Piccolo Teatro Grassi La modestia

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Piccolo Teatro Grassi 10 gennaio - 5 febbraio 2012 La modestia di Rafael Spregelburd regia Luca Ronconi

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Piccolo Teatro Grassi10 gennaio - 5 febbraio 2012

La modestiadi Rafael Spregelburd regia Luca Ronconi

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La modestiadi Rafael Spregelburdregia di Luca Ronconi

Sotto l’Alto Patronatodel Presidente della Repubblica

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MECENATI AD HONOREMAnimaBPM – Banca Popolare di MilanoCamera di Commercio - MilanoEnelEniFondazione CariploFondazione Corriere della SeraFondazione Tronchetti ProveraIntesa SanpaoloLaura BiagiottiPublitalia ’80Sisal

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AMICI Fondazione BertiFondazione IBMOrobica PulizieBotek Italia

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SOSTENITORISarah e Sonia BalestraPiero BassettiCinzia ColomboFilippo CrivelliLucio DallaMarino Golinelli Vittorio Gregotti Giovanni IudicaPaolo Francesco LazzatiLuigi MarcanteAlessandro NespoliNandi OstaliCosma PanzacchiCarla Piasentin CanussioPaolo e Valeria Pototschnig Marta Vacondio Marzotto Carla Venosta Fossati Bellani

AMICI Rosa Giannetta AlberoniAmici della Scala Rosellina Archinto Marconi Annamaria Cascetta Dario Ferrari Piergiorgio Gattinoni Federico e Renate Guasti Mimma Guastoni Pietro IchinoAndrea Kerbaker Giacomo Leva Angela MarantonioLuigi MarcanteMaria Grazia Mezzadri CofanoGian Battista Origoni della CroceOrestina Rosa PiontelliMaurizio PorroEnrico SacchiRosella Milesi SaravalGianbattista Stoppani

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Con La modestia, una delle sette commedie di cui sicompone l’Eptalogia di Hieronymus Bosch di RafaelSpregelburd, aggiungiamo un nuovo tassello al progetto di esplorazione delle forme del contemporaneo condivisocon Luca Ronconi da quando raccogliemmo la prima diqueste sfide impossibili: allestire Infinities di John Barrow.Rappresentare l’irrappresentabile – talvolta anche“domando” spazi in apparenza lontanissimi dai consuetiluoghi teatrali - ci ha condotto all’argentino Spregelburd,autore che “dà le vertigini” tanto è abile a far germinare sulle battute dei suoi personaggi imprevedibili colpi di scenae capovolgimenti di prospettiva. Squadernare le categoriedi spazio e tempo – sulle quali per definizione si regge ilteatro – lavorare sull’accumulo e la frammentazione,scrivere testi dalla struttura apparentemente ingovernabilein realtà perfettamente simmetrica – sia Ronconi sia lostesso Spregelburd dicono che le commedie dell’Eptalogiahanno una struttura “a frattale” – è il cuore della ricerca diquesto autore, così profondamente in sintonia con la nostraprospettiva artistica. Spregelburd non offre nessuna chiaverisolutiva della realtà: lo reputa, a buon diritto, fallimentare.Dice di essere un appassionato di teatro (scrive, recita edirige) in quanto prima di tutto appassionato della vita edell’umano in tutta la sua affascinante caoticità. In palcoscenico, come nella vita, non avrebbe senso voler“capire”, ridurre a schemi vuoti e rassicuranti: pretendere di semplificare il caos del mondo, e quindi delle nostre vite,sarebbe perdente. Spregelburd ci invita a mutareprospettiva. Non di caos dobbiamo parlare, bensì dicontemporaneità, quasi giocando sul doppio significatodella parola: uno appiattito sterilmente sulla cronaca, l’altroche si traduce in simultaneità di luoghi e tempi degliaccadimenti. Ma questa contemporaneità è l’essenzastessa della rappresentazione del teatro: è in questairriducibilità che possiamo giocare la nostra partita migliore.Quel che il teatro, l’autore, il regista possono fare è mettereil pubblico in condizione di acquisire una rappresentazione,quindi una forma di conoscenza e non di possesso dellarealtà. “Una parte della funzione del teatro – spiegaSpregelburd – tanto dei classici come del teatrocontemporaneo riuscito, è parlare di quel vuoto checonsente l’imprevedibile”. È esattamente la continua ricercache il Piccolo, con il lavoro di Luca Ronconi, ha condotto in questi anni, anticipando temi della “contemporaneità”che ora hanno tangibilmente invaso il quotidiano - le nostre “certezze” - già dieci anni fa, con l’infinito raccontodi Infinities.

Sergio EscobarDirettore Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa

Sotto l’Alto Patronatodel Presidente della Repubblica

Fondazione Piccolo Teatro di Milano

Teatro d’Europa

Stagione 2010/1164a dalla fondazione

Soci FondatoriComune di Milano

Regione LombardiaProvincia di Milano

Socio SostenitoreCamera di Commercio IndustriaArtigianato Agricoltura di Milano

Consiglio GeneraleLetizia Moratti

Sindaco di MilanoRoberto Formigoni

Presidente Regione LombardiaGuido Podestà

Presidente Provincia di MilanoCarlo Sangalli

Presidente Camera di Commerciodi Milano

Consiglio d’AmministrazioneClaudio RiséPresidente

ConsiglieriStefano Baia CurioniEmanuele Banterle

Emma Paola BassaniFederica OlivaresAntonio Pastore

Dario Vermi

Collegio dei Revisori dei ContiMarco Arisi Rota

Presidente

RevisoriVelia MauriUgo Zanello

DirettoreSergio Escobar

Direttore ArtisticoLuca Ronconi

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foto di scena Luigi Laselva una coproduzione Piccolo Teatro diMilano-Teatro d’Europa, Festival dei DueMondi-Spoleto, Mittelfest-Cividale delFriuli, su progetto di Santacristina CentroTeatrale

Stagione 2011/2012Piccolo Teatro Grassi, 10 gennaio 2012

direttore di scena Angelo Ferroattrezzista Mario Gaiaschimacchinisti Davide Pujatti, Alessio Rongioneprimo elettricista Eugenio Squeri

fonico Giuseppe Crisposarta Marisa Cosenzaamministratrice di compagniaNathalie Martinelli

Collaboratori responsabili all’allestimento

direzione tecnica Marco Rossi

assistenti alla direzione tecnica Paolo Di Benedetto, Marco Gilberti

direzione di scena Giuseppe Milani

audio/video Rosario Calì

capo macchinista Giuseppe Rossi

capi elettricisti Claudio De Pace, Gianluigi Ronchi

costruzioni Alberto Parisiscenografia Mauro Colliva

capo sarta Roberta Mangano

sicurezza Michele Carminati

scene realizzate dal Laboratorio di Scenografia “Bruno Colomboe Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa

reparto costruzioni, carpenteria metallica,macchinisti Giorgio Armanni, Luigi Baggini,Marco Premoli, Mario Scrocca, AngeloSuperbicostruzioni Agostino Biallo, Armando Pitzoi,Alfredo Rivetta

reparto scenografia Nicolina Matilde Barravecchia, Barbara Gentilin, EmanuelaMoroni, Simone Totaro

costumi realizzati dalla Sartoria delPiccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa

reparto sartoria Alice Agrimonti, ChiaraAngioletti, Donatella Carrafa, MarisaCosenza, Antonella Fabozzi, VassilikiGiannopolu, Maria Potenza, EleonoraTerzi

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La modestia

Sotto l’Alto Patronatodel Presidente della Repubblica

di Rafael Spregelburdtraduzione Manuela Cherubini

regia Luca Ronconi

Personaggi(in ordine alfabetico)

Ángeles / Anja Terezovna

María Fernanda / Leandra

Arturo / Smederovo

San Javier / Terzov

Interpreti

Francesca Ciocchetti

Maria Paiato

Paolo Pierobon

Fausto Russo Alesi

scene Marco Rossicostumi Gianluca Sbiccaluci A. J. Weissbard

assistente alla regia Giorgio Sangatiassistente alle luci Pamela Cantatore

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Uno spettacolo infinito in un teatro in fuga

Hai lavorato moltissimo sui classici, ma nella tua carrieranon mancano le incursioni nella drammaturgiacontemporanea. Anche se poi a volte pare quasi che ladrammaturgia contemporanea non ti soddisfi del tutto,visto che spesso senti il bisogno di utilizzare testi nonteatrali. Non è affatto vero che non mi interessa la drammaturgiacontemporanea, e non solo in questi ultimissimi anni.Nel 1978, quando ho fatto Calderón, Pasolini eracontemporaneissimo...

...Wilcock, di cui nel 1971 hai portato in scena XX, pure... Anche Infinities era drammaturgia contemporanea. In realtà il termine “drammaturgia” mi pare troppogenerico. Ci sono scrittori per il teatro contemporaneo,e ce ne sono sempre stati, che però non chiamerei“autori”: sono piuttosto fornitori di copioni, secondo le regole teatrali vigenti in quel momento. Altri scrittori per il teatro sono invece propriamente“autori”: possiedono un linguaggio particolare, hanno un modo singolare di organizzare i materiali teatrali:sono gli autori che mi interessano di più.

Dunque è in primo luogo un problema di linguaggio. Certo. Prendi in esame gli “ultimissimi”. Un autore comeJean-Luc Lagarce (di cui ho allestito Giusto la fine delmondo nel 2009) ha il suo linguaggio. Anche BothoStrauss, che ho messo in scena due volte (Besucher,1989, e Itaca, 2007) ha una sua fisionomia, comeEdward Bond, un altro autore che ho messo in scenadue volte (Atti di guerra, 2006, e La compagnia degliuomini, 2011). D’altra parte, perché devo dire che non è un autorecontemporaneo l’autore di Infinities, John Barrow? O Giorgio Ruffolo, di cui ho portato in scena Lo specchio del diavolo? È vero, hanno scritto duesaggi, che però hanno avuto una forte resa teatrale...

DUE INTERVISTE A LUCA RONCONIdi Oliviero Ponte Di Pino

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Milano, 16 maggio 2011,qualche settimana prima del debutto a Spoleto,avvenuto il 24 giugno

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La forza del linguaggio si coglie già alla lettura, sullapagina, oppure è necessario aspettare di vederlaincarnarsi in scena, nella parola degli attori? Si vede subito, dalla pagina. Quando ho lettol’epistolario di Vittorio Foa, Miriam Mafai e AlfredoReichlin, Il silenzio dei comunisti, mi sono detto: “Questolo posso benissimo fare”, non tanto perché si tratta ditesti scritti in prima persona, ma perché sono tre formedi linguaggio molto precise e diverse una dall’altra.

Arrivando a Rafael Spregelburd, che cosa ti hainteressato quando hai incontrato i suoi testi? Mi sono subito sentito un suo parente. Una volta mihanno chiesto: “Qual è il tuo spettacolo ideale?”. Io horisposto, e risponderei ancora, che è uno spettacoloinfinito in un teatro in fuga. Lo sguardo un tantino scettico che mi viene quando si parla di “profondità”, e la curiosità che mi si svegliaimmediatamente quando si parla di “estensione”, li ritrovo perfettamente in Spregelburd. E poi, come gliho detto quando l’ho incontrato, il motivo per cui mipiace il suo teatro è che mi sembra che scrivacommedie che si fanno da sole.

In che senso le commedie di Spregelburd “si fanno dasole”? Sono organismi che proliferano quasiindipendentemente dall’autore. Anche se poi in realtàl’autore c’è, ed è presente in ogni cerniera. Tuttavia isuoi testi ti danno questa impressione: tanto è vero chein parecchie commedie, compresa La modestia, hail’impressione che l’autore non riesca a trovarne la fine. E non lo considero un difetto o una mancanza.

Infatti Spregelburd è autore di testi molto lunghi, a puntate, che proliferano... E questo mi piace molto.

Ma secondo te qual è il meccanismo generativo cheporta a questa proliferazione infinita? Le mie sono solo illazioni, ma credo che nel caso diSpregelburd sia il frutto di un senso storico moltopreciso, di una forte consapevolezza dellacontemporaneità – e con questo non voglio certo diredell’attualità. È un senso delle simultaneità contemporanee. In varieoccasioni mi sono trovato a fare degli spettacoli in cuic’era una sincronia strutturale, con diverse azioni cheaccadono simultaneamente. Spregelburd parlaaddirittura di “struttura frattale”.

OLIVIERO PONTE DI PINO

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Quindi ti ha interessato il lavoro sul tempo, sulla durata e sulla simultaneità... Nella sua drammaturgia si sentono anche leascendenze della sua formazione matematica. E possiamo trovarvi tantissimi antecedenti letterari,perché molto spesso la sua drammaturgia si rifà a topoidrammaturgici e narrativi molto riconoscibili.

Ed è argentino come Borges... Tuttavia lo scheletrologico-matematico che sostiene la sua drammaturgia, e questo intreccio di citazioni colte, poi si contaminanocon l’aspetto pop, perché c’è una grande capacità diusare i linguaggi contemporanei... È anche molto ludico...

...e molto ironico: nella Modestia ci sono variestratificazioni ironiche. Ma questo, forse, per un registacome te pone un ulteriore problema. Hai detto che difronte a un testo, vai a scavare quello che c’è dietro, o sotto. Di fronte a una scrittura di per sé cosìstratificata, che cosa puoi trovare? Devi giocare anche temporalmente, prima una cosa, poi l’altra, poi un’altra ancora, per ricostruire la stratificazione che c’è nel testo.

Come ti poni di fronte ai meccanismi ironici dellascrittura di Spregelburd? Nella Modestia ci sono anche elementi patetici...

Tutta la vicenda russa lavora sul patetico... È straziante!

Come i grandi romanzi russi dell’Ottocento... Ma contutte queste suggestioni presenti nel testo, come riesci a richiudere il cerchio, a far quadrare l’aspetto logico di cui si parlava prima? E chi lo sa? Vedremo...

Anche perché, di fronte a un testo di questo genere, il lavoro con gli attori non può certo andare versol’approfondimento psicologico, lo scavo nell’interioritàdei personaggi... Non avrebbe senso. L’idea stessa di identità individualeviene messa radicalmente in discussione. C’è unaspetto che mi piace molto della Modestia: questipersonaggi – anzi, questi attori, perché c’è la condizionedel personaggio e quella dell’attore... Ecco, quello chemi piace è che gli attori non dovrebbero mai sapere conprecisione se stanno in una storia o nell’altra. Quellasensazione di essere sempre profughi, di viverecontinuamente le vite degli altri, mi pare che sia una

DUE INTERVISTE A LUCA RONCONI

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caratteristica dei personaggi di Spregelburd. Molte dellesue commedie – penso a Il panico, a La paranoia – sono“bilocate”: si svolgono in più posti, in due luoghi se nonin quattro. Dunque emerge la sensazione di essere unpo’ i fantasmi di altri: nella Modestia questa sensazioneè fortissima, si usano gli attrezzi di altri, i personaggi sisiedono dove altri si sono seduti, si sdraiano su letti cheappartengono ad altri, perché sono nell’altra storia... È una cosa bella e interessante: la riflessione sulrapporto tra l’attore e il personaggio si moltiplicaall’ennesima potenza.

Un altro aspetto che ti ha incuriosito è che questi testinon sono scritti da un letterato, ma da un uomo diteatro. Lo senti subito! Una battuta di Schiller o di Ibsen puòessere recitata bene o recitata male, ma resta, ha unasua autonomia. Invece una battuta di Spregelburdpretende di essere recitata.

Perché non è letteratura? È anche letteratura, e questo è il suo bello. Però va indue direzioni diverse: da una parte c’è un giocoletterario, e infatti il testo, se lo leggi, funziona benissimo;d’altra parte, però, se il gesto e la voce non se ne fannocarico, improvvisamente quel gioco sparisce e rischia direstare solo una lettera piatta. Tenendo presente che ilgesto e la voce dell’attore apparentemente possonodare molto, ma possono anche togliere molto.

L’altro aspetto interessante della drammaturgia diSpregelburd, come abbiamo visto, è che offre diversilivelli – e dunque chiavi – di lettura. C’è lo spettatore alivello – diciamo così – di telenovela, che viene catturatodalla trama, dalle vicissitudini dei vari personaggi. C’è lo spettatore in grado di decodificare i riferimenti piùo meno colti, teatrali, letterari e cinematografici, e quindisi diverte ironicamente a smontare il meccanismo... Ma sotto c’è ancora qualcos’altro? Beh, qualche ambizione filosofica c’è. Vuole essere un teatro scientifico, in qualche modo.

L’oggetto di questa scienza? La perdita d’identità è sicuramente un tema.

OLIVIERO PONTE DI PINO

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Un imbroglione con un senso etico fortissimo

Nel corso delle prove, rispetto alla tua lettura del testo diSpregelburd e al progetto iniziale, quanto spazio èrimasto a te e agli attori per cambiare la tua visione dellacommedia e dello spettacolo?La prima cosa che ho detto agli attori, il primo giorno diprova - e a quel punto si sono quasi spaventati - è:“Guardate che io non sono per niente preparato. Non ho un progetto già fatto, ma credo di conosceremolto bene la commedia. Però non mi sono posto ilproblema di quello che ne deve venir fuori.” Non è chemi capiti sempre di trovarmi in una situazione delgenere, ma in questo caso ci ho voluto provare.

Mentre di solito, quanto inizi a provare, hai già preparatola messinscena nei dettagli? Dalla caratterizzazione deipersonaggi ai movimenti degli attori…No, questo non mi capita mai. In questo caso avevo inmente diverse ipotesi, diciamo tre o quattro possibilità dilettura del testo o di una determinata scena. Secondome questo è un buon punto di partenza. In genere midico: “Beh, questa scena potrebbe essere così, mapotrebbe anche essere fatta in quest’altro modo”. È una logica combinatoria: le commedie di Spregelburdsono costruite proprio così, ed è per questo che mipiacciono. Dunque penso che il mio fossel’atteggiamento giusto per affrontare un testo comequesto… Poi, come sempre, durante le prove sonoarrivati momenti di difficoltà. E la difficoltà può essererisolta pensando: “Beh, forse questa cosa qui èquest’altra”.

Quando parli di momenti di difficoltà, puoi fare unesempio?Penso alla scena che viene dopo che hanno annaffiatoMaría Fernanda per spegnere l’incendio. Quando sipassa all’altra situazione, quella “russa”, e l’attrice cheinterpretava María Fernanda diventa Leandra, ladidascalia dice che è “bagnata”: la situazione vienegiustificata drammaturgicamente spiegando cheLeandra era uscita per cercare Terzov e facendole direche “pioveva tanto che non...”. Stranamente questoscambio di battute non funzionava, perché si tratta unagiustificazione meschina. Allora ho pensato: “Se qui araccontare la storia, a motivare la situazione di Leandra,non fossero i personaggi, ma fossero gli attori?”Insomma, immaginiamo che in quel momento gli attori si inventino una storia, lì per lì, in modo da giustificarequello che è già successo. Non so se sia giusto o no, se l’autore ci avesse pensato mentre scriveva la pièce.

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Milano, 21 dicembre 2011, dopo Spoleto e la ripresaa Cividale e prima del debutto a Milano

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Però in scena funzionava molto bene. Siccome lacommedia è fatta tutta a puzzle, se una cosa s’incastravuol dire che va bene. Così nello spettacolo ci sonoalcune scene in cui gli attori, invece che essere ipersonaggi dell’una o dell’altra storia, si danno consigli abassa voce.

È una soluzione che per certi versi contraddice il tuoatteggiamento nei confronti del testo. Spregelburdlavora per citazioni, rimandi, frammenti, e per accumulo.Dunque è come se mettesse moltissime virgoletteall’interno della sua scrittura drammaturgica. In genere,tu hai lavorato con gli attori proprio togliendo questevirgolette, chiedendo loro di prendere il testo alla lettera,battuta dopo battuta: “Siete in questa situazione, edunque dovete comportarvi di conseguenza”. Ma contemporaneamente, quando gli attori sono in unadelle due situazioni, diciamo nella vicenda russa, sonoanche in quell’altra, quella sudamericana…

Però introducendo questo gioco del teatro nel teatro, è come se aggiungessi altre virgolette.C’è un’altra situazione di questo genere nel finale.

Ti riferisci al crollo?No, ancora dopo. Tutta la confusione finale… Accade unpo’ come in altre commedie di Spregelburd: sembra chel’autore non riesca a venire a capo di tutti i fili che hatirato. E allora, per giustificare quello che è accaduto,arriva quel finale. Ma perché bisogna giustificarlo? Il finale è quello, e basta… Ma può essere utile anchetener presente che questo testo Spregelburd l’ha ancheinterpretato: faceva la parte di Terzov/San Javier, quindila parte dell’autore. Io sono sicuro - è una mia illazione,ma puoi anche essere sicuro delle tue illazioni, anchesapendo che restano illazioni… - sono sicuro cheSpregelburd, recitando quel testo e occupandosi anchedella regia, fosse anche un po’ curioso di vedere quelloche combinavano gli altri personaggi. La situazione delsuo personaggio è quella di chi capita in un certocontesto, non sa bene che cosa stia succedendo ed ècurioso di capire come potrà evolvere. È quasi unaposizione autoriale: sembra un po’ un autore di fronte aun gruppo di personaggi liberi. Nella Modestia ci sonootto personaggi, quattro per ciascuna delle duesituazioni, ma potrebbero essere dodici, perché c’èanche l’essere attore dei personaggi. Infatti ci sono nellospettacolo diversi momenti in cui questa chiave funzionabenissimo. Tanto è vero che a un certo punto hopensato che non fosse necessario fare dei passaggi cosìscanditi, bruschi, tra le due situazioni, quella russa

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e quella sudamericana. Nei primi quadri è utile e giustofar capire che c’è un cambio di scena: si vedono anchemobili e oggetti che si spostano a vista, per indicare ilcambio di situazione, perché in una pièce a chiave ènecessario avvertire gli spettatori che esiste una chiave.Però, una volta che la chiave è stata enunciata, non èpiù necessario seguirla così rigidamente. Così nellospettacolo ci sono alcuni passaggi in cui i personaggi,all’inizio della scena successiva, parlano ancora comequelli della scena precedente. Addirittura inun’occasione, quando si passa alla scena russa, unodei personaggi parla ancora in una specie di spagnolo...

E gli attori, che cosa hanno dato a te e ai loropersonaggi nel corso delle prove?Il ritmo! Io posso dare loro soltanto delle indicazionimolto precise sulla battuta...

Indicazioni sulle motivazioni e sulle intonazioni?Piuttosto indicazioni di movimento e di rapporto.Soprattutto di rapporto. Però il ritmo dello spettacoloè assolutamente merito loro. I quattro protagonisti dellaModestia sono bravissimi per due motivi: in primo luogofanno bene i loro personaggi, e poi hanno unaffiatamento che un regista non può costruire. Non glielo può imporre. Ho insistito molto sul fatto che iltesto è basato sui rapporti tra i personaggi: ma unpersonaggio non sa mai chi è l’altro, non lo deve maisapere, perché la situazione deve sempre rimaneresospesa. Però più di questo non potevo dare.

Dunque dagli attori sono arrivati il ritmo e il rapporto tra i personaggi...Il modo in cui sono riusciti ad affiatarsi. Abbiamoprovato relativamente poco, ma al debutto di Spoletosembrava che avessero provato per tre mesi...

Invece, per quanto riguarda le intenzioni, ci sono statescene in cui tu avevi un problema e gli attori ti hannotirato fuori dai guai?Direi di no...

Insomma, mi pare di capire che hai lavorato quasi più atogliere agli attori le idee che potevano essersi fatti sulloro personaggio, i loro pregiudizi... Anche perché una qualità dei personaggi di Spregelburdche apprezzo è che nemmeno loro stessi si conosconocosì bene. Uno dei motivi del fascino della Modestia, e in genere di tutte le commedie di Spregelburd, è che ipersonaggi hanno degli obiettivi sull’azione, sannobenissimo quello che devono fare in quel preciso

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momento, ma non hanno certezze sulla propria identità.È qui che la commedia diventa davvero interessante...

Anche nel lavoro sugli attori...Perché nel lavoro sugli attori si riproduce il senso dellacommedia... Quello che deve fare ogni attore èsoprattutto lasciarsi portare da questo meccanismo. Se l’attore gestisce troppo il personaggio, se si pone inmaniera eccessiva il problema delle sue motivazioni, e se deve metterle in relazione alle motivazioni dell’altropersonaggio, il meccanismo s’inceppa. Seguendoquesta strada, ne uscirebbe una specie di commediapsicologica, che però non terrebbe più, perché in scenaperderebbe tutto il suo ritmo. Per questo ho molto spintosul versante della mobilità, verso una mobilità totale.

Nei testi di Spregelburd c’è moltissima ironia, moltescene comiche. Anche nella tua messinscena dellaModestia ci sono scene molto divertenti, ma alla finedallo spettacolo emerge una visione assai più tragicadell’esistenza, anche rispetto ad altri allestimenti dei testidi Spregelburd...Però lo spettacolo è molto divertente!

Ma anche profondamente tragico...Alla fine della Modestia, quello che ti resta, non tantodalle singole battute ma dall’intera commedia, è chenessuno dei personaggi è più al proprio posto, nessunosi sente più al proprio posto da nessuna parte. E questonon è tragico?

Può essere sia comico sia tragico...Può anche far ridere. Però a pensarci bene, e facendoriferimento anche alle nostre esperienze, non è più cosìdivertente... Succede anche con Il panico, un altrotassello della Eptalogia sui sette vizi capitali diSpregelburd, che vorrei portare in scena l’annoprossimo. La commedia ruota intorno a un mortocircondato dai vivi, e come La modestia fa molto ridere.Però se fai attenzione ti accorgi che tutti i personaggi“vivi” sono degli spostati: il terapeuta fa il dog sitter,la sensitiva Susana si “occupa di una bambina”... Tutti ipersonaggi fanno centomila cose insieme e devono difatto essere dappertutto. Non riescono mai ad essere concentrati su quello chestanno facendo in quel preciso momento, perché stannogià correndo da un’altra parte... L’unico personaggioche si sente al posto giusto è proprio Emilio, il mortointorno a cui ruota il testo: lui ha la serenità di chi ècrepato, mentre gli altri sono in preda al panico causatoda questa continua bilocazione. È una trovata che

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potresti trovare in una pièce di Coward o di Priestley,quasi un gioco da commedia brillante. Invece in questocaso, siccome il riferimento è il cinema horror, il testo si colora di un’altra tinta.

Quest’anno Rafael Spregelburd ha vinto per il secondoanno consecutivo il Premio Ubu per la migliore novitàstraniera per Lucido. Ha mandato un messaggio diringraziamento, nel quale ha sottolineato l’attenzioneche ha oggi l’Italia per la sua drammaturgia, che è natain una Argentina profondamente segnata dalla crisieconomica, proprio come l’Italia di questi ultimi anni.Questa sensazione di incertezza, questa necessità diarrabattarsi facendo più parti in commedia, questosdoppiamento, è certamente un riflesso di questa crisi...Sotto sotto, però, c’è un altro aspetto, anche se nonviene mai esplicitato. Nel teatro di Spregelburd c’èincertezza su tutto, ma non c’è alcuna incertezza suivalori fondamentali dell’esistenza: la lealtà, l’etica... Ipersonaggi sono altrettanti imbroglioni, ma con unsenso etico fortissimo.

Ma come è possibile essere degli imbroglioni con unsenso etico fortissimo? Sono imbroglioni che però sanno che cosa è il bene e che cosa è il male. In loro non c’è cinismo, e questo è molto piacevole. Anche artisticamente, nell’approccio di Spregelburd al teatro, accade la stessa cosa. La sapienza con cui sono costruite le sue commedie è certamente frutto di una straordinaria furbiziadrammaturgica, però al loro interno c’è anche un elemento di saggezza. In questo senso, si può direche Spregelburd, a differenza di tantissimo teatrocontemporaneo, non la vuol dare a bere.

Che cosa vuol dire che “non la vuol dare a bere”?Che non vuol farla franca, che è sincero nel momento in cui costruisce le sue finzioni.

(una versione più ampia di questa conversazione è consultabile sul sito www.ateatro.org)

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Hieronymus Bosch (1453-1516), I sette peccati capitali, Museo del Prado, Madrid

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Il progetto dell’Eptalogia nasce da un mio incontrofortuito con La Ruota dei Sette Peccati Capitali, diHieronymus Bosch, un dipinto che si trova esposto suun tavolo e non appeso alla parete, in una piccola saladel Museo del Prado a Madrid. Al di là del fascino cheBosch ha sempre esercitato su di me, con i suoipaesaggi fuori dal tempo, ove tanto l’inferno quanto ilparadiso suscitano analogo terrore, questo dipinto parerimandare a un antico modello: quello dello spettatore“attivo”. Occorre compiere un piccolo sforzo (ovverogirare intorno al quadro) per poter ammirare lariproduzione di ciascun peccato dal corretto punto diosservazione. È una fatica simbolica ma enorme al tempo stesso:imporre all’osservatore di abbandonare una posizioneconfortevole, sicura e tranquilla, per intraprendere uninsolito percorso circolare. Mi piace immaginare che avoi, spettatori seduti di fronte a La modestia, saràimmediatamente chiesto di compiere uno sforzo simile.Le sette opere dell’Eptalogia (di cui La modestiacostituisce la terza puntata), al pari di quell’anticoquadro, non si possono cogliere con chiarezza se lospettatore non lascia da parte – mentre dura l’illusioneteatrale – le proprie convinzioni. Nella drammaturgiacontemporanea abbiamo visto che quasi tutto èpossibile; nondimeno esiste una cosa che seduce e altempo stesso irrita: che l’”uno” possa essere “doppio”,che la figura in primo piano e lo sfondo risultinointercambiabili, che lo sfondo possa apparire come unafigura in primo piano e adoperare quest’ultima comeuna sorta di proprio paesaggio sfocato e che nessunoindichi quale sia il corretto punto di vista da cuiosservare il tutto. La modestia intende seguire il modellodi Bosch e conseguire lo stesso risultato. Quante volte, guardandone i quadri, mi è risultatoimpossibile stabilire da quale punto dovessi cominciarela mia osservazione. Le sue gerarchie, i suoi piani, i suoipercorsi sono folli. Bosch ne aveva valido motivo:

IL TEATRO È UN AVVENIMENTOTRA CONTEMPORANEIdi Rafael Spregelburd*

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“I sette peccati capitali” di Hieronymus BoschRafael Spregelburd racconta inquesto articolo di aver avutol’ispirazione per scrivere l’Eptalogiadurante una visita al Museo delPrado, a Madrid. Di cosa parla il quadro di Bosch?Realizzato dal pittore olandeseall’inizio del Cinquecento, è undipinto allegorico, incentrato sulconflitto tra virtù e vizio, traparadiso e inferno, sulla traccia dellecatalogazioni - amate dagliaristotelici e dalla Scolastica e legatea simbologie numeriche - cheindividuavano le quattro virtùcardinali (Prudenza, Giustizia,Fortezza, Temperanza), le tre virtùteologali (Fede, Speranza, Carità) e isette peccati capitali (Lussuria, Gola,Invidia, Avarizia, Accidia, Ira,Superbia). La tavola di Bosch èconcepita come un grande occhio,l’occhio di Dio, nella cui pupilla è ilCristo. Sotto di lui la scritta Cave,cave Deus videt, ossia Attenzione,attenzione, Dio vede, mentre l’iridedell’occhio è divisa in sette spicchicorrispondenti ai vizi. In basso èraffigurata l’Ira, sotto forma di rissatra contadini. Procedendo in sensoantiorario, ecco l’Invidia, cherimanda al proverbio fiammingo“due cani con un osso difficilmenteraggiungono un accordo”: compaionole due bestiole, disinteressate alle ossaai loro piedi e protese verso quellonelle mani del personaggio allafinestra. Costui guarda con invidia(appunto) un uomo riccamentevestito che reca un falcone sul braccioe fa lavorare per sé un facchino. Al lato opposto della finestra, unaragazza conversa con uncorteggiatore nella cui tasca facapolino un portafogli ben gonfio.Tavola successiva è l’Avarizia, doveun giudice si fa corrompere,accettando denaro da entrambe le

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il mondo che aveva conosciuto, il mondo medievale, glisi stava sgretolando davanti agli occhi. Il futuro eraincerto. La legge su cui si fonda il suo sistema (l’ideache ci sia un solo Dio e che sia “il percorso più breve fraun uomo e l’altro”) stava andando in frantumi, inconseguenza delle riforme sociali – e anche linguistiche– seguite allo scisma protestante, alla scoperta delleAmeriche, dove uomini con una cultura bizzarrarisultavano possedere anime capaci di ospitare diversedivinità. Bosch costituisce un’eccezione: nessuno, né prima né dopo di lui, riuscirà a esprimere questaprofonda cesura tra due mondi, tra due epoche: l’una agonizzante (il Medioevo), l’altra incerta e nefasta (il futuro). Noi condividiamo lo stesso travaglio. Soltanto che oggi è la modernità ad essere in agonia, un sistema che noi seguiamo credendo – vuoi per fede,per forza, per paura o per abitudine – che esso sia il“nostro” sistema. I fondamentali su cui si regge stanno rantolando. Se il principio fondante della modernità fu la libertà comeguida e come faro, oggi ne contempliamo la penosadisfatta: la libertà, di per sé, se la passa benissimo. Difficile pensare tuttavia che possa costituire la base perun ordine duraturo, capace di aggregare milioni dipersone. La libertà di un popolo cozza contro quella delpopolo confinante; la libertà di un dittatore contro quelladei suoi sudditi; la libertà di scegliere in democraziacontro le necessità intrinseche del mercato. Bosch constata la frana inarrestabile di un Ordine, ma altempo stesso la sua pittura scaturisce dalla disperazioneper quella caduta: di qui il suo complesso discorsomorale. Come sottolinea il pittore e filosofo Eduardo DelEstal, ogni epoca, ogni ordine chiuso, è incapace diesprimere il concetto sul quale si regge, poiché essocoincide con il punto di vista che, in quanto tale, èinvisibile. (“Perché nessuno dipinge Dio di spalle?”, si chiede Del Estal tra le altre cose). Il sistema medievalesi può spiegare soltanto dal punto di vista del sistemasuccessivo. Pertanto, a partire da quale ordinesuccessivo possiamo accostarci criticamente allasciagurata modernità? Nessuno attribuisce un significatoparticolarmente concreto al termine “postmodernità”.In ogni caso, la Storia ci dimostra che non esiste alcunperiodo definito “postmedievale” o “postrinascimentale”.Quel che è certo è che ignoriamo in quale Ordine andràa cristallizzarsi questo disordine nostro contemporaneo,questa confusione di idee, questa deflagrazione diopposti. Per lo meno – a consolazione di tutti – alcuniricercatori tedeschi hanno scoperto che l’antica profezia

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parti in causa. La Gola mostra unpersonaggio seduto a tavola chemangia smodatamente; ai suoi piediun bimbo grasso, di fronte un’altrafigura beve avidamente da unabrocca di vino. L’Accidia ha l’aspettodi un uomo pigramente abbandonatosu una sedia, mentre una suora, chesimboleggia la Fede, gli si accosta perricordargli il dovere della preghiera. La Lussuria vede due coppie diamanti che banchettano sotto untendone, rallegrate da alcuni buffoni.Infine la Superbia, ossia una donnache si rimira in uno specchio sorrettoda un diavoletto. Sui cartigli in alto ein basso, alcuni passi biblici,rispettivamente Deuteronomio,XXXII, 28, 29 Gens absque consilioest et sine prudentia / utinam saperentet intelligerent ac novissima providerent(Gente senza discernimento e senzasenno; fossero saggi e sapesserocapire, si occuperebbero di quel che liaspetta) e Deuteronomio XXXII 20Nascondam faciem meam ab eisconsiderabo novissima eorum(Nasconderò loro il mio volto econsidererò quel che li attende). Nei quattro medaglioni agli angolidel quadro, sono raffiguratirispettivamente, in alto a sinistra, la morte di un peccatore, in alto adestra il Giudizio Universale, in bassoa destra il Paradiso, in basso asinistra l’Inferno.Il quadro misura 150 cm di base per 120 di altezza.

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maya che fissava nel 2012 la fine del mondo (peraltro incoincidenza con l’andata in scena del mio testo alPiccolo…) non era niente più di un errore di traduzione.Come tutto. D’altra parte, se la struttura del mondo èl’applicazione pratica di una struttura linguistica, non mimeraviglio se il mondo capovolto nel quale viviamo ciinduce a sospettare di essere vittime di un errore ditraduzione. Il teatro – che è vecchio e saggio ma lento –è solito procedere sull’onda di simili sensazioni diconfusione, simultaneità, divergenza che la realtà cipresenta. Perciò molti spettatori si rifugiano in teatro pervenerare in serenità i propri amatissimi classici. Ovvero,per impararvi quel che già sanno o quel che la lorocultura aveva già assimilato come regola. Bosch,all’opposto, non può nutrirsi di nessuna precedentetradizione di facile interpretazione e, infine, è obbligato aspiccare un balzo nel vuoto. Io, che interpreto il teatrosolo come un avvenimento tra contemporanei, mi sonoaugurato di seguirne alla grande il buon esempio.Nell’Eptalogia tutte le mie sicurezze esplodono. Lungidal riflettere l’angustia dell’uomo medievale, la miascomoda opera intende farsi testimonianza della cadutadi un altro Ordine – il Moderno, un ordine che riteniamonostro – formulando le domande che accompagnano lanostra confusione: dove si colloca la deviazione se nonesiste un centro? È possibile la trasgressione se non c’èuna legge su cui si fondi una morale? Non a caso i settepeccati capitali (lussuria, invidia, superbia, avarizia,accidia, gola e ira) sono migrati in questa Eptalogiaverso altri ordini morali, verso una delirante “cartografia”della morale: inappetenza, stravaganza, modestia,stupidità, panico, paranoia e cocciutaggine. Mi pongo l’incompletezza come orizzonte. Un sistemadi opere che si danno voce e si richiamano, un ordineche si riferisce a se stesso tramite un’intricata rete digrammatiche e riferimenti incrociati, nascosti sotto lapelle del linguaggio. Meglio espresso dal teorema diGödel: “Nessun sistema coerente può essere utilizzatoper dimostrare la sua stessa coerenza”. È il cuore diquesto postulato a battere nella mia opera. La serie èscritta come se poggiasse su un vocabolario perduto.In effetti credo sia quanto è accaduto anche a Bosch. In ciascuna delle favole morali sui diversi peccati,ciascun oggetto pare sia stato scelto dalla manodell’enciclopedista: qui metteremo un po’ di fieno,perché il fieno è giallo e rappresenta inequivocabilmentel’oro, qui una mela, perché è il simbolo per antonomasiadella tentazione. D’altronde il tempo è andato erodendogli immediati rimandi di alcuni simboli e il dizionario

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medievale è un’incognita per degli occhi ingenui. Questaincognita è la mia chiamata. Questo vuoto consente lefunzioni logiche del pensiero da cui la costruzione deldiscorso immaginario sul materiale rappresentato.Prendiamo la Superbia del dipinto di Bosch: vedo unalucertola, in piedi, con una cuffia di pizzo, che si affacciada dietro un armadio per sostenere uno specchio difronte a una donna che si compiace di contemplarvi ilproprio viso, per quanto l’immagine rimandata dallospecchio non coincida con il punto di vista della donna,ma si volga verso una mela che qualcuno hadimenticato nel vano di una finestra con inferriate. Ovvio che questa “rappresentazione” risulti facile.Vorrebbe dire: so organizzare quel che DEBBO vedereperché in basso Bosch ha scritto “Superbia”. Quindi “vedo” quanto di più simile a quel che già so.Consideriamo invece quest’altro esempio: un personaggio che indossa una tunica marrone ha latesta incastrata in un comodino a tre piedi, la manodestra poggiata sul cuore, la sinistra (nascosta) parereggere una spada; in terra, accanto all’uomo, zoccolicinesi bianchi, con tacchi appuntiti, sparsi sul prato.Questa è l’”Ira”. Dov’è andato a parare il dizionario chespiega i termini di questa raffigurazione morale? Qual è ilsoggetto della narrazione? Ho scritto le mie opere comese io stesso avessi smarrito il dizionario della modernità.Così si produce per me il fenomeno cercato: lo straniamento. Sono sette forme di deviazione, dialcune deviazioni, quindi di alcune leggi. Non c’è ironianella scelta dei titoli. Non “vogliono dire” il contrario diquel che dicono. Qual è il “peccato” di essere modesti?Cosa c’è di moralmente condannabile nel fingere diessere meno di quel che si è in realtà? Stiamo perscoprirlo. O per intuirlo. Se si potesse tradurre questoconcetto in una semplice frase intelligibile, questo testonon avrebbe alcuna ragione di esistere. A noi autoririchiede tantissimo tempo costruire un mondoimmaginario di ambiguità e incertezze che di sicuro sitramuta in disperazione quando uno spettatore, o uncritico o un qualunque “scappato di casa”, in teatro,pretende di rimpiazzare l’esperienza vitale e misteriosadell’opera con una frase che la spieghi e la giustifichi!Sappiamo tutti quanto sia difficile mettere in scena untesto: il teatro è ogni volta sempre più difficile per tutti,perché siamo vittime di una sovrabbondanza di senso,perché il progresso della conoscenza e della scienza faperdere terreno alla mistica e alla metafisica (l’anima) diciascuno dei fenomeni conosciuti. Per questo mi sonoriproposto di scrivere non una bensì sette opere. Sette

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modi di rinfoltire la foresta diboscata del Senso, unbosco dal quale l’uomo non fa altro che procurarsimobili di puro legname del Significato, per omologarli inbase al gusto di IKEA o della moda. Io – che ho sempremille problemi a tentare di allestire opere possibili – nutrol’intima speranza che realizzare opere impossibili saràpiù semplice. E fino ad ora la smisuratezza dellaproposta è coincisa con questa aspettativa. Le operecompiute non interessano più. L’equilibrio non è unadelle mie virtù. E molto meno lo è di quest’opera chestate per vedere, mentre già siete a disagio,probabilmente, sulle vostre poltrone. La modestia, daparte sua, rappresenta un fondamentale “cambio dipasso” nello svolgimento delle sette parti dell’Eptalogia.A lei sono da imputare tutte le colpe di quello cheaccade successivamente. Perciò è una delle miepreferite. Da lì in poi, in ciascuna delle opere dellaraccolta, si avrà una generosa profusione “boschiana” dimostri, piani, linee di fuga, travestimenti, porte che sichiudono e si aprono, e trompe l’oeil di vario genere.Non ha senso farne menzione qui, dal momento che lovedrete tra poco con i vostri stessi occhi, tuttavia dalmomento che la duplicità delle trame (come un’affilatalingua bifida) è alla radice di questo testo, tutta la messain scena della commedia costituisce un problema epresenta un indovinello feroce agli interpreti: perchéquesta cosa è così? Non lo sapremo mai. Entrambe letrame (o entrambe le forme di costruire una trama) sirespingono: non si sopportano. Gli attori sono costretti aimpersonare l’opposto (in termini di emozione, ritmo,tecnica, stile) nel verso e nel recto della medaglia. Quel che sarebbe potuto essere molto semplicenell’unità, diviene complesso per l’esistenza di un“altro”. Supponiamo che vi siano punti di contatto

nascosti e che tutta la cassa sia equipaggiata comeuna botola in cui “far risuonare” l’enorme vuoto

che l’innestarsi di una trama produce sull’altra(come nello zapping televisivo). Tuttavia lescene pari e le dispari (la vicenda“novecentesca” e la “contemporanea”rispettivamente) possiedono meccanismiformali diversi, per non dire opposti. Le leggifondamentali di percezione comeconfigurazione (soprattutto la Legge di Figurae Sfondo, così come la Legge di Chiusura,

etc…) sono corrotte. È un’opera insostenibileper quegli spiriti totalmente cartesiani, che si

sentono defraudati quando scelgono una stradaper uscire dal labirinto e subito dopo essa si trova

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ad essere smentita dall’opera stessa. Ho trovato sempre molto singolarel’argomento del titolo. Molti mi hannosegnalato con inquietudine: “Possovedere il tema della modestia in uno deidue racconti, quello di Anja e Terzov,mentre non riesco a scorgerlo nell’altro”.Sono solito contestare, laconicamente:“Non ci sono due racconti. Ne esiste unosoltanto”. D’altra parte, questaosservazione è molto utile nel momentoin cui si faccia una riflessione su ciò che ititoli fanno (o possono fare) allecommedie. Se la mia commedia si fossechiamata La superbia o La vanità, per esempio, molte delle cose che vipossiamo scorgere sarebbero passatesotto silenzio. Presentare la modestia(normalmente interpretata come unavirtù) come un peccato è uno dei meriti(o delle contraddizioni) dell’argomento.Queste creature che fanno a gara “asminuirsi” mi sembrano non soloprofondamente patetiche bensìfondamentalmente e inspiegabilmenteumane. La famosa “falsa” modestia,

tanto legata a un problema di vanità, è per così diretautologica. Credo che non esista modestia che non siafalsa. E che non vi sia superbia tale da potersi alimentare“in solitudine”: l’impianto della superbia necessita di altriesseri umani che – complice un bel complesso diinferiorità – accettino supinamente che il superbo sicreda superiore a loro, e gli diano maggior credito,quanto più arroganti ne siano gli atteggiamenti. La cosapiù divertente, in questa situazione, è che l’originariopeccato capitale, il più tremendo e allo stesso tempo ilprimo dei lasciapassare per l’inferno, avevaun’interpretazione ben diversa. “Superbia” nonsignificava sentirsi superiore agli altri uomini (concezionetotalmente ragionevole in un sistema feudale di papi, re,duchi e plebei). “Superbia” era semplicemente mettersialla pari con Dio. Va da sé che per essere superbi,condizione necessaria e sufficiente era crederenell’esistenza di quest’essere superiore, tanto astrattoquanto coerente con gli intrecci del potere economicodell’epoca. La modestia compie un’incursione anche nelconcetto di “frontiera”. Non si tratta di una frontiera reale,geografica. Bensì della “frontiera” come tema; il luogodove le cose negoziano con l’altro da sé. Confessando

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Amedeo Modigliani (Livorno 1884-Parigi 1920) è stato uno degli artistipiù falsificati nella storia dellapittura del ‘900.Nell’immagine, un “falso Modiglianid’autore”, dipinto da Elmyr deHory, tra i più celebri e abili falsaridel mondo, specializzato in Matisse,Renoir e appunto Modigliani. A luiOrson Welles dedicò il documentarioF for Fake.In effetti, le gravi difficoltàeconomiche e l’alcolismo, chefunestarono la vita di Modiglianinegli anni appena precedenti lamorte, hanno alimentato laleggenda che alcuni tra gli ultimiquadri realizzati non siano statidipinti da lui ma da chi volevaaiutarlo a guadagnare denaro persopravvivere.

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cose che non dovrei mai dire, vi rivelerò che la trama“antica” si svolge a Trieste, al confine con l’ex Jugoslavia,all’inizio dei conflitti etnici tra serbi, croati, bosniaci esloveni. Non c’è un motivo particolare per questa scelta, oforse sì: Modigliani, malato di tubercolosi, fu curato da unmedico triestino; non mancheranno quelli cheindividueranno le similitudini (e le differenze) fra il poveropittore e Terzov, entrambi preda della stessa malattia.Un’amica italiana, triestina, mi raccontava che gliinnamorati di etnie diverse, al loro paese, non si sarebberomai potuti sposare, perché sempre sarebbero stati vistidalle famiglie come traditori. Così emigravano a Trieste,che per loro assumeva la parvenza di una mitica frontierauniversale. Ovviamente niente di tutto questo è illustrato nellacommedia, dove i nomi risuonano di echi di unaletteratura russa mal tradotta, così come alcune parolepaiono essersi smarrite nella traslitterazione dal cirillico:non sappiamo se si debba trascrivere Terzov o Terezov(come insiste a chiamarlo Leandra, l’incubo dei miei editorie revisori!), né sappiamo cosa siano i “canapé dolci esalati” o quale sia l’originaria parentela tra “Anja” e“Ghiottona”. Così è scritto quel mondo, confusamenteletterario, confusamente russo, confusamente in unaconfusa guerra. Che dire dell’altro dei due mondi, delmondo “contemporaneo”? La frontiera è qui coreana e illimite è rappresentato dalla soglia del chiosco dellafamiglia Sung. La terminologia da tradurre non è russa,piuttosto legale: un cumulo di torbide parole cela unatragedia che dà i brividi, quella del disgraziato cargo inmezzo alla tormenta. I cercatori di dettagli inutili laconoscono: si tratta di un cargo reale, di cui mi capitò ditradurre la vicenda per un processo (sono stato anchetraduttore dall’inglese), un cargo che si inabissò davantialle coste di Mar del Plata un 3 di aprile, giorno del miocompleanno (giorno in cui – come sappiamo tutti noi chesiamo nati in questa data – c’è tempesta, per lo meno aBuenos Aires, per lo meno nel corso degli ultimiquarant’anni). Altri dettagli inutili: il supposto gioco di cartecoreano non è altro che Hearts, il solitario di Windows,che mi ossessionava mentre la commedia languiva e io –seduto davanti al monitor come un cretino – aspettavo diveder uscire le carte in disordine. La strategia di SanJavier è validissima. È così che si vince a Hearts. Perconcludere. L’impianto di quest’opera è complesso,perché così io m’immagino la realtà: duplicità di trame,opacità di significati, collusione di universi linguistici,labirinti etici. Jorge Luis Borges scrisse, una volta, che illabirinto più complicato è una linea retta. Io, un semplice

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Bagno di folla per Juan ed Eva(Evita) Perón, protagonisti di uno dei periodi più controversidella storia argentina.

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apprendista nell’arte del labirinto, non ho nozione di lineerette. Conoscendo però la mano del Maestro Ronconi,non dubito che sarà un labirinto nel quale varrà la penaperdersi un po’. Come uno scherzo del destino (ed io noncredo molto al destino, semmai credo a una “casualitàcomplessa”), l’azione della Modestia si svolge in unospazio indeterminato, in una zona di confine scenograficoe stilistico, però si conclude, all’improvviso e moltoconcretamente, a Milano. Oggi, alcuni anni dopo questacasuale profezia, La modestia vede la luce –effettivamente – a Milano. Mi sembra la cosa più logica,mentre tremo visibilmente dall’emozione. Questa pièce(che finge di parlare un po’ di me, della mia compagnia diattori, del mio entourage teatrale e, soprattutto, del miostrano paese, un’Argentina disordinata e profetica) hamandato fuori asse tutti gli scaffali su cui ho cercato dicollocarla e ora ha preso su le sue valigie per uscire aconoscere il mondo. Quest’incubo formale dai sette volti,cercato, procurato, e che ha preteso i migliori anni dellamia vita – lo sanno bene i miei amici – vede oggi la lucegrazie alla mano del Maestro Ronconi e della suasplendida équipe di attori, tecnici e artisti. È una ricompensa insperata. A loro auguro il destino

avventuroso dei giramondo. Sapere che questodelicato meccanismo ha incontrato mani cosìesperte è un balsamo per la nevrosi di qualunqueautore. Loro ora sono i responsabili assoluti diquesto scambio di magia. Per quanto il teatro siaper natura amorale (non si colloca in nessun puntodi vista che coincida con gli ovvi presupposti diun’epoca), soffre tuttavia la contraddizione sullaquale normalmente la morale s’impernia:

l’osservazione del comportamentoumano, le sue imprevedibili svolte,le sue avventurose motivazioni. Cosa dovrebbero aver fatto questipersonaggi? Quando è giustomentire? Cosa lo giustifica? Mentire per amore, per denaro, pernoia, per aver salva la vita, peronorare i morti, per fondare unpaese? Mentire semplicemente edefinitivamente per modestia?

Buenos Aires, 30 dicembre 2011*(in occasione del debutto

de “La modestia” a Milano)

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La storia di Terzov, nelle intenzioni diSpregelburd, rimanda anche allavicenda del grande romanziere BorisPasternak, autore de Il Dottor Zivago.Censurato nella Russia comunista, ildattiloscritto originale fu consegnatodallo stesso Pasternak al giornalistaitaliano Sergio d’Angelo, all’epocainviato in URSS dal Pci per lavorarealla redazione italiana di Radio Mosca.D’Angelo ne intuì il potenziale (nel1958 Pasternak avrebbe avuto il Nobelper la letteratura, che fu costretto arifiutare) e portò il plico a Milano, perconsegnarlo ad un giovane editore cherispondeva al nome di GiangiacomoFeltrinelli. Tradotto a tempo di recordda Pietro Zveteremich, il libro erapubblicato nel novembre 1957 aMilano, nonostante persino PalmiroTogliatti avesse tentato di impedirlo(Feltrinelli gli rispose con la frase“Vivere una vita non è attraversare uncampo” e il libro fu stampato). Le rare copie superstiti della primaedizione italiana e di quella russa -anch’essa edita da Feltrinelli,nell’agosto del 1958, dal momento chein patria Pasternak restava all’indice -sono vendute oggi dai librai antiquaria cifre che vanno rispettivamente dai2.500 ai 4.000 dollari.

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Gli argomenti delle altre sei parti dell’Eptalogiadi Rafael Spregelburd

L’inappetenza è un testo brevissimo per nove attori, un“aperitivo teatrale”, giocato intorno al tema del desiderio diun figlio, a qualunque prezzo e forse anche solo perché cel’hanno tutti, cui fa da contraltare il desiderio di cibo,continuamente represso.

La stravaganza racconta in forma di mélo la storia di tresorelle (di cechoviana memoria), una delle quali adottiva. La madre, d’accordo con il padre, non ha mai voluto rivelarequale delle tre non sia consanguinea. Ora la donna stamorendo di una rara malattia genetica che potrebbeaffliggere anche due, e solo due, delle figlie…

La stupidità. Ventiquattro personaggi vivono nei dintorni diLas Vegas, inseguendo l’illusione di un futuro di ricchezza.Road movie teatrale, tra formule matematiche escommesse, è un “delirio interpretativo” sulla casualità (e ilfallimento) in un’epoca, purtroppo, inequivocabilmentestupida.

Il panico è un horror, in cui i vivi e i morti si incontrano e condividono uno stesso sentimento: il panico. Il testo èstato ispirato dalla recente crisi argentina e dalle ferite, nonancora sanate, generate da quanto accadde negli anni delladittatura.

La paranoia è ambientato in un futuro fantascientifico. Un gruppo di uomini ha una responsabilità grandissimaverso il resto della popolazione: mantenere ottime relazionicon le intelligenze aliene che diversamente potrebberodistruggere la Terra. Ma gli uomini hanno dalla loro la “carta”di essere produttori di un genere dal quale gli alieni sonodipendenti: le fiction.

La cocciutaggine porta in scena un giorno della fine di marzodel 1939, a Valencia. La Spagna sta per uscire dalla guerracivile, mentre l’Europa tutta entrerà nell’incubo del conflittomondiale. Ciascuno dei tre atti inizia alle 17 dello stessogiorno e racconta, ogni volta con un punto di vista diverso,una situazione differente, sempre però all’interno della stessavicenda.

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Perché ho iniziato a scrivere per il teatroHo cominciato a scrivere le opere che mi sarebbe piaciutorecitare e che non c’erano. È stato semplicemente così (...)Penso che scrivere varie opere contemporaneamente mipermetta di fare, come drammaturgo, ciò chenormalmente faccio da attore. Noi attori recitiamo personaggi che non necessariamentesono inscritti in noi: a volte un’opera ti piace perché sentiche il personaggio non ha niente a che vedere con te, e noiattori viviamo, un po’ psicoticamente, la fantasia di volervivere tutte le vite possibili. (…) Nella scrittura hocominciato a scoprire che, se mi mettevo a scrivere diverseopere alla volta, potevo essere molte personecontemporaneamente. Naturalmente chi legge le mieopere troverà sempre delle costanti, ma io non penso aqueste costanti, penso soltanto alle variazioni, a ciò cherende un’opera diversa dall’altra. Scrivendo diverse operecontemporaneamente credo di aver imparato molto adiffidare delle mie certezze.

Il teatro è “morale”?Penso che il teatro non possa emanciparsi mai dallamorale, anche quando si ponga come amorale, nonimmorale, ma amorale, perché non prende una posizione,perché assume diversi punti di vista allo stesso tempo.Pare proprio che il suo tema sia sempre l’umano enaturalmente nell’ambito umano la morale ha un enorme peso. Quali sono quelle convenzioni che generano un sistema divalori che fa sì che in un determinato contesto deipersonaggi siano visti positivamente o negativamente dauno spettatore cosciente che li giudica e li critica? A meinteressava molto il tema della morale, e il perché il teatroabbia spesso semplificato eccessivamente la morale,creando personaggi buoni o cattivi. Si tratta dello stesso tipo di semplificazione che operanell’immaginario politico, nei mezzi di comunicazione. Ciò che mi interessava di più, al principio, era creare unanuova cartografia della morale. Per questo ho preso comepunto di partenza Bosch.

IL TEATRO MI INTERESSA SE RIESCE A PARLARE DELLA VITARafael Spregelburd parla di sé, del teatro, di politica, di morale...di Manuela Cherubini

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Il teatro è politico?La prima regola del mio teatro è: quello che state pervedere è menzogna. Poi tutto ciò che viene mostratocomincia a operare come una realtà aggregata alla realtà,non come mero commento alla realtà, che è ciò chenormalmente succede con quello che è mal definito,secondo me, “teatro politico”. In Argentina ce n’è unagrandissima tradizione: opere che affrontano tematichemolto importanti, la dittatura militare, i desaparecidos; ma iloro procedimenti sono assolutamente sudditi di quellerealtà che pretendono di combattere, quindi continuano adessere prodotti prigionieri dello stesso senso comunecostruito dalla comunità. Il teatro deve infrangere questosenso comune, deve aprirlo, per vedere cosa c’è dentro edietro. Questo, per me, è il vero teatro politico, un teatro diprocedimenti, dimostrativo della natura menzognera diquella che chiamiamo realtà.

La parola, i linguaggi, la relazione autore-attore-regista-testoCiò che miinteressa di più inteatro è la relazionedell’attore col testo.(…) Mi interessanole opere teatrali checostruisconolinguaggi. Con

foto di scenaLuigi Laselva

MANUELA CHERUBINI

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questo voglio dire: un linguaggio, in un’accezione ampiadel termine, è un insieme di regole, codici, eccezioni aqueste regole. (…) Un linguaggio serve a dar corpo aun’opera, per quella successiva bisogna cambiarlo, cercarneun altro. (…) Il mio non è solamente un teatro di linguaggi,ma anche di procedimenti. Intendo ogni opera come unlinguaggio artificiale, come l’esperanto. Io parlo esperanto el’ho cominciato a studiare proprio perché mi interessavaquesto: come si inventa una grammatica che non abbiavalore connotativo, che si propone come la più pratica eautentica che possa esistere proprio per il fatto di annullaretutte le irregolarità. Questo è impossibile, è un’utopia: quasitutto il mio teatro parla di questa impossibilità.

Il teatro, la vita, la scienza e la teoria dellacomplessitàSembra una presa in giro, ma a me il teatroin sé non interessa tanto, il teatro non èqualcosa di importante.

IL TEATRO MI INTERESSA SE RIESCE A PARLARE DELLA VITA

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Mi interessa la vita. Se il teatro riesce a parlare della vita, diquelli che sono i corpi vivi, della geometria dei corpi vivi enon di quelli astratti, allora sì, il teatro mi comincia ainteressare. Ogni regista ha un’idea personale di come sicomporta la vita. Per alcuni vale ciò che dice la psicoanalisi:fra l’uomo e il mondo c’è un muro, il mondo è percepitoattraverso questo muro ma non si riesce mai a capirecome funziona la vita, possiamo soltanto organizzarepercezioni. Altri pensano che il teatro abbia una funzionemistica, simile a quella che in alcune società ha avuto lachiesa: il teatro come mistica che rappresenta ciò chesarebbe insopportabile presentare. È l’origine della tragedia

greca: i Greci, se crediamo aciò che ci raccontano di loro,rappresentavano la tragedia diEdipo, quella di Antigone,perché non avevano altrecategorie, né politiche, nésociali, né verbali, per parlaredell’orrore della natura umana.Il teatro è cambiato e hasommato diverse funzionalità.(…) A questo proposito, misono molto interessato alleattuali teorie scientifiche,soprattutto alla mal definita“teoria del caos” o, come

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avrebbe dovuto chiamarsi, “scienza della complessità”,soprattutto accostandomi ad alcuni scritti di BenoîtMandelbrot che riguardano la geometria del frattale.Prendo un libro e lo posso percepire come un quadrato,prendo una palla e la percepisco come una sfera, manessuno di questi oggetti è vivo. Se prendo inconsiderazione entità viventi, questo gatto che ci gironzolaintorno, una felce, vedo che posseggono altre forme chenon somigliano né al cerchio, né al rettangolo, a nessunadelle forme della geometria euclidea. Mandelbrot studiòquesto aspetto della forma vivente e inventò la parola“frattale” per definire le forme viventi. Scoprì che la maggiorparte delle formule derivate dalla fisica newtoniana sonoriduzioniste, suppongono che il mondo possa esprimersi invariabili numeriche, che interpretano il mondo come fosseun orologio, del quale si può analizzare il funzionamento in

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ogni singola parte. Ma tutte le regole riduzioniste, checercano di spiegare la vita in termini di semplificazioni estabilizzazioni, trascurano la collisione fra i diversi sistemi.La teoria della complessità si basa proprio su questo: sullerelazioni che ogni sistema intrattiene con gli altri sistemi.Il novanta per cento della drammaturgia occidentale è unsistema riduzionista, o meglio, l’idea del personaggio comeastrazione è simile alle formule newtoniane che spiegano lavelocità della caduta di un oggetto: regole stabilizzanti. (…) Pensiamo a una casalinga, che va a fare la spesa, torna acasa, eccetera. In teatro lavoriamo sempre con questo tipodi quadrati e cerchi. Un certo tipo di teatro comincia apensare di cercare in queste figure le irregolarità, le frattalitàche sono loro proprie, e dire: benissimo, in realtà questacasalinga è un serial killer, va a fare la spesa, torna a casa ela prima cosa che dice ai figli è: “ho appena ammazzato

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una vicina al mercato” e non sa nemmeno bene perchél’abbia fatto…

L’infinito dettaglio e la sottrazioneQuando creo una scena in cui deve succedere qualcosa,per esempio un personaggio deve comunicare una notiziadifficile ad un altro, non scrivo mai la scena, ma scrivointorno alla scena. Per me la scena è ciò che si costruiscenella testa dello spettatore, proprio perché io non ladichiaro in maniera semplice, non la metto in primo piano. L’infinito dettaglio è ciò che fa in modo che lo spettatorenon riesca a rendersi conto di ciò che l’autore gli vuoleindicare come la cosa più importante, in questo modo loobbliga a pensare e a seguire tutto il tempo con moltissimaattenzione, per capire cosa stia succedendo. Quello chesta succedendo non è complicato, non è difficile in sé, ma i

IL TEATRO MI INTERESSA SE RIESCE A PARLARE DELLA VITA

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personaggi, come noi nella nostra vita quotidiana, nonpossono rendersi conto di tutto ciò che succede. Sefossimo sempre coscienti di tutto quello che ci succede, peresempio di ciò che desideriamo, non avremmo tutti iproblemi che invece abbiamo (…). Nella scrittura, se si vuoleche i personaggi abbiano questa organicità, propria dellepersone, invece di sommare gli attributi che decidiamo didar loro, bisogna cominciare a sottrarre, lasciarli in una zonad’ambiguità. Come fa splendidamente Harold Pinter, dalquale ho imparato quasi tutto quello che faccio.

I classici? Una catastrofe…Un principio generatore è la catastrofe, che mi piacemoltissimo, molto di più dell’idea di tragedia: nella catastrofec’è il puro effetto che sotterra le sue cause. Noi vediamo ilmondo in modo razionale perché siamo animali razionali edè per questo che la catastrofe ci seduce tanto. Quando leopere del teatro occidentale si stabilizzarono come sistemi di

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trasmissione di messaggi, gli elementi catastrofici rimaserofuori, anche se in realtà sono sempre stati presenti nel teatro.Pensiamo a Romeo e Giulietta: è una tragedia perché ipersonaggi sono portati all’autodistruzione dalla loro stessanatura, perché si amano così tanto e questo amore è cosìproibito che i due moriranno. Queste sono le regole stilistiche con cui Shakespeareelabora la sua tragedia. Tuttavia la storia è mossa anche daaspetti catastrofici. Per esempio: perché viene perduta la lettera che FrateLorenzo invia a Romeo spiegandogli il piano di Giulietta perincontrarsi con lui nella cripta? Shakespeare non ti dànessuna spiegazione, la lettera viene smarrita perché sì. In questi “perché sì” c’è la chiave che dona la vita ai grandiclassici e anche al teatro contemporaneo non morto, che sache una parte della sua funzione è parlare di questo vuotoche consente l’imprevedibile.

(da un’intervista a Rafael Spregelburd di Manuela Cherubinipubblicata su Il Patalogo, annuario del teatro 2008, Ubulibri 2009, pp. 371-378, per gentile concessionedell’autrice e dell’editore)

IL TEATRO MI INTERESSA SE RIESCE A PARLARE DELLA VITA

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Rafael SpregelburdClasse 1970, nato aBuenos Aires,Rafael Spregelburdè attore, regista edrammaturgo(pluripremiato) inpatria e all’estero.Dopo gli esordicome attore, dallametà degli anni ‘90si dedica allascrittura teatrale,alla regia dei propritesti e,occasionalmente,

all’adattamento e alla messa in scena di testiteatrali di altri autori. Traduttore (dall’inglese edal tedesco) di grandi drammaturghicontemporanei - da Mark Ravenhill a HaroldPinter, da Steven Berkoff a Marius vonMayenburg - Spregelburd ha lavorato aLondra, Amburgo, Stoccarda, Berlino, Cardiff,Medellín, Barcellona, Madrid, Karlsruhe, Roma,in Messico... I suoi allestimenti, realizzati con lacompagnia da lui fondata, “El Patrón Vázquez”,hanno visitato i principali festival e teatriinternazionali, tra cui Festival Iberoamericano diBogotà, Temporada Alta di Girona, Otoño deMadrid, Festival d’Avignon, Festival dei DueMondi di Spoleto, Festival Santiago a Mil delCile, Festival di Almada in Portogallo,Deutsches Schauspielhaus di Amburgo,Hebbel Theater e Schaubühne di Berlino emoltissimi altri ancora. Attivo anche in ambitocinematografico, per lo più come attore, è statopremiato come miglior interprete al Festival diLleida per El Hombre de al lado (coregia di

Gaston Duprát e Mariano Cohn, 2009). Le sue opere sono state pubblicate, oltre che inArgentina, nel Regno Unito, negli Stati Uniti,in Francia, Messico, Italia, Germania, Cile,Colombia, Uruguay, Spagna, Repubblica Ceca,Svezia, Svizzera, Croazia e tradotte in inglese,francese, tedesco, ceco, svedese, slovacco,catalano, valenciano, olandese, italiano,polacco, croato, russo, greco e portoghese.Tra i suoi titoli principali, Bizarra (2003)“teatronovela” in dieci puntate (per una ventinadi ore di rappresentazione), Lucido (2006)commedia nera dallo humour graffiante,Apátrida (2011) in cui racconta l’episodiostorico della polemica artistica che, alla finedell’Ottocento, coinvolse il pittore argentinoSchiaffino e il critico spagnolo Auzón. L’Eptalogia di Hieronymus Bosch è la riscritturain chiave contemporanea dei sette peccaticapitali di medievale memoria, di ciascuno deiquali Spregelburd rintraccia un corrispettivoodierno: L’inappetenza corrisponde allaLussuria, La stravaganza all’Invidia, La modestia alla Superbia, La stupiditàall’Avarizia, Il panico all’Accidia, La paranoia allaGola, La cocciutaggine all’Ira. Scritti tra il 1997 e il 2008, i sette testi, di duratediversissime tra loro, sono stati pensati sia perun’esecuzione “fiume”, l’uno di seguito all’altro,oppure per essere rappresentatiautonomamente. In Italia le sette commediesono state pubblicate in due volumi da Ubulibri. Tra i premi conseguiti da Spregelburd, Tirso deMolina (Spagna), Casa de las Américas (Cuba),Premio Nazionale di Drammaturgia (Argentina),Municipale (Buenos Aires), Nazionale(Argentina), Ubu in due ocasioni (Italia) e molti altri.

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Luca Ronconi Nasce l’8 marzo1933 a Susa(Tunisia). Si diplomaall’Accademiad’ArteDrammatica di

Roma nel 1953 e lavora comeattore con ruoli da protagonista inspettacoli diretti da registi comeLuigi Squarzina, Orazio Costa eMichelangelo Antonioni. A partiredal 1963 compie le sue primeesperienze registiche all’internodella CompagniaGravina/Occhini/Pani/Ronconi/Volonté per la quale cural’allestimento de La buona moglie,abbinamento in un solo spettacolodi due testi goldoniani, La puttaonorata e La buona moglie.Nel 1966 realizza I lunatici diMiddleton e Rowley ed è salutatodalla critica come uno degliesponenti di puntadell’avanguardia teatrale italiana.Lo spettacolo che lo consacra allafama internazionale è OrlandoFurioso (1969) di Ariosto, nellariduzione elaborata da Sanguineti,un evento teatrale straordinarioche vivrà una fortunatissimatournée italiana e conoscerà unsuccesso su scala mondiale. Dal 1975 al 1977 è Direttore dellaSezione Teatro alla Biennale diVenezia e tra il 1977 e il 1979fonda e dirige il Laboratorio diprogettazione teatrale di Prato. Gli anni Settanta vedono la messain scena di spettacoli memorabili,tra cui XX da Wilcock (1971),Orestea di Eschilo (1972), Utopiada Aristofane (1976) e, per ilLaboratorio di Prato, Baccanti diEuripide (1977) e La torre di vonHofmannsthal (1978).Negli anni Ottanta, fondamentalitappe del percorso di ricercaronconiano, considerate anchecome indiscutibili vertici dellastoria del teatro italiano deldopoguerra, sono Ignorabimus diHolz (1986), Dialoghi dellecarmelitane di Bernanos (1988) eTre sorelle di Cechov (1989). Dal1989 al 1994 è direttore del TeatroStabile di Torino per il quale, nel1992, fonda e dirige la Scuola perattori. Risalgono al mandatotorinese, tra gli altri, Stranointerludio di O’Neill, L’uomo difficiledi von Hofmannsthal e Gli ultimigiorni dell’umanità di Kraus (tutti e

tre del 1990), quest’ultimo allestitonel vasto ambiente della sala-macchine del Lingotto di Torino,evento assoluto di quella stagioneteatrale. Nell’aprile del 1994 ènominato direttore del Teatro diRoma per il quale mette in scenaspettacoli di grande impegnocome Re Lear di Shakespeare everso “Peer Gynt” da Ibsen(1995), Quer pasticciaccio bruttode via Merulana di Gadda (1996) eI fratelli Karamazov da Dostoevskij(1998). Dal gennaio 1999 assumele deleghe per la direzione artisticadel Piccolo Teatro di Milano e ladirezione della Scuola per attoridello stabile milanese. Per dareavvio al proprio lavoro al Piccolo,allestisce La vita è sogno diCalderón de la Barca e Il sogno diStrindberg, nell’inverno del 2000.Nella stagione 2000-2001 dirigeLolita-sceneggiatura di Nabokov, I due gemelli veneziani di Goldonie Candelaio di Bruno; nellastagione successiva Quel chesapeva Maisie di James e Infinitiesdel matematico Barrow.Nell’estate 2002, nella cornice delTeatro Greco di Siracusa,allestisce la trilogia Prometeoincatenato di Eschilo, Baccanti diEuripide, Rane di Aristofane(rappresentati poi anche al TeatroStrehler a Milano). Lo stesso anno,con la messinscena a Ferrara diAmor nello specchio di Andreini,vede il debutto il Centro TeatraleSantacristina, unità di produzionee formazione che Ronconi fondainsieme a Roberta Carlotto e chetutt’ora dirige nella strutturaappositamente creata nella Valleeugubina. L’estate successiva è alTeatro Farnese di Parma conPeccato che fosse puttana di Ford(poi al Teatro Studio a Milano).Per Genova Capitale Europeadella Cultura 2004 realizza Lacentaura di Andreini. Nel 2005porta in scena Diario privato diLéautaud, con Giorgio Albertazzi eAnna Proclemer, cui segueProfessor Bernhardi, prodotto dalPiccolo. Nel 2006 è invitato adirigere, in omaggio al simboloolimpico, cinque spettacoli inoccasione delle Olimpiadi invernalidi Torino 2006: Troilo e Cressida diShakespeare, Atti di guerra: unatrilogia di Edward Bond,Biblioetica, Dizionario per l’uso diCorbellini, Donghi e Massarenti(codiretto con Claudio Longhi),

Il silenzio dei comunisti di Foa,Mafai e Reichlin, Lo specchio deldiavolo di Ruffolo. Per il terzocentenario goldoniano, mette inscena al Teatro Strehler, nelgennaio 2007, la commedia Il ventaglio. Sempre al Piccolo,Inventato di sana pianta ovvero gli affari del Barone Laborde diHermann Broch.Per l’edizione del 2007 del Salonedel Libro di Torino proponeFahrenheit 451 di Ray Bradbury;nel settembre 2007, a Ferrara,debutta Progetto “Odissea doppioritorno”, dittico comprendenteL’antro delle Ninfe, da Omero ePorfirio e Itaca di Botho Strauss(2007). A giugno 2008 inizia lacollaborazione con il Festival deiDue Mondi di Spoletopresentando alcune “Lezioni” sulladrammaturgia di Ibsen. A settembre del 2008, in Umbria,inaugura il Teatro Cucinelli diSolomeo con Nel bosco deglispiriti, una fiaba dello scrittorenigeriano Amos Tutola tradotta intesto teatrale da Cesare Mazzonise musicata dal vivo da LudovicoEinaudi. Nel giugno 2009prosegue l’appuntamentospoletino con uno studio sulGabbiano di Cechov dal titolo Un altro gabbiano. Le sue ultimeregie al Piccolo Teatro sono i dueShakespeare Sogno di una nottedi mezza estate (2008) e Il mercante di Venezia (2009), lacommedia Giusto la fine delmondo (2009) del contemporaneofrancese Jean-Luc Lagarce, I beatianni del castigo di Fleur Jaeggy(2010), La compagnia degli uominicon cui ritorna al teatro di EdwardBond (2011), La modestia diRafael Spregelburd (2011). Per lostabile di Genova, ha messo inscena Nora alla prova da “Casa dibambola” tratto da Ibsen (2011).Come regista lirico, allafrequentazione dei “classici”dell’opera italiana (i verdianiNabucco, 1977, e Trovatore,1977; Norma di Bellini, 1978;Macbeth, 1980, Traviata, 1982,Aida, 1985, ancora di Verdi, eTosca di Puccini, 1997) edeuropea (Carmen di Bizet, 1970;Das Rheingold di Wagner, 1979;Don Giovanni di Mozart, 1990 e1999; Lohengrin, ancora diWagner, 1999), Ronconiaccompagna un interessantelavoro di studio sui territori meno

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battuti del teatro musicale, comela grande stagione del Baroccoitaliano (L’Orfeo di Rossi, 1985;L’Orfeo e Il ritorno di Ulisse inpatria di Monteverdi, entrambi del1998; L’incoronazione di Poppeasempre di Monteverdi, 2000) o laproduzione operisticacontemporanea (Il casoMakropulos di Janácek, 1993; Il giro di vite di Britten, 1995;Teorema di Battistelli, 1996;Arianna a Nasso di Strauss, 2000).Incontro particolarmente felice èquello con la drammaturgiamusicale rossiniana: Il barbiere diSiviglia (1975), Moïse et Pharaonou le passage de la Mer Rouge(1983), Il viaggio a Reims (1984),Guglielmo Tell (1988), Ricciardo eZoraide (1990), Armida (1993),Cenerentola (1998), La donna dellago (2001), King Lear di Reimannper il Regio di Torino (2001), GiulioCesare di Händel (Madrid, 2002),una nuova versione di Moïse etPharaon di Rossini (Teatro allaScala – Arcimboldi, 2003), Alfonsoed Estrella di Schubert (Cagliari,2004), L’Europa riconosciuta diSalieri (per la riapertura della Scalanel dicembre 2004), Il barbiere diSiviglia (Pesaro, 2005).Tra le regie liriche più recenti,Falstaff di Verdi nel 2006 alMaggio Musicale Fiorentino, laTurandot “nuda” nel 2007 perl’apertura di stagione del TeatroRegio di Torino e il Tritticopucciniano alla Scala di Milano(2008, riallestito all’Opéra di Pariginell’ottobre 2010), la ripresa delViaggio a Reims di Rossini allaScala (2009). La sua regia de La clemenza di Tito di Mozart hariaperto dopo il restauro lo storicoTeatro San Carlo di Napoli(gennaio 2010). Nello stessoteatro, nel novembre 2011 hamesso in scena Semiramide diRossini. Luca Ronconi è anchecuratore e allestitore di mostre.Nel febbraio 2004, a PalazzoReale di Milano, si è inaugurataAnton Van Dyck-Riflessi italiani; nel settembre 2006 ha curato lasuggestiva esposizione dellamostra Cina. Nascita di un imperopresso le Scuderie del Quirinale aRoma. Nel 2008, prima per Roma,negli spazi del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, poi per Berlinoalla Gemäldegalerie, ha curatol’allestimento della mostradedicata a Sebastiano

Del Piombo. Nel settembre 2009lavora all’allestimento della mostraRoma. La pittura di un Imperoesposta negli spazi delle Scuderiedel Quirinale. Infine ha curatol’allestimento dell’esposizione La bella Italia. Arte e identità dellecittà capitali, messa in scena neglispazi delle scuderie Juvarrianedella Venaria Reale di Torino per i 150 anni dell’Unità d’Italia (2011).Tra i numerosi premi ericonoscimenti, il VI Premio Europaper il Teatro di Taormina Arte(aprile 1998); il Premio UBU comemigliori spettacoli delle rispettivestagioni teatrali per “Progettosogno” nel 2000, Lolita nel 2001,Infinities nel 2002, ProfessorBernhardi nel 2005 e per“Progetto Domani” nel 2006. Più recentemente, gli è statoassegnato il Premio Nazionaledella Critica per il “ProgettoLagarce” e il Premio ETI comemigliore spettacolo per Sogno diuna notte di mezza estate. Nel 2008 gli è stato conferitodall’Accademia Nazionale deiLincei il Premio “Antonio Feltrinelli”per la Regia teatrale.

Marco Rossi (scene)Diplomatoall’Accademia diBelle Arti diFirenze allascuola diAntonioCapuano, come

assistente dello scenografoMaurizio Balò, ha lavorato allaprogettazione di vari allestimenti.Ha realizzato le scenografie deglispettacoli di Luca Ronconi Amornello specchio di G. B. Andreini(Ferrara, 2002), Peccato che fosseputtana di John Ford (TeatroFarnese di Parma, 2003,coprodotto dal Piccolo Teatro emesso in scena anche al TeatroStudio), Diario privato di PaulLéautaud (Teatro Argentina diRoma, 2005), I soldati di JakobLenz (Piccolo Teatro Studio,2005), Inventato di sana pianta,ovvero gli affari del baroneLaborde di H. Broch (TeatroGrassi, 2007, premio UBU per lamigliore scenografia), Itaca diBotho Strauss e L’antro delle ninfea cura di M. Trevi (progetto“Odissea doppio ritorno”,Teatrocomunale di Ferrara, settembre2007), Giusto la fine del mondo di

Jean-Luc Lagarce (2009), La modestia di Rafael Spregelburd(Spoleto, Festival dei due Mondi,2011 e Piccolo Teatro Grassi,2012). Per il Piccolo ha curato lescene anche di Vecchia Europa diDelio Tessa, regia di GiuseppinaCarutti (Piccolo Teatro Studio,2002), Guardia alla luna diBontempelli, regia MarcoRampoldi (Teatro Sociale di Como,2004), Darwin… tra le nuvole, di Luca Boschi, Stefano de Luca,Giulio Giorello, regia Stefano deLuca (Piccolo Teatro Studio,2009), I pretendenti di Jean-LucLagarce, regia Carmelo Rifici(Piccolo Teatro Studio, 2009),Alice da Lewis Carroll, regiaEmiliano Bronzino (Piccolo TeatroStudio, 2010).

Gialnuca Sbicca (costumi)Perugino dinascita, classe1973, studiascenografiaall’Accademiadi Brera diMilano dove

conosce Simone Valsecchi con ilquale inizia una collaborazione sudiversi progetti. Dopo varieesperienze nel campo della moda(Gianfranco Ferrè, Jean PaulGaultier, Reporter, Convivio e altri),approdano al teatro comeassistenti di Maria Carla Ricotti perMacbeth Clan, con Raul Bovaregia Angelo Longoni, produzionedel Piccolo per la stagione1998/99. Sempre al Piccolo, sonoassistenti di Jacques Reynaud peri costumi di Lolita di Nabokov(2001), regia Luca Ronconi, per ilquale realizzano anche Phoenix diMarina Cvetaeva (2001). Direttoda Ronconi è il primo spettacoloche firmano: Candelaio diGiordano Bruno, allestito aPalermo nell’estate del 2001 eripreso a Milano. È l’inizio di unalunga collaborazione con il registache li vedrà realizzare i costumiper la trilogia Prometeo Incatenatodi Eschilo, Baccanti di Euripide eRane di Aristofane (al Teatro Grecodi Siracusa e al Piccolo); Amornello specchio di Andreini aFerrara; Giulio Cesare di Händel,coproduzione Teatro Real diMadrid e Teatro Comunale diBologna; Peccato che fosseputtana di John Ford, debutto alFarnese di Parma, poi anche al

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Piccolo; Professor Bernhardi diSchnitzler al Piccolo; Diario privatodi Léautaud per il Teatro di Roma;due degli spettacoli del ProgettoDomani di “Torino 2006 Olimpiadidella Cultura”, Troilo e Cressida diShakespeare e Lo specchio deldiavolo di Ruffolo; Fahrenheit 451di Ray Bradbury, per lo Stabile diTorino, in scena anche al Piccolo.Gianluca Sbicca firma inoltre dasolo i costumi per Nel bosco deglispiriti di Tutuola per il TeatroCucinelli di Solomeo; collaboracon lo stilista Antonio Marras perla realizzazione dei costumi diSogno di una notte di mezzaestate di Shakespeare di nuovo alPiccolo e realizza i costumi de La modestia di Spregelburd, cheha debuttato a Spoleto nell’estate2011. Tra gli altri registi con cui hacollaborato, Claudio Longhi (LaMoscheta di Ruzante; Ite MissaEst di Luca Doninelli, Cos’èl’amore di Franco Branciaroli,Caligola e La peste di Camus,Edipo e la Sfinge di VonHofmannsthal, Lo Zio di FrancoBranciaroli, Omaggio a Koltès, Io parlo ai perduti di RobertoBarbolini e Arturo Ui di BertoltBrecht vincitore del premio dellacritica come spettacolo dell’anno2011); Marco Rampoldi (LaCalandria di Bibbiena, Duedozzine di rose scarlatte di AldoDe Benedetti); Peter Greenaway(Peopling The Palace filmatoprogettato e diretto per animare laReggia di Venaria a Torino); PieroMaccarinelli (Ritter Dene Vossdi Thomas Bernhard); GiovanniPapotto (Spariamo, da lui stessoscritto); Sergio Fantoni (Lacommedia di candido di StefanoMassini); Massimo Popolizio (aldebutto alla regia con Ploutos daAristofane, riscritto da Ricci/Forte);Daniele Salvo (Gramsci a Turi, diAntonio Tarantino, in cui è autoreanche delle scene); Alvis Hermanis(Le signorine di Wilko di JaroslawIwaszkiewicz).

A. J. Weissbard (luci) Light designeramericano,disegna per ilteatro, video,mostre,installazionipermanenti e

architettoniche. Collabora damolti anni con registi di teatro, tra

cui Robert Wilson, Peter Stein,Luca Ronconi, Daniele Abbado eBernard Sobel, con il registacinematografico Peter Greenaway,con gli artisti visivi WilliamKentridge, Fabrizio Plessi e VadimFishkin, e con architetti tra cui GaeAulenti, Pierluigi Cerri, RichardGluckman e Matteo Thun. Tra iluoghi che hanno ospitato le suecreazioni si ricordano: per il teatro,Lincoln Center New York, LosAngeles Opera, BrooklynAcademy of Music, OperaGarnier e Théâtre du ChâteletParis, Bruxelles Opera LaMonnaie, Teatro Real Madrid,Piccolo Teatro di Milano, Teatro diEpidauro, Schaubühne Berlin,Esplanade Singapore e BunkaKaikan Tokyo; per le mostre e leinstallazioni multimediali, ilGuggenheim di New York eBilbao, Royal Academy ofLondon, Petit Palais Paris, VitraDesign Museum, Triennale diMilano, KunstindustrimuseumCopenhagen, Shanghai ArtMuseum, Aichi World Expo 2005,Biennale di Venezia, Salone delMobile Milano, Bienal deValencia. Recentemente, haprogettato il disegno luci per lamostra Giorgio ArmaniRetrospective, per Parsifal pressola Los Angeles Opera, A SpeedyDay per la Biennale di Venezia,Lady from the Sea al TeatrDramatyczny Warsaw e Quartettal Théâtre Odéon Parigi; lamostra dedicata a Sebastiano delPiombo a Palazzo Venezia Roma;The Fly al Théâtre du Châteletcon la regia di David Cronenberg;“Drifting and Tilting” the Songs ofScott Walker, al BarbicanTheatre; con la regia di LucaRonconi, Sogno di una notte dimezza estate, Il mercante diVenezia e La compagnia degliuomini al Piccolo Teatro diMilano, La modestia a Spoleto,poi al Piccolo; ha collaboratoanche a Il Tempo del Postino alTheater Basel; e al flagship storedi Hugo Boss a MeatpackingDistrict, NY. La sua installazioneWith light regards, è statapresentata al Salone del Mobile2006. È resident lighting designerper Change Performing Arts diMilano ed insegna al WatermillCenter di New York, allaNorwegian Theater Academy ealla NABA di Milano.

Francesca Ciocchetti (Anja Terezovna/ Ángeles)

Romana, vincenel 2000 ilPremioNazionale “LinaVolonghi” enella stagione2007/08 il

Premio “Virginia Reiter”. Sidiploma all’Accademia Nazionaled’Arte Drammatica “SilvioD’Amico”. Dal 2001 al 2003collabora con Mamadou Dioume(attore di Peter Brook) per Scontrodi negro contro cani e Taba-Tabadi Koltès. Dal 2003, allo Stabile diTorino, interpreta Romeo eGiulietta, Sogno di una notte dimezza estate, Pene d’amorperdute con le regie, di J.-C. Saïs,Mamadou Dioume, DominiquePitoiset, La peste di Camus regiaC. Longhi e Marat-Sadedi P. Weiss, regia W. Le Moli.Nel 2004 ottiene il diploma dispecializzazione al Centro TeatraleSanta Cristina diretto da LucaRonconi. In collaborazione con ilCentro stesso, recita in I beati annidel castigo (di Fleur Jaggy, 2004),La mente da sola (autori vari,2006), Studi su Ibsen (Festival diSpoleto, 2008), Un altro gabbiano(da Cechov, Festival di Spoleto2009), tutti diretti da Ronconi.Partecipa a “Progetto Domani” per le Olimpiadi di Torino 2006, inTroilo e Cressida e ne Lo specchiodel diavolo e al Progetto “Reggiadi Venaria Reale” con la regia diPeter Greenaway. Diretta daRonconi ha recitato neglispettacoli del Piccolo Teatro Il ventaglio di Goldoni, Itaca diBotho Strauss, Sogno di unanotte di mezza estate diShakespeare, Giusto la fine delmondo di Lagarce, La modestiadi Rafael Srepgelburd. Tra gli spettacoli recentementeinterpretati, Othello diShakespeare, regia Daniele Salvo,al Globe Theatre di Roma, Studiosu Verdi, per il Teatro Massimo diPalermo, regia Francesco Micheli,vincitore del Premio Abbiatidell’Associazione Nazionale deiCritici Musicali. Ancora al Piccolo,I pretendenti di Lagarce e Nathanil saggio di Lessing regia CarmeloRifici, La cimice di Majakovskij,regia Serena Sinigaglia. Nel 2010, per CSS Teatro Stabiledi Innovazione, in coproduzione

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con Napoli Teatro Festival, LesAdieux, regia di Benedetto Sicca;nello stesso anno, Bizzarra diRafael Spregelburd, produzioneFattore K di G. B. Corsetti, regiaManuela Cherubini. Ha vinto il Premio della Critica perla Stagione 2008/2009; il PremioEleonora Duse come migliorattrice giovane 2009, il PremioUbu come miglior attrice nonprotagonista 2009.

Maria Paiato (Leandra/María Fernanda)

Di origineveneta, dopo il diploma diragionierafrequental’AccademiaNazionale

d’Arte Drammatica “Silviod’Amico” e si diploma nel 1984con il saggio spettacolo Il risveglio di primavera di FranzWedekind per la regia di LorenzoSalveti. Ha interpretato la MariaZanella di Sergio Pierattini, regiaMaurizio Panici, Premio dellacritica, Maschera d’Oro e PremioUbu 2005; Cara professoressa diLjudmila Razumovskaja, regiaValerio Binasco, le è valso ilpremio come Migliore Attrice agliOlimpici del teatro 2004. Tra lesue più recenti interpretazioni:Natura morta in un fosso diFausto Paravidino, Le Troiane diEuripide e Ritter Dene Voss diThomas Bernhard per la regia diPiero Maccarinelli; il monologoNon ho imparato nulla di DoloresPrato. In occasione delleOlimpiadi della cultura di Torino2006 ha preso parte al “ProgettoDomani” di Luca Ronconiinterpretando il ruolo di MiriamMafai ne Il silenzio dei comunistidi V. Foa, M. Mafai, A. Reichlin,Premio Ubu 2006 per la miglioreattrice. Il monologo Un cuoresemplice, scritto e diretto daLuca De Bei (tratto dall’omonimoracconto di Gustave Flaubert), leè valso il Premio Olimpici delteatro 2007. Nelle ultime stagioni,si ricordano le collaborazioni conValerio Binasco ne L’intervista diNatalia Ginzburg e con WalterMalosti ne I quattro atti profani diAntonio Tarantino, grazie allequali ottiene il Premio Duse(2009). Nell’ultima stagione veste

i panni di Erodiade di GiovanniTestori per la regia di PierpaoloSepe e collabora con CristinaPezzoli in Precarie età di MaurizioDonadoni, quindi di nuovo LucaRonconi la dirige ne La modestiadi Rafael Spregelburd, chedebutta a nell’estate 2011 aSpoleto. Al cinema è stata diretta, tra glialtri, da Francesca Archibugi(Lezioni di volo), Marco Martani(Cemento armato), PietroReggiani (L’estate di mio fratello),Francesca Comencini (Lo spaziobianco), Luca Guadagnino (Iosono l’amore) e CarloMazzacurati (La passione). Hapartecipato a diverse produzioniradiofoniche: Il teatro giornale diRoberto Cavosi e SergioPierattini; I dialoghi delleCarmelitane di G. Bernanos conla regia di Cristina Pezzoli;Taccuino italiano e Madre Teresadi Calcutta entrambi con la regiadi Giuseppe Venetucci; La storiadi Elsa Morante e Giro di vite diHenry James per il programmaAd alta voce a cura di AnnaAntonelli.

Paolo Pierobon(Smederovo/Arturo)

Classe 1967, èattore di teatro,cinema etelevisione.Diplomato allaCivica Scuolad’Arte

Drammatica “Paolo Grassi” diMilano, riceve nel 2004 il premiodell’Associazione Nazionale CriticiItaliani come miglior attoreemergente per gli spettacoli Finaledi partita di Samuel Beckett (regiaLorenzo Loris) e Morte accidentaledi un anarchico di Dario Fo (regiaFerdinando Bruni e Elio DeCapitani). Nel 2008 interpreta ilruolo di Levin in Anna Karenina diTolstoj, nella messinscena diEimuntas Nekrosius, e vince ilPremio Ubu come miglior attorenon protagonista. Nel 2009,ancora con Elio De Capitani, è Ianin Blasted di Sarah Kane; LucaRonconi lo dirige al Festival diSpoleto in un’inedita versione de Il gabbiano di Cechov (Un altrogabbiano) dove interpreta loscrittore Trigorin, quindi, nellastagione 2010/2011, ne La

compagnia degli uomini di EdwardBond, al Piccolo Teatro di Milano,in Nora alla prova da “Casa dibambola” da Ibsen al Teatro dellaCorte di Genova e in La modestiadi Rafael Spregelburd presentatoal Festival dei Due Mondi diSpoleto e al Mittelfest di Cividaledel Friuli.Tra le ultime interpretazioni ancheLa malattia della famiglia M.,scritto e diretto da FaustoParavidino. Al cinema debutta nel 1998 inPompeo, mediometraggio diPaolo Vari e Antonio Bocola. L’anno successivo è protagonistacon Sandra Ceccarelli di Guarda ilcielo (Stella, Sonia, Silvia) diPiergiorgio Gay. Nel 2005 in Comel’ombra di Marina Spada è unprofessore di russo. Partecipa adiversi film del regista FedericoRizzo, tra cui Lievi crepe sul murodi cinta del 2003 dove interpreta(da protagonista) un poetaemarginato e Fuga dal call centerdel 2008 in un cameo. Nello stesso anno è diretto daMarco Bellocchio in Vincere in cuiè il fascista Bernardi. Di prossima uscita è La metafisicaper le scimmie, in cui lavora dinuovo con Marina Spada. In televisione, recentemente èstato diretto da Maurizio Zaccarone Lo smemorato di Collegno(Avvocato Farinacci) ed è tra iprotagonisti di Squadra antimafia -Palermo oggi 2.

Fausto Russo Alesi (Terzov/San Javier)

Diplomato allaCivica Scuolad’ArteDrammatica“Paolo Grassi”;dal 1996 è unodei soci di

A.T.I.R. Nel 2002 ottiene il premiodell’Associazione Nazionale deiCritici di Teatro. Nella stagione2000/2001 è Kostja nel Gabbianodi Cechov, diretto da EimuntasNekrosius; per questainterpretazione e quella di Naturamorta in un fosso di FaustoParavidino, regia SerenaSinigaglia, riceve il “Premio Ubu”2002 come miglior attore giovane. Nel gennaio 2003 è vincitore del21st International Fadjr TheatreFestival a Teheran (Iran), attribuitodall’I.T.I-Unesco. Nel 2004

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interpreta Il Grigio di GiorgioGaber, regia di Serena Sinigaglia,ricevendo il “Premio Olimpici delTeatro” (premio ETI 2004), il premio Annibale Ruccello (2004),il premio Vittorio Gassman, laMaschera d’oro e il Persefoned’oro (2005). È interprete e registadello spettacolo Edeyen di LetiziaRusso. Ha lavorato anche conGigi Dall’Aglio, Ferdinando Bruni,Armando Punzo e Gabriele Vacis.Tra gli ultimi spettacoli cui hapreso parte, I demoni diDostoevskij, regia Peter Stein eL’Aggancio, di Nadine Gordimer,regia Serena Sinigaglia (entrambidel 2009). Diretto da Luca Ronconi harecitato in Il silenzio dei comunisti,Fahrenheit 451, Nel bosco deglispiriti, Sogno di una notte dimezza estate, Il mercante diVenezia (nel ruolo di Shylock), La modestia di Rafael Spregelburd.Nel 2009/2010 è unico interpretee regista di 20 novembre di LarsNorén (prodotto dal PiccoloTeatro). Nella stagione 20110/11,è protagonista e regista di Cuoredi cactus di Antonio Calabrò,quindi interpreta al Piccolo Nathanil saggio di Lessing, diretto daCarmelo Rifici. Per il ruolo diKirillov ne I demoni e di Bottom inSogno di una notte di mezzaestate, ha vinto il Premio Ubu2009 come miglior attore nonprotagonista. Per il cinema è statodiretto da Silvio Soldini in Pane etulipani e in Agata e la tempesta;ha recitato, tra gli altri, in Le rosedel deserto di Mario Monicelli, Inmemoria di me di SaverioCostanzo (in concorso al Festivaldi Berlino), in Vincere di MarcoBellocchio, in concorso al Festivaldi Cannes 2009, in La doppia oradi Giuseppe Capotondi, inconcorso alla Mostra del cinemadi Venezia 2009, in La passione diCarlo Mazzacurati, in concorsoalla Mostra del cinema di Venezia2010. Recita in altri tre film inuscita nel 2012: Romanzo di unastrage, regia di Marco TullioGiordana; Venuto al mondo,regia di Sergio Castellitto e Il comandante e la cicogna, regiadi Silvio Soldini. Per Radio Rai haletto il romanzo Padri e Figli diTurgenev.

Il Piccolo Teatro di Milano

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Fondato il 14 maggio 1947 daGiorgio Strehler, Paolo Grassi eNina Vinchi, è il primo Stabileitaliano, in ordine di tempo, nonchéil più conosciuto, in Italia eall’estero. L’idea dei fondatori eradare vita a un’istituzione sostenutadallo Stato e dagli enti locali(Comune e Provincia di Milano,Regione Lombardia) in quantopubblico servizio necessario albenessere dei cittadini. “Teatrod’Arte per Tutti” era lo slogan cheaccompagnava il Piccolo alla suanascita e anche oggi ne riassumepienamente le finalità: portare inscena spettacoli di qualità indirizzatial pubblico più ampio possibile. Dal1991 il Piccolo Teatro di Milano èanche “Teatro d’Europa”. Il Piccologestisce tre sale: la sede storica(500 posti), ribattezzata PiccoloTeatro Grassi, di recente oggetto diun restauro conservativo che ha“scoperto” e restituito alla città losplendido Chiostro Rinascimentaleattiguo, decorato da opere dellascuola di Leonardo e di Bramante;lo spazio sperimentale del TeatroStudio (370 posti), edificio dove èospitata anche la Scuola di Teatro;la sede principale di 982 posti,inaugurata nel gennaio 1998, cheporta il nome di Piccolo TeatroStrehler. In più di sessant’anni diattività, il Piccolo ha prodotto oltre300 spettacoli, 200 diretti daStrehler, di autori che vanno daShakespeare (Re Lear e Latempesta) a Goldoni (Le baruffechiozzotte, Il campiello esoprattutto Arlecchino servitore didue padroni), Brecht (L’opera da tresoldi, Vita di Galileo, L’anima buonadi Sezuan), Cechov (Il giardino deiciliegi). Dal 1998, con il passaggiodel testimone a Sergio Escobar e aLuca Ronconi, il Piccolo haaccentuato la dimensione

internazionale e interdisciplinare,candidandosi quale ideale poloculturale cittadino ed europeo. Suisuoi palcoscenici si alternanospettacoli di prosa e danza,rassegne e festival di cinema,tavole rotonde e incontri diapprofondimento culturale. Nel suo itinerario di ricerca, LucaRonconi ha proposto al Piccoloclassici quali Calderón de la Barca(La vita è sogno), Eschilo(Prometeo incatenato), Euripide(Baccanti), Aristofane (Rane)Shakespeare (Sogno di una nottedi mezza estate, Il mercante diVenezia), alternati ad autori menofrequentati in teatro (Schnitzler,Professor Bernhardi), ocontemporanei (Jean-Luc Lagarce,Giusto la fine del mondo, EdwardBond, La compagnia degli uomini,Rafael Spregelburd, La modestia),accanto alle versioni per la scena dicelebri romanzi (per tutti Lolita diNabokov). Autentico esperimentoteatrale è stato lo spettacolo trattodai cinque scenari sull’infinito(Infinities) del matematico ingleseJohn D. Barrow, allestito in unmagazzino di scenografie allaperiferia di Milano. Per quantoriguarda l’internazionalità, il Piccoloospita abitualmente artisti comePeter Brook, Patrice Chéreau,Eimuntas Nekrosius, RobertLepage, Lev Dodin, Lluís Pasqual,Ingmar Bergman, DeclanDonnellan, Simon Mc Burney,Robert Wilson. È stato in tournée intutti i paesi del mondo, dalla Russiaagli Stati Uniti, dalla Cina alGiappone, dall’Europa al NordAfrica, alla Nuova Zelanda. Dal 1986 il Piccolo gestisce unascuola di teatro, fondata da GiorgioStrehler e oggi diretta da LucaRonconi, che ha diplomato inquesti anni 198 attori professionisti.

Edizioni Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa. Direttore editoriale Giovanni Soresi.A cura di Eleonora Vasta; Redazione Katia Cusin; Progetto grafico Emilio Fioravanti, G&RAssociati. Elaborazione grafica Davide Notarantonio -notstudio.Foto di scena Luigi Laselva

Hanno collaborato: Silvia Colombo, Archivo Fotografico del Piccolo Teatro di Milano. Silvia Finotti, Ufficio Marketing e ComunicazioneFranco Viespro, Archivio Storico del PiccoloTeatro di Milano. Stampa Globalprint s.r.l., Osnago (Lc)gennaio 2012.

Il Piccolo dal 1947 ad oggi

Spettacoli allestiti 309Attori scritturati 1.736Recite a Milano 13.587Recite in Italia 7.358

Recite all’estero 1.986Totale recite 22.931

(elenco al 10 gennaio 2012)

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WHO’S WHO IN ITALY 2012 EDITION.ACCESSO ESCLUSIVO, PRESTIGIO NEL MONDO:

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Special Sponsor del Piccolo Teatro Grassiper la stagione 2011-2012