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Anno XVII, Numero 1 - 2011 Periodico di informazione dell’Istituto Clinico Humanitas Istituto Clinico Humanitas - Periodico di informazione riser vato ai medici e agli operatori - Poste Italiane spa - Sped. abb. postale 45% Art. 1 comma 1 LO/MI In collaborazione con Donne e uomini: Donne e uomini: a ciascuno a ciascuno la sua cura la sua cura La Medicina di genere, una delle grandi sfide del secolo. Gerry Scotti per la Ricerca di Humanitas “Adotta” quattro ricercatori di talento.

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Anno XVII, Numero 1 - 2011Periodico di informazione dell’Istituto Clinico Humanitas

Istituto Clinico Humanitas - Periodico di informazione riservato ai medici e agli operatori - Poste Italiane spa - Sped. abb. postale 45% Art. 1 comma 1 LO/MI

In collaborazione con

Donnee uomini:Donne

e uomini:a ciascunoa ciascunola sua curala sua curaLa Medicina di genere, una delle grandisfide del secolo.

Gerry Scotti per la Ricerca di Humanitas“Adotta” quattro ricercatori di talento.

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Sommario

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N.1Anno XVII, Numero 1 - 2011Periodico di informazione dell’Istituto Clinico Humanitas

Istituto Clinico Humanitas - Periodico di informazione riservato ai medici e agli operatori - Poste Italiane spa - Sped. abb. postale 45% Art. 1 comma 1 LO/MI

In collaborazione con

Donnee uomini:Donne

e uomini:a ciascunoa ciascunola sua curala sua curaLa Medicina di genere, una delle grandisfide del secolo.

Gerry Scotti per la Ricerca di Humanitas“Adotta” quattro ricercatori di talento.

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Gerry Scottitestimonial di

Humanitas

ProgettoGaza,

medicina perla pace

Le relazionipericoloseobesità-cancro

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Insertospeciale

HumanitasCancerCenter

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Chirurgia avanzata per il tumore

al colon

Maggiori chance di cura e recuperi post-operatori più brevi. Vantaggi e progressi dellatecnica mini-invasiva.

intervista

Assassini naturali contro

i tumori. E non solo

È possibile utilizzare le cellule Natural Killer percombattere virus HIV e cancro, e prevenireinfezioni post-trapianto? Lo abbiamo chiesto adEric Vivier.

alla scoperta di....

Le relazioni pericolose tra

infiammazione e cancro

Perché il sistema immunitario invece dicombattere i tumori a volte li aiuta a crescere.

attualità

Progetto Gaza: dalla Medicina

una speranza di pace

Uguaglianza nelle cure, al di là di politica oreligione. E’ la filosofia di Eitan Kerem, che aGerusalemme assiste i bambini ebrei ed arabiaffetti da fibrosi cistica.

La sindrome delle nonne orfane

Perché perdere i genitori in età avanzata ètanto devastante da causare sintomi similiall’infarto.

take care

Contro l’ictus, un “ponte” lungo

4 anni

Un numero verde, incontri di prevenzione egruppi di Auto Mutuo Aiuto.

Le stelle di Ariel per le famiglie

con bambini disabili

La Fondazione Ariel presenta i nuovi volontariappositamente formati.

stili di vita

A tavola in salute

Il segreto per essere sempre in forma, evitandosovrappeso e obesità.

Calcio, troppi infortuni.

Ecco il perché

Gioco duro, struttura fisica pesante, partiteravvicinate cerano problemi ai calciatoriprofessionisti.

Mal di schiena “hi-tech”

Schiena KO per due milioni di persone,schiacciate dal peso della moda e dell’hi-tech.

primo piano

Donne e uomini: a ciascuno

la sua cura

Perché la Medicina di genere, che si fa carico didifferenze e problemi legati al sesso, è unadelle grandi sfide di questo secolo.

ricerca

Gerry Scotti per la Ricerca

di Humanitas

Testimonial dello spot TV della campagna del5x1000, adotta quattro ricercatori di talento.

Tra obesità, infiammazione e

cancro un legame pericoloso

Il sovrappeso è un fattore di rischio perl’insorgenza di molti tumori. Ecco perché.

Staminali, la cura del futuro

per il morbo di Crohn?

Sono promettenti i primi risultati di un nuovoapproccio terapeutico.

Cirrosi biliare primitiva: una

malattia rara o poco sospettata?

Una review sulla prestigiosa rivista scientificaLancet avanza un’ipotesi innovativa.

Tumori cerebrali, dalla ricerca

una via per bloccarne la crescita

La scoperta del ruolo di un mediatoredell’infiammazione nei glomi maligni apre lastrada a nuove terapie?

innovazione clinica

Arriva in Italia il cuore artificiale

cuore artificiale più piccolo al mondo

25 grammi di peso, grande come una pila mini-stilo, è stato impiantato con successo in unpaziente di 70 anni.

L’autotrapianto di isole

pancreatiche evita il diabete

Dalla collaborazione tra specialisti diversi distrutture differenti un intervento innovativo edelicato.

humanitas cancer center

Tumori: terapie su misura grazie

alla ricerca

Strumenti terapeutici e approcci innovativiconsentono importanti progressi contro ilcancro.

Polmone, il big killer si combatte

su più fronti

La prevenzione rimane l’arma fondamentale. E iprogressi delle terapie chirurgiche e medicheaprono nuove speranze.

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La ricerca medica offre l’opportunità di comprendere sempremeglio come le malattie possono variare in base alledifferenze biologiche o all’influenza dei fattori ambientali epsico-sociali sull’individuo. Conoscenze fondamentaliper costruire una medicina sempre più personalizzata.

Uno dei primi passi verso una medicina a misuradi individuo è comprendere come le malattiepossano avere sviluppi e caratteristiche diverse

nell’uomo e nella donna. Questo approccio viene definito“Medicina di genere” e si pone l’obiettivo di considerareapprofonditamente queste differenze e adottare, di con-seguenza, diverse strategie terapeutiche. “Esiste un aumento del rischio di contrarre alcune ma-lattie che è associato al sesso di appartenenza – spiegail professor Alberto Mantovani, Direttore Scientificodi Humanitas e docente dell’Università degli Studi diMilano -. Un caso paradigmatico per la Medicina di ge-nere è rappresentato dalle malattie autoimmuni che col-piscono maggiormente l’universo femminile. Ad esem-pio, l’artrite reumatoide è sei volte più frequente nelledonne, il lupus eritematoso sistemico lo è nove volte,mentre c’è una malattia infiammatoria delle vie biliari,la colangite, che ha un rapporto di venti a uno”. Inoltre,queste malattie riguardano prevalentemente donnegiovani che, quindi, si trovano a dover convivere perlungo tempo con i sintomi e le conseguenze di patolo-gie gravi che spesso possono incidere profondamentesulla loro esistenza. “In questi casi una delle difficoltàpiù comuni è quella di avere o di riuscire a portareavanti una gravidanza, come accade nella sindrome daanticorpi antifosfolipidi che provoca aborti spontanei.Fino a quando non è stato possibile comprendere ilmeccanismo alla base del problema, questi casi resta-

vano senza una spiegazionee senza una soluzione. Og-gi la ricerca consente diidentificare alcune cause diperdita fetale da malattieautoimmuni e di affrontar-le”. Gli studi scientifici pos-sono aiutarci ad evidenzia-re subdole differenze di ge-nere anche in patologie chehanno la stessa incidenzanegli uomini e nelle donne.

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Perché la Medicina di genere, che si fa carico di differenze e problemilegati al sesso, è una delle grandi sfide di questo secolo.

Donne e uomini: a ciascuno la sua curaDonne e uomini: a ciascuno la sua cura

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Nel caso delle malattie infiammatorie intestinali, adesempio, i farmaci anti-TNF utilizzati per contrastarle,per quanto efficaci, hanno effetti collaterali specificinelle donne.

UNA SFIDA ANCHE CULTURALELa ricerca ci ha aiutato a identificare alcune importantidifferenze biologiche tra i generi, ma c’è ancora moltoda scoprire per comprendere a fondo i meccanismi chesono legati a queste diversità. E’ una delle sfide dellaMedicina di genere.“C’è una considerazione di tipo culturale da fare, in par-ticolare su scala globale - aggiunge Alberto Mantovani-. I dati dimostrano, infatti, che l’universo femminileporta un carico di malattia sproporzionato, rispetto aquello della controparte maschile. Ci sono, cioè, Paesiin cui la salute delle donne passa in secondo piano ri-spetto a quella degli uomini. In alcune realtà, ad esem-pio, le donne non sono vaccinate o, comunque, hannopiù difficoltà ad accedere alle cure. In generale, dun-que, sono svantaggiate. In questo senso, la Medicina digenere rappresenta un’importante spinta verso un at-teggiamento più attento all’individuo”. Uno degli obiettivi della Medicina di genere, quindi, èsviluppare terapie sempre più disegnate sulle caratteri-stiche individuali del paziente. Questo approccio, abbi-nato alla farmacogenomica che considera l’influenzadei fattori genetici, costituisce una delle frontiere dellaMedicina contemporanea. “Sono convinto che con l’aiu-

to della genetica e della tecnologia e, soprattutto, conl’integrazione continua fra ricerca e clinica potremo ot-tenere risultati eccellenti - conclude il professor Manto-vani -. Un simile approccio dovrebbe essere trasmessosin dall’Università. Proprio in quest’ottica, in Humani-tas, assieme all’Università degli Studi di Milano, abbia-mo attivato l’International Medical School, un Corso diLaurea internazionale in Medicina e Chirurgia cui par-tecipano studenti italiani e stranieri e, soprattutto, do-centi che portano esperienze e competenze di altissimolivello provenienti da ogni parte del mondo. Ritengofondamentale che ai futuri medici venga trasmessa que-sta prospettiva più globale, arricchita da un dialogomultidirezionale tra ricercatori, medici e pazienti. Sitratta di strumenti che dovrebbero far parte del corre-do genetico della professione medica”.

CURARE CONSIDERANDO LE DIVERSITÀLe conoscenze scientifiche di cui oggi disponiamo per-mettono al medico di interpretare in maniera semprepiù precisa il quadro clinico complessivo del paziente,tenendo conto delle sue peculiarità e dell’importanzadell’interazione tra diversi fattori biologici, psicologici eambientali. “Oggi possiamo valutare in modo più approfondito lecaratteristiche del paziente, a fini sia diagnostici sia te-rapeutici - spiega il professor Mauro Podda, Respon-sabile del Dipartimento di Medicina Interna di Huma-nitas - e questo è un aspetto fondamentale della praticaclinica quotidiana. Tra gli aspetti da considerare, in pri-ma istanza, ci sono sicuramente le differenze biologi-che e genetiche che esistono tra uomini e donne. Da unlato, è importante valutarle ma, dall’altro, non bisognalasciarsi fuorviare dalla diversa frequenza delle malat-tie tra un genere e l’altro”. Davanti a determinati sinto-mi, infatti, può accadere che il medico tenda a sovra-diagnosticare le patologie che colpiscono più spesso il

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LE MALATTIE AUTOIMMUNIartrite reumatoide6 volte più frequente nelle donne

lupus eritematoso sistemico9 volte più frequente nelle donne

colangite20 volte più frequente nelle donne

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sesso di appartenenza del paziente oppure, all’opposto,a sottovalutare, ritardando quindi la diagnosi, quelleche sono invece più rare. “Ad esempio, nel caso di unuomo di mezza età iperteso e stressato che accusa undolore al petto - prosegue il professor Podda - si è piùinclini a pensare che si possa trattare di una patologiacardiovascolare, rispetto a quanto accadrebbe se la pa-ziente fosse una donna. Se statisticamente è vero, biso-gna considerare che anche le donne giovani, sebbenepiù raramente, possono essere soggette a cardiopatiecon manifestazioni anche gravi. La stessa situazione sipuò ripetere in modo simmetrico nel caso di alcune pa-tologie autoimmuni che sono nettamente prevalenti nel-le donne e la cui diagnosi, per questo, può essere trascu-rata, in un primo momento, se il paziente è un uomo”.Un altro aspetto essenziale nella valutazione del pazien-te è l’interazione delle sue caratteristiche biologichecon i fattori ambientali e psicologici. “Esistono condi-zioni particolari, come il colon irritabile - precisa Mau-ro Podda - che si manifestano con sintomi importantiche hanno una ricaduta sullo stile di vita del paziente,ma che non sono causate da un’alterazione organica. InMedicina si definiscono ‘sindromi somatiche funziona-li’ e sono predominanti nell’universo femminile. Altriesempi di questo genere possono essere la fibromial-gia e la sindrome da fatica cronica”. In queste manife-

stazioni c’è sicuramente un im-portante aspetto psicologicoche ha a che fare con l’intera-zione dell’individuo con l’am-biente. “La donna, probabil-mente per ragioni psico-socia-li, tende a sentire un carico ec-cessivo di responsabilità in al-cune fasi della sua esistenza -prosegue Podda -. Si tratta difenomeni molto diffusi, diffici-li da misurare e da affrontare,che però si manifestano in ma-niera evidente. E sono estre-mamente frustranti per il pa-ziente, anche perché non ri-esce ad avere una definizionesoddisfacente della diagnosi edelle cause. In questi casi, unarelazione positiva tra medico e

paziente può essere già di per sé un elemento di sollie-vo. Anche davanti a una condizione che non ha originiorganiche, è fondamentale che il paziente si sentaascoltato, rassicurato e che trovi un valido aiuto per al-leviare i suoi sintomi. Questo approccio è particolar-mente apprezzato dalle donne che, per natura, sono piùemotive e sensibili”.

L’IMPORTANZA DEL RAPPORTO DI FIDUCIA TRAMEDICO E PAZIENTELa capacità relazionale ed empatica del medico può es-sere uno strumento importante anche nella Medicinadi genere. “È fondamentale tener conto del diverso at-teggiamento maschile e femminile, di fronte ad un pro-blema di salute - chiarisce il professor Podda -. Tenden-zialmente, gli uomini sono più riluttanti ad accettareuna malattia e a descriverne i sintomi. Fanno, inoltre,più fatica a seguire eventuali proposte terapeutiche. Ledonne, da questo punto di vista, in genere sono più col-laborative e più esplicite nel raccontare i loro problemi.Si informano meglio sulla loro condizione e sono piùdisposte ad adeguarsi alle cure”. L’approccio della Me-dicina di genere richiede anche una riflessione sull’or-ganizzazione degli spazi nelle strutture ospedaliere, co-me spiega Mauro Podda, che conclude: “La riservatez-za è una garanzia fondamentale per il paziente. Per que-sto, è importantissimo che negli ospedali esistano spaziadeguati, dove possa raccontare la sua storia clinicacon la massima serenità possibile, soprattutto quandosi tratta di patologie particolarmente delicate dal puntodi vista psicologico. In questo senso, sono avvantaggia-ti ospedali come il nostro, che nascono già con unastruttura logistica molto moderna, concepita mettendoal primo posto le necessità dei pazienti. In generale, og-gi c’è molta più attenzione di un tempo a tutti gli aspettidella scienza medica che ci aiutano a personalizzare ladiagnosi e la cura. Si tratta di un approccio che ormai faparte integrante del percorso formativo di un medicosin dai primi anni di Università”

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Direttore scientifico diHumanitas dal 2005,Alberto Mantovaniè professore diPatologia Generalepresso la Facoltà diMedicina e Chirurgiadell'Università degliStudi di Milano. Per lasua attività di ricercaha ricevuto diversipremi nazionali einternazionali.

Mauro Podda, inHumanitas dal 2008, ècoordinatore delDipartimento diMedicina Internadell’ospedale eresponsabile dell’UnitàOperativa di ClinicaMedica.

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“Humanitas, tutti meritano le migliori cure delmondo” è lo slogan della campagna realizzata daFondazione Humanitas per la Ricerca in occasio-

ne del 5x1000, con l’obiettivo di raccogliere fondi da met-tere a disposizione della ricerca. Una campagna nazio-nale -realizzata con l’aiuto di una delle più importanti agenziepubblicitarie italiane, M&C Saatchi -

apparsa giornali, in tv, nelle strade, negli aeroporti, nel-le stazioni del nostro Paese, senza di-

menticare la comunità di pazienti degliospedali Humanitas e il web, con il nuo-vo sito www.iomerito.it.Testimonial d’eccezione e protagonistadello spot televisivo, Gerry Scotti.“Ho deciso di aderire a questa campa-

gna - spiega Gerry Scotti - perché sono

convinto sia importante soste-nere la Ricerca con un gesto

semplice ma importante come la fir-ma per il 5x1000. E ho scelto FondazioneHumanitas per la Ricerca perché credo ne-

gli studi e nei progetti che porta avanti”.

GERRY SCOTTI ADOTTA QUATTRORICERCATORI

L’impegno per la Ricerca non si esaurisce nello spot perGerry Scotti, che ha rinunciato al compenso pattuito edha aderito alla proposta della Fondazione “adottando”quattro giovani scienziati di talento. Grazie agli assegnidi ricerca messi a loro disposizione per un anno dal pre-sentatore, Giovanna Finocchiaro, Enrico Lugli, Fe-

Gerry ScottiGerry Scotti

RicercaRicercaHumanitasHumanitas

scende in campoper la di

6 Humanitas - N. 1/2011

Alcune immagini scattate sul set dello spot televisivo. Si ringrazia per la collaborazione lo staff di Gerry Scotti: Loretta Bottioni, Loredana Sangalli, Marilù Mancini e Monica Sparacia.

Testimonial d’eccezione nello spot TV della campagna del 5x1000 di M&C Saatchi a favoredi Fondazione Humanitas per la Ricerca, il presentatore ha adottato quattro scienziati di talento per sostenerne gli studi per la cura del cancro.

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La cerimonia di consegna degli assegni di ricerca si è svolta il 18 maggiopresso il Centro di Ricerca di Humanitas, in un auditorium gremito digiovani medici e ricercatori.

derica Marchesi e Luca Toschi potranno approfondi-re i loro studi in un settore delicato e importante comela lotta al cancro.Coerentemente con lo spirito che anima FondazioneHumanitas per la Ricerca, i progetti di ricerca sostenutiprevedono uno stretto legame fra laboratorio e attivitàclinica, in una logica di ricerca “traslazionale” che con-sente di trasferire i risultati degli studi al letto del pa-ziente. “La generosità di Gerry Scotti - afferma il pro-fessor Alberto Mantovani, Presidente di FondazioneHumanitas per la Ricerca - contribuisce a far rientrare etrattenere nel nostro Paese quattro giovaniche hanno effettuato importanti esperienzeall’estero. I loro progetti di ricerca affrontanosfide fondamentali per l’Oncolo-gia: migliorare la qualità delle cu-re con terapie antitumorali sem-pre più mirate e sfruttare le no-stre difese naturali contro big kil-ler come il tumore del pancreas e del polmone.Non solo. Gesti come quello di Gerry Scotti hanno an-che un significato più ampio: dare agli scienziati la sen-sazione che, nonostante gli scarsi investimenti pubblici,le persone comprendono l’importanza strategica dellaricerca scientifica. Per la cura dei pazienti, per il futurodei nostri giovani e, più in generale, del nostro Paese”.“La ricerca è fondamentale per migliorare la qualità e irisultati delle cure nel settore della lotta contro il can-cro - ha spiegato il dottor Armando Santoro, Diretto-re di Humanitas Cancer Center -. Una sfida, oggi, sem-pre più internazionale. Valorizzare giovani medici e ri-cercatori che portano avanti progetti di ricerca innova-

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e ricercatori di Humanitas si prendono cura dei malati. Fondazione Humanitas per la Ricerca è oggi un riferi-mento internazionale per migliorare la diagnosi e la te-rapia di numerose patologie oncologiche, cardiovasco-lari, gastrointestinali ed autoimmuni, e si impegna quo-tidianamente affinché le conquiste di laboratorio diven-tino cure. Con la nostra Ricerca e il sostegno dei cittadi-ni potremo continuare ad offrire ai nostri pazienti le mi-gliori cure del mondo”.La campagna di Humanitas invita tutti a condividere epartecipare. Perché se tutti meritano le migliori curedel mondo, le migliori cure del mondo meritano il so-

stegno di tutti.

tiva, clinica e di base, e che hanno effettuato proficueesperienze di lavoro anche all’estero è dunque fonda-mentale per rafforzare le collaborazioni con i centri piùqualificati di tutto il mondo”.

LO SPIRITO DELLA CAMPAGNALa campagna vive in un mondo stilizzato, ricco di riferi-menti e colori positivi, all’interno del quale spicca la frase“IO MERITO”, che diventa la voce di ognuno di noi.Stampa, televisione e web sono i media scelti per diffon-dere il messaggio. Su web portano avanti la campagnabanner, social network (Facebook, Twitter e YouTube) eil minisito dedicato iomerito.it, che sintetizza il credo del-la campagna e lo racconta attraverso i traguardi che Hu-manitas vuole raggiungere grazie alla raccolta del 5x1000e le storie di chi vive questi progetti in prima persona. “Humanitas, tutti meritano le migliori cure del mondo -spiega Alberto Mantovani - esprime l’impegno quoti-diano, la tensione al miglioramento, la passione e lacompetenza con cui da quindici anni medici, infermieri

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IOMERITO.IT IL LATO WEBDELLA CAMPAGNA

Per la campagna 5x1000 è stato realizzato e lanciato il sito web iomerito.it. Un

sito che illustra mission e attività di Fondazione Humanitas per la Ricerca, oltre alle

storie dei nostri ricercatori, ed è all’insegna dell’interattività con gli utenti.

Iomerito.it è infatti aperto ai commenti dei navigatori, che in una sezione a loro dedicata possono

lasciare il proprio commento sui motivi per cui “meritano”. E ritrovare poi il proprio messaggio

sull’home-page del sito.

Non solo. Il sito offre la possibilità di inviare ad un amico una cartolina grafica con tutte le informazioni sulla

campagna 5x1000, codice fiscale compreso, o di spedire direttamente al proprio commercialista tutte le

informazioni da inserire sulla dichiarazione dei redditi per destinare il 5x1000 alla Fondazione.

Contestualmente al lancio del nuovo sito, la campagna Io Merito si è anche aperta ai Social Network.

Un’applicazione su Facebook consente di mettere il fumetto che caratterizza la campagna sulle

proprie foto e di pubblicarle sulla pagina “Io Merito”, oltre che sul proprio profilo, in modo tale

da condividerle con i propri amici. E’ stato inoltre aperto un canale su Youtube in cui sarà

visibile lo spot che vede Gerry Scotti come testimonial d’eccezione, ed un canale

di Twitter dove gli utenti possono scrivere perché

“meritano” e condividere con gli altri i propri

commenti.

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La buona qualità di vita incomincia a tavola. Ciòche mangiamo è infatti importante per la nostrasalute. Così come lo è soprattutto non eccedere

con il cibo: tutti i dati indicano che mangiare troppo - inparticolare alcuni alimenti quali carni rosse, grassi sa-turi, alcol - è dannoso per il nostro organismo. Il sovrappeso, infatti, costituisce un fattore di rischioper l’insorgenza di numerose malattie, fra cui il cancro,perché il tessuto adiposo è qualcosa di più di un sempli-ce deposito di grasso.

IL RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE“Da tempo - spiega Massimo Locati, capo del Laborato-rio di Biologia dei Leucociti di Humanitas e professoredell’Università degli Studi di Milano, sappiamo che il

grasso è sorgente di ormo-ni, dai quali alcuni tumori,

ad esempio quello dellamammella, sono fortemente

influenzati. Ciò pe-rò non vale pertutti i tipi di can-

cro. Tuttavia oggi, grazieai progressi della ricerca,sappiamo che all’interno del

tessuto adiposo sono pre-senti anche molte cellule

del sistema immunitario, eche il loro numero è di molto aumentato nel tessutoadiposo dei soggetti obesi. Fra queste, in particolare, imacrofagi, che per motivi che solo in parte cominciamoora a comprendere, producono mediatori di infiamma-zione che si ritiene abbiano un ruolo importante nello

sviluppo di alcune patologie legate all’eccesso di cibo,fra cui il diabete adulto, le malattie cardiovascolari e, ap-punto, il cancro”.

L’AIUTO DELLA TECNOLOGIA GENOMICALa connessione tra dieta squilibrata e sovrappeso eun aumentato rischio di sviluppo di tumore è emer-sa in larga misura grazie alle ricerche ef fettuatecon tecnologie genomiche e post-genomiche. “Gra-zie ad un programma di studio sostenuto da AIRC,basato sull’utilizzo di strumentazioni genomiche -prosegue Locati - siamo riusciti a scoprire questaconnessione osservando i geni attivi e inattivi (unasorta di lampadine accese o spente) in vari tipi ditumore e nelle cellule del sistema immunitario chesono presenti al loro interno. Crediamo che questenuove conoscenze possano aprire nuovi scenari nel-l'ambito delle terapie antitumorali. Inoltre, da tuttociò emerge chiaramente come una dieta corretta eche aiuti a mantenere un peso ideale debba essereconsiderata un valido aiuto per proteggerci dai tu-mori, oltre che da altre malattie tipiche del mondoricco”. Fondamentale quindi un’alimentazione equilibrata,che comprenda il consumo di molta frutta e verdura ebilanciata tra i vari tipi di alimenti al fine di garantireall’organismo l’adeguato introito di zuccheri, proteinee lipidi. H

Da tempo sappiamo che il sovrappeso è un fattore di rischio per l’insorgenza di molti tipi di tumore. Oggi, grazie a studi condotti con tecniche genomiche, sostenuti da AIRC,sappiamo anche il perché.

Tra obesità, infiammazionee cancro un legame pericoloso

Professore Associatopresso l’Istituto diPatologia Generaledell’Università diMilano, MassimoLocati ha contribuitoalla identificazione dinuove chemochine edei loro recettori.

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Il trapianto di cellule staminali mesenchimali può es-sere considerato un nuovo e promettente approccioper la cura delle malattie infiammatorie croniche del-

l’intestino (IBD), in particolare per il morbo di Crohn?Scoprirlo è l’obiettivo degli studi effettuati da Silvio Da-nese, Emanuela Sala e Stefania Vetrano, del Centroper la ricerca e la cura delle malattie infiammatorie croni-che intestinali, attivo nell’ambito del Dipartimento di Ga-stroenterologia dell’Istituto clinico Humanitas, direttodal professor Alberto Malesci. Il dottor Danese spiega idettagli dei risultati ottenuti fino ad ora in laboratorio.

PERCHÉ LE CELLULE STAMINALI“Stiamo parlando di cellule staminali mesenchimali -spiega Silvio Danese - ossia cellule staminali adulte pre-senti in molti tessuti del nostro organismo. Il midollo os-seo rappresenta una delle fonti più accessibili e più ric-che di queste cellule che, una volta isolate, possono es-sere cresciute in laboratorio mantenendo la loro capaci-tà di differenziarsi in una varietà di tessuti, come quelloosseo, quello nervoso, quello adiposo e i muscoli.Oltre alla loro capacità di rigenerare un tessuto danneg-giato, le cellule staminali mesenchimali svolgono anchealtre importanti funzioni: regolano la formazione dellecellule del sangue, producono sostanze in grado di con-tribuire alla guarigione di una ferita e controllano, intera-

gendo con le cellule del sistema immunitario, i processiinfiammatori. Sono pertanto considerate cellule immu-noregolatorie. In presenza di un processo infiammatoriole cellule staminali mesenchimali migrano nel tessuto in-fiammato modulando o bloccando la risposta immunita-ria e contribuendo al riparo del tessuto danneggiato. Talieffetti immunoregolatori si osservano esclusivamente lo-calmente nei tessuti ‘danneggiati’ o infiammati, ma nonin quelli in condizioni normali. Questa osservazione met-te in risalto un’importante proprietà delle cellule stami-nali mesenchimali: la capacità di svolgere un’attività im-munoregolatoria solo quando c’è bisogno, senza alterarela normale e fisiologica risposta immunitaria del nostroorganismo nei confronti di agenti estranei”.

I risultati del Centro per la ricerca e la cura delle malattie infiammatorie croniche intestinalisu un nuovo possibile approccio terapeutico.

Staminali,Staminali,morbo di Crohn?morbo di Crohn?

la cura del futuroper il

LE CELLULE STAMINALI MESENCHIMALICOSA SONO

cellule staminali adulte presenti in molti tessuti del nostro organismo

CARATTERISTICHE E FUNZIONI

sono cellule immunoregolatore in grado di:

� rigenerare un tessuto danneggiato

� regolare la formazione delle cellule del sangue

� produrre sostanze in grado di contribuire alla guarigione di una ferita

� controllare i processi infiammatori

Il dottor SilvioDanese, medico ericercatore, inHumanitas èresponsabile delCentro per le malattieinfiammatorie cronicheintestinali e dirige ilLaboratorio diImmunopatologiaGastrointestinale.

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N. 1/2011 - Humanitas 11

LE POSSIBILI APPLICAZIONI TERAPEUTICHE Per molti anni l’unica terapia in grado di bloccare un’ec-cessiva risposta immunitaria è stata quella a base di ste-roidi, con importanti complicazioni sullo stato immuno-logico del paziente. “Le cellule staminali mesenchimali- prosegue il dottor Danese - rappresentano in tale con-testo un grande passo avanti per la cura di malattie in-fiammatorie come le IBD, perché eviterebbero un’im-munosoppressione del paziente. Inoltre le cellule sta-minali mesenchimali sono naturalmente ‘immunoprivi-legiate’: significa che vengono riconosciute e tolleratedal sistema immunitario del paziente senza provocare ilfenomeno del rigetto. Pertanto il trapianto di cellulestaminali mesenchimali non richiederebbe terapie pre-ventive a base di farmaci immunosoppressori, evitandocosì molte complicanze per i pazienti”.Inoltre, queste cellule hanno altre peculiarità importan-ti. “Più di quanto ci aspettassimo all’inizio - precisa Da-nese -. Tornando ad un aspetto prettamente biologico,la capacità di queste cellule di migrare esclusivamenteverso i siti infiammati le rende uniche. Ciò riveste unaspetto molto importante anche da un punto di vista te-rapeutico perché non richiederebbe una somministra-zione specifica nel tessuto danneggiato, operazione chein alcuni casi sarebbe quasi impossibile o troppo invasi-va, ma sarebbe sufficiente una semplice somministra-zione endovenosa. Anche per questo il trapianto di cel-lule staminali mesenchimali rappresenta un nuovo pro-mettente approccio terapeutico per molte patologie. Ilnostro laboratorio da tre anni è impegnato a studiarel’efficacia terapeutica di queste cellule nella cura delleIBD. Inizialmente i nostri sforzi si sono concentrati suimeccanismi di richiamo delle cellule staminali mesen-chimali nell’intestino infiammato, con lo scopo di riusci-re a potenziare l’attività di queste cellule nella zona dilesione e di favorire velocemente lo spegnimento del-l’infiammazione intestinale. Durante tale studio abbia-mo però scoperto con molto stupore che in laboratorio

le cellule staminali mesenchimali sono in grado di spe-gnere l’infiammazione intestinale senza la necessità dimigrare nell’intestino”.

OBIETTIVO: CHIARIRE I MECCANISMI D’AZIONEL‘efficacia terapeutica di queste cellule, quindi, sarebbeindipendente dalla loro capacità di migrare dove c’è l’in-fiammazione. E sembra esserlo anche nel caso specificodella colite. Spiega ancora il dottor Danese: “Il trapiantodi cellule staminali mesenchimali bloccate in microcap-sule, che ne favorivano la vitalità ma impedivano loro dimigrare, ha comunque favorito lo spegnimento dell’in-fiammazione intestinale, anche quando le cellule stami-nali mesenchimali sono state trapiantate in un punto di-stante dal sito di lesione. Questo nostro studio confer-ma l’enorme potenzialità terapeutica delle cellule stami-nali mesenchimali, ma mette in discussione ancora unavolta i meccanismi alla base di tale efficacia.La nostra ipotesi, dunque, è che le cellule intestinali in-fiammate rilascino dei fattori in grado di avvertire an-che a distanza del processo infiammatorio in corso lecellule staminali mesenchimali, le quali risponderebbe-ro producendo a loro volta altri fattori solubili con azio-ne immunomodulatoria. Le nostre ricerche si stannocosì attualmente concentrando proprio sui fattori solu-bili secreti dalle cellule staminali mesenchimali, chepotrebbero essere responsabili, almeno in parte, del-l’efficacia terapeutica osservata. Una volta chiarito ilmeccanismo d’azione di queste cellule nella colite spe-rimentale, saremo pronti a trasferire in campo clinico leconoscenze acquisite”. H

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12 Humanitas - N. 1/2011

Artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico,sclerosi multipla: le malattie autoimmuni rap-presentano un grave problema sociale: nel

mondo occidentale sono la terza categoria di patologiepiù comune dopo il cancro e le malattie cardiovascolari.“Sono causate dal sistema immunitario che aggredisceil proprio organismo anziché difenderlo - spiega il dot-tor Carlo Selmi, medico-ricercatore di Humanitas, re-sponsabile del Laboratorio di Autoimmunità e Metabo-lismo dell’Istituto e ricercatore dell’Università degliStudi di Milano -. Non riconoscendo più alcune celluleo componenti dei tessuti, le attacca e le distrugge. Ilperché di questa auto-lesione è ancora sconosciuto.Tuttavia, la maggior comprensione dei meccanismi concui avviene quest’aggressione ha portato importantiprogressi nella diagnosi (spesso queste malattie com-paiono in modo subdolo, provocando danni irreversibi-li prima di essere riconosciute) e nella terapia delle pa-tologie autoimmuni. Fondamentale, quindi, proseguirela ricerca scientifica in questa direzione”.La storia ha dimostrato come, spesso, patologie pocofrequenti possano, per le loro caratteristiche, offrirespunti utili per capire e affrontare malattie più comuni.Un prototipo e buon esempio di questo per le malattieautoimmuni è rappresentato dalla cirrosi biliare primiti-va, malattia cronica autoimmune del fegato che colpisceil sesso femminile dieci volte di più di quello maschile.Danneggia le vie biliari (rendendo difficoltoso il drenag-gio della bile dal fegato nell’intestino) e può portare acirrosi fino al trapianto d’organo o alla morte. E’ consi-derata una malattia rara che affligge una persona su2.500. Ma una review appena pubblicata sulla prestigiosarivista scientifica Lancet, che mostra lo stato dell’artedella gestione clinica di questa patologia, avanza l’ipote-si che sia più che altro una malattia raramente sospetta-ta e cercata, clinicamente, perché poco sintomatica finoagli stadi più avanzati. I dati di incidenza e prevalenza so-no infatti più bassi rispetto al riscontro nel sangue di au-to-anticorpi tipici della malattia (i cosiddetti marcatoridiagnostici) che avviene in pocomeno dell’1% della popolazione.Allo stesso modo ed al contrariodi malattie a prevalenza maschilequali quelle coronariche, si avan-za l’ipotesi che la cirrosi biliareprimitiva colpisca in oltre 9 casisu 10 le donne in quanto poco so-spettata negli uomini. Autori del-

la review, oltre a Carlo Selmi, l’australiano Ross Coppele due californiani, Chris Bowlus ed Eric Gershwin.“La cirrosi biliare primitiva - prosegue il dottor Selmi,che in Humanitas svolge attività clinica nell’ambito del-l’Unità Operativa di Clinica Medica diretta dal professorMauro Podda - ha anche aperto il capitolo delle indagi-ni genetiche nelle malattie autoimmuni. Numerosi datiinducono a pensare che lo sviluppo di queste patologiesia legato ad una predisposizione genetica su cui agisco-no fattori ambientali scatenanti (microbi, agenti chimi-ci,…). Il rapido progresso delle tecnologie genomiche,che ha notevolmente migliorato la capacità di sequenzia-re il genoma umano, offre oggi un supporto fondamen-tale per analizzare il ruolo della genetica in queste malat-tie. Un recente studio ha dimostrato in particolare il le-game tra la cirrosi biliare primitiva e alcune regioni ge-netiche, aprendo la strada allo sviluppo di nuove terapie

mirate a spegnere o modulare i prodotti di que-sti geni”. Inoltre, dai primi studi Gwas (Geno-me wide association studies, di associazione ge-netica dell’intero genoma) è emerso che esi-stono regioni genetiche associate a più malat-tie autoimmuni. Alcuni gruppi di ricerca attiviin Humanitas stanno ora contribuendo a ricer-che mirate ad identificare le varianti genetichealla base dell’autoimmunità in generale. H

Una review sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet avanza l’ipotesi che sia più che altro unamalattia raramente sospettata, dal punto di vista clilnico, perché poco sintomatica fino agli stadipiù avanzati.

Cirrosi biliare primitiva, una malattia rara o poco sospettata?

Carlo Selmi èspecializzato inMalattie del Fegato edel Ricambio. InHumanitas dal 2008,svolge attività siaclinica sia di ricerca,rivolta principalmenteallo studio dellemalattie autoimmunied infiammatoriecroniche.

TUTTI I NUMERI

Colpisce 1 persona ogni 2500

9 casi 10 sono donne

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Si chiama fractalchina, è una chemochina espressadai gliomi maligni (i tumori primitivi del sistemanervoso centrale) e può rappresentare un impor-

tante elemento della ricerca su tali patologie. Su questamolecola si concentra uno studio pubblicato di recentesullo European Journal of Cancer e svolto dall’Unità Ope-rativa di Neurochirurgia dell’Istituto Clinico Humanitasin collaborazione con il Laboratorio di Immunologia Im-munologia cellulare dell’ospedale e con il laboratorio del-l’Ifom Ieo diretto della profesoressa Giuliana Pellicci. “L’argomento dei tumori cerebrali è molto complesso edibattuto e la ricerca di base assume un’importanza fon-damentale nel cercare nuove strategie terapeutiche - spie-ga il dottor Paolo Gaetani, specialista dell’Unità Operati-va di Neurochirurgia -, anche se purtroppo i progressi daregistrare negli ultimi 20-30 anni sul fronte della sopravvi-venza non sono molti. In questo ambito abbiamo però in-dividuato un mediatore chimico dell’infiammazione, unachemochina che si chiama fractalchina. Potrebbe rappre-sentare un importante target per nuove terapie, che cer-chino di influenzare l’ambito del tumore in modo, se nonda impedirne la nascita, almeno da rallentarne o bloccar-ne la crescita. È stato infatti riscontrato che i gliomi mali-gni esprimono appunto la fractalchina, e più questo me-diatore dell’infiammazione è presente, più sono gravi.

Non solo: la molecola si trova nelle cellule staminali deltumore, cioè all’origine della neoplasia stessa. Significache alcuni farmaci potrebbero, colpendo la fractalchi-na, essere efficaci nella cura dei tumori cerebrali, bloc-cando lo sviluppo della malattia”.

LA FRACTALCHINA, UNA “PAROLA”DELL’INFIAMMAZIONELe chemochine sono vere e propri “parole” con cui il si-stema immunitario comunica. Sono infatti in grado difar partire la risposta infiammatoria richiamando i glo-

buli bianchi nel luogo, nel momento e nella quantitàgiuste. “La fractalchina è una chemochina molto parti-colare - aggiunge la dottoressa Paola Allavena, re-sponsabile del Laboratorio di Immunologia cellulare inHumanitas - ed è meno studiata di altre, anche in rela-zione ai tumori. Su di essa ci siamo concentrati proprio riguardo ai glio-bastomi. Quando abbiamo riscontrato che i gliomi peg-giori esprimevano più fractalchina, abbiamo capito cheil legame era molto forte, e in senso infausto. Il collega-mento è stato possibile anche grazie al laboratorio del-la professoressa Pellicci, che dispone di un sistemamolto efficace per isolare dalle porzioni tumorali i pro-genitori, cioè le cosiddette cancer stem cell o tumor ini-tiating cell. Si tratta di cellule con capacità generativa,che fanno proliferare la neoplasia, e la fractalchina èpresente già in esse. La chemochina ha quindi un ruolomolto importante in questo meccanismo”.

Tumori cerebrali, dalla ricerca una via per bloccarne la crescita

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La scoperta del ruolo svolto da un mediatore dell’infiammazione nei glomi maligni potrebbeaprire la strada a nuove terapie. Lo studio è stato svolto da Humanitas in collaborazione con Ifom.

UN NUOVO TEAM DI NEUROCHIRURGIADal 2 maggio in Humanitas un gruppo di neurochirurghi provenienti

dall’ospedale Galeazzi e dal Policlinico di Milano, guidati dal dottor

Maurizio Fornari: Giovanni Battista Lasio, Lorenzo Bello, Andrea Cardia,

Francesco Costa, Enrica Maria Fava, Alessandro Ortolina. La nuova squadra,

che si aggiunge al team dell’Unità Operativa di Neurochirurgia già presente

in Humanitas, si occupa di chirurgia cranica, base-cranica endoscopica,

cranica oncologica, spinale, neuro vascolare e funzionale.

In Humanitas dal 1997,Paolo Gaetani ècapo-sezione diNeurotraumatologianell’ambito dell’UnitàOperativa diNeurochirurgia.

Paola Allavena inHumanitas èresponsabile delLaboratorio diImmunologia cellulare.

N. 2/2010 - Humanitas 13

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Giuseppe ha 70 anni e nel suo petto batte il “cuoreartificiale” più piccolo al mondo. 25 grammi dipeso, grande come una pila mini-stilo, è stato im-

piantato con successo per la prima volta in Italia dall’é-quipe guidata dal dottor Ettore Vitali, responsabile delDipartimento Cardiovascolare dell’Istituto Clinico Hu-manitas, con un intervento mini-invasivo in minitoraco-tomia sinistra. L’operazione è stata eseguita tre mesi fae oggi il paziente sta bene.Questo micro-cuore high-tech, Synergy Circulite, rap-presenta l’ultima evoluzione dei sistemi di assistenzaventricolare (VAD), macchine capaci di sostituire inparte o completamente il lavoro del cuore ammalato. Irisultati della prima esperienza italiana sono stati pre-sentati nel corso del V convegno nazionale di Ecocar-diochirurgia, che ha riunito a Milano dal 23 al 25 marzoalcuni tra i più importanti esperti del settore cardiova-scolare. Direttori dell’evento scientifico il dottor Anto-nio Mantero e dal dottor Giuseppe Tarelli, presiden-ti il dottor Ettore Vitali e il dottor Cesare Fiorentini.

L’ULTIMA CONQUISTA DELLA RICERCAIl micro-cuore rappresenta l’ultima conquista nella ri-cerca e nella messa a punto di nuove soluzioni tecnolo-

giche per lo scompenso cardiaco, ovvero l’incapacitàdel cuore di svolgere adeguatamente la propria funzio-ne di pompa. “Si tratta un dispositivo per un supportocircolatorio parziale, indicato in pazienti af fetti dascompenso cardiaco moderato, in grado di pompare 4litri di sangue al minuto - spiega il dottor Ettore Vitali -. La potenza del device, sommandosi alla funzione delcuore, aumenta così la gittata cardiaca totale. E’ unasorta di ‘stampella’ per il cuore. La micro-pompa è sta-ta impiantata nel paziente in una tasca sottocutanea(come un pacemaker) con una procedura chirurgicamini-invasiva, che implica solo una piccola incisionesul torace (minitoracotomia). Il dispositivo è associatoad una batteria esterna ricaricabile molto leggera, del-la durata di 20 ore”. Finora questo micro-cuore artificiale è stato impiantatoin 42 pazienti in tutto il mondo, arruolati in un trial clini-co avviato ad aprile 2007 presso i centri cardiochirurgi-ci di Lovanio, Hannover e Munster. Humanitas è il pri-mo ospedale italiano ad entrare in questo trial. Questopone l’Istituto all’avanguardia nel trattamento cardochi-rurgico dello scompenso cardiaco e per la ricerca suicuori artificiali. Dell’équipe di cardiochirurghi che haimpiantato il minicuore hanno fatto parte anche il dot-

14 Humanitas - N. 1/2011

In Humanitas dal2008, Ettore Vitali siè sempre occupato diTrapianto Cardiaco edella gestionedell’assistenzaventricolare meccanica.Dal 1999 al 2007 èstato Primario dellaDivisione diCardiochirurgia A. DeGasperis, uno dei centridi riferimentonazionale sin dall’iniziodell’attività di trapiantodi cuore in Italia.

25 grammi di peso, grande come una pila mini-stilo, è stato impiantato per la prima volta consuccesso in un paziente di 70 anni, con un intervento mini-invasivo.

Arriva in Italia ilcuore artificialecuore artificiale

più piccolo al mondopiù piccolo al mondo

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tor Diego Ornaghi e il dottor Alessandro Barbone.“I primi dati del trial e la nostra esperienza in Humani-tas - spiega il dottor Giuseppe Tarelli, co-direttore diEcocardiochirurgia e responsabile dell’Unità Operativadi Cardiochirurgia dell’Istituto Clinico Humanitas -hanno dimostrato che l’impianto della micro-pompa haportato un recupero immediato e un sostanziale benefi-cio emodinamico: dopo le fasi iniziali di assistenza i pa-zienti presentano piuttosto costantemente una ripresadella attività contrattile dei ventricoli nativi. Anticipan-do l’impianto ed evitando le fasi critiche dello shockcardiogeno, questo device può essere sufficiente a so-stenere il circolo in pazienti con scompenso cardiacoavanzato”.

LE PROSPETTIVE FUTURE“Data la sua mini-invasività e facilità di applicazione -prosegue Vitali - questo nuovo dispositivo è concepitoper essere impiantato anche in pazienti giovani con un

grado moderato della malattia,prevenendo così un danno d’or-gano che con il passare deltempo, nei casi più severi, puòessere risolto solo con il tra-pianto cardiaco. Rappresenta,quindi, una decisa evoluzionerispetto agli attuali dispositividi assistenza ventricolare(VAD) di dimensioni notevol-mente più ingombranti e perquesto destinati a pazientigiunti allo stadio terminale del-la malattia. Questo dovrebbefare sperare in una maggioredif fusione della pratica di im-pianto dei dispositivi di suppor-to alla funzione cardiaca ad og-gi ancora molto limitata, se sipensa che in Italia - al di là di al-cuni limiti oggettivi dei VAD fi-nora disponibili - a fronte diuna stima di 2.300 impianti nevengono applicati circa 30 al-l’anno, rispetto a una media di300 trapianti cardiaci”.Questo nuovo minicuore è unapossibilità in più che oggi, incasi selezionati, si af fianca aifarmaci, ai defibrillatori e ai pa-cemaker biventricolari, ed aitrapianti, già a disposizionecontro quella che negli ultimianni è diventata la prima causadi ricovero ospedaliero. Loscompenso cardiaco si confer-ma infatti l’unica malattia car-diovascolare in continuo incre-mento per incidenza e mortali-tà, nonostante oggi le patologiecardiache vengano curate inmodo più ef ficace rispetto alpassato: secondo uno studiopubblicato sul New England

Journal of Medicine, infatti, la riduzione di mortalità incampo cardiovascolare ha inciso per il 70% sull’allun-gamento della vita media, ben 7 anni dal 1960 al 2000.Ciò grazie alla maggior efficacia dei farmaci, all’inno-vazione tecnologica, alla miniaturizzazione dei disposi-tivi biomedicali e alla sempre minore invasività delletecniche operatorie.

N. 1/2011 - Humanitas 15

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IL CUORE ARTIFICIALE PIU’ PICCOLODEL MONDO� DIMENSIONI: pochi centimetri, come una pila mini-stilo

� CAPACITÀ DELLA POMPA: 4 litri di sangue al minuto

� DURATA DELLA BATTERIA RICARICABILE: 14 ore

TUTTI I NUMERI DELLOSCOMPENSO CARDIACO IN ITALIA

75 annil’età media dei pazienti

1 milionele persone colpite

300 milale persone malate di età inferiore ai 60anni

170 milai ricoveri necessari ogni anno

40%i malati che muoiono entro 3 anni dalprimo ricovero ospedaliero

38%le donne sopravvivono oltre i 5 annidalla diagnosi

25%gli uomini che sopravvivono oltre i 5anni dalla diagnosi

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Al centro, la salute del paziente. Impegnati in pri-ma linea, con questo obiettivo, medici e struttu-re diverse, che agiscono in sinergia e piena col-

laborazione e coordinazione, effettuando un interventodelicato e innovativo: l’autotrapianto di isole pancreati-che. Ad oggi ne sono stati eseguiti solo una trentina intutto il mondo, in Italia circa una decina, al San Raffae-le. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato effettuato in Hu-manitas con la collaborazione e il know-how dello stes-so San Raffaele. Ma di cosa si tratta esattamente? E per-ché è una metodica così rivoluzionaria? “L’autotrapianto di isole pancreatiche - spiega il dottorCesare Berra, capo-sezione di Malattie Metabolichedi Humanitas e specialista in Endocrinologia - rappre-senta un approccio sperimentale nella gestione del dia-bete nel paziente che, per qualsiasi motivo, debba esse-re sottoposto all’asportazione del pancreas (pancrea-sectomia). In questo modo infatti viene tolta sia la com-ponente esocrina sia la componente endocrina (isoledel Langherans, cellule così chiamate per la loro disse-minazione particolare all’interno dell’organo) che go-verna il metabolismo degli zuccheri (omeostasi glucidi-ca): pertanto il paziente necessiterebbe di terapia insu-linica iniettiva. Separando, invece, le isole dal resto deltessuto asportato e reinfondendole nel paziente stesso(autotrapianto) si può ovviare alla terapia insulinica”.

I VANTAGGI DELL’AUTOTRAPIANTORispetto al trapianto, i vantaggi sono almeno due. “L’au-totrapianto innanzitutto – prosegue il dottor Berra - nonrichiede trattamento immunosoppressivo, in quanto vie-ne trapiantato il tessuto del paziente stesso. In secondoluogo, l’autotrapianto permette una migliore gestionedel diabete secondario a pancreasectomia. Le isole so-no, infatti, in grado di produrre l’insulina in modo fisiolo-gico, di ‘sentire’ la glicemia e fornirne la quantità neces-saria riducendo il rischio di ipoglicemia o, comunque, diampie variazioni della glicemia stessa e il fabbisogno in-sulinico esterno (in alcuni casi evitando completamentele iniezioni di insulina come terapia)”.

UN INTERVENTO DELICATOSpiega il dottor Alessandro Zerbi, caposezione chi-rurgia pancreatica nell’ambito dell’Unità operativa diChirurgia Generale III diretta dal professor MarcoMontorsi: “Le isole del pancreas, che rappresentano lacomponente endocrina, vengono separate dall’organoattraverso un processo che avviene in laboratorio con

una particolare tecnologia e che, nel nostro caso, è sta-to reso possibile grazie alla collaborazione con il SanRaffaele. In pratica, nel corso di un delicato interventochirurgico, il pancreas è stato asportato e inviato in unlaboratorio del San Raffaele, dove le cellule delle isolepancreatiche sono state individuate, purificate e suc-cessivamente mandate in Humanitas per l’innesto. Iltutto con la massima tempestività e coordinazione.

Le isole sono state iniettate nella vena porta del fegatograzie a un catetere introdotto per via radiologica. Da quifisiologicamente vengono poi trasferite ai capillari del fe-gato, dove si fissano come ‘grappoli’ e iniziano ad aumen-tare e lavorare perfettamente nel giro di un mese. Da que-sto momento l’insulina viene prodotta all’interno del fega-to. Si tratta dunque di un intervento molto delicato, per ilquale sono necessari un particolare know-how, rapiditàdecisionale a livello sia diagnostico sia terapeutico, ed unlavoro di équipe che, oltre al chirurgo e all’endocrinologocoinvolge radiologi e laboratoristi. Sono pochi i centri almondo in grado di effettuarlo. Per questo la collaborazio-ne tra Humanitas e San Raffaele ha un grande valore”.Si tratta di una vittoria clinica importante, motivo disoddisfazione per entrambi gli ospedali coinvolti. Oggi,il paziente sta bene ed è stato dimesso. H

L’autotrapianto di isolepancreatiche evita il diabeteUn intervento delicato e innovativo, reso possibile dalla collaborazione multidisciplinare traspecialisti diversi di Humanitas e San Raffaele strutture differenti.

16 Humanitas - N. 2/2010

Cesare Berra hasvolto attività diricerca nell’ambito deitrapianti di isolepancreatiche e dellaterapia genica deldiabete,approfondendo letecniche ditransfezione genicacellulare.

In Humanitas dal2010, AlessandroZerbi è uno deimaggiori espertiitaliani di chirurgia delpancreas. Provienedall’Ospedale SanRaffaele di Milano,dove ha lavorato alfianco del professorValerio Di Carlo, chein Italia è uno deipunti di riferimentoassoluti per lachirurgia pancreatica.

IL RAPPORTO TRA ISOLEPANCREATICHE E DIABETESolo l’1-2% delle cellule del pancreas (chiamate “isole” per

la loro disseminazione particolare all’interno dell’organo)

producono ormoni che regolano il metabolismo del glucosio.

Le isole si suddividono in:

• cellule alfa, che producono il glucagone

• cellule beta, che producono l’insulina

• altri tipi cellulari (delta e PP)

Insulina e glucagone sono deputati al mantenimento del

metabolismo degli zuccheri, e il deficit insulinico porta al diabete.

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Con la ricerca, contro il cancro.

RICERCATORI, VOLONTARI, SOSTENITORI: TUTTI INSIEME POSSIAMO AIUTARE LA RICERCA A RENDERE IL CANCRO SEMPRE PIÙ CURABILE.

Oggi possiamo parlare di curabilità del cancro. Un traguardo straordinario che premia gli sforzi della ricerca e di tutti

i suoi protagonisti. Di chi scende in piazza per un’arancia o un’azalea, e di chi va in posta per donare il suo contributo.

Di chi sostiene la ricerca con un sms o con il cinque per mille delle tasse, e di chi si impegna ogni giorno davanti

a un microscopio. Sono queste persone, tutte insieme, che aiutano la ricerca a rendere il cancro sempre più curabile.

IL CANCRO È UNA MALATTIA

800.350.350 - CCP 307272 - WWW.AIRC.IT

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18 Humanitas - N. 1/2011

ventati la sua “famiglia allargata”. Fino a quando Mauroè stato pronto per il trapianto di cuore, avvenuto a Udi-ne, dove è stato portato in elicottero collegato al cuoreartificiale in una bellissima sera di aprile, come raccon-ta lui, “con un sole enorme che tramontava dietro lemontagne”. Era il 29 aprile del 2010. Oggi, dopo un anno, il peggio è alla spalle. Un’esperien-za ed un risultato eccezionale dal punto di vista medico-scientifico ed organizzativo, cui hanno contribuito ungrande numero di professionisti - cardiologi, cardiochi-rurghi, anestesisti, radiologi, infettivologi, neurologi,gastroenterologi, infermieri, perfusionisti, fisioterapistie tanti altri - e per il cui successo è stata tempestivamen-te messa a disposizione qualunque risorsa necessariasia da Humanitas sia dalla Cardiochirurgia di Udine.L’unico desiderio di Mauro ora è poter tornare a lavora-re. Isabella continua a benedire la macchina e gli uomi-ni che le hanno ridato suo marito. Mentre Alessia hadeciso che da grande farà il cardiochirurgo.

La storia di Mauro, un grande lavoro di squadraMauro ha 47 anni. Ama lo sport e il paracaduti-

smo. E’ forte e sano come un pesce. Fino aquando un infarto improvviso non riduce la

funzionalità del suo cuore a un 5%.Un tempestivo interven-to del 118 lo porta d’urgenza in Humanitas e subito inEmodinamica. In condizioni gravissime, viene a lungo ri-animato e sottoposto ad angioplastica coronarica. Ma ilsuo cuore è troppo compromesso e continua a batteresolo perché collegato ad un dispositivo artificiale esterno(ECMO). Mauro viene ricoverato in Terapia IntensivaCardiochirurgica dove comincia la sua scalata verso il ri-torno alla vita. Una strada di salite e discese, sostenutoda macchine ed organi artificiali che supportano i suoi,con un estenuante alternarsi di complicanze e nuovesperanze, in cui ogni giorno è una conquista. Al fianco diMauro la moglie Elisabetta e la figlia Alessia, che con laloro grinta e determinazione non hanno mai perso lasperanza. La Terapia Intensiva è stata la casa di Mauroper 6 lunghi mesi, in cui medici e infermieri sono di-

Al centro della foto, Mauro con la moglie Elisabetta, circondatodall’équipe che si è presa cura di lui: fra gli altri, a sinistra EttoreVitali, a destra Ugolino Livi, che a Udine ha eseguito il trapiantodi cuore, e dietro di lui Angelo Bandera e Diego Ornaghi.

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20Tumori, terapiesu misura

grazie alla ricerca.

23Polmone, il bigkiller si combatte

su più fronti.

24Chirurgiaavanzata per

il tumore al colon.

Insertospecialeda staccare econservare

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20 Humanitas - N. 1/2011

che resta ancora difficile da curare, la diagnosi precoceaumenta sensibilmente la possibilità di un interventochirurgico radicale con delle chances terapeutiche im-portanti”.

VERSO CURE SEMPRE PIÙ PERSONALIZZATELa ricerca a livello genetico e molecolare, sui meccani-smi coinvolti nello sviluppo e crescita dei tumori ha per-

Negli ultimi dieci anni, la ricerca ha permesso di fare enormi e importanti progressi nella diagnosie nel trattamento dei tumori. Di recente si registra un’improvvisa ed ulteriore accelerazione, chesta offrendo non solo nuovi strumenti terapeutici ma anche approcci innovativi.

In Italia le persone cui è stata diagnosticata qualcheforma tumorale sono due milioni, i nuovi casi ognianno sono 250mila, quindi ci sono un milione e

750mila pazienti che da tempo stanno combattendo consuccesso la malattia o che, soprattutto, ne hanno soffer-to ma sono guariti del tutto. Questi risultati sono statipossibili grazie alla ricerca scientifica e tecnologica checi ha offerto sistemi diagnostici sempre più precoci esofisticati, tecniche chirurgiche più efficaci e meno in-vasive e nuove modalità terapeutiche disegnate sullecaratteristiche del paziente e della malattia. “Tra le pa-tologie in cui si sono registrati i maggiori successi -spiega Armando Santoro, Direttore di HumanitasCancer Center - c’è sicuramente il tumore della mam-mella, di cui oggi in Italia guariscono il 90% delle pa-zienti. Risultati simili si ottengono nel carcinoma delcolon-retto, che ha una percentuale di guarigione defi-nitiva intorno al 70%. Nel complesso, rispetto a 15 annifa, possiamo dire che le probabilità di guarigione dallediverse forme tumorali sono aumentate mediamentedel 20% e, più in generale, si è assistito ad un netto mi-glioramento della possibilità di sopravvivenza a lungotermine. Anche in un tumore come quello pancreatico,

terapie su misuraTumoriTumori

ricercaricercagrazie alla

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messo di mettere a punto una nuova classe di farmaci,definiti biologici, che sono concepiti per agire in manie-ra selettiva soltanto sulle cellule malate, interferendoproprio sul loro sviluppo. “Ci sono patologie, come i tu-mori gastrointestinali stromali, detti GIST, che fino a 15anni fa erano incurabili, ma che oggi possono essere af-frontate con delle buone prospettive proprio con le te-rapie biologiche - commenta il dottor Santoro -. L’arrivodi queste molecole innovative, ha fatto registrare im-portanti successi anche nel campo emato-oncologico.In particolare è migliorata la prognosi per quanto con-cerne i linfomi, il mieloma multiplo, la leucemia mieloi-de cronica e la leucemia linfatica cronica”. Grazie a que-sti nuovi farmaci, ci sono state importanti novità ancheper patologie la cui cura sembrava vincolata a protocol-li ormai stabilizzati da tempo. “Ad esempio - prosegueSantoro - per il trattamento del melanoma esistono duenuove terapie biologiche che hanno dimostrato un’altaprobabilità di risposta e che ci fanno auspicare risultatipositivi in tempi brevi, anche nei casi in cui sono giàpresenti delle metastasi. Un’altra patologia sulla quale non avevamo risultati in-coraggianti e che sta beneficiando delle prospettiveaperte dai farmaci biologici, è il tumore al polmone.Oggi sappiamo che non esiste un’unica forma di carci-noma polmonare, ma sono stati individuati vari sotto-gruppi, con caratteristiche molecolari differenti. Su al-cuni di questi sottogruppi sono in fase di sviluppo tera-pie mirate estremamente promettenti”.

L’IMPORTANZA DEI TRIAL CLINICIScoperte come questa stanno portando ad un vero eproprio cambiamento di prospettiva nell’af frontarequeste patologie. Sempre di più, infatti, il carcinoma

non è più classificato soltanto in base all’organo checolpisce, ma anche sulla base dei suoi processi evoluti-vi e delle sue caratteristiche molecolari specifiche. “Lacapacità che abbiamo acquisito di distinguere e carat-terizzare in modo così specifico forme differenti dellamalattia - spiega il dottor Santoro - ci porta ora a con-frontarci con gruppi molto meno numerosi di pazientiaccomunati dalle stesse caratteristiche molecolari.Questo fenomeno induce a un’inevitabile rivoluzioneculturale nei protocolli di ricerca. È fondamentale, in-fatti, ripensare la struttura degli studi clinici per lo svi-luppo di nuovi farmaci”.

Nell’affrontare il tumore uno degli aspetti fondamentali è anche il

rapporto fra il paziente e i suoi terapeuti. Si tratta di un legame che

si stabilisce fin dal momento in cui il malato viene informato sulla sua

condizione. “Noi cerchiamo di dare sempre un’informazione

completa, a meno che non ci siano particolari condizioni

che vanno valutate caso per caso - spiega Lorenza

Rimassa, Responsabile della Sezione Oncologia

Gastroenterica presso Humanitas Cancer Center. “Anche

nei casi più gravi e difficili è fondamentale alimentare

sempre una speranza, cercando di dare al paziente una

prospettiva positiva, se non di risoluzione della malattia,

almeno di prolungamento delle aspettative di vita. La

trasparenza è fondamentale, in particolare quando

abbiamo davanti una persona che ha molte

responsabilità nei confronti di altre”. Secondo gli esperti

una comunicazione corretta aiuta la persona ad

affrontare ed accettare al meglio anche il percorso

terapeutico. “Oggi è difficile trovare un paziente che

rifiuta di conoscere la sua condizione -aggiunge la dottoressa

Rimassa -. Anzi, spesso chiede direttamente se il suo è un tumore

maligno, perché vuole sapere esattamente a che cosa andrà

incontro”.

Humanitas sul sito www.cancercenter.it dedica uno spazio proprio

per dare informazioni complete e comprensibili sulle patologie e sui

percorsi terapeutici che possono essere utili sia al paziente

sia ai suoi cari. “Per quanto riguarda la comunicazione con i

parenti - prosegue Lorenza Rimassa -da un punto di vista

legale noi siamo tenuti a parlare esclusivamente con il

paziente, ma chiediamo sempre se il malato desidera che a

uno o più dei suoi familiari vengano fornite tutte le

informazioni. Ovviamente il coinvolgimento della famiglia è

inevitabile quando il problema, purtroppo, riguarda un

bambino. Se è piccolo, difficilmente comprende l’entità del

suo problema, mentre gli adolescenti sono in grado di capire

meglio la loro situazione e, quindi, anche di affrontare

positivamente le terapie”. Per fronteggiare l’esperienza del

tumore, l’aiuto di psicologi e volontari è un elemento molto

importante. Per questo Humanitas Cancer Center fornisce un

supporto psicologico che comincia dal momento della diagnosi e

prosegue per tutto il percorso terapeutico.

COMUNICARE CON IL PAZIENTE: TRASPARENZA E ACCOGLIENZA

In Humanitas dal1999, il dottorArmando Santoro èDirettore di HumanitasCancer Center.

In Humanitas dal1998, la dottoressaRimassa èattivamente coinvoltain progetti di ricercaclinica (di fase I-II-III)volti a valutarel’impiego di nuovifarmaci e strategieterapeuticheinnovative.

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Dovendo sviluppare una molecola in grado di essere ef-ficace su un tumore con alcune caratteristiche peculia-ri, è dif ficile effettuare studi clinici che prendono inesame un vasto numero di pazienti. Non solo il numerodi casi inseriti nel trial sarà più limitato, ma gli stessi pa-zienti saranno strettamente selezionati, proprio perchésono colpiti da uno specifico sottogruppo della malat-tia. “In questo modo - aggiunge Armando Santoro - sia-mo in grado di verificare, con maggior precisione, l’effi-cacia di un farmaco nella cura di una determinata for-ma tumorale che affligge un organo e che ha una parti-colare mutazione. Non solo, il passo successivo, già ap-plicato in numerosi studi clinici, è osservare l’azionedello stesso farmaco in carcinomi che colpiscono orga-ni diversi ma che presentano la medesima mutazione.Questo approccio trasversale promette di metterci adisposizione un numero ancora maggiore di possibilitàterapeutiche”.

IL RUOLO DELLE INDAGINI MOLECOLARIE GENETICHEQuesto metodo di ricerca e sperimentazione clinica of-fre risultati migliori soprattutto quando viene applicatoin strutture che dispongono di una casistica ampia e di-versificata e che sono anche capaci di condurre indagi-ni molecolari e genetiche avanzate. “In Humanitas - pre-cisa Santoro - abbiamo a disposizione sia strumenti ecompetenze di altissimo livello nella ricerca scientifica,sia una rete di ospedali che lavora in maniera semprepiù integrata. Abbiamo un progetto che si chiama ICHNetwork Cancer Research e che ha proprio come obiet-tivo unire competenze ed esperienze in questo settore.Nell’ambito di questa iniziativa abbiamo attivato unabiobanca, che già da due anni sta raccogliendo e con-servando campioni che saranno un fondamentale pun-to di partenza. Ci consentiranno, infatti, di avviare sofi-sticate ricerche per verificare l’efficacia di nuove mole-cole su gruppi specifici di pazienti in tempi più rapidi”. I passi avanti fatti fino ad oggi fanno sperare che prestoavremo a disposizione le conoscenze necessarie e glistrumenti terapeutici adeguati per riuscire ad interveni-re in modo sempre più efficace e completo sui meccani-smi di sviluppo della malattia per poter, così, risolvereanche i casi più difficili. “Uno dei nostri obiettivi - con-clude il dottor Santoro - è utilizzare contemporaneamen-te nello stesso paziente diverse terapie biologiche, perintervenire nelle diverse fasi di crescita e diffusione deltumore. Un’altra sfida che ci stiamo preparando ad af-frontare è quella della gestione dei pazienti che hannoun quadro clinico complesso, dovuto all’età o alla pre-senza di altre gravi patologie. Tutto questo sarà possibi-le grazie ad un’integrazione sempre maggiore fra la ri-cerca e l’applicazione clinica dei risultati ottenuti”.

22 Humanitas - N. 1/2011

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Rappresenta la prima causa di morte nei Paesiindustrializzati ed il 20 per cento di tutti i tumo-ri maligni nelle persone di sesso maschile. In

questi ultimi anni, però, si sta registrando un progres-sivo aumento anche tra le donne. La ragione è sempli-ce: le donne fumano sempre di più e il fumo è la primacausa di cancro al polmone. “Nell’85 per cento dei casila causa delle neoplasie polmonari è il fumo di sigaret-ta – spiega il dottor Marco Alloisio, responsabile diChirurgia Toracica in Humanitas –, la migliore armaquindi è la prevenzione primaria: non fumare oppuresmettere, o comunque non fumare in presenza di nonfumatori”. Anche la prevenzione secondaria, cioè la diagnosi pre-coce, ha un ruolo importante. “In questo campo si stan-no registrando importanti novità - prosegue il dottor Al-loisio -. È recente la notizia che uno studio americanodel National Cancer Institute ha avanzato l’ipotesi chela Tac spirale del torace, cui sono stati sottoposti fuma-tori ed ex fumatori, sembrerebbe influenzare la soprav-vivenza in modo significativo”.

IL RUOLO DELLA CHIRURGIANelle neoplasie polmonari la terapia principale rima-ne quella chirurgica che, se associata a una diagnosiprecoce, può intervenire su noduli di dimensioni limi-tate, permettendo una guarigione nell’80% dei casi al-lo stadio iniziale. Spiega ancora lo specialista: “Un po’come è avvenuto per il tumore della mammella, oggisiamo in grado di effettuare negli stadi iniziali inter-venti che non asportano tutto il polmone, ma solo unaparte di esso. Gli interventi meno invasivi, come la lo-

bectomia videotoracoscopica (tecnica chirurgica in-novativa che permette tempi di recupero più brevi eminor dolore post-operatorio), sono possibili e sicuriin presenza di noduli al di sotto dei due centimetri econ linfonodi negativi”. Quando invece il tumore è in stadi avanzati, alla chirur-gia si affiancano la chemioterapia e la radioterapia. “Re-sta indispensabile l’approccio multidisciplinare – con-clude il dottor Alloisio -. Lavoriamo infatti in stretta col-laborazione con gli oncologi medici, i radioterapisti, imedici nucleari, i patologi e i radiologi, per un percorsodi diagnosi e cura pensato per ciascun paziente”.

I PASSI AVANTI DELLA RICERCA CLINICA“Negli ultimi anni la medicina oncologica ha fatto gran-di passi avanti - aggiungono il dottor Luca Toschi e ladottoressa Giovanna Finocchiaro, specialisti di On-cologia Medica di Humanitas Cancer Center -, consen-tendo di migliorare in modo significativo la sopravvi-venza e la qualità di vita dei pazienti affetti da tumore alpolmone. Questi benefici sono il frutto di un globalesforzo di personalizzazione dei trattamenti in funzionedelle caratteristiche biologiche del tumore. Oggi, infat-ti, siamo in grado di identificare sottogruppi di pazienticon maggiore possibilità di ottenere un beneficio dafarmaci antitumorali, siano essi chemioterapici o nuovifarmaci biologici. Un esempio eccellente è rappresenta-to da gefitinib, recentemente approvato per quei pazien-ti il cui tumore presenta mutazioni del gene EGFR, al-l’incirca il 15% dei casi. Circa due terzi dei pazienti contali caratteristiche ottiene una netta riduzione dellamassa tumorale, a differenza di quanto accade con unachemioterapia convenzionale che è attiva in circa unterzo dei casi”.

Polmone, il big killer si combattesu più frontiCon 35 mila morti l’anno solo in Italia il tumore del polmone rimane un big killer. La prevenzione è l’armafondamentale per affrontarlo. Anche se oggi i progressi delle terapie, chirurgiche e mediche, sempre piùmirate e specifiche, e i passi avanti della ricerca clinica, aprono nuove speranze.

In Italia vi sono 250.000

nuovi casi ogni anno

Si ammaleranno nelcorso della vita:1 uomo ogni 31 donna ogni 4

Ogni anno muoionodi cancro al polmone

35.000 italiani

HH

In Humanitas dal1998, Marco Alloisioè Responsabile diChirurgia Toracica dalfebbraio 2006. Dal1999 è professore acontratto presso laScuola diSpecializzazione inChirurgia Toracicadell'Università diPavia.

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Il carcinoma al colon-retto è una patologia che nelnostro Paese colpisce circa 70 persone ogni 10milae che ha una prognosi infausta nel 30 per cento dei

casi. La chirurgia è una delle soluzioni terapeutiche piùefficaci e, negli ultimi anni, sono stati fatti ulteriori passiavanti, grazie all’impiego della laparoscopia. “Questatecnica ci consente di ottenere, rispetto alla chirurgiatradizionale, risultati migliori a breve termine ed equiva-lenti nel lungo periodo - esordisce Marco Montorsi, Re-sponsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia GeneraleIII e Professore di Chirurgia Generale dell’Universitàdegli Studi di Milano -. Gli studi più recenti in questo set-tore hanno messo in evidenza che nell’immediato postoperatorio il paziente riprende più rapidamente le sue at-tività e le funzioni fisiologiche, grazie al fatto che il fisicoè meno debilitato e il dolore è minore. Questo gli con-sente, ad esempio tra le altre cose, di affrontare l’even-tuale trattamento chemioterapico in una migliore condi-zione fisica. Ci sarà sempre una percentuale di tumoriche vanno affrontati con un intervento ‘a cielo aperto’ acausa delle dimensioni del tumore o del quadro clinicocomplesso del paziente. In ogni caso, ci stiamo impe-gnando perché la chirurgia laparoscopica sia utilizzatain una percentuale sempre più alta di pazienti”. Humanitas è uno dei centri italiani in cui questa tecni-ca viene utilizzata in modo predominante, ovvero nel

70-80% dei carcinomi al colon e nel 60-70% dei tumorial retto, per un totale di 300/350 casi operati all’anno.“È fondamentale - aggiunge il professor Montorsi -af-frontare con questa metodica un numero rilevante dioperazioni l’anno per poter raggiungere un altissimolivello qualitativo negli interventi e garantire un im-

24 Humanitas - N. 1/2011

Maggiori chance di cura e recuperi post-operatori più brevi. Vantaggi e progressi della chirurgiamini-invasiva del colon.

Chirurgia avanzataChirurgia avanzataper il tumore al colon

Marco Montorsi èdocente della Facoltàdi Medicina e Chirurgiadell’Università diMilano, e direttore delDipartimentoUniversitario diMedicina Traslazionale.

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portante spazio di formazione per i nuovi operatori. Un’altra soluzione che sta offrendo risultati incorag-gianti è quella della chirurgia robotica. Questa tecnicaapplicata in particolare al carcinoma del retto, dai primidati preliminari sembra poter ridurre il rischio di alte-razioni funzionali sessuali ed urinarie. Se ne può dun-que immaginare un maggior utilizzo soprattutto neicentri che hanno acquisito una rilevante esperienza nel-l’utilizzo dei robot nei diversi settori della chirurgia”.

RECUPERI POST-OPERATORI SEMPRE PIÙ VELOCIOltre che dalla metodica chirurgica impiegata, un piùrapido recupero dei pazienti è garantito dall’efficienzaorganizzativa della struttura. La creazione in Humani-tas di un Cancer Center permette di offrire al pazienteoncologico un sistema di assistenza veramente integra-ta, dal momento della diagnosi fino alla dimissione,quando il paziente lascia l’ospedale con un’informazio-ne e una programmazione molto precisa delle sue ne-cessità terapeutiche. Proprio l’organizzazione e l’inte-grazione fra le varie equipe mediche e infermieristichecoinvolte è alla base di un nuovo protocollo di gestionedel malato prima, durante e dopo l’intervento. Si chia-ma Fast Track e ha l’obiettivo di migliorare i tempi di ri-presa del paziente e di ridurre al minimo lo stress psico-fisico dell’intervento e l’interruzione delle sue funzionifisiologiche. “Infatti, evitiamo al malato la consueta pre-parazione intestinale, che è spesso debilitante ed è maltollerata, e gli permettiamo di assumere liquidi fino apoche ore prima dell’intervento - conclude Marco Mon-torsi -. Successivamente all’operazione il paziente vienealimentato e mobilizzato molto rapidamente. I primi studi effettuati in Humanitas su circa 150 pa-zienti sottoposti a chirurgia laparoscopica colon retta-le sono stati conclusi con successo; abbiamo ottenutouna riduzione della degenza media a 3-4 giorni in pie-na sicurezza e soddisfazione dei pazienti, rispetto ai 5-6 necessari dopo una laparoscopia convenzionale e ai6-7 di quella tradizionale. Visti i risultati, la sfida saràestendere sempre di più questo approccio ad altrearee chirurgiche”.

N. 1/2011 - Humanitas 25

Il tumore al colon-retto è, nella maggior parte dei casi, curabile. Tra

le strategie più efficaci per ridurne la diffusione e la mortalità, la

prevenzione e la diagnosi precoce, che negli ultimi 15 anni ha ridotto

le conseguenze più nefaste di questa

patologia. Prima che una lesione

diventi maligna possono trascorrere

anche degli anni e con gli esami

appropriati è possibile individuarla ed

asportarla per tempo. Le indagini

diagnostiche utili sono, in una prima

fase, la ricerca del sangue occulto nelle

feci, e nei casi positivi, la colonscopia,

che permette di identificare le lesioni

precancerose, come i polipi, e di

rimuoverli. “Questo esame va eseguito

intorno ai 50 anni - spiega il professor

Alberto Malesci, responsabile del Dipartimento di Gastroenterologia

di Humanitas - ma, quando questo tipo di tumore ha colpito anche

un familiare di primo grado, è consigliabile anticipare l’endoscopia di

dieci anni. Per il carcinoma al colon-retto esiste, infatti, una

correlazione familiare nel 10-15% dei casi e un’ereditarietà genetica

nel 5%. Grazie ad appositi test genetici di laboratorio, oggi siamo in

grado di identificare la maggior parte dei difetti genetici che

possono essere trasmessi per via ereditaria e che possono essere

responsabili dello sviluppo della

malattia”. Presso l’Unità Operativa di

Gastroenterologia ed Endoscopia

Digestiva di Humanitas, è stato

attivato un programma di counselling

genetico e di studi molecolari che ha

l’obiettivo di identificare proprio le

forme ereditarie, con una particolare

attenzione alla sindrome HNPCC

(Hereditary Nonpolyposis Colorectal

Cancer), che è una delle forme

ereditarie più comuni. “Lo scopo di

questi screening - spiega il dottor Luigi

Laghi, medico-ricercatore dell’Unità Operativa di Gastroenterologia

ed Endoscopia Digestiva - è individuare i soggetti geneticamente

predisposti e, quindi, di stabilire un accurato programma per tenerli

sotto controllo, assieme ai familiari che hanno lo stesso difetto

genetico”.

A CACCIA DI GENI PERICOLOSI

Nella foto, da sinistra, il dottor Luigi Laghi e il professor Alberto Malesci.

H

Il tumore delcolon-rettocolpisce 70persone ogni10.000

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N. 1/2011 - Humanitas 27

Intervista ad Eric Vivier, uno dei massimi esperti mondiali delle cellule Natural Killer.

Professore di immunologia al Centre d’Im mu no -logie de Marseille-Luminy e al CNRS-INSERM-Universitè de la Mèditerranèe, Eric Vivier è di-

rettore del Center for Advanced Pathophysiology Inve-stigations della Scuola di Medicina di Marsiglia, oltreche membro Senior dell’Istitut Universitaire de France.Il focus principale della sua attività di ricerca sono dasempre l’immunità innata e le cellule Natural Killer(NK), di cui è uno dei massimi esperti mondiali. Il suocontributo si è dimostrato fondamentale per la com-prensione dei processi attraverso i quali queste cellulerispondono a microorganismi patogeni ed a stimoli in-fiammatori. In particolare, le ricerche dell’équipe coor-dinata dal professor Vivier si concentrano sullo studiodella potenzialità di queste cellule: essendo le menospecializzate del sistema immunitario, infatti, distrug-gono ogni elemento riconosciuto come “estraneo” al-l’organismo (non-self).Professore, che cosa sono le cellule Natural Killer?“Sono linfociti del sistema immunitario innato - la bar-riera difensiva sviluppatasi per prima nel corso dell’evo-luzione e presente in noi fin dalla nascita - che reagisco-no in modo immediato in risposta ad agenti patogeniper l’organismo in assenza della classica memoria im-munologica contro gli agenti microbici o bersagli cellu-lari non-self. La successiva reazione infiammatoria me-diata dai linfociti NK avviene grazie alla loro possibilitàdi produrre diverse citochine regolatorie (molecoleche intervengono nella risposta infiammatoria), chehanno un ruolo fondamentale nell’innescare una rispo-sta immunitaria ottimale e specifica. Questa rispostaimmunitaria naturale è cruciale come prima linea di di-fesa contro le infezioni ma anche nei processi di immu-no-sorveglianza contro le malattia neoplastiche”.Qual è l’obiettivo degli studi da lei condotti?“Il ruolo e i meccanismi molecolari che rego-lano le funzioni delle cellule NK sonoancora poco conosciuti. Pertanto,uno dei nostri obiettivi è compren-dere le basi fisiologiche che per-mettono alle cellule NK di poteressere educate a distinguere il selfdal non-self, in modo da poter even-tualmente spingerle a reagire con-tro bersagli ben determinati. Comenoto, infatti, le cellule NK sono as-sassini naturali potenzialmente ingrado di sconfiggere bersagli tu-morali. Se rieducate con un finepreciso ed impiegate in nuove

strategie immunoterapeuti-che, le cellule NK potreb-bero almeno in teoria costi-tuire una vera e propria for-za armata contro il cancro”.Quali altre caratteristi-che delle cellule NaturalKiller sono state scoper-te in questi anni?“Recentemente si è scoper-to come le cellule NK sianoprovviste di un repertoriodi recettori (attivatori e ini-bitori) calibrati per assicu-

rare una tolleranza al self e per garantire un’efficace di-fesa contro le infezioni virali. Oltretutto, numerosi studisuggeriscono che queste cellule non reagiscono in ma-niera invariata ma piuttosto si adattano alle diverse con-dizioni. A tal riguardo, alcuni studi hanno recentemen-te rivelato come le cellule NK possano sviluppare unaparticolare forma di memoria immunologica specifica:infatti esse vantano sofisticate funzioni biologiche chesono da attribuirsi sia al sistema immunitario innato siaa quello adattativo”.Quali sono le ricadute cliniche, al letto del pa-ziente, di questo tipo di ricerche? “Lo studio di questi particolari linfociti ha avuto e staavendo importanti applicazioni nell’ambito clinico. Pri-mo fra tutti l’utilizzo delle cellule Natural Killer nei tra-pianti di midollo osseo, per la cura delle leucemie. Unaterapia con NK concomitante a trapianto di midollo di-minuisce il rischio di infezioni, aumentando la probabi-lità di successo dell’intervento. Oggi, sono in atto numerosi studi che mirano a definireil ruolo delle cellule NK in diverse condizioni patologi-

che, con particolare attenzione alle malattieautoimmuni (artrite reumatoide, lupuseritematoso sistemico…), infettive, pri-ma fra tutte l’AIDS, e tumorali. Si trattadi una premessa fondamentale per lo svi-luppo di approcci terapeutici diversi enuovi farmaci.

Nel caso dell’artrite reumatoide, adesempio, è stato dimostrato che tra gliattori principali coinvolti nella malat-tia vi sono proprio le cellule NK. Allostudio ora vi sono nuovi approcci te-rapeutici per la modulazione della ri-sposta infiammatoria indotta da questi

particolari linfociti”.

Eric Vivier è uno deimassimi esperti almondo delle celluleNatural Killer (NK),dell’immunità innata.Nel 2011 è statorelatore di unaHumanitas Lecture.

Assassini naturali contro i tumori.E non solo.

H

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Dopo un periodo di crescita iniziale, le cellule tumoralidisperdono alcuniframmenti nel tessuto.

ATumore

Al contrario di quanto sipotrebbe pensare, i tu-mori sono costituiti non

solo da cellule cancerose, maanche - e alcune volte per lo più -da cellule “normali”, dell’ospite.Buona parte delle cellule “sane”presenti nei tumori appartengo-no al sistema immunitario: sonoi macrofagi che, invece di svol-gere il proprio ruolo di difesa,aggredendo e distruggendo iltumore, al contrario ne sosten-gono la crescita. In altre parole le cellule delle di-fese immunitarie si comportanonei tumori come “difensori cor-rotti”, che invece di riportarel’ordine aiutano i malviventi, aiu-tando il cancro a crescere e dif-fondersi indisturbato.Tra infiammazione e cancro esi-ste un duplice legame. Non soloil tumore per crescere crea at-torno a sé un ambiente infiam-matorio (è il caso ad esempiodel carcinoma della mammella),ma alcune forme croniche di in-fiammazione in determinati or-gani favoriscono l’insorgere delcancro. Ad esempio la colite ul-cerativa rappresenta un terrenofavorevole per l’insorgenza delcancro del colon-retto.

28 Humanitas - N. 1/2011

Le relazioni tra infiammazi

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Questi frammenti possonoessere identificati come“nemici” dal sistemaimmunitario.B

Frammenti dicellula tumorale

Le cellule dendriticheportano i frammenti dicellule tumorali allinfonodo più vicino,dove viene organizzatala risposta immunitariacontro i nemici.

E

Il sistemaimmunitario siattiva contro inemici.C

Celluladentritica

Linfociti T killer

I T killer attaccanoil tumore

Cellule del sistemaimmunitarioingannate

Linfodo

Framenti di cellulatumoraleLe cellule

dendritiche, veree propriesentinelle, fannoscattarel’allarme.

DCellula dentriticain allerta

I linfociti Tpartonoall’attaccodelle celluletumorali. Ecco cosa puòaccadere:

FIl tumorevienesconfitto

1 Il tumoreresiste agliattacchi delsistemaimmunitario

2 Il tumore cresceindisturbato, aiutato dacellule del sistemaimmunitario che, comedifensori corrotti, invece di arrestare imalviventi li aiutano.

3

Cellulamacrofagadistruttiva

Il tumore sviluppaimmuno-tolleranza

N. 1/2011 - Humanitas 29

pericoloseone e cancro

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30 Humanitas - N. 1/2011

Uguaglianza nelle cure, al di là dell’appartenenza politica o religiosa. E’ la filosofia che da anni guida il “Progetto Gaza” coordinato da Eitan Kerem, che a Gerusalemme assiste i bambini ebrei ed arabi affetti da fibrosi cistica.

Assistere i bambini affetti da fibrosi cistica cheabitano nella striscia di Gaza, al di là della loroappartenenza a Palestina o Isreaele, e formare

il personale palestinese, medico ed infermieristico, inmodo specializzato nella cura di questa grave malat-tia. Sono gli obiettivi del “Progetto Gaza”, creato dalprofessor Eitan Kerem, responsabile del dipartimen-to di Pediatria dell’Ospedale Hadassah - Mount Sco-pus di Gerusalemme. Un esempio concreto di medici-na per la pace, proseguito negli anni nonostante i rap-porti difficili tra Palestina ed Israele, e rimasto in sor-dina fino ad oggi, per motivi di sicurezza. Questo pro-

getto verrà illustrato dallo stesso Kerem lo scorso 5aprile nel corso di una lecture presso l’Università de-gli Studi di Milano.

LA FIBROSI CISTICA“Nella striscia di Gaza si riscontra un alto numero dibambini affetti da fibrosi cistica - spiega il professor Al-berto Mantovani, Prorettore alla Ricerca dell’Universi-tà di Milano, Direttore Scientifico di Humanitas -, unamalattia genetica, cronica ed evolutiva che si manifestacon l’incapacità dell’organismo di controllare alcuniagenti infettivi. Coinvolge numerosi organi e apparati:

Progetto GazaProgetto Gazapacepace

dalla Medicina una speranza di

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N. 1/2011 - Humanitas 31

CURA, MA ANCHE FORMAZIONEIl Progetto Gaza non fornisce solo cure mediche ai pic-coli pazienti provenienti dalla Striscia di Gaza. “In colla-borazione con il Centro Peres per la Pace - spiega Ba-roukh Assael, direttore del Centro di Fibrosi Cisticadell’Ospedale di Verona - il dipartimento di Pediatriadell’Hadassah si è posto l’obiettivo di formare persona-le medico e paramedico palestinese, in modo da aiutar-li a creare un centro specializzato nella stessa Gaza. An-che perché, dopo la chiusura delle frontiere, per i pic-coli pazienti è sempre più difficile arrivare a Gerusa-lemme. Già tre medici, un’infermiera e un fisioterapistaprovenienti dal territorio palestinese sono andati pres-so il dipartimento del professor Kerem per un corso in-tensivo di un anno. Questa squadra ritorna ogni setti-mana per condividere e discutere i casi più difficili”. Questo progetto costituisce un esempio di come la Me-dicina possa superare le barriere tra i popoli: uno stru-mento di dialogo e di pace al di là di ogni differenza et-nica, culturale e religiosa. “Per il futuro - precisa Kerem- la speranza è riuscire a dare una base permanente alprogetto di formazione di tecnici e di consulenza per ipazienti, superando gli ostacoli burocratici e militari,come permessi e controlli, oltre che economici”. “Fon-dazione Humanitas per la Ricerca sostiene il ProgettoGaza - conclude il professor Mantovani, presidente del-la Fondazione - mettendo a disposizione degli studentidi Medicina dell’Università degli Studi di Milano alcu-ne borse di studio per un tirocinio nella struttura diret-ta dal professor Kerem”.

nel caso dei polmoni, ad esempio, l’infiammazione cro-nica determina un progressivo deterioramento degli or-gani stessi e un declino graduale della funzionalità re-spiratoria”.

LA PEDIATRIA DELL’HADASSAH, UN LUOGO DIINCONTRO E DI PACE I piccoli pazienti dell’ospedale Hadassah, situato nellaparte nord orientale di Gerusalemme, sono ebrei ed ara-bi che riflettono il carattere eterogeneo di questa regio-ne. La sfida dei medici è sempre stata fornire le miglioricure mediche nel rispetto delle differenze etniche, cul-turali e religiose dei pazienti. Lo stesso personale medi-co ed infermieristico, ebreo ed arabo, riflette queste dif-ferenze. “Ho sempre considerato questa diversità etnicae culturale - spiega il dottor Eitan Kerem - come un’op-portunità di incontro e di pace tra arabi e israeliani. Il no-stro reparto è uno dei pochi luoghi in Israele dove israe-liani e arabi, in conflitto da decenni, si incontrano in uncontesto che permette loro di conoscersi e di aiutarsi:uguaglianza nella malattia e nelle cure. In un luogo doveil nemico da combattere è la fibrosi cistica”. Diverse so-no le iniziative che il reparto di Pediatria dell’Hadassahha messo in atto per facilitare l’incontro tra le due popo-lazioni e per alleviare le sofferenze dei giovani pazienti:grande è la volontà di aumentare la percentuale di per-sonale medico e paramedico palestinese; le barriere lin-guistiche vengono superate grazie all’aiuto di interpreti,che facilitano il dialogo con le famiglie; medici travestitida clown parlano con i bambini nel linguaggio universa-le della mimica e dell’umorismo.

Nella foto, da sinistra: Alberto Mantovani, Eitan Kerem e Baroukh Assael, protagonisti di unaHumanitas Lecture

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32 Humanitas - N. 1/2011

Una donna di 60 anni, senza problemi fisici pre-gressi, dopo la morte della madre accusa sin-tomi simili a quelli causati da un infarto: males-

sere generale, sudorazione fredda, senso di oppressio-ne toracica. Sottoposta a coronarografia d’urgenza, leviene diagnosticata la Sindrome di Tako-Tsubo: un’im-provvisa paralisi di una parte del muscolo cardiaco,causata da una scarica di adrenalina endogena provoca-ta da un serio stress o fisico o psichico. Quale, appunto,un grave lutto familiare.Teoricamente perdere i genitori in età avanzata - comeaccade alla generazione degli attuali 60-70enni per viadell’allungamento della vita media - dovrebbe essereun evento ‘fisiologico’, e dunque privo di gran parte del-le forti implicazioni emotive che un lutto familiare com-porta. Allora perché, al contrario, è così devastante?“L’invecchiamento comporta inevitabilmente indeboli-mento e, spesso, malattia - spiega Patrizia Presbitero,responsabile Emodinamica e Cardiologia Interventisticadell’Istituto Clinico Humanitas -. Questi ‘figli anziani’ sitrovano pertanto a prendersi cura, per anni, dei propri‘genitori vecchi’. E la cura comporta attenzione, tempo, ri-sorse di ogni tipo. Con il pensionamento e l’allontanamen-to dei figli, per i nostri 60-70enni questa può diventareun’occupazione molto importante, se non dal lato pratico(a volte ci si riesce ad appoggiare alle badanti) certo dallato emotivo. Anche perché con l’avanzare dell’età inevita-bilmente si diventa più apprensivi, e si tendono a rafforza-re i legami familiari prima trascurati a causa dell’attività la-vorativa o di mille altri impegni. Così, alla perdita dei geni-tori segue uno smarrimento che dura a lungo e una me-lanconia che diventa una condizione quasi permanente”.

QUANDO LO STRESS EMOTIVO SI RIFLETTESUL FISICOPer tutti questi motivi diventare orfani a 60-70 anni puòessere molto più traumatico che a 40. “Prima, infatti -prosegue la dottoressa Presbitero - c’è davanti tutta unavita ancora da vivere, una carriera da completare, dei fi-gli da crescere, la casa da finire… Tutte ‘spinte’ per an-

dare avanti che in qualche modo contengono la perditacosì dolorosa di un proprio caro, in particolare della ma-dre. Dentro di noi, la barriera alla morte è rappresenta-ta dai genitori: finché ci sono, questi ci pongono inevita-bilmente nelle condizioni di figlio, e in quanto tale pro-tetto da un adulto. Quando vengono a mancare, diven-tiamo - o meglio, ci accorgiamo di essere - vulnerabili,esposti alla possibilità della morte, esattamente come inseguito ad una grave malattia. Questa è di per se unacondizione di fragilità che genera ansia e insicurezza e,a volte, sintomi che coinvolgono l’apparato cardiovasco-lare: tachicardia, crisi di panico, crisi ipertensive. In casiestremi, Sindrome di Tako-Zubo: che, è importante sot-tolineare, riguarda quasi esclusivamente le donne”.

QUANDO LE DONNE SONO PIÙ A RISCHIO La Medicina di genere ci ha già spiegato come vi sianodelle differenze biologiche importanti tra maschi e fem-mine e malattie che colpiscono per lo più le donne, e nonperché riguardano organi presenti solo nella popolazio-ne femminile (come le mammelle o l’utero). “Ne sonoesempi il lupus, l’artrite reumatoide, l’ipertensione pol-monare primitiva, o ancora, in ambito cardiaco, la steno-si mitralica - spiega ancora la dottoressa Presbitero -. Sitratta quasi sempre di malattie legate all’immunità, ossiaalla risposta dell’organismo ad un’aggressione che pro-viene dall’interno o dall’esterno del nostro corpo. La Sindrome di Tako-Tsubo rientra in questa diversitàdi risposta delle donne ad un grave stress emotivo o fi-sico. Una diversità legata ad una differenza genetica efisica che è necessario studiare ed approfondire ulte-riormente, per poter offrire alla popolazione femminilele migliori cure mediche”.

Perdere i genitori in età avanzata dovrebbe essere un evento fisiologico. Allora perché, al contrario, è così devastante specialmente nelle donne? Tanto da causare sintomisimili all’infarto. Ne parliamo con la dottoressa Patrizia Presbitero.

La sindrome delle nonne orfane

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LA SINDROME DI TAKO-TSUBO� CHE COS’È: Nota anche con il nome di “Broken Heart” (letteralmente

“cuore rotto”) Syndrome, è una cardiopatia con quadro di esordio tipico di

quello di un infarto o di una sindrome coronaria acuta.

� LE CAUSE: Sembra correlata a stress psichici o fisici intensi (forti

emozioni, paura, panico, spaventi, lutti, interventi chirurgici).

� CHI COLPISCE: In prevalenza il sesso femminile (post menopausa).

Responsabiledell’Unità Operativa diCardiologia Invasiva diHumanitas dal 1997,la dottoressa PatriziaPresbitero èriconosciuta comeesperta a livellointernazionale per lemalattie congenitecardiache, inparticolare di adulti.

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www.legatumori.mi.it

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N. 1/2011 - Humanitas 35

Sono circa 900.000 le persone che oggi in Italiaconvivono con le conseguenze di un ictus. Diqueste, il 35% riporta una disabilità marcata che

limita fortemente la sua autonomia. Il carico di questolimite ricade in buona parte sulle famiglie, che rappre-sentano una risorsa fondamentale per l’assistenza, aprescindere dall’offerta di servizi. Una persona colpita da ictus ha infatti bisogni articolatie differenziati che vanno al di là della supervisione sa-nitaria e della riabilitazione periodica. “L’ictus è una ma-lattia che porta con sé effetti su tutto il sistema dell’in-dividuo - spiega il dottor Marco Pagani, medico fisia-tra del Dipartimento di Riabilitazione di Humanitas di-retto dal dottor Stefano Respizzi. La persona colpita ècostretta a riprogrammare il proprio futuro in base alleconseguenze della malattia. Per far questo, ha bisognodi risposte pratiche come l’informazione medica o laconoscenza dei servizi assistenziali sul territorio, maanche di supporto emotivo per la ripresa della socialitàe delle attività quotidiane”. Questo processo riguarda inevitabilmente anche chigli sta accanto. La malattia infatti coinvolge tutto il nu-cleo familiare, anche se spesso i bisogni dei malati so-no meglio riconosciuti di quelli dei familiari. “L’eventoictus cambia la vita improvvisamente - chiarisce la dot-toressa Chiara Poggio, psicologa di Fondazione Hu-manitas - determinando una rottura della quotidianitàcosì come la si conosceva prima, per malati e caregi-vers. Questo comporta un percorso di accettazione edi cambiamento da parte di entrambi. È dunque ne-cessario promuovere il recupero delle loro risorse per-sonali per fronteggiare la situazione e non chiudersinell’isolamento”.

IL PROGRAMMA ARKOIl programma Arko nasce nel 2007 proprio per essereun “ponte” (dal greco “αρχο∫”) tra la situazione di vitaconosciuta e quella sconosciuta, dopo l’ictus: l’obiettivoè non far sentire soli malati e familiari nella ricerca diuna nuova qualità di vita. Un’alleanza tra famiglia e vo-lontariato per condividere il peso pratico ed emotivodella malattia. “Da dodici anni cerchiamo di dare un si-gnificato concreto alle parole ‘qualità di vita per il ma-lato e per la sua famiglia’ - racconta Giuliana Bossi

Rocca, Segretario Generale di Fondazione Humanitas- e i nostri programmi nascono per tentare di interveni-re in quelle situazioni, come l’ictus, in cui la vita nellasua interezza personale, familiare, professionale, affet-tiva, amicale, è improvvisamente e profondamentecompromessa”. Arko completa e integra il progetto assistenziale e ri-abilitativo del paziente of frendo un numero verde(800.27.16.01) e incontri aperti di informazione sani-taria per avere risposte sulla malattia e le sue conse-guenze da parte dei professionisti medico-sanitari co-involti nel percorso di cura. Inoltre, esempio tra i po-chissimi in Italia, Arko propone un percorso di gruppidi Auto Mutuo Aiuto (AMA), uno strumento gratuitoe accessibile per pazienti e familiari che, con percorsidifferenziati, sviluppano nuove capacità di affrontarele comuni difficoltà, diventando ognuno risorsa per sestesso e per gli altri. “Le malattie croniche – continuaBossi Rocca - confinano le persone nello smarrimen-to, nell’insicurezza e nella solitudine. Aiutare a ritro-vare un nuovo gusto per la vita, nonostante ciò che siè perso, è fondamentale. Questo avviene in particola-re nei gruppi AMA in cui ci si ritrova simili compresi,si lavora su una realtà comune, in cui gli scambi diesperienze e i miglioramenti fisici e psicologici, anchepiù piccoli, riattivano la speranza. Nel corso di questi4 anni, abbiamo visto famiglie ritrovare realmente unaqualità di vita, anche se profondamente differente daquella conosciuta e sperimentata prima dell’evento ic-tus. Sarebbe auspicabile che questa esperienza si al-largasse anche presso altre strutture ospedaliere eche soprattutto i medici di base segnalassero ai loropazienti che, sul territorio di Rozzano, c’è un ospedalecon la sua Fondazione che offre una forte possibilitàdi recupero fisico e psicologico”.

Nel 2007 la prima riunione in Fondazione Humanitas con le persone colpite da ictus e i lorofamiliari. Oggi, un numero verde, incontri di prevenzione e gruppi di Auto Mutuo Aiuto.

Contro l’ictus, un “ponte”lungo 4 anni

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I PUNTI DI FORZA DI ARKO • incontri di informazione sanitaria

• gruppi di Auto Mutuo Aiuto

Numeroverde

800.27.16.01

Un gruppo di volontaridella Fondazioneinsieme all’assistentesociale StefaniaMazzieri (al centro).

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36 Humanitas - N. 1/2011

Il suo nome è Ariel, come la stella del pianeta Ura-no, ed è una fondazione non profit nata nel 2003per rispondere ai bisogni delle famiglie con bambi-

ni affetti da Paralisi Cerebrale e disabilità neuromoto-rie: dal supporto socio-assistenziale a quello psicologi-co, dai servizi di orientamento a quelli di formazionemedica e di ricerca scientifica.E Ariel di stelle speciali ne ha davvero molte: sono ivolontari della fondazione, che offrono conforto e mo-menti di svago ai bambini ricoverati presso il repartodi Ortopedia Pediatrica e Neuro-ortopedia dell’Istitu-to Clinico Humanitas, nonché sollievo ai genitori –provenienti da tutta Italia - gravati dall’assistenza con-tinuativa al figlio e, spesso, privi degli appoggi paren-tali ed amicali che la distanza dal luogo di residenzacomporta. L’attività dei volontari si rivolge anche ai bambini pre-senti il sabato mattina durante i corsi di formazione chela Fondazione Ariel organizza gratuitamente per i geni-tori su tematiche di tipo medico, psicologico e sociale.In questo caso, la presenza del gruppo di volontari per-mette l’intrattenimento gioioso dei bambini attraversoattività di gioco, fiabe e animazioni musicali. La possi-bilità di portare con sé i propri figli, favorisce la parte-cipazione serena dei genitori ai corsi di formazione.La Fondazione Ariel prevede una formazione conti-nua ai volontari, che permetta di affrontare con com-petenza e serenità il loro delicato compito e che possaessere vissuto come momento di aggregazione tra ilgruppo dei volontari storici e le nuove “stelle”. “Conquesto obiettivo si è appena concluso l’ultimo percorsoformativo organizzato in collaborazione con il Ciessevi,Centro di servizio per il volontariato per la provincia di

Milano. – spiega la dottoressa Barbara Bellasio, Se-gretario Generale di Fondazione Ariel – Mi è piaciuto

molto l’entusiasmo che ho visto negli occhi di tutti, an-siosi di affrontare questa nuova esperienza”.

Questo entusiasmo traspare proprio dalle paroledei volontari di Ariel, che al termine del corsohanno lasciato le loro testimonianze e le primeimpressioni a contatto con i bambini disabili e le

loro famiglie. “Il volontariato è un percorso di co-esione. Individuare il meglio di ognuno per creare

un gruppo solido e proattivo. Si tratta di un’esperien-za bellissima, che contribuisce a formarci come perso-ne oltre che come volontari; è un’esperienza ricca diforti emozioni che fa sì che una persona ridimensioni ipropri problemi e veda la vita con gli occhi di un bambi-no...con speranza e semplicità!”.Il gruppo delle 13 stelle di Ariel è coordinato dalladott.ssa Stefania Cirelli, Assistente Sociale e Respon-sabile volontari della Fondazione, che segue i volonta-ri a partire dal colloquio attitudinale. Si tratta di un pri-mo incontro in cui gli aspiranti volontari possono co-noscere meglio la Fondazione ed esprimere le loro at-titudini e motivazioni. “Nei colloqui conoscitivi conciascun volontario mi hanno toccato la loro motivazio-ne e la sensibilità verso i bambini con disabilità. Lamaggior parte di loro è giovane e impegnata professio-nalmente ma desiderosa di dedicare un po’ del propriotempo libero ai nostri bambini e alle loro famiglie. Ildono di questo gruppo di giovani affiatato e gioioso èun bel messaggio di speranza per Ariel e per la nostrasocietà”. H

Al termine del percorso formativo organizzato in collaborazione con il Centro Servizi per ilVolontariato di Milano, la Fondazione Ariel presenta i nuovi volontari.

Le stelle di Ariel per le famiglie con bambini disabili

Nella foto, i volontariARIEL.

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38 Humanitas - N. 1/2011

Associare una corretta alimentazione ad una re-golare attività fisica fa bene alla salute, perchépermette di mantenere un peso corporeo ade-

guato. Il che significa evitare il sovrappeso, condizioneclinica e patologica che, soprattutto se si trasforma inobesità, può costituire anche un aumentato fattore di ri-schio per altre malattie, in particolare cardiovascolari emetaboliche. Il consiglio degli esperti, dunque, è man-giare bene ma muoversi sempre.

“E’ importante effettuare un’attività fisica regolare e co-stante, soprattutto di tipo aerobico - spiega StefaniaSetti, medico nutrizionista di Humanitas Gavazzeni: bi-cicletta, cyclette, nuoto, o fare passeggiate a passo so-stenuto. Si tratta di un’attività che permette di mantene-re un peso corporeo adeguato o, se si è in una condizio-ne di sovrappeso o obesità, di calare perché si stimola ilmetabolismo e aumenta la massa muscolare e il dispen-dio energetico. Inoltre l’attività fisica permette un mi-glior controllo del profilo metabolico, ovvero, dei valoridi glicemia e colesterolo in particolare favorendo l’in-nalzamento del cosiddetto colesterolo buono l’HDL”. Per quanto riguarda invece l’alimentazione, il consiglioè di organizzare la giornata con un frazionamento deipasti: colazione, pranzo e cena e due spuntini, uno ametà mattina e uno a metà pomeriggio. “Mangiare piùvolta al giorno implica attivare più volte la digestione e,quindi, far lavorare di più l’organismo – aggiunge ladottoressa Setti - . Nei pasti principali è molto impor-tante avere sempre una fonte di carboidrati e di protei-ne più la verdura. La frutta possiamo ad esempio tener-la per gli spuntini. Un pasto misto aiuta a stimolaremaggiormente il metabolismo. Attenzione poi allequantità, ai condimenti e ai metodi di cottura e a noneccedere con il consumo di alcuni alimenti come affet-

A tavolaA tavolasalutesalute

Mangiare bene e fare attività fisica. E’ il segreto per essere sempre in forma, evitandosovrappeso e obesità. Una patologia, quest’ultima, che necessita di un approccio multispecialistico.

in

La dottoressaStefania Setti èspecialista in Scienzadell’Alimentazione -Nutrizione Clinicapresso il Centro perl’obesità di HumanitasGavazzeni.

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tati, formaggi, uova e, ovviamente, dolci. Sul fronte li-quido, semaforo rosso per le bibite gasate che conten-gono zuccheri semplici e quindi calorie, così come isucchi di frutta. Nessun problema invece per l’acquagasata”.

IL RISCHIO SOVRAPPESOQuando non si riesce a mantenere uno stile di vita cor-retto il rischio è quello di entrare in una condizione disovrappeso o, nei casi più gravi, obesità.Per definire se un paziente è sovrappeso piuttosto cheobeso si valuta il Body Mass Index (BMI), un parame-tro dato dal risultato del rapporto tra il peso corporeo inchilogrammi e il quadrato dell’altezza in metri: per lacondizione di sovrappeso e fino al primo livello di obe-sità (BMI da 30 a 35) l’approccio terapeutico è solo die-

tologico. Al di sopra del 35, se un approccio conservati-vo, cioè l’insieme di dieta ed eventuale supporto psico-logico associati a modifiche dello stile di vita fallisce, lachirurgia può essere l’opzione terapeutica in grado dirisolvere definitivamente il problema obesità.

UN TEAM MULTIDISCIPLINARE CONTROL’OBESITÀPer la complessità del quadro clinico dei pazienti, adoccuparsi di obesità in Humanitas Gavazzeni è un teammultidisciplinare: Medico Nutrizionista, Dietista, Psico-logo, Endocrinologo, Chirurgo, Anestesista, Fisiatra.“Siamo di fronte ad una malattia che necessita di un ap-proccio multidisciplinare nella fase di diagnosi e impo-

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stazione della terapia - spiega Giuseppe Marinari, re-sponsabile della sezione di Chirurgia Bariatrica di Hu-manitas Gavazzeni -. Anche successivamente, una voltadeciso per l’eventuale intervento chirurgico, il team re-sta fondamentale sia nella preparazione all’interventosia, poi, nella gestione successiva, allo scopo di ottene-re il migliore risultato: una buona perdita di peso con leminori complicazioni”.Non tutti i soggetti obesi possono essere operati: visono dei limiti di età (tranne casi particolari, dai 18 ai65 anni) ed esistono delle controindicazioni assolute(psicosi, alcolismo, bulimia nervosa). Le tecniche adisposizione sono riconducibili a diversi meccanismi

d’azione: il restrittivo puro, che obbliga la personaoperata a limitare la quantità di cibo, il restrittivo or-monale, che aiuta il paziente a controllare la quantitàdi alimenti assunti riducendo il senso di fame e procu-rando sazietà precoce, e il malassorbitivo, che riducel’assorbimento degli alimenti ingeriti. Per tutte que-ste tecniche si utilizza un approccio mini-invasivo vi-deolaparoscopico che assicura minori tempi operatorie di degenza ed una ripresa alla normalità più rapidacon cicatrici ridotte.In Humanitas Gavazzeni si eseguono come interventi:palloncino endogastrico, sleeve gastrectomy, by-passgastrico, diversione bilio-pancreatica oltre ad interventidi redo-surgery (secondi interventi). Quest’ultima, pro-prio per la sua delicatezza deve essere effettuata dacentri dove le potenzialità della struttura si accompa-gnano a grande esperienza e alte capacità tecniche de-gli operatori. In Humanitas Gavazzeni la redo-surgeryviene quotidianamente eseguita al termine di una atten-ta valutazione focalizzata sulla storia, sulle problemati-che e sulle aspettative di ogni singolo caso.

Chirurgo generaleaddominale conspecializzazione inchirurgia dell’obesità,Giuseppe Marinaridall’1 ottobre 2010 èresponsabile dellasezione di ChirurgiaBariatrica diHumanitas Gavazzenia Bergamo.

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Gioco duro, atleti dalla struttura fisica più pesante rispetto alpassato, partite ravvicinate hanno fatto aumentare nell’ultimocampionatogli infortuni tra i calciatori professionisti.

Ecco il perché

troppiinfortuni.

L’incidenza traumatica dei calciatori professioni-sti da diversi anni è in aumento e sia gli espertisia molti lavori presenti in letteratura sottolinea-

no che le cause sono multifattoriali. Il dottor Piero Vol-pi, consulente Medico dell’AIC (Associazione italianacalciatori) e responsabile dell’Unità di Chirurgia del Gi-nocchio e di Traumatologia dello Sport presso Huma-nitas, analizza i fattori di rischio. “Innanzitutto - spiega -

non c’è dubbio che gli aspetti tecnici e tattici abbianodecisamente influito negli ultimi dieci vent’anni incre-mentando gli infortuni attraverso modifiche nell’inten-sità e velocità di gioco nelle gare e negli allenamenti.Come pure le tattiche di gioco, ad esempio pressing,fuorigioco, squadre corte, hanno contribuito allo stessomodo. Le caratteristiche fisiche dei giocatori, poi, sono deter-minanti. In una recente ricerca effettuata analizzando idati antropometrici di 397 calciatori di serie A italianadella stagione 2007-2008 e confrontandoli con 273 cal-ciatori della stessa serie A italiana della stagione 1977-1978, è emerso che i calciatori di oggi sono più pesantidi 3-4 Kg e più alti di 3-4 cm rispetto ai loro colleghi ditrent’anni fa. Cioè si tratta di atleti ben allenati, mastrutturalmente e fisicamente più prestanti, che quindierogano potenze maggiori durante l’attività fisico spor-tiva. Questo dato si correla con le numerose osserva-zioni presenti in letteratura che dimostrano una mag-gior forza muscolare degli arti inferiori degli attuali cal-ciatori professionisti”.Conta anche lo staff che lavora con questi atleti. Nelsettore professionistico il cambio a inizio stagione di al-

CalcioCalcio

40 Humanitas - N. 2/2010

Piero Volpi,specialista inOrtopedia eTraumatologia e inMedicina dello Sport, èstato medicoresponsabile dell’Interdal 1995 al 2000.Attualmente èconsulentedell’AssociazioneItaliana Calciatori,istruttore della FIFA ecomponente dellaCommissioneAntidoping e dellaCommissioneScientifica SLA dellaFIGC.

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lenatori e preparatori atleticicomporta quasi sempre unincremento del numero de-

gli infortuni dei giocatoridella rosa, per cambi emodifiche delle meto-

dologie dell’al-lenamento in

quantità, specifici-tà e qualità. Quando i dirigenti di una squadra profes-sionistica decidono di cambiare guida tecnica, quindidevono sapere che il rischio di maggiori infortuni è sta-tisticamente significativo. Va peraltro sottolineato chetroppe squadre non effettuano all’inizio di stagione unapreparazione pre-campionato ideale per affrontare unastagione agonistica impegnativa e dispendiosa.

TROPPE PARTITE, TROPPO RAVVICINATE“Lo stress maggiore, per i giocatori professionisti - pro-segue il dottor Volpi - è rappresentato dall’elevato nu-mero di impegni cui sono sottoposti. Occorre suddivi-dere 7-8 squadre (circa 180/200 giocatori) che parteci-pano alle competizioni nazionali (campionato e coppa

Italia), alle Coppe europee e contribuiscono fornendogiocatori per le partite delle rappresentative nazionali,dal resto delle squadre che non hanno impegni ognitre giorni, ma possono allenarsi per una settimana inte-ra. Il rapporto allenamenti/gara rappresenta l’indicato-re più affidabile circa la previsione di possibili infortu-ni: più questo indice si abbassa maggiore è il rischio diinfortunarsi. Non bisogna poi dimenticarsi delle tra-sferte settimanali, della fatica dei viaggi, dei rientri anotte inoltrata con l’impossibilità di alimentarsi corret-tamente”. Le rose sempre più nutrite costituiscono un vantaggio,che spesso però rimane solo “sulla carta”. Il numero

sempre più elevato di giocatori in rosa per squadra(25/28 nella media) da un lato dovrebbe garantire unappropriato turnover che dovrebbe consentire il recu-pero di giocatori affaticati e infortunati, ma di fatto i va-lori tecnici dei calciatori obbligano di frequente l’allena-tore a scegliere sempre gli stessi atleti. Inoltre la com-petitività elevata che si instaura nel gruppo della rosaporta a far sì che anche in allenamento la disputa quoti-diana fra compagni per essere scelti per un posto incampo o in panchina diventi spesso frenetica alzando illivello agonistico interno.“Altri fattori, ancora, possono aumentare il rischio di in-fortuni - afferma Volpi -. I terreni e le calzature hannoanche loro grande importanza là dove non vi sia curanella manutenzione degli impianti da gioco e nella scel-ta di calzature, dei tacchetti in particolare, che tendonoa privilegiare intensamente l’aderenza al terreno con ri-schi maggiori per il ginocchio.Anche l’età dei calciatori diventa un fattore non certotrascurabile, infatti è noto che il recupero fra gara e ga-ra e dopo un infortunio risulta più rapido in atleti piùgiovani. Questo dato sta a significare che chi ha una ro-sa di giocatori con una media d’età inferiore (25/27 an-ni) può avere vantaggi concreti durante la stagione nelrecupero di calciatori rispetto a chi ha rose con mediavicino o superiore ai 30 anni”.

L’IMPORTANZA DELLO STILE DI VITACon tutti questi possibili rischi, non facilmente ritocca-bili, lo stile di vita del singolo calciatore diventa deter-minante perché può rappresentare innanzitutto un ele-mento modificabile e quindi sensibile a interventi pre-ventivi. “Il fumo, ad esempio, costituisce un elementodi tossicità assoluto. L’alcool (birra, vino e superalcoli-ci) anche se assunto saltuariamente e con parsimoniapuò agire in senso sfavorevole alla miglior performan-ce. Questa analisi - conclude il dottor Volpi - deve far ri-flettere tutti: giocatori, tecnici, preparatori, medici, diri-genti per sviluppare sistemi di prevenzione efficaci acontenere i rischi traumatici di uno sport che tutti noiseguiamo e amiamo e per garantire una sempre miglio-re tutela della salute dei nostri calciatori”.

IL MONDO DEL CALCIO E LA RICERCASULLA SLAIl dottor Piero Volpi partecipa alle attività della Commissione scientifica

della FIGC sulla SLA. Attività volte a sensibilizzare e promuovere ricerca e

dibattiti sul rapporto tra SLA e attività sportive. Le conoscenze e gli studi

oggi a disposizione dimostrano come non ci sia una correlazione reale tra

sport e SLA, anche se l’incidenza della malattia tra gli sportivi è molto

superiore al dato riscontrabile nella popolazione. H

Cosa ècambiato

negli ultimi20 anni

aspetti tecnici etattici (maggiore

intensità evelocità di gioconelle gare e negli

allenamenti)

caratteristichefisiche dei

giocatori, piùalti, più pesanti e

più potenti alivello muscolare

elevato numerodi partite, minor

numero diallenamenti

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Gli esperti, riuniti al recente Congresso SIOT-Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia,puntano il dito contro scarpe scomode e maxi-

borse riempite di oggetti che consentono di esseresempre on-line. iPad, netbook, smartphone, pc e ali-mentatori, infatti, portati con sé tutto il giorno, se asso-ciati a sedentarietà e posture scorrette, provocano maldi schiena. Ma a rischio sono anche i giovanissimi,schiavi della moda, che mettono a repentaglio i loropiedi con scarpe inadeguate e con pantaloni a vita bas-sa. E non sono più soltanto le donne ad essere alle pre-se con la lombalgia perché spesso indossano tutto ilgiorno scarpe con tacchi troppo alti o sfoggiano borsericolme di oggetti. Ma è davvero così? Ne abbiamo parlato con StefanoRespizzi, Responsabile del Dipartimento di Riabilita-zione e Recupero Funzionale di Humanitas. “Se esseresempre ‘on line’ significa portare con sé maxi-borseche arrivano a pesare persino 5 kg, ripiene di accessorihi-tech, la risposta è affermativa. Innanzitutto, si deve distinguere tra computer portati-li, che sono delle mini-tavolette, e trasportabili. Se laborsa è così pesante, significa che il computer è tra-sportabile, ma non portatile. Non si deve, infatti, supe-rare i 2 kg. E attenzione a tutti gli accessori, soprattut-to gli alimentatori, che incidono notevolmente sul pe-so della borsa. Portare con sé ‘l’ufficio’ ogni giorno, in-somma, pesa sulla schiena, perché sovraccarica e usu-ra i dischi intervertebrali, che possono collassare cau-sando lombalgia. Il danno è reversibile aumentandol’attività fisica, ma, soprattutto, riducendo l’utilizzo del-le ‘maxi-borse hi-tech’ a casi eccezionali o per pocotempo al giorno”.

TUTTI SCHIAVI DELLA MODALe donne sbagliano perché scelgono scarpe con tacchivertiginosi o zeppe impensabili che, sarebbe consiglia-bile utilizzare solo per poche ore al giorno o duranteuna serata. Gli uomini, d’altro canto, soprattutto se ado-lescenti, optano per scarpe ‘alla moda’, che stringono ilpiede e non lo fanno respirare. “E quando l’appoggio èscorretto o il piede ‘soffre’ - prosegue il dottor Respizzi- tutto l’apparato scheletrico ne risente, schiena com-presa. Si deve partire da un presupposto: i nostri piedisono fatti per camminare nudi. Dato, però, che questonon è possibile per vari motivi culturali e funzionali, ènecessario mettersi le scarpe. L’ideale sarebbero, quin-di, calzature piatte come il ‘sandalo del frate’. Il materia-le migliore con cui dovrebbero essere ricoperte è ilcuoio, che fa traspirare il piede. Insomma, una scarpain cuoio con la tomaia di pelle come il mocassino è lamigliore. Se, però, si hanno problemi di appoggio valu-tati da uno specialista, può essere necessario realizzaredei plantari personalizzati con l’impronta del piede”.

E per quanto riguar-da la correlazionetra pantaloni a vitabassa e mal dischiena? “Durantel’inverno – concludelo specialista - pos-sono effettivamenteesserci ‘spifferi’ d’a-ria che, nonostante

il giubbotto, provocano contratture muscolari. Ma cosìcome raffreddori o mal di pancia. Non è quindi correttoaffermare che il mal di schiena è causato dai pantalonia vita bassa”. H

Schiena ko per due milioni di persone, “schiacciate” dal peso della moda e dell’hi-tech. E’ questo l’allarme lanciato dagli ortopedici.

Mal di schiena “hi-tech”

Il dottor StefanoRespizzi, da sempreattento all’attività dididattica e formazione,è tra i fondatori dellaFondazione G. Mercuriale per laricerca in ortopedia eriabilitazione.Nata nel1996) questafondazione promuovecome obiettivo losviluppo di attivitàformative a favore digiovani colleghiortopedici e fisiatri.

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NOTOMÌA, LE AVVENTUREDI BERENGARIO ALLEORIGINI DELL’ANATOMIA

Un viaggio nella Bologna medievale, tra glistudenti e i professori dell’Università più antica.Dove, nel 1323, la Medicina moderna muove iprimi passi. È Notomìa (editrice Quattroventi), ilprimo romanzo del dottor Luca Di Tommaso,specialista in Anatomia Patologica dell’IstitutoClinico Humanitas e docente dell’Universitàdegli Studi di Milano.

Il protagonistadel romanzo,Berengario, è ungiovane studenteammesso allascuola delmaestro Ceccod’Ascoli,letterato,astrologo emedico.Berengarioscoprirà presto la“notomìa”, unapraticalargamentediffusa tra glistudenti in

Medicina. Consiste nel reperire cadaveri dasezionare, trafugandoli o barattandoli perpochi soldi. La “notomìa”, praticata dinascosto in scantinati illuminati dalla fioca lucedelle candele, è illegale ma indispensabile persvelare la vera anatomia del corpo umano esuggerirne il funzionamento. Inseguendo laScienza, Berengario approderà alla scuola diMondino de Liuzzi, decano dei medici felsinei,e fra ostacoli e successi farà scoperteimportanti.“Il mio interesse per l’anatomia risale agli annidell’Università, appunto a Bologna - spiega ildottor Di Tommaso -. L’ho associato allapassione per la scrittura e il risultato è questoromanzo. La storia che racconto si soffermasulle prime dissezioni di cadaveri della Medicinamoderna, quando non esistevano altristrumenti per studiare l’anatomia del nostrocorpo. Siamo alle origini di una Scienza,l’Anatomia, fondamentale per lo sviluppo dellaFisiologia, della Patologia, della Terapia, equindi dell’intera Arte Medica. Ma al di là delcontesto medievale e avventuroso, ilprotagonista del libro è un mio alter ego. Ilromanzo è anche un modo per rivivere i mieianni di studio”. Notomìa è in vendita presso il Punto d’incontrodella Fondazione Humanitas, cui va anche perintero il ricavato, e presso le librerie Mondadoridi Milano.

Cervicale, una guida perprevenzione e curaNe “Il grande libro della cervicale” le regole per affrontare undisturbo molto diffuso, soprattutto tra i “forzati del pc”.

Dopo “Il grande libro del maldi schiena” gli specialisti di

Humanitas pubblicano “Il grandelibro della cervicale” (edito da Riz-zoli), di Paolo Gaetani e Loren-zo Panella, a cura di EdoardoRosati.“L’intento della nuova opera - spie-ga il dottor Gaetani, specialista diNeurochirurgia in Humanitas - èsimile alla precedente: accompa-gnare chi soffre di dolori al collo ealla cervicale lungo tutto il percor-so di diagnosi e cura. Si tratta diun disturbo molto diffuso, conun’incidenza sulla popolazione ein termini di perdita di giornate la-vorative elevata quasi quantoquella del mal di schiena. Tuttaviaesistono molti dubbi su comemuoversi, non ci sono infatti lineeguida riconosciute da tutti sui trat-tamenti da adottare”.

La guida di Gaetani e Panella af-fronta tutti gli aspetti della diagno-si e delle terapie, con una forte at-tenzione dedicata alla prevenzio-ne, alla riabilitazione, alla postura,agli esercizi da eseguire. Ma an-che a un problema molto comune,legato al mal di collo, le vertigini.“È il primo manuale sull’argomen-to scritto in stretta collaborazioneda un fisiatra, il dott. Panella, e unneurochirurgo - continua il dottorGaetani -. Con il dolore al collo co-

mincia un percorso, lungo il qualeil paziente deve essere seguitopasso passo e deve evitare i tipicierrori commessi da chi è mal con-sigliato”. Qualche esempio? “Nel-la fase diagnostica - sottolinea lospecialista - spesso si concentranoi passi falsi, come fare esami inuti-li e troppo precoci. Nel caso del-l’ernia cervicale, ad esempio, ilconsiglio è quello di avere pazien-za e aspettare almeno tre mesi pri-ma di intervenire, per verificare larisposta alle terapie non chirurgi-che”.Gli esperti spiegano che meno del10% dei pazienti con il mal di colloarriva al bisturi, tutti gli altri devo-no puntare su farmaci e fisiotera-pia, sulla riabilitazione come cura.“La riabilitazione deve essere cen-trale - conclude il dott. Gaetani -, ilnostro consiglio è di non precipi-

tarsi con la chirurgia. In questosenso il libro dà indicazioni moltoprecise”. “Il grande libro della cer-vicale” dedica anche un ampio ca-pitolo alla dettagliata descrizione,anche con illustrazioni, delle po-sture corrette e degli esercizi dafare. Oltre che alla “patologia delpc”, cioè i disturbi causati dall’usoprolungato e non corretto delcomputer, dalla prevenzione deldolore, agli errori da evitare, alleregole da rispettare.

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