Piede piatto: “piatto” malattia o sintomo? - AIFI Liguria · 6 lare assiale del piede) lungo il...

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3 Paradigmatico è il “piede piatto infantile” di cui mi è sempre stata difficile la collocazione nosografica e la definizione. Già diversi anni or sono ebbi a porre in discus- sione il reale significato del termine “piatto” come volto, tradizionalmente, a definire un quadro patologico e non a significare un sem- plice sintomo. Ne intervenni in discussioni in ambito congressuale, ne feci oggetto di relazione già al nostro XXIV Corso di Aggiornamento in Chirurgia del Piede in Santa Vittoria d’Alba dal 19 al 23 giugno 1989 e, forse sollecitati da Ferrante più volte corsista, Castellacci e Ferrini organizzarono a Foligno il 20 ottobre 2000 una riunione dal tema provocatorio: “Esiste il piede piatto?”. Argomento ripreso e discusso già nella prima edizione (1990) del mio “Trattato di chirurgia del piede”. Non ne è sorto nulla e “piatto” è ancor oggi de- finizione generica di altrettanto generica patolo- gia e continua dunque il mio interesse a cercare di chiarire il reale significato di “piede piatto”. Piatto è quel piede il cui versante mediale è affrontato al suolo con apparente scomparsa della volta plantare. Ho scritto apparente perché in effetti se noi osserviamo l’impronta plantare di tutti i cosiddetti “piedi piatti infantili”, essa in alcuni casi documenta chiaramente un ap- piattimento della volta plantare, mentre in altri casi presenta un salto di carico al mesopiede, caratteristica del piede cavo (Fig. 1 a-c) (1). È questo il piede cavo-valgo cioè il ponte che si è rovesciato di lato, affrontando la sua arcata mediale al suolo, ma conservando la struttura di ponte. È l’opposto del piede piatto-valgo che è il ponte crollato a terra con perdita dell’assetto strutturale. Nel primo caso (piede cavo-valgo) è conseguente una componente rotatoria che in chiusura della catena cinetica condiziona l’intrarotazione di tutto l’arto; nel secondo caso (piede piatto-valgo) il crollo sagittale non comporta momenti rotatori e non interviene all’assetto rotatorio dell’arto (Fig. 1 d, e). Dato ispettivo di “piatto” comune a due distin- ti quadri clinici. Piede cavo-valgo e piede piatto-valgo sono pertanto due aspetti diversi di piedi che, pur accomunati da un valgo di calcagno, presentano caratteristiche differenziali nell’avere il primo il profilo laterale del piede concavo e nel deter- minare uno strabismo convergente di rotula, mentre nel secondo il profilo laterale del piede è rettilineo o convesso e non esistono disassetti rotatori sovrasegmentari. E anche l’esame radiologico in proiezione late- rale in ortostatismo non è differenziale perché nei due casi, per l’orizzontalizzazione del calca- LO SCALPELLO (2011) 26:3-7 DOI 10.1007/s11639-012-0129-6 Piede piatto: “piatto” malattia o sintomo? G. Pisani Centro Chirurgia del Piede “G. Pisani”, Clinica “Fornaca di Sessant”, Torino ABSTRACT – FLAT FOOT: DOES FLATMEAN DISEASE OR SYMPTOM? Regarding the so-called paediatric flatfoot, we question the meaning of “flat” since it should be considered not as a disease but as a symptom in the context of a multifactorial disease during post-natal growth. We shall adopt a similar syndromic approach toward the definition, if any, of paediatric dysmorphic foot which, however, has the advantage of a pathogenetic reference. One shoud not refer to the pronatory syndrome as a disease that is subsequent to abnormal pronation of the subtalar joint because the so-called joint is a cultural artefact and not an anatomical fact: the so-called anterior subtalar joint does not have an autonomous capsular structure and it is a component of the talo-calcaneo-navicular joint or coxa pedis. Similar considerations can be made for the adult flat foot. Aggiornamenti “Il piede “piatto” è sintomo e non malattia”

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Paradigmatico è il “piede piatto infantile” di cui mi è sempre stata difficile la collocazione nosografica e la definizione.Già diversi anni or sono ebbi a porre in discus-sione il reale significato del termine “piatto” come volto, tradizionalmente, a definire un quadro patologico e non a significare un sem-plice sintomo. Ne intervenni in discussioni in ambito congressuale, ne feci oggetto di relazione già al nostro XXIV Corso di Aggiornamento in Chirurgia del Piede in Santa Vittoria d’Alba dal 19 al 23 giugno 1989 e, forse sollecitati da Ferrante più volte corsista, Castellacci e Ferrini organizzarono a Foligno il 20 ottobre 2000 una riunione dal tema provocatorio: “Esiste il piede piatto?”. Argomento ripreso e discusso già nella prima edizione (1990) del mio “Trattato di chirurgia del piede”.Non ne è sorto nulla e “piatto” è ancor oggi de-finizione generica di altrettanto generica patolo-gia e continua dunque il mio interesse a cercare di chiarire il reale significato di “piede piatto”.Piatto è quel piede il cui versante mediale è affrontato al suolo con apparente scomparsa della volta plantare. Ho scritto apparente perché in effetti se noi osserviamo l’impronta plantare di tutti i cosiddetti “piedi piatti infantili”, essa in alcuni casi documenta chiaramente un ap-piattimento della volta plantare, mentre in altri

casi presenta un salto di carico al mesopiede, caratteristica del piede cavo (Fig. 1 a-c) (1). È questo il piede cavo-valgo cioè il ponte che si è rovesciato di lato, affrontando la sua arcata mediale al suolo, ma conservando la struttura di ponte. È l’opposto del piede piatto-valgo che è il ponte crollato a terra con perdita dell’assetto strutturale. Nel primo caso (piede cavo-valgo) è conseguente una componente rotatoria che in chiusura della catena cinetica condiziona l’intrarotazione di tutto l’arto; nel secondo caso (piede piatto-valgo) il crollo sagittale non comporta momenti rotatori e non interviene all’assetto rotatorio dell’arto (Fig. 1 d, e).

Dato ispettivo di “piatto” comune a due distin-ti quadri clinici.Piede cavo-valgo e piede piatto-valgo sono pertanto due aspetti diversi di piedi che, pur accomunati da un valgo di calcagno, presentano caratteristiche differenziali nell’avere il primo il profilo laterale del piede concavo e nel deter-minare uno strabismo convergente di rotula, mentre nel secondo il profilo laterale del piede è rettilineo o convesso e non esistono disassetti rotatori sovrasegmentari.E anche l’esame radiologico in proiezione late-rale in ortostatismo non è differenziale perché nei due casi, per l’orizzontalizzazione del calca-

lo scalpello (2011) 26:3-7DoI 10.1007/s11639-012-0129-6

Piede piatto: “piatto” malattia o sintomo?G. Pisani Centro Chirurgia del Piede “G. Pisani”, Clinica “Fornaca di Sessant”, Torino

AbstrAct – FlAt Foot: does “FlAt” meAn diseAse or symptom?

Regarding the so-called paediatric flatfoot, we question the meaning of “flat” since it should

be considered not as a disease but as a symptom in the context of a multifactorial disease

during post-natal growth.

We shall adopt a similar syndromic approach toward the definition, if any, of paediatric

dysmorphic foot which, however, has the advantage of a pathogenetic reference.

One shoud not refer to the pronatory syndrome as a disease that is subsequent to abnormal

pronation of the subtalar joint because the so-called joint is a cultural artefact and not

an anatomical fact: the so-called anterior subtalar joint does not have an autonomous

capsular structure and it is a component of the talo-calcaneo-navicular joint or coxa pedis.

Similar considerations can be made for the adult flat foot.

Aggiornamenti

“Il piede “piatto” è sintomo e non malattia”

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gno in valgo, avremo comunque un aumento dell’angolo di Costa-Bertani ed il radiologo referterà comunque quei due piedi come “piat-ti”, anche se da un punto di vista anatomo-patologico e clinico sono differenti.

Dato radiologico di “piatto” comune a due differenti quadri clinici.In condizioni di normalità la linea di Meary è rettilinea, coassiale a tutte le ossa della filiera

mediale del piede (astragalo, scafoide, I cunei-forme, I metatarsale; Fig. 2 a). In rilievo clinico di “piatto” la suddetta linea può presentarsi spezzata, ad angolo aperto dorsalmente, a vari livelli articolari: tra astragalo e scafoide (Fig. 2 b), tra scafoide e I cuneiforme (Fig. 2 c), tra I cuneiforme e I metatarsale (Fig. 2 d), a tutti i tre precedenti livelli (Fig. 2 e). É ovvio come a quattro differenti quadri anatomo-radiolo-gici debbano corrispondere, pur in presenza

�Fig. 1 a-c - Piede cavo-valgo: all’ispettiva ridu-zione in altezza della volta mediale, così da configurare l’immagine di un piede piatto, corrisponde all’immagine podoscopica un salto di carico al mesopiede tipica del piede cavo. d-e Piede cavo-valgo bilaterale con stra-bismo convergente di rotula che a sinistra si corregge correggendo il valgo di retropiede

�Fig. 2 - Rappresentazione grafica di radiogrammi laterali in carico relativi a casi con aspetto clinico di piede “piatto”: a) Normalità della linea di Meary; b) Disassamento tra astragalo e scafoide (dismorfismo della “coxa pedis”); c) Disassamento tra scafoide e I cuneiforme (insufficienza del tibiale posteriore); d) Disassiamento tra I cuneiforme e I metatarsale (insufficienza del tibiale posteriore e/o dei flessori lunghi di alluce e dita); e) Possibile disassamento astragalo-scafoideo, scafo-cuneiforme e cuneo-metatarseo in lassità globale, spesso in lassità legamentosa diffusa

“ Il quadro radiografico non sempre corrisponde

al quadro clinico”

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di pressoché sovrapponibili quadri clinici, quattro differenti quadri anatomo-patologici: destabilizzazione della “coxa pedis” o protru-sione astragalica nel primo caso, insufficienza del tibiale posteriore e/o dei flessori lunghi di alluce e dita fulcro al “sustentaculum tali” a dita stabilizzate nel secondo, anomala inser-zione distale del tibiale anteriore nel terzo, ed in ultimo una lassità legamentosa diffusa. Del pari il cosiddetto piede “piatto” nell’accezione corrente è il piede dismetrico tarsale infantile: non normale evoluzione della fase di accresci-mento peroneale post-natale con più frequente maggior accrescimento delle strutture mediali del piede (piede astragalico).

Dato radiologico di “piatto” comune a diversi quadri patogenetici e anatomo clinici.Vi è da dire poi che il piede piatto può rappre-sentare aspetti di normalità come nel bambino che inizia a camminare e che parametrizzerà i propri valori morfogenetici a 6/7 anni, e come per certe etnie quali gli africani degli altipiani dell’Africa orientale in cui il piede piatto è nor-motipo. Ricordo Abebe Bikila che vinse la mara-tona alle Olimpiadi di Roma del 1960 correndo scalzo con splendidi piedi piatti.Si può pertanto dedurre dalle considerazioni sopra esposte che piatto è espressione clinica di un dato ispettivo che può variare in rap-porto all’età, in rapporto all’etnia e presen-tarsi in condizioni di normalità o in quadri clinici apparentemente sovrapponibili ma che vanno differenziati da un punto di vista patogenetico, anatomo-patologico e clinico. Questo anche in rapporto al trattamento, in particolare se chirurgico. Anche da questo di-rei che si debba astrarre dal concetto di piede piatto inteso nosograficamente riferendolo invece a sintomo di quadri patogenetici e anatomo-patologici molto spesso clinicamen-te sovrapponibili [1].Potremmo pertanto definire “piatto” come sintomo di un quadro sindromico di ispettivo piattismo per affrontamento del versante me-diale del piede al suolo, che spazia dal fisiologico al patologico, da una strutturazione in piatto della volta, a una strutturazione in cavo, da una completa sintomaticità a quadri tarsalgici, ad alterazioni sovra-segmentarie con varie conno-tazioni radiografiche.

Il tutto espressione di molteplici, non sempre definibili, momenti patogenetici.Anziché piede piatto infantile potrebbe essere più corrispondente la definizione di “piede dismorfico infantile” [2]. Sebbene il termine dismorfico abbia comunque significato sin-dromico, fa tuttavia riferimento patogenetico ad aspetti patologici evoluti in corso di accre-scimento ontomorfogenetico anche postnatale e non è sintomo come “piatto”.Non ha invece significato con riferimento al piede “piatto” parlare di sindrome pronatoria nell’accezione di patologia a cascata secondaria a pronazione anomala della sottoastragalica [3]. E questo anche perché la sottoastragalica non è una realtà anatomica ma un artefatto culturale [4] (Fig. 3).All’avvio della mia attività, negli anni Cinquan-ta, in epoca poliomielitica, la sottoastragalica era sempre coinvolta chirurgicamente, e da questo il mio interesse, nella stabilizzazione del retropiede, spesso in associazione ad altri tempi chirurgici a correzione di deformità del piede. Personalmente sono stato sempre interessato alla sottoastragalica sin da quando (negli anni Settanta) nel concetto da me espresso di piede astragalico e piede calcaneale [1], la sottoastra-galica era componente prossimale e importante del lungo tramite articolare (complesso artico-

“Sottoastragalica artefatto culturale e non realtà clinica”

�Fig. 3 - La cosiddetta sottoastragalica posteriore (a) è provvista di capsula autonoma e può pertanto essere considerata come entità articolare. La cosiddetta sotto-astragalica anteriore (b) non ha un’autonoma struttura capsulare e non può essere pertanto considerata come entità articolare a se sestante partecipando all’articola-zione talo-calcaneo-navicolare

“Non ha significato la sindrome pronatoria intesa come pronazione anomala della sottoastragalica”

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lare assiale del piede) lungo il quale avvengono i movimenti di inversione/eversione piede astra-galico/piede calcaneale.E negli anni ho proposto la sindrome da in-sufficienza della sottoastragalica [5] e la ne-olegamentoplastica astragalo-calcaneale [6]. Tutto però con sottofondo di un certo disagio legato al fatto che mal riuscivo a comprendere il meccanismo funzionale della sottoastragalica come comunemente accettato, facendo riferi-mento a quanto scritto da Kapandji [7] e pari pari ripreso da Viladot [8] e poi comunemente affermato. Scrive Kapandji: “L’articolazione sot-toastragalica deve essere considerata come una artrodia in quanto è geometricamente impos-sibile far scivolare contemporaneamente l’una sull’altra due superfici sferiche (sottoastragalica anteriore) e due superfici cilindriche (sottoa-stragalica posteriore) facenti parte del medesimo sistema meccanico”.Mi sono sempre chiesto se un ingegnere che avesse voluto realizzare in un sistema mecca-nico un movimento di scivolamento, avrebbe introdotto nel sistema un’articolazione di tipo sferico e una di tipo cilindrico che intervenisse-ro simultaneamente nel movimento. Penso che avrebbe progettato direttamente un meccani-smo tipo artrodia. Così pure mi chiedevo se madre natura fosse stata così sprovveduta, finalizzando la sottoa-stragalica ad artrodia, da non aver realizzato nel corso dell’evoluzione onto-morfogenetica detta struttura articolare.Negli anni mi era rimasto sempre di sottofondo quel certo disagio, per questo aspetto per me poco logico e questo sino a pochi mesi or sono quando rivedendo sullo Spalteholtz-Spanner [9] una bella immagine dei versanti articolari calcaneali (Fig. 3) delle cosiddette articolazioni sottoastragalica anteriore e posteriore non mi saltò all’occhio, pur avendo osservato molte vol-te quella immagine, che la cosiddetta sottoastra-galica anteriore non poteva essere definita come articolazione in senso anatomico. Definendo articolazione una formazione anatomica in cui uno e più elementi scheletrici sono contenuti e stabilizzati da una struttura capsulare auto-noma all’interno della quale possono variare il reciproco rapporto realizzando il movimento, è evidente che la struttura capsulare diventa

componente determinante nel definire una articolazione.Ritornando all’immagine dello Spaltehotz (Fig. 3) le componenti astragalica e calcaneale della cosiddetta sottoastragalica anteriore non posseggono una propria struttura capsulare in quanto concorrono con la superficie articolare navicolare alla articolazione talo-calcaneo-navicolare o “coxa pedis” [10]. Per questo fatto intervenendo contestualmente al movimento globale di questa formazione articolare non può essere parzialmente correlata funzionalmente all’articolazione talo-calcaneale, o cosiddetta sottoastragalica posteriore, il cui movimen-to data la strutturazione non è correlato ma conseguente al movimento dell’enartrosi talo-calcaneo-navicolare.Da questo la sottoastragalica come artefatto cul-turale; non è realtà anatomica cui poter riferire una sindrome pronatoria nel significato appun-to di patologia correlata, e tra cui comunemente il piede piatto, alla sua anomala pronazione.Alla sottoastragalica il significato di regione anatomica. Rimane la cosiddetta articolazione sottoastragalica posteriore come articolazione talo-calcaneale.Cosa proporre? Sempre con riferimento al cosiddetto piede piatto infantile meglio definire nel singolo caso il quadro clinico (piede calcaneo-valgo, cavo-valgo, piatto-valgo, dimetrico tarsale, sinostosico) con una anche migliore defi-nizione di trattamento. Volendo mantenere una definizione più genetica, trattandosi di patologia evolutiva in corso di accrescimento la dizione “piede dismorfico infantile” è più attinente richiamando il momento patoge-netico anziché definire un semplice sintomo. Volendo mantenere il termine “piatto” perché consacrato dall’uso, aggettivarlo nel singolo caso a definizione della patologia (piede piatto paralitico, infiammatorio, degenerativo, po-straumatico, ecc).Analoghe considerazioni anche per il piat-tismo che occorre osservare nell’adulto per situazioni patologiche diverse da paralitiche a infiammatorie a degenerative. Queste ultime con particolare riferimento a una sindrome da destabilizzazione della coxa pedis con protru-sione astragalica.

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Bibliografia1. Pisani G (2004) Trattato di chirurgia del piede. Minerva Medica, Torino2. Coscia PL, Graziano D (1983) Il piede dismorfico. Marrapese DEMI, Roma 3. Dragonetti L (2000) Biomeccanica e anatomia funzionale dell’avampiede.

In: Le meta tarsalgie - Atti SIMCP, Aulo Gaggi, Bologna:9-16 4. Pisani G (2012) Il complesso articolare tarsale (TAC joint). Chir Piede (in

corso di pubblicazione)5. Pisani G (1984) La sindrome da insufficienza della sottoastragalica. Chir

Piede 8:25-29

6. Pisani G (1991) Ricostruzione del legamento astragalo-calcaneale interosseo. Chir Piede 15:54-57

7. Kapandji IA (1974) Fisiologia articolare. Marrapese DEMI, Roma8. Viladot A (1962) Fisiopatologia del antepié. Podologie 1:879. Spalteholtz W, Spanner R (1959) Manuale atlante di anatomia umana. SEL,

Milano10. Parino E, Pisani PC (2003) Glenopatia degenerativa della coxa pedis. Chir

Piede 27:11-17