la  perdita  di  capacità  della  parte  o  del  suo  difensore  nei  casi  in  cui  non  ci  sia  stato  il  tempo  materiale  

per   portarlo   a   conoscenza   del   giudice9.   Tale   situazione   è   stata   oggetto   di   specifica   considerazione   dalla  

migliore   dottrina   che   –   in   un   progetto   di   un   nuovo   codice   di   rito   –   ha   pensato   di   prevedere   un’apposita  

disciplina   nell’ambito   della   rimessione   in   termini.10   Il   fenomeno   riguarda   la   prima   fase   del   procedimento  

cautelare,  davanti  al  giudice  delegato  chiamato  ad  emettere  il  provvedimento  richiesto  perché  nella  eventuale  

successiva  fase  di  reclamo  il  problema  si  attenua  vigendo  il  principio  dell’officiosità  del  procedimento  ex  art.  

738  c.p.c.   che   investe   il  profilo  dell’impulso  al   suo   svolgimento  e   in   certa  misura   l’acquisizione  di  materiale  

probatorio.   Il   richiamo   operato   dall’art.   669terdecies   c.p.c.   agli   artt.   737   e   738   c.p.c.,   sui   procedimenti  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         effetti di detta pericolosità. Inoltre, questa ultima, dopo la introduzione del procedimento cautelare uniforme, con la previsione di un’apposita disciplina per l’attuazione del provvedimento, ai sensi dell’art. 669-duedocies c.p.c., che, a seconda che trattasi di sequestri o di misure aventi ad oggetto somme di denaro o misure aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, avviene nelle forme degli artt. 491 e ss. c.p.c., o sotto il diretto controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, deve ritenersi molto attenuata. Sulla nozione di pericolosità della tutela cautelare: A. Proto Pisani, Lezioni di Diritto Processuale Civile, Jovene, Napoli, 2012, p. 607 ss. 5 Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c., in www.Judicium.it, 4; Mandrioli, Corso di Diritto Processuale Civile, II, Giappichelli, Torino, 2002, p. 217 ss. Reputa la distinzione riportata nel testo del tutto inutile ed infruttuosa sul piano teorico e pratico: G. Monteleone, Estinzione (processo di cognizione), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Utet, Padova, 1996, p. 132-133. 6 L’incertezza si aggrava nei casi di trascrizione della domanda giudiziale, di iscrizione di ipoteca giudiziale o se vi sia stata concessione di provvedimenti cautelari o altri provvedimenti urgenti. G. Monteleone, Estinzione (processo di cognizione), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile,cit., p. 132. 7 A. Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it. 2009, parte V, col. 1. Nel Titolo preliminare all’art. 0.24 “Impulso di parte. I processo procedono su impulso di parte, salvo che la legge disponga altrimenti.”. Dello stesso A.: Lezioni di Diritto Processuale Civile, cit., 193. 8 Mandrioli, Corso di Diritto Processuale Civile, cit., p. 76; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Iovene, Napoli, 2012, p. 193 ss. 9 Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, Cedam, Padova, 2004, 239. 10 A. Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., cit., art. 1.114.-Termini e rimessione in termini.

   camerali,   per   la   disciplina   del   relativo   procedimento   di   reclamo,   fa   sì   che,   l’assenza   delle   parti   all’udienza,  

comporti   comunque  una   pronuncia   nel  merito   quanto  meno   sulla   base   degli   elementi   acquisiti.   Dell’ampia  

casistica   giurisprudenziale   si   riporta   un   passo   di   Cass.   sez.   I,   14   maggio   2012,   n.   7437   11,   secondo   cui:  

l’officiosità  del  procedimento  camerale  (…)  caratterizzato,  allora  da  sbocco  decisorio  anche  in  caso  di  mancata  

comparizione   delle   parti:   così   come   statuito   da   questa   Corte   con   riguardo   a   variegate   ipotesi   di   procedura  

camerale.  

Nessun problema si pone per quanto riguarda la possibilità di una rinuncia espressa e nemmeno per le ipotesi di

inattività “qualificata” nei casi di cui all’art. 307 c.p.c.12, come, altresì, per il procedimento cautelare instaurato

nel corso del giudizio di merito.

La  giurisprudenza,  sia  pure  con  diverse  soluzioni,  esclude  l’applicazione  analogica  degli  artt.  181  e  309  c.p.c.13  

ai  procedimenti  sommari,  sommari  cautelari  e  camerali.14  

La  dottrina  –  che  non  sembra  abbia  approfondito  direttamente   il   fenomeno  –  si  attesta  sulle  posizioni  della  

giurisprudenza15.  

                                                                                                               11 Secondo la giurisprudenza vige in tal caso l’impulso d’ufficio: Cass., Sez. I, 14.5.2012, n. 7437; Cass. 3.8.2010, n. 18043; Cass. 9.1.2009, n. 284; Cass. 7.12.2005, n. 27080. 12 L’assenza del convenuto o la sua mancata costituzione di per sé non impedisce il prosieguo del procedimento in presenza del ricorrente che dimostri di aver ritualmente notificato il ricorso con il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione. Nel procedimento cautelare distinguere tra assenza del ricorrente alla prima o alle successive udienze, ai fini della presente indagine, non è di particolare importanza, sia perché l’udienza o le udienze successive alla prima dovrebbero essere eventuali e comunque costitutive di un’unica fase processuale, sia per la massima concentrazione del procedimento in sé. D’altra parte – anticipando quanto si dirà – non ci sarebbero ragioni per applicare la disciplina ordinaria sull’estinzione per inattività semplice alle successive udienze di trattazione del procedimento dopo averla negata per la prima udienza. Tuttavia, volendo rifarsi all’art. 181 c.p.c. la distinzione potrebbe valere per stabilire il momento dell’estinzione che nel caso di assenza del ricorrente alla prima udienza sarà immediata ex artt. 181, comma II, e 307 c.p.c., senza il periodo di quiescenza. Ma il problema del procedimento cautelare, come si vedrà, va affrontato nel suo complesso in relazione ad un fenomeno o ad una vicenda processuale priva di un’apposita disciplina e nella affermata inapplicabilità dell’istituto di cui al complesso normativo degli artt. 181-309 e 307 c.p.c. Altresì non sembrano esserci problemi nelle ipotesi in cui non compaia il ricorrente ma il convenuto chieda la prosecuzione del procedimento avendo un eventuale interesse alla pronuncia magari perché ha proposto domanda riconvenzionale nei limiti in cui la si ritiene ammissibile o per le spese. Sull’ammissibilità della riconvenzionale nel procedimento cautelare v.: Merlin, (Procedimenti cautelari e urgenti in generale), in Digesto, Sezione Civile, XIV, Utet, Torino, 1996, p. 411. Arieta, I provvedimenti, 271 ss. 13 Cass. 20.2.2004, n. 3388; Cass. 5.11.2003, n. 16615, in Giust. civ. 2004, I, 1525; Cass. 26.11.1993, n. 11730. Sia pure implicitamente si rinviene in Cass. Sez. I, 6.10.2005, n. 19514; Cass. 7.12.2005, n. 27080; Cass. 9.1.2009, n. 284; Cass. 3.8.2010, n. 18043. La giurisprudenza testè citata si è formata nel vigore del testo dell’art. 181 c.p.c. precedente la riforma avvenuta con il D.L. 112/2008, convertito nella legge 6.8.2008, n. 133. La riforma del primo comma dell’art. 181 c.p.c. ha aggiunto la dichiarazione di estinzione dopo la cancellazione della causa dal ruolo a seguito della mancata comparizione delle parti alla seconda udienza fissata. 14 Cass. 09/284. In dottrina si rinvia all’esaustivo saggio di Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c., in www.Judicium.it, cit. 2 ss. 15 Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit.,. 238 e 393 ss. L’A. sostiene che il provvedimento di non luogo a provvedere o l’archiviazione per mancata comparizione del ricorrente all’udienza fissata ai sensi dell’art. 669-sexies c.p.c. si sottrae al reclamo perché assoggettato a revoca ai sensi dell’art. 177 c.p.c. per motivi sopravvenuti o preesistenti non conosciuti dal giudicante. Occorre osservare che l’istituto della revoca – nel procedimento cautelare – è quello di cui all’art. 669-decies c.p.c. al quale non è sovrapponibile la revoca ex art. 177 c.p.c., dettata per il giudizio ordinario di cognizione. Se così fosse, in tutte le circostanze in cui non è azionabile la revoca del provvedimento cautelare, si potrebbe ricorrere a quella ordinaria che non conosce forme preclusive o condizioni di operatività. Inoltre, la revoca ex art. 669-decies c.p.c. riguarda provvedimenti con carattere decisorio e dotati di una loro

   Lo   scenario   giurisprudenziale   presenta   una   serie   di   alternative   che   vanno   dal   rigetto   del   ricorso,   alla  

cancellazione  della  causa  dal  ruolo,  al  “non  luogo  a  provvedere”  e  alla  dichiarazione  di  estinzione16.  

La   ragione   di   fondo   che   presiede   tali   conclusioni   è   una   per   tutte:   la  mancata   comparizione   del   ricorrente  

all’udienza   di   discussione   comporta   una   oggettiva   indicazione   del   venire   meno   dell’interesse   alla   tutela,  

ovvero,  dell’urgenza  alla  sua  anticipazione  in  via  cautelare17.  

Gli  effetti  che  conseguono  a  seconda  dell’una  o  dell’altra  opzione  possono  essere  preclusivi  o  meno  rispetto  

alla  riproposizione  del  ricorso  e  anche,  nei  termini  di  cui  si  dirà,  alla  sua  reclamabilità  e/o  alla  sua  riassunzione.  

In   questo   contesto   assume   fondamentale   rilievo   il   significato   reale   e   giuridico   che   deve   attribuirsi   al  

comportamento  assente  del  ricorrente  all’udienza.  

Ma  ancor  prima  di  entrare  nel  vivo  delle  quaestiones  non  si  può  –  anche  sotto  un  profilo  metodologico  ancor  

prima  che  epistemologico  –  non  mettere  in  rilievo  ed  operare  un  costante  confronto  con  istituti  o  categorie  

squisitamente  processuali  di  rango  costituzionale  come  i  concetti  di  azione,  di  domanda  e  di  contraddittorio  

ex  artt.  24  e  111  Cost.,  99  e  101  c.p.c.    ed  ex  artt.  669-­‐bis  e  669-­‐sexies  c.p.c.  

La   portata   effettuale   della   normativa   testè   citata   si  misura   con   la   funzione   precipua   della   tutela   cautelare  

consistente   nel   paralizzare   o   arginare   i   pregiudizi   che   potrebbero   derivare   all’attore   che   ha   ragione   dalla  

durata   del   processo   a   cognizione   piena,   ove   non   vi   siano   adeguati   strumenti   processuali   e   sostanziali   di  

neutralizzazione  del  danno.18    

Un   istituto   che,   altresì,   assume   importanza   ai   fini   che   qui   interessano   e   nei   limiti   e  modi   che   si   dirà,   è   la  

rimessione  in  termini  ex  art.  153  c.p.c.  

Nella relazione al progetto di legge per la riforma del processo civile, Chiovenda affermava che <<“se,

nonostante le provvidenze della legge e la diligenza del giudice e dell'ufficiale giudiziario, accada di trattare

come contumace chi non poté comparire e difendersi, soccorre un altro rimedio che corregge i possibili

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         stabilità. Per contro la revoca ex art. 177 c.p.c. riguarda i provvedimenti emanati dal giudice istruttore con carattere prettamente interlocutorio in relazione all’istruzione probatoria. Per A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit. p. 691, l’ordinanza ex art. 669-decies c.p.c. è sottoposta ad un regime tipicizzato che, a prescindere dal motivo del rigetto, si sottrae alla disciplina generale delle ordinanze dettata dall’art. 177 c.p.c. Per un’ampia rassegna sul combinato disposto degli artt. 181 e 309 c.p.c., v.: E. Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c , cit. p. 1 ss. 16 Cass. 6.2.2004, n. 3388; Cass. Sez. I, 6.11.2005, n. 19414. Trib. Messina, 12.7.2005, in Giur. merito, 2006, 2, 311 e in Juris data, ha optato per il rigetto del ricorso sulla base delle motivazioni nel testo. 17 Trib. Messina, 12.7.2005, in Giur. merito, 2006, 2, 311 e in Juris data. 18 A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit. 495.

   inconvenienti del giudizio contumaciale, ed è la restituzione in intero, antico istituto italiano, che la nostra legge

non conosce in figura di rimedio generale, perché, al solito, non l’incontrò nel suo modello francese”>>. 19

A   distanza     di   un   secolo   la   “restituzione   in   intero”   grazie   al   novellato   art.   153   c.p.c.   –   inserito   dall’art.   45,  

comma   19,   legge   18.6.2009,   n.   69,   nel   Libro   I   del   codice   di   rito,   tra   le   Disposizioni   generali,   essendo   stato  

abrogato,   dal   successivo   art.   46,   comma   3,   stessa   legge,   l’art.   184-­‐bis   c.p.c.   che   disciplinava   la   medesima  

rimessione  in  termini  per  le  parti  costituite,  ma  con  la  limitata  portata  applicativa  al  solo  processo  ordinario  di  

cognizione  e,  nei  limiti  della    compatibilità,  al  giudizio  di  appello,  grazie  al  rinvio,  ex  art.  359  c.p.c.,  alle  norme  

relative  al  procedimento  davanti  al  tribunale  –  è  diventato  un  rimedio  di  carattere  generale.  

La   rimessione   in   termini   è   un   rimedio   a   tutela   della   effettività   tanto   del   principio   dispositivo   (dell’azione-­‐

domanda   e   del   c.d.   diritto   costituzionale   di   difesa,   ex   artt.   24   Cost.,   6   CEDU   e   99   c.p.c.),   quanto   del  

contraddittorio  in  condizioni  di  parità  (ex  artt.  111  Cost.  e  101  c.p.c.,  per  la  cognizione  piena  ed  ex  artt.  111  

Cost.  e  669-­‐bis  e  669-­‐sexies  c.p.c.  per  il  procedimento  cautelare  in  particolare).  Può  ben  dirsi  che  tale  istituto  

sia   espressione   del   principio   di   auto-­‐responsabilità   processuale   e   segnatamente   dell’autoresponsabilità   per  

colpa   della   parte   a   garanzia   dell’impegno   costituzionale   dell’effettività   del   contraddittorio20.   Dopo   ed     in  

conseguenza  della  sua  nuova  collocazione  nell’art.  153  c.p.c.,  nel  Libro  I  del  codice,  la  dottrina  ha  ritenuto  che  

il  rimedio  –  oltre  ad  essere  di  carattere  generale,  applicabile  a  tutti   i  procedimenti  –  sia  estensibile  anche  ai  

poteri  esterni  al  processo,  ovvero  ai  poteri  di  impugnazione  e  di  prosecuzione  o  di  riassunzione  del  processo.21  

L’istituto  della  rimessione  in  termini,  dunque,  si  costituisce  come  una  forma  di  regolamentazione  giudiziale  del  

                                                                                                               19CHIOVENDA., Progetto di riforma del procedimento civile, in Saggi di diritto processuale civile, vol. II, Roma, 1931, 114 ss.; Cfr. La riforma del procedimento civile proposta dalla Commissione per il dopo guerra. Relazione e testo annotato a cura di CHIOVENDA G., Napoli, 1920. R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 119; R. Caponi, Rimessione in termini: estensione ai poteri di impugnazione (art. 153, 2° comma, c.p.c.),in Foro it., 2009, V, 283. A. Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, in www.Judicium.it, § 6. Secondo una dottrina la rimessione ex art. 184bis c.p.c. era applicabile esclusivamente alla fase istruttoria del processo ordinario di primo grado e non anche alla proposizione delle impugnazioni: C. Asprella-R. Giordano, La riforma del processo civile, dal 2005 al 2009, in Giust. civ., 2009, suppl. al n. 6, 27. Contro tale impostazione riduttiva o restrittiva: G. Verde, Diritto processuale civile, Vol. 1: Parte generale, Bologna, 2010, p. 259. La rimessione in termini inserita nel secondo comma dell’art. 153 c.p.c. intitolato “Improrogabilità dei termini perentori” non può ritenersi una felice formulazione sistematica. Meglio sarebbe stato se il legislatore le avesse dedicato un apposito articolato comprensivo del procedimento senza rinviare all’art. 294, commi 2 e 3, c.p.c. Tuttavia, nessuno dubita della portata applicativa generale della attuale rimessione in termini, attesa la sua collocazione nel Libro I, tra le Disposizioni generali, dopo la contestuale abrogazione dell’art. 184bis c.p.c. che la prevedeva nell’ambito dell’istruzione probatoria del processo ordinario di cognizione. Inoltre, nel novellato art. 153 c.p.c. si parla indifferentemente del “giudice”, mentre nell’abrogato art. 184bis c.p.c. si menzionava il “giudice istruttore”. Tali considerazioni si rispecchiano nell’istituto della rimessione in termini del progetto “Per un nuovo codice di procedura civile” di A. Proto Pisani, cit., Libro I, Capo V, art. 1.114 ss. 20 Riconduce la rimessione in termini al principio di autoresponsabilità: R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 49 ss. 21 R. Caponi, Rimessione in termini: estensione ai poteri di impugnazione (art. 153, 2° comma, c.p.c.),cit. 283. A. Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, in www.Judicium.it, § 6.

   processo,  ispirato  all’equità  e  al  principio  di  conservazione  e  come  tale,  ove  ritenuto  praticabile,  potrebbe,  ai  

fini  della  presente  riflessione  ricostruttiva,    rivelarsi  in  gran  parte  risolutivo  o  un  ulteriore  rimedio.  

A  tal  uopo,  occorre  verificare,  come  si  vedrà   in  seguito,  se   il   rigetto  del   ricorso  della  parte   incolpevolmente  

assente   all’udienza,   attraverso   la   tecnica   della   rimessione   in   termini,   possa   essere   reintegrata   nei   poteri  

processuali   che   avrebbe   potuto   esercitare   se   fosse   stata   presente.   In   altri   termini,   si   tratta   di   stabilire   se  

attraverso   il  meccanismo  di   cui   agli   artt.   153  e  294,   comma  2,   c.p.c.,   si   possa   realizzare   la   riassunzione  del  

procedimento  cautelare  o  la  riproposizione  della  domanda.  

 

 

1.2. Premessa  2:  cenni  sulla  natura  del  procedimento  cautelare  e  suo  inquadramento  nell’ambito    

del  sistema  ordinamentale  e  in  rapporto  al  giusto  processo  ex  art.  111  Cost.      

   

Il   periculum   in  mora,   che   assurge   a   paradigma   estremo   della   irreparabilità   del   pregiudizio,   rende   la   tutela  

cautelare   costituzionalmente   doverosa;22   tanto   più   ove   si   metta   in   relazione   il   pregiudizio   stesso   con   la  

persona  che  lo  subisce.23  

Invero,  la  tutela  cautelare  (tipica  e  atipica),  sebbene  non  abbia  funzione  esclusiva,  in  quanto  concorre  con  altri  

istituti  specifici  di  diritto  sostanziale  (pegno,  ipoteca,  trascrizione  della  domanda  giudiziale,  anatocismo,  diritto  

di   ritenzione,  obbligo  di   restituzione   frutti  da  parte  del  possessore  di  buona   fede  ex  art.  1148  c.c.,   solo  per  

citarne   alcuni)   e   rimedi   specifici   di   diritto   processuale   (quali   i   titoli   esecutivi   di   formazione   stragiudiziale,   i  

procedimenti   sommari   non   cautelari,   i   provvedimenti   c.d.   ad   effetti   anticipati   nell’ambito   del   giudizio  

ordinario  ex  artt.  186bis,  186ter  e  186quater  c.p.c.,  la  condanna  in  futuro),  risponde  all’esigenza  di  garantire  la                                                                                                                  22 Corte Cost., 28.6.1985, n. 190, in Foro it., 1985, I, 1881; A. Proto Pisani, Lezioni di Diritto Processuale Civile, Napoli, 2012, 602. 23 Della necessità di recuperare il concetto di persona del titolare del diritto, parla: A. Proto Pisani, Lezioni di Diritto Processuale Civile, Jovene, Napoli, 2012, cit., p. 635 ss. Senza entrare in problematiche oggetto della filosofia del diritto, qui basta osservare che il rilievo centrale della persona, quale titolare di diritti viene massimamente in rilievo nella tutela cautelare atipica con riferimento ai diritti fondamentali e personalissimi di rango costituzionale a contenuto non patrimoniale (nome, immagine, reputazione, libertà in tutte le sue espressioni e manifestazioni). Ma il concetto di persona in sé è rilevante sul piano positivo a partire dall’art. 2 Cost. ed è confermato – per quanto qui rileva – dai successivi artt. 3, 24, 25 e 111 Cost. e dagli artt. 18 e 75-80 c.p.c., nochè per gli enti superindividuali dagli artt. 18, 20, 29, 33, 45, 49 Cost. e 19 e 75, commi 3 e 4 e ss c.p.c. Persona è concetto che sul piano giuridico è molto di più di individuo in quanto esso ricomprende, oltre la persona fisica, la persona giuridica e tutti quegli organismi, dotati o meno di personalità giuridica, che non si identificano con gli individui (persone fisiche), ma li considerano “entificati”. Quindi, persona,: come centro di imputazione di valori morali e giuridici e a sua volta portatore di valori morali e giuridici. La persona è portatrice e destinataria di responsabilità che a sua volta esige la singolarità insostituibile (dell’essere) in quanto risponde di ciò che si fa, si dice, si dà. J. Derrida, Donare la morte, Trad. di Luca Berta, Milano, 2008, 88. Sul rapporto tra persona, responsabilità e processo che rivaluta, sul piano teorico generale, la figura dell’ “essere”, come “esser-ci” (nel processo), in quanto persona, ente esistenziale: P. Proto, La Meta(Oltre)Fisica del processo. A proposito del caso Englaro., in Academia.edu, 2017, 6 ss, specialmente nota 23, 11 ss.

   effettività  della  tutela  giurisdizionale  in  sé24.  Essa  garantisce  la  fruttuosità  e  l’utilità  sia  della  tutela  ordinaria  a  

cognizione   piena,   sia   della   tutela   esecutiva.   Tale   garanzia   si   assicura   o   mediante   la  

conservazione/preservazione   della   integrità   della   situazione   giuridica   messa   in   pericolo   o   anticipando   gli  

effetti  della  decisione  sul  merito  nel  tempo  occorrente  per  lo  svolgimento  del  giudizio  ordinario.  

Il processo ordinario – a sua volta – è una sequenza di atti ed attività teleologicamente e cronologicamente

orientati alla decisione finale che, attraverso l’accertamento della verità processuale, afferma la jurisdictio, il

dire il diritto, quel diritto che deve “dare per quanto possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e

proprio quello che egli ha diritto di conseguire”25. In sintesi, esso – a differenza, come si dirà, del processo

cautelare – è caratterizzato dalla predefinizione normativa di termini, poteri e doveri delle parti e del giudice e

dalla instaurazione anticipata del contraddittorio rispetto al provvedimento conclusivo. Garanzie, queste, ora

codificate espressamente nell’art. 111 Cost., ma già ritenute presenti nel sistema dei valori costituzionali, che

avvolgono il processo ordinario e che ad esso sono connaturate, ma al contempo fanno sì che l’accertamento

della verità necessiti di un certo tempo che fisiologicamente, con tutta l’efficienza possibile, non consentirebbe

di impedire la perdita definitiva del diritto soggettivo quando nessuna altra tecnica risarcitoria lo potrebbe mai

ripristinare e/o soddisfare il titolare.

Di  qui   la   doverosità   costituzionale  della   tutela   cautelare.26   Essa   si   costituisce   laddove   a   causa   –  o     anche   a  

causa  –  del  tempo  fisiologicamente  necessario  del  giudizio  ordinario  di  cognizione  ritorna  a  danno  dell’attore  

che  probabilmente  ha  ragione  vedendosi  irrimediabilmente  perduto  o  grandemente  scemato  il  bene  oggetto  

del  suo  diritto,  cosicchè  l’azione  ordinaria  o  esecutiva  diventa  tardiva  o  infruttuosa.  

Ovviamente  sarebbe  erroneo  il  solo  pensare  che  la  tutela  cautelare  sia  servente  all’esigenza  di  porre  rimedio  

ai  tempi  lunghissimi  del  processo  ordinario,  perché  così  non  è,  sebbene  il  ricorso  allo  strumento  cautelare  sia  

stato  usato  e  abusato  anche  a  causa  delle   lungaggini  di  quel  processo.  La  celerità  della  tutela  cautelare  non  

attiene  alle  disfunzioni  del  processo  a  cognizione  piena,  bensì  al  rischio  di  perdere  in  tutto  o  in  parte  il  bene  su  

cui  si  esercita  o  si  ha  un  diritto  e  nessun  processo  ordinario  per  quanto  efficientissimo  e  velocissimo  può  porvi  

rimedio   a  meno   che   non   si   voglia   ridurre   il   processo   ordinario  medesimo   ad   una   sorta   di   giudizio   su   una  

parvenza  del  diritto.  

                                                                                                               24 Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, 2^ rist., Napoli, 1960, 40. 25 Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile ,I, 2^ rist., Napoli, 1960, 40. 26 Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, ed. 2012, cit., 602.

   Né  si  può  ritenere  convincente  la  tesi  che  vuole  la  tutela  in  questione  –  conferendole  una  particolare  valenza  

pubblicistica  –  servente  ad  assicurare  la  effettività  della  tutela  giurisdizionale  fino  a  ritenere  il  provvedimento  

cautelare  un  diritto  dello  Stato  in  funzione  di  una  generale  tutela  del  diritto.27  

La   tutela   cautelare   è   uno   strumento   processuale   di   completamento   del   sistema;   servente   all’esigenza  

dell’effettività   della   tutela   giurisdizionale   sia   ordinaria   che   esecutiva.   Sulla   sua   autonomia   si   riscontra   una  

diversità  di  opinioni.  Il  discorso  è  legato  alla  strumentalità  e  provvisorietà  della  tutela  (cautelare)  in  ordine  alla  

quale   parte   della   dottrina   non   riconosce   autonomia   di   azione.28   Secondo   altra   dottrina   occorre   fondare   il  

concetto   di   cautela   utilizzando   criteri   definiti   su   basi   positive   ricavabili   da   elementi   strutturali   e   non  

meramente   funzionali.29Questa   condivisibile   dottrina   partendo  dalla   giurisprudenza   costituzionale30,   che   ha  

stabilito  “il  principio”  –  più  volte  menzionato  –  “per  il  quale  la  durata  del  processo  non  deve  andare  a  danno  

dell’attore   che   ha   ragione”,   ritiene   la   tutela   cautelare   atipica   una   componente   essenziale   ed   ineliminabile  

della  tutela  giurisdizionale  e  ritiene  l’azione  cautelare  atipica  astratta  come  è  atipica  e  astratta  anche  la  tutela  

ordinaria31.  Autonomia  dell’azione  e  autonomia  della  tutela  (cautelare)  sono  strettamente  legati  e  collegati  al  

discorso   sulla   strumentalità   e   provvisorietà   del   provvedimento   cautelare32;   strumentalità   e   provvisorietà  

                                                                                                               27 Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, IV ed. (ristampa), Napoli, 1980, 226; Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 140, nota 46. 28 Nega sia l’esistenza di una azione cautelare autonoma in relazione ad ogni singolo provvedimento cautelare, sia l’esistenza di una azione cautelare generale ed astratta, in quanto ritiene il potere di chiedere la tutela cautelare una proiezione o un riflesso dell’azione ordinaria: Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 1149-1150; Mandrioli, Diritto processuale civile, Seconda edizione, Torino, 2002, 22. In una posizione intermedia sembra collocarsi: Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit. 73. 29 Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 596. 30 Corte Cost. 28-6-1985, n. 190, in Foro it., 1985, I, 1881; Corte Cost. 27-12-1974, n. 284, in Foro it., 1975, I, 263. 31 La locuzione “diritto di azione” come si potrà incontrare nel testo viene usata per comodità di sintesi espositiva senza volerle conferire alcun significato giuridico-processuale intorno al quale la dottrina dibatte da oltre un secolo. V.: S. Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1981, 122 ss. G. Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 171 ss. Id. Domenico Viti ed il concetto di azione, ovvero l’eredità scientifica di Giuseppe Chiovenda, in Giur. it. 1997, Disp. 3°, parte IV, 2 ss. Id. Scritti sul processo civile, Vol. I, cit, 185 ss. Dà una precisa definizione al c.d. diritto di azione: A. Proto Pisani, Progetto per un codice di procedura civile, cit., all’art. 01. Diritto di azione e sua atipicità. – Tutti possono agire in giudizio per la tutela giurisdizionale dei propri diritti. Ed il successivo art. 02. Principio della domanda. – Il giudice provvede alla tutela giurisdizionale di diritti su domanda di parte.” Più o meno nello stesso senso si esprime l’art. 30 del N.C.P.C. francese: “L’action est le droit, pour l’auteur d’une prètention, d’etre entendu sur le fond de celle-ci a fin que le juge la dis bien ou mal fondée. Pour l’adversaire, l’action est le droit de discuter le bien-fondée de cette prétention.”. Fazzalari, Azione civile (Teoria Generale del Diritto Processuale), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, II, Torino, 1990, 31 ss.: identifica l’azione con la “situazione legittimata” spettante a ciascuna parte del processo, situazione composta da una serie di posizioni soggettive, di vario tipo e contenuto. Una sequenza di posizioni, sia pure discontinua (la posizione di una parte intersecandosi con quella dell’altra) facente capo a ciascuno dei litiganti. Ci si astiene dal prendere parte in qualsiasi senso sulla opportunità più che necessità di inserire una definizione del fenomeno in un codice. Ci si limita col dire che l’azione è certamente autonoma dal diritto sostanziale oggetto della contesa e che semmai, la stessa costituisce il contenuto unico del diritto. Così: Satta, op. loc. cit., 124 ss. Si potrebbe dire che l’azione è l’atto di esercizio o di eccitazione del sistema processuale per veicolare una pretesa giuridica (o di diritto, o per il diritto, o dal diritto) la quale solo attraverso il processo trova riconoscimento il diritto e si ricompone l’ordinamento violato. L’impulso di parte o l’impulso officioso si costituisce come movimento dell’azione. 32 Sulla strumentalità del provvedimento cautelale tra gli altri citati v.: Novarese, Tutela dei nuovi diritti e procedimento cautelare riformato, in Riv. giur. amb., 1993, 223 ss.

   rispetto   e   con   riferimento   al   giudizio   di   merito   a   cognizione   piena,   anche   dopo   l’attenuazione   della  

strumentalità   dei   provvedimenti   c.d.   anticipatori   (avvenuta   a   seguito   della  modifica   degli   artt.   669octies   e  

669novies  c.p.c.  con  D.L.  14.3.2005,  convertito  nella  legge  14.5.2005,  n.  80).  Questi  ultimi  provvedimenti,  pur  

mantenendo   la   loro  efficacia   indipendentemente  ed  a  prescindere  dall’inizio  o  meno  del  giudizio  di  merito,  

sono  comunque  revocabili  o  modificabili  ex  art.  669decies  c.p.c.  se  mutano  le  circostanze  e  possono  sempre  

venire  assorbiti  dalla  sentenza  di  merito   in  caso  di  eventuale   inizio  del   relativo  giudizio  e,   in  base  all’ultimo  

comma  dell’art.  669octies  c.p.c.,  la  loro  autorità  non  può  essere  invocata  in  un  diverso  processo.  

Tuttavia,  non  si  può  negare  che  il  procedimento  cautelare  abbia  una  sua  propria  autonomia.  Strutturalmente  

il  procedimento  ha  un  suo  statuto  normativo  di  disciplina  (artt.  669bis/669quaterdecies  c.p.c.)  integrato  dalle  

disposizioni   generali   del   Libro   I   del   codice   applicabili   a   tutti   i   procedimenti,   nonché   non   ultimi   i   precetti  

costituzionali.   Il   procedimento   cautelare   è   assoggettato   al   principio   del   giudice   naturale   precostituito   per  

legge33;  al  principio  dispositivo  della  domanda  e  all’impulso  di  parte  ex  artt.  24  Cost.  e  99  c.p.c.;  si  introduce  

con  ricorso  ai  sensi  dell’art.  125  c.p.c.,  si  svolge  nel  contraddittorio  –  ad  eccezione  della  parentesi  eventuale  e  

remota   di   una   pronuncia   inaudita   altera   parte   che   comunque   deve   essere   immediatamente   confermata,  

modificata  o  revocata  nel  contraddittorio  delle  parti.  

A   questo   proposito,   non   può   sottacersi   che   il   decreto   cautelare,   sebbene   sul   piano   procedimentale   abbia  

molto   in   comune   con   il   procedimento   di   ingiunzione   ex   artt.   633   ss.   c.p.c.,   per   assenza   di   preventivo  

contraddittorio,  se  ne  differenzia  poi  nettamente  perché,  mentre  il  decreto  ingiuntivo  per  essere  confermato  

non   ha   bisogno   di   alcun   contraddittorio   che   è   solo   eventuale   e   differito,   il   decreto   cautelare   affinchè  

mantenga   la   propria   efficacia   deve   necessariamente,   ai   sensi   del   secondo   comma  dell’art.   669sexies   c.p.c.,  

instaurarsi  il  contraddittorio.  Il  decreto  ingiuntivo  se  non  viene  proposta  opposizione  acquista  definitività  alla  

stregua  del  giudicato  ex  artt.  324  c.p.c.  e  2909  c.c.  e  spiega  gli  effetti  propri  di  questo  o,  secondo  una  dottrina,  

della  preclusione  pro  iudicato34.  Di  contro,  il  decreto  cautelare  per  la  sua  conferma  (o  modifica  o  revoca)  e  per  

                                                                                                               33 Sulla nozione epistemologica di “giudice naturale” si rinvia a: Ubertis, Profili di epistemologia giudiziaria, Milano, 2015, 68 ss. Sulla stessa linea e in relazione all’esperienza processuale: Proto, La Meta(Oltre)fisica del processo. A proposito del caso Englaro, in Academia Edu, 2017, 30-39; Proto, Fase presidenziale nel giudizio di separazione giudiziale, in Giur. Merito, Milano, 06/2010, 1542 ss. Sul piano positivo il principio si rinviene nel collegamento tra la norma costituzionale dell’art. 25 Cost. e le disposizioni ordinarie degli artt. 669ter e 669 septies c.p.c. rispettivamente il primo individua il giudice competente anteriore alla causa di merito ed il secondo la pronuncia sulla competenza. Per la domanda cautelare in corso di causa dispone l’art. 669quater c.p.c. 34 Gli effetti del giudicato tout court o di preclusione pro iudicato la cui trattazione esula dal presente contributo si evince sul piano strettamente normativo dagli artt. 647 e 656 c.p.c. Il primo dispone che dichiarata la definitività del decreto per mancanza di opposizione, tranne il caso della rimessione in termini con l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., l’opposizione medesima non può essere più proposta o proseguita; il secondo assoggetta il decreto ingiuntivo divenuto definitivo a revocazione ai sensi dell’art. 395, nn. 1, 2, 5 e 6, c.p.c. (casi di revocazione straordinaria) e ad opposizione di terzo ex art. 404, comma 2, c.p.c., rimedi questi esperibili

   la   sua   efficacia   necessita   della   corretta   instaurazione  del   contraddittorio.  Di   tal   che,   si   può  ben  dire   che,   il  

procedimento   cautelare,   è   un   procedimento   a   contraddittorio   necessario   perché   –   ad   eccezione   delle  

remotissime  ipotesi  di  concessione  del  decreto  e  successivamente  a  questo  –   il  provvedimento  conclusivo  è  

sempre   e   necessariamente   dato   nel   contraddittorio   anticipato35.   Insomma   si   realizza   l’actus   trium  

personarum.    

A   differenza   del   giudizio   ordinario   di   cognizione   laddove   poteri,   facoltà   e   doveri,   delle   parti   e   del   giudice,  

termini  e  modalità  di  svolgimento  del  procedimento  o  della  trattazione  sono  predefiniti  legislativamente  e  la  

decisione  è  suscettiva  di  giudicato  formale  ex  art.  324  c.p.c.  e  sostanziale  ex  art.  2909  c.c.,  nel  procedimento  

sommario   cautelare   sono   rimessi   alla   determinazione  del   giudice   ed   il   relativo  provvedimento   conclusivo  è  

privo   di   attitudine   al   giudicato.   Ciò   secondo   una   scuola   di   pensiero   servirebbe   non   solo   a   differenziare   il  

procedimento   ordinario   da   quelli   sommari,   ma   addirittura   toglierebbe   al   procedimento   sommario   e,   nella  

specie,  a  quello  cautelare,   la  caratteristica  di  essere  un  procedimento  autonomo  e  di  non  costituire  un  vero  

giudizio.36  

In  ordine  all’autonomia  si  è  avuto  modo  di  dire  che  essa  va  individuata  più  sul  piano  strutturale  che  su  quello  

funzionale   per   quanto   anche   sotto,   tale   ultimo   aspetto,   a   differenza   di   altri   procedimenti   sommari   non  

cautelari,   i   cautelari   hanno   una   funzione   che   sebbene   strumentale   e/o   ancillare   alla   tutela   ordinaria  

comunque  è  funzionale  a  se  stessi  per  quello  che  devono  accertare  e  per  la  decisione  invocata  e  che  da  essi  

scaturisce.  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         avverso la sentenza passata in giudicato. Sulla preclusione pro iudicato: Redenti, Diritto processuale civile, I e III, Milano, 1957, 110 e 146 ss.; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 80. Contra perché privo di utilità pratica: Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 1101. Sul giudicato in relazione al decreto ingiuntivo definitivo, v.: Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, III, 15^ ed., Torito, 2003, 50; Storto, La revocazione e l’opposizione di terzo, in Il procedimento di ingiunzione, Zanichelli, Torino, 2005, 537 ss.; Menchini, Regiudicata civile, in Digesto delle Discipline privatistiche, Sezione civile, XVI, 417 ss.; Tota, Rapporti tra opposizione a decreto ingiuntivo ed opposizione all’esecuzione, in Il procedimento di ingiunzione, Zanichelli, Torino, 2005, 481 ss. 35 Di tal che deve convenirsi che il giudizio ordinario non è l’unica forma di procedimento che produce una decisione idonea al giudicato in quanto anche il procedimento monitorio, in assenza di contraddittorio, produce un provvedimento che spiega effetti uguali o simili al giudicato. Gli esempi potrebbero continuare ma esulerebbero dall’economia del presente contributo. Tuttavia quanto detto giova a rafforzare la tesi a favore della natura processuale della tutela cautelare e di processo cautelare in senso proprio, dotato di una sua autonomia strutturale e, anticipando quanto si dirà, entro certi limiti, anche funzionale. 36 Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 1096, sebbene con riferimento ai procedimenti speciali e sommari, l’A. ritiene che i procedimenti sommari diventano incostituzionali se concepiti come azioni autonome dirette ad ottenere in modo surrettizio e mediato gli stessi risultati, pratici e giuridici, che solo il processo ordinario può e deve assicurare. Quindi, i procedimenti speciali e sommari trovano legittimazione anche costituzionale se vengono concepiti come strumenti di tutela connessi e coordinati alla tutela ordinaria a cognizione piena, ove ricorrano particolari esigenze. Di “normativa senza giudizio” parla: Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1,Milano, 1968, 4 ss. Di procedimenti giurisdizionali parla Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit. 73. Come si è detto in precedenza una posizione diversa assume: Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 596.

   L’utilità   che   il   provvedimento   cautelare   dà   all’attore   è   la   finalità   di   accedere   ad   una   effettiva   tutela  

giurisdizionale  piena  in  relazione  all’affermazione  definitiva  con  efficacia  di  giudicato  della  situazione  giuridica  

di  cui  è  titolare.  Se  il   fine  –  per  dirla  con  la  filosofia  del  diritto  –  è   il  criterio  di  misura  dell’utilità37   ,  come  in  

effetti  lo  è,  si  conferma  la  doverosità  costituzionale  della  tutela  cautelare.  

La  dottrina38  tra  l’altro  si  è,  altresì,  interrogata  sulla  compatibilità  del  procedimento  cautelare  con  il  principio  

costituzionale   del   “giusto   processo   regolato   dalla   legge”   ai   sensi   dell’art.   111   Cost.39   Ovviamente   la  

compatibilità   non   riguarda   la   tutela   cautelare   in   sé,   bensì,   la   compatibilità   della   sua   disciplina   normativa  

vigente   con   le   garanzie   del   “giusto   processo”,   tant’è   che   la   predetta   tutela   è   prevista   anche   nel   processo  

davanti  alla  Corte  Europea  dei  Diritti  dell’Uomo40  

Il  riferimento,  in  particolare,  per  la  parte  che  qui  maggiormente  rileva,  è  diretto  proprio  al  contraddittorio  tra  

le   parti   in   condizioni   di   parità   che,   nel   procedimento   cautelare   è   solamente   previsto   come   essenziale   e  

necessario  ma  non  ne  viene  disciplinato  lo  svolgimento,  ovvero  la  sua  dinamica  articolazione.  Questa  ultima  è  

rimessa   al   potere   discrezionale   del   giudice   che   il   secondo   comma   dell’art.   111   Cost.   vorrebbe   terzo   ed  

imparziale.   La   lontananza   del   procedimento   cautelare   dalle   garanzie   costituzionali   sembrerebbe   piuttosto  

evidente.   Occorre   stabilire,   però,   se   detta   lontananza   sia   tale   da   rendere   il   sistema   del   procedimento  

cautelare   in  conflitto  e/o   incompatibile  col  dettato  costituzionale,  ovvero  se  possa  convivere  con  questo.  La  

                                                                                                               37 Il concetto è preso da F. Viola, Il diritto tra arte ed etica, in Una filosofia del derecho en acciòn. Homenaje al profesor Andrés Ollero, estrapolato da Academia.edu, p. 5. 38 Bove, Art. 111 Cost. e “giusto processo civile”, in Riv.dir.proc., 2002, 479 ss.; Ferrajoli, L’etica della giurisdizione pernale, in Questione giustizia, 1999, 483-490; Civinini, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il “giusto processo civile”. Le garanzie, in Convegno Elba, 278; Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it., 2000, V, 241-244; Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 33, il quale reputa l’intero attuale sistema processuale incompatibile con l’art. 111 Cost.. 39 Sulla prima parte dell’enunciato “giusto processo” – grazie ad una elaborazione del concetto già presente anche nella giusisprudenza costituzionale – si arriva sostanzialmente a dare un significato univoco in dottrina vuoi come formula di sintesi che sussume in se stessa le garanzie presenti nel sistema dei valori costituzionali basta leggere in modo integrato, con riferimento al processo civile, gli artt. 24, 3, 25, 101, 102, 104-111 Cost., sia come clausola aperta suscettibile di essere riempita ed adeguata con la nascita di nuove forme di garanzie processuali, sia come principio vivo di per sé oltre ad essere riassuntivo, anche grazie al confronto diretto con le normative internazionali da cui origina laddove si parla di “processo equo” (art. 6 CEDU, art. 10 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’ONU il 10.12.1948, art. 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato dall’ONU il 16.12.1966). Sul punto, v.: Andrioli, La convenzione dei diritti dell’uomo e il processo giusto, in Temi romana, 1964, 444 ss.; Cecchetti, voce, Giusto processo, in Enc. dir., Aggiornamento, V, Milano, 2001, 595 ss.; Trocker, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il “giusto processo” in materia civile, in Capponi e Verde, 27 ss.; Vignera, Le garanzie costituzionali del processo civile alla luce del”nuovo” art. 111 Cost., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 1185 e 1190; P. Pellegrinelli, Giusto processo (civile), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Aggiornameno *** Torino, 2007, 648 ss. Corte Cost., 15-9-1995, n. 432, in Foro it., 1995, 3371; Corte Cost., 24-4-1996, n. 131, con nota di Margaritelli, in Giur. costit. 1996, 1139. Più problematica è, invece, la seconda parte “regolato dalla legge” che – come ha osservato un illustre Autore – rappresenta una novità anche rispetto alle fonti di natura pattizia appena citate: Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, cit., 241-247. 40 Specie dopo il Protocollo n. 11 del 1-11-1998 sono previste misure cautelari dirette ad evitare che, nelle more del procedimento, persone possano essere espulsi o estradati esponendole al rischio di essere messe a morte, o torturate, o sottoposte a trattamenti disumani nel Paese di destinazione. Corte Dir. dell’Uomo, 21-10-1996, in Riv. dir. int., 1996, 531.

   disposizione   costituzionale   in   argomento   contiene  una   riserva  di   legge   sia  per   l’attuazione  del   principio  del  

“giusto  processo”,  sia  per  quello  della  “ragionevole  durata”.  Tralasciando  il  secondo,  in  relazione  al  primo,  è  

indubbio   che   il   legislatore   costituzionale   abbia   voluto   riservare   al   primato   della   legge   la   disciplina   del  

contraddittorio  nella  parità  dei  contendenti,  davanti  ad  un  giudice  terzo  ed  imparziale.  Ma,  qui  si  pongono  due  

interrogativi   strettamente   interdipendenti   tra   loro:   il   primo   riguarda   il   tipo   di   riserva   di   legge;   il   secondo  

l’ambito   di   applicazione   operativa   del   “giusto   processo   regolato   dalla   legge”.   La   soluzione   della   seconda  

domanda  dipende  dalla  prima  come  questa  si  risolve  con  la  risposta  alla  seconda.    

Per   la   sua   formulazione   sintattico-­‐linguistica,   la   locuzione,   “regolato  dalla   legge”,   si  discosta   totalmente  dal  

lessico   che   usualmente   si   rinviene   nelle   altre   disposizioni   costituzionali   contenenti   riserve   di   legge   come  

altrettanto   fa   l’ultima  proposizione  del   secondo  comma  dello   stesso  art.  111  Cost.:   “La   legge  ne  assicura   la  

ragionevole   durata.”.   Ciò   potrebbe   avere  un  qualche   valore  o   significato   che   va  oltre   la   riserva   in   sé,   il   cui  

approfondimento  esula,  però,  dall’oggetto  di  queste  sintetiche  riflessioni,  pertanto  ci  si   limiterà  –  per  quello  

che   può   rilevare   –   ad   esaminare   brevemente   la   questione   circa   il   tipo   di   riserva   di   legge41.   Giammai   si  

potrebbe   parlare   di   riserva   di   legge   (relativa)   con   riferimento   al   rapporto   tra   potere   legislativo   e   autorità  

giudicante:   individuando  nel  potere  discrezionale  del  giudice   l’ambito  di  operatività  o   lo  spazio  non  coperto  

dalla  disciplina  legislativa.42  

Se  di  riserva  di  legge  si  tratta,  essa  non  può  che  essere  assoluta,  nel  senso  che  la  disciplina  processuale  spetta  

unicamente  al   potere   legislativo,   a  nulla   rilevando,  perché  non  ne   verrebbe   intaccata,   la  discrezionalità  del  

giudice   che   rimane   la  medesima  di   sempre   anche  prima  della   riforma  dell’art.   111  Cost.   Piuttosto,   occorre  

chiedersi,   che   bisogno   c’era   di   prevedere   una   riserva   legislativa   quando   mai   nessuno   ha   dubitato,   anche  

                                                                                                               41   Senza   invadere   il   campo  del   diritto   costituzionale,   la   riserva   di   legge   (assoluta   o   relativa)   è   un   istituto   o  strumento  costituzionale  che  riguarda  il  rapporto  tra  organi  che  hanno  la  potestà  normativa:  il  Parlamento,  I  Consigli  regionali  e  provinciali  di  Trento  e  Bolzano,  il  Governo,  gli  Enti  pubblici  e  le  Pubbliche  amministrazioni.  Se   la   riserva   è   assoluta   la   competenza   è   esclusiva   del   Potere   legislativo;   se,   invece,   è   relativa   col   potere  legislativo   può   concorrere   nei   limiti   e   nei   modi   consentiti,   la   potestà   amministrativa   (regolamenti   di  attuazione,  di  esecuzione,   indipendenti  o  autonomi).  Sul  concetto  di  riserva  di   legge  si  rinvia  a:  T.  Martines,  Diritto  costituzionale,  Messina,  1976,  353-­‐358.      42 Non si può condividere la tesi secondo la quale la riserva di legge serve non solo per attribuire al legislatore ordinario la disciplina di talune materie ma anche per regolare i rapporti tra potere legislativo e potere applicativo. Sostiene tale tesi: P. Pellegrinelli, Giusto processo (civile), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Aggiornameno ***, cit., 648-649.

   perché   rinvenibile   dal   sistema   costituzionale,   che   la   disciplina   del   processo   giurisdizionale   (civile,   penale,  

amministrativo)  fosse  di  competenza  del  potere  legislativo.43  

Ritornando  alla   formulazione   linguistica  della  proposizione  “regolato  dalla   legge”  potrebbe  voler  dire,  senza  

pretese  di  verità,  che  il  “il  giusto  processo”  è  quello  stabilito  dalla  legge  senza  possibilità  per  l’interprete,  non  

per  la  discrezionalità  del  giudice  che  si  esercita  in  relazione  ad  un  dicere,  di  definire  ciò  che  è  o  non  è,  ciò  che  

costituisce  o  meno,  “giusto  processo”.  Una  definizione  contenutistica  di  “giusto  processo”  sarebbe  stata  del  

tutto   inopportuna   per   un   testo   di   legge,   anche   se   costituzionale,   attesa   la   delicatezza   e   il   rischio   di  

cristallizzazioni  del  concetto  sia  rispetto  all’evoluzione  dei  tempi  sia  in  ordine  a  nuovi  intendimenti  anche  sul  

piano  della  normativa  europea  ed  internazionale  con  la  quale  il  confronto  è  continuo.  Sicchè,  la  definizione  del  

contenuto   si   rinviene   solo   in   quello   regolato   dalla   legge   che,   comunque,   non   vuol   dire   affatto  

costituzionalizzazione  del  sistema  processuale.  E  comunque  la  proposizione  costituzionale  assume,  altresì,  una  

particolare  immediata  valenza  precettiva.  

Ma   anche   a   voler   seguire   la   tesi   che  mette   in   relazione   la   riserva   di   legge   con   lo   spazio   discrezionale   del  

giudice  il  discorso  non  cambia.  

Il   tema   della   discrezionalità   porta   ad   introdurre   la   seconda   domanda   relativa   all’ambito   di   applicazione   in  

materia  civile  del  giusto  processo  ex  art.  111  Cost.  

Ritenerlo  relegato  al  solo  processo  ordinario  di  cognizione  ex  art.  163  ss.  c.p.c.  sarebbe  oltremodo  riduttivo  ed  

arbitrario   anche   perché   dalla   disposizione   costituzionale   appena   citata   e   segnatamente   dalla   locuzione   “la  

giurisdizione”,   come  emerge  dagli  artt.  1  c.p.c.  e  2907  c.c.,   riguarda   tutti   i  procedimenti  o  processi   in  cui   si  

facciano   valere   violazioni   o   riconoscimenti   di   diritti   soggettivi   e   status.   Semmai   sarebbe   legittimo   dubitare  

                                                                                                               43 L’art. 24 dopo la precettività dei commi 1, 2, e 3, il quarto contiene una riserva di legge per la riparazione degli errori giudiziari; l’art. 25 sul giudice naturale precostituito per legge; l’art. 101 per il quale la giustizia è amministrata in nome del popolo legando la giurisdizione alla sovranità popolare poi assoggetta i giudici alla legge e sempre con legge deve essere prevista e disciplinata la diretta partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia e lo stesso art. 111 ante riforma e si potrebbe continuare. Sul concetto di “giusto processo” basato sul diritto di difesa: Corte Cost., 15-9-1995, n. 432, in Foro it., 1995, 3371; Corte Cost., 24-4-1996, n. 131, con nota di Margaritelli, in Giur. costit. 1996, 1139. Di nessun rilievo, invece, è l’obiezione che in Francia il fenomeno della disciplina processuale, rimesso alla potestà regolamentare, sia diffuso: Capponi, Il giusto processo civile e la riforma dell’art. 111 Cost., in Il giudice di pace, 2000, 203; Id., Presentazione ,in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il “Giusto processo” in materia civile, a cura di Capponi e Verde, Napoli, 2002, 15. In Francia, la Costituzione prevede un sistema delle fonti diverso dall’ordinamento italiano che conferisce al potere di normazione secondaria ampi margini di operatività. Gli artt. 25 e 46, rispettivamente nei Titoli IV e V prevedono la legge organica e la procedura di approvazione e modifica che la pongono sopra le altre leggi ordinarie; l’art. 34 stabilisce il contenuto per materie delle altre leggi; l’art. 37 prescrive che tutte le materie non demandate alla legge hanno natura regolamentare; gli artt. 37-1 e 38 rispettivamente stabiliscono che leggi e regolamenti possono per oggetto e durata limitata contenere disposizioni a carattere sperimentale e che il Governo può essere autorizzato dal Parlamento ad emanare ordinanze su materie riservate alla legge. Pur difettando di completezza per evidenti ragioni di economia, comunque, risulta evidente che l’uso dello strumento regolamentare è ben più ampio ed esteso rispetto all’ordinamento italiano: la materia processuale non sembra affatto contemplata tra le materie oggetto di disciplina legislativa a vario livello o di esclusiva competenza legislativa.

   della  compatibilità  con   il  principio  del  giusto  processo,  di   taluni  procedimenti  di   tipo  sommario  come  quelli  

camerali  di  volontaria  giurisdizione  ove,  tali  procedimenti,  vengano  impiegati  per   la  tutela  di  diritti  e  status,  

sebbene  i  relativi  provvedimenti  siano  privi  di  attitudine  al  giudicato.44  

La  compatibilità  del  giudizio  ordinario  di  cognizione  col  giusto  processo  non  suscita  particolari  problemi  se  non  

si   adottano   rigide   interpretazioni   delle   preclusioni45   e   non   si   eccede   nei   formalismi,   ma   in   ordine   ai  

procedimenti   sommari   e   a   quello   cautelare   che   qui   interessa,   si   pongono   alcuni   interrogativi   in   ordine   ai  

poteri  del  giudice  e  delle  parti.  

Vengono  in  rilievo  tempi  e  modi  di  instaurazione  del  contraddittorio  e  di  svolgimento  dello  stesso,  i  poteri  del  

giudice  e  delle  parti,   i  mezzi   istruttori  e   la  tipologia  delle  prove.  Molto  è  rimesso  al  potere  discrezionale  del  

giudice.  

Se  poi  si  tenga  presente  che  il  contraddittorio  si   instaura  e  riguarda  non  solo   le  parti  ma  anche  queste  ed   il  

giudice,  nel  momento  in  cui  è  quest’ultimo  a  dettare  le  regole  del  gioco,  la  parità  delle  parti  e  la  estraneità  e  

soprattutto  l’imparzialità  del  giudice  sono  in  sofferenza  ed  a  rischio  di  essere  compromesse.  

A  tal  uopo  la  dottrina  ha  coniato  la  distinzione  tra  poteri  destinati  all’organizzazione  e  al  governo  del  processo  

e  poteri  suscettibili  di  incidere  sul  contenuto  della  decisione.46  

In   ordine   ai   primi   sarebbe   consentito   al   giudice   di   utilizzare   la   propria   discrezionalità;   quanto   ai   secondi,  

invece,  debbono  essere  rigidamente  predefiniti  dalla  legge.  

A   tale   proposito,   sebbene   la   distinzione   riportata   gioverà   in   seguito   a   proposito   della   tipologia   dei  

provvedimenti  cautelari  ed  è  propedeutica  alla  soluzione  ermeneutica  preferita,  preme  notare  che   l’uso,  da  

parte  del  giudice,  della  discrezionalità  nel  potere  di   regolare   il  contraddittorio  e  di  assumere  direttamente   i  

mezzi   istruttori   dettando   termini   e   modi,   finisce   inevitabilmente   per   coinvolgerlo   “fisicamente”   ed  

“emotivamente”  nel  merito  della  contesa  con  la  conseguenza  altrettanto  inevitabile  di   incidere  sul  processo  

formativo  del  convincimento  e  in  definitiva  finisce  per  incidere  nella  decisione.  Tanto  più,  ciò  può  accadere,  e                                                                                                                  44 Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 1149. Sotto altro e diverso profilo: giusto processo vuol dire anche il giusto rito processuale per la situazione sostanziale azionata. La scelta del rito quando l’ordinamento non consente l’alternatività nella scelta tra rito ordinario e rito sommario, se la questione oggetto della domanda giudiziale è di diritto e deve essere decisa con efficacia di giudicato, non c’è libertà di scelta, il giudizio ordinario è scelta obbligata. Si pensi a questioni relative a diritti personalissimi e/o di libertà come può essere la scelta di decidere su un determinato trattamento sanitario, rifiutare o meno cure o su ciò che può essere o meno accanimento terapeutico, sono tutte situazioni che devono necessariamente essere trattate con il rito ordinario in quanto potendo le relative decisioni produrre effetti irreversibili non si può deciderle con il decreto ex artt. 737 e ss. c.p.c., peraltro sempre revocabile ai sensi dell’art. 742 c.p.c., ma che diventa irrevocabile ove la esecuzione della decisione abbia prodotto o concorso a produrre l’evento di non ritorno come avvenuto nel famoso caso della sfortunata Eluana Englaro. Sul rapporto tra giusto processo e scelta del giusto rito: Proto, La Meta(oltre)Fisica del processo. A proposito del caso Englaro, cit, 22-39. 45 Monteleone, Diritto processuale civile, cit. 33, reputa l’intero sistema processuale incompatibile con le garanzie dell’art. 111 Cost. 46 Fabbrini, <<Poteri del giudice (dir.proc.civ.)>>, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, 721 ss.

   chi  vive  l’esperienza  del  processo  lo  sa  bene,  quando  l’oggetto  della  tutela  cautelare  riguarda  temi  altamente  

sensibili  quali  i  diritti  personalissimi  di  libertà  e/o  questioni  relative  all’ambiente47.  Il  rischio  della  prevenzione  

è  forte  ed  in  qualche  modo  riguarda  la  pericolosità  intrinseca  della  tutela  cautelare  in  sé,  anzi  ne  costituisce  un  

elemento.  Tanto  è  vero  che  l’art.  669terdecies  c.p.c.  vieta  al  giudice  del  provvedimento  di  prendere  parte  al  

collegio   in   sede  di   reclamo   codificando   così,   per   il   procedimento   cautelare   e   per   la   fase  di   reclamo,   la   c.d.  

“incompatibilità  da  prevenzione”.  

Tuttavia,   il   sistema   del   procedimento   cautelare   per   le   ragioni   che   seguiranno   deve   ritenersi   al   riparo   da  

sospetti   di   incostituzionalità,   sebbene,   de   jure   condendo,   sarebbe   opportuno   che   il   legislatore,  

compatibilmente   con   la   celerità   necessaria   più   che   doverosa   della   procedura   cautelare,   predisponga   delle  

tecniche   per   garantire   la   terzietà   del   giudice   rispetto   all’esercizio   del   potere   di   governo   del   processo:   una  

sorta  di  filtri  o  di  ammortizzatori  processuali  per  impedirne  il  “naturale”  coinvolgimento  nella  lite.    

Innanzitutto,  il  discorso  che  si  è  fatto  sui  dubbi  circa  la  compatibilità  della  procedura  cautelare  con  la  norma  ex  

art.  111  Cost.  potrebbe   in  qualche  modo  valere  se   il  processo  cautelare  fosse,  come  in  certi  casi   lo  è  quello  

sommario,  alternativo  e/o  concorrente  col  processo  ordinario.  Il  che  non  è.  

Non   si   può   disconoscere   che   nel   processo   ordinario   più   di   ogni   altro   si   coglie   il   senso   e   la   coscienza  

comunitaria   contestualizzati;   che,   esso,   più   di   ogni   altro   offre   uno   schema   di   garanzie   e   di   strumenti   per  

attuare  quella  corrispondenza  delle  risultanze  istruttorie  alla  realtà  delle  cose;  che  garantisce  la  estraneità  e  la  

terzietà   del   giudice   meglio   del   procedimento   sommario   e   sommario   cautelare   e   che   sul   piano   quali-­‐

quantitativo  il  contraddittorio  si  costituisce  e  si  realizza  nelle  forme,  nei  termini  e  modi  predefiniti  dalla  legge,  

come   altrettanto   avviene   per   i  mezzi   istruttori   e   la   formazione   della   prova   e   non,   come   nel   procedimento  

sommario  e  cautelare,  in  cui  viene  stabilito  dai  poteri  “officiosi”  del  giudice.  

Tuttavia,  gli  strumenti,  sopra  descritti,  propri  del  processo  ordinario,  non  mancano  del  tutto  nel  procedimento  

cautelare,   certamente   essi   sono   quali-­‐quantitativamente   minori   perché   calibrati/commisurati   in   modo  

precipuo   al   tipo   di   tutela   che   deve   essere   celere   e   come   tale   deformalizzata  ma   non   senza   il   rispetto   del  

contraddittorio.   L’art.   669sexies   c.p.c.   esordisce:   “il   giudice   sentite   le   parti,   omessa   ogni   formalità   non  

essenziale  al  contraddittorio,  procede  nel  modo  che  ritiene  più  opportuno  agli  atti  di   istruzione  indispensabili  

…”.  Quindi,  la  salvaguardia  del  contraddittorio  costituisce  un  limite  invalicabile  alla  discrezionalità  del  giudice  

nel   tracciare   le   linee  guida,   il  modus  procedendi;  ogni   semplificazione  o  deformalizzazione   trova  un  arresto  

                                                                                                               47 Novarese, Tutela dei nuovi diritti e procedimento cautelare riformato, cit. 223 ss.

   quando  si  rivela  “essenziale”  al  contraddittorio.  La  valutazione  di  tale  “essenzialità”  è  rimessa  al  giudice  e  non  

ad  una  pre-­‐definizione  normativa  e  questo,  più  di  ogni  altro  elemento,  distingue  il  procedimento  sommario  da  

quello  ordinario48.  

La   qualità   e   l’ambito   di   operatività   della   realizzazione   e   dello   svolgimento   del   contraddittorio,   in   quanto  

stabilito  dal  giudice  e  non  da  una  predeterminazione  normativa  che,  nel  procedimento  in  esame,  si  limita  solo  

a   prevederne   il   rispetto   senza   indicarne   termini   e  modi,   non   è   e   non   può   essere   pieno,   come   nel   giudizio  

ordinario,  ma,  tuttavia  esiste  ed  è  essenziale  all’emanazione  di  un  provvedimento  che  è  privo  di  attitudine  al  

giudicato   e   serve   –   in   via   provvisoria   –   a   preservare-­‐cautelare   un   bene   oggetto   di   una   situazione   giuridica  

soggettiva  o  ad  anticiparne  gli  effetti  ove  vi  sia  il  pericolo  concreto  ed  imminente  che  nel  tempo  del  giudizio  

ordinario  possa  venire  pregiudicato  irreversibilmente.  E  sempre  sul  piano  delle  garanzie,  non  è  di  secondaria  

importanza,   la   sussistenza,   grazie   all’istituto   dell’art.   669terdecies   c.p.c.,   della   previsione   di   un   sistema   di  

controllo  dell’operato  del  giudice  del  provvedimento.    

                                                                                                               48 Una parte della dottrina, – in contrapposizione alla tipologia codificata del processo ordinario di cognizione – predilige una forma processuale con un ruolo centrale del giudice più attivo e creativo, dotato di maggiore discrezionalità, non solo con “il compito di coordinare le attività per il corretto svolgimento del processo, ma anche quello di creare regole, divenendo così partecipe della formazione di principi orientativi della collettività, non limitandosi a semplice passiva “bocca della legge”. S. Ricci, I nuovi confini del binomio mutatio – emedatio libelli come ridisegnati dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite del 2015, in www.Judicium.it, § 6, 103-104. Va da sé che una tale concezione finisce per enucleare una tipologia di processo quanto meno intermedia tra quello ordinario di cognizione e quello sommario. Tale opinione trova avallo a livello della migliore dottrina europea: F. Ost, Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?, in Rassegna Forense, Parte Prima, 3-4, Roma, Luglio-Dicembre 2013, 701 ss. Questo Autore premette però la necessità di una rivoluzione culturale che modifichi totalmente i rapporti cittadini/Stato, tra le Istituzioni ed i livelli di fiducia, da cui siamo lontanissimi. Comunque, rinviando a: Proto, La Meta(oltre)Fisica del processo. A proposito del caso Englaro, cit., 22-39, e agli Autori ivi citati, qui occorre dire che la terzietà ed imparzialità del giudice è una preziosa conquista degli ordinamenti moderni, ora elevata espressamente a principio costituzionale nell’art. 111 Cost., terzietà ed imparzialità, che, seguendo la concezione appena esposta, a prescindere da rivoluzioni culturali, sarebbe fortemente messa in discussione per il semplice fatto che un aumento dei poteri discrezionali del giudice ed un ruolo più attivo e creativo lo coinvolgerebbero nel contraddittorio con tutto quello che ne consegue non ultima la formazione della prova e quindi nel procedimento conoscitivo con ciò conducendolo ad una decisione falsata, soprattutto poi se deve compiere funzioni valutative e di partecipazione ai principi orientativi della collettività. Si avrebbe un giudice legislatore che non avendo gli strumenti per mediare dal generale, si trasformerebbe in un arbitrario moralista sebbene in perfetta buona fede. Un’altra ben più condivisibile scuola di pensiero – per una maggiore effettività della “terzietà ed imparzialità” del giudice, per renderlo ancora più indifferente rispetto alla lite e alle parti della contesa – ha enucleato il concetto di “incompatibilità da prevenzione” che per il processo cautelare (come detto più sopra nel testo), è espressamente codificata nel secondo comma dell’art. 669terdecies c.p.c. laddove dice che del collegio in sede di reclamo non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento. V..: Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro It., 2000, V, 241-247; Bove, Art. 111 Cost. e giusto processo civile, in Riv.dir.proc., 2002, 479 e 509 ss., ma anche Corte Cost. 387/1999 che interpreta estensivamente il termine <<grado del processo>> di cui all’art. 51 n. 4, c.p.c., nel senso di ricomprendere la fase che si succede ad altra con carattere impugnatorio come sarebbe potuta avvenire nel processo cautelare se non ci fosse stata la espressa previsione del divieto nel citato art. 669terdecies c.p.c.; altro ancora ci sarebbe da dire sul divieto di scienza privata del giudice sia sui fatti principali o secondari, sia sulle fonti materiali di prova ed addirittura in materia di massime specialistiche, ma l’argomento esula dalla presente riflessione. Nel senso qui condiviso militano: Liebman, Fondamento del principio dispositivo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, 551, 562; Id.: <<Giudici legslatori?>>, in Riv. dir. proc., 1984, 756-760; Fazzalari, L’imparzialità del giudice, in Riv. dir. proc., 1972, 193 ss.; Comoglio, Direzione del processo e responsabilità del giudice, in Riv. dir. proc., 1977, 14, 21; Tarzia, Le garanzie generali del processo nel progetto di revisione costituzionale, in Riv. dir. proc., 1998, 657, 664.

   La  doverosità  costituzionale  della  tutela  cautelare  e  ciò  che  la  rende  tale  è  costituito  da  valori  costituzionali  di  

rango  elevato   come   la  effettività  della   tutela   giurisdizionale   che  potrebbe  venire  ad  essere   frustrata  o   resa  

inutile  dai  tempi  fisiologicamente  necessari  del  giudizio  ordinario.  Sicchè,  un’attenuazione  delle  garanzie  del  

giusto   processo,   ma   senza   esautorarle   del   tutto,   è   tollerabile   in   funzione   della   tutela   del   principio  

costituzionale  fondamentale  della  effettività  della  tutela  giurisdizionale  in  sé  ed  in  ordine  alla  quale  sarebbero  

poste  quelle  garanzie  del  giusto  processo.  E’,  altresì,  di  rilevante  importanza,  il  fatto  che,  il  cedimento  solo  in  

parte   delle   garanzie   del   giusto   processo,   in   funzione   dell’altra   fondamentale   primaria   garanzia,   avviene  

nell’ambito   di   un   procedimento   che   termina   con   un   provvedimento   provvisorio   privo   di   attitudine   al  

giudicato.   E   tale   provvedimento   è   strumentalmente   indispensabile   alla   tutela   ordinaria   per   consentirle   di  

affermare  il  diritto  dell’attore  che  ha  ragione.  

In  tal  modo  la  tutela  cautelare  realizza  o  concorre  a  realizzare  in  concreto  il  giusto  processo  che  non  sarebbe  

tale  se  il  ricorso  alla  tutela  a  cognizione  piena  si  dimostrasse  inutile,  infruttuosa,  tardiva.    

Conclusivamente   sul   punto   ogni   disquisizione   sull’autonomia   o   meno   dell’azione   cautelare,   o   sulla  

autonomina   o   meno   del   relativo   procedimento,   o,   addirittura,   se   abbia   o   meno   natura   di   processo   o   di  

giudizio   o   se   piuttosto   sia   un   procedimento   giurisdizionale   o   una   normativa   senza   giudizio,   deve   ritenersi  

oltremodo  sterile  sul  piano  teoretico  e  soprattutto  su  quello  pratico  perché  la  tutela  cautelare  resta  quella  che  

è  con  la  funzione  di  cui  si  è  detto.  

A  questo  punto  occorre  continuare  l’esplorazione  degli  istituti  che  possono  rivelarsi  di  ausilio  alle  soluzioni  cui  

si  perverrà  a  conclusione  della  presente  riflessione.  

 

 

2. Breve   indagine   sul   significato   giuridico   del   fenomeno   (dell’assenza   del   ricorrente   all’udienza  

cautelare)  nell’ambito  del  sistema  normativo.    

 

L’assenza  del  ricorrente  all’udienza  può  essere  determinata  da  molteplici  fattori  non  sempre  dipendenti  dalla  

volontà  del  ricorrente  medesimo.  

La  pratica  giudiziaria   insegna  che,  molte  volte,  soprattutto  nei  grandi  uffici  giudiziari  e  quando  non  è  fissato  

l’orario   di   comparizione   o   non   è   indicata   l’aula   d’udienza,   è   facile   che   il   ricorrente   si   veda   cancellato   o  

   rigettato   il   ricorso  mentre   sosta  nei   corridoi   in   attesa   che   venga   chiamata   la   causa,  oppure   semplicemente  

perché  arriva  con  ritardo  o  non  arriva  affatto  per  imprevisti  dovuti  per  cause  indipendenti  dalla  sua  volontà49.  

Nel  silenzio  della  normativa  nessuno  può  stabilire  se  l’assenza  del  ricorrente  all’udienza  equivalga  o  meno  ad  

una  sorta  di  sopravvenuta  carenza  di  interesse  alla  tutela  urgente.  

Può   essere   utile   verificare   se,   da   una   cernita   delle   disposizioni   dettate   per   alcuni   procedimenti   sommari,  

all’interno  degli  stessi,  si  rinvengano  ipotesi  –  come  quella  in  esame  –  alle  quali   l’ordinamento  riconduce  un  

particolare  valore  con  l’attribuzione  di  una  apposita  disciplina.  

Nel   procedimento   per   la   convalida   di   sfratto   ex   art.   662   c.p.c.   alla   mancata   comparizione   del   locatore  

all’udienza  fissata  nell’atto  di  citazione  segue  la  cessazione  ipso  iure  degli  effetti  della  intimazione.  

Il  che  non  impedisce  la  sua  riproposizione.  

Altre   disposizioni   si   rinvengono   nell’art.   23,   comma   V,   della   legge   24.11.1981,   n.   689,   (dettata   in   tema   di  

opposizione  all’ordinanza-­‐ingiunzione  per  il  pagamento  di  sanzioni  amministrative),  che  prevede  la  pronuncia  

di   convalida   in   caso   di   mancata   comparizione   dell’opponente   alla   prima   udienza   senza   un   legittimo  

impedimento  e  in  quelle  dettate  in  tema  di  mancata  comparizione  dell’intimato  per  la  convalida  di  sfratto  ex  

art.   663   c.p.c.   o   in  quella   ex   art.   647   c.p.c.   in   tema  di   esecutorietà  del   decreto   ingiuntivo  per  mancanza  di  

opposizione.  

Tali  fattispecie,  però,  –  a  ben  vedere  –  in  un  certo  senso  rovesciano  il  problema  qui  in  esame  perché  non  è  la  

posizione  solamente  formale  del  ricorrente  in  sé  che  assume  rilievo  bensì  quella  di  ricorrente-­‐attore,  in  senso  

formale  e  sostanziale,  cioè  di  colui  che  invoca  una  determinata  tutela.  

Nelle disaminate ipotesi (di opposizione alla ordinanza-ingiunzione ex art. 23, legge n. 689/1981, della

convalida di sfratto ex art. 663 c.p.c. e della opposizione al decreto ingiuntivo), si tratta delle posizioni di parti

convenute in senso sostanziale la cui difesa è fisiologicamente orientata a paralizzare gli effetti di un

                                                                                                               49 Per Trib. Roma 13.2.2002, in Giur. Lav. 2002, 492, con nota di Tatarelli, la omessa specificazione dell’aula di svolgimento dell’udienza camerale nel decreto di comparizione non costituisce giustificato motivo dell’assenza del ricorrente. Ma i casi di assenza incolpevole possono essere numerosissimi. L’impedimento di fatto può venire dall’incapacità naturale della parte, cioè dallo stato di fatto della persona che non è in grado di intendere e di volere per qualsiasi causa permanente o transitoria. L’inerzia della parte può, altresì, essere causata dagli stati soggettivi che escludono la conoscenza dell’esistenza attuale o della forma di esercizio del potere processuale, come l’ignoranza e l’errore (incolpevoli). Nell’esperienza concreta si sono registrati eventi che vanno dall’incidente stradale grave alla morte o alla perdita di capacità improvvisa della parte e/o del difensore come la sospensione o la radiazione e si potrebbe continuare, ma situazioni tutte, comunque, estreme verificatesi in tempi che non hanno consentito la tempestiva sostituzione o la comunicazione del fatto o la sua informativa al cospetto del giudice in quanto accaduto il giorno prima dell’udienza o addirittura lo stesso giorno ma prima dell’udienza.

   provvedimento giudiziale sommario-esecutivo50 per impedirne la definitività ed in virtù della quale opposizione

si apre un ordinario giudizio di cognizione.

Per quanto riguarda poi l’esempio per primo indicato, della mancata comparizione del locatore all’udienza ex

art. 662 c.p.c. la perdita di efficacia dell’intimazione è un effetto espressamente previsto in considerazione della

natura propria dell’intimazione che consiste in un ordine impartito dal locatore nei confronti del conduttore con

effetti non solo di carattere formale51.

Sicchè, nemmeno questa ultima fattispecie, che in un certo senso disciplina una posizione simile a quella del

ricorrente in sede cautelare, può essere presa in considerazione per dare risposta al fenomeno in esame.

Infine, i procedimenti per separazione personale e di scioglimento o di cessazione degli effetti civile del

matrimonio prevedono rispettivamente nell’art. 707 c.p.c. e nell’art. 4, comma VII, legge 1.12.1970, n. 898, che

la mancata comparizione del ricorrente all’udienza davanti al presidente, comporta la inefficacia della

domanda.

In sostanza qui, sia pure sul piano degli effetti, l’assenza viene equiparata alla rinuncia.

Il dato significativo che accomuna tutti i procedimenti disaminati è quello di una espressa previsione normativa

che disciplina la fattispecie dell’assenza del ricorrente all’udienza.

Altrettanto significativo può essere il fatto che nel procedimento cautelare uniforme manca un’apposita

disciplina o una norma che rinvii agli artt. 181 e 309 c.p.c.

Tuttavia, dagli ultimi istituti appena disaminati (mancata comparizione del locatore ex art. 662 c.p.c. e del

ricorrente in separazione giudiziale e di divorzio) può argomentarsi che la perdita di efficacia della domanda

voluta dall’ordinamento si spiega – analogamente a quanto avviene nella tutela cautelare – nell’esigenza di

certezza della situazione processuale per la particolare gravità e per le conseguenze insite nella domanda stessa

che – sia pure a fini differenti – risiede nello sfratto e nell’istanza di separazione o divorzio.

Nella tutela cautelare è insita quella pericolosità intrinseca52 che meriterebbe lo stesso trattamento

dell’intimazione di sfratto e del ricorso per separazione e divorzio.

Il silenzio normativo nel procedimento cautelare, sul piano astratto, non ammette ma nemmeno esclude il

ricorso all’analogia delle suddette disposizioni, dettate per il processo ordinario di cognizione che, a sua volta,

costituisce il cardine centrale, il paradigma dell’intero sistema processuale.

                                                                                                               50 Sui provvedimenti sommari esemplificati esecutivi: A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, 402; Civinini, Proto Pisani, I procedimenti possessori, in Foro it., 1994, I, 635 ss.. 51 Sul procedimento di convalida di sfratto e sugli effetti della intimazione: Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., p. 134; Lazzaro-Preden-Varrone, Il procedimento per convalida di sfratto, Giuffrè, Milano, 1978, 6 ss. 52 Proto Pisani, Corso di Diritto Processuale Civile, Napoli, 2012, cit., 607 ss.

   Nel prosieguo si cercherà di dare una risposta a tale interrogativo verificando la compatibilità o meno

dell’istituto della estinzione per inattività semplice con il procedimento cautelare e le ragioni a sostegno

dell’uno o dell’altro profilo.

Ma,  soprattutto  si  cercherà  di  individuare  la  soluzione  all’interno  del  procedimento  cautelare  uniforme  perché  

è   in   esso   che   potrebbe   risiedere   la   ragione   del   silenzio   del   legislatore,   silenzio   da   intendersi   non   come  

mancata  previsione  di  una  disciplina  del  fenomeno  (lacuna),  ma  come  soluzione  diversa  conformemente  alla  

particolarità  del  tipo  di  tutela:  silenzio  sensato.53  

 

 

3. Le   ragioni   che   negano   l’applicazione   analogica   degli   artt.   181   e   309   c.p.c.   e   il   valore   significativo  

dell’assenza  del  ricorrente  all’udienza  (cautelare)  rispetto  ai  suoi  possibili  effetti.    

 

La   inapplicabilità   del   combinato   disposto   degli   artt.   181   e   309   c.p.c.   è   fatta   discendere   dalla   urgenza   del  

periculum   e   dalla   intrinseca   specialità   che   caratterizzano   il   procedimento   cautelare   rispetto   al   giudizio  

ordinario  di  cognizione54,  nonché,  secondo  una  dottrina55,  dalla   intrinseca  pericolosità  della  tutela  cautelare  

che  si  aggraverebbe  a  causa  del  protrarsi  della  situazione  di  incertezza  provocata  dallo  stato  di  quiescenza  del  

procedimento.  

Nel   giudizio   di   legittimità,   davanti   alla   Corte   di   Cassazione,   sebbene   non   si   applichi   il   richiamato   disposto  

normativo,  il  ricorso  procede  di  impulso  d’ufficio56.  

La  stessa  soluzione  non  è  ritenuta  adattabile  al  procedimento  cautelare  perché  nel  giudizio  di  merito  vige   il  

principio  dispositivo57.  

Ma   proprio   perché   vige   tale   principio   non   sarebbe   del   tutto   fuori   luogo   applicare   l’istituto   generale  

dell’estinzione  del  giudizio  per  assenza  del  ricorrente  ai  sensi  degli  artt.  181  e  309  c.p.c.,  tanto  più,  come  si  è  

visto,   che  non   si   può   attribuire   a   tale   assenza   alcun  particolare   significato:   può  essere  dettata  da   soluzioni  

transattive  definite  prima  dell’udienza  come  da  impedimento  incolpevole  del  ricorrente.  

                                                                                                               53 Sul silenzio sensato in contrapposizione alla chiacchera hedeggeriana e al mero silenzio insignificante: P. Proto, La Meta(Oltre)Fisica del processo. A proposito del caso Englaro, in Academia Edu, 17-7-2017, 53-57. 54 Trib. Messina 12.7.2005, in Juris data. 55 A. Proto Pisani, Corso di Diritto Processuale Civile, Napoli, 2012, cit., p. 607 ss. 56 Finocchiaro, (dir. proc. civ. ) in Enc. Diritto, XXII, Giuffrè, Milano, 1972, p. 428; G. Molfese, Ricorso e controricorso per Cassazione in materia civile, Cedam, Padova, 2002, p. 284.; Cass. 19.11.1993, n. 11418; Cass. 9.4.1988, n. 2797. 57 Cass. 9.4.1988, n. 2797.

   La  fissazione  di  una  nuova  udienza  in  detti  casi  consentirebbe  di  verificare  la  serietà  e  la  effettività  degli  intenti  

della  parte  assente  che  aveva  invocato  la  tutela  urgente.  

Sarà   onere   del   ricorrente   –   se   ancora   interessato   alla   tutela   cautelare   –   presenziare   all’udienza   successiva  

spiegando  i  motivi  di  quell’assenza  ovvero  dimostrando  interesse  alla  tutela  urgente.  

In   tal   caso   il   giudice   potrà   verificare   la   permanenza   o   meno   dei   presupposti   del   fumus   boni   juris   e   del  

periculum  in  mora  e  decidere  di  conseguenza.  

Interpretare la mancata presentazione del ricorrente all’udienza, come una sopravvenuta carenza di interesse

alla tutela (urgente), può essere una soluzione empirica, ma priva di alcun riscontro reale ancor prima che

normativo.

Tuttavia,   l’assenza  di  una  disciplina  della  situazione  processuale  in  parola  e  la  ferma  presa  di  posizione  della  

giurisprudenza   nel   ritenere   inapplicabile   il   combinato   disposto   degli   artt.   181   e   309   c.p.c.   autorizzano  

l’interprete  ad  esplorare  altri   siti   normativi   e  a   studiare   il   fenomeno   sotto  altri   e  diversi  profili   solutori   con  

l’ausilio  dei  principii  generali  del  processo  e  tenuto  conto  della  tipologia  dei  provvedimenti  cautelari.  

La  mancata  comparizione  del  ricorrente  all’udienza  –  di  per  sé  –  è  priva  di  significato  giuridico-­‐processuale  alla  

stessa   stregua   del   silenzio   insignificante   e/o   del   comportamento   privo   di   valore   giuridico   di   diritto  

sostanziale58.  

E’   priva   di   univocità   di   significato   e   la   sua   ambivalenza   o   plurivalenza   impedisce   di   attribuirle   un   preciso  

connotato  giuridico-­‐processuale59.  

Per  conferire  alla  situazione  in  esame  un  particolare  significato  è  necessario  che  il  comportamento  –  in  questo  

caso  omissivo  –  manifesti  una  realtà  più  o  meno  probabile  e  che  tra  il  fatto  manifestante  e  il  fatto  manifestato  

concorra   un   rapporto   di   manifestazione   o   di   significazione:   un   fenomeno   immediatamente   reale   e  

immediatamente   presente   deve,   in   sostanza,   far   apparire   (o   manifestare)   un   altro   fenomeno   non  

materialmente  presente  e  non  immediatamente  reale60.  

Nella  specie,  l’assenza  all’udienza  in  sé,  è  una  non  azione,  un  comportamento  omissivo  rispetto  ad  un’azione  

doverosamente  positiva  o  attiva  che  non  manifesta,  né  fa  apparire,  alcuna  realtà  diversa  dalla  mera  assenza.  

                                                                                                               58 C.M. Bianca, Il contratto, 3, Giuffrè, Milano, 1984, p. 214 ss.; V. Scalisi, Manifestazione in senso stretto, in Emc. dir., XXV, 477. 59  Può  darsi   che  si   tratti  di  abbandono  del   ricorso  come   invece  è  possibile   che  ci   sia   stato  un   impedimento  determinatosi   contestualmente   alla   trattazione   del   ricorso   stesso   in   modo   da   non   poterlo   rappresentare  tempestivamente  all’organo  giudicante.  In  quest’ultima  ipotesi  quando  il  ricorrente  è  in  grado  di  manifestare  l’impedimento  si  trova  già  la  decisione  pronta.    60 A. Falzea, Voci di teoria generale del diritto, Milano, Giuffrè, 1985, p. 103 e 106.

   Il  rilievo  non  è  di  poco  conto  se  si  considera  che  dall’attribuzione  o  meno  di  un  significato  particolare  a  tale  

assenza,  come  si  vedrà  da  qui  a  poco,  dipende  l’applicazione  delle  parziali  preclusioni  ex  art.  669-­‐septies  c.p.c.  

per  la  riproposizione  dell’istanza.  

Nella fattispecie regolata dal combinato disposto degli artt. 181 e 309 c.p.c., l’ordinamento, prescindendo,

almeno in un primo momento, dal reale significato dell’assenza delle parti, concede la possibilità di una nuova

udienza disertata la quale scatta l’effetto della cancellazione della causa dal ruolo e adesso – a seguito della

novella del citato art. 181 c.p.c. – anche la dichiarazione di estinzione.

La  soluzione  tecnica  prescinde  dalla  effettiva  volontà  delle  parti,  tant’è  che  alla  mancata  comparizione,  in  sé  e  

per   sé   considerata,   segue   la   fissazione   di   una   seconda   udienza   appositamente   fissata   ex   artt.   309   e   181  

c.p.c.61.  

Nessuna considerazione significativa può, dunque, trarsi dall’assenza del ricorrente all’udienza e tuttavia,

l’assenza in sè – secondo il rilievo dalla giurisprudenza – può costituire un elemento sintomatico ed oggettivo

di una carenza di interesse all’urgenza della tutela o del periculum in mora62.

In definitiva, l’assenza, in sé, essendo un fatto che presenta elementi di ambiguità, nel senso di non univocità di

significato, in guisa da renderlo inidoneo a manifestare una realtà più o meno probabile, costituisce una

variabile autonoma ed indipendente rispetto agli effetti che ad essa conseguono.

Senza attribuire alla mancata comparizione delle parti all’udienza cautelare un significato diverso da quello

attribuito alla medesima situazione nel processo di cognizione, occorre adeguare o conformare quella stessa

valutazione alla suitas del procedimento cautelare.

 

 

4. Le   sorti   del   giudizio   cautelare   a   seguito   dell’assenza   del   ricorrente   all’udienza   in   relazione   alla  

tipologia  dei  provvedimenti  cautelari.    

 

                                                                                                               61   Anche   in   tema   di   contumacia   nessun   particolare   effetto   si   fa   discendere   dalla   mancata   costituzione,  nemmeno   in   ordine   alla   non   contestazione   dei   fatti   costitutivi.   Faceva   eccezione   il   processo   societario   che  all’art.  13,  d.lgs  n.  17.1.2003,  n.  5,  sanzionava  la  contumacia  del  solo  convenuto  con  la  ficta  confessio,  venuta  meno   con   la   sentenza   della   Corte   Costituzionale   n.   340   del   8-­‐12.10.2007.   Sulla   contumacia   nel   processo  societario:  P.  Proto,  “Processo  societario:  rilievi  di  costituzionalità  e  profili  del  procedimento  di  cognizione,   in  Giur.  merito,  2004,  1037  ss..    62 Trib. Messina, 12 luglio 2005 in Giur. merito 2006, 2, 311 e in Juris data.

   La  tipologia  delle  pronunce  cautelari  –  e  detto  per  inciso  il  riferimento  non  è  alla  tipologia  delle  misure,  ovvero  

ai  singoli  provvedimenti  (come  sequestri,  denuncia  di  nuova  opere  e  di  danno  temuto,  di  istruzione  preventiva  

e  provvedimenti  atipici  ex  art.  700  c.p.c.),  bensì  alla   forma  provvedimentale,  prevista  quale  espressione  del  

potere  cautelare  del  giudice  -­‐    enunciata  nel  combinato  disposto  degli  artt.  669sexies,  669-­‐septies  e  669-­‐octies  

c.p.c.,  che  assumono  la  forma  del  decreto  (inaudita  altera  parte  di  concessione  della  cautela)  e  dell’ordinanza  

che  a  sua  volta  può  essere  di  accoglimento  o  di  rigetto  (del  ricorso),  ovvero  di  incompetenza.  

La  forma  delle  decisioni  cautelari  suddescritte  deve  ritenersi  prederfinita  normativamente  ai  sensi  dell’art.  111  

Cost.    

Le   disposizioni   ordinarie   sopra   citate   –   sul   piano   positivo   –   sono   la   diretta   proiezione   e   specificazione   del  

primo  comma  dell’art.  131  c.p.c.  in  quanto  costituiscono  quei  “casi”  stabiliti  dalla  legge  in  cui  il  giudice  emette  

ordinanza  o  decreto.  La  tipicità  formale  dei  provvedimenti  cautelari  è  connaturata  alla  gravità  degli  stessi   in  

relazione  alla  intrinseca  pericolosità  della  tutela  cautelare.  Alla  forma  del  provvedimento  è  immediatamente  

correlato  il  regime  normativo  di  riferimento  per  quanto  riguarda  effetti,  stabilità  e  impugnazione.63  

Ciò   posto,   solo   la   pronuncia   di   incompetenza   –   stando   al   tenore   letterale   del   primo   comma   dell’art.   669-­‐

septies  c.p.c.  –  consente  la  riproposizione  del  ricorso  senza  alcuna  sorta  di  preclusione.  

La   pronuncia   di   rigetto,   invece,   stando   al   tenore   letterale   della   norma   ultima   citata   ne   impedirebbe   la  

riproposizione  in  mancanza  di  un  mutamento  di  circostanze  o  di  nuove  ragioni  fattuali  e  giuridiche.  

Alla   medesima   conclusione   si   dovrebbe   giungere   in   presenza   di   una   pronuncia   di   estinzione   del   giudizio  

cautelare   tranne   che,   come   sostiene   una   giurisprudenza,   non   possa   assimilarsi   ad   un   provvedimento   di  

rigetto64.  

La   dottrina   sostiene   che,   dalla   espressa   previsione   di   una   pronuncia   di   incompetenza,   si   possa   trarre   la  

possibilità  di  altre  pronunce  di   rito  che  metterebbero  al   riparo   il   ricorrente  dalle  parziali  preclusioni  dettate  

per  la  riproposizione  del  ricorso  65.  

                                                                                                               63 Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c., cit., 5. Cass., 13-10-1986, n. 5980, in Giust. civ., 1987, I, 582. 64 La pronuncia di estinzione, come si dirà in seguito, oltre a non trovare riscontro nel catalogo dei provvedimenti cautelari, pone problemi con riferimento alla sua reclamabilità e alla relativa disciplina sebbene una giurisprudenza la consideri non alla stregua di un provvedimento di rigetto ritenendone la incondizionata riproponibilità: Trib. Torino, 21-4-1994, in Giur. it., 95, 1, II, 102; Trib. Agrigenti, 23-3-1995, ivi 698; Trib. Napoli, 14-10-1999, G. nap., 99, 396; Trib. S.M. Capua Vetere, 13-10-1997, ord., in Giur. merito, 98, I, 217. 65 Menchini, Il giudicato civile, Torino 1988, p. 250; Cass. 13.3.1996, n. 2038; Cass. 7.5.1987, n. 4230.

   La  possibilità  del  rigetto  del  ricorso  per  motivi  di  rito,  nell’ambito  dei  quali  deve  farsi  rientrare  quella  relativa  

all’assenza  del  ricorrente  all’udienza,  oltre  che  per  motivi  di  merito,  può  trarsi  dalla  stessa  dizione  normativa  

che  non  specifica  il  contenuto  della  pronuncia  di  rigetto.  

Questa   ultima   potrà   essere   dettata   da   motivi   di   rito   o   da   motivi   di   merito   senza   necessità   di   dover   fare  

riferimento   alla   pronuncia   sulla   competenza   che   di   per   sé   si   presterebbe   per   dare   una   interpretazione  

restrittiva  della  norma  perché  se  è  prevista  esclusivamente  quella  potrebbe  voler  dire  che  il  legislatore  abbia  

voluto  escludere  altre  pronunce  di  rito.  Sicchè,  ogni  rigetto  sarebbe  nel  merito.  Ma,  così  non  è.  

A  tal  uopo  si  deve  ritenere,  che  le  pronunce  di  rito,  diverse  dalla  incompetenza,  debbano  rientrare  in  quelle  di  

rigetto  del  ricorso,  anche  perché  nella  tutela  cautelare,  a  differenza  della  cognizione  piena,  atteso  il  carattere  

strumentale  della  prima  e  la  inidoneità  al  giudicato  del  provvedimento,  la  distinzione  tra  pronunce  di  rito  e  di  

merito  è  molto  sfumata66.  

I   provvedimenti   cautelari   con  effetti   anticipatori,   sebbene  mantengano   la   loro  efficacia   indipendentemente  

dal  giudizio  di  merito,  non  più  necessario  dopo  i  novellati  artt.  669-­‐octies  e  669-­‐novies  c.p.c.67,  sono  sempre  

privi  di  attitudine  al  giudicato  e  quindi  difettano  di  definitività68.  

Un’interpretazione   letterale   della   norma   indurrebbe   a   sostenere   che   solo   la   pronuncia   di   incompetenza  

consenta   la   riproposizione  del   ricorso  così   come  era  stato  proposto  senza  alcuna  condizione,  mentre  per   le  

altre  pronunce  di  rito  e  di  merito  scatterebbero  le  parziali  preclusioni  dettate  dall’art.  669-­‐septies  c.p.c.69.  

Tale   conclusione   non   impedisce   di   ritenere   che,   la   rimozione   delle   cause   determinanti   il   provvedimento  

negativo,  per  motivi  attinenti  a  vizi  processuali,  possa  legittimare  la  riproposizione  del  ricorso70  a  meno  che,  

                                                                                                               66 Luiso, Diritto processuale civile, IV,cit., p. 170. Sulla distinzione concettuale tra questioni di rito e questioni di merito, sulla fondatezza della domanda, v.: Consolo, Sui limiti della riproposizione della domanda cautelare respinta, in GI, 1995, I, 2, 271. Il che non significa annullare del tutto la differenza tra pronunce di rito e di merito. Si pensi a un difetto di ius postulandi o di legittimazione o in relazione ad altri presupposti processuali o ad una condizione dell’azione, il rigetto non potrà che considerarsi per motivi di rito. Il fatto, poi, che il legislatore non abbia distinto le due pronunce non vuol dire che tale distinzione non possa ugualmente operarsi ricavandola dalla motivazione del provvedimento con tutte le relative conseguenze. Ammettono la possibilità di pronunce di rigetto nel rito: Monteleone, op. cit., 1161; Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 240; Merlin, (Procedimenti cautelari e urgenti in generale), in Digesto, Sezione Civile, XIV, Utet, Torino, 1996, p. 411; Valitutti, op. cit., 295. 67 Le norme nel testo sono state in ultimo modificate dal d.l. 14.3.2005, n. 35 conv. con modificazioni nella legge 14.4.2005, n. 80 e dal d.l. 30.12.2005,n. 273, conv. con modificazioni nella legge 23.2.2006, n. 51. 68 In dottrina: Calamandrei, Introduzione allo studio dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, p. 14 e 78. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss c.p.c., cit. 402 ss e 435 ss; Id., La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, in Foro it. 1991, V, 95 e 108. In giurisprudenza: Cass. 9.4.1999, n. 3473; Cass. 2.12.1996, n. 10756; Cass. 11.2.2000, n. 1500; Cass. 26.6.2001, n. 8738. La dottrina, a proposito della riforma che ha attenuato la strumentalità dei provvedimenti c.d. ad effetti anticipatori, ha ritenuto che nel nostro ordinamento sia stato introdotto un sistema simile al rèferè francese: P. Proto, La riforma del procedimento possessorio, in Giust. civ., cit., 84, nota 3. 69 Luiso, Diritto processuale civile, cit., IV, p. 170 ss.; Valitutti, op. cit. p. 297. 70 In dottrina, E. Merlin, I provvedimenti, cit., 411.

   non  si  voglia  adottare  una  nozione  restrittiva  delle  locuzioni  “mutamento  di  circostanze”  e  “nuove  ragioni  di  

fatto  e  di  diritto”,  in  modo  da  rendere  quasi  del  tutto  impossibile  la  sua  riproposizione71.  

La  mancanza  di  taluni  presupposti  processuali  o  di  una  condizione  dell’azione  non  dovrebbero  esporre  la  parte  

a   pronunce   preclusive   più   gravose   o   che   vadano   oltre   la   eliminazione   di   quei   vizi   o   di   quegli   impedimenti  

processuali72.  

Deve   convenirsi   che,   la  mancata   comparizione   del   ricorrente   all’udienza,   debba   comportare   una   pronuncia  

negativa   di   rigetto   nel   rito   e   non   di   estinzione   o   cancellazione   della   causa   dal   ruolo   o   di   non   luogo   a  

provvedere  o  di  archiviazione  del  procedimento.  

In  relazione  a  queste  ultime  ipotetiche  soluzioni,  suggerite  e  praticate  dalla  giurisprudenza73,  occorre  rilevare  

che   il  paradigma  normativo  di   riferimento  –   sebbene  a  parole  venga  escluso  –   resta  pur   sempre  quello  del  

combinato   disposto   degli   artt.   181   e   309   c.p.c.   con   la   differenza   che   nel   procedimento   cautelare   la  

cancellazione  scatterebbe  subito  senza  il  filtro  di  una  nuova  udienza.  

                                                                                                               71 Le nuove ragioni di fatto o di diritto costituiscono fatti non necessariamente sopravvenuti o argomenti giuridici non prosperttati dalle parti o non considerati dal giudice nel primo procedimento, A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit. p. 691. Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit. 171-172, il quale parla di disciplina intermedia tra preclusioni alla stregua del giudicato e assenza di preclusioni, come per il rigetto dell’istanza di ingiunzione. V. anche: E. Merlin, I procedimenti cautelari e urgenti in generale, cit., 418. Il “mutamento di circostanze” e “le nuove ragioni di fatto e di diritto”, a parte l’ambiguità semantica, sono clausole duttili ed elastiche che vanno parametrate al tipo di provvedimento negativo nel senso cioè che, la configurazione delle nuove circostanze o delle nuove ragioni, sarà diversa nel rigetto per motivi di rito rispetto al rigetto per motivi di merito. Preme osservare, a tale proposito, che le condizioni preclusive, di cui alle locuzioni citate, sembrano dettate, se non esclusivamente, prevalentemente con riferimento al rigetto per motivi di merito. La conferma potrebbe venire da un approfondimento della loro portata concettuale ancor prima che sul piano degli effetti. In estrema sintesi, rinviando ad un’altra occasione, la prima delle due locuzioni citate, sul piano etimologico, indica “vicinanza”, “prossimità”, “accessorietà” ed in modo più pertinente all’impiego normativo, “particolare condizione che accompagna un fatto o un atto conferendogli rilievo o importanza”. Sicchè, in concreto, pare richieda la necessità che si verifichino reali mutamenti a livello fenomenico – siano o meno dipendenti dalla volontà dell’uomo – che incidono sugli elementi costitutivi della fattispecie sostanziale oggetto della tutela invocata o anche sul periculum in mora. La seconda locuzione, invece, si riferisce alla prospettazione dei fatti e dei motivi di diritto effettuata dalla parte della quale ne sono direttamente il prodotto. Si tratta di nuove deduzioni o configurazioni relativi a modificazioni nell’ambito della medesima situazione fattuale e giuridica e non già di nuovi accadimenti, altrimenti si ricadrebbe nel mutamento di circostanze. La locuzione in parola sembra, tra l’altro, evocare nuove e diverse rappresentazioni-deduzioni in termini fattuali e giuridici e può riguardare anche nuove prove e nuove situazioni processuali. Un esempio di nuove ragioni di fatto o di diritto potrebbe essere dato dalla riproposizione di un’istanza cautelare tipica a seguito del rigetto di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. per difetto di residualità, come pure si vedrà la riproposizione della domanda in seguito al rigetto per assenza incolpevole all’udienza con la prova dimostrativa dell’impedimento. Attesa la inettitudine del provvedimento cautelare al giudicato la nuova prospettazione potrebbe riguardare, come sostenuto da una condivisibile dottrina, non solo le deduzioni di ragioni fattuali e giuridiche sopravvenute, ma anche quelle originarie non portate in precedenza alla cognizione del giudice. Insomma resta assorbito il dedotto ma non il deducibile. In tal senso: E. Merlin, I procedimenti cautelari e urgenti in generale, cit., 418.; A. Proto Pisani, op. loc. cit., p. 691; G. Monteleone, Diritto processuale civile, cit. p. 1163; Attardi, Le nuove disposizioni. Cit., 242. Nella stessa direzione anche Trib. Napoli, 14.1.2004, in Giur. Merito, 2004, 1680. Esclude la riproponibilità della domanda cautelare quando il mutamento della situazione prospettata attenga al solo “periculum in mora”, Trib. Reggio Calabria, sez. lav., 18.4.2007, in Juris data 2007. 72 E. Merlin, (Procedimenti cautelari e urgenti in generale), in Digesto, Sezione Civile, XIV, Utet, Torino, 1996, p. 411. 73 V. nota 16.

   Il   che   equivarrebbe   ad   una   tacita   applicazione   in   via   analogica   ed   in   modo   dimezzato   delle   surrichiamate  

disposizioni74.  

In  sostanza,  da  un  lato  si  esclude  l’applicazione  del  disposto  degli  artt.  181  e  309  c.p.c.  e  dall’altro  tacitamente  

se  ne  richiamano  integralmente  gli  effetti  per  applicarli  a  metà.  

Occorre  considerare  poi  che  in  base  al  nuovo  testo  dell’art.  181  c.p.c.  alla  cancellazione  della  causa  dal  ruolo  

segue  la  contestuale  estinzione  del  giudizio  essendo  stato  eliminato  lo  stato  di  quiescenza.  Il  che  renderebbe  

più   agevole   l’applicazione   del   sistema   degli   artt.   181   e   309   c.p.c.   al   giudizio   cautelare   rispetto   alla  

caratteristica  del  quale  o  ai  suoi  presupposti,  maggiormente  non  si  comprende  cosa  cambierebbe  se  il  giudice  

fissasse  una  nuova  udienza  ai  sensi  dell’art.  181  c.p.c.  

Questa  ultima   soluzione   sarebbe   certamente  più   lineare  e   coerente  perché  all’udienza   successiva   il   giudice  

avrebbe   la   possibilità   di   verificare   la   serietà   dell’azione   cautelare   ed   in   caso   di   persistente   assenza   del  

ricorrente  cancellare  la  causa  dal  ruolo  e  (in  base  al  nuovo  testo)  dichiararne  l’estinzione.  

Ma,   se   non   è   possibile   applicare   l’istituto   generale   della   cancellazione   per   inattività   delle   parti   nella   sua  

integrale   proposizione   normativa,   non   sembra   giuridicamente   corretto   farne   una   tacita   applicazione   e  

peraltro  monca,   tanto  più   che   il   nuovo   testo  dell’art.   181   c.p.c.   stabilisce   che,   alla   seconda  udienza  andata  

deserta,  alla  cancellazione  segua  l’estinzione  del  giudizio.  

Sicchè,   l’applicazione   al   procedimento   cautelare   della   immediata   cancellazione   della   causa   dal   ruolo   senza  

fissare  una  nuova  udienza,  come  ha  operato,  fino  ad  oggi,  una  parte  della  giurisprudenza,  vorrebbe  dire  dar  

vita   ad   una   nuova   forma   di   estinzione   del   giudizio,   sia   pure   limitata   al   giudizio   cautelare,  ma   non   prevista  

dall’ordinamento.  

Argomentazioni   interessanti   si   possono   trarre   dall’omologo   istituto   previsto   dagli   artt.   630-­‐631   c.p.c.   per   il  

processo  esecutivo  laddove  gioca  un  ruolo  importante  l’impulso  di  parte75.  

                                                                                                               74   Inoltre,   la   cancellazione   della   causa   dal   ruolo,   secondo   la   precedente   formulazione   dell’art.   181   c.p.c.,  comportava   la  possibilità  della   sua   riassunzione.   Istituto,  quest’ultimo,  che  mal   si   concilia  col  procedimento  cautelare   improntato   a   fisiologica   celerità   e   concentrazione.   D’altronde   la   cancellazione   consentiva   la  riassunzione   entro   l’anno,   termine,   questo,   incompatibile   con   l’urgenza   e   la   celerità   del   procedimento  cautelare  e  la  pericolosità  intrinseca  allo  stesso.  Mantenere  il  giudizio  cautelare  in  stato  di  quiescenza  sarebbe  in   contrasto   con   l’esigenza  di   impedire   il   protrarsi   della   situazione  di   incertezza  da   cui   scaturisce   il   giudizio  ordinario   ed   in   relazione   al   quale   la   tutela   cautelare   è   strumentale   e   provvisoria.   Si   procrastinerebbe  l’accertamento  della  situazione  strumentale  aumentando  la  sua  intrinseca  pericolosità.  Non  senza  dimenticare  poi  che  l’azione  cautelare  mira  a  rendere  inefficaci  gli  inconvenienti  che  minacciano  la  fruttuosità  o  effettività  della  tutela  giurisdizionale.  Mandrioli,  Corso  di  diritto  processuale  civile,  I,  Giappichelli,  Torino,  2002,  p.  22.  

   Quest’ultimo  è  un  fattore  o  elemento  di  propulsione  costante  di  quel  processo,   tant’è  che   il   suo   inesercizio  

protratto  per  un  certo  tempo  provoca  la  inefficacia  dell’ultimo  atto  compiuto76.    

La  necessità  di   continui   atti   di   impulso   la   cui   omissione   viene   sanzionata  dalla   inefficacia  di   quelli   compiuti  

conferisce  al  processo  esecutivo  una  vocazione  alla  speditezza  che  lo  rende  astrattamente  incompatibile  con  

qualsiasi  previsione  dilatoria77.  

Tuttavia,   l’art.  631  c.p.c.,  con  un  meccanismo  simile  a  quello  degli  artt.  181  e  309  c.p.c.,  consente  alle  parti  

assenti  all’udienza  la  possibilità  di  una  nuova  udienza  alla  quale  se  nessuno  compare  segue  l’estinzione78.  

D’altronde   la   riassunzione   sarebbe   stata   strutturalmente   e   funzionalmente   incompatibile   con   il   modello  

processuale   esecutivo   improntato   ad   un   continuo   impulso   di   parte   sotto   pena   in   difetto   della   sanzione   di  

inefficacia  degli  atti.  

Di  tal  che  deve  argomentarsi  che  non  ci  sarebbe  una  incompatibilità  ideologica  e/o  strutturale  e  funzionale  tra  

il  fenomeno  generale  della  estinzione  c.d.  semplice  per  mancata  comparizione  delle  parti  alla  seconda  udienza  

e  il  procedimento  cautelare.  

Piuttosto,  occorre  verificare,  nei   limiti  di  economia  della  presente   riflessione,   se   la   inapplicabilità  degli   artt.  

181  e  309  c.p.c.  al  procedimento  cautelare,  possa  trovare  una  testuale  giustificazione  nella  tipologia  stessa  dei  

provvedimenti  cautelari.  

Il  che  maggiormente  impedirebbe  una  loro  applicazione  parziale  o  limitata  alla  sola  immediata  cancellazione  

della  causa  dal  ruolo.  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         75 Considerato che la tutela cautelare è strumentale tanto a quella di cognizione quanto a quella di esecuzione o di entrambe non sarebbe sbagliato – sempre che si ammetta l’applicazione analogica dell’estinzione per inattività semplice al procedimento cautelare – richiamare a seconda dell’una o dell’altra rispondenza, la relativa disciplina dettata ora per il processo di cognizione, ora per quello di esecuzione. 76 Il precetto diventa inefficace ex art. 481 c.p.c. se non viene iniziata l’esecuzione entro novanta giorni dalla sua notificazione; il pignoramento perde efficacia ex art. 497 c.p.c. quando decorsi novanta giorni dal suo compimento non viene chiesta la vendita o l’assegnazione e così via per le singole ipotesi esecutive. 77 Le lungaggini delle procedure esecutive che nessuno può ignorare dipendono non certo dalla mancanza di impulso delle parti legittimate al compimento degli atti (creditori agenti o interventori) ma dalle difficoltà che spesso insorgono per una serie di note disfunzioni del sistema a cui si aggiungono quelle che si presentano in sede di vendita, nell’ambito delle quali operazioni, la delega attribuita ai notai con la riforma di cui alla legge 3.8.1998, n. 302 che ha inserito l’art. 534-bis c.p.c., nuovamente novellato dalla legge 14.5.2005, n. 80, a tacer d’altro, si è rivelata di scarsa efficacia. Purtroppo non si può dire che la situazione sia cambiato in melius con la ultima novella citata che ha affiancato gli avvocati e i commercialisti ai notai. 78  A  differenza  del  processo  di  cognizione  che  alla  seconda  udienza  andata  deserta  il  previgente  art.  181  c.p.c.  faceva   seguire   la   cancellazione   della   causa   dal   ruolo  ma  non   ancora   l’estinzione   perché   poteva   avvenire   la  riassunzione,   la   mancata   comparizione   delle   parti   alla   seconda   udienza   fissata   dal   giudice   dell’esecuzione  comportava  già  l’estinzione.  

   Tuttavia,   la   rivisitazione  dell’istituto   della   estinzione  del   giudizio   ordinario   per   inattività   semplice,   avvenuta  

con  la  modifica  del  testo  dell’art.  181  c.p.c.,  che,  eliminando  lo  stato  di  quiescenza,  in  attesa  della  eventuale  

riassunzione,  lo  equipara  a  quello  analogo  del  processo  esecutivo,  se  da  un  lato  può  indurre  a  considerare  più  

favorevolmente  l’applicazione  analogica  dell’istituto  in  parola,  dall’altro  non  ne  modifica  l’impostazione.  

Altro  problema  si  porrebbe  con  riferimento  alla  possibile  reclamabilità  del  provvedimento79.  

Il  provvedimento  di  estinzione   immediata,  pronunciato  dal  giudice   istruttore   in   funzione  di  giudice  unico  ex  

art.  50ter  c.p.c.  è  appellabile,  quello  emesso  dal  giudice  istruttore  nelle  cause  di  competenza  collegiale,  ex  art.  

50bis  c.p.c.,  come  quello  del  giudice  dell’esecuzione,  è  reclamabile  rispettivamente  ai  sensi  degli  artt.  308  e  

178  c.p.c.  e  degli  artt.  630  e  631,  ultimo  comma,  c.p.c.80.  

Occorre   domandarsi   in   che   rapporto   si   pongono   il   reclamo  ex   art.   178   c.p.c.   e   quello   ex   art.   669-­‐terdecies  

c.p.c.  

Analogamente  a  quanto  sostenuto  in  relazione  al  rapporto  tra  la  revoca  ex  art.  177  c.p.c.  e  quella  ex  art.  669-­‐

decies  c.p.c.81  si  tratta  di  istituti  non  sovrapponibili  e  tanto  meno  in  concorrenza  tra  loro:  l’uno  esclude  l’altro.  

Così   come   non   è   applicabile   il   reclamo   cautelare   ai   provvedimenti   del   giudice   istruttore82,   altrettanto  

                                                                                                               79  Sotto  il  vigore  del  precedente  testo  dell’art.  181  c.p.c.,  la  cancellazione  della  causa  dal  ruolo  obbligava  alla  riassunzione,  essendo   la  proposizione  del  reclamo   impedita  dallo  stesso  art.  181  c.p.c.,  a  norma  del  quale   il  giudice  pronunciava  ordinanza  non   impugnabile.Tale  sistema  collideva  con   il  disposto  dell’art.  669-­‐terdecies  c.p.c.  a  norma  del  quale  sono  reclamabili   tutti   i  provvedimenti  che   il  giudice  cautelare  di  prima   istanza  può  pronunciare  ai   sensi  dell’art.  669-­‐septies  c.p.c.  Si   sarebbe  venuta  a  creare,  ove  si   fosse  ritenuta  reclamabile  l’ordinanza  di  cancellazione  della  causa  dal  ruolo,  perché  non  compresa  tra  i  provvedimenti  ex  artt.  669-­‐sexies  e  669-­‐septies  c.p.c.,  una  sorta  di  istituto  nuovo  non  previsto  dal  diritto  positivo  e  in  deroga  a  quello  generale  di  diritto  comune  disciplinato  dall’art.  181  c.p.c.  vecchio  testo.  Ma,  se  ciò  non  bastava,   la  riproposizione  del  ricorso,   come   la   sua   riassunzione,   in  pendenza  del   reclamo  avverso   il   provvedimento  di   cancellazione  della  causa  dal  ruolo,  sarebbe  stata  astrattamente  impedita  dalla  litispendenza.  A  tal  uopo  E.  Merlin,  Procedimenti  cautelari   e   urgenti   in   generale,   cit.   P.   412,   propende   per   la   sospensione   del   procedimento   relativo   alla  riproposizione   del   ricorso   in   attesa   che   venga   deciso   il   reclamo   nelle   ipotesi   in   cui   non   è   configurabile   la  litispendenza  perché   le  cause   identiche  sarebbero  pendenti  davanti  allo  stesso  ufficio  giudiziario.  Valitutti,   I  procedimenti   cautelari   e   possessori,   I,   cit.   p.   393,   esclude   il   reclamo   per   i   provvedimenti   di   non   luogo   a  provvedere  e  di  archiviazione  e  li  assoggetta  a  revoca  ai  sensi  dell’art.  177  c.p.c.  Per  le  osservazioni  critiche  a  tale  impostazione  v.  nota  15.  80 E. Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: rflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c., cit. 5 ss. Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, Cedam, Padova, 2004, 393, assoggetta i provvedimenti di non luogo a provvedere e di archiviazione alla revoca ex art. 177 c.p.c. Per le obiezioni a tale impostazione v. nota 15. 81 V. nota 15. 82 Taluni atti del giudice dell’esecuzione come, ad esempio, quelli ex artt. 534ter e 591ter c.p.c., sono reclamabili ai sensi dell’art. 669terdecies c.p.c. espressamente richiamato dai primi.

   inapplicabile   deve   ritenersi   il   rimedio   avverso   gli   atti   di   quest’ultimo   che   non   sono   espressione   del   potere  

cautelare.  

Una   ragione   essenziale   risiede   nella   mancata   previsione   nell’art.   669-­‐terdecies   c.p.c.   della   possibilità   di  

azionare   il   reclamo   avverso   provvedimenti   diversi   dall’ordinanza   di   incompetenza,   di   accoglimento   o   di  

rigetto.  

L’estinzione  fuoriesce  dallo  schema  provvedimentale  tipico  del  giudice  cautelare  come  previsto  dagli  artt.  669-­‐

spties  e  669-­‐octies  c.p.c.  e  conseguentemente  da  quello  oggetto  di  possibile  reclamo.  

Inoltre,   il   reclamo  ex  art.  178  c.p.c.  è  già  di  per  sé  un  rimedio,  soprattutto  dopo   la  novella  apportata  con   la  

legge   26.11.1990,   n.   353,   limitato   a   taluni   specifici   provvedimenti,   emanati   nel   processo   ordinario   di  

cognizione,  e  non  un  rimedio  di  carattere  generale.  

In   conclusione   se   non   si   può   applicare,   anche   in   via   analogica,   l’istituto   della   estinzione  per   inattività   delle  

parti   disciplinato   nel   processo   di   cognizione   piena   dagli   artt.   181   e   309   c.p.c.,   la   soluzione  maggiormente  

aderente  al  dettato  normativo  degli  artt.  669-­‐septies  e  669-­‐octies  c.p.c.  sembra  quella  del  provvedimento  di  

rigetto  e  segnatamente  una  pronuncia  negativa  di  rito  mancando  del  tutto  qualsiasi  esame  nel  merito.  

La  pronuncia  negativa  di  rigetto  proviene  dalla  tipologia  dei  provvedimenti  cautelari  che  non  lasciano  spazio  al  

giudice  per  altre  possibili  statuizioni83  e,  per  quanto  si  dirà,  risponde  all’esigenza  costituzionale  di   tutela  del  

contraddittorio  in  condizioni  di  parità  ex  art.  111  Cost.  

Lo   schema  cautelare   strutturato  nella   sequenza  provvedimento,   reclamo,   revoca,   riproposizione,   inserito   in  

appositi   ed   autonomi   capo   e   sezione   del   libro   IV   del   codice,   si   atteggia   come   un   microsistema  

autosufficiente84.  

In   concorrenza   col   reclamo   la   domanda   cautelare   può   essere   riproposta   nei   limiti   consentiti   dall’art.   669-­‐

septies  c.p.c.  con  i  temperamenti  descritti  per  le  pronunce  di  rito85.  

                                                                                                               83 La tipicizzazione dei provvedimenti discende dalla natura propria del giudizio sommario caratterizzato dall’assenza di una predeterminazione legislativa in ordine al potere delle parti e del giudice nelle modalità e nei termini dello svolgimento della trattazione con il limite della tassatività e della tipicità dei relativi procedimenti ai quali cioè si può ricorrere non sulla base della titolarità del diritto, ma sulla base della sussistenza di specifici presupposti di ammissibilità previsti per ciascuno di essi. Fa eccezione la tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. Sulle caratteristiche del processo sommario e differenze dal giudizio a cognizione piena v.: A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Iovene, Napoli, 1999, p. 581. 84 Lo “statuto” del processo cautelare si rinviene nel Libro IV del codice, intitolato – Dei procedimenti speciali – e segnatamente nel Capo III, intitolato – Dei procedimenti cautelari – Sezione I – Dei procedimenti cautelari in generale – del Titolo I, intitolato Dei procedimenti sommari. 85 Nei casi prospettati, si riteneva esclusa l’applicazione dell’istituto della rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c. da invocare in sede di riproposizione del ricorso: A. Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, Cedam, Padova, 2004,cit., 281. Di contrario avviso la giurisprudenza: Trib Como, 14.2.2000, in Foro it., 2001, I, 1103. Oggi dopo l’abrogazione dell’art. 184bis c.p.c. e la novella dell’art. 153 c.p.c. la rimessione in termini è istituto di carattere generale applicabile a tutti i procedimenti civili. Una giurisprudenza

   Nel   caso   in   cui   sia   stato   concesso   il   provvedimento   cautelare   con  decreto   inaudita  altera  parte  ai   sensi  del  

secondo  comma  dell’art.  669-­‐sexies  c.p.c.  all’udienza  deve  risultare  al  giudice  l’avvenuta  notifica  del  ricorso  e  

del  decreto  nel  termine  perentorio  dallo  stesso  stabilito,  sotto  pena  in  difetto  di  una  pronuncia  di  rigetto  del  

ricorso  e  di  contestuale  revoca  del  decreto  per  violazione  del  contraddittorio  ex  artt.  101  c.p.c.  e  111  Cost.86.  

Se   invece   dovesse   risultare   l’avvenuta   notifica,   perché,   per   ipotesi,   il   ricorrente   lo   aveva   depositato   in  

cancelleria  prima  dell’udienza,  la  mancata  comparizione  del  medesimo  per  la  conferma,  modifica  o  revoca  del  

decreto  stesso,  comporterebbe  sempre  il  rigetto  del  ricorso  e  la  revoca  del  decreto,  ma  in  quest’ultimo  caso  

perché  mancherebbe  l’impulso  di  parte  per  la  richiesta  di  conferma  del  provvedimento.  

Alla  stessa  conclusione  si  perviene  nelle  ipotesi  più  frequenti  in  cui  –  fissata  la  comparizione  per  la  trattazione  

del   ricorso   cautelare   –   il   ricorrente   rimane   assente   all’udienza   senza   aver   depositato   ricorso   e   decreto  

notificati,  oppure,  quando  risulta  l’avvenuta  notifica  del  ricorso  e  del  decreto.    

Alla   stessa   stregua  dei   casi  più   sopra  disaminati,   nel  primo  vi   sarebbe  un’invalida   iniziativa  processuale  per  

violazione   del   contraddittorio   ex   artt.   101   e   669sexies   c.p.c.;   nel   secondo   verrebbe   meno   una   condizione  

dell’azione   perché   la   mancanza   di   impulso   processuale,   afferendo   alla   domanda   cautelare,   spezza   la  

continuità   della   stessa,   come   attualità   della   richiesta   del   provvedimento,   che   deve   permanere   fino   al  

momento  della  decisione87.  

Il  rigetto  per  assenza  di  impulso  processuale,  espressione  dinamica  del  principio  dispositivo  della  domanda,  si  

spiega  perché  evidentemente  il  procedimento  cautelare  esige  che  questo  sia  presente  di  continuo88.  

A  tanto  deve  aggiungersi  che  il   legislatore  –  come  si  ha  avuto  occasione  di  dire  –  ha  equiparato  la  disciplina  

degli  effetti  della  mancata  comparizione  delle  parti  alla  (seconda)  udienza  del  processo  di  cognizione  a  quello  

di  esecuzione.  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         citata retro in nota 37 riteneva riproponibile incondizionatamente la domanda cautelare a seguito di un rigetto per motivi processuali. Sulla riproponibilità della domanda a seguito del rigetto per motivi processuali senza le preclusioni di cui all’art. 669septies c.p.c.,: Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, cit., 411. 86 Di nullità parla G. Monteleone, Diritto processuale civile, Cedam, Padova, 2002, p. 1160, nota 19. 87 Sulla nozione di condizione dell’azione v.: S. Satta, Diritto processuale civile, Cedam, Padova, 1981, p. 132; A. Proto Pisani, op. cit. p. 209 ss. 88   Le   locuzioni   “sentite   le   parti”,   “convocazione   della   controparte”,   “udienza   di   comparizione”   contenute  nell’art.   669-­‐sexies   c.p.c.   e   l’espressione   “convocate   le   parti”   contenuta   nell’art.   669-­‐terdecies   c.p.c.,  costituiscono   una  modalità   positiva   di   realizzazione   del   principio   dispositivo   alla   stregua   di   una   condizione  dell’azione.  Qui   il  principio  dispositivo  coincide  col  principio  della  domanda  perché  questa  ultima  è   il  mezzo  attraverso  il  quale  l’esercizio  della  giurisdizione  civile  è  rimesso  al  potere  della  parte.  Sul  rapporto  tra  domanda  e  principio  dispositivo:  Monteleone,  op.  cit.  188;  Proto  Pisani,  op.  cit.  209  ss..  

   Il  che  può  condurre,  seguendo  l’ordine   logico  decrescente  del  dettato  normativo,  alla  deduzione  secondo  la  

quale,   la   mancata   previsione   di   una   disciplina   dell’istituto   dell’estinzione   per   inattività   semplice,   nel  

procedimento  cautelare,  debba   imputarsi  alla  volontà  del   legislatore  perché,  come  tra  poco  si  dirà,   forse   la  

soluzione   risiede   all’interno   delle   stesse   disposizioni   sul   reclamo   ex   art.   669terdecies   c.p.c.   e   sulla  

riproposizione  dell’istanza  ex  art.  669septies  c.p.c.,  nonché  nella  particolare  natura  della  tutela  cautelare  che  

non  può  soffrire  alcuna  forma  di  procrastinazione  dello  stato  di  incertezza.  

Infatti,  il  legislatore,  laddove  ha  voluto  –  come  nei  singoli  procedimenti  speciali  in  precedenza  disaminati  –  ha  

espressamente  disciplinato  le  sorti  del  ricorso  nell’ipotesi  di  assenza  del  ricorrente  all’udienza.  

Ne   consegue,   per   la   tipicità   dei   provvedimenti   cautelari,   che  questi   esauriscono,   assorbendo   in   sé,   tutte   le  

possibili  opzioni  senza  lasciare  margini  per  altre  pronunce  di  tipo  interlocutorio.  

L’attribuzione   o  meno   di   significato   all’assenza   del   ricorrente   all’udienza,   come   si   è   cercato   di   dimostrare,  

assume  importanza  –  come  si  dirà  di  qui  a  poco  –  ai  fini  sia  pratici,  che  teorici.  

Pertanto  non  è  condivisibile  quella  giurisprudenza89  che  interpretando  tale  comportamento  come  una  sorta  di  

disinteresse   alla   tutela   urgente,   va   ad   incidere   sul   requisito   del   periculum   in   mora,   e   conseguentemente,  

riguardando   il   merito,   conferisce   al   rigetto   portata   più   pregnante,   cosicchè   la   riproposizione   dell’istanza  

sarebbe  astrattamente  subordinata  al  superamento  delle  parziali  preclusioni  dell’art.  669-­‐septies  c.p.c.  

Per   contro,   seguendo   l’impostazione   data   e   cioè   che   all’assenza   all’udienza   non   si   possa   attribuire   alcun  

significato   giuridico-­‐processuale,   il   rigetto   per   motivi   di   rito,   vuoi   per   difetto   di   contraddittorio,   vuoi   per  

mancanza   di   una   condizione   dell’azione,   non   impedisce,   salvo   il   reclamo   ove   ancora   esperibile,   la  

riproposizione  del  ricorso  nei  termini  originari  eliminando  i  motivi  di  quel  rigetto.90  

Il  che  può  avvenire  compiendo  quelle  attività  la  cui  omissione  avevano  determinato  la  pronuncia  negativa.      

Con  la  riproposizione  astrattamente  concorrono  –  a  seconda  delle  situazioni  che  si  vengono  di  volta  in  volta  a  

verificare,  nei  termini  di  cui  si  dirà  –   il  reclamo  e  la  rimessione  in  termini,  grazie  alla  sua  nuova  collocazione  

nell’art.  153  c.p.c.  nel  Libro  I,  tra  le  disposizioni  generali.    

 

 

                                                                                                               89 Trib. Messina, 12.7.2005, in Giur. Merito, cit. 311. 90 Sulla differenza tra motivi di rigetto in rito e di rigetto nel merito ai fini della riproposizione dell’istanza cautelare in relazione alle preclusioni di cui all’art. 669-septies c.p.c., v.: Trib. Reggio Calabria, 4.3.2002, che ritiene operanti le preclusioni solo con rferimento al rigetto nel merito.

   

5.  Rimedi  avverso  i  provvedimenti  di  chiusura  della  fase  di  prime  cure;  la  rimessione  in  termini  e  rapporti  

con  il  reclamo  e  la  riproposizione  del  ricorso.    

 

L’operatività  applicativa  di  tali  rimedi  deve  ritenersi  condizionatamente  subordinata  alla  forma  che  assume  il  

provvedimento  di  chiusura  della  prima  fase  cautelare.  

Si   è   visto   che   la   tipologia   provvedimentale   –   rinvenibile   sul   piano   del   diritto   positivo   negli   artt.   669sexies,  

669septies   e   669octies   c.p.c.   –   è   costituita   da   forme   decisorie   (decreto   cautelare,   incompetenza,   rigetto   e  

accoglimento),   caratterizzate   dalla   tipicità   e   dalla   predefinizione   legislativa   ai   sensi   dell’art.   111   Cost.   e  

dell’art.  131  c.p.c.  Ma,  si  è  anche  avuto  occasione  di  dire  che  in  giurisprudenza  non  mancano,  con  riferimento  

alla  questione   in  esame  (dell’assenza   (incolpevole)  del   ricorrente  all’udienza),  provvedimenti  di  chiusura  del  

procedimento   del   tipo:   dichiarazione   di   estinzione;   di   cancellazione   della   causa   dal   ruolo;   di   non   luogo   a  

provvedere  o  a  procedere;  di  archiviazione.91  Si  è  detto,  altresì,  che,  in  base  alla  più  volte  menzionata  tipologia  

dei  provvedimenti  cautelari,  nel  caso  in  parola,  la  statuizione  più  corretta  sia  quella  del  rigetto.  

La  diversità  di  pronunce  non  è   indifferente   rispetto  alla   soluzione  che  occorre   cercare   se   si   vuole  dare  una  

risposta   al   caso   dell’assenza   incolpevole   del   ricorrente   all’udienza,   come   ad   altre   ipotesi   di   decadenze   od  

omissioni  che  però  esulano  dall’economia  del  presente  lavoro.    

Vanno  analizzate  ciascuna  delle  ipotesi,  sopra  richiamate,  di  chiusura  del  procedimento  in  relazione  al  tipo  di  

rimedio  che  può  essere  calibrato  per  ognuna  di  esse.  

A   fronte   di   un   provvedimento   di   rigetto,   in   pendenza   del   termine   per   il   reclamo,   con   quest’ultimo,   se   si  

escludono   o   si   prescinde   per   un   attimo   da   problemi   di   sovrapposizione,   può   astrattamente   ritenersi  

concorrente   o   alternativo   l’istituto   generale   della   rimessione   in   termini   da   chiedere   al   giudice   del  

provvedimento  o  a  quello  del  reclamo  a  seconda  della  scelta  che  si  vuole  adottare,  sempre  che,  come  si  dirà  di  

qui  a  poco,   la  predetta  rimessione   in  termini  assuma  autonomo  rilievo  e  sia  utilmente  esperibile,  nonché   la  

riproposizione  dell’istanza.  

Innanzitutto,  occorre  domandarsi   se,   in  pendenza  del   termine  per   il   reclamo   il   ricorrente,  che  è   incorso  nel  

rigetto  del  provvedimento  per  assenza   incolpevole  all’udienza,  possa  rivolgersi  allo  stesso  giudice  che  –  una  

volta  accertato,  ex  art.  294,  comma  2,  c.p.c.,  al  quale,  come  l’abrogato  art.  184bis  c.p.c.,  esattamente  rinvia  

                                                                                                               91 Trib. Messina, 12-7-2005, in Giur. merito, 06, 311. Contra, con riferimento però al provvedimento di estinzione per rinuncia agli atti: Trib. Torino, 21-4-1994, in Giur. it., 95, 1, II, 102; Trib. Agrigento, 23-3-1995, ivi, 698; Trib. Napoli, 14-10-1999, in G. nap., 99, 396. Nello stesso senso ammettendone la riproponibilità dell’istanza cautelare senza alcuna preclusione: Trib. S. M. Capua Vetere, 13-10-1997, ord., in Giur. merito, 98, I, 217.

   l’art.   153   c.p.c.,   l’impedimento   incolpevole   –   rimettendolo   in   termini   riassume   il   procedimento   cautelare,  

oppure  se,  il  fatto  costitutivo  della  rimessione  in  termini  e  la  stessa  relativa  istanza,  non  debbano  essere  fatti  

valere  necessariamente  innanzi  al  giudice  del  reclamo.  

Iniziando  da  questa  ultima  ipotesi,  si  deve  stabilire  se  il  reclamo  sia  un  rimedio  necessitato,  oppure  esistono  

alternate  concorrenti  o  meno  con  esso  come  la  riproposizione  dell’istanza  cautelare  e  la  rimessione  in  termini.  

Per   quanto   riguarda   quest’ultimo   istituto   in   particolare   sarà   interessante   verificare   come   lo   stesso   possa  

atteggiarsi  sia  in  relazione  al  reclamo  che  alla  riproposizione  ovvero  in  una  sua  autonoma  proposizione.    

L’onere  di  far  valere  in  sede  di  reclamo  le  nuove  circostanze  e  le  nuove  ragioni  fattuali  o  giuridiche  sorgerebbe  

–  oltre  che  dall’esigenza  di  evitare  rischi  di  sovrapposizioni  tra  questo  e  la  riproposizione  della  domanda  con  

eventuali   conseguenti   problemi   relativi   alla   litispendenza   o   alla   sospensione   della   seconda   in   attesa   della  

definizione  del  primo92  –  da  un’interpretazione  integrata  e  sistematica  delle  disposizioni  ex  artt.  669septies  e  

669terdecies   c.p.c.   dalle   quali   si   evince   che   le   circostanze   ed   i   motivi,   sopravvenuti   al   momento   della  

proposizione   del   reclamo,   vanno   proposti   nel   relativo   procedimento.   Quindi,   non   solo   le   circostanze   ed   i  

motivi   sopravvenuti   alla   proposizione   del   reclamo,  ma   anche   quelli   precedenti   che   non   sia   stato   possibile  

proporre  prima,  ovvero  il  deducibile.  

Il   reclamo   è   un   rimedio   necessitato   con   riferimento   al   deducibile   che   non   è   stato   possibile   dedurre   o  

rappresentare  nella  prima  fase  ed  a  causa  del  quale  è  stato  rigettato  il  ricorso.  

Se   l’ordinamento   ha   previsto   un   determinato   rimedio   in   funzione   di   una   determinata   situazione   giuridico-­‐

processuale  vuol  dire  che  alterum  non  datur93.  

Occorre  adesso  verificare  se,   in  pendenza  del  termine  per   il  reclamo,   la  riproposizione  della  domanda  possa  

costituire  un’ipotesi  o  un’opzione  alternativa  al  reclamo  medesimo  o  se  addirittura  possa  coesistere  con  esso.    

Nessuna   disposizione   impedisce   la   riproposizione   della   domanda   in   pendenza   del   termine   per   il   reclamo   –  

tant’è   che   una   dottrina94   ipotizza   la   litispendenza   o   la   sospensione   c.d.   necessaria   ex   art.   295   c.p.c.   del                                                                                                                  92 Ritengono che finchè pende il termine per la proposizione del reclamo le nuove circostanze e le nuove ragioni di fatto o di diritto debbano essere fatte valere in sede di reclamo per evitare sovrapposizione tra reclamo e riproposizione: Vaccarella, Il procedimento cautelare dopo l’intervento della Corte costituzionale sul reclamo avverso provvedimenti negativi, in Prime esperienze del nuovo processo cautelare, Milano, 1996, 77. E. Poli, Rimedi cautelari, in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Aggiornamento, Tomo II, Torino, 2007, 1179. Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit., 407, ritiene che la riproposizione dell’istanza cautelare in pendenza di reclamo, e deve aggiungersi, anche solo del termine per la sua proposizione, sarebbe improcedibile per litispendenza, ove la riproposizione avvenisse davanti ad un ufficio giudiziario diverso da quello ove pende il reclamo, oppure dovrebbe essere sospesa in attesa della definizione della fase di reclamo. In quest’ultimo caso, però, deve obiettarsi, che si tratterebbe di una sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., di per sé incompatibile con la tutela cautelare. La litispendenza ex art. 39 c.p.c., in materia cautelare, tra reclamo e riproposizione dell’istanza che presuppone la diversità di uffici giudiziari, è ipotesi, se non impossibile, altamente improbabile. 93 E. Poli, Rimedi cautelari, cit., 1179.

   procedimento  di  riproposizione  fino  alla  definizione  del  reclamo  oppure  la  improcedibilità  della  riproposizione  

stessa.  

A   tale   impostazione   si   potrebbe   affiancarne   un’altra   –   qui   preferita   –   secondo   la   quale   la   riproposizione  

dell’istanza,   in   pendenza   del   termine   di   reclamo,   possa   ritenersi   una   implicita   o   tacita   rinuncia   allo   stesso  

reclamo.   Diversamente   si   dovrà   ritenere   la   riproposizione   inammissibile   o   improcedibile   non   potendosi  

applicare   la   sospensione  necessaria   come  prevista   dall’art.   295   c.p.c.   perché  del   tutto   incompatibile   con   la  

tutela  cautelare.  Se,  infatti,   la  definizione  del  procedimento  cautelare  dovesse  dipendere  dalla  risoluzione  di  

un’altra  controversia,  mancherebbero  in  premessa  i  presupposti  della  tutela  cautelare  stessa.  La  tesi  preferita  

di  ritenere   la  riproposizione  dell’istanza   in  pendenza  del  reclamo  una  tacita  o   implicita  rinuncia  al  rimedio  è  

più   coerente   ed   aderente   al   principio   generale   sulle   impugnazioni   desumibile   anche   dall’istituto  

dell’acquiescenza  ex  art.329  c.p.c.  e  più  propriamente  nella  materia  cautelare  dall’art.  669decies  c.p.c.  sulla  

revoca   o   modifica   del   provvedimento   cautelare   che   presuppone   –   come   condizione   di   ammissibilità   –  

l’avvenuta  definizione  della  fase  di  reclamo.  Inoltre,  in  ossequio  al  principio  dispositivo  della  libertà  di  azione-­‐

domanda  non  si  può  ritenere  la  riproposizione  dell’istanza  cautelare  inammissibile  o  improponibile.  

Tuttavia  dalla   lettura  delle  norme  ex  artt.  669septies  e  669terdecies  c.p.c.,   anche   in   relazione  alla   revoca  o  

modifica   ex   art.   669decies   c.p.c.,   si   può   evincere   che   la   mancata   deduzione   in   sede   di   reclamo   delle  

circostanze  e  dei  motivi  sopravvenuti  restano  assorbiti  nel  provvedimento  consolidandosi  con  esso.  

Sicchè,  le  nuove  circostanze    richieste  dall’art.  669septies  c.p.c.  devono  ritenersi    altre  rispetto  a  quelle  che  si  

sarebbero  potute  e  dovute  far  valere  nel  procedimento  di  reclamo.  

Un  discorso  diverso,  invece,  può  essere  fatto  con  riferimento  alle  nuove  ragioni  di  fatto  o  di  diritto  se,  come  

sostiene  autorevole  dottrina95,  debbano  ritenersi  nuove   in  ordine  alla   loro  deduzione-­‐rappresentazione,  ma  

non  in  ordine  al  loro  verificarsi  o  accadimento.  

In   tal   caso,   non   vi   sarebbero  motivi   ostativi   o   impeditivi   per   la   loro   deducibilità   in   sede   di   riproposizione,  

indipendentemente  dalla  pendenza  del   termine  per   il   reclamo,  nei  cui  confronti,   la  predetta   riproposizione,  

costituirebbe   comportamento   incompatibile   con   la   volontà   di   avvalersi   del   rimedio   impugnatorio.   Tuttavia,  

anche   qui,   dalla   disposizione   ex   art.   669terdecies   c.p.c.   e   testualmente   dalla   locuzione   “Le   circostanze   ed   i  

motivi   sopravvenuti   al   momento   della   proposizione   del   reclamo   debbono   essere   proposti   (…)   nel   relativo  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         94 Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit., 407; v. nota pprecedente. 95 A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile,2012, cit., 646; E. Poli, Rimedi cautelari, in Digesto, cit., 1184. Sul rapporto tra provvedimento positivo e negativo in relazione alla stabilità di ciascuno: Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 226.

   procedimento.”   potrebbe   argomentarsi   che   tutto   il   deducibile   sia   quello   precedente   al   provvedimento,   sia  

quello   successivo   fino  alla  pronuncia   sul   reclamo  debba  essere   fatto   valere  nel  medesimo  procedimento  di  

reclamo.  

In  conclusione,  quindi,  la  riproposizione  della  domanda  cautelare  in  pendenza  del  termine  per  il  reclamo  o  del  

relativo  procedimento  è  preferibile  ritenerla  come  una  rinuncia  al  rimedio  impugnatorio  con  le  conseguenze  

effettuali  di  cui  si  è  detto  e  si  sta  per  dire  in  ordine  alle  nuove  deduzioni.  

Il  provvedimento  del  giudice  del   reclamo  conferisce  al  provvedimento  cautelare,  positivo  o  negativo,  quella  

stabilità   per   la   rimozione   del   quale   occorre   che   si   verifichino   le   condizioni   ex   art.   669septies   c.p.c.   per   la  

riproposizione  dell’istanza  e  per   la  revoca  o   la  modifica  del  provvedimento  positivo  quelle  ex  art.  669decies  

c.p.c.  

In   definitiva   la   nuova   proposizione   della   domanda   in   pendenza   del   termine   per   proporre   reclamo   o   del  

relativo  procedimento  se  la  si  ritiene  una  rinuncia  a  questo,  deve  sottostare  alle  preclusioni  ex  art.  669septies  

c.p.c.  

Stabilito,   nei   termini   suesposti,   il   rapporto   tra   reclamo   e   riproposizione   della   domanda   cautelare   occorre  

passare  in  rassegna  l’istituto  della  rimessione  in  termini  ed  il  suo  diverso  atteggiarsi  sia  rispetto  al  reclamo,  sia  

rispetto  alla  riproposizione  ed  infine  se  lo  stesso  possa  svolgere  un  ruolo  funzionale  autonomo.  

La   rimessione   in   termini,   essendo   preordinata   a   reintegrare   la   parte   incolpevolmente   decaduta   dai   poteri  

processuali,  è  funzionale  alla  riassunzione  del  procedimento  cautelare.  

Se  così  è,   l’istanza  di   rimessione   in   termini  deve  proporsi  davanti  al  giudice  del   reclamo  a  meno  che  non  si  

ritenga  la  stessa  un  autonomo  rimedio,  alternativo  al  reclamo,  per  riesumare  la  prima  fase  del  procedimento,  

con  la  conseguenza  che  la  proposizione  della  prima  implica  tacita  rinuncia  al  secondo.  

In  ordine   al   primo  aspetto  nulla   quaestio.   In   relazione   al   secondo,   se   il   giudice  non   ritenesse   applicabile   la  

rimessione  in  termini  a  procedimento  chiuso  alla  parte  non  resterebbe  altra  possibilità  che  la  riproposizione  

dell’istanza   ai   sensi   dell’art.   669septies   c.p.c.   96   La   stessa   eventualità   si   verificherebbe   ove   si   ritenesse   la  

proposizione  della  istanza  di  rimessione  in  termini  al  primo  giudice  una  implicita  o  tacita  rinuncia  al  reclamo.97  

Ma,   l’ordinanza  emessa  dal  giudice,  ai  sensi  dell’art.  294,  comma  2,  c.p.c.,  non  sarebbe  reclamabile,  ai  sensi  

dell’art.  669terdecies  c.p.c.   Intanto  non   lo  sarebbe  perché  fuoriesce  e/o  comunque  è  estranea  alla  tipologia  

                                                                                                               96 Deve escludersi, invece, la revoca o la modifica ex art. 669decies c.p.c. perché presuppone come oggetto della stessa un provvedimento positivo come si evince dallo stesso dato testuale della norma che parla di provvedimento di accoglimento. In tal senso anche Merlin, I procedimenti cautelari e urgenti in generale, cit., 418. 97 E. Poli, Rimedi cautelari, in Digesto, cit. 1179.

   dei  provvedimenti  cautelari  oggetto  di  possibile  reclamo.  Non  lo  sarebbe  nemmeno  se  si  volesse  equiparare  

l’istanza  di  rimessione  in  termini  alla  riproposizione  del  ricorso  cautelare  in  quanto  il  provvedimento  di  rigetto  

non  sarebbe  quello  ex  art.  669septies  c.p.c.  in  ordine  alla  tutela  cautelare  invocata,  bensì  sarebbe  l’ordinanza  

ex   art.   294,   comma   2,   c.p.c.   sulla   fondatezza   o   meno   dell’istanza   di   rimessione   in   termini.   Il   legislatore,  

laddove  ha  voluto,  ha  espressamente  dichiarato  la  reclamabilità  dei  provvedimenti  emessi  fuori  dalla  materia  

cautelare  rinviando  espressamente  all’art.  669terdecies  c.p.c.  98  

Ma,   a   proposito   della   rimessione   in   termini   proposta   al   primo   giudice,   come   già   accennato,   ci   sarebbe   da  

precisare   ulteriormente   se   essa   non   costituisca   al   contempo   una   forma   di   riproposizione   della   domanda  

cautelare.   In   tal   caso,   innanzitutto,   occorre   che   sia   decorso   il   termine   per   proporre   il   reclamo.   Non   senza  

trascurare  poi  gli  effetti  del  provvedimento  negativo  ed  i  possibili  rimedi.  

La  pronuncia  negativa,  perché  ritenuta  infondata  l’istanza  di  rimessione  in  termini  –  come  già  anticipato  –  di  

per   sé,   non   sarebbe   reclamabile   in   quanto   non   espressione   del   potere   cautelare   del   giudice,   semmai   lo  

sarebbe  l’ordinanza  nella  parte  in  cui  dovesse  eventualmente  trattare  il  merito  della  domanda  cautelare.  Nel  

primo   caso   la   pronuncia   negativa   sulla   rimessione   in   termini   inciderebbe   sull’istanza   di   riproposizione   del    

ricorso   in  ordine  alle  preclusioni  ex  art.  669septies  c.p.c.,  nel  senso  che,   i  motivi  della  predetta   istanza,  non  

potrebbero  costituire  quelli  per  i  quali  o  sui  quali  si  fonda  la  riproposizione  del  ricorso  cautelare.  Comunque  

l’istanza  di  rimessione  in  termini  non  può  essere  considerata  una  forma  di  riproposizione  del  ricorso  cautelare  

ai   sensi   dell’art.   669septies   c.p.c.,   tutt’al   più   potrebbe   essere   inserita   all’interno   del   ricorso   cautelare   in  

riproposizione,   come   per   il   reclamo,   come  motivazione   della   riproposizione   della   domanda   per   il   legittimo  

impedimento  o  per   incolpevole   inerzia  processuale.  Ma   in   tal   caso  sarebbe  più  pertinente  parlare  di  nuove  

ragioni  di  fatto  o  di  diritto.  Inoltre,  la  instaurazione  di  un  procedimento  ex  artt.  153  e  294,  comma  2,  c.p.c.,  per  

l’accertamento  ed  eventuale  accoglimento  dell’istanza  di  rimessione  in  termini  per  poi  passare  alla  trattazione  

della   domanda   cautelare   non   sembra,   anche   sotto   il   profilo   dell’economia   processuale   e   della   ragionevole  

durata  ex  art.  111  Cost.,  essere  in  sintonia  con  le  finalità  della  tutela  cautelare  e  la  celerità  che  la  sottende  e  la  

caratterizza.  Se,   infatti,  si   ritiene  che   le  “nuove  ragioni  di   fatto  o  di  diritto”  ex  art.  669septies  c.p.c.,  vadano  

intese   anche   come  preesistenti   al   provvedimento  negativo,  ma  non  allegati   e   non   conosciuti   dal   giudice  di  

prime  cure  e  riferite  a  motivi  di  carattere  processuale  oltre  che  sostanziale,  il  fatto  impeditivo  e  causativo  del  

rigetto  del  ricorso  costituirebbe  un  fatto  nuovo  che  legittimerebbe  la  riproposizione  della  domanda  cautelare.  

                                                                                                               98 Infatti, laddove ha voluto ha espressamente dichiarato la reclamabilità ai sensi dell’art. 669terdecies c.p.c. come per taluni provvedimenti del giudice dell’esecuzione ex artt. 534ter e 591ter c.p.c.

   Si  può  dire  che   la  rimessione   in  termini  è  compresa  o  contenuta  nelle  ragioni  di   fatto  o  di  diritto  quando  si  

verificano   omissioni   o   decadenze   processuali   non   imputabili   alla   parte   o   al   suo   difensore;   cosicchè,   senza  

necessità  di  instaurare  il  procedimento  ex  artt.  153  e  294,  comma  2,  c.p.c.,  che  appesantirebbe  i  tempi  della  

tutela  cautelare,  diventa  essa  stessa  motivo  di  riproposizione  del  ricorso  ai  sensi  dell’art.  669septies  c.p.c.  

L’assenza  incolpevole  del  ricorrente  all’udienza  è  un  fatto  che,  essendosi  verificato  fenomenicamente  in  corso  

di  procedimento  e  prima  del  provvedimento  negativo,  non  è  stato  possibile  rappresentarlo  tempestivamente  

al  giudice.  

Quest’ultimo,  ove   fosse  stato  per   tempo  reso  edotto  dell’impedimento  avrebbe  dovuto,  a  seconda  dei  casi,  

disporre   la   interruzione   del   procedimento   a   tutela   del   contraddittorio,   qualora   l’assenza   incolpevole   fosse  

dipesa  da  morte  o  perdita  della  capacità  della  parte  o  del  suo  difensore,  oppure  pronunciare   il   rigetto  negli  

altri  casi.  

La   impossibilità   di   far   conoscere   al   giudice   l’impedimento   a   causa   del   quale   si   sarebbe   verificata   l’assenza  

incolpevole   diventa   un   fatto   non   nuovo   nel   suo   accadimento,   ma   nuovo   come   deduzione   legittimante   la  

riproposizione  dell’istanza.  

Quindi,  la  locuzione  “nuove  ragioni  di  fatto  o  di  diritto”  di  cui  all’art.  669septies  c.p.c.,  va  letta  e  interpretata  

come   se   dette   nuove   ragioni,   ancorchè   anteriori   al   provvedimento   negativo,   vengano   conosciute  

successivamente  allo  stesso  e/o  non  sia  stato  possibile  dedurle  tempestivamente  in  seno  al  procedimento.  Il  

provvedimento  di  rigetto  se  copre  il  dedotto  consente  il  deducibile.    

Se,   invece,   la  parte  dovesse  ritenere  di  optare  per   il   reclamo,  ai  sensi  dell’art.  669terdecies  c.p.c.,  potrebbe  

proporre   nello   stesso   ricorso   per   reclamo   l’istanza   di   rimessione   in   termini   sotto   il   profilo   di   una  

prospettazione-­‐deduzione  di  nuove  ragioni  fattuali  o  giuridiche.  

Si   impongono   alcune   considerazioni   suggerite   dalla   natura   propria   del   reclamo   considerato   da   una  

condivisibile  dottrina  un  continuum  del  procedimento  di  prime  cure  o  della  fase  di  primo  grado,  intendendo  il  

procedimento   cautelare   a   struttura   devolutivo-­‐sostitutiva   un   unico   procedimento   articolato   in   diverse   fasi,  

contrariamente  ad  un’altra  dottrina  che  lo  considera  un  vero  e  proprio  mezzo  di  impugnazione  che  dà  luogo  

ad  un  distinto  autonomo  grado  di  giudizio.99  

                                                                                                               99 Nel senso del primo orientamento: Arieta, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1985, 271. P. Proto, La riforma del procedimento possessorio, in Giust. civ., cit., 100-108. Del secondo: Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2000, 183. Trib. Napoli, 25-3-1993, in Foro it., 1993, I, 1262; Trib. Torino,, 3-12-2993, Giur. It., 1994, I, 2, 765; Trib. Catania, 23-3-1995, in Foro it., 1995, I, 2271. Nel testo, per comodità espositiva, si parlerà indifferentemente di prima fase cautelare o primo grado senza alcuna

   Secondo  la  prima  soluzione  la  operatività  della  rimessione  in  termini  sarebbe  agevolata  dal  fatto  di  avvenire  

nell’ambito   dello   stesso   procedimento   senza   soluzione   di   continuità.   Sarebbe   come   il   verificarsi   di   una  

preclusione  o  di  una  nullità  o  di  una  decadenza  incolpevole  nell’ambito  del  processo  non  ancora  concluso.  

In   tal   caso,   il   giudice   del   reclamo,   verificato   ed   accertato   l’incolpevole   omissione   o   impedimento,   avendo  

poteri   sostitutivi   del   giudice   di   prime   cure,   nonché   poteri   di   istruzione   sommaria   e   di   acquisizione  

documentale,  può  ben  esaminare  la  domanda  cautelare  e  pronunciarsi  di  conseguenza.  

Tuttavia,  ci  sarebbe  da  dire  che  la  fase  o  il  sub-­‐procedimento  di  reclamo  essendo  un  unico  procedimento,  un  

tutt’uno   con   la  prima   fase,   la  parte   verrebbe  privata  della  possibilità  di   avvalersi   della   fase  di   controllo  del  

provvedimento  qualora  questo  fosse  negativo.  

In  sostanza,  secondo   l’iter  normale,  al  provvedimento  negato  dal  primo  giudice  della  cautela  può  seguire   la  

fase  di  controllo  sul  diniego  mediante  il  reclamo;  cosicchè,  la  domanda  (cautelare),  avrebbe  un  duplice  esame  

valutativo.  Duplice  valutazione  che  qui  mancherebbe  perché  il  provvedimento  negativo  reclamato  è  privo  di  

statuizioni  nel  merito  della  cautela.  

Con  il  rigetto  per  assenza  incolpevole  all’udienza,  nonostante  la  rimessione  in  termine,  effettuata  dal  giudice  

del  reclamo,  si  salta  una  fase  procedimentale  e  quindi  un  primo  esame  nel  merito  della  domanda  cautelare  

anche   perché,   come   afferma   espressamente   la   norma   ex   art.   669terdecies   c.p.c.,   non   è   consentita   la  

rimessione  al  primo  giudice.    

La  rimessione  in  termini  proposta  al  giudice  del  reclamo  varrebbe  non  tanto  per  legittimare  l’impugnativa  in  

sé,  la  quale  sarebbe  comunque  ammissibile  avverso  il  provvedimento  di  rigetto  del  primo  giudice,  quanto  per  

legittimare   la   persistenza   e   l’attualità   dell’interesse   alla   tutela   cautelare   e/o   comunque   per   giustificare  

l’assenza  o  l’omissione  incolpevole  davanti  al  giudice  di  prime  cure  ed  eventualmente  per  essere  reintegrati  in  

quelle  richieste  istruttorie  che  non  si  era  potuto  formulare  per  tempo.    

Ne  consegue  la  inutilità  pratica  dell’istituto  della  rimessione  in  termini  davanti  al  giudice  del  reclamo  essendo  

il   relativo   provvedimento   di   rigetto   di   per   sé   reclamabile   a   partire   da   Corte   Cost.   23-­‐6-­‐1994,   n.   253.100   La  

giustificazione   del   fatto   impeditivo   che   ha   causato   l’omissione   o   la   mancata   presenza   all’udienza   e   di  

conseguenza   il  motivo  del   rigetto   in  prima  fase  o  grado  può  essere  motivo  di   impugnazione  o  assorbito  nei  

motivi  di  reclamo  senza  necessità  di  scomodare  la  rimessione  in  termini  che,  come  suddetto,  in  mancanza  di  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         attribuzione processuale specifica fermo rimanendo l’orientamento preferito nel senso del testo, ovvero, della unicità del procedimento. 100 Corte Cost. 23-6-1994, n. 253, con nota di Consolo, Il Reclamo cautelare e la <<parità delle armi>> ritrovata,. in Giur. it., 1994, I, 1, 409 ss.

   regressione  al  primo  giudice,  la  decisione  sulla  domanda  cautelare  avviene  in  un’unica  fase,  di  tal  che,  detta  

rimessione   in   termini,   sarebbe   priva   di   autonoma   operatività   strutturale   e   funzionale   perché   rimarrebbe  

assorbita  nei  motivi  di  reclamo.  

Il   risultato   cambia   di   poco   se,   invece,   si   volesse   considerare   il   reclamo   un   vero   e   proprio   grado   di  

impugnazione.   Innanzitutto,  qui   la  operatività   funzionale  della   rimessione   in   termini   riguarderebbe  un   fatto  

(decadenze,   omissioni   o   mancate   attività   processuali   dovute)   verificatosi   nel   primo   grado   del   giudizio  

cautelare   e   non   riguardando   il   termine   per   proporre   l’impugnativa,   il   ricorso   ai   poteri   esterni   al   processo  

sarebbe  di  poco  ausilio.  Il  giudice  del  reclamo  non  potendo  rinviare  la  causa  al  primo  giudice  e  non  potendosi  

sostituire  ad  esso,  limitandosi  ad  un  giudizio  rescindente,  dovrebbe  pronunciarsi  sul  provvedimento  di  rigetto  

senza  entrare  nel  merito  dell’istanza  cautelare  e  –  ove   ritenuto   ingiusto,  per   il   legittimo   impedimento  della  

parte,   incorsa   incolpevolmente   nell’omissione   o   nella   mancata   comparizione   all’udienza   –,   revocare   il  

provvedimento  di  rigetto  con  la  sola  utile  conseguenza  di  aprire  a  tutto  tondo  la  strada  per  la  riproposizione  

dell’istanza  senza  alcuna  preclusione.  

Il  che,  potrebbe  anche  essere  una  soluzione  accettabile,  se  non  ci  fosse  l’impedimento  testuale  della  norma  ex  

art.  669terdecies  c.p.c.,  secondo  la  quale  il  collegio  conferma,  modifica  o  revoca  il  provvedimento  cautelare.  

Non  qualsiasi  provvedimento,  ma   il  provvedimento  cautelare,  nonché   la   reclamabilità  del  provvedimento  di  

rigetto  senza  distinzioni  di  sorta  in  ordine  ai  motivi  dello  stesso101.  

La   pronuncia   del   collegio   ai   sensi   dell’art.   669terdecies   c.p.c.   va   ad   incidere   o   comunque   a   caducare   o   a  

confermare   o   modificare   il   provvedimento   cautelare   concesso   o   negato   in   prima   fase   o   primo   grado.   La  

disposizione  normativa  citata  non  sembrerebbe  consentire  un  provvedimento  solamente  rescindente  anche  

perché   l’istanza   o   domanda   cautelare   è   comunque   soggetta   a   riproposizione   sia   pure   a   determinate  

condizioni.102   Inoltre   e   tra   l’altro   una   pronuncia   rescindente   senza   rescissorio   sarebbe   incompatibile   con   la  

natura  della  tutela  cautelare  anche  nel  caso  in  cui  non  ci  fosse  stato  il  divieto  di  rimessione  al  primo  giudice  

perché  in  contrasto  o  incompatibile  col  principio  della  ragionevole  durata  ex  art.  111  Cost.  commisurato  alla  

stessa  tutela  cautelare.  

La  rimessione  in  termini  davanti  al  giudice  del  reclamo  –  comunque  questo  lo  si  voglia  intendere  o  concepire  –  

non   sembra   trovare   spazi   applicativi   perché   il   divieto   di   rimessione   al   primo   giudice   non   consente   alcuna  

                                                                                                               101 E. Poli, Rimedi cautelari, cit., 1180; E. Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, cit., 415 ss. 102 E. Poli, Rimedi cautelari, cit. 1183. Sostiene che la chiusura in rito può aversi solamente per vizi che incidono sul procedimento di reclamo: Arieta, Le tutele sommarie. Il rito cautelare uniforme. I procedimenti possessori, in Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, III, Padova, 2005, 1099,

   rimessione   in   termini,     nel   senso   che   non   può   esserci   alcun   ripristino   o   reintegrazione   della   parte  

incolpevolmente  assente  all’udienza  nella  situazione  quo  ante  riferita  alla  prima  fase.  

In   definitiva,   il   giudice   del   reclamo,   ritenuta   la   erroneità   o   la   ingiustizia   del   provvedimento   di   rigetto,  

sostituendosi   al   primo   giudice,   concede   il   provvedimento   cautelare   ove   la   relativa   istanza   sia   fondata;  

diversamente,   ove   si   ritenga   il   reclamo   un  mezzo   di   impugnazione   vero   e   proprio   ed   un   secondo   grado   di  

giudizio,   il  giudice  dovrebbe  limitarsi  a  dichiarare  la   illegittimità  del  provvedimento  di  rigetto  ed  a  caducarlo  

consentendo  alla  parte  di  riproporre  la  domanda  cautelare.  Ma,  per  la  riproposizione  di  questa  ultima,  come  si  

è  più  volte  ripetuto,  non  ci  sarebbe  bisogno  del  giudice  del  reclamo  con  un  giudizio  rescindente.  In  definitiva,  

piuttosto   che   reclamare   il   provvedimento   di   rigetto   privandosi   di   un   successivo   eventuale   riesame   del  

medesimo   provvedimento,   sarebbe   più   conveniente   agire   con   la   riproposizione   dell’istanza   ritenendola  

un’implicita  o   tacita   rinuncia  al   reclamo.  Ma,   la   rinuncia  espressa  o   tacita  al   reclamo  –  come   in  precedenza  

detto  –   ripristinerebbe   in   toto   le  preclusioni  di  cui  all’art.  669septies  c.p.c.   in  quanto  avendo   l’ordinamento  

previsto  un  determinato  rimedio  tutte   le  questioni  sorte  prima,  durante  o   in  occasione  della  prima  fase  del  

procedimento  e  fino  a  quella  di  reclamo  devono  essere  fatte  valere  in  detto  rimedio103.  Ma  se  il  reclamo  deve  

ritenersi  non  sovrapponibile  ad  altri  rimedi  fin  tanto  che  non  sia  spirato  il  termine  di  impugnativa  è  una  strada  

obbligata  per  dedurre  le  nuove  ragioni  di  fatto  o  di  diritto  a  sostegno  dell’incolpevole  decadenza  o  mancata  

partecipazione  all’udienza  ed  a   causa  della  quale  vi  è   stato   il  provvedimento  di   rigetto.   Il   che  vuol  dire   che  

l’omessa  proposizione  del  reclamo  consolida  il  provvedimento  di  rigetto  e  la  riproposizione  del  ricorso  dovrà  

sottostare  al  regime  delle  preclusioni  di  cui  all’art.  669septies  c.p.c.  

 

 

6. I  provvedimenti  di  chiusura  del  procedimento  diversi  dal  rigetto.  

 

Occorre   adesso   passare   in   rassegna   le   altre   ipotesi   in   cui   il   giudice   di   prime   cure   abbia   pronunciato   una  

declaratoria   di   cancellazione   della   causa   dal   ruolo,   o   di   non   luogo   a   provvedere,   o   di   archiviazione   del  

procedimento.  

Tali  statuizioni  secondo  una  giurisprudenza  che  sembrerebbe  minoritaria  vanno  interpretate  a  tutti  gli  effetti  

come  un  provvedimento  di  rigetto  del  ricorso  e  quindi  sarebbero  reclamabili  e  riproponibili  in  presenza  delle  

                                                                                                               103 E. Poli, op. ult. cit., 1179.

   previste  condizioni  di  legge.104  Tale  giurisprudenza  riteneva  di  conseguenza  inammissibile  una  riassunzione  del  

procedimento  cautelare  anche  perché  formatasi  prima  della  novella  dell’art.  153  c.p.c.  

Altro   ipotetico  motivo  –  che   renderebbero  siffatti  provvedimenti  non   reclamabili  e  nemmeno  assimilabili  al  

provvedimento   di   rigetto   –   potrebbe   risiedere   nella   mancanza   di   motivazione105.   Questa,   sia   pure  

succintamente,  come  dispone  l’art.  134  c.p.c.,  deve  comunque  accompagnare  il  provvedimento  di  rigetto  che,  

appunto,   viene   adottato   con   ordinanza.   Di   contro   il   provvedimento   di   estinzione,   o   di   cancellazione   della  

causa  dal  ruolo,  o  di  archiviazione  non  necessita  di  motivazione,  ma  di  consueto  reca  solo  la  indicazione  della  

causa   nel   dispositivo.   Nella   pratica   si   riscontrano   disposizioni   con   la   dicitura   del   tipo:   “Il   giudice,   poiché  

nessuno   è   comparso   dichiara   ….”,   a   seconda   della   formula   scelta,   “l’estinzione”   o   “la   cancellazione”   o  

“l’archiviazione”.  

Ma,   a  ben  vedere,   anche   il   provvedimento  di   rigetto   (per   assenza  del   ricorrente  all’udienza)   viene  di   solito  

adottato  con  la  medesima  dicitura  appena  ricordata.  

Ed   allora,   è   legittimo   domandarsi   perché   non   debba   valere   anche   qui   il   principio   della   prevalenza   della  

sostanza  sulla  forma,  come  avviene  per  la  sentenza  assunta  con  la  forma  dell’ordinanza.106  

Se  si  assume  che  il  provvedimento  di  non  luogo  a  provvedere,  o  di  estinzione,  o  di  cancellazione,  è  comunque,  

un  atto  di  chiusura  del  procedimento  potrebbe  essere  equiparato  al  provvedimento  di   rigetto  e,  come  tale,  

essere  reclamabile.    

Invero,   siffatte   statuizioni,   essendo   estranee   alla   tipologia   dei   provvedimenti   cautelari,   per   le   stesse  

argomentazioni  più  sopra  sviluppate,  dovrebbero  ritenersi  non  reclamabili,  tanto  più  dopo  la  previsione  della  

rimessione   in   termini   come   istituto-­‐rimedio   di   carattere   generale   che   potrebbe   ritornare   utile   ai   fini   della  

riassunzione  del  procedimento.  Argomentazioni  interessanti  possono  trarsi  da  Cass.  sez.  I,  14  maggio  2012,  n.  

7437.  Tale  pronuncia,  sebbene  emessa  sul  ricorso  avverso  un  provvedimento  di  diniego  alla  riassunzione  di  un  

procedimento  camerale  ex  art.  737  c.p.c.,  contiene  alcuni  passaggi  che  potrebbero  tornare  utili  per  il  caso  in  

esame.   La   Corte   dopo   aver   ripetutamente   escluso   la   ricorribilità   per   cassazione   del   provvedimento  

dichiarativo  di  non   luogo  a  provvedere  emesso  dal   giudice  di  merito  a   seguito  della  mancata   comparizione  

                                                                                                               104 Trib. Messina, 12-7-2005, in Giur. merito, 06, 311. Contra, con riferimento però al provvedimento di estinzione per rinuncia agli atti: Trib. Torino, 21-4-1994, in Giur. it., 95, 1, II, 102; Trib. Agrigento, 23-3-1995, ivi, 698; Trib. Napoli, 14-10-1999, in G. nap., 99, 396. Nello stesso senso ammettendone la riproponibilità dell’istanza cautelare senza alcuna preclusione: Trib. S. M. Capua Vetere, 13-10-1997, ord., in Giur. merito, 98, I, 217. 105 Sull’importanza della motivazione si rinvia a: Monteleone, Scritti sul processo civile, Vol. I, Aracne, Roma, 2012, 21 ss; Id.: Gaetano Filangieri e la motivazione delle sentenze, in Il giusto processo civile, 3/2007, 663-676. 106 Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 191 e 309 c.p.c., cit., 5. G. Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 284-285.

   delle   parti   in   camera   di   consiglio107,   in   quanto   ne   difetterebbe   la   natura   decisoria   sulla   base   di  

un’assimilazione  analogica  della   formula  del   dispositivo   alla   cancellazione  della   causa  dal   ruolo,   propria  dei  

giudizi   di   cognizione   ex   art.   181   c.p.c.,   lo   ritiene   suscettibile   di   dar   luogo   a   riassunzione   in   forza   di   un  

provvedimento  ordinatorio  di  fissazione  di  una  nuova  udienza  di  trattazione  su  ricorso  della  parte  interessata.  

In  definitiva,  dalla  sentenza  citata,  si  può  ritenere  che  il  provvedimento  di  non  luogo  a  provvedere  in  quanto  

privo   di   carattere   decisorio   sia   insuscettibile   di   ricorso   per   cassazione,  ma   se   l’elemento   che   lo   rende   non  

impugnabile  è  la  mancanza  di  decisorietà  non  sarà  impugnabile  tanto  in  sede  di  legittimità  quanto  nel  merito.  

Tuttavia  la  medesima  Corte  apre  la  via  alla  riassunzione.  

La  soluzione  della  Corte  è  soddisfacente  sul  piano  pratico,  ma  occorre  verificarne  il  fondamento  teorico.  

Se  non  si  vuole  ritenere  applicabile  per  analogia  l’istituto  dell’inattività  semplice,  propria  del  giudizio  ordinario  

di  cognizione,  sarebbe  più  coerente  e   logico,  per   il  principio  sopra  ricordato,  della  prevalenza  della  sostanza  

sulla   forma,   equiparare   il   provvedimento   di   estinzione   o   di   non   luogo   a   provvedere   ed   altri   simili   al  

provvedimento   tipico   previsto   dall’art.   669septies   c.p.c.   che   è   quello   di   rigetto   del   ricorso   con   tutte   le  

conseguenze   che   seguono   compresa   la   reclamabilità.   La   decisorietà   o   meno   del   provvedimento   non   può  

dipendere  dal  nomen  juris  che  il  giudice  attribuisce  alla  statuizione.  

Si  definisce  decisoria  l’ordinanza  quando  statuisce  su  una  questione  (di  fatto  o  di  diritto)  controversa.108  

In  materia  cautelare   la  decisorietà,  sia  pure  nei   limiti  della  strumentalità,  provvisorietà  o  non  definitività  ed  

inidoneità   al   giudicato   del   provvedimento,   è   più   simile   alla   sentenza.   L’ordinanza   emessa   a   chiusura   del  

giudizio   cautelare   spiega  effetti  ben  diversi  dall’ordinanza   tout   court   che  nel  processo  a   cognizione  piena  è  

preordinata  a  regolamentare  lo  svolgimento  del  processo  medesimo.  Nel  procedimento  cautelare  il  contenuto  

decisorio  dell’ordinanza   risiede  nella   statuizione,   alla   stregua  di  un’istruttoria   sommaria,   che  assicura   in   via  

provvisoria  gli  effetti  della  decisione  sul  merito.  L’accertamento  del  giudice  cautelare  in  ordine  al  fumus  boni  

juris  e  al  periculum  riguarda  la  probabile  esistenza  o  meno  del  diritto  e  il  pregiudizio  grave  ed  irreparabile  che  

quel   diritto   subirebbe   nelle  more   di   un   ordinario   giudizio   di   cognizione.   Essa   in   qualche  modo   e   nei   limiti  

anzidetti  ha  natura  satisfattoria.  Tanto  nel  caso  di  misure  conservative  come  il  sequestro  conservativo,  quanto  

nel  caso  di  misure  che  assicurano  gli  effetti  della  decisione  sul  merito,  è  indubbio  che  il  ricorrente  consegua  

l’utilità  o  il  bene  della  preservazione/conservazione  della  propria  situazione  giuridica  come  il  diritto  di  credito,  

per  evitare  una  inutile  e/o  infruttuosa  esecuzione,  nel  primo  caso  e  l’anticipazione  degli  effetti  della  sentenza  

                                                                                                               107 Cass., Sez. I, 25-10-2011, n. 22.154; Cass., Sez. I, 20-2-2004, n. 3388. 108 Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Napoli, 1954, 34; G. Monteleone , op.ult.cit., 284.

   di  merito  nel  secondo.  In  quest’ultimo  caso  –  con  in  precedenza  detto,  non  essendo  più  necessario  iniziare  il  

giudizio   di   merito   per   evitare   la   inefficacia   del   provvedimento   cautelare   –   l’effetto   satisfattivo   potrebbe  

derivare   unicamente   dalla   decisione   cautelare.   Le   misure   cautelari   costituiscono   una   proiezione   della  

decisione  di  merito.  

Tirando  le  fila  del  discorso  non  sembra  che,  nella  fattispecie  in  esame,    nella  sostanza  o  nel  contenuto,  ci  sia  

differenza  tra  il  provvedimento  di  chiusura  per  estinzione  o  cancellazione  o  non  luogo  a  provvedere  e  quello  di  

rigetto.  

E,   allora,   devono   ricercarsi   i   motivi   per   i   quali   non   sia   possibile   un’equiparazione   tra   i   provvedimenti   di  

chiusura  diversi  dal  rigetto  e  quest’ultimo  e  la  conseguente  non  reclamabilità  dei  primi.  

La   ragione  potrebbe  risiedere  nel   fatto  che  una  volta  applicato  –  sebbene   in  modo  monco  –  un   istituto  del  

processo  ordinario  al  procedimento  cautelare  deve  poi  seguire  la  disciplina  normativa  dettata  per  quel  tipo  di  

provvedimento,  anche  perché   in  tal  caso   la   forma  esprimerebbe  una  sostanza  diversa  dal  provvedimento  di  

rigetto.  

“Se  devo  lavorare  il  legno,  debbo  rispettare  la  sua  natura  e  non  posso  trattarlo  come  faccio  con  il  marmo  o  con  

il  ferro”109.      

Si  potrebbe  affermare  che  il  rigetto,  ancorchè  motivato  come  quelli  di  estinzione  o  di  cancellazione  et  similia,  

rigettando   il   ricorso   anche   se   per   motivi   di   rito,   come   la   mancata   partecipazione   all’udienza,   comunque  

respinge   la   domanda,   mentre   i   secondi   non   rigettando   il   ricorso   lasciano   il   procedimento   in   uno   stato   di  

quiescenza.  

Tale   stato   non   consente   il   reclamo   perché   non   si   sarebbe   ancora   conclusa   la   prima   fase   cautelare   ed   il  

provvedimento  sarebbe  privo  di  decisorietà  in  quanto  non  definitivo  e  di  tipo  interlocutorio.  Di  qui  la  necessità  

della  riassunzione  del  procedimento  con  l’istanza  di  fissazione  dell’udienza.  

La  spiegazione  finisce  in  buona  sostanza  per  avallare  la  soluzione  della  Suprema  Corte  sopra  citata.  L’anomalia  

risiede   nell’adozione   di   provvedimenti   di   chiusura   del   procedimento   cautelare   diversi   da   quelli   previsti   dal  

quadro  normativo  di  riferimento  dato  dagli  artt.  669sexies,  669septies  e  669octies  c.p.c.  

Uno  dei  motivi  per  il  quale  si  debba  ritenere  corretta  l’adozione  della  pronuncia  di  rigetto  potrebbe  risiedere  

nella  esigenza  –  connaturata  alla  gravità  e  alla   intrinseca  pericolosità  della   tutela  cautelare  –  di  evitare  che  

                                                                                                               109 La frase nel testo è di F. Viola, Il diritto tra arte ed etica, cit., p. 12. Aristotele, nell’Etica Nicomachea,, a proposito di questioni di metodo dice che: l’esattezza scientifica da ricercare è quella adeguata alla natura della materia; la causa non va ricercata allo stesso modo in tutti i campi, ma in alcuni basta indicare il fatto o il che; in campo pratico i principi devono essere ricavati per induzione dall’esperienza specificati nelle sensazioni e nelle abitudini.

   l’esercizio   dell’azione   avvenga   con   facilità/frequesnza,   desistendo   e/o   riassumendo   all’occorrenza   il  

procedimento  ricacciandolo  in  una  condizione  di  standby,  mantenendo  e  aumentando  lo  stato  di  incertezza.  Il  

rigetto,  così,  sarebbe  funzionale  alla  necessità  di  conferire  certezza  alla  situazione  processuale  e  di  chiudere  il  

procedimento   in   modo   tendenzialmente   definitivo   nel   senso   che   a   tale   definitività   può   attribuirsi   al  

provvedimento   cautelare   per   sua   natura   insuscettibile   di   passare   in   giudicato,   tanto   più   in   caso   di  

provvedimento  di  rigetto;  quindi,  definitività  come  sinonimo  di  stabilità.  

Ma,   il  provvedimento  di  rigetto  si  confà  maggiormente    al  rispetto  del  principio  del  contraddittorio  e  al  c.d.  

diritto  costituzionale  di  difesa  che  riguarda  anche  la  parte  convenuta  che  non  può  essere  tenuta  sospesa  sotto  

la   spada   di   damocle   di   un   procedimento   cautelare   che   non   è   chiuso   e   può   essere   riattivato   ad   arbitrio  

dell’attore.  

Ciò   posto,   se   il   provvedimento   di   estinzione   o   cancellazione   o   di   non   luogo   a   provvedere   non   si   vuole  

equiparare  a  quello  di  rigetto  con  conseguente  sua  reclamabilità,  non  resta  che  esplorare  la  riassunzione  e/o  

la  riproposizione  della  domanda  ed  il  rapporto  di  entrambe  con  la  rimessione  in  termini.  

Del  resto,  come  sostiene  una  dottrina,  la  nuova  collocazione  dell’art.  153  c.p.c.,  sarebbe  indice  della  volontà  di  

estendere   il   rimedio   della   rimessione   in   termini   anche   ai   poteri   esterni   al   processo,   ovvero   ai   poteri   di  

impugnazione  e  di  prosecuzione  o  di  riassunzione  del  giudizio.110  

Sicchè,   nei   casi   in   cui   la   parte   sia   incolpevolmente   decaduta   o   rimasta   assente   all’udienza   può   chiedere   la  

fissazione   di   un’udienza   per   la   trattazione   del   procedimento   cautelare,   può,   altresì,   proporre   istanza   di  

rimessione  in  termini  allo  stesso  giudice  della  decisione,  ovvero  riproporre  la  domanda  cautelare.111  Valgono  

anche   qui   le   stesse   argomentazioni   più   sopra   svolte   in   ordine   al   rapporto   tra   rimessione   in   termini   e  

riproposizione   in   ordine   alla   non   reclamabilità   del   provvedimento   sulla   prima   e   alla   reclamabilità   del  

provvedimento  sulla  seconda.  

La   rimozione   dei  motivi   processuali,   che   avevano   causato   il   non   luogo   a   provvedere   o   altre   simili   formule  

provvedimentali,   possono   rientrare   o   costituire   le   nuove   ragioni   di   fatto   o   di   diritto   che   legittimano   la  

riproposizione  della  domanda  cautelare.  

Diversamente   opinando,   ove   non   consentito   il   rimedio   della   riassunzione,   resterebbe   comunque   il   rimedio  

della  rimessione  in  termini.  

 

                                                                                                               110 Caponi, Rimessione in termini: estensione ai poteri di impugnazione (art. 153, 2° comma, c.p.c.), cit. 283. 111 La riproposizione può riguardare elementi di fatto o di diritto non dedotti ma deducibili. E. Poli, Rimedi cautelari, cit. 1184.

   

7. Considerazioni  conclusive.    

 

La  soluzione  alla  quale  si  è  pervenuti  scaturisce  per  un  verso  dalla  inapplicabilità  in  via  analogica  dell’istituto  

dell’estinzione  del  processo  per  c.d.  inattività  semplice  al  giudizio  cautelare  e  per  altro  verso  dall’esigenza  di  

rimanere  strettamente  ancorati  al  diritto  positivo  nell’intento  di  evitare  soluzioni  di  tipo  meramente  empirico  

o  di  comodo.  

Se   l’ordinamento   non   consente   l’applicazione   analogica   della   disciplina   degli   artt.   309   e   181   c.p.c.   che  

regolano   appunto   la   mancata   comparizione   delle   parti   all’udienza,   non   può   nemmeno   consentire   rimedi  

parziali   estrapolati   da   quella   stessa   normativa   ritenuta   inapplicabile   come   la   cancellazione   della   causa   dal  

ruolo,  o  il  non  luogo  a  provvedere,  o  l’archiviazione112.  

La   soluzione   più   coerente   sembra   essere   quella   adottata   perché   rispondente   alla   natura   del   procedimento  

cautelare  e  alla  sua   intrinseca  pericolosità   insita  nell’attribuzione  provvisoria  e  anticipata  di  una  tutela  a  chi  

non   si   sa   ancora   se   ha   ragione   o   torto,   ma   non   si   vuole   nemmeno   che   l’attore   che   ha   ragione   venga  

pregiudicato  dai  tempi  del  processo  ordinario.  

Di   qui   la   necessità   imposta   dall’ordinamento   di   esigere   da   colui   che   invoca   siffatta   tutela   di   essere  

responsabilmente  attivo  attraverso  continui  atti  di  impulso  processuale  fino  alla  decisione.  

Avviene  l’inverso  del  giudizio  di  Cassazione  laddove  vige  il  principio  di  impulso  d’ufficio.  

Nel  processo  cautelare  vige  il  principio  dell’impulso  di  parte  continuo,  proprio  per  sottolineare  la  gravità  e  la  

pericolosità  della  tutela  e  di  conseguenza  la  necessità  che  la  domanda  sia  responsabilmente  e  costantemente  

presente  fino  alla  decisione.  

In   sostanza   così   come   l’impulso   d’ufficio   accompagna   il   ricorso   per   cassazione   fino   alla   decisione,   senza  

necessità  di  alcuna  attività,  l’impulso  di  parte  deve  di  continuo  accompagnare  il  ricorso  e  quindi  la  domanda  

cautelare  fino  alla  pronuncia.  

Tuttavia,  l’inattività  incolpevole  della  parte  o  del  suo  difensore,  non  può  e  non  deve  ritorcersi  in  danno  degli  

stessi  intaccando  il  diritto  di  azione  e  il  diritto  costituzionale  di  difesa.113  

                                                                                                               112   Gli   ultimi   due   poi,   nell’ambito   del   giudizio   civile,   sarebbero   neologismi   giuridico-­‐processuali   o   peggio  elementi   spuri,   in   quanto  mutuati   da  un   altro  processo   che   è   quello   penale.   Su   tali   argomenti   v.:   Cordero,  Procedura   penale,   Giuffrè,   Milano,   2007,   429;   G.   Dean   e   R.   Fonti,   Archiviazione,   Digesto,   sezione   penale,  aggiornamento,   I,   Torino,   2005,   37   ss.;   S.   Lorusso,   Atti   e   provvedimenti   penali,   Digesto   ,sezione   penale,  aggiornamento,  I,  Torino  2005,  90  ss..  113 Vedi retro nota 30.

   Il   rimedio   generale   della   rimessione   in   termini   è   sicuramente   istituto   a   sostegno   del   diritto   di   difesa   e  

dell’integrità  del   contraddittorio   in   condizioni  di  parità.  Quest’ultima   locuzione  è   importante  ove  si  pensi  al  

vantaggio   che  ne  deriverebbe  al   convenuto  dalla  decadenza  o  dal  mancato  esercizio  di   un  potere  o  di   una  

facoltà   processuali   da   parte   dell’attore-­‐ricorrente   per   una   sua   incolpevole   inerzia.   Parimenti   il   predetto  

convenuto   ha   diritto   ad   avere   una   situazione   di   certezza   e/o   comunque   alla   rimozione   della   situazione   di  

incertezza  provocata  dalla   instaurazione  del  procedimento  cautelare  che,  a  causa  dell’assenza  del  ricorrente  

all’udienza,   si   mantiene   e   si   protrae   se   non   viene   rimossa   e   tale   rimozione   o   ripristino   della   situazione   di  

certezza  non  può  avvenire  con  provvedimenti  non  decisori  più  sopra  menzionati.  Questi  ultimi  mantengono  il  

procedimento  cautelare  in  uno  stato  di  quiescenza  o  di  sospensione  in  attesa  di  una  eventuale  riassunzione  da  

parte   dell’attore-­‐ricorrente.   Di   contro,   il   provvedimento   di   rigetto,   proprio   perché   previsto   espressamente  

dalla   norma   ex   art.   669septies   c.p.c.   e   per   tutte   le   ragioni   che   sono   state   disaminate,   chiude   in   modo  

tendenzialmente  definitivo  il  procedimento  cautelare.  

Il   che   si   dimostra   maggiormente   rispondente   all’esigenza   di   salvaguardia   del   contraddittorio   anche  

nell’interesse  della  parte  convenuta  che  subisce  il  procedimento  cautelare.  

La  rimessione  in  termini  è  un  istituto  che  per  la  sua  portata  generale  è  applicabile  alla  tutela  cautelare  in  tutte  

le  ipotesi  di  decadenze  od  omissioni  incolpevoli.  

Nella   fattispecie  oggetto  della  presente   riflessione,  come  si  è  più  volte   ripetuto,  gioca  un   ruolo   residuale  di  

copertura  e  di  completamento  del  sistema  che  già  di  per  sé  prevede  la  possibilità  di  meccanismi  di  correzione  

e   di   reintegrazione   nei   poteri   processuali   che   la   parte   incolpevolmente   non   ha   potuto   esercitare  

tempestivamente.  

Gli strumenti sono il reclamo e la riproposizione dell’istanza cautelare e, nei limiti di cui si è detto, la

riassunzione.

Quanto   al   primo   non   sussistono   problemi   di   alcun   genere   sulla   sua   ammissibilità   perché,   come   più   volte  

ribadito,   il  provvedimento  di   rigetto  è   reclamabile  a  prescindere  dai  motivi  di   rito  o  di  merito  che   lo  hanno  

determinato  e  ove  si  vogliano  assimilare  i  provvedimenti  dichiarativi  di  estinzione  o  di  non  luogo  a  provvedere  

o  di  archiviazione  al  provvedimenti  negativo  di  rigetto  sarebbero  anch’essi  reclamabili.  

Diversamente,   questi   ultimi,   come   già   anticipato,   possono   essere   rimossi   ricorrendo   all’istituto   della  

rimessione  in  termini  per  la  riassunzione  del  procedimento  o  con  la  riproposizione  del  ricorso.  

   Per   quanto   riguarda   poi   quest’ultimo   strumento,   la   deducibilità   delle   nuove   ragioni   di   fatto   o   di   diritto  

consente   di   invocare   la   stessa   tutela   cautelare   che   il   ricorrente   aveva   chiesto   e   che   a   causa   dell’inerzia  

incolpevole  non  aveva  potuto  ottenere.    

La   rimessione   in   termini,   in   ordine   alle   preclusioni   e   al   fatto   causativo   della   mancata   partecipazione  

incolpevole  all’udienza  e   se   tale   fatto,  oltre  a   costituire  oggetto  della  predetta   rimessione   in   termini,  possa  

essere  considerato  alla  stregua  di  un  mutamento  di  circostanze  o  di  nuove  ragioni  di  fatto  o  di  diritto  come  

richiesto  dall’art.  669septies  c.p.c.  merita  alcune  precisazioni.  

Il  provvedimento  di  rigetto  causato  dall’assenza  delle  parti  all’udienza  per  fatto  incolpevole  del  ricorrente  può  

essere  rimosso  con  gli  strumenti  di  cui  si  è  detto  finora.  

La   non   imputabilità   dell’inerzia   processuale   al   ricorrente   costituisce   valido  motivo   ai   sensi   degli   artt.   153   e  

294,  comma  2,  c.p.c.,  per  chiedere  e  ottenere   la  rimessione  in  termini,  ma,  al  tempo  stesso,  costituisce  una  

ragione  di   fatto   o   di   diritto   da   far   valere   in   sede  di   reclamo   in   quanto  dette   ragioni   sono  nuove  nella   loro  

prospettazione-­‐deduzione,   rispetto   al   provvedimento   di   rigetto,   ancorchè   verificatesi   nel   corso   del  

procedimento.    

La  risposta  è  affermativa  se  si  adotta  una  nozione  di  circostanze  omnicomprensiva  sia  dei  motivi  processuali  

che  di  merito,  mentre  non  vi  è  dubbio  che  possano  costituire  nuove  ragioni  di  fatto  o  di  diritto.  

Il  problema,  però,  non  è  tanto  sul  distinguo  tra  mutamento  di  circostanze  e  nuove  ragioni  fattuali  o  giuridiche,  

che   potrebbe   non   sussistere,   quanto   nella   tempistica   e/o   nella   deducibilità   in   ordine   alla   stabilità   del  

provvedimento  cautelare  e  alla  sua  naturale  inettitudine  al  giudicato.  

L’art.   669septies   c.p.c.   testualmente   subordina   la   riproponibilità   dell’istanza   cautelare   a   “…   quando   si  

verificano  mutamenti  di   circostanze  o  vengano  dedotte  nuove   ragioni  di   fatto  o  di  diritto”.   Il  mutamento  di  

circostanze   implica   un   dinamismo   fenomenico   che   incidendo   sul   fumus   boni   juris  o   sul  periculum   in  mora,  

rimuove   i   motivi   per   i   quali   era   stato   negato   il   provvedimento   cautelare.   Come   tale,   il   mutamento   di  

circostanze,  stando  al  dettato  normativo,  deve  essere  qualcosa  il  cui  verificarsi  è  temporalmente  successivo  al  

provvedimento  negativo;  tant’è  che,  ai  sensi  dell’art.  669terdecies  c.p.c.,  anche  i  mutamenti  sopravvenuti  alla  

proposizione   del   reclamo,   debbono   essere   proposti   nel   relativo   procedimento.   L’art.   669decies   c.p.c.  

subordina  la  revoca  o  la  modifica  del  provvedimento  positivo  (o  di  accoglimento)  al  verificarsi  di  mutamenti  di  

circostanze   o   alla   allegazione   di   fatti   anteriori   di   cui   si   sia   acquisita   conoscenza   successivamente   al  

provvedimento  cautelare.  

   In  conclusione  da  una  lettura  integrata  e  sistematica  della  normativa  sopra  esplorata  sembra  emergere  che  il  

mutamento  delle  circostanze  debba  essere  dedotto  nel  momento  in  cui  si  verifica  e  nel  relativo  procedimento  

e  solo  se  si  verifica  successivamente  al  provvedimento  può  costituire  motivo  di  riproposizione  del  ricorso  e  di  

revoca  o  modifica  per  il  provvedimento  positivo  e  ulteriore  deduzione  in  sede  di  reclamo  se  si  verifica  dopo  la  

sua  proposizione.  

Ne   consegue   che   il   mutamento   delle   circostanze   vada   a   rimuovere   il   dedotto   e   quindi   quella   parte   del  

provvedimento  che  gli  conferisce  la  stabilità.  

Le  nuove  ragioni  di  fatto  o  di  diritto,  sono  nuove  solo  in  ordine  alla  prospettazione-­‐deduzione,  ma  non  al  loro  

accadimento   e   come   tali   sono   deducibili   in   sede   di   riproposizione   dell’istanza   o   in   sede   di   reclamo   come  

motivo  di  doglianza  avverso  il  rigetto.  

In  definitiva,   il   sistema  normativo  disaminato,  contiene  un’autonoma  fattispecie   restitutoria   la  cui  disciplina  

deve  interamente  ricercarsi  in  seno  al  medesimo  sistema  degli  artt.  669septies  e  669terdecies  c.p.c.  

Ciò  posto,  in  sintesi  riassumendo:  in  pendenza  del  termine  per  il  reclamo,  le  ragioni  che  hanno  determinato  la  

decisione   negativa   del   rigetto   per   incolpevole   inerzia,   devono   necessariamente   essere   dedotte   nel   relativo  

procedimento  di  reclamo.  

Nel  caso  in  cui,  invece,  il  procedimento  della  prima  fase  (cautelare)  si  fosse  concluso  con  un  provvedimento  di  

estinzione  o  di  non  luogo  a  procedere  o  a  provvedere  e  simili  non  resterebbe  che  chiedere  allo  stesso  giudice  

la  rimessione  in  termini  mediante  istanza  di  fissazione  dell’udienza  perché  –  come  più  volte  ripetuto  –  siffatti  

provvedimenti  non  avendo  carattere  decisorio  e  non  essendo  espressione  del  potere  cautelare  del  giudice  si  

sottraggono  al  rimedio  del  reclamo.  

La  riproposizione  dell’istanza,  come  altrettanto  si  è  più  volte  detto,  in  pendenza  del  termine  del  reclamo,  non  

può  essere   considerata   inammissibile  o   improcedibile,  né   soggetta  a   sospensione  necessaria   in  attesa  della  

decisione   sul   reclamo,   essa   costituisce   piuttosto   una   forma   di   tacita   o   implicita   rinuncia   al   rimedio   del  

reclamo.   Il  che  comporta   il  consolidamento  del  provvedimento  e  di  conseguenza  detta  riproposizione  dovrà  

sottostare  a  tutte  le  preclusioni  di  cui  all’art.  669septies  c.p.c.