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Ivan Graziani, il genio “pigro” Anticipiamo il contributo di Andrea Scanzi al libro “Ivan Graziani. Viaggi e intemperie”, a cura di Lorenzo Arabia, Minerva Edizioni, in uscita domani. Si tratta della prima biografia dedicata al cantautore teramano scomparso nel 1997 e contiene anche interviste ad amici e colleghi di Graziani (Antonello Venditti, Renato Zero, Ron e altri ancora). di Andrea Scanzi I l problema è che era avanti. Troppo avanti. Si dice sempre così ma in alcuni casi, tipo questo, è vero. Ivan Graziani era trop- po avanti e – per abbellire il suo percorso e al tempo stes- so amplificare la pochezza di troppi tromboni fraintesi per addetti ai lavori – era pure troppo eclettico. Non era noioso come “devono” esse- re i cantautori e osava perfino abbeverarsi alla fonte danna- ta del rock. Come se non ba- stasse, vestiva come un dal- tonico che si beffava dei ben- pensanti e cantava con tona- lità naturalmente prossime al falsetto. Il minimo che un paese nato stanco come l’I- talia poteva fare, era non comprenderlo. Ivan è il gran- de sottovalutato della musica italiana. Il grande quasi di- menticato. Forse capiterà co- me per Rino Gaetano, sdoga- nato trent’anni dopo la sua scomparsa. O forse no. Ivan è il patrimonio condiviso di una riserva indiana che ha buona memoria e curiosità vivida. Il capellone timido che affronta il playback tivù di E sei così bella, guardando Anna, splendida compagna di una vita. Il padre di Tommy e Filippo, che meglio non po- tevano restituircelo. Il mari- naio che non è più tornato. LA SUA FORZA risiede in un percorso oltremodo libe- ro. Nell’apprendistato atipi- co, nell’amore per il disegno, nelle origini teramane. Risie- de in quei testi così personali, con una sessualità presentis- sima, carnosa e godereccia: animalesca. Risiede nella tra- ma assurda di canzoni come Ma io che c’entro (chi altri po- teva scrivere un brano d’amo- re partendo un tizio che sta seduto al cesso?). Ivan era un autodidatta di genio puro e quindi folle. Basta Gabriele D’Annunzio – di cui sapeva tut- to – a zittire chi lo accusava di non sapere scrivere. Basta Il to- po nel formaggio, meglio ancora nelle poche registrazioni live che ci sono arrivate, per risco- prire il talento di un chitarrista che guardava molto oltre i confini italici (e per questo quei confini tendono a ridi- mensionarlo: perché non lo capiscono). Si dice: l’ultimo Graziani era più debole. Ed è vero. Vale per tutti o quasi. An- zitutto per i musicisti. Soltan- to all’inizio del suo cammino potevano nascere le Moto- cross , I lupi, Pigro , Paolina , Monna Lisa. Mica le scrivi a fine per- corso, le My Generation. Ma è altrettanto inconfutabile che perfino nei bassi anni Ottanta, un po’ plastificati anche in lui, ci sono stati i Viaggi e intem- perie. Le Siracusa e le Isabella sul treno. Come c’è stato l’a- more, per certi aspetti dida- scalico, per il rock di Ivanga- rage : non un capolavoro, ma come suona ancora vivido quel lusso orgogliosamente plebeo di nascondere una gemma stralunata come E mo’ che vuoi in un album che quasi tutti avrebbero battezzato mi- nore. Maledette malelingue, con cui tornò a Sanremo, dimostrò che Ivan aveva ancora cose da dire: forse non più paragona- bili all’apertura divina di Olan- da, o alla quotidianità mirabil- mente descritta in Pasqua , ma le aveva. E Kryptonite, nono- stante l’arrangiamento patina- to, è uno dei suoi testi miglio- ri. Graziani si era perso e ri- trovato. Per moti e tornanti tutti suoi. Che solo parzial- mente abbiamo scorto. Ivan Graziani è invecchiato meglio di altri perché non ha mai ab- dicato alla giovinezza. PERCHÉ si è negato, pur- troppo anche fisicamente, lo scorrere del tempo. Perché vi- veva in un mondo veramente suo, un luogo stravagante po- polato da donne ladre e aman- ti lussuriosi a Modena Park, matrone giunoniche che ti piantano il tacco sul collo e cugine strette (senza tette?). Amava le vette incredibili e gli inciampi terribili. Senza misu- ra. Prudenza mai. E ben pochi limiti. Neanche lui – ed è forse la sua unica “colpa” – sfuggì alla mania di rileggere i propri hit. Riprese le vecchie canzo- ni e non le migliorò. Mai. Era impossibile: le Fuoco sulla col- lina fiammeggiavano già in quello spazio alieno che attie- ne soltanto a ciò che non può morire. Troppo poco senten- ziante e troppo fieramente terreno per essere elevato a profeta o maître à penser , Ivan Graziani è stato un eretico ru- spante. Pioniere pazzo, dia- mante grezzo. Lui un chitar- rista, noi una svista. Esce domani la prima biografia ufficiale dedicata al grande cantautore morto nel 1997: autodidatta, chitarrista strepitoso, diamante grezzo, resta un musicista sottovalutato

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pagina 18 Martedì 15 novembre 2011

Noi e loroÉdi Maurizio Chierici

PERCHÉ IL PAPAANDRÀ A CUBAL’ annuncio è una sorpresa che nel tumulto della festa

italiana anche l’Avvenire (il giornale dei vescovi) per ilmomento trascura. In primavera papa Ratzinger va all’Ava n a .Incontrerà Raul, fratello presidente. Incontrerà Fidel, grandemalato, incontrerà l’ingegner Payà e altri cattolici ai quali èconcessa la libertà di un’opposizione propositiva. Possonoparlare anche se le parole si sciolgono nel vento. BenedettoXVI celebrerà messe solenni nelle piazze di ogni città,trasmesse in diretta tv come per Giovanni Paolo II. Dodici annifa il viaggio di Wojtyla cambia i rapporti tra la costituzioneavvolta nell’ateismo di Stato ispirato da una Mosca sepoltanei brutti ricordi, e la Chiesa non proprio clandestina marinchiusa nella definizione di “istituzione privata”, ai marginidi ogni interesse pubblico. Fino al 1998 giornali e televisioninon potevano parlarne. Il peregrinare di Woytyla suscital’illusione di un’apertura che subito impallidisce: concessionimarginali, niente di più anche se la commozione di Fidelaccompagna il pontefice alla scaletta dell’aereo per Roma.Piove e il leader maximo sussurra: “Cuba piange perché il Papase ne va”. Quattordici anni dopo l’Avana e il Vaticano sono alleprese con realtà più complicate dei dogmi armati l’uno control’altro. Cuba resta il lampadario fioco di una rivoluzionedelusa non solo politicamente: povertà, isolamentoinsopportabile, illusioni che invecchiano mentre i latinidell’America accanto marciano col passo di democrazierealizzate. Anche i protagonisti esercitano ruoli diversi: ilcardinale Ortega (internato negli anni del dominio sovieticonei campi di lavoro forzato) è il mediatore scelto da RaulCastro nel dialogo difficile con oppositori nutriti dalle lobby dichi a Miami insegue da mezzo secolo la distruzione “del regimec o mu n i s t a ” in sintonia con le politiche delle famiglie Bush.Soffiano su rabbie e frustrazioni, scioperi della fame di politici(non sempre e solo politici) oscurati in prigioni impossibili.Soffiano su madri e mogli che hanno copiato frettolosamenteil velo bianco delle madri dell’Argentina della dittatura, 30mila desaparecidos. Ortega ha l’incarico di sanare gli erroricon lentissime sfumature consuete alle abitudini cubane. Ditrattare scarcerazioni, di provare dialoghi. E attraverso laChiesa il regime si apre a una normalità che dovrebbeacquietare inquietudini ormai complicate da contenere. IlPapa che arriva non deve rimettere il cardinale agli occhi delmondo, come è successo a Giovanni Paolo II. Entratonell’ufficialità, Ortega è punto di incontro di due concezioni divita così lontane e per necessità ormai vicine. Sarà curiosocapire come Miami e Washington interpreteranno i risultatidel viaggio papale. Ma Benedetto va all’Avana forse colproposito di rilanciare l’immagine di una Chiesa umiliata dagliscandali e preoccupata per l’invasione delle sette protestanti“fai da te”, ormai significative anche nell’isola. “Missionari”colombiani, messicani hanno goduto del permissivismo di unapolitica che apriva ponti con realtà esterne segmentate pernon rimpicciolire l’autorità dello Stato. Perfino la massoneriaha privilegi insospettabili: permesso di un ospedale privato perfratelli anziani. Il viaggio di papa Ratzinger può avere anche loscopo di rimettere ordine nella priorità dei rapporti con iportatori di pace. Non solo: sia pure meno importante delpassato, Cuba resta un megafono che apre le orecchie alcontinente cattolico più popoloso del mondo, ma in crisi perperdita di fedeli e vocazioni. Da protagonista, la Chiesaallunga la mano al regime appeso alla rielezione di Obama. Eil governo sembra felice. Vedremo perché.m c h i e r i c i 2 @ l i b e ro . i t

PIAZZA GRANDEGli italiani? Realisti miserabilidi Maurizio Viroli

Livelli di guardiadi Claudio Ma-gris, da pochi giorni in libre-ria, raccoglie scritti che in-vitano a riflettere seriamen-

te sul pericolo che la corruzionepolitica e morale vigorosamentecresciuta negli ultimi dieci-quin-dici anni, travalichi i pochi arginirimasti saldi e distrugga le istitu-zioni repubblicane come il fangoche una decina di giorni fa ha de-vastato Genova. Sono note civili,come chiarisce il sottotitolo; manon nel senso generico che trat-tano di problemi politici, socialie di costume, ma in quello piùspecifico di considerazioni cheindicano la via faticosa per averein Italia una vera vita civile, vale adire rispetto della Costituzione,delle leggi e dei doveri dei citta-dini. Il primo punto della “r icettaMagr is” è rendersi conto che iprincipi etici e del diritto – ap -punto perché sono princìpi –vengono prima di altre conside-razioni quali l’interesse, o l’op -portunità, o la paura.

IL SUO BERSAGLIO polemi -co è il luogo comune – vero e pro-prio baluardo dell’ideologia pub-blica e privata degli italiani – ch edei principi possiamo allegra-mente fregarcene. A propositodella tesi illustrata da Angelo Pa-nebianco, che “i princìpi servonosolo se si resta vivi”, Magris osser-va giustamente che “accade tal-volta di restare vivi perché qual-cuno, in nome di quei princìpi,muore, per difendere chi è minac-ciato”, e aggiunge che “la vita ècerto un valore, ma non è detto siail valore supremo; gli antichi am-monivano a non perdere, peramore della vita, per sopravviverea ogni costo, le sue ragioni e il suosignificato. […] Chi vuol salvare lapropria vita la perderà e chi è di-sposto a perderla la salverà, stascritto nel Vangelo, testo non cer-to incline alle trombonate”. Porrei principi al secondo posto, e la vi-ta al primo, passa in Italia comemassima di raffinato realismo po-litico. In realtà è un realismo mi-serabile, per l’evidente ragioneche i principi sono spesso tantoreali, come forza che spinge all’a-

zione, quanto gli interessi, e a vol-te più degli interessi. Ed è in realtàil modo di pensare dei servi. De-ridere i princìpi, e non averne al-cuno, è infatti il tratto caratteristi-co di chi vive obbedendo alla vo-lontà di un altro. Questa italicaabitudine a scambiare la mentalitàservile per realismo è una dellecause principali della nostra inet-titudine a difendere la libertà po-litica e a lasciarci dominare. Fino aquando non lo capiremo restere-mo una Repubblica sempre in pe-ricolo di essere soffocata dallacorruzione. La seconda perla disaggezza, fra le tante, che il librooffre è l’Elogio del saper punire. Contono pacato e bonaria ironia, Ma-gris spiega che nelle scuole italia-

ne è diventato quasi impossibilepunire gli studenti che si rendonoresponsabili di atti vandalici, im-pediscono il regolare svolgimen-to delle lezioni, tormentano eumiliano compagni e compagnedeboli o troppo buoni. L’inse -gnante che osa infliggere sanzionianche ragionevoli e garbate deveaffrontare torme di sociologi, psi-cologi, pedagogisti, per non par-lare dei genitori, che gridano allapersecuzione che offende la per-sonalità del trasgressore.“Ma scambiare per violenza per-secutrice ogni piccola sanzionedisciplinare – scrive giustamenteMagris – e vedere traumi in ogninormale sgridata è insensato. Pa-ralizza gli insegnanti inducendolia infischiarsene dell’insegna -mento e a lasciare che tutti glialunni telefonino con i cellularidurante le lezioni senza impararenulla, per non incorrere in granepenose”. Avrebbe potuto aggiun-gere che una scuola che non sapunire forma la figura mostruosadel giovane tiranno, vale a dire lapersona che ritiene che tutto gli

sia lecito e rifiuta di riconoscerequalsiasi legittimo limite alla pro-pria volontà di potenza.

LA TERZA lezione di vita civileche possiamo trarre dal lavoro diMagris è l’ammonimento a indi-gnarci sempre e subito controogni offesa alla dignità umana e adabbandonare la folle abitudine alasciar correre. L’Olocausto è av-venuto anche perché molti, ebreie non, si illusero che “ogni stadiofosse l’ultimo gradino della vio-lenza e delle discriminazioni indu-cendo così a un quietismo rasse-gnato nei confronti di quello checi si illudeva fosse un male mino-re ”. Se lasciamo che la violenza ela corruzione dilaghino (per con-

tinuare a usare metafore dell’allu -vione), solo individui di grandecoraggio, dei veri e propri eroi, so-no in grado di opporsi. E spessonon ce ne sono, o non ce ne sonoabbastanza. Per questo è assoluta-mente vitale, se vogliamo vivereliberi, coltivare la memoria noncome culto del passato, ma con-sapevolezza dell’eterno presente:“La memoria guarda avanti; si por-ta con sé il passato, ma per salvar-lo, come si raccolgono i feriti e icaduti rimasti indietro, per por-tarlo in quella patria, in quella ca-sa natale che ognuno […] credenella sua nostalgia di vedere nel-l’infanzia e che si trova invece inun futuro liberato, alla fine delvia ggio”. Come ogni etica civileche si rispetti, anche quella di Ma-gris è sostenuta da un sentimentoreligioso che mi pare si fondi sul-l’idea che “la vita è sempre sacra”e che è dunque insensato crederesiamo proprietari della nostra vitacosì come siamo proprietari diun’automobile che possiamo ven-dere o gettare fra i rottami a nostropiacimento. L’opposto dell’ideadella vita come oggetto è l’ideadella vita come missione al servi-zio di un principio, di un ideale.Fra gli ideali che Magris indica,senza fanfare, c’è quello del ri-spetto dell’altro, anche per il ne-mico, anche per l’avversario chevogliamo sconfitto e reso inno-cuo. Nessuna buona Repubblica èmai nata, o rinata, dimenticando ilrispetto per l’a l t ro .

Ivan Graziani,il genio “pig ro”

Anticipiamo il contributo diAndrea Scanzi al libro “IvanGraziani. Viaggi eintemper ie”, a cura diLorenzo Arabia, MinervaEdizioni, in uscita domani. Sitratta della prima biografiadedicata al cantautoreteramano scomparso nel1997 e contiene ancheinterviste ad amici e colleghidi Graziani (Antonello Venditti,Renato Zero, Ron e altria n c o ra ) .

di Andrea Scanzi

Il problema è che eraavanti. Troppo avanti. Sidice sempre così ma inalcuni casi, tipo questo, è

vero. Ivan Graziani era trop-po avanti e – per abbellire ilsuo percorso e al tempo stes-so amplificare la pochezza di

troppi tromboni fraintesi peraddetti ai lavori – era puretroppo eclettico. Non eranoioso come “de vono” esse-re i cantautori e osava perfinoabbeverarsi alla fonte danna-ta del rock. Come se non ba-stasse, vestiva come un dal-tonico che si beffava dei ben-pensanti e cantava con tona-lità naturalmente prossime alfalsetto. Il minimo che unpaese nato stanco come l’I-talia poteva fare, era noncomprenderlo. Ivan è il gran-de sottovalutato della musicaitaliana. Il grande quasi di-menticato. Forse capiterà co-me per Rino Gaetano, sdoga-nato trent’anni dopo la suascomparsa. O forse no. Ivan èil patrimonio condiviso diuna riserva indiana che habuona memoria e curiositàvivida. Il capellone timido

che affronta il playback tivùdi E sei così bella, guardandoAnna, splendida compagnadi una vita. Il padre di Tommye Filippo, che meglio non po-tevano restituircelo. Il mari-naio che non è più tornato.

LA SUA FORZA risiede inun percorso oltremodo libe-ro. Nell’apprendistato atipi-co, nell’amore per il disegno,nelle origini teramane. Risie-de in quei testi così personali,

Deridiamoi principi in nomedei “fatti nostri”,non ci indigniamoper le ingiustiziee pensiamo chetutto sia lecito: è laradiografia dei vizid’Italia in “Livelli dig u a rd i a ”, il nuovolibro di Magris

SECONDO TEMPO

con una sessualità presentis-sima, carnosa e godereccia:animalesca. Risiede nella tra-ma assurda di canzoni comeMa io che c’e n t ro (chi altri po-teva scrivere un brano d’amo-re partendo un tizio che staseduto al cesso?). Ivan era unautodidatta di genio puro e

quindi folle. Basta Gabr ieleD’Annunzio – di cui sapeva tut-to – a zittire chi lo accusava dinon sapere scrivere. Basta Il to-po nel formaggio, meglio ancoranelle poche registrazioni liveche ci sono arrivate, per risco-prire il talento di un chitarristache guardava molto oltre iconfini italici (e per questoquei confini tendono a ridi-mensionarlo: perché non locapiscono). Si dice: l’ultimoGraziani era più debole. Ed è

vero. Vale per tutti o quasi. An-zitutto per i musicisti. Soltan-to all’inizio del suo camminopotevano nascere le Moto-c ro s s , I lupi, P i g ro , Pa o l i n a , MonnaLisa. Mica le scrivi a fine per-corso, le My Generation. Ma èaltrettanto inconfutabile cheperfino nei bassi anni Ottanta,un po’ plastificati anche in lui,ci sono stati i Viaggi e intem-per ie. Le Siracusa e le Isabellasul treno. Come c’è stato l’a-more, per certi aspetti dida-scalico, per il rock di Ivanga-ra ge : non un capolavoro, macome suona ancora vividoquel lusso orgogliosamenteplebeo di nascondere unagemma stralunata come E mo’che vuoi in un album che quasitutti avrebbero battezzato mi-nore. Maledette malelingue, concui tornò a Sanremo, dimostròche Ivan aveva ancora cose dadire: forse non più paragona-bili all’apertura divina di Olan-da, o alla quotidianità mirabil-mente descritta in Pa s q u a , male aveva. E Kr yptonite, nono-stante l’arrangiamento patina-to, è uno dei suoi testi miglio-ri. Graziani si era perso e ri-trovato. Per moti e tornantitutti suoi. Che solo parzial-

mente abbiamo scorto. IvanGraziani è invecchiato megliodi altri perché non ha mai ab-dicato alla giovinezza.

PERCHÉ si è negato, pur-troppo anche fisicamente, loscorrere del tempo. Perché vi-veva in un mondo veramentesuo, un luogo stravagante po-polato da donne ladre e aman-ti lussuriosi a Modena Park,matrone giunoniche che tipiantano il tacco sul collo ecugine strette (senza tette?).Amava le vette incredibili e gliinciampi terribili. Senza misu-ra. Prudenza mai. E ben pochilimiti. Neanche lui – ed è forsela sua unica “colpa” – sfuggìalla mania di rileggere i proprihit. Riprese le vecchie canzo-ni e non le migliorò. Mai. Eraimpossibile: le Fuoco sulla col-lina fiammeggiavano già inquello spazio alieno che attie-ne soltanto a ciò che non puòmorire. Troppo poco senten-ziante e troppo fieramenteterreno per essere elevato aprofeta o maître à penser, IvanGraziani è stato un eretico ru-spante. Pioniere pazzo, dia-mante grezzo. Lui un chitar-rista, noi una svista.

Esce domani laprima biografiaufficiale dedicata algrande cantautoremorto nel 1997:autodidatta,c h i t a rr i s t as t re p i t o s o,diamante grezzo,resta un musicistas o t t ov a l u t a t o

In alto, Claudio Magris; qui sotto Fidel Castro con Wojtyla a Cuba, il 25 gennaio 1998 (FOTO ANSA)