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TEL +39.06.51688639 FAX +39.06.51688452 WWW.REGIONE.LAZIO.IT [email protected] VIA DEL SERAFICO, 127 00142 ROMA Piano regionale per l’appropriatezza degli interventi di allontanamento dei minori dalle famiglie di origine e la tutela dei minori 1. Premesse Il presente Piano, nell’ambito del sistema regionale degli interventi a tutela dei minori, in coerenza con quanto previsto nella DGR 501 del 2009 (“Approvazione dei criteri e delle modalità per l’assegnazione e l’utilizzo delle risorse destinate per il sostegno dell’affidamento familiare”), fa riferimento in particolare alle azioni di prevenzione dell’allontanamento attraverso il rafforzamento delle competenze genitoriali e la rimozione delle condizioni di svantaggio socio-economiche che influiscono sul benessere, anche relazionale, della famiglia. A livello nazionale, la cornice culturale è costituita dalle Linee d’indirizzo per l’affidamento familiare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 2012, mentre a livello internazionale si richiamano i principi della Convenzione sui Diritti del Bambino e le successive raccomandazioni europee che riguardano la famiglia, la genitorialità e in particolare la promozione di politiche ed interventi in grado di favorire il diritto del bambino a crescere in un ambiente familiare positivo. In questo quadro legislativo si inserisce la normativa sul sistema integrato territoriale dei servizi, tra cui la Legge 328 del 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, la Legge regionale n. 38 del 1996, “Riordino, programmazione e gestione degli interventi e dei servizi socio- assistenziali nel Lazio” e la Legge regionale n. 32 del 2001 “Interventi a sostegno della famiglia”, elementi fondamentali per l’efficacia del programma. 2. Il fenomeno dei minori fuori famiglia. Dati statistici Riguardo al tema dei minori fuori famiglia, la situazione della Regione Lazio presenta alcune problematicità che incoraggiano alla realizzazione di un programma pluriennale di miglioramento.

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FA X +3 9 . 0 6 . 5 16 88 45 2

W W W. R EG I O N E . LA Z I O . I T

P I A NO S O CI A LE @ RE G I O N E . LA Z I O . I T

V I A D E L S ER A F I CO , 12 7

00 14 2 R O M A

Piano regionale per l’appropriatezza degli interventi di allontanamento

dei minori dalle famiglie di origine e la tutela dei minori

1. Premesse

Il presente Piano, nell’ambito del sistema regionale degli interventi a tutela dei minori, in coerenza con

quanto previsto nella DGR 501 del 2009 (“Approvazione dei criteri e delle modalità per l’assegnazione e

l’utilizzo delle risorse destinate per il sostegno dell’affidamento familiare”), fa riferimento in particolare alle

azioni di prevenzione dell’allontanamento attraverso il rafforzamento delle competenze genitoriali e la

rimozione delle condizioni di svantaggio socio-economiche che influiscono sul benessere, anche relazionale,

della famiglia. A livello nazionale, la cornice culturale è costituita dalle Linee d’indirizzo per l’affidamento

familiare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 2012, mentre a livello internazionale si

richiamano i principi della Convenzione sui Diritti del Bambino e le successive raccomandazioni europee che

riguardano la famiglia, la genitorialità e in particolare la promozione di politiche ed interventi in grado di

favorire il diritto del bambino a crescere in un ambiente familiare positivo.

In questo quadro legislativo si inserisce la normativa sul sistema integrato territoriale dei servizi, tra cui la

Legge 328 del 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, la

Legge regionale n. 38 del 1996, “Riordino, programmazione e gestione degli interventi e dei servizi socio-

assistenziali nel Lazio” e la Legge regionale n. 32 del 2001 “Interventi a sostegno della famiglia”, elementi

fondamentali per l’efficacia del programma.

2. Il fenomeno dei minori fuori famiglia. Dati statistici

Riguardo al tema dei minori fuori famiglia, la situazione della Regione Lazio presenta alcune

problematicità che incoraggiano alla realizzazione di un programma pluriennale di miglioramento.

2

Considerato anche il fatto che i minori inseriti in strutture familiari risultano essere 16971e che i minori in

affidamento familiare sono 1157 di cui solo 394 sono in affido etero familiare; si rileva che la nostra

Regione ha sviluppato poco sia l’istituto dell’affidamento familiare che gli altri strumenti di prossimità,

determinando un sistematico ricorso alle strutture di accoglienza per bambini.

In merito alla dimensione quantitativa dell’accoglienza dei bambini e dei ragazzi fuori dalla famiglia di

origine, risultano interessanti i dati relativi alla rilevazione condotta nelle città riservatarie della Legge

285/1997 Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio

Calabria, Catania, Palermo e Cagliari comprensive ovviamente di Roma.

Una valutazione più attenta dell’accoglienza dei bambini e ragazzi allontanati dai propri nuclei familiari di

origine ci induce a scorporare il dato dei minori stranieri non accompagnati, in quanto non sussiste per loro

un decreto di allontanamento dallo stesso nucleo.

In questo quadro di insieme, in cui emerge che il numero di bambini e ragazzi fuori famiglia di origine

rappresenta il 25% del fenomeno complessivo a livello nazionale – ovvero un bambino su quattro riguarda

le città riservatarie in quanto in carico ai servizi sociali delle stesse; una seconda evidenza di interesse

riguarda il forte squilibrio nelle città riservatarie del ricorso all’accoglienza in comunità (4.947) rispetto

all’affidamento familiare (2.476).

Al di là della dimensione quantitativa del fenomeno dei minori fuori famiglia di origine, l’attività di

monitoraggio posta in essere con le città riservatarie ha fatto emergere alcune delle principali

caratteristiche dei bambini e dei ragazzi presi in carico e collocati in affidamento familiare e nei servizi

residenziali.

I dati sulla classe di età degli affidati nelle città riservatarie confermano, pur con delle lievi differenze

rispetto ai dati delle precedente rilevazione, come l’esperienza dell’affidamento riguardi

proporzionalmente più la fascia d’età adolescenziale che quella infantile.

La classe prevalente nella distribuzione per età degli accolti nell’aggregato delle città riservatarie è la 11-14

anni che conta il 29% dei presenti a fine 2013, seguita dalle classi 6-10 anni (28%) e 15-17 anni (26%).

Decisamente più contenute risultano le incidenze percentuali che riguardano i piccoli di 3-5 anni e i

piccolissimi di 0-2 anni che complessivamente cumulano poco più del 15% del totale degli accolti in

affidamento familiare – dato analogo a quello registrato a livello nazionale.

1 Dati al 31.12.2014 rilevati dalla Regione Lazio su base distrettuale.

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Tra le caratteristiche proprie dell’affidamento familiare, i dati collezionati fanno emergere nell’aggregato

delle città riservatarie una leggera prevalenza del ricorso alla via eterofamiliare rispetto a quella

intrafamiliare: le incidenze sono pari rispettivamente al 58% e al 42%.

Perfettamente in linea con il trend nazionale, si conferma la tendenza a intervenire con lo strumento

dell’affidamento familiare per via giudiziale: l’83% dei presi in carico affidati a famiglie, singoli e parenti lo è

attraverso un provvedimento di natura giudiziale, mentre il residuo 17% lo è per via consensuale. Almeno in

parte tale evidenza è dovuta alle lunghe permanenze di accoglienza in affidamento che risultano ancora

molto significative, in considerazione del fatto che l’affidamento consensuale protratto oltre i due anni si

trasforma in giudiziale essendo soggetto al nulla osta del Tribunale per i minorenni.

In merito alla durata dell’affidamento – che la legge 149 del 2001 fissa nel suo periodo massimo di 24 mesi,

prorogabile da parte del Tribunale per i minorenni laddove se ne riscontri l’esigenza – si verifica nelle città

riservatarie una netta prevalenza delle durate superiori ai due anni (59% del totale), con un’altissima

incidenza delle durate superiori ai quattro anni (41%).

La gamma di informazioni raccolte sui bambini accolti nei servizi residenziali al 31/12/2013 risulta

sostanzialmente simmetrica rispetto a quella considerata per l’affidamento familiare, passando dalla classe

di età alla presenza straniera, dalla tipologia dell’accoglienza alla permanenza nei servizi residenziali.

La classe di età largamente prevalente nell’aggregato delle città riservatarie tra gli accolti nei servizi

residenziali è quella di 15-17 anni, (55%), poco più di un bambino su due dei presi in carico e collocati nei

servizi, seguita a grande distanza dalle classi 11-14 anni (22%) e 6-10 anni. (12%). Molto più ridotte, infine,

le incidenze percentuali che riguardano i bambini di 0-2 anni (5%) e di 3-5 anni (6%), al punto che risulta di

tutta evidenza quanto l’esperienza di accoglienza nei servizi residenziali riguardi proporzionalmente più la

fascia d’età adolescenziale che quella infantile.

Tra gli elementi di maggior rilevanza nella descrizione del profilo degli accolti nei servizi residenziali è da

annoverare la presenza straniera, circa il 40% dei bambini accolti al 31/12/2013 è di cittadinanza straniera –

superiore al dato medio nazionale dove meno di 1 bambino accolto su 3 è straniero, che quantifica il più

significativo cambiamento che l’operatività dei servizi ha dovuto fronteggiare nell’ultimo decennio.

In merito alle modalità dell’inserimento nell’attuale servizio residenziale, la via giudiziaria riguarda la quasi

totalità (85%) di quanti sono presi in carico e collocati nei servizi residenziali nelle città riservatarie

Per la permanenza nei servizi residenziali, nell’aggregato delle città riservatarie, si riscontrano durate

sensibilmente inferiori a quelle riscontrate nell’affidamento familiare. Tra i presenti a fine anno, per circa

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una caso su 2, la durata della permanenza va dai 3 ai 24 mesi mentre per un accolto su 5 la permanenza

perdura da 4 anni o più (è pari al 41% tra i bambini e ragazzi in affidamento)2.

Queste valutazioni ci aiutano a comprendere meglio il delicato fenomeno dei minori fuori famiglia e

forniscono preziosi spunti di riflessione sulla questione della prevenzione degli allontanamenti di bambini e

ragazzi dalle loro famiglie di origine.

Attualmente una grande percentuale di interventi sono tardo-riparativi: per varie ragioni si interviene

troppo tardi e con un grande ricorso all’allontanamento in strutture collettive (case famiglie/strutture,

ecc.). Per questo è importante mettere in campo interventi sulla prevenzione capaci di porre al centro il

benessere psicofisico dei minori e delle loro famiglie.

3. Finalità

Per ciò che riguarda la tutela dei diritti dei bambini e delle loro famiglie, ancora oggi si riscontra una

significativa frammentarietà territoriale, dovuta alla disomogeneità degli interventi e alla carenza di risorse

economiche e professionali. L’obiettivo principale del presente documento di sintesi è pertanto quello di

fornire indicazioni relative all’impiego di strumenti di prossimità e di prevenzione che siano in grado di

diminuire il numero degli allontanamenti del minore dalla sua famiglia, sviluppando l’empowerment

familiare per una genitorialità positiva e responsabile.

Il presente Piano è articolato in tre punti di fondamentale importanza:

1) Il sistema informativo

E’ un elemento imprescindibile per ottenere un quadro analitico delle problematicità da affrontare e va

alimentato con dati aggiornati e facilmente fruibili. Si tratta di individuare due o più indicatori sintetici in

grado di monitorare l’efficacia degli interventi messi in atto dai servizi sociali già attivi sul territorio

regionale.

Occorre elaborare una mappatura che, oltre ad essere di tipo quantitativo, ponga l’accento anche

sull’analisi dei livelli essenziali di assistenza (L.E.A).

2) Il perseguimento dell’appropriatezza degli allontanamenti e degli interventi sui minori e sulle loro

famiglie quale principio cardine su cui strutturare il Piano regionale

2 Dati tratti da “I progetti nel 2013- Lo stato di attuazione della legge 285/97 nelle città riservatarie”

a cura di Valerio Belotti – Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza Istituto degli Innocenti 2016.

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Il tema della prevenzione è strettamente correlato al tema dell’affido di tipo giudiziale. L’affidamento

familiare ha assunto negli anni sempre più la caratteristica di intervento tardo riparativo. Dagli studi

effettuati in Italia si evidenzia l’elevata percentuale di affidamenti di lunga durata, i bambini e gli

adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando

pari a poco meno del 60% del totale.

La maggior parte degli affidi sono attivati a seguito di allontanamenti d’urgenza e sono di carattere

giudiziale, mentre quelli consensuali sono sempre meno. La capacità di intervenire precocemente risulta

molto ridotta. E’ necessario incentivare la promozione di azioni che vadano ad incidere ad un livello

preventivo, al fine di evitare l’allontanamento dei bambini dalle proprie famiglie, nonché avviare progetti

strutturati che possano evitare affidi sine die, lavorando ad esempio, sulla costruzione di rapporti sociali e

solidali tra le famiglie dello stesso territorio (a livello di quartiere o di piccoli comuni), mettendo al centro il

consenso della famiglia del minore e la collaborazione tra questa e la famiglia affidataria.

E’ intenzione della Regione Lazio sviluppare, in particolare, la promozione dell’affido di nuclei composti da

madre e bambino a famiglie disponibili ad accogliere e sostenere il progetto attraverso specifici interventi

regolamentari ed economici.

3) La promozione dell’affidamento familiare.

Per sviluppare questo aspetto, occorre coinvolgere attivamente le reti di Associazioni familiari presenti sul

territorio, al fine di incentivare l’accoglienza dei minori in famiglie affidatarie e diminuire così il numero dei

minori inseriti in comunità di tipo familiare.

Affinché venga riconosciuta l’importanza del ruolo ricoperto dal Terzo settore, è necessario attuare un

cambiamento culturale, realizzando un percorso condiviso tra istituzioni pubbliche e del privato sociale che,

in un’ottica di collaborazione e integrazione, operino con funzioni e a livelli differenti, all’interno di un

modello di interventi che sia però omogeneo in tutta la Regione.

4) Comunità di tipo familiare

Le comunità di tipo familiare costituiscono una risposta efficace nell’accoglienza dei minori allontanati dalle

famiglie in alcuni casi specifici. Tuttavia, rimane prioritario l’affidamento familiare per i bambini

piccolissimi.

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La Regione Lazio si pone l’obiettivo di garantire a tutti i bambini il rispetto effettivo degli standard di qualità

delle strutture di accoglienza previsti dalla normativa attraverso il costante monitoraggio delle stesse.

Intende altresì sostenere le comunità in un percorso finalizzato ad assicurare l’appropriatezza

dell’intervento attraverso il monitoraggio dei tempi e delle modalità dell’accoglienza del bambino e

dell’adolescente nella struttura.

Ulteriore obiettivo è l’adeguamento delle rette in rapporto al miglioramento dello standard qualitativo

dell’accoglienza sia in termini della logistica che dell’appropriatezza.

Sarà cura dell’Amministrazione Regionale promuovere procedure e protocolli operativi tra enti per rendere

omogenei ed efficaci gli interventi in favore dei bambini accolti nelle strutture del territorio regionale.

4. Strumenti di intervento

Per raggiungere le finalità sopra indicate, è necessario mettere in campo tutti gli strumenti di prossimità

che possano favorire la realizzazione di forme di integrazione e collaborazione tra i vari servizi e tra questi e

le risorse informali (associazioni di volontariato).

Fra questi dispositivi vengono di seguito decritti quelli caratterizzati da forti elementi innovativi. Si tratta di

progetti “virtuosi”, utilizzati per ora in contesti territoriali circoscritti ma in grado di fornire soluzioni valide

per l’intero territorio regionale.

4.1 Il progetto P.I.P.P.I.

La Regione Lazio, a partire dal 2013, ha aderito al progetto P.I.P.P.I. (Programma di Intervento Per la

Prevenzione dell’Istituzionalizzazione), che dopo la prima fase di sperimentazione nel 2011/2012 in 10 città

riservatarie della Legge 285/97, si è poi ampliato a livello regionale. Attualmente sono coinvolti 4 ambiti

territoriali della Regione Lazio:

• Roma Capitale Municipi XIII e XIV ricompresi nel territorio della ASL RME;

• Roma Capitale Municipio V ex VII ricadente nel territorio della ASL RMB;

• Comune di Albano Laziale del distretto socio assistenziale RM H2;

• Consorzio A.I.P.E.S. del distretto socio assistenziale FR C.

Il Programma P.I.P.P.I. persegue la finalità di innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie

cosiddette “negligenti” al fine di ridurre il rischio di maltrattamento e il conseguente allontanamento dei

bambini dal nucleo familiare.

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Il fenomeno della negligenza ha contorni indefiniti: si tratta di una zona grigia di problematiche familiari che

sta in mezzo, fra la cosiddetta normalità e la patologia, che non sempre è immediatamente visibile e

dunque segnalabile. Una zona grigia ancora piuttosto misconosciuta: le famiglie negligenti sono sempre più

numerose, gli allontanamenti sono in aumento a causa della negligenza, molte problematiche di cui si

occupano i servizi sono riferibili a tale fenomeno, ma le ricerche sono solo embrionali, tanto che non

abbiamo ancora sviluppato adeguata conoscenza empirica su interventi che rispondano a queste

problematiche in maniera efficace ed efficiente, di conseguenza gli interventi attualmente in essere nei

servizi territoriali sembrano essere frammentati, poco uniformi e sistematicamente organizzati.

L’ipotesi di ricerca assunta, dunque è che se la questione prevalente è che questi genitori trascurano i loro

figli, l'intervento di allontanamento, che per definizione espropria i genitori della competenza genitoriale

rimettendola al servizio, non sembra essere l'intervento più appropriato (Sellenet 2007), e che sia quindi

necessario sperimentare una risposta sociale (Aldgate et al. 2006; Lacharité et al. 2006) che:

• metta al centro i bisogni di sviluppo dei bambini (e non tanto i problemi e i deficit dei genitori) ossia

la loro comprensione globale e integrata;

• che organizzi gli interventi in maniera pertinente unitaria e coerente a tali bisogni: capace cioè di

tenere conto degli ostacoli e delle risorse presenti nella famiglia e nell’ambiente;

• secondo una logica progettuale centrata sull’azione e la partecipazione di bambini e genitori

all’intervento stesso;

• nel tempo opportuno, che si collochi in un momento della vita della famiglia a cui davvero serve e

che sia quindi tempestiva e soprattutto intensiva, quindi con una durata nel tempo definita.3

Il progetto P.I.P.P.I. propone linee d'azione innovative nel campo dell'accompagnamento della genitorialità

vulnerabile, elaborando un approccio di partecipazione attiva dei genitori e dei bambini in tutte le fasi di

progettazione dell’intervento, dalla presa in carico fino alla valutazione degli esiti.

3 “I progetti nel 2013- Lo stato di attuazione della legge 285/97 nelle città riservatarie” a cura di Valerio Belotti –

Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. Istituto degli Innocenti 2016.

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4.2. Progetto “Nuovi Cortili4 – Percorso di sviluppo di una rete provinciale di micro-gruppi locali di famiglie

solidali”

Si tratta di un progetto realizzato dalla Provincia di Roma, oggi Città Metropolitana, in collaborazione con i

Poli Affido di Rocca di Papa, Sacrofano, Cerveteri, Guidonia e Valmontone, in seguito alla stipula di un

protocollo operativo con la Federazione di enti no-profit Progetto Famiglia Onlus, dal titolo "Realizzazione

di una rete provinciale di famiglie solidali". Il progetto ha l’obiettivo di spostare l’asse dell’affidamento

familiare verso la promozione di azioni che vadano ad incidere ad un livello preventivo, al fine di evitare

l’allontanamento dei bambini dalle proprie famiglie, nonché lavorare sulla costruzione di rapporti sociali e

solidali tra le famiglie dello stesso territorio (a livello di quartiere o di piccoli comuni) mettendo al centro il

consenso della famiglia del minore e la collaborazione tra questa e la famiglia affidataria.

Si modifica anche il ruolo dell’assistente sociale, che da operatore di riferimento di “casi gravi” diviene

attivatore di risorse comunitarie e di reti di solidarietà.

L’affidamento acquisisce sempre più caratteristiche di tipo preventivo ma anche comunitario, in cui il punto

di forza è costituito dal senso di solidarietà e di vicinanza percepito dai genitori naturali e concretamente

agito dagli affidatari, dalla comunità e dai servizi. Occorre sviluppare percorsi caratterizzati il più possibile

dalla “normalità”, che agiscano su problematiche affrontabili da famiglie ordinarie (riducendo la quota

percentuale di affidamenti percorribili solo da “famiglie speciali”). Le “famiglie solidali” si aiutano

reciprocamente, viene a cadere il concetto di “beneficenza”, non si parla di famiglie buone che aiutano

famiglie meno buone. Perché la solidarietà tra famiglie funzioni è anche importante che il contesto sia

ridotto: poche famiglie che abitano in prossimità territoriale.

Gli interventi promozionali hanno favorito l’organizzazione di “forme leggere di prossimità” e lo sviluppo di

reti locali d’intervento (capaci di coinvolgere agenzie come la scuola, l’associazionismo, le parrocchie ecc.).

L’obiettivo è stato quello di sviluppare una rete provinciale di micro-gruppi locali di famiglie solidali.

Il percorso è stato curato in modo integrato da operatori di riferimento del Polo, operatori di Progetto

Famiglia e altri operatori territoriali.

E’ stato svolto un lavoro di consulenza e accompagnamento agli operatori dei Poli Affido, sia singolarmente

sia attraverso uno o due incontri plenari provinciali con tutti gli operatori effettivamente interessati nonché

una supervisione in itinere (ogni 4-6 mesi).

4 Progetto elaborato da Progetto Famiglia Onlus – Marco Giordano

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4.3. Progetto “Servizio Professione Famiglia”

Il progetto, elaborato all’interno dell’ area Servizi Sociali del Comune di Rieti, nasce sulla necessità di

individuare ulteriori forme per il collocamento di minori, che consentano interventi mirati ed adeguati per

la loro tutela e che coniughino il clima caldo e accogliente proprio del nucleo familiare con competenze

qualificate nella gestione e nel contenimento delle criticità.

Il servizio professione famiglia permette dunque un intervento di protezione del minore allontanato in via

temporanea dalla famiglia di origine, o presente sul territorio italiano ma non accompagnato da alcun

familiare. Il collocamento viene effettuato presso famiglie selezionate e formate a questo compito al fine di

assicurare al minore stesso il mantenimento, l’ educazione l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha

bisogno, ma soprattutto un intervento adeguato di sostegno e contenimento delle criticità proprie del

vissuto del minore stesso e che ne hanno determinato la condizione di allontanamento dalla famiglia di

origine.

Questo progetto è stato formulato cercando di rispondere alla necessità di individuare un terzo polo

d'offerta tra famiglia affidataria e comunità, che potesse coniugare elementi fondanti dell'una e dell'altra

soluzione. Elemento guida del progetto è dunque la “professionalizzazione” dell’accoglienza familiare.

Infatti non parliamo di affido vero e proprio, che trova una compiuta descrizione nella legge e risposta nel

sistema di famiglie che offrono un servizio a titolo di volontariato, ma di “collocamento familiare”, che fa

riferimento alle stesse norme giuridiche che regolano l’affido e il collocamento in comunità.

La famiglia professionale è caratterizzata da aspetti "professionalizzanti" determinati dalla formazione e

dal rimborso della prestazione mentre la famiglia affidataria è su base volontaria.

La famiglia professionale ha l'obbligo di seguire un percorso formativo professionalizzante, partecipare al

gruppo delle famiglie professionali, frequentare le riunioni con gli operatori, nonché compartecipare alla

stesura e alla realizzazione del progetto di accoglienza del minore.

L’attuale fase di sperimentazione è stata messa in atto in collaborazione con il Garante dell’Infanzia della

Regione Lazio che ha sottoscritto uno specifico protocollo d’intesa con il Comune di Rieti con l’obiettivo di

avvalersi di professionalità specifiche secondo un programma formativo condiviso e strutturato.5

5 Progetto sperimentale “Professione Famiglia” Istituzione della famiglia professionale. Allegato 2 alla deliberazione

G.C. n.261 del 28.11.2013.

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4.4. Progetto di Pronto Intervento in Famiglia Affidataria collocataria per minori in situazione di emergenza

Questo Progetto trae origine dall’esperienza della sperimentazione delle Linee di Indirizzo Nazionale per

l’Affidamento Familiare effettuata dal Distretto A di Alatri nel corso del 2014 e del 2015. Tale Distretto,

infatti, è stato uno dei nove Enti individuati sul territorio Nazionale per partecipare a questo importante

progetto, nato con l’obiettivo di realizzare una forma innovativa di intervento, rivolto ai minori in situazione

d’emergenza residenti in tutti i Comuni afferenti al Distretto.

Il progetto ha lo scopo di evidenziare il valore ed il ruolo primario delle Famiglie affidatarie, risorse

fondamentali per evitare il collocamento dei minori in strutture, prediligendo, attraverso l’inserimento in

famiglia, forme di intervento più vicine ai bisogni relazionali, affettivi e di accudimento dei bambini in

difficoltà.

Questa innovativa tipologia di Affidamento Familiare garantisce ai minori un’ azione di tutela in quei

contesti che possono risultare per loro traumatici e/o di forte pregiudizio, quali improvvise malattie o

incidenti stradali, lo stato di abbandono, l’abuso e il maltrattamento, le situazioni di alta conflittualità

familiare, minori stranieri non accompagnati, problemi abitativi, etc. L’intervento è destinato ai bambini di

età compresa tra 0 e 10 anni e ha una durata massima di 14 giorni. Il servizio è organizzato per dare una

copertura continua, 7 giorni su 7, in modo da poter affrontare qualsiasi emergenza. Attraverso un Numero

Verde dedicato, che coordina l’intervento, le Forze di Polizia (Carabinieri e Polizia di Stato) o le strutture

sanitarie che si trovano a gestire una situazione critica in cui sono coinvolti uno o più minori, hanno la

possibilità di reperire in tempi rapidi un Famiglia Affidataria in grado di offrire al bambino il sostegno fisico

ed emotivo di cui ha bisogno.

Affinché l’intervento abbia esito positivo e risulti efficace, occorre dunque, che tutte le istituzioni e gli enti

coinvolti, pur nella concreta diversità di ruoli e di compiti, partecipino attivamente al progetto, con l’ unico

obiettivo di salvaguardare il benessere e la serenità dei minori coinvolti.

4.5. I Centri famiglia.

Da una recente rilevazione effettuata su tutto il Lazio, è emerso che vi sono oltre 200 servizi che si

qualificano come centri famiglia ed offrono servizi di sostegno alle famiglie del territorio.

Per lo più questi centri sono caratterizzati da una forte componente professionale, sono orientati alla

singola problematica della persona/famiglia e non riescono a sviluppare sul territorio reti di prossimità e di

auto aiuto.

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Attraverso misure specifiche di programmazione ed incentivazione, la Regione Lazio intende promuovere

una rete efficace tra i Centri Famiglia, che valorizzi tutte le esperienze ed il know-how già diffuso, ma che

metta al centro in particolare lo sviluppo della solidarietà diffusa, dell’auto-aiuto, delle reti informali, di un

welfare di comunità maturo e dinamico.

In ogni Centro (6 in tutto: uno per Roma Capitale e uno per ciascuna provincia del Lazio) è prevista una

equipe multiprofessionale (assistente sociale, psicologo, educatore professionale) in grado di erogare

direttamente i servizi e formare e sviluppare maggiori competenze nei Distretti socio-assistenziali. Si tratta

di luoghi di aggregazione ed erogazione di servizi per i nuclei familiari, strutture di supporto ai servizi sociali

dei Comuni e dei Distretti socio-assistenziali. Il progetto è finanziato dalla Regione per la fase di start-up e

per il primo anno di funzionamento della rete.

Le competenze dei Centri Famiglia regionali sono molteplici: accoglienza, informazioni, orientamento ai

diritti e ai servizi; sportello di mediazione linguistica e culturale per l'accesso alle prestazioni sociali e ai

diritti per le famiglie migranti; mediazione familiare, supporto alla genitorialità; attività di prevenzione al

disagio educativo (home visiting, progetti di doposcuola, gruppi di auto mutuo aiuto ecc.); supporto ai poli

affido dei distretti per le attività di informazione, sensibilizzazione, monitoraggio, valutazione e

reclutamento delle famiglie risorsa (appoggio, affidatarie, ecc.); incubatore per associazionismo familiare;

raccordo con i consultori per le prese in carico integrate; punti di riferimento territoriali per le adozioni

internazionali (monitoraggio Enti Autorizzati, informazione, ecc.).

5. Sviluppo del programma triennale

La situazione della Regione Lazio presenta alcune caratteristiche – sul complesso tema dei minori fuori

famiglia – che incoraggiano alla realizzazione di un programma pluriennale di miglioramento.

Tali interventi si possono realizzare solo attraverso un percorso condiviso tra istituzioni pubbliche e del

privato sociale che, in un’ottica di collaborazione e integrazione, operano con funzioni e livelli differenti,

all’interno di un modello omogeneo che la Regione trasferisce al territorio in modo flessibile e nel rispetto

delle diversificate esperienze, storie e caratteristiche locali. E’ fondamentale anche il coinvolgimento delle

istituzioni scolastiche.

Un’adeguata disponibilità di risorse economiche rappresenta una questione centrale per sostenere la rete

di servizi che intervengono nella riattivazione delle competenze genitoriali, nelle differenti forme di

supporto alla genitorialità e nel coinvolgimento della comunità locale (associazioni, volontariato, parrocchie

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ecc.) in concreti progetti di solidarietà familiare, quali ad esempio l’accoglienza del minore per alcune ore

della giornata, il supporto ai genitori nella gestione della quotidianità, il sostegno tra famiglie.

La riduzione di risorse economiche, dovuta al particolare momento storico, costituisce senza dubbio un

elemento di criticità. E’ fondamentale valorizzare le risorse professionali presenti nei servizi pubblici,

attraverso spazi di formazione integrata finalizzata a suscitare nuova energia e motivazione; siamo in una

fase storica difficile per gli operatori, sempre più sovraccaricati e demotivati, spesso molto soli e con scarse

risorse nella gestione dei casi. Si lavora purtroppo quasi solo sull'emergenza; sarebbe importante

quindi condividere con gli operatori dei servizi pubblici e privati l'individuazione di nuovi percorsi attraverso

i quali, in un'ottica di ottimizzazione delle risorse, si promuova un cambiamento di prospettiva

nell'approccio al tema dei minori e delle famiglie in difficoltà.