Periodico realizzato per l’Ospedale Psichiatrico ... · voler dire: che cosa ci fate voi qui? Che...

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O cchi che osservano, oc- chi che vogliono com- prendere, occhi fissi nel vuoto che dicono tutto e niente. È il 16 aprile quando iniziano le nostre lezioni dentro l’Opg e quegli occhi sembrano perplessi, dubbiosi, interrogativi, come a voler dire: che cosa ci fate voi qui? Che cos’è questo “folle” pro- getto che pretende di parlare di giornalismo dentro queste mura, dietro queste sbarre dove nello stesso momento c’è chi dorme e chi canta, chi ride e chi piange, chi pensa e chi dimentica. Qui il tempo si è fermato, co- me le lancette dell’orologio che sta sopra la porta di ingresso ai reparti. I, II, III, IV… numeri che fanno da sfondo alla vita di tante persone; identità tutte di- verse e tra loro complesse e con- traddittorie. Le storie di Salvatore, Angelo, Salvatore, Beniamino si sono in- crociate e confrontate durante i nostri incontri. È proprio parlan- do di quel mondo che è lì, fuori dalla finestra e riempie le pagine dei giornali, che sono emerse le loro personalità, il loro desiderio di mettersi in gioco, nonostante tutto e tutti. L’Opg è un “mostro dalle mille teste”, ha scritto Sal- vatore; per altri il mostro conti- nua ad essere la scrittura perché è complicato mettere su carta pensieri, azioni, opinioni, storie. Passano i giorni e quegli occhi che prima apparivano assenti di- ventano più motivati, più attenti; è un incoraggiamento per anda- re avanti, perseverando in quella che per alcuni di noi ha costitui- to una vera sfida. Contro il pre- giudizio, contro sensazioni istin- tive che non sempre si possono controllare. Chi è, quando, per- ché, che cosa? È difficile non fa- re i conti con queste domande, con quel passato che, se per mol- ti ricoverati non esiste più per- ché risucchiato nel vortice dei ri- cordi, in realtà da qualche parte ha lasciato tracce indelebili e do- lorose. Ma il nostro obiettivo è un altro: le voci di questo mon- do, di questo ospedale psichiatri- co devono venire fuori, devono parlare, devono gridare e scrive- re ciò che non viene mai detto. Devono raccontare le contraddi- zioni di una struttura che nasce con l’intento di rieducare e risa- nare, ma che per mancanza di fondi non riesce a sopperire alle esigenze più semplici e indispen- sabili. E mentre le celle si affolla- no fino a scoppiare, c’è chi con- tinua a rimanere immobile nel letto per giorni e giorni. In una realtà come questa ci sono logiche che non si possono comprendere se non quando ci si avvicina all’interno, quando si percorrono quei corridoi e quei viali. Può bastare una giornata di pioggia per frenare ogni entusia- smo, per interrompere un’attivi- tà, per dire basta e ritornare nuovamente ad affondare la te- sta sul cuscino. Qui c’è chi se ne è andato, ma è voluto tornare, chi è ancora dentro e vorrebbe scappare, chi preferiva il carcere. La verità è che la vita dietro queste mura e dietro queste sbarre è tutta un’altra storia. Salvatore, Ange- lo, Salvatore, Beniamino hanno provato a descrivere qualche pezzo di questo mondo, a rac- contare problemi, disagi, ma an- che semplice quotidianità. I loro occhi adesso appaiono più vivi. Alcuni sembrano pezzi di cielo. Forse l’entusiasmo li ha resi an- cora più blu. V aleria Arena Redazione a porte aperte S ei gradi di separazione, tra enormi cancelli e porte ‘in- gabbiate’. Subito, il grande cancello di ingresso del carcere, ed ecco il primo cortile. A sinistra, il primo accesso è quello agli uffi- ci. Di fronte, il secondo passaggio, il più importante, quello del rico- noscimento e dell’armadietto: bi- sogna spogliarsi di oggetti, pregiu- dizi e paure. Poi ancora, uno spa- zio vuoto, e un’altra porta. Apre su un cortile, e già si in- contra la cabina telefonica. Fuori non se ne vedono più. Dentro è un’oasi dall’isolamento, quando passiamo c’è la fila. E ancora un cancello: “Siamo del corso di gior- nalismo, dovremmo chiamare Spagnoli, Petrocelli, Di Dio, Nata- le”. Piano piano, arrivano: “Salve ragazzi, come state?”, le strette di mano, dalla primavera all’inver- no, nello stesso identico rituale del giovedì, diventano sempre più familiari. Ci dirigiamo al secondo reparto, l’ultima guardia ci apre, saliamo al secondo piano. L’ultimo lucchet- to e siamo finalmente dentro il carcere. Ingabbiati anche noi. È qui che vi vogliamo portare. È lo scopo del nostro progetto e di questo giornale. La redazione che l’ha prodotto sta lì, nella stanza-gabbia, al secon- do piano del secondo reparto. La cronaca quotidiana è piena delle loro storie, prima – omicidi, lesioni contro i familiari…– que- sto giornale vi racconta cosa suc- cede dopo. Trasforma il ‘mostro’ in prima pagina in una prima fir- ma. Supera la paura che ha eretto i sei muri. Questo è il giornalimso che ci piace. E che abbiamo porta- to avanti con enormi difficoltà. “Le Voci Dentro” hanno vinto un premio: “Giovani idee cambia- no l’Italia”. “Trentamila euro che hanno deciso di investire qua”, an- nunciava uno degli educatori, qualche tempo fa. Quelle giovani idee però si trovano di fronte un cancello che appare inespugnabi- le: la vecchia burocrazia italiana. Di quei soldi non abbiamo visto un centesimo, e non sappiamo se ne vedremo mai. Sappiamo che il nostro progetto ha una scadenza: il prossimo gen- naio. Sappiamo che potremmo non vedere mai più quella ‘gab- bia’. Mai più aprire quelle porte. Siamo andati avanti, con i nostri soldi e con il nostro tempo: con la nostra volontà. Ma dietro quei cancelli abbiamo visto dieci perso- ne in una cella, i letti di contenzio- ne, gli sguardi spenti, e le battute: “Ma lo sa che sei pazzo?”. Abbiamo avuto paura. Non ne abbiamo più. Ce ne resta una: quella di vivere in una società che ne ha tanta, troppa. Manuela Modica Ha da passà à…jurnata LEZIONI DI GIORNALISMO Quel mestiere che insegna ad abbattere i muri È bello poter constatare che la vita, anche nei momenti meno invitanti, non è avara di sorprese positive. L’ultima è arrivata in questi giorni valicando le mura dell’Opg, portata con discrezione da tre ragazze e tre ra- gazzi (so che ne arriveranno altri), che si sono offerti di prenderci per mano e condurci a esplorare il mondo della carta stampata. Sono rinchiuso da due anni e tre mesi in questo posto che chiamo “il mostro dalle mille teste”, dove per ogni testa cor- risponde un’incongruenza, e tutte insie- me rappresentano la grande discrepanza che esiste tra quello di cui noi ricoverati abbiamo bisogno, e quello che, invece, ci viene dato. Forse sono troppo “pazzo” per capire cosa sia la normalità, o forse non lo sono abbastanza per non capire che la norma- lità non risiede nelle menti delle persone che tengono in vita posti come questo. Ciò nonostante, ho capito che ci viene data l’opportunità di dire quello che pensiamo, senza preoccuparci di even- tuali censure o ritorsioni, e che possiamo iniziare a mozzare la prima testa del mo- stro creando “La voce dentro”. Sperando che le utopie possano diven- tare un giorno sogni realizzabili, mi calo nei panni del giornalista con l’entusia- smo di un ragazzino che parte per la sua prima gita scolastica. Salvatore Di Dio Sono internato presso questo stabilimento e non mi tro- vo abbastanza bene, ho una continua lotta con gli as- sistenti che non mi chiamano l’educatore. Faccio il portavitto, frequento l’Arci, e dialogo con i miei paesani. Frequento anche un corso di ceramica: co- sì faccio passare la giornata più in fretta. Ogni tanto vado in permesso da padre Pippo, così ho la possibilità di uscire da questo posto, di inserirmi nella società. Sto per concludere l’incontro: è stato molto interessante, istruttivo e importante. Salvatore Petrocelli le V V oci D D entro NUMERO 2 Dicembre 2009 Periodico realizzato per l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto ASSOCIAZIONE CULTURALE DI UTILITÀ SOCIALE E IMPEGNO CIVILE Il mostr o dalle mille teste Un momento del primo incontro de “Le V oci Dentro”

Transcript of Periodico realizzato per l’Ospedale Psichiatrico ... · voler dire: che cosa ci fate voi qui? Che...

Occhi che osservano, oc-chi che vogliono com-prendere, occhi fissi nel

vuoto che dicono tutto e niente. È il 16 aprile quando iniziano

le nostre lezioni dentro l’Opg equegli occhi sembrano perplessi,dubbiosi, interrogativi, come avoler dire: che cosa ci fate voiqui? Che cos’è questo “folle” pro-getto che pretende di parlare digiornalismo dentro queste mura,dietro queste sbarre dove nellostesso momento c’è chi dorme echi canta, chi ride e chi piange,chi pensa e chi dimentica.

Qui il tempo si è fermato, co-me le lancette dell’orologio chesta sopra la porta di ingresso aireparti. I, II, III, IV… numeriche fanno da sfondo alla vita ditante persone; identità tutte di-

verse e tra loro complesse e con-traddittorie.

Le storie di Salvatore, Angelo,Salvatore, Beniamino si sono in-crociate e confrontate durante inostri incontri. È proprio parlan-do di quel mondo che è lì, fuoridalla finestra e riempie le paginedei giornali, che sono emerse leloro personalità, il loro desideriodi mettersi in gioco, nonostantetutto e tutti. L’Opg è un “mostrodalle mille teste”, ha scritto Sal-vatore; per altri il mostro conti-nua ad essere la scrittura perchéè complicato mettere su cartapensieri, azioni, opinioni, storie.

Passano i giorni e quegli occhiche prima apparivano assenti di-ventano più motivati, più attenti;è un incoraggiamento per anda-re avanti, perseverando in quella

che per alcuni di noi ha costitui-to una vera sfida. Contro il pre-giudizio, contro sensazioni istin-

tive che non sempre si possonocontrollare. Chi è, quando, per-ché, che cosa? È difficile non fa-re i conti con queste domande,con quel passato che, se per mol-ti ricoverati non esiste più per-ché risucchiato nel vortice dei ri-cordi, in realtà da qualche parteha lasciato tracce indelebili e do-lorose. Ma il nostro obiettivo èun altro: le voci di questo mon-do, di questo ospedale psichiatri-co devono venire fuori, devonoparlare, devono gridare e scrive-re ciò che non viene mai detto.Devono raccontare le contraddi-zioni di una struttura che nascecon l’intento di rieducare e risa-nare, ma che per mancanza difondi non riesce a sopperire alleesigenze più semplici e indispen-sabili. E mentre le celle si affolla-no fino a scoppiare, c’è chi con-tinua a rimanere immobile nelletto per giorni e giorni.

In una realtà come questa cisono logiche che non si possonocomprendere se non quando ci

si avvicina all’interno, quando sipercorrono quei corridoi e queiviali. Può bastare una giornata dipioggia per frenare ogni entusia-smo, per interrompere un’attivi-tà, per dire basta e ritornarenuovamente ad affondare la te-sta sul cuscino.

Qui c’è chi se ne è andato, maè voluto tornare, chi è ancoradentro e vorrebbe scappare, chipreferiva il carcere. La verità èche la vita dietro queste mura edietro queste sbarre è tuttaun’altra storia. Salvatore, Ange-lo, Salvatore, Beniamino hannoprovato a descrivere qualchepezzo di questo mondo, a rac-contare problemi, disagi, ma an-che semplice quotidianità. I loroocchi adesso appaiono più vivi.Alcuni sembrano pezzi di cielo.Forse l’entusiasmo li ha resi an-cora più blu.

Valeria Arena

Redazione a porte aperte

Sei gradi di separazione, traenormi cancelli e porte ‘in-gabbiate’. Subito, il grande

cancello di ingresso del carcere,ed ecco il primo cortile. A sinistra,il primo accesso è quello agli uffi-ci. Di fronte, il secondo passaggio,il più importante, quello del rico-noscimento e dell’armadietto: bi-sogna spogliarsi di oggetti, pregiu-dizi e paure. Poi ancora, uno spa-zio vuoto, e un’altra porta.

Apre su un cortile, e già si in-contra la cabina telefonica. Fuorinon se ne vedono più. Dentro èun’oasi dall’isolamento, quandopassiamo c’è la fila. E ancora uncancello: “Siamo del corso di gior-nalismo, dovremmo chiamareSpagnoli, Petrocelli, Di Dio, Nata-le”. Piano piano, arrivano: “Salveragazzi, come state?”, le strette dimano, dalla primavera all’inver-no, nello stesso identico ritualedel giovedì, diventano sempre piùfamiliari.

Ci dirigiamo al secondo reparto,l’ultima guardia ci apre, saliamo alsecondo piano. L’ultimo lucchet-to e siamo finalmente dentro ilcarcere. Ingabbiati anche noi. Èqui che vi vogliamo portare. È loscopo del nostro progetto e diquesto giornale.

La redazione che l’ha prodottosta lì, nella stanza-gabbia, al secon-do piano del secondo reparto.

La cronaca quotidiana è pienadelle loro storie, prima – omicidi,lesioni contro i familiari…– que-sto giornale vi racconta cosa suc-cede dopo. Trasforma il ‘mostro’in prima pagina in una prima fir-ma. Supera la paura che ha erettoi sei muri. Questo è il giornalimsoche ci piace. E che abbiamo porta-to avanti con enormi difficoltà.

“Le Voci Dentro” hanno vintoun premio: “Giovani idee cambia-no l’Italia”. “Trentamila euro chehanno deciso di investire qua”, an-nunciava uno degli educatori,qualche tempo fa. Quelle giovaniidee però si trovano di fronte uncancello che appare inespugnabi-le: la vecchia burocrazia italiana.Di quei soldi non abbiamo vistoun centesimo, e non sappiamo sene vedremo mai.

Sappiamo che il nostro progettoha una scadenza: il prossimo gen-naio. Sappiamo che potremmonon vedere mai più quella ‘gab-bia’.

Mai più aprire quelle porte.Siamo andati avanti, con i nostri

soldi e con il nostro tempo: con lanostra volontà. Ma dietro queicancelli abbiamo visto dieci perso-ne in una cella, i letti di contenzio-ne, gli sguardi spenti, e le battute:“Ma lo sa che sei pazzo?”.

Abbiamo avuto paura. Non neabbiamo più. Ce ne resta una:quella di vivere in una società chene ha tanta, troppa.

Manuela Modica

Ha da passà à…jurnata

LEZIONI DI GIORNALISMO Quel mestiere che insegna ad abbattere i muri

Èbello poter constatare che la vita, anchenei momenti meno invitanti, non è avaradi sorprese positive. L’ultima è arrivata

in questi giorni valicando le mura dell’Opg,

portata con discrezione da tre ragazze e tre ra-gazzi (so che ne arriveranno altri), che si sonoofferti di prenderci per mano e condurci aesplorare il mondo della carta stampata.

Sono rinchiuso da due anni e tre mesiin questo posto che chiamo “il mostrodalle mille teste”, dove per ogni testa cor-risponde un’incongruenza, e tutte insie-me rappresentano la grande discrepanzache esiste tra quello di cui noi ricoveratiabbiamo bisogno, e quello che, invece, civiene dato.

Forse sono troppo “pazzo” per capirecosa sia la normalità, o forse non lo sonoabbastanza per non capire che la norma-lità non risiede nelle menti delle personeche tengono in vita posti come questo.

Ciò nonostante, ho capito che ci vienedata l’opportunità di dire quello chepensiamo, senza preoccuparci di even-tuali censure o ritorsioni, e che possiamoiniziare a mozzare la prima testa del mo-stro creando “La voce dentro”.

Sperando che le utopie possano diven-tare un giorno sogni realizzabili, mi calonei panni del giornalista con l’entusia-smo di un ragazzino che parte per la suaprima gita scolastica.

Salvatore Di Dio

Sono internato presso questo stabilimento e non mi tro-vo abbastanza bene, ho una continua lotta con gli as-sistenti che non mi chiamano l’educatore.Faccio il portavitto, frequento l’Arci, e dialogo con imiei paesani. Frequento anche un corso di ceramica: co-sì faccio passare la giornata più in fretta. Ogni tantovado in permesso da padre Pippo, così ho la possibilitàdi uscire da questo posto, di inserirmi nella società. Stoper concludere l’incontro: è stato molto interessante,istruttivo e importante.

Salvatore Petrocelli

leVVVVoci DDDDentroNUMERO 2

Dicembre 2009

Periodico realizzato per l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto

ASSOCIAZIONE CULTURALEDI UTILITÀ SOCIALE E IMPEGNO CIVILE

Il mostro dalle mille teste

Un momento del primo incontro de “Le Voci Dentro”

2 leVVVVoci DDDDentro

Una lunga storia che ha inizio già tra il ’200 e il’300, in questo periodo, si trovano esempi di rico-veri psichiatrici. Come “malati mentali”, però, siindicavano anche lebbrosi, appestati o poveri. Laprima struttura è il San Lazzaro di Reggio Emilia,che dal 1217 accoglie i lebbrosi e, dal 1348, anchegli appestati. La natura assistenziale, per così dire,ad ampio raggio, che non si limita solo ai disturbimentali, sarà la caratteristica di questi ricoveri.Nel ’600, addirittura, in Italia, seguendo il model-lo francese, diventeranno concentrazioni di disoc-cupati. Solo nel 1700 si intravede una reale specia-lizzazione. La prima struttura medica e psichiatri-ca è quella di Firenze a San Bonifacio: un ospeda-le psichiatrico in senso stretto. A metà ’800, inve-ce, cambia la filosofia medica e i manicomi diven-tano luogo di ricerca e di studio sul malato. Inquesti anni si parla di manicomio criminale, strut-tura intermedia tra manicomio e carcere. Secon-do gli antropologi, questi nuovi edifici rappresen-tano la soluzione al problema della delinquenza:si equiparava, dunque, il crimine alla malattia e lapena alla cura. Il delinquente era un ammalatoche doveva essere oggetto di custodia e di cura.Dalla fine del XIX secolo, in Italia, vennero co-struiti nuovi ricoveri “ad hoc”: il primo ad Aversa(Caserta) nel 1876 che accolse 19 elementi. Diecianni dopo, il secondo ospedale giudiziario a Mon-telupo Fiorentino, quindi a Reggio Emilia nel1892, mentre nel Sud Italia, solo negli anni ’20del Novecento: a Napoli nel 1923 e a BarcellonaP.G. (Messina) nel 1925. L’ultimo, nel 1939, a Ca-stiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova.

Prima del 1930, il codice Zanardelli non preve-deva conseguenze penali per i reati commessi dapersone considerate insane di mente. Mentre ilcodice penale del 1930, meglio conosciuto come“codice Rocco”, istituiva la misura di sicurezza: gliinfermi e rei subivano la rigida applicazione delledetenzione.

Fino al 1978, quando la legge Basaglia (psichiatraveneziano) - 180 del 13 maggio 1978 - re-

gola la chiusura dei manicomi eistituisce, negli ospedali, repar-

ti di psichiatria, «In questecliniche, il malato menta-

le - afferma lo psichia-tra - non è più un fol-le, un irrazionale,ma semplicementeun malato».

La legge 180confluì, poi, nella833 del 23 dicem-bre 1978, che isti-tuì il Servizio Sa-nitario Nazionale.

La “morte” dei ma-nicomi rappresentò

una svolta ed è anco-ra la legge quadro che

regola l’assistenza psi-chiatrica in Italia.

Ma per i manicomi giudi-ziari la strada è impervia: dopo il

1978 viene sollevata la questione diincostituzionalità degli Opg. La Corte Costituzio-nale si esprimerà, con varie eccezioni, favorevol-mente: solo pochi passi avanti verso il superamen-to del sistema della misura di sicurezza, il manico-mio giudiziario però resta in piedi.

In linea con Basaglia, tuttavia, vengono utilizza-ti gli spazi delle licenze e il lavoro per il reinseri-mento esterno. Più di recente, il passaggio dellasanità penitenziaria al servizio sanitario nazionalecrea le premesse per il superamento del carcerepsichiatrico procedendo verso l’assimilazione al-l’organizzazione esterna di assistenza e cura. Pas-saggio non ancora recepito dalla Regione Sicilia.

Davide Billa

uando nel novembre 2006 abbiamovarcato per la prima volta la soglia del-l’Opg, ognuno di noi fu colpito, inquesta sorta di universo parallelo, da

cose diverse: chi dai colori, chi dalle grandichiavi delle guardie, chi dalla sensibilità degliinternati. Io, invece, non riuscivo a distoglierelo sguardo dalle sbarre, mi davano un senso dioppressione e claustrofobia. Quelle muraesprimevano totale assenza di libertà.

Adesso sono passati tre anni e, come ovvioche sia, siamo cresciuti e maturati. I nostri oc-chi hanno iniziato a percepire nuovi aspetti eanche il nostro ruolo all’interno dell’Opg ècambiato: da giovani giornalisti ci siamo tra-sformati in giovani insegnanti di giornalismo.Quindi il rapporto con gli internati, ora nostriallievi, si è radicalmente trasformato. Con unperò. Alcuni dei ragazzi che avevamo cono-sciuto, in questi anni, sono usciti da questomondo, di conseguenza è come se avessimo ri-cominciato dall’inizio.

Quel cortile è tanto cupo quanto colorato,in una sola parola: inquietante. I verdi alberidi arance fanno ampio contrasto con i sacchineri dell’immondizia che uno dei ricoverati,da lì a poco, porterà via. I caldi raggi del soleche, spesso, infondono il senso di una tran-quilla primavera, stridono con il fastidiosoronzare delle mosche che ci accolgono all’en-trata, quasi a riportare la nostra mente dentro

questa realtà, che di tranquilla primavera hadavvero ben poco.

Abbiamo, infatti, visto tanti ragazzi della no-stra età (20-30, ndr), a volte anche più piccoli.Rinchiusi per problemi di droga e, colti da de-pressione, preferiscono restare lì: scappanodalle comunità, fanno qualsiasi cosa pur di tor-nare all’Opg, come se fosse il male minore.Eppure, ci dicono in tanti “qui è un manico-mio, in carcere si sta meglio”. Pareri, parole,pensieri contrastanti.

Così superando incomprensioni e diffidenzeiniziali, siamo diventati anche i loro “confesso-ri”, ci siamo allarmati e dispiaciuti quandoPaolo o Salvatore non sono venuti a lezione.Le chiacchierate filosofeggianti con Beniami-no, che, in un pomeriggio di sconforto, in tut-ta tranquillità mi dice, col suo accento paler-mitano, “qui dentro sono fuori di testa e noisiamo carne da macello!”. Ecco, io quell’istan-te non lo dimenticherò mai: per la prima voltaho visto oltre quelle sbarre, in quelle mura lalibertà era sempre assente, ma c’erano anchegli occhi di Beniamino, comunque malinconi-ci ma, allo stesso tempo e forse mai come allo-ra, tristemente felici. In quel momento avevatrovato un amico, una persona che lo ascoltas-se. E, con quelle drammatiche parole, avevadefinito, forse inconsapevolmente, il vero sen-so della libertà.

Antonio Billè

Diario di un giornalista tra le sbarre UN PO’ DI STORIA

sono attualmente gliinternati all’Opg diBarcellona P. G.nel 2000 erano 190

Il mattodove lo metto?

Dimissionenon scarcerazione

Mentre il detenuto sconta lapena, il paziente internato è sot-toposto a misure di sicurezza,

provvisoria o definitiva. Ci sonoanche i detenuti art. 148 c.p.,che versano in condizioni psico-patologiche precarie, sopravve-nute, però, nel corso della de-tenzione, oppure detenuti in os-servazione, inviati in Opg, per al-

cune settimane, al fine di esserevalutati. Infine ci sono gli inter-nati, che hanno commesso reatima sono stati considerati incapa-ci di intendere e di volere, per-ciò prosciolti.

S. B.

324 gli uomini e le donne della polizia penitenziaria140 gli addetti

Area sanitariae area di trattamento (4 educatori)84

“Qui sonofuori di testa”

Q

Tra gli anni Ses-santa e Settanta, i manico-

mi giudiziari sono stati caratte-rizzati dalla presenza di grandi si-

mulatori, soprattutto mafiosi, che cer-cavano di superare ed evitare il sistemapenale, avendo, in questo modo, unamaggiore possibilità di contatto conl’esterno. Dalla fine degli anni Ottan-ta questa fase è stata superata dal-

l’entrata in vigore del regola-mento sull’ordinamento

penitenziario.

Scorcio del cortile interno del carcere psichiatrico

3leVVVVoci DDDDentro 3

Era un’intervista come tante, quellaad Aldo Madia, consulente psichia-tra all’interno dell´Opg, così, alme-

no, pensavo all’inizio. La prima domandaè scontata e d’obbligo: cosa significa farelo psichiatra dietro quelle sbarre, con tut-ti i rischi che può comportare? «Il sovraf-follamento rende invivibile il sesto repar-to, quello in cui lavoro», la sua voce scivo-la come velluto, mi parla piano. Mentremi guarda dritto negli occhi. E continua:«Seguo circa 60 persone, sono nuovi arri-vi, vengono da altre carceri e opg, genteche spesso è solo di passaggio. Il mio ora-rio di servizio è di 45 ore mensili: ogni pa-ziente ha in media circa 20 minuti al me-se per parlarmi e tentare di risolvere i pro-pri problemi».

Cosa si può fare in 20 minuti? Poco,molto poco. «Faccio quello che posso,con passione - continua Madia -. La cosapiù importante è il rispetto per la soffe-renza degli altri». Ma per prima cosa biso-gna vederla la sofferenza, riconoscerla,così mi propone di vedere con i miei oc-chi il sesto reparto. E “l’intervista cometante” prende un altro percorso: ci avvia-mo verso l´entrata principale.

Accanto al mio Virgilio, Madia, passo sot-to l´enorme "VI" blu con cui è marchiata laporta blindata. Dentro, alcuni agenti ciscortano. Saliamo subito al secondo pianoed eccolo il sovrafollamento di cui parla lopsichiatra: quattro celle di media grandez-za, per ogni cella una decina di persone.

Entro nella prima di queste stanze, e unsenso di soffocamento mi assale. Mentresono sulla soglia, troppi occhi mi fissano.Vedo ammassati dieci letti, alcuni a castel-lo, avvolti in coperte marroni da ospedale.Dietro le sbarre dormono a pochi centi-metri l´uno dall´altro dieci uomini, alcunicol raffreddore, altri con la scabbia, altricon l´hiv.

C’è spazio per un tavolo al centro e al-cune sedie attorno, è l’ora del caffè post-pranzo. Inchiodati al muro, vedo quattroo cinque armadietti di un legno scadente,troppo piccoli per appendervi qualcosa

dentro. Vicino ai letti, altrettanti comodi-ni in miniatura che inghiottono gli ogget-ti personali di ognuno. C´è un solo bagnoin fondo, per dieci persone. Una televisio-ne troneggia in alto. Adesso è spenta,quando è accesa però, che effetto deve fa-re vedere quelle immagini di famiglie feli-ci, di gente bella e ricca, mi chiedo: unabeffa per dieci persone che si contendonoun telecomando dietro le sbarre. Alzo gliocchi ma non riesco a incrociare gli sguar-di di chi mi sta attorno. Stringo mani dicarta vetrata e mi vergogno di averle cosìlisce. Virgilio parla con uno dei dieci, alto,imponente, è una montagna: «Dottore,sono qui perché ho picchiato otto agentinel carcere di (…), - racconta la monta-gna - comunque tutto a posto».

Entro nella seconda cella e rivedo glistessi sguardi, immersi in una gioia chimi-ca o in un dolore perso. Trovo un barlu-me di coraggio e faccio amicizia con Giu-seppe: “Io ho scritto un libro, sono puresu Google, cercami”, mi dice. Ed è così:lui è Giuseppe Masala, e il suo libro sichiama "sensi al confino", de La Bancarel-la editrice. La terza e la quarta cella han-no lo stesso ‘odore’, solo la quinta è diver-sa: solo 5 persone, ma grande la metà. In-fine, l´ufficio di Virgilio, il dottore Madia.Una stanzetta dove entrano a malapenauna scrivania, due sedie e un armadio coni medicinali. I colloqui con i detenuti sisvolgono lì, a porta aperta. Poi, su quellascrivania, il mio Virgilio scriverà le sue 25relazioni mensili sul loro stato di salute.

Esco di nuovo in corridoio e vedo uncartello luccicante, sono le direttive delministero della salute per l´influenzaA/H1N1, si dice che bisogna coprirsi ilvolto quando si tossisce e cose simili, vie-ne quasi da ridere. Il corridoio è vuoto esembra non finire mai. Le celle sono chiu-se, adesso bisogna fare la conta. Una voltafuori, tiro un sospiro di sollievo. Giro la te-sta indietro, guardo ancora quella enor-me scritta blu, "VI": per questa volta l´in-ferno è alle mie spalle.

Sergio Busà

minuti al mese passati conlo psichiatra

personeper ognicella alVI reparto10 il numero degli Opg in Italia

Aversa, Montelupo Fiorentino,Reggio Emilia, Napoli,Castiglione delle Stivieree Barcellona Pozzo di Gotto620

CRIMINE E MALATTIATutti i reati dell’Opg

75 per OMICIDIO

67 per DELITTO TENTATO

56 per LESIONE PERSONALE

54 per RESISTENZA A PUBBLICOUFFICIALE

42 per RAPINA

30 per FURTO

28 per ESTORSIONE

24 per MALTRATTAMENTI INFAMIGLIA VERSO FANCIULLI

14 per VIOLENZA PRIVATA

14 per RICETTAZIONE

11 per PRODUZION E TRAFFICOILLECITO DI SOSTANZESTUPEFACENTI OPSICOTROPE

11 per SEQUESTRO DI PERSONA

11 per VIOLENZA SESSUALE

9 per INCENDIO

4 per ATTI SESSUALI CONMINORENNE

4 per ATTI OSCENI

1 per STRAGE

Viaggio all’inferno

4 leVVVVoci DDDDentro4

Tre giorni al mare, da padre Pippo.Appena arrivati abbiamo sistemato lenostre cose e siamo usciti. Abbiamopasseggiato per le strade di Barcello-na, visitando negozi di abbigliamen-to, piazze e monumenti.

Arrivati davanti a una paninoteca,ci siamo fermati a mangiare. Poi an-cora a passeggiare, per fermarci subi-to dopo a mangiare un gelato. Dopoci siamo avviati verso la casa famiglia.Arrivati alla comunità di padre Pippoabbiamo apparecchiato la tavola e ab-biamo mangiato risotto con scampi,cozze ripiene e pesce spada. Dopopranzo siamo andati a comprare le si-garette e a prendere un caffè.

Il pomeriggio siamo andati un po’ ariposare.

La sera siamo andati a capo Milazzoe abbiamo visitato la chiesa di Sant’An-tonio: da sopra si intravedeva un belpanorama, si vedevano le isole Eolie,soprattutto.

Dopo abbiamo visitato bancarelle disouvenir e abbiamo comprato qualco-sa.

L’indomani siamo andati al mare,finalmente, alla luna rossa. Ci siamofatti il bagno e abbiamo preso il peda-lò.

Dopo siamo rientrati, e siamo anda-ti all’Opg.

Salvatore Petrocelli

Tutti pronti per la gita dell’VIIIreparto. Ci svegliamo impazientie finalmente ci convocano all’in-gresso dove ci consegnago i soldiper le spese della giornata.

Alle 9, un agente in borghese,quattro infermieri, dieci ricovera-ti e quattro graziose volontariesalgano sul pullman, partiamo.Prima sosta per un caffè e la cola-zione, e via per Taormina. La tro-viamo pullulante di vacanzieriche guardano le solite chincaglie-rie sicule. Ci avviamo per la viaprincipale ed arriviamo alla piaz-za del Belvedere: la vista è mozza-fiato. Prendiamo un caffè, e ci li-

mitiamo nelle spese perché iprezzi applicati sono quelli perspennare i turisti. Stiamo un po’seduti all’ombra ad ammirare gliartisti con i loro quadri e ad ascol-tare la dolce melodia di due cata-nesi che suonano canzoni sicilia-ne. Poi proseguiamo ed arrivia-mo in una piazza con una fonta-na, qua si trova ristoro con acquagratis. Dopo aver scattato qualchefoto di gruppo, ritorniamo al pul-lman, diretti, questa volta, a Giar-dini Naxos. Una volta lì, la sala diuna parrocchia ci ospiterà per ilpranzo. Le brave parrocchiane ciservono una buona pasta caserec-

cia al pomodoro fresco. Per se-condo, invece, spatole e alici, im-panate e fritte, era da molto chenon mangiavo il pesce fresco, co-sì ho fatto il bis delle alici, lascia-te a marinare in aceto, passatenell’uovo e quindi nella molica efritte: una squisitezza.

Ancora un bel bicchiere di ma-cedonia, un caffè e poi, salutandoe ringraziando, ci siamo congeda-ti per potere passeggiare sul lun-gomare. Qualcuno ne approfittaper comprare orologi ed altri og-getti da un simpatico marocchi-no. Qualcun altro telefona. Iltempo passa, ed è tiranno: è ora

di tornare. Per la cena andiamo aMilazzo. Prima della pizzeria fac-ciamo una sosta sul lungomare: iprezzi qui sono più abbordabili.Poi la pizzeria, e quindi l’Opg. Sa-liamo sul pullman, non siamostanchi e neanche oppressi dalpensiero che tra qualche ora rive-dremo le sbarre. La bella giorna-ta che abbiamo passato fuori can-cella il senso di oppressione checi dovrebbe prendere, ma felicipassiamo i cancelli e ritorniamonelle nostre stanze con in cuoresoddisfazione e attesa per la pros-sima gita.

Beniamino Natale

Je so… artistaGenio e sregolatezza. «Sentii un

urlo attraversare la natura: mi sem-brò quasi di udirlo. Dipinsi questoquadro, dipinsi le nuvole come san-gue vero», Edvard Munch descrissecon queste parole la genesi dellasua opera più famosa, “L’urlo”, or-mai simbolo del profondo disagioesistenziale di ogni uomo. Affettoda una sindrome schizoide, il pittore norvegese utilizzò for-me e colori che sono espressione di ricordi, emozioni e im-magini, viste da una prospettiva insolita, diversa: “folle”.

L’arte ha effetti unici sull’anima di chi la vive intensamen-te. L’artista è un uomo libero di danzare nudo nel sole o diabbracciare la propria croce, come disse Kahlil Gibran, pit-tore, scultore e poeta libanese. Chi ha il coraggio di espri-mere la propria creatività va oltre i normali concetti di spa-zio e tempo, diventando immortale.

Così fece Vincent Van Gogh che, pur affetto da psicosiepilettica, nei momenti di lucidità realizzò dei capolavori divalore universale. Van Gogh, durante le sue crisi, aveva at-tacchi di panico e allucinazioni, cui seguivano atti di violen-za e tentativi di suicidio. Uno degli episodi più gravi dellasua malattia avvenne il 23 dicembre 1888, quando Vincent,dopo una lite con il pittore Paul Gauguin, si tagliò metà del-l’orecchio sinistro, lo incartò e lo regalò a Rachele, una pro-stituta che era solito frequentare. Da quel giorno visse in di-versi manicomi, prima di morire suicida nella notte tra il 28e il 29 luglio 1890.

Cos’è allora l’arte: genialità e pazzia? Punti di vista, ma finquando ci sarà un folle, l’arte sarà salva.

Sergio Busà

Un giorno“fuori”

La gita a Taormina

dell’VIIIreparto

“cancella ilsenso di

oppressione”

Una breve vacanzaARTE & FOLLIA

extra

Momento di relax durante la licenza da padre Pippo

Acosa serve non aumentare le tasse quandoci troviamo investiti da un mare di tagliche danneggiano economicamente settori

della nostra società, che non andrebbero toccatitranne che per essere maggiormente sostenuticon finanziamenti più adeguati.

L’ultimo governo, come del resto quelli prece-denti, ha saputo mostrare tutti i suoi limiti e la suaindolenza, colpendo senza pietà i “cittadini” di un“paesino” già di per sé martoriato da ingiustizie enegligenze. Un “paesino” di serie b, anzi, senzauna serie a cui è stato dato il nome illusorio diOspedale Psichiatrico Giudiziario. E così, tra i tan-ti bocconi amari, i ricoverati hanno dovuto ingo-iare quello di vedere sottratto il lavoro ai due ter-

zi dei lavoranti, e dei pochi rimasti diminuisce dra-sticamente le ore. Eppure quei posti di lavoro chegiovavano a portare qualche soldo a chi ne avevabisogno erano importanti soprattutto perché ave-vano un buon effetto terapeutico, aiutando a nonfar avvertire l’inutilità a quelle persone che hannotanti motivi che li possano far sentire tali in postitrascurati come questo.

Ma i nostri governanti a questo non ci hannopensato, i “cittadini” del “paesino” senza serie so-no in pochi e non vanno alle urne a votare, lorosono troppo impegnati a proteggere i loro inte-ressi e a preparare strategie per prendere in giroi cittadini di un’Italia sempre meno democratica.

Salvatore Di Dio

5leVVVVoci DDDDentro

Un paesinosenzaserie

La violenza del carcereTra bullismo e ribellionelo sfogo di Beniamino

Mafia dentro l’Opg?No, piuttosto bullismo.È insita nell’uomo latendenza di prevarica-re il suo simile, non ècerto edificante, maquando la natura diun uomo è prevarican-te non c’è niente da fa-re. C’è il solo sfottò,già irritante, maquando addirittura siincontra un bullo chepensa di prevaricarecon la forza fisica, misono chiesto perchéqueste cose vengono daalcuni marginalmentetollerate. Bisognerebbepoi, distinguere tra un temperamento aggressivo e non confonder-lo con la tendenza a ribellarsi a un sistema di cose. Frasi come“te le sei cercate tu”, sono dure da sentire. Ed in più, la punturaantipsicotica: non tenendo conto che la malattia è una costrizio-ne artificiale rispetto alla condizione di vita del soggetto. Ribel-larsi a un sistema di regole che non accetti, e per questo essere va-lutati come socialmente pericolosi. Quando tutto ciò che vuoi èstare tranquillo, andare a casa. Fare la tua vita con la facoltà discegliere gli amici. Ma no, le proroghe allungano il soggiorno al-l’Opg, e non c’è niente di peggio quando si è costretti a sopporta-re la compagnia di persone che ‘fuori’ certamente scarteresti.

B.N.

Chi ha pauradel manicomio?Dal Silenzio degli innocential prossimo film di Scorsese,il terrore è Opg

La claustrofobia della cella e dei legacci, il ter-rore sottile della follia omicida, le allucinazioni,l’ambiguità di medici-aguzzini che sembranocarcerieri più pazzi dei loro pazienti. I manicomi criminali sono luogo d’elezione per il thriller el’horror: da “Il silenzio degli innocenti”, con un Baltimora State Hospital che sembra troppo stret-to per contenere l’inquietante figura di Hannibal Lecter, a “Gothica”, in cui la psichiatra HalleBerry vive l’incubo di trovarsi rinchiusa nello stesso manicomio criminale per cui lavora; per pas-sare a Bruce Willis, che, mandato indietro nel tempo dal 2035, ne “L’esercito delle dodici scim-mie” incontra nel carcere psichiatrico uno schizofrenico Brad Pitt, aspirante eco-terrorista.

Anche Martin Scorsese ha ambientato la sua ultima fatica cinematografica in un manicomio cri-minale: “L’Isola della Paura” (“Shutter Island”), in uscita nelle sale a febbraio del 2010, vedrà unagente federale, impersonato da Leonardo Di Caprio, indagare sulla misteriosa scomparsa di unapaziente, in un luogo di cura che sembra essere qualcos’altro e che risveglia fantasmi allucinantinella sua mente.

Ma è in uno shockdocumentary del 1967 che il mondo dei rei folli e dei folli rei emerge come uni-co protagonista: “Titicut Follies” è un film denuncia sulle condizioni di vita inumane della StatePrison for the Criminally Insane di Bridgewater, Massachussetts. Girata tra l’aprile e il giugno1966, la pellicola mostra la violenza psicologica cui psichiatri sadici sottoponevano i pazienti, inun lento annientamento della dignità e della ragione umana da cui era improbabile uscire “gua-riti”.

Il cinema ci offre dunque una visione alienante e spaventosa del manicomio criminale e dei per-sonaggi - medici e pazienti - che lo popolano, creando un immaginario oscillante tra orrore, dif-fidenza e compassione.

Un immaginario sconfortante per chi ogni giorno lavora per la guarigione di malati mentali chesperano in un reinserimento nella società.

Valentina Costa

CINEMA & FOLLIA

intra

Internamente

Quei tagli delMinistero chedanneggianoi lavoratori

Il viaggio “folle” della speranza

6 leVVVVoci DDDDentro

C’è qualcosa di trascendentalenell’uomo che lo costringe a rin-correre sconfitte, come se unaforza misteriosa gli avesse tolto ilbuon senso e preso possesso dellasua vita.

C’è qualcosa di insensato all’in-terno di questo carcere psichiatri-co che rientra nei parametri di

fallimento di una terapia psichia-trica. Si chiama letto di conten-zione, mostra tutti i suoi muscolinel tenere una persona legata co-me un salame: polsi e caviglie im-mobilizzati, un’imbracatura nellespalle che tiene la schiena attac-cata al letto. Quest’ultima ha il sa-pore amaro della punizione attra-

verso la sofferenza. Grazie Italia,per averci fatto un tale regalo, mane avremmo fatto volentieri a me-no, avremmo preferito un po’ dipsicoterapia dato che ancora nonè stato creato il farmaco che faprendere consapevolezza all’am-malato mentale della propriacondizione, e tantomeno quello

che può dare l’equilibrio, l’equi-librio bisogna conquistarselo lot-tando, e per le persone più vulne-rabili lottare diventa difficile, avolte anche impossibile, se nonc’è qualcuno che li sappia aiutarenel modo giusto.

Grazie Italia, per non aver com-preso il bisogno di chi si è imbat-

tuto nella malattia mentale, la-sciando chi soffre in mano a me-dici avari di umanità ma che san-no fare uso ed abuso del letto dicontenzione.

Grazie di tutto cara Italia, mapotevi ricordarti che anche noisiamo figli tuoi.

Salvatore Di Dio

cinghiedisumane

“Matti da leg« »Il miglior mezzodi contenzioneè quello chenon viene usato

Alberto Cestergeriatra e fisiatra (Asl 13 Mirano VE)

“Matti da leg

Koamhi è nato nello stato africano del Ghana, dovelavorava nel settore edile come ferraiolo. Per mi-gliorare le sue aspettative di vita è emigrato in Italia,stabilendo la propria residenza nella città di Napoli,dove lavorava sempre nell’edilizia, ma come mano-vale, non riesce a trovare un lavoro migliore perchéclandestino. È stato arrestato e processato per man-canza del permesso di soggiorno. La pena che gli è

stata inflitta è di undici mesi di Opg. Finora hascontato soltanto due mesi.

Hai altri procedimenti penali?«Assolutamente no, non ho commesso

mai nessun reato: né in Italia, né nelmio Paese».In Ghana hai qualcuno che ti aspet-ta?«Ho lasciato la mia famiglia, allaquale mandavo quello che potevo,che riuscivo a racimolare nonostan-te le precarie condizioni di lavoro».Cosa pensi di fare una volta sconta-

ta la pena, resterai in Italia?«Spero di poter tornare a Napoli e

magari (sorride) di trovare un’occupa-zione migliore».

Angelo Spagnoli

Dalla povertàal manicomio

“Matti da leg

STRANIERI PRESENTI IN OPG

1 ALBANIA1 BANGLADESH

1 BRASILE1 SVIZZERA

1 CINA1 COLOMBIA

3 EGITTO2 GHANA

1 SRI LANKA15 MAROCCO1 MOLDAVIA

1 MALI1 NIGERIA

1 PERU’1 FILIPPINE1 POLONIA3 ROMANIA

1 SLOVACCHIA1 SIERRA LEONE

1 SOMALIA3 TUNISIA1 UCRAINA

Quelle

66 i suicidi nelle carceri italianenel 2009, Opg compreso

Anche un suicidioha turbato il nostro perio-

do di lezioni. Lo scorso 16 otto-bre, infatti, un eritreo di 35 anni si è

tolto la vita legando un lenzuolo alla fi-nestra della sua cella. «Si è impiccato,

non sappiamo altro. Lui se ne stava sem-pre per conto suo». I nostri ragazzi ci han-no ripetuto spesso questa frase ogni voltache, sommessamente, abbiamo provato achiedere qualcosa. E la responsabilità è so-lo della sua disabilità mentale? Oppure ilsovraffollamento della struttura, la con-

cezione sanitaria quasi desueta chesi porta avanti nell’Opg, l’assen-

za di dialogo, hanno avutoil loro peso?

A.B.

“L’art. 60 del regolamento manicomiale del1909 disponeva che “Nei manicomi devonoessere aboliti o ridotti ai casi assolutamenteeccezionali i mezzi di coercizione”.Questa norma, insieme ad altre analogherelative all’organizzazione dei manicomi, èstata abolita con la riforma psichiatrica del1978, così che attualmente nel nostroordinamento non c’è nessuna disposizione dilegge che implicitamente o esplicitamenteautorizzi l’uso di mezzi di contenzione.

(da www.ristretti.it)

7leVVVVoci DDDDentro

egare”egare”

Quale utilizzo si fa dei letti di con-tenzione nel suo istituto?

«I letti di contenzione in Opg erano36, adesso sono solo 2. Non risolve dicerto il problema, ma qualcosa è statofatto sulla strada del controllo del-l’esplosione di aggressività dei pazien-ti. Il mezzo di contenzione va prevenu-to immaginando condizioni assisten-ziali e trattamentali che non preveda-no l’istituzione chiusa. È bene precisa-re, però, che l’utilizzo di questo mezzoè legale, rientra nei Trattamenti Sani-tari Obbligatori (TSO), che sono pre-visti a livello normativo e deontologico(Rosania è uno dei pochi direttori adessere anche psichiatra, ndr). A volte èl’unica possibilità per praticare una te-rapia che consenta di rispondere ai bi-sogni del paziente nei casi nei quali èpregiudicata l’integrità fisica del mala-to e ci sia il rischio di autolesioni o ten-denze suicide. È naturale che auspi-chiamo che sempre meno si faccia ri-corso a queste pratiche lesive della di-gnità della persona, ma in alcuni casinon abbiamo altre procedure, salvoche non si arrivi ad un diverso model-lo organizzativo».

Nel 2006, in una nostra intervista,tracciava un quadro abbastanza “ne-ro” dell’Opg di Barcellona. In tre an-ni cosa è cambiato?

«Il problema è sotto gli occhi di tut-ti. L’aumento dei ricoverati ha creatogrossi problemi di utilizzazione deglispazi e una penalizzazione delle attivi-tà trattamentali. Gli internati, che nel2000 erano 190, oggi sono 324. Dob-biamo tenere conto del fatto che isoggetti psichiatrici richiedono spaziche consentano di evitare situazionidi promiscuità, che garantiscano lapossibilità di socializzare».

A che punto è il processo di supera-mento degli Opg?

«La Regione Sicilia vive le sue diffi-coltà di ordine politico e amministrati-

vo e noi stiamo ancora attendendoche il decreto nazionale possa diventa-re legge regionale. Intanto, un primopasso verso questa svolta è la decisioneche prevede che nel corso del 2010tutti i soggetti in proroga vengano difatto accolti dai Dipartimenti di SaluteMentale dell’Azienda Sanitaria Provin-ciale, aspetto decisivo per creare unamaggiore vivibilità in questa fase».

Quali altre decisioni sono state presein seno alla conferenza stato-regioni?

«C’è difficoltà nel reperire la resi-denza effettiva degli internati, vistol’alto tasso di mobilità dei soggettiche arrivano negli opg. Si è deciso, atal proposito, che le Regioni prende-ranno per buona la parola dell’ammi-nistrazione penitenziaria e accoglie-ranno come veritiere le nostre con-clusioni. Infine, si è discusso dei baci-ni di utenza, prevedendo che a Bar-cellona P.G. saranno accolti soltantosoggetti provenienti da Sicilia, Cala-bria, Basilicata e Puglia».

Qual è la situazione del personale?«La situazione è drammatica. Negli

ultimi 5 anni c’è stata una diminuzio-ne di 38 unità di personale peniten-ziario e, inoltre, sono andati via alcu-ni infermieri. Anche gli educatori ri-sentono di questa situazione, bastaconsiderare che ognuno di loro devegestire in media 80 internati. Questoha creato problemi sul piano della ge-stione dei pazienti. Il problema ri-guarda tutti gli istituti penali d’Italia».

Quanto conta il volontariato?«I volontari delle varie associazio-

ni ci danno una grossa mano nel re-cupero degli internati e nella lorogestione. Ad esempio, il progettoGerico propone ai suoi operatori distabilire quasi un rapporto “adotti-vo” con il paziente».

Quali novità per il 2010?«Il prossimo anno aprirà il reparto

femminile, che ospiterà 18 donne

provenienti da Sicilia e Calabria. Lanuova struttura è quasi pronta, man-ca solamente il collaudo dell’edifi-cio. Stiamo facendo in modo daconsentire la maggiore efficienzasotto il profilo igienico-sanitario,cercando di agevolare al massimol’ambientazione delle donne. Nelreparto opererà un’apposita equipedi medici, assistenti sociali, educato-ri.

Da Gennaio riattiveremo il repar-to di custodia attenuata che però sa-rà ospitato in una struttura esternaall’Opg, nella zona di Oreto. Il re-parto accoglierà 12 ricoverati e saràaffidato esclusivamente a personalemedico e paramedico, tecnici riabi-litazione, operatori socio sanitari,con il coordinamento del Diparti-mento di Salute Mentale. Infine, ungrosso progetto relativo alla produ-zione di energia alternativa, finan-ziato dalla Cassa delle ammende delMinistero della Giustizia con 5 mi-lioni di euro. Il progetto consentiràil reinserimento lavorativo di unasessantina di ricoverati con reimmis-sione nei territori di provenienza acarattere regionale. Per la sua realiz-zazione si costituiranno delle vere eproprie joint-venture con ditte spe-cializzate nel settore della produzio-ne di energie alternative».

Nunzio De Luca

Intervista al direttore del carcerepsichiatrico, Nunziante Rosania

«Celle sovraffollate e prevalentementesenza docce», è critico Salvo Fleres, garantedei diritti dei detenuti in Sicilia, nei con-fronti della situazione attuale del sistemapenitenziario della Regione.

«Sono pochi - afferma – gli spazi per la so-cialità, le occasioni di lavoro e di studio, in-sufficienti le azioni trattamentali, inadeguatal’assistenza medica e psicologica, carente ilpersonale di guardia, scarso il numero deglieducatori, vecchi gli edifici, i cui costi di ma-nutenzione diventano sempre più elevati».

Una situazione che non è cambiata dopola proroga dei termini di applicazione delDecreto del Presidente del Consiglio deiMinistri dell’1 aprile 2008…

«Tra poche settimane sarà una tragedia.Ho fatto ripetute volte presente la situazio-ne all’Assessore alla Sanità, (Massimo Rus-so, nda) ma non sembra interessato. Forsenon si rende conto della gravità delle con-dizioni delle carceri, né del fatto che po-trebbe rispondere personalmente per dan-ni alla salute dei reclusi».

Come mai il decreto, che sancisce il pas-saggio della funzione sanitaria in tutti gliIstituti penitenziari (adulti e minori, eOPG) dal ministero della Giustizia a quellodella Salute, non è stato recepito in Sicilia?

«Per la scarsa sensibilità mostrata dalleautorità competenti. Il precedente Gover-no aveva istituito un tavolo tecnico, ma si èriunito solo due o tre volte e, poi, si è fer-mato tutto. Gli Opg potrebbero essere su-perati in Sicilia, come altrove, adottandogli stessi mezzi, le stesse procedure e le stes-se strutture utilizzate per gli altri malati dimente, con le dovute cautele per i casi piùviolenti».

Perché, dopo l’entrata in vigore del de-creto, il 14 giugno 2008, il numero degli in-ternati, spesso provenienti da altre regioni,a Barcellona P.G. continua ad aumentare?

«La nuova normativa non riesce a risol-vere i problemi di salute, cura e riabilita-zione delle persone con disturbi mentali.Eppure le soluzioni diverse non manche-rebbero e personalmente l’ho più volte se-

gnalato a tutti livelli locali e nazionali». Le condizioni di vivibilità all’interno del

carcere penitenziario di Barcellona P. G.sono gravi...

«Sarebbe sufficiente mandare i tossicodi-pendenti e gli alcool dipendenti nelle co-munità di recupero. Il problema del sovraf-follamento, ormai intollerabile, così si atte-nuerebbe e si risparmierebbero un bel po’di soldi».

È evidente che all’aumento del numero diinternati, oggi 325, non corrisponde l’au-mento del personale sanitario e di poliziapenitenziaria...

«I problemi di organico sono legati al-l’applicazione del decreto in Sicilia. Manca-no circa 5000 unità nel personale peniten-ziario, 2000 dovrebbero essere assunte en-tro un anno. Ma il dramma maggiore ri-guarda gli educatori e gli psicologi. Conti-nuando così parlare di rieducazione vuoldire solo fare teoria».

Marina Cristaldi

Colloquio con il garante dei dirittidel detenuto in Siciliadi Fleres

egare”

Erano ora sono solo

il j’accuse

36 ”2

Le più belle poesiesi scrivono sopra le pietre

coi ginocchi piagatie le menti aguzzate dal mistero.

[…]Così, pazzo criminale qual sei

tu detti versi all’umanità,i versi della riscossa

e le bibliche profezie.[…]

La Terra Santa, 1984

Te ne sei andata in un giorno d’autunno, “piccolaape furibonda” nata “il 21 a primavera”.

Il male ha conquistato il tuo corpo. Non ti vedremopiù ritratta nel tuo caotico appartamento sui Navigli:la sigaretta eternamente accostata alla bocca scarlat-ta, piegata in un’espressione sardonica che dice tuttoe nulla; lo sguardo penetrante che spicca tra le bellis-sime rughe.

Non udiremo più l’aforismica saggezza delle tue pa-role impastate.

Non ti ammireremo più mentre gioisci suonando iltuo amato pianoforte, tu che negli ultimi anni haiscritto musica e cantato insieme a Giovanni Nuti.

Non ci stupirai più con il tuo generoso anticonfor-mismo, come quando a 71 anni suonati hai posatonuda dinnanzi all’obiettivo per beneficienza.

Il male ha conquistato il tuo corpo, ma non il tuospirito: il dolore si è trasformato in poesia – il tuo “do-no”, la chiamavi – e con essa hai vinto tu, alla fine.

Tu sei connoi, Alda: coni tuoi versi ieri,oggi, sempre,spalanchi leporte delleoscure stanzedel manicomio;con le tue paro-le ci fai precipi-tare negli abis-si della follia –tu che l’hai vis-suta per quasi40 anni – e ri-salire alla vitacon la purezzagioiosa del tuosentimento edella tua fede.

Grazie Alda.Per i 60 anni che hai dedicato alla poesia. Per averdato voce alla sofferenza dei “pazzi”, dei diversi e de-gli scomodi. Per avere, nonostante tutto, continuatoad amare follemente la vita.

Valentina Costa

8 leVVVVoci DDDDentro

Il tabacco, pianta ornamentale o coltivata per l’uso che si fa delle sue fo-glie essiccate. Ma anche Dio Tabacco, venerato nell’Opg in forma di si-garette, cicche e mozzoni, a secondo dello stato economico del cre-dente. I fedeli per avere tabacco da poter fumare al momento delbisogno sono disposti a fare qualsiasi cosa. Barattare un fornel-lo a gas nuovo con due pacchetti, per esempio. Dare in pe-gno un capo di abbigliamento da ritirare, quando si hannopacchetti da restituire di numero superiore a quelli ricevu-ti al momento della stipula. Chiedere a chi non fuma di or-dinare la scorta di sigarette in cambio di cibo. Oppuremendicare qualche sigaretta da chi ce l’ha, è chiaro. Chi nontrova nulla si dedica a raccogliere cicche per fumare o mozzoniper recuperare quel poco tabacco che resta, avvolgerlo in un pezzodi carta ricavato dal sacchetto del panino, e farne una sigaretta da fuma-re. Così facendo tutti i credenti hanno partecipato al culto del loro Dio.

Angelo Spagnoli

LA LISTA DELLA SPESA

12 Diana2 tabacchi3 cartine

2 casse d’acqua1 kg pomodori

2 arancine2 caffè

1 zucchero2 confezione flauti

1 kg banane2 confezioni salame in busta

TABACCOAncora oggi si veneranodivinità pagane,Opg compreso

Questa sera c’è una novità, si va a tea-tro. Siamo alle solite, non sappiamo acosa assisteremo. C’era una pubblicitàdegli anni ’60 che diceva: “A scatolachiusa compro solo Arrigoni”.

Noi umili ospiti dell’Opg ormai cisiamo abituati a prendere quasi tuttocosì, a scatola chiusa, come se ogni co-sa portasse il marchio Arrigoni. Adogni modo, l’ingresso è gratis e non èil caso di fare i difficili. Prendiamo po-sto, subito accendono l’aria condizio-nata, uno dei condizionatori non fun-ziona, ma siamo abituati agli imprevi-sti, anche a quelli più seri. Sul palcoesce uno spilungone con chitarra a tra-collo e due belle ragazze ai lati, una

bionda e una mora. Fa i complimentiper il teatro, dice che al suo paese unocosì non ce l’hanno. Sembra contentodi lavorare gratis, perché non credoche venga pagato. Abbiamo rubinetti,flessibili e tetti dei bagni che fanno ac-qua come colabrodi, sarebbe il colmose i pochi soldi che ci sono venisserospesi per pagare il cantastorie. Sia benchiaro, non ho nulla contro di loro, an-zi, mi sono simpatici, vestiti in jeans, ca-micia e gilet, fanno sentire subito le lo-ro voci: impostate e intonate con il dia-letto del loro paese.

Le loro storie sono ricche di conte-nuti e tradizione. Non fanno ridere co-me i comici di Zelig, ma riescono a cat-

turare l’attenzione dei presenti cheascoltano in silenzio e applaudono convigore. A dire la verità. All’inizio dellospettacolo avevo pensato che non eraroba per noi, che per divertirci prefe-riamo le scenette alla Fantozzi, quelleche strappano facilmente applausi e ri-sate. Devo ammettere, invece, e conpiacere, che il trio di artisti ci ha porta-to una ventata di allegria, con una qua-lità che non avevo ancora visto nel no-stro teatro.

Per poco più di un’ora ci siamo isola-ti dalla solita routine e ci siamo dimen-ticati della tanta agognata libertà: viva icantastorie.

Salvatore Di Dio

Una scena da il “Monte Sinai”,lo spettacolo tratto dalle poesie di Alda Merini

e l’album di Milva, interpretato dagli internatidell’Opg di Barcellona nel 2008

Addio“piccola ape

furibonda”

Una serata a

“scatolachiusa”

L’Università di Messina nel 2007ha conferito ad Alda Merini la lau-rea honoris causa in Teoria dellacomunicazione e dei linguaggi

Natale9leVVVVoci DDDDentro

Quel così diverso

Un’atmsosfera piacevole e tanta gente.Lo scorso 8 agosto all’Opg si è tenuta la

sagra della melanzana. La festa è stata preceduta dalla

preparazione dei tavoli da parte deicomponenti dell’Arci, tavoli che sono

stati riempiti da squisite pietanze daparte dei volontari delle comunità e

parrocchie di Barcellona. È statapreziosa la partecipazione del gruppo

scout guidati da padre Pippo, i qualihanno aperto la festa con

l’organizzazione e la preparazione deigiochi, così sono riusciti a coinvolgere

gran parte degli internati. Conclusi i giochi si è passati alla

degustazione del menù, iniziando conla pasta alle melanzane preparata pressola cucina dell’Opg, poi si è consumato il

secondo di melanzane al forno, allaparmigiana, polpette, involtini, seguitoda anguria. Infine, il gelato. Da alcuni

di noi i piatti sono stati serviti neireparti, per i ricoverati che non

uscivano. È stata anche una piacevoleoccasione per chiacchierare un po’ con

i volontari. L’estate all’Opg è calda elunga, interrotta solo dalla melanzana.

A.S. e S.P.

È da qualche giorno che la televi-sione ha iniziato a parlare del Nata-le. La cosa più importante, che sti-mola la maggior parte dei telespet-tatori, sono gli acquisti. Regali, spe-se per il cenone e l’immancabilebottiglia di spumante. Per il ricove-rato che vive detenuto il Natale èdiverso. Le spese, oltre a quelle diroutine, sono il panettone, il pan-doro, la frutta secca e due piccolebottiglie di spumante (una per ilcenone e una per il capodanno).Ma la cosa più rilevante è che conle festività di fine anno quasi tuttiricevono l’attenzione dei familiario tramite il colloquio o per mezzodel pacco o dell’agognato vagliapostale. Il Natale, oltre a quantodetto, è anche una festa religiosa,quindi, ci sono, per chi desidera

partecipare, le sante messe. Alla fi-ne di ogni rito, presso il chioscodell’Arci, c’è la distribuzione delpanettone. Poi, da parte dei volon-tari delle comunità locali vengonoorganizzate per ciascun reparto letombolate. Portano la tombola coni premi necessari per due o treestrazioni. La partecipazione daparte degli internati è sempre libe-ra, ma la tombolata è quella che

mette tutti intorno a un tavolo conla cartella e gli immancabili legumisecchi per segnare i numeri estratti.Sul tavolo c’è anche il panettone, ilpandoro, bottiglie di bibite e fruttasecca. Ognuno mentre gioca puòdeliziare il suo palato come megliocrede. La tombolata è quella chepiù di tutti ti fa sentire che intornoc’è un clima di festa.

Angelo Spagnoli

La sagra spezzala monotonia

della lungastagione calda

Racconto di una

melanzanadi mezz’estate

PasquaDentro una primavera che scioglie l’inverno

Arriva la pasqua dalle uova rotteE dalle sorprese inutili

Di un Dio che non vuole proteggereChi non sa cercarlo

La guancia colpita, offesa e umiliataNon cambia il volto di chi piange e ride

Abbagliato da immagini confuseE da storie che penetrano dentroIsolando il tempo e le sue stagioni

Il tramonto e i suoi coloriPasqua di un figlio che ha sofferto

Lasciando che il suo amoreVagasse lontano dai cuori

Carpiti dalla cupidigiaE abbandonati in una solitudine senza vita

Pasqua per i pochi che hanno saputo camminareA piedi nudi

Sentendo i sussurri della terraChe non abbandona i suoi figliNutrendoli di quell’amore che

Un figlio sofferente ha lasciato penetrasse i cuori Di chi non si è stancato di cercare

Salvatore Di Dio

“La tombolataè quella che più di tuttiti fa sentire che intorno

c’è un clima di festa”

passione

Pillole giganti, giraffe portafle-bo e tanto tanto colore. Arreda-menti in legno, pensati per far vi-vere più serenamente, ai piccolipazienti degli ospedali, il periododi ricovero e cura. È una delle ul-time iniziative dell’Astu, la coope-rativa sociale di tipo B, che oggi èuna realtà consolidata all’internodell’Ospedale Psichiatrico Giudi-ziario di Barcellona Pozzo di Got-to. La data di nascita ufficiale, diquello che inizialmente si presen-ta come un progetto, è il 5 febbra-io 2001, ma alle spalle ci sono giàdue anni di intenso lavoro. L’ini-ziativa coinvolge tre architetti, in-tenzionati a sperimentare nel set-tore dell’arredamento e del de-sign, poi l’Opg che mette a dispo-sizione una struttura inutilizzata,se non come deposito, e chiusadalla fine degli anni ’60, la fonda-zione Horcynus Orca e il Consor-zio Sole, che avevano la necessitàdi arredare le loro sedi. «L’insie-me di queste esigenze – spiegaCarmelo Puliafito, presidente e re-sponsabile delle linee produttivedell’Astu – dà il via al progetto, nelquale viene coinvolto anche il Di-partimento di Salute mentale del-l’Asl. Si cerca di capire come in-staurare un protocollo di intesaper creare una realtà mai esistitaprima».

L’obiettivo è il reinserimento so-cio lavorativo di soggetti svantag-giati. Il protocollo di intesa vienestipulato tra vari enti e associazio-

ni, ognuno con un ruolo specifico:il Ministero della Giustizia mette adisposizione la struttura, il Consor-zio Sole finanzia il progetto incambio di arredi, il Dipartimentodi salute mentale dell’Asl concedeborse lavoro per i detenuti impe-

gnati e crea un’equipe di medicied educatori, il Dipartimento di sa-lute mentale di Barcellona, la coo-perativa Ecosmed, che si occupadella fase di formazione dei datoridi lavoro (conclusa a fine 2001), laCasa di Solidarietà e Accoglienzadi padre Pippo Insana, dove si con-suma il pasto per avviare un pro-cesso di esternalizzazione, la coo-perativa Gocce di Messina che se-gue i ragazzi con la consulenza diun assistente sociale, e l’Uepe (Uf-ficio esecuzioni penali esterno delMinistero della Giustizia) che vigi-la sui detenuti che vanno all’ester-no dell’ospedale.

Periodicamente un’equipe for-

mata dai vari partner monitoral’andamento del progetto.

È la prima fase dell’iniziativache si pone tre obiettivi: formaregli artigiani, produrre 200 milionidi arredi (budget investito dalconsorzio) e costituire una coope-rativa sociale di tipo B che com-prendesse, al suo interno, lavora-tori svantaggiati. I primi due tra-guardi vengono raggiunti, mentrenon si ottiene l’obiettivo della pro-duzione, il che comporterà un de-bito di circa 50 mila euro. L’avvionon è, quindi, dei più semplici,ma la cooperativa si fa carico deldebito e viene istituita il 17 aprile2002, con una forza lavoro checomprende 12 soggetti di cui 8 in-ternati dell’Opg.

Comincia una nuova fase chevede l’Astu “espandersi” all’ester-no, con incarichi che provengonoda enti pubblici, come l’Universitàdi Messina, l’Orto Botanico o ilComune di Barcellona. «Gli unicia starci vicino», afferma Puliafito.

La mancata applicazione dell’arti-colo 5 della legge 381/2006 costi-tuisce uno svantaggio enorme perla cooperativa: infatti, la normastabilisce che è possibile affidarealle cooperative sociali incarichidiretti senza ricorrere alle gare.Ma non avviene quasi mai.

«Alcuni anni fa, per farci cono-scere - racconta Puliafito - abbiamoinviato ai comuni della provinciamessinese e a molte parrocchie, lapresentazione della cooperativa.L’unica risposta è arrivata dal Co-mune di Tortorici, non per affidar-ci una commissione ma per chie-derci di inserire un soggetto svan-taggiato nella nostra struttura».

Gran parte del fatturato derivadalle richieste dei privati, anche sela crisi economica ha fatto regi-strare un calo: annualmente il vo-lume di affari si aggira intorno ai200 mila euro e ciò permette allacooperativa di autosostenersi, dipagare gli stipendi senza dover ri-correre ad alcuna forma crediti-zia. Attualmente lavorano noveuomini, assunti a tempo indeter-minato, di cui sei ex detenuti e unsolo internato in Opg, «Un nuovoinserimento lavorativo - spiega ilpresidente - avviene per esigenzeaziendali o istituzionali». Inseri-mento che avviene in più stadi: il

Dipartimento di salute mentalevaluta, tramite colloqui, quali pos-sono essere i soggetti. Quindi, unperiodo di tre mesi con contrattoa progetto, co.co.pro., e scaduti itre mesi si valuta l’andamento delsoggetto, che può essere assunto,sottoposto a ulteriori tre mesi, osostituito. «Nel 90% dei casi si pro-cede all’inserimento. L’ultimo as-sunto è del giungo 2008. Tra i pri-mi inseriti nell’Astu, oggi sono ri-masti in due e fanno parte dei so-ci fondatori».

Davide BillaClara Sturiale

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Si dovrà attendere ancoraqualche mese, ma entro la finedell’anno, il grande portoneblu dell’Ospedale PsichiatricoGiudiziario di Barcellona Pozzodi Gotto, si aprirà per ospitare,per la prima volta, anche ledonne. Una novità assoluta perla struttura barcellonese, che sista attrezzando per accogliere leospiti. Arriveranno in 15 in Sici-lia dall’Opg di Castiglione delleStiviere, in provincia di Manto-va. “Inizialmente era stato deci-so - spiega Giancarlo Cavallaro,educatore dell’istituto - di tra-sferire tutte le donne, circa 80,rinchiuse nell’ospedale di Casti-glione. Ci siamo opposti e sia-mo riusciti a ottenere il trasferi-

mento di sole 15 donne sceltein base a criteri territoriali, cioèdelle regioni meridionali. È in-fatti impossibile per l’Opg diBarcellona seguire 500 internaticon lo stesso personale e conmeno risorse finanziarie, consi-derando i consistenti tagli, qua-li, ad esempio, il 40% sugli sti-pendi dei detenuti”.

Alle ospiti sarà destinato il VIIreparto (ex custodia attenuata)in fase di ristrutturazione peradeguare i locali alle nuove esi-genze. Variazioni consistentiche cambieranno l’aspetto delreparto. I lavori, che durerannocirca 60 giorni, sono stati affida-ti alla ditta Sgroi s.r.l. di Fiume-freddo per un importo di 165

mila euro e saranno pagati dalMinistero della Giustizia.

E intanto si sta già pensandoall’organizzazione di corsi perle donne, come estetista e cuci-na.

“Una situazione delicata – am-mette Cavallaro – perchè si trat-ta di casi difficili e richiederà,ovviamente, l’impiego di perso-nale (operatori e guardie) fem-minile”.

Non scompare, però, il repar-to di custodia attenuata che, an-zi, sarà trasferito all’esterno del-l’Opg, a Oreto, una piccola fra-zione di Barcellona, in cui esisteuna struttura mai utilizzata. Ilcomune della città del Longanol’ha concessa in comodato

d’uso all’Opg, dove verrannotrasferiti 10-12 internati giuntialla fase finale del loro percorsorieducativo. L’edificio è quasipronto, mancano solo pochi in-terventi: il comune si è occupa-to dello spazio esterno, mentrel’Opg delle strutture fisse desti-nate alle attività.

Già ottenuto il finanziamentoper un anno: 250 mila euro, che,spiega Cavallaro, si spenderan-no, per la maggior parte, per pa-gare il personale. Per la gestione,infatti, della struttura con unadozzina di internati, servirannopiù di venti operatori.

D.B. e C.S.

Un nuovo settore per le donnePer la prima volta un’ala dell’Opgsarà rosa ma aumenta il disagio

elegno

Astu,la falegnameriache trasforma

il malato in occupato

Un’avventura di...

Nelle foto alcuni degli oggetti realizzati per i reparti di pediatria

Il reparto femminile attualmente in ristrutturazione

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La faccia pulita dell’Opg è la Casa disolidarietà e accoglienza fondata 26 an-ni fa da Padre Pippo Insana (nella foto adestra). Una sorta di rifugio per far capi-re che si può vivere in un clima di fami-glia. È l’unica struttura del luogo di que-sto tipo e si sostiene anche con i proget-ti innovativi dell’8xMille: qui abitanostabilmente sei internati, selezionati dal-l’equipe di trattamento dell’Opg, piùdue in licenza.

Vivono come una famiglia alla pari,curano la pulizia della struttura e la con-ducono secondo le loro capacità: aiuta-no in cucina, verniciano gli infissi, aiuta-no a fare il pane e la salsa, vanno a lavo-rare nelle cooperative sociali, diventanouna risorsa per la società.

Allora perché in molti scappano dalleCase d’accoglienza per tornare in Opg?«Perché ti dà la possibilità di stare anche23 ore su 24 a letto – spiega Insana –mentre qui devono rispettare le regole».

Ma a ‘Casa Insana’ la realtà sembra esse-re diversa. «Questa è una famiglia, nonci sono regole», a parlare è Luca, unodei sei internati. Nonaprirà più bocca. «Ognimattina hanno 5 europer comprarsi le siga-rette – aggiunge PadrePippo – poi sanno cheil loro unico compito ècollaborare alla gestio-ne della casa».

Con Luca, in casa cisono: Giovanni, vorreb-be prendere la maturi-tà al tecnico-commer-ciale, Taibi l’iracheno,Salvatore, non sa néleggere né scrivere, ilpalermitano Giancarlo,presto sarà accolto in un centro diurnoe il foggiano Giuseppe, probabilmente agennaio rientrerà in comunità. Con loro

abita Patrizia, volontaria, aveva iniziatocon uno stage socio-assistenziale. «Nonho paura – dice – mi sento più sicuraqui, con tanti fratelli e un papà (indican-do Padre Insana nda) che per strada».

Il vicinato cosa pensa della loro pre-senza?

«All’inizio sono stati sospettosi e ostili:volevano che alzassimo le mura esternee hanno chiesto parere a un avvocato.Poi, gradatamente, la paura è sparita.Ora sono parte integrante del quartieree della comunità. Noi vogliamo solo di-mostrare che loro possono stare fuori:dopo due, dieci, venti anni di carcerepsichiatrico, con il giusto aiuto devonoessere reintegrati nella società civile. So-no in molti a essere abbandonati dallefamiglie e ci sono degli internati che po-trebbero uscire anche subito, ma nonpossono perché il Dipartimento di salu-te mentale di appartenenza non ha pre-disposto il progetto riabilitativo, comeprevisto dalla legge».

Ma di chi è la colpa?«Sicuramente il direttore e gli educato-

ri non c’entrano nulla. Le responsabilitàsono attribuibili solo allo Stato: da anni,da destra, da centro e da sinistra, si affer-ma che l’Opg deve essere superato. Nesono esempi lampanti la legge 180 del1978, le proposte di Legge Milio, Burani-Procaccini, Corleoni, presentate al Parla-

mento e mai discusse».Perché deve essere supe-

rato?«Perché è un carcere,

mancano i farmaci, moltiricoverati sono abbandona-ti a loro stessi, non ci sonointerventi specifici per al-colizzati e tossicodipenden-ti. Ma, soprattutto, è ingiu-sto che gli internati subisca-no per molti anni proroghedella misura di sicurezzaper l’assenza di interventidella Sanità: così intesol’Opg non cura né contie-ne la disabilità mentale. È

una struttura illegale, incostituzionale,incivile, disumana».

Antonio Billè

Giancarlo Cavallaro, educatorepresso l’Ospedale psichiatrico giu-diziario, è un pioniere: «Ho co-minciato a lavorare a Barcellonanel 1981, dopo aver fatto esperien-za nel carcere di Lipari e di Mi-stretta: sono stato uno dei primi asvolgere questo genere di attività».Parla con familiarità: «Credo chegli internati debbano stare instrutture piccole con frequenticontatti con l’esterno e ampie pos-sibilità di effettuare percorsi di ria-bilitazione, ma questo è il contra-rio di quello che accade qui».

In cosa consiste la figura del-l’educatore? Qual è la sua giorna-ta tipo?

«Il compito dell’educatore èpensare al trattamento di cura cheporti alla guarigione di un sogget-to, per poi reinserirlo nella socie-tà. Noi educatori (4) lavoriamo so-

prattutto la mattina, quan-do occorre preparare le re-lazioni da presentare alleudienze con la magistraturadi sorveglianza. Teniamoanche i rapporti con i refe-

renti delle diverse attività che sisvolgono all’interno dell’istituto.Nel pomeriggio, dalle 14 in poi, illavoro è garantito da due educato-ri, mentre i colloqui si svolgonoperlopiù la mattina».

Come si svolgono i colloqui? «Ci sono diversi tipi di collo-

quio. Quello d’ingresso, ad esem-pio, dipende dalla condizione deldetenuto; lo staff (psichiatra, me-dico di reparto, infermieri, edu-catore) effettua questo primo ap-proccio nel più breve tempo pos-sibile, per capire meglio la perso-na e le sue problematiche psico-patologiche, i rapporti con la fa-miglia, il contesto ambientale esociale in cui ha vissuto, per valu-tare rischi vari come autolesioni-smo, suicidio, ecc.

Altra cosa sono i normali collo-qui di routine, che si svolgono

per fornire un costante sostegnopsicologico e morale, oppurequando c’è un problema specifi-co. Tuttavia, quando entriamo al-l’interno di un reparto, comuni-chiamo attraverso un contattocontinuo, al di là del singolo col-loquio».

Per quanto riguarda le attivitàsvolte, quanti sono gli internatiche lavorano?

«Pochi anni fa erano circa 60-70, ma il ministero ha tagliato ifondi del 60% e l’anno prima del40%, quindi adesso ne abbiamocirca 40, con orari ridotti. Tranneuna squadra di manutenzione or-dinaria fabbricati (MOF), gli altrihanno una giornata lavorativa di2 ore. Questo, per i ricoverati, si-gnifica una risorsa in meno per ilproprio riscatto personale».

Cosa ha comportato l’entrata invigore del decreto dell’aprile 2008sul superamento degli Opg?

«L’assistenza sanitaria in carce-ri e Opg è divenuta competenzadelle Asl. Questo non ha funzio-nato in Sicilia. Quello di Barcello-

na è rimasto l’unico istituto in cuiil personale sanitario è gestito an-cora dal Ministero della Giustizia.Negli altri, inoltre, inoltre, i diret-tori della struttura sono dirigentimedici delle Asl, mentre la partegiudiziaria, penitenziaria e ammi-nistrativa la cura un altro sogget-to. A Barcellona invece non esistequesta doppia figura: il direttoresvolge entrambi i compiti».

E anche il budget è limitato…«Sì, perché questo decreto pre-

vedeva il passaggio alle regioni

degli oneri sul budget, di conse-guenza il Ministero della Giusti-zia non prevedeva più un capito-lo spese per l’assistenza sanitarianegli Opg. Hanno dovuto in fret-ta e furia stanziare delle cifre, pe-raltro assolutamente insufficien-ti: si tratta di circa 2-3 milioni dieuro, con cui bisogna pagare, ol-tre ai farmaci, anche gli infermie-ri non di ruolo, i medici e gli spe-cialisti non strutturati, che lavora-no a ore o a prestazione».

Sergio Busà

Visita alla Casad’accoglienzadi Padre Pippo

Cavallaro …La dura vitadell’educatore

di battaglia

“Pazzo si, ma finoa un certo punto”Da 16 anni all’Opg, Antonio tornaa casa ma non è soddisfatto:“Io sono innocente”.

Quando passa lui, i sorveglianti li usano unacerta premura: “Lei qua può fare quello chevuole”.

Antonio è ‘dentro’ dal 1993. Ha il volto se-gnato dalle rughe, i capelli lunghi e grigi,l’aspetto sempre curatissimo. Se altri li trovia-mo, spesso, in pigiama e pantafole, lui, inveceveste solo camicia e pantaloni. I modi elegantifanno pendant con l’aspetto: “Mi perdoni si-gnora, posso parlarle?”. L’anzianità ha fatto lasua parte, ma il rispetto che lo circonda - “Èuna brava persono”, ci bisbiglia la guardia - l’-ha guadagnato con quel modo di rivolgersi al-le persone tipico di altri tempi. Vuole raccon-tarsi, vuole capire: “Perché sono ancora qui?”.Antonio non è stato selezionato per il corso digiornalismo – la selezione è stata fatta daglieducatori – ma i giovedì ci hanno reso parte diloro, ci riconoscono. Il perché sarebbe facileda spiegare, ha subito una condanna pesante,e lunga. «Ma lo stub (le impronte, nda) eranegativo, che ci faccio ancora qua?». L’Opg diBarcellona è ormai casa sua, 16 anni in cui haconquistato la fiducia e l’affetto di tutti, educa-tori, in primis. Mentre spiega la sua storia, pe-rò, tra i modi pacati e garbati trapela l’ostina-zione disperata, quella tipica di chi si ritieneinnocente.

«È così, non ha mai ammesso il reato, e an-che il suo avvocato ritiene che la sua innocen-za non sia un’ipotesi così peregrina», spiegaLidia Biondo, l’educatrice. «Cercheremo difare luce», possiamo dire solo questo. Il giove-dì successivo Antonio ci aspetta, e poi quelloancora. «Perché sono ancora qua?», vuole ca-pire. Le risposte nostre possono essere solo lestesse che ha ascoltato negli ultimi sedici anni.

L’ultimo giovedì porta una buona notizia:andrà via. Mi mostra l’ordinanza, il magistratoha disposto la libertà vigilata, tornerà a casa esarà assunto in una ditta. «S’è risolto tutto,non sei contento? Torni a casa…», l’entusia-smo prende anche me. Ma ancora trasparel’ostinazione: «Certo, sono contento, ma nonbasta, voglio la verità, sono pazzo ma fino a uncerto punto». Antonio vive da sedici anni inun manicomio, forse è solo “pazzo”, ma lo Sta-to italiano in 5 anni ha risarcito oltre 210 mi-lioni di euro per “ingiuste detenzioni”: non èun’ipotesi così peregrina. Né folle.

Manuela Modica

L’InsanafamigliaL’Insanafamiglia

Conserve di pomodoro: un momento di vita nella struttura del prete “volontario”

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o: Editrice, Associazione “Le Voci Dentro” Viale Principe Umberto, n. 101/A Messina - web: levocidentro.unime.itPresidente: Nunzio De Luca - Direttore responsabile: Manuela ModicaRegistrato Trib. Messina n.11 99/2008

Redazione: Valeria Arena, Alessandra Basile, Davide Billa, Antonio Billè, Roberto Bonsignore, Sergio Busà, Valentina Costa,Marina Cristaldi, Nunzio De Luca, Salvatore Petrocelli, SalvatoreDi Dio, Beniamino Natale, Angelo Spagnoli, Clara Sturiale.

Stampa:Officina Grafica srlTel. 0965.752886Villa S. Giovanni (RC)

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Quando ha iniziato la sua avventura, lemete designate erano Londra, Marsiglia,Napoli e Barcellona. Era il 2007, Magdaaveva da poco terminato il suo master e siapprestava a inserirsi nel mondo del lavo-ro. Viene da chiedersi cosa ci sia di stra-no parlando di una ragazza che concludegli studi e parte per l’estero. Nulla, se siesclude che l’oggetto degli studi di Mag-da De Pasquale, nata in Italia ma cresciu-ta in Svizzera, è la criminologia. E, soprat-tutto, se si esclude che Barcellona, infinescelta per la sua esperienza, non si trovain Catalogna ma in provincia di Messina.

«Sono venuta qui perché c’è il sole eposso andare a mare quando voglio» è larisposta spiazzante che dà Magda quandole si chiede il motivo della sua scelta.

«Naturalmente l’Opg mi ha permessodi mettere in pratica i miei studi di psico-logia e criminologia, ma io desideravostare in un posto come questo».

Spint anche dalle sue origini barcellone-si, Magda ha fatto tutto da sola: «Sono sta-ta io a inviare il curriculum, nell’estate del2007 mi hanno chiamata e ho iniziato asvolgere il mio tirocinio presso l’OspedalePsichiatrico Giudiziario di Barcellona».

In cosa consiste il tuo lavoro?«Quando ho iniziato dovevo seguire gli

psicologi, ma per me 18 ore al mese era-no troppo poche. Volevo fare quanta piùesperienza fosse possibile. Così, dopoqualche mese ho iniziato a lavorare congli altri tirocinanti, di cui adesso sono lacoordinatrice – Magda si ferma un attimoe, sorridendo, riprende –. Anche se nonsono in molti a conoscere il mio ruolo. Mioccupo di inserire gli studenti nella strut-tura, guidandoli all’interno di questa real-tà. Inoltre, insieme alle prime sette tiroci-nanti che ho seguito, abbiamo creato losportello per le famiglie dei ricoverati, unfiltro che permette ai parenti di avere aiu-to e risposte dalla struttura».

Che posto ha adesso l’Opg nella tua vi-ta?

«Sicuramente è stato ed è importante.Non credo sia il punto di arrivo ancheperché non amo fermarmi in un postoper molto tempo. Fin quando sono giova-ne voglio imparare quanto più è possibi-le sulla criminologia. Voglio farne davve-ro il mio lavoro».

Qual è la prossima meta del tuo viaggioprofessionale?

«Di curricula ne ho spediti tanti, e nel2010 non so ancora dove sarò. Il mioobiettivo è crescere, apprendere e mi-gliorarmi. Conosco quattro lingue (ingle-se, francese, tedesco, italiano, nda) e non

ho problemi a trasferirmi. Non nascondoperò che, se ci fosse la possibilità, vorreicontinuare a lavorare nei paraggi. Que-sto sole è troppo bello...».

Roberto Bonsignore

Dalla Svizzera per l’Opg

Michela Morello ci accoglie con un sorriso, icapelli raccolti in una coda. I modi sono quelligentili di una perfetta padrona di casa.

Quello in cui entriamo, però, non è un salotto,ma un ufficio incastrato tra due porte blindate,quasi un checkpoint militare. E la sua voce paca-ta stride un po’ con la severa ed impeccabile di-visa blu. La dott.ssa Morello è il Comandante de-gli agenti di polizia penitenziaria dell’Opg diBarcellona. È lei a gestire l’ordinaria straordina-rietà in un ospedale travestito da carcere.

«Gli agenti – spiega – lavorano su tre turni diotto ore ciascuno, contro le sei previste. Questo acausa della costante carenza di personale. Nor-malmente, i reparti 5 e 6, quelli più affollati, so-no presidiati da non più di tre agenti. Uno perpiano e un terzo addetto al passeggio, per chipuò uscire in cortile. Nel quinto reparto si arriva-no a sfiorare le cento unità, mentre al sesto, inquesto momento, ci sono cinquantasei ricovera-ti. È una cifra che varia sempre, perché il sestoreparto è quello che accoglie i nuovi arrivati, pre-sumibilmente il settore nel quale sono più alti irischi di intemperanze, e in questo momento c’èuna cella che accoglie dieci persone, mentre inaltre ce ne sono nove».

In queste condizioni è sicuramente più proba-bile che scoppino risse.

«È una bomba ad orologeria, alcuni ricoverati sipossono alterare anche per discussioni banali, co-me una sigaretta o un caffè non concessi. Solita-mente gli agenti sono molto bravi a gestire anchele situazioni più difficili».

Se aveste avuto un numero maggiore di agenti,il recente suicidio del 35enne eritreo si sarebbepotuto evitare?

«Non credo, perché il caso in questione è statoqualcosa che non era assolutamente prevedibile.Una maggiore concentrazione di forze non sa-rebbe servita, vista la repentinità del gesto. Delresto, in tanti casi, siamo riusciti a sventare moltialtri tentativi di suicidio, ma si cerca di dare me-no enfasi possibile a questi avvenimenti».

Avete mai paura durante il vostro lavoro?«Proprio paura no, ma qualche remora sicura-

mente. Si pensa sempre a cosa succederebbe sedovesse scoppiare una rissa. Ancora non è statoapprontato un corso specifico, da parte del Mini-stero, per formare gli agenti che operano all’in-terno dell’Opg. Chi lavora qui ha acquisito sulcampo le competenze specifiche».

Che caratteristiche deve avere l’agente che la-vora nell’Opg?

«Ci vogliono pazienza e molta capacità di sop-portazione. Naturalmente bisogna distingueretra chi è malato e chi invece ragiona e agire diconseguenza. Sicuramente è necessario trovareanche dei metodi per poter aiutare i ricoverati.Ad esempio, una volta abbiamo messo in scenadelle finte telefonate per un ristretto che si dispe-rava sempre perché la famiglia non lo cercavamai. Così qualcuno lo chiamava dall’interno,spacciandosi per un parente, e in questo modosiamo riusciti a renderlo felice. Può sembrare ri-dicolo, ma è servito».

R.B.

Un vuoto incolmabileIl 30 novembre scorso si è spenta la meravigliosa esistenza di una

grande persona: la dottoressa Carmen Salpietro.Era da anni la competentissima vicedirettrice sanitaria dell’Ospedale

Psichiatrico Giudiziario di Barcellona P.G.Il “Fiore” dell’istituto barcellonese (come l’aveva ribattezzata il diretto-

re) non c’è più e la sua assenza si è inesorabilmente tradotta in un vuo-to incolmabile, in una struggente nostalgia per la sua umanità, la suadisarmante bontà, la sua tolleranza, ma anche per quella inimitabile ca-pacità di lavorare “dalla parte dei pazienti” (sempre più numerosi e gra-vati da forme drammatiche di psicopatologia) sapientemente convoglian-do le molteplici competenze professionali che operano in una istituzionecosì complessa alla difficile ricerca del “conferimento di senso” a tante vi-te perdute, quelle dei malati dell’OPG i quali oggi piangono, insieme atutti noi, una perdita così dolorosa e si stringono al marito ed alle tre ma-gnifiche, amatissime figlie.

Addio indimenticabile amica!

Nunziante Rosania (Direttore dell’Opg)

Quel percorso al contrario della criminologa

Il latoOSCURO

della mentecosì i Pink Floydcantarono alla luna

La musica può raccontare molte cose: le nostre emozioni,il nostro sentire e perfino ciò che ci gira in testa. È capace,infatti, di unire in una melodia quelle note senza nome chesuonano nella nostra mente. Quante volte saremmo volutientrare nel mondo della pazzia, vedere come è fatto, cosac’è al suo interno. La musica ce ne ha dato la possibilità conDark Side Of The Moon, album degli inglesi Pink Floydpubblicato nel 1973. E così abbiamo visto l’altra faccia dellaluna, dove risiedono le ombre, in un viaggio musicale di 9canzoni unite dal suono di un battito cardiaco, sottofondo aogni brano, che apre e chiude il disco. Così prende vita ladelicata “Breath”, la sofferente “The Great Gig in the Sky”,l’ipnotica “Money”, la paranoica “Brain Damage” che recita:there is someone in my head but it’s not me (c’è qualcuno nellamia testa ma non sono io). Al centro di Dark Side Of TheMoon c’è l’uomo e la sua corsa verso la follia. Ed è proprioil tema trattato a rendere Dark Side Of The Moon un albumancora attuale a 39 anni dal suo primo vagito.

Alessandra Basile

MUSICA & FOLLIA

Tra carenza di personale e rischio di risse. Intervistaal comandante dellapolizia penitenziariadel carcere psichiatrico

“È una bomba ad orologeria”