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ISTITUTO PEDAGOGICO Rassegna Sistema scolastico-formativo tra riforme e tagli Il secondo ciclo Periodico dell’Istituto Pedagogico ANNO XVII agosto 2009 39

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ISTITUTO PEDAGOGICO

Rassegna

Sistema scolastico-formativo tra riforme e tagli

Il secondo ciclo

Periodico dell’Istituto Pedagogico ANNO XVIIagosto 2009

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RassegnaPeriodico quadrimestrale dell’Istituto Pedagogicoprovinciale per il gruppo linguistico italianoAnno XVII, n. 39 - agosto 2009

In copertina: Robert Doisneau, L’ultimo valzer del 14 luglio 1949

Consulenza scientifica per Rassegna n. 39Fiorella Farinelli

Direttore responsabileBruna Visintin Rauzi

Comitato scientificoGianfranco Amati, ex Presidente Istituto pedagogico – Merano; Mario Ambel, Docente di lettere – Torino; SiegfriedBaur, Pedagogia interculturale – Klagenfurt e Bolzano-Bressanone; Giorgio Bissolo, Direttore del Centro di forma-zione professionale in lingua italiana – Bolzano; Stefania Cavagnoli, Lingue e letterature straniere – Macerata eTrento; Renza Celli, Ispettrice Scuola dell’infanzia e membro del direttivo dell’I.p. – Merano; Bruno D’Amore, Di-dattica della matematica – Bologna e Bressanone; Alberto Destro, Lingue e Letterature straniere – Bologna; MartinDodman, Scienze della Formazione – Bolzano-Bressanone; Fiorella Farinelli, Formatrice, esperta in politiche sco-lastiche, ricercatrice Isfol – Roma; Carlo Fiorentini, Presidente CIDI Toscana – Firenze; Silvio Goglio, Diparti-mento di economia – Trento; Luigi Guerra, Scienze della Formazione – Bologna e Bolzano-Bressanone; Dario Ia-nes, cattedra di Pedagogia speciale alla facoltà Scienze della formazione – Trento e Bolzano-Bressanone – Adel Jab-bar, Sociologia delle migrazioni – Venezia e Trento; Claudio Magris, Letteratura tedesca moderna e contemporanea– Trieste; Vito Mastrolia, ex Presidente I.p., esperto in valutazione – Bolzano; Ivo Mattozzi, Dipartimento Discipli-ne Storiche – Bologna; Luigina Mortari, Scienze della Formazione – Verona; Günther Pallaver, Institut für Poli-tikwissenschaft – Innsbruck; Mirca Passarella, Dirigente Istituto comprensivo – Bolzano; Daniela Pellegrini Gala-stri, ex Direttrice Istituto Pedagogico – Bolzano, esperta educazione permanente; Antonio Riccò, ex Dirigente sco-lastico Merano I – Merano – Daniela Silvestri Lupoli, Scienze della Formazione – Verona; Mario Telò, Istituto diStudi europei – Universitè Libre de Bruxelles; Enrico Tezza, Centro internazionale di formazione ILO – Torino; Ro-berto Toniatti, Diritto costituzionale – Trento; Roland Verra, Intendente scolastico ladino – Bolzano.

Comitato di direzioneCarlo Bertorelle, Laura Portesi, Daniela Silvestri Lupoli

CoordinamentoCarlo Bertorelle

Gruppo redazionale Istituto pedagogicoClaudio Cantisani, Liza Centrone, Nicola Gambetti

Segreteria di redazioneMaria Teresa Tomada

Direzione e redazionevia del Ronco 2, 39100 Bolzano; numeri telefonici (prefisso 0471) 411440-1-4 (direzione – segreteria),411465 (redazione), 411448 (biblioteca), 411469 (fax);E-mail: [email protected]; Internet: www.ipbz.it

Autorizzazione del Tribunale di Bolzanon. 8 del 17.10.1994

Realizzazione graficaEdizioni Juniorviale dell’Industria, Azzano San Paolo (BG), tel. 035 534123

StampaTecnoprint, Romano di Lombardia (BG)

Poste Italiane s.p.a. – spedizione in abbonamento postale70% - DCB Bolzano

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Sistema scolastico-formativo tra riforme e tagliIl secondo ciclo

EDITORIALI

Fiorella FarinelliC’è bisogno di un vento riformatore dal basso.Tornare alla diagnosi del QuadernoBianco dell’istruzione ........................................ 5

Carlo BertorelleLa problematica della riforma del secondo ciclo (istruzione e formazione) in Alto Adige ...................................................... 11

STUDI

Martin DodmanTagli o investimenti nelle spese per l’istruzione?Le risposte dei diversi stati nel periodo della crisi............................................................ 17

Emanuele BarbieriQualità e spesa per l’istruzione in ItaliaConoscere per decidere ...................................... 23

Daniele ChecchiLicei italiani: è davvero riforma? ...................... 34

Giorgio SciottoI regolamenti della “nuova” secondaria superiore ............................................................ 38

Sommario

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Domenico ChiesaIl biennio del secondo ciclo e l’obbligo decennale di istruzione .... 47

Giorgio AllulliIstruzione e formazione professionale al bivio. La riforma degli Istituti professionali e l’intesa MIUR – Lombardia................ 54

INTERVENTI

Alberto DelcorsoProve tecniche per il “riordino” della secondaria di secondo grado in provincia di Bolzano ...................................... 60

Crescenzo Latino “Piani di studio” e riforme in Trentino. L’applicazione delle riforme Moratti e Gelmini nella provincia di Trento ...................... 64

Roland VerraScuola “europea”, scuola “paritetica”, scuola plurilingue in provincia di Bolzano. Chances e insidie .................................... 69

Fabrizio DacremaIl federalismo scolastico tra innovazione e destrutturazione .......... 74

Vittorio Campione“Governance” delle scuole autonome. Proposte su organi di gestione, accesso e carriera professionale, valutazione ............ 82

Rubriche

SCHEDE

Giuseppe PernaIl Programme for International Student Assessment (PISA)Alcuni esiti italiani confrontati nel tempo ...................................... 87

LUOGHI

Joseph ZodererLa lingua del pane .......................................................................... 102

Gli autori di questo numero ............................................................ 108

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Editoriale

C’è bisogno di un ventoriformatore dal basso

Tornare alla diagnosi del Quaderno Bianco dell’istruzione

1 - È davvero difficile provare a de-lineare gli ambiti, i contenuti, perfino itempi dell’agenda. Ci sono incertezzesu molti temi importanti. Sull’attuazio-ne dei nuovi regolamenti nell’interocomparto della secondaria superiore. Suquali soluzioni adotteranno Stato e Re-gioni per colmare il vuoto spalancatodall’abolizione negli istituti professio-nali del ciclo triennale per la qualifica.Su come arginare la liquidazione – conl’istituzione dei nuovi Centri provincia-li di istruzione degli adulti – di parti pre-ziose dell’offerta formativa, e in parti-colare dei corsi di italiano per i migran-ti. Su molti altri interventi di moderniz-zazione, riordino, restyling di cui al mo-mento non si sa se, come, quando, conquali risorse si materializzeranno. Ma laquestione è più di fondo. Quali sono iproblemi principali su cui le autonomiescolastiche dovranno misurarsi neiprossimi mesi? Che spazi ci sono, e su

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quali energie si può contare per gestire con intelligenza e professionalità l’impastodelle difficoltà vecchie e nuove che compromettono, non da oggi, il buon funzio-namento del sistema educativo? E ancora, qual è il lascito della sostanziale scon-fitta del movimento in difesa della scuola primaria dell’autunno scorso?

Il fuoco dell’attenzione è oggi ovviamente sull’impatto dei “tagli” operati dalgoverno, e sulla fin troppo ragionevole previsione di un depauperamento econo-mico progressivo della scuola pubblica. Dovuto non solo alle difficoltà della fase,ma intenzionale e strategico. La riduzione in tre anni di oltre 130.000 dipendenti(87.000 insegnanti e 44.000 tra ausiliari, amministrativi, tecnici), se per migliaia diprecari di lungo corso è una tragedia che potrà essere solo attutita da ammortizza-tori sociali destinati a bruciare risorse senza vantaggi né per il futuro professionaledegli insegnanti espulsi né per il sistema di istruzione e formazione, costringerà co-munque a uno sforzo di faticoso riadattamento tutti gli istituti scolastici, e in parti-colare quelli che operano in contesti particolarmente problematici. Ma le politicheattuate o messe in cantiere nei mesi scorsi non consistono solo in un consistente ri-dimensionamento della spesa statale per l’istruzione e negli effetti che possono de-rivarne sul piano materiale (l’incremento delle spese delle famiglie, e dunque mag-giori difficoltà per i settori più svantaggiati degli studenti) e su quello politico-cul-turale (l’indebolimento dell’educazione come bene comune da tutelare per tutti e aogni costo, anche in circostanze economiche sfavorevoli). Nell’ultimo anno, gior-no dopo giorno, sono stati consapevolmente e sistematicamente avvelenati i pozzi.L’acqua in cui la scuola italiana galleggiava è stata inquinata da campagne media-tiche mai così astiose contro gli insegnanti e contro una scuola – quella degli ulti-mi quarant’anni – che sarebbe caratterizzata solo da sprechi, ignoranza e disimpe-gno professionale, incapacità di esercitare la responsabilità educativa, risultati in-sufficienti. Mentre non ci sono state voci abbastanza forti e autorevoli per contra-stare sui media e nell’opinione pubblica la vulgata “antipedagogica” finalizzata acostruire consenso alla manovra finanziaria, le insulse nostalgie per modelli scola-stici di una società profondamente diversa dall’attuale, l’enfasi – grottesca in unascuola ancora così profondamente ancorata a una didattica di tipo trasmissivo – sulvalore esclusivo degli apprendimenti disciplinari, la marea di volgarità e di sem-plificazioni a sostegno degli interventi di tipo regressivo: a partire dalla decisionedi ripristinare per decreto (ma dov’erano, dopo 32 anni di giudizi, le ragioni del-l’urgenza?) la geometrica precisione dei voti numerici nel ciclo di base contro ildiffuso e diverso orientamento del mondo della scuola e delle scienze dell’educa-zione. Per non parlare dei sottoprodotti della guerriglia leghista – le classi-ponteche smentiscono il ruolo universalistico e di integrazione culturale della scuolapubblica; le intemerate contro i dirigenti e gli insegnanti delle aree meridionali; gliechi nella scuola del pacchetto-sicurezza sull’immigrazione – e degli effetti diso-rientanti dei tanti politici che straparlano di scuola senza informazione né rispetto.

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Fatti, misfatti, silenzi – e qua e là anche la tentazione di intimidire chi non siallinea – che alimentano i rischi del disimpegno e della rinuncia. Di cui c’è statagià qualche traccia nella soddisfazione con cui alcuni dirigenti scolastici e inse-gnanti hanno accolto i provvedimenti sul voto in condotta o la regola per cui oc-corre la sufficienza in ogni disciplina per essere ammessi agli esami di stato. Lascuola, insomma, sembra sulla difensiva, minacciata nei suoi principi dalle pa-role d’ordine populistiche, disorientata dal fare/disfare dei governi che si alter-nano, avvilita oltre che dal ridursi delle risorse anche dalla debolezza dei punti diriferimento. Che non possono essere solo il governatore della Banca d’Italia cherivendica il possibile valore aggiunto di una buona formazione per lo sviluppo ci-vile, sociale, economico del nostro paese; o solo – limitatamente ad alcuni temi –la Chiesa cattolica. E neppure le indicazioni della Commissione Europea, scom-parse dall’orizzonte delle politiche nazionali. Ma è indispensabile che la scuolatrovi in sé e nei suoi possibili alleati sociali e istituzionali di livello locale, leenergie per individuare, praticare, suggerire soluzioni sensate ed efficaci. Unbanco di prova della sua autonomia è da subito, per esempio, nella capacità di va-nificare con adeguate e tutto sommato semplici scelte organizzative la forzaturaideologica del “maestro prevalente”. Ma anche, e qui le cose si fanno più com-plesse, decidere di prendere finalmente sul serio i due testi significativi in mate-ria di curricoli – le “Indicazioni per il curricolo” con i traguardi di competenzeper il primo ciclo e le “Linee guida per l’obbligo di istruzione” con assi cultura-li e competenze trasversali per il biennio – elaborati tra il 2007 e il 2008 ma fi-nora assai poco utilizzati. Altri temi strategici, in una scuola sempre più distantedai linguaggi dei giovani, lo sviluppo di una didattica che sappia utilizzare lenuove tecnologie; l’affinamento delle competenze professionali per l’italianolingua 2 e per l’integrazione interculturale dei migranti di prima e di seconda ge-nerazione; le azioni di contrasto e di compensazione dell’insuccesso scolastico edegli abbandoni precoci; la diffusione di pratiche di autovalutazione della qualitàdei risultati e dei processi formativi.

2 - C’è bisogno, dunque, non solo di denuncia e di opposizione, ma di un ven-to riformista dal basso capace di utilizzare nel modo giusto l’autonomia. Di se-rietà professionale, di gusto per la ricerca, di un nuovo protagonismo delle scuo-le e dei tanti attori che con le scuole hanno imparato in questi anni a confrontar-si e a collaborare. Non è perché ci sono i tagli o perché non sono convincenti lepolitiche che vengono avanti, che si può abbandonare la partita. Sappiamo che irisultati del nostro sistema educativo non sono soddisfacenti, e non lo sono daben prima di Tremonti-Gelmini. Dal quinto Rapporto annuale (2008) della Com-missione Europea sul programma “Istruzione e formazione 2010” apprendiamoche, pur nel ritardo complessivo di tutti i paesi rispetto agli obiettivi di Lisbona,i miglioramenti realizzati in Italia non accorciano la distanza rispetto alla media

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europea: è ancora il 19,3% (contro il 14,8% europeo) la percentuale degli earlyleavers; sono ancora il 76,3% (contro il 78,1% europeo) i 18-24enni in possessodi diploma; sono ancora il 6,2% (contro il 9,7% europeo), gli adulti che accedo-no a una qualche forma di lifelong learning. E in più l’allarme per il peggiora-mento delle competenze in lettura dei 15enni, visibile in tutta Europa (dal 21,3%del 2000 al 24,1% del 2007 i ragazzi che raggiungono al massimo il livello 1 del-la scala OCSE-PISA), ma accentuato in Italia (26,4%). Un insieme di questioniche interroga non solo le politiche nazionali ma anche le responsabilità delle au-tonomie scolastiche, dei dirigenti e degli insegnanti. E che, con tutta evidenza,non deriva solo dalle recenti restrizioni della spesa statale per l’istruzione.

Anche su questo tema caldo, del resto, è indispensabile che nelle scuole ci siauna maggiore chiarezza. Tutto ciò che si è speso finora è stato ben speso o c’erano– ci sono – aree di scarsa efficacia della spesa? E come intervenire? Il problema siera posto anche prima dell’avvento del duo Tremonti-Gelmini. Nella diagnosi delQuaderno Bianco del 2007, sottoscritto dai ministri dell’istruzione e dell’economiadel governo Prodi, era già stato messo in rilievo che i peggiori risultati del sistemascolastico italiano rispetto agli altri paesi non dipendono da investimenti economi-ci inferiori (il rapporto della spesa per l’istruzione sul PIL è sostanzialmente alli-neato alla media europea, sebbene la popolazione giovanile in Italia sia meno con-sistente), e che da noi risulta anzi essere assai più elevato il rapporto tra insegnan-ti e allievi. In sintesi, se nei paesi OCSE servono mediamente 7,5 insegnanti per100 allievi, in Italia ne servono 11,5 (comprendendo la specificità tutta italiana de-gli insegnanti di sostegno e di quelli di religione), e comunque non meno di 9,3 an-che non contando religione e sostegno. A un rapporto così alto contribuiscono, co-me noto, diversi fattori: la frammentazione del sistema in unità scolastiche spessosottodimensionate; il tempo scuola; l’orario di insegnamento dei docenti; il mo-dello organizzativo (handicap, compresenze, insegnanti tecnico-pratici ecc.). An-che nel Quaderno Bianco venivano accantonati due luoghi comuni della pedagogiaprogressista (sostanzialmente assunti, nei decenni scorsi, dalle organizzazioni sin-dacali e dall’amministrazione), cioè che a un minor numero di alunni per classecorrisponda automaticamente una migliore qualità dell’insegnamento/apprendi-mento e che all’aumento del tempo scuola – come noto altissimo negli istituti pro-fessionali e tecnici – corrisponda sempre e comunque il miglioramento dei risulta-ti di apprendimento. Un accantonamento in verità problematico, ma in qualchemodo imposto da risultati di apprendimento che non sembrano giovarsi granché diorari lunghi e di organici ricchi. Era comunque il metodo di intervento individuatodal Quaderno l’aspetto politico più interessante. La proposta, infatti, era di coin-volgere in un programma di razionalizzazione della spesa le scuole e le ammini-strazioni locali, con l’idea di finalizzare le eventuali economie a tecnologie, edifi-ci, stipendi, formazione del personale ecc. Aprire o chiudere scuole, ampliare o

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meno il tempo scuola, eliminare indirizzi obsoleti o poco richiesti, riconvertire lestrutture sono infatti decisioni che possono essere adottate solo in loco, e associan-dovi i poteri locali in nuove forme di governance del sistema. Un programma di la-voro, accolto nella finanziaria 2008, che è stato impossibile realizzare per la cadu-ta di Prodi e che è stato sostituito, col cambio di governo, da un metodo tutto di-verso: quello dei tagli generalizzati e indifferenti alla specificità dei contesti, quel-lo di riforme/riordini – come nella secondaria superiore – e, avendo come bussolail risparmio di spesa, tagliano l’orario anche nei licei, quello di risparmi non rein-vestiti nel sistema (solo il 30% delle risorse risparmiate – si promette – dovrebbe-ro essere alla fine recuperate per attivare sistemi premianti per gli insegnanti: il re-sto a compensare l’eliminazione dell’ICI sulla prima casa?). Un quadro disperan-te, che ha avuto come primo effetto l’attacco al solo segmento della scuola italiana– la primaria – caratterizzato da un buon funzionamento e da buoni risultati.

3 - Restano invece in ombra, oggetto di annunci ma non di politiche, altri te-mi strategici, come la messa in campo di un sistema di valutazione capace di ri-levare, istituto per istituto, la differenza tra le competenze in ingresso e quelle inuscita: non ci sono i soldi, non ci sono le idee, non ci sono i tecnici che possano,in base all’analisi di quello che si fa in ogni scuola, capire perché in certi istitutile cose funzionano e in altri no. E accompagnare a processi di miglioramento lescuole meno capaci o in maggiori difficoltà. Un’assenza che rende vano ogni ap-pello al valore della qualità professionale e delle carriere insegnanti basate sulmerito: chiacchere/manifesti che di fatto finiscono col replicare le vecchie ideesecondo cui la qualità della scuola si misura con la sua severità, e dunque con lepercentuali delle bocciature, delle ripetenze, degli abbandoni. Non c’è l’Europa,con ogni evidenza, e neppure il buon senso in queste politiche: tanto meno in unascuola in cui un ragazzo su cinque – e inevitabilmente quelli di condizioni socialipiù modeste e con genitori meno istruiti – non arriva a conseguire un diploma.Ma non ci sono ricette semplici. E solo la capacità delle scuole di migliorare sestesse – didattica e risultati – può consentire, in una fase tanto difficile, di nonsmarrire il significato e il valore della scuola pubblica.

4 - A questo obiettivo occorre lavorare in molti, dentro e fuori le scuole. È im-portante, intanto, che circoli un’informazione il più possibile precisa sulle que-stioni pendenti, sulle politiche che vengono avanti, su quanto si realizza di nuovoe interessante nel nostro sistema educativo, sulle sue caratteristiche e i suoi risul-tati comparati con quelli degli altri sistemi in ambito europeo. Numeri, norme, re-golamenti, resoconti di esperienze sono parte integrante del bagaglio professiona-le degli insegnanti che non consiste, come è noto, solo nella preparazione disci-plinare e nel padroneggiamento della didattica delle discipline. Gli insegnanti so-no specialisti dell’apprendimento ma giocano anche altri ruoli, e di primo piano,

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nella modernizzazione e qualificazione della scuola. Servono prima di tutto a que-sto riviste come Rassegna. Il loro compito non è dare spazio alle riflessioni degliesperti, ma offrire ai lettori strumenti di analisi, di confronto, di proposta.

In questo numero si è cercato di dar conto di quello che è successo lo scorsoanno scolastico e di quel che di nuovo bolle in pentola. In modo non esaurienteperché i temi importanti sono ben più di quelli trattati e perché ne emergono con-tinuamente dei nuovi. Il fuoco, questa volta, è sui nuovi regolamenti per i licei eper l’istruzione tecnica e professionale, puntualmente analizzati nel contributo diGiorgio Sciotto; sui problemi che si aprono con la liquidazione negli istituti pro-fessionali del ciclo triennale di qualifica, e sull’accordo raggiunto in propositotra il Ministero della Pubblica Istruzione e la Regione Lombardia, di cui scriveGiorgio Allulli; sul nuovo obbligo di istruzione decennale e su come realizzarnele finalità, su cui si sofferma l’articolo di Domenico Chiesa. Tre contributi, dun-que, che si concentrano tutti sul secondo ciclo, sul quale interviene, ed è un ap-porto prezioso proprio perché proviene da una diversa angolatura, lo scritto del-l’economista Daniele Checchi. Arricchiscono il panorama lo studio comparato diMartin Dodman, che analizza le diverse risposte date al morso della crisi in di-versi paesi e in differenti sistemi scolastici; e l’analisi specifica della spesa perl’istruzione di Emanuele Barbieri, che disaggrega i dati e mostra come ci sia unforte divario tre le Regioni proprio per gli investimenti aggiuntivi che esse fannoe che determinano alla fine una diversa qualità del servizio scolastico. Non sia-mo lontani anche qui dalla considerazione che si svolgeva poco sopra, a propo-sito della necessità, ancora e soprattutto oggi, di tornare alle diagnosi del LibroBianco dell’istruzione scritto dal governo Prodi nel 2007, che riconosceva talu-ni aspetti di spreco nella spesa scolastica dello stato, ma indicava soluzioni vir-tuose per “riformare” e “risparmiare” insieme.

Nella sezione interventi di questo numero si fa il punto anche su questioni cheriguardano tutta la scuola (e non solo il secondo ciclo), come il sempre rinviato– ormai da nove anni – accordo tra Stato, Regioni e Province Autonome, Auto-nomie Locali sull’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, in pendenzadi un federalismo che per la prima volta, con l’approvazione della legge sul fe-deralismo fiscale, include anche la materia dell’istruzione (Fabrizio Dacrema);su alcuni temi relativi agli insegnanti e ai dirigenti scolastici – e sulle sorti del di-segno di legge Aprea – su cui scrive Vittorio Campione.

A queste analisi che riguardano tutto il sistema scolastico italiano seguonopoi alcuni specifici contributi di Alberto Delcorso, di Roland Verra e di Crescen-zo Latino relativi al Trentino e all’Alto Adige, in rapporto alle strade più o menooriginali ed autonome che qui si metteranno in campo nel “riordino” del secon-do ciclo. Speriamo, ma ce lo diranno i lettori, di avere fatto una cosa utile.

Fiorella Farinelli

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È dalla scorsa primavera che il tema del “riordino” del secondo ciclo dell’i-struzione si è posto anche all’attenzione della Provincia Autonoma di Bolzano, edella sua amministrazione scolastica, a seguito principalmente dei nuovi “rego-lamenti” emanati dal Governo (ministro Gelmini) nel dicembre 2008, e ancora infase di traduzione in legge. In realtà la Provincia di Bolzano si era ripromessa findalla precedente legislatura di disegnare con legge provinciale in modo organicoil “sistema educativo provinciale di istruzione e formazione”, in base alle sue au-tonome competenze legislative. Ma il compito previsto si era fermato a metà, li-mitandosi alla definizione della nuova scuola dell’infanzia e del primo ciclo diistruzione, con la legge provinciale n. 5 del 16 luglio 2008.

Nell’attuale situazione si mescolano quindi più piani di approfondimento, tracui anche l’attuazione della legge sull’obbligo decennale di istruzione, col suoRegolamento e le sue “linee-guida”, con gli assi culturali e le “competenze chia-ve di cittadinanza”, la legge statale che sopprime le qualifiche triennali negli isti-tuti di istruzione professionale, la legge statale di riforma degli esami di Stato...fino ai nuovi regolamenti di “riordino”, che modificano ampiamente gli indiriz-zi e i quadri orari dei licei, degli istituti tecnici e dei professionali. Una materiavasta e anche eterogenea che pone quindi alla Provincia, se intende essere coe-rente con i propri impegni di legislatura e la propria vocazione di autonomismodinamico, il compito non solo e non tanto di “recepire” i decreti del ministro Gel-mini, ma più ambiziosamente di porre le basi di un discorso generale sul sistemadi istruzione e di formazione, e sulla loro reciproca integrazione, focalizzandol’ottica sulla fascia dei giovani tra i 14 e i 19 anni e sulle loro attese e bisogni nel-la società altoatesina d’oggi. L’agenda dovrebbe comprendere pertanto tutta lagamma delle questioni connesse a questo segmento della società, con i necessa-ri raccordi con la formazione professionale e l’artigianato, la formazione e l’ac-cesso al lavoro, i titoli finali della formazione professionale e l’ipotesi di un ve-ro secondo canale formativo fino ai livelli più alti, la Formazione Tecnica Supe-

Editoriale

La problematica della riforma del secondo ciclo(istruzione e formazione) in Alto Adige

CARLO BERTORELLE

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riore, i raccordi col ciclo scolastico precedente e successivo, l’orientamento inconnessione anche ai fabbisogni del mercato del lavoro, l’educazione degli adul-ti e la connessione sinergica dei progetti educativi elaborati in ambito scolastico-formativo con la rete delle risorse culturali e di educazione permanente presentiorizzontalmente sul territorio.

Non sembra in verità che di ciò sia diffusa la consapevolezza, in quanto le au-torità provinciali si sono mosse in questo primo scorcio di legislatura piuttostolentamente e con prudenza, senza manifestare progetti incisivi. Nelle dichiara-zioni programmatiche di legislatura, semmai, la sottolineatura è stata data adobiettivi ancora piuttosto incerti, quali la “maturità professionale” e gli “istitutisuperiori di qualificazione professionale”, ma senza visibili passi ulteriori. Ilprincipale risultato è stato forse quello di una certa tenuta sul piano delle risorsee degli organici, nel senso che in provincia non si verificano le dure conseguen-ze dei tagli che nel resto d’Italia appesantiscono gravemente la situazione. Anchequi tuttavia nell’anno scolastico 2009-2010, a causa della riduzione del bilancioprovinciale, il fabbisogno di personale fatto presente dagli assessori competentiha subito un ridimensionamento.

Di fronte ai decreti del ministro sulla secondaria, che fissano scadenze tempo-rali molto ravvicinate (settembre 2010, ma con la necessità che entro fine 2009 ilquadro delle modifiche sia chiaro, per permettere le scelte e successive iscrizionidegli alunni), la Provincia ha istituito un comitato ristretto per analizzare la situa-zione e proporre ipotesi locali (per la scuola italiana) e ha incaricato gli ispettoridell’intendenza di studiare il problema (per la scuola tedesca). Si tratta di sedi diimpegno tecnico che al momento non hanno ancora prodotto risultati ufficiali .

È comunque possibile, e forse probabile, che il lavoro richieda più tempo diquello a disposizione per sciogliere tutti i nodi entro le scadenze imminenti, e chequindi la Provincia faccia slittare di un anno l’“applicazione”/“recepimento” delriordino dell’istruzione secondaria di secondo grado. Fino al momento attuale iregolamenti nazionali non sono esecutivi ed è possibile che anche a livello stata-le ci sia uno slittamento. Tra l’altro non sono stati ancora formulati i prescritti eobbligatori pareri da parte di organi importanti come la Conferenza UnificataStato-Regioni, le Commissioni parlamentari ed il Consiglio di Stato. Il parerepervenuto da parte del Consiglio Nazionale Pubblica Istruzione è stato a dir po-co severo, soprattutto sul decreto relativo all’istruzione professionale, e quasispietato a proposito dei licei.

Può essere utile, tra l’altro, approfondire le sei questioni su cui il Cnpi ha svi-luppato le sue critiche alle bozze di Regolamenti del Governo e, anche su taliaspetti, apportare integrazioni migliorative da parte della Provincia di Bolzanonella sua autonoma azione legislativa ed amministrativa.

Dopo queste premesse, è forse preferibile accennare ad alcune linee guidametodologiche con le quali impostare, con un’ottica di sistema, le basi di un pro-

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getto formativo nuovo, che faccia i conti con i regolamenti Gelmini ma non siesaurisca in una logica di “ingegneria scolastica”, di emendamenti e aggiusta-menti agli stessi. Che li utilizzi cioè come un’occasione data, ma guardi piutto-sto ad un proprio autonomo disegno di riforma, in grado di colmare le lacune esuperare le criticità del sistema educativo locale e rivolto a questa parte del mon-do giovanile e a questa problematica che connette educazione, istruzione, for-mazione, cittadinanza lavoro e sviluppo economico-sociale.

È necessario uno sguardo parzialmente diverso sull’intera questione. Bisognaessere coscienti, in un momento in cui siamo ancora all’inizio della legislaturaprovinciale, che si va a progettare il futuro formativo delle giovani generazioni,risorse per il futuro e sue destinatarie. Inoltre bisogna essere convinti della “cul-tura dell’autonomia”, avere il “coraggio” dell’autonomia, come attitudine a valo-rizzare gli spazi dell’autonomia, la quale si è ulteriormente ampliata dopo la rifor-ma federalista costituzionale e consente oggi di muoversi molto più liberamente.Con la riforma del Titolo V della Costituzione, ed in particolare con gli artt. 116 e117, tutte le Regioni hanno acquisito nuove competenze concorrenti anche incampo scolastico, ma le Province di Bolzano e di Trento e le altre Regioni a Sta-tuto speciale hanno ottenuto una potestà, praticamente pari a quella dello Stato, diemanare anche norme e principi generali in materia di legislazione scolastica.Praticamente un federalismo scolastico, di cui potremmo utilmente giovarci.

Se tutto ciò è vero, conviene a tutti compiere questo sforzo progettuale, rico-noscendo l’insufficienza degli strumenti tradizionali “tecnici” di cui si è solitiavvalersi in queste circostanze. Le commissioni di lavoro pertanto dovrebberoessere ampliate con risorse di più ampio respiro, che tendano a lavorare su basipedagogiche e culturali di prospettiva. È evidente quindi la necessità di fare ap-pello anche a istanze pedagogiche, sociali ed economiche che hanno voce in ca-pitolo nel delineare una nuova cornice formativa per i giovani post-adolescentialle soglie dell’attività lavorativa o dell’università.

Sindacati e mondo del lavoro, impresa, associazionismo giovanile e professio-nale, ricerca educativa dell’università, Accademia europea, insegnanti degli isti-tuti superiori e della formazione professionale: sono tutti soggetti e centri cui fareappello per analizzare la situazione attuale e proporre strade di cambiamento perquesto segmento della formazione nella sua interezza e complessità. È chiaro cheil primo compito dovrebbe essere quello di una serena e completa ricognizione emappatura dell’esistente, con una verifica e una valutazione di esso.

Risulta altrettanto evidente che sia lecito ottenere trasparenza e comunicazio-ne con l’esterno e che si imponga programmaticamente di dare la dovuta pubbli-cità, senza troppi filtri, a tutte le elaborazioni che via via si fanno.

È necessario ribadire che nulla vieta di discostarsi dalla linea Tremonti Gel-mini proprio sul principio di fondo che la contraddistingue: quella di una ridu-zione dell’insegnamento allo scopo di ottenere risparmi nella scuola pubblica. Il

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criterio che guida la riorganizzazione degli indirizzi di studio parzialmente riac-corpati (lo dicono osservatori e studiosi super partes ) sembra essere più l’obiet-tivo di ridurre i costi tagliando le ore di insegnamento, come è avvenuto per lascuola elementare, che non una qualche chiara idea formativa. Si può dire che laProvincia di Bolzano è riuscita in passato, come sopra si ricordava, a “tenere” sucerti standard di spesa scolastica, dinanzi alle novità riduttive introdotte sia daMoratti che da Gelmini. Tale impostazione dovrebbe oggi essere confermata conla decisione di non ridurre la spesa per la formazione; e tale scelta avrà subitoconseguenze concrete, ad esempio, dinanzi alla questione della riconversionedelle “risorse umane” che si rivelassero eccedenti dinanzi alla riduzione degliorari di insegnamento. Sono già comparse molte analisi di esperti che raffigura-no uno scenario denso di conseguenze piuttosto pesanti.

Il processo di innovazione che investe da decenni la scuola e l’insegnamentonon è qualcosa di netto e identificabile con questa o quella scuola. Percorre, as-sai più, trasversalmente le scuole, muovendosi in un ambiente misto, di coabita-zione tra il vecchio e il nuovo. Tuttavia decine di sperimentazioni hanno toccatoun po’ tutti gli istituti, riguardando sia aspetti metodologici-didattici sia aspetti distruttura (i quadri orari e le discipline). Cerchiamo allora di non ripetere l’erroreche si sta facendo a livello nazionale, dove dopo la promozione di numerose spe-rimentazioni di varia qualità e consistenza, per lo più non valutate, senza alcunaverifica di ciò che funziona e di che cosa no, seguono poi interventi di riformache non tengono affatto conto di quelle sperimentazioni, azzerano tutto, e calanodall’alto un altro modello, partorito autonomamente dagli esperti di turno. Nonsi può gettare al vento il lavoro fatto in tanti anni, le esperienze passate devonopoter servire per capire se bisogna cambiare o no, e in che direzione.

Quindi il primo passo deve rivolgersi alla ricognizione e valutazione degliesiti delle principali sperimentazioni che si sono svolte in provincia.

Un analogo giro d’orizzonte andrebbe fatto andrebbe fatto sulle esperienzeeuropee o comunque di altri paesi, relativamente alla fascia d’età che conside-riamo, se pensiamo che c’è una notevole somiglianza tra le dinamiche sociali e icomportamenti giovanili nei vari paesi europei. Studiamo quindi le risposte piùavanzate che altri magari hanno dato e innestiamole il più fecondamente possi-bile sul ceppo della nostra scuola e della nostra tradizione pedagogica.

Le basi di una nuova prospettiva dovrebbero avere al loro centro il principiodelle pari opportunità, della pari dignità di tutti i canali formativi, l’inclusione inun diritto di cittadinanza che superi selezioni sociali e gerarchizzazioni tra gli or-dini di scuole e forme di canalizzazione precoce delle scelte. Questi caposaldidovrebbero delinearsi sempre più chiaramente e riguardare essenzialmente:– il biennio di istruzione obbligatoria che completa l’obbligo decennale, intro-

dotto dal decreto 22 agosto 2007, n. 139 con gli assi culturali, le competenzedi cittadinanza e le linee guida successivamente emanati. Vanno introdotte

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realmente le piste formative che possono realizzare l’”equivalenza formati-va” in ogni tipo di scuola fino ai 16 anni, arrivando tendenzialmente allo stes-so tipo di formazione di base per tutti, come nelle migliori tradizioni europee,al fine di garantire uguale inclusione e cittadinanza a tutti i giovani e scon-giurare scelte e canalizzazioni troppo precoci. Ciò comporta un profondo la-voro sulla elaborazione di nuovi curricoli, centrati su un insegnamento nonfrontale ma anche laboratoriale e una didattica e dei saperi sviluppati percompetenze molto trasversali;

– una formazione professionale che parta dopo lo svolgimento di questo bien-nio svolto negli istituti di istruzione; che preveda anche dopo il corso di fpuna “maturità” di tipo professionale, con la eventuale prosecuzione in istitutisuperiori di qualificazione professionale o nella FTS. La formazione nel dop-pio canale studio-lavoro (sistema duale) per l’artigianato viene spostata dopoil compimento dell’obbligo di istruzione decennale.Nella preparazione scolastica del biennio le scuole fanno accordi con le scuo-le di formazione professionale e con altri enti per percorsi di scuola lavoro edi laboratorio pratico/teorico; si svolgono inoltre stages specifici, presso laformazione professionale, indirizzati a studenti più motivati da momenti diapprendimento pratico-laboratoriale.Si istituiscono e si fanno funzionare vere passerelle tra la fp e la scuola pertutto il triennio successivo all’assolvimento dell’obbligo decennale.Se la Provincia di Bolzano non intende rinunciare al proprio sistema duale eai propri corsi di formazione professionale a tempo pieno successivi al primociclo di istruzione (che costituiscono un patrimonio di tutto rispetto), si impe-gna comunque a garantire, all’interno di questo “contenitore”, nel primobiennio, l’equivalenza dei percorsi formativi previsti dal decreto sull’obbligodi istruzione decennale e la convenzione con il sistema dell’istruzione, attra-verso meccanismi di passerelle e di crediti, al fine di permettere l’eventualepassaggio-rientro negli istituti di istruzione secondaria e viceversa. La forma-zione successiva andrebbe poi a concentrarsi più strettamente sugli aspetti le-gati alla qualifica professionale. Il principio che andrebbe salvaguardato in-somma non è tanto dove si faccia questa formazione, ma il riconoscimentocomune che è oggi necessario un periodo di formazione di base su assi dicompetenze culturali per tutti più elevato (fino appunto ai 16 anni); che talepreparazione si possa svolgere anche con modalità didattiche non trasmissivee percorsi integrati per coinvolgere tutti; e che tale periodo rimanga antece-dente alla immersione nella condizione lavorativa;

– elaborazione di indicazioni provinciali per i curricoli che saranno poi imple-mentati dalle istituzioni scolastiche autonome. Questi curricoli devono puntarealla acquisizione di competenze superando i programmi incentrati sulla trasmis-sione e sull’accumulo di conoscenze e nozioni; in queste competenze per le

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scuole dell’Alto Adige devono trovare posto anche quelle utili e necessarie allavita nel contesto territoriale provinciale rafforzando e ampliando quelle già pre-senti (materie come storia, diritto, geografia, lingue, scienze del territorio ecc.);

– riforma dell’esame di Stato alla fine dei vari tipi di secondaria di II grado, at-tuando quanto previsto ma non realmente praticato a livello statale con la leg-ge n. 425 del 1997, secondo cui le commissioni non dovrebbero più valutarela maturità raggiunta dal candidato, ma certificare le competenze effettiva-mente acquisite. In questa direzione va anche la necessità di tradurre i nostridiplomi e le nostre qualifiche in livelli e criteri univoci corrispondenti allecompetenze indicate nel Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli di studio(QEQ e EQF) secondo le raccomandazioni del Parlamento europeo e delConsiglio del 5 settembre 2006. È un’esigenza riconosciuta per consentire di“leggere” nei diversi paesi i diplomi conseguiti, per agevolare la circolazionee la ricerca di occasioni lavorative;

– ruolo più incisivo del servizio di orientamento scolastico e professionale, al-lo scopo di fornire un costante monitoraggio dei fabbisogni del mercato dellavoro per orientare le scelte formative degli alunni e delle famiglie. Talecompito deve essere supportato dalle agenzie dell’ufficio del lavoro e racco-gliere con sistematicità la richiesta e le segnalazioni degli enti economici edell’impresa, offrendo un panorama realistico delle richieste che provengonodal mondo del lavoro nei diversi settori. A prescindere comunque dal serviziodi orientamento, è proprio nel cuore del percorso scolastico-formativo cheandrebbe potenziata una didattica orientativa, come componente essenzialedel profilo educativo, volta alla motivazione dell’alunno;

– accompagnamento e formazione dei docenti sia del settore istruzione che diquello della formazione professionale. Appare necessario uno stanziamentodi risorse per accompagnare il percorso riformatore: risorse per attivare laformazione in servizio degli insegnanti, necessaria fra l’altro a sostenere laprevista confluenza e ristrutturazione delle cattedre e delle classi di concorso;

– istituzione di una Agenzia provinciale per l’ integrazione dei sistemi formati-vi, con il compito di gestire tutta la problematica degli intrecci tra i diversi si-stemi formativi (istruzione, formazione, apprendistato) e in particolare il ri-conoscimento delle “passerelle” e dei crediti, la trasparenza e permeabilità dititoli e qualifiche a livello europeo (QEQ e EQF), l’integrazione dei currico-li, i recuperi di anni scolastici, l’orientamento e ri-orientamento, il contrastoe recupero degli abbandoni scolastici o formativi, il sostegno nel biennio dielevamento dell’obbligo di istruzione.Essa dovrebbe rispondere direttamente agli assessorati competenti e funzio-nare come cabina di regia (espressione molto usata e mai attuata) tra le di-verse strutture e soggetti e come supporto sia didattico che di ricomposizionegiuridica e normativa tra i diversi enti coinvolti.

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Da più parti si sente oggi parlare diun rallentamento o anche di un iniziodi uscita dalla più grave crisi finanzia-rio-economica che ha colpito il mondointero dagli anni trenta del novecento.Già si discutono le possibili politicheda adoperare per un’exit strategy dallacrisi. In questo articolo vorrei esami-nare alcuni esempi di politiche intra-prese di fronte all’inizio della crisi odurante il suo decorso e il modo in cuiessi hanno coinvolto i sistemi scolasti-ci e formativi nei Paesi considerati.L’arco temporale andrà dalla metà del2008 alla metà del 2009. Questo perio-do ha chiaramente messo in evidenzaalcune questioni chiave che riguardanole caratteristiche dei sistemi, i fattoriche influenzano il loro sviluppo e gliatteggiamenti sottesi alle politichescelte. I paesi considerati sono statiscelti perché possono essere particolar-mente interessanti come esempi di rea-zioni diverse alla crisi o come eventua-li comparazioni utili con l’Italia.

Le politiche avviate di fronte allacrisi rientrano sostanzialmente in duecategorie, che non sono necessaria-

mente incompatibili, e che in certi casicoesistono anche nei singoli Paesi. Dauna parte, vi è stata la tendenza a effet-tuare tagli in determinati settori (fracui, in alcuni casi, quello scolastico-formativo), in un tentativo di mantene-re il più possibile in equilibrio contipubblici messi a dura prova da manca-te entrate fiscali oppure da spesestraordinarie in altri settori considerateindispensabili per contrastare gli effet-ti della stessa crisi. Dall’altra parte, al-cuni governi hanno reagito con ulterio-ri investimenti in un settore ritenutostrategico per le sorti del Paese. In ter-mini percentuali di incidenza rispettoal PIL delle misure anti-crisi che ri-guardano il settore scolastico-formati-vo, i Paesi che hanno investito di più inassoluto sono l’Australia, la Germaniae gli Stati Uniti.

A loro volta, questi investimentipossono rientrare in una duplice pro-spettiva. Possono mirare a stimolarel’economia per contrastare gli effettidella recessione, attraverso, per esem-pio, un piano straordinario per l’edili-zia scolastica, opere di costruzione di

Studi

Tagli o investimenti nella spesa per l’istruzione?

Le risposte dei diversi stati nel periodo della crisi

MARTIN DODMAN

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nuovi edifici o di ricostruzione o am-pliamento di quegli esistenti. Tra i pae-si che più hanno messo l’enfasi sull’in-vestimento in infrastrutture e risorsetecnologiche nel settore scolastico-for-mative nelle loro strategie anti-crisi visono gli Stati Uniti, il Regno Unito, laGermania, il Canada e la Cina. Allostesso tempo, gli investimenti possonoconfigurarsi come un tentativo più lun-gimirante di promuovere un processoformativo maggiormente capace dicontrastare gli effetti della crisi attualee quelle future. In questo senso, la cri-si fa riflettere e ripensare le caratteri-stiche del processo formativo e la qua-lità dell’offerta formativa complessiva.

Era sicuramente inevitabile che al-cuni governi avrebbero ritenuto invecenecessario effettuare tagli per motivi diesigenza di bilancio derivanti diretta-mente dalla recessione. I dati disponi-bili dimostrano che nella metà dei Pae-si europei membri dell’OCSE i sistemiscolastici e formativi hanno subito taglidi diversi tipi ed entità. Fra questi vi so-no l’Austria, la Finlandia, la Germania,l’Irlanda, la Moldova, la Norvegia, laPolonia, il Regno Unito e la Spagna. Incerti casi si tratta di una riduzione ge-neralizzata della spesa pubblica, men-tre in altri i tagli coinvolgono solo alcu-ni rami del settore oppure sono fruttodella rimozione temporanea di agevo-lazioni fiscali. In molti casi, per esem-pio in Polonia o in Irlanda, i tagli consi-stono prevalentemente nel rimandarealmeno fino al 2012-2013 iniziativepianificate prima dell’inizio della crisi.Naturalmente, qualsiasi tentativo diconsiderare gli effetti complessivi dei

tagli deve tener contro delle caratteri-stiche del sistema, della quantità e laqualità della spesa complessiva. Quan-do si considerano la natura e le conse-guenze dei tagli, occorre tener contodel punto di partenza. In un Paese ca-ratterizzato da una lunga tradizione diun alto livello di investimento nel setto-re scolastico-formativo, gli effetti nonsono così incisivi come può accadere inun contesto di basso investimento.

Inoltre, in alcuni casi certi tipi di ta-gli sono stati bilanciati o anche più checompensati nella spesa complessiva daaltri nuovi investimenti. Per esempio, inGermania, accanto ad alcuni tagli nellespese correnti per il personale, servizialle scuole o il mantenimento degli edi-fici da parte di enti locali, a livello na-zionale ci sono stati massicci investi-menti in infrastrutture, in particolare perla costruzione o il miglioramento del-l’edilizia scolastica. In Australia, tagliprevisti dalla Finanziaria 2008 (prece-dente alla crisi) sono stati addiritturacancellati e nuovi investimenti effettua-ti nel 2009 porteranno la spesa a livelliancora più alti di quelli di prima.

Nei Paesi scandinavi, dove il siste-ma scolastico è caratterizzato da unforte decentramento dell’amministra-zione, si possono riscontrare differenzea livello locale rispetto a quello nazio-nale. In Finlandia ci sono stati tagli incerte municipalità a causa di una reces-sione che localmente ha prodotto unariduzione delle entrate, mentre in altregli effetti della crisi sono stati moltomeno forti. Gli eventuali tagli hannoportato a classi più numerose, unaqualche riduzione nell’offerta formati-

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va complessiva, oppure una tempora-nea perdita di posti di lavoro. NellaSvezia e la Danimarca, i tagli sono sta-ti evitati attraverso sovvenzioni dei bi-lanci locali da parte dello Stato. NellaNorvegia, in più o meno un terzo dellemunicipalità vi sono stati tagli tempo-ranei. Allo stesso tempo, nella Finan-ziaria per l’anno 2009 si prevede un in-vestimento massiccio per “migliorarela qualità delle nostre scuole”, dandopriorità a misure per innalzare lo statusdell’insegnante, rendere la professioneancora più attraente e ambita e così mi-gliorare la qualità delle scuole. Nelleparole dei Ministri dell’Educazione edella Ricerca e dell’Alta Educazione,“intendiamo investire moltissimo nellescuole nei prossimi anni. L’intenzioneè di aumentare il numero degli inse-gnanti e facilitare l’esercizio della pro-fessione insegnante”. Un altro capitoloriguarda un notevole investimento nel-la qualità della ricerca sul sistema sco-lastico attraverso il finanziamento diprogetti e l’assunzione di nuovi ricer-catori. Inoltre, si prevedono investi-menti diretti e incentivazioni per glienti locali nell’estensione e la riqualifi-cazione dell’edilizia scolastica, dagliasili nidi in poi. Gli investimenti com-prendono anche la costruzione di 1000nuovi appartamenti destinati a studentiuniversitari nel 2009 (in un paese di 4,6milioni di abitanti).

Anche negli Stati Uniti si sono ma-nifestate delle differenze fra effetti del-la crisi a livello locale e politiche na-zionali decise come strategie anti-crisi.Molti dei singoli stati hanno trovatoche fosse impossibile finanziare tutti i

loro programmi esistenti e di conse-guenza vi sono stati notevoli perdite diposti di lavoro. In particolare sono sta-ti colpiti i servizi forniti per soddisfarei bisogni speciali degli alunni diversa-mente abili o svantaggiati. Allo stessotempo, la crisi è stata l’occasione perlanciare nuovi investimenti di $100miliardi per scuole e università (in par-ticolare, formazione degli insegnanti enuove infrastrutture e risorse tecnolo-giche), insieme a molte agevolazionifiscali per incentivare la partecipazio-ne al processo formativo, come partedi un pacchetto federale di stimoli anti-crisi nel febbraio del 2009.

Nel Regno Unito, i tagli effettuatisono stati sostanzialmente limitati alsettore della formazione superiore euniversitaria, con l’eccezione delle of-ferte formative relative a scienze, tec-nologia e matematica, ritenute troppostrategiche da tagliare. Il governo haconsiderato prioritario mantenere imolti progetti avviati negli ultimi anniper la promozione della qualità nel si-stema formativo. Allo stesso tempo, illibro bianco New Opportunities(2009), prevede nuovi investimentinell’educazione prescolare gratuita enelle infrastrutture scolastiche e uni-versitarie, nuovi incentivi e bonus pergli insegnanti e la creazione di nuoviposti disponibili per la formazione pro-fessionale permanente. Si registra unasituazione simile in Canada, dove vi èstato qualche congelamento o riduzio-ne temporanea di finanziamenti per leuniversità, mentre le scuole non hannosubito tagli e molti investimenti in in-frastrutture sono stati avviati.

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Vi sono poi molti esempi di Paesiche hanno individuato settori specificiper gli investimenti effettuati. In Spa-gna le nuove risorse rese disponibilisono state indirizzate verso l’educazio-ne prescolare e l’introduzione del pro-getto University Strategy 2015. Unapolitica analoga è stata adottata in Por-togallo. La Russia ha introdotto moltiincentivi e agevolazioni per studentiuniversitari. L’Ungheria ha varato unampio nuovo progetto di formazionedegli insegnanti. Nella Corea, il gover-no ha avviato diversi progetti mirati:per attirare studenti provenienti da altripaesi, diffondere l’uso dell’e-learninge promuovere la costruzione di greenschools caratterizzate dall’efficienzaenergetica e aree verdi.

Veniamo al caso Italia. A prima vi-sta, potrebbe sembrare che l’attualepolitica scolastica italiana rientri nellacategoria di tagli ritenuti necessari da-vanti alla crisi. In realtà, non è così.Ben prima dell’inizio della crisi, un’in-cessante ripetizione di una tesi, assolu-tamente infondata, alla base di affer-mazioni approssimative o inattendibilida parte di molti politici e anche com-mentatori, che fosse necessario taglia-re una eccessiva spesa pubblica relati-va alla scuola, sembrava averla resaquasi assiomatica per buona parte delpaese. In seguito, nella Legge 133 del6 agosto 2008, articolo 64, comma 6, siafferma che “…devono derivare per ilbilancio dello Stato economie lorde dispesa, non inferiori a 650 milioni dieuro per l’anno 2009, di 1.650 milioniper l’anno 2010, di 2.538 milioni di eu-ro per l’anno 2011 e di 3.188 milioni di

euro a decorrere dall’anno 2012”.Un’analisi dei dati forniti dall’OCSE,dall’ISTAT, dal MPI e MIUR e dal Bi-lancio dello Stato dimostra ampiamen-te che il presupposto della necessità ditagliare e i provvedimenti conseguentinon sono assolutamente corroboratidai fatti. Anzi, dal 1990 in poi la quotadel PIL destinata alla spesa pubblicasulla scuola è diminuita notevolmente.Nel 2007 era già scesa da un picco del4,4% al 3,3%. Se quanto previsto dallaLegge 133 dovesse andare interamentein porto, si rischierebbe di arrivare auna quota attorno al 2,5%. Se poi con-sideriamo che la quota media del PILdestinata alla scuola nei Paesi dell’OC-SE è fra il 4% e il 5% e che alcuni deipaesi citati come esempi di eccellenzain base alle rilevazioni effettuate dallostesso OCSE spendono anche molto dipiù, sembra assolutamente fuori luogoritenere che l’Italia spenda troppo. Laspesa pubblica per la scuola è l’investi-mento più importante che una societàfa nel proprio futuro. Sostenere che oc-corra ridurre ulteriormente una quotadel PIL già molto bassa rasenta sempli-cemente l’irresponsabilità.

Dunque, gli attuali tagli in atto inItalia non sono frutto della crisi, e a chiscrive l’attuale politica scolastica ita-liana risulta semplicemente desolante,priva di una qualsiasi visione di unprocesso formativo adeguato ai biso-gni presenti e futuri del Paese, tutta im-perniata su tagli e proclami vuoti di“serietà” e “meritocrazia”. L’attualecrisi dovrebbe spingere ogni Paese acercare risposte più efficaci alla do-manda di come investire nel proprio

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futuro attraverso la formazione cheprevede per i propri membri. Questoprocesso formativo deve permettere aogni individuo di realizzare appieno leproprie potenzialità e dunque contri-buire a pieno titolo allo sviluppo dellasocietà stessa. Si deve ideare e pro-muovere un processo che permetta lacostruzione di percorsi unitari, diffe-renziati e integrati e il raggiungimentodi obiettivi flessibili. Allo stesso tempoil processo deve essere capace di rin-novarsi in continuazione per risponde-re all’ineludibile cambiamento nellasocietà stessa. La progressiva velociz-zazione di questo cambiamento richie-de un paradigma nuovo, sia per com-prendere l’evoluzione di una societàcaratterizzata dalla complessità, laprovvisorietà, l’indeterminatezza el’imprevedibilità che per favorire unprocesso formativo coerente con que-ste caratteristiche.

Se la crisi avrà avuto una funzioneutile, sarà perché ha reso davvero ine-ludibile affrontare questi nodi. I Paesiche avviano le politiche più lungimi-ranti vedono questo periodo come unpassaggio dall’investire per stimolarel’economia a uscire dalla crisi all’inve-stire per stimolare l’economia della co-noscenza e dunque accelerare la ricer-ca di caratteristiche di efficacia e qua-lità nei sistemi formativi di cui la so-cietà ha bisogno. Sempre più chiara-mente si percepisce una diretta correla-zione fra il livello di partecipazione deimembri della società e il livello di spe-sa e di investimento nel processo for-mativo. Ovunque, vi è una constatazio-ne dell’importanza di diffondere e po-

tenziare l’autonomia scolastica comevia essenziale per il miglioramentodella qualità del sistema formativo edelle sue singole agenzie organizzatein rete, di promuovere una cultura del-la ricerca educativa e della valutazionedell’efficacia delle offerte formative.Occorrono politiche volte alla costru-zione di percorsi per l’apprendimentolungo l’intero arco della vita, ben defi-niti e accessibili a tutti, favorendo in-vestimenti in asili nido e scuole del-l’infanzia e in opportunità di formazio-ne per gli adulti.

Tutti gli studi compiuti, fra cui i ri-sultati delle rilevazioni OCSE-PISA,dimostrano come i Paesi che ottengonoi risultati migliori prevedono unaScuola comprensiva (con ciclo unico odue cicli strettamente interdipendenti)fino a 16 anni, e una progressiva spe-cializzazione in indirizzi solo dopoquella età. Dovrebbe essere chiaro atutti che la mancanza di continuità nelpercorso formativo sia fonte di disper-sione a causa della frammentazionedell’offerta e che una selezione o unascelta precoce, basata su presunte atti-tudini o capacità, sia fonte di dispersio-ne delle potenzialità inesplorate o tron-cate, oltre a fonte di grave ingiustizianei confronti di molti individui. Pur-troppo in Italia rimane molto da fare intal senso.

Infine, occorre sottolineare come, aldi là dell’importanza dell’investimentoin infrastrutture e risorse tecnologiche edella creazione di un sistema caratteriz-zato da unitarietà e integrazione, emer-ge sempre come fattore più significati-vo in assoluto la professionalità dei do-

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centi e la necessità di considerare la suapromozione come l’investimento prio-ritario. Se la formazione dei proprimembri è l’investimento più importanteche una società fa nel proprio futuro,deve essere evidente che la formazionedelle figure professionali responsabiliper quella formazione è da considerarsifondamentale. Negli ultimi vent’anni,tutti i paesi OCSE hanno compiuto unaprofonda riforma delle istituzioni e del-le modalità di formazione iniziale degliinsegnanti, realizzando nuove struttureo consolidando quelle già esistenti. Nel-la maggior parte dei casi si sono anchecreate procedure di valutazione dellaqualità e dell’efficacia di questa forma-zione. In Italia una formazione inizialeuniversitaria per la scuola primaria e lascuola secondaria è stata introdotta as-sai tardivamente, talvolta apparente-mente con poca convinzione da partedell’amministrazione scolastica, affida-ta a un mondo universitario inizialmen-te poco preparato per un compito cosìimportante. Gli ultimi sviluppi riguardoa una riforma di questa formazione nonpromettono nulla di buono.

Allo stesso tempo, in molti sistemiformativi vi è stato uno sviluppo verso

nuove modalità di formazione in servi-zio, basate sullo sviluppo professionaleall’interno di una struttura di carriera,piuttosto che sulla frequenza di perio-dici corsi di aggiornamento, e sui biso-gni formativi complessivi della scuolaautonoma intesa come luogo di speri-mentazione, ricerca e formazione. An-che l’Italia ha fatto dei passi in questadirezione, ma tuttora manca un model-lo di formazione articolata e sistemati-ca che è la chiave strategica della poli-tica scolastica in molti Paesi OCSE edè vissuta dagli operatori scolastici co-me un processo di crescita culturale, diridefinizione e rivalutazione della pro-pria identità professionale. Il modellodovrà permettere a ognuno di creare unproprio progetto personale e professio-nale, in modo da coniugare la persona-lizzazione del profilo professionaledell’individuo con l’esercizio dellapropria professionalità all’interno diuna cultura istituzionale caratterizzatada crediti cumulabili, flessibilità e mo-bilità di ruolo, differenziazione di figu-re professionali e articolazioni di car-riera. Questo è l’investimento più im-portante che ogni Paese deve fare nelproprio sistema scolastico-formativo.

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LA DIAGNOSI E LA CURA

La scuola italiana o, meglio, la poli-tica scolastica italiana, sembra colpitada una forma di interventismo freneti-co. Prevale il convincimento che i malidel nostro sistema di istruzione derivinoessenzialmente da problemi di ordina-menti o dal modello di governance del-le singole istituzioni scolastiche. Questetesi sono corredate dal corollario riguar-dante la spesa eccessiva per l’istruzio-ne. Sulla base di questi presupposti so-no stati approvati decreti legge, leggi,decreti ministeriali, regolamenti, circo-lari e note interpretative, in una quantitàimpressionante. Dall’insediamento delnuovo governo (metà maggio 2008) al-la fine di settembre 2009 (circa 500giorni) sono stati emanati, a livello na-zionale, 500 atti riguardanti la scuola: 6decreti legge; 9 leggi di cui 6 di conver-sione dei decreti; 25 decreti ministeria-li; 5 decreti del Presidente della Repub-blica; 24 decreti dirigenziali; 6 ordinan-ze ministeriali; 6 direttive; 413 tra avvi-si, circolari e note.

In definitiva, una disposizione algiorno, comprese ferie e feste coman-

date: un vero tributo all’autonomia e al-la semplificazione. Per non parlare del-le bozze di regolamenti e piani pro-grammatici, che hanno turbato i sonnidegli insegnati, dei dirigenti scolastici edegli amministratori locali e regionali,alle prese con tagli di organici, soppres-sione di plessi scolastici, maestri unici,o quasi, comunque prevalenti.

Perché tutto questo? Perché la scuolaitaliana va male e costa troppo. E perchéil rimedio non è dato da un processocircolare di: obiettivi, risorse, respon-sabilità, verifiche,interventi correttivi,ma dalle classiche grida manzoniane.

Ci dovrebbe essere un nesso, unrapporto convincente, tra i mali indivi-duati e i rimedi proposti. Dovrebbe es-sere un dovere dei decisori politici ren-dere espliciti questi rapporti.

PREGI E LIMITI DELLA NOSTRA SCUOLA

Circa 40 anni fa (alla metà degli an-ni 60), il numero dei diplomati tra igiovani, nella fascia di età 20-29 anni,era pari al 22% della popolazione cor-rispondente. Negli stessi anni la per-

Studi

Qualità e spesa per l’istruzione in Italia

Conoscere per decidere

EMANUELE BARBIERI

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centuale media dei diplomati nellastessa fascia di età nei paesi OCSE eradel 49%. In altre parole, prima che lariforma della scuola media potesseesplicare i suoi effetti, i giovani italianiche conseguivano un diploma eranopoco più di uno su cinque, mentre neipaesi OCSE tale traguardo era rag-giunto da un giovane su due.

Trent’anni dopo, la percentuale deidiplomati in Italia, nella stessa fasciadi popolazione, raggiungeva la percen-tuale del 57%, con un incremento del35%, mentre l’incremento della mediaOCSE era del 25%.

Oggi, la percentuale dei giovaniche raggiungono un diploma o unaqualifica professionale di secondo li-vello, in Italia, è pari circa all’80% del-la popolazione interessata. La scuoladell’Italia repubblicana ha compiutosicuramente un grande sforzo per alli-nearsi ai tassi di scolarizzazione deipaesi con cui era chiamata a confron-tarsi e competere.

Purtroppo questo sviluppo quantita-tivo, pressoché spontaneo, non sostenu-to da una riorganizzazione dei percorsidi studio della scuola secondaria supe-riore (la parola riforma mi sembra or-mai abusata e malata), non ha compor-tato una corrispondente crescita dei li-velli di apprendimento. In altre parole,

una percentuale significativa di diplo-mati non acquisisce le competenze cor-rispondenti al titolo di studio consegui-to. Ma nulla si è fatto per dotare il siste-ma nazionale di istruzione di strutture ingrado di valutare, in modo continuo ecapillare, le competenze effettivamenteacquisite e di intervenire nelle situazio-ni in cui gli scarti tra obiettivi e risultatidovessero risultare inaccettabili.

In questa situazione le indagini in-ternazionali sui livelli di apprendimen-to hanno avuto il merito di richiamarel’attenzione degli addetti ai lavori, pri-ma, e dei decisori politici, poi.

Questo risveglio tardivo di atten-zione non ha, però, determinato unavolontà ed una capacità di approfondi-re le analisi per individuare interventiadeguati. Dai sintomi (livelli di ap-prendimento insoddisfacenti, elevatocosto medio per alunno) si è passati al-la cura, sulla base di improbabili ana-logie con i modelli di altri paesi, un po’come avviene con la medicina fai date. In assenza di una diagnosi seria, c’èsolo da sperare che il malato riesca asopravvivere.

Per economia di spazio mi limito arichiamare e ragionare sugli elementipiù noti di queste indagini. Premettoche i dati esaminati (OCSE PISA 2006)richiederebbero una adeguata riflessio-ne sulle ragioni di un tracollo tra i risul-

età tra i 55 e i 64 anni: 22% media OCSE 49% (+ 27%)

età tra i 25 e i 34 anni: 57% media OCSE 74% (+ 17%)

Tabella 1 - Percentuale dei diplomati tra la popolazione italiana (dati OCSE relativi all’anno

2001)

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tati della scuola elementare (le indaginiIEA PIRLS sulle competenze in letturadei nostri ragazzi di nove anni e quelleTIMMS sulle competenze matemati-che e scientifiche in quarta elementareci collocano ai primi posti nelle compa-razioni internazionali) e quelli dei quin-dicenni. Così come ritengo degne di at-tenzione le analisi sulle caratteristichedei test somministrati e sui possibili ef-fetti distorcenti sulla valutazione. Maquesti elementi, pur importanti, sonorelativamente poco influenti per il pro-sieguo di questa nota.

I dati relativi alle competenzescientifiche dei quindicenni che fre-quentano il nostro sistema di istruzionee formazione professionale dicono al-cune cose molto chiare.

I risultati sono inferiori alla mediadei dati dei 57 paesi partecipanti del-l’indagine, il punteggio medio deglistudenti italiani nella scala complessi-va di scienze è pari a 475 (media OC-SE = 500), con forti differenze tra le ti-pologie di istituto e le macro aree geo-grafiche:– gli studenti di liceo conseguono ri-

sultati migliori, seguiti dagli stu-denti degli istituti tecnici e da quel-li degli istituti professionali;

– il punteggio medio conseguito da-gli studenti varia dal Nord al Suddel paese.

LA MATRICE DI UN SISTEMA BLOCCATO

Se si organizzano i dati secondo unamatrice in cui nelle colonne sono rap-presentate le diverse tipologie di istitu-

ti e nelle righe i territori, risaltano im-mediatamente le distorsioni del nostrosistema di istruzione (vedi Tabella 2).

Esiste un vero e proprio circolo vi-zioso rappresentato, da un lato, dallapermanente gerarchia gentiliana deisaperi rispecchiata dagli ordinamentidella nostra scuola superiore (istruzio-ne liceale, tecnica e professionale) e,dall’altro, dal contesto territoriale (equindi sociale, economico e culturale)in cui è inserita la scuola.

I licei del Nord-Est (567) conseguo-no risultati superiori a quelli della Fin-landia (punteggio più alto, pari a 563).Nel Sud e isole, gli istituti professionali(373), si collocano tra il penultimo pae-se, la Tunisia (386) e l’ultimo, il Qatar(349) e la formazione professionale ot-tiene risultati ancora inferiori (342).

Se non ci si limita a leggere le tabel-le più comprensibili e si analizzano an-che altri dati del rapporto si scopre che:– in Italia, il 52,1% della varianza to-

tale (indice delle differenze tra i va-lori) è spiegato dalle differenze esi-stenti tra le diverse scuole frequen-tate dagli studenti, mentre la mediaOCSE della varianza è pari al33,1%;

– esiste una forte correlazione tra i ri-sultati conseguiti dagli studenti e:• i livelli di sviluppo economico

del territorio;• la spesa per l’istruzione sostenuta

dalle Regioni e dagli Enti locali; • i tassi di scolarizzazione della

popolazione adulta;• le caratteristiche socio-culturali

familiari.

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Se si spinge un po’ più avanti la ri-flessione ci si deve chiedere quali do-vrebbero essere le scelte di politicascolastica necessarie ad aggredire que-sto circolo vizioso e ridurre questisquilibri.

L’Italia riassume in sé tutta la gam-ma dei risultati ottenuti nei 57 paesipartecipanti all’indagine. Rifletteresulle ragioni di questa gamma di risul-tati potrebbe aiutare ad individuare so-

luzioni idonee a migliorare i risultaticomplessivi del nostro sistema.

A livello nazionale i due nodi da af-frontare sono sicuramente quelli su cuiè costruita la matrice: aggredire la ge-rarchia degli indirizzi, dando pari di-gnità ai diversi percorsi di istruzionesecondaria di secondo grado; costruireun assetto di governo complessivo delsistema in grado di intervenire suglisquilibri territoriali, a livello naziona-

Tabella 2 - Media dei risultati dell’Italia in OCSE PISA1 2006 sulla scala complessivadella literacy scientifica

Licei Istituti tecniciIstituti

professionali

Formazione

professionaleScuola media Totale

Nord-Est 567 527 454 441 415 520

Nord-Ovest 554 501 444 377 353 501

Centro 530 482 422 - 345 486

Sud 485 442 387 - 343 448

Sud e Isole 476 426 373 342 315 432

Totale Italia 518 475 414 405 340 475

Fonte: base dati OCSE PISA 2006/ INVALSI

1 Il Programme for International Student Assessment (PISA) è un’indagine internazio-nale promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OC-SE) per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati nelle aree della lettura, del-la atematica e delle scienze. Ogni ciclo dell’indagine approfondisce in particolare un’a-rea: nel primo ciclo (PISA 2000) è stata la lettura, nel secondo (PISA 2003) è stata la ma-tematica. In PISA 2006 l’area principale di indagine è costituita dalle scienze.

2 Le macroaree geografiche utilizzate per la stratificazione del campione sono: - Nord Ovest: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria;- Nord Est: Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna; - Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio;- Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia;- Sud Isole: Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.

Macro aree2

Tipologia discuola

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le, regionale e territoriale. Questo tipodi problematiche non figura nell’oriz-zonte degli interventi normativi predi-sposti e annunciati. Ma non si tratta so-lo di una lacuna nazionale.

Anche livello locale, se si sostitui-scono le macro aree geografiche dellatabella 2 con una graduazione dei terri-tori in relazione alle condizioni socioculturali delle famiglie (alte, medio-al-te, medie, medio-basse, basse), perma-nendo la stessa classificazione per letipologie di scuola secondaria superio-re e gli stessi meccanismi perversi diorientamento, si riproducono matricicon scale di valori analoghi a quellidella Tabella 2.

Gli studenti che provengono dacontesti territoriali e familiari che dan-no poco valore all’investimento inistruzione, e che hanno una scarsa atti-tudine a percorsi di apprendimento ditipo teorico-deduttivo, scelgono gli in-dirizzi e le scuole in cui, statisticamen-te, si ottengono risultati peggiori; i di-rigenti scolastici e gli insegnanti, sepossono, si trasferiscono da questescuole in altre, caratterizzate da un’u-tenza considerata migliore e con risul-tati più gratificanti.

Mentre nella formazione delle clas-si si cerca di avere una composizioneequidifferenziata, nella scelta dellescuole avviene esattamente il contra-rio. Il connotato classista della nostrascuola e la perdita della sua funzione dipromozione sociale è, in misura rile-vante, dovuta a questo meccanismoperverso.

Queste considerazioni non possonocerto portare a conclusioni determini-

stiche e deresponsabilizzanti del tipo:allora la scuola non può nulla. Al con-trario, si tratta di utilizzare tutti glistrumenti di governo di un sistemacomplesso, evitando banali semplifica-zioni (è tutta colpa delle scuole o degliinsegnanti), o ragionamenti circoscrittiai problemi di gestione interna allescuole. Occorre riflettere sul rapportoscuola e territorio; ripensare la pro-grammazione dell’offerta formativa,come uno strumento rilevante per lepolitiche scolastiche sul territorio; ri-pensare alle politiche nazionali non so-lo in termini di ordinamenti e risorse,ma in funzione di correzione deglisquilibri.

A proposito della elevata diversitàinterna delle competenze degli studen-ti del sistema scolastico italiano, il“Quaderno bianco sulla scuola” affer-ma: “Il contesto personale – ossia lecondizioni economico sociali delle fa-miglie – spiega comunque solo in par-te il divario fra Nord, Centro e Sud.Sono i fattori di contesto territoriale,legati cioè, a parità degli altri fattori,alla collocazione di una scuola in unadata area del paese, a influenzare forte-mente l’efficacia educativa. Nella stes-sa pubblicazione viene riportato unostudio (Bratti e altri, 2007), sui datiOCSE PISA 2003 relativi alle compe-tenze in matematica, dal quale emergeche se si potesse pienamente interpre-tare il divario sulle competenze in ma-tematica come effetto di due fattori (ladotazione delle risorse e la capacità diimpiego delle stesse), si avrebbe che ildivario tra Nord e Sud è associato peroltre il 60% al divario di risorse del

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contesto territoriale e per il 25% allaminore efficienza nell’uso delle risor-se; il rimanente 15% deriverebbe dalladotazione di risorse individuali (5%) edi scuola (10%). Questa chiave inter-pretativa rimanda al problema delle ri-sorse per l’istruzione e alla loro distri-buzione territoriale.

LA SPESA PER L’ISTRUZIONE

Per stabilire se si spende troppo opoco per la scuola, è necessario indivi-duare dei termine di paragone. Di soli-to vengono assunti dei parametri tem-porali o spaziali: si spende più o menorispetto agli anni passati o ai paesi chepartecipano allo stesso sistema di rile-vazione. I dati che seguono possonocontribuire a questa valutazione.

La spesa complessiva per l’istru-zione è determinata da tre grandi ag-gregati (dati MPI 2007):– Stato

• circa 42,5 miliardi;• 79,8% della spesa totale; • 82% della spesa pubblica;

– Regioni e Enti locali• circa 9,5 miliardi;• 17,5% della spesa totale;• 18% della spesa pubblica;

– privato• circa 1,5 miliardi;• 2,8% della spesa totale.

Per comparare la spesa tra i diversipaesi i valori vengono rapportati al pro-dotto interno lordo (PIL) di ciascun pae-se. Dal rapporto OCSE 2006 (dati 2003)si ricavano le seguenti percentuali:

– Spesa pubblica per l’istruzione • in Italia: 3,5%; • media OCSE 3,5%;

– Spesa privata • in Italia: 0,1%;• media OCSE 0,4%;

– Spesa complessiva• in Italia: 3,6%; • media OCSE 3,9%.

LA SPESA DELLO STATO

L’andamento nel tempo della spesadel Ministero per l’istruzione che, difatto, rappresenta l’apporto dello Statoe quindi l’80% della spesa complessi-va, è riassunto nella tabella 3.

La tabella 4 consente di valutare sela riduzione della spesa rispetto al PILsia dovuta alla riduzione del numero dialunni. Nel decennio esaminato, afronte di un incremento della popola-zione scolastica del 2%, il numero de-gli insegnanti, componente prevalentedella spesa per l’istruzione, si è ridottodel 2,38%.

Dai dati esposti si possono ricavarealcune prime conclusioni:– la spesa pubblica in Italia è allinea-

ta con quella degli altri paesi, men-tre la spesa complessiva è legger-mente più bassa a causa del bassoapporto del privato;

– la spesa dello Stato (Ministero PI oMIUR) è sotto controllo ed è incontrazione, pur a fronte di un in-cremento del numero degli alunni.

Rimane, comunque, il fatto che ilnumero degli alunni, nel nostro paese,

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Tabella 3 - Spesa per la pubblica istruzione (dati ISTAT, OCSE, MPI, MIUR, Bilancio dello Stato)

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1997 1.048.766 31.153 3 3,6 100 100

1998 1.091.361 31.337 3 3,5 104,1 100,6

1999 1.127.091 32.002 2,9 3,4 107,5 102,7

2000 1.191.057 33.715 2,9 3,3 113,6 108,2

2001 1.248.648 38.223 3,1 3,7 119,1 122,7

2002 1.295.226 37.616 2,9 3,4 123,5 120,7

2003 1.335.354 41.334 3,1 3,5 127,3 132,7

2004 1.391.530 41.033 2,9 3,4 132,7 131,7

2005 1.428.375 40.480 2,8 3,3* 136,2 129,9

2006 1.479.981 41.198 2,8 3,3* 141,1 132,2

2007 1.535.540 42.396 2,8 3,3* 146,4 136,1

(*) I dati relativi all’inci-denza sul PIL della spe-sa pubblica complessivaper l’istruzione relativaagli ultimi anni non sonodisponibili. Dalla seriestorica dei dati relativialla spesa pubblica e al-la spesa dello Stato, sipuò stimare che la spe-sa pubblica, negli anni2005, 2006, 2007, siapari al 3,3% del PIL.

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rapportato a quello dei paesi OCSE, èrelativamente basso. Conseguente-mente, la spesa per alunno risulta piùalta della media OCSE (5.172 Italia su;4.623 media OCSE, anche se in effetti,considerando gli apporti del privato,quella media OCSE equivale a circa5.000 euro).

Ma come è corretto e doveroso te-ner conto del numero degli alunni, è al-trettanto necessario considerare anchele specificità dei diversi sistemi.

L’Italia ha fatto la scelta dell’inseri-mento degli alunni disabili nelle classinormali: una scelta di civiltà che nessu-no dichiara di voler mettere in discus-sione. Gli insegnanti di sostegno alleclassi dove sono inseriti gli alunni disa-bili rappresentano il 12,5% dell’organi-co dei docenti (circa 90.000); le classicon alunni disabili dovrebbero avere unnumero di alunni inferiore a quelle del-le altre classi, con un incremento diclassi e di insegnanti pari a circa il5,5%. Ne deriva che circa il 18% dellaspesa per insegnanti è dovuto alla scel-ta di inserimento nelle classi normalidegli alunni disabili. Nei paesi dove l’i-struzione degli alunni disabili viene af-fidata a scuole speciali, non afferenti al

sistema di istruzione, la spesa relativanon viene presa in considerazione nellecomparazioni internazionali.

Considerazioni analoghe si potreb-bero fare per attività che in Italia ven-gono affidate esclusivamente allascuola (attività sportive, progetti scuo-la-lavoro, assistenza allo studio ecc.) eche in altri paesi vengono svolte dapersonale a carico di amministrazionidiverse da quelle prese in esame pervalutare la spesa per l’istruzione. Unacorretta comparazione sui livelli dispesa e sui costi unitari implica il con-fronto di attività e costi omogenei.

LA SPESA LOCALE PER L’ISTRUZIONE

NELLE DIVERSE REGIONI

Gli apporti dei diversi soggetti checoncorrono alla spesa complessiva perl’istruzione (Stato, Regioni, Enti loca-li, privato), rapportati al numero deglialunni, non sono omogenei nelle diver-se realtà territoriali (tabella 5).

La spesa statale per alunno, nelle 18regioni con oneri per l’istruzione diret-tamente a carico dello Stato (tutte, tran-ne Trentino Alto Adige e Valle d’Ao-

Tabella 4 - Variazioni alunni e docenti tra l’anno scolastico 1997/1998 e l’anno scola-stico 2007/2008

Anno scolastico Alunni Docenti

1997/1998 7.599.110 741.004

2007/2008 7.751.356 723.353

differenza in valore assoluto + 152.246 - 17.651

differenza percentuale + 2,00% - 2,38%

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sta), oscilla da un minimo di 4.853 eu-ro per la Puglia ad un massimo di 6.018euro per la Calabria. Fatta 100 la media

nazionale della spesa statale, i valorioscillano tra il 94% in Puglia e il 116%in Calabria. Tali oscillazioni non pre-

Tabella 5 - Spesa pubblica per studente – tutti i gradi di scuola statale (dati MPI, impegni in

euro – anno 2005)

RegioniSpesa Regione

N. indice spesa Regioni

Spesa Stato

Spesa totale

N. indicespesa totale

Emilia-Romagna 1.367 142,1 4.984 6.351 103,6

Lombardia 1.319 137,1 5.021 6.340 103,4

Friuli Venezia Giulia 1.309 136,1 5.613 6.922 112,9

Lazio 1.189 123,6 5.145 6.334 103,3

Piemonte 1.136 118,1 5.311 6.447 105,1

Toscana 1.107 115,1 5.133 6.240 101,7

Veneto 1.069 111,1 5.056 6.125 99,9

Liguria 1.002 104,2 5.378 6.380 104,0

Media Italia 962 100,0 5.171 6.133 100,0

Molise 847 88,0 4.969 5.816 94,8

Marche 839 87,2 5.085 5.924 96,6

Umbria 789 82,0 5.358 6.147 100,2

Sardegna 784 81,5 5.760 6.544 106,7

Abruzzo 745 77,4 5.189 5.934 96,8

Sicilia 657 68,3 5.126 5.783 94,3

Basilicata 654 68,0 5.867 6.521 106,3

Calabria 648 67,4 6.018 6.666 108,7

Campania 614 63,8 5.113 5.727 93,4

Puglia 569 59,1 4.853 5.422 85,6

Trentino Alto Adige 8.854 144,4

Valle d’Aosta 7.137 116,4

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sentano correlazioni con le tradizionaliarticolazioni Nord-Sud. Valori più altidella spesa sembrano correlati alla pre-senza di piccoli centri e piccole scuole,alla presenza di minoranze linguistiche,alla serie storica della spesa, senzaescludere la concentrazione di persona-le con elevata anzianità di servizio equindi con retribuzioni più alte.

Per quanto riguarda il Trentino AltoAdige e la Valle d’Aosta, per la lorospeciale condizione statuaria, non èpossibile distinguere tra spesa statale espesa regionale. Per il Trentino AltoAdige si evidenzia comunque una spe-sa totale per alunno di 8.854 euro, afronte di una media italiana di 6.133euro.

Complessivamente più rilevanti ri-sultano le differenza tra la spesa per

alunno sostenuta dalle Regioni e dagliEnti locali. Qui le oscillazione vannodai 569 euro della Puglia (59% rispettoalla media nazionale) ai 1.367 eurodell’Emilia-Romagna (142% rispettoalla media nazionale). Raggruppandola spesa per macro aree emerge una si-gnificativa correlazione tra la spesa lo-cale e i risultati rilevati dall’indagineOCSE PISA.

I PROBLEMI DA AFFRONTARE

Si conferma così quanto già rileva-to a proposito dei fattori che influenza-no i risultati dei percorsi scolastici. Lacura e l’attenzione con cui vengonoesercitate le competenze regionali eterritoriali in materia di istruzione ri-

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flettono sicuramente il valore che lecomunità locali e le famiglie attribui-scono all’educazione e alla formazionedei giovani. Questo valore inoltre rap-presenta un fattore motivazionale deci-sivo per l’apprendimento.

Per altro verso, i dati negativi con-fermano quanto sostenuto da RobertPutnam nel 1983 in occasione dellapresentazione del rapporto (Una nazio-ne a rischio) sullo stato della scuolanegli Stati Uniti: “A minare le fonda-menta degli Stati Uniti, compreso il si-stema di istruzione, era stata la pro-gressiva estinzione del capitale socia-le”. Cioè di quel capitale che non sta nénei conti bancari, né nelle teste dellepersone, ma nelle relazioni, nel sensocivico diffuso.

Concetto che rimanda ad una consi-derazione di Howard Gardner: “L’e-ducazione si realizza per lo più in for-ma implicita. ...gli uomini sono anima-li che imparano principalmente osser-vando gli altri – cioè registrando checosa i loro simili apprezzano, che cosadisprezzano, come si comportano nellapropria vita quotidiana e, specialmen-te, quali mosse fanno quando sanno dinon essere osservati. Questa è la ragio-ne per cui non mi stanco di invocarescuole – o più propriamente, comunitàscolastiche – che incarnino certi valori,e insegnanti che impersonino certevirtù. Lo stesso vale per i media, per lefamiglia e per altre influenti istituzionieducative.”

Le correlazioni evidenziate e le au-torevoli citazioni rimandano al ruolosignificativo, anche se non esaustivo,che le variabili esogene giocano rispet-

to ai risultati delle singole scuole e delsistema di istruzione complessivamen-te. Confermano che, se si vogliono ef-fettivamente affrontare i problemi del-la scuola, i rimedi non possono esserené semplicistici né indifferenziati sulterritorio nazionale.

Nelle zone più svantaggiate, lascuola rappresenta l’istituzione su cuipuntare per risvegliare il senso civico,per costruire la cultura e le competenzein grado di rilanciare lo sviluppo de-mocratico ed economico del territorio.

L’investimento in istruzione, nel-l’educazione delle nuove generazioni,costituisce la leva strategica su cui agi-re per colmare questo divario e miglio-rare l’insieme degli indicatori di pro-gresso di tutto il paese.

C’è da chiedersi cosa è stato fatto inquesta direzione. Dopo 500 atti norma-tivi è necessario andare oltre la scoper-ta e la denuncia degli effetti delle ere-dità dell’Ottocento e del Novecento.

Anche le indicazioni OCSE vannoesaminate con la dovuta attenzione.Emerge uno stridente contrasto tra que-ste indicazioni e i comportamenti delgoverno. In particolare risalta il richia-mo reiterato all’esigenza di un dibattitodiffuso e ad un coinvolgimento di tuttigli “attori del sistema scuola nel proces-so di riforma”; l’invito a reinvestire i ri-sparmi ottenuti in politiche volte a mi-gliorare i risultati; l’avvertenza di tra-sferire risorse supplementari alle scuoleefficienti per compensare condizionid’apprendimento critiche ed effetti con-testuali avversi sulle prestazioni.

Che ne sarà di queste indicazioni?

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La recente riforma degli ordina-menti della scuola secondaria promos-sa dal ministero dell’Istruzione può es-sere analizzata seguendo due chiavi dilettura, che vengono riaffermate comeprincipi generali in apertura di ciascunprogetto di riordino: “...volti ad unamaggior razionalizzazione dell’utiliz-zo delle risorse umane e strumentalidisponibili, tali da conferire efficaciaed efficienza al sistema scolastico”.1

Che il sistema scolastico seconda-rio, sia del primo che del secondo ci-clo, abbiano bisogno di una opera dirazionalizzazione, è opinione larga-mente condivisa, essendo a tutt’oggimancato un riordino della stratificazio-ne di sperimentazioni cumulatesi neltempo per l’incapacità dei legislatoriprecedenti di arrivare ad una riformacondivisa degli assetti. Il numero degliindirizzi esistenti nella scuola seconda-ria del secondo ciclo è nettamente so-vradimensionato, e rappresenta unadelle cause del più basso numero distudenti per docente che caratterizza lascuola secondaria italiana in rapportoalla media dei paesi OECD: 11 studen-

ti per docente contro una media di 12.6degli altri paesi (OECD 2008, Educa-tion at a glance, indicatore D2).

Nel linguaggio aziendalistico “Ra-zionalizzare l’utilizzo delle risorseumane” suole indicare lo spostamentodi persone da mansioni o comparti do-ve sono meno produttivi a collocazionidove sono più produttivi. In questomodo si può ottenere maggior produ-zione a parità di risorse impiegate, op-pure alternativamente si può ottenerela stessa produzione con un minor uti-lizzo di risorse. In entrambi i casi si ot-tiene un abbassamento del costo diproduzione per unità di prodotto, che

Studi

Licei italiani: è davvero riforma?

DANIELE CHECCHI

1 Comma 1 dell’art.1 dello schema di regola-mento “revisione dell’assetto ordinamentale edidattico dei licei” – versione del 1/6/2009. Te-sto identico compare come comma 1 dell’art.1dello schema di regolamento recante normeconcernenti il riordino degli istituti tecnici –versione del 13/5/2009 e dello schema di rego-lamento recante norme concernenti il riordinodegli istituti professionali – versione del13/5/2009.

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rimane uno degli indicatori principalidi efficienza. Che questo sia probabil-mente l’imperativo principale che gui-da il Ministero dell’Istruzione lo pos-siamo desumere tra gli altri dal rinviodi questa bozza di riordino al DL25/6/2008 n. 112, convertito in legge6/8/2008 n. 133, meglio noto come“Decreto Tremonti”.

Ed infatti gli interventi principali diquesto riordino sono sostanzialmentedue: ridefinizione di un numero massi-mo di indirizzi per tipologia di scuola(6 per i licei – di cui quello artistico ar-ticolato in 3 sottoindirizzi – contro gliattuali 10, 11 per gli istituti tecnici con-tro i 43 attuali, 6 per gli istituti profes-sionali contro i 31 attuali) e riduzionedell’orario di insegnamento (nei liceiscendono a 27 ore settimanali nel pri-mo biennio, per un totale annuo di 891ore annue, che diventano 31 ore nelsuccessivo triennio, pari a 1023 ore an-nue; per istituti tecnici e istituti profes-sionali diventano 32 ore settimanali,pari a 1056 ore annue – la corrispon-dente media OECD a 15 anni nei pro-grammi curriculari oscilla tra 971 neiprogrammi più esigenti e 890 per quel-li meno esigenti – OECD 2008, Educa-tion at a glance, indicatore D1).

Entrambi questi interventi vannosicuramente nella linea dei risparmi dibilancio della pubblica amministrazio-ne. Ma queste riduzioni di organicopotranno migliorare anche l’efficaciadella spesa, l’altro obiettivo che alme-no a parole sembra interessare il Mini-stero dell’Istruzione? Questo dipendeda quali effetti si potranno produrre su-gli apprendimenti degli studenti.

Sappiamo infatti che l’Italia soffredi due mali relativamente antichi in ri-ferimento agli apprendimenti. Le ana-lisi internazionali ci segnalano che neiconfronti internazionali sulla scuolasecondaria il livello medio degli ap-prendimenti è basso (sia nelle indaginiTIMSS che PISA), mentre la varianzaterritoriale è molto alta (in particolaretra regioni settentrionali e regioni me-ridionali). Le stesse indagini interna-zionali sono però spesso avare di indi-cazioni chiare sulle ricette che spieghi-no il successo dei paesi in cima allegraduatorie internazionali. Sappiamoche uno degli elementi cruciali è lacomparabilità orizzontale degli esitidegli apprendimenti, o attraverso unesame finale gestito centralmente o at-traverso lo svolgimento di test periodi-ci. Sappiamo che un secondo elementoè legato al grado di competizione esi-stente tra le scuole. Più incerti sono in-vece i risultati relativi alla presenza/as-senza del settore privato nell’istruzio-ne. Sappiamo infine che i sistemi sco-lastici che funzionano meglio sonoquelli capaci di attrarre nella professio-ne docente gli studenti migliori cheescono per ogni coorte di età. Alla at-trattività della professione contribui-scono diversi elementi: la retribuzionein primis, ma anche il tempo di attesaper l’ingresso, le modalità di selezione,la formazione all’ingresso, l’aggiorna-mento periodico, il carico di lavoro, laverifica periodica e, non meno impor-tante, il prestigio sociale goduto dallaprofessione. Sappiamo infine che lecorrelazioni esistenti tra apprendimen-ti, numerosità degli insegnanti e di-

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mensione media delle classi sono am-bigue, dipendendo da una molteplicitàdi fattori (quali organizzazioni curricu-lari, orari di insegnamento, strutture disupporto).

Di tutti questi temi non si trovatraccia nei progetti di riordino varatidal Consiglio dei Ministri. Viene quin-di da domandarsi quali siano le strate-gie del Ministero in merito, e perchéabbia scelto proprio in questo momen-to di varare una riforma che, sulla basedelle conoscenze esistenti, ha al me-glio la possibilità di non fare danni allivello degli apprendimenti. Stupisceper altro l’assoluta mancanza di dibat-tito pubblico che normalmente ha sem-pre accompagnato questi interventi,che a torto o a ragione, sono semprestati considerati nel nostro paese qual-cosa di simile ad un bene pubblico.2

A voler peccare di dietrologia, sor-ge il sospetto che il Ministero dell’I-struzione con questi interventi avessedue obiettivi: da un lato adempiere alcompito assegnato dal Ministero del-l’Economia di riduzione degli organici(intervento che ovviamente non erarealizzabile ad ordinamenti esistenti);dall’altro ribadire la continuità con latradizione gentiliana di una scuola se-condaria che ha nella sua mission la ri-produzione della stratificazione socia-le. È illuminante a questo riguardo lalettura dell’art.2 di ciascun progetto direvisione, relativo all’identità del tipodi scuola. Gli studenti dei licei devonoacquisire le capacità critiche necessa-rie al poter svolgere in autonomiacompiti di responsabilità.3 Gli studentidegli istituti tecnici devono focalizzare

le proprie competenze ai fini di una ra-pida applicabilità nel mondo del lavo-ro.4 Infine gli studenti degli istitutiprofessionali devono limitarsi alla di-mensione operativa delle proprie cono-

2 Si veda al riguardo la ricostruzione di alcunimomenti topici nel saggio di Adolfo Scotto diLuzio, La scuola degli italiani, Mulino 2008.3 “I percorsi liceali forniscono allo studente glistrumenti culturali e metodologici per una com-prensione approfondita della realtà, affinchéegli si ponga, con atteggiamento razionale,creativo, progettuale e critico, di fronte alle si-tuazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisi-sca conoscenze, abilità e competenze sia ade-guate al proseguimento degli studi di ordine su-periore, all’inserimento nella vita sociale e nelmondo del lavoro, sia coerenti con le capacità ele scelte personali” (art.2 comma 2 dello sche-ma di regolamento recante “Revisione dell’as-setto ordinamentale e didattico dei licei” – ver-sione del 1/6/2009 – sottolineature mie).4 “L’identità degli istituti tecnici si caratterizzaper una solida base culturale di carattere scien-tifico e tecnologico (…) costruita attraverso lostudio, l’approfondimento e l’applicazione dilinguaggi e metodologie di carattere generale especifico ed è espressa da un limitato numero diampi indirizzi, correlati a settori fondamentaliper lo sviluppo economico e produttivo del Pae-se, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti,in relazione all’esercizio di professioni tecni-che, i saperi e le competenze necessari per unrapido inserimento nel mondo del lavoro, perl’accesso all’università e all’istruzione e forma-zione tecnica superiore.” (art. 2 comma 1 delloschema di regolamento recante norme concer-nenti il riordino degli istituti tecnici – versionedel 13/5/2009 – sottolineature mie).5 “L’identità degli istituti professionali si carat-terizza per una solida base di istruzione genera-le e tecnico-professionale, che consente aglistudenti di sviluppare, in una dimensione ope-rativa, i saperi e le competenze necessari per ri-spondere alle esigenze formative del settore

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scenze.5 Coerentemente con questo as-setto, la valutazione ed il monitoraggiodegli apprendimenti verrà seguito dal-l’Invalsi per i primi e dall’Isfol per isecondi e i terzi.

In un contesto in cui la società ita-liana ha espresso una domanda cre-scente di istruzione post-secondaria, ilriaffermare in modo netto la differen-ziazione degli indirizzi ha il netto sa-pore di una operazione di richiusuradelle generali aspirazioni di ascesa so-ciale, in ciò del tutto coerentementecon la riduzione dei finanziamenti al-l’università, sempre in ossequio agliorientamenti espressi dal Ministerodell’Economia.

D’altronde il Ministro dell’Econo-mia lo aveva apertamente dichiarato inuna intervista alla “Padania” il13/8/2008, successivamente ripresa in

un suo articolo sul Corriere della serauna settimana dopo: la malattia dellascuola italiana è da rintracciare nellapretesa egualitarista introdotta con il1968 (simbolicamante rappresentatodalla canzone Contessa di Paola Pie-trangeli). Piuttosto che procedere nelladirezione di una maggior uguaglianzadelle opportunità di accesso, anche inpresenza di una possibile restrizionedegli accessi, i Ministri attuali dellaRepubblica preferiscono restringeregli accessi tout court.

produttivo di riferimento, considerato nella suadimensione sistemica.” (art. 2 comma 1 delloschema di regolamento recante norme concer-nenti il riordino degli istituti professionali –versione del 13/5/2009 – sottolineature mie).

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Che siano tre i regolamenti di “rior-dino”, per licei, istituti tecnici e profes-sionali, vuol dire confermare della se-condaria superiore l’attuale assetto,stratificatosi nel corso del ’900. Anzi,viene fissata, per la prima volta, laidentità di ciascuno. Bella svolta sepensiamo che negli ultimi anni i mini-stri riformatori hanno puntato a supe-rare quell’assetto. Così torniamo deci-si agli anni ’90. Ci saranno gli istitutitecnici e istituti professionali, ben di-stinti, e non, come era possibile, istitu-ti tecnici e professionali.

I precedenti ministri riformatorihanno varato leggi di sistema di pochiarticoli che hanno richiesto i soliti tem-pi parlamentari lunghi. I tre regola-menti sono frutto di un solo articolo, il64, di un decreto legge di 85 articoliche aveva lo scopo, tra l’altro, di stabi-lizzare la finanza pubblica, e che fu ap-provato in un lampo.

Inoltre i precedenti ministri rifor-matori hanno cercato di fare riforme acosto zero. La ministra Gelmini attuauna riforma per ridurre la spesa, cioè

l’organico di docenti ed ATA in 3 annifino al 2011/12, attraverso la revisionedi “ordinamenti, organizzazione, di-dattica del sistema scolastico” con re-golamenti, da adottare entro 12 mesi,senza neanche il parere delle commis-sioni parlamentari.

Nonostante questa snella procedu-ra, trascorsi 12 mesi, i regolamenti sul2° ciclo non sono ancora pubblicatisulla Gazzetta Ufficiale.

Esamineremo quindi documenti uf-ficiosi.

IDENTITÀ

Viene definita la identità degli isti-tuti, non dei percorsi.

Il liceo fornisce allo studente stru-menti, coerenti con le capacità e lescelte personali, perché “si ponga, conatteggiamento razionale, creativo, pro-gettuale e critico, di fronte alle situa-zioni”; in vista del proseguimento de-gli studi, dell’inserimento nella vitasociale e nel lavoro.

Il tecnico fornisce una “solida base

Studi

I regolamenti della “nuova” secondaria superiore

GIORGIO SCIOTTO

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culturale di carattere scientifico e tec-nologico” per l’esercizio di professio-ni tecniche, per un rapido inserimentonel lavoro, per l’accesso all’universitàe all’istruzione e formazione tecnicasuperiore.

Il professionale fornisce una “soli-da base di istruzione generale e tecni-co-professionale” in una dimensioneoperativa, per rispondere alle esigenzeformative del settore produttivo.

La nuova scuola secondaria si spe-cializza, rassegnata, o realista, o cini-ca, a seconda dei punti di vista, per ca-nalizzare a diversi destini gli studenti.L’identità di ogni istituto sarà di fattol’origine sociale degli studenti.

PERCORSI

Il percorso, cioè il piano di studi, èquinquennale. Scompaiono il ginnasio,l’anno integrativo del liceo artistico, ilprimo triennio degli istituti professio-nali e d’arte e quindi i titoli di qualificae di licenza d’arte.

Ogni percorso è articolato in duebienni e un 5° anno, come nella rifor-ma Moratti che però prevedeva la va-lutazione biennale e un 5° anno diorientamento alle scelte successivedello studente. Ma la valutazione rima-ne annuale e gli insegnamenti del 5°anno sono quelli del 2° biennio. Il sen-so dell’articolazione morattiana si èperso. Negli istituti tecnici secondobiennio e 5° anno costituiscono addi-rittura un triennio, parola bandita neilicei e istituti professionali.

INDIRIZZI

1) Formalmente 6 i licei: artistico,classico, linguistico, musicale e co-reutico, scientifico, scienze umane.In realtà tutti, tranne classico e lin-guistico, si differenziano in indiriz-zi, opzioni, sezioni:• lo scientifico ha l’opzione scien-

tifico-tecnologica;• le scienze umane ha l’opzione

economico-sociale; • il musicale si differenzia dal co-

reutico sin dal 1° anno;• l’artistico ha tre indirizzi dal 3°

anno; ma probabilmente saran-no di più perché la sezione Desi-gn si articolerà in “distinti setto-ri della produzione artistica” (le-gno, ceramica, metalli ecc.) pertener conto delle attuali diversesezioni degli istituti d’arte.

Vi saranno almeno 11 percorsi li-ceali. Raccoglieranno quasi metàdegli studenti, ma anche più, vistoche 7 licei non hanno latino.

2) Gli istituti tecnici si articolano indue settori:• economico, con 2 indirizzi • tecnologico con 9, tutti, tranne il

grafico, con ulteriori articola-zioni nel triennio.

Gli indirizzi saranno in realtà 19,metà di quelli attuali di ordinamen-to. Non proprio “limitati ed ampi”,come dichiara il regolamento. Lamissione è dare una professionaliz-zazione specifica, non ampia. Unesempio: l’indirizzo “sistema mo-da” prevede addirittura una artico-

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lazione “calzature”. Raccoglieran-no circa 1/3 degli studenti, se l’of-ferta dei licei senza latino non pro-durrà un nuovo calo di iscrizioni.

3) Gli indirizzi degli istituti professio-nali sono 6, di cui 5 del settore “ser-vizi” ed uno del settore “industria eartigianato”. Si tratta di settori resi-duali rispetto al mondo della produ-zione, coperto dai tecnici. Rispettoai 34 diplomi attuali di ordinamen-to, la riduzione è più drastica diquella realizzata negli istituti tecni-ci. Un settore della secondaria desti-nato ad un ruolo marginale, essendoancora irrisolto il rapporto con laformazione professionale, affidatoad intese con le singole regioni. Raccoglieranno circa il 20% deglistudenti, in particolare stranieri e“difficili”, ma con un possibile calodi iscrizioni a favore degli istitutitecnici, vista la loro spinta specia-lizzazione.

ORARI DI LEZIONE

Il monte ore delle lezioni è annuale,ma conviene ragionare in ore settima-nali medie. Tre i regimi orari: – 27/30 ore nei licei a vocazione teorica,

rispettivamente nel 1° biennio e neglialtri anni (ma 31 ore nel classico);

– 32 ore negli istituti tecnici e profes-sionali. Drastica riduzione rispettoalle 36 ore dei tecnici e alle 40 oredei professionali, ridotte a 36 oredal 2007. Stesso regime nel liceomusicale e di danza;

– 34/35 ore nel liceo artistico, rispet-tivamente nel 1° biennio e negli al-tri anni.La riduzione delle ore di lezione è il

nocciolo della riforma, ma rende, co-me dire, patetico il gran numero di in-dirizzi, articolazioni ed opzioni, che ri-guardano in fondo una parte ridotta delmonte ore. Cessa (dovrebbe cessare) lariduzione dell’ora di lezione per causenon didattiche di forza maggiore senzarecuperi dei minuti ridotti da parte distudenti e docenti.

PIANI DI STUDIO

Le “Indicazioni nazionali”, terminedella riforma Moratti, fisseranno com-petenze, abilità e conoscenze di ognipercorso ma con DM di natura regola-mentare per quelli liceali, non regola-mentare per gli altri. Solo per questi ul-timi è previsto il parere delle regioni,non per quelli dei licei, perché ritenutidi competenza esclusiva dello stato.Forse è una lettura originale del nuovotitolo V della costituzione.

Le discipline “obbligatorie” per lostudente variano da 9 a 14 per anno etipo di corso, compresa religione catto-lica o attività alternativa, che però èmateria facoltativa.

1) I percorsi tecnici e professionalihanno la stessa struttura: area co-mune e di indirizzo (o di articola-zione). Con la flessibilità tuttavial’area comune nei professionali puòessere ridotta fino a 5 ore a favoredi quella di indirizzo.

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2) I percorsi liceali prevedono invece: – insegnamenti obbligatori, senza

la distinzione tra area comune edi indirizzo. In realtà insegna-menti di indirizzo sono presentinei licei artistico, musicale e didanza;

– insegnamenti facoltativi o poten-ziamento di insegnamenti obbli-gatori, previsti da un elenco.

Solo negli istituti tecnici e profes-sionali il primo biennio è comune, nonnei licei. Eppure è l’ultimo segmentodell’obbligo scolastico. Ciò compor-terà maggiori difficoltà nel passare daun percorso ad un altro. È dato perscontato – ma perché? – che uno stu-dente del liceo non abbandoni.

Molte le differenze tra i percorsi li-ceali:– l’orario è differenziato per le mate-

rie scientifiche, filosofia, linguastraniera, storia, persino italiano,un’ora in più nel 1° biennio del li-ceo classico;

– incerto lo status di geografia: tal-volta è materia a sé, talvolta è asso-ciata a storia. Chissà perché nei licei non è possi-

bile definire un blocco di materie co-muni. Non a caso nel regolamento siparla di sistema dei licei.

Significative le differenze tra i per-corsi liceali e gli altri. Gli studenti deilicei non hanno bisogno di diritto edeconomia ed hanno bisogno di meno

Piani di studio tecnici e professionali ore settimanali medie

1° biennio(obbligo scolastico)

2° biennio e 5° anno

(triennio nei tecnici)

Percentuale Percentuale

Area comune 20 15 63% 47%

Area di indirizzo 12 17 37% 53%

Totale 32 32 100% 100%

MATERIE COMUNI

Esaminiamo solo l’area comuneperché individua la formazione ritenu-ta indispensabile per ogni cittadino.Per i licei l’area comune è costituitadalle discipline presenti in tutti i per-corsi. La situazione è riassunta nellatabella che segue.

Gli insegnamenti comuni a tutti ipercorsi con stesso orario sono “scienzemotorie e sportive” e religione cattolica.

ore di matematica e materie scientifi-che. Le materie scientifiche non hannouno status comune. In tutti i piani distudio sono presenti 4 discipline: scien-za della terra, biologia, fisica, chimica,ma con 13 combinazioni diverse.1) Nei licei c’è “scienze naturali”

(scienza della terra, biologia, chimi-ca), mentre “fisica” è materia a sé,evidentemente non consideratascienza naturale. Orari e collocazioninei 5 anni sono combinati in 8 modi

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diversi; fisica non c’è nel piano distudi dell’indirizzo arti figurative.

2) Nei tecnici e professionali invece c’è“scienze integrate”. Sembra un nuo-vo modo di insegnare le scienze. Nonè così: tra parentesi è sempre indicatodi quale delle 4 discipline si tratti. Èun possibile modo per impiegare idocenti in tutte le discipline, anche sediverse da quelle della laurea.

Chimica e fisica sono sempre pre-senti, ma non nell’area comune, bensìin quella di indirizzo. Perché hanno dueregimi orari o per non fare appariretroppo elevata l’area comune nel bien-nio? Chissà. Orari e collocazioni nei 5anni di queste discipline sono combina-ti in appena 5 modi diversi. Ma non sideve disperare: educazione fisica di-venta “scienze motorie e sportive”.

Materie comuni

Licei Tecnici professionali

Italiano 4 oreclassico: 5 ore nel 1° biennio 4 ore

Lingua straniera 1non è definita / 3 ore,classico e scienze umane: 2 orelinguistico: 4 ore

inglese 3 ore

Storia / cittadinanzacostituzione neitecnici e professionali

2 o 3 ore in base al tipo di liceo e se è associata a geografia

2 ore

Geografia

2 ore nel 1° biennio solo nelclassico, linguistico e scienzeumane associata a storia negli altri

Diritto ed economia no 2 ore nel 1° biennio

Filosofia 2 o 3 ore dal 3° al 5° anno no

Matematica 3 ore nel 1° biennio e poi 2, scientifici 5 nel 1° biennio e poi 4 4 ore nel 1° biennio poi 3 ore

Scienza della terra

costituiscono scienze naturalil’orario varia per ogni liceo

2 ore 1° biennioBiologia

Chimica 2 ore 1° biennio area indirizzoeccezioni

Fisica l’orario varia per ogni liceo 2 ore 1° biennio area indirizzoeccezioni

Scienze motorie 2 ore 2 ore

Religione cattolica 1 ora 1 ora

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INSEGNAMENTO IN LINGUA STRANIERA

Al 5° anno dei percorsi liceali e tec-nici, ma non professionali, una discipli-na viene insegnata in lingua straniera:– nei licei è diversa da italiano, lati-

no, greco o lingua straniera;– nei tecnici è una dell’area di indi-

rizzo. Ad esempio “geopodologia”nell’indirizzo “costruzioni” o “pro-duzioni vegetali” nell’indirizzo“agraria”. La novità partirà nel 2014. Si atten-

de con curiosità un apposito DM percapire come sarà organizzato l’inse-gnamento.

FLESSIBILITÀ

Viene ridefinita, sempre in mododifferenziato, la quota del curricolo di-sponibile agli istituti. Non viene peròabrogato il DM 47/06, che fissava laquota al 20% dell’orario delle discipli-ne, creando così un groviglio normati-vo di difficile interpretazione.

La flessibilità del curricolo:– nei licei è finalizzata alle richieste

degli studenti e delle loro famiglie

(ma la scelta dovrebbe essere eser-citata dallo studente, secondo l’art.192 c. 9 del testo unico);

– nei tecnici e professionali alle esi-genze del territorio e del mondo dellavoro, articolando in opzioni l’areadi indirizzo.

Nei licei: – l’orario delle discipline non può es-

sere ridotto più di un 1/3 nei cinqueanni;

– in 5ª non può essere soppressa alcu-na disciplina; quindi può esserlonegli altri anni, il che è oggi esclusodal DM 47;

– si possono aggiungere insegnamen-ti facoltativi, a scelta degli studenti,con i fondi di bilancio, cioè, essen-do scarso il contributo ministeriale,pagandoseli.

Le nuove percentuali di variazionemassima dell’orario delle lezioni equelle del DM 47 sono riassunte nellatabella che segue. Non è esplicito suquale monte ore si applicano le nuovepercentuali nei tecnici e professionali;probabilmente su quelle delle materiedi indirizzo.

Flessibilità del curricolo affidate agli istituti

Classi LiceiTecnici Professionali

Area comune Area indirizzo Area comune Area indirizzo

1ª e 2ª 20% ore totali 25% ore indirizzo

3ª e 4ª 30% ore totali 30% ore indirizzo 35% ore indirizzo

5ª 20% ore totali 35% ore indirizzo 40% ore indirizzo

DM 47 non si applica si applica + 20% ore totali per ogni anno

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La tabella che segue riassume diquante ore settimanali medie è possibi-le variare il piano di studio di ogni per-corso applicando le percentuali dellatabella precedente.

– dà pareri, ma fa anche proposte, sututti gli spazi di flessibilità e di auto-nomia previsti sia da questi regola-menti che da quello dell’autonomia;

– fissa i criteri per l’assunzione di

Ore settimanali medie di variazione massima del curricolo

Classi LiceiLiceo

classicoLiceo

artistico

Liceomusicadanza

Tecnici Professionali

areacomune

area indirizzo

areacomune

area indirizzo

1ª e 2ª 5,4 5,4 6,8 6,4 4 2,4 4 5,4

3ª e 4ª 9 9,3 10,5 9,6 3 8,5 3 9,35

5ª 6 6,2 7 6,4 3 9,35 3 10,2

Questa flessibilità finirà per ripro-durre la situazione attuale di diffusesperimentazioni, ritenuta dalla mini-stra dannosa e da riportare ad ordine.Per questo sono previsti due strumenti: – un DM che fisserà i limiti della fles-

sibilità;– un comitato scientifico in ogni isti-

tuto a presidiare l’uso che ne saràfatto.Vedremo che equilibrio troveranno

il centralismo ministeriale e l’autono-mia delle scuole.

COMITATO (TECNICO) SCIENTIFICO

In ogni istituto viene costituito il“Comitato tecnico scientifico” (sem-plicemente “scientifico” nel liceo, do-ve “tecnico” appare forse espressioneblasfema) composto per metà da do-centi e metà da esperti esterni che:

eventuali esperti per coprire i nuoviinsegnamenti creati in base allaflessibilità, sottraendo la competen-za al consiglio di istituto.

Punti non chiariti: – chi decide numero di componenti e

chi li sceglie: il dirigente scolasticoo il consiglio di istituto?

– il dirigente scolastico fa parte dellacomponente docenti o è in aggiunta?

– chi lo presiede?

DIPARTIMENTI

Ogni collegio deve articolarsi in di-partimenti per “il sostegno della didat-tica e alla progettazione formativa”.Cosa che oggi è fatta ma solo quando èritenuta utile.

Non vi sono indicazioni circa i cri-teri (per aree disciplinari, per indirizzi)

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o le competenze (danno pareri e propo-ste al collegio o deliberano?). Incertoquindi il loro l‘impatto sull’attuale di-stribuzione dei poteri.

Gli istituti del 1° ciclo non hannoquest’obbligo.

UFFICIO TECNICO

Istituito per legge negli istituti tec-nici e professionali dei settori indu-striali per l’organizzazione dei labora-tori. Peccato che le ore di laboratoriosiano ridotte. Forse serve solo per as-sorbire parte degli insegnanti tecnico-pratici in esubero.

COLLABORAZIONI

Differenziato anche il quadro dellecollaborazioni disegnato per i tre tipidi istituti.1) I licei collaborano con università,

AFAM, IFTS, per stabilire dal 3^anno approfondimenti richiesti perproseguire gli studi o accedere allavoro, attraverso percorsi di alter-nanza scuola-lavoro, moduli di stu-dio-lavoro, esperienze pratiche estage.

2) Gli istituti tecnici collaborano congli enti di formazione accreditatinei futuri Poli tecnico professionaliper favorire i passaggi tra i sistemidi istruzione e formazione e sono diriferimento dei futuri istituti tecnicisuperiori.

3) Gli istituti professionali, in regimedi sussidiarietà, possono integrare o

sostituire il sistema di formazioneprofessionale regionale per il rila-scio delle qualifiche triennali e deidiplomi quadriennali e sono di rife-rimento dei futuri istituti tecnici su-periori.

FASE TRANSITORIA

I nuovi ordinamenti entrano in vi-gore nel settembre 2010, ma tutto deveesser pronto prima della fine del 2009per consentire la scelta degli studentidi 3ª media.

Ogni regolamento prevede una“confluenza” automatica dei vecchiistituti nei nuovi. Trattandosi però diprogrammazione dell’offerta formati-va le regioni non possono essere esclu-se. Scompariranno gli istituti ibridicon sezioni di tecnici e professionali odi tecnici e licei; sono circa un terzodegli attuali 3.200 istituti. Il liceo tec-nologico uscirà dagli istituti tecnici perapprodare nel liceo scientifico.

Nel 2010 vi saranno due piani distudio (vecchio e nuovo) nei licei ma 3nei tecnici e professionali, perché visono anche piani transitori per realiz-zare immediati risparmi di spesa: – nei tecnici quello con orario ridotto

da 36 a 32 ore con un DM da ema-nare;

– nei professionali quello con un ora-rio ridotto a 34 ore, con un DM daemanare;

– nei professionali quelli del DM41/07 che ha ridotto da 40 a 36 leore settimanali.

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COSA RIMANE DELLA RIFORMA

MORATTI

Del decreto lgs 226 rimane in so-stanza la parte (art. 15-22) sull’istru-zione e formazione professionale delleregioni. Per il resto un simulacro checomplica la situazione: – l’art.1 che si riferisce ai percorsi li-

ceali che ora sono solo una partedella secondaria;

– l’art. 13 sulla valutazione dei percor-si liceali, che si applica anche a tec-nici e professionali per un espressorinvio contenuto nei regolamenti;

– l’art.14 sugli esami di stato dei per-corsi liceali; manca un rinvio espli-cito, ma la materia è regolata ancheda altre leggi.

AGGIORNAMENTO

Tutti i docenti saranno interessatidalla riforma, in misura maggiorequelli delle materie professionali. Il lo-ro aggiornamento sarà fatto con le(scarse) risorse esistenti.

La legge non prevede un euro inpiù.

Piani di studio al settembre 2010

Classi Licei - Istituti d’arte Tecnici Professionali

1ª Nuovo Nuovo Nuovo

2ª Nuovo Nuovo Transitorio a 34 ore

3ª Attuale Transitorio a 32 ore Transitorio a 34 ore

4ª Attuale Transitorio a 32 ore Transitorio a 36 ore

5ª Attuale Attuale Transitorio a 36 ore

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“Sapere a chi si scrive” è la secondaregola della scrittura dei ragazzi diBarbiana. Osservante di tale regolaconcepisco di rivolgermi con partico-lare attenzione ai nuovi “descolarizza-tori”. Sono una schiera folta e vario-pinta che solo marginalmente continuala storica idea progressista che fu di Il-lich; questa era legata alla tensione peruna educazione libertaria, de-istituzio-nalizzata e ha accompagnato, solleci-tandolo, l’intero sviluppo dell’istruzio-ne formale; penso piuttosto a quellaforma di strisciante perdita di senso, dicontinua svalutazione, di lucido manon dichiarato processo di marginaliz-zazione della scuola.

Pongo loro come miei interlocutoriprivilegiati perché vorrei provare acorrispondere al loro stupore e distur-bo nel ritrovarsi ancora davanti ad unoscuola-centrista (magari erroneamenteconfuso e assimilato ai liceo-centristi)e a vincere la loro tentazione di transi-tare al testo successivo, bypassandouna posizione ormai da collocare tra ireperti antiquari della pedagogia.

Eppure esistono ancora punti di vi-

sta, come quello che verrà sviluppato inqueste note, che valutano l’istruzionecome uno dei beni e dei valori essenzia-li per il singolo come per la società, sia alivello utilitaristico (investire sull’istru-zione come base di sviluppo), sia per lacittadinanza (costruire strumenti cultu-rali come strumenti di democrazia).

Non solo: ancora ritengono, i me-desimi sopravvissuti, che istruzione siasinonimo di scuola e quindi, addirittu-ra, si battono per aumentare l’ottocen-tesco “obbligo”; ritengono, gli sconsi-derati, che non esistano sul mercato al-tre agenzie formative in grado di sosti-tuire l’istituzione scuola nel compito diistruire garantendo le caratteristichedell’istruzione efficace (sistematicità,pervasività, profondità, persistenza).

Ecco dunque alcuni ragionamentisul perché la non attuazione dell’obbli-go decennale, sino ai primi due annidella scuola secondaria superiore, è(sarebbe) da valutare come una occa-sione perduta.

1) Estendere l’istruzione a tutti i ra-gazzi fino a sedici anni è un fatto di so-

Studi

Il biennio del secondo cicloe l’obbligo decennale di istruzione

DOMENICO CHIESA

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stanza e non un’azione di polizia: chebrutta immagine quella di proporre l’ac-quisto di catene per legare gli obbligatiai banchi di scuola. L’idea dell’obbligoforzato per ragazzi non votati allo stu-dio, coartati a pratiche avulse dal loropresente e non necessarie per costruireil loro futuro rappresenta l’approcciosbagliato e perdente di innalzamentodell’istruzione ad almeno dieci anni.

È la Repubblica che si fa obbligo digarantire a tutti un’istruzione più altaperché la valuta un ingrediente impor-tante del diventare grandi in una so-cietà della conoscenza (o è solo retori-ca?): «fatemi studiare, conviene a tut-ti» scrive un bambino sulla lavagna inun manifesto che pubblicizza una cam-pagna della S. Vincenzo per l’alfabe-tizzazione; potrebbe essere assunto co-me il motto dell’obbligo scolastico.

La norma dell’avvenuta estensionedell’obbligo doveva essere comunicatae praticata come una occasione storicapositiva che la scuola è chiamata a co-gliere su mandato dell’intera società.Ogni soggetto dovrebbe sentirsi coin-volto nell’impresa e chiamato a contri-buire alla sua difficilissima riuscita:genitori, insegnanti, dirigenti scolasti-ci, associazioni professionali e cultura-li, agenzie del terzo settore che incon-trano i ragazzo fuori dal tempo-scuola,amministratori degli enti locali, citta-dini nelle loro funzioni più disparate.

Le agenzie della formazione do-vrebbero essere chiamate a contribuirenon in concorrenza/alternativa allascuola, bensì nel cooperare al raggiun-gimento dell’obiettivo.

L’innalzamento dell’istruzione al

primo biennio della superiore è dunqueun obiettivo sostanziale di crescita ci-vile, non il prodotto di ideologie; è mo-tivato culturalmente e corrisponde aimportanti bisogni sociali.

2) Una prima, fondamentale carat-teristica dell’obbligo decennale è cheriguarda non solo il biennio della scuo-la superiore. Se l’opportunità formati-va per tutti si estende ai 14-16 annicambia alla radice il processo del farescuola dai tre anni a tutto il primo ci-clo. La scuola dell’infanzia, la scuolaprimaria e quella secondaria di primogrado possono sentirsi sollevate da unostress quantitativo che le soffoca e con-centrare il proprio sforzo educativosulla qualità e l’approfondimento.

Si pensi allo sviluppo delle compe-tenze culturali individuate dalle indica-zioni nazionali per questa fasce scola-ri. La distensione del percorso currico-lare da 8 (11) a 10 (13) anni è la chiavedi volta per porsi traguardi ragionevo-li, rispettosi di tutti e di ciascuno.

Potrebbe rappresentare un fattoredeterminante per il miglioramento deirisultati di apprendimento per ogni or-dine di scuola. Diventerebbe possibileoperare non sulla quantità di cose dafare ma sulla qualità, sulla possibilitàdi approfondire (alle “eccellenze” nonchiedere più cose, ma cose più ap-profondite: diventare “esperti” è unodei veri motivi per studiare, ed è possi-bile essere esperti a tutte le età, se nonsi “corre” e si fanno cose adatte all’età:il bambino in prima elementare è moti-vato dal poter diventare esperto in “co-me si scrive”). In particolare potrebbe

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diventare la nuova riforma della mediaora schiacciata dalla richiesta di prepa-rare ad una scelta troppo pesante.

In questo modo il curricolo “comu-ne” (significativamente individualiz-zato) si distenderebbe fino ai 16 anni inriferimento allo sviluppo delle compe-tenze culturali (linguistica, logico-ma-tematica, scientifico-tecnologica, stro-rico-sociale, dell’espressività) mentrea 14 anni si potrebbe iniziare il curri-colo di “indirizzo” con un taglio molto(moltissimo) laboratoriale (le tecnolo-gie si fanno nei laboratori meccanici,chimici, nelle aziende agrarie collegatealle scuole, nelle cucine, con aule an-nesse, non spiegando da dietro la catte-dra i flow-chart dei cicli produttivi …).La scelta di un campo di sapere è quelsalto di “iniziazione” che a 14 anni puòessere compiuto e che rappresenta unmotivo non banale per andare a scuola:già oggi il 95% dei ragazzi lo pratica,salvo poi essere “tradito” da ciò che ascuola trova.

È la via da percorrere: attivare pro-cessi di trasformazione condivisi cen-trati sulla valorizzazione dell’autono-mia e attorno all’obiettivo di garantireil rafforzamento di conoscenze e abi-lità di base nel primo ciclo che assicu-rino alle allieve e agli allievi effettivecompetenze in grado di accompagnar-li tutti nel proseguimento dell’istruzio-ne obbligatoria fino a 16 anni; può es-sere realizzata solo mediante un ripen-samento in chiave unitaria e progressi-va dell’intero percorso educativo cheva dai 3 ai 16 anni.

3) L’estensione della scolarità va

dunque interpretata come la leva perrilanciare un reale e profondo processodi innovazione del fare scuola (neicontenuti/modi, spazi/luoghi del farescuola) che renda sostanzialmente pos-sibile a ciascuno l’apprendimento finoa all’età della prima adolescenza. Il ve-ro obbligo è della scuola ad un cambia-mento che sia tale da renderla effetti-vamente determinante per la vita ditutti e di ciascuno.

Si possono individuare le tappe del-lo sviluppo della scolarità e della edu-cazione formale in generale che po-trebbero essere sollecitate dall’innal-zamento dell’istruzione.– Forte intervento di potenziamento

della fascia 0-6 (rispettando le spe-cificità del Nido e della scuola del-l’infanzia).

– Sviluppo della fascia di istruzione3-14 (come tempo della scuola uni-ca individualizzata) nella direzionedella comprensività con il giustoequilibrio di specificità/continuitàdei momenti 3-6 (campi di esperien-za), 6-11 (codici e contesto cultura-le di senso), 11-14 (approccio espli-cito ai saperi disciplinari). Valoriz-zazione dei modelli didattici deltempo pieno di qualità. Individua-lizzazione come superamento del-l’opzionalità come risposta alla do-manda individuale e forma implici-ta di canalizzazione dei percorsi.

– Elevamento dell’obbligo di istru-zione nei primi bienni rinnovatidella secondaria superiore (tempodella scuola unitaria individualizza-ta, indirizzata, obbligatoria).

– Attivazione di percorsi formativi

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diversificati dopo il biennio (tempodella scuola unitaria non obbligato-ria da affiancare ad altri percorsiformativi, obbligo formativo fino ai18 anni): nel triennio della scuolasecondaria superiore riformata (ri-mane sempre valido l’obiettivo del85% di diplomati), nei percorsi in-tegrati di istruzione e formazioneprofessionale, nell’apprendistatofortemente caricato di percorsi diistruzione e formazione professio-nale.

– Attivazione di percorsi di istruzio-ne e formazione tecnico-professio-nale superiore da affiancare a quelliuniversitari.

– Interventi di forte innovazione dellaformazione professionale sia quellainiziale sia quella per tutto il perio-do lavorativo (ovviamente regiona-le nella accezione dell’art. 117“istruzione e formazione professio-nale”). L’impegno sulla formazioneprofessionale deve accompagnarealla pari quello sull’istruzione.

– Rilancio dei percorsi formativi inetà adulta (con caratteristiche ri-spettose delle modalità di appren-dere in età adulta).

4) L’estensione della scuola fino a16 anni non riguarda solo coloro chedopo i 14 anni non chiedono di prose-guire; esiste una fascia di ragazzi chenon sono in grado di rimanere a scuoladopo la scuola media, ma per questi ra-gazzi vanno attivati interventi non solodi formazione “formale”: la ricostru-zione dell’identità personale intrecciainterventi di tipo educativo che, in una

fase iniziale, solo marginalmente han-no la dimensione della formazione cul-turale-scolastica. È invece importantedare risposta a quei ragazzi che si iscri-vono alla scuola superiore ma che en-trano immediatamente in crisi: la scuo-la li vive e li affronta come degli intru-si e li perde già nei primi mesi. E pro-prio verso questa fascia, che possiedeun motivo per andare a scuola ma nonquello per rimanervi, che la scuola de-ve avviare il processo di innovazionesenza scivolare nelle canalizzazioni. Inquesta versione va ripensato il ragiona-mento di Lorenzo Milani “la scuola haun problema: i ragazzi che perde”; orasono i ragazzi che trovano motivi perandare a scuola ma non quelli per ri-manere a scuola.

La legge finanziaria del 2007 pre-vedeva azioni finalizzate a “preveniree a contrastare la dispersione”. Taliazioni non hanno avuto seguito e sonoormai totalmente scomparse dalleagende ministeriali.

I NUOVI REGOLAMENTI DI “RIORDINO”E L’OBBLIGO DECENNALE

5) Un ulteriore criterio, più specifi-co, per la realizzazione dell’obbligo èstrettamente legato alle innovazionicurricolari (culturali, metodologiche erelazionali) da avviare nei bienni.

Si deve tenere presente che il livellodi rinnovamento dell’impianto currico-lare della scuola cosiddetta “seconda-ria” (11-19), in cui si calerà l’obbligo,dovrebbe essere molto profondo e si-gnificativo; dovrebbe riguardare i con-

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tenuti dell’insegnamento/apprendimen-to e la natura del modello con cui sonotradotti in fare scuola. Serve un proces-so non minimale che preveda tempi lun-ghi e tappe di sviluppo, ma soprattuttoconiughi la pratica di innovazione conuna riflessione teorica di alto livello.Non è un’impresa organizzativistica egestibile burocraticamente.

Come si rapporta quindi al rinnova-mento dei piani di studio per i percorsidella scuola secondaria superiore cheentreranno in vigore dal 2010-11?

In una analisi ancora approssimati-va dei regolamenti di “riordino”, es-sendo ancora difficile valutare l’impat-to reale con la scuola, si può dire cheessi risultano profondamente lontani,nei contenuti e nello spessore, dallalegge 30 del 10/2/2000 che mirava al“riordino dei cicli di istruzione”, e che,nel contempo, smantellano la legge 53del 28/3/2003 orientata a costruire duepercorsi formativi alternativi tra loro;uno “lungo” che all’inizio sia di solaistruzione e che in seguito (università eformazione superiore) avvicini alleprofessioni più alte e prestigiose; unsecondo riferito agli altri lavori per iquali l’istruzione e la formazione pro-fessionali possono rappresentare untutt’uno già dai quattordici anni.

Sostanzialmente non escono dallalinea tracciata dal governo precedente:i licei, quelli esistenti, non si toccano,gli istituti tecnici e gli istituti profes-sionali ritornano nel sistema dell’istru-zione. I tecnici per cercare di riconqui-stare le glorie degli anni cinquanta esessanta (è difficile non percepirequalche ritorno nostalgico) e i profes-

sionali di stato perdono l’autonomianel poter rilasciare qualifiche di primoe di secondo livello che però possonoriconquistare su delega delle Regioni.Insomma il sistema quaternario, (istru-zione liceale, istruzione tecnica, istru-zione professionale e formazione pro-fessionale), che ha segnato la scuolanegli ultimi decenni, sembra essere so-stanzialmente confermato; ogni per-corso è caratterizzato da propri princi-pi educativi e finalità formative e si ri-volge a formare ceti professionali/so-ciali abbastanza delineati: le professio-ni liberali, i tecnici intermedi, i lavoricon “dimensione operativa” a diversilivelli. Così è e così finirà per rimaneredopo il riordino.

All’interno di questa prospettiva,innovativamente molto minimalista, sicolloca la possibilità di mantenereaperti spazi di azione per le autonomie:spazi alle scuole per operare sul serionella direzione dell’innalzamento so-stanziale dell’istruzione fino a sedicianni; spazi alle Regioni e agli Enti lo-cali per sostenere politiche volte a ri-comporre, in un progetto culturalmenteinnovativo e politicamente democrati-co, la crescita della scolarizzazione nel-l’età dell’adolescenza percorrendo stra-de più coerenti con il rispetto dei biso-gni formativi dei ragazzi quattordicen-ni e anche con la formazione al lavororealizzabile in questa fascia di età.

Quale potrebbe essere la direzioneanche operativa verso cui i soggetti so-ciali e istituzionali possono utilizzarelo spazio non teorizzato (e quindi nonimposto) nei testi dei regolamenti?

Lo spazio di azione che rimane

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aperto è quello che si orienta nella pro-spettiva del superamento della con-trapposizione tra scuole per i lavorato-ri e scuole di cultura attraverso la pra-tica di percorsi formativi che preveda-no i primi due anni caratterizzati daimpianti curricolari unitari, differen-ziati per indirizzi ma con equivalentevalenza educativa, flessibili e adeguatialle esigenze educative dell’età, stret-tamente correlati con la scuola prece-dente e con il triennio successivo.

Le differenze curricolari e anche ladiversa valenza professionalizzantenon risulterebbero da una scelta aprio-ristica tra percorsi estranei al lavoro epercorsi interni al lavoro; proprio lecaratteristiche dei saperi di riferimentooffrirebbero pragmaticamente la formadel curricolo di indirizzo, rispettandonel contempo il bisogno formativo de-gli studenti (che si preparano tutti a di-ventare adulti).

Si potrebbe offrire a tutti la possibi-lità di iniziare un percorso nel settoredi sapere in cui si padroneggiano me-glio le competenze senza rinunciare acontinuare la propria formazione cul-turale di base; sarebbe possibile il ri-mettersi in gioco strada facendo pen-sando la prosecuzione in trienni di solascuola o in percorsi in cui si realizzi, indiversa modalità, l’integrazione traistruzione e formazione professionale.

Per rendere possibile una simileprospettiva è fondamentale che lescuole assumano fino in fondo la carat-teristica dei bienni come luogo d’in-nalzamento dell’obbligo scolastico erinforzino l’impegno di costruire ele-menti di coerenza curricolare rivolti,

oltre che al triennio, allo sviluppo del-le competenze culturali di cittadinanzaavviate nel corso del primo ciclo.

È, nello stesso tempo, importanteche il dimensionamento e la program-mazione scolastica avvengano co-struendo poli scolastici omogenei perambito di sapere, all’interno dei qualipossa, nella prassi (si potrebbe dire“ecologicamente”), realizzarsi quelconfronto e scambio tra ciò che chia-miamo licei, istituti tecnici e istituti pro-fessionali all’interno delle grandi areedi indirizzo, fuori dalle pesantezze ideo-logiche, nostalgiche o corporative. Poliscolastici che poi divengano formativi(nell’incontro con la formazione profes-sionale l’apprendistato) e oltre ancorapoli di ricerca e di alta formazione.

Rappresenta una precisa scelta dipolitica scolastica regionale volta a va-lorizzare la ricchezza e le identità dei di-versi percorsi (in cui sia data più forzaal sostantivo “istruzione” che agli ag-gettivi qualificativi che lo accompagna-no) senza approfondire la separazione.

Sullo sfondo si pone, pesantemen-te, un dato che caratterizza la culturasulla scuola ai diversi, vale a dire ilvuoto di elaborazione e di ricerca sulsignificato dell’istruzione dopo l’in-fanzia, in una società globalizzata; èl’elemento che maggiormente determi-na lo scompenso tra i bisogni formativiche caratterizzano l’età e la reale capa-cità di soddisfarli da parte del sistemascolastico.

Nel superamento di tale insufficien-za è riposto il significato dell’innalza-mento dell’istruzione ad almeno dieci

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anni di scuola: si tratta di rilanciare, al-la società nel suo insieme, la propostadi un’impresa straordinaria, paragona-bile a quella che venne affrontata tra isecoli XIX e XX con l’estensione del-l’alfabetizzazione. Allora si trattò dipensare e costruire una teoria e unaprassi della scuola per l’infanzia; fuun’azione collettiva che coinvolsestraordinari intellettuali, la politica,l’opinione pubblica, si radicò nell’im-maginario collettivo.

Non si è ripetuta nel costruire lascuola per preadolescenza e per la pri-

ma adolescenza: ci si è limitati adestendere a tutti la scuola pensata perconfermare/acquisire privilegi sociali.Proprio da questa contraddizione si co-struiva la scuola di Barbiana e prende-vano spunto le sferzate di Pasolini con-tro la scuola media.

La scuola deve essere messa in con-dizione di potersi assumere le proprieresponsabilità, ma da sola non può far-cela. Serve un’impresa collettivastraordinaria che porti con sé risorse,ricerca, prassi consapevole, memoriaattiva, condivisione.

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L’annosa questione della colloca-zione istituzionale dell’Istruzione pro-fessionale tra il Ministero dell’Istru-zione (responsabile storico di questaistituzione) e le Regioni (cui la Costi-tuzione affida la competenza su questaattività) ha trovato una sistemazione dicarattere generale con la legge 40 Ber-sani-Fioroni, che ha delimitato l’atti-vità degli istituti Professionali all’ero-gazione dei soli corsi quinquennali peril rilascio del diploma di maturità, eli-minando dunque l’attuale formula or-ganizzativa e curriculare imperniata supercorsi di tre anni per ottenere la qua-lifica, più altri due per ottenere il di-ploma di maturità.

Con questo dispositivo, pure costi-tuzionalmente corretto, è stata sancitala fine di un modello di percorso che hafortemente favorito il processo di sco-larizzazione, soprattutto dei ragazzimeno propensi ad intraprendere per-corsi lunghi di tipo accademico. Infattiuno dei grandi punti di forza degli Isti-tuti professionali è stato quello di con-sentire ai ragazzi di conseguire unaqualifica professionale dopo tre anni di

corso, offrendo la possibilità di accede-re in breve tempo e con un titolo almondo del lavoro, senza però preclu-dere il proseguimento del percorso sco-lastico con il relativo conseguimento,dopo altri due anni di corso, del diplo-ma valido per l’accesso al mondo dellavoro od all’Università. Questa carat-teristica, unitamente al valore naziona-le della qualifica professionale (che eradunque universalmente riconosciuta, adifferenza delle qualifiche rilasciatedalle Regioni, meno standardizzate edunque meno riconoscibili dal mercatodel lavoro) hanno grandemente favori-to l’interesse dell’utenza, che è forte-mente cresciuta, fino a coinvolgere ol-tre il 20% del totale degli iscritti allascuola secondaria. Inoltre si è trattatoin gran parte di una utenza non tradi-zionale, figli di genitori che in grandis-sima maggioranza non erano mai anda-ti oltre la licenza elementare o media.Pertanto gli Istituti professionali hannorappresentato, negli scorsi decenni, unimportante strumento di mobilità so-ciale, almeno per quanto riguarda l’in-nalzamento del livello di scolarità della

Studi

Istruzione e formazione professionale al bivio

La riforma degli Istituti professionali e l’intesa MIUR – Lombardia

GIORGIO ALLULLI

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popolazione, promuovendo il conse-guimento del diploma da parte di gio-vani le cui famiglie non avevano mairaggiunto questo traguardo.

Con la legge 40, e con il regola-mento applicativo della legge Moratti,l’assetto modulare 3+2 degli Istitutiprofessionali viene abolito, ed al suoposto viene introdotto un assetto di ti-po 2+2+1, che non corrisponde ai tem-pi del percorso di qualifica. Viene inogni caso a cessare la possibilità di ri-lascio della qualifica da parte degliIstituti professionali, a meno che sivengano stabilite intese specifiche conla Regione. I giovani che si iscrivonoagli Istituti professionali non potrannopiù prendere il titolo di qualifica in 3anni, ma avranno davanti la prospetti-va di dover seguire un percorso di 5anni per conseguire il diploma di ma-turità, allo stesso modo di coloro che siiscrivono agli altri Istituti secondari.

Che cosa potrà succedere allora,con l’applicazione della legge 53,quando anche il regolamento sui pro-fessionali sarà approvato? Gli scenariche si aprono davanti sono diversi, etutti problematici.

1) La prima possibilità è che tutti igiovani che intendono conseguirela qualifica professionale siano di-rottati sui corsi triennali regionali diIstruzione e formazione professio-nali; dopo aver conseguito la quali-fica essi potrebbero, se voglionoproseguire gli studi, veder ricono-sciuti i crediti maturati nel loro per-corso ed essere ammessi al quartoanno di un Istituto professionale.

Questa soluzione presenta due ordi-ni di problemi:– il primo riguarda il finanziamen-

to dei percorsi triennali di Istru-zione e formazione professiona-le; le Regioni sono attualmentein forte difficoltà nel sostenere icosti dei corsi esistenti, ancheper la contrazione del finanzia-mento statale, ed uno sposta-mento delle iscrizioni dei giova-ni verso questi corsi creerebbeulteriori problemi finanziari;

– il secondo riguarda l’effettivapossibilità di passaggio dai corsiregionali ai corsi statali; sebbe-ne gli strumenti per consentire lecd. passerelle siano stati già pre-disposti, è evidente che l’inseri-mento dei qualificati della for-mazione regionale nei corsi sta-tali creerebbe non poche diffi-coltà agli studenti, sia di ordinepsicologico (per il cambiamentodi contesto e di docenti) sia diordine curricolare; infatti il nuo-vo assetto degli Istituti profes-sionali avrà un’impostazionecurricolare differente dai corsitriennali, anche per effetto del-l’ordinamento 2+2+1.

2) La seconda possibilità è che si defi-nisca un’intesa tra Regione e Statoper l’organizzazione di percorsi diqualifica che preveda il coinvolgi-mento degli Istituti professionali.Questa soluzione può dare origine adue ulteriori ipotesi:– la prima è che i ragazzi che vo-

gliono conseguire la qualifica

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triennale si iscrivano al primobiennio dell’Istituto professio-nale, insieme agli altri che inten-dono proseguire il percorso finoal conseguimento del diploma;al termine del biennio questi ra-gazzi escono dal corso quin-quennale per iscriversi all’annodi qualifica (che può essere or-ganizzato dalla Regione pressoun Centro di formazione profes-sionale oppure, in convenzione,presso lo stesso Istituto profes-sionale). Questa soluzione spo-sterebbe sugli Istituti statali par-te dei costi per l’organizzazionedel corso di qualifica; tuttavia,per coloro che volessero prose-guire gli studi dopo il consegui-mento della qualifica si riapri-rebbero i problemi di reinseri-mento segnalati in precedenza;se il corso triennale venisse or-ganizzato all’interno della scuo-la il proseguimento al quarto an-no sarebbe comunque menoproblematico, almeno sotto l’a-spetto psicologico; rimane peròil problema del recupero deicontenuti curricolari del terzoanno del percorso “lungo”, checon il nuovo ordinamento di-venteranno inevitabilmente di-versi rispetto a quelli delterz’anno di qualifica;

– la seconda ipotesi è che l’intesatra Stato e Regione consenta diorganizzare percorsi simili aquelli attuali, ovvero che permet-tano agli studenti di conseguire laqualifica e successivamente di

proseguire, all’interno dello stes-so corso, per conseguire il diplo-ma. Questa ipotesi consentirebbedi salvare gli aspetti positivi delvecchio ordinamento. Tuttaviacontrasta con la legge Moratti econ il regolamento in fase diemanazione che, come si diceva,prevede per i “nuovi” Istituti pro-fessionali un’articolazione curri-colare di tipo 2+2+1, che mal siadatta dunque all’ipotesi chestiamo considerando.

All’interno di questo quadro si in-serisce la recente intesa tra Ministerodella Pubblica Istruzione e RegioneLombardia. L’intesa intende e potreb-be offrire delle soluzioni ai problemisegnalati in precedenza, e prevede duefasi temporali:– nella prima fase gli Istituti profes-

sionali potranno erogare i corsitriennali avvalendosi della quota diautonomia del DM 47/06 e deglispazi di flessibilità previsti dal DPR275/99, mantenendo l’ordinamentodell’istruzione professionale; inol-tre gli stessi Istituti professionalipotranno rilasciare il “Diplomaprofessionale di tecnico di Istruzio-ne e Formazione professionale”quadriennale previsto dalla leggeMoratti; il personale per l’organiz-zazione di questi percorsi sarà mes-so a disposizione dall’Ufficio sco-lastico regionale (ovvero dallo Sta-to) d’intesa con la Regione;

– nella seconda fase, dal 2010, gliIstituti professionali che aderirannoalla sperimentazione erogheranno i

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corsi triennali previsti dall’ordina-mento regionale; l’intesa apre cosìla possibilità di organizzare due ti-pologie di percorso professionaledentro le stesse scuole: i percorsiquinquennali per il diploma profes-sionale, di cui al regolamento mini-steriale approvato, ed i percorsitriennali, a cui potrà far seguito unanno per il conseguimento del di-ploma ed un ulteriore anno per so-stenere l’esame di Stato che daràaccesso all’Università; dunque unpercorso 3+1+1.

Si apre dunque una prospettivanuova per gli Istituti Professionali, iquali potranno operare in un campo distretta competenza regionale. Gliobiettivi dell’intesa sono senza dubbioapprezzabili:– salvaguardare quanto di positivo

questi Istituti avevano prodotto inquesti anni per innalzare la culturaprofessionale del Paese;

– rafforzare un’offerta formativa,quella dell’Istruzione e Formazioneprofessionale, che sta rispondendoa molte delle attese che vi erano sta-te riposte (anche se sarebbe neces-saria una seria attività di valutazio-ne dei risultati conseguiti dagli al-lievi, in termini di apprendimenti edi aumento dell’occupabilità);

– aprire la possibilità a qualunquepercorso di non costituire un “vico-lo cieco” ma di consentire il prose-guimento verso l’altro;

– ampliare l’offerta formativa, of-frendo un ventaglio di percorsi a li-vello secondario e post-secondario.

Tuttavia l’intesa lascia aperti unaserie di interrogativi:– innanzitutto essa sembra accollare

allo Stato le spese di personale (enon solo) per svolgere un’attività,quella dei percorsi triennali, dicompetenza della Regione, che siaffiancherà all’attività istituzionaleordinaria; infatti la dotazione di or-ganico di istituto verrà determinataanche in riferimento alle classi diordinamento regionale di Istruzio-ne e Formazione professionale. Cisi chiede se l’Intesa costituisca unostrumento giuridico sufficiente perautorizzare una spesa del genere, onon sia necessario per questo ap-provare (quantomeno) una legge. Siapre infatti attraverso l’intesa unflusso di finanziamento non previ-sto dalla normativa (che prevede ladotazione organica destinata alle at-tività di ordinamento statale); inol-tre si determina una sperequazionetra una Regione le cui attività ven-gono sostenute con risorse delloStato ed altre Regioni che non losono. L’applicazione dell’Intesapone un vincolo di spesa, nella mi-sura dell’organico esistente, ma sitratta pur sempre di una spesa chein termini di legge dovrebbe esseredi competenza della Regione;

– non vengono chiarite le future mo-dalità di programmazione dell’of-ferta formativa; negli anni passati laRegione Lombardia aveva privile-giato l’espressione della domandadell’utenza, attraverso l’erogazionedi “doti” finanziarie direttamentealle famiglie per la frequenza dei

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corsi triennali; nel momento in cuila Regione potrà far riferimento inmodo consistente all’offerta degliIstituti professionali, pagati dalloStato, ci si domanda quale sarà ildestino dell’offerta di formazionenon statale, che invece rimane a ca-rico della Regione;

– l’intesa consente ai giovani checonseguono la qualifica regionaledi proseguire verso un quarto anno,per conseguire il “Diploma profes-sionale di tecnico di Istruzione eFormazione professionale”. Conse-guito questo titolo si potrà accederead un apposito corso annuale, rea-lizzato d’intesa con le università, altermine del quale si potrà sostenerel’esame di Stato per l’accesso al-l’Università. In questo modo talipercorsi non sarebbero più a vicolocieco, ma permetterebbero il direttoproseguimento verso l’alto. Tutta-via se, come appare dalle iniziativein essere, la finalità del diplomaprofessionale quadriennale è favo-rire una maggiore specializzazione,per consentire un accesso più quali-ficato al mondo del lavoro, saràpiuttosto difficile recuperare nelquinto anno le competenze generalie di base che sarebbero necessarieper sostenere (e superare) l’esamedi Stato per accedere all’Università.

– l’intesa apre la possibilità di orga-nizzare corsi IFTS triennali: anchequesto rappresenta un aspetto dachiarire, perché le sperimentazionedegli IFTS condotte per dieci annisono andate in direzione dell’orga-nizzazione di corsi brevi, flessibili,

della durata massima di un anno,mentre i corsi degli Istituti tecnicisuperiore dovrebbero assumere unaconfigurazione più stabile, ma inogni caso non superiore ai due annidi corso. Lo stesso DPCM del 2008ha ratificato queste indicazioni.L’introduzione di corsi IFTS trien-nali finirebbe per sovrapporsi con ipercorsi degli istituti Tecnici supe-riori creando una pluralità di offerteformative difficilmente decifrabilidall’utenza e dal mercato del lavoro.

L’intesa, anche se risponde adobiettivi condivisibili, presenta pertan-to alcuni punti da chiarire sul pianodella configurazione di sistema; anchese ci si muove in un quadro di speri-mentazione, le soluzioni proposte do-vrebbero collocarsi in modo organico efunzionale nel contesto istituzionale,così da essere, in caso di successo, ef-fettivamente riproducibili sul territorionazionale.

Sarà in ogni caso interessante, al dilà delle questioni di carattere più stret-tamente giuridico, valutare gli esiti diquesta sperimentazione: – come si distribuirà l’utenza tra le

diverse tipologie di offerta: corsitriennali gestiti dall’offerta non sta-tale di formazione, corsi triennaligestiti dagli Istituti professionali,corsi quinquennali gestiti daglistessi Istituti, e quale tipo di utenzafrequenterà gli uni e gli altri;

– in che misura i docenti degli istitutiprofessionali, abituati a confrontar-si con una organizzazione currico-lare più standardizzata, e sostan-

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zialmente organizzata per discipli-ne, saranno in grado di affrontareuna didattica che richiede una fles-sibilità maggiore ed una focalizza-zione sull’acquisizione di compe-tenze transdisciplinari;

– quali risultati conseguiranno le di-verse offerte formative, in termini

di contrasto alla dispersione, di ap-prendimenti e competenze acquisi-te dagli allievi, di passaggi tra i di-versi percorsi, di innalzamento deilivelli di scolarizzazione, di occu-pabilità dei giovani che conseguo-no le qualifiche ed i diplomi, regio-nali e di Stato.

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In questa fase interlocutoria è forseutile provare a fare il punto della situa-zione sul recepimento della riforma (oriordino) Gelmini in provincia di Bol-zano sotto il profilo tecnico-giuridico.

Premetto che descrivere in modoordinato ed esaustivo lo stato dell’artesulla “Gelmini” è compito arduo, po-sto che il processo legislativo a livellonazionale non è concluso e deve perciòancora iniziare il processo di recepi-mento a livello locale.

Per ragioni di chiarezza è preferibi-le un’esposizione per punti.

TEMPISTICA

Il ministero assicura che in tempibrevi saranno emanati i provvedimentidefinitivi. Solo allora sarà possibile co-minciare a disegnare gli aspetti dellariforma di competenza locale su un qua-dro normativo nazionale di riferimentopreciso e chiaro. La riforma dovrebbeentrare in vigore il primo settembre2010 e coinvolgere le prime e le secon-de classi di tutte le scuole secondarie

superiori. Occorre rilevare che alla datadell’inizio dell’anno scolastico sonocollegate molte precedenti scadenze edoperazioni connesse tra loro. A febbraio2010 scade il termine per le iscrizionidegli alunni, momento determinante pergli atti successivi e conseguenti (forma-zione delle classi, organici, trasferimen-ti ecc.) Ovviamente le famiglie devonoessere adeguatamente informate in tem-po utile ed in modo adeguato sul pano-rama dell’offerta formativa delle singo-le scuole. In poche parole, se la riformaentrerà in vigore il primo settembre2010, l’attività di informazione dovreb-be cominciare adesso. Il Ministero ha inprogramma una campagna di informa-zione per quest’autunno.

FLESSIBILITÀ

Pare che all’autonomia delle singo-le istituzioni scolastiche autonome siariservata una quota fino al 40 per centodel piano di studi. Occorre comprende-re e definire se, come ed in quale misu-ra inciderà un’eventuale quota provin-

Interventi

Prove tecniche per il “riordino” della secondariadi secondo grado in provincia di Bolzano

ALBERTO DELCORSO

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ciale tra il 60 per cento statale ed il 40per cento delle scuole autonome. Èevidente inoltre che con la disponibi-lità della flessibilità al 40 per cento èpossibile modellare un numero note-vole di corsi ed indirizzi.

TEDESCO L2

L’eventuale quota provinciale dicui al punto precedente sarà molto pro-babilmente prevista, posta la necessitàdella presenza delle ore di tedesco L2in tutti i piani di studio di tutti gli indi-rizzi di tutte le scuole. Per non aumen-tare nuovamente il monte ore una solu-zione praticabile ma non semplice èrappresentata dall’uso veicolare dellelingue (tedesco ed inglese) applicatoall’apprendimento di alcune discipline.

ORGANICI

La ridefinizione degli organici, pre-vista dalla riforma, appare un’opera-zione molto difficile e complicata. So-no stati approvati degli schemi di con-fluenza delle classi di concorso, chenon sono tuttavia definitivi.

ISTITUTI TECNICI, ISTITUTI

PROFESSIONALI STATALI E SCUOLE

PROFESSIONALI PROVINCIALI

Sotto il profilo politico, giuridicoed amministrativo si tratta di un nodomolto difficile da sciogliere. Sullosfondo c’è il sistema della partizione

delle competenze tra stato e provincia.A livello locale la soluzione dovràcomportare l’intesa tra diversi assesso-rati. Gli istituti tecnici e professionalistatali fanno capo agli assessorati all’i-struzione, le scuole professionali pro-vinciali dipendono dagli assessorati al-la formazione professionale. Tutto alplurale perché gli assessori sono sem-pre italiani e tedeschi, senza dimenti-care i ladini. Se si considerano gli inte-ressi in campo tenendo presente, peresempio, la considerazione, la tradizio-ne, il prestigio di cui gode la formazio-ne professionale tedesca, si comprendeimmediatamente che occorrerà unaconcertazione quasi a livello diploma-tico per arrivare a decisioni condivise.Su questa complessa questione si po-trebbe scrivere un voluminoso dossier.

RECEPIMENTO

La riforma dovrebbe essere recepi-ta contemporaneamente ed in modoidentico per le scuole italiane, tedeschee ladine. Non c’è motivo per un recepi-mento differente a meno che non si vo-glia approfondire l’analisi della diver-sa situazione della scuola italiana e te-desca e, soprattutto, le diverse caratte-ristiche ed esigenze del mondo produt-tivo e del lavoro nelle comunità italia-na, tedesca e ladina. Non credo ci sia-no i tempi per un’elaborazione statisti-ca e valutativa di queste dimensioni.Sotto il profilo formale la riforma do-vrebbe essere recepita in una leggeprovinciale. I tempi per l’elaborazione,la discussione e l’approvazione di un

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provvedimento legislativo hanno unadurata fisiologicamente determinata enon breve. Questo potrebbe essere unfondato motivo per un rinvio.

RINVIO

Circolano appunto voci su un possi-bile rinvio di un anno per l’entrata in vi-gore della riforma. D’altra parte nonerano necessarie le voci poiché l’ipotesiera facilmente prospettabile ed auspica-bile. È da studiare la ammissibilità giu-ridica di un rinvio ed in ogni caso sareb-be opportuno valutare preventivamenteed attentamente quali eventuali incon-venienti organizzativi, tecnici e giuridi-ci potrebbe comportare un rinvio.

TRENTINO

Pare che il Trentino sia già giunto adun notevole stato di avanzamento deilavori di pianificazione del recepimentodella “Gelmini”. Ciò è stato consentitosoprattutto dalla più accentuata autono-mia di Trento in ambito scolastico.Sembra che uno schema sia già statoelaborato utilizzando soluzioni tecnichee di ingegneria giuridico-amministrati-va che potrebbero, anche solo in parte,essere mutuate in provincia di Bolzano.

RAPPORTI TRA PROVINCIA DI

BOLZANO E MINISTERO

Per quanto riguarda i rapporti traBolzano e Roma con riferimento al

“riordino Gelmini” credo di poter svol-gere alcune considerazioni tecniche. Ènecessaria una premessa. Lo stato ita-liano è un sistema democratico caratte-rizzato dal decentramento politico eamministrativo, particolarmente ac-centuato nelle regioni e province auto-nome. In tale sistema i i rapporti politi-co – istituzionali sono fisiologicamen-te molto complessi. Le dinamiche poli-tiche si complicano ulteriormentequando gli orientamenti politici del go-verno centrale e di quello locale sonoantitetici, come appunto attualmenteaccade tra Roma e Bolzano. Questa si-tuazione si verifica spesso, se non sem-pre, sotto diverse forme in tutti i siste-mi democratici che hanno forme di go-verno molto articolate.

Occorre tuttavia distinguere il mo-mento del confronto, anche polemico,sul piano politico – partitico dal ruolo edalla funzione politico istituzionale de-gli organi di governo centrali e locali.Entrambi sono momenti essenziali del-la dialettica politica ma hanno finalitàed obiettivi diversi.

Anche nel caso di innovazioni nor-mative in ambito scolastico sono nor-mali e ricorrenti le divergenze di opi-nione e di posizione sulle scelte daadottare. Il recepimento della normati-va statale a livello locale, nella specieprovinciale, deve necessariamente sca-turire da una sintesi, da un compro-messo di natura politico – istituziona-le. Il sistema scolastico deve essere permolti aspetti necessariamente unifor-me su tutto il territorio nazionale. Se alivello centrale vengono introdotte del-le modifiche normative che interessa-

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no l’ordinamento scolastico, il recepi-mento della riforma a livello locale di-venta nel complesso un atto dovuto. Asua volta il governo centrale deve con-sentire che il recepimento avvenga neitempi, nei modi e con le ulteriori modi-fiche ed integrazioni opportune e ne-cessarie di competenza della Provin-cia. (Un esempio concreto: il doverosoinserimento delle ore di tedesco L2 intutti i piani di studio di tutti gli indiriz-zi di tutte le scuole). Questo è il quadrolegislativo e procedurale da seguire, acui le istituzioni centrali e locali devo-no attenersi.

Anche a Trento il governo locale èorientato politicamente in modo diver-so rispetto a Roma, eppure pare che ilprocesso di recepimento della “Gelmi-ni” in quella provincia sia giunto aduna fase progettuale molto avanzata,grazie probabilmente alle maggiori at-tribuzioni in materia scolastica ed alquadro politico più lineare. In provin-cia di Bolzano il mondo della scuola vi-ve momenti di attesa e di incertezza. Inparticolare i dirigenti scolastici sonoconsapevoli che dovranno comunquegestire sul campo un periodo di transi-zione complesso e difficile. Per orapossono e devono solo seguire e studia-re l’evoluzione del “riordino Gelmi-ni”sotto il profilo normativo e tecnico.La richiesta più urgente è che le istitu-zioni locali e centrali facciano tutto ilpossibile perché tale passaggio non sia

traumatico e problematico nell’interes-se di tutta la comunità scolastica.

Esaminiamo la situazione sotto ilprofilo istituzionale oltre che politico.L’Italia è un paese democratico contanto di maggioranza ed opposizione.È inoltre uno stato con forte decentra-mento politico amministrativo, parti-colarmente accentuato nelle regioni eprovince autonome, con conseguentiarticolazioni nella titolarità delle attri-buzioni e competenze legislative.

Va, ad esempio, portata la necessa-ria attenzione all’intervento della Cor-te costituzionale 02.07.2009, che di-chiara illegittime le parti della riformache sono di competenza regionale/pro-vinciale (razionalizzazione della retescolastica – distribuzione territorialeecc.). Gelmini sostiene che è un aspet-to marginale. È evidente che l’attivitàpolitica che prelude alla formazionedelle modifiche legislative in un siste-ma democratico e decentrato è moltocomplessa. Può verificarsi spesso chel’orientamento politico a livello cen-trale e locale sia radicalmente diverso.Tuttavia sono convinto che chi ricoprecariche politico-istituzionali debba, di-fendendo strenuamente la propria posi-zione in limiti di tempo ragionevoli,sempre ricercare il dialogo e infineraggiungere l’accordo, nell’interessesuperiore delle istituzioni e del lorofunzionamento. Almeno fino a quandoqueste saranno le regole.

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IL CONTESTO

Il sistema scolastico trentino, inparticolare negli ultimi due decenni, èstato chiamato a dare risposte di qua-lità ad una domanda formativa in co-stante crescita sul piano quantitativo esempre più articolata nei bisogni a se-guito dei profondi cambiamenti inter-venuti nella società.

A partire dalla fine degli anni ’80 èiniziato un percorso, ancora in atto, perrealizzare le opportunità connesse conl’autonomia del sistema scolastico pro-vinciale delineata con le norme di attua-zione del DPR 405/88. In questi anni lascuola trentina è stata, e continua ad es-sere, un laboratorio per l’innovazione.

Il risultato è un sistema scolasticooriginale, inclusivo, attento ai bisogniformativi espressi dalla comunità.

Tra i punti di forza del sistema sco-lastico trentino si segnalano in partico-lare:– il tasso di scolarità che nella scuola

secondaria superiore fa registrareuna crescita costante e si avvicinaalla piena scolarizzazione;

– il tasso di successo formativo conquasi il 92% degli studenti che con-segue un diploma o una qualificaprofessionale;

– i risultati delle indagini internazio-nali che confermano la scuola tren-tina (compresa la formazione pro-fessionale) tra le migliori al mondo,con performance che si collocanonella fascia alta, ben al di sopra del-la media OCSE sia in italiano chein matematica e scienze;

– lo sviluppo della formazione pro-fessionale sia in termini di maggio-re attenzione alla acquisizione dellecompetenze di base sia in termini disviluppo verticale (istituzione del 4anno) con possibilità di accedere al-l’Alta formazione o di rientrare nelsistema dell’istruzione e conseguireil diploma di Stato;

– la pratica diffusa della valutazionedei risultati ai fini del miglioramentoche coinvolge sia il sistema provin-ciale nel suo insieme sia le singoleistituzioni scolastiche con l’autoana-lisi di Istituto e, in forma sperimenta-le, la valutazione esterna degli istituti.

Interventi

“Piani di studio” e riforme in Trentino

L’applicazione delle riforme Moratti e Gelmini

nella provincia di Trento

CRESCENZO LATINO

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Un’ulteriore tappa per lo sviluppodel sistema scolastico provinciale è in-tervenuta con la legge provinciale del 7agosto 2006, n. 5: “Sistema educativo diistruzione e formazione del Trentino”.

Si tratta di una legge quadro che,per la prima volta, disciplina in modocompleto il sistema scolastico provin-ciale e che presenta numerose novità.In particolare, essa prevede per la pro-vincia di Trento la possibilità di elabo-rare Piani di studio provinciali per ilprimo e il secondo ciclo (articolo 55),di dettare norme in materia di valuta-zione degli alunni e di adattare conse-guentemente le norme statali sugli esa-mi di Stato (articolo 60).

I PIANI DI STUDIO PROVINCIALI

La redazione dei Piani di studioprovinciali si colloca in un contestoche vede tutti i sistemi scolastici impe-gnati in profondi processi di riforma,nell’intento di assicurare a tutti i citta-dini il possesso delle competenze ne-cessarie per vivere e lavorare nel 21°secolo. La sfida è quella di coniugareequità e qualità della formazione inuna scuola non più elitaria ma per tutti.

In ambito europeo i riferimenti fon-damentali sono costituiti dagli obietti-vi previsti dall’Agenda di Lisbona edal quadro delle competenze chiaveper l’apprendimento permanente pro-posto dall’Unione europea nel dicem-bre 2006.

In ambito nazionale la scuola viveuna fase di passaggio non ancora com-piuta: i riferimenti fondamentali sono

rappresentati dalla legge 53/2003 e irelativi Decreti legislativi, le Indica-zioni nazionali per i piani di studio per-sonalizzati (2004), le Indicazioni per ilcurricolo (2007), il Regolamento sulnuovo obbligo di istruzione a sedicianni (2007), la legge 40/2007, che haabrogato il liceo economico e il liceotecnologico previsti dal Decreto legi-slativo 226/05 e ha previsto il riordinodell’istruzione tecnica e professionale.

In Trentino il percorso per l’elabo-razione dei Piani di studio provinciali èstato avviato all’inizio del 2008 con lacostituzione di un Gruppo di studio,formato da esperti nazionali e locali,coordinati dal prof. Michele Pellerey.

Il Gruppo di studio ha inizialmenteelaborato una proposta, intenzional-mente aperta, che è stata presentata al-la comunità scolastica e più in genera-le a tutti gli interlocutori della societàtrentina (maggio 2008). Essa, partendodallo scenario in cui si collocano i Pia-ni di studio provinciali e dai punti diforza del sistema scolastico trentino,individua i nodi problematici da af-frontare, prospetta una filosofia di fon-do e propone alcune idee guida quali:– un curricolo definito per competen-

ze, in linea con l’Europa e con iprocessi di riforma dei principali si-stemi scolastici.

– un curricolo sostenibile, sia in rela-zione al numero delle discipline siaal tempo scuola, anche per valoriz-zare l’apprendimento “lontano daibanchi”.

– un curricolo essenziale finalizzatoalla padronanza, che individui del-le priorità e che favorisca un ap-

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proccio laboratoriale, al fine di fareacquisire a tutti gli studenti un ele-vato livello di padronanza nellecompetenze chiave;

– un curricolo verticale, dai 6 ai 16anni, unitario e integrato, che nel ri-spetto dei processi di maturazione edi sviluppo della personalità, degliinteressi e delle capacità degli allie-vi sia, al tempo stesso, attento a do-sare accuratamente gli elementi dicontinuità con quelli di disconti-nuità;

– un curricolo attento alla formazio-ne di una identità culturale pluraleche, insieme alla necessaria atten-zione per quella italiana, europea emondiale, preveda altrettanta atten-zione alla dimensione locale;

– un curricolo attento a promuovereuna cittadinanza attiva e responsa-bile, che favorisca i processi di par-tecipazione alla vita democratica el’acquisizione dei valori della soli-darietà, della cooperazione, dellaconvivenza civile e del rispetto pergli altri.

Su questa base, con l’inizio dell’an-no scolastico 2008/09, è stata avviatal’elaborazione dei Piani di studio pro-vinciali per il primo ciclo che, nell’otti-ca di un processo condiviso, hanno vi-sto impegnati sei gruppi di lavoro costi-tuiti da docenti e dirigenti scolastici.

Dopo un anno di confronto sonostati prodotti due documenti: un “Re-golamento per la definizione dei pianidi studio provinciali per il primo ciclo”,che contiene le scelte fondamentali evincolanti per tutte le istituzioni scola-

stiche, e “Le linee guida per l’elabora-zione dei Piani di istituto”, che conten-gono una serie di suggerimenti e propo-ste, non vincolanti, messe a disposizio-ne delle scuole per favorire l’attuazionedei Piani di studio provinciali.

I Piani di studio del Trentino per ilprimo ciclo si caratterizzano per alcu-ne scelte fondamentali:– un curricolo organizzato per com-

petenze;– un curricolo organizzato per aree di

apprendimento al fine di favorireuna migliore integrazione degli ap-prendimenti disciplinari;

– un curricolo unitario e verticale suotto anni, articolati in quattro perio-di biennali, di cui il terzo costituitodall’ultimo anno della scuola pri-maria e dal primo anno della scuolasecondaria di primo grado, per va-lorizzare anche sul piano pedagogi-co la scelta organizzativa degli isti-tuti comprensivi;

– una particolare attenzione all’ap-prendimento dell’italiano e dellamatematica in considerazione dellaloro funzione strategica per la pro-secuzione degli studi;

– una particolare attenzione all’inse-gnamento di due lingue comunita-rie in tutto il ciclo;

– un quadro orario che, in aggiuntaalle attività obbligatorie, prevede lapossibilità, su richiesta delle fami-glie, di potenziare e personalizzareil curricolo mediante attività opzio-nali facoltative.

Per quanto attiene al secondo ciclo,anche in considerazione dell’incertez-

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za del quadro nazionale, il percorso èstato avviato al termine dell’anno sco-lastico 2008/09 e entrerà nel vivo conil prossimo mese di settembre. Anchein questo caso si prevede un percorsopartecipato con il coinvolgimento didocenti e dirigenti della scuola trentinaal fine di pervenire ad una propostacondivisa dalla comunità scolastica.

I Piani di studio provinciali per ilsecondo ciclo si svilupperanno in coe-renza con le scelte fatte per il primo ci-clo, dovranno necessariamente tenerconto del quadro nazionale in conside-razione del vincolo rappresentato dal-l’esame di Stato. Non si rinuncerà, tut-tavia, alla ricerca di soluzioni coerenticon la specificità del sistema scolasticoprovinciale che ha un significativopunto di forza nell’equilibrio tra istru-zione liceale, istruzione tecnica e istru-zione e formazione professionale (incui si assolve anche all’obbligo diistruzione). In particolare, i Piani distudio per il secondo ciclo dovrannodelineare un curricolo coerente con iseguenti principi:– un curricolo sostenibile per tutti gli

studenti in termini di orario setti-manale, da riportare in linea con lamedia europea, accompagnato dauna riduzione del numero delle di-scipline per anno scolastico;

– un curricolo strutturato per compe-tenze in tutto il secondo ciclo, com-presi i licei, per assicurare agli stu-denti una preparazione più adegua-ta alla prosecuzione degli studi, al-l’apprendimento autonomo per ilresto della vita e all’inserimento nelmondo del lavoro;

– un curricolo verticale unitario dai 6ai 16 anni che, nel rispetto dei pro-cessi di maturazione e di sviluppodella personalità degli allievi, sap-pia dosare accuratamente elementidi continuità e di discontinuità;

– Un curricolo articolato secondo ilmodello 2+2+1, con un primobiennio caratterizzato da una fortearea comune funzionale all’even-tuale ri-orientamento, da valorizza-re quale strumento alternativo allabocciatura; un secondo biennio ca-ratterizzato da una più marcata pre-senza delle discipline di indirizzo eun quinto anno, più proiettato sulfuturo, con un’area opzionale ob-bligatoria con funzione orientativa,mirata a consentire a ciascun stu-dente di consolidare il proprio pro-getto di vita;

– un secondo ciclo più mirato al suc-cesso formativo, articolato al suointerno e in grado di tener contodella diversa propensione all’inve-stimento in formazione da parte deigiovani e delle famiglie, preveden-do la possibilità di uscite lateraliche consentano di capitalizzare ipercorsi scolastici e formativi a piùlivelli (qualifica, diploma profes-sionale e diploma di Stato);

– un secondo ciclo più trasparenteche, superando l’eccesso di offertaprodotto dalle sperimentazioni,preveda un numero ragionevole dipercorsi caratterizzati da una preci-sa identità, semplificando la sceltadel percorso da parte delle famigliee degli studenti.

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PIANI DI STUDIO PROVINCIALI,VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO E

DEL RENDIMENTO SCOLASTICO DEGLI

STUDENTI ED ESAMI DI STATO

L’anno scolastico 2008/2009 è statodominato dal dibattito suscitato dallalegge 30 ottobre 2008, n. 169 che haintrodotto significative novità in meri-to alla valutazione del comportamento(valutazione inclusa nella media deivoti, bocciatura automatica con il cin-que), alla valutazione del rendimentoscolastico (con la reintroduzione deivoti al posto dei giudizi), alla previsio-ne di classi di scuola primaria affidatead un insegnante unico e funzionanticon un orario ridotto (opzione prescel-ta per l’anno scolastico 2009/10 solodal 3% delle famiglie italiane).

Il dibattito su queste proposte ha in-teressato naturalmente anche la scuolatrentina e si sono registrate posizioni di-versificate. Si tratta di temi disciplinatidalla legge provinciale e che dunque so-no di competenza della Provincia.

In considerazione dell’incertezza edei ritardi del quadro normativo nazio-nale, dell’opportunità di non interveni-re in corso d’anno su un tema delicatocome quello della valutazione deglistudenti nonché dello stretto rapportoche lega i Piani di studio in via di ela-borazione (articolati per competenze earee di apprendimento), il tema dellavalutazione degli apprendimenti e gliesami di Stato, si è ritenuto prudenzial-

mente di lasciare in vigore le normeprecedenti.

Curricolo, valutazione, esami sono,infatti, temi fortemente intrecciati chenon possono essere affrontati in modoseparato. In tal senso sarebbe opportu-no riflettere su quanto accaduto loscorso mese di giugno in sede di scru-tini ed esami: a sistema scolastico in-variato la campagna mediatica per il ri-gore e la severità ha prodotto un signi-ficativo aumento delle bocciature ri-spetto all’anno precedente. Rigore evalorizzazione del merito sono obietti-vi naturalmente condivisibili ma, senon si accompagnano a processi ingrado di migliorare la qualità dell’of-ferta formativa, rischiano di produrreselezione e ingiustizia. Per una buonaistruzione occorrono strutture, risorse,buoni programmi, insegnanti qualifi-cati e una comunità che accompagna esostiene l’opera della scuola.

Temi molto complessi che per loronatura necessitano di un’approfonditariflessione da parte del mondo scolasti-co, e non solo, riflessione che va libera-ta dalle pressioni e dagli umori dell’opi-nione pubblica e ricondotta alle finalitàche questi strumenti devono assolverenel sistema scolastico, fermo restandoche il focus resta il miglioramento dellaqualità della scuola, la centralità deglistudenti e il loro successo formativo.L’orientamento della scuola trentina simuove sulla base di questi presupposti edi queste idealità condivise.

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Il tema sempre attuale della scuolaplurilingue in provincia di Bolzano si èaffacciato prepotentemente alla ribaltain questi ultimi tempi. Ciò specialmen-te a causa delle numerose proposteprovenienti dalla scuola in lingua ita-liana, tese al miglioramento delle com-petenze specialmente nella L2, fino aprefigurare una scuola europea o la co-siddetta “scuola trilingue”.

Tali proposte si rifanno almeno inparte al modello paritetico in vigorenelle località ladine già dal lontano1948. Va però considerato che la scuo-la delle località ladine è stata istituitagià in base al primo Statuto di Autono-mia quale scuola della minoranza ladi-na e quindi con un preciso intendimen-to di tutela di una minoranza culturalee linguistica. Infatti l’ordinamento co-siddetto paritetico delle scuole ladinevenne introdotto proprio con la moti-vazione giuridica di garantire l’inse-gnamento della lingua e cultura ladina.

Le travagliate vicissitudini del pro-cesso autonomistico locale comporta-rono purtroppo una presenza ridottadell’insegnamento del ladino nelle

scuole della Val Gardena e della ValBadia (due ore settimanali nel primociclo e solo a partire dal 1995 una solaora di lezione nel secondo ciclo). Peròallo stesso tempo venne sancito il dirit-to all’uso del ladino quale “strumentodi insegnamento” in tutte le materie enelle scuole di ogni ordine e grado.Questa definizione di strumento di in-segnamento dette però adito a numero-se divergenze circa l’interpretazionedel termine e la misura in cui tale stru-mento potesse essere impiegato. Nellapratica scolastica dipende dall’autono-ma decisione di ciascun insegnante see in che misura avvalersi di questa ul-teriore possibilità anche durante unalezione impartita in lingua italiana otedesca. In pratica si denota un usomaggiore e più intenso del ladino qua-le lingua strumentale o di spiegazionenelle classi iniziali del primo ciclo, conuna progressiva riduzione man manoche si sale verso le classi superiori.

Nel secondo ciclo tale uso appareassai ridotto, fuorché nelle attività diinsegnamento linguistico integrato ecomparativo che si stanno progressiva-

Interventi

Scuola “europea”, scuola “paritetica”, scuola plurilingue in provincia di Bolzano

Chances e insidie

ROLAND VERRA

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mente estendendo, dopo l’introduzionesistematica nelle scuole dell’infanzialadine e nella scuola primaria.

Tali attività prevedono momentistrutturati di confronto interlinguistico,di analisi morfologica, lessicale, idio-matica, intesa a rivelare il funziona-mento dei meccanismi linguistici pro-pri alle tre lingue scolastiche (ladino,italiano e tedesco) e ad aumentare lacompetenza interlinguistica e metalin-guistica degli alunni.

I materiali elaborati a questo finedall’Istituto Pedagogico Ladino (unitàdidattiche, audiovisivi ecc.) sono già inuso nel primo ciclo, mentre per il secon-do ciclo si sta introducendo il Portfolioeuropeo delle lingue che al momento èil solo strumento di lavoro interlingui-stico di cui la scuola dispone.

Per quanto riguarda i risultati otte-nuti dal modello paritetico ladino nellacompetenza plurilingue degli alunni,vorrei citare una recentissima ricercasvolta dalla prof. Rita Franceschini edalla dott. Gessica De Angelis della Li-bera Università di Bolzano riguardo al-la competenza scritta di alunni alla finedella scuola primaria nelle tre linguescolastiche. I risultati che verrannopubblicati a breve in forma completadenotano una competenza degli alunniladini quasi pari a quella delle classi dicontrollo dei loro omologhi nelle scuo-le in lingua italiana e tedesca nella ri-spettiva madrelingua, con la sola diffe-renza di un minor grado di complessitànella formulazione delle frasi. Sonoanche noti i risultati degli esami di bi-linguismo che vedono una quota disuccesso dei candidati ladini nettamen-

te al disopra della media provinciale.Con ciò non si intende assolutamen-

te propagandare il modello scolasticodelle località ladine per altre realtà lin-guistiche. La situazione specifica dellaminoranza ladina non è quel quadroidilliaco di un plurilinguismo ideale edi una stabilità della lingua minoritariasenza problemi di sorta che viene su-perficialmente dipinto da certe rappre-sentazioni di comodo. Ricalcare solu-zioni didattico-educative, prese di pesoda una realtà del tutto peculiare, sareb-be troppo semplicistico e non funziona-le, se riferite alle realtà di una scuola inmadrelingua quale è quella italiana otedesca in provincia di Bolzano.

D’altro canto non è neppure possi-bile avallare definizioni troppo nette,quali “scuola in due lingue straniere”,se riferite alla scuola paritetica dellelocalità ladine, che non conosce il ter-mine “lingua straniera” se riferito all’i-taliano o al tedesco, bensì solo “linguadi insegnamento”.

Si può affermare a questo punto cheil grado d’interazione plurilingue siaassai maggiore nelle scuole del primociclo, mentre per le scuole secondariedi secondo grado rimane assai netto ilconfine tra materie impartite esclusiva-mente in lingua tedesca oppure in lin-gua italiana. L’ordinamento scolasticoprevede infatti che la metà esatta delmonte-ore delle lezioni venga insegna-ta in italiano e l’altra metà in tedesco,con la sola eccezione dell’ora di ladinoe della religione, insegnata in tutte e trele lingue, un caso più unico che raronel panorama scolastico europeo. Ri-guardo alla materia Religione va detto

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che sono stati elaborati sussidi didatti-ci trilingui oltre ad un glossario speci-fico trilingue di terminologia teologi-co-religiosa.

Una scuola plurilingue di questogenere può ovviamente funzionare sol-tanto coll’apporto di personale inse-gnante trilingue, la cui competenzaviene certificata mediante appositoesame, il cui superamento è requisitoessenziale ai fini della copertura di po-sti a tempo indeterminato. In questosenso va valutata attentamente la pro-posta di “scuola trilingue” presentatadai colleghi della scuola in lingua ita-liana, considerando che sussiste l’ob-bligo di attestazione della conoscenzadella seconda lingua per i soli inse-gnanti di L2.

Sono fermamente convinto che laqualità plurilingue di una scuola siadata non soltanto dalle conoscenzeplurilingui dei singoli insegnanti maanche dal grado di plurilinguismo del-la società di cui tale scuola è espressio-ne. Va detto a tale riguardo che le loca-lità ladine in provincia di Bolzano rap-presentano un ambiente ad alto tassoplurilingue, con tutti gli aspetti positivie negativi del caso. Se da un lato sonoinnegabili i vantaggi di un plurilingui-smo diffuso nella società locale, nonvanno neppure sottaciute le problema-tiche riguardanti l’ibridismo linguisti-co, le diffuse interferenze linguistiche,le pressioni cui è esposta la lingua ori-ginaria, il ladino, da parte dei codicicomunicativi dominanti.

La scuola da sola non può creare unacompetenza plurilingue radicata e con-divisa nella popolazione. Non sono nep-

pure sufficienti i momenti di incontro edi scambio tra alunni dei diversi gruppilinguistici, proposti quale alternativa aduna scuola plurilingue. Tali occasionisono troppo sporadiche e limitate ad unafascia ristretta di giovani e mancano ingenere di continuità e di incisività perquanto riguarda l’interiorizzazione dellecompetenze plurilingui.

La proposta di effettuare permanen-ze annuali degli studenti nelle scuoledell’altro gruppo linguistico appare in-teressante, ma non potrà riguardare ungran numero di alunni, anche conside-rando la necessità di garantire un fun-zionamento regolare delle scuole se-condarie di secondo grado dei tre grup-pi linguistici.

La discussione circa la scuola pluri-lingue in provincia di Bolzano è pur-troppo pesantemente condizionata daproblematiche etniche che non agevo-lano una visione più distesa ed oggetti-va dell’apprendimento plurilingue. Latendenza mondiale di diffusione dellametodologia CLIL potrebbe essere divalido ausilio per uscire dalle secche diuna discussione troppo marcatamentepolitica della questione. L’uso stru-mentale di una lingua seconda o terzaper determinati contenuti scolastici èinfatti diventata quasi la norma in di-verse realtà scolastiche europee ed ex-tra-europee.

Le proposte di riforma del secondociclo, attualmente in fase di prima ap-plicazione, aprono degli spiragli inte-ressanti riguardo alle possibilità di in-segnare talune materie in lingua ingle-se, almeno nelle classi terminali del se-condo ciclo. Questa proposta potrebbe

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nel nostro caso anche essere estesa allaL2 in provincia di Bolzano, sempreche non si voglia esclusivamente favo-rire la solo lingua dominante inglese, ascapito di una visione più equamenteplurilingue, maggiormente risponden-te alla realtà della nostra provincia.

Se da un lato l’accento particolareposto dalla proposta ministeriale sulmiglioramento delle competenze realiin lingua inglese è del tutto condivisi-bile, dall’altro non rientra nelle linee-guida dell’Unione Europea sulla“Unity in diversity” tale esaltazioneunilaterale dell’inglese. D’altro cantonon è difficile constatare come l’ingle-se goda ormai del massimo prestigiotra le lingue scolastiche, persino tra glialunni della scuola ladina.

Tale preminenza assoluta, appog-giata quotidianamente dall’uso di in-ternet e dei media favoriti dai ragazzi,non ultima MTV-Television ecc., puòalla lunga persino mettere in discussio-ne i rapporti interlinguistici tra linguaitaliana e tedesca nella nostra realtàprovinciale.

Dovendo constatare un regresso re-lativo delle competenze linguistiche ri-guardanti la lingua italiana in periferia,come ci viene confermato dalle fonticompetenti dell’Intendenza ScolasticaTedesca, e permanendo le difficoltà ri-guardo ad una vera competenza d’usoda parte di numerosi studenti dellescuole in lingua italiana, aumenta latentazione del ricorso all’inglese qualelingua franca, come avviene in certe si-tuazioni in Svizzera, dove purtroppo siè rinunciato all’insegnamento dell’ita-liano e persino del francese in determi-

nate scuole di lingua tedesca, proprioper favorire una migliore conoscenzadell’inglese.

Le problematiche dell’apprendi-mento plurilingue vanno affrontatenell’autonomia di ciascun gruppo lin-guistico, ricercando comunque la col-laborazione ed il sostegno di tutti. Cia-scuna realtà culturale della provinciadeve trovare delle soluzioni consonealle proprie necessità e ai propri mezzi.L’intendimento generale dovrebbeperò essere comune, nel senso del per-seguimento di una competenza pluri-lingue effettiva, capace di generare re-ciproco interesse culturale e non sol-tanto comunicazione ad un livello suf-ficiente. Questa dimensione intercultu-rale è attualmente abbastanza carente,con talune lodevoli eccezioni, relegateperò a singole iniziative e a singoliprogetti. Basti ricordare che dopo di-versi tentativi iniziali non è più statopossibile mettere in opera il progettodell’ART-DAY delle tre Consulte degliStudenti in Provincia.

Trovo da un lato legittimo che cia-scun gruppo linguistico persegua unapropria politica culturale autonoma,anche se è abbastanza preoccupanteche non si sia ancora riusciti a creare lepasserelle di comunicazione continuatra questi mondi paralleli.

Una delle finalità più importantidella scuola ladina è proprio quella dicreare coinvolgimento nella realtà cul-turale propria alle tre lingue del model-lo scolastico. Occorre pertanto supera-re una visione meramente utilitaristicadel plurilinguismo scolastico e renderegli alunni protagonisti anche della

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realtà culturale degli altri gruppi lin-guistici. A tal fine abbiamo incentivatoi progetti di teatro a scuola, rivolti siaal teatro stabile di Bolzano, sia agli en-ti teatrali in lingua tedesca.

La riforma delle scuole secondariedi secondo grado può essere un’oppor-tunità interessante per aprire dei mo-menti di incontro plurilingue ed inter-

culturale, sempre tenendo conto dellanecessità di preservare l’architetturaportante delle scuole dei tre gruppi lin-guistici. A tal fine occorre che gli opera-tori della scuola elaborino delle strate-gie condivise, improntate non soltantoal dialogo tra i gruppi linguistici ma an-che, ed è un obbiettivo assai ambizioso,ad una attiva condivisione culturale.

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Il governo del sistema educativo ita-liano attraversa una fase di transizioneche dura ormai da dodici anni. Troppi,soprattutto se si considera che, ad oggi,non è possibile prevedere ragionevol-mente quando potrà concludersi.

Inizia nel 1997 con la legge 59, cheintroduce l’autonomia scolastica nel-l’ambito di un più vasto processo didecentramento amministrativo notocome “federalismo a Costituzione in-variata”. Prosegue con la riforma co-stituzionale del 2001 e continua conl’approvazione della legge delega sulfederalismo fiscale (legge 42 del 5maggio 2009).

In effetti i tre passaggi normativisono logicamente connessi, l’autono-mia scolastica implica una nuova ri-partizione di competenze in materia diistruzione e formazione tra Stato, Re-gioni e Enti Locali e quest’ultima ri-marrebbe lettera morta senza coerentimodalità di finanziamento delle nuovecompetenze attribuite. Il problema èrappresentato dall’accavallarsi di nuo-vi provvedimenti a precedenti, attuatiparzialmente o addirittura nemmeno

avviati e, soprattutto, dall’assenza diuna visione condivisa sul nuovo mo-dello di governo.

A ciò si aggiungono gli interventidei diversi governi succedutisi, contrap-posti sulle politiche scolastiche maspesso accomunabili per le tendenze aricentralizzare il governo del sistema.La politica scolastica del nuovo puòperò aprire scenari più preoccupanti.Caratterizzata da una manovra finanzia-ria inedita per entità (8 miliardi in treanni) e per modalità (la riduzione finan-ziaria è prioritaria e ad essa è finalizzatal’azione di riorganizzazione) può so-stanzialmente cambiare il segno delprocesso di decentralizzazione avviatodal 1997. Può cadere la prospettiva soli-daristica e unitaria a favore di una pro-gressiva destrutturazione del sistemapubblico, nell’ambito della quale le di-suguaglianze tra ceti sociali e territorinella fruizione del diritto all’istruzionesarebbero destinate ad aumentare. Unquadro confermato dall’avvio di un fe-deralismo fiscale privo di ogni effettivacertezza sulla distribuzione delle risorsee sugli effetti per la finanza pubblica.

Interventi

Il federalismo scolastico tra innovazione e destrutturazione

FABRIZIO DACREMA

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LE TAPPE DEL PROCESSO DI

DECENTRALIZZAZIONE

L’origine del processo di decentra-lizzazione ha ragioni inoppugnabili: lagestione centralizzata del sistema for-mativo italiano ha dato pessima prova.L’uniformità dell’offerta ha prodottopesanti disuguaglianze sociali e territo-riali negli esiti, la regolazione centraleanche dei dettagli si è accompagnataall’assenza di controllo e valutazionedei risultati. Le conseguenze di questofallimento sono gravi, il paese registraun deficit formativo pesante nei con-fronti degli altri paesi sviluppati, in ter-mini sia quantitativi (numero dei di-plomati e dei laureati) che qualitativi(livelli di effettivo apprendimento).

Il trasferimento di poteri e compe-tenze riguardanti il sistema educativo afavore delle autonomie territoriali (Re-gioni e Enti Locali) e delle autonomiefunzionali (Istituzioni Scolastiche) è,quindi, finalizzato a potenziare l’effi-cacia del sistema educativo pubblico.Il miglioramento dei risultati è attesodall’attribuzione di responsabilità eprerogative alle scuole in ordine all’of-ferta formativa e alle istituzioni localiin ordine alla programmazione territo-riale. Guida il processo il principio eu-ropeo di sussidiarietà: le funzioni pre-cedentemente in capo all’amministra-zione centrale sono trasferite all’istitu-zione competente più vicina al cittadi-no, in modo da migliorare la risposta aisuoi bisogni. La legge 59 riserva alloStato solo determinate materie al finedi garantire l’unitarietà del sistema el’uguaglianza dei cittadini nella frui-

zione del diritto all’istruzione: ordina-menti e programmi scolastici, organiz-zazione generale dell’istruzione, statogiuridico del personale. Tutto il resto ètrasferito alle autonomie funzionali eterritoriali.

L’autonomia scolastica assume poitutela costituzionale con la Legge Co-stituzionale 3 del 2001 e le Regioni, leProvince, i Comuni e le Città Metropo-litane sono riconosciute come istitu-zioni costitutive della Repubblica pariallo Stato. In materia di istruzione eformazione professionale cambia la di-stribuzione del potere legislativo traStato e Regioni: allo Stato la compe-tenza legislativa esclusiva sulle normegenerali dell’istruzione, sulla defini-zione dei livelli essenziali delle presta-zioni e sui principi fondamentali a cuideve ispirarsi la legislazione concor-rente; alle Regioni la competenza legi-slativa concorrente sull’istruzione edesclusiva su istruzione e formazioneprofessionale.

Dal 2001 siamo dunque in presenzadi una quadro normativo sufficiente-mente organico e coerente, tale da con-sentire l’avvio effettivo del processo didecentralizzazione del sistema forma-tivo. Invece tutto è rimasto bloccato,tra conflitti, resistenze e paure.

GLI OSTACOLI AL CAMBIAMENTO

La prima causa dell’immobilismorisiede nelle caratteristiche del bipola-rismo politico italiano, finora caratte-rizzato dalla contrapposizione radicaledelle forze in campo, anche in tema di

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politiche istituzionali e scolastiche. Diqui il prevalere del conflitto e delletendenze ad azzerare quanto fatto inprecedenza. Nella logica dello scontrotra modelli alternativi, le nuove prero-gative attribuite alle scuole e alle auto-nomie locali sono state utilizzate so-prattutto per contrastare l’attuazionedelle diverse riforme/controriformemesse in atto dai governi in carica.Questi ultimi, a loro volta, non si sonolimitati a non attivare il trasferimentodei poteri, ma, sia pur in diversa misu-ra, hanno anche agito in aperta contro-tendenza, invadendo ora le prerogativedelle autonomie locali per realizzare irisparmi preventivati nelle varie mano-vre finanziarie, ora quelle delle scuoleper imporre modelli scolastici noncondivisi (es. tutor e maestro unico), otentando di rilanciare il ruolo dei Prov-veditorati sia pur sotto altro nome. Nonsono poi mancate le prevedibili resi-stenze della burocrazia ministeriale,che ha trasferito alle scuole le incom-benze burocratiche, tenendosi benstretti i poteri reali di gestione. Néquelle del mondo della scuola, intimo-rito dalla possibile preponderanza del-le istituzioni territoriali sulla più debo-le autonomia scolastica.

Infine, un ostacolo oggettivo è rap-presentata dalla complessità della ma-teria, dalle incertezze interpretative edalla difficoltà ad organizzare un nuo-vo quadro organico di ripartizione dicompetenze, regolamenti, apparati,procedure.

Più in generale, la difficoltà politicasta nel governare un così ampio trasfe-rimento di poteri, evitando la frammen-

tazione e garantendo il carattere unita-rio e nazionale del sistema educativo.

L’approvazione della legge sul fe-deralismo fiscale rende la questioneancora più complessa, anche se l’attua-zione dell’art. 119 della Costituzioneaffronta il nodo cruciale del trasferi-mento delle risorse finanziarie, umanee strumentali, senza il quale Regioni edEnti Locali non possono esercitare lecompetenze legislative ed amministra-tive loro attribuite con la revisione co-stituzionale del 2001.

VERSO IL FEDERALISMO FISCALE

La legge delega 5 maggio 2009 n.42 colloca l’istruzione tra le materieinteressate all’attuazione dell’art. 119della Costituzione, nel quadro di unimpianto complessivo della normamolto generale e che può dal luogo aesiti assai differenziati a seconda dellescelte politiche che prevarranno al mo-mento dell’emanazione dei decreti at-tuativi. Non sfuggono, quindi, i rischidi soluzioni inadeguate a garantire ef-fettivamente il diritto costituzionale al-l’istruzione su tutto il territorio nazio-nale. Con l’attuazione del federalismofiscale, infatti, il finanziamento delnuovo assetto delle competenze nonsarà più basato su trasferimenti da par-te dello Stato, ma sull’autonomia fi-scale di Regioni ed Enti Locali me-diante imposte proprie, aliquote riser-vate e compartecipazioni su grandi tri-buti erariali. Questo prelievo fiscaledovrà finanziare integralmente, sullabase dei livelli essenziali delle presta-

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zioni e dei costi standard (che sostitui-ranno progressivamente la spesa stori-ca), le funzioni fondamentali delle Re-gioni e degli Enti Locali.

Per i territori disagiati, a minore ca-pacità contributiva, le funzioni fonda-mentali verranno garantite, oltre cheda entrate proprie, da quote del fondonazionale di perequazione.

Con questo nuovo sistema di finan-ziamento i livelli essenziali delle pre-stazioni (LEP) diventano determinanti:sulla base del loro contenuto si deci-derà il livello di diversificazione terri-toriale del diritto all’istruzione.

Almeno in linea di principio anchela legge 42/2009 introduce alcuni vin-coli a favore della salvaguardia di unimpianto unitario. Nel testo finale, an-che a seguito di un confronto con l’op-posizione, vengono finanziati sulla ba-se dei LEP anche il diritto allo studio –inteso in senso ampio dalle borse distudio alla lotta alla dispersione – e lefunzioni di istruzione già svolte dalleRegioni sulla base delle norme vigenti.Anche l’edilizia scolastica e gli asilinido sono considerati come funzionifondamentali cui è dovuta la coperturafinanziaria integrale. Inoltre, a tuteladell’impianto unitario e nazionale delsistema di istruzione, agiscono i giàmenzionati vincoli posti dall’art. 117della Costituzione: spettano allo statodefinizione delle norme generali, deicontenuti dell’insegnamento, dei LEPe la valutazione dei risultati del siste-ma. Mentre la tutela costituzionale del-l’autonomia delle Istituzioni Scolasti-che limita sia il ruolo dello Stato chequello delle Regioni.

IL FEDERALISMO SCOLASTICO PER

MIGLIORARE LA SCUOLA PUBBLICA

Il quadro normativo federalistico,ormai delineato nelle sue parti costitu-tive, deve ora affrontare la prova del-l’attuazione. Nel settore scolastico ilprimo passo è rappresentato dal rag-giungimento dell’Intesa tra Stato e Re-gioni per l’attuazione del Titolo V.L’accordo, già definito in sede tecnica,avrebbe dovuto essere approvato inConferenza Unificata nel luglio scor-so, ma ha subito un ulteriore rinvio acausa dello scontro in atto tra Regionie Governo sulla manovra economicacomplessiva. Occorre superare l’im-passe, ulteriori rinvii a tempo indeter-minato farebbero perdere credibilitàall’intera operazione e lascerebbero ilcampo alle sole controversie giurisdi-zionali o, peggio, alle prove di forza.Significativa a questo proposito la con-troversia sui tagli alla rete scolasticaprevisti dalla manovra Tremonti, perattuare i quali il Governo non ha esita-to a commissariare le Regioni con de-creto legge (art. 3 del D.L. 154/08). Larivolta unanime delle Regioni ha bloc-cato il decreto, ma non ha individuatouna modalità condivisa di interveniresulla rete, materia che le Regioni riten-gono con buone ragioni di loro compe-tenza esclusiva. I loro ricorsi su questopunto sono stati infatti accolti dallaCorte Costituzionale (sentenza n. 200del 24 giugno 2009), rendendo in que-sto modo inoperante anche il decreto.Un esempio che evidenzia la paralisicui sarebbe soggetto il governo del si-stema scolastico in assenza di accordo.

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A questo fine non vi dovrebbero esseredubbi sull’attribuzione alle Regionidella prerogativa in materia di pro-grammazione territoriale dell’offertaformativa, anche a seguito di un’altraimportante sentenza della Corte Costi-tuzionale (n. 13/2004), che riconoscead esse le competenze necessarie peresercitarla: programmazione dell’inte-grazione tra istruzione e formazioneprofessionale, programmazione dellarete scolastica, suddivisione del terri-torio in ambiti funzionali, distribuzio-ne alle scuole delle risorse professio-nali e finanziarie.

LA PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE

DELL’OFFERTA FORMATIVA PER

QUALIFICARE LA SPESA

Fino ad oggi Regioni ed Enti Loca-li non hanno mai esercitato l’insiemedi tutti questi strumenti per program-mare l’offerta formativa, l’amministra-zione statale mantiene, infatti, la com-petenza della distribuzione alle scuoledegli organici e delle risorse finanzia-rie “fino a quando le singole Regioninon saranno dotate di una disciplina edi un apparato istituzionalmente ido-neo … ad evitare soluzioni di conti-nuità del servizio, disagi agli alunni eal personale e carenze al funzionamen-to delle istituzioni scolastiche”(senten-za 13/2004 Corte Costituzionale).

Una situazione che, finché perma-ne, non favorisce la razionalizzazionedella rete scolastica, perché chi la devefare – la Regione e gli Enti Locali –non ha alcun vantaggio (i risparmi di

spesa per la riduzione del personale so-no tutti a vantaggio dello Stato), men-tre, se chiude le scuole sottodimensio-nate, ha sicuramente dei costi, econo-mici per la riorganizzazione della rete(edilizia, servizi, trasporti) e politici(prevedibile dissenso di comuni, fami-glie e operatori cui viene chiusa lascuola). Ciò vale, a maggior ragione,di fronte a interventi privi di un dise-gno organico, unicamente finalizzatialla riduzione della spesa. Il ritrarsidella spesa statale per l’istruzione pra-ticato dalla manovra del governo – e laconseguente riduzione del tempo scuo-la, degli interventi per l’integrazionedei soggetti svantaggiati, dei punti dierogazione del servizio di istruzione –determina, attraverso decisioni centralie unilaterali, pesanti aggravi di spesaper Regioni ed Enti Locali, che devonoriorganizzare la rete dell’offerta for-mativa, intervenire per compensare lariduzione temporale dell’offerta for-mativa, sostenere le scuole autonomeper le politiche di integrazione, poten-ziare i servizi di mensa e trasporti, ri-strutturare gli edifici scolastici. Unamodalità alternativa di razionalizza-zione, più equa ed efficiente dei taglicentralizzati, è invece rappresentata dauna piena responsabilizzazione delleRegioni e degli Enti Locali. Come pro-posto dal Quaderno Bianco, predispo-sto dal Governo Prodi nel 2007, si trat-ta di realizzare una programmazioneintegrata delle risorse che in un deter-minato territorio sono destinate all’i-struzione e di mantenere a quel livelloterritoriale degli eventuali risparmi de-rivanti dalla razionalizzazione della re-

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te. In questo modo i territori che utiliz-zano le risorse in modo virtuoso posso-no reinvestire per espandere e qualifi-care l’offerta formativa. A questo pro-posito nella finanziaria 2008 era stataintrodotta una sperimentazione, pur-troppo rimasta lettera morta nella nuo-va legislatura.

La piena attivazione delle compe-tenze programmatorie delle Regioni èpoi necessaria per realizzare innova-zioni essenziali per il nostro sistemaeducativo quali lo sviluppo dell’inte-grazione dell’istruzione e della forma-zione professionale attraverso l’orga-nizzazione di poli formativi, lo svilup-po dell’istruzione tecnica superiore,l’organizzazione di interventi efficacicontro la dispersione scolastica (a par-tire dalla costituzione delle anagrafidegli studenti e dalla riorganizzazionedei sistemi di orientamento), la costru-zione di sistemi integrati per l’appren-dimento permanente dei cittadini e deilavoratori.

PROBLEMI APERTI DELLA

PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE

Un nodo ancora controverso dasciogliere per lo sblocco della situazio-ne riguarda la gestione del personale.L’ipotesi di accordo prevede la confer-ma della dipendenza organica dalloStato come datore di lavoro e la regola-zione del rapporto di lavoro mediantela contrattazione collettiva di compar-to, nazionale e integrativa. A partire daquesto punto fermo, essenziale per ga-rantire il carattere unitario e nazionale

del sistema di istruzione, si tratta di de-finire la relazione delle Regioni neiconfronti del personale della scuola alfine di esercitare la funzione di pro-grammazione territoriale. Nell’ipotesidi accordo si prospetta un passaggio delpersonale alla dipendenza funzionaledelle Regioni che, per questa ragione,entrerebbero a far parte del comitato disettore per la contrattazione collettivadi comparto con due rappresentanti de-signati dalla Conferenza dei Presidentidelle Regioni. Il Comitato di settore co-sì rinnovato dovrebbe formulare propo-ste per l’introduzione di un ulteriore li-vello regionale di contrattazione inte-grativa. Si tratta di questioni che do-vranno essere approfondite con moltaattenzione in sede contrattuale per capi-re come una gestione razionale e coe-rente del personale possa coniugarsicon una doppia dipendenza, organicadallo Stato e funzionale dalla Regione.

Una efficace programmazione ter-ritoriale rende necessario poi lo svilup-po delle reti di scuole e di servizi, cosìcome indicato dall’ipotesi di accordoda approvare in Conferenza unificata,al fine di una riduzione dell’attualeframmentazione territoriale delle scuo-le, della formazione di economie discala e della ricerca e diffusione dellemigliori pratiche educative.

Una maggiore efficienza del “servi-zio scuola” non sarebbe, però, suffi-ciente per una programmazione territo-riale rispondente ad una istituzione cuiè delegato il compito di formare le fu-ture generazioni. Partecipazione, con-divisione, cooperazione sono valori es-senziali al contesto educativo. Ora che

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Regioni ed Enti Locali esercitano com-petenze rilevanti per la vita della scuo-la, devono trovare le forme democrati-che per coinvolgere i soggetti che sonochiamati a realizzare le scelte o sonodestinatari dei loro esiti. Chi ha direttointeresse ai risultati che la scuola rag-giunge deve potersi confrontare con lescelte della programmazione territoria-le, al fine di verificarne la corrispon-denza con le proposte, le esigenze e levocazioni delle diverse realtà. Occorro-no, allora, sedi partecipative, stabili eterritoriali (provinciali o sub provincia-li), aperte alle rappresentanze del mon-do della scuola e alle rappresentanzesociali ed economiche del territorio.

LA CENTRALITÀ DEI LEP: PIÙ INCLUSIONE E PIÙ QUALITÀ

Infine, un punto decisivo è rappre-sentato dai livelli essenziali delle pre-stazioni. L’art. 117 della Costituzioneattribuisce allo Stato la competenzaesclusiva per la determinazione dei “li-velli essenziali delle prestazioni in ma-teria di diritti civili e sociali che devo-no essere garantiti su tutto il territorionazionale”. Ai LEP è affidata la fun-zione di garantire e sviluppare il carat-tere unitario e nazionale della fruizionedei diritti di cittadinanza, nel quadro diun ampio processo di decentralizzazio-ne destinato ad aumentare le differenzetra i territori. Si tratta di differenziarepercorsi e soluzioni al fine di megliorispondere alle diversità territoriali e,in questo modo, assicurare ai cittadiniuna maggiore eguaglianza sostanziale.

Sarebbe infatti deleterio in Italia au-mentare le già gravi disuguaglianzache dividono le Regioni del Nord daquelle del Sud, in particolare nellascuola, dove le distanze sono enormi(livelli di apprendimento, dispersionescolastica, edilizia e strutture, diffusio-ne asili nido...).

Con l’introduzione dei LEP si passadal diritto allo studio al diritto all’ap-prendimento: la Repubblica, oltre a ga-rantire l’accesso al sistema di istruzio-ne, deve impegnarsi per creare le con-dizione affinché ogni cittadino possaraggiungere il risultato effettivo, l’ap-prendimento. Uno sviluppo coerentecon il nostro impianto costituzionale ein linea con la strategia assunta dall’U-nione Europea a Lisbona nel 2000 – ilnuovo Titolo V è del 2001 – che, tral’altro, prevede il raggiungimento entroil 2010 almeno dell’85% dei diplomati,la riduzione della dispersione a non piùdel 10%, oltre alla diminuzione deglistudenti che non raggiungono esiti diapprendimento soddisfacenti. Più in-clusione e più qualità: una vera e pro-pria rivoluzione culturale per il nostropaese, dove continua a prevalere il pre-giudizio classista secondo il quale lascuola di massa abbassa la qualità deglistudi. Ancora di pochi mesi fa il com-piacimento del Ministro Gelmini perl’aumento delle bocciature come sinto-mo del riacquistato rigore della scuola.

L’esito positivo del processo fede-ralistico è quindi fortemente connessoalla costruzione dei LEP, fino ad oggi,forse non a caso, rimasti lettera morta.Senza una loro definizione corretta, ilpassaggio dalla spesa storica al costo

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standard, previsto dalla legge sul fede-ralismo fiscale, potrebbe essere moltopericoloso. I rischi sono già evidenti:trasferimenti finanziari riferiti a stan-dard minimi di prestazione, e non allapiena fruizione dei diritti costituziona-li, in modo da scaricare su Regioni,Enti Locali e famiglie tutti i costi ecce-denti. La manovra Tremonti-Gelminisi muove in questa direzione, come ap-pare con evidenza nel tentativo di ri-durre l’offerta formativa standard della

scuola primaria a 24 ore con un mae-stro unico.

Tempi e modi di definizione deiLEP diventano allora un punto diri-mente dell’agenda della politica scola-stica italiana, occorre non perdere altrotempo, coinvolgere nella loro defini-zione tutti gli attori decisivi per la loroeffettiva attuazione (Regioni, Enti Lo-cali, Istituzioni Scolastiche), procedereal confronto con il mondo della scuolae con le parti sociali.

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Prima ancora di affrontare i temicruciali dell’accesso e della carriera,occorre definire con chiarezza la que-stione della governance intesa comecartina di tornasole di un’organizzazio-ne del sistema educativo non finalizza-ta solo al rispetto delle procedure e diindirizzi generali che in realtà sono ivecchi programmi con nome cambiato.

L’autonomia si basa sull’idea che lescuole sono la proiezione istituzionaledelle comunità di docenti, studenti egenitori. Non ci si può dunque limitarea un diverso ordine gerarchico (decen-trando poteri) ma occorre codificareuna loro diversa distribuzione dei pote-ri ordinandoli secondo un modelloorizzontale nel quale le comunità sco-lastiche svolgono le loro funzioni(istruzione, ricerca educativa, forma-zione) al fine di raggiungere gli obiet-tivi stabiliti da un centro statale che inciò ritrova la sua funzione di garantedel carattere pubblico del sistema edella sua unitarietà.

L’autonomia delle scuole è anche lacondizione per introdurre in modoproattivo la valutazione del sistema e

per comprenderne, implementarne egarantirne gli esiti in termini di equitàe giustizia sociale.

Il punto centrale di questo processoè la riorganizzazione del rapporto fracentro e periferia e gli strumenti essen-ziali per la sua attuazione sono docentie dirigenti che da una funzione impie-gatizia (non passiva certo, ma comun-que subalterna) passano sempre piùchiaramente ad un ruolo professionale.Per trasmettere delle nozioni occorre laprima figura, per costruire competenzeindividualizzando i percorsi di appren-dimento è indispensabile la seconda.

L’efficienza, efficacia ed equità deiservizi ad elevata professionalità deglioperatori non può essere garantita solodai controlli formali delle leggi e deiregolamenti pubblici ma richiede an-che un sistema di valutazione attendi-bile che ha appunto il compito di pro-durre quella informazione comparativasu cui basare forme di autocontrollo edi auto-valutazione.

In caso contrario continuerà a per-durare, come un macigno, l’auto-refe-renzialità e in ultima analisi il disinte-

Interventi

“Governance” delle scuole autonome

Proposte su organi di gestione,

accesso e carriera professionale, valutazione

VITTORIO CAMPIONE

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resse del sistema educativo concretoper gli esiti della propria attività.

La scuola e gli insegnanti, infatti,possiedono più informazioni sulla qua-lità del proprio servizio sia rispetto agliutenti (studenti) sia rispetto ai commit-tenti/consumatori del servizio stesso(famiglie ed amministrazioni pubbli-che) e ciò impedisce, o rende assai dif-ficile per le famiglie, mettere le scuolea confronto fra loro e scegliere quellache meglio soddisfa i propri bisogni.Non è un problema di serie A/serie B,ma di corrispondenza con i bisogniformativi specifici di ogni soggetto.

Questo aspetto accomuna tutti i ser-vizi di pubblica utilità (la sanità, l’assi-stenza, la formazione professionale,l’istruzione) che hanno a che fare (perdifenderle, migliorarle e arricchirle)con le condizioni psico-fisiche e/o so-cio-culturali delle persone.

La molteplicità degli obiettivi di ta-li servizi (ospedali, centri, scuole ecc.),l’elevata specializzazione delle struttu-re preposte alla produzione, il carattere“professionale” delle prestazioni ero-gate, determinano elevati livelli diasimmetria informativa che poi, quasiinevitabilmente, si sommano all’in-comprensione e al rifiuto da parte didocenti e dirigenti (nel caso delle scuo-le) di forme di valutazione esterna del-l’efficienza, efficacia ed equità dell’a-zione educativa.

Il governo delle scuole è semprestato centralistico. Fino ai decreti del1974 lo è stato in modo esplicito e pro-grammatico, dal 1974 al 1999 (quandoè stato emanato il DPR 275 di attua-zione dell’autonomia scolastica) ha

ceduto alle rappresentanze delle com-ponenti poteri formali o al massimoconoscitivi, negli ultimi dieci anni haaccompagnato la proclamata esigenzadi dare nuovi organi di governo allascuola con la incapacità del Parlamen-to di giungere alla approvazione diuna legge (che peraltro, nelle propostepresentate, affrontava quasi soltanto iltema di una più ampia democrazia in-terna). Emblema di questo capolavorodi inefficacia (e forse anche di incom-prensione del problema da parte deigoverni che si sono succeduti) è il CN-PI, in carica da oltre dieci anni, scadu-to nella sua rappresentatività, espres-sione delle sigle sindacali che lo han-no composto e solo ad esse disponibi-le a rispondere.

Al di là di tutto, il tema della gover-nance ha tre nodi fondamentali: le reticome strumento del rapporto con il ter-ritorio, la riorganizzazione del collegiodocenti come strumento della valoriz-zazione della professionalità e del ca-rattere comunitario del lavoro docente(abbandonando questa finzione di con-sesso quasi accademico che il collegioattuale si è cucita addosso in moltescuole), i poteri dell’organo di gestionecome strumento dell’efficacia del ser-vizio nei confronti dell’interno e del-l’esterno della comunità scolastica. Equesti nodi non sono risolvibili in mo-do separato: organizzare una strutturareticolare lasciando sopravvivere letorri chiuse dei singoli collegi dei do-centi è una contraddizione in termini,come pure è inutile immaginare unarelazione virtuosa fra le istituzioni pre-senti nel territorio e le scuole se queste

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ultime non hanno organi di gestioneautorevoli e autonomi.

Accanto ad alcuni altri progetti dilegge presentati, tra cui quello firmatoda Letizia De Torre, la soluzione imma-ginata su questi punti dal ddl 953 (pre-sentato da Valentina Aprea e attualmen-te in discussione alla Camera) non ècerto l’unica possibile ed è certo perfet-tibile in molte parti, ma va riconosciutopreliminarmente che è la prima voltadall’approvazione della L. 59/97 che simuove un passo nella direzione di unagovernance delle scuole autonome sen-za restare prigionieri delle inutili im-palcature dell’ingegneria istituzionale,del bilancino delle quote per ogni com-ponente, della retorica su poteri e fun-zioni degli organi, delle bandierine no-minalistiche distribuite nei testi quasicome firma criptata delle diverse parti(consiglio di amministrazione/di istitu-to, famiglie/genitori, rappresentanzeparitetiche ecc.). Discutere seriamentequesto disegno di legge e approvare iltesto che potrebbe scaturire da questadiscussione mi sembrerebbe un obietti-vo da condividere senza troppi timori(e non solo per chi da tempo sostieneche su questi temi occorre una conver-genza amplissima).

Molto più complesse sono le que-stioni legate al reclutamento e alla car-riera dei docenti (che, contrariamente aquanto si profila a causa della sceltadel Ministro, dovrebbero essere af-frontate congiuntamente a quelle dellaformazione iniziale). Su queste que-stioni infatti pesa un pregresso (il pre-cariato, la struttura delle classi di abili-tazione, l’assenza di sistemi di valuta-

zione efficaci sia in ingresso sia delleprestazioni) difficilmente districabilesenza un intervento esplicito e radicalesull’organizzazione del lavoro scola-stico (dal rapporto fra lavoro d’aula elaboratori alla conseguente articolazio-ne e differenziazione della funzionedocente).

Tale intervento, che pure sarebbe inteoria facilitato dalle esigenze di rior-ganizzazione della spesa per la scuola edi riduzione di costi ripetutamente sol-lecitata dal governo, non avviene ancheper la mancanza di una discussione col-lettiva alla quale le organizzazioni delpersonale (sindacali e professionali) sisottraggono per miopia corporativa. Ilpotere accademico fa, in generale, mu-ro per non vedere insidiato il principalemercato di sbocco di tanta parte deilaureati e le forze politiche sfuggonoprobabilmente perché ancora convinteche essere riformisti in questo campofaccia perdere consensi.

Lo stesso ddl 953, che pure anchesu questo punto propone una soluzionecoraggiosa e innovativa affidando allereti di scuole il compito di assumere idocenti scegliendoli in graduatorie re-gionali, è costretto dalla mancanza diuna tale discussione a immaginare unlungo periodo di transizione.

Insomma, non è sufficiente decidereche occorre una formazione che non silimita alle competenze disciplinari, chevanno banditi concorsi veri (cioè conposti corrispondenti alle esigenze di or-ganico e senza graduatorie a esauri-mento), che le assunzioni devono esse-re affidate alle scuole e devono essereverificate periodicamente con un siste-

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ma di valutazione di riconosciuta ter-zietà che apra a sua volta prospettive dicarriera che si fondano sul merito e lacapacità professionale. Queste decisio-ni (che pure sono urgentissime) pocopotranno incidere se non si intrecceran-no con l’avvio di una riorganizzazionecomplessiva del servizio di istruzione.

Vogliamo sognare: una riduzionedel carico orario destinato al curricolodisciplinare, una corrispondente cre-scita del numero delle ore da destinaread attività laboratoriali con personale aciò dedicato, l’avvio (conseguente)dell’introduzione di nuovi ambienti diapprendimento dotati di supporti di-dattici (non solo di tipo informatico),la revisione radicale delle attuali classidi abilitazione (con il venir meno delsistema delle graduatorie permanentiche le accompagna), la messa a puntodi un organico a livello di rete che con-senta l’attuazione piena di quella auto-nomia organizzativa e didattica previ-sta dalla legge 59/97.

Una disponibilità da parte del go-verno in carica ad avviare esperienzedi questo tipo darebbe alle soluzionipreviste nel ddl 953 (assunzione daparte delle scuole all’interno di albi re-gionali di vincitori di concorso e svi-luppo di carriera in tre livelli che siraggiungono esclusivamente mediantela valutazione del merito professiona-le) una forza ancora maggiore sgom-brando il campo dal groviglio inestri-cabile di graduatorie permanenti, car-riere per anzianità, modelli didattici re-si spesso inefficaci dalla subalternità aun asfissiante disciplinarismo. L’avviodi una sperimentazione mirata sugli

ambienti di apprendimento va nella di-rezione giusta, ma è solo un punto fra imolti necessari.

La discussione parlamentare, alme-no fino alla brusca interruzione provo-cata dalla proposta dell’on. Goisis diintrodurre la conoscenza del dialettocome prerequisito per entrare negli al-bi regionali, ha testimoniato (pur conopinioni diverse) la disponibilità a co-struire una posizione condivisa sui tan-ti punti innovativi contenuti nella pro-posta. Occorre ora riprenderla senzatentennamenti e senza il timore di po-sizioni impopolari. Il consenso, a vol-te, è più silenzioso ma non per questo èminoritario.

Quello che vorremmo suggerire diinserire nella riflessione (difficile maineludibile) sulla condizione dei do-centi in questa fase delicatissima per lascuola in Italia, è la necessità di un ap-proccio che parta dalla scuola, dallesue funzioni e dal rapporto di questacon il Paese. Solo in questo modo, misembra, si potrà cercare di evitare difare un dibattito pieno di ritornelliumilianti per chi li recita e noiosi perchi li ascolta: docenti fannulloni, igno-ranti, forti coi deboli (gli studenti) ecc.Tale dibattito non è altro che l’immagi-ne speculare dell’autoreferenzialità delsistema di istruzione cui facevamo ri-ferimento prima.

Proporre per i docenti un percorsoprofessionale diverso si può fare, cre-do, solo se si comincia a immaginareuna scuola diversa dall’attuale, nellaquale si discute e si decide nel con-fronto di tutta la comunità il modo incui gestire il processo di apprendimen-

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to, si perfeziona il modello didatticoadattandolo alle diverse situazioni e al-le caratteristiche dei ragazzi e dellascuola, si assumono (e non si recluta-no) figure docenti che corrispondonoal piano dell’offerta formativa (sì, il

vecchio POF!) che è stato adottato.Una scuola che ha nel patrimonio pro-fessionale dei propri docenti il princi-pale biglietto da visita con il quale pre-sentarsi all’esterno e meglio svolgerela propria funzione.

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Rubriche

Schede

GIUSEPPE PERNA

Il Programme forInternational StudentAssessment (PISA):alcuni esiti italianiconfrontati nel tempo

Da più di quarant’anni l’OCSE(o Organisation for Economic Co-operation and Development –OECD e Organisation de coopéra-tion et de développement économi-ques – OCDE in sede internazio-nale) è una delle fonti internazio-nali più importanti ed affidabili dianalisi statistiche comparate neisettori chiave dell’economia e del-la società, sia a livello macroeco-nomico sia a livello di specifici set-tori, quali l’istruzione, il commer-cio, la scienza e l’innovazione. Lostudio dei sistemi e delle politicheeducative dei trenta paesi membri

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e degli oltre settanta paesi con cui l’OCSE intrattiene relazioni stabili èaffidato al CERI (Centre for Educational Research and Innovation).

Tra le attività di studio e ricerca promosse dall’OCSE in campoeducativo, due hanno acquistato particolare importanza negli ultimianni: il progetto sugli indicatori e il progetto PISA. Il primo progettoproduce annualmente un rapporto, Education at a Glance, che fornisceun quadro comparativo dei sistemi scolastici dei paesi partecipanti,sulla base di una serie di indicatori individuati a livello internazionale.Il secondo progetto, che tanta eco ha registrato sui media di tutta Eu-ropa, si caratterizza come uno dei più importanti studi comparativi sul-le competenze degli studenti realizzati a livello internazionale.

Nell’attesa dei dati riguardanti l’ultima rilevazione PISA 2009, cioccupiamo, nello studio che segue, dell’analisi di alcuni risultati otte-nuti dalla scuola italiana nelle tre precedenti indagini PISA.

COS’È IL PISA?

Il Programme for International Student Assessment (PISA) è unostudio comparativo internazionale avviato dall’OCSE (Organizzazioneper la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che ha come oggetto distudio le competenze degli studenti quindicenni nelle aree della com-prensione della lettura, della matematica e delle scienze. Finalità del-l’indagine è rilevare in quale misura gli studenti quindicenni dei paesiaderenti abbiano acquisito le competenze basilari per sviluppare un ruo-lo consapevole e attivo nella società in una prospettiva di lifelong lear-ning. Un altro obiettivo fondamentale di PISA è determinare il livello diprestazione dei quindicenni in alcune competenze basilari, indispensa-bili per affrontare e risolvere situazioni e problemi della vita quotidia-na: l’obiettivo non è sapere se gli studenti conoscono specifici contenu-ti curricolari, quanto capire in che misura siano effettivamente in gradodi utilizzare le conoscenze e le abilità apprese.

I risultati di PISA sono usati, inoltre, per la costruzione di indicatoridelle prestazioni degli studenti nelle tre aree disciplinari indicate e perla redazione del rapporto OCSE sugli indicatori di qualità dei sistemi diistruzione (Education at a Glance). La fascia di età prescelta (quindicianni) scaturisce dal fatto che questa è l’età in cui si conclude l’istruzio-ne dell’obbligo nella maggior parte dei paesi OCSE.

L’indagine, che si ripete ogni tre anni, individua una delle tre aree comearea principale di indagine: nel 2000, il focus era costituito dalla compren-

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sione della lettura, nel 2003 dalla matematica e nel 2006 dalle scienze. Si è appena conclusa la prima rilevazione del secondo ciclo dell’in-

dagine (PISA 2009), di nuovo focalizzata sulla comprensione della let-tura. È appena il caso di ricordare che ogni rilevazione prevede, in pra-tica, che siano indagate tutte e tre le aree e ciò permette di fissare lecomparazioni in dimensione diacronica. Inoltre, l’esistenza di quesitiidentici nelle varie rilevazioni, definiti item di ancoraggio, rende possi-bile il raffronto tra i risultati delle successive rilevazioni.

In sintesi, i quattro obiettivi fondamentali di PISA sono:– mettere a punto indicatori internazionali sulle prestazioni degli studenti;– analizzare l’efficacia dei sistemi scolastici in un’ottica comparativa;– verificare l’efficacia delle politiche scolastiche;– consentire il monitoraggio dei sistemi di istruzione.

Com’è noto il MIUR ha affidato la conduzione di PISA all’INVAL-SI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo e dell’I-struzione), presso il quale è costituito il Centro Nazionale PISA.

Nella prima parte di questo studio analizzerò i risultati italiani nelle sca-le generali di matematica, di comprensione della lettura e di scienze in raf-fronto con i risultati degli altri paesi (PISA 2006). Elencherò, poi, le prin-cipali differenze tra i risultati degli studenti e i risultati delle studentesse ita-liani (PISA 2003 e PISA 2006). Nel successivo paragrafo accennerò allepreminenti difformità tra i risultati degli studenti italiani nelle tre rilevazio-ni (PISA 2000, 2003 e 2006) in un confronto diacronico. Nel successivoparagrafo indicherò le diversificazioni esistenti all’interno del sistema sco-lastico italiano in riferimento all’insieme delle rilevazioni PISA. Nella se-conda parte analizzerò la situazione internazionale: nello specifico, nelquinto paragrafo guarderò alle relazioni esistenti tra i risultati degli studen-ti e il loro background socio-culturale, mentre nell’ultimo paragrafo consi-dererò l’influenza delle variabili scolastiche sui risultati degli studenti.

1. RISULTATI NAZIONALI PISA 2006

1.1 Risultati italiani in confronto con gli altri paesi

Inizio l’articolo riportando brevemente lo sconcerto che il Ministrodell’Istruzione dell’epoca, Giuseppe Fioroni, espresse in un comunica-to a primo commento dei risultati PISA 2006 e che ben sintetizza gliesiti italiani in comparazione con i dati degli altri paesi.

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“I dati sulla scuola italiana contenuti nel rapporto OCSE-PISA2006 dimostrano che c’è un’emergenza educativa e di formazio-ne che riguarda tutto il Paese, segno che qualcosa in passato nonha funzionato. Negli ultimi anni sono state fatte troppe riforme,occorre più serietà e un po’ di buonsenso. (omissis)... Dobbiamodare ai giovani – concludeva Fioroni – le competenze indispen-sabili per potersi inserire in maniera proficua nel mondo del la-voro e far sì che i poveri di competenze di oggi non siano i pove-ri della vita di domani. Ne va del futuro del nostro Paese”.1 (il cor-

sivo è mio)

Riferisco, infine, un eloquente estratto dal discorso che lo stesso mi-nistro Fioroni tenne al convegno INVALSI del 4 dicembre 2007 a Ro-ma per la presentazione ufficiale dei dati:

“Quando in un paese il 40% è insufficiente di saperi e di compe-tenze e ci accorgiamo che questa media è raddoppiata nelle fami-glie che hanno difficoltà economiche o di disagio, significa chela nostra scuola non è un ascensore sociale.”2

(il corsivo è mio)

Ma quali sono questi dati che hanno provocato una tale constatazio-ne? Passiamo ora alla disamina vera e propria degli esiti raggiunti daglistudenti italiani.

Iniziamo subito con le dolenti note: per quanto riguarda la matemati-ca, l’Italia – al 38° posto su 57 partecipanti all’indagine, fra paesi OCSE3

e paesi partner – ha un punteggio medio di 462 (Deviazione Standard 96)contro una media OCSE di 498 (DS 92). Circa uno studente su 3 (il32,8%) si colloca al livello 1 o addirittura sotto4 (media OCSE 21,3%),mentre solo il 25,5%, uno su quattro, si colloca al livello 2 (media OC-SE 21,9), quello delle competenze di base. Al livello 3, si piazza il

1 http://www.orizzontescuola.it/orizzonte/content-1297.html2 http://www.iperbole.bologna.it/iperbole/adi/XoopsAdi/uploads/PDdownloads/fioro-ni_invalsi_download.doc3 Fra i paesi OCSE europei, un punteggio peggiore lo ottengono solo la Grecia (459%),che però almeno migliora il suo risultato invece di peggiorarlo come l’Italia, e la Tur-chia (424%). 4 Solo la Turchia, fra i paesi OCSE del bacino europeo, ha fatto di peggio col 52,1%.

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22,1% degli studenti italiani (media OCSE 24,3), ai livelli superiori (4e 5) si piazzano, rispettivamente, il 13,3% (media OCSE 19,1%) e il5,0% (media OCSE 10,0%). Infine, un esiguo 1,3% (media OCSE3,3%) si colloca al livello di competenza massimo, vale a dire 6. Gliunici paesi europei ad avere risultati inferiori agli italiani sono la Gre-cia, la Turchia, la Bulgaria, la Serbia, il Montenegro e la Romania.

In vetta alla classifica, tra i Paesi con i punteggi più alti, troviamoTaiwan con 549, paese partner non OCSE (DS 103), Finlandia con 548(DS 81), Hong Kong e Corea, paesi non OCSE, entrambi con 547 (DS93), Paesi Bassi con 531 (DS 89), Canada con 527 (DS 86).

I risultati in scienze hanno visto per l’Italia la collocazione al 36°posto nella classifica generale con un punteggio medio di 4755 (DS 96),molto al di sotto dello score di 500 (DS 95), media OCSE, che rappre-senta lo standard di riferimento mondiale e quindi, in un certo senso, lasufficienza. La media dei paesi UE nelle scienze è pari a 497. Fra i pae-si che si sono comportati meglio dell’Italia, con una media significati-vamente più alta della media OCSE, possiamo annoverare la solita Fin-landia con 563 (DS 86), Hong Kong con 542 (DS 92), Canada con 534(DS 94), Taiwan con 532 (DS 94), Estonia con 531 (DS 84), Giapponecon 531 (DS 100) e Nuova Zelanda con 530 (DS 107).

Sotto il livello 2 della scala complessiva di scienze, identificato co-me livello base di competenza scientifica per gli studenti, “...in grado diconsentire loro di confrontarsi in modo efficace con situazioni in cuisiano chiamate in causa scienza e tecnologia”,6 troviamo il 25,3% deglistudenti italiani (media OCSE 19,3%). Al livello 2 si pone il 27,6% con-tro una media OCSE del 24% mentre al 3° livello si piazza il 27,4% de-gli studenti italiani (media OCSE 27,4%). A livello 4 e 5 troviamo, ri-spettivamente, il 15,1% e il 4,2% degli allievi italiani (medie OCSE20,3% e 7,7%). Un risibile 0,4%, contro una media OCSE dell’1,3%, sidispone al gradino massimo della scala.

Gli italiani non sono mai stati particolarmente versati in matematica,anzi pare che molti di loro abbiano sviluppato una sorta di antipatia se

5 Gli unici paesi europei che hanno fatto peggio dell’Italia sono: Portogallo (474%),Grecia (473%), Serbia (436%), Turchia (424%), Romania (418%) e Montenegro(412%).6 http://www.invalsi.it/download/pdf/pisa06_Primirisultati_PISA2006.pdf (pag. 8 deldocumento).

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non di avversione nei suoi confronti, che spesso sfocia in una vera epropria “matofobia”. Un tempo eravamo almeno un popolo di “lettera-ti (poeti) santi e navigatori”, come dice il vecchio adagio. A leggere idati OCSE-PISA del 2006 non lo siamo più: 51 studenti su 100 sonosotto i livelli minimi di alfabetizzazione, livello 3 della scala. Ma an-diamo con ordine.

Il punteggio medio nella scala di competenza in lettura degli italianiè pari a 469% (DS 109), contro una media OCSE di 492% (DS 99), checolloca l’Italia al 33° posto del ranking complessivo. I paesi OCSE che,a livello europeo, fanno peggio dell’Italia sono: la Repubblica Slovac-ca (466%), la Spagna (461%) e le consuete Grecia (460%) e Turchia(447%). Fra i paesi europei non OCSE, invece, troviamo un’insospetta-ta Russia (440%), la Serbia (401%), la Romania (396%), il Montenegro(392%).

Dall’altra parte della scala, fra i paesi OCSE che si piazzano ai pri-missimi posti della graduatoria, troviamo: Corea con 556 (DS 88), Fin-landia con 547 (DS 81), Canada con 527 (DS 96), Nuova Zelanda con521 (DS 105), Irlanda con 517 (DS 92). Tra i paesi partner segnaloHong Kong con 536 (DS 82) e Liechtenstein con 510 (DS 95).

L’11,4% degli studenti italiani è sotto il livello 1 (media OCSE7,4%), mentre un 15,0% si colloca a livello 1, media OCSE 12,7%. Il24,55 degli studenti italiani si è piazzato a livello 2, contro una mediaOCSE del 22,7%. Questa volta era il livello 3 ad essere considerato ildiscrimine, in una scala a soli cinque valori, per definire il livello basedi competenza tale da permettere “di confrontarsi in modo efficace concontesti e situazioni di vita quotidiana che richiedono l’esercizio di talecompetenza”.7 Si piazzano al livello 3 il 26,4% degli allievi italiani(media OCSE 27,8%), mentre al 4° livello si colloca il 17,5% controuna media OCSE del 27,8%. Al 5° e ultimo livello si pone il 5,2% deglistudenti italiani contro una media OCSE dell’8,6%, con punta di eccel-lenza la Corea con ben il 21,7% degli studenti al 5° livello.

Complessivamente in questa tornata i nostri ragazzi scivolano oltreil trentesimo posto per tutte le tre aree di competenza testate, ovveronella seconda metà del ranking generale.

7 http://www.invalsi.it/download/pdf/pisa06_Primirisultati_PISA2006.pdf (pag. 11 deldocumento).

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1.2 Principali differenze tra i risultati delle studentesse e degli studenti italiani (PISA 20038 e 20069)

Iniziamo subito col dire che i risultati conseguiti dalle studentesse edagli studenti italiani alla precedente rilevazione PISA 2003 sono statimigliori rispetto a quella successiva del 2006. Questa prima considera-zione spiega lo sconforto provocato da questa rilevazione: dai dati giànon esaltanti conseguiti nella precedente indagine si è passati a degliesiti ancor più negativi. Ma veniamo ai risultati di PISA 2006.

Per quanto riguarda la differenza tra maschi e femmine nella scalacomplessiva di scienze, non si rileva una differenza statisticamente rile-vante: le ragazze hanno ottenuto in media un punteggio di 474 con Erro-re Standard di 2,8 (media OCSE per le ragazze di 499), mente i colleghimaschi hanno ottenuto 477 (ES 2,8), a fronte di una media OCSE di 501.

Per la capacità di lettura, la differenza di posizionamento è a favoredelle studentesse, che ottengono un punteggio medio di 489 (ES 2,8)contro un 448 (ES 3,4) dei colleghi maschi, con uno scarto di 41 puntiche denota una superiore competenza delle studentesse rispetto agli stu-denti. La media OCSE è rispettivamente di 511 per le ragazze e 473 peri ragazzi (differenza di 38).

A differenza della classifica per capacità di lettura, per la matemati-ca, i ragazzi si sono comportati meglio delle loro colleghe, raggiungen-do un punteggio medio di 470 (ES 2,9) contro i 453 (ES 2,7) delle stu-dentesse, uno scarto di 17 punti che si pone come statisticamente signi-ficativo. La media OCSE è di 492 per le femmine e di 503 per i maschi(differenza di -11).

Nell’indagine PISA 2003 abbiamo questi risultati di confronto.Per la matematica, a fronte di un punteggio medio di tutti di 466

(media OCSE 500), il punteggio raggiunto dai maschi era di 475, conuna differenza a loro vantaggio sulle femmine di 18 punti (media delleragazze di 457 punti), rispetto ad una differenza di genere per i paesiOCSE di 12 punti a favore dei maschi (506 a 494). In 21 paesi, tra cuil’Italia, le femmine provano nei confronti della matematica un interes-se ed un entusiasmo inferiore ai maschi. Ci sono, però, alcune regioniitaliane, Lombardia e Veneto nella fattispecie, che presentano divari no-

8 http://www.sis-statistica.it/magazine/spip.php?article1209 http://www.istruzione.lombardia.it/pisa2006/materiali/Fiore_6feb08.pdf

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tevolmente più limitati (rispettivamente di 6 e 8 punti), evidenziando unrendimento simile tra i generi.10

La competenza in lettura, anche questa volta, è stata a favore delleragazze, che si sono collocate appena sopra la media OCSE (494), conun punteggio medio di 495 e un vantaggio di 40 punti sui colleghi ma-schi italiani che hanno conseguito un punteggio di 455, più o meno lostesso scarto del PISA 2006. Lo svantaggio dei maschi nella capacità dilettura e comprensione dei testi letterari è, però, superiore a quello mo-strato dalle femmine in matematica. Le femmine raggiungono una me-dia più elevata rispetto ai maschi in tutte le regioni e i tutti i paesi; da se-gnalare il caso della Toscana il cui divario fra ragazze e ragazzi è anco-ra più ampio, -59 punti (523 vs 464).11

Le competenze scientifiche si attestano su di un punteggio medioper le studentesse e gli studenti italiani di 486, a fronte di un punteggiomedio OCSE di 500. Le differenze fra i due sessi per quanto riguarda lacompetenza scientifica non sono significative, attestandosi su di un di-stacco di appena 6 punti, vale a dire 490 per i ragazzi e 484 per le ra-gazze. Si evidenzia uno stesso scarto di 6 punti fra i ragazzi e le ragaz-ze appartenenti ai paesi OCSE (503 vs 497). Da segnalare, infine, chenonostante la media nazionale e quella OCSE, ci sono alcune regioniitaliane, Toscana, Lombardia e specialmente il Veneto, in cui la diffe-renza di performance in scienze è a favore delle femmine.12

1.3 Preminenti difformità tra i risultati degli studenti italiani nelletre rilevazioni (confronto diacronico)13

In apertura una brevissima panoramica sulla rilevazione del 2000.Nei tre ambiti disciplinari su cui si incentra la prima edizione dell’inda-gine PISA, gli studenti italiani si classificano sempre sotto la mediaOCSE. Nello specifico, sulle competenze in lettura l’Italia presenta ri-sultati medi significativamente inferiori alla media internazionale (487punti rispetto a 500), un gap maggiore esiste per la performance in ma-tematica dove gli studenti italiani si classificano al 27° posto su 41 pae-si partecipanti e, con un punteggio medio di 457 punti, sono superati an-

10 http://www.sisform.piemonte.it/PISA/IresPisa.pdf (pag. 23 del documento).11 http://www.sisform.piemonte.it/PISA/IresPisa.pdf (pag. 44 del documento).12 http://www.sisform.piemonte.it/PISA/IresPisa.pdf (pag. 52 del documento).13 http://www.denaro.it/VisArticolo.aspx?IdArt=528592&KeyW=QUINTANO

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che dagli studenti polacchi, lituani e ungheresi. Anche per le scienze illivello raggiunto dalla media degli studenti italiani è di molto inferiorealla media dei paesi OCSE (478 punti rispetto a 500), attestandosi a li-velli analoghi a quelli di Polonia, Danimarca e Grecia.

Dai risultati del 2003 emerge un dato generale sconfortante, vale adire che ancora una volta il ranking degli studenti italiani è sotto la me-dia OCSE per tutte le competenze considerate: dal confronto dei pun-teggi medi di scienze, lettura e specialmente matematica con le mediedei paesi OCSE si riscontrano scarti di 14, 18 e 34 punti, confermandoin pieno l’andamento di PISA 2000.

Nello specifico per la lettura, l’Italia si colloca all’interno di ungruppo di paesi tra i quali ritroviamo Austria, Grecia, Portogallo, Re-pubblica Ceca, Spagna e Ungheria, mentre la distanza degli studenti ita-liani dai loro compagni finlandesi assomma a 67 punti. Il confronto coni dati dell’indagine precedente evidenzia che i risultati del 2003 sonoleggermente inferiori a quelli del 2000, in modo analogo a quanto rile-vato per altri paesi quali Austria, Spagna, Federazione Russa, Giappo-ne e Hong Kong. I risultati raggiunti, invece, dall’Italia per le scienze,anche se lievemente migliorati rispetto al 2000, restano inferiori allamedia internazionale e non modificano in maniera rilevante la posizio-ne italiana rispetto agli altri Paesi. La media italiana di 486 punti, è di62 punti più bassa di quella ottenuta dai paesi con il punteggio più alto(Finlandia e Giappone).

Nell’indagine PISA 2006, per le competenze in lettura, l’Italia sicolloca al 33° posto nella graduatoria dei 56 paesi partecipanti (gli Sta-ti Uniti sono stati esclusi dal test di lettura per un errore materiale), fa-cendo registrare un notevole distacco, superiore a 60 punti, rispetto aipaesi top performer (Corea, Finlandia ed Hong Kong). Un divario ana-logo si osserva per i risultati relativi alla matematica dove gli studentiitaliani, con una media di 462 punti, sono distanziati di quasi 90 puntidai loro colleghi di Taiwan, della Finlandia e della Corea. Situazione re-lativamente migliore per quanto riguarda la scala complessiva di scien-ze per la quale si registra una media pari a 475 contro una media OCSEpari a 500.

In un’ottica diacronica, la lettura dei dati PISA 2000, 2003 e 2006mostra un’involuzione dei punteggi degli studenti italiani rispetto allascala complessiva di lettura: è lampante, infatti, una contrazione, stati-sticamente rilevante, della performance media che passa da un punteg-gio medio di 487 nella rilevazione di PISA 2000 ad un valore medio di469 di PISA 2006.

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Per quanto riguarda la matematica si registrano, invece, differenzenon significative: il punteggio medio di 457 punti del 2000 passa a 466nel 2003 per poi diminuire fino a 462 punti nel 2006. Anche per la sca-la complessiva di scienze i dati italiani mettono in luce, nel corso dei treanni, una competenza di livello medio-basso, essendo sempre inferiorialla media dei paesi OCSE e di quelli partner, con delle differenze rile-vanti nel passaggio da un’indagine all’altra.

Differenze se ne potrebbero cogliere ancora tante, mi limito ora a fa-re un ultimo raffronto minimo fra i tre cicli. Per la lettura è possibile os-servare che fra la rilevazione del 2000 e quella del 2006 il punteggiomedio degli studenti italiani è diminuito in maniera significativa, pas-sando da 487 (media OCSE 500) a 469 (media OCSE 492). Al contra-rio per quanto riguarda la matematica tra il 2003 e il 2006, il punteggiomedio degli italiani ha avuto una variazione negativa non significativa,passando da 466 (media OCSE 500) a 462 (media OCSE 498).

Delle differenze di genere ho già detto, ma in un’ottica diacronicacomplessiva si può aggiungere che esse risultano significative per tuttii tre cicli della rilevazione sia per la matematica sia per la lettura. Un di-vario nel rendimento in lettura a favore delle studentesse – dovuto almaggiore interesse che le donne manifestano verso diversi tipi di lettu-re e per la maggiore propensione a ricorrere al prestito – è presente perla quasi totalità dei paesi coinvolti e per tutti i cicli di PISA, percentua-le che passa dal 97,5% del 2000 al 100% dei paesi partecipanti all’edi-zione del 2006. Il migliore punteggio medio in matematica riportato da-gli studenti presenta un’intensità minore rispetto a quello per le femmi-ne in lettura e riguarda un numero inferiore di paesi: il 63,4% dei paesipartecipanti nel 2000, il 70% nel 2003 per scendere al 62,5% nel 2006.Per quanto riguarda le competenze in scienze, si può affermare che ladifferenza tra i generi non risulta statisticamente indicativa ed interessasoltanto un numero ridotto di paesi. Con riferimento alla realtà italianasi può affermare che il fenomeno delle differenze di genere si manifestain modo pressoché analogo al resto dei paesi OCSE. Nello specifico,confrontando le differenze medie, si desume una migliore performancemedia femminile nel campo della lettura in tutti gli anni di riferimento.Il divario tra maschi e femmine in lettura appare elevato e costante neitre periodi, discostandosi in modo particolare nel 2003 dal resto deipaesi OCSE (differenza media in Italia pari a 40 punti contro una mediaOCSE pari, soltanto, ad 11 punti). Anche per quanto riguarda la mate-matica le differenze a favore degli studenti italiani risultano statistica-

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mente significative e di grado maggiore rispetto a quelle calcolate pertutti i paesi OCSE. Spostando l’analisi ai divari medi in scienze si evi-denzia che il fenomeno è di modesta intensità e le differenze non risul-tano, in nessun anno, statisticamente significative.

1.4 Le diversificazioni esistenti all’interno del sistema scolasticoitaliano (riferimento all’insieme delle rilevazioni PISA)14

I dati regionali delle tre rilevazioni PISA hanno messo in risalto inmodo evidente l’ampia differenza di performance fra gli studenti se-condo la ripartizione geografica della scuola frequentata. Gli studentidell’Italia settentrionale ottengono punteggi medi nelle prove PISA inlinea o al di sopra (in particolare quelli del Nord Est) della media OC-SE, mentre gli studenti del Centro hanno risultati poco sopra la mediaitaliana. Sono gli studenti delle regioni meridionali e insulari con livel-li di rendimento decisamente inferiori sia alla media OCSE sia alla me-dia dell’Italia, globalmente considerata, che trascinano in basso il datocomplessivo. Questa è la considerazione di partenza.

Una differenza negli indicatori di sviluppo socio-economico fraNord e Sud Italia può in parte dimostrare una certa relazione di causa-lità con i risultati scolastici, ma sicuramente i divari di prestazione evi-denti fra le scuole italiane del nord e del sud non sono interamente ri-conducibili a questa sola interpretazione.

Le tre edizioni di PISA hanno inoltre provato l’esistenza di una for-te varianza di risultati fra i differenti indirizzi di scuola secondaria di IIgrado (licei, istituti tecnici e istituti professionali), ma anche fra un isti-tuto e l’altro. La differenza tra scuole in Italia rappresenta il 52,1% del-la variabilità complessiva dei punteggi nei test contro una media OCSEdel 33,1%. Inoltre, la frequenza di un indirizzo di scuola superiore com-porta prestazioni differenti in tutti e tre gli ambiti testati, con punteggipiù elevati nei licei, più bassi nei tecnici e ancor più bassi nei profes-sionali. Tutto ciò non si può spiegare solo con una sorta di “gerarchia”fra i tre tipi d’indirizzo, radicata nella tradizione scolastica italiana, mapiù congruamente in termini sia di livello di preparazione all’ingressosia di origine sociale degli studenti.

14 http://www.sis-statistica.it/magazine/spip.php?article120

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Dal momento che il campione italiano di PISA 2006 era suddiviso incinque macroaree geografiche15 è possibile fare dei raffronti interni frale stratificazioni geografiche e gli indirizzi scolastici. Per quanto ri-guarda le scienze (media italiana complessiva di 475) si può rilevareche gli studenti del Nord Est, però, ottengono un punteggio di 520, se-guiti da quelli del Nord Ovest con 501, dal Centro con 486, dal Sud con448 e le Isole con 432. Estrapolando i dati, emerge che i licei ma anchegli istituti tecnici del Nord Ovest e del Nord Est si collocano sopra lamedia UE, dimostrando un livello di preparazione migliore di quellodei colleghi delle altre regioni d’Italia. Per la matematica, in totale, unostudente su 3 (il 32,8%) si colloca sotto il livello 2, uno tra i più bassi inassoluto. I punteggi sono più elevati al Nord, gli unici ad avere il 13,4%di studenti in grado di rispondere ai test più difficili, in linea con la me-dia OCSE. Nel Nord Ovest gli studenti ai livelli più alti di performancesono l’8,5%, molto meno di quanti non ve ne siano nella maggior partedei paesi UE. Soltanto Grecia, Portogallo e Spagna, fra i paesi UE, han-no esiti peggiori in matematica fra i loro quindicenni.

Va ancora meglio se si prendono in considerazione i licei. Quelli delNord e del Centro hanno un punteggio superiore alla media (531 il NordOvest, 548 il Nord Est, 509 il Centro). Mentre fra gli istituti tecnici, so-lo quelli del Nord Ovest arrivano a 520, un punteggio superiore alla me-dia OCSE. Superano la media OCSE gli studenti del Nord Est e delNord Ovest ma al Sud ad avere forti problemi in lettura sono il 35% de-gli studenti, più di uno su tre, mentre nelle isole arrivano al 40%.

2. RISULTATI INTERNAZIONALI PISA 2006

2.1 Relazioni esistenti tra i risultati degli studenti e il loro retroterra socio-culturale

Premesso che questa relazione esistente fra i risultati degli studentie background socio-culturale rappresenta un limite al raggiungimentodi livelli complessivi superiori di successo formativo, una sorta di inef-ficienza del sistema educativo che non riesce a capitalizzare appieno ilpotenziale cognitivo dei propri studenti, a prescindere dalla loro estra-

15 Nord Ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria), Nord Est (Trentino AltoAdige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna), Centro (Toscana, Umbria,Marche, Lazio), Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia), Sud Isole (Basilicata, Cala-bria, Sardegna, Sicilia).

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zione sociale, vediamo di seguito alcune delle relazioni più eloquentifra questi due parametri.

Il gradiente socio-economico, ancorché potente fattore che influen-za la prestazione di tutti gli studenti, gioca un ruolo più importante in al-cune nazioni in particolare. In PISA 2006 due unità di misura, definitecome Strenght of socio-economic gradient e Steepness of socio-econo-mic gradient, permettono di collocare i paesi partecipanti in una scalache misura la relazione fra questi fattori e la performance degli studen-ti. Meno del 10% delle variazioni della prestazione era spiegata dalbackground socio-economico in cinque dei sette paesi con la media piùalta della graduatoria di scienze, sopra 530 (Giappone, Finlandia Cana-da, Hong Kong ed Estonia), dimostrando che è possibile coniugareequità sociale e qualità educativa. Gli altri due paesi top performer,Nuova Zelanda e Taipei, superavano di poco il limite, giungendo ri-spettivamente al 16% e al 13%. I paesi dove il retroterra socio-econo-mico, invece, spiegava la variazione di prestazione massima, eranoLussemburgo, Ungheria, Francia, Bulgaria e Cile. Fra i paesi dove duestudenti di diversa estrazione socio-economica conseguivano la mag-giore differenza nei punteggi stimati di scienze (Steepness of socio-eco-nomic gradient) troviamo Francia, Nuova Zelanda, Repubblica Ceca,Stati Uniti, Regno Unito, Belgio, Germania, Bulgaria e Liechtenstein.

Ma quanto sono forti le differenze nelle prestazioni fra gli studenti pro-venienti da diverse condizioni socio-economiche all’interno della stessascuola? La risposta che dà PISA 2006 è che le differenze in ampiezza den-tro le scuole sono relativamente simili da un paese all’altro. Nessun paesepresenta delle differenze ascrivibili al retroterra socio-economico superio-re al 12% delle variazioni di performance. Infine, persino due paesi al-l’opposto per quanto riguarda l’equità del sistema scolastico (fra i menoequi la Nuova Zelanda, fra i più equi la Finlandia) hanno simili gradientisocio-economici dentro le scuole. Ovviamente, a puro titolo di cronaca,segnalo che l’Italia si trova fra i paesi con alto livello di equità ma basso li-vello di risultati, con una relazione moderata tra background e risultati.

Resta da dire che molti dei fattori di svantaggio socio-economiconon sono direttamente risolvibili, almeno nel breve termine. La prepa-razione culturale dei genitori può migliorare solo gradualmente, mentreil benessere economico delle famiglie resta legato allo sviluppo econo-mico dell’intero paese, obiettivo sicuramente di lungo termine. Indub-biamente non sono disparità colmabili dal sistema scolastico nazionale,ma le scuole devono fornire opportunità di apprendimento eque che sicolleghino con gli aspetti sistemici dell’istruzione.

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2.2 Influenza delle variabili scolastiche sui risultati degli studenti16

Grazie al questionario scuola, redatto da ogni dirigente scolastico,l’indagine PISA 2006 ha potuto valutare l’impatto di diversi fattori sco-lastici sulle prestazioni degli studenti. L’associazione di diversi ele-menti quali l’ammissione, la selezione e il raggruppamento degli stu-denti, la gestione scolastica vera e propria, il grado di autonomia scola-stica esercitato, le risorse, le politiche di rendicontazione, la pressionedei genitori ecc. non solo ha permesso di raccogliere dati generali sulfunzionamento scolastico, ma anche di vedere come sia possibile mi-gliorare i risultati degli studenti e mitigare l’influenza del retroterra so-cio-economico sulle performance. Vista l’eccessiva lunghezza ormairaggiunta dalla mia ricerca, limiterò l’analisi a pochi fattori tra i moltiindicati.

L’età della prima selezione nei sistemi educativi internazionali, peresempio, varia dall’età di 10 a 17 anni: Austria, Germania, RepubblicaCeca, Ungheria, Turchia, Bulgaria, e altri paesi, iniziano prima; Dani-marca Finlandia, Islanda Norvegia, Polonia, Spagna, Svezia, UK, pernominare solo le nazioni europee, iniziano molto dopo. Il 15% deglistudenti OCSE frequentano scuole che suddividono gli studenti in basealle abilità mostrate in tutte le materie, mentre un 54% adotta un rag-gruppamento parziale, solo in alcune materie. Gli studenti, che fre-quentano scuole che selezionano in base a criteri accademici, hannoprestazioni di solito migliori mentre quelle che raggruppano e selezio-nano per abilità non presentano variazioni statisticamente rilevanti. In-vece, le scuole che raggruppano gli studenti per livelli di abilità in tuttele materie raggiungono risultati inferiori.

Un’aumentata pressione per il miglioramento dei livelli accademiciraggiunti dagli studenti ha comportato una diffusione di politiche edu-cative di responsabilità in molti paesi OCSE, sia pure con una variabi-lità da paese a paese molto accentuata. In media, nei paesi OCSE, il65% degli studenti, stando a quanto riportano i presidi/dirigenti scola-stici, sono sottoposti a un controllo delle prestazioni da parte di un’au-torità amministrativa. La percentuale di quest’accertamento varia dal90% di paesi come gli Stati Uniti, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Ca-nada e altri paesi partner, all’80% di paesi come Croazia, Montenegro,Tunisia, Giordania fino ad abbassarsi al 36% in Svizzera, Danimarca,

16 http://www.invalsi.it/download/pdf/pisa06_20080604_INVALSI_05_cap4.pdf

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Giappone e … ovviamente Italia. Inoltre, per restare ancora fra i fattorilegati alle politiche di rendicontabilità, in media il 43% delle scuolepartecipanti all’indagine utilizza gli esiti di prestazione dei propri stu-denti per la valutazione dei docenti. Ma ci sono anche paesi dove que-sta valutazione degli insegnanti pesa per più del 90%, fra i quali RegnoUnito, Ungheria, Repubblica Ceca, Federazione Russa, Romania ed al-tri paesi. È appena il caso di ricordare che ci sono paesi dove la percen-tuale è molto più bassa, meno del 20% (Finlandia, Canada e Belgio) eaddirittura meno del 10% (Lussemburgo, Svizzera e Grecia). Un altrofattore d’impatto interessante rivelato dall’analisi del questionarioscuola è la considerevole differenza di performance degli studenti inquei paesi che adottano esami esterni basati su standard e dove le scuo-le rendono pubblici i loro risultati: sembra che ci sia una forte associa-zione positiva fra il rendere pubblici i propri risultati e l’ottenimento dimigliori risultati.

Una volta che si sia tenuta in debito conto la variazione spiegabilecon le differenze socio-economiche, l’effetto combinato di questi e altrifattori scolastici, che non ho citato,17 suggerisce che circa un quartodell’oscillazione delle prestazioni in scienze degli studenti nei paesiOCSE può essere spiegata con le modalità con cui questi fattori varia-no nei paesi e nelle scuole, un effetto congiunto e non indipendente daimotivi economici e sociali.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Il livello di competenza dei quindicenni italiani in matematica, scienzee problem solving – Primi risultati di PISA 2003, INVALSI, 2003.

Losito Bruno, (ed.), Le competenze in scienze lettura e matematica de-gli studenti quindicenni – Rapporto nazionale PISA 2006, Armandoeditore, 2008.

The Programme for International Student Assessment (PISA), Executi-ve Summary, OECD, 2007.

Risultati di PISA 2006 – Un primo sguardo d’insieme, INVALSI, 2007.

17 Vedi il paragrafo “School and system-level factors”, pp. 38-45, in: The Programmefor International Student Assessment.

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Noi tutti lo sappiamo…I limiti del nostro universo linguistico sono i confini del nostro mon-

do. Quanto ci è più familiare è ciò che riusciamo ad abbracciare col no-stro vocabolario abituale. Il resto ci è estraneo e spesso addirittura in-comprensibile: l’estraneo può intimorire.

Il linguaggio dell’“Altro”, l’inintelligibile, l’indecifrabile, in pocheparole l’estraneo, ci rende insicuri, ci irrita. La lingua degli altri può farpaura, se non compresa.

La nostra identità e la nostra madrelingua sono come due occhi coiquali scrutiamo nel buio delle case dalle lingue a noi straniere.

Curiosità e sete della conoscenza dovrebbero farci diventare avven-turieri, quasi ladri, scassinatori.

Dovremmo voler alloggiare nelle lingue degli altri e non importa seentrando da finestre aperte o scassinandone le porte.

Scopriremmo sempre l’“Ignoto”, sveleremmo misteri, forse senzaneppure arrivare ai nascondigli più intimi, alle sfumature linguistiche edialettali.

La lingua che abbiamo appreso da bambini è la nostra “Heimat”, ilnostro nido esistenziale, anima e pelle.

Nessun’altra lingua la può sostituire.

Luoghi

La lingua del pane*

JOSEPH ZODERER

* Discorso pronunciato da Joseph Zoderer in occasione dell’inaugurazione dell’annoscolastico 2009/2010 presso il liceo scientifico “E. Torricelli” di Bolzano il 19 settem-bre 2009. Si ringrazia J. Zoderer per la gentile concessione di pubblicare questo testo suRassegna e si ricorda nel contempo che tutti i diritti sono riservati.

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Le parole tramite le quali nell’infanzia ci siamo appropriati del mon-do sono impregnate di connotazioni (tonalità, gestualità, colori, profu-mi) che non troveranno mai soddisfacenti traducibilità in una lingua incui non si sia vissuti bambini.

Quando avevo quattro anni, pochi mesi dopo l’opzione per la Ger-mania o l’Italia nel 1940, i miei genitori mi portarono via da casa, as-sieme ai miei fratelli, per trasferirsi in Stiria, a Graz. Da quel momentovissi in un paese straniero come se fosse la mia patria, e non vedevo al-cuna differenza, neppure il fatto che per strada, in cortile e a scuola par-lavo il dialetto di Graz come tutti quelli della mia età – la loro lingua erala mia – ma, chiusa la porta di casa mia, le parole improvvisamente misi cambiavano in bocca, in un baleno mi si trasformavano nella testa inaltre parole, o comunque era la mia bocca a pronunciarle in modo deltutto diverso, in sudtirolese. Tra le pareti di casa mia, parlavo senza ac-corgermene con un’altra lingua, parlavo come un bambino di Merano,non come uno di Graz.

Quando poi mi stabilii definitivamente nella mia terra natale, ero or-mai un uomo sulla trentina.

La Heimat è una fortuna di cui un bel giorno si perde il ricordo, maè nelle nostre ossa, in un nostro battito di ciglia, è tutto e quindi ancheniente, è una lana finissima con cui fare un nido, è odore di cucina, lavoce della mamma, che una volta coccola e un’altra sgrida.

Si, certo, Heimat è ciò che si conosce così bene che talvolta non si sapiù che farsene. Heimat è la lingua più intima e più consumata, più ditutto la lingua dei sospiri repressi. Assieme ad essa cresce la contentez-za, ma anche la voglia di pericoli – lei, la Heimat, è stata ed è la primaruffiana tra chi fa domande ed il mondo attorno a lui.

Spesso ho sentito dire che la Heimat è lì dove stanno gli amici, èquindi il luogo dell’amicizia. Lo hanno detto Max Frisch e tanti altri. Enon è affatto sbagliato, solo che non si deve dimenticare di fare una di-stinzione. C’è – almeno per me – una Heimat della testa ed una Heimatdel primo respiro. La prima è la Heimat trovata o eletta individualmen-te, quella per così dire esistenzialistica, il luogo, il paese o la città in cuici si sistema con le proprie esperienze tra amici, perché gli amici alme-no rendono meno lontana la lontananza, rendono meno estranea l’estra-neità, con gli amici ci si potrebbe persino scegliere la Heimat, voglio di-re quella della testa, il luogo in cui ci si sente a casa, ci si incontra dopoil lavoro, si mangia e beve assieme, si dividono curiosità e tristezza, rab-bia e speranza, si gioisce assieme. Ma stranamente si continua a sognare

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ancora un’altra Heimat, che era tutt’un’altra cosa: una pesca sulla spal-letta del ponte, le braghette che la mamma ci toglieva e lavava bronto-lando nel ruscello vicino. E cosi so soltanto ripensando cos’era la miaHeimat, qualcosa fatto di cose non importanti: buchi nella sabbia, na-scondigli tra i cespugli, carbonaie e la paura cui mi ero abituato come airichiami di mia madre. Spesso penso che il posto in cui mi sono sentitopiù a casa è quello in cui ho dovuto soffrire di più la paura, come se conla paura mi fossi conquistato il diritto di cittadinanza. E veramente qual-che volta ho pensato di esser più abitante di Graz della maggior parte diquelli che sono nati e vivono a Graz, io che non sono nato in quella cittàma mi ci sono nascosto nelle cantine, per sfuggire alle bombe.

La Heimat dell’infanzia è fatta di un tessuto di spazi immaginari; èuna Heimat che probabilmente hanno anche i bambini senza patria,quale che sia il significato che diamo a queste parole: i figli di profughi,i figli di esuli, i figli di emigranti. È una Heimat che può essere il buiodi un armadio o la penombra di uno scompartimento del treno, ai piedidella mamma o del papà o anche di estranei. E i rumori del treno me-scolati alla polvere dell’estate e all’odore di insetti schiacciati.

Solo l’infanzia si impossessa per sempre di quanto sembra inutile, diciottoli, schegge di legno e sogni antichissimi. Stranamente queste cosein apparenza così futili non ci abbandonano, e in queste riconosciamo inqualche modo il mondo, e nel mondo continuiamo ad imbatterci in es-se, in questa Heimat. Queste cose banali dei nostri primi anni offriran-no fino alla fine riparo ai nostri sogni e alle nostre speranze.

Non c’è patria della testa che possa sostituire le importanti banalitàdella nostra infanzia.

Accanto alla mia lingua parlo volentieri un altro idioma, però scrivoi miei libri, sempre, con parole che più del novanta per cento della po-polazione dello Stato in cui sono nato e di cui sono cittadino non capi-sce. Finora ho sempre avvertito questa diversità come una parte impor-tante della mia avventura esistenziale, e non come una limitazione del-le possibilità o della qualità della vita. E, certamente, fra i motivi ci so-no (almeno inconsciamente) anche quello di appartenere a una delle mi-noranze linguistiche meglio protette in Italia e il fatto che la mia linguasia la madrelingua di circa cento milioni di persone in Europa.

Eppure continuano a chiedermelo: come ci si sente a essere un auto-re italiano che scrive i suoi libri in tedesco ed è tradotto in italiano da al-tri? Con delusione di alcuni di quelli che me lo domandano, io devo ri-spondere: non sono un autore italiano, perché autore italiano è solo uno

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che dispone della lingua italiana e del retroterra culturale italiano comedel suo innato materiale da lavoro e nello stesso tempo come della suaofficina. Questo non è il caso mio e probabilmente non lo è della mag-gioranza dei sudtirolesi tedeschi. Io quanto meno ho sempre fatto di-stinzione fra l’appartenenza a uno Stato e l’appartenenza ad una patriaculturale. Non basta un passaporto italiano, ritengo, per fare d’un sene-galese un italiano, questo lo qualifica solo come un cittadino italianocon i relativi diritti e doveri. E quindi io sono e mi sento un autore au-striaco con il passaporto italiano. Perché sono nato in uno strano incro-cio della Mitteleuropea, a sud delle Alpi, in un groviglio viscerale fattodi monti e valli, sotto i ghiacciai e fra le mucche, le palme e i meli, inquesto Sudtirolo dei contrasti, piccolo territorio che è stato per oltre set-tecento anni parte dell’impero asburgico e che poi, dopo la prima guer-ra mondiale, divenuto oggetto di scambio politico, si è sottratto all’ab-braccio del fascismo per gettarsi fra le braccia aperte del nazionalsocia-lismo. Oggi, qui, noi tutti – tedeschi, italiani, ladini – viviamo in quan-to abitanti di questo paese le conseguenze della storia, e ogni giorno èun giorno di un vasto e imprevedibile processo di apprendimento dellareciproca tolleranza e del reciproco rispetto.

Io sono uno del quarto di milione di cittadini italiani di lingua tede-sca del Sudtirolo con passaporto italiano. Però non mi importerebbe af-fatto se fossi venuto al mondo, anziché nell’ospedale di Merano, in unqualche accampamento o in una capanna ai margini d’un deserto o d’u-na steppa, se avessi aperto gli occhi al mondo accanto a un barattolovuoto di conserva e avessi di lì a poco trotterellato nella sabbia o fra icespugli d’una macchia: quella sarebbe oggi la mia Heimat, quella dicui mi ricorderei nella stanza d’albergo o nell’appartamento di un qual-siasi continente, probabilmente con trasfigurante nostalgia, e verosimil-mente tenterei di rammentare il mormorio del vento ascoltandolo nellalattina di Cola o di Seven up, e mi guarderei attorno in cerca della sab-bia o della macchia come d’una forma di sicuro riparo e quindi di Hei-mat. Ma, nel farlo, di che cosa dovrei sentirmi orgoglioso? La patria, laHeimat, secondo me, non è un merito, una medaglia. Casuale come illuogo del parto, la Heimat non può essere altro che un dono più o menogradito. Per questo giudico il bisogno-richiamo di una bandiera un in-fantilismo patriottico.

Ciò nonostante, vedo il singolo individuo segnato dall’ambiente incui è nato e in cui ha vissuto i primi anni fino al raggiungimento dell’etàadulta. E prendo corrispondentemente sul serio la via via accresciuta

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conformità fatta di gesti, mimica e soprattutto linguaggio – dal dialettoalla lingua letteraria –: quella conformità genetica che è insostituibileper dare un senso di appartenenza culturale. Perché racchiude la memo-ria e il sapere dei secoli e dei millenni.

Senza dubbio sono più immediatamente influenzato da Goethe,Schiller, Grillparzer e da Kafka e da Musil che da Dante, Petrarca oManzoni. E ovviamente non ho mai letto “Cuore” di De Amicis. Eppu-re sono convinto che Dante è da tempo inglese come Shakespeare è ita-liano, Molière tedesco e Goethe francese. Tutti noi più o meno colti eu-ropei (però penso anche all’America o più in generale al mondo chelegge) siamo da tempo contaminati, vuoi attraverso il tradizionale pro-cesso di formazione scolastica, vuoi attraverso i media della carta stam-pata o elettronici, e siamo da gran tempo permeati e segnati quanto me-no dal patrimonio culturale occidentale.

Quale influsso, quale inavvertita o visibile conseguenza esercita ilfatto di dover essere tradotto nel proprio Stato sull’identità di chi scriveo su ciò che scrive? Sarebbe facile mentire, però io non esito a rispon-dere sinceramente: sì, io mi sono arricchito in questa situazione di con-fine. Mi sento tenuto sveglio, sono in uno stato continuo di incontro conun’altra cultura. Ed è per questo, appunto, che sono ritornato qui, ben-ché abbia trascorso la prima metà della vita come uomo di città e all’e-stero. Ora vivo di nuovo, ormai da un quarto di secolo, a sud del Bren-nero, in mezzo ai monti. Benché la città mi attiri, è qui che trovo la mi-sura di attenzione sociale per me sopportabile. E per questo dico: inquesta terra di confine sono diventato un autore diverso, forse più riccodi esperienze, di quello che sarei se avessi vissuto la mia vita di scritto-re in un luogo uniforme, molto lontano dal confine. Inoltre credo chenoi sudtirolesi di lingua tedesca, ladina o italiana siamo diventati tuttipiù ricchi in quest’osmosi culturale quasi inavvertibile, spesso irritantea livello politico (seppure pacifica nella dimensione privata). Per anni,anzi, per nove decenni ormai, abbiamo, nolenti o volenti, praticato econdiviso la quotidianità espressiva dell’altra lingua. Un italiano cheparla tedesco con un bolzanino tedesco supera automaticamente (con osenza sforzo) una linea di confine, un cancello verso un altro mondod’immagini linguistiche, deve affidarsi a questo momento esistenzialedell’altra, forse estranea Heimat, abbandonarsi ad essa per il tempo incui parla, e scambiare la propria immagine con l’altra, scambiare ilmondo nel quale si sente a suo agio, con il mondo al quale non è abi-tuato. Perché Brot si dice pane, ma il pane è nelle varie regioni d’Italia

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impastato e cotto in modi sempre diversi che ad Amburgo, Vienna oMonaco: Brot e pane sono portatori di mondi culturali cresciuti in mo-di assai differenti anche se poi, affamati o no, vi si possano affondare identi e quindi placare la fame in giapponese, svizzero o senegalese.

E quando tu, che parli una lingua diversa, torni di nuovo nel tuomondo linguistico, può darsi che non ritrovi subito le tue immagini. Perquesto, a volte, mi sento come un traditore di me stesso, oppure comeuno che, in un corridoio, sta fra due porte chiuse: dov’è la stanza che mispetta? Quando nella traduzione italiana o francese leggo un paio di fra-si o alcune pagine di un romanzo che ho scritto in tedesco, mi scopro unaltro e per lo più frustrato; leggo in gran parte un romanzo che mi si èestraniato, le mie immagini, quelle che ho pensato in tedesco, si sonotrasformate, i miei sentimenti hanno indossato abiti diversi. Ma così de-ve essere, perché l’altro mondo culturale ha per i sentimenti e tutto il re-sto immagini cresciute diversamente. Ammetto di sentirmi spesso equi-vocato, a volte perfino svenduto a poco prezzo, e allora agito i pugni.Però so che non è tradimento, è il necessario scotto che si paga nel var-care porte verso l’ALTRO. È una spirituale avventura esistenziale checi tiene vivi, ci rende più ricchi d’esperienza e supera la nostra ristret-tezza d’orizzonti. Vivere sulla frontiera è indubbiamente un processo diarricchimento. Anche senza averlo sempre avvertito, ora con ripulsa eora con disponibilità, nella frizione fra due grandi culture linguistiche(e l’intendo con reciproco vantaggio), ne è stata investita anche la miaidentità di scrittore; il risultato è uno stato di attenzione continua, unaspecie di ininterrotta disponibilità sia alla lite che al dialogo.

Perché, che lo si voglia oppure no, con simpatia o baruffando, qui danoi in particolare non ci si può sottrarre al confronto, alla discussionecon l’altra parte.

L’acqua di un fiume può separare, ma anche condurre l’uno versol’altro. A volte mi sento come un escluso volontario, come uno che stasull’altra sponda e grida oltre il fiume con parole che, se il vento non ledisperde, sono completamente diverse da quelle che la gente sull’altrariva è abituata ad ascoltare.

Ogni fiume si può attraversare. Il fallimento sarebbe se ci si affo-gasse, se la propria lingua fosse spazzata via dall’altra.

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Fiorella Farinelli studiosa di sistemi e di poli-tiche scolastiche, ricercatrice presso l’Isfol, pe-dagogista presso la Ssis di Roma, è stata asses-sore alle politiche formative del Comune di Ro-ma e direttore generale dell’Ufficio Studi pres-so il Ministero P. I. Oggi scrive su riviste spe-cializzate e sul sito www.sbilanciamoci.it. Èmembro del comitato scientifico di Rassegna.

Carlo Bertorelle ha insegnato lettere e storianegli istituti superiori e ha pubblicato, tra l’altro,Nautilus – manuale di storia della letteraturaitaliana, Zanichelli, 2000. Collaboratore degliIstituti pedagogici provinciali, editor di testi epubblicazioni, segue la problematica pedagogi-co-didattica e le politiche scolastiche statali e re-gionali. È il coordinatore di Rassegna.

Martin Dodman è docente di Educazionecomparata e di Didattica delle lingue presso laLub di Bolzano-Bressanone. Collabora con as-sociazioni educative e formative in diverse re-gioni italiane ed è consulente degli Istituti pe-dagogici dell’Alto Adige, del Trentino e dellaVal d’Aosta. Membro del comitato scientificodi Rassegna, autore di vari testi didattici e lin-guistici, tra cui “Filosofare” la lingua per ap-prendere e Crescere in più lingue. Ricerche sulplurilinguismo in ambito scolastico.

Emanuele Barbieri persona di scuola (comeama definirsi), ha maturato una lunga esperien-za professionale: docente, preside, dirigente

Gli autori di questo numero

sindacale. Già vice presidente del Consiglio na-zionale della PI, è stato direttore generale del-l’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Ro-magna. Ha insegnato nella Libera Università diBolzano e, tra il 2006 e il 2008, ha ricoperto ilruolo di capo del Dipartimento della program-mazione del Ministero della pubblica istruzio-ne, coordinando, tra l’altro, il gruppo di lavoroche ha predisposto il Quaderno bianco sullascuola.

Daniele Checchi insegna economia presso lafacoltà di Scienze Politiche all’Università deglistudi di Milano. Si occupa di comportamentisindacali e di economia dell’istruzione, interve-nendo puntualmente nel dibattito anche interna-zionale sulle scelte economiche attuali. Ha fat-to parte nel 2000 della commissione del Gover-no per il riordino dei cicli scolastici, oggi colla-bora attivamente al noto sito www.lavoce.info/articoli/-scuolauniversita/

Giorgio Sciotto esperto di sistemi scolastici eformativi, è stato dirigente scolastico a Milanoe Roma e ha pubblicato numerosi libri sullaproblematica dei diritti sindacali, della rappre-sentanza e dei progetti di riforma dell’istruzio-ne secondaria di secondo grado.

Domenico Chiesa, è uno dei maggiori espertidelle problematiche ordinamentali e pedagogi-co-didattiche dell’istruzione secondaria e delrapporto con la formazione professionale. Col-

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labora su queste problematiche con molte scuo-le, reti di scuole, Regioni ed enti locali. È autoredi molti scritti tra cui La mia scuola. Chi inse-gna si racconta, Einaudi, 2005.

Giorgio Allulli è dirigente di ricerca Isfol, au-tore di numerose pubblicazioni sul rapporto trascuola e mercato del lavoro. Ha diretto per mol-ti anni il Comitato provinciale di valutazionedel sistema scolastico e formativo del Trentino,per il quale ha presentato periodicamente il rap-porto generale offrendo così una sistematicaopera di valutazione di sistema.

Alberto Delcorso ha insegnato per molti annidiscipline giuridiche negli istituti superiori diBolzano, collaborando spesso con i progetti diinnovazione didattica studiati e proposti dall’I-stituto pedagogico per questa area di insegna-menti. È attualmente dirigente scolastico del-l’ITC “C. Battisti” di Bolzano e Vicepresidentedel Comitato provinciale di valutazione per laqualità del sistema scolastico.

Crescenzo Latino docente di discipline scien-tifiche, preside di scuola media, quindi dirigen-te scolastico al Liceo Maffei di Riva del Gardae al liceo scientifico G. Galilei di Trento. Daquattro anni lavora presso il Dipartimento Istru-zione della Provincia Autonoma di Trento nel-l’area a supporto della riforma scolastica. Si oc-cupa prevalentemente di piani di studio dei li-cei, di esami di Stato e di valutazione.

Roland Verra è l’Intendente scolastico per lescuole delle località ladine, presidente dell’Isti-tuto pedagogico ladino e membro del comitatoscientifico di Rassegna. Scrittore, traduttore,poeta, collabora a diverse riviste sudtirolesi nellediverse lingue. Studioso di problemi linguistici eglottodidattici, ha tra l’altro pubblicato La mino-ranza ladina. Cultura, Lingua, Scuola (2000) ePlurilinguismo e Scuola Ladina (2003).

Fabrizio Dacrema, attualmente CoordinatoreNazionale del Dipartimento Formazione e Ri-

cerca della Cgil, è stato insegnante e dirigentedelle scuole dell’infanzia del Comune di Mila-no. Ha operato a lungo come dirigente sindaca-le della scuola, prima in Lombardia e poi a li-vello nazionale. Collabora con diverse riviste,tra cui “Articolo 33” e “ScuolaOggi.org”, e hacontribuito a diverse pubblicazioni, tra le quali“La conoscenza per riprogettare l’Italia” pub-blicato da Ediesse.

Vittorio Campione esperto di sistemi educati-vi, ha lavorato a stretto contatto con l’ex mini-stro Luigi Berlinguer. È autore, tra l’altro, conPaolo Ferratini e Luisa Ribolzi, del pamphletTutta un’altra scuola. Proposte di buon sensoper cambiare i sistemi formativi, Il Mulino,2005 e da anni sostiene l’opportunità di unaconvergenza delle diverse parti politiche peravviare la soluzione degli annosi problemi del-la formazione in Italia.

Giuseppe Perna laureato in Lingue e letteratu-re straniere moderne, è stato docente di Inglesenella scuola superiore altoatesina per molti anni.È docente a contratto alla SSIS della LiberaUniversità di Bolzano dove ha lavorato comeSupervisore di tirocinio. Già ricercatore all’Isti-tuto Pedagogico provinciale dal 2003 al 2008, èimpegnato attualmente presso il Nucleo operati-vo del Comitato di valutazione del sistema sco-lastico della Provincia Autonoma di Bolzano.

Joseph Zoderer scrittore sudtirolese di largafama, tradotto in molte lingue; fin dal suo pri-mo romanzo di successo, “Die Walsche”(1982), particolarmente attento alla problemati-ca esistenziale del confine e dell’intreccio tradiversi mondi culturali e linguistici. Ha ottenu-to riconoscimenti di prestigio in vari paesi, haraccontato nell’opera Wir gingen / Noi andam-mo l’esperienza del trasferimento in Austria altempo delle opzioni, cui si riferisce anche nel-l’intervento pubblicato in questo numero diRassegna. L’Istituto pedagogico di Bolzano hapubblicato un suo dialogo con Claudio Magrissul tema “Identità e multiculturalità”.

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• 1/1993 Problemi di una teoria dell’apprendimento e della formazione* (a cura di Gianfranco Amati)

• 2/1994 La dispersione scolastica* (Mario Pollo e Milena Cossetto)• 3/1995 Il progetto sulla continuità educativa e didattica in provincia di

Bolzano (Luigi Guerra e Mirca Passarella)• 4-5/1996 L’educazione interculturale in Alto Adige*

(Franco Cassano e Laura Portesi)• 6/1997 La formazione musicale nella scuola di base

(Elita Maule, Enrico Strobino, Diana Penso, Mario Piatti e Barbara Ritter)

• 7/1997 Il cooperative learning* (Giorgio Chiari)• 8/1998 Gli scenari della scuola che cambia: il ruolo degli Irrsae e degli

Istituti pedagogici (Franco Frabboni e Daniela Pellegrini Galastri)• 9/1998 La nascita della Facoltà di Scienze della Formazione in Alto

Adige (Giampaolo Zucchini)• 10/1999 La nascita delle istituzioni scolastiche autonome e l’innovazione

nel sistema (Raffaele Iosa)• 11/1999 Dalla memoria alla storia* (Giampaolo Zucchini)• 12/2000 La riforma dei curricoli (Martin Dodman)• 13/2000 L’autonomia alla prova (Martin Dodman e Carlo Bertorelle)• 14/2001 Identità e multiculturalità* (Siegfried Baur)• 15/2001 L’integrazione tra scuola, formazione e lavoro*

(Fiorella Farinelli e Silvio Goglio)• 16/2001 La formazione continua degli insegnanti (Anna Rita Calabrò)• 17/2002 Autonomia e federalismo a scuola (Günther Pallaver)• 18/2002 Il disagio giovanile e la scuola (Mario Pollo)• 19/2002 La formazione iniziale degli insegnanti (Ivo Mattozzi)• 20/2003 L’apprendimento collaborativo in rete (Gianfranco Amati)• 21/2003 Integrazione scolastica e bisogni educativi speciali (Dario Ianes)• 22/2003 Identità culturali e pluralismo nella scuola: L’Europa e l’Alto

Adige/Südtirol (Roberto Toniatti)• 23/2004 Valutazione di sistema e sistema di valutazione (Mario Castoldi)• 24/2004 Università di Bolzano e territorio: una sfida ancora aperta

(Franco Frabboni e Carlo Bertorelle)• 25/2004 Insegnare e apprendere in più lingue* (Siegfried Baur)• 26/2005 Religioni e civiltà tra conflitti e dialogo (Adel Jabbar)

L’archivio di Rassegna: i temi e i curatori di diciassette annate

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Page 111: Periodico dell’Istituto Pedagogico ANNO XVII agosto 2009 · la Chiesa cattolica. E neppure le indicazioni della Commissione Europea, scom-parse dall’orizzonte delle politiche

• 27/2005 Formazione e politica (Piero Bertolini e Loris Taufer)• 28/2005 Un approccio educativo per il bambino e la bambina 0-3 anni

(Liliana Dozza e Angela Boscardin)• 29/2006 Matematica: l’emergenza della didattica nella formazione

(Bruno D’Amore)• 30/2006 Giovani e lavoro in Europa: un futuro precario? (Mario Telò)• 31/2006 Autovalutazione per il cambiamento

(Italo Fiorin e Mario Castoldi)• 32/2007 La pedagogia della lettura (Ermanno Detti)• 33/2007 Indicazioni nazionali, provinciali e curricola (Siegfried Baur)• 34/2007 L’autonomia delle scuole 10 anni dopo

(Daniela Pellegrini Galastri)• 35/2008 Gli insegnanti e la valutazione (Mario Castoldi)• 36/2008 Il curricolo verticale (Carlo Fiorentini)• 37/2008 “Fare filosofia” a scuola (Loris Taufer)• 38/2009 Autonomia e convivenza in Alto Adige (Günther Pallaver)

* Esaurito

A partire dal n. 23 del 2004, Rassegna si può leggere anche sul sito Internetdell’Istituto pedagogico di Bolzano (www.ipbz.it)

Quaderni di Rassegna

• 1/2003 Claudio Magris, Joseph ZodererIdentità e multiculturalitàDialogo sui valori e sulle frontiereA cura di Carlo Bertorelle, Postfazione di Siegfried BaurAzzano San Paolo (Bg), Edizioni Junior, 2003ISBN 88-8434-092-6

• 2/2005 Procopius va a scuoladi rete in reteGianfranco Amati, Ottavio de Manzini, Mario Tonello, Guglielmo TrentinAzzano San Paolo (Bg), Edizioni Junior, 2005ISBN 88-8434-245-7Allegato al volume un CD-ROM

• 3/2008 Matematica: un problema da risolvereRosetta ZanAzzano San Paolo (Bg), Edizioni Junior, 2008ISBN 978-88-8434-447-6

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Page 112: Periodico dell’Istituto Pedagogico ANNO XVII agosto 2009 · la Chiesa cattolica. E neppure le indicazioni della Commissione Europea, scom-parse dall’orizzonte delle politiche

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