Personaggi Ci ha lasciato il famoso giornalista e...

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10 l patria indipendente l 25 novembre 2007 Personaggi tutto di quattrocento uomini e non cre- do che il piano comprendesse l’impiego di più di mille. C’erano anche dei mon- goli russi. Nessun carro armato. La Flack avrebbe sparato per proteggerci, doveva- mo raggiungere le posizioni di partenza all’imbrunire. L’attacco era previsto al- l’alba, ore 5, obiettivi Monte Sole e Monte Caprara. Comunicazioni con ra- dio e portaordini: impossibile l’uso del telefono per l’asperità del terreno. Gli autisti dovevano portare avanti le muni- zioni e indietro i feriti. Finito il rapporto andai a letto e mi addormentai». Il maggiore Walter Reder arriva sempre con la borsa piena di documenti. Contie- ne memorie difensive, lettere di rettifica ai giornali, mappe che riproducono la zona di Marzabotto, ritagli. È entrato in carcere nel 1945, e la sua polemica con la giustizia italiana è durata a lungo. «Se fosse stato cittadino o ufficiale di que- sta Repubblica», ha scritto in un rapporto il suo avvocato «e se avesse commesso gli stessi fatti, per effetto delle amnistie e del- l’indulto sarebbe in libertà da molti anni». M arzabotto: Comune agricolo della provincia di Bologna sulla Porret- tana, a fondo valle scorre il fiume Reno. La popolazione, millesettecento abitanti, lavora nelle campagne, rotte dai calanchi e dal verde dei boschi, e attorno ci sono monti che si chiamano Sole, Ve- nere, Salvaro, Santa Bar- bara, e che raggiungono anche i mille metri. La zona è povera, c’è un unico stabilimento, una cartiera. Una volta da queste parti vivevano gli etruschi e si conservano i resti di una città che for- se si chiamava Misa, di- strutta dall’invasione dei Galli, quattrocento anni prima che nascesse Cri- sto, e mai più riedificata. «Dunque, nel pomerig- gio, radunai i coman- danti di compagnia e il mio aiutante scrisse gli ordini. Disponevo in di Antonella Rita Roscilli Civili massacrati dai na- zisti a Marzabotto. Ci ha lasciato il famoso giornalista e scrittore E il partigiano Enzo Biagi intervista Reder su Marzabotto Noi lo ricordiamo con uno dei suoi tanti scritti sulle stragi naziste Se n’è andato Enzo Biagi, maestro di giornalismo e partigiano di “Giustizia e Libertà”. Ci ha lasciato a distanza di cinque anni dal tristemente noto “editto bulgaro”, pronunciato il 18 aprile 2002 a Sofia da Silvio Berlusconi, che lo accusava di aver fatto «un uso crimi- noso e personale della televisione pubblica», in associazione con il giornalista Michele Santoro ed il comico Daniele Luttazzi. Tutto per un’intervista a Roberto Benigni, andata in onda nella sua trasmissione Il fatto, proprio alla vigilia delle elezioni che avrebbero portato il Cavaliere a Palazzo Chigi per la seconda volta. Biagi, col distintivo della sua formazione partigiana sul petto, riposerà nel cimitero di Pianaccio, suo borgo natale in provincia di Bologna. Ai funerali, celebrati in una piccola chiesa arrampicata sull’Appennino, erano presenti i massimi rappresentanti delle istitu- zioni e della politica, insieme ai direttori dei giornali per i quali Biagi aveva lavorato e a molti altri colleghi che hanno voluto rendergli omaggio. Ma soprattutto, per salutarlo un’ultima volta, sono accorsi tanti cittadini e tanti anziani partigiani che al termine della funzione religiosa lo hanno accompagnato intonando con un coro la canzone Bella ciao. Come hanno ricordato l’amico e conterraneo cardinale Ersilio Tonini e l’amico partigiano “Checco” Berti Arnoaldi Veli, «Enzo Biagi ha sempre rivendicato nel suo lavoro e in tutta la sua vita i valori della Resistenza, gli ideali di una scelta compiuta quando aveva 23 an- ni, sostenuta fino all’ultimo istante con coerenza e dignità». Patria indipendente vuole ricordare l’impegno del grande giornalista riproponendo una intervista realizzata da Biagi al maggiore delle SS Walter Reder, condannato per la strage di Marzabotto, e le testimonianze di alcuni superstiti dell’eccidio. Il testo è tratto dai fascicoli 1943-1993 Enzo Biagi, pubblicati dal settimanale “Sette” de Il Corriere della sera in occasione dei cinquant’anni dall’inizio della Resistenza. D.D.P.

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10 l patria indipendente l 25 novembre 2007

Personaggi

tutto di quattrocento uomini e non cre-do che il piano comprendesse l’impiegodi più di mille. C’erano anche dei mon-goli russi. Nessun carro armato. La Flackavrebbe sparato per proteggerci, doveva-mo raggiungere le posizioni di partenzaall’imbrunire. L’attacco era previsto al-l’alba, ore 5, obiettivi Monte Sole eMonte Caprara. Comunicazioni con ra-dio e portaordini: impossibile l’uso deltelefono per l’asperità del terreno. Gliautisti dovevano portare avanti le muni-zioni e indietro i feriti. Finito il rapportoandai a letto e mi addormentai».Il maggiore Walter Reder arriva semprecon la borsa piena di documenti. Contie-ne memorie difensive, lettere di rettificaai giornali, mappe che riproducono lazona di Marzabotto, ritagli. È entrato incarcere nel 1945, e la sua polemica conla giustizia italiana è durata a lungo.«Se fosse stato cittadino o ufficiale di que-sta Repubblica», ha scritto in un rapportoil suo avvocato «e se avesse commesso glistessi fatti, per effetto delle amnistie e del-l’indulto sarebbe in libertà da molti anni».

Marzabotto: Comune agricolo dellaprovincia di Bologna sulla Porret-tana, a fondo valle scorre il fiume

Reno. La popolazione, millesettecentoabitanti, lavora nelle campagne, rotte daicalanchi e dal verde dei boschi, e attornoci sono monti che si chiamano Sole, Ve-

nere, Salvaro, Santa Bar-bara, e che raggiungonoanche i mille metri. Lazona è povera, c’è ununico stabilimento, unacartiera. Una volta daqueste parti vivevano glietruschi e si conservano iresti di una città che for-se si chiamava Misa, di-strutta dall’invasione deiGalli, quattrocento anniprima che nascesse Cri-sto, e mai più riedificata.«Dunque, nel pomerig-gio, radunai i coman-danti di compagnia e ilmio aiutante scrisse gliordini. Disponevo in

di Antonella RitaRoscilli

Civili massacrati dai na-zisti a Marzabotto.

Ci ha lasciato il famoso giornalista e scrittore

E il partigiano Enzo Biagiintervista Reder su Marzabotto

Noi lo ricordiamocon uno dei suoi tanti scrittisulle stragi naziste

Se n’è andato Enzo Biagi, maestro di giornalismo e partigiano di “Giustizia e Libertà”. Ciha lasciato a distanza di cinque anni dal tristemente noto “editto bulgaro”, pronunciato il18 aprile 2002 a Sofia da Silvio Berlusconi, che lo accusava di aver fatto «un uso crimi-noso e personale della televisione pubblica», in associazione con il giornalista MicheleSantoro ed il comico Daniele Luttazzi. Tutto per un’intervista a Roberto Benigni, andata in onda nella sua trasmissione Il fatto, proprio alla vigilia delle elezioni che avrebberoportato il Cavaliere a Palazzo Chigi per la seconda volta.Biagi, col distintivo della sua formazione partigiana sul petto, riposerà nel cimitero diPianaccio, suo borgo natale in provincia di Bologna. Ai funerali, celebrati in una piccolachiesa arrampicata sull’Appennino, erano presenti i massimi rappresentanti delle istitu-zioni e della politica, insieme ai direttori dei giornali per i quali Biagi aveva lavorato e amolti altri colleghi che hanno voluto rendergli omaggio. Ma soprattutto, per salutarloun’ultima volta, sono accorsi tanti cittadini e tanti anziani partigiani che al termine dellafunzione religiosa lo hanno accompagnato intonando con un coro la canzone Bella ciao.Come hanno ricordato l’amico e conterraneo cardinale Ersilio Tonini e l’amico partigiano“Checco” Berti Arnoaldi Veli, «Enzo Biagi ha sempre rivendicato nel suo lavoro e in tuttala sua vita i valori della Resistenza, gli ideali di una scelta compiuta quando aveva 23 an-ni, sostenuta fino all’ultimo istante con coerenza e dignità».Patria indipendente vuole ricordare l’impegno del grande giornalista riproponendo unaintervista realizzata da Biagi al maggiore delle SS Walter Reder, condannato per la stragedi Marzabotto, e le testimonianze di alcuni superstiti dell’eccidio. Il testo è tratto daifascicoli 1943-1993 Enzo Biagi, pubblicati dal settimanale “Sette” de Il Corriere dellasera in occasione dei cinquant’anni dall’inizio della Resistenza.

D.D.P.

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«Quelli che diedero gli ordini –spiega Reder – il maresciallo Kes-selring, il comandante della 16a

divisione granatieri “ReichsführerSS”, generale Max Simon, con-dannati a morte, furono poi gra-ziati».

– Vuole che parliamo di quelgiorno?

«Era il 29 settembre 1944, un ve-nerdì, e tutto cominciò verso le 6.Albeggiava, il tempo era brutto, eogni cosa è grigia nel mio ricordo.Scattò l’attacco, ma la radio nonfunzionava sempre per colpa deiburroni. Non era facile mantenerei contatti. Verso le 10, al mio co-mando arrivarono Simon e il mag-giore Loos; nel settore assegnato-mi le truppe incontravano la piùforte resistenza. Si vedevano i pri-mi fuochi. Loos era con un inter-prete, iniziò l’interrogatorio deiprigionieri concentrati a SassoMarconi, i miei ne avevano cattu-rato una decina. A mezzogiorno ilgenerale se n’è andato. La lotta eradura. Ci siamo trovati contro an-che dei russi in divisa tedesca, nonho mai saputo dove sono andati afinire. Ho avuto ventiquattro mor-ti, fra i quali un certo tenente Kö-nig, e una quarantina di feriti. Nelpomeriggio ho mandato il mio aiu-tante in seconda sulle colline, per

vedere quello che stavaaccadendo, è tornato conla spallina di una divisa,c’era sopra una stella ros-sa; l’abbiamo mostrata aun partigiano che l’ha ri-conosciuta: “È del Lu-po”, per questo si è dettoche il comandante dellabrigata ribelle era cadutosul campo».

Nella prima pagina de IlResto del Carlino del 29settembre 1944 si leg-gono questi titoli: “Nel-l’annuale del patto tri-partito”; “Un messaggiodel Duce agli italiani e aipopoli alleati”; “Ulterio-ri danni a Londra provo-cati dalle V1”; “Il pas-saggio dall’Olanda alReno sbarrato alle forzedi Montgomery”; “Pres-sione contenuta sull’A-driatico e sull’Appenni-

no”; “Forte disoccupazione inFinlandia come primo risultatodella capitolazione”. In cronaca,niente di particolare: aumentanole tariffe postali, distribuzione dicento grammi di burro, al cinemaManzoni si proietta il film Impu-tato, alzatevi, con Macario.Unica nota drammatica: “Settecolpi ladreschi”, un orologio d’o-ro, una bicicletta, delle bottiglie dicognac, una macchina per scrivere.Il più danneggiato è un droghieredi via S. Isaia che ci rimette qua-rantacinque chili di zucchero, duefiaschi d’olio e duecentosaponette.

– E poi, signor Reder?Cosa accadde il gior-no dopo?

«C’era da ripulire il ter-reno da sparuti gruppi disbandati, ma al mattinoricevetti l’ordine di riti-rare subito i reparti e ditrasferirmi a Lagaro, per-ché durante la notte gliamericani avevano fattoirruzione, dovevo con-trattaccare e ristabilire lalinea. Quando fu buio cimuovemmo e li ricac-ciammo indietro. Homesso piede a Marzabot-to soltanto la sera del 4

ottobre. Il paese era intatto. Arri-vai a Cerpiano, un villaggio, il 5mattina. Ho visto che la chiesa e lecase di Casaglia erano bruciate,c’era un grande silenzio. Nessunomi ha detto niente. Durante lagiornata sono arrivati gli Alleatiche hanno localizzato il mio co-mando, perché si vedevano le an-tenne degli apparecchi riceventi.Hanno cominciato a sparare e sia-mo andati tutti in cantina, anche icivili, abbiamo bevuto, io stavodormendo, un amico è venuto asvegliarmi, mi ha detto: “C’è unaragazza, io ci sono stato”, ma ionon l’ho violentata, io ero ubriaco,avevo sonno, non ho fatto nulla,ho in mente solo donne di mezzaetà, c’era anche una bambina, nonricordo più».

Dichiarazione di Walter Reder fat-ta durante un interrogatorio: «Ilcomando del mio battaglione pre-se alloggio in due case d’abitazio-ne: in quella da me occupata tro-vammo alcune donne e due o treuomini. Ce n’era una ferita a unagamba che poche ore dopo il no-stro arrivo si allontanò. Delle trerimaste, due erano piuttosto an-ziane e una giovane. Ci facemmopreparare i cibi e servire a tavola.Nego nel modo più reciso di esser-mi congiunto con una di loro, o diavere comunque usato verso lestesse o verso altre violenza o mi-nacce». Confronto fra la ragazza eil maggiore delle SS Walter Reder.«Si ricorda che la mattina del se-condo giorno, verso l’alba, lei ven-

Reder davanti ai giudici: sarà condannato all’ergastolo.

Reder scortato dai Carabinieri durante un sopralluogo.

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ne nella camera dove ero stata co-stretta a recarmi da un ufficiale dicorporatura robusta, di coloritobruno e dai capelli neri, e dopoche lui uscì, lei si coricò sul lettodove io mi trovavo e tentò ripetu-tamente di unirsi con me tenendo-mi stretta e cercando di vincere lamia resistenza? Che di fronte allamia opposizione, mentre non ri-uscì a violentarmi, mi obbligò acompiere certi atti? Che rimase almio fianco diverse ore, durante lequali ogni tanto si addormentò?».«Non ricordo affatto quanto leidice. Però, in coscienza, non possoneppure escluderlo, dato che la se-ra precedente io, più degli altri uf-ficiali, avevo bevuto molto vino emolti liquori, fino a ubriacarmi».

– Dov’era, signor Reder, alla fi-ne della guerra?

«Ero in Stiria, in un ospedale. Pre-si la divisa e la pistola e uscii, per-ché volevo andare prigioniero coni miei uomini. Ma tutto era ormaifinito».

– Quando seppe che i fatti diMarzabotto le avrebbero pro-curato dei guai?

«Subito, fin dall’ottobre del 1944.Ascoltai Radio Bari che diceva cheero un criminale di guerra. Mihanno preso nel settembre del1945, e l’ufficiale americano chemi ha avuto in consegna mi ha da-to il permesso di raggiungere unaGasthaus dov’erano i miei genitoriperché potessi salutarli. Poi sono

stato per due anni a Wolfsberg, uncampo inglese, e c’erano ancheKesselring, Simon, Mackensen,Mältzer, e ho avuto tante occasio-ni per fuggire, ma eccomi qui. Hosaputo che i morti di Marzabottoerano in gran parte civili quandoero nel campo di concentramentoamericano, da un maresciallo. I ca-duti del mio settore erano 270-300; non sono io il comandantedell’operazione, anche quelli diPioppe di Salvaro vengono adde-bitati a me, dalla Toscana, da San-t’Anna in su una sola traccia di do-lore, dicono, e per colpire, me, perferire “il mostro”.Stellacci, l’accusatore del processo,detestava le SS, disprezzava tuttoquello che è tedesco. Dopo la sen-

Il messaggio letto ai telespettatori

“Signor Berlusconi non toccaa lei licenziarmi dalla Rai”«Cari telespettatori, questa potrebbe essere l’ultima puntata de Il Fatto. Dopo814 trasmissioni non è il caso di commemorarci. Eventualmente è meglio es-sere cacciati per aver detto qualche verità che restare a prezzo di certi patteg-giamenti. Signor Presidente Berlusconi non tocca a lei licenziarmi. Penso chequalcuno mi accuserà di un uso personale del mio programma che, del resto,faccio da anni, ma per raccontare una storia che va al di là della mia trascura-bile persona e che coinvolge un problema fondamentale: quello della libertà diespressione. Non è un gran giorno per l’Italia: per quello che succede in casa eper quello che si dice fuori. A Milano, lo sapete, un piccolo aereo da turismo èandato a sbattere contro il Pirellone, orgoglio dell’architettura italiana e uno deisimboli della città. E il pensiero corre subito alle Torri di New York. Disgrazia.Ma c’è, anche, chi all’estero parla di crimine. Da Sofia il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non trova di meglioche segnalare tre biechi individui, in ordine alfabetico: Biagi, Luttazzi, Santoro, che, cito tra virgolette: “Hanno fatto unuso bieco della televisione pubblica – pagata con i soldi di tutti – criminoso. Credo che sia preciso dovere della nuovadirigenza Rai di non permettere più che questo avvenga”. Chiuse virgolette. Quale sarebbe il reato? Stupro, assassinio,rapina, furto, incitamento alla delinquenza, falso e diffamazione? Denunci. Poi il Presidente Berlusconi, siccome nonprevede nei tre biechi personaggi pentimento o redenzione, pur non avendo niente di personale, lascerebbe intendere,se interpretiamo bene, che dovrebbero togliere il disturbo.Signor Presidente Berlusconi, dia disposizione di procedere, perché la mia età e il senso di rispetto che ho per me stes-so mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri. Sono ancora convinto che in questa nostra Repubblica ci sia spazio per lalibertà di stampa. Ci sia perfino in questa azienda che, essendo proprio di tutti, come lei dice, vorrà sentire tutte le opi-nioni. Perché questo, signor Presidente, è il principio della democrazia. Sta scritto, dia una occhiata, nella Costituzione.In America, ne avrà sentito parlare, Richard Nixon dovette lasciare la Casa Bianca per una operazione chiamata Water-gate, condotta da giovani cronisti alle dipendenze di quel grande e libero editore che era la signora Katharine Graham,proprietaria del Washington Post. Questa, tra l’altro, viene presentata come la tv di Stato, anche se qualcuno tende afarla di Governo, ma è il pubblico che giudica. Nove volte su dieci, controllare, Il Fatto è la trasmissione più vista dellaRai. Lavoro qui dal 1961 e sono affezionato a questa azienda. Ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto, cioè i programmi, e chiede che due giornalisti, Biagi e Santoro, dovrebbero entrare nella categoriadei disoccupati. L’idea poi di cacciare il comico Luttazzi è più da impresario, quale lei è del resto, che da statista».

Biagi nello studio di Rotocalco Televisivo,sua trasmissione di rientro alla RAI.

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tenza è venuto in carcere. “Lei miodia?”, mi ha chiesto. “Io no, ionon odio nessuno”. Ma non dove-va dire: questo assassino, questemani che grondano di sangue.Nessuno è colpevole, in Inghilter-ra, in America, fino alla sentenza.Mi spiego: per me non si trattavadi una rappresaglia, ma di un’ope-razione militare. E poi, di qualegiustizia si parla? Kesselring fu li-bero dal 1952, Simon dal 1954, esono i miei superiori. Stellaccichiese la condanna a morte perchéci sarebbero stati dei bruciati vivicoi lanciafiamme, ma non era ve-ro, allora ha dovuto ripiegare sul-l’ergastolo, ma la sua domandanon mi fece impressione».

– Che cosa spera, signor Reder?«Spero di tornare fuori, in Austria.Gli amici, i parenti mi hanno pro-posto tante cose. Forse mi dedi-cherò al commercio».

– Lei prega mai?«Resti tra noi: io prego ogni seraper mia madre».

– Io penso che se la liberano leidiventerà un mito per certagente, il simbolo di qualcosache è bene dimenticare.

«No, lo so, capisco, ma io non mipresto».

– Non le pesa sentire associatoil suo nome a quello di Mar-zabotto?

«Non sono mai statolà nei giorni dal 29 al1° ottobre. Marza-botto non ha nientea che vedere conLidice o con Ora-dour, non è una rap-presaglia, ripeto, maun’operazione mili-tare, quante voltedevo dirlo, nella qua-le si mescola anche lapopolazione civile,armata e no. Dico:non sono mai statonel paese, nella loca-lità chiamata Marza-botto, formata da ca-se, da strade, da unachiesa».

* * *Testimonianza delsoldato Julien Le-goll: «La notte dal28 al 29 settembre1944, la 1a compa-gnia del 16° batta-glione della 16a divi-sione SS Reichsfüh-rer, assieme al ploto-ne mitraglieri di fan-teria al quale appar-tenevo, furono radu-

nati a Montorio, dove noi erava-mo stati accantonati per tre oquattro giorni. Il comandante del-la 1a compagnia ObersturmführerSegebrecht ci indirizzò allora alcu-ne parole dicendoci che stavamoper entrare in azione contro i par-tigiani e che avevamo l’ordine difare rappresaglie sparando indiscri-minatamente su tutte le personenelle vicinanze, qualora fossimostati fatti segno a fuoco mentreeravamo in marcia. Aggiunse chequeste disposizioni erano giuntedal comandante maggiore Reder.Furono distribuite le munizioni epoi ci mettemmo in marcia versole ore sei del 29 settembre. La 1a

compagnia attaccò due case colo-niche senza incontrare alcuna resi-stenza e tirò fuori gli inquilini: cir-ca trenta civili in tutto, due deiquali erano vecchi, gli altri donnee bambini. Questi civili furonoallineati di fronte a un muro emitragliati da un soldato di cuinon ricordo il nome, su ordinedell’Obersturmführer Segebrecht.

La notissima chiesa di Marzabotto.

Marzabotto 1945: le salme delle vittime della strage vengono portate verso la chiesa.

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I cadaveri vennero lasciati doveerano caduti, gli edifici dati allefiamme. Distavo circa quindicimetri da Segebrecht quando l’udiidare l’ordine: “Fucilarli tutti subi-to”. Dopo una marcia di circamezz’ora vedemmo tre donne etre o quattro bambini che scappa-vano via di fronte a noi. Non ap-pena essi furono individuati, il sot-tufficiale incaricato del plotonemitraglieri Unterscharführer Wolfdiede l’ordine di sparare su di lo-ro. Due militari di cui non possoricordare i nomi corsero al loro in-seguimento e li vidi sparare su diessi da una distanza di dieci-ventimetri. Alle 9.30 circa giungemmoa una casa colonica solitaria, fuoridalla quale vidi due donne e tre oquattro bambini. Senza alcun or-dine, un militare della prima com-pagnia, che io non conosco, corseavanti e, dopo aver piazzato la suamitragliatrice a terra, aprì il fuocoe li uccise. I cadaveri vennero la-sciati lì e la casa bruciata. Ritor-nammo sui nostri passi, ci arrampi-cammo su un’altra collina e, versole ore 15, ci imbattemmo in unpiccolo gruppo di quattro civili(un vecchio di circa settant’anni,una donna, una ragazza e un ra-gazzo dell’età di quattordici-quin-dici anni). Due militari del plotonemitraglieri di fanteria, uno deiquali era lo Sturmmann Piel-ter, avanzarono senza alcunordine e spararono col fucile auna distanza di quaranta-cin-quanta metri. Furono lasciatidove erano caduti.Giunti di fronte a un villaggioaprimmo un violento fuococontro le case. Udimmo legrida di una donna spaventa-ta. Il sottufficiale comandantela 3a sezione, RottenführerKnappe, si fece sotto una fi-nestra e senza guardare den-tro vi gettò una granata a ma-no. Quattro di noi entrarononell’edificio e vi trovaronouna vecchia morta».

Questa è la testimonianzadella maestra d’asilo Anto-nietta Benni: «A un certomomento la porta si aprì, iovidi che i tedeschi avevano lebombe a mano, allora dissi:“Dite l’atto di dolore, qui ciammazzano tutti”. Ma feci

appena in tempo a dire così checominciarono a buttare dentrodelle bombe e a sentirsi gli urlidella gente che voleva, provava ascappare, ma dove?, perché nonpotevamo uscire da nessuna porta.Di quarantanove persone ci siamosalvate in tre, di sedici bambini nesono morti quattordici e quelli cheerano rimasti vivi non facevano al-tro che urlare».

Testimonianza di Laura Musolesi,sorella del Lupo, raccolta da Rena-to Giorgi: «Il 29 settembre 1944l’Ornella venne da me dicendo chei tedeschi avevano incendiato di-verse case. Non ci credevo. Feciuna corsa su un’altura e i miei oc-chi non videro altro che case e fie-nili in fiamme. Tutto a un trattosentii dei colpi e dei lamenti. Scap-pai per avvertire quelli della casadove abitavo di mettersi in salvocon la roba e il bestiame. Anch’iocercavo di portare via qualche co-sa. Ma vidi i tedeschi a poca di-stanza. Allora corsi per nasconder-mi, con Bruno che avevo con me.La signora Fanti mi mandò dietrosua figlia pregandomi di rimanere,tornai indietro e con altre donne ebimbi andammo in un rifugio.Eravamo in diciotto.Il primo nazista che spuntò dallacantonata della casa sparò contro

l’imbocco del rifugio, colpì unadonna a un braccio. Poi ne giunse-ro altri, il comandante della squa-dra dette ordine di prenderci fuo-ri, ci misero in gruppo di fianco alrifugio, ci portarono via tutto. Cichidevano se avevamo dell’oro,strappavano la fede a quelle chel’avevano, gli orologi da polso,frugavano nelle borsette, fracassa-vano le valigie, distruggevano tut-to quello che non avrebbero potu-to portare con sé, si contendevanoi fiammiferi e le sigarette.Intanto noi avevamo la mitragliapuntata contro da circa mezz’ora,già pronto il nastro delle cartucce,

in attesa di essere massacrati.Un tenente delle SS giravaavanti e indietro impaziente,poi si avvicinò alla mitraglia.C’era un italiano, un militedelle Brigate Nere, e il tenen-te gli parlò in tedesco. Ioguardavo da tutte le parti do-ve potevo scappare, ma i mieiocchi non vedevano che nazi-sti armati. Mi sentivo la mortevicino e una gran sete. Il tede-sco ci fece cenno che stessimopiù uniti, quello delle BrigateNere era proprio contro la mi-traglia. Dissi alla signora Fan-ti: “Ci ammazzano come ca-ni!”. Le vidi la morte in volto,era colore della terra. Non ca-pivo più nulla. Solo sentivodei bambini piangere e grida-re: “Non abbiamo fatto nulla,non vogliamo morire”, e siaggrappavano alla giacca deltenente che li respingeva. An-che le donne gridavano e pre-gavano di non ucciderle.La maestra d’asilo Antonietta Benni.

Il partigiano Mario Musolesi “Lupo”.

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Questo durò un poco, era stra-ziante. Mi accorsi che anch’io gri-davo forte: “Non voglio morire!”.Staccai dalla sottoveste una “bene-dizione” che avevo avuto semprecon me, mi feci il segno della cro-ce dicendo: “Cristo salvami, houna bambina che ha bisogno dime”. Allora il tenente fece segnodi abbassare la mitraglia, e disse:“Nicht kaputt!”. Il milite lo guar-dò come per chiedergli se dovessesparare o no. Lui fece l’occhietto,e mi bastò per capire tutto. La mi-traglia cominciò a sparare, la primapallottola fu la mia, mi passò tra legambe. Vidi Burzi abbattersi, Bru-no pure. Lasciai il gruppo corren-do come una pazza, mi buttai inmezzo a un groviglio di spini e dimore. Un tedesco mi vide, accen-nò a un altro dove ero nascosta,questi mi trovò subito, io lo pregaidi lasciarmi stare, ma lui stizzitomi rispose in tedesco e io capivoche voleva dirmi che, se eranomorti gli altri, dovevo morire an-ch’io. Però non gli riusciva di met-tere in canna la pallottola. Appenapoté mi sparò alla testa, ma nonmi colpì benché fossi molto vicina:io mi alzai lasciando la mia roba,corsi via alla disperata: tutti misparavano dietro. Feci una piccola

salita: una fucilata mi prese al brac-cio destro, ma continuai a correree mi fermai dietro a un alberogrosso, per vedere da che parte misparavano. Ma quando mi staccaidall’albero, una pallottola di mi-traglia mi colpì alla spalla e al brac-cio sinistro. Caddi in ginocchio,sentivo il sangue correre per il cor-po senza alcun male, e non avevopiù forza nelle braccia».

* * *– Signor Reder, nessuno dei

suoi aiutanti le ha mai parlatodi quei caduti, di quella gen-te, contadini, vecchi, preti,ragazzi?

«Per soldati che fanno da quattroanni la guerra i morti sono natura-li. Li ho visti anche in Russia. Mol-ti camerati che andavano in licenzadicevano: “Non ho trovato più lamia casa, ho visto dei cadaveri nel-le strade, non ho più notizie deimiei amici”, non sapevano che co-sa fare e qualcuno tornava prima.Questa è la guerra e questi sono isuoi brutti frutti».

– Quando finì per lei? «Il 5 maggio 1945, a Graz, e inmodo onorevole. Io sapevo cheero ricercato, ma non mi sono mai

mosso. In settembre, una donnami ha denunciato a un gendarmeche mi ha detto: “Voi siete nella li-sta”. Come sa, venni interrogatoda un ufficiale del Cic ed ebbi al-cuni giorni di permesso sulla paro-la per sistemare le mie faccendepersonali. Dopo una settimana mipresentai in carrozzella. Erano conme Bertha e i miei genitori, e il ca-pitano mi disse: “Ero certo che leisarebbe tornato”».– Che cosa le manca di più?«I miei cari, il loro affetto di ognigiorno. Li vedo solo quando pos-sono venire. Ma la corrispondenzaper me è come un colloquio».Reder toglie dalla borsa un ritagliodi giornale: «Conosce questo arti-colo?».«L’ho scritto io».«Lei pensa ancora che io sia unvolgare assassino?».«Io credo anche alla responsabilitàdi chi permette che altri uccidano,come fu ucciso a Marzabotto. Ionon credo che lei possa spararefreddamente su donne e bambini.Ma non sono il suo giudice. Nellalettera indirizzata al sindaco diMarzabotto per chiedere perdonolei parla di “rimorsi sempre piùpungenti”. A me basta».

Un labaro e tante foto a ricordo del massacro di Marzabotto.