Piano Festival - STAGIONE CONCERTISTICA 2018 / 2019 · 2018. 12. 6. · George GERSHWIN Rapsodia in...

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1 STAGIONE CONCERTISTICA 2018 / 2019 UNDICESIMA EDIZIONE

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    S TA G I O N E C O N C E R T I S T I C A 2 0 1 8 / 2 0 1 9

    UNDICESIMA EDIZIONE

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    VENERDÌ 14 DICEMBRE 2018 ore 21.15 Civitanova Alta, Teatro Annibal CaroCONCERTO di INAUGURAZIONEMozart e Gershwin, Licini e CiarrocchiORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANALUIGI PIOVANO direttoreLORENZO DI BELLA pianoforteinterverrà STEFANO BRACALENTE Centro Studi Licini

    SABATO 2 FEBBRAIO 2019 ore 21.15 ingresso liberoCivitanova Marche, Sala Lettura della BibliotecaSPAZIO GIOVANIORCHESTRA D’ARCHI del MARCHE MUSIC COLLEGEALESSANDRO MARRA direttore DAVIDE MASSACCI pianoforte

    DOMENICA 10 MARZO 2019 ore 17.30 ingresso liberoCivitanova Alta, Auditorium Sant’AgostinoVoci d’organo: il Callido 1771 MANUEL TOMADIN organo e clavicembalo interverrà MARTA SILENZI critica d’arte

    DOMENICA 7 APRILE 2019 ore 17.30Civitanova Alta, Auditorium San FrancescoCONCERTO STRAORDINARIO in occasione della mostra “Risonanze: Chagall e Braque, due opere a Civitanova”BORIS PETRUSHANSKY pianoforteinterverrà STEFANO PAPETTI storico dell’arte

    MERCOLEDÌ 17 APRILE 2019 mattinoCivitanova Marche, Auditorium Scuola “E. Mestica”PROGETTO SCUOLAArchi, Fiati (Legni, Ottoni), dove son le Percussioni?ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANAL’evento è riservato agli alunni, genitori e docenti dell’Istituto Comprensivo “Via TACITO” di Civitanova Marche

    MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2019 ore 21.15Civitanova Alta, Teatro Annibal CaroCONCERTO di CHIUSURAORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA BARTOSZ ZURAKOWSKY direttore MARCO SCHIAVO e SERGIO MARCHEGIANIdue pianoforti

    ROBERT ANDRES e LORENZO DI BELLAdue pianoforti

    STAGIONE CONCERTISTICA2018/2019 UNDICESIMA EDIZIONE

    “La pittura, come la musica, non richiede traduzioni, ma conoscenza delle tradizioni. La musica esige però d’essere suonata e quindi interpretata. La pittura è. E alla percezione immanente l’infinita sua eredità serve in modo eccellente.” Le parole di Philippe Daverio mostrano il legame da sempre indissolubile nella percezione di Musica e Arte visiva. E con esse intendiamo accogliervi all’undicesima edizione di Civitanova Classica Piano Festival, in un’orchestrata sintonia tra musica e pittura, colte nel loro parallelo mostrarsi all’attenzione di tutti voi che, con calore ed affetto, partecipate ai nostri appuntamenti. Anche quest’anno la stagione si fregia d’essere ben più di un susseguirsi d’importanti appuntamenti concertistici. È un delicato ricamo che si snoda da dicembre a maggio, nel territorio civitanovese, dove la musica si fa solida trama di un tessuto capace d’intrecciare le principali istituzioni culturali della nostra città: la Galleria Centofiorini nel suo quarantennale di attività, la Pinacoteca “Moretti”, la Biblioteca Comunale “Zavatti” ed il mondo della scuola, con l’Istituto comprensivo “Via Tacito”. La Musica poi, quest’anno, si fa anche Storia, nello splendido scenario dell’Auditorium di S. Agostino, facendo risuonare le antiche canne dell’organo Callido tra le mani sapienti del maestro Manuel Tomadin.Con noi come sempre un partner abituale: l’Orchestra Filarmo-nica Marchigiana, diretta da Luigi Piovano prima e dal polacco Bartosz Zurakowsky poi, co-protagonista nei grandi concerti del Festival. Mentre il pianoforte risuonerà, in tutta la sua timbrica potenza, anche grazie a un grande poeta dello strumento, il russo Boris Petrushansky, in un imperdibile recital all’auditorium San Francesco. Chiuderà la rassegna un omaggio alla formazione per duo pianistico, con Marco Schiavo e Sergio Marchegiani da un lato ed il croato Robert Andres insieme al sottoscritto dall’altro. E i giovani talenti? Quest’anno ne avremo un’orchestra intera! Con gli archi, tutti under 20, che accompagneranno il pianoforte di Davide Massacci. Mille voci dunque, per fondersi in un perfetto accordo dove ognuno, mantenendo il suo ruolo, contribuisce a creare insieme all’altro Armonia.Buon ascolto,

    il direttore artistico Lorenzo Di Bella

    COMUNE DICIVITANOVA MARCHEAssessorato alla Cultura

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    PROGRAMMA

    Wolfgang A. MOZART Sinfonia n. 39, K 543: (1756 – 1791) i. Adagio. Allegro ii. Andante iii. Minuetto – allegretto iv. Finale – allegro

    INTERVALLO

    Fryderyk F. CHOPIN 3 Studi dall’op. 10: (1810 – 1849) n. 3 Lento ma non troppo n. 4 Presto n. 12 Allegro con fuoco

    3 Studi dall’op. 25: n. 1 Allegro sostenuto n. 2 Presto n. 12 Allegro molto e con fuoco

    George GERSHWIN Rapsodia in blu (1898 – 1937) (per pianoforte e orchestra)

    VENERDÌ 14 DICEMBRE 2018 ore 21.15

    Civitanova Alta, Teatro ‘Annibal Caro’

    CONCERTO INAUGURALE

    Mozart e Gershwin, Licini e Ciarrocchi

    ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA

    LUIGI PIOVANO direttore

    LORENZO DI BELLA pianoforteinterverrà STEFANO BRACALENTE del Centro Studi “Osvaldo Licini” di Monte Vidon Corrado

    in occasione della mostra Licini e Ciarrocchi, per i 40 anni della Galleria Centofiorini

    si ringrazia

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    ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANALa FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana è un’Istituzione Concertistica Orchestrale Italiana, fra le tredici riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Affronta il repertorio sia lirico, sia sinfonico con notevole flessibilità e duttilità sul piano artistico-interpretativo, come rilevato da tutti gli interpreti e i direttori d’orchestra che con essa hanno collaborato. Nel corso della sua attività, in primo luogo nella realizzazione della Stagione Sinfonica in ambito regionale e nella partecipazione alle più importanti manifestazioni a carattere lirico delle Marche, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana si è esibita con grandi interpreti come G. Kremer, N. Gutman, V. Ashkenazy, I. Pogorelich, U. Ughi, S. Accardo, A. Lonquich, M. Brunello, avvalendosi della guida di direttori di prestigio internazio-nale, quali G. Kuhn, W. Nelsson, D. Renzetti, A. Battistoni, H. Soudant. Collabora con gli Enti e le Associazioni concertistiche più prestigiose del territorio marchigiano, realizzando anche circuiti di concerti destinati al pubblico scolastico. L’Orchestra ha partecipato a importanti eventi di carattere nazionale e internazionale, fra i quali: Concerto di Fine Anno al Quirinale (2005); Concerto per la Vita e per la Pace in Roma, Betlemme e Gerusalemme (2006); veglia e concerto serale per l’incontro di Papa Benedetto xvi con i giovani di tutto il mondo a Loreto (1 settembre 2007); partecipazione con il chitarrista G. Seneca al Festival Internazionale di Izmir (Turchia) con il concerto “Serenata mediterranea” (2009), successivamente riproposto anche al Festival Internazionale di Hammamet (2010); “Concerto in onore di Benedetto xvi”, offerto al Pontefice dal Cardinale Domenico Bartolucci (2011); Concerto “De-Sidera” con G. Allevi e diretta tv “Al centro della Vita”, in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona (2011). Attualmente la FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana si avvale della direzione artistica del M° F. Tiberi e dal 2015 della direzione principale del M° H. Soudant.

    LUIGI PIOVANOPrimo violoncello solista dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia, si è diplomato in violoncello a 17 anni col massimo dei voti e la lode, sotto la guida di R. Aldulescu, con cui in seguito si è diplomato in violoncello e musica da camera anche al Conservatorio Europeo di Parigi. Nel 1999 è stato scelto da M. Pollini per partecipare al “Progetto Pollini” al Festival di Salisburgo, poi ripreso alla Carnegie Hall, a Tokyo e a Roma. Ha tenuto concerti di musica da camera con artisti del ca-libro di W. Sawallisch, M-Y. Chung, A. Lonquich, D. Sitkovetsky, L. Kavakos, V. Eberle, le sorelle Labeque e N. Lugansky. Dal 2007 suona regolarmente in duo con Antonio Pappano e dal 2009 fa parte del trio “Latitude 41”. Ha suonato come solista con prestigiose orchestre (Tokyo Philharmonic, New Japan Philharmonic, Accademia di Santa Cecilia, Seoul Philharmonic, Orchestre Symphonique de Montréal) e sotto la direzione di direttori come Chung, Nagano, Pletnev, Boreyko, Menuhin o Bellugi. Dal 2002 si dedica sempre più alla direzione, collaborando con solisti come L. Bacalov, S. Bollani, P. De Maria, B. Lupo, S. Mingardo, D.

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    Sitkovetsky, V. Sokolov, F-J. Thiollier e ha registrato per Naxos oltreché numerosi CD per Eloquentia, fra i quali uno con S. Mingardo in cui dirige i Kindertotenlieder ed i Lieder eines fahrenden Gesellen di Mahler (premiato in Francia nel 2012 come miglior CD di Lieder dell’anno). Dal 2008 al 2016 è stato direttore artistico dell’Estate Musicale Frentana di Lanciano. Dal 2013 al 2017 è stato direttore musicale di Roma Tre Orchestra. Dal 2012 è direttore musicale dell’Orchestra ICO della Magna Grecia, con cui ha diretto importanti pagine del grande repertorio sin-fonico fra le quali l’integrale delle Sinfonie e dei Concerti di Brahms, la Quarta, Quinta e Sesta Sinfonia e i Concerti di Čajkovskij, la Sinfonia in Re min. di Franck e i due Concerti di Ravel. Dopo il grande successo ottenuto in Roma nel 2013 dirigendo gli Archi dell’Orchestra di Santa Cecilia in un concerto di musiche di Schubert e la registrazione del medesimo programma per un CD Eloquentia, Piovano ha avviato una collaborazione stabile alla testa degli Archi di Santa Cecilia. Insieme hanno riscosso entusiastici consensi in diverse sedi italiane e ancora a Roma in Sala S. Cecilia prima con le Serenate di Dvořák e Čaikovskij (pure registrate per Eloquentia), poi con un programma dedicato a Rota, Morricone e Piovani (registrato per un CD Arcana, uscito nel 2017). Di recente la Sony ha pubblicato il quarto CD con gli Archi di S. Cecilia, con musiche di Vivaldi. Fra i suoi impegni più recenti figurano diversi concerti, sul podio di molte orchestre italiane (la Sinfonica Abruzzese, quelle del Teatro Petruzzelli di Bari e del Teatro Bellini di Catania, la Camerata Strumentale Città di Prato, l’Orchestra del Festival di Bergamo e Brescia, l’Orchestra di Padova e del Veneto, la Sinfonica Siciliana, e l’Orchestra da Camera dell’Accademia di S. Cecilia), mentre è all’estero il debutto con la New Japan Philharmonic Orchestra. Luigi Piovano suona un violoncello Giuseppe Guarneri “filius Andreae” (Cremona 1712), gentilmente concesso da Tarisio Fine Instruments and Bows.

    LORENZO DI BELLASi è aggiudicato nel 2005 il primo premio e medaglia d’oro al concorso pianistico ‘Horowitz’ di Kiev (unico italiano ad aver vinto un concorso pianistico in una nazione dell’ex Unione Sovietica). Per meriti artistici nel 2006 gli è stato consegnato in Quirinale, dall’ex Presidente Ciampi, il ‘Premio Sinopoli’, in memoria del direttore d’orchestra G. Sinopoli, scomparso nel 2001. Nel 1995 si è aggiudicato il ‘Premio Venezia’, il più importante concorso nazionale a seguito del quale ha tenuto recitals per le maggiori società concertistiche italiane. Grande successo hanno riscosso le sue apparizioni al ‘Festival dei Due Mondi’ di Spoleto, su invito personale del M° G. Menotti, al Teatro “La Fenice” di Venezia, al Teatro Olimpico di Vicenza, al Teatro delle Muse di Ancona, alla Sala Michelangeli di Bolzano, alla Maison Symphonique di Montréal, al Festival Liszt di Utrecht, all’ ETH di Zurigo, al Festival Chopin di Marianske Lazne, oltre che a Lugano, Amburgo, Berlino, Praga, Cracovia, Sarajevo, Ottawa, Denver (CIPA), Pechino, Shanghai (Oriental Center), Wuhan, Xi’han, alla Società dei Concerti di Milano e all’Auditorium “Parco della Musica” di Roma con l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia. Ha eseguito nel 2013 l’integrale delle Études-Tableaux di Rachmaninov in due concerti, a Torino e Milano, all’interno della settima edizione del Festival MiTo – Settembre Musica. La

    sua attività concertistica lo ha portato ad esibirsi in importanti città italiane ed estere, e a collaborare con orchestre quali: l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Sinfonica di San Remo, l’Orchestra Nazionale di O’Porto, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, l’Orchestra Sinfonica di Pesaro, l’Orchestra Sinfonica Nazionale dell’Ucraina, l’Or-chestra Sinfonica di Nancy, la Südwestdeutsche Philarmonie, l’Orchestra Sinfonica Villingen-Schwenningen, la New World Philarmonic, la Moravian Philarmonic Orchestra, la West Bohemia Orchestra e la Philarmonisches Kammerorchester Berlin. Ha collaborato con numerosi direttori tra cui J. Conlon, K. Karabits, V. Christopoulos, R. Seehafer, J. Iwer, Z. Müller, V. Sirenko, M. Maciaszczyk, M. Brousseau, D. Crescenzi e F. Lanzillotta. Così si è espresso il pianista Lazar Berman, pochi mesi prima della sua scomparsa: “Lorenzo è un notevole pianista di talento, un brillante vir-tuoso, un emozionante e raffinato musicista. Io sono stato suo insegnante per tre anni e ho sempre ammirato la sua grande abilità tecnica e la sua forte personalità artistica ma soprattutto la sua voglia di parlare al pubbli-co…”. Dal 2016 è docente di pianoforte principale presso il conservatorio ‘G. Braga’ di Teramo e direttore artistico dell’Accademia Pianistica delle Marche di Recanati dove ogni anno organizza masterclasses con pianisti e

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    didatti di fama internazionale. Per la sua attività artistica è stato insignito in Campidoglio del ‘Picus del Ver Sacrum’, insieme all’attore Max Giusti e al soprintendente Pier Luigi Pizzi, quale “Marchigiano dell’anno 2006”, riconoscimento istituito dal Ce.S.MA di Roma. È ideatore e direttore ar-tistico della stagione concertistica Civitanova Classica Piano Festival, del Mugellini Festival di Potenza Picena e del Concorso Pianistico “La Palma d’Oro” di San Benedetto del Tronto.

    NOTE DI SALATre casi di composizioni, quelle che ascolteremo stasera, quanto mai diverse tra loro, eppure accomunate dall’essere in certo qual modo rappresentative del pieno raggiungimento di uno stile maturo, per altrettanti compositori. Tutti più o meno alle prese con difficoltà non più dovute ai primi ten-tativi d’affermazione, quanto semmai alla necessità di riconfermare una genialità, sia in Mozart, che in Chopin, così come in Gershwin esplosa in precocissima età.All’epoca della stesura della sua trentanovesima Sinfonia, nota anche come Schwanengesang (Canto del cigno), Wolfgang Amadeus Mozart si trovava in grandi difficoltà economiche, preoccupazione che dopo il fallimento viennese del Don Giovanni lo avrebbe tormentato sino alla fine dei suoi giorni. «La mia situazione è tale da costringermi a chiedere denaro in pre-stito. Ma, Dio, a chi potrei rivolgermi? [...] Se non mi aiuterete in questa situazione perderò l’onore e il credito, le uniche cose che speravo di salvare». Con questi accenti drammatici si rivolgeva infatti per lettera all’amico Puchberg, un mercante che sovente gli fornirà un certo supporto economico, e la data che in calce leggiamo è quella del 7 giugno 1788. Neanche venti giorni più tardi, e la partitura della Sinfonia in Mi bemolle è terminata. Eppure quanto poco vi troviamo delle sofferenze patite, dell’ansia, delle molte tribolazioni! Ma spesso è così nell’arte di Mozart, che - come ben riassumeva Hermann Abert - il suo mondo fantastico, il suo vero mondo, col quotidiano aveva poco o nulla a che fare. Si pensi non solo all’energia propulsiva del primo movimento, alla semplicità del Minuetto, di una grazia quasi campestre, o alla dolcezza che si effonde infine nella voce dei clarinetti (qui a sostituzione degli oboi, ed è la prima volta in una sua Sinfonia!), ma anche a quel Trio in cui si è voluto rintracciare l’eco ante litteram dei passi di un Valzer (danza che diverrà in voga solo a Ottocento inoltrato). Ecco che ben si chiarifica così quanto la luminosità mozartiana sia più che altro frutto di una stupefacente varietà musicale, sempre prati-cata però con calibratissima perfezione. Nell’estate del ’78 il maestro era dovuto fuggire da Vienna , e dai suoi creditori, per riparare in campagna, in un rustico sperso tra i sobborghi campestri della capitale. Proprio qui, in una serenità rinnovata e forse un poco irreale, Mozart raccoglie a sé le ultime energie per comporre d’un fiato le ultime sue tre Sinfonie, che coronerà con il miracolo della Jupiter. «Viennese e romantica» quella che ascolteremo stasera, «cupa ed appassionata» la seguente, un «volo infine di suprema liberazione» l’ultima, nelle parole di Bernhard Paumgartner, tra i massimi studiosi mozartiani del secolo. Tentativo di un ultimo sforzo per riuscire finalmente a far breccia nel pubblico viennese? urgenza compositiva

    irrefrenabile, di un genio spontaneamente prolifico quant’altri mai? o, più probabilmente, genuina confessione, intima testimonianza di un uomo giunto precoce ad un’aurea e serena saggezza? Forse le tre cose insieme, resta comunque che con questa consorella del Don Giovanni Mozart sembra chiudere la sua aurea parabola compositiva, proprio laddove ne apre – se possibile – il capitolo più armonioso. Così come leggerezza e levità, eleganza e perfezione formale ci lasciano esterrefatti, anche in questa pagina sinfonica siam posti di fronte al mira-colo della voce mozartiana. Come ben scriveva Massimo Mila: «vi sono artisti ribelli ed essenzialmente rivoluzionari che nelle epoche di lotta e di trasformazione svolgono un lavoro prezioso di demolizione delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori, e sbarazzano il terreno per la ma-nifestazione di un ordine nuovo. E vi sono artisti, invece, i quali edificano la casa dell’uomo, cioè la civiltà, sopra quanto rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni salvabili dalle rovine. […] Mozart è come un mare ma rassomiglia a Raffaello, cui viene sempre paragonato, per la levigata perfezione esteriore, per l’assoluta finitezza formale». Parole consimili, o che forse potrebbero in certo senso riunire i due ‘tipi’ così ben individuati dal Mila, meglio non potrebbero adattarsi del resto anche all’arte di Fryderyk Chopin che, oltre al magistero bachiano, della classicità mozartiana fu estimatore grandissimo, e per tutta una vita. Certo, la morbida cantabili-tà, di esplicita derivazione vocale, la levigatezza di dizione che ne ha reso celebre il pianismo può sembrarci palese più nei suoi Notturni, come in certi Preludi, o anche negli Improvvisi. Eppure proprio le op. 10 e 25, che raccolgono i ventiquattro Studi composti tra il 1830 ed il 1837 dal maestro polacco, vengono a costituire uno dei massimi compendi di un particolare linguaggio strumentale che – nelle mani di Chopin – giunse ai vertici di una massima perfezione, proprio in pieno Ottocento. Qui il più alto virtuosi-smo, espresso al più alto grado nelle sue componenti inscindibili di suono ed agilità, rivelò al mondo un altro precocissimo genio, anche lui poco più che ventenne, dalla sensibilità tecnica così sapientemente profonda, così irripetibilmente libera, da lasciare in preda a un’incredula ammirazione persino il più temuto e rinomato virtuoso dell’epoca; quel Franz Liszt cui proprio l’op. 10 sarà dedicata, giusto in fase di stampa. Rischiando pure un po’ d’aneddotica si può ricordare come il dedicatario, certamente onorato ma al contempo ‘sfidato’ dall’amico-rivale, scelse di calarsi in un solitario ritiro al fine di completare quanto prima un furibondo studio dell’opera. Ne emerse solo pochi giorni più tardi, ma di duro lavoro. Sfida titanica a ben vedere, ché i 24 Studi sono un vero compendio di arditezze, da cui Liszt uscì però manco a dirlo vincente, se una sua esecuzione strappò allo stesso Chopin una ben nota ammissione d’invidia: «quando suona l’op. 10 mi toglie di senno. Ah, Liszt! ... Quanto vorrei rubargli il modo di rendere i miei propri Studi». Che dire infine dell’arcinota Rhapsody in blue? Composta da un Gershwin non ancora sicuro, quanto meno del tutto, sulle proprie potenzialità di compositore tout court (non solo quindi come autore di songs per le scene di Broadway, pur se di successo). Il capolavoro del nascente sinfonismo americano è infatti un incrocio del tutto particolare, come solo la cul-tura americana sapeva in quegli anni produrre, con gran naturalezza e spontaneità. Parlavo di incertezze, perché il Gershwin della Rapsodia era

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    ancora un pianista da locale, che aveva scavato e a fondo praticamente tutti i pianoforti di Tim Pan Alley e dintorni, e che solo di recente era volato sulle ali di un successo incredibile, grazie ad alcune sue songs (la prima fu Swanee). Il miracolo americano, si sa… Ma è proprio grazie ad un suo particolare linguaggio (sin da subito presente nella sua musica) che al giovane Gershwin riuscì di conquistare il cuore d’una città che forse non attendeva altro, se non quella perfetta ‘colonna sonora’; come giu-stamente scrive Franco Serpa, una poetica del suono «in cui convivevano ottimismo, ironia e malinconia», in perfetto equilibrio. Eppure quando, all’età di venticinque anni, Gershwin si convinse ad intraprendere un re-pertorio ‘serio’, più raffrontabile a quello dei grandi compositori europei, si ritrovò unico e primo della folta schiera di bravi musicisti americani che ancora non avevano creato una propria scuola. Nulla di più comprensibile allora che una certa ansia lo colse; non volle affrontare il passo da solo e si affidò quindi alla mani sapienti di Ferde Grofé, grande orchestratore ed arrangiatore jazz per la Paul Whiteman Orchestra. Il risultato lo co-nosciamo ormai tutti, e non smette di deliziarci ogni volta, a partire da quell’inconfondibile slancio del clarinetto che avvia l’intera compagine verso l’ingresso del pianoforte, protagonista indiscusso dei capolavori tra i più riusciti del repertorio solistico con orchestra, per questo strumento. L’Adagio è forse tra le idee più belle di Gershwin, che certo non sfigura a fianco di pagine come Summertime o Someone to watch over me, tra le più memorabili melodie americane di tutti i tempi. È vero, alcuni non vollero riconoscere a questa nuova voce americana il diritto d’ingresso nell’empireo dei grandi. Quindi forse i timori del giovane George erano in certo senso fondati… Certo è piacevole, non si discute, ma non vorrete metterlo a fianco di un Beethoven o di un Brahms!? Difficoltà che sempre s’incontrano, è noto, nell’accettar la novità, ancor più quando spontaneamente sincera. «Per lui la musica era come l’aria che respirava, come il cibo che lo nutriva, come la bevanda che lo rinfrescava: un’immediatezza del genere è data soltanto ai grandi ed egli era un grande compositore. […] Non mi sento obbligato a profetizzare quale posto sarà assegnato a Gershwin dalla storia: se lo si considererà più simile a Johann Strauss o a Debussy, a Offenbach o a Brahms, a Léhar o a Puccini; ha però inventato idee musicali nuove, come è nuovo il suo modo di esprimerle. […] Quello che ha realizzato non giova soltanto alla musica nazionale americana, ma è anche un contributo alla musica del mondo intero». Noi oggi lo sappiamo bene, ma all’epoca ci volle un Arnold Schönberg per poter esprimere un giudizio simile. Non serve spingerci oltre, aveva ovviamente ragione. Nicolò Rizzi

    SABATO 2 FEBBRAIO 2019 ore 21.15 ingresso libero

    Civitanova Marche, Sala Lettura della Biblioteca

    SPAZIO GIOVANI

    ORCHESTRA D’ARCHI del Marche Music College

    ALESSANDRO MARRA direttore

    DAVIDE MASSACCI pianoforte (*)

    in collaborazione con

    si ringrazia

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    PROGRAMMA

    Johann PACHELBEL Canone e Giga in Re magg. (1653 – 1706) (per 3 violini e basso continuo)

    Henry PURCELL Rondo, da “Abdelazar” (1659 – 1695) (per archi e basso continuo)

    Franz J. HAYDN (*) Concerto per pf. e orchestra (1732 – 1809) Hob. xviii/11: i. Vivace ii. Un poco adagio iii. Rondo all’ungherese allegro assai

    INTERVALLO

    Arcangelo CORELLI Concerto grosso op. vi, n. 8 (1653 – 1713) “Fatto per la notte di Natale” (per archi e basso continuo): i. Vivace. Grave ii. Allegro iii. Adagio. Allegro. Adagio iv. Vivace v. Allegro. Pastorale – Largo

    Giovanni B. SAMMARTINI Sinfonia in Sol magg. (1701 – 1775) (per archi): i. Allegro ma non tanto ii. Minuetto iii. Grave iv. Allegro assai

    ORCHESTRA D’ARCHI del Marche Music CollegeGli Archi del MMC sono un’orchestra di violini, viole, violoncelli e con-trabbassi nata grazie a un bando della Regione Marche con fondi europei, vinto dal consorzio Marche Music College con un progetto dal titolo “Music for Screen”. Orchestra di giovani provenienti da scuole e conservatori che si formano in modo innovativo (trattando non solo repertori classici ma anche musica per immagini e colonne sonore originali), gli Archi del MMC sono parte di un sistema più ampio di produzione di musica e si pongono naturalmente in relazione con giovani compositori e nuove tecnologie. Concerti, sessioni di registrazione, laboratori ed esperienze in quartetto sono il bagaglio esperienziale che più permette a questi musicisti di cimentarsi in repertori che vanno dal barocco fino ai giorni nostri, passando dal palco allo studio di registrazione. Tra le attività più rilevanti, la residenza con concerto a Corinaldo nel 2017, la partecipazione alla Maratona Bach nel 2017 e nel 2018, la registrazione di parte della colona sonora del docu-film “Serendip”, presentato a diversi Festival tra cui quello di Venezia. Gli Archi di MMC sono curati e diretti dal M° Alessandro Marra.

    ALESSANDRO MARRANato ad Osimo nel 1970, si è laureato con lode in violino ad indirizzo interpretativo e ad indirizzo didattico. Ha inoltre conseguito il diploma in Viola e ha studiato composizione e direzione d’orchestra. Si è perfezionato sotto la guida del prof. C. Romano, presso l’Accademia Internazionale Superiore di Perfezionamento “L. Perosi” di Biella e presso il Royal College of Music di Londra, dove ha studiato con il M° G. Zhislin conseguendo l’Associate of the Royal College of Music Post-Graduate diploma. A Londra si è dedicato anche allo studio della didattica del violino con la prof.ssa N. Boyarsky (docente presso la “Y. Menuhin” School e presso il Royal College of Music). Ha ottenuto l’idoneità alle audizioni per la FORM – Fondazione Orchestra Regionale delle Marche, e per le orchestre del Teatro La Fenice di Venezia, del Teatro dell’Opera di Roma, del Teatro Verdi di Trieste, oltre che per l’Orchestra Regionale Toscana e per l’Orchestra Sinfonica Nazionale

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    della RAI, con le quali ha collaborato suonando sotto la direzione di grandi direttori, spesso impegnato in tournées internazionali. Nel 2001 ha vinto il concorso internazionale, classificandosi primo assoluto, come Terzo dei Primi Violini, presso l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, con la quale ha poi lavorato per molti anni. È tuttora membro stabile della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche e insegna presso il Liceo musicale “C. Rinaldini” di Ancona.

    DAVIDE MASSACCIInizia a suonare il pianoforte all’età di 13 anni sotto la guida del M° I. Picari. Nel 2015 entra a far parte dell’Accademia Pianistica Internazionale di Recanati, dove attualmente studia con i maestri G. Luisi e L. Di Bella, ricevendo nel 2017 il diploma di concertismo. Contemporaneamente, nel 2016 viene ammesso al conservatorio “G. Rossini” di Pesaro, dove al momento prosegue i suoi studi, sotto la guida del M° B. Bizzarri. Dal 2017 al 2018 approfondisce lo studio della musica spagnola frequentando un corso annuale nel Conservatorio Superior de Música “V. Eugenia” di Granada, sotto la guida del M° M. Ángel Rodríguez Láiz. Ha partecipato a svariati seminari e masterclass in Italia e all’estero con pianisti di chiara fama, tra cui F. Heinisch, C. Altamura, I. Donchev, G. Valentini, A. Turini, L. Weng, L. Ciammarughi, V. Kotys, I. Stanescu, J-F. Antonioli. È stato premiato in diversi concorsi nazionali e internazionali, tra cui il “Premio San Giacomo della Marca”, il “Concorso Zanuccoli”, la “La Palma d’Oro” e la “Nuova Coppa Pianisti” di Osimo.

    DOMENICA 10 MARZO 2019 ore 17.30 ingresso libero

    Civitanova Marche, Auditorium Sant’Agostino

    VOCI D’ORGANO: il Callido 1771

    MANUEL TOMADIN organo e clavicembalo

    interverrà MARTA SILENZI storica dell’arte

    in occasione della mostra Quarant’anni della Centofiorini

    si ringrazia

    IMPRESA EDILE

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    MANUEL TOMADINProbabilmente l’organista italiano più decorato in competizioni di esecuzio-ne-interpretazione della sua generazione, Manuel Tomadin si è diplomato in Pianoforte (col massimo dei voti), in Organo e composizione organistica oltreché in Clavicembalo (cum Laude). Insegna organo al Conservatorio “G. Tartini” di Trieste e si dedica costantemente all’approfondimento delle problematiche inerenti la prassi esecutiva della musica rinascimentale e barocca, anche attraverso lo studio dei trattati e degli strumenti d’epoca. Dal 2001 al 2003 ha studiato presso la Schola Cantorum Basiliensis di Basilea, nella classe di J-C. Zehnder. Di grande importanza per la sua formazione sono state le lezioni con i maestri F. Bartoletti e A. Marcon. Svolge intensissima attività concertistica, sia solistica, che in assiemi o come accompagnatore, in Italia e in tutta Europa. Ha inciso vari dischi per le etichette Brilliant, Bongiovanni, Tactus, Fugatto, Bottega Discantica, Toondrama, Centaur Records, Stradivarius e Dynamic utilizzando soprattutto organi storici del Friuli Venezia Giulia, dell’Olanda e della Germania. Sono stati recensiti col massimo dei voti, dalla rivista francese Diapason, i suoi dischi con musiche di Bruhns e Hasse, di Kneller, Leyding e Geist, di Tunder, e di Saxer, Erich e Druckenmuller. Direttore artistico del Festival organistico internazionale Friulano “G. B. Candotti” e del Festival “A. Vivaldi” di Trieste, è organista titolare della Chiesa Evangelica Luterana triestina. Vincitore di 4 concorsi organistici nazionali e di 6 internazionali (tra cui spiccano il primo premio a Füssen, a Breitenwang e a Mittenwald, il secondo premio con primo non assegnato al prestigiosissimo Concorso “P. Hofhaimer” di Innsbruck

    PROGRAMMA

    Johann S. BACH Partita n. 3 bwv 827: (1685 – 1750) i. Fantasia ii. Allemande iii. Corrente iv. Sarabande v. Burlesca vi. Scherzo vii. Gigue

    Concerto in Do magg. bwv 976: (trascr. dal Concerto di A. Vivaldi per violino rv 265) i. Allegro ii. Largo iii. Allegro

    su clavicembalo di Andrea Di Maio (2006), copia di Giusti 1681

    INTERVALLO

    Delphin STRUNCK Verbum caro factum est (1601 – 1694)

    Dietrich BUXTEHUDE Fuga in Do min. Bux.wv 174 (1637 – 1707)

    Bernardo STORACE Ballo della Battaglia (1637 – 1707)

    Agostino TINAZZOLI Partite sopra il Passagallo (1660 – 1725)

    Antonio VIVALDI Concerto n. vi in Re min (1678 – 1741) da “la Stravaganza” (Anne Dawson’s Book 1720): i. Allegro ii. Largo iii. Allegro

    Giuseppe VERDI Offertorio, Elevazione (1813 – 1901) e Consumazione, la “Attila”

    su organo di Gaetano Callido (1771)

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    per ben due volte nel 2004 e nel 2010, ed infine il Primo premio assoluto allo Schnitger Organ competition di Alkmaar nel 2011, con il titolo di Organista Europeo dell’ECHO 2012). È stato selezionato come concertista d’organo e di clavicembalo nell’ambito del progetto “Friuli in musica”, promosso dalla Fondazione CRUP e dal CIDIM.

    NOTE DI SALAÈ certo un piacere poter introdurre un concerto che ha il pregio di riassu-mere in un’unica sera due dei più importanti antenati del moderno piano-forte. Il clavicembalo e l’organo saranno entrambi infatti protagonisti del programma che andremo ad ascoltare, capace di snodarsi dalla migliore scuole tedesca di fine Seicento, sino alla raffinatezza italiana di Antonio Vivaldi da un lato ed al magistero bachiano dall’altro. Giuseppe Verdi suona così quasi come un omaggio, in certo senso divertito, dell’Ottocento musicale nostrano ad una scuola ed un repertorio quanto mai vasti, che han contribuito in modo imprescindibile alla costruzione del nostro gusto europeo ed all’evolversi della storia musicale del continente così come noi la conosciamo.Ad un buon clavicembalo italiano (copia moderna di uno strumento di Giovan Battista Giusti) è affidata la prima parte del programma, tutta in-centrata su opere di Johann S. Bach, con due capolavori del suo repertorio per tastiera. Per capire l’immensa opera bachiana per questo strumento non può forse esserci concetto migliore che quello di ‘perfezionamento’, riflessione basilare del pensiero religioso protestante di Martin Lutero. Forma di continuo miglioramento, non solo pratico, ma etico anche, il ‘perfezionamento’ è da intendersi così come un cammino continuo verso la grazia, il ricongiungimento con la perfezione. Non sarà quindi un caso che Bach padre usasse apporre, in chiosa ai propri manoscritti, la sigla abbreviata S.D.C. (Soli Deo Gratia, vale dire in latino “per la sola grazia di Dio”). Scopo ultimo era la perfezione celeste, il ricongiungersi a Dio. Ebbene, per questo cammino spirituale, quale parallelo musicale migliore avrebbe mai potuto esserci quindi del sano esercizio? Poco o nulla dell’opera che Bach ci ha lasciato per tastiera è da intendersi aliena da questo spirito che (pur semplificando) potremmo riassumere come eminentemente ‘didattico’, nel più nobile senso del termine. Proprio a scopi didattici erano del resto stati da lui ultimati il Clavier-Büchlein (per il figlio maggiore Wilhelm Friedemann), contenente le Invenzioni a due e a tre voci così come parte del futuro Clavicembalo ben temperato, ma anche i due piccoli quaderni ‘per Anna Magdalena’ (sua seconda moglie, raffinata cantante nonché stru-mentista). Pubblicate in quattro diversi volumi, apparvero invece più tardi le Clavier-Übung, che se nella quarta raccolta contengono le celeberrime Variazioni Goldberg, nella prima riportano le sei Partite bwv 825-830, in certo senso gemelle più articolate delle 12 Suites (francesi e ed inglesi) da Bach composte tra il 1726 ed il 1730. ‘Esercizi’ concepiti quindi in un duplice senso, sia pratico che spirituale, come ricorda Stefano Catucci, anche se Bach stesso si trovò a definirle opere per “dilettanti”, adatte più alla “ricreazione dello spirito”, piene di “Galanterie”, le Partite disvelano

    difficoltà in verità impervie tra le loro pagine, nel loro riuscire a fondere linguaggi e stili tanto diversi (come spesso accade nell’ultimo Bach) quanto è possibile ricostruire anche solo da una scorsa veloce dei titoli che le arti-colano in cui pare continua la raffinata stilizzazione dei più classici moduli di danza. Tradizione che però viene da Bach magistralmente screziata, sovente, da un colore più intimo ed introspettivo in grado si permutarne i connotati, restituendoci così un prisma anche di inusitata speculazione intellettuale, oltreché di eccellente perfezione formale.Un discorso assai simile potrebbe valere per i molti Concerti che Bach si trovò a scrivere per il clavicembalo, in dialogo con la compagine or-chestrale, pure laddove l’estro del compositore scelse di rivolgersi alla trascrizione, al rimettere mano a capolavori d’altri, magari per organico diverso, nelle loro vesti originali. Per molto tempo si credette infatti che i Concerti trascritti da Bach fossero opera di un ulteriore intento didattico, nel senso quasi di una più diretta analisi della tradizione passata o a lui contemporanea. Da diversi anni però si è riconosciuta anche una precisa motivazione storica per le molte trascrizioni che Bach effettuò, soprattutto da compositori italiani: nelle corti tedesche (ed anche in quelle in cui Bach era impiegato, in particolare a Weimar) s’era svegliato in quegli anni un interesse tutto particolare per la musica della nostra penisola. Proprio il giovane principe ereditario della piccola corte tedesca, Giovanni Ernesto di Sassonia, di ritorno da uno dei suoi molti viaggi riportò al compositore sia diversi manoscritti che vere musiche a stampa, tra cui spiccavano le raccolte intitolate L’estro armonico e La stravaganza del veneziano Antonio Vivaldi. Particolarmente interessato allo schema del ‘Concerto grosso’, col suo alternarsi di ‘Concertino’ e ‘Ripieno’ Bach si diede a trascrivere così diversi Concerti sia manualiter, per clavicembalo, che pedaliter, per organo. Proprio in una copia manoscritta del figlio Johann Bernhard è conservata così anche la parte manualiter del Concerto in Do maggiore bwv 976, tratto dal dodicesimo ed ultimo Concerto in Mi maggiore che chiude la raccolta de L’estro armonico del ‘prete rosso’ veneziano. Opera da Bach trasposta ad hoc di una terza, con ogni probabilità per meglio potersi adattare alle scarse estensioni dei manuali presenti sui clavicembali alla corte di Weimar.Se di Delphin Strunck sopravvivono quasi solo alcune composizioni orga-nistiche, del resto importanti per la codificazione dello stile di quella che si è soliti definire la ‘Scuola tedesca del Nord’, con Detrich Buxtehude ci troviamo di fronte ad uno dei più rispettati maestri del secondo Seicento europeo. Di origini danesi, valido polistrumentista nonché prolifico com-positore, Buxtehude era anche un uomo particolarmente colto, che rivolse i suoi molti interessi in diversi campi della cultura tedesca del tempo. I suoi contributi nell’evoluzione di generi come la Fuga, la Fantasia e il Corale sono considerati essenziali nel passaggio del lascito dalla vecchia genera-zione, che faceva capo ad Heinrich Schütz, sino alle mani di Johann S. Bach, prima del quale l’opera di Buxtehude poteva a ragione considerarsi il vertice dell’arte organistica tedesca.Con Bernardo Storace ed Agostino Tinazzoli attraversiamo invece le alpi, per approdare in terra italiana. Del Tinazzoli, bolognese, morto poco distante da qui, probabilmente in Pesaro, sappiamo ben poco e le poche informazioni disponibili riguardano più una sua triste vicenda personale

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    che non la sua musica: l’incarcerazione nei piombi di Castel Sant’Angelo, le temute carceri dei papi, anche se non ci è dato sapere con quale precisa accusa. Così come Buxtehude può considerarsi il continuatore della scuola schütziana, Bernardo Storace, attivo per diverso tempo alla cappella del senato di Messina, condusse invece in avanti la scuola organistica italiana, dopo la luminosa eredità di Girolamo Frescobaldi, forse il più grande compositore per tastiera del nostro tardo Rinascimento. Di lui si conserva unicamente la raccolta (del resto molto ampia ed articolata) della Selva di varie compositioni d’intavolatura per cimbalo et organo, nella quale tra varie forme di Variazione, e oltre a diversi passi di Passacaglio e di Ciaccona, compare anche il Ballo detto della Battaglia, tra le sue pagine più note.Se al clavicembalo Manuel Tomadin ha scelto di proporci una nota trascri-zione bachiana da Vivaldi, col sesto Concerto in Re minore de La stravaganza (quarta opera del compositore veneziano) possiamo ascoltare la scrittura vivaldiana applicata a un organo d’eccezione, qual è il bello strumento costruito da Gaetano Callido nel 1771 e solo di recente nuovamente restaurato. La Stravaganza è una raccolta di dodici concerti per violino, archi e basso continuo che insieme a L’estro armonico e al Cimento dell’ar-monia e dell’inventione fonderà le basi per la fama e la gloria del musicista, impiegato presso il Pio Ospedale della Pietà, in Venezia. Il titolo par già di per sé esplicativo d’un uso tutto particolare della fantasia compositiva, da Vivaldi impiegata per sbizzarrirsi e per muoversi più a piacimento, in percorsi alternati e sovente improvvisati che tendono a privilegiare la libertà sopra tutte le convenzioni di forma. La medesima maestria stilistica sarà del resto portata all’eccellenza proprio negli ultimi concerti del Cimento (op. 8), meglio conosciuti a tutti come i Concerti delle stagioni.Concludono infine il programma tre brani tratti da un’opera di Giovanni Verdi, composta durante i proverbiali “anni di galera”. Con questa peculiare espressione il nostro maggior operista usava riferirsi a quei sedici anni in cui, dopo il 1843, sfornò a ritmo frenetico una decina di opere: quasi una ogni due anni! L’Attila andò in scena alla Fenice di Venezia il 17 marzo 1846. A quel tempo Paolo Sperati ne diresse non poche repliche, insieme ad altri capolavori verdiani, tra cui Nabucco, ed Ernani. Capace organista, negli anni a seguire Sperati trasse una serie di trittici per la chiesa (il più delle volte Offertorio, Elevazione e Consumazione), in cui rimaneggiava i motivi più amati ed allora più in voga dalle suddette opere verdiane. Potrà certo apparire azzardato, ma ascoltare melodie da quest’opera – tutta giocata sull’opposizione tra unni invasori e difensori romani, in coda a un concerto che avremo udito svolgersi lungo le direttrici delle scuole tedesca e italiana – pare quasi un compendio poetico a un dialogo che, invece di scontro, si è più volte intessuto, tra Italia e l’oltralpe, come quanto mai proficuo per la storia musicale europea. Nicolò Rizzi

    DOMENICA 7 APRILE 2019 ore 17.30

    Civitanova Alta, Auditorium San Francesco

    CONCERTO STRAORDINARIO

    Chagall e Braque, Chopin e Skrjabin

    BORIS PETRUSHANSKY pianoforte

    interverrà STEFANO PAPETTI storico dell’arte

    in occasione della mostra Risonanze: Chagall e Braque, due opere a Civitanova

    PROGRAMMA

    Fryderyk F. CHOPIN 24 Preludi op. 28 (1810 – 1849)

    INTERVALLO

    Aleksandr N. SKRJABIN 24 Preludi op. 11 (1872 – 1915)

    si ringrazia

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    BORIS PETRUSHANSKYÈ nato a Mosca nel 1949, da genitori musicisti, per poi essere ammesso a 8 anni alla Scuola Centrale presso il Conservatorio di Mosca nella classe di I. Levina. Nel 1964 incontra uno dei più grandi musicisti dei nostri tempi, H. Neuhaus, e ne diventa l’ultimo allievo. Quei non molti mesi trascorsi nella classe di Neuhaus sono stati determinanti sotto molti aspetti per tutto il suo successivo sviluppo artistico, completatosi poi sotto la direzione del prof. L. Naumov, allievo ed assistente di Neuhaus, fine musicista, fedele custode delle tradizioni romantiche della scuola che ha dato al mondo E. Gilels e S. Richter. Ai premi dei tre concorsi vinti (Leeds nel 1969, Monaco nel 1970 e Mosca nel 1971) è seguita la vittoria al Concorso “Casagrande” di Terni nel 1975, cui fece seguito una importante tournée di concerti. Sempre a questo periodo risalgono i numerosi concerti ai festival di Spoleto, di Brescia e Bergamo, al Maggio Musicale Fiorentino (dove sostituì Svjatoslav Richter), nonché a Roma, a Milano e Torino. Tra le orchestre con cui ha suonato si ricordano l’Orchestra Sinfonica di Stato dell’URSS, le filarmoniche di S. Pietroburgo, di Mosca, della Repubblica Ceca e di Helsinki, la Staatskapelle di Berlino, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la Moscow Chamber Orchestra, la New European Strings, l’Orchestra da Camera della Comunità Europea, e molte altre. Ha colla-borato con direttori d’orchestra quali J. Ferencik, M. Atzmon, P. Berglund, L. Jia, E-P. Salonen, V. Fedoseev, J. Latham- Koenig, A. Nanut, V. Gergiev, D. Matheuz, R. Abbado, V. Jurowsky. Tra i partner di musica da camera spiccano i nomi di L. Kogan, I. Oistrakh, V. Afanasiev, D. Sitkovetsky, M. Maisky, il Quartetto Borodin, e il Philharmonia Quartett Berlin. Ha

    registrato per Melodia (Russia), Art&Electronics (Russia-USA), Symposium (Inghilterra), Fone, Dynamic, Agora e Stradivarius (in Italia). Continua una intensa attività concertistica sia in Italia che in Russia, dove ritorna regolarmente, nonché in Germania, Austria, USA, Svizzera, Francia, Svezia, Finlandia, Irlanda, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Belgio, Slovenia, Croazia, Polonia, Ungheria, Israele, Sud Africa, Egitto, Messico, Taiwan, Japan, Hong Kong, e Cile. Docente al Conservatorio di Mosca dal 1975 al 1979, ha tenuto masterclass negli USA, in Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Francia, Belgio, Giappone, Corea del Sud, Russia e Polonia. È stato membro di giuria in concorsi a Bolzano, Varsavia, Terni, Vercelli, Tongyeong, Orléans, Parigi e Mosca. Il M° Petrushansky vive in Italia, e insegna all’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola dal 1990. Nel giugno del 2014 è stato premiato del premio inter-nazionale dell’Accademia delle Muse di Firenze.

    NOTE DI SALAGuido Salvetti, ormai molti anni fa, si trovò a intitolare alcune pagine (del resto alquanto precise) di una nota storia della musica «Skrjabin: o l’inattualità di un visionario». Titolo ambiguo, che lasciava adito a inter-pretazioni le più disparate. Inattualità considerata forse più nel contesto storico e culturale di un’epoca, la fin-de-siècle, particolarmente vivida in Russia di rivolgimenti linguistici, estetici e filosofici, ma perché no anche un’inattualità più ‘universale’, quasi che la storia non avesse voluto possibile l’inserimento a pieno titolo di quel giovane genio nell’alveo dell’evoluzione musicale europea. Detto più sbrigativamente: il salto verso la classica con-trapposizione che l’ideologia critica novecentesca aveva voluto imperante per l’inizio del secolo (quella tra il ‘neoclassicismo’ di Stravinskij da un lato e la nuova via dodecafonica dall’altro, aperta da Schönberg e compagni con la Scuola di Vienna), proprio quella dicotomia insomma andava ad esclu-dere, a relegare negli angoli tante altre vie, mediante le quali l’intelligenza artistica si era adoprata per un superamento delle secche in cui era stata abbandonata l’arte di primo Novecento, dalla crisi del Romanticismo. In terra russa, in quegli anni scoppiò il finimondo, letteralmente. In attesa di un nuovo ‘messia’ (alquanto nietzschiano del resto) in grado di indirizzare le arti e gli uomini verso un’altra luce possibile, sorsero nelle due capitali dell’impero dei Romanov i movimenti più disparati, tante molteplici costole della scuola simbolista, che come tutta la cultura tardo-imperiale andarono però a schiantarsi (e in gran numero, insieme con la famiglia regnante) sul violentissimo schiaffo della rivoluzione. Con l’ottobre del ’17 prima, e con l’imposizione delle direttive culturali poi, la nuova Russia Sovietica strangolò di fatto un microcosmo vivissimo dell’arte mondiale, imponendo dei diktat che resero tabù alcuni nomi e determinati linguag-gi o, meglio, li forzarono entro definizioni e interpretazioni a tal punto coatte da riuscire a soffocare anche il più libero tra gli spiriti. In poesia si pensi a un genio quale fu Pasternàk, nella prosa Bulgakov, in pittura a Kandinskij, o a Chagall.

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    di Clementi, e a quelli di Hummel o di Kessler in periodo più beetho-veniano. Il progetto svanì, e da 48 ne rimasero la metà, mentre i restanti confluirono nelle raccolte coeve dell’op. 15, 16 e 17. Ma il modello più di tutti evidente era chiaramente Chopin. Pian piano la forma Preludio era divenuta, con l’avanzar del Romanticismo, una particolare occasio-ne espressiva per librar fantasia sopra raffinati processi architettonici, o ricercati preziosismi sonori, accordali, perché no per sperimentare anche tecniche nuove, propriamente esecutive, sulla tastiera. Era giunto così a riassumere in sé quelle funzioni ben caratterizzate che, per prassi, erano più riconosciute a generi come il Notturno, o lo Studio. Negli ultimi anni Trenta dell’Ottocento, Chopin aveva trascorso un periodo di villeggiatura a Maiorca, e con sé portò diversi abbozzi cui andava lavorando da anni; ne risultarono 24 folgoranti miniature, riunite in un tutto da una coerenza a tal punto potente, plastica, da rendere l’op. 28 un vertice della letteratura pianistica di tutti i tempi. Ben lo aveva intuito Schumann che, col suo so-lito acume, riassunse il capolavoro in questi termini: «Sono schizzi, questi, frammenti come iniziati di Studi o – se vogliamo – ruderi, rovine, penne d’aquila, selvaggiamente disposte come alla rinfusa. Ma la loro scrittura, delicata e perlacea, indica immancabilmente: lo scrisse Fryderyk Chopin. Lo si riconosce sin nelle pause, nel respiro impetuoso. Egli è e rimarrà il più ardito e il più fiero spirito poetico di quest’epoca».Con la medesima considerazione li trattava anche Skrjabin, che in quest’o-pera si riconosceva particolarmente. Ancor più che nelle Mazurche, con la loro ondeggiante malinconia, o nel primo quaderno di suoi Studi, in cui pure molto della passione rivive dell’energia, del tumulto imparato dalla lettura del maestro polacco, è proprio nei suoi molti preludi (in vita ne scriverà più di novanta) e nell’op. 11 ancor più che altrove che a Skrjabin riuscì di svelare il più riposto segreto dell’arte chopiniana; oltre la nobiltà dei tratti, oltre il pathos profondo, oltre la purezza vocale, è in quei singoli dettagli che paion come passati al cesello di un orafo, che noi ritroviamo Chopin. Ma è un orafo che, in Skrjabin, già mostra il volto di un’evanescenza lunare, quasi fosse un azzurro Pierrot del primo Picasso. Imprevedibile, leggero, violento anche, dai colori notturni, in un certo senso verrebbe da dire ‘astrali’. Colori attraverso i quali diventa forse possibile anche rilegger Chopin sotto un luce diversa, entro un’ottica nuova, più astratta quasi, rarefatta da un lato, più spigolosa e più cruda dall’altro. Sembrando così unire come un filo sottile due secoli e due paesi tra loro diversi quant’altri mai, negli accenti di una lingua che pare però a tratti la stessa. Nicolò Rizzi

    In musica, accanto a nomi oggi più oscuri, come quello di Medtner, le ‘vittime’ eccellenti furono Rachmaninov e in certo senso Skrjabin (anche se il compositore era già morto, ormai da due anni). Riprendendo ancora il Salvetti, «la figura di Skrjabin, circondata da un alone ben presto leg-gendario (mistico-anarchico-socialista), assurse ad emblema stesso della fase estrema dell’irrazionalismo decadente», contro cui si scatenò la critica sovietica ma pure molta dell’intellighentsija non solo russa ma anche eu-ropea. Per questo motivo, «la sua fortuna venne quindi travolta – più di qualsiasi altro musicista del tempo – dalla reazione novecentista contro il simbolismo in musica». Letta con questo significato, l’inattualità si dimo-strò quindi totale. Eppure, di visioni e di novità nel linguaggio, c’era una sete che pareva inestinguibile all’epoca… Nell’arte però spesso accade che alcune risposte risultino più difficili da maneggiarsi delle stesse domande che le han suscitate. Il misticismo irrazionale del giovane Skrjabin non solo richiedeva infatti una libertà intellettuale, di spirito e di pensiero (che nella Russa sovietica si sarebbe immediatamente dovuta risolvere in una libertà politica totalmente inconcepibile per il regime comunista), ma anche pronosticava l’avvento di un tempo di là da venire, in cui (parafrasando il filosofo Nikolaj Berdjaev) il nuovo dominio della macchina avrebbe rinfocolato una risurrezione spirituale, un nuovo Medioevo e un nuovo Rinascimento della storia europea.La scelta di Boris Petrushansky, nell’affiancare a Skrjabin il genio per anto-nomasia del pianoforte romantico, Chopin, è inoltre quanto mai sottile, e ci permette di tornare quindi su un autore che spesso frequentiamo nei repertori da concerto, a tal punto da correre il rischio di rendercelo frustro all’ascolto, banalizzato dalla notorietà. Tuttavia pochi compositori furono importanti per la propria epoca e per gli anni a venire, così come per la definizione stessa del più coerente linguaggio per il proprio strumento elettivo, quanto lo era stato Fryderyk Chopin, nella prima metà del xix secolo. La capirono Schumann e Liszt in primo luogo, e dopo di loro molti altri. In Russia più di tutti lo comprese Skrjabin. Già lo chiariscono i titoli delle sue prime composizioni: Mazurche, Valzer, Improvvisi, Preludi, Notturni, persino una Polonaise. Par quasi di scorrere per intero, il catalo-go del grande polacco. Ma si sarebbe in errore nell’intenderne una sciatta emulazione. Qui l’adorazione era profonda, sfiorando l’ossessione: che il giovane Skrjabin non andava a dormire senza uno spartito chopiniano da tener sotto al cuscino (a quel che ricordava la nianja, la sua vecchia tata). E in effetti si sente, e molto. Tutto il primo linguaggio di Skrjabin (e gli studiosi son soliti circoscriverne tre, in costante evoluzione stilistica) riluce di eco chopiniane: nell’armonia, nelle inflessioni melodiche, in certi gesti nobili ed imperiosi, più di tutto forse nella graziosa eleganza con cui il materiale viene sovente riproposto, sottoposto però a costanti principi di continua variazione.I 24 Preludi op. 11 sono forse l’esempio più esatto di questa eredità spirituale. Concepiti inizialmente per essere un dittico di due quaderni, per un totale di 48 Preludi, in tutte le 24 possibili tonalità musicali, va da sé che il modello era al contempo anche Johann S. Bach, coi suoi due libri gemelli del Clavicembalo ben temperato. Era ormai molto tempo, in effetti, che la forma di Preludio si era scissa da ciò che inizialmente era solita accompagnare (il più delle volte una Fuga); basti pensare ai Preludi

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    MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2019 ore 21.15

    Civitanova Alta, Teatro ‘Annibal Caro’

    CONCERTO di CHIUSURA

    ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA

    BARTOSZ ŻURAKOWSKY  direttore

    MARCO SCHIAVO e SERGIO MARCHEGIANI  due pianoforti

    ROBERT ANDRES e LORENZO DI BELLA  due pianoforti (*) interverrà NICOLÒ RIZZI musicologo

    (Parte del ricavato sarà devoluta a sostegno delle attività della Paolo Ricci onlus di Civitanova Marche)

    PAOLO RICCIONLUS

    MERCOLEDÌ 17 APRILE 2019 mattino

    Civitanova Marche Auditorium della Scuola Media ‘E. Mestica’

    PROGETTO SCUOLA

    Archi, fiati (legni, ottoni), dove son le percussioni?

    ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA

    (Evento riservato ad alunni, genitori e docentidell’Istituto Comprensivo “Via Tacito” di Civitanova Marche)

    Che cos’è un tema musicale? Il più delle volte è una melodia orecchiabile, un motivetto che resta impresso nella memoria, come il ritornello di una canzone, e che ci piace canticchiare o fischiettare spesso (magari sotto la doccia). E che cosa ci si può fare con un tema? Come con un mattone, ci si può costruire un’intera “casa di suoni”; perché esso è la cellula primaria, l’elemento semplice con cui creare cose grandi e complesse. In che modo? Ad esempio replicandolo in tanti esemplari – così com’è oppure variato nel colore, nella forma e nelle dimensioni – da incastrare poi insieme con altri elementi o anche da distribuire su più linee in movimento che si rin-corrono “in fuga”, l’una dietro all’altra, intrecciandosi in una meravigliosa trama sonora.Partono da qui l’idea e il programma musicale del concerto Archi, fiati (legni, ottoni), dove son le percussioni? – Tema, variazioni e… fughe: un percorso divertente e avventuroso che conduce i ragazzi, accompagnati da un mediatore che dialoga costantemente con loro e con l’orchestra, alla scoperta dei piccoli-grandi segreti della composizione musicale, giocando con i temi di Rossini, Bach, Strauss, Bizet, Joplin, Mozart (e altri a sorpresa), attraversando le epoche, i generi e gli stili più diversi. si ringrazia

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    PROGRAMMA

    Wolfgang A. MOZART Sinfonia n. 31, K 297 “Parigi”: (1756-1791) i. Allegro assai ii. Andante iii. Allegro

    (*) Concerto n. 7, K 242 “Lodron”: (vers. per 2 pianoforti e orchestra) i. Allegro ii. Adagio iii. Rondo – tempo di Minuetto

    INTERVALLO

    Camille SAINT-SÄENS Il carnevale degli animali: (1835 – 1921) (per 2 pianoforti e orchestra da camera) i. Introduzione e Marcia reale del Leone ii. Polli e Galli iii. Emioni (animali veloci) iv. Tartarughe v. L’Elefante vi. Canguri vii. Acquario viii. Personaggi dalle lunghe orecchie ix. Il cucù nel fondo del bosco x. Voliere xi. Pianisti xii. Fossili xiii. Il Cigno xiv. Finale

    (ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA – per il Curriculum Vitae si veda p. 6 )

    BARTOSZ ŻURAKOWSKYConsiderato dalla critica tra i più notevoli direttori della sua generazione, si è esibito in sale prestigiose in tutto il mondo, quali la Carnegie Hall di New York, la Sala Sao Paulo di San Paolo, il Grand Teatro Nationale a Lima, il Palacio de Bellas Artes a Città del Messico, la Royal Concert Hall di Glasgow e la Lviv Opera House. Nel Maggio 2014, è stato invitato dal Coro della Città di Glasgow e dall’Orchestra sinfonica della Scottish Opera per dirigere il Requiem di G. Verdi durante il concerto di giubileo per il 30mo anniversario del Coro cittadino. Nel Maggio 2015 ha nuo-vamente diretto gli stessi artisti nella Missa solemnis di Beethoven. Con particolare interesse, il M° Zurakowsky si dedica anche a pagine di oratorio

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    nonché operistiche, oltre al più classico repertorio sinfonico. Ha lavorato con cantanti tra i più rinomati, quali G. Bradley, R. Afonway-Jones, P. Keohone, A. Hovhanuisyan, K. Kaludov, M. Andreeva, M. Walewska, B. Harasimowicz, I. Hossa, Z. Kilanowicz, W. Ochman, I. Kłosińska, così come A. Dobber, E. Podleś o A. Rehlis. Ha inoltre collaborato anche con grandi solisti di fama internazionale, come K. Danczowska, N. Larrabee, I. Wunder, A. Volodin, E. Mikhailov, E. Indjic, P. Paleczny, S. Trpceski, S. Mintz, J. Findley, M. Sobula, S. Kasprov, P. Pławner, M. Kasik, J. Wawrowski, M. Mercelli e R. Geniet. Bartosz Żurakowski è tra i direttori polacchi di più giovane generazione, si è diplomato alla Fryderyk Chopin Academy of Music, ed alla Grażyna and Kiejstut Bacewicz Academy of Music di Łódź, oltre che alla Università di Varsavia, nella Facoltà di Management. Inoltre, alla Rotterdam School of Management Erasmus University, ha ottenuto nel 2011 un Master in Business of Administration. Il diretto contatto con alcuni tra i più dotati direttori polacchi – come J. Semkow, S. Skrowaczewski o J. Maksymiuk – ha influenzato la sua personalità artistica, come direttore. Ha partecipato a masterclasses di direzione orchestrale (sia nazionali che internazionali) tenuti tra gli altri da M. Tracz e K. Masur. È vincitore del Witold Lutosławski International Conducting Contest, ed è presidente della Fondazione BelleVoci Art, direttore artistico ed esecutivo del BelleVoci International Music Festival, nonché direttore artistico generale del “Musique d’élite”. Dal 2016 è direttore principale alla Sudeten Philharmonic Orchestra di Wałbrzych.

    MARCO SCHIAVO e SERGIO MARCHEGIANIIl Duo Schiavo-Marchegiani è apprezzato dal pubblico e dalla critica internazionale per lo stile personalissimo, la naturalezza del discorso musicale, la bellezza del suono, l’intensità e la travolgente energia delle loro interpretazioni. Parallelamente all’intensa attività solistica, dal 2006 Sergio Marchegiani e Marco Schiavo formano un duo pianistico tra i più attivi e dinamici sulla scena italiana e internazionale. Hanno tenuto centinaia di concerti in tutto il mondo, suonando nelle sale più presti-giose: Sala Grande della Carnegie Hall a New York, Sala Grande della Philharmonie e del Konzerthaus di Berlino, Sala d’Oro del Musikverein e Sala Grande del Konzerthaus a Vienna, Mozerteum di Salisburgo, Laeiszhalle di Amburgo, Beethoven-Haus a Bonn, Rudolfinum e Smetana Hall a Praga, oltre che a San Pietroburgo, alla Suntory Hall di Tokyo, al Teatro Solis di Montevideo, al Petruzzelli di Bari e inoltre a Roma, Parigi, Zurigo, Sofia, Istanbul, Helsinki, Mosca, Montreal, Washington, Città del Messico, San Paolo del Brasile, Baku, Astana, Hong Kong, Bangkok e Singapore. Si sono esibiti con importanti orchestre come i Berliner Symphoniker, la Budapest Symphony Orchestra, la Prague Radio Symphony Orchestra, la New York Symphonic Orchestra, l’Orchestra Sinfonica dello Stato del Messico, l’Orchestra Sinfonica di Istanbul, le Orchestre da Camera di Città del Messico e Madrid, la Prague Chamber Orchestra, l’Orchestra Filarmonica di Stato dell’Azerbaijan e la Thailand Philharmonic Orchestra. Nel 2013 hanno debuttato al prestigioso Ravello Festival eseguendo il Concerto per due pianoforti e orchestra K. 365 di Mozart e nel 2017 hanno suonato nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano, durante la stagione della Società dei Concerti. Nell’autunno

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    internazionale. È Direttore artistico del festival Madeira PianoFest, ed è stato co-organizzatore della 28ma conferenza annuale europea dell’EP-TA, svoltasi a Madeira nel Luglio 2006. Avendo sviluppato un’intensa attività come scrittore e conferenziere di argomenti musicali, Robert Andres ha collaborato con prestigiosi giornali musicali, enciclopedie e riviste di vari Paesi e, dal 1995 al 2002, è stato critico musicale e autore della pagina settimanale di musica del Jornal da Madeira. Nel 2001 la Scarecrow Press (USA) ha pubblicato il suo libro sui principî dell’approccio scientifico alla tecnica pianistica. Nel 2008 ha inciso un CD con opere per pianoforte del compositore di Madeira V. Costa.

    (LORENZO DI BELLA – per il Curriculum Vitae si veda p. 8)

    2018 hanno tenuto una tournée nell’Europa dell’est che ha toccato, tra l’altro, Praga (Palazzo del Senato), Cracovia (Museo Nazionale), San Pietroburgo (Teatro dell’Hermitage) e Sofia (Bulgaria Hall con la Sofia Philharmonic Orchestra). Hanno registrato per emittenti radio-televisive nazionali in Italia (“Il concerto del mattino” su RAI Radio3), Repubblica Ceca (in diretta nazionale sul terzo canale radio dalla Dvořák Hall), Germania, Bulgaria, Russia, Messico e Hong Kong. Il duo debutta sul mercato discografico nel 2014 con un CD Decca interamente dedicato alla musica di Franz Schubert che ha ottenuto ottime recensioni dalla critica specializzata e 5 stelle sulla rivista Amadeus. Hanno studiato con grandi didatti quali I. Deckers Küszler, A. Lonquich, B. Canino, F. Scala, A. Ciccolini e S. Dorenski. Insegnano nei Conservatori di Alessandria e Potenza. Sono spesso invitati a far parte di giurie in concorsi internazionali e tengono masterclass in tutto il mondo (Spagna, Serbia, Turchia, Stati Uniti, Messico, Kazakhstan, Giappone, Australia e Brasile).

    ROBERT ANDRESSi è diplomato all’Accademia di Musica di Zagabria e in seguito ha ricevuto una borsa di studio del Governo sovietico per studiare al Conservatorio di San Pietroburgo con D. A. Svetozarov, allievo del grande V. Sofronitskij. Si è perfezionato a Vienna e negli Stati Uniti, dove, quale assegnatario di una borsa di studio Fulbright, ha studiato con il famoso pianista porto-ghese-americano S. Costa presso l’Università del Kansas, conseguendo la laurea di Dottore in Arti Musicali per il pianoforte ed il titolo di Maestro in musicologia. Ha ricevuto anche preziosi consigli da parte di rinomati pianisti, come P. Sancan, R. Kehrer, C. Frank, L. Brumberg e P. Katin. Si è esibito in concerti solistici, con orchestra ed in musica da camera in vari paesi europei, quali Austria, Italia, Spagna, Francia, Belgio, Irlanda, Portogallo, Russia, Ucraina, Croazia, Slovenia, Slovacca, Polonia, ed anche in Venezuela e negli Stati Uniti. Ha collaborato con artisti del calibro di A. Pizarro, Z. Bron e G. Zhislin. Il duo pianistico con la moglie Honor O’Hea è attivo dal 1995. Con lei ha tenuto concerti sia a quattro mani che a due pianoforti, sempre accolti con consensi entusiastici da parte della critica e del pubblico. Dopo essere stato docente al Kalamazoo College nel Michigan, a partire dal 1993 insegna al Conservatorio di Madeira – Scuola Professionale di belle Arti, dove attualmente è profes-sore di ruolo di pianoforte e direttore del dipartimento degli strumenti a tastiera. È spesso invitato a tenere masterclass. Nel 1998 è stato l’artista ospite principale dell’Amadeus Piano Festival di Tulsa, in Oklahoma, USA, dove ha tenuto una masterclass e si è prodotto in concerti solistici, cameristici ed in conferenze, e vi è ritornato nel 2004 e 2014. Ha fatto parte della giuria di vari concorsi nazionali ed internazionali, dal Ettore Pozzoli (Seregno), Cantù, Sumy (Ucraina), Leganés (Madrid), Jean Francaix (Parigi), Luciano Gante (Pordenone), AMA Calabria, Scriabin (Grosseto), Città di Barletta, Evangelia Tjiarri (Cipro), Louisiana (Stati Uniti) fino al Vianna da Motta (Lisbona). Dal 1997 è direttore artistico ed amministrativo dell’Associazione degli Amici del Conservatorio, un’organizzazione benefica di concerti che aiuta i giovani musicisti di talento della Regione e che nelle sue stagioni concertistiche conti-nua a presentare al pubblico di Madeira musicisti apprezzati a livello

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    capitali della musica europea, ben quindi lontano da quell’aria provinciale che oramai lo opprimeva nella sua terra natale. Era infatti in ricerca di quel successo internazionale, cui suo padre Leopold, con molti sforzi ed abnegazione, già lo aveva instradato, ormai anni prima. Fatto sta ed è che, nell’estate 1778 oramai ventiduenne, Mozart si aggirava per le strade della Ville lumière, anche se in preda a malinconie e incertezze che certo non lo avevano inseguito quando, ancora un bambino, già aveva percorso quei viali, portato qui e là tra i salotti del bel mondo aristocratico che a Parigi tanto amava i bambini prodigio. Forse anche in memoria di quegli anni lontani, non ebbe dubbi nel scegliere Parigi come tappa fondamentale di un viaggio che, partito nel 1777 da Salisburgo, doveva condurlo prima ad Augsburg, poi a Mannheim e solo alla fine nella capitale francese. Qui ad attenderlo trovò però una certa aria d’indifferenza e di noia, mentre l’aristocrazia si baloccava con altri trastulli. Certo sarebbe finito tutto a rotoli se non fosse stato per un ingaggio fortuito: la commissione di comporre una nuova Sinfonia, niente meno che per la celebre società dei Concert Spirituel, da sempre animatori della vita musicale parigina. Le preoccupazioni per l’organico (più ampio di quello in uso a Salisburgo), per l’orchestra di musicisti a lui ignoti, e per una prassi esecutiva che richiedeva un piglio ed un brio tutti particolari possono ben essere imma-ginate. Eppure, anche con una certa avventatezza, Mozart si lanciò nella scrittura, e dopo poco la partitura era conclusa. «Ho dovuto comporre una Sinfonia per aprire il Concert Spirituel. È stata eseguita il giorno del Corpus Domini fra il plauso generale. [...] Proprio a metà del primo Allegro c’era un passaggio che sapevo bene quanto dovesse piacere: tutti gli ascoltatori ne sono stati rapiti ed è scoppiato un grande applauso. È piaciuto anche l’Andante, ma soprattutto l’Allegro finale. Poiché avevo sentito come qui tutti gli Allegri comincino come quelli iniziali, con tutti gli strumenti insieme e per lo più all’unisono, ho cominciato solo con due violini, piano per otto battute, e immediatamente dopo il forte. Gli ascoltatori, come previsto, al momento del piano han tutti fatto “ssst!”, poi sentire il forte e battere le mani per loro è stato tutt’uno. Per la feli-cità, subito dopo la Sinfonia, sono andato al Palais Royal a gustarmi un buon gelato». Fa sorridere intravedere così tra le righe sia l’usuale ironia mozartiana, l’eleganza come pure il diletto, ma certo anche una buona soddisfazione, a successo oramai ottenuto.Un francese in Vienna, dopo un austriaco a Parigi. Certo non di ascen-denza mozartiana, la partitura del Carnaval des Animaux fu scritta di getto da un Camille Saint-Saëns giunto alla fine di una lunga tournée che l’aveva visto prima trionfare in Praga ed infine varcare le porte pro-prio di Vienna, l’altra capitale d’impero. Ideale momento d’incontro tra classica architettura e romantica passionalità, la musica di questo grande virtuoso francese è un perfetto capolavoro da Secondo Impero (e da Terza Repubblica), avvezza alla più accigliata seriosità ma incapace al contem-po di rinunciare a un’ilarità gaudente, da café chantant. Concepita per un’occasione privata, in casa dell’anziano violoncellista Charles Lebouc, questa Grande Fantaisie zoologique (il titolo è già tutto un programma) doveva restare uno scherzo, un piccolo gioco, un calembour alla Rossini ed infatti (eccezion fatta per il celebre Le cygne) l’editore Durand ottenne il permesso di renderne pubblica la partitura soltanto nel 1921, alla morte

    NOTE DI SALALa letteratura per più pianoforti è popolata da grandi nomi della storia musicale europea, e in particolare nell’Ottocento venne sviluppandosi tutto un repertorio dedicato al duo pianistico, sovente raccolto su di un unico strumento, tra cui si annoverano indiscutibili capolavori. Se da un lato alla formazione in duo su di un solo strumento si riconobbe una caratterizzazione più intimamente ‘da camera’ è con la letteratura per due strumenti (e qualche volte anche più) che il repertorio si arricchisce di pagine dalla scrittura più volentieri smagliante, sovente volgendosi ad un virtuosismo dal carattere vivace e pieno di charme. Proprio in quest’ottica, in pieno e poi tardo romanticismo, nel duo per due pianoforti (solisti o anche in veste da concerto talvolta, con accompagnamento orchestrale), si fu soliti intravedere la perfetta occasione per sfoggiare una tecnica quanto mai raffinata, non di rado adatta in particolare al colto esercizio della trascrizione (veicolo più che efficace a quel tempo nel contribuire alla diffusione di opere, magari per orchestra sinfonica, o per compagini ad ogni modo ingombranti). Risalendo agli antenati del genere, nel campo del concerto per più solisti ed orchestra, troveremmo Johann S. Bach (coi suoi Concerti per più clavicembali), e dopo di lui il figlio Carl Philipp Emmanuel. Nel Settecento sarà invece Wolfgang Amadeus Mozart a lasciarci due perle del genere, col Concerto per due pianoforti K 365 ed il Concerto detto “Lodron” K 242, che di solisti ne prevede addirittura tre (anche qui avendo alle spalle il magistero bachiano che due concerti aveva scritto per tre clavicembali e orchestra, oltreché ad un ultimo persino a quattro solisti). Possiamo essere quasi certi che, in entrambi i casi, l’occasione si presentò al giovane genio salisburghese agevolata dall’avere a riferimento o un ‘duo’ già ben rodato, quale quello sovente formato da lui stesso con la sorella Nannerl (a quanto sappiamo squisita musicista anche lei), o un gruppo di musicisti en famille (come era usuale nell’aristocrazia del tempo, sovente e volentieri piuttosto musicofila).Nacque così il Concerto in Fa maggiore per tre pianoforti e orchestra che, nel febbraio del 1776, il giovane Mozart compose espressamente per la contessa Antonia Lodron e per le di lei figlie Aloisia e Giuseppina. Cara amica di Mozart, la nobildonna era inoltre parente del conte von Arco, camerlengo di Salisburgo che passò alla storia per la celebre ‘pedata’ con cui la corte sigillò il licenziamento del musicista, troppo irrequieto ed irrispettoso dell’etichetta vescovile. Senza alcun eccesso di passione o virtuosismo, il triplo concerto mozartiano si mantiene entro un elegante equilibrio di toni, ben esemplificando quel che Saint-Foix descriveva come un savoir-faire alieno da qualsivoglia profondità, pago cioè di un’eleganza leggera e brillante, null’altro forse che un godibilissi-mo divertimento. Se i primi due pianoforti si dividono equamente una scrittura comunque complessa, il terzo pare sminuito in un ruolo quasi da comprimario (cosa che si spiega forse perché la parte venne impostata come da destinarsi a un allievo). È tuttavia l’orchestra che più di tutto sbalordisce, per l’immediata semplicità, contribuendo così a rivestire il concerto di una lucentezza tutta parti colare, così disarmante e sincera.Al momento di scrivere la sua trentunesima Sinfonia, nota anche come Paris (o la ‘parigina’), Mozart si trovava invece una delle più rinomate

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    STEFANO BRACALENTE, storico dell’arteDottorato di ricerca presso l’Università degli studi di Pisa con una tesi su Osvaldo Licini e il Futurismo. Ha indagato l’enigma dei numeri nella pittura di Licini per gli Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’U-niversità degli studi di Macerata e per l’Archivio Cattaneo di Cernobbio. Ha studiato i carteggi inediti dell’epistolario liciniano e i documenti d’ar-chivio della biblioteca dell’artista, chiarendo le ragioni della svolta astratta d’inizio anni trenta, scrivendo per atti di convegni, riviste di studi storici e contribuendo al catalogo della mostra internazionale di Lugano “Jean Arp-Osvaldo Licini”.

    STEFANO PAPETTI, storico dell’arteLaureato in Lettere Moderne presso l‘Università di Firenze, è conservatore delle collezioni comunali di Ascoli Piceno e direttore della Pinacoteca Civica, della Galleria Civica di Arte Contemporanea ‘Osvaldo Licini’ e del Museo dell’Arte Ceramica cittadine. Docente a contratto di Museologia e Restauro dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Camerino, è inoltre presidente della Fondazione Salimbeni di San Severino Marche. Ha al suo attivo l’organizzazione e la curatela di diverse iniziative espositive dedicate al Gotico nelle Marche, ai Pittori del Rinascimento, al Seicento marchigiano e ad alcune personalità di spicco dell’arte regionale come Carlo e Vittore Crivelli, Simone de Magistris, Pier Leone Ghezzi ed Antonio Amorosi. Nel corso degli anni ha pubblicato circa ottanta volumi dedicati principalmente al contesto artistico delle Marche, presso le case editrici FMR, Skira, Federico Motta, Il Sole 24 Ore, Electa, Allemandi e Silvana editoriale. Suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani come “Il Sole 24 Ore” o “l’Osservatore Romano” e riviste specializzate come “FMR” o “Paragone Arte”.

    NICOLÒ RIZZI, musicologoLaureato in Musicologia e diplomato in Pianoforte, dedica i propri in-teressi accademici alla musica russa (e in particolare ad A. Scrjabin, M. Musorgskij e N. Medtner), tenendo inoltre alcune conferenze e venendo invitato in convegni, anche internazionali, a San Pietroburgo e Berlino. Ha fatto parte in Milano del direttivo della casa editrice ‘Ergo Diesis’ ed ha collaborato con l’editore Zecchini di Varese come autore nella Guida alla Musica Sacra. È Maestro di palcoscenico del Teatro ‘Ponchielli’ di Cremona, dove è stato assistente al Segretario artistico musicale. Nel campo della divulgazione culturale, ha collaborato con varie istituzioni come l’Associazione ‘Musica rara’ di Milano o il ‘Wam Festival Mozart’ di Rovereto, mentre da due anni è responsabile in sede al ‘Mantova Chamber Music Festival’. A Cremona, è stato direttore artistico del Comitato Concerti del Dipartimento di Musicologia, assistente alla direzione arti-stica del Cremona Piano Forum, e più di recente stage manager della 18ma International Baroque Music Conference. Attualmente è il musicologo collaboratore del ‘Mugellini Festival’ di Potenza Picena e del ‘Civitanova Classica’ di Civitanova Marche. Seguendo un suo particolare interesse per la divulgazione musicale, è inoltre redattore di sala per diversi teatri e festival italiani. Come pianista si sta specializzando nel repertorio russo e dell’Est Europa, mentre è basso nel Coro della Facoltà di Musicologia, col quale si è più volte esibito in tournée, sia in Italia che all’estero.

    dell’ormai anziano compositore. Destino a tutti gli effetti curioso, quello di un’opera, forse la più nota del proprio autore, che non ne volle in vita render pubblica l’esistenza. Scelta per noi oggi forse incomprensibile, ma che andrebbe riflettuta tuttavia alla luce di alcune considerazioni. In primo luogo Saint-Saëns tenne molto a una reputazione da composi-tore ‘di alto lignaggio’, impegnato quindi a difendere l’onore nazionale contro il dilagare del wagnerismo germanico. In secondo luogo, tutta la partitura è variamente popolata di citazioni (da Mendelsshon a Berlioz, per esempio, ma anche dal più vicino Offenbach, per non parlare del celebre auto-imprestito dalla sua stessa Danse macàbre). Citazioni che procedono infine a braccetto continuo con varie strizzatine d’occhio, di un caustico sarcasmo che nessuno perdona: dai pianisti in erba ai grandi virtuosi, dal pubblico più smielato e sentimentale sino ai sempre temuti ed irrisi critici (ça va sans dire). Ecco allora sfilare la Marche royale du Lion, che apre questo mirabolante caravanserraglio coi suoi onomato-peici ruggiti (nelle continue scale ascendenti e discendenti, ai pianoforti e agli archi gravi), per seguire con chiasso e starnazzi di Poules e di Coqs verso lo sfrenato galoppo degli Hémiones (cavalli selvaggi delle pianure indoeuropee) con cui Saint-Saëns irride quei sedicenti virtuosi, sfrenati ginnasti alla tastiera, che tanto imperversavano Parigi. Tartarughe pro-pone quel già allora esausto Can-can che tanto rese celebre Offenbach, qui però come ‘al rallentatore’, suonato cioè dai non rapidissimi animali a guscio! Mentre L’élephant ci propone due divertenti ammiccamenti (dalla Damnation de Faust di Berlioz e dal Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn), i due pianisti sono costretti a un saltellar da Canguri, prima di sciogliersi in arpeggi dolcissimi nella liquidità di Acquarium. Siam proprio noi critici invece a ragliar come asini, nei Personnages à longue oreilles, seguiti dai volatili di Voliérs, e dai giovani pianisti alle prime armi, non bene in grado persino di andare a tempo, manco stessero incespicando su alcune pagine di scale. E così via, sino al gran Finale che, in un’assurda carrellata, ci ripresenta tutta la fauna in gran spolvero, prima di scomparire, così come era comparsa. Magia irriverente di un genio, che certo avrebbe deliziato anche Mozart, il Carnevale ci rivela un Saint-Saëns che non aveva nulla di cui vergognarsi sapendo bene come poter divertire, vestendo però guanti e cappello da grande compositore di Francia. Nicolò Rizzi

    MARTA SILENZI, storica dell’arteClasse 1977, si occupa di arte. Laureata in Beni Culturali e con master conseguito all’Accademia di Belle Arti, collabora con artisti e spazi esposi-tivi, stabilmente con l’Associazione Culturale Centofiorini di Civitanova Alta. È autrice di testi critici e recentemente si è occupata della scultura di Marcel Dupertuis, dell’opera Grafica di Zoran Mušič, dei disegni di Judit Kristensen e dell’opera pittorica di diversi artisti per le edizioni Centofiorini, dell’opera grafica di Renzo Ferrari per Skira e di quella di Massimo Cavalli per Pagine d’Arte.

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    BIGLIETTI

    Annibal CaroPlatea e palchi centrali: € 15 intero - € 12 ridotto* Palchi e loggione: € 10 intero - € 8 ridotto* Diritto di prevendita € 1

    • platea e palchi centrali• palchi e loggione

    * giovani fino a 24 anni

    Concerto Straordinario 7 aprile biglietto unico € 10

    PRENOTAZIONE E VENDITA

    Teatro Rossiniin tutte le giornate di proiezione del cinema ed anche 2 giorni prima della data di ogni concerto, dalle ore 18.30 alle ore 20.30

    Teatro di RiferimentoNei giorni di rappresentazione presso la biglietteria del teatro di riferimento da due ore prima l’orario di inizio del concerto.

    AmatIn tutte le biglietterie del circuito

    Vendita onlinevivaticket.com

    INFORMAZIONI

    Segreteria artistica cell. 348 3442958

    Teatro Rossini Civitanova Marche, via B. Buozzi - 0733 812936

    Il presente programma potrà subire variazioni

    I LUOGHI DI CIVITANOVA CLASSICA

    Teatro Annibal Caro

    Sala Lettura della Biblioteca “S. Zavatti”

    Spazio Multimediale San Francesco

    Auditorium Sant'Agostino

    Auditorium Scuola Media “E. Mestica”

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    ROBERTO VALLI AnconaPianoforti Steinway & Sons e Yamaha

    www.civitanovaclassica.it

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    Organizzazione:

    COMUNE DICIVITANOVA MARCHEAssessorato alla Cultura

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