PERIODICO DELLA RESISTENZA - ANPIdente della Repubblica che è davvero l’unico garante della...

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patria indipendente l 28 gennaio 2005 l 1 ISSN 0031-3130 PERIODICO DELLA RESISTENZA E DEGLI EX COMBATTENTI ANNO LIX 26 SETTEMBRE 2010 3,00 8 Poste Italiane spa - Spedizione in a.p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1, comma 2, DCB - Filiale di Roma PERIODICO DELLA RESISTENZA E DEGLI EX COMBATTENTI

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patria indipendente l 28 gennaio 2005 l 1

ISS

N 0

031-3

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PERIODICO DELLA RESISTENZA E DEGLI EX COMBATTENTI

ANNO LIX

26 SETTEMBRE 2010

3,008Poste Italiane spa - Spedizione in a.p.D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1, comma 2, DCB - Filiale di Roma

PERIODICO DELLA RESISTENZA E DEGLI EX COMBATTENTI

2 l patria indipendente l 26 settembre 2010

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3 l Il punto, di Wladimiro Settimelli

5 l Lettere al direttore

DOCUMENTI

7 l Durante l’autopsia rinvenuti documenti inequivocabili.Mussolini in fuga verso la Spagna del camerata Franco,di Wladimiro Settimelli

15 l Il testo integrale dell’autopsia semi-segreta del ducedel prof. Pierluigi Cova

21 l Il giallo della lunga ricerca del carteggio Churchill-Mussolini,di W.S.

ATTUALITÀ

25 l Quella pubblica e istituzionale massacrata a colpi di scure.Sì, è tutto vero: stanno uccidendo la scuola, di Tiziano Tussi

27 l A ottobre due importanti convegni dell’ISTORECO. E a Livorno si discuterà di lavoro e precarietà,di Catia Sonetti

28 l L’arrivo di tanti giovani nell’ANPI è un contributo per la società,di Patrizia Turchi

STORIA

30 l Fu portata a termine contro i nazisti da Francesco Carlo Gay.Per l’Operazione Herring il coraggio di 226 parà,di Ilio Muraca

TESTIMONIANZE

32 l La mia difficile storia: il partigiano-ragazzo diventato un medicomolto famoso, di Pietro Roberto Comoretto

CULTURA

34 l Il pittore baiano è stato uno degli attori del maestro del cinemabrasiliano. Parlando con Sante Scaldaferri del regista Glauber Rocha,intervista di Antonella Rita Roscilli

CINEMA

44 l Il concerto di Radu Mihaileanu: “L’arte è l’anima più che la tecnica”,di Serena D’Arbela

POLEMICHE

46 l Sopravvissuto di Auschwitz balla davanti al lager,di Leoncarlo Settimelli

RUBRICHE

38 l Libri

43 l Segnalazioni, a cura di Tiziano Tussi

47 l Filatelia: Il ricordo dell’appello di de Gaulle,a cura di Valerio Benelli del CIFR

I-XVI l Cronache

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V ignette, battute, battutacce, accuse diessere passato alla sinistra e tutto unfiorire di polemiche e un continuo sot-

tolineare e precisare. Per mesi e mesi, la“grande novità” di un Gianfranco Fini inscontro aperto e brutale con Silvio Berlusco-ni per mille diversi motivi, aveva attirato l’at-tenzione degli italiani e di tutto il mondo po-litico. Poi lui, il Gianfranco, dopo una infa-mante e ricattatoria campagna dei giornalidella famiglia del Presidente del Consigliocontro la compagna e lo sciagurato cognati-no, nullafacente, ma residente a Montecarloin una casa che un tempo era di proprietà diAlleanza Nazionale, ha parlato, ha chiarito eha detto, finalmente, quel che pensava in di-retta televisiva, agli inizi di settembre. Ho se-guito tutto il discorso tenuto in quel di Mira-bello, un paesetto ignoto ai più e devo dire,come milioni di italiani, che si è trattato ditutta una serie di riflessioni politiche di note-volissimo livello. Finalmente e dopo tantotempo, ho sentito un politico che parlava dipolitica in modo adeguato e autorevole. Al-tro che Bondi, Cicchitto, Verdini o Capezzo-ne. In certi momenti, dopo aver chiuso gliocchi, mi pareva di stare a sentire… Bersani,Franceschini o un Veltroni, finalmente e do-verosamente arrabbiati. Ma non erano loro.Era, sul serio, proprio e soltanto Fini.Dio mio, però, il Presidente della Camera leha proprio cantate nel modo giusto a quelprepotente e analfabeta della politica che èBerlusconi, l’unico presidente del consigliomai salito al potere in Italia, con la sola capa-cità di badare soltanto ai fatti propri e agli in-teressi personalissimi, di famiglia e di gruppo.Certo, devo subito aggiungere che non vorreiin alcun modo averci a che fare con il “com-pagno Fini”, dopo averlo sentito ricordarecommosso Giorgio Almirante, il fucilatore dipartigiani e segretario dell’MSI. Lo ha dettosubito e per primo anche il sindaco di FirenzeMatteo Renzi e non si può che essere d’ac-cordo. Ed è bene precisarlo, renderlo esplici-to, chiarirlo, chiarirlo e chiarirlo ancora. Madetto questo bisogna prendere atto che Finiha detto, su Berlusconi, una serie di cose che,appunto, non si sentono dire spesso neanchedai dirigenti di sinistra. E le ha dette con fer-vore, passione, impeto e la voglia di fare chia-rezza fino in fondo. Proprio come avrebbefatto il vecchio rappresentante di una anticadestra liberale, rispettosa della democraziaparlamentare e della Costituzione.Lo avete sentito tutti. Ha parlato di uno che,nel governo, si comportata da padrone e trat-ta l’Italia come se fosse una sua personalissi-ma azienda. Ha aggiunto che non era possi-bile varare leggi che riguardavano soltanto il“padrone” e non tutti i cittadini. Precisando,subito dopo, che garantismo non voleva cer-

to dire impunità, E ancora, ha precisato Fini,che il Pdl non esisteva più e che si trattava diun partito senza democrazia e libertà e doveuno solo decideva sempre per tutti. E ancoraha continuato, spiegando che Berlusconi sicomportava come un re che trattava i cittadi-ni da sudditi per aggiungere, subito dopo,che l’Italia è una Repubblica e che, come ta-le, richiede democrazia, partecipazione e ilcontrollo del collettivo sul singolo. È statoanche ironico, ma fermo quando ha dettoche su quella piazza di Mirabello non c’erano“venditori della Standa” aggiungendo poi larichiesta di un grande rispetto per il Presi-dente della Repubblica che è davvero l’unicogarante della Costituzione. Ha anche parlatodel suo “Futuro e Libertà” e lo ha fatto conmisura e accortezza. Non leggeva neanchegli appunti e ha continuato, per più di un’o-ra, a parlare a braccio, ricordando a tutti ivergognosi attacchi dei giornali berlusconianialla sua famiglia. Per poi aggiungere ancorache lui “preferisce gli onesti ai furbetti”. Adue passi, alcuni giovani innalzavano un car-tello con la scritta: “All’eroe Mangano prefe-riamo Saviano”.E ancora, ancora fendenti contro il “partitodel predellino” e contro quelli che non ri-spettano la magistratura e sono tutti presidalle genuflessioni nei confronti di Gheddafi.Non ha risparmiato neanche alcuni dei suoiex “colonnelli” che – ha detto – hanno sceltoaltri generali.Insomma, un bel sentire e un politico che, fi-nalmente, parlava da politico e non si perde-va dietro le solite battute o le barzellette daquattro soldi che, ormai, non fanno riderepiù nessuno.Confesso: non avrei mai pensato che, ungiorno, avrei scritto bene di un discorso diFini e mi macero nel dubbo, con mille pove-re e banalissime angosce. Ma i fatti e la realtàsono, spesso, sorprendenti e sarebbe ridicolomettere la testa sotto la sabbia.E allora? Allora un bel niente. SicuramenteFini e i suoi voteranno ancora per tenere inpiedi il governo, ma è certo che sulla giusti-zia, sulla politica estera, sugli interessi perso-nali di tanti personaggi al potere, si schiere-ranno in modo diverso da quanto hanno fat-to fino al oggi.Berlusconi, dal canto suo, si è subito gettatoa capofitto nella ricerca dei parlamentari chepotranno sostituire i finiani. Poi ha scatenatodi nuovo i suoi giornali e il solito branco di“untorelli” per chiedere che Fini si dimettes-se da Presidente della Camera. Così abbiamovisto, ancora una volta, la ridicola faccia se-riosa di Capezzone (il peggiore del mondo)che dagli schermi televisivi diffondeva al vol-go gli ordini del capo, come se avesse riflet-tuto a lungo e di persona sul momento poli-

Mussolini in fuga verso la Spagnadel camerata FrancoLa copertina di questo numero richiama, simbolicamente, la vicenda dellafuga di Benito Mussolini (1945) verso la Svizzera e poi verso la Spagnafranchista, travestito da soldato tedesco. Poi, come si sa, arrivò la cattura daparte dei partigiani nei giorni della Liberazione e subito dopo la fucilazionedel capo del fascismo e dell’amante Claretta Petacci, a Giulino di Mezzegra,presso Como. I partigiani, dopo l’arresto del duce, fucilarono, come si sa,anche i membri del governo repubblichino e trasportarono tutti i corpi versoMilano con un camion. Giunti in città i cadaveri di Mussolini, della Petacci,dei ministri fascisti e dei capi del partito, vennero depositati a Piazzale Loretonello stesso punto dove, il 10 agosto del 1944, erano stati fucilati, perrappresaglia, quindici antifascisti prelevati dal carcere di San Vittore. Sui loro poveri corpi, i militi fascisti e le ausiliarie di Salò, avevano infierito alungo al punto di suscitare anche le proteste dello stesso Benito Mussolini.A Piazzale Loreto accorsero subitomigliaia di persone che volevano

vedere i corpi del duce del fascismo, della Petacci e dei gerarchi fascisti. Erauna folla inferocita che i partigiani in servizio d’ordine non riuscirono acontrollare. I vigili del fuoco, dopo avere usato gli idranti per guadagnarespazio ed evitare ulteriori tragedie, ordinarono che i corpi venissero appesiad un distributore di benzina poco distante. La scena fu terribile esconvolgente e furono gli stessi dirigenti antifascisti (Sandro Pertini in testa)ad ordinare che i corpi fossero tirati subito giù e trasferiti alla medicinalegale. Le foto che abbiamo scelto sono comunque quella del “generalissimo”Franco e dello stesso Mussolini, due camerati di due fascismi ugualmenteviolenti e terribili anche se il dittatore spagnolo tenne il proprio paese fuoridalla guerra. Franco, sicuramente, avrebbe ospitato volentieri il “maestroitaliano” che lo aveva aiutato nella conquista del potere insieme a Hitler.Per la controcopertina, invece, abbiamo scelto una foto di una delle tanteproteste dei precari della scuola rimasti senza lavoro. La scuola pubblica èormai al totale collasso, con la cosiddetta “riforma” Gelmini e i tagli decisidal governo. Tra l’altro, migliaia di bambini rimarranno fuori, nelle grandicittà, anche dagli asili nido.

tico prima di parlare. Terribile: checi tocca vedere e ascoltare tutti igiorni in televisione.Intanto a sinistra, e mi ripeto an-cora una volta, si continua a litigarefacendo finta di mettere a puntoprogrammi e strategie. E Prodi, ilpovero Prodi, dalla Cina, continua aripetere di “non capire” e di essere“allibito”. Un po’ come tutti gliitaliani, in fondo.

* * *Ci sono cose che colpiscono parti-colarmente e rimangono a frullarein testa per giorni e giorni. Una inparticolare mi ha “stranito” (comedicono a Roma). Ricorderete: primac’era stata la finiana Angela Napoliche aveva detto “che spesso le don-ne sono costrette a prostituirsi per

entrare nelle liste” dei diversi partiti.Ne era venuto fuori un pandemo-nio. Poi è saltato fuori il parlamen-tare del Pdl Giorgio Stracquadanio,notissimo per il nulla e per il nullaricordato, ma fondatore della rivistaonline “Il predellino”. Berlusconia-no fedelissimo, ovviamente. Unamattina ne ha dette delle belle. Inpoche parole il senso del suo discor-so è stato questo: “è del tutto legit-timo usare il proprio corpo per en-trare in politica, nelle liste e averesuccesso”. Pare si riferisse alle parla-mentari del suo partito, ma anche aquelle di altra area. Insomma – si faper dire – ha fatto un discorso pro-fondamente etico, rispettoso delledonne e tutto un inno, diciamo co-sì, alla loro intelligenza e alle singo-

le capacità personali e politiche. Poiha precisato, sommerso dagli insulti,che è davvero molto più grave pro-stituirsi “con la testa e con il cervel-lo”. Insomma, questo ometto congli occhialini, calmo, pacato e persi-no simpatico, lo dico a voce alta, hacapito davvero il momento politico.Lui sì che se ne intende!Ricordate quelle tre o quattro belleragazze pugliesi che dovevano di-ventare parlamentari europee delPdl, dopo un corso improvvisato disoli tre giorni? Alle spalle, poverette,avevano politicamente il nulla, maerano tutte assai graziose. Chissà seStracquadanio si riferiva a loro o adaltre italiche bellezze. Non lo sapre-mo mai.

W.S.

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L’acqua?E che importaa noi dell’ANPI«Sarebbe il caso in cui potremmo tranquilla-mente chiudere bottega», cosi concluse Scri-via, comandante della IV Divisione Garibal-di “Pinan-Cichero” – uno dei fondatori del-la sezione ANPI di Novi Ligure – allorchépaventò l’ipotesi che la nostra Associazione,facendo suoi gli ideali di un partito o appog-giandone una campagna o finalità non perti-nenti con il dettato del nostro statuto, dive-nisse una specie di malcelata succursale –conscia o inconscia non cale – di quel parti-to politico stesso, qualsiasi esso fosse.Mi, e Vi, pongo una domanda: siamo vicinia chiudere bottega? Domanda amara legittimata dal fatto che nelnumero di maggio, Patria, la rivista ufficialedell’Associazione, in prima pagina, anzichéesporre la bandiera del 65° anniversario del-la Liberazione, si affianca alla posizione so-stenuta da alcuni partiti sulla questione dellaprivatizzazione dell’acqua.Altre domande non meno amare sorgononotando che una iniziativa, dotata dell’altoapprezzamento del Presidente della Repub-blica, non ha avuto il bene di essere citatadal nostro organo ufficiale malgrado ci si siaaffrettati a darne notizia inviando anche ilcatalogo. Si tratta della mostra “I colori del-la memoria”. Una mostra promossa in parti-colare per le scuole dal nostro ComitatoProvinciale e dall’ISRAL, nonché da nume-rosi comuni del novese e ora patrocinata an-che dalla Provincia. Una mostra che sarà ri-petuta a Cantalupo nel ricordo della Batta-glia di Pertuso e per l’autunno a Genova-Pontedecimo ancora per le scuole.Mi e Vi domando: visto che da quantoemerge, tutto ciò sembra non avere interes-se, è forse da ignorare il tentativo di ripro-porre la memoria della Resistenza all’atten-zione dei giovani con metodi diversi daquelli usati perché costringe ad un impegnoplurimo e continuo? Meglio insistere sullestanche tradizionali commemorazioni cheservono a poco, ma non danno noia né dis-sensi, né, più di tanto, esigono solerzia?Centinaia di giovani delle scuole hanno visi-tato la mostra e, colpiti dal connubio colori-commento usato per riandare alla memoriadi quanti rimasti con “nomi giovani per l’e-ternità”, hanno scritto molteplici ringrazia-menti per il convincente modo di rimarcareun tassello della recente nostra storia, fino aproporre, con parole tenere, di “adottare ipartigiani”. Appare forse rischioso, oltre cheimpegnativo, aprire un colloquio fuori dallestanche commemorazioni passerella? O forseillustrare la Resistenza umile e feriale dei

portaschioppo rischia di demolire il castellodelle fandonie eroiciste su cui si regge la va-nagloria meritocratica e retorica in uso refe-rente a partiti? Ristabilire la quotidianità del-la lotta di Liberazione nazionale, rischia dialienare consensi? Meglio affiancare le prote-ste o proposte di uno o più partiti, protestepur condivisibili sul piano personale, ma cer-tamente fuori luogo dare ad esse appoggio ecredito in un organo ufficiale che vuole rap-presentare il Corpo Volontari della Libertà erimandarne la memoria? Siete certi che lanostra rivista non travisi, o travalichi, i suoicompiti che, come emerge dall’augurio in-viatoci per la nostra mostra, anche il Presi-dente della Repubblica indica nel: «tenereviva la memoria della Resistenza e nel dif-fonderne la conoscenza tra le giovani genera-zioni».E concludo citando la lirica riferita ai nostriCaduti del poeta Edoardo Sanguineti che,con apprensione, si augurava:«che nu s’acorsan che sa se teinta de sepelili su-ta a rumeinta».Un tentativo in atto da tempo, che occupan-doci delle beghe sull’acqua, o altri probleminon pertinenti quale Associazione, sicura-mente non osteggiamo, anzi rischiamo diaiutare.Ricordiamoci tutti e insieme con convinzio-ne, che il nostro dovere è di tenere viva lamemoria, la Loro di Memoria soprattutto, edi non sminuirla frammischiandola in appel-li o proteste contingenti, anche se legittime,ma che inducono a supporre una presa diposizione di parte, anzi partitica.Con profonda amarezza(Franco Barella - Novi Ligure, Alessandria)

* * *Abbiamo ricevuto la lettera di Barella primadelle vacanze, ma non abbiamo avuto il tem-po di pubblicarla. Eccola qua.Caro Barella, tranquillizzati: l’ANPI non èdiventata e non diventerà mai un partito. Ilnostro numero dedicato alla privatizzazionedell’acqua era del tutto legittimo. I partigia-ni si sono battuti per la democrazia, la giu-stizia sociale e la libertà. Privatizzare un be-ne collettivo come l’acqua è davvero da fasci-sti e, dunque, un atto di un egoismo sconvol-gente e ingiusto verso la collettività e l’interoPaese.Non mi interessa chi ha proposto una batta-glia di libertà contro gli infami arraffatoridi un bene collettivo. Si tratta di una batta-glia giusta; punto e basta. Non abbiamo datonotizia della vostra mostra e ce ne dispiace,ma le iniziative dell’ANPI in tutta Italia“per grazia di Dio e volontà della Nazione”sono sempre tantissime e non possiamo pubbli-care tutto, tutto. Sarà per la prossima volta.

W.S.

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Fascisti anche i soldatinidi piomboCari amici,vi segnalo che in questi giorni è incommercio la collezione di soldatinidi piombo dipinti a mano intitolata“Corpi d’élite delle forze armate ita-liane” e che la terza uscita prevedecome esemplare un marò del batta-glione Barbarigo della X mas (e finqui abbozziamo, pur con tutte le ri-serve del caso). La chicca: per i clien-ti che richiedono la distribuzione adomicilio è previsto l’invio in regalodi un “elegante orologio da taschinocon lo stemma della X mas”.Tutto questo dal gruppo Hachette,che ha deciso di fare concorrenza agliambulanti di Predappio... Per confer-ma andate a vedere all’indirizzo http://www.hachette-fascicoli.it/opere-

minisito-abbonati/corpi_elite.htmNon è il caso di sollevare una contesta-zione sull’opportunità dell’iniziativa?(Enrico Pagano - direzione Istitutoper la Storia della Resistenza e dellasocietà contemporanea di Biella eVercelli “Cino Moscatelli”)

Un’opposizionecoesa controil “padrone”Ormai è da anni cosa scontata, cheogni italiano da quando apre gli oc-chi il mattino a quando li richiude lasera, vive direttamente o indiretta-mente qualcosa del Cavaliere di Ar-core. E non sono solo gli avveni-menti politici, sempre alla ribaltacon un primo Ministro che in ognimomento mette in evidenza un vec-chio e deleterio modo di dire: chinon è con me è contro di me. Ed èsu questo detto che con tristezzadobbiamo purtroppo constatareche, nonostante il trascorrere deglianni e una certa evoluzione cultura-le, gran parte del popolo italianosembra proprio non avere imparatonulla dalle tragedie portate da chi èstato portatore di questo dire. Tornando all'inizio del discorso,penso e mi domando, come tantiitaliani possono con indifferenza vi-vere la profonda crisi che attanagliaquesto Paese con l'apatia di chi nonvede e sente, ma anzi sostenere ungoverno di cui il capo è proprietario

di radio (R 101), televisioni (Media-set), libri e rotocalchi (Mondadori)un giornale (Il Giornale), banche(Mediolanum), un teatro (Il Man-zoni), film (Medusa), calcio (Milan),ville ed altro. Penso che nessun ita-liano sia passato indenne nel bene onel male da questa enorme rete, percui mi chiedo come possano dire al-cuni che bisogna far politica senzanominare il cavaliere di Arcore. Se nel mondo esistono paesi chenon possono fare a meno di un pa-drone che li governi, a me viene ma-lignamente da pensare che l'Italiasia fra questi. Ma certo, a noi italia-ni l'esperienza in tal senso non man-ca, ed allora perché non riprovarciusando per arrivarci metodi più in-telligenti e sofisticati di allora? E sì,e guarda caso, il furbastro tentativoè proprio nelle mani dei discepoli diMussolini.Dobbiamo quindi fermamente au-gurarci e sperare che si formi final-mente una opposizione coesa ed ef-ficace con un preciso programma disviluppo per il Paese e che si pongacon grande responsabilità nelle con-dizioni di respingere democratica-mente ogni tentativo di eversionepiù o meno spinta. Inoltre, la me-moria storica ha necessità di essererinfrescata nella mente dei cittadiniitaliani bisognosi di acquisire unamaggiore coscienza sui valori che lanostra Costituzione, nata dalla Resi-stenza, indica.(Ermenegildo Bugni - partigiano -Bologna)

Sulla Festa Nazionale ad AnconaBuon giorno a tutti,mi chiamo Valeria, faccio parte dellasezione ANPI di Pontedecimo-Ge-nova e da alcuni anni sono abbona-ta a Patria indipendente.Mi scuso in anticipo, ma ho decisodi inviare la presente mail perchécon mio rammarico mi trovo in di-saccordo con quanto scritto relati-vamente alla riuscita della Festa na-zionale ad Ancona. Specialmentenell’articolo “Girare, cercare, ab-bracciarsi tutti noi fratelli dell’AN-PI” dello scorso mese di luglio.Sono arrivata alla Mole Vanvitelliananel pomeriggio di giovedì 24 giu-gno quando, nonostante l’inaugura-

zione svoltasi in mattinata, tutto eraancora in divenire ed ammetto cherisultava difficile orientarsi in quegliambienti, bellissimi ma forse troppoampi e dispersivi, in cui altre perso-ne come me cercavano con difficol-tà informazioni di vario tipo, senzatrovare un indirizzo ben preciso.Anticipo che non è mia intenzioneesporre alcuna critica agli organiz-zatori dell’evento, che anzi ringra-zio per l’enorme impegno profuso eper l’ottimo programma presentato. Espongo questi miei pensieri, congrande dispiacere, per la scarsa par-tecipazione ad un evento che riten-go di enorme rilevanza; senza diquesto andrebbe perso, secondome, un importante momento di in-contro e condivisione. La prima Festa a Casa Cervi era sta-ta bella e coinvolgente e speravofosse solo l’inizio di una lunga serieed invece... Non so giudicare cosapossa essere mancato... forse unaadeguata informazione e pubbliciz-zazione, forse un essenziale coordi-namento tra i diversi livelli dell’or-ganizzazione (dalle sezioni al nazio-nale), o forse manca effettivamentela volontà e l’interesse per favorire eportare avanti un’iniziativa cosìgrande e così bella. La mia critica è rivolta a coloro chelì mancavano e che non hanno névisitato né sostenuto con il loro ap-poggio questa Festa.Ho sperato che le cose potessero an-dare migliorando durante i giorniseguenti, ma anche nel momentodel discorso conclusivo, la domenicamattina, sono rimasta colpita dal risi-cato numero di persone presenti: ba-sta guardare le fotografie per render-si conto che quello non poteva esse-re il pubblico di una festa nazionale!Se davvero per l’ANPI si è aperta unnuova stagione, dove erano tutti iCompagni e le Compagne del Nord,del Sud e del Centro Italia?Me lo domando con tristezza e ti-more, il timore che questa tanto de-clamata partecipazione sia davverodifficile da ottenere ed incrementare.Perdonatemi per le mie considera-zioni, non ritengo di essere una per-sona pessimista, ma preferisco guar-dare le cose in modo razionale e ve-ritiero, per pormi le giuste domandee cercare la migliore direzione daseguire. Saluti(Valeria Nosiglia - per e-mail)

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di Wladimiro Settimelli

Documenti

datata al settembre del 1944, ma è assai recente”. Ilprofessor Cova osservava ancora che sotto i falsi no-mi spagnoli si celavano quelli di Benito Mussolini eClaretta Petacci i cui nomi erano indicati scritti a la-pis in alto e che avrebbero dovuto essere trascritti,più tardi, in inchiostro rosso al posto giusto. Insom-ma un trucco da far valere, forse, alla frontiera sviz-zera e poi a quella spagnola. Questo è quello cheemerge dalla relazione Cova (che pubblichiamo inte-gralmente per il suo notevolissimo interesse storico emedico, anche se dal punto di vista scientifico non sidiscosta molto da quella del prof. Cattabeni) e non

Q uando Benito Mussolini venne arrestato aDongo dai partigiani della “52a Brigata Gari-baldi”, alla testa di una colonna di auto con

tutti i membri del governo della repubblichina di Sa-lò, stava dirigendosi verso la Svizzera, ma in realtà,molto probabilmente, la meta finale era la Spagna. Larivelazione è contenuta tra i documenti sulla autopsiadel duce del fascismo condotta all’Istituto di Medici-na Legale dell’Università di Milano dai professoriCaio Mario Cattabeni e Pier-luigi Cova il 30 aprile del1945. È proprio il professorCova che, nella relazione peri-tale, ai fogli numero X, XI eXII spiega di aver rinvenuto,nella tasca posteriore dei pan-taloni di Mussolini (indossavaquelli della Milizia e mutandedi lana lunghe) una busta gial-la con un foglio in carta inte-stata del consolato spagnolo diMilano. La lettera era datata14 settembre 1944 e scritta amacchina in lingua spagnola.Spiegava che i titolari dellamissiva erano i coniugi Isabellay Alonso …. di nazionalità spa-gnola, profughi della guerrache chiedevano di rientrare inpatria. In merito alla lettera, ilprofessor Cova, nella sua rela-zione, osservava che “è troppopoco sgualcita per essere delloscorso anno e dunque è retro-

Durante l’autopsia rinvenuti documenti inequivocabili

Mussolini in fuga verso la Spagnadel camerata Franco

La famiglia Mussolini al completo. Siamo nel 1929. All’estrema destra Rachele Guidi, la mogliedel duce del fascismo.

Alcune carte in questo senso trovate addosso al duce dal prof. Pierluigi Cova •Una lettera datata 14 settembre 1944 • Il professor Caio Mario Cattabeni nonha mai scritto niente su quei documenti • Un falso generale partigiano avevapoi fatto sparire tutto • La ricostruzione della fucilazione a Giulino di Mezzegra.

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di svolgere quel particolarissimo lavoro sul corpo diMussolini, avevo incontrato il professor Cattabeni. Alui avevo chiesto di venire a darmi una mano il gior-no successivo, quello dell’esame autoptico. Già pre-vedevo un gran carico di difficoltà, dato il caos diquei giorni bellissimi dopo la ritrovata libertà. Il mo-mento politico era difficilissimo per la fine della guer-ra, l’arrivo dei partigiani e degli alleati. Poi – avevadetto ancora il professor Cova – sapevo che il capodel fascismo era stato esposto, appeso per i piedi, nelPiazzale Loreto e che quindi il lavoro di noi peritisettori sarebbe stato più lungo e complicato. Certoche non ero d’accordo con quel che era accaduto, macapivo la rabbia e il dolore della gente, dopo anni dioppressione, di guerra, di bombardamenti. Natural-mente Cattabeni mi aveva detto di sì».Avevamo chiesto ancora al professor Cova se confer-mava la storia del documento spagnolo ritrovato neipantaloni di Mussolini e quale era la sua convinzione.Lui aveva risposto affermativamente aggiungendo:«Insomma è chiaro che Mussolini e la Petacci stava-no scappando verso la Spagna e non verso la Sviz-zera».La storia dei documenti trovati nei pantaloni di Mus-solini è comunque conosciuta solo da alcuni studiosi,ricercatori ed esperti, ma per il resto è rimasta miste-riosamente chiusa nei cassetti per anni e anni, senzache nessuno abbia mai aperto bocca. Insomma, l’opi-nione pubblica non è mai stata informata corretta-mente e con l’ampiezza dovuta che il duce del fasci-smo e Claretta Petacci, quando furono arrestati daipartigiani a Dongo, erano in fuga verso la Spagnafranchista e che la Svizzera doveva essere soltanto unpunto di passaggio. Poi cercheremo di capire perché.

È necessario, a questo punto,ripercorrere sommariamentegli ultimi giorni, le ultime oree gli ultimi minuti di vita delcapo del fascismo, per megliocapire la faccenda delle cartespagnole. Su quei giorni sono stati scrittimigliaia di articoli e decine dilibri. Uno dei più seri e docu-mentati è quello di AlessandroZanella dal titolo “L’ora diDongo”, editore Rusconi, dalquale attingeremo per tuttauna serie di notizie. Dunque, il fascismo sta per es-sere spazzato via e il crollo ditutte le strutture del regime èterribile e drammatico. Musso-lini parla per l’ultima volta alteatro Lirico di Milano e riesceancora ad entusiasmare i suoi.È il 16 dicembre del 1944.Mussolini, dopo il discorsotorna a Gargnano, sul lago diComo e vive in una specie di

siamo certo noi ad affermarlo. Un falso generale par-tigiano aveva poi fatto sparire la lettera per la fuga diMussolini e la Petacci in Spagna presentandosi alprof. Cova proprio durante l’autopsia. D’altra parte,i misteri sulla fuga di Mussolini e della Petacci, sonoancora tanti e le domande senza risposta non sonomai mancate.Eccone di nuovo alcune che sono state molto spessoposte da alcuni partigiani comaschi che ritengono iltesto di Cova la vera e autentica autopsia di Mussoli-ni: prima di tutto perché nel resoconto autoptico delprofessor Cattabeni la faccenda della lettera del Con-solato spagnolo per il duce e la Petacci, non vienemai citata? E soprattutto perché per discutere, pole-mizzare, scrivere servizi, inventare mille situazioni di-verse, realizzare film e mettere insieme ricostruzioniassurde o “verità” dell’ultim’ora, si è sempre parlatoe pubblicato integralmente solo il documento Catta-beni e mai quello Cova? Chi ha voluto mettere la sor-dina agli eventuali accordi stretti tra Mussolini e leautorità franchiste? Probabilmente lo stesso Francoche non ci teneva a far vedere agli alleati vincitori diessere, fino all’ultimo, l’unico protettore di Mussoli-ni in Europa.Era stato comunque il professor Cova e non Cattabe-ni, ad avere avuto l’incarico ufficiale dell’autopsia delcorpo del duce. Qualche anno fa (20 maggio 2002),lo stesso perito settore ci aveva raccontato, in unalunga intervista telefonica, come erano andate le co-se. «Io e il professor Cattabeni lavoravamo insiemeall’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Mi-lano che aveva sede in Piazzale Gorini. Nel mio lavo-ro ero conosciuto e stimato anche perché avevo giàeseguito centinaia di autopsie. Il giorno dell’incarico

Mussolini ormai vecchio e stanco nei giorni di Salò.

limbo. Laggiù, ogni villa, ogni palazzotto è sede diqualche comando fascista o di qualche ministero. Lecose vanno avanti tra vendette e rastrellamenti ferocidei fascisti e dei nazisti. Non lontano da Mussolini vi-ve Claretta Petacci. La moglie del duce, Rachele Gui-di, con i figli, vaga anche lei da una villa all’altra. Or-mai gli alleati avanzano ovunque e i partigiani hannogià liberato piccole e grandi città, e quando arrival’ordine insorgono. In molte zone sono già scesi dal-le montagne. Quel 25 aprile lo sciopero generale è inatto nel cuore di Milano e la città appare, per qualcheora, immobile, deserta, come sospesa. Poi gli operaiescono dalle grandi fabbriche con le armi in pugno ei partigiani dilagano. Ovunque, in città, gli scontrisono feroci. Per i “repubblichini” è il momento di“arrendersi o perire”. Insomma è la fine. Anche il ca-po del fascismo si è reso conto che tutti lo stanno ab-bandonando, nazisti compresi, e che l’idea di morirecombattendo nel celebre ridotto della Valtellina è so-lo una pia illusione. Quindi, anche per lui, nemmenola “bella morte” nell’ultima difesa. Le migliaia di fa-scisti che dovevano arrivare da tutta Italia, secondo lepromesse di Alessandro Pavolini, segretario del parti-to e comandante delle brigate nere, si sono invece di-leguate. Rimangono solo i fascisti più vecchi e i ra-gazzini volontari. Mussolini cerca ancora la via dellatrattativa e si presenta, come si sa, nella sede dell’Ar-civescovado di Milano dove incontra il cardinale Il-defonso Schuster e i membri del Comitato di Libera-zione Alta Italia che chiedono la resa incondizionatadi tutti i fascisti e dei tedeschi. Nella sede dell’Arcive-scovado sono presenti il cardinale, il suo segretario,Rodolfo Graziani, comandante dell’esercito di Salò,Mussolini, alcuni segretari federali e poi i capi antifa-scisti: Riccardo Lombardi, Raffaele Cadorna, Giusti-no Arpesani e Achille Marazza. Con un po’ di ritardoarriva anche Sandro Pertini. È in quella occasione cheil capo del fascismo viene a sapere che i tedeschi, datempo, avevano iniziato le trattative con gli alleati,offrendo anche il disarmo delle milizie fasciste. L’im-provvisata trattativa non arriva a niente e Mussolini ei suoi escono e raggiungono la prefettura piena di ar-mati fascisti e di gente che si sta preparando alla fuga.Ovunque è pieno di auto che vengono caricate di va-lige, bauli, borse. In una delle auto c’è anche Claret-ta Petacci. È il momento della partenza per Como ela colonna, con la macchina di Mussolini in testa, simette in moto. Nel corso del viaggio un furgoncinocarico di documenti importanti rimane bloccato perun guasto e sparirà. Per un po’ di tempo.Da questo momento in poi, i fatti e gli accadimentisono noti e conosciuti. Continuiamo, comunque, laloro esposizione, sempre in modo sommario.I partigiani hanno occupato Milano e ora chiudonotutte le strade della Valsassina, tagliano i cavi delle co-municazioni e istituiscono ovunque posti di blocco.Fascisti e nazisti continuano a ritirarsi verso il Nordin una confusione indescrivibile. Mussolini, nella pre-fettura di Como, dove la colonna di auto è appenaarrivata, scrive un’ultima e brevissima lettera alla mo-

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Claretta Petacci nella nuova casa di Monte Mario.

Una delle tante lettere scritte da Claretta Petacci a Mussolini.

glie Rachele chiedendo scusa per averla fatta soffriree ordina poi di non essere seguito perché la cosa sa-rebbe pericolosissima. Anche Rachele con due dei fi-gli è a Como e tenta di passare in Svizzera con lascorta e alcuni civili, ma viene respinta. Il 26 aprile alle 4,40 del mattino, dopo un quasiscontro armato con la scorta tedesca, che non volevafarlo partire, Mussolini si avvia verso Menaggio. Tut-ti lo seguono ancora una volta. Anche la macchinacon Marcello Petacci, fratello di Claretta e marito diZita Ritossa si infila nella colonna. Claretta è sedutadietro in silenzio. Dice soltanto di voler seguire il suo Ben (così lo chiama da sempre) anche in capo almondo. La partenza, ancora una volta, è avvenuta inun clima di totale disfatta, con liti furibonde tra mi-nistri, capi militari, brigatisti neri e federali di moltecittà italiane. Naturalmente sul dove andare e cosa fa-re. È proprio a Menaggio che Mussolini, stranamen-te, incontra anche Marcello Petacci. I due, nei “tem-pi belli”, non si sopportavano.Mussolini e alcuni ministri, ascoltano da “Radio Mi-lano libera” la presa di possesso del potere da partedel Comitato di Liberazione Nazionale. Siamo al 26aprile. Il messaggio letto alla radio parla chiaro: i fa-scisti che non si arrenderanno andranno incontro al-lo sterminio come nemici della Patria. È firmato daLuigi Longo, Emilio Sereni, Ferruccio Parri, Leo Va-

liani, Achille Marazza, GiustinoArpesani, Filippo Jacini, RodolfoMorandi e Sandro Pertini. Nellazona del Lago, intanto, sono già inpiena azione spie del regno delSud, gruppi di specialisti americanie inglesi che sono alla ricerca diMussolini e dei suoi ministri. Mol-ti di loro pensano che tutti si stia-no dirigendo in Alto Adige, versoMerano per poi passare in Ger-mania. A Menaggio e Grandola, comun-que, si forma di nuovo una colonnadi auto in partenza. Pare che i tede-schi, in alcune zone, abbiano otte-nuto un accordo con i locali Comi-tati di Liberazione perché le forzenaziste siano lasciate libere di transi-tare e andarsene. Intanto è arrivatoanche Pavolini con un gruppo deisuoi e un camion trasformato in au-toblinda. Tutti finiscono inglobati,non certo in base ad un piano pre-cedente, in una colonna di mezzitedeschi in fuga al comando del te-nente dell’aeronautica Willy Flam-minger. Sono soldati della “Flak”,la contraerea, e potentemente ar-mati.Gli uomini in fuga e i loro mezzi,stanno ora avviandosi verso Don-go. Il 24 aprile, sui monti presso

Dongo, nel corso di un rastrellamento fascista eranostati uccisi quattro partigiani. La popolazione avevaorganizzato un solenne funerale, ma i brigatisti neriavevano sparato in aria disperdendo la gente e impe-dendo l’addio ai morti. Nella zona, quindi, il clima èdi angoscia, di dolore e di rabbia. Nell’Alto Lario, daMusso in su, i partigiani sono attivissimi da tanti me-si. C’è in particolare il distaccamento “Puecher”, del-la 52a Brigata Garibaldi composto da partigianiespertissimi e coraggiosi. Lo comanda Pier Luigi Bel-lini delle Stelle, detto “Pedro”, un nobile fiorentinodi 25 anni, che ha al suo fianco un comunista di fer-ro, il commissario politico Michele Moretti, nome dibattaglia “Pietro” o “Gatti” e l’ex finanziere UrbanoLazzaro, “Bill”, vice di Moretti.Il 26 aprile sono tutti scesi dai monti del Berlingherasul lago, a Domaso, Gravedona e nei dintorni. Nelpomeriggio del 26, molti fascisti di quelle zone sonofuggiti o si sono arresi. Così anche il locale presidiotedesco.La colonna dei fascisti e dei nazisti in fuga, lunga or-mai più di un chilometro, parte da Menaggio all’alba.Ovviamente c’è anche Fritz Birzer che comanda lascorta nazista al duce. Pioviggina. Le auto, il camionautoblinda e i mezzi tedeschi, cominciano a correreal lato del lago, una strada stretta e piena di curvecon a sinistra la montagna e a destra l’acqua (è la fa-

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Il dittatore Francisco Franco.

mosa via Regina). A Musso c’è una prima sparatoriadi partigiani contro la colonna in movimento che siblocca. I fuggiaschi sono finiti in pieno in un posto di blocco partigiano. È chiaro che i combattenti del-la libertà avevano già saputo dei fuggitivi e che, pro-babilmente, Mussolini era a bordo di una delle autocivili.Quel che accade dopo è ben noto: iniziano lunghetrattative fra tedeschi e partigiani e, alla fine, si arrivaad un accordo. I partigiani sono pochi e male armati,ma riescono a convincere i tedeschi che i ponti dellazona sono minati e che gli uomini scesi dalla monta-gna, con i combattenti locali, sono in grado, armi inpugno, di fare a pezzi la colonna. Dunque i tedeschipotranno passare, i fascisti no. A questo punto gli uo-mini di Mussolini convincono il loro duce ad indos-sare un cappotto tedesco con relativo elmetto e poiad andare a sedersi su un camion in mezzo ai tedeschiveri. I partigiani, però, perquisiscono tutta la colonnaed è l’ex marinaio Giuseppe Negri che scopre Musso-lini travestito, lo riconosce e poi avverte i comandan-ti partigiani. Il duce del fascismo viene fatto scende-re. L’intero governo repubblichino e lo stesso Mus-solini, vengono trasferiti nel municipio di Dongo, inquella che viene pomposamente chiamata Sala d’Oro.La voce che i partigiani hanno arrestato il capo del fa-scismo corre in tutti i paesi e sulla piazza di Dongo,nel giro di poco più di un’ora, si raduna una gran fol-la. Nella Sala d’Oro ci sono i primi interrogatori e sistende un elenco di coloro che hanno avuto respon-sabilità gravissime nella tragedia italiana: saranno tut-ti fucilati, secondo quanto è già stato disposto dalComitato di Liberazione Nazionale. Dalle auto dellacolonna vengono scaricati bagagli, cassette, casse,contenitori di ogni genere e tipo. I fascisti si sonoportati dietro gioielli, oro in lingotti, assegni, unagrande quantità di dollari, sterline oro, franchi sviz-zeri, milioni in lire italiane, alcune damigiane di fedid’oro (quelle famose “donate alla Patria”) e persinole corone e il tesoro del Negus, lo sconfitto regnanted’Etiopia. Su tutta quella ricchezza, in parte scom-parsa, nascerà la famosa vicenda dell’oro di Dongoche vide mettere sotto accusa i partigiani comunistiin un periodo di duro attacco alla storia della Resi-stenza.Mussolini, a parte i bagagli personali, ha, invece, sol-tanto due grandi borse che non abbandona mai: so-no piene di documenti “per difendersi – spiega spes-

so – nel caso di un eventuale processo” degli alleati.Marcello Petacci e la moglie Zita Ritossa si sono fer-mati a Musso in una casa di contadini. Con loro, ov-viamente, c’è anche Claretta. Marcello, con tutti, sispaccia per un diplomatico spagnolo che torna in pa-tria. Sull’auto ha addirittura issato proprio una ban-dierina spagnola. “Pedro”, “Pietro” e “Bill”, sono trai loro partigiani e accompagnano personalmenteMussolini nel Comune di Dongo. Con le sue duegrandi borse, naturalmente.La Piazza di Dongo, davanti al Comune, è, come si èvisto, piena di gente, di bandiere, di armati, di perso-naggi strani, di carabinieri in divisa e finanzieri. Tra icomandanti partigiani c’è molta preoccupazione. In-fatti potrebbero arrivare dei fascisti travestiti da com-battenti della libertà, per liberare e portare via Mus-solini. Da Musso giunge, alle ore 16, la macchina coni Petacci: Marcello, la moglie e la stessa Claretta cheesibiscono a chi controlla, passaporti spagnoli conti-nuando a dichiarare di essere rappresentanti diploma-tici di ritorno a casa. Ma non vengono creduti e il co-mandante “Bill” (esperto di passaporti come Finan-ziere) dichiara tutti in arresto. A questo punto i par-tigiani decidono di trasferire Mussolini nella casermadella Finanza a Germasino. Intanto, tra i partigiani ei dirigenti politici del Cln, è già cominciato il dibatti-to se tenere Mussolini a Dongo o invece consegnarlo

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Ai nazisti dodici miliardi al mese per essere “protetti”Quanti soldi volevano i camerati tedeschi dalla Repubblica di Salò, per garantire la “sicurezza dello Stato”, perproteggere il territorio di competenza e per partecipare alle azioni antipartigiane? Dai dati forniti nel corso di alcuni processi, la cifra raggiungeva i dodici miliardi e mezzo di lire al mese: per l’epocauna cifra colossale. Negli ultimi tempi, quando era già chiaro che ormai la guerra era definitivamente persa, il ministro delle Finanze di Salò, Giampietro Domenico Pellegrini, non intendeva più pagare in anticipo ai tedeschi quella incredibile gabella. Aveva quindi spiegato al console germanico Wolff di non avere più soldi in cassa. Il rappre-sentante di Hitler aveva risposto di assaltare, se necessario, istituti bancari o aziende private.

Mussolini è ormai prigioniero dei partigiani. A due di loro e inparticolare al brigadiere Buffelli, della Finanza, rilasciò, su richie-sta, la seguente dichiarazione: «Sono stato fermato oggi dalla 52a

Brigata Garibaldi a Dongo. Il trattamento usatomi prima e dopol’arresto è stato corretto».

al Comando generale di Milano che è stato avvertitodella cattura. A quelle polemiche e alle successive de-cisioni sono presenti anche il “capitano Neri”, ossia ilragionier Luigi Canali e la staffetta “Gianna”, che sichiama Giuseppina Tuissi, conosciutissimi comecombattenti della libertà in tutta la zona. È nella ca-serma della Finanza che Mussolini domanda a “Pe-dro” “notizie della signora”, ossia della Petacci. “Pe-dro”, poco dopo, la incontra di persona a Dongo, inComune. Più tardi, ancora nel buio più completo, ipartigiani vanno a prelevare Mussolini dalla casermadella Finanza e lo trasferiscono a Bonzanigo. La Pe-tacci, arrivata da Dongo, viene fatta salire sull’auto diMussolini sotto una pioggia infernale. È proprio aBonzanigo che la coppia, con il gruppo dei partigia-ni di scorta (“Neri”, “Pietro”, “Gianna” e due altrigiovanissimi ragazzi: “Lino” e “Sandrino”) vieneportata, in alto sulla collina, in casa della famiglia De Maria, fidatissimi contadini antifascisti. La padro-na di casa, Lia, accende il fuoco nel camino e preparaqualcosa da mangiare. Poi il duce e Claretta vanno aletto.Siamo a sabato 28 aprile e da Milano arrivano a Don-go, il colonnello “Valerio”, ossia Walter Audisio chesi trovava a disposizione negli uffici del Comitato diLiberazione Nazionale insieme a Luigi Longo, MarioArgenton, rappresentante liberale, ufficiale superioreaddetto allo Stato maggiore del Generale Cadorna.Ci sono anche Pertini e altri comandanti partigianidella montagna e della città. “Valerio” è un tipo grin-toso e di poche parole. A lui era stato impartito l’or-dine, da Luigi Longo del Pci e comandante dei parti-giani garibaldini e dal generale Raffaele Cadorna, difarsi consegnare Mussolini e di fucilarlo sul posto.Con Audisio ci sono anche Aldo Lampredi (“Gui-do”) un uomo del Pci e una decina di partigiani del-l’Oltrepò Pavese, richiesti specificatamente dallo stes-so Audisio come scorta. Dopo discussioni, tensioniimprovvise, documenti mostrati e rimessi in tasca, èMoretti che, alla fine, dice che sarà lui ad accompa-

gnare Audisio in casa De Maria. Moretti è un comu-nista disciplinato e di grande carisma. È stato infor-mato da Audisio quali sono gli ordini e quindi obbe-disce.Si parte per la casa De Maria dove Mussolini e la Pe-tacci vengono prelevati. La coppia risale sull’auto delgiorno prima con i partigiani e dopo aver percorso apiedi un pezzo di strada strettissima e in discesa (viadel Riale), i due vengono fatti scendere dopo pochiminuti alle prime case di Giulino di Mezzegra, da-vanti al cancello di Villa Belmonte, di proprietà deldottor Naldo Bellini. Lui borbotta qualcosa, ma nonsi ribella. Pare proprio rassegnato. Dopo pochi minu-ti è la fine, la drammatica fine della tragedia italiana.Mussolini e la Petacci vengono abbattuti a colpi dimitra. Quello di Audisio, nei momenti di tensione edi nervosismo, si è inceppato ed è Moretti che inter-viene. Forse è lui che spara la raffica mortale. WalterAudisio racconterà poi di essersi fatto dare da “Pie-tro” il suo mitra francese. La Petacci non doveva mo-rire e nessuno voleva colpirla, ma è lei, con un atto diamore e di coraggio, a voler rimanere attaccata aMussolini come per proteggerlo.Audisio aveva detto qualcosa al capo del fascismo elui aveva risposto con un “colpite al cuore”. Davantia Mussolini e alla Petacci c’erano, dunque, nel mo-mento conclusivo del dramma, il colonnello Valerio omeglio Walter Audisio, Michele Moretti, “Pietro” eAldo Lampredi, “Guido”.Questa versione dei fatti venne pubblicata con gran-de rilievo da l’Unità nel 1996, dopo che i protagoni-

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Il cancello di Villa Belmonte davanti al quale furono fucilatiMussolini e Claretta Petacci.

Walter Audisio, “Valerio”, in divisa da colonnello partigiano. Audi-sio comandò il gruppo di tre partigiani che fucilarono il duce ob-bedendo agli ordini del Comitato di Liberazione Alta Italia. “Vale-rio” si assunse sempre, in prima persona, la responsabilità di aver“reso giustizia al popolo italiano”.

sti della fucilazione di Mussolini,su richiesta della direzione del Pci,avevano rimesso, negli anni ’70, iloro racconti ad Armando Cossut-ta, il dirigente che alle BottegheOscure si occupava degli archivicomunisti. Ovviamente, è impen-sabile che Audisio, Lampredi eMoretti, potessero in qualche mo-do raccontare menzogne al propriopartito.Intanto a Dongo, sulla Piazza delComune, proprio sul lungolago edavanti ad una gran folla, eranostati fucilati tutti i componenti delgoverno repubblichino, in unaspecie di crescendo angoscioso, trasangue e spari, ma psicologica-mente liberatorio. Con quell’attodi giustizia popolare si chiudevanocosì, venti anni di dittatura fascista,di orrori e di guerra. La fucilazionecollettiva venne ripresa da un ap-passionato cineamatore: il signorLuca Schenini.Quel che accadde dopo è tropponoto per essere raccontato ancorauna volta fin nei dettagli. I corpi diMussolini, della Petacci e dei mini-stri fascisti, vennero trasportati incamion fino a Milano. Poi sistemati per terra in Piaz-zale Loreto, come un terribile monito. Una specie dimonito per il futuro e come segno di totale cambia-mento e di ricerca per una nuova Patria. Proprio adue passi da dove, il 10 agosto del 1944, erano statifucilati quindici antifascisti su ordine dei nazisti. Nonavevano fatto niente di particolare, quei compagni.Erano solo degli oppositori attivi al regime di terrorefascista. Su quei poveri corpi, i fucilatori avevano in-fierito con grande crudeltà e oscenità. Lo stesso Mus-solini aveva scritto una lettera di protesta alla Brigatanera e alle ausiliarie fasciste che avevano eseguito ilmassacro, annunciando provvedimenti di punizione.Accadrà anche ai corpi dei gerarchi fascisti e in parti-colare a quelli di Benito Mussolini e di Claretta Pe-tacci. Quello di lui sarà preso a calci dalla folla infe-rocita e poi centrato da una serie di colpi di pistolasparati post-mortem. Poi ancora calci e botte, in unaspecie di follia collettiva. Una donna tutta vestita dinero, madre di due figli morti in guerra, si distingue-rà per le urla, il pianto, la rabbia. E così faranno unpaio di partigiani milanesi torturati dai fascisti, unsoldato prigioniero tornato a piedi dalla Grecia. E poiancora alcuni superstiti dei campi di sterminio. Inquelle ore, una folla immensa, si radunerà nel Piazza-le Loreto e il servizio d’ordine partigiano non riusci-rà mai a trattenerla come sarebbe stato necessario. Ivigili del fuoco useranno anche le pompe per tentaredi allontanare i più vicini. Poi prenderanno la deci-sione macabra e terribile di appendere quei corpi a

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In alto il documento rilasciato dal Comando di Liberazione AltaItalia a Walter Audisio in missione speciale. Sotto, il documento dilibera circolazione da esibire agli alleati rilasciato ad Audisio dalcapitano dei servizi segreti USA Daddario.

testa in giù, alla tettoia del distributore di benzina.Nessun ordine partigiano, o del Corpo Volontari del-la Libertà, era stato mai dato in questo senso. SandroPertini, quando verrà a sapere che cosa stava acca-dendo a Piazzale Loreto, parlerà di “macelleria mes-sicana” e della necessità di tirare subito giù quei cor-pi. L’ordine, poco dopo, verrà eseguito da altri parti-giani subito accorsi sul posto.Questi sono i fatti sugli ultimi giorni di Mussolini,della Petacci e della repubblichetta di Salo.E i rapporti con la Spagna? Ecco come li raccontaAlessandro Zanella nel suo “L’ora di Dongo”.

«Siamo al 25 aprile ed è Marcello Petacci che si trova,con la moglie e i figli, al Consolato Spagnolo di Mila-no. È lui che chiede al console Don Fernando Can-thal se è disposto ad una importante missione perconto di Mussolini. Il Console accetta e Petacci conCanthal, si precipitano di corsa in prefettura, dal du-ce. Si sente già sparare per le strade della città. AlConsole, Mussolini affida una lettera per l’ambascia-tore inglese Norton che si trova a Berna. In quella let-tera, il capo del fascismo offre agli inglesi la resa dellaRSI e chiede che il fascismo non sia completamentedistrutto per fare da argine, in futuro, al bolscevismo.Canthal parte subito per la Svizzera. Quando rientra èormai troppo tardi. Il console, su questa faccenda, ri-mette un dettagliato rapporto, datato 6 maggio 1945,al ministro degli esteri madrileno Lequerica. Abbiamofatto ricerche a Madrid, ma pare che le carte di queigiorni siano definitivamente sparite.C’è dell’altro: il 23 aprile, dalla Malpensa, era partitoun aereo per la Spagna (ancora la Spagna) con a bor-do Myriam Petacci, sorella di Claretta e il suo com-pagno, Leon Degrelle, capo dei rexisti e fascisti belgi,condannato a morte in patria, la moglie divorziata diAlfred Krupp e altri personaggi. Tutti, si è saputo do-po, avevano lettere credenziali per le autorità spagno-le e per lo stesso Franco: la firma sulle carte era quel-la di Mussolini.Ma se Mussolini avrebbe dovuto partire per la Spa-gna come mai la colonna in fuga con lo stesso duce etutti i ministri venne fermata mentre pareva avviarsiverso la Svizzera? Una spiegazione c’è anche se man-

cano conferme. Il duce, nelnovembre del 1944, attraversoil notaio Umberto Alberici,aveva venduto all’industrialedei profumi Gian RiccardoCella, il complesso tipografico-editoriale del suo giornale, “IlPopolo d’Italia”. Compresol’intero palazzo e la tipografiadella Same, in via Settala a Mi-lano. Tutto per 109 milioni,una cifra enorme per quei tem-pi. Il denaro, guarda caso, erastato accreditato su una bancasvizzera. Mussolini che forseimmaginava una eventuale fu-ga con la famiglia, l’amante equalche figlio o figlia segreta,di quei soldi, anche in Spagna,avrebbe avuto sicuramente ungran bisogno.

NOTA

La ricostruzione molto sommariadei fatti (ci vorrebbe ben altro spa-zio che quello di una rivista) nonsarebbe stata possibile senza la con-sultazione delle centinaia di articoli,

saggi e inchieste, pubblicati da l’Unità, Vie Nuove-Giorni; IlCalendario del Popolo, Il Corriere della Sera, La Stampa, IlMondo, Panorama, l’Espresso, Giorni, Il Tempo, Il Borghese,L’Europeo, Meridiano d’Italia, Il Messaggero, Ragionamentidi Storia, l’Avanti!, Il Giornale, Storia Contemporanea, Sto-ria Illustrata, La Domenica del Corriere, Epoca, I Grandienigmi -Tra Cronaca e Storia.I libri sulla fine di Mussolini e sui giorni di Dongo sono cen-tinaia, in Italia e all’estero. Ne citiamo solo alcuni: L’ora diDongo di Alessandro Zanella, In nome del popolo italiano diWalter Audisio, Diario di un antifascista di Mario Ferro, Gliultimi giorni di Mussolini nei documenti inglesi e francesi diAntonella Ercolani, Charles Poletti Governatore d’Italia a cu-ra di Lamberto Mercuri, Libro Bianco sulla vicenda Carteg-gio Mussolini a cura di Aldo Camnasio, Churchill Mussolini -Le carte segrete di Roberto Festorazzi, Ombre sul Lago diGiorgio Cavalleri, Dalle carte segrete del Duce di Peter Tomp-kins, Gianna e Neri: vita e morte di due partigiani comunistidi Franco Giannantoni, Dongo 28 aprile 1945 - La verità diGiusto Perretta, Il sacco d’Italia di Ricciotti Lazzero, Il cor-po del duce di Sergio Luzzatto, Il fascismo repubblicano di Pi-no Romualdi, 25 aprile. Liberazione di Pietro Scoppola, Vitae morte segreta di Mussolini di Franco Bandivi, La guerra sulconfine di Ricciotti Lazzero, La 52a Brigata Garibaldi “Lui-gi Clerici” attraverso i documenti a cura di Giusto Perretta,Gli ultimi cinque secondi di Mussolini di Giorgio Pisanò,L’Archivio segreto di Mussolini di Arrigo Petacco, Dongo -mezzo secolo di menzogne di Urbano Lazzaro, Mussolini-Churchill - Carteggio segreto di Fabio Andriola.Fondamentali gli incontri personali e le chiacchierate a ruotalibera con Armando Cossutta, Giusto Perretta, Ricciotti Laz-zero, Giorgio Cavalleri, Mario Ferro e Giorgio Pisanò.Un grazie per le consultazioni permesse, alla FondazioneIstituto Gramsci, all’Istituto Comasco per la Storia del Movi-mento di Liberazione e all’archivio de l’Unità.

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Il Comando della 52a Brigata Garibaldi ha rilasciato al partigiano Giuseppe Negri unadichiarazione nella quale si conferma che fu lo stesso Negri a scoprire Mussolini travestito datedesco su un camion di soldati nazisti in fuga.

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Conosciuta da alcuni storici ed esperti è rimasta per anni nei cassetti

Il testo integrale dell’autopsia semi-segretadel prof. Pierluigi CovaDa sempre si continua a parlare e discutere solo di quella del prof. Caio MarioCattabeni • Le rivelazioni sulla presunta fuga in Spagna ai fogli X, XI e XII deltesto • Le conclusioni: niente sifilide e nessun’altra malattia • Un uomo sano eresponsabile di tutto in prima persona.

La nota sulla perizia medico-legale del professor Pierluigi Cova portata a termine sul corpo diBenito Mussolini il 30 aprile 1945, all’interno della sede di Medicina Legale dell’Istituto NazionaleVittorio Emanuele III, a Milano, venne scritta a mano con una calligrafia bella e leggibile. Dopotanti anni, però, alcune parole sono state cancellate dal tempo, dalle piegature dei fogli, dallasparizione dell’inchiostratura e così via. Sono dunque diventate illeggibili o poco leggibili.Nel testo della perizia, dunque, soprattutto i termini medico-scientifici potranno risultare nonchiari o anche parzialmente o totalmente sbagliati. Stessa situazione anche per il resto deltesto che qui viene pubblicato integralmente per la prima volta. Ce ne scusiamo con i lettori egli specialisti.

Istituto Nazionale Vittorio Emanuele IIIIstituto di Radiologia della Regia UniversitàMilano, Piazzale P. Gorini, 20 - telefoni 292-176 - 292-177

I foglio - Tale descrizione consta di ventidue fogli di una solafacciata l’unoMilano 30 aprile 1945(Trenta aprile millenovecentoquarantacinque) – I della Liberazione

Stamane alle ore sette e trenta nella sala anatomica del civico obitorio e dell’Istituto di medicina Legaledella università situati nell’edificio d’angolo tra ViaMangiagalli e Via Ponzio che delimita la Piazza Go-rini si è proceduto all’autopsia di Benito Mussolini exDuce del fascismo giustiziato alle ore sedici e 10 delgiorno ventotto aprile in una località del Comasco vi-cino a Tremezzo, da patriotii al quarto giorno dellainsurrezione popolare scoppiata nel pomeriggio dimercoledì scorso giorno venticinque aprile – BenitoMussolini fu catturato il giorno stesso nel quale fueseguita la sentenza ed era accompagnato dalla suaamica Claretta Petacci e da molti altri esponenti delfascismo che con lui tentavano di raggiungere lafrontiera svizzera e che con lui furono giustiziati –

II foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benito ex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945I cadaveri dei varii giustiziati, furono tutti trucidatimediante raffiche di mitragliatrice, erano dapprinci-pio in numero di diciannove; nella notte tra il ven-totto e il ventinove aprile furono trasportati a Milanodove vennero esposti al pubblico sul Piazzale Loreto,

nell’angolo costituito dall’incontro tra Corso BuenosAires e Via Andrea Doria, nello stesso posto ove loscorso anno giacquero esposte al pubblico le salme diquindici patrioti fucilati per rappresaglia dalle BrigateNere fasciste: per questo, in loro ricordo il PiazzaleLoreto da due giorni viene denominato “Piazzale deiquindici martiri” – La folla, conosciuta di primo mat-tino la notizia della presenza delle salme delle perso-nalità fasciste, si riversa numerosissima in PiazzaleLoreto.

III foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benito ex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945Le salme giacciono scomposte sul selciato di una sta-zione di rifornimento di benzina che appunto è traCorso Buenos Aires e Via Andrea Doria: i visi sono inparte irriconoscibili per la polvere ed il fango che li ri-copre e i corpi, in parte denudati, sono sporchi delsangue che è colato dai numerosi fori praticati daiproiettili di mitraglia – Però quasi nessun cadavere èstato colpito in viso: quasi tutti presentano i fori deicolpi d’arma da fuoco sul petto – Verso le dieci dimattina i cadaveri di Mussolini, dell’amica PetacciClaretta, di Emilio Terruzzi, di Pavolini, di Gelarmini,di Barracu e di Starace, vengono per dileggio e schernoappesi con funi e per i piedi ad una travata della pen-silina della stazione di distribuzione della benzina e

IV foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945rimangono penzolanti all’altezza di circa due metri fi-no alle ore tredici dello stesso giorno quando per in-

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tercessione del cardinale di Milano, S. E. IldefonsoSchuster, vengono di là tolti e con le altre salme, de-positati nell’obitorio civico di via Ponzio – La follanumerosa e tumultuante, accecata dall’odio, inebriatadalla gioia della scomparsa dei capi fascisti ha sostatotutta la mattina in piazzale Loreto davanti alle salme,ricoprendole di sputi, di insulti, di calci, dileggiando-le – Alcuni hanno voluto scaricare colpi di rivoltellacontro qualche cadavere e specie si sono accaniti con-tro la salma di Mussolini il cui viso e cranio, prima in-denni, sono stati poi da questi colpi lesi e sfigurati –Quelli che maggiormente s’accaniscono in questi

V foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benito ex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945atti indegni e disgustosi sono specialmente alcuni exdetenuti politici ed ex internati reduci dalle sofferen-ze e dalle torture delle carceri milanesi di San Vittoree dai campi di concentramento in Germania dai qua-li sono sfuggiti all’approssimarsi dell’invasione an-gloamericana – Sono presenti pure molti partigianiprovenienti dalle zone montuose delle Alpi e degliAppennini (Valsesia e Val d’Ossola: appennino emi-liano-romagnolo) – Una specie di servizio d’ordineper contenere la folla viene mantenuto da partigianicomunisti con fazzolettoni rossi al collo, che sbracatie dimessi nel vestito, armati ora con fucili, pistoloniora con fucili o pistole mitragliatrici si peritano di ap-pendere i cadaveri o

VI foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945di colpirli con calci – Alle ore 10 quando già da qual-che ora giacevano i cadaveri, viene condotto al lorocospetto Achille Starace ex Segretario del Partito eposto contro il muro viene pure lui passato per le ar-mi e quindi appeso alla pensilina tra il vociare dellafolla esultante – Nella stessa mattinata alle ore dieci etrenta fanno la loro comparsa in piazza del Duomoprovenienti da Lodi tre autoblinde e quattro camio-nette americane, le prime che siano entrate in Milano– Alle ore dodici e trenta quando mi reco in PiazzaleLoreto giungono al cospetto delle salme tre soldatiamericani di una delle camionette, accompagnati dapartigiani: hanno una bandiera americana: i soldati sidispongono davanti

VII foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945al viso di Benito Mussolini penzolante e con schernogli agitano la bandiera tra le risa della folla: foto-grafi americani ed italiani documentano le manifesta-zioni –Quando i cadaveri vengono tolti dalla sospensione,quello di Mussolini, sempre per dileggio è posto so-pra quello della amica Petacci e seguono nuove nu-merose riprese fotografiche degli americani tra il di-leggio della folla –Per tutto il pomeriggio del 29 aprile, giorno domeni-cale, la folla fa ressa ai cancelli dell’obitorio di Via

Ponzio per vedere le vittime: è una vera fiera! Gli im-properi che vengono indirizzati alle vittime sono in-numeri e spesso sconci “porco, purcuni, culatoni,purscel, vacca, animai, carogne, ecc” –Nel pomeriggio della domenica si decide privatamen-te di procedere al mattino dopo e cioè stamane al-l’autopsia di Benito Mussolini –

VIII foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945Sono presenti: il Prof. Dottor Mario Cattabeni, dellamia età e cioè di anni 33, che esegue l’autopsia: èAiuto Universitario alla Cattedra di Medicina Legalequi a Milano; il Prof. Dottor Scolari, Direttore dell’I-stituto di Clinica Dermosifilopatica dell’Università diMilano; il Prof. D’Abundo, libero professionista,neurologo; un generale partigiano, medico, membrodel Comitato Nazionale di Liberazione e incaricatoora della Direzione della Sanità Militare; il necroforoed io – Durante la esecuzione dell’autopsia entranonella Sala Anatomica due partigiani reduci dai campidi concentramento: vogliono vedere da vicino il Du-ce per assicurarsi della sua morte e dettogli qualcheimproperio se ne vanno – Verso la fine dell’autopsia

IX foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945entrano, curiosi, un medico, uscito in questi giornidalle carceri dove era detenuto politico e dove unasettimana fa venne torturato con la energia elettrica:gli si applicarono gli elettrodi ai testicoli; un laurean-do in medicina accompagnato da un suo amico sullaquarantina d’anni; il Dottor Pricolo Vittorio, Aiutochirurgo nel nostro Istituto del Cancro e un altro ne-croforo – Nessun altro individuo ha assistito all’Au-topsia e quindi altre descrizioni che possono esserefatte al di fuori degli individui sopra citati debbonoessere considerate false –Un giornalista che tenta di introdursi nella sala ana-tomica viene subito fatto uscire –

X foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benito ex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945Il cadavere di Benito Mussolini, indossante un paiodi pantaloni militari grigio-verdi della Milizia fascista,sporchi di fango e di sangue e lacerati, è rivestito diun paio di mutande di lana lunghe, crivellate da qual-che proiettile e insanguinate; calza degli stivali dicuoio con i legacci anteriori alla caviglia, aperti dietrodove vi è una chiusura “lampo” metallica – Gli stivalidi cuoio sono giallo scuri – Ai piedi dei calzini chiaridi cotone bianco –Nella tasca posteriore dei pantaloni si rinviene unabusta gialla intestata al “Fascio Repubblicano Socialedi Dongo” (paese del lago di Como) senza indirizzo,che contiene un foglio di carta da lettera intestato alConsolato Spagnolo di Milano: il foglio, non sdruci-to, porta la data del 14 settembre 1944 ed è scritto amacchina con caratteri scuri, in lingua spagnola: nelcomplesso sono circa quattro o cinque

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Il testo del rapporto di autopsia firmato dal professor Pierluigi Cova. Il medico legale (nel testo evidenziato) ad un certo punto racconta deidocumenti spagnoli trovati addosso a Mussolini. Poi spiega come sparirono le carte in questione.

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XI foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945

righe: metà di una di queste porta scritti in matitacon i caratteri della calligrafia spagnola due nomi diconiugi “Isabella y Alonso” (segue il cognome chenon ricordo) – In calce alla lettera, all’angolo supe-riore destro su tre righe, è scritto con calligrafia mi-nuta, in matita

“a macchina in rossoin inchiostro rossopoi cancellare”.

Il testo della lettera non è ricordato ma il suo tenoreè questo: Si pregano le autorità spagnole di accoglie-re i Signori (i nomi sono sopracitati) profughi dellaguerra attuale e cittadini spagnoli che vogliono rien-trare in patria – Firmato è, con firma ben chiara, ilnome del Console Spagnolo a Milano – La letteraviene consegnata al generale medico partigiano per-ché la depositi alla sede del Comitato Nazionale cen-trale di Liberazione –

XII foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945

Tra noi presenti nella Sala Anatomica ci si pone la so-luzione del problema riguardante la lettera ritrovata:è una lettera troppo poco sgualcita per essere delloscorso anno: indubbiamente è retrodatata al settem-bre del 1944 ma è assai recente e i nomi dei perso-naggi sopra indicati sono i falsi nomi sotto i quali do-

vevano celarsi Benito Mussolini e Claretta Petacci; inomi, scritti in matita, avrebbero dovuto a suo tem-po, secondo le indicazioni date in calce al foglio stes-so, essere ricalcati con inchiostro rosso (e in questocaso sul faxsimile della calligrafia spagnola) o trascrit-ti a macchina, sempre però con inchiostro rosso –Il cadavere di Mussolini viene spogliato degli abiti edegli stivali e lo si pesa: sono 67 chilogrammi –

XIII foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945Il viso è notevolmente deformato dai colpi d’arma dafuoco sparatigli “post mortem” vi sono numerosi fo-ri da proiettili, senza alone emorragico (e quindi si-curamente postmortali) sulla regione zigomatica D el’osso mascellare risulta fratturato – Per questo si hala protrusione del bulbo oculare D; quello di Sin èinvece spappolato e fuoriesce parte del cristallino at-traverso un foro della cornea – Dalla regione nucale,attraverso numerosi fori di uscita dei proiettili, fannoernia i tessuti sottostanti e frammenti di osso occipi-tale frantumato – Il naso, alla radice è deformato peraltri colpi d’arma da fuoco, sempre però postmortali– Così pure dicasi per due fori cervicali, uno a destral’altro a sinistra della laringe i cui tragitti menano al-la colonna cervicale fratturata tanto che la testa godedi una estrema spostabilità –Per tutti questi colpi d’arma da fuoco la volta cranicaossea è stata frantumata e risulta quindi deformabilee cede alla pressione – l’encefalo non è però scoper-chiato –

Piazzale Loreto, 10 agosto 1944: la strage degli antifascisti.

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XIV foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945Il capo di Mussolini è rasato – Il corpo, piuttosto adi-poso specie all’addome risulta piuttosto peloso e soloal torace vi sono peli grigi mentre sul resto della cutesono neri – La schiena è quasi glabra –Il torace appare notevolmente sviluppato, ampio ec-cezionalmente grosso mentre magre sono le braccia,con muscolatura normale o forse un poco ipotrofica,specie alla radice del braccio – Ambedue i deltoidi ebicipiti sono piuttosto ipotrofici – Alle mani, con di-ta corte e tozze nessun anello – nessun segno di ta-tuaggio sulla cute – Il pene lungo circa 10 centimetriè del calibro di circa 2 centimetri: i testicoli sonogrossi ognuno quanto una noce e duri – Sull’arto de-stro sia sulla faccia antero laterale della coscia che suquella della tibia, ampie cicatrici cutanee retraenti epallide, che in basso raggiungono la caviglia: sono isegni

XV foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945delle ferite riportate nella guerra mondiale 1914-1918 – Sul torace nella metà sinistra si notano, nella metà su-periore, quasi sottoclaveari e più precisamente nel-l’ambito del piccolo pettorale quattro fori con aloneemorragico che puntano nel cavo toracico e che ven-gono riconosciuti come fori d’entrata che hanno illoro corrispettivo foro d’uscita sulla regione dorsale,sempre nella metà più alta –Sull’addome, in sede ipocondriaca Sin, ferita da ta-glio che si arresta ai piani muscolari e che sembra es-sere postmortale ed eseguita con la punta di unabaionetta – A livello della spina iliaca ant. superioredi destra, mediale a questa un foro d’entrata con fo-ro d’uscita dal lato gluteo: pure questa postmortale –Vi sono invece due fori premortali: sulla faccia poste-riore dell’arto sup. D: uno d’entrata a livello del IVsuperiore dell’avambraccio, l’altro d’uscita al IV infe-riore del braccio –

XVI foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945Tutto ciò fa sospettare che Benito Mussolini abbiafatto un istintivo gesto di riparo col braccio che è sta-to colpito piegato: la fucilazione è avvenuta al petto enon alla schiena –Lo stato di conservazione del cadavere è buono – All’ano si notano delle estroflessioni emorroidarienon però molto marcate –In bocca mancano parecchi denti e tutti i superiori didestra –Si procede al taglio del cuoio capelluto che non pre-senta soffusioni ematiche: la teca cranica presentalembi ossei accavallati e frantumati tolti i quali appa-re l’encefalo ben conservato nei suoi emisferi cere-brali, spappolato nei suoi lobi cerebellari (ma per i

colpi postmortali) – La dura madre non aderiscemolto tenacemente –

XVII foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945alla volta cranica dalla quale viene con discreta facili-tà staccata – Al di sotto di essa aracnoide e pia madreappaiono iperemiche molto probabilmente non perun processo infiammatorio (che non ne ha il caratte-ristico quadro) ma per l’ipostasi, dato che il cadavererimase appeso a testa in giù – L’aracnoide e la pia ma-dre si distaccano bene dalle circonvoluzioni cerebralisecondo il normale – Le circonvoluzioni cerebrali so-no bene sviluppate: non eccessivamente sviluppate!Il cervello in toto non risulta molto più grosso delnormale e potrà, a mio giudizio, pesare sui due chili etrecento grammi – Aperti i ventricoli cerebrali il re-perto della cavità e dei plessi coroidei risulta normale– La base encefalica è in parte (nella metà posteriore)spappolata: si riconoscono però alcuni vasi della basee più precisamente le arterie

XVIII foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945cerebrale anteriore con la comunicante facente partedel poligono del Willis, nonché la cerebrale media oSilviana: macroscopicamente queste sembrano essereindenni – L’encefalo viene conservato in formalina e diquesto si prelevano dei pezzi per studio – Non si sonoquindi macroscopicamente rilevati dei segni che possa-no fare sospettare l’esistenza di una lues cerebrale –Aperto l’addome, si nota l’abbondante pannicoloadiposo che imbottisce e le pareti addominali e i pia-ni retro peritoneali nonché il mesentere – Fegato emilza sono nei limiti normali e cioè non debordanodall’arco costale: hanno superficie liscia: milza conpolpa normale – Fegato pure normale per aspetto econsistenza – Non vi è la benché minima aderenza trale anse intestinali o

XIX foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945tra stomaco e duodeno e il fegato – La cistifellea è deltutto normale – Il cieco appare perforato da un col-po d’arma da fuoco postmortale: il cavo addominaleè totalmente asciutto – Stomaco e duodeno hannomassa normale: l’esame viene condotto con molta at-tenzione dato il sospetto dell’esistenza di un’ulceragastro-duodenale: di questa non si riconoscono nep-pure le eventuali tracce cicatriziali – L’intestino tenueviene passato ma non aperto – Si seziona per il lungoinvece il colon dato il dubbio di una colite amebica:ma il colon risulta del tutto normale – Parimenti nor-mali e in perfetto stato i reni ed il pancreas – Aperto il torace mediante asportazione dello sterno sinota un emotorace a sinistra dove sono raccolti circaun litro e 1/2 di sangue –

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XX foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945Sia il polmone destro che il sinistro appaiono total-mente liberi, senza aderenza alcuna: non vi sono nep-pure i frequentissimi segni di una pleurocorticalite inesito –Scarsi i segni dell’antracosi – Si nota solo un modicis-simo grado di enfisema dei lobi superiori di ambeduei polmoni: il lobo superiore di sinistra in prossimitàdell’apice è attraversato da due tragitti corrisponden-ti alla strada segnata dal passaggio dei proiettili: manel complesso il polmone non è lacerato se non inprossimità dell’ilo polmonare (parte alta).Il cuore, piuttosto piccolo per la corporatura di Mus-solini, tende al cuore a goccia: non vi è ipertrofia mu-scolare: le valvole cardiache sono sane. All’aorta, su-bito al di sopra delle valvole areole non numerose (intutto otto o dieci di lipoidosi: non segni né di lues,né di ateromasia.

XXI foglio della descrizione dell’autopsia di Mussolini Benitoex Duce del fascismo eseguita oggi 30 aprile 1945L’aorta all’arco, all’altezza tra la anonima e la succla-via di sin presenta una doppia ampia lacerazione che

si continua attraverso un tra-gitto nel cavo pleurico di sini-stra – Si conclude che la pallot-tola che attraversò il toracemedialmente al polmone sin, aldi sopra dell’ilo (che in parterisulta lacerato) abbia incontra-to lacerandola l’aorta all’arco eche quindi ne sia seguito unemotorace a sinistra: la mortedeve essere stata rapidissima equesto fu l’unico colpo morta-le dato che gli altri tre furonocosì suddivisi: due all’apice dellobo superiore sin del polmo-ne; l’altro al braccio D –Terminata la sezione, tutti i vi-sceri ad eccezione dell’encefalovennero riposti nel cadavereche fu ricucito.

XXII foglio della descrizione del-l’autopsia di Mussolini Benito exDuce del fascismo eseguita oggi 30aprile 1945In mattinata stessa il cadaveredi Mussolini assieme a quellidegli altri giustiziati (in totale21) ai quali però non fu ese-guita la dissezione, fu traspor-tato senza cassa su di un ca-mion al Cimitero Maggiore diMusocco ove credo siano statiinumati in una fossa comune.Quanto sopra è stato scritto èstato coi miei occhi visto ed os-servato con competenza mia e

con la competenza degli altri presenti.L’autopsia ha avuto termine alle ore 8,30 essendouna magnifica giornata di sole ed essendo la giornatadi ingresso trionfale degli Americani in Milano: cioche è avvenuto oggi alle ore 16,30.In fede Dr Pierluigi Cova fu Felice nato a Milano il04/05/1911 assistente radiologo all’Università diMilano, all’Istituto del Cancro.

Su un ultimo foglio, non su carta intestata, scritto sempredalla stessa mano e firmato, si leggeA conclusione di quanto sopra, risulta che BenitoMussolini era individuo perfettamente sano, per nondire eccezionalmente sano e che su di lui non si ri-scontrarono i benché minimi segni di una infezioneluetica né di una ulcera gastroduodenale né di unacolite amebica: morbi questi che molti illustri clinicigli avrebbero riscontrato in vita (segue tra parentesiun elenco non chiaro di nomi).Per cui il corso della storia quale la volle segnareMussolini è opera di Mussolini stesso che agì senzanessuna attenuante di natura morbosa.

Pierluigi Cova

1945: Mussolini e la Petacci appesi al distributore di benzina di Piazzale Loreto.

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Carte, lettere, faldoni, documenti spariti, riproduzio-ni fatte con la macchina fotografica e persino una fac-cenda d’amore. Pare un romanzaccio da quattro sol-di e invece è una vicenda vera, legata direttamente al-la cattura e alla fucilazione di Mussolini. Si tratta del-la storia complicatissima del cosiddetto carteggioChurchill-Mussolini che gli storici e gli addetti ai la-vori (lo aveva fatto persino Renzo De Felice) cerca-no, dal 1945, in mezzo ad improvvise apparizioni esuccessive scomparse. Insomma, un carteggio semprein movimento come un’anguilla. Ci sono di mezzoanche alcuni falsari che “inventarono” lettere qualsia-si tra i due uomini politici per tentare di venderle.Ovviamente, finirono in galera.Raccontare la storia di quel carteggio, forse ora de-positato in una cassetta di sicurezza in Svizzera, o an-cora nascosto in una tomba di famiglia nei pressi diComo è, appunto, complicato, ma ne vale la pena.Anche se bisogna tener conto che i punti da chiarire,con riscontri precisi e inequivocabili sono, come alsolito, tantissimi. Ci sono stati racconti chiaramente falsi, depistanti ointeressati e ci sono di mezzo anche i servizi segretiinglesi che non hanno mai aperto bocca o preso po-sizione su questo famoso carteggio. E poi non sonomancate le prese di posizione di alcuni dei più fa-mosi storici inglesi che hanno sempre negato tutta lafaccenda. Esattamente come alcuni personaggi delPartito comunista comasco, partigiani o politici del-l’epoca, che hanno avuto lo stesso atteggiamento.Ancora nel febbraio del 2000 la nota rivista “Nuovastoria Contemporanea” scriveva ampiamente sul car-teggio Churchill-Mussolini con interviste e dichiara-zioni in contraddizione l’una con l’altra, per tentaredi far luce, senza riuscirci, su tutta la vicenda.Da buon vecchio giornalista d’inchiesta, mi sonooccupato a lungo e per lavoro, del famoso carteggioe ho avuto modo di recuperare materiali, lettere, te-stimonianze e ascoltare, dalla viva voce di chi avevavissuto direttamente i giorni bellissimi, ma dram-matici, della Liberazione, fatti e dettagli di un certo

valore anche se, come si dice, a pezzi e bocconi. Proprio lassù tra Dongo, Como, Bonzanigo, Doma-so e Giulino di Mezzegra, dove Mussolini, la Petaccie tutti i ministri del governo “repubblichino”, visserole loro ultime ore. E poi non è mancato un freneticoconsultar di carte e appunti. Nonostante tutto questoe a più di sessanta anni di distanza, devo ancora, nelraccontare certi fatti, usare il condizionale e citarepersone e personaggi con le iniziali dei nomi perchécosì “vuole la discrezione” (come mi è stato spiegatomille volte) per quanto riguarda le faccende mussoli-niane. D’altra parte, fra Dongo e Como, alcune per-sone che “sapevano” pare siano state anche liquidate(nell’immediato dopoguerra) senza troppi compli-menti. Lo dico e lo scrivo con l’amaro in bocca, madevo prenderne atto.Dunque, torniamo a quel 27 aprile del 1945, quan-do a Dongo viene fermata la colonna dei fascisti infuga e Mussolini finisce in mano ai partigiani della52a Brigata Garibaldi. Il duce del fascismo ha con sé una grossa borsa pienadi carte e dice al comandante Pier Bellini delle Stelle(Pedro): «Guardi che in quella borsa ci sono carteimportantissime per la storia d’Italia. Badate di nonperdere nulla». Un’altra borsa, sempre di Mussolini,viene sequestrata all’aiutante di campo Vito Casali-nuovo. Anche in quella ci sono carte importanti. Le due borse vengono consegnate a “Bill” e cioèUrbano Lazzaro, vicecommissario della 52a Brigatapartigiana. È lui, insieme al partigiano Antonio Scap-pin, un ex finanziere, e allo stesso “Pedro”che depo-sita le due borse nella filiale di Domaso della Cassa diRisparmio delle Province lombarde. Ogni cosa vienefatta in maniera limpida e alla presenza di testimoni.La borsa di Mussolini, avvolta in carta da pacchi, le-gata con una cordicella e il sigillo della banca, pesaKg 5,400. Quella presa a Casalinuovo ne pesa 4,800.In più c’è una busta con vari assegni per un milione esettecentomila lire e un’altra busta con 160 sterline. Viene redatto un verbale firmato da molte persone etutto finisce in cassaforte. C’è già chi ha dato una oc-

La sottrazione della borsa del duce, le riproduzioni e una storia d’amore

Il giallo della lunga ricerca del carteggiocon Winston ChurchillLa vendita del prezioso materiale al servizio segreto inglese • Il viaggio dellostatista inglese a Como • Il rapporto tra una funzionaria del PCI e il vicequestoreLuigi Carissimi Priori di Gonzaga • La scomparsa delle riproduzioni.

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chiata all’interno delle borse e ha visto alcuni faldoniintestati alla corrispondenza con Hitler e a quella conChurchill. Inoltre, c’è un carteggio che contiene unrapporto dell’agente di PS Beneduce, scorta per annidel principe Umberto di Savoia, nel quale si raccontache lo stesso principe aveva tentato di avere rapportisessuali con lo stesso poliziotto. Tutto il materiale non rimane in banca a lungo per-ché il 2 maggio “Bill”, “Pedro” e Scappin tornanonegli uffici della Cassa di Risparmio, prelevano leborse e dicono a Scappin di prendere il tutto e na-sconderlo presso il sacerdote-partigiano di Gera Lariodon Franco Gusmaroli. I tre partigiani tornano dalsacerdote il 13 o il 14 maggio, si chiudono in unastanza ed esaminano i contenuti delle borse. Poi “Pe-dro” dice a Scappin di prendere tutto e portarlo alcomando generale del Corpo Volontari della Libertàa Milano. L’ordine viene eseguito, ma a quanto pare,Scappin, a Milano, incontra il commissario politicodella 52a Michele Moretti “Pietro”, il quale impone aScappin di riportare tutto a Como perché le cartedovevano essere consegnate al Comando piazza deicombattenti della Libertà. Scappin esegue, ma a

Como, quando arrivano le borse, ci si accorge che èsparita moltissima roba: dei 350 fogli delle carte del-la borsa di Mussolini sono arrivati, al comando, solo72 fogli.Molti di questi passaggi e di questi misteri sono am-piamente raccontati nei libri di due storici comaschi:Giorgio Cavalleri e Roberto Festorazzi. I loro librisono intitolati “Ombre sul Lago” e “Churchill e Mus-solini - Le carte segrete”. Sono stati frutto di una lun-ga ricerca. Risulta che altri partigiani hanno dato unarapida occhiata ai fascicoli e hanno intravisto quellointestato “Churchill-Mussolini” che dunque c’era.Il romanzaccio, come nei migliori gialli spionistici,continua in un groviglio quasi inestricabile. Ed èdifficile seguire i fatti e il loro contrario. Intanto aComo sono già a lavoro anche alcuni specialisti delservizio segreto inglese che sono alla disperata ricercadel fantomatico carteggio. Loro sapevano che esiste-va e forse avevano avuto l’incarico dallo stesso Chur-chill di recuperare quel materiale prezioso. Preziosoperché avrebbe suscitato un grandissimo clamore,nell’opinione pubblica mondiale, il sapere che Mus-solini e il primo ministro inglese si erano scritti findall’inizio della guerra (si conoscevano di persona eavevano avuto contatti fin dal 1927) e forse anchedopo. Tra l’altro Churchill, in quelle lettere avrebbefatto tutta una serie di incredibili promesse a Musso-lini se non fosse entrato in guerra accanto a Hitler. Sisarebbe impegnato a cedere la Corsica agli italiani,una parte della Tunisia, Nizza e la costa Dalmata.Nelle lettere, Churchill avrebbe anche assicurato chegli inglesi non sarebbero mai intervenuti in difesadell’Etiopia aggredita dai fascisti e così via. Inoltrel’Inghilterra, nell’immediato dopoguerra e con lasconfitta di Hitler, si sarebbe anche battuta perché gliitaliani conservassero alcune delle loro colonie. In-somma, tutte cose assolutamente non praticabili daparte degli inglesi che promettevano di cedere terri-tori che non erano neanche loro e sui quali non ave-vano assolutamente alcuna potestà.Faccende che, negli anni ’40, ’50 e ’60 avrebbero,probabilmente, creato un enorme scandalo interna-zionale, ma che oggi, al massimo, potrebbero trova-re spazio solo nei libri di storia.Ma riprendiamo a raccontare la storia che, allora,ebbe sviluppi clamorosi anche se nel più assolutosilenzio. Fornisco, sempre anche con l’aiuto di Cavalleri eFestorazzi, particolari e dettagli solo qui su “Patria”.Si tratta spesso di cose mai pubblicate prima. Il presunto carteggio (continuo a parlare di “presun-to” per correttezza) finisce in mano al segretario del-la Federazione comunista di Como Dante Gorreri,“Guglielmo”. È un personaggio controverso e non piace per nienteai compagni di base: dicono che è altero, spocchiosoe che decide sempre solo di testa sua il da farsi. Gor-reri decide subito di far fare una copia del carteggioche ha scorso con cura: ci sono 62 lettere di Musso-lini e quelle di Churchill, con allegata relativa tradu-

Una fotografia di Luigi Carissimi Priori, nell’uniforme di Balì GranCroce del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta. La foto appartie-ne all’archivio di Roberto Festorazzi ed è stata pubblicata nel librodello stesso Festorazzi dal titolo: “Churchill-Mussolini: le cartesegrete - La straordinaria vicenda dell’uomo che ha salvato l’epi-stolario più scottante del Ventesimo secolo”, Datanews Editrice,1998).

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zione e altri materiali davvero inte-ressanti. Per la riproduzione (allora le foto-copiatrici non esistevano) arriva daMilano un incaricato dal partitoper quel lavoro. Si tratta del gior-nalista de l’Unità Ugo Arcuno, unesperto e appassionato fotografodilettante che si mette al lavoro esgobba per ore e ore. È un comu-nista di lungo corso, un avvocatonapoletano simpaticissimo. La so-rella mi racconterà che, negli annidello scelbismo, la casa del fratellovenne perquisita dalla polizia e chegli agenti avevano portato via mol-te carte.Arcuno ha fatto i negativi di queidocumenti e stampato tre o quat-tro copie per ogni foglio. Secondovoci non confermate gli originalisarebbero poi tornati a Gorreri. Ilsegretario locale del Pci, subitodopo, sarebbe entrato in contattocon gli agenti del servizio segretoinglese, al seguito di WinstonChurchill che, guarda caso, nelsettembre del 1945 era arrivato sulLago di Como. Per dipingere, ov-viamente. Lo vedono tutti i giorninei posti più incredibili, con tantodi cavalletto, pennelli e un grancappellaccio in testa. I giornali pubblicano le sue fo-tografie riprese nella zona. Abita a Villa Apraxin-Do-negani, di Moltrasio con la figlia Shara.Voci forse interessate o calunniose che circolano datempo nel Comasco affermano che Gorreri abbiavenduto ai servizi segreti inglesi (ovviamente perconto del partito) gli originali del carteggio Chur-chill-Mussolini per circa tre milioni di lire. Tanto ave-va una copia di tutto che teneva in cassaforte nella se-de della Federazione. Ma qualcosa nell’operazione –dicono sempre le voci che circolano nel Comasco –non deve essere piaciuto ai compagni del posto cheprotestano con il partito a Roma. E lo fanno con du-rezza e determinazione. Allora, dalla direzione delPci, viene mandata, per una inchiesta, una compagnain gambissima che controlla e ricontrolla tutto. È unaprofessoressa, M.A. che viene da Mantova. È unabella donna, franca e limpida, che conquista subito lafiducia di tutti. Anche di un personaggio rimasto,fino a questo momento, in ombra: l’ingegner LuigiCarissimi Priori di Gonzaga, noto nella Resistenzacome “Cappuccetto rosso”. A Como lo conosconotutti perché faceva parte dell’ORI, l’organizzazioneresistenziale fondata a Napoli da Raimondo Craveri elegatissima agli alleati. Carissimi Priori aveva ospitatoa casa sua la prima radio trasmittente che collegava iresistenti del Comasco con gli alleati in Svizzera. Erastato anche arrestato dai fascisti con la moglie e rin-

chiuso nel carcere di San Vittore a Milano. Nell’im-mediato dopoguerra si era legato al Pci che lo avevacandidato e fatto eleggere al Comune di Como. Po-co prima, però, aveva svolto la funzione di capo del-l’Ufficio politico della Questura di Como e, in quel-la veste, aveva anche indagato e ricostruito i momen-ti della fucilazione di Mussolini.È comunque lui il primo che lega subito con la com-pagna del Pci arrivata da Mantova. Lega forse troppoe ne nasce un brevissimo amore. Carissimi Priori eragià sposato.Ci mancava solo la storia d’amore in questo maledet-tissimo giallaccio del carteggio Churchill-Mussolini.Tutto sarebbe da ridere se, invece, le cose non fosseromaledettamente serie.Una notte, Carissimi Priori ottiene dalla compagnaA.M. le chiavi della Federazione comunista di Comoe quelle della cassaforte. Pare che “Cappuccetto rosso”sia entrato nella sede comunista – si racconta semprea Como e a Dongo – e abbia portato via la copia delcarteggio Churchill-Mussolini: una di quelle fotogra-fate da Arcuno. È vero, non è vero? Penso che sia tutto vero. Certo iprotagonisti dei fatti sono quasi tutti scomparsi. Daquel momento, la maledettissima copia del carteggiosparisce, sguscia via da una tomba di famiglia ad unacassetta di sicurezza in Svizzera e forse passa di manoin mano. È il libro di Giorgio Cavalleri (anzi ne ha

Una delle tante immagini di Churchill.

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scritti due) che si ripropone la faccenda a livello na-zionale, negli anni ’90, con polemiche, smentite,conferme e di nuovo scontri tra gli studiosi: c’è chicrede nel carteggio e chi ne nega l’esistenza. Rimaneil fatto che Carissimi Priori, subito dopo i fatti del-l’immediato dopoguerra, lascia l’Italia e si ritira avivere in Spagna per poi tornare.E il carteggio originale? Bruciato! Churchill, loavrebbe personalmente bruciato a Como (quandoera arrivato per il suo viaggio pittorico) nel caminodella villa Apraxin-Donegani. Ecco perché in Inghil-terra non avrebbero mai trovato quelle carte.Carissimi Priori, al suo rientro in Italia, rilasciò unaspecie di scritto a “futura memoria”, datato 30 giu-gno 1995 (Carissimi è scomparso qualche anno fa).In quel memoriale, spiegava tra l’altro: «I documentidel carteggio Churchill-Mussolini in ogni caso esiste-vano certamente. È da escludere assolutamente chese ne siano appropriati “Pedro” o “Bill”». E ancora,alla domanda se gli originali erano stati restituiti a

Churchill rispondeva: «Certo. Sono stati restituiti,ma non si sa in quale occasione. Il Partito comunistali ha riconsegnati, ma non da Como. Quello che hafatto Gorreri è di farsene una copia e una copia c’è».Poi ancora una domanda: Sono così importanti? Edecco la risposta: «Credo che potessero essere impor-tantissimi in quel momento, quando è stata trattata lapace…».E ancora altre domande finali: Lei ha avuto occasionedi vedere e di leggere le copie fotografiche dei docu-menti? E le risposte: «Sì, sì: io so cosa c’era scritto».Ritiene che fossero autentici? «Sì guardi… Le copieci sono tutte…». Carissimi Priori spiegò poi che nontirava fuori quello che sapeva, e che forse aveva, perevitare “casini”, giornalisti, autorità, televisione. Epoi, anche a distanza di tantissimi anni, aggiunse chenon voleva che la moglie venisse a sapere di quellasua storia con la funzionaria del Pci arrivata da Man-tova per conto delle Botteghe Oscure.

W.S.

E Dell’Utri trova persino i presunti diari di MussoliniUna stranissima estate per le vicende legate a Benito Mussolini. Tra mille polemiche, annunci un po’ misteriosi e strani,sono saltati fuori persino i presunti diari del duce del fascismo, mille volte falsificati in passato, messi in vendita e poiritirati tra arresti e processi. Tutto nell’immediato dopoguerra, quando la ricerca di quei diari si era fatta affannosa. InGermania, qualche anno fa, erano venuti alla luce anche i presunti diari di Hitler ed erano state investite somme enormida parte di una catena di giornali americano-tedeschi. Poi il bluff era esploso: si trattava di un falso clamoroso orga-nizzato da un serissimo giornalista tedesco pieno di debiti.I presunti diari di Mussolini, invece, sono sbucati all’improvviso nelle mani del senatore berlusconiano MarcelloDell’Utri, già noto alle cronache per una condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazionemafiosa. È anche l’uomo che ha definito “eroe” lo stalliere di Berlusconi, Mangano, un personaggio che, invece,rappresentava i boss siciliani a Milano.Dell’Utri è un uomo che parla poco, pochissimo. Anche con i giudici. Lui si definisce studioso di testi antichi e possiede(dice sempre lui) incunaboli e libri antichi di grande valore. Ha raccontato di avere avuto i diari di Mussolini dai fami-liari di un partigiano ora scomparso. Insomma, la solita storia. La cosa sorprendente è che i presunti diari in questio-ne saranno ora pubblicati da Bompiani in ben cinque diversi volumi. La casa editrice ha fatto sapere di non essere ingrado di valutarne l’autenticità, ma di averne comunque deciso la pubblicazione. Tre anni fa, dell’Utri, aveva comin-ciato a parlare di quei diari, urlando ai quattro venti che “Mussolini non era affatto uno stupido e che da quelle agen-de risultava colto e bravo”. Poi aveva aggiunto che presto avrebbe portato le prove che i diari erano autentici. Ma que-ste benedette prove non sono mai arrivate: niente perizie calligrafiche, niente dichiarazioni ufficiali di storici ed esper-ti. Insomma nulla di nulla. Tra l’altro tutti hanno ricordato che quelli di Dell’Utri sono gli stessi presunti diari scopertinel 1994 dal “Sunday Telegraph” e che vennero già definiti falsi, mezzi veri, parzialmente falsi. Poi le agende o i qua-derni del 1994, tornarono nei cassetti bocciati da storici come Lucio Villari, Emilio Gentile, Silvio Bertoldi e Renzo DeFelice. Vittorio, Romano e Alessandra Mussolini parlarono addirittura di scritti “assolutamente falsi”.Marcello Dell’Utri continua a dire, invece, che sono veri. Vedremo. Chissà mai. È però venuto fuori che il senatore ber-lusconiano e fondatore di “Forza Italia”, ne ha letto alcuni brani al noto – diciamo così – “storico” Lele Mora, padrinodell’azzeccagarbugli Fabrizio Corona e patron di tante attricette da quattro soldi e veline. Lele Mora – dicono le cro-nache – sarebbe rimasto affascinato ed estasiato da quei presunti diari. A quanto pare tanto basta, oggi in Italia, perottenere che Bompiani stampi tutto in cinque volumi.Un’altra cosa: nei giorni scorsi Dell’Utri doveva, nell’ambito di una manifestazione letteraria a Como, leggere alcunibrani dei cosiddetti “diari”. Una ridicola e vergognosa provocazione, proprio nella città che vide gli ultimi giorni di vi-ta di Mussolini. Ci sono state proteste e contestazioni e il senatore del Pdl non ha potuto prendere la parola. Male. Tut-to sbagliato. Non si impedisce a nessuno di parlare. I partigiani si batterono eroicamente anche a Como e nei dintor-ni, perché tutti potessero dire la loro, anche se si trattava di “solenni” e pericolose sciocchezze. E poi diciamocelo:contestare il nulla non ha davvero avuto senso.

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Quella pubblica e istituzionale massacrata a colpi di scure

Sì, è tutto vero: stannouccidendo la scuola

Attualità

scale non diminuisce, gli stipendi pubbli-ci sono stati cristallizzati per anni. Queisoldi dove spariscono? Se un preside riesce a intortare i suoiprofessori facendogli fare lavori di con-torno – commissioni varie per fare benfunzionare l’istituto dove lavorano – sen-za pagarli o pagandoli pochissimo e conmesi ed anni di ritardo, sarà lodato dal-l’amministrazione. Se, il dirigente, sem-pre lui, riesce a fare acquistare dalla bi-blioteca della scuola – quando c’è – nes-sun libro; se ha i laboratori nei quali ilmateriale per gli esperimenti viene porta-to da casa – del resto in troppi ospedalinon sono ammalati e famiglie che porta-no da casa materiale vario di cura, di ba-se? –; se può vantare un’organizzazionedi viaggi d’istruzione e di scambi con l’e-stero durante i quali gli insegnanti ac-compagnatori vengono pagati pochissi-mi euro al giorno in più, con i soliti an-nuali ritardi, per un lavoro accessorio cheli responsabilizza 24 ore al giorno versogli studenti; se invece dell’educazione fi-sica reale, stando la situazione di troppepalestre, la lezione viene sostituita conun corso teorico della stessa; se ottengo-no una sorveglianza di supplenze senzapagare nessuno; insomma se i presidi di-ventano esperti ad adoperare i fichi sec-chi per fare funzionare la scuola, il mini-stro della pubblica istruzione gongoleràe potrà presentare al ministro del tesorola sua virtuosità di gestione. Quello deltesoro sarà contento di essa, nel caso at-tuale, e la gratificherà alle orecchie delcapo del governo. Tutto qui. Certo gliuomini e le donne del nostro pianeta siaccontentano anche di molto meno. I piccoli problemini li infastidiscono sol-tanto. Vengono portati da contestatoriincalliti: precari che fanno gli scioperidella fame perché senza lavoro dopo de-cenni di contratti precari; gli studenti ita-liani che affondano sempre di più nellegraduatorie internazionali che rilevanocapacità culturali; la fuga dei cervelli al-l’estero; la scomparsa della ricerca scien-tifica in Italia; la mortalità scolastica; l’u-niversità svuotata di senso; l’ignoranzache monta; una categoria, quella degliinsegnanti, pagata pochissimo, agli ulti-

D i solito all’inizio dell’anno scolasti-co si scrivono articoli che si apro-no con la consueta lamentazione:

al peggio non c’è mai fine. Di questopasso, la distruzione della scuola pubbli-ca. Ora quest’anno abbiamo, per il setto-re, una vera novità che consiste nel fattoche tutti questi lai si stanno, all’iniziodelle lezioni, trasformando in realtà. Fi-nalmente ci siamo. Dall’anno prossimonon potremmo più dire dove andremo afinire, dato che finiti, e male, vi saremoda un bel po’. Cosa sta accadendo? Semplice: la scuolapubblica sta scomparendo dall’orizzontedelle istituzioni in Italia. Ci dobbiamoproprio rallegrare del fatto che anche l’i-struzione preuniversitaria è finalmentediventata simile al settore ittico, caseario,industriale e via elencando. Per quellauniversitaria ci sono buone speranze perla medesima sorte, che il peggio finalearrivi presto, dopo lo sbriciolamento deltre più due.Un settore, la scuola, nel quale portare lasanta scure dei tagli e dei risparmi di bi-lancio. Ora lo si può fare con la benedizione deinostri politici al governo. Se si riesce arisparmiare tanto meglio, ma poi tuttiquei soldi dove andranno? Dato che ildebito pubblico aumenta, l’evasione fi-

Il cartello ad una manife-stazione di insegnanti.All’interno, manifestazionidi precari.

di Tiziano Tussi

mi posti in Europa. Nulladi tutto questo ha sensoagli occhi dei nostri go-vernanti. In questa approssimazio-ne si sono succeduti siagoverni di centro destrasia di centro sinistra. Lascuola è considerata inItalia una specie di Cene-rentola del settore spesestatali. Investimenti didenaro ridicoli, strumentidi lavoro che si consuma-no e non vengono mairimpiazzati, aumentodella burocrazia e dell’ap-prossimazione didattica.Il fare lezione non inte-ressa a nessuno e perciò sicerca di pompare il con-torno evanescente – un program-ma scolastico a misura di persona?Dizione bella ed incomprensibile –affinché il senso preciso dell’accul-turazione – la conoscenza – nonvenga perseguita. Ed ecco perciò spiegatele manifestazioni anchedi questo inizio d’anno,all’avvio della riformaGelmini che riduce ore distudio per gli studenti,aumenta gli alunni perclasse, e taglia perciò cat-tedre, taglia lavoro, conpeggioramento perciòdelle possibilità di impie-go per i precari. Similiconsiderazioni si possonofare per il personale tec-nico ed ausiliario, i bidel-li insomma. Se l’obiettivoè quello di fare scompari-re la piaga del precariato,evidentemente siamo tut-ti d’accordo, però lascomparsa non deve esserottenuta semplicementeprosciugando l’acqua divita per questo gruppo dilavoratori, con la nega-zione della possibilità diben fare, allungando ap-punto il tempo di lavoroper i garantiti, aumentan-do gli studenti per classe:alla fine facendo lavoraredi più e per più tempo gliinsegnanti già in ruolo.Ma quando andranno inpensione? Quando giova-

ni laureati potranno entrare nellascuola, svecchiando un poco l’etàmedia della categoria, tra le più al-te d’Europa? Il precariato dovrebbe essere unespediente minoritario per un’isti-

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tuzione che si è solidifica-ta nel paese, nel territo-rio. Per una classe di go-verno che ha a cuore gliinteressi dell’accultura-zione dei giovani. Cosìfacendo si potrebberoavere insegnanti di ruoloin gran quantità e pochis-simi precari, pronti a so-stituire coloro che an-drebbero in pensione. Ma tale comportamentoda paese normale oramailo abbiamo scordato. E laderiva perversa degli ulti-mi decenni ci ha impostouna rimozione di aspetta-tive virtuose. Penso si possa valutarel’inizio del delirio, non

che prima non vi fossero problemi,al 1994, ministro Francesco D’O-nofrio, primo governo Berlusconi:abolizione esami di riparazione disettembre, per i rimandati delle su-periori. Da lì appunto è iniziato il

delirio. Ora siamo in fase di esta-si dello stesso e ci siamoridotti a discutere se iprecari abbiano o menoragione nel fare ciò chefanno, se chi alza la voceper ricordare un dirittosia un disturbatore dellaquiete pubblica oppurelui stesso un disturbato.Senza ovviamente, giun-gere alla discussione dellequestioni in campo. Atanto è arrivata la contro-riforma politica. Chissà se si può citare,sommessamente quell’in-ciso di Goya, che descriveuna sua acquaforte: Elsueño de la razón producemonstruos - Il sonno dellaragione produce mostri.Sarà possibile ricordarlosenza essere scambiati perterroristi della mente? Maaltro non mi pare si possarazionalmente dire. Op-pure è addirittura laragione, la logica ad esse-re stata svenduta per unpugno di ragionamentisofistici: vuoti e mancantidi senso interno. Fichi secchi appunto.

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Attualità

presente); delle trasformazionidella rappresentanza (dalle corpo-razioni fasciste ai sindacati di basedell’attuale contesto, e/o alla tota-le assenza di domanda sindacale);della trasformazione materiale dellavoro (dal lavoro insieme agli altridentro fabbriche simili a caserme,o al lavoro nei reparti fordisti delsecondo dopoguerra, al singolochiuso davanti ad un computer oin una scatola di vetro dell’attuali-tà); del sentimento della solidarie-tà condivisa fino alla solitudine eallo stress da prestazione di questiultimi tempi; dello sviluppo del di-battito intellettuale, dalle riflessio-ni di A. Smith a quelle della S.Weil, o di H. Bravermann; dell’in-contro tra lavoratori immigrati elavoratori italiani, o di quant’altrosarà ritenuto interessante dai do-centi coinvolti con i loro studenti.Su un altro versante abbiamo deci-so di promuovere per l’intera cit-tadinanza un Convegno di profiloalto per la giornata dell’8 ottobre2010 dal titolo: Il lavoro e le parole.Mettere l’accento su questi duevocaboli significa da parte degliorganizzatori centrare l’attenzionesu uno degli aspetti più problema-tici di questo tema, cioè la difficol-tà di parlarne in maniera comples-sa, analitica, esaustiva e non episo-dica, né tanto meno sull’onda diun’emozione legata ad una mortebianca. Significa affrontare questatematica con gli strumenti inter-pretativi di discipline diverse cheda anni, magari senza troppo cla-more, e senza spesso incrociarsicon un ascolto critico, hanno con-tinuato a lavorare intellettualmen-te sul lavoro, sul suo significato,sui possibili modelli interpretativi.Non solo. Poiché il 2010 è anchel’anno in cui ricorre l’anniversariodello Statuto dei lavoratori, questapare l’occasione giusta per propor-re una riflessione a largo spettrosul lavoro in chiave storica, sociale,

P arlare di lavoro, oggi, in Ita-lia. Una delle tematiche piùurgenti ma anche quelle do-

ve più forte è la mancanza di refe-renti autorevoli a cui rivolgersi. Lacrisi della politica, la crisi delle or-ganizzazioni sindacali, la pesantecrisi culturale e morale che il no-stro Paese attraversa da ormaitroppi anni, rende questo argo-mento urgentemente drammaticoe nello stesso tempo uno degli ar-gomenti più elusi, o, talvolta, af-frontati in modo episodico, solle-citati dall’emergenza. Basta pensa-re al caso di Pomigliano, sotto gliocchi di tutti. Poiché il nostro Istituto è, comerecita il suo stesso nome, un Isti-tuto che si occupa oltre che di Re-sistenza anche di società contem-poranea, abbiamo deciso di pro-porre l’attenzione su questo temaaffrontando l’analisi da due ango-lature diverse ed in contesti diver-si. Da una parte con la promozio-ne di una attività con le scuole su-periori della provincia su questoargomento, attività che si conclu-derà a maggio del 2011 con lapresentazione degli elaborati deglistudenti. Il percorso dal titolo:“L’Italia è una Repubblica demo-cratica fondata sul lavoro… Per-corsi storici e di memoria sul cam-biamento del lavoro dal fascismo aigiorni nostri attraverso libertà ne-gate, conquiste democratiche, soli-darietà, precarietà e solitudine”cercherà di sviluppare un’indagineche entri nel merito del lavoro, dalpunto di vista delle condizioni la-vorative, delle libertà garantite oviolate (pensiamo alle assunzionicon tessera durante il regime, pen-siamo ai licenziamenti politici de-gli anni Cinquanta, pensiamo allaflessibilità e precarietà del nostro

di Catia SonettiDirettrice dell’Istituto storico della Resistenzae dell’età contemporanea di Livorno

giuridica, antropologica, letterariae culturale. L’obiettivo è quello diprovare a ripartire con una discus-sione su questo argomento, unadiscussione divisa in sostanza indue momenti: il primo è costituitodalle comunicazioni dei numerosirelatori che parleranno di lavorocon passione, competenza e sguar-do critico, il secondo, quello deldibattito serale, si articolerà sul-l’incontro tra i primi soggetti e ilmondo del lavoro, cittadini comu-ni e sindacalisti, rappresentanti po-litici e imprenditori nel desideriodi ricominciare a tessere una rela-zione indispensabile per tutti.Saranno nostri ospiti, intellettualicome Luciano Gallino, UmbertoRomagnoli, Pino Ferraris, VanessaMaher, Massimo Raffaeli, FabrizioLoreto, Emanuele Zinato, Gio-vanni Contini, Emilio Jona, Ro-berto Silvestri. Il lavoro verrà ana-lizzato secondo gli strumenti epi-stemologici di discipline diverse edavranno come scopo quello di su-scitare dubbi e domande, riflessio-ni e critiche. Ci auguriamo di poter, in una fasesuccessiva, pubblicare sia le rela-zioni che il dibattito perché il no-stro auspicio è che a questa nostrainiziativa ne possano seguire altree che tutti i soggetti che hanno acuore il nostro Paese e la sua tenu-ta democratica, così pesantementeminacciata, riprendano l’abitudinedi confrontarsi con uno degliaspetti centrali della vita privata epubblica di ciascuno.

Ad ottobre due importanti convegni organizzati dall’IstorecoAd ottobre due importanti convegni organizzati dall’Istoreco

E a Livorno si discuteràdi lavoro e precarietà

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Un fenomeno in continuo e straordinario sviluppo

L’arrivo di tanti giovani nell’ANPIè un contributo per la società

Attualità

Dall’altra il cambiamento politico e isti-tuzionale, con la scelta maggioritaria incampo elettorale, ha confermato una tra-sformazione radicale delle organizzazionipolitiche, i partiti, che con maggior effi-cacia (e che riguardava nella sostanza l’in-tero arco parlamentare) avevano sino aquel momento avuto la prerogativa prin-cipe della rappresentanza.I Partiti, nella loro trasformazione, sonosempre più diventati altro, più “fluidi”,“liquidi”, “leggeri” procedendo speditiverso una esasperata personalizzazione, oad una professionalizzazione dell’agire edell’interpretare la politica, al punto darendere difficile una adesione popolareche dovrebbe agire grazie ad una identi-ficazione e partecipazione a tutto tondo,stimolando invece una appartenenza diopinione o di scelta temporanea.Ma cos’è l’identificazione in un Partito senon una predisposizione politica di lun-go periodo, che ha un ruolo di mediato-re, di “filtro” interpretativo nel guidare ilcomportamento dei cittadini? Essa consiste nell’identificazione costan-te, affettiva, psicologica dell’individuocon il proprio partito politico preferito.Deriva dal processo di socializzazionepolitica, che avviene quando un indivi-duo inizia ad avere contatti e a ricevereinformazioni sul mondo politico; in que-sto processo è fondamentale il ruolo del-la famiglia, il contesto storico e la fase so-ciale che viene percorsa.Secondo la Scuola di Chicago, che com-bina elementi sociologici e psicologici dianalisi del senso di appartenenza ad unpartito politico, esistono fattori come lasocializzazione politica, l’identificazionedi partito, il sistema valoriale di riferi-mento: questi vengono definiti “longterm”.Sono fattori che hanno a che fare con lastoria di colui che vota, sono sempre pre-senti nella razionalità dell’individuo, dallanascita al momento del voto. E sonocostanti.Tale identificazione è distinta dalla prefe-renza di voto, la quale può essere condi-zionata anche da fattori “short-term”, do-ve prevalgono fattori come la campagnaelettorale, issue (ad es. la sicurezza nazio-

È un fenomeno che si registra ormaidal 2009: l’ANPI aumenta il pro-prio numero di iscritti, ed in par-

ticolare di giovani “partigiani” sotto itrenta anni.Questo flusso di nuovi “volontari per lademocrazia” approda nell’Associazionenazionale dei partigiani grazie alla possi-bilità resa maggiormente evidente negliultimi anni, di aprire le porte anche a chila Resistenza non l’ha vissuta, per conti-nuare a far vivere la memoria della lottaper la democrazia, messa a rischio dallagraduale scomparsa dei protagonisti e dalrevisionismo di regime. Un revisionismocosì audace e violento che mette in dis-cussione spazi e movimenti democratici,in modo formale e materiale la Costitu-zione repubblicana, e – per cogliere igravi segnali di queste ultime settimane –persino i fatti di Genova del 1960.L’avvicinamento così importante delletante migliaia di giovani a questa associa-zione, e che può far ben sperare nella cre-scita culturale e politica delle nuove ge-nerazioni, può però essere analizzato co-minciando a collocarlo nel contesto stori-co che si va realizzando. Negli ultimi an-ni abbiamo visto una profonda trasfor-

mazione dei processi sociali epolitici nel nostro Paese.Da una parte la frammenta-zione del mondo del lavoro,con l’erosione dei diritti deilavoratori sommata a nuovimodelli di produzione, conuna valorizzazione – surret-tiziamente propagandata co-me elemento progressivo –della individualità e della ca-pacità di poter superare siste-mi contrattuali complessividi categoria, ha sciolto po-tenzialità prima ben indivi-duate in serbatoi molto am-pi, dove la percezione indivi-duale dei propri bisogni edelle proprie rivendicazioniformavano un collettivo, esoddisfacevano al contempouna appartenenza ed unaidentificazione sociale.

Un momento della 2a Fe-sta Nazionale dell’ANPI adAncona del giugno scorso.

di Patrizia Turchi

Un’ipotesi di analisi.La scomparsadei partiti ha creatouna crisi profonda

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nale, il sistema sanitario…), leader,condizioni individuali (economi-che o sociali dell’individuo). Sonofattori che mutano da un’elezioneall’altra, di breve periodo, che por-tano a spostare il voto su un parti-to in cui l’individuo può anchenon identificarsi.La radicale trasformazione dei ruo-li e dell’organizzazione della mag-gior parte dei partiti politici italia-ni, il ripensamento o l’abbandonodelle ideologie (rammentiamo quiuna straordinaria definizione cheHannah Arendt dà all’ideologia:«non è la menzogna delle apparen-ze, ma piuttosto il sospetto gettatosulle apparenze e la sistematica pre-sentazione della realtà che abbiamosotto gli occhi come schermo superfi-ciale e ingannatore»), ha esasperatola predominanzadei fattori “shortterm”, creando unprofondo vuoto ri-spetto al bisognosociale di apparte-nenza e di identifi-cazione.Se le organizzazio-ni sociali – dove irapporti tra imembri sono in-terdipendenti (unoinfluenza l’altro)ed i membri che lecompongono han-no una ideologiacomune, una seriedi credenze, dinorme, di valori che regolano la lo-ro condotta, in vista di compiti co-muni che sono peculiari a quelgruppo, tali da renderli distinti daaltri gruppi – includevano nel pas-sato il ruolo e la funzione di unpartito politico, oggi chi rappre-senta meglio questo bisogno di af-filiazione, identificazione?Alle nuove generazioni, che si af-facciano in questo caotico mondoiper frazionato, dove agli individuinon viene più concesso di sentirsi“classe”, “massa lavoratrice o pre-caria” ma vengono indotti a perce-pirsi come “consumatori”, che nonhanno fatto l’esperienza di quellegrandi organizzazioni sociali, leprospettive e i contenitori atti all’i-dentificazione sociale, utile alla cre-scita collettiva, democratica e civile,si assottigliano pericolosamente.

Eppure la tendenza a costituiregruppi, a sentirsene parte e a di-stinguere il proprio gruppo di ap-partenenza da quelli di non appar-tenenza, elicitando consequenzial-mente dei meccanismi di bias (dis-torsione) cognitivo ed un compor-tamento di favoritismo per il pro-prio gruppo, è spontanea e impre-scindibile. L’identità sociale si fon-da su tre processi tra loro collegatiche nascono nel gruppo:la categorizzazione (costruzione dicategorie discriminanti che massi-mizzano le somiglianze tra i sog-getti all’interno della categoria, emassimizzando le differenze con lecategorie contrapposte), l’identifi-cazione (le appartenenze ai gruppiforniscono la base psicologica perla costruzione della propria identi-

tà sociale), il confronto sociale(con condotte marcatamente se-gnate da bias valutativi a favore delproprio gruppo di appartenenza).Questi meccanismi sono spontaneie sono rintracciabili in qualunquecomportamento gruppale (dalla ti-foseria di calcio al circolo musica-le).Uno degli aspetti che caratterizzamaggiormente la situazione giova-nile (ma, ahinoi, non solo) è, senzadubbio, costituito dall’esposizionealle conseguenze di un massiccioincremento della complessità socia-le, da una miriade di sollecitazionie stimoli, in assenza di riti e percor-si capaci di dare ordine all’esistenzae di contenere in modo rassicuran-te l’espansione illimitata dei desi-deri “provocati”, soffocando, tra-vestendo o deviando quelli “reali”.

I cambiamenti culturali e socialidegli ultimi decenni hanno portatoa promuovere valori antisociali, co-sì come la confusione sollevata dal-l’apertura culturale e le contraddi-zioni di un conflitto tra ideali cul-turali e realtà sociali. Sembra che lacultura occidentale sia incapace diadempiere al suo scopo cioè forni-re reti di significati capaci di mo-dellare la maniera con cui le perso-ne vedono il mondo, trovano alsuo interno la propria collocazioneed agiscono, sia in modo indivi-duale che collettivo.A ben guardare i “marchi” (perusare un termine caro al marketingmanagement), ovvero i soggettiche parrebbero aver attraversatoindenni questa trasformazione so-ciale e politica della nostra società

sono davvero mol-to pochi. Uno di questi, perchi condivide uncerto tipo di valo-ri, come l’antifasci-smo, la necessitàdella valorizzazio-ne della Costitu-zione, la laicità, lavigilanza costantedella applicazionedei princìpi demo-cratici, è propriol’ANPI.Ecco allora chel’ANPI fornisce,del tutto inaspetta-tamente, un ruolo

suppletivo se non addirittura sosti-tutivo di identità sociale, la cui ri-cerca di soddisfazione è messa indifficoltà – nel panorama sociale –nel cogliere riferimenti e sistemivaloriali comprensibili, concreti, fa-cilmente distinguibili e soprattuttonon scambiabili.È un ruolo importante che devetrovare nell’alveo della maggioreacculturazione e comprensione deiprocessi sociali e storici che stiamoattraversando il suo percorso natu-rale.L’afflusso di nuove risorse sogget-tive, di nuove storie di ordinariama irriconosciuta comunanza so-ciale, coese sotto l’insegna cultura-le della Liberazione non può cheaccrescere lo scambio e il livellonon solo dell’Associazione ma del-la Società intera.

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Fu portata a termine contro i nazisti da Francesco Carlo Gay

Per l’Operazione Herringil coraggio di 226 parà

Storia

era andata via via accatastando, armi emateriali, sulle rive del fiume.Una missione che rasentava la follia, daattuare con leggere pattuglie di 10-12uomini ciascuna, equipaggiate solo conarmi ed esplosivo, fidando, per il resto,nel sostegno logistico dei partigiani delluogo (che risultò pronto ed efficace).Ma come sempre accade in ogni opera-zione di aviolancio, anche questa volta isalti nel buio della notte, gli errori di di-rezione dei piloti inglesi e la reazione fu-riosa delle unità contraeree, particolar-mente numerose lungo le rive, contri-buirono al verificarsi di atterraggi spessodistanti e diversi dai luoghi prefissati.Di conseguenza avvennero fatti imprevi-sti e perfino grotteschi, come la cadutasul cassone di un automezzo pieno dinemici o nel bel mezzo delle aie contadi-ne, affollate di civili e tedeschi, gli uni egli altri sorpresi e atterriti da quelle im-provvise apparizioni.La reazione dei parà – là dove non veni-vano uccisi ancora in volo contro ogniconvenzione internazionale – avvennerapida, valorosa e spietata, a colpi di mi-tra e bombe a mano, sostenuta da un so-vrumano coraggio, controllato con attidi astuzia, per occultarsi meglio e sfuggi-re alla loro ricerca, utilizzando fossi, ca-nali e, spesso, le stesse case in cui eranoalloggiati i nemici. In quei frangenti i tedeschi non esitaro-no a compiere crudeli atti di ritorsioneverso quelli che dimostravano il minimosostegno a quei valorosi combattenti,tanto che, una successiva missione di lan-cio, già programmata, venne cancellataall’ultimo momento dagli inglesi, infor-mati di quelle barbare vendette, speciesui partigiani catturati.I risultati dell’Operazione Herring parla-no di 44 mezzi distrutti; sette strade digrande comunicazione minate nelle pro-vince di Ferrara, Modena, Reggio; treponti fatti saltare, un deposito di muni-zioni esploso, decine di linee telefonicheinterrotte, duemila prigionieri – poi con-segnati agli inglesi in arrivo – e 544 te-deschi uccisi contro 31 caduti italiani e26 feriti.

I l figlio del valoroso comandante diquesta operazione è oggi presidentedell’Associazione di cavalleria mentre

suo padre, Francesco Carlo Gay, da gio-vane capitano, fu il mitico comandantedello squadrone “Folgore” l’unità italia-na inquadrata nella 6a Armata inglese,nella campagna d’Italia, protagonistadell’impresa.Proprio a Francesco Carlo Gay venne as-segnata quella ardita missione di guerra,negli ultimi giorni del conflitto, denomi-nata “Herring” e consistita nel lancio di226 parà sul pieno dello schieramentotedesco in ritirata, lungo le rive del fiumePo.L’episodio, che ora raccontiamo ha del-l’incredibile e va considerato come il ri-sultato della ostinata volontà dei paraca-dutisti della “Folgore” e del “Nembo”di tornare, da unità terrestri, a quello cheera il loro vero ruolo.La missione, invano interdetta dagli in-

glesi, per gli effetti cheavrebbe potuto averesulla popolazione civile,era intesa a spargere di-struzione e scompigliosulle truppe tedesche,lungo un corso d’acquainguadabile, ma ancoradeterminate e spinte dal-la volontà di porsi in sal-vo verso la Germania el’Austria senza peraltrorinunciare ad effettuarecrudeli ritorsioni controchiunque, partigiani eno, osava contrastarequella loro ultima spe-ranza di salvezza.In quella occasione i 226parà vennero lanciatilungo i principali itinera-ri di Modena-Mirando-la-Verona e Ferrara-Pog-gio Rusco-Ostiglia, perdistruggere il maggiornumero di postazioni di-fensive ed impedire la fu-ga al Nord della enormemassa di tedeschi che si

Scesero sulle rive del Po(20-23 aprile 1945) in mezzo ai tedeschiin ritirata.La morte di Amelio De Juliis di sedici anni e dell’amico Aristide Arnaboldi.Gravissimi danniinflitti al nemico

“L’ultima sigaretta primadel lancio” di due paràche parteciparono all’Ope-razione Herring.

di Ilio Muraca

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Ma delle tante che potrebbero an-cora essere raccontate, certamentela storia più toccante ed emblema-tica di tutta l’Operazione Herringè quella del “piccolo balilla” (co-me veniva chiamato per l’età e lastatura) Amelio De Juliis, figlio dicontadini di Pizzoferrato (Chieti).Aveva appena 16 anni quando, nelnovembre del ’43, in una notte ditormenta, si offrì di guidare attra-verso la montagna, che ben cono-sceva, una pattuglia dello Squa-drone Folgore comandata dal Ca-pitano Gay, aggregata alla I Divi-sione Canadese. Fu preso in simpatia dai paracadu-tisti ed avendo chiesto ed ottenutodi poter restare con loro, parteci-pò all’avanzata verso il nord esple-tando umili incombenze. Non contento volle anche conse-guire il brevetto di paracadutistadivenendo così l’amico insepara-bile del Caporalmaggiore AristideArnaboldi. Poiché la sua giovane età gli era diostacolo alla partecipazione dellancio di guerra, occorse tutta l’in-sistenza ed il convincimento del-l’Arnaboldi per poterlo includerenel novero dei partecipanti all’O-perazione Herring.Sia lui che l’Arnaboldi vennero in-quadrati nella pattuglia “O” delloSquadrone “F”, comandata dalSottotenente Angelo Rosas. Accerchiati da una pattuglia nemi-ca, fu proprio nella disperata difesadel suo comandante, già colpito a

morte, che il giovanissimo paraca-dutista, a sua volta ferito al bracciodestro, aveva continuato a lanciarebombe a mano con la sinistra; in-

tanto anche l’amico Arnoboldi,nel tentativo di difenderlo, venivaabbattuto.Arnoboldi e De Juliis sono statitrovati uno accanto all’altro, amiciinseparabili nella vita e nella mor-te, ma anche dopo, perché unitinel massimo riconoscimento perun soldato: la Medaglia al ValorMilitare, alla memoria.Amelio De Juliis, senza alcun dub-bio resterà a perenne testimonian-za dell’onore e del valore del sol-dato italiano.

Tutto il materiale (relazioni, dise-gni, istantanee, dichiarazioni, ecc.)riferito all’Operazione Herring èoggi ordinatamente raccolto ed èdisponibile per una mostra che po-trà essere richiesta al seguente indi-rizzo:Maurizio Grezzi - Presidente Asso-ciazione Paracadutisti - CorsoGiovecca, 165 - 44100 FERRARA

Il documento che annuncia il proposito di mettere in atto l’Operazione Herring.

I Parà della Herring mentre ritirano i paracadute.

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La mia difficile storia

Il partigiano-ragazzo diventatoun medico molto famoso

Testimonianze

land), con la chiamata di leva anticipatadovetti di nuovo abbandonare la scuolaed andare a lavorare con la T.O.D.T.come operaio.Nel frattempo ero venuto a conoscenzadel Movimento di Liberazione, il cuibraccio armato era rappresentato dalleformazioni garibaldine ed osovane, di di-versa concezione politica, aspetto cheper noi giovani passava in seconda lineain quanto tutte e due avevano come finela lotta contro i tedeschi che avevano oc-cupato l’Italia. Nella nostra zona operavala divisione garibaldina “Picelli Taglia-mento” di cui conoscevo personalmentealcuni capi i quali ripetutamente cerca-rono di convincermi ad aderire al loromovimento.Lavorando alla polveriera di Osoppo, co-me loro mi proponevano, avrei potutounirmi ai compagni che erano già là edaiutarli a trafugare munizioni per i parti-giani; inoltre, venuti a conoscenza cheintendevo diventare medico e che eroamico dei medici e dei farmacisti del luo-go, mi avrebbero incaricato di far perve-nire loro farmaci e materiale di medica-

zione fornitimi dai sud-detti sanitari e di aiutare icompagni feriti o amma-lati e questo particolarecontribuì in modo deter-minante alla mia decisio-ne di accettare la loroproposta. Mi spiegaronoche in tale modo sarei sta-to utilissimo, unendomipoi, se necessario, occa-sionalmente o definitiva-mente ai compagni inmontagna. Il 22 novembre 1944,mentre mi trovavo al la-voro nella suddetta polve-riera, in stato di preallar-me, che comportava lacontinuazione dell’attivi-tà lavorativa, si materializ-zarono ad alta quota, sul-la nostra verticale, duestormi di silenziosi caccia-bombardieri Lightning

S ono trascorsi oltre sessant’anni dal-la fine della Seconda guerra mon-diale e ormai se ne parla di rado,

perché i sopravvissuti sono pochi, la lorovoce è sempre più flebile ed i loro ricor-di sfumati. Anche se molte cose non funzionano ainostri giorni, certi valori, come la libertàe la democrazia, resistono ancora e sonocostati molto alle poche persone ancoravive ed a tanti che non ci sono più ed èdoveroso non dimenticarlo.Io allora c’ero, ero poco più che unragazzo, vivevo con la mia famiglia adArtegna, un paese dell’alto Friuli, fre-quentavo il liceo scientifico Marinelli diUdine e avevo deciso di fare il medico. Da ragazzo ero stato a lungo ammalato,ricoverato in ospedale, ed ero rimasto af-fascinato nell’osservare i medici e gli in-fermieri ed in particolare l’umanità di-mostrata verso i sofferenti da alcuni diloro. Ma alla fine del secondo anno di liceo,mentre il Friuli era passato sotto la quasiannessione tedesca e faceva parte del“Litorale Adriatico” (Adriatisches Küsten-

Al lavoro nella polveriera.L’aiuto ai feriti e le armi ai partigiani.Si presentò in montagna con nove nazistiprigionieri

Il castello di Artegna dopol’attacco tedesco.

di Pietro Roberto Comoretto

patria indipendente l 26 settembre 2010 l 33

che stavano sganciando una nuvo-la di bombe. Con urla e bestem-mie, gran parte degli operai si lan-ciarono verso l’unica uscita, acca-vallandosi in una marea di corpi.Io ed altri che lavoravamo al cen-tro della struttura ci buttammosemplicemente a terra augurando-ci che le bombe andassero a cade-re più avanti, evitando un’ecatom-be in quanto da noi stazionavanopure vagoni ferroviari carichi diesplosivo estratto dai residuati bel-lici. Infatti ci parve un miracolo quan-do le nuvole di polvere e gli scop-pi iniziarono poco oltre il nostrorecinto e poi, purtroppo, investi-rono anche l’abitato di Osoppo.Allora ci alzammo ed anche noicorremmo verso l’uscita, ma nelfrattempo i tedeschi decisero diincolonnarci e condurci a portaresoccorso alle probabili vittime.Il paese era avvolto ancora in unanuvola di polvere e, mentre ci ac-cingevamo a portare aiuto ai tantiferiti, una terza formazione diLightning, giunta mezz’ora dopo,colpì la stessa zona; come poi siconstatò, si trattava di bombe afrazionamento, che comprensibil-mente fecero una strage anche trai soccorritori. Io feci appena intempo a gettarmi in una cunetta ailati della strada, ma stupidamentein posizione supina per poter ve-dere quello che succedeva ed unascheggia mi ferì il naso alla radice,risparmiandomi miracolosamentegli occhi. Fino a metà dicembre i nazifasci-sti, utilizzando anche le truppe co-sacche insediate in Carnia e nell’al-to Friuli, scatenarono grandi ope-razioni di rastrellamento contro leformazioni partigiane. In queste circostanze ebbi ripetu-tamente modo di rifornire la miaformazione del materiale medicorichiestomi, di partecipare a qual-che azione e di soccorrere addirit-tura il mio comandante ferito edaccompagnarlo presso la canonicadi Bueris, dove lo curò il medicocondotto di Magnano, correndo,assieme al parroco, comprensibilirischi. Nei primi mesi del 1945 la rapidaavanzata degli Alleati nell’Italiasettentrionale e la progressiva in-surrezione delle Forze di Libera-

zione portarono alla ritirata delletruppe di occupazione. Artegnaforse più degli altri paesi della zo-na subì gli ultimi colpi di coda deitedeschi, in quanto situata propriosulla loro via di fuga, e parecchigiovani con capi improvvisati, uni-tisi all’insurrezione generale degliultimi giorni, ritennero che l’entu-siamo potesse sostituire la carenzadi esperienza e di mezzi, ed attac-carono un’autocolonna tedescasulla statale S.S. 13.Quel giorno, su incarico del miocomando, avevo in custodia nelcastello di Artegna, messo a dispo-sizione dal conte Fulvio Bonati Sa-vorgnan, nove militari tedeschifatti prigionieri in precedenti ope-razioni, quando, con un improvvi-so contrattacco, il castello venneinvestito da un violento fuoco diartiglieria che ferì il figlio del con-te ed altri occupanti. Mentre medicavo i feriti, il paesevenne occupato dalla Wehrmachte da reparti della SS; io, rimastoisolato, non me ne accorsi, ma miresi conto che bisognava abbando-nare al più presto il castello checontinuava a essere colpito. Li im-barellai con l’aiuto dei tedeschi,che si dimostrarono disponibili,anche perché li avevo sempre trat-tati in modo umano cercando dievitar loro disagi e umiliazioni.Sotto il persistente fuoco nemicotrasferii i feriti nella vicina canoni-ca dove, al vedermi arrivare arma-to e in tale situazione, terrorizzatimi informarono che ero rimastosolo e circondato, mentre tutti ipartigiani si erano ritirati sullemontagne circostanti.Resomi conto della situazione, ap-pena la via si rese libera da mezzi esoldati, di corsa la attraversai assie-me a tutti i prigionieri. Questi, che nel frattempo avreb-bero avuto più volte l’occasione difuggire per raggiungere i conna-zionali, inspiegabilmente obbedi-rono ai miei ordini e fortunosa-mente raggiungemmo in monta-gna i compagni, che al vedermi ar-rivare in tale compagnia rimaseroincreduli. Successivamente essi ri-sultarono utili per uno scambiocon ostaggi italiani inermi tratte-nuti dai tedeschi.A liberazione avvenuta il mio pri-mo pensiero era di recuperare ra-

pidamente il periodo scolasticoperduto a causa della malattia pri-ma e della guerra poi, tentando disostenere l’esame di maturità nellostesso anno per potermi iscriveresubito all’Università. Pertanto, perpoter realizzare tale programma incosì poco tempo, fui costretto a la-sciare subito il reparto nonostanteche il mio comandante mi avesseavvertito di non avere la facoltà diconcedermi tale permesso; comeconseguenza e con mio rammariconon venni poi incluso nelle listedel Movimento di Liberazione.Nello stesso anno conseguii al“Marinelli” di Udine la maturitàcon ottimi voti e potei iscrivermialla Facoltà di Medicina e Chirur-gia dell’Università di Padova.Il D.L. 875 del 1977 stabiliva lariapertura dei termini di riconosci-mento delle qualifiche di patriota e di partigiano riservata al Friuli-Venezia Giulia. Alcuni dei miei excomandanti si fecero scrupolo diinformarmi di questa possibilità.Dopo averci ben riflettuto accettaila loro proposta ed ottenni il rico-noscimento; lo feci soprattutto peravere la possibilità di affermare investe di protagonista che i valoridella Resistenza, la democrazia e lalibertà, di cui tutti ora godiamo,non si possono mettere in discus-sione e per ricordarlo anche a co-loro che citano solo alcuni tragiciepisodi di quel periodo, purtroppocompiuti da parte di persone irre-sponsabili, ma mai avallati dai ver-tici del Movimento. Me lo confermò in seguito anchemio suocero, Faustino Barbina, al-lora Commissario politico dellaDivisione Osoppo, che per la dela-zione di un italiano venne cattura-to, subì il carcere con terribili sevi-zie senza mai cedere e parlare epoi l’internamento a Dachau conaltrettante sofferenze e riuscì a ri-tornare a casa quasi irriconoscibile,come per miracolo.È giusto ricordare ancora una vol-ta che nelle file della Garibaldi edell’Osoppo ci furono sicuramentela generosità e l’eroismo di tantiFriulani che pagarono con grandisacrifici, taluni con l’internamentonei campi di sterminio e con la vi-ta, la loro opposizione al fascismo,alla guerra ed alla conseguente oc-cupazione tedesca.

34 l patria indipendente l 26 settembre 2010

Il pittore baiano è stato uno degli attori del maestro del cinema brasiliano

Parlando con Sante Scaldaferridel regista Glauber Rocha

Cultura

giosità e cultura popolare. Contempora-neamente riesce a creare un linguaggiomolto personale, creativo e inconfondi-bile realizzando lavori di grande forza vi-siva. Nella nuova fase che inizio nel 1980gli ex-voto assumono la condizioneumana per esprimere le debolezze delcarattere, i peccati, le allegrie, le tristez-ze, gli amori e gli odi. Da allora utilizzala tecnica dell’encaustica, ma oggi usaanche la tecnica dell’infogravura, sfrut-tando le enormi potenzialità del compu-ter. Sante Scaldaferri ha sempre rinnova-to il suo stile facendo ricerca, cercandoespressioni nuove. Ha partecipato a mo-vimenti all’avanguardia nel campo del-l’architettura, della pittura, del cinemache tanto hanno influenzato lo sviluppoartistico del Brasile. Negli anni ’40 par-tecipa al movimento baiano della “Gera-ção Mapa”. Nel 1957 si laurea all’ Esco-la de Belas Artes dell’Università Federaledi Bahia. Entra poi nella Scuola di Tea-tro della Ufba ove studia Scenografiacon Gianni Ratto. Insieme all’architettoLina Bo Bardi, di cui è assistente dal1958 al 1964, fonda il Museo de ArteModerna di Bahia nel Solar da Unhão enegli anni ’50 partecipa alle iniziativepionieristiche di Glauber Rocha, padredel “Cinema Novo”, il movimento brasi-liano che rivoluziona la cinematografianel Paese, influenzato dal Neorealismoitaliano e dalla Nouvelle Vague francese.Sante collabora con Glauber Rocha co-me scenografo e attore, ma soprattuttodivide con lui una lunga amicizia che ri-corderà nella nostra intervista.

Può raccontarci le origini della sua ami-cizia con Glauber Rocha?Prima di tutto vorrei dire che su GlauberRocha potrei parlare all’infinito perché lanostra amicizia è stata profonda ed èdurata fino alla sua morte. La mia cono-scenza con lui fu tumultuosa, come tut-to nella sua vita. Ero ancora studente al-la Escola de Belas Artes, nel centro stori-co di Salvador e ogni giorno, dopo la fi-ne delle lezioni, andavo a Rua Chile chea quell’epoca era il punto di ritrovo del-la città. Varie volte mi accorsi che venivo

Salvador (novembre 2009)

N ell’era contemporanea Sante Scal-daferri è considerato uno dei piùimportanti e rappresentativi tra i

pittori brasiliani. Pittore, scenografo, at-tore e professore: Sante è tutto questo.Negli anni sono state realizzate tesi dilaurea e programmi televisivi sulla sua ar-te pittorica. Come ama ricordare, Santeè stato “fabbricato” in Italia ed è “sbar-cato” a Salvador, capitale dello Stato bra-siliano di Bahia, nel 1928, anno della suanascita. Mi aspetta per l’intervista in una di quel-le giornate luminose, tipiche di Salvadorquando sta per arrivare l’estate. È sullasoglia della fantastica casa di Itapõa e in-sieme a lui sono ad attendermi gli amoridella sua vita: Marina e l’arte. I suoi oc-chi brillano sempre quando mi parla diMarina e dell’arte. La sua pittura, arteerudita su radice popolare, riflette ildramma e la tragedia del popolo della re-gione dei “sertões” nordestini del Brasi-le. Dal 1957 Sante usa nella pittura l’ex-voto come segno-simbolo, in una trasfi-gurazione estetica, dando così un contri-buto all’identità culturale brasiliana e al-lo stesso tempo esprimendo il suo uni-verso. Non è un regionalista provinciale,ma riesce a raggiungere una lettura uni-versale, unendo un linguaggio contem-poraneo a una tematica brasiliana di reli-

Quel mondo coltoe popolare di Bahia.L’influenzadel neorealismo italiano.Le serate al cineclube i primi film.Ora pittura, incisioneed ex voto

Sante Scaldaferri (Foto diDadà Jaques).

Intervista e traduzionedal portoghese diAntonella Rita Roscilli

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osservato da un giovane con unosguardo strano, che era accompa-gnato da più di due o tre ragazzi.Un giorno, quando meno me loaspettavo, uno di loro, proprioGlauber, venne verso di me dicen-do: «Tu sarai attore nel mio film».Così ebbe inizio una solida amici-zia e molti progetti culturali. Mol-te riprese del film si dovevanosvolgere nella zona del meretricio,ma in realtà quel film non vennemai girato, anche se la sceneggia-tura esiste. Per quello che ricordodella storia, la madre di una prosti-tuta moriva e il mio personaggio,innamorato della meretrice, entra-va nel corteo del funerale con deifiori in mano. Però invece di collo-carli sulla bara, li dava alla suaamata. Glauber aveva allora 18 anni.

E Glauber cosa faceva in quel pe-riodo? Era ancora studente di Diritto, mafaceva anche il giornalista. Iniziòsubito con la cronaca, all’inaugu-razione del “Jornal da Bahia”. Poiandò al “Diario de Noticias” dovescriveva una colonna di cinemasotto lo pseudonimo di De Sanctis.Poco tempo dopo collaborò alSupplemento Culturale che uscivala domenica, scrivendo articoli etraducendone altri di autori di di-versi Paesi. Una notte, ritornandodall’appuntamento con la mia fi-danzata Marina, che poi divenneed è mia moglie, appena sceso dal-

l’autobus, venni circondato da cin-que ragazzi che con gesti e parolequasi mi aggredirono fisicamente.Pensavano che io, a causa della so-miglianza del mio nome, ero l’au-tore della colonna firmata daGlauber sotto lo pseudonimo DeSanctis. In realtà giorni primaGlauber aveva scritto un testo cri-ticando il film che sarebbe statorealizzato da quei ragazzi che miaggredirono.

Il “Cinema Novo” brasiliano nac-que nella Stato di Bahia. Perchénacque qui? Cosa accadeva in

quell’epoca a Salvador nel mondoartistico?La nostra generazione ha cono-sciuto il cinema nel “Cinemaclu-be” di Bahia dove il critico Walterda Silveira, prima della proiezionedei film, faceva delle pre-lezioni,spiegando il significato del film.Parlava anche del regista, degli at-tori, il montaggio, i corti, il suono,l’illuminazione e altri temi appar-tenenti al linguaggio cinematogra-fico. Avemmo così il privilegio diassistere a tutta la Nouvelle Vague,al Neorealismo italiano, gli we-sterns, i classici muti, i film di Ser-gej Ejzenstein, come “La corazza-ta Potemkin” e “Que viva Mexi-co”, di Akira Kurosawa, di JohnHuston e Jonh Ford che Glauberammirava molto, di Charlie Cha-plin, innumerevoli documentari emolti altri generi. Mi ricordo mol-to bene che io e Glauber assistem-mo insieme a “I sette samurai”.Glauber si agitava molto, si alzavadalla poltrona in continuazione egridava “Che genio! Che genio!”.Non so quante volte dovetti riac-ciuffarlo per la cintura e metterlodi nuovo a sedere, dicendo che da-va fastidio agli altri spettatori.

Quando venne realizzato il primolungometraggio a Bahia? Il primo lungometraggio baiano,“Redenção” fu realizzato da Ro-

1958: Paulo Gil, Jorge Amado, Calasans Neto, Mario Cravo Junior, Glauber Rocha, SanteScaldaferri, José do Prado Valladares.

Lo scrittore Joao Ubaldo Ribeiro, Glauber Rocha, il pittore Calsans Neto e Sante Scaldaferri.(Archivio personale Scaldaferri)

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che poteva entrare solamente chiaveva calzature decenti. AlloraGlauber cominciò a parlare gri-dando le sue ragioni e le personeche passavano assistettero attonitealle urla senza capire nulla di quel-lo che Glauber diceva.

Quando e come iniziò la sua colla-borazione nei film di Glauber? Il primo film di Glauber fu il cortosperimentale “O Patio”, nel qualeutilizzò il linguaggio del concreti-smo. Questo film fu di grande im-patto tra i cineasti di Rio che all’i-

nizio non capirono assolutamentenulla. Poi giunse l’incompiuto “Acruz na praça”, poi “Barravento”,“Deus e o Diabo na terra do sol”,“Terra em transe”, “O Dragão daMaldade contra o Santo Guerrei-ro”. Io ho partecipato a tutti que-sti film, eccetto “Terra emTranse”, ricoprendo vari ruoli. In“Deus e o Diabo na Terra do Sol”,realizzato nella città di MonteSanto, dove viaggiai con l’architet-ta Lina Bo Bardi, mi rifiutai di farel’attore per non togliere lavoro adun professionista, ma rimasi du-rante quasi tutte le riprese, aiutan-do in tutto. Già in “Dragão daMaldade contra o Santo Guerrei-ro” non riuscii a rifiutare: lavoraicome attore e dipinsi i pannelli. Fuil primo film brasiliano con suonodiretto. In questo insieme di filmsorse il “Cinema Novo” poi estesoa tutto il Brasile non solo attraver-so i film di Glauber, ma anche dialtri cineasti.

Dove ritrovava il tratto geniale diGlauber nella vostra convivenzadurante le riprese dei film? Glauber possedeva un’intelligenzaprivilegiata, un raziocinio rapido euna loquacità con cui perfezionavacon incredibile velocità innumere-voli idee. Cito un esempio: duran-te le riprese di “Dragão…” il miopersonaggio Batista doveva essereucciso dal delegato, interpretato daHugo Carvana. L’arma era carica-ta a salve. Prima della scena, Hugo

volle sperimentare l’arma e sparòcontro la parete. Con grande pauradi tutti, si aprì nella parete un bu-co. Le munizioni erano fatte conpezzi di legno e avrebbero apertoun buco nella mia pancia! Glauberstava assistendo a questa scena, al-lora gridò portandosi le mani allatesta e disse: “Hugo, quando pren-di l’arma dalla fondina punta versoil pavimento così quando arriverànella pancia di Sante non ci saràpericolo. Il pubblico non percepirànulla a causa della velocità e delsuono diretto”. Insomma, risolse ilproblema in pochi secondi! PoiGlauber andò via e divenne famosoin tutto il mondo.

Quando lo vide l’ultima volta? Ricordo che quando venne per fil-mare “Idade da Terra”, Glaubermi cercò e disse che dovevo inter-pretare uno dei Re Magi. Accettaie combinammo che la produzionemi avrebbe avvisato. Nel giornocombinato mi venne una stranafebbre alta e non potetti andare. Ilgiorno dopo non avevo più la feb-bre e mi sentivo bene. Così uscii e,mentre stavo comprando il giorna-le, incontrai Glauber che mi assalìcon parolacce orribili. Così glispiegai cosa mi fosse successo. Luicomprese e, con un gesto che ripe-teva sempre, mi pose le mani sullaspalla dicendomi che aveva variebobine vergini e voleva realizzareil vecchio progetto di filmare undocumentario sulla mia pittura.Gli risposi che prima si dovevaconcentrare solo sulle riprese delsuo film e dopo, allora sì, avrem-mo iniziato il documentario. Fuquella l’ultima volta che lo vidi.

Chi era veramente Glauber Rocha?Le risponderò ricordando un epi-sodio. Subito dopo la sua morte,Paulo Gil de Andrade Soares chefu un eccellente assistente di Glau-ber, venne a Salvador per un servi-zio della TV Globo. Mi pose que-sta domanda: «Secondo lei chi eraGlauber Rocha?». Io risposi: «Unuomo alla ricerca di Dio». La miarisposta venne tagliata, ma ventianni dopo la sua morte uscirono iprimi libri su di lui che, in variemaniere, affermavano ciò che ave-vo risposto io a quella famosa do-manda.

Scale del Monte Santo durante le riprese del film O Deus e o Diabo na Terra do Sol, diGlauber Rocha. (Archivio personale Scaldaferri)

berto Pires alla fine della decadedegli anni ’50. Roberto Pires fugrande amico di Glauber e, sicco-me suo padre aveva un negozio diottica, riuscì a fabbricare in labora-torio una lente cinemascopica.Vennero così realizzati altri filmnella città come “Grande Feira” e“Tocaia no Asfalto”, ambedue diRoberto Pires e “Sol sobre a la-ma” di Alex Viany.

In cosa hanno contribuito per losviluppo culturale di Bahia, Glau-ber Rocha, lei e altri artisti del-l’epoca? A Bahia l’inizio dell’arte moderna,in tutti i linguaggi, avvenne nelladecade degli anni ’40. Prima nellaletteratura dove furono pubblicatele riviste “Arco e Flexa” e “Cader-nos da Bahia”. La nostra genera-zione, oggi conosciuta come “Ge-ração Mapa”, pubblicò una rivistacon lo stesso nome che includevatutti i linguaggi artistici. Ricordoche la sera eravamo soliti riunirciin una gelateria che esiste ancoraoggi, chiamata “Cubana”. Si trovanel marciapiede vicino all’ElevadorLacerda, con una bellissima vistasulla Baia de Todos os Santos. Lì

commentavamo i fatti culturalidella città. Grazie alle nostre attività culturalidivenimmo responsabili del conso-lidamento dell’arte moderna a Ba-hia realizzando vari eventi, inmaggior parte sorti dall’immagi-nazione di Glauber.Avemmo, per esempio, le “Jogra-lescas” che erano poesie moderneteatralizzate, la prima esposizionedi poemi illustrati, una mia esposi-zione individuale, la pubblicazionedella rivista di cultura MAPA e leEdizioni Macunaima, ideate daFernando da Rocha Peres e dalpittore Calasans Neto che illustra-va e stampava album e libri rifinitiin edizioni a tiratura limitata. Fu-rono inoltre realizzate le primeesposizioni individuali di pittura dinuovi artisti plastici.

Può raccontarci qualche episodio suGlauber? Ricordo che viaggiavamo varievolte con altri amici all’interno delBrasile sempre alla ricerca dellanostra identità attraverso l’arte e lacultura popolare. Una volta arri-vammo nella città storica di Ca-choeira e la pensione in cui stava-

mo era un’enorme casa del secoloXIX, situata nella piazza principa-le. Il mattino dopo, quando ci sve-gliammo, ricordo che arrivò sullasoglia del balcone Glauber nudo eavvolto in un lenzuolo, dicendoche era un tribuno romano e pro-ferì un eloquente discorso, davantia una platea entusiasta. In quellostesso giorno facemmo una pas-seggiata in barca sul fiume Para-guaçu. Glauber allungava le brac-cia e, con il pollice e indice stesi,come fosse una telecamera, filmavanella sua immaginazione scenefantastiche che ci andava descri-vendo. Glauber vedeva immaginicinematografiche in tutto. Qual-siasi episodio abituale, lui, imme-diatamente, lo trasformava in sce-neggiatura. Viveva il cinema tuttoil tempo. A quell’epoca Glaubermi diceva che stava apprendendomolto col cinema di Nelson Perei-ra dos Santos che ammirava mol-to. Un altro cineasta che gli piace-va tanto era Paulo César Saraceniche all’epoca aveva girato “Portodas Caixas”. Un altro episodio conGlauber fu quando andammo adassistere a “Rio 40 Graus” di Nel-son Pereira dos Santos. Erano ap-pena stati lanciati i sandali allagiapponese e Glauber li portava aipiedi. Così quando stavamo perentrare, il portiere del cinema glinegò l’accesso dicendo a voce alta

Gilde A. Soares (Assistente di Direzione), Glauber Rocha, Lina Bo Bardi e, a destra, SanteScaldaferri.

Deus e o Diabo na Terra do Sol, dipinto di Sante Sc aldaferri esposto nel Museo di Arte Moderna di Rio deJaneiro.

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IGINIO ARIEMMA (a cura di)

Bruno Trentin. Tra il Partito d’Azione e il Partito ComunistaGli anni dell’Università di Padova,1943-1949Con la tesi di laurea e una lettera inedita aGaetano Salvemini

Casa editrice Ediesse, Roma, 2009, pagg. 237, € 15,00 (www.ediesseonline.it – ediesse.cgil.it)

«L a storia di un uomo simbolodell’autunno caldo»: due righesintetiche, apparse per più gior-

ni su un quotidiano, per informare i let-tori dell'uscita di un DVD dal titolo Conla furia di un ragazzo - Un ritratto diBruno Trentin. Anche a questo libro è as-sociato un DVD sul noto Segretario Ge-nerale della CGIL ricco di informazionifluenti da «una successione di foto e didocumenti, con il filo conduttore di unavoce narrante, ricostruisce gli anni dell’u-niversità di Bruno Trentin». Nell’ottobredel 2008, ricorrendo l’anniversario delconferimento della laurea, l’Aula Magnadell’ateneo patavino accoglie il convegnodi studio e testimonianza focalizzato sultema “Bruno Trentin: la cultura del lavo-ro e della libertà”. Queste intense pagineraccolgono i contributi recati da AndreaCastagna, Fulvio Dal Zio, Carlo Ghezzi(Presidente della Fondazione GiuseppeDi Vittorio), Flavio Zanonato, VincenzoMilanesi, Franco Busetto, Franco Benti-vogli, Silvio Lanaro, Giuseppe Zaccaria,Guglielmo Epifani. Bruno, partigiano, èal centro della breve, tesa comunicazionedi Busetto che lo ebbe al suo fianco a Pa-dova. Lo rammenta con parole quasi di-messe, in realtà dense di contenuti, che

uniformeranno tutta la vitadel giovane. Così «… a Pa-dova, poi nelle formazionidel Grappa e successivamentenel Cansiglio. Lavorò per ilComitato regionale venetodelle Brigate Garibaldi, alloradiretto da Arturo Gombia…Fu anche collaboratore diGiuseppe Calore, del Partitod’Azione, medico. Legatissi-mo a Meneghetti, poi arre-stato con me a Padova nel lu-glio del 1944… Bruno fa ladolorosa esperienza dei fero-ci rastrellamenti attuati daitedeschi nel Grappa… si recapoi a Milano dove per casoassiste, in una piazza milane-se, prima all’arresto e poi al-l’uccisione di Eugenio Cu-

riel, il fondatore del Fronte della Gioven-tù, che egli però non conosceva».La tesi di laurea in giurisprudenza di Bru-no Trentin è ospitata integralmente inqueste pagine, preparata con estremo ri-gore e discussa il 16 ottobre 1949 con ilprof. Enrico Opocher, docente di Filoso-fia del diritto del Novecento. Argomento:“La funzione del giudizio di equità nellacrisi giuridica contemporanea (con parti-colare riferimento all’esperienza giuridicaamericana)”. Riferendosi alla novità dellaricerca, certamente indotta anche dall’a-cume del relatore, il Prorettore vicariodell’Università, Giuseppe Zaccaria, rievo-ca quanto è attuale, oggi, specie per i gio-vani, ciò che Trentin disse nel ricevere lalaurea honoris causa dell’Università di CàFoscari, a Venezia nel 2002. Davanti allavasta platea di docenti e studenti, il riser-vatissimo e sobrio bilaureato confessò,con voce commossa, che «quel poco divalido che ho saputo produrre nel corsodella mia lunga vita lo debbo interamenteall’insegnamento di mio padre e al suoesempio, alla sua radicale incapacità di se-parare l’etica della politica dalla propriamorale quotidiana».Suo padre, Silvio, era stato professore diDiritto pubblico e di Diritto internazio-nale a Cà Foscari, antifascista autorevole,perseguitato dovette abbandonare l’inse-gnamento, esule in Francia con l’interafamiglia. Non c’è alcuna retorica, o enfa-si, nel dire che libri come questo, ai nostrigiorni, sono davvero preziosi per tutti, inprimo luogo per gli insegnanti e special-mente per i giovani, siano essi alunni, la-voratori o in attesa di trovarlo un lavoro.

Primo de Lazzari

FULVIA ALIDORI

Cento colpie le sbucciatureFlorence Art Edizioni, Firenze, 2010, pp. 72, € 12,00.

Q uesta è la storia di alcuni di noi.Così si potrebbe illustrare il sensodel bel racconto di Fulvia Alidori,

giovane antifascista dell’ANPI Oltrarno,che nello scenario della Firenze degliAnni ’30 imbastisce e intreccia le vicendedi formazione di due ragazzini cresciutiinsieme all’ombra dei miti e dei riti delpensiero unico in camicia nera. Il “Secco” e il “Rosso”, in un quartieredella città dove tutti hanno il loro bel so-prannome, per un dettaglio fisico, un’e-

libri

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spressione del viso o una battutainfelice, giocano e vanno a scuola,leggono e collezionano i giorna-letti di quegli anni, vestono la divi-sa da balilla, camicia nera e fez,sparano a salve con la cento-colpi,una pistola giocattolo di latta mol-to in voga e molto cara, ma sogna-no già il moschetto con la baionet-ta. Intanto, fra una scorribanda el’altra, corrono anche i mesi e lestagioni, il decennio tramonta sot-to un sole che scotta, ad aspettareper ore e ore il duce con Hitler,con quella uniforme da piccolo fa-scista perfetto che ormai si fa sem-pre, maledettamente, più stretta, aosservare la città pavesata per na-scondere la povertà dietro drappidecorati col giglio.E la presa di coscienza arriva pianpiano ma inevitabile, fra i grandidrammi della Storia, le leggi raz-ziali, l’invasione della Polonia,l’annuncio di guerra in Piazza del-la Signoria, da sentirsi male contutta quella gente illusa e festante.Fra i dolori personali, che fannoancora più male, gli ultimi attimidel nonno garibaldino, occhi blucome il mare e camicia rossa inpunto di morte, il babbo picchiatoe senza lavoro, altri amici arrestati,un osso di bistecca conteso a uncagnolino. L’infanzia adesso è finita, la cento-colpi sbattuta per terra, i giorna-letti del Balilla volati per aria e lavoce del nonno che ancora risuo-na: «Con quella divisa… sembriproprio un babbeo!».La Resistenza è una corsa sul pra-to, per sfuggire ai fascisti e rag-giungere un altro avvenire, arrivatiin montagna è una crosta di for-maggio divisa a metà, è dire per laprima volta quel che pensi davverosenza ripetere quello che ti hannoinsegnato. E poi le azioni, la diffe-renza concreta tra fare qualcosa orestare a guardare: il sabotaggioalle linee elettriche, l’attesa di not-te, coi fuochi, di un lancio alleatoche non arriverà, l’assalto al ma-gazzino di armi del gerarca, le bat-taglie durissime contro le BrigateNere. E il prezzo pagato, la fatica,la paura, sì la paura, perché “il co-raggio non è incoscienza”, la fameperenne, l’orrore di uccidere, e icompagni appesi ai rami degli al-beri dai repubblichini. E soprat-

tutto la Resistenza è aver imparatoa chiedersi Cos’è la Libertà?«Che ne sappiamo noi di Liber-tà?». «Ma come? Hai paura dellaLibertà?». «Io non ho paura, nonso cos’è, non so come si fa». «LaLibertà non si fa, è. La descrivereicome una scelta che hai tra fareuna cosa oppure un’altra. E te?».«La Libertà è raccontare un gior-no questa storia e sentirsi dire cheabbiamo fatto bene».I due ragazzi, che non sono maiesistiti in carne e ossa, ma le cui vi-cende sono ispirate alle memoriedi due partigiani fiorentini, “Fuo-co” e “Rena”, si ritroveranno an-cora ai giorni nostri, per parlareagli studenti di un liceo scientificoe rispondere alle loro domande.Una, tra tutte, è rivolta più a séstessi che ai testimoni di quell’epo-ca che sembra tanto lontana: Noisaremmo capaci di fare la vostrascelta?E la risposta non c’è, perché perscegliere ci si deve trovare. Ma og-gi, che si fondano partiti, sembra,al solo scopo di incarcerarvi den-tro la parola Libertà, possiamo di-re al “Rosso”, a “Rena”, a “Sec-co”, a “Fuoco”: sì, voi avete fattobene.

Natalia MarinoChi fosse interessato all’acquisto del li-bro può rivolgersi alla Casa EditriceFlorence Art Edizioni, Via Duccio diBuoninsegna 35, 50143 Firenze,tel./fax 055 717248; oppure inviareuna mail a:

[email protected]’autrice devolverà il 10% dell’incassoall’ANPI.

GIUSEPPE AZZONI, GIORGIO CARNEVALI, ANGELO LOCATELLI eENNIO SERVENTI (a cura di)

Pietre della memoriaI Caduti cremonesi della Resistenza(1943-1945). Cippi lapidi monumentiEdito da ANPI e ANPC provinciali diCremona, pagg. 224, s.i.p.

N ella ricorrenza del 65° anni-versario della Liberazione,ANPI e ANPC di Cremona

pubblicano il volume Pietre dellamemoria: i caduti cremonesi dellaResistenza. Cippi lapidi monumen-ti. Si tratta di un libro di 224 pagi-ne frutto di un lungo lavoro di ri-cerca per il quale ci si è avvalsi an-che del contributo di numerosi Co-muni.Sono ricordati con i dati anagrafici,le formazioni di appartenenza, iluoghi e brevi annotazioni, tutti icremonesi – per origine, residenzao perché militari di stanza – cadutidalla parte della Resistenza tra l’8settembre 1943 e l’aprile 1945. Ilricordo è supportato da un inven-tario descrittivo di oltre duecentocippi, lapidi, monumenti e intitola-zioni che li riguardano.La ricerca si apre con sintetiche no-te sulle caratteristiche e le forma-zioni della Resistenza locale. Quin-di la descrizione della occupazionedel capoluogo da parte dei tedeschiil 9 settembre 1943 (cui seguì il ri-torno del ras Farinacci che era fug-gito in Germania il 25 luglio), oc-cupazione cui tentarono generosa-mente di opporsi reparti militari

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delle caserme cittadine lasciandosul terreno numerosi caduti. Seguela descrizione delle caratteristichedella Resistenza in questa provinciadi pianura, a partire dal massicciorifiuto dei giovani di subire il ban-do di arruolamento nella RSI pre-ferendo in numerosi casi prenderela via della montagna per fare i par-tigiani o pagando con la deporta-zione e la prigionia in Germania.Infine vi sono le giornate della Li-berazione caratterizzate da sangui-nosi scontri con le truppe tedescheche traghettavano il Po ed attraver-savano la provincia in fuga verso ilnord.Il cuore del volume è rappresentatodagli elenchi, con puntuali annota-zioni riguardanti i caduti e le pietreche li ricordano in circa 80 localitàdella provincia e di altri territori.Sono anche riportati i nomi dei174 cremonesi caduti a Cefalonia,dei 77 morti nei campi di sterminionazisti e dei caduti decorati al valormilitare.Curatori dell’opera: Giuseppe Az-zoni, Giorgio Carnevali, AngeloLocatelli, Ennio Serventi con lacollaborazione per l’editing di Te-réz Marosi.La ricerca ha avuto il patrociniodella Amministrazione provincialeed un contributo della Fondazionecomunitaria della Provincia di Cre-mona.La documentazione fotografica,che solo in parte ha potuto esserepubblicata nel volume, è consulta-bile sul sito www.anpi.cremona.it

T.M.

MONICA FIORAVANZO

Mussolini e HitlerLa Repubblica sociale sotto il TerzoReichDonzelli Editore, Roma, pag. 215, € 16,00.

U no dei compiti essenziali del-la storia, intesa come scienza,è quello di sfatare le leggende

mediante una severa ed obiettivaanalisi delle fonti documentarie; edè proprio quanto realizzato in que-sto denso ed affascinante libro diMonica Fioravanzo.La leggenda in questione, talmenteinvalsa da essere ancora oggi presaper buona perfino da persone che si

attribuiscono la qualifica di “stori-ci”, è quella secondo cui Mussoliniavrebbe accettato a malincuore di“sacrificarsi” a fondare e “dirigere”la cosiddetta Repubblica sociale ita-liana allo scopo di sottrarre il Paesealle truculente minacce di Hitler difarne “una seconda Polonia” e, inparticolare, di scatenare contro legrandi città italiane del Nord tuttala potenza distruttiva delle “armisegrete” tedesche (le quali, tra pa-rentesi, nel settembre del 1943 an-cora non esistevano).Fondandosi su una minuziosa ana-lisi delle fonti inedite, in specialmodo quelle tedesche, per lo piùignorate o neglette da falangi di“storici”, la Fioravanzo dimostra latotale falsità di questa tesi, non suf-fragata – anzi, smentita – dalla vastadocumentazione da lei consultatasia in Italia che in Germania. L’ac-coglienza riservata da Hitler al suo“camerata” Mussolini nel settem-bre 1943 non fu per nulla minac-ciosa: anzi, assai cordiale ed ami-chevole, anche e specialmente per-ché il Führer aveva bisogno di crea-re nell’Italia occupata dalle suetruppe un “governo” italiano ilquale si assumesse il compito di at-tutire il crudo imparto dell'occupa-zione militare e gestisse in qualchemodo (sotto l’attenta e occhiutasorveglianza tedesca) l’andamentoamministrativo locale. Ciò sebbenela fiducia dei capi nazisti nei con-fronti del “duce” fosse stata grave-mente indebolita dagli ultimi even-ti (interessante la constatazione,qui citata, del Diario di Goebbelssecondo cui Mussolini «non era un

rivoluzionario come Hitler o Sta-lin»). «Mussolini – scrive l’Autrice– era indubbiamente stanco, pro-strato, ma questo non significa cheavesse rinunciato a ogni ambizionepolitica, e a un proposito di riscattoe di rivalsa nei confronti del re e diBadoglio e che intendesse rinuncia-re all’opportunità di riprendere ilpotere». Questo fu il vero moven-te; l’illusione (accuratamente ali-mentata da quel terribile “persua-sore” che era Hitler) che la Germa-nia avesse in preparazione “armi se-grete” formidabili le quali avrebbe-ro consentito il capovolgimentodelle sorti della guerra nonché l’il-lusione di poter ritornare a gover-nare e ritrovarsi quindi accanto alpresunto vincitore.Questa, documentata in maniera ir-refragabile dall’Autrice, fu la veracausa che spinse Mussolini a “ri-prendere il potere”, a dar vita allacosìddetta “Repubblica sociale ita-liana” e, quindi, ad assumersi la ter-ribile responsabilità di scatenare inItalia la guerra civile. Infatti, comesottolinea l’Autrice, senza la com-parsa di un “governo nazionale”,in più “guidato” dal duce, moltiche vi aderirono si sarebbero assaiprobabilmente tenuti in disparte:sarebbero stati ben pochi cheavrebbero accettato di collaborareapertamente con la dura e crudeleoccupazione germanica.Se Mussolini si era illuso di “ri-prendere il potere”, queste illusionicaddero subito. Come documentaminuziosamente l’Autrice, apparveben presto chiaro che gli occupantitedeschi non avevano la minima in-tenzione di prendere sul serio il“governo” della Repubblica socialeitaliana, da essi trattato senza com-plimenti con la massima arroganzacome un vassallo il cui compito era,sostanzialmente, “obbedire e ta-cer”. La Repubblica sociale nonebbe mai alcun potere effettivo; lesue “leggi” rimasero lettera morta,vuoto esercizio di parole senza laminima conseguenza. Ad essa sichiedeva di condurre (sempre sottocomando e direzione tedesca) lacruda opera di repressione controla resistenza armata e disarmata de-gli italiani. Del resto Goebbels nelsuo Diario scriveva esplicitamente:«Gli italiani dovranno pagarla a ca-ro prezzo quando avremo vinto».Agli occupanti tedeschi lo pseudo

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governo fascista era del tutto sotto-messo, completamente privo sia diautorità che di prestigio e inoltrecostretto a pagare pesanti contribu-zioni in denaro (il che non valeva aporre l’Italia al riparo dalle rapine edai saccheggi delle varie formazioniarmate tedesche. Anche il “nuovoesercito” che Mussolini e Grazianiintendevano formare doveva (era-no parole dello stesso Hitler) veni-re usato solo per “compiti di poli-zia”, vale a dire per incrementare laguerra civile e la più crudele repres-sione. Intanto il cosìddetto “gover-no di Salò”, oltre a versare mensil-mente alla Germania un pesantecontributo in denaro (il che perònon salvava l’Italia da altre ruberietedesche) si era affrettato ad intro-durre nel nostro Paese la spietatapersecuzione degli ebrei secondo icanoni nazisti ed a consegnare aitedeschi quanti di questi infelici gliera riuscito di catturare pur sapen-do che il loro destino erano i cam-pi di sterminio (a proposito deiquali, va detto, che gli uomini del-l’Esercito rosso che non erano cer-to di assai delicati sentimenti, nonpoterono impedirsi di inorridirequando liberarono Auschwitz).Mussolini fino all’ultimo cadde nel-la pania di Hitler che lo persuasedell’esistenza delle “armi segrete”.L’Autrice a questo proposito noncita il fatto che il dittatore nazista(vero artista della menzogna) arri-vò perfino ad inscenare una fintaesplosione atomica allo scopo dipersuadere il popolo tedesco (e icreduli come Mussolini) e incredi-bile dictu, persino degli “storici”del giorno d’oggi che si basano sulracconto di “testimoni oculari ca-suali” inscenando una potenteesplosione con forte emissione diluce. Tutti quanti la presero (e laprendono) sul serio dimenticanoche se si fosse verificata una effetti-va esplosione nucleare nessuno dei“testimoni” sarebbe potuto soprav-vivere. Si trattò, secondo ogni evi-denza, dello scoppio di potenti ca-riche esplosive; quanto alla emissio-ne di “luce”, sarebbe stato suffi-ciente mescolare al materiale esplo-sivo altre sostanze, per esempio delmagnesio, per ottenere un effettoabbastanza impressionante ma pernulla micidiale.Ma questo è un altro discorso. Ri-mane che lo studio della Fioravan-

zo, grazie ad un uso del metodostorico che costituisce già esso stes-so una lezione per i ricercatori e glistudiosi, ha definitivamente sepoltouna serie di leggende e mostratoche “il re è nudo”; cioè che Musso-lini e i “repubblichini” di Salò altronon furono se non, nella miglioreipotesi, degli illusi, traditi dalla lorostessa mania di potere e di rivincitae ridotti a non potersi (e in verità,neppure a volersi) svincolare dal-l’abbraccio mortale del padrone te-desco finendo con esso alla rovina.Diceva la saggezza degli antichi che“quos vult perdere, dementat”.

Raimondo Luraghi Emerito nell’Universita di Genova

GIANLUCA GABRIELLI, DAVIDE MONTINO (a cura di)

La scuola fascistaIstituzioni, parole d’ordine e luoghidell’immaginarioOmbre Corte, Verona, 2009, pp. 191, € 18,00.

I l volume intende rispondere adun quesito apparentemente ba-nale: è mai esistita una scuola

realmente fascista? E, in secondabattuta: quanto è stato efficace iltentativo di fascistizzare la scuola edi creare l’uomo nuovo voluto daMussolini? In anni recenti una certa tendenzarevisionista vorrebbe rispolverareuna tesi capace di raccogliere inpassato vasti consensi, anche nelmondo della ricerca di settore, se-condo la quale la scuola avrebbeavuto gli anticorpi necessari per so-pravvivere al tentativo totalizzantedel regime. Si sarebbe cioè realiz-zato un fascismo di facciata, unasorta di carnevalata in orbace i cuieffetti parodistici non avrebberopotuto che essere superficiali neiconfronti di giovani scolari e coltiinsegnanti. Oggi, grazie al ricorso ad una nuo-va metodologia storica e a fonti fi-nora sottovalutate, sappiamo chegli effetti sulla formazione dell’im-maginario di milioni di studenti fu-rono ben diversi. Le pagelle, con leloro inquietanti illustrazioni mar-ziali; i quaderni, con intere collanededicate ai principali temi del regi-me; i sussidi didattici, in primis i

cartelloni murali, ma anche altrielementi decorativi dei muri scola-stici, quali i calendari Paravia o ledecorazioni prodotte da compia-centi case editrici, solerti nellacompetizione ad apparire le più al-lineate; i libri di testo, nei quali nonsi contano le pagine agiografiche il-lustranti vita, opere e miracoli delduce; i registri, in cui leggere lecronache dettagliate della vita inclasse, scandita da celebrazioni e ri-correnze. Sono tutti documenticonsiderati a lungo – e a torto –minori, ma che risultano preziosistrumenti per cogliere la “vita ma-teriale” della scuola, per svelarequella cultura empirica troppospesso celata dietro riduttive (e stu-diate!) memorie consolatorie. Il libro, organizzato in trentottovoci tematiche redatte da dodici ri-cercatori, restituisce un’immagineprecisa della scuola di regime, incui spazi e tempi furono rigida-mente organizzativi in funzionedell’indottrinamento e della tra-smissione dei valori e dell’ideologiafascista.L’impostazione su base tematica, ilcorredo iconografico, il ricorso allapiù recente metodologia storica nefanno non solo un prezioso stru-mento didattico per gli insegnanti,ma anche un’interessante letturaper chi volesse avvicinarsi all’argo-mento.Il volume è stato pubblicato in col-laborazione col CESP (Centro Stu-di per la Scuola Pubblica), colLANDIS (Laboratorio Nazionaleper la didattica della storia) e colcontributo della Regione Emilia-Romagna nel 60° della Resistenza edella Liberazione.

Fabio Targhetta

PAOLO SINISCALCO

Il cammino di Cristo nell’impero romanoEditori Laterza, Bari, pagg. 352, € 20,00.

ROMOLO PERROTTA

HairéseisEdizione Dehoniane, Bologna, pagg.832, € 60,00.

«S ono inutili alla società»;«Sono superstiziosi».Queste, nell’antica Ro-

ma, erano frasi ricorrenti riferite aicristiani. È pur vero che essi (di-remmo oggi “per statuto”) nonpotevano commettere alcun tipodi crimine, furto, adulterio, némancare alla parola data. Ma è an-che vero che essi rifiutavano mani-festamente di venerare gli dèi pa-gani e lo stesso imperatore, atten-tando così all’ordine sociale. Il libro di Siniscalco ci offre unospaccato straordinariamente reali-stico di quella che in origine nonfu nient’altro che una “setta giu-daica”. Come quando riferisce l’e-pisodio di Peregrino, un ciarlatanoche, una volta convertitosi al cri-stianesimo, sfruttò la credulità deicorreligionari per arricchirsi. Oquando attenua il ruolo delle per-secuzioni. Pensiamo alla grande tolleranzamanifestata da imperatori come iSeveri, o Filippo l’Arabo, oriundiquesto della Siria, quelli della Li-bia (e pensare che oggi molti cri-

stiani considerano gli arabi intolle-ranti!). Siniscalco adombra in essaun progetto politico: quello di as-sorbire il cristianesimo, e con essogli altri culti orientali, spesso mo-noteistici, in un pantheon di cre-denze antiche e moderne che col-locasse, accanto a Mitra e Osiride,anche la figura di Cristo, senza perquesto abolire il culto imperiale.Insomma un’«integrazione» – an-te litteram – tra europei ed extra-comunitari, o – per dirla berlusco-nianamente – tra “vecchio” e“nuovo”!È noto che Costantino segna ilpunto di svolta. Non solo concedela libertà di culto, ma adotta unaserie di provvedimenti innovativi:persegue la prostituzione negli al-berghi, il concubinato, gli eccessidei genitori sui figli, tutela i carce-rati, gli schiavi, gli orfani, le vedo-ve... favorisce la Chiesa, riconoscela giurisdizione dei vescovi, e san-cisce la domenica come giorno difesta. Una figura complessa, che utilizzaancora il cerimoniale pagano, inun’insolita promiscuità. Egli è an-che il primo a costruire basilichesacre e a prendere di mira i templiantichi. A proposito a Milano, travia Gorani e via Brisa, sono incorso imponenti scavi sull’area delpalazzo imperiale, in cui egli pro-mulgò l’editto del 313. In una Milano bigotta e tuttaproiettata sull’Expo 2015, avre-mo, nel prossimo triennio, unagiusta tutela dell’area per i 1700anni dalla storica data?

Il cristianesimo dunque nacquecome setta giudaica. Proprio le diverse confessioni dimatrice ebraica sviluppatesi gros-somodo nei due secoli a cavallodella nascita di Cristo, sono analiz-zate da Romolo Perrotta, ricerca-tore all’Università della Calabria,nel dizionario Hairéseis. Sottotito-lo eloquente: “Gruppi, movimentie fazioni del giudaismo antico e delcristianesimo (da Filone Alessan-drino a Egesippo)”.Siamo dunque ai tempi di Cesare edi Virgilio (che nelle Bucoliche in-voca l’avvento di un bambino che,con la sua purezza, salvi il mondoromano dilaniato dall’odio traconcittadini; prefigurazione delcristianesimo o idolatria popolareassorbita da quest’ultimo?). Maanche ai tempi di Nerone e di Ve-spasiano. E siamo soprattutto sulMediterraneo orientale, in quel-l’ansa tra Europa, Asia e Africa,che fu la culla dei miti, delle scien-ze, dei saperi dell’Occidente. Qui Perrotta, acutissimo studioso,individua ben quarantaquattro dif-ferenti eresie. Quella “cristiana” èuna di esse. Scorrendo l’indice troviamo peròanche Gesù ben Safat che, mezzosecolo dopo il più celebre omoni-mo, guida, in Palestina, un “parti-to dei marinai e dei nullafacenti”.O Erode il Grande, da taluni iden-tificato – pare incredibile – come ilvero messia. O Giovanni il Battista– proprio lui! – capo, a sua volta,di una propria setta: anzi di unodei sette “scismi” verificatisi inGiudea al tempo della nascita diCristo (che, si sa, fu battezzato nelGiordano, proprio da Giovanni,ma non fu certo il primo!). Emergono così scenari altrimentiimpensati. Infatti non dobbiamopensare solo ai Farisei, ai Samarita-ni, a Simone Mago, ma anche agruppi meno popolari (oggi), co-me i Sicari (letteralmente “pugna-latori”), una setta, popolare inveceai tempi di Gesù, che prendeva dimira quanti accettavano passiva-mente la supremazia romana.

Luca Sarzi Amadè

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V errebbe da dire: finalmente unbel libro. Questa serie di raccontisull’abbattimento del muro di

Berlino, che chissà perché ci si ostina adefinire caduta. Ci racconta del muro,di ogni tipo di muro, vero o spiritualetra gli uomini. Dieci racconti di scrit-tori europei, l’italiano è Andrea Camil-leri, che descrivono situazioni divise.Ogni racconto, breve, è accompagnatoda disegni. Un libro per bambini chedebbono leggere i grandi. Un’impagi-nazione, un editing e disegni veramen-te piacevoli. Un bel libro, dicevo. I rac-conti hanno la leggerezza della brevitàe della profondità. Risultato della lettu-ra: abbasso tutti i muri. Ma poi ritorna-no gli interrogativi e le domande: ma laLunga muraglia, il Vallo di Adriano? Ecosì ogni problematica, ogni questioneritorna in ballo.1989 Dieci storie per attraversare imuri, a cura di Michael Reynolds, il-lustrazioni di Henning Wagenbreth,orecchio acerbo, Roma, 2009, p. 96, € 12,00.

U n libro che richiama atmosfere dialtri tempi. Lettere di un soldato– medico in questo caso – da un

fronte di guerra. La guerra è quella cheil Portogallo salazarista ha dovuto so-stenere nei suoi possedimenti coloniali,in questo caso l’Angola, contro i movi-menti di liberazione di stampo preva-lentemente marxista. Il diarista in que-stione, giacché scrive ogni giorno a suamoglie, sposata a Lisbona poco primadi partire – lettere che si configuranocome una specie di diario – sarà poi unimportante letterato portoghese, all’e-poca medico in forza all’esercito perdue anni. Ogni giorno scrive a chi gli èlontano. E prima solo la moglie in cin-ta, poi anche la figlioletta, che nasce luiin Angola, saranno vissute costantiamarezze per la lontananza. Struggi-menti, ripetizioni di pensieri e dipreoccupazioni – ardente mancanzadella compagna, afflizione per la figlia,incapacità di capire cosa stia facendo luiin quel posto – tentativi di scrittura chepassano da esaltazioni a pessimismi sti-listici. Zanzare e cieli plumbei, quandonon il caldo opprimente dell’Angola.Ora, qui da noi, senza più servizio mi-litare obbligatorio, senza più guerreimposte, ma solo accettate, i volontarinelle missioni all’estero, queste lettere

non riusciranno a destare, negli spiritisprovveduti di tali esperienze, un sensodi partecipazione che invece produco-no appieno perlomeno in coloro chealmeno un anno di servizio militareobbligatorio lo hanno fatto. Nei mes-saggi c’è in ogni caso tanto mondo in-teriore dell’estensore che la guerra incorso colà rimane un po’ una cornicelontana, un po’ defilata. Un mondo divita giornaliera veramente denso, lalontananza dagli affetti più cari offronocomunque spunti plurimi di riflessionea chi legge.Antonio Lobo Antunes, Lettere dallaguerra, Feltrinelli, Milano, 2009, p.333, € 20,00.

U na sorta di radiografia completadell’Illuminismo. Uno sguardoallargato su un fenomeno così

importante e significativo della nostravita moderna. La modernità che si so-stanzia e che trova una emblematicaconfluenza nella Rivoluzione Francese.Il sottotitolo del libro è un vademe-cum. Una serie di venti confronti –ateismo e religione naturale, civile eselvaggio, ragione senso comune, amo’ di esemplificazione – che ci metto-no davanti interventi di altrettanti stu-diosi sugli argomenti proposti e che cimostrano nella sua complessità, ritornitemporali all’indietro, riverberi proiet-tati verso il futuro, il fenomeno. Ma ilpiacere nel testo sta nel ritrovare intat-ta l’importanza del percorso culturale,a largo raggio, iniziato tra il Seicentoed il Settecento che ci avrebbe dovutoportare, con successive ed opportuneevoluzioni, verso una società radiosa.Purtroppo la situazione socio-econo-mica attuale ci fa ritornare prepotente-mente alla mente la fondatezza delleiniziali tesi illuministe, ancora una vol-ta. Quasi un arretramento di duecentoanni. Siamo messi male e le tematicheilluministiche, che ci vengono qui ri-proposte, ci possono ancora dare utiliriferimenti, consigli, insegnamenti. Vi-va il secolo dei lumi!Illuminismo. Un vademecum, a cura diGianni Paganini ed Edoardo Tortaro-lo, Bollati Boringhieri, Torino, 2008,p. 320, € 25,00.

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Rubrica di schede

librariea cura di

Tiziano Tussi

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Cinema

aspetti comici e contradditori della storia.È in presenza di un grande e serio con-fronto. La libertà creativa sta combattendocontro le pastoie di un mondo alienatodalla politica, dagli affari, dove ogni cosa epersona sono spiazzate. È il violinista Romad essere adeguato con la magia dei suoitrilli, non il miliardario mafioso che impo-ne il suo contrabbasso cigolante. I perden-ti malvestiti che dopo anni di esilio recu-perano i loro ricordi musicali sono al loroposto, più dei raccomandati di nuova ver-sione del Bolshoi. Ritroviamo lo stile particolare del cineastarumeno, in cui lo humour è sovrano. Disequenza in sequenza ciò che sembradramma sfocia nel burlesco e viceversa. Lafantasia, le note appassionate e spontanee,i magici strumenti scordati ci guidano al disopra del bailamme di trafficanti, merciai,contrabbandieri, cenciosi, zingari, che ten-tano di barcamenarsi in un mondo sover-chiante di burocrazia e corruzione. L’in-genuità dei poveri creativi si contrapponeall’arroganza della nuova classe padrona, alcattivo gusto delle scenografie costose edei banchetti. Le sequenze hanno un re-spiro favolistico e romantico, una specie dipathos che ha a che fare con i segreti dellospirito.Centrale è la dimensione degli artisti di-scriminati che divengono rappresentatividi tutti gli altri “perdenti”. La libertà del-l’artista infatti è garanzia della libertà ge-nerale. Egli non può disgiungersi dalla suaarte, ne segue fortune e vicissitudini. Cosìanche quando è esiliato, incompreso e mi-sconosciuto, quando i suoi fogli restanonel cassetto o gli strumenti musicali e iquadri in cantina, egli resta in possesso diuna chance speciale. Come avviene per glieroi di questo film, sbrindellati e smarritiin impieghi provvisori per sopravvivere,ma sempre con una vena tenuta in serbo,pronta a tornare allo scoperto. Per così di-re, l’artista “è” al di là del suo riconosci-mento (senza negare che l’arte ha anchebisogno di fruitori).Il regista descrive con acutezza il mondomoscovita che parla jiddish, la sua predi-sposizione melodica, il fascino delle com-posizioni klezmer, il brulichio dei piccolimercati e degli affari che si mescola a quel-

A ndrei Filipov (Alexei Guskov) è unex direttore d’orchestra che lavoracome addetto alle pulizie all’inter-

no del teatro Bolshoi di Mosca. Trent’an-ni prima, all’epoca delle “purghe” antise-mite di Breznev, ha pagato col licenzia-mento la difesa dei suoi musicisti ebrei, tracui l’amico Sascia.Precipitato dall’apice della carriera a mo-desto pulitore, ora assiste alle prove di unanuova orchestra e ne constata con amarez-za i risultati scadenti. Un fax del direttoredel teatro parigino Chatelet capita a pro-posito. Egli lo legge casualmente e riescead introdursi segretamente nell’offerta. Sispaccia per direttore in carica e cerca di ri-compattare l’antica squadra di orchestrali.Non ci riuscirebbe senza la consulenza diGavrilov (Valeri Barinov) un ex poliziottodel KGB ora pensionato, un tempo suopersecutore, ma l’uomo giusto per trattarecol manager francese Du Plessis. L’allusione alle abilità affaristiche della ex“nomenclatura” è indovinata. Il franceseacconsente, dovendo rimediare all’assenzaimprovvisa di un gruppo di concertistiamericani. L’esibizione avrà come branocentrale del programma il celebre Concer-to per violino e orchestra in re maggiore diPiotr Ilyich Tchaikovsky. Il maestro chiedecome solista Anne Marie Jacquet (MelanieLaurent) una giovane e apprezzata violini-sta molto selettiva nell’accettare le propo-

ste. Andrei s’impone e il di-rettore francese supera le dif-ficoltà. Con la troupe russa ri-sparmierà una bella somma.Recuperare gli orchestrali quae là, occupati nelle mansionipiù svariate è il compito piùfaticoso per Andrei e la partepiù ironica del film. Anche lapiù triste, dato il decadimentoe la precarietà dei superstiti.“L’arte è l’anima più che latecnica” sentiamo dire da unodei musicisti. Al di là della trama bizzarra emelodrammatica, è l’emozio-ne ad avvincere in questo filmdi Radu Mihaileanu. Lo spet-tatore non può mettere i pie-di a terra malgrado tutti gli

La locandina del film.

Il concerto di Radu Mihaileanu:

di Serena D’Arbela

“L’arte è l’anima più che la tecnica”

ospitanti (il falso albergo a tre stellee il finto ristorante Trou Normandgestito da un arabo) dall’altro l’in-governabilità dei musicisti a zonzoper Paname (la faccia nascosta dellacapitale francese).A un certo punto Filipov dispera,crede che il suo sogno stia fallendo.Nell’incontro con Anne Marie a cuiegli si è aperto raccontando dell’a-mata Lea, nasce un malinteso.Quella pulsione troppo privata, inti-ma, legata al sentimento del mae-stro, sembra alla violinista in conflit-to con la purezza della sua conce-zione musicale. Vuole ritirarsi dal-l’esibizione, ma interviene Sascia(Dmitri Nazarov). Il miglior amicodi Filipov la aggiorna sulla sua vi-cenda biografica. La Jacquet ap-prende che Lea era sua madre.Quando i genitori partirono per laprigionia, fu lo stesso Andrei a sal-varla quasi in fasce, consegnandola aun’amica francese. Così, commossadal legame profondo con il maestro,la violinista si presenterà al concertoriscoprendo in sé il genetico slanciovisionario rimosso. Trascinerà in unmagico unisono gli orchestrali, so-praggiunti alla spicciolata, ingloban-doli nella sua scia, malgrado l’esor-dio disastroso. La musica conquistail pubblico galvanizzato che applau-de, in piedi. Sarà la vittoria di un’e-nergia emblematica, («simile a quel-la sprigionata dall’Universo», dice ilregista) la risposta dell’arte ad ognipotere soverchiante.

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lo tzigano. Con esso ha diversi pun-ti di contatto, non solo sonori, forselegati al dramma comune delle per-secuzioni. Simile è anche l’ostinatadifesa della propria identità.Il film punzecchia l’ambiente euro-peo dove la cultura è caduta in pre-da al business.Malgrado la differenza di stile tra inuovi ricchi russi e l’elegante DuPlessis (François Berléand), interes-sato a sfruttare al massimo la troupemusicale dell’est, li accomuna lamercificazione del prodotto artisti-co. Chi ne esce a testa alta è il drap-pello sbandato dei concertisti, messiinsieme dal maestro russo, che almomento buono fanno vera musica.Si sono dispersi per le vie della “cit-tà Lumière” che sempre avevano so-gnato di visitare, come in un mirag-gio, si sono attardati in piccoli traf-fici di contrabbando con cellulari ecaviale ormai scaduto, si sonosbronzati in locali periferici e hannodisertato le prove, ma nel finale, allaresa dei conti con la “prima” ritro-vano la dignità perduta e il giustoaccordo.Nel film c’è anche il privato checomplica gli eventi entrando nel do-minio stesso della musica. L’amoredi Filipov per il concerto di Tchai-kovsky la cui esecuzione non potéportare a termine per i guai col regi-me, si confonde con quello per Eva,la sfortunata violinista e partnerideale, cacciata via e morta in un gu-lag. Dal canto suo la giovane AnneMarie che coltiva il culto per l’ese-cuzione perfetta, ma è ansiosa di co-noscere le proprie radici, cede infineal bisogno di ritrovare i genitori(«Quando suono vorrei sentire addos-

so il loro sguardo…»dice).Inoltre è come se ilfilm volesse mo-strare il relativismodella Storia e spe-rare nella funzionevincente dell’artecome in un risarci-mento. Filipov cheha avuto la carrieradistrutta dalla per-secuzione polizie-sca, non prova piùrancore verso lostalinista Gavrilov,che ormai conside-ra una vittima.Questo personag-gio caricaturale, su-perato, fra illusionee ottusità, sembrauscito dalle paginedi Cecov.Come per la costruzione dei vagonifantasma di Train de vie, film prece-dente del regista, anche per il con-certo al teatro dello Chatelet, tuttoè da inventare. A cominciare dall’or-chestra e dagli strumenti e a finirecoi visti dei passaporti, falsificati inaeroporto dai Rom. Tutto sa di fan-tastico, di prodigioso. Anche l’in-gaggio della Jacquet che si scopre fi-glia di Lea (e forse di Filipov). Spas-sosa la trattativa fra il manager fran-cese e il poliziotto russo millantato-re, che riesce a ottenere per la trou-pe scalcagnata tre giorni di vacanzaa Parigi. Questo confronto fra ne-goziatori è esilarante. Les affairessont les affaires è un detto francese,ma proprio per questo il russo ha lameglio. Da un lato i trucchetti degli

Il regista durante le riprese e alcune scene del film.

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Insieme a figli e nipoti un gesto che ha suscitato polemiche

Sopravvissuto di Auschwitzballa davanti al lager

Polemiche

se del video non solo ad Auschwitz, maanche nei campi di Terezin (nella Re-pubblica Ceca) e a Dachau in Germania. «Era importante che il video collegasseper le giovani generazioni il ricordo del-l’Olocausto a qualcosa di fresco e d’at-tualità – ha spiegato Jane Korman allaBBC – perché le immagini tradizionalidello sterminio nazista sono intorpiden-ti. Non è stato facile parlarne con miopadre e convincerlo ma io dovevo farlo».E così ecco i cinque, tra figlia e nipoti,tra i binari di Birkenau, davanti al cancel-lo di Auschwitz, sotto le mura di Tere-zin, davanti ai forni crematori di Dachaumuoversi sulle note di I Will Survive,mostrando la stella gialla di un tempo.Ma non c’è divertimento in loro, soloqualche sorriso e accenni di leggerezzache il vecchio Adolek cerca di asseconda-re, entrando poi in un vagone bestiame eraccontando brani della propria espe-rienza.Naturalmente, come già detto, le pole-miche sono state tante: ballare nei luoghidove sono stati uccisi 6 milioni di perso-ne non è offendere il ricordo e la memo-ria di quelle vittime? O è legittimo chechi ha fatto quell’esperienza comunichial mondo la gioia di essere scampato al-l’orrore? Del resto, un poeta come il gre-co Kambanellis non ha scritto una can-zone in cui immagina di fare all’amorecon una ragazza nei luoghi della morte,vale a dire la camera a gas e il cremato-rio?Anche sui blog italiani le discussioni so-no state molte e concitate. Una ragazzaha scritto: «Un mio bisnonno tornò daMauthausen e dopo qualche giorno siimpiccò. Penso che i suoi figli avrebberovoluto vederlo piuttosto ballare».L’ho detto all’inizio: è difficile giudicaree prendere il posto di chi ad Auschwitzc’è davvero stato. Ricordo l’intervista ad un partigiano ita-liano, anch’egli sopravvissuto al lager. Lesue ultime parole erano: «Alla fine abbia-mo vinto noi». Deve esserselo detto an-che Adolek Kohn, quando ha aperto ledita in segno di vittoria.

È difficile giudicare: un sopravvissutoal lager di Auschwitz che balla da-vanti al cancello che reca la scritta

“Il lavoro rende liberi” insieme a sua figliae ai tre nipoti. Sono movimenti goffi, ac-cenni di danza sulle note di un successodegli anni ‘70, I will survive (“Sopravvi-verò”), di Gloria Gaynor. E alla finel’uomo apre le dita nel segno della «V»di «vittoria».Trasmesso in rete su You Tube, il video èstato visto da milioni di persone ed hanaturalmente suscitato pareri discordi,dalla condanna all’approvazione. InIsraele, specialmente, il video ha suscita-to discussioni a non finire. È giusto bal-lare ad Auschwitz sia pure da parte di unsopravvissuto novantenne?Perché il protagonista è appunto un so-pravvissuto ai lager. Si chiama AdolekKohn, ed è un ebreo polacco di 89 anni.Racconta di essere scampato allo stermi-nio e, liberato, di essere andato a viverein Australia, vale a dire il più lontanopossibile dai luoghi della sofferenza edella morte. «Se qualcuno mi avesse det-to che 60 e passa anni dopo sarei venutoqui ad Auschwitz con mia figlia e i mieinipoti, lo avrei fatto rinchiudere in mani-comio». Invece lo ha fatto, spinto pro-prio dalla figlia, che è una artista e che hapensato di portare il padre dove forsenon sarebbe mai voluto tornare. Si chia-ma Jane Korman e ha realizzato le ripre-

La scena trasmessasu You Tube.“È un insulto alla memoria”.“No, è la vittoriadella vita sulla morte”

Adolek Kohn mostra il se-gno di “vittoria”. In basso,mentre balla con figlia enipoti davanti all’ingressodel lager.

di Leoncarlo Settimelli

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N el mese di giugno scorso si ècelebrato un anniversario cheha costituito un importante

momento di svolta nella lotta al nazi-fascismo in Europa: il 70° anniversariodell’appello del Generale Charles deGaulle ai francesi attraverso i microfo-ni della BBC. Dalle sedi di Radio Londra alle ore18:00 del 18 giugno 1940, dopo ledimissioni del Presidente del Consi-glio Paul Reynaud a favore del colla-borazionista Philippe Petain, e in se-guito all’inizio delle trattative per l’ar-

renti. Il disegno vincitore, col titolo«Con questo segno vincerai» fu operadi un giovane aiutante della base aereadi Chateaudun che divenne in seguitoun disegnatore ufficiale di francobolli.Da notare la mancanza di riferimential Gen. de Gaulle ma, si disse all’epo-ca, tutti sapevano chi aveva lanciatol’appello. Il francobollo del 1964, cheriproduce il manifesto ufficiale «A tut-ti i francesi» che venne diffuso nell’a-gosto del 1940 in Francia e in Inghil-terra con una traduzione laterale in in-glese, è inserito in una serie di 5 fran-cobolli comprendente anche la depor-tazione, gli sbarchi di Normandia eProvenza, la liberazione di Parigi e di

Il ricordo dell’appello di de Gaullequindi presso gli Alleati, la Francianon legata alla Germania nazista. All’i-nizio si tratta di suscitare la resistenzaai tedeschi a partire dai possedimenticoloniali, che la madrepatria ha piùdifficoltà a controllare; queste forzevengono poi collegate alle forze di re-sistenza francesi, e France libre diventaFrance combattante.In quegli anni de Gaulle incarna dav-vero la Francia libera di fronte al mon-do in generale e all’Inghilterra in par-ticolare anche grazie alla preziosa col-laborazione del Capitano Teyssot, suo

“assistente” dal 1942 al 1944. La suapreoccupazione è salvaguardare da su-bito gli interessi e l’immagine dellaFrancia durante e dopo il conflitto, apartire dalla garanzia del mantenimen-to dei possedimenti coloniali, senzaperdere di vista un momento l’onore ela grandeur francesi. Per garantirel’indipendenza della propria organiz-zazione, de Gaulle volle che gli stessiaiuti finanziari che il Regno Unito for-niva a France Libre fossero rimborsa-bili, e furono effettivamente rimborsa-ti molto prima della fine della guerra.Il francobollo è un importante stru-mento per il sostegno della memorianazionale con una doppia funzione: lacommemorazione e la rimembranzadi un evento o di un personaggio. Sotto la 5a Repubblica sono tre i fran-cobolli che rievocano l’appello del 18giugno 1940. Si tratta di un franco-bollo da 20 centesimi del 1960, in oc-casione del 20° anniversario dell’ap-pello, di un francobollo da 25 centesi-mi con sovrapprezzo di altri 25 cente-simi del 1964, in occasione del 20°anniversario della liberazione francesedai nazisti e un ulteriore francobolloda 2,30 franchi del 1990 in occasionedel 50° anniversario dell’appello. Per ilfrancobollo del 1960 venne indettoun concorso di idee a cui parteciparo-no 53 progetti da parte di 26 concor-

I francobolli commemorativi dell’appello di de Gaulle e della Resistenza francese.

Strasburgo e la Resistenza. Con que-sto francobollo si volle riconoscerenell’appello l’evento fondante della li-berazione di Francia e ricordare il ruo-lo storico del Generale de Gaulle, al-l’epoca Presidente della Repubblica.Lo stesso francobollo verrà utilizzatoil 19 settembre dell’anno successivodalle Poste coloniali della Nuova Cale-donia e dipendenze francesi in Ocea-nia in occasione del 25° anniversariodella riassegnazione alla Francia. Inoccasione del 70° anniversario è statoemesso un blocco foglietto da 0,56 €che presenta una fotografia del Gene-rale davanti ad un microfono e sullosfondo la riproduzione del manifestocon l’appello. L’evento è stato moltosentito in Francia, dove la memoriastorica non vacilla. È stata coniata anche una moneta spe-ciale da € 2,00 con l’immagine delGenerale davanti ad un microfono, ri-prendendo una precedente esperien-za, in occasione del 50° anniversariodell’appello quando vennero coniatedue monete: una d’oro da 500 franchie una d’argento da 100 franchi, conun’immagine simile a quella attuale.

Valerio Benelli

Per eventuali informazioni i lettoripossono rivolgersi al CIFR, Via Vettad’Italia 3, 20144 Milano.

mistizio aperte da quest’ultimo, il ge-nerale Charles de Gaulle lancia il suoprimo messaggio alla nazione france-

se: «La guerra ètutt’altro che finita– sostiene il genera-le – perché si trattadi una guerra mon-diale di cui la Bat-taglia di Franciarappresenta solo unepisodio».Invita quindi i fran-cesi che vivono inInghilterra a met-tersi in contatto conlui per continuare lalotta. L’appello del-l’ancora sconosciu-to generale non sol-leva particolari en-tusiasmi. È il segna-le d’inizio della resi-stenza francese ainazisti. Mentre inFrancia il Regime diVichy lo condannaa morte in contu-macia per tradimen-to, in luglio deGaulle comincia adorganizzare FranciaLibera (France Li-bre) rappresentando

a cura del CIFRCentro Italiano

Filatelia Resistenza

filate

lia

patria indipendente l 28 gennaio 2005 l 1

Festeggiare la Repubblicanella nostra terra di confine

Il 1° giugno l’ANPI-VZPI di Trieste ha promosso –assieme a CGIL-CISL-UIL, ACLI, ANED, ANPPIA,ARCI, AVI, Circolo Charlie Chaplin, al Comitato Pa-ce Convivenza e Solidarietà “D. Dolci”, Italia Nostra,Legambiente, Rete Artisti per la Pace, studenti Nien-tescuse TS e al WWF – la festa della Repubblica. Lamanifestazione iniziata in mattinata al liceo Dante conla proiezione del film sulla Costituzione Eppur simuove di Daniele Gaglianone e l’incontro tra ex par-tigiani dell’ANPI con gli studenti delle scuole supe-riori è proseguita nel pomeriggio al teatro Miela conla tavola rotonda sui temi della Costituzione.A nome dell’ANPI-VZPI e della comunità slovena èintervenuto il prof. Miran Kosuta dell’Università degli Studi di Trieste, che ha iniziato la sua riflessioneprima in lingua slovena, poi in italiano:

Cari amici e concittadini di madrelingua italiana!In una repubblica e una democrazia compiute, in unaregione veramente europeista, quanto vi ho appena det-to non necessiterebbe di traduzione perché sin dalle ele-mentari avreste avuto modo – scegliendolo – di appren-dere anche la vostra lingua di prossimità, lo sloveno.Poiché così non è stato, e continua a non esserlo, permet-tetemi di riassumere – con nostalgico rimpianto perl’ennesima occasione perduta dalla nostra comune ter-ra di confine – la mia allocuzione... Domani celebreremo il due giugno, Festa della Repub-blica italiana. Ai distratti, cui la lobotomizzante vir-tualità televisiva ha già fatto emigrare il pensiero nelleverdi praterie calcistiche del Sud Africa, parrà forse unaltro superfluo anello nell’infinita catena di ricorrenzeufficiali o inventate che, dalle giornate della memoriaa quelle della mamma o dell’acqua, affollano la nostraquotidianità. Ma non è così. Perché in questo giorno,esattamente sessantaquattro anni fa, il referendumistituzionale depositò la pietra angolare del nostro pre-sente, del nostro stare ed essere civile in questa repubbli-ca. Fu l’aurora della democrazia, della costituzione edella libertà italiane, sorte dal sacrificio antifascista.Se siamo oggi qui, se possiamo esprimere liberamente co-me cittadini italiani di qualunque nazionalità, lin-gua, cultura o religione il proprio pensiero e il proprioio, dobbiamo ringraziare quei nemmeno tredici milio-ni di elettori che hanno archiviato nel 1946 la monar-chia tra le polveri della storia, concretando il sogno de-mocratico di Mazzini, di Garibaldi o delle migliaia dipartigiani e antifascisti morti per sconfiggere nel secon-do conflitto mondiale le forze del male e delle tenebre.Dal loro irrevocabile esilio ci sussurrano, quelle nobilianime, come straordinaria e insieme strana sia l’Ita-lia: ora fidando con granitica ingenuità nel salvificoantidoto valoriale del suo umanistico passato, ora ce-dendo il timone del proprio destino a questo o quel riso-luto redentore, legittimato a governare a proprio piaci-mento pur di lasciarla vivere in pace, di quando inquando spedisce in pensione la propria democrazia con-

sentendo ai tiranni di succhiarle la libertà finché nonsi trova costretta, ormai sul baratro della catastrofe, ariscattare con estremo sacrificio la propria dignità e ilproprio onore. Così fu – limitandomi al suo recente pas-sato – ai tempi dell’ascesa di Mussolini e così pare esseresempre di più anche oggi.Lo stato è in crisi, la democrazia è in crisi: questoormai il refrain quotidiano. Contro di loro si stascagliando con uraganica forza distruttiva soprattuttola dittatura economica del nostro tempo, lo spietato, disumano capitalismo delle multinazionali, delle grandicompagnie, delle borse e delle corporazioni finanziarieche vede negli stati, nei loro confini, nella loro etica so-ciale o ambientale semmai un ostacolo alla sua trionfa-le spoliazione del pianeta oppure, tuttalpiù, il sacco dalquale attingere per rimediare ai fallimenti dei suoistrapagatissimi manager e speculatori. Contro lo stato ela democrazia imperversano governi e oligarchie politi-che, come quella attualmente al potere in Italia, quan-do tutelano i ricchi, perseguono l’interesse personale, ne-gano l’evidenza, attentano alla vita della magistratu-ra, della sanità, della scuola, dell’università o delle al-tre istituzioni pubbliche, quando sigillano la bocca allastampa e ai media, rubano il futuro ai lavoratori e aigiovani, discriminano gli immigrati, le donne, i deboli,le minoranze. Ma contro lo stato e la democrazia rivol-giamo non di rado il suicidale coltello anche noi citta-dini, quando ci alieniamo per disgusto morale alla po-litica, rinunciamo per menefreghismo al diritto di voto,affidiamo ad altri le redini del nostro destino o ci ren-diamo passivi spettatori e a volte persino complici di vi-zi divenuti ormai metastasi del malcostume generale:l’incuria per il bene pubblico, il lavoro nero, l’evasionefiscale... Eppure: stato e democrazia ci servono oggi più del panee dell’aria. Perché sono forse l’ultimo baluardo rimastodell’etica collettiva contro l’antietica dell’individuali-smo, i disvalori profitto, la barricata dell’interesse ditutti contro l’interesse di alcuni, della giustizia e dellacultura contro la barbarie dell’Impero di Hardt e diNegri. Certo: le riforme sono urgenti e indifferibili affinché lostato non collassi per il debito pubblico, la burocrazia,la disoccupazione, l’illegalità, affinché la democrazia

patria indipendente l 26 settembre 2010 l I

Cronache

II l patria indipendente l 26 settembre 2010

non diventi incapace di decidere, inefficace, sterile. Maa prescindere dalla foggia che vorrà darsi la riformatastatualità italiana, essenziale sarà che essa rimangaanche in futuro democratica, popolare, socialmentegiusta, fedele alla costituzione e ai suoi fondamentaliprincìpi: il lavoro, la pace, la solidarietà, la convivenza.Con un tale stato potremo identificarci appieno anchenoi sloveni appartenenti all’autoctona comunità na-zionale che vive in Italia. Non ci sarà di peso continuare a versargli le tasse edessergli – come per decenni finora – leali cittadini, serispetterà la nostra soggettività, la nostra identità,

lingua e cultura, se osserverà l’articolo sei della propriacostituzione, se non mutilerà di anno in anno i giàmiseri contributi destinati alle nostre associazioni cul-turali, se non storpierà le nostre «c»,«z» o «s» sulle carted’identità, se sarà un padre amico e non invece un per-fido patrigno che tutela da ipocrita solo sulla carta perassimilare di fatto entro i suoi confini tutti coloro sen-tono, pensano o parlano diversamente. Solo così non saremo più stranieri in terra propria, mafigli, cui ogni futuro due giugno sarà dato esclamareall’unisono con i concittadini e amici italiani: «Viva laFesta della Repubblica!».

Cronache

Il 6 giugno si è rinnovato l’incontro in Piancavallo,sul monumento alla Resistenza, voluto dalle associa-zioni partigiane: ANPI di Pordenone e APO di Udi-ne. È stata una festa di popolo che al momento com-memorativo ha unito l’evento culturale: la presenta-zione degli ultimi quaderni editi dall’Istituto Provin-ciale per la Storia del Movimento di Liberazione edell’Età Contemporanea, ricchi di nuove testimonian-ze partigiane e ricerche inerenti la Resistenza nel Por-denonese, in montagna e pianura.La giornata si è aperta con l’omaggio al comandantepartigiano Pietro Maset “Maso”, caduto in combatti-mento il 12 aprile 1945, durante un’azione vittoriosadei partigiani contro i nazifascisti. Sul cippo che lo ri-corda sul Col Sauc, a 1.600 metri di quota, una dele-

gazione, guidata dal sindaco di Budoia Roberto DeMarchi e dall’assessore avianese Valentino De Piante,ha deposto un omaggio floreale. Ai piedi della collina,il Comune di Budoia sta ricostruendo la malga cheera sede del comando partigiano.La commemorazione della Brigata Partigiana Unifica-ta – fra garibaldini e osovani – “Ippolito Nievo” haavuto luogo al monumento alla Resistenza di Pianca-vallo, inaugurato il 6 ottobre 1983 dal Presidente del-la Repubblica Sandro Pertini, e completato, il 1° giu-gno 2003, da una targa in bronzo con i nomi di 63caduti per la libertà – partigiani, civili, militari e de-portati nei campi di sterminio nazisti – dopo l’8 set-tembre 1943. Le vittime sono d’origine avianese ouccise nel Comune di Aviano.

A PIancavallo ricordata la Brigata partigiana“Ippolito Nievo”

Garibaldini e Osovani insieme contro il nazifascismo

Garibaldini e Osovani insieme contro il nazifascismo

patria indipendente l 26 settembre 2010 l III

Presenti l’assessore Giuseppe Verdichizzi con il gonfa-lone della provincia, decorato di Medaglia d’Oro alV.M., e con i propri gonfaloni, sindaci e amministra-tori dei comuni di Aviano, Azzano Decimo, Budoia,Cordenons, Maniago, Montereale Valcellina, Sacile eSan Vito al Tagliamento. Con l’ANPI provinciale,l’APO di Udine e l’ANED di Pordenone, hanno par-tecipato all’incontro le sezioni ANPI di Pordenone,Azzano Decimo, San Vito al Tagliamento, Spilimber-go, Maniago, Sacile, Cordenons, Treviso, Coneglianoe San Vendemiano.Il professor Fulvio Salimbeni, docente di storia mo-derna all’Università di Udine, ha svolto l’orazione uf-ficiale sull’attualità dei valori della Resistenza e dellanostra Costituzione e sull’importanza dell’insegna-mento della storia in tutte le scuole di ogni ordine egrado. Salimbeni è stato preceduto dagli interventi di

Mario Bettoli “l’Innominato” e Cesare Marzona“Piero II” per l’ANPI e l’APO; di Mauro Vita, asses-sore del comune di Aviano e di Giuseppe Verdichizzi,assessore provinciale. La giornata si è conclusa con ilcorteo di tutti i presenti, accompagnati dalla filarmo-nica di Porcia, dal monumento alla sala congressi diPiancavallo, dove sono stati presentati gli ultimi libriediti dall’Istituto Storico di Pordenone.Durante il convegno, il professor Fulvio Salimbeni e ildirettore dell’Istituto Provinciale di Storia Pietro An-gelillo, hanno tratteggiato i profili dei tre comandantidella Brigata Partigiana Unificata “Ippolito Nievo A”:Mario Modotti “Tribuno” (Medaglia d’Argento alV.M., comandante della Brigata Ippolito Nievo); Pie-tro Maset “Maso” (Capo di Stato Maggiore della Ip-polito Nievo, Medaglia d’Oro al V.M.); Giulio Quin-to Contin “Richard” (commissario politico della stes-sa brigata, Medaglia d’Argento al V.M.).Pur provenendo da convinzioni politiche e ideali pro-fondamente diversi – cattolico praticante il capitanodegli alpini Maset, comunisti Modotti e Contin – tut-ti e tre hanno agito assieme, stimandosi reciproca-mente e comandando la “Brigata Ippolito Nievo” inuna strenua lotta contro i nazifascisti, fino a sacrifica-re le loro vite. Con loro vanno ricordati tutti i parti-giani e alcune figure di eccezionali combattenti comeOnesto Rocco “Antonio”, intendente della brigata, ifratelli Italo “Diego” e Agostino “Pedro” Mestre, ilVicecomandante della “Ippolito Nievo” Marino Ci-cuttini “Cecco” e Giuseppe Torresin “Bepi”.Il 9 aprile 1945 Mario Modotti, il Comandante “Tri-buno”, è fucilato dai nazifascisti nelle carceri di Udi-ne con altri 29 martiri dopo essere stato catturato sudelazione, in pianura, a Bicinicco e torturato a lungoalla Piave di Palmanova. La sua tragica fine è stata pre-ceduta, il 18 marzo 1945, dalla morte di “Richard”, ilCommissario politico della Brigata che – già condan-nato dal Tribunale Speciale al carcere e dal regime alconfino – ferito, viene lasciato dissanguare alle “Ca-sermette” delle brigate nere di Pordenone. Il 12 apri-le 1945, in Piancavallo, sul Col Sauc, durante uncombattimento con i tedeschi cade anche “Maso”.Sul monumento che li ricorda in Piancavallo con glialtri partigiani caduti, presto arriverà il percorso dellamemoria, realizzato fra Piancavallo, Col Sauc e MalgaCiamp.

Sigfrido Cescut

Cronache

Pietro Maset “Maso”

Mario Modotti “Tribuno”

Giulio Quinto Contin“Richard”

Mario Bettoli “L’innominato” (a sinistra) e Cesare Marzona “Piero” neipressi del Monumento alla Resistenza a Piancavallo.

A Morena di Reana del Rojale

Il sacrificio dei partigianiche ha ridato dignità all’ItaliaNella mattinata ferragostana, un nutrito gruppo disimpatizzanti della causa partigiana si è ritrovato aMorena. L’occasione è stata la commemorazione didue giovani partigiani della Osoppo, caduti proprio inquella località ben 66 anni fa: Giancarlo Marzona“Piero” e Fortunato Delicato “Bologna”.

Al Sindaco Colaoni, che ha rivolto un breve saluto, èseguita la commovente descrizione dell’episodio, conun affettuoso ricordo, da parte del fratello di unadelle vittime, Cesare Marzona, presidente dell’APOProvinciale.Mauro Cedarmas, dell’ANPI Provinciale di Udine, hatenuto l’orazione ufficiale ricordando l’uccisione, permano fascista, di “Piero”, un giovane di 22 anni, sot-totenente di cavalleria e studente universitario, diTreppo Grande e di “Bologna”, operaio di 25 anni diTolmezzo e alpino.In quello stesso giorno ci fu il rastrellamento di Rea-

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na: «Erano le 9 del mattino del 15 agosto 1944, diquella che sarà una tragica giornata ferragostana,quando a Reana giunsero un centinaio di tedeschi efascisti in pieno assetto di guerra – ha ricordato Ce-darmas – i quali diedero avvio a un’azione di rastrella-mento, un tipo di operazione assai frequente sul terri-torio friulano, che aveva lo scopo di allontanare la po-

polazione dal contatto con la Resistenza, fosse questaattiva e organizzata o semplicemente silente e sussur-rata».Cedarmas ha sottolineato anche l’importanza dellaCostituzione, quale ultimo baluardo a difesa della de-riva populista ed autoritaria che sta investendo il no-stro Paese: «Se ci siamo potuti sedere al tavolo deivincitori, se abbiamo potuto reclamare e ottenere unoStato autodeterminato, se abbiamo potuto dotare lanostra democrazia di una Costituzione repubblicana,non è stato perché i fascisti in fondo in fondo, eranobrava gente – ha proseguito Cedarmas – ma solo edesclusivamente perché sul piatto della storia abbiamopotuto mettere questi morti, i Marzona, i Delicato,assieme a tanti, troppi altri. Queste sono le morti chehanno ridato dignità all’Italia, non altre, e le morti la-sciatemelo dire, non sono tutte uguali».In chiusura il caloroso saluto di Luciano Rapotez, se-gretario provinciale dell’ANPI di Udine, che si èespresso con franchezza, ed ha sottolineato i timoriche la contingente situazione politica reca a coloroche hanno vissuto epoche cupe e lottano quotidiana-mente contro la loro ricomparsa.

Cronache

Il Sindaco Colaoni durante il suo intervento.

Il Sindaco di Udine, Furio Honsell, durante il suo intervento. A destra: un momento della celebrazione.

In Carnia nel 66° anniversario delle stragi nazisteNel mese di luglio la Comunità Montana della Car-nia, l’ANPI ed i Comuni della Valle del Bût hannosvolto una serie di celebrazioni in ricordo delle stragicompiute da reparti nazisti e fascisti della 24ª Divisio-ne Karstjäger.Gli incontri di partigiani e popolazione si sono svoltiin Treppo Carnico, in Paluzza, Timau, Cercivento,presso la Malga Pramosio ed in Sutrio.In Treppo Carnico dopo il saluto del Sindaco Mauri-zia Plos è intervenuto il prof. Pasquale D’Avolio, Pre-sidente dell’ANPI di Tolmezzo; a Paluzza il SindacoElia Vezzi.In Sutrio presso il ponte sul fiume Bût, dopo i saluti il Sindaco Sergio Straulino ricordando i Caduti, hasottolineato la necessità di difendere la ComunitàMontana della Carnia, erede del Governo della glo-

riosa Repubblica Partigiana. Ha preso quindi la paro-la il dott. Romano Marchetti, Presidente onorariodell’ANPI, ultimo rappresentante del governo dellaRepubblica partigiana, che ha ribadito l’urgente ne-cessità di un programma di attività culturali in Carniae di stabilire un Istituto Tecnico, oggi mancante, nelcapoluogo carnico e, con passione, ha invitato ad ap-plicare la Costituzione.Il prof. Furio Honsell, Sindaco della Città di Udine,ha concluso la cerimonia con un discorso storico epolitico nel quale ha ricordato i tragici avvenimenti eha sottolineato che la Resistenza fu un movimentocollettivo e spontaneo di queste meravigliose genti.Il Primo cittadino udinese ha voluto ricordare l’eroeAulo Magrini, il medico dei poveri, caduto in com-battimento. Concludendo il prof. Honsell ha dettocon forza: «la Resistenza è attuale in ogni momento,come quello che stiamo vivendo, dove serve un riscat-to civile e morale della Repubblica».

Federico Vincenti, Presidente ANPI Udine

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Sutrio e PaluzzaRicordate le terribili giornate della Valle del BûtA 66 anni dalle tragiche giornate della Valle del Bût inCarnia (UD) il ricordo dell’eccidio compiuto da nazi-fascisti sulla popolazione inerme è ancora vivo, soprat-tutto per il modo crudele con cui si avventarono suicivili, colpevoli solo di abitare in quelle terre ostili al-l’occupazione nazifa-scista e dove operavanoda mesi gruppi armatidi partigiani. L’aspetto più canaglie-sco fu quello di presen-tarsi vestiti essi stessi dapartigiani con lo scopoevidente di mettere lapopolazione contro iresistenti. Ma l’ingannonon passò e ci si rese su-bito conto che quelle“bestie feroci” non po-tevano che far parte del-la Wehrmacht, appog-giati da repubblichini locali, mai scoperti purtroppo.Sul ponte di Sutrio, dove sorge un monumento allevittime innocenti, come ogni anno una folla – compo-sta da autorità civili e militari, popolazione ed ex par-tigiani – insieme all’ANPI provinciale si è radunata perrendere omaggio a questi eroi inconsapevoli. Tra essi ilvecchio partigiano ultranovantenne Romano Marchet-ti, componente della Giunta di Governo della ZonaLibera della Carnia, sorta di lì a poco, che ha associa-to il loro sacrificio alla lotta per la libertà e l’autonomiadella montagna, ieri come oggi in attesa di interventi“riparatori”. Un modo per ricondurre all’attualità laResistenza in queste valli. Gli archivi storici parlano

inequivocabilmente di 52 morti tra il 21 e 22 lugliodel ’44; tanti furono i civili, ragazzi e ragazze, donne(una incinta), anziani, uomini che caddero barbara-mente uccisi, molti dopo atroci torture e umilianti se-vizie, ad opera di bande di SS tedesche e fasciste re-pubblichine.Come ha avuto modo di affermare nel suo discorso uf-ficiale il Sindaco di Udine, Furio Honsell «Le vittimedelle stragi del 21 e 22 luglio del 1944, come ogni sin-

golo Partigiano, sonotutte ancora vive connoi, sono diventate im-mortali come possonodiventarlo solamentegli eroi oppure i profe-ti di un mondo miglio-re che essi non hannomai avuto l’opportuni-tà di conoscere, ma so-lo immaginare con laforza dei loro ideali.Quei ragazzi sono inostri figli, quelle don-ne sono le nostre madrie le nostre sorelle, que-

gli uomini i nostri fratelli. Sapremo essere all’altezzadel loro sacrificio?».La manifestazione di Sutrio è stata accompagnata dauna serie di iniziative politico-culturali svoltesi neigiorni precedenti in altri Comuni della vallata: unamostra sui ricordi di un internato a Buchenwald, spet-tacoli teatrali e la proiezione del film di Diritti “L’uo-mo che verrà”. Il tutto si è concluso con la cerimoniasulla Malga Pramosio, dove una cappella ricorda i pri-mi trucidati della banda, e dove si sono ritrovati anco-ra una volta familiari e tanta tanta gente del posto peronorare la memoria e per non dimenticare.

Pasquale D’Avolio, Presidente ANPI Tolmezzo

Cronache

Torlano di Nimis non dimentica i suoi 33 martiriFotogrammi drammatici che ritornano vivi alla mente:la madre colpita mentre tiene in braccio i fratelliniEmma, di 4 anni, e Luciano di 2, che muoiono, e fascudo a un altro figlio che riesce a sopravvivere. Quelbambino di allora è Paolo De Bortoli che, come ognianno, è salito a Torlano, da Portogruaro, con parentie concittadini, per la cerimonia che commemora l’ec-cidio nazifascista del 25 agosto 1944. Vi furono ucci-se 33 persone innocenti, tra cui appunto molte donnee bambini. Drammatiche pagine ricordate nella cerimonia in cimi-tero, dopo la messa di suffragio celebrata da mons. Ri-zieri De Tina. Aperta con una benedizione dello stes-so arciprete e coordinata da Luciano Rapotez, del-l’ANPI provinciale di Udine. Vi hanno partecipatorappresentanti delle forze dell’ordine, di associazionicombattentistiche e d’arma e di diverse amministrazio-

ni civiche, tra cui il sindaco di Udine Furio Honsell. Ivana Franceschinis, per il Comune di Portogruaro –con lei c’era anche la presidente dell’ANPI ImeldeRosa Pellegrini, autrice del libro “L’eccidio di Torlano”–, ha evidenziato come “il ricordo” fosse «non un ritoma un rinnovo di un impegno civile». Al termine, acommento di quella tragica giornata di 66 anni fa,Honsell ha osservato che all’epoca «si sperimentaronoi princìpi della Costituzione che è alla base della nostraRepubblica». (M.R.)

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Cronache

La battaglia di Povolettodel ’44Un discorso commemorativo è stato tenuto, il 5 set-tembre, da Monica Emmanuelli dell’Istituto friulanodi storia del Movimento di Liberazione di Udine e inrappresentanza dell’ANPI di Sacile.Ne riportiamo ampi stralci:«La celebrazione di oggi ricorda la Battaglia di Povo-letto del 5 settembre 1944, che identifica una tra lepagine alte della Resistenza della nostra Regione, inparticolar modo per il suo legame con quella che ven-ne definita la Zona libera del Friuli Orientale. Il Friu-li-Venezia Giulia apparteneva all’Adriatisches Kue-stenland, territorio amministrato direttamente dal IIIReich.Con zone libere e le conseguenti repubbliche parti-giane vennero definiti tutti quei territori, 19 in Italia,che durante l’occupazione tedesca erano controllatidirettamente dai partigiani, conl’eliminazione di qualsiasi presi-dio fascista e nazista, amministra-ti dalle giunte comunali elette di-rettamente dalla popolazione so-stenute dai Comitati di Libera-zione Nazionale locali (gli organidella direzione politica della Resi-stenza). Si trattava delle primesperimentazioni di quella che sa-rà, dopo la Liberazione, la nostraRepubblica, gettando le basi del-la vita democratica. Erano la ri-sposta forte della ricerca di liber-tà e di giustizia contro la dittatu-ra fascista che aveva cancellatoper oltre un ventennio ogni for-ma di diritto, dove ogni opposi-zione era stata repressa.La Zona libera del Friuli Orienta-le, formata dai comuni di Nimis, Attimis, Faedis, Lu-severa, Taipana e Torreano aveva una posizione stra-tegica importantissima, era a ridosso di fondamentalilinee di comunicazione stradali e ferroviarie. Era pro-tetta dalle divisioni partigiane garibaldine e osovaneed era stata fortemente voluta dal maggiore ingleseTucker delle forze militari alleate. Era situata fra Civi-dale e Tarcento, coprendo un’area di circa 70 Kmq. Asud confinava con Povoletto, arrivava quasi fino a Ci-vidale, delimitata dai fiumi Torre e Natisone nei con-fini laterali e a nord dalla catena dei Musi. La partico-lare conformazione geografica, con montagne, collinee pianura rendeva più adatto e meno problematico, ri-spetto, ad esempio, alla Zona libera della Carnia e del-l’Alto Friuli, il rifornimento di viveri e la possibilità dicoltivazioni locali che consentirono una certa formadi autonomia. In quella Zona, prima della creazionedella Repubblica Partigiana, operavano la GaribaldiNatisone e la 1a Brigata Osoppo. La Garibaldi era co-mandata da Mario Fantini “Sasso”, dal commissariopolitico Giovanni Padoan “Vanni” e dal capo di StatoMaggiore Ferdinando Mautino “Carlino”. Altre figu-

re di importanza fondamentale per la lotta furono Gi-no Lizzero “Ettore”, Lino Argenton “Stuz”, MarioZulian “Sandro”, Vincenzo Marini “Banfi” e tantissi-mi altri tra operai, contadini, studenti, ex-militari. La1a Brigata Osoppo era comandata dal suo fondatoreManlio Cencig, dal delegato politico Alfredo Berzan-ti “Paolo”, coadiuvati da partigiani del valore di Fran-cesco De Gregori “Bolla”, Gastone Valente, ItaloRomanelli, Umberto Michelotti, Arturo Fontanini,Mario Silvestri, Gino Bricco. Cappellani divisionali fu-rono don Redento Bello “don Candido”, don ErinoD’Agostini. Il territorio era stato liberato dalle formazioni garibal-dine e osovane. Il 22 luglio 1944 ci fu la sottoscrizio-ne di un primo accordo fra le due formazioni che san-civa uno scambio di informazioni militari e l’unifor-mità dei gradi nei reparti. Il 26 luglio ci fu la costitu-zione del Comando di Coordinamento Operativo, incui si univano i comandanti e i commissari delle due

formazioni, un unico servizio di intendenza e un cor-po di polizia. Il 19 agosto vi fu la decisione definitivadi porre sotto un unico comando operativo entrambele formazioni con il nome di 1ª Divisione Garibaldi-Osoppo con comandante “Sasso”, commissario poli-tico “Vanni”, vicecomandante Francesco De Gregori“Bolla”, vice commissario “Paolo” e capo di statomaggiore “Carlino”.Povoletto si trovava proprio a ridosso di questa isoladi libertà e di speranza ed era controllata da un con-tingente di nazifascisti numeroso e ben armato concarabinieri, repubblichini e alcuni tedeschi. Il coman-do unificato decise di attuare un’offensiva con la fina-lità di tutelare e di estendere la zona libera, sempreesposta ad attacchi, e soprattutto aiutare la popolazio-ne locale, vittima di continue prevaricazioni. La batta-glia del 5 settembre ebbe come scenario di guerraproprio Povoletto. I combattimenti tra le due forzeantagoniste, quelle partigiane e quelle nazifasciste, siprotrassero per ore e impegnarono estenuantemente,per la loro durezza, entrambe le parti combattenti,concludendosi con la capitolazione dei nazifascisti,

patria indipendente l 26 settembre 2010 l VII

che si erano rifugiati, e avevano cercato fino alla finedi resistere, nel municipio del paese. Per i partigiani fuuna vittoria memorabile per il numero ridotto di per-dite, solo tre morti, e per l’ingente quantitativo di ar-mi recuperate. Il risultato encomiabile portò a passare nelle file del-l’organizzazione partigiana molti dei carabinieri checostituivano il grosso del presidio; risultato estrema-mente significativo dal punto di vista militare, perchésignificava aver raggiunto quasi la periferia di Udine.Con la distruzione dei presidi di Vedronza, di Moli-nis e di Ciseriis il 23 settembre la zona libera raggiun-geva la sua massima estensione. Si trattò, purtroppo,di un’esperienza alquanto breve, perché dal 27 dellostesso mese violenti bombardamenti da un treno blin-dato e l’attacco da parte dei nazifascisti, anche conmezzi pesanti, eliminò completamente la repubblicapartigiana insediando un presidio cosacco, dopo averdistrutto e dato alle fiamme i paesi di Nimis, Attimis eFaedis. La popolazione non subì solo i danni degli in-cendi delle case costringendo le famiglie a trovare ri-fugio nei paesi vicini, ma grande fu il numero degli ar-restati e deportati nei campi di sterminio del Reich.Non possiamo in questa occasione non ricordare concommozione il sacrificio di coloro che non fecero piùritorno nelle loro case. Continuare a ricordare episodi come questo haun’importanza elevata perché è una pagina di storiache mostra quanto grandi siano stati i sacrifici dellanostra gente per la liberazione e per uno stato libero.Si parla continuamente di revisionismo storico, ma al-

la fine lo si subisce senza poter fare molto, rispetto al-l’indubitabile potere mediatico che certe forze politi-che hanno nel nostro paese. Falsare la storia, crearneuna nuova, non è difficile. Basta avere idee precise eun eloquio convincente. Sta a noi, allora, combatterein maniera pacifica, tramite la memoria, il ricordo, lecommemorazioni, attraverso l’educazione alla cittadi-nanza, avvicinando i giovani alla conoscenza di paginedella nostra storia così eroiche e importanti da essertemute e volontariamente sottovalutate anche nei te-sti scolastici. Non è necessario creare un’epopea mito-logica, che non farebbe altro che rendere ciò che èsuccesso una favola. Bisogna semplicemente racconta-re i fatti, divulgarli, farli conoscere. […] Vorrei, però, sottolineare come sia necessario ri-cordare non solo i morti, ma anche chi è sopravvissu-to e chi oggi ancora può raccontarci la storia in primapersona.La superficialità e la mancanza di curiosità sulle nostreorigini sono due delle malattie del mondo contempo-raneo, non solo dei più giovani, ma anche di chi, abi-tuato a dare per scontate troppe cose, se ne dimenticao considera acquisiti per sempre certi diritti. Non ècosì, invece. Ogni conquista ottenuta non garantiscela sua presenza all’infinito, bisogna continuare a vivi-ficarne il ricordo con l’impegno civile. Gli ostacoli chesi trovano lungo questo cammino devono diventarelo stimolo per non smettere mai di ringraziare chi ciha permesso di vivere nella libertà e per non far mori-re con l’inedia i valori umani che sono fondamentaliin un paese democratico».

Cronache

Presentato al Bunker di Fortezza un filmato

“Maggio 1945 - Gli americani a Bolzano”Il circolo culturale dell’ANPI in collaborazione conOppidum, che cura l’organizzazione del massicciocontenitore culturale di Fortezza, ha colto l’occasionedella presentazione del filmato per ravvivare alcuniepisodi della Liberazione in Alto Adige. Il giornalistaGiovanni Perez, autore del filmato, ha delineato il fi-lo della ricerca dei documentari filmati che formanoun DVD della durata di 31 minuti, tra Istituto Luce el’americano Combat Film, indicando che tale ricercanon si è esaurita in Maggio 1945, ma continua e sicompleta in “Dalla Liberazione alla ricostruzione” diprossima edizione, sempre a cura dell’ANPI.Lionello Bertoldi, assieme a Perez, ha precisato lemotivazioni profonde dell’ANPI e del suo circolo cul-turale, per la realizzazione di strumenti di informazio-ne e diffusione culturale – come Maggio 1945, la col-lana dei 4 Quaderni della Memoria, della mostra do-cumentario “Oltre il Muro” e per ultimo “Un viaggionel tempo” la ricostruzione animata in 3D e Il diariogiornaliero nel Lager di Bolzano – che sono destinatisoprattutto ai giovani delle scuole. Impegno dell’AN-PI è proteggere la memoria di un immenso sacrificiodel popolo italiano, nella guerra voluta dal fascismo,

nella Resistenza, nella deportazione, nella guerra diLiberazione. Solo ricordando questo immane sacrifi-cio si possono capire fino in fondo le volontà diverse,ma unitarie, che ci hanno riscattato dal nazifascismo ecompiuto il più alto patto di popolo nella Costituzio-ne, ponendovi i più profondi valori umani, che ci ap-partengono e i diritti che vogliamo raggiungere.È stato facile ricordare – assieme all’attento uditorioche gremiva tutti i posti disponibili (acustica perfettasenza microfoni) – che le avanguardie della Liberazio-ne avevano già prima raggiunto Bolzano. E, ancora,ricordare le 23 “missioni”, volontari italiani destinatia raggiungere la Resistenza nell’Italia occupata, i tru-cidati dai nazifascisti a Bolzano il 12 settembre 1944.Erano giovani uomini soli e fieri che portavano nelcuore, come altri nella Resistenza, quel seme della Pa-tria che sembrava morta l’8 settembre.Bertoldi ha ricordato anche un americano, il capitanoHall Stephen Roderick, della missione Eagle con labrigata partigiana Calvi che, catturato a Cortina, fuucciso nei sotterranei del comando Gestapo il 19 feb-braio 1945. E l’ANPI lo ricorda assieme al partigianosudtirolese Karl Ludwig Ratschiller, suo compagnod’armi nella Resistenza.Il coro “amici della Montagna” ha voluto regalarci, inchiusura della serata, dopo altre canzoni, una nuovaedizione di “Bella Ciao”. (L.B.)

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Cronache

Incontro partigiano a Piano Audi di Corio«A Piano Audi non si può non voler bene», ha affer-mato il sindaco di Corio Canavese Salvatore Diglio nelsalutare i partecipanti all’incontro partigiano del 22agosto, onorato da parecchi sindaci o loro rappresen-tanti, che hanno rinunciato agli ultimi spiccioli di va-canze per presenziare alla manifestazione che, no-nostante gli anni, conserva intatto il suo fascino. Qui,in questa piccola frazione circondata dalle montagnedi Corio, che fu sede del comando della IV Divisioned’assalto Garibaldi e che, nel settembre 1943, tenne abattesimo i primi gruppi di “ribelli” della zona, ci siimmerge nella storia e, in questa giornata, si ha la for-tuna di passeggiare fianco a fianco con i protagonisti diquelle irripetibili vicende. Capita sovente di ascoltare i loro emozionanti racconti di quando lottavano percostruire una società più giusta, anche per noi. Numerosi i parenti dei partigiani scomparsi che han-no raccolto il testimone del ricordo. Tra questi GianPaolo, nipote di Sergio Piazza detto “Palazzi”, cheesibiva, con orgoglio, la Medaglia d’Argento appunta-ta sul petto, proprio nell’anniversario dell’uccisionedello zio nel 1944. Questo straordinario contorno è il valore aggiuntodella sobria cerimonia di Piano Audi organizzata dalComune e dall’ANPI guidato da Piero Bertolone Bal-larin, colorata dai vessilli delle sezioni partigiane e dai

gonfaloni comunali di Balangero, Ciriè, Corio, Ger-magnano e San Maurizio, scandita dalle musiche del-la Filarmonica Coriese, segnata dall’omaggio florealeal Monumento e alle lapidi, tra cui quella che ricordai due partigiani Giuseppe Ferrero e Spirito Priardi, fu-cilati dai tedeschi, benché feriti, nel gennaio 1945. Epoi ancora toccante nell’applauso che ha salutato i 90anni del comandante Aldo Giardino, incorniciata nel-le appassionate parole di Gino Cattaneo, un altro pro-tagonista di quella straordinaria stagione di lotta e diriscatto, oggi vice presidente nazionale dell’ANPI eoratore ufficiale dell’evento: «Nessuno potrà cancel-lare con un colpo di spugna la Resistenza e con essa laCostituzione, vero baluardo contro tutti gli autorita-rismi».

Franco Brunetta

La cerimonia davanti alla sede del Comando partigiano. (foto di F.Brunetta)

A MontosoPartigiani e giovani insiemeI partigiani garibaldini (1a Divisione d’Assalto Gari-baldi “Leo Lanfranco”) con Comando e Distretto perampio tempo di stanza a Montoso (Bagnolo Piemon-te) al termine del conflitto, strinsero il patto di ritro-varsi nello stesso luogo la seconda domenica di lugliodi ogni anno.La memoria della lotta intrapresa dai partigiani in col-laborazione con operai e popolo, tutti volontari, do-veva vivere, entrare nella storia in tutta la sua eroicaconsistenza, equivalente ad un se-condo Risorgimento. I partigiani dovevano rinnovare l’im-pegno contratto durante la dura lot-ta di Liberazione, combattuta con-tro i tedeschi invasori: mai dimenti-care la strategia della guerra di Libe-razione che aveva le sue regole.Nell’impossibilità di sostenere ilcombattimento aperto contro il ne-mico nazifascista, potente e ben or-ganizzato, invasore dell’Italia, i par-tigiani si ritiravano, creavano il vuo-to alla precisa condizione di ritrovar-si tutti a Montoso dopo cinque gior-ni. Era la regola dettata dalla disci-plina partigiana a cui bisognava ri-spondere. Così doveva essere anche

nel dopoguerra. In amicizia ed unità tra volontaricombattenti della guerra di Liberazione e popolo, siritrovavano puntuali ogni anno a Montoso la secondadomenica di luglio. Era un patto.Cosa succede dopo 65 anni?I partigiani si ritrovano, ma in numero esiguo, incapa-ci di salire in vetta dove c’è il Monumento eretto inonore degli oltre 400 Caduti per la Libertà: avieri, ci-vili, partigiani, ma la manifestazione ha successo gra-zie alla presenza dei giovani. Con loro è stato un verosuccesso a tutti i livelli: tradizionali, innovativi, storici.Il corteo – da Piazza Martiri della Libertà diretto al

Monumento – era aperto dalla Ban-da Musicale di Bagnolo Piemonte alcui seguito c’erano gli studenti ac-compagnati dai docenti con la ban-diera della Scuola Media Statale diBagnolo Piemonte. Seguivano leAutorità, i gonfaloni, le bandiere e igagliardetti ed un folto popolo nelquale in numero elevato i montosini.La scuola forma la nuova generazio-ne che studia la storia e la Costitu-zione Italiana: la legge fondamentaledel nostro paese – nata sulle monta-gne… come Montoso – che affermai valori fondanti della nostra demo-crazia ed i princìpi fondamentali del-la nostra vita sociale.

Maria Airaudo

A Genazzano

Sentieri partigiani di ierimemoria antifascista di oggiLa sezione ANPI di Genazzano-Monti Prenestini-Al-ta Valle del Sacco, “G. Emilio D’Amico-Lidia Cicco-gnani”, l’11 luglio ha voluto ricordare i partigiani del-la Banda di Genazzano, ripercorrendo i luoghi, i na-scondigli e i percorsi teatro delle loro azioni.La volontà della sezione di Genazzano è quella dicreare per il 25 aprile, un appuntamento annuale, conl’ANPI, il Sindaco e i cittadini della Valle, dando vitaad una manifestazione denominata: “I Sentieri dellaMemoria” con lo scopo di riscoprire i percorsi dellalotta partigiana, oggi apparentemente scomparsi, per-ché nascosti, alcuni, dall’abbandono e dalla vegeta-zione.Il percorso si snoda nel paese e in zone ricche di vege-tazione (come La Selva) in otto punti: 1) La casa di G.Emilio D’Amico, Capo della Banda di Genazzano emartire delle Fosse Ar-deatine; 2) Colle San-t’Andrea, luogo di un ra-strellamento tedesco; 3)San Pio, usato come de-posito di opere d’arteprovenienti da PalazzoVenezia e altri luoghi; 4)Parco degli Elcini-Castel-lo Colonna dove era ilcomando tedesco, le car-ceri ed i forni “Wass” perfare il pane da portare aisoldati tedeschi a Cassi-no; 5) Luogo dell’arrestodi G. Emilio D’Amico,presso la bottega, sotto casa sua; 6) Percorso interno alpaese: luoghi bombardati (campanile di S. Maria, piaz-za Napoli, via del Borgo, Piazzetta del Senile, la Valle)luoghi di posizionamento dei comandi tedeschi (Ca-serma vecchia, Piazza Santa Croce, Tirassegno doveera una piccola base aerea), Via Antonio Gonne, ViaAndreani (sosta alle targhe di vittime del fascismo); 7)Via dello Spanditore; 8) La Selva: nella zona venivano

progettate parte delle azioni partigiane. Ci sono grot-te scavate nel tufo (Arnari) utilizzate come base perriunioni, deposito armi e rifugio da bombardamenti erastrellamenti nazi-fascisti.La manifestazione, in programma per il 20 giugno, èstata rimandata, causa maltempo, ma finalmente, l’11luglio, si è svolta in una bella giornata di sole.Molti iscritti all’ANPI, abitanti di Genazzano e dei

paesi vicini, hanno per-corso i luoghi teatro delleazioni dei partigiani della“Banda di Genazzano” edopo il lungo giro si so-no incontrati a casa deifratelli Vinicio e Giusep-pe Di Marco (dove i par-tigiani spesso si fermava-no). Sulla facciata dellacasa, il Sindaco FabioAscenzi, la presidentedella sezione ANPI, RitaCamicia, ed il sottoscrit-to, quale segretario pro-vinciale di Roma, alla

presenza di molta gente, hanno scoperto una targa inmarmo a ricordo dei partigiani della Valle. È stata unacerimonia molto semplice ma sentita da tutti i presen-ti.Riproponendo il percorso nei luoghi della lotta al na-zifascismo, l’ANPI di Genazzano ha voluto sensibiliz-zare i cittadini e gli abitanti della Valle del Sacco (tracui Olevano Romano, Bellegra e Palestrina) sulla sto-ria della “Banda partigiana di Genazzano”, forse trop-po presto dimenticata, così come, forse, molti hannodimenticato il sacrificio di G. Emilio D’Amico, mortoper un ideale chiamato Libertà.Con i Percorsi della Memoria, l’ANPI di Genazzanorammenta a chi vuole cancellare la storia della Resi-stenza che nella Valle ci sono stati dei giovani antifasci-sti che hanno combattuto, armi in pugno, contro na-zisti e fascisti per la conquista della libertà e della de-mocrazia.Ed oggi, come ieri, nella Valle ci sono donne e uomi-ni che hanno fatto proprio il testimone ideale di queigiovani del 1943-’44, pronti a loro volta a passarlo aigiovani del futuro, perché la lotta partigiana in questiluoghi è e sarà sempre scritta nel cuore: “Ora e sempreResistenza”.

Ernesto Nassi

patria indipendente l 26 settembre 2010 l IX

Cronache

X l patria indipendente l 26 settembre 2010

Nel Maceratese

È nata la Sezione ANPIdell’Alto Nera

Intitolata al partigiano Pietro Capuzi Medaglia d’Oroal Valor Militare alla memoria, barbaramente tortura-to e poi ucciso dai nazifascisti il 9 maggio del 1944 inlocalità Vena d’Oro di Ussita, è stata presentata, la Se-zione di Visso-Ussita-Castelsantangelo sul Nera del-l’Associazione Partigiani d’Italia nel Teatro Comuna-le di Visso, il 4 settembre, davanti ad un numerosopubblico, alla presenza del Presidente ProvincialeGiulio Pantanetti e di quello di Camerino Mario Mo-

Cronache

Trentaquattro buste d’archivio, contenenti 473 fasci-coli – di cui 104 muniti di fotografie e sessantadue dimanifesti – e 178 sottofascicoli; quattordici buste dimateriale emerotecario, contenenti “L’Antifascista”,periodico dell’ANPPIA (anni 1981-’92), e “Patriaindipendente”, periodico della Resistenza e degli exCombattenti (anni 1966-2002), più la mostra Storiae cronaca della Resistenza italiana ed europea (1995). È la consistenza dell’archivio dei comitati provincialidell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI)e dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Ita-liani Antifascisti (ANPPIA), depositato presso l’Archi-vio di Stato di Viterbo, frutto di un lavoro volontariodi oltre 450 ore, tra schedatura, ordinamento, selezio-ne e inventariazione del materiale. La documentazionearchivistica ANPI riguarda gli anni dal 1968 (quandoLuigi Tavani, dopo una fase di stallo, rilancia l’Associa-zione sul territorio) al 2002 (quando, con la morte delPresidente Luigi Amadori e l’elezione di Biagio Gion-fra, entriamo nella fase corrente dell’archivio). La do-cumentazione ANPPIA, invece, riguarda soltanto glianni 1981-’92. Vi sono comunque documenti origi-nali che datano a partire dal 1944.L’archivio si suddivide in tre serie: Documentazione epratiche (a sua volta suddivisa in quattro sottoserie:Antifascisti e partigiani di Viterbo e Provincia, Paesidella Provincia; Antifascismo e bande partigiane dellaProvincia; Altre province italiane); Attività ANPI eAttività ANPPIA.Con l’archivio è stato depositato un inventario, checonsta sia di una versione sommaria, per avere un’ideacirca le serie e il contenuto delle buste, sia di una ana-litica, con la descrizione dei singoli fascicoli e sottofa-scicoli. In appendice all’inventario, gli indici delle for-mazioni partigiane, dei luoghi e dei nomi citati: unostrumento di ricerca redatto proprio per venire incon-tro alle richieste solitamente rivolte alla nostra Asso-ciazione. Al contrario di quanto spesso succede al momento deidepositi d’archivio, la nostra non è una realtà che ha

cessato la sua esistenza o esaurito la sua funzione: apartire dal Congresso nazionale di Chianciano(2006), l’ANPI ha aperto le iscrizioni a chiunque fos-se vicino ai suoi scopi associativi. Il venir meno deipartigiani, per ragioni anagrafiche, è stato ampiamen-te compensato da una crescita dell’Associazione che,nel 2009, ha superato i 110 mila iscritti. L’inventaria-zione e il deposito del nostro archivio sono quindi dainquadrare nel complesso delle attività che l’ANPIsvolge per salvaguardare la memoria, locale e non,dell’Antifascismo e della Resistenza. Mettiamo a disposizione di storici, studiosi e sempliciinteressati un patrimonio archivistico ragguardevole,per la nostra storia civile, politica e sociale, senza im-porre limiti, cronologici o d’altro tipo, alla consulta-zione.

Silvio Antonini, ANPI Viterbo

sciatti e di Matteo Petracci, autore del libro sull’oppo-sizione dei maceratesi al fascismo.In precedenza gli iscritti avevano nominato i dirigentilocali presentati alla riunione pubblica: Antonio Ca-puzi, figlio dell’eroe Pietro, Presidente Onorario;Giulio Lattanzi, Presidente; Vice Presidenti Venanzi-na Capuzi e Roberto Flammini; componenti il Comi-tato Paolo Cioli, Camilla Fabi, Marco Rinaldi.All’incontro al Teatro Comunale di Visso oltre all’af-fermazione dei valori della Resistenza e della Costitu-zione per ritornare ad un convivere civile, si sono pro-grammate le prossime iniziative storico-politiche dellaSezione dell’ANPI che coinvolgeranno le popolazio-ni, i residenti, i giovani dell’Alto Nera.

Viterbo

Depositata all’Archivio di Statola documentazione ANPI e ANPPIA

patria indipendente l 26 settembre 2010 l XI

Cronache

Un pensiero per...Eugenio Bruni

L’ANPI Provinciale di Bergamoannuncia commossa la scomparsa diEugenio Bruni, Vice PresidenteProvinciale, già Presidente del ComitatoAntifascista Bergamasco, e rendeomaggio al suo antifascismo, culminatonel doloroso internamento nel lager diDachau in cui morì il fratello Roberto, ecoerente testimone per tutta la vita

degli ideali di democrazia, giustizia e libertà. I funerali si sonosvolti il 16 luglio presso il Cimitero di Bergamo. Eugenio Bruni,partigiano e difensore dei valori della democrazia, della libertà,della pace, era nato l’11 luglio del 1918. Avverso al fascismo,alle leggi razziali, all’entrata in guerra con i nazisti, si dedicò,con il fratello Roberto, all’attività clandestina: scrivendo suimuri, pubblicando volantini, partecipando a riunioni. La primavolta venne arrestato a Bergamo l’11 ottobre 1941, processatodal Tribunale speciale per la difesa dello Stato con l’accusa diavere sporcato il monumento al duce posto davanti al Comunedi Bergamo, fu condannato a tre anni di carcere. Incarcerato,con il fratello Roberto, a San Vittore e processato, fu liberatoalla caduta di Mussolini, nel luglio del 1943. Dopo l’8 settembre entrò nella Resistenza: «... fuggii per raggiungere i partigiani, prima andai a SantaBrigida, poi dovevo andare in Val Canovina sul Lago Maggiorema venimmo intercettati dalla guardia forestale repubblichina;arrestati fummo consegnati alle SS che ci fecero salire su unacamionetta per condurci a Como; per due volte pensai chestavano per ucciderci perché per due volte scesero e cispianarono contro i fucili. Invece non spararono...». Eugenio e Roberto Bruni vennero trasportati al lager di Bolzanoe da lì a Dachau dove Eugenio vide morire il fratello.Poche ore prima che arrivassero gli americani, le SS spararonosui prigionieri, le vittime furono ottocento; Eugenio riuscì ancoraa salvarsi e a lasciare il campo: pesava 35 chili.Alla fine del 1946 iniziò la carriera di avvocato penalista. Fumembro del direttivo provinciale del PSI e consigliere comunalea Bergamo. Presidente della Società di Mutuo Soccorso,società garibaldina di Bergamo, Presidente del ComitatoAntifascista Bergamasco e Vice Presidente dell’ANPI provincialedi Bergamo.Innumerevoli sono stati gli studenti, non solo bergamaschi, chehanno avuto la fortuna di ascoltare e di imparare da lui cosa èstata la Resistenza, con i suoi valori, e la deportazione.

(ANPI Bergamo)

Rosa Mecarolo

Presidentessa onoraria del Comitatoprovinciale ANPI di Viterbo dal 2006 eranata a San Michele in Teverina, frazionedi Civitella d’Agliano, il 6 marzo 1933.Maestra elementare nei centri diSpoletino (frazione di Civitellad’Agliano), Celleno, Civitacastellana eVignanello, aveva pubblicato lememorie della sua attività didattica in

Vu… come gorpe? Da scolara a maestra (2005).Nel 1955 si era sposata con Angelo La Bella (1918-2005),divenendone stretta collaboratrice nella lunga e fortunataattività di militante comunista, sindaco, deputato, sindacalista,giornalista e, negli ultimi anni, autore e dirigente ANPI. Assiemea lui aveva contribuito alla nascita e all’affermazione diRifondazione comunista nel Viterbese. Coautrice di numerosemonografie – tra le quali Martiri Viterbesi alle Fosse Ardeatine(1995) e Portella della Ginestra - La strage che ha cambiato lastoria d’Italia (2003) – dopo la morte del marito, aveva curato lapubblicazione postuma di due raccolte di articoli e contributi:Cronache, storie e leggende del Viterbese e dintorni e Rosso disera (2007). Diversi anche gli articoli per “Comunità”, il mensiledel Comune di Civitella d’Agliano (nato nel 1985 e diffusoanche presso gli emigrati civitellesi), che hanno avuto diversiriconoscimenti come esempio per la cura e l’efficacianell’ambito della stampa minore e per la conservazione e ladivulgazione della cultura popolare dell’Alto Lazio.Le sue attività, inoltre, sono ampiamente documentate nelfondo archivistico di Angelo La Bella, donato all’Archivio diStato di Viterbo.Attorno ai figli Andreina e Mauro, ai nipoti e ai familiari tutti si èstretto il Comitato provinciale ANPI che ha partecipato alleesequie presso la chiesa di San Michele in Teverina il 20 luglioscorso.

(Silvio Antonini, Segretario e Portabandiera ANPI Viterbo)

Giovanni Ravasio

Il comandante partigiano Clen, è scomparso il 7 luglio scorso. Giovanni Ravasio è giunto alla fine del suo cammino, durante ilquale ci ha insegnato l’amore per la Libertà, la dignità dellaPovertà, la fierezza dell’Onestà, la necessità della Solidarietà edil rigore del Dovere.Un altro piccolo pezzo di quell’Italia che amavamo e per cuivaleva la pena lottare se ne è andato. Le sue ceneri riposano inun piccolo cimitero, sulle Alpi che tanto amava.Lo ricordano con stima ed amore la moglie Giuseppina, Piercarlo,Massimo, Alberta, Aurora, Titti, Alessandra, Federico, Alessio.Ciao Papà.

(Piercarlo Ravasio - Cisano Bergamasco)

Giovanni Masuero “Cok”

A quasi un anno dalla scomparsa,avvenuta il 7 novembre 2009,ricordiamo il partigiano GiovanniMasuero “Cok”. È stata una perdita dolorosa anche perla nostra Associazione. Lo ricordano moltissimi studenti dellescuole della nostra zona che hannoavuto la possibilità di conoscerlo per i

racconti della vita Partigiana e per gli ideali che esprimeva eper i quali abbiamo lottato.Giovanni Masuero partecipa alla lotta dal novembre 1943 allaLiberazione, facendo parte del Distaccamento Piave, della 50ªBrigata, Dodicesima Divisione Garibaldi che operava nellemontagne Biellesi e nella pianura Vercellese. “Cok” con il suoaspetto di uomo mite, aveva avuto il coraggio e ladeterminazione di seguire, in un momento difficile per la storiadel nostro Paese, una strada onorevole e rischiosa: quella dellaLotta di Liberazione nazionale. Fra i primi dopo l’infausto 8settembre 1943 era salito al Basto entrando nel DistaccamentoPiave. Varie le vicissitudini partigiane tra le quali quella delladrammatica battaglia, per le formazioni biellesi, di Rassa. Nel1944 nel processo di pianurizzazione strategica era scesonell’area della Garella facendo parte fino alla Liberazione della50ª Brigata comandata da “Danda”, il compagno Giachetti.Esempio di umanità e di responsabilità per le nuovegenerazioni, in una temperie civile in cui anche gli impegnidiventano sempre più difficili e problematici, Giovanni è daconsiderarsi cittadino esemplare, per comportamenti e sapienzacritica di fronte alla complessa visione del mondo che staturbando fortemente il clima delle più giovani generazioni, nelcontesto di precarietà in cui vivono.Le pagine di memorie, raccolte nel suo libro “I ricordi delpartigiano Cok”, possono costituire un riferimento costruttivoper i giovani mentre per noi dell’ANPI provinciale rappresentanouna identità che conforta, che parla al nostro orgoglioassociativo spronandoci a rimanere dei resistenti attivi e deicittadini critici e liberi.Caro Giovanni non ti diciamo addio, perché resti con noi.

(Aldo Sola – ANPI Biella e ANPI Zona Cossato Vallestrona)

Augusto Livaldi

Aveva combattuto nella Guerra diLiberazione Nazionale nelle fila dellaBrigata “Italia” della Divisione Modenaed era componente del direttivo ANPIassociazione con la quale seguivaattentamente i problemi dellaResistenza. Ci ha lasciati il giornodell’Epifania di quest’anno.Alla moglie Ines Credi, alle figlie Elma e

Nadia, ai generi Salvatore e Giuliano, alla sorella Ilva, la nostraAssociazione, unitamente all’ANCR rinnovano le espressioni delloro dolore per la sua scomparsa.

(ANPI Pavullo)

XII l patria indipendente l 26 settembre 2010

Cronache

Ernesto Piana

Il 3 settembre scorso ci ha lasciatoErnesto Piana, il partigiano “Nando”della Brigata Oliveri - DivisioneBuranello, che ha operato nei territoridella Valle Stura, tra le province diGenova e Alessandria. Ernestin (così erasoprannominato affettuosamente daamici e famigliari) era nato a CampoLigure il 18 marzo 1918 e fino all’ultimo

giorno della sua vita è stato presente nell’attività del localeCircolo ANPI, nel quale ricopriva la carica di Vice Presidente.Con lui se ne va uno degli ultimi testimoni della lotta diLiberazione locale. Il Circolo ANPI di Campo Ligure lo ricordacon affetto e gratitudine e si stringe ai famigliari nel momentodel commiato.

(ANPI Genova)

Mario Olivieri “Balilla”

Sono avvenuti tragici avvenimenti percambiare la vita di un giovane.La guerra, i bombardamenti, la vita gramaper tutti dove non c’è cibo per sfamare lefamiglie. I giovani che partono e nonritornano più.Mario Olivieri è giovanissimo operaio allatessitura e filatura di Genova e in unsecondo tempo a quella dei Pernigotti in

Ovada. Nei giovani corre un senso di sgomento e impotenza difronte a questi avvenimenti. Vi è stata la caduta del fascismo,l’armistizio dell’8 settembre. Tanti giovani hanno rifiutato gli appellidella RSI e dei nazisti e sono saliti sull’appennino, alla Benedicta viè stato il massacro dal 6 al 10 aprile 1944.A questo punto Mario, già militante nei gruppi giovanili di EugenioCuriel, lascia la famiglia e sale in montagna raggiungendo laBrigata “Emilio Vecchia” che diventerà in seguito “Divisione Mingo”in memoria del Capitano Domenico Lanza caduto a Piancastagna.Mario è il più giovane dei partigiani: ha 14 anni compiuti. Vanni, ilcomandante della formazione, vedendo questo giovanissimo inattesa del nome di battaglia, dice: «l’ho chiameremo “Balilla” comeil mitico combattente della rivolta genovese contro i francesi».La Brigata “Emilio Vecchia” era una formazione molto apprezzataper il suo coraggio, composta da uomini bene addestrati nelle varieazioni specie nella zona del Savonese e in particolare nella zonaportuale. Nei suoi racconti, “Balilla”, ha sempre messo in risalto ivalori della Resistenza e della sua formazione e l’audacia delleazioni che comportava, però, a volte, la perdita di cari compagni. ALiberazione avvenuta, ritornando nella propria zona, si impegnò,specie nel luogo di lavoro, per il Partito e nell’operazione disviluppo e creazione dell’ANPI in difesa di quei tanti ex combattentiche non trovavano lavoro, ma soprattutto di coloro che venivanoperseguiti dalle leggi repressive contro i partigiani. Sono questi imotivi per i quali dovette emigrare nella Repubblica Cecoslovaccaper evitare il peggio. In quella terra che gli ha dato ospitalità haprofuso tutto il suo entusiasmo per l’attività a cui era statochiamato nel partito e nel sindacato ricevendo encomi da partedelle autorità cecoslovacche e della stessa scuola che avevafrequentato, con successo, per una sua personale qualificazione.Poi incontrò la sua compagna, Anna, con la quale si formò unafamiglia allietata dalla nascita della piccola Dascia. Ritornato inItalia si impiegò nella funzione pubblica presso il Comune diOvada. Nell’ANPI dell’Ovadese fu Segretario di Zona e poiPresidente, sostituendo degnamente il compagno Paolo Marchelli“Augusto”. Faceva parte del Comitato Provinciale di Alessandria.Una grave malattia ci ha privati di un mitico compagno. Ciao“Balilla”.

(Sezione ANPI “Paolo Marchelli” - Ovada)

Bruna Bianchi

Il 24 luglio è deceduta la compagnaProf.ssa Bruna Bianchi, membro delComitato Provinciale dell’ANPI di Varesee componente della Vice Presidenza.Contravvenendo ai desiderata di Bruna,non possiamo ignorare i sentimenti cheimmediatamente la sua scomparsa haprovocato: e ne riportiamo qui dueesempi, che si “coniugano” tra loro,

essendo il primo di una docente, ed il secondo di un suo exallievo.«È mancata all’affetto di noi tutti la professoressa Bruna Bianchi.Si è spenta all’improvviso a Varese, dopo un repentinopeggioramento delle sue condizioni di salute, senza che quasice ne rendessimo conto. Stavamo ancora discutendo se e comerecarci da lei in visita in ospedale ed ecco che la notizia ci hatravolto con la sua ineluttabilità: Bruna non c’è più. Avevo imparato a conoscerla durante le riunioni del Comitatoprovinciale dell’ANPI, cui entrambe partecipavamo: lei, cosìesperta, ricca di motivazione, così autorevole e benvoluta, ed io,aggiuntami nell’ultimo anno al gruppo, accolta con affetto daimembri della vecchia generazione. Ne avevo ascoltato alcunevolte gli interventi, sempre così misurati, concisi, ponderati:poche parole che lasciavano sempre il segno. Ne avevo gustatoqualche conferenza di argomento storico, qualche lectiomagistralis così preziosa e rara. Ne conoscevo la tempra schiva,il carattere asciutto, la riservatezza che solo una volta Brunaaveva per un attimo abbandonato per dirmi: “Sono statainsegnante di storia e filosofia al Liceo Classico”. Immaginointendesse il Cairoli. Non ho neppure osato chiedere conferma,tanta era la soggezione che mi ispirava. Altro di lei non so. Ionon sono di Varese, la ritrovavo solo come membro dell’ANPIalle riunioni o a qualche commemorazione del 25 Aprile,quando, incaricata dall’ANPI medesima, accettava di tenere undiscorso. L’ho sentita in una occasione: che differenza tra la sualucida analisi storica, il suo sguardo penetrante e tanti altriinterventi che ho ascoltato – prima e dopo – insipidi, retorici,normali!Bruna era una persona che si notava, pur essendo suo precipuodesiderio non farsi notare. Ma non potevano passareinosservate la sua intelligenza, la sua competenza storica(messa al servizio dell’Istituto Storico Varesino oltre chedell’ANPI e dei suoi studenti), la sua serietà. Per me che svolgoil suo stesso mestiere, ha rappresentato un esempio: didedizione alla causa, di rigore, di onestà intellettuale. Sgomenti e con le lacrime agli occhi, rispettosi della naturariservata di Bruna ci sentiamo però di tributarle un estremosaluto. Addio, professoressa, e in perpetuum ave atque vale.

Rita Gaviraghi, del Comitato Provinciale ANPI di Varese»

«Ho appreso dalla stampa della morte della Professoressa BrunaBianchi, indimenticata insegnante di Filosofia e Storia al LiceoClassico E. Cairoli. Allo sconforto per questa notizia siassommano tanti ricordi legati agli anni in cui ho avuto la fortunadi essere un suo studente dal 1988 al 1991. La prima lezione difilosofia è stata per me come un fulmine a ciel sereno. In queglianni in cui i sogni per il proprio futuro si accavallano e ognuno dinoi cerca di capire quale possa essere la sua stradaall’università, la Professoressa Bianchi ha saputo illuminarmi inmaniera determinante. È stato l’inizio di un percorso scolasticoche mi ha portato sempre più ad approfondire la filosofia fino afarne la scelta definitiva per il mio percorso universitario. LaProfessoressa Bianchi aveva l’enorme pregio di renderecomprensibile anche il ragionamento più difficile e complesso,riuscendo a trasmetterci la passione per la ricerca della verità.Solo più tardi ho appreso del suo impegno presso l’ANPI e deivalori nei quali credeva che, le devo riconoscere, non hanno maiinfluenzato il suo insegnamento in un senso piuttosto che in unaltro. Mi sono sempre sentito legato a lei da un profondo affetto,quello di uno studente che vede nel suo insegnante anche esoprattutto un maestro. Per questo serberò per sempre nel miocuore il ricordo della mia Prof. ricambiando ora con le mielacrime di dolore, le lacrime che lei, presente durante il mioesame di maturità, versò per la felicità di vedere un suo alunnoche aveva affrontato con impegno e risultati lo studio della suamateria, decidendo di farne anche la sua strada per il prossimofuturo.

Uno studente del Cairoli»

Dino Notari

Quasi alle soglie dell’anniversario dellaLiberazione – il 5 aprile di quest’anno –questo Partigiano Combattente dellaGuerra di Liberazione Nazionale nella“Brigata Anderlini” della DivisioneModena, ci ha lasciati. Ora riposa nelCimitero di Niviano di Pavullo. Alla moglie Lina Bernardoni, alla figliaAnna, al genero Luciano ed ai parenti

tutti rinnoviamo le più sentite condoglianze.(ANPI Pavullo)

patria indipendente l 26 settembre 2010 l XIII

Cronache

Giovanni Merlo

“Baffo” era il suo nome di battaglia,assunto durante la Lotta Partigiana emantenuto per tutta la vita.Classe 1924, l’8 settembre 1943 losorprende militare in provincia diSalerno da dove, con mezzi di fortuna,riesce a raggiungere il suo paese:Roccagrimalda (Alessandria). Sonomomenti e avvenimenti tragici in

particolare per questi giovani che devono assumere delle scelteimportanti: arruolarsi nella Repubblica di Salò o salire inmontagna con i Partigiani, affrontando i rischi delle rappresagliesugli abitanti e la deportazione come giovani renitenti.A Roccagrimalda abita Domenico Badino conosciuto da tutticome antifascista, già perseguitato e più volte arrestato daifascisti. “Baffo” prende contatto con lui e in pochi giorni lasciala famiglia e sale sui monti dell’appennino, cercando quel grandecascinale chiamato “La Benedicta”. In quel luogo ci sono moltigiovani come lui che si organizzano per la costituzione del varidistaccamenti. Il suo è collocato alla “Cornaggetta” al cuicomando c’è un giovane ufficiale: Emilio Casalini “Cini” (eroePartigiano poi fucilato dai nazisti), che durante la lotta trova ilmodo di comporre, durante un turno di guardia sul MontePracaban, l’inno della Benedicta: “I ribelli della montagna”.“Baffo” partecipa attivamente alle varie azioni che le formazionipartigiane compiono nel vasto territorio appenninico per fermarele attività di repressione. Con altri giovani riesce a mettersi insalvo sganciandosi durante il tragico rastrellamento che va dal 6al 10 aprile 1944 – la tragica Pasqua di sangue – nel corso delquale 97 Partigiani vennero massacrati dai fascisti italiani e dainazisti e centinaia di loro deportati nei lager in Germania.Dopo la tragedia della Benedicta, Giovanni Merlo nonabbandona la lotta, si congiunge con altri ed entra nella TerzaBrigata Liguria, che dopo il rastrellamento di Bandita,Piancastagna e Olbicella del 10 ottobre 1944 assumerà il nomedi “Divisione Mingo” in memoria del Capitano Domenico Lanza,eroicamente caduto a Piancastagna. La Brigata Olivieri è la suacollocazione definitiva fino alla Liberazione.Ritorna al lavoro come operaio alle officine Val D’Orba di Ovada,dove conosce nuovi compagni nell’attività politica nel PCI. Sarà,in seguito, libero professionista come autotrasportatore. La suaè la vita di tutti coloro, che avendo vissuta l’esperienza dellaguerra, hanno voluto, con il lavoro, dare una migliore esistenzaalla propria famiglia.Per la nostra Sezione ANPI era un testimone della storiapartigiana e in quanto tale frequentava il mondo della scuoladove portava la sua testimonianza e dove spesso allietava glialunni con il canto della Brigata “I ribelli della Montagna”:i ragazzi ne rimanevano affascinati.

(Sezione ANPI “Paolo Marchelli” - Ovada)

Cesare Dalla Riva

In punta di piedi come non era suo stile,è uscito dalla vita “Oriano”, per l’anagrafeCesare Dalla Riva, mitico Comandantedella Brigata “Lulli” punta di diamantedella Divisione Partigiana “Avesani”,operante sul Monte Baldo e lago diGarda, da fine 1943 alla Liberazione,contribuendo alla gloria della città diVerona decorata di Medaglia d’Oro al

Valor Militare. Il nome di “Oriano” risuona ancora tra le cime e vallidel Monte Baldo, dove gli ormai anziani abitanti lo ricordano connitida memoria per il suo coraggio d’indomabile ribelle, sempre inlotta contro un nemico spietato e oltremodo potente. Cesare DallaRiva era originario di Valli del Pasubio in provincia di Vicenza, dovela Resistenza ha preso vita all’indomani del funesto 8 settembre1943. Tra i suoi componenti più convinti si trovava in prima filaCesare. Dal Vicentino, un gruppo di ardimentosi partigiani,compreso “Oriano”, partirono alla volta del Garda avvicinandosi ilpiù possibile a Salò sede del governo fantoccio di Mussolini, percontrastare il più possibile le loro attività con l’alleato tedesco bensistemato nel centro gardesano. Per la conformazione geografica,la zona più adatta per organizzare una seria attività di guerriglia fucertamente il Monte Baldo dove si radunarono, in breve tempo, piùdi 600 volontari tutti animati da un puro spirito di ribellione control’invasore straniero. “Oriano”, il più esperto di armi e tattiche dibattaglia, prese il Comando di una Brigata producendoinnumerevoli azioni di contrasto ai collegamenti militarisabotandone l’efficienza e il conseguente sostegno alla logoranteguerra in corso. Il richiamo alla ribellione fu tale che perfino alcunitedeschi lasciarono il loro comandi per unirsi ai partigiani delBaldo. Di particolare risonanza fu la fuga di Hans Gamber,appartenente al distaccamento SS di Peschiera, che raggiunse laBrigata “Lulli” con due camion pieni di armi, divenendo lui stesso,in seguito, comandante di pattuglia partigiana, dimostrando doti diparticolare audacia.I funerali di “Oriano” sono stati officiati nella chiesa di San MartinoBuon Albergo di Verona. Gonfaloni e bandiere si sonorispettosamente inchinati tra la commozione dei diversi partigianipresenti uniti ad un folto pubblico. Nei discorsi pronunciati dalpresidente dell’ANPI e da altri compagni di lotta è statosottolineato il convinto impegno profuso da “Oriano”esclusivamente per la conquista della Libertà e un mondo migliore.

(Raul Adami - ANPI Verona)

Ambrogio Zino “Fracassa”

Ad un anno dalla scomparsa (31/08/2009) del Partigiano AmbrogioZino “Fracassa”, le figlie, il nipote e il genero lo ricordano. Era natoa Mignanego (Genova) il 25 dicembre 1927. Raggiunta dopo l’8settembre la brigata Garibaldi che operava nelle Langhe, ha vissutouna intensissima attività partigiana al fianco del fratello Andrea“Panciolino”, ferito in piena azione di guerra e riportato a casa daNovi Ligure in mezzo a mille pericoli, dopo azioni di combattimentosvolte in Val Borbera con la Brigata Arzani. Fu arrestato a causa diuna spiata, poi la fuga e l’ultima fase di azioni partigiane condottenell’area delle Capanne di Marcarolo con la Brigata Buranello.Conosciuto e amato per la sua attività politica e amministrativa neldopoguerra, fu sindaco di Mignanego dal 1980 al 1985, primoSindaco comunista.

(ANPI Provinciale Genova)

ANNIVERSARI

Guerino Bosi

Di famiglia antifascista “Macario” – questo era il suo nome di battaglia – è stato uno dei primi ad aderire almovimento partigiano adoperandosi adorientare i giovani per disertare ilfascismo ed aderire alla Resistenza.Capo squadra mitragliere nella BrigataCostrignano, aveva passato il fronte nel1944 partecipando con gli Alleati ai

combattimenti sulla Linea Gotica per la liberazione del nostroAppennino. Ci ha lasciati il 17 ottobre del 2009 ed ora riposa nelCimitero di Acquaria di Montecreto.Le ANPI di Lama Mocogno e di Pavullo, nel ricordarlo a un annodi distanza, rinnovano le espressioni del loro dolore per la suascomparsa alle figlie Mimma e Loredana e al genero Niviano.

(ANPI Pavullo)

Roberto Iattoni

Il Partigiano combattente nella Guerradi Liberazione Nazionale nella Brigata“Costrignano” della Divisione Modena“Armando”, è deceduto a Pavullo l’11aprile del 2009. Come tutti coloro chehanno vissuto questa tragica e gloriosaesperienza era molto legato ai temidella Resistenza e alle vicende dellanostra democrazia. Ora riposa nella

frazione di Acquaria di Montecreto, suo paese natio.Al figlio Giulio, alla nuora Fernanda Bernardoni, ai familiari ed aiparenti tutti l’ANPI rinnova le espressioni di cordoglio per la suascomparsa.

(ANPI Pavullo)

Gilio Cassanelli

È deceduto a Pavullo il 12 maggioscorso il Partigiano Combattente nellaGuerra di Liberazione Nazionale nellefila della “Brigata Roveda” dellaDivisione Modena M.Ai nipoti Armando Capita e Vittorio e aiparenti tutti giungano le espressioni piùsentite di cordoglio della nostraAssociazione.

(ANPI Pavullo)

XIV l patria indipendente l 26 settembre 2010

Cronache

Ricordata la battaglia di Pian d’Albero

Il 30 maggio a Firenze in Piazza Elia della Costa haavuto luogo la celebrazione dei caduti di Pian d’Albe-ro: 38 giovani che, all’alba del 20 giugno 1944, allependici del Pratomagno nella cascina di Pian d’Albe-ro, messa a disposizione dalla famiglia Cavicchi perl’addestramento dei giovani volontari alla lotta parti-giana, vennero sorpresi dai paracadutisti nazisti. Mol-ti di loro colpiti a morte, altri catturati.Dopo la benedizione e la deposizione delle corone almonumento ai Caduti – presente un picchetto d’ono-re militare e rappresentanti di CGIL CISL UIL – da-vanti a un folto numero di ex partigiani combattenti,ha celebrato l’avvenimento il Sindaco di Firenze,Matteo Renzi (foto in basso).Sono quindi intervenuti Giorgio Pacini, segretario delComitato del Parco della Memoria, Andrea Ceccarel-

li, presidente del Quartiere 3, i consoli USA e GranBretagna e l’addetto militare russo; Rossana Carresi,presidente dell’associazione dei caduti, Rossella Can-toni, presidente dell’Istituto Cervi ed infine MarioLeone, presidente della Federazione Regionale delleassociazioni antifasciste e della resistenza della Toscana.Alla cerimonia, come di consueto, erano presenti irappresentanti della Giunta Regionale Toscana e quel-

li dell’Amministrazione Provinciale oltre anumerosi sindaci dei Comuni della Provinciadi Firenze con le loro bandiere ed insegne. Afare da degna cornice al ricordo dei Cadutidi Pian d’Albero le associazioni della resi-stenza ANPI, ANED, ANVRG, FIAP, ANP-PIA, circoli ricreativi e case del popolo.La manifestazione è stata aperta dalla filar-monica G. Rossini con l’inno nazionale e,nel suo corso, con quelli della Resistenza.A conclusione vi è stato un brindisi alla dife-sa della Costituzione e della democrazia. Nelpomeriggio presso il Centro CulturaleREIMS è stato proiettato il film “La Batta-glia di Firenze”. (G.P.)

A Livorno i lavori dei ragazzi sulla ResistenzaA Livorno tra le iniziative “storiche” che mirano acelebrare la Festa di Liberazione e che si rivolgonoparticolarmente al mondo giovanile scolastico, occor-re citare la Borsa di Studio intitolata al Capitano deiCarabinieri Giotto Ciardi M.O. al Valor Militare.Anche quest’anno lafiglia Paola, Presi-dente dell’ANPI Co-munale di Livorno,con il patrocinio diComune e Provinciae con la collabora-zione dell’Associa-zione, ha organizza-to la 12a edizionedell’iniziativa, che havisto coinvolti glistudenti dell’IstitutoProfessionale “LuigiOrlando”. I ragazzisi sono dimostratimolto interessati al-

l’argomento della Resistenza e hanno deciso di pre-sentare dei lavori – essendo, come sempre, libera lascelta dell’argomento da trattare – sulla figura di DonRoberto Angeli, il sacerdote attivo protagonista dellaResistenza e che fu anche deportato nei lager nazisti,che ha suscitato nei ragazzi forti emozioni.Ne sono scaturiti dei bellissimi lavori, di genere assaidiverso: poesie, disegni, elaborati al pc.

Alla presenza delleautorità cittadine,della preside dell’isti-tuto, Maria GraziaRocchi, e della Sig.raCiardi sono stati pre-miati con una targaricordo e un premioin denaro.Si è classificata al pri-mo posto ChantalCaracciolo grazie adun lavoro nel quale ilfilmato è stato ac-compagnato da mu-siche scritte e inter-pretate dalla stessa

ragazza. Il secondo premio è andato a Chiara D’Api-ce ideatrice di un altro bellissimo elaborato, mentre legiovanissime figlie di due immigrati, Fatime Salillaried Elisiana Demiri, si sono meritatamente aggiudicateil terzo premio grazie ad un ottimo lavoro di ricerca,reso ancor più encomiabile dal fatto che dovevano mi-

Le cinque scuole di danzaper il 25 aprile a LivornoAnche quest’anno molteplici sono state le iniziativeorganizzate a Livorno per celebrare la Festa della Li-berazione.Di particolare rilevanza è stato l’ormai tradizionalespettacolo che si è svolto al Teatro Goldoni e che havisto impegnati gli attori-detenuti della Casa Circon-dariale delle Sughere e cinque prestigiose scuole didanza della città: Arabesque, ArteDanza, Atelier delleArti, Koinè Danza e Laboratorio di Danza e Movi-mento. Un connubio che è stato collaudato già da treanni e che ha funzionato anche stavolta perfettamen-te, sotto l’abile regia di Alessio Traversi, che dellospettacolo è stato anche autore.Soggetto della rappresentazione intitolata “Liberazio-ne Show” è stata una critica feroce, espressa talvoltaanche con toni grotteschi, alla spettacolarizzazionemediatica degli eventi bellici, anche i più cruenti e tra-gici, avvenuti nel passato o più recentemente; una dia-

gnosi delle inevitabili distorsioni della storia, plasmataad uso e consumo di interessi personali o di parte, perfar apparire migliori i protagonisti del passato e giusti-ficabili le loro azioni e le loro decisioni politiche.Come sottolinea giustamente Traversi nella presenta-zione del suo show, «In un tempo in cui diventa pos-sibile scaricare per pochi euro i discorsi di BenitoMussolini sul proprio telefono cellulare, non ci si stu-pisce più del fatto che vi siano individui interessati adascoltarli, quanto del fatto che anche la memoria sto-rica di un intero paese sia inevitabilmente destinata adiventare una merce...». Ecco perché è fondamentalericordare sempre e riproporre con costanza la realtàdegli eventi, senza revisionismi che mirano solo a pla-smare la cultura popolare, soprattutto quella dellenuove generazioni, ai propri interessi di partito.Lo spettacolo, al quale ha collaborato anche l’ARCI,è stato patrocinato dal Comune e dalla Provincia diLivorno, sempre disponibili a sostenere l’ANPI el’ANPPIA nella loro missione di salvaguardia dei valo-ri della lotta di Resistenza. (Cristina Tosi)

A Murci una lapideper ricodare due eroiIl 1° agosto si è tenuta a Murci, nel Comune di Scan-sano, organizzata dall’ANPI di Grosseto e dalla ProLoco del paese una significativa celebrazione – presen-te la Fanfara dei Bersaglieri di Cinigiano – che ha co-involto numerosa popolazione, autorità civili militari ereligiose. L’occasione è stata quella dell’affissione, all’esterno delcimitero, di una targa in ricordo del S. Tenente LuigiCanzanelli (“Tenente Gino”) e del soldato GiovanniConti, uccisi il 7 maggio 1944 in uno scontro a fuocoa pochi chilometri dal paese nella cosiddetta strada del-la Dogana. I loro corpi furono, il mattino dopo, trasci-

nati dietro una siepe adiacente questo cimitero e ma-cabramente esposti alla popolazione terrorizzata. Solola sera tardi, il Parroco don Tista Amantini riuscì, do-po molte insistenze con il capo manipolo fascista, a far-si consegnare quei corpi straziati che furono depostinella cappella e vegliati tutta la notte. Il giorno se-guente, ricomposti da donne del paese, ebbero final-mente degna sepoltura. Due anni dopo, alla presenzadei rispettivi familiari le salme furono traslate nei luo-ghi di origine: il S. Ten. Canzanelli a Milano, il solda-to Conti a Montemerano.L’affissione di questa targa, dedicata al tenente Ginoed al suo attendente è anche un modo per ricordare illoro sacrificio, il loro senso del dovere, il loro amoreper la patria ed il coraggio della loro scelta partigiana

surarsi con avvenimenti di una storia finora a loroquasi sconosciuta.Il testimone dell’iniziativa è stato passato quindi al-l’ISIS Niccolini-Palli, che avrà il compito di coinvol-gere i propri studenti nella 13a Borsa di Studio il pros-simo anno. (Cristina Tosi)

patria indipendente l 26 settembre 2010 l XV

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XVI l patria indipendente l 26 settembre 2010

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che appartengono alla storia e mai po-tranno essere cancellati (per chi ne voles-se sapere di più: N. Bianchi, Il tenenteGino e il soldato Giovanni, Edizioni ETS).Le figure dei due partigiani appartenga-no alla memoria, alla cultura ed al sensocivico del paese di Murci, che, pur nellasua marginalità demografica e nel suoisolamento geografico si sente di posse-dere tutti quei valori che definisconol’appartenenza a quella più vasta comu-nità che porta il nome di Italia.Un plauso va ai giovani della Pro Locoche con questa iniziativa ricordano l’ospi-talità che questo piccolo cimitero dette,con cristiana pietà, alle due salme e inquesta maniera riannodano, sotto il segnodella solidarietà, anche spezzoni di storiache scandiscono, nel passaggio da una ge-nerazione all’altra, l’identità di un paese.Con l’affissione di questa targa si ristabilisce quindiun collegamento tra più generazioni: quella dei giova-ni di oggi con quella dei loro nonni che vissero i tor-menti della 2ª guerra mondiale e quella dei loro bi-snonni, protagonisti della Grande Guerra del ’15-’18,altro crudele evento al quale il paese partecipò congeneroso e doloroso contributo di sangue.

Come un collegamento c’è tra quelle che qualche sto-rico ha chiamate le “generazioni del risorgimento” ela presenza della fanfara dei bersaglieri, intitolata alcap. Bruchi, eroe cinigianese, come cinigianese eraanche l’anziana Mafalda Antonelli che fu per qualchemese la staffetta del VII Raggruppamento BandeMonte Amiata, comandato dal “tenente Gino”: sicu-re tracce nei nostri DNA morali. (N.B.)

Con l’ARCI di Pieve S. Stefano sui luoghi delle stragiIl 22 agosto, avvicinandosi il giorno della ritirata daiterritori altotiberini, vari crimini furono commessi dasoldati tedeschi a danno della popolazione civile.Legittimati ad uccidere chiun-que venisse sorpreso nelle zo-ne precedentemente sottopo-ste ad evacuazione forzata, latruppa spesso ne approfittò percommettere omicidi aggravatidalla gratuità del crimine, dallacrudeltà e dal proposito di usa-re violenza sulla donne.Da alcuni anni il Circolo ARCI“Bororo” di Pieve S. Stefano,in collaborazione con la sezio-ne ANPI di Sansepolcro, pro-muove una commemorazionevisitando, insieme ai familiari, iluoghi delle esecuzioni avve-nute intorno a Madonnuccia.In modo particolare Arman(presidente del Circolo) insie-me a Silvano, Marcello, Giulia-no ed altri si sono impegnatiper ripulire e delimitare le areeinteressate, contribuendo in-dubbiamente a rendere piùagevole la visita.

Dopo una sosta al cimitero di Madonnuccia, sono sta-te raggiunte le località di Antonelli (dove, lungo il tor-rente Tignana, furono fucilati Anna Boncompagni DelFuria, Giuseppe Mercati, Sante Ferrini e sua moglieMaria Pasquinelli), Calcina (che vide trucidare Benia-mino Zanchi e Adelmo Roti) e Terranieri (teatro del-l’uccisione della giovane Fines Ciavattini insieme ad

Adelmo Lucherini, ArturoTizzi ed Angelo Bindi).Con la benedizione consuetadi padre Ugo, quest’anno èstata data lettura dei capi d’ac-cusa indicati nell’informazionedi garanzia indirizzata dallaProcura militare italiana ad unmaresciallo tedesco coinvoltonei fatti di Vannocchia e Male-spese e deceduto pochi giorniprima di essere raggiunto dal-l’avviso.La giornata è stata conclusa dauna cena con le famiglie, du-rante la quale il Circolo “Bo-roro” ha consegnato una targaricordo all’ANPI di Sansepol-cro che, oltre ad apprezzare ilgradito omaggio, ha ribaditola necessità di far conoscere ta-li storie alle nuove generazioni,organizzando lezioni e percor-si guidati per gli alunni dellescuole. (A. Bertocci)